XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 18 settembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              le aflatossine sono micotossine prodotte da due specie di aspergillus, un fungo che si trova in particolare nelle aree caratterizzate da un clima caldo e umido;
              le aflatossine sono note per le loro proprietà genotossiche e cancerogene, e quindi occorre operare affinché la contaminazione degli alimenti sia evitata o almeno il più possibile limitata;
              le aflatossine possono essere presenti in prodotti alimentari, quali arachidi, frutta a guscio, granoturco, riso, fichi e altra frutta secca, spezie, oli vegetali grezzi e semi di cacao, a seguito di contaminazioni fungine avvenute prima e dopo la raccolta;
              l'aflatossina B1 è la più diffusa nei prodotti alimentari ed è una delle più potenti dal punto di vista genotossico e cancerogeno ed è prodotta sia dall’aspergillus flavus sia dall’aspergillus parasiticus;
              l'aflatossina M1 è uno dei principali metaboliti dell'aflatossina B1 nell'uomo e negli animali e può essere presente nel latte proveniente da animali nutriti con mangimi contaminati da aflatossina B1;
              le ultime previsioni per l'annata agraria 2012/2013 vedono nel settore dei cereali e delle oleaginose, significativi cali di produzione a livello mondiale, a seguito delle difficili condizioni climatiche che hanno colpito importanti realtà produttive quali gli USA e l'area del Mar Nero (Romania, Bulgaria, Moldova);
              significative infezioni da aspergillus spp. nel mais ed il relativo accumulo di aflatossine nelle cariossidi, sono legate a prolungato stress della pianta causato da carenza idrica ma, specialmente, da temperature particolarmente elevate. Tali condizioni si sono riscontrate nell'estate del 2012 per una durata eccezionale di 80-90 giorni in molti areali;
              in Italia, dopo anni di calo di ettari seminati dovuto soprattutto ai bassi prezzi di listino, complice una ripresa dei prezzi internazionali, l'annata scorsa vi è stata una timida ripresa della superficie investita a cereali, soprattutto per le coltivazioni di mais;
              l'anno in corso invece, ha visto aumenti di superfici e di produzione per il frumento ma nuovamente un calo di superfici produzione per il mais causato dalle complicazioni metereologiche;
              per il mais e la soia, le difficili condizioni climatiche stanno portando in alcune importanti ma limitate aree produttive del paese, complicazioni qualitative, soprattutto riguardo l'elevata presenza di aflatossine/micotossine;
              la produzione contrassegnata da contaminazione non sembra, dai dati resi noti fino ad ora ed in possesso delle autorità e degli operatori, superare significativi quantitativi in modo da alterare la campagna di raccolta ed i relativi conferimenti;
              l'Unione europea ha introdotto misure, volte a ridurre al minimo la presenza di aflatossine in diversi prodotti alimentari. I livelli massimi di aflatossine sono stabiliti dal regolamento (CE) n.  1881/2006 della Commissione. I prodotti che superano i livelli massimi consentiti non devono essere immessi sul mercato dell'Unione europea. La direttiva 2002/32/CE stabilisce i livelli massimi di aflatossine B1 nelle materie prime per mangimi;
              i metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale delle micotossine, incluse le aflatossine, sono stabiliti dal regolamento (CE) n.  401 del 2006 della commissione;
              ciò assicura che gli stessi criteri di campionamento destinati al controllo dei tenori di micotossine nei prodotti alimentari siano applicati agli stessi prodotti dalle autorità competenti nell'Unione europea e che alcuni criteri di rendimento, ad esempio il recupero e la precisione, siano rispettati,

impegna il Governo:

          a operare al fine di scoraggiare fenomeni speculativi sui prezzi esaltando in modo artificioso la portata dei fenomeni riconosciuti;
          a consolidare il sistema dei controlli e della comunicazione dei dati rilevati in corso di campagna di raccolta al fine di monitorare la situazione e la sua evoluzione con l'obiettivo di scongiurare pericoli per la salute e contemporaneamente salvaguardare il corretto svolgimento della campagna di raccolta e di conferimento;
              a ricercare comunque misure, nell'ambito del rapporto con le istituzioni dell'Unione europea, per affrontare le possibili situazioni legate ad eventi naturali eccezionali che comportino conseguenze economiche negative per produttori e stoccatori, incolpevolmente danneggiati e più in generale per la salubrità degli alimenti posti al consumo;
          a ricercare, nell'ambito del rapporto con le istituzioni dell'Unione europea, misure per affrontare le possibili situazioni economiche a rischio di produttori e stoccatori incolpevolmente danneggiati dall'evento naturale eccezionale, anche al fine di evitare tentativi di elusione dei controlli con conseguente rischio di contaminazione delle filiere sensibili.
(7-00982) «Delfino, Naro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          Cittadinanza Attiva ha recentemente rivolto al Presidente del Consiglio dei ministri (16 giugno 2012) un appello pubblico per avere risposte e informazioni in ordine alle notizie apparse sul settimanale l'Espresso (15 giugno 2012) circa presunti illeciti amministrativi commessi presso il CNEL, che sembrerebbero implicitamente confermati da una lettera aperta al direttore de l'Espresso (22 giugno 2012) inviata da uno degli esperti del CNEL;
          un regolamento interno approvato, ad avviso degli interpellanti in contrasto con la legge, avallato anche da un collegio dei revisori costituito in difformità dalle disposizioni che disciplinano la composizione di questi organi in tutte le amministrazioni dello Stato, lascia particolarmente perplessi, come anche i presunti illeciti denunciati dal settimanale l'Espresso;
          nell'attuale contesto di crisi economica appaiono agli interpellanti inopportuni gli incarichi di ricerca (affidati ad istituti privati) e le consulenze specialistiche (conferite anche a persone, da quanto sembra desumersi dall'articolo di stampa citato, non in possesso del titolo di laurea) presso un organo a rilevanza costituzionale chiamato a dare «alta consulenza alle Camere e al Governo», grazie alla professionalità di esperti nominati anche dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, selezionati fra i migliori docenti universitari delle discipline economiche, sociali e statistiche nonché dotato di un Segretariato Generale presso cui operano dirigenti e funzionari altamente qualificati  –:
          quali iniziative di competenza, anche normative, intenda assumere il Governo in relazione ai fatti descritti in premessa.
(2-01665) «Barbaro, Della Vedova».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          la scorsa settimana le isole Eolie sono state interessate da eccezionali fenomeni temporaleschi;
          in particolare, nella giornata di sabato 15 precipitazioni violentissime si sono abbattute sull'isola di Lipari nella quale in meno di tre ore sono caduti circa settanta millimetri di pioggia ed un fiume di fango si è riversato lungo le strade allagando abitazioni, scuole e locali commerciali provocando spavento nei cittadini e nei turisti dell'isola nonché notevoli danni economici anche alle attività turistiche, delle quali vive prevalentemente l'isola, proprio nell'ultimo scorcio della stagione estiva;
          si tratta dell'ennesimo eccezionale nubifragio che colpisce zone del territorio della provincia di Messina dopo i fenomeni alluvionali che hanno cagionato tragiche conseguenze nel 2009 nelle località di Giampilieri, Molino, Altolia Briga, Pezzolo, Santa Margherita Marina e nei comuni di Scaletta Zanclea e Itala ed ancora nel novembre del 2011 in diversi comuni della zona tirrenica;
          tali accadimenti mostrano in tutta la loro evidenza l'attuale vulnerabilità dei territori siciliani che richiede, nell'immediato, un'efficace e tempestiva gestione dell'emergenza a Lipari e la messa in sicurezza delle località Annunziata, Ponte, Valle, Canneto, Calandra esposte ad un rischio maggiore nonché una pianificazione e riordino degli strumenti della prevenzione finalizzati ad attutire il rischio meteo-idrogeologico ed idraulico accompagnati dall'indispensabile stanziamento di adeguate risorse finanziarie per la messa in atto di interventi per la tutela del territorio;
          in base ad una prima ricognizione si stimano circa 30 milioni di euro di danni provocati dall'eccezionale nubifragio ed in queste ore i dirigenti della Protezione civile stanno provvedendo a stilare un bilancio definitivo  –:
          quali siano i tempi previsti per la deliberazione dello stato di emergenza nel territorio di Lipari da parte del Consiglio dei ministri e per la successiva emanazione della relativa ordinanza da parte del Capo del dipartimento della Protezione civile finalizzata alla messa in atto degli interventi di soccorso alla popolazione e di ogni altra necessaria ed indifferibile attività diretta al superamento dell'emergenza e alla mitigazione del rischio.
(2-01667) «Garofalo, Germanà, Gibiino, Prestigiacomo, Vignali, Antonino Foti, Vincenzo Antonio Fontana, Giammanco, Catanoso, Lorenzin, Lisi, Bertolini, Biancofiore, Marinello, Antonio Martino, Ghiglia, Ravetto, Moles, Nizzi, Misuraca, Pagano, Landolfi, Biasotti, Saltamartini, Garagnani, Romele, Berardi, Pizzolante, Tommaso Foti, Valducci, Aracri».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da alcune settimane imponenti flussi migratori si stanno abbattendo sulle coste italiane a seguito delle rivoluzioni nei Paesi dell'Africa settentrionale; alcuni paventano una prossima ondata migratoria anche dall'Africa sub-sahariana;
          la Tunisia e soprattutto la Libia sono state fino al 2009 il canale di ingresso in Italia dei migranti clandestini provenienti dall'Africa sub-sahariana e di quelli provenienti dai Paesi affacciati sulle rive meridionali del Mediterraneo. A tal proposito i dati del Viminale parlano di circa 29 mila arrivi dall'agosto 2008 al luglio 2009. Sempre secondo la stessa fonte dall'agosto 2009 al luglio 2010 gli arrivi sono stati circa 3.500. E poiché i fattori generatori dei flussi non sono mutati, la differenza tra 29 mila e 3.500 ci indica con buona approssimazione quale sia stato l'effetto di blocco dell'accordo italo-libico e delle misure restrittive concordate anche col vecchio governo tunisino: circa 26 mila arrivi in meno in appena dodici mesi;      
          il venir meno del predetto blocco a causa del crollo dei regimi potrebbe quindi portare a un aumento di 26 mila sbarchi annui con probabilmente numeri superiori nel corrente anno – anche oltre quota 50 mila – per il sommarsi dei nuovi migranti a quelli che erano stati bloccati nel 2009-2010. Peraltro se Egitto, Tunisia, Libia ed eventualmente l'Algeria dovessero precipitare in uno stato di crisi permanente i numeri potrebbero essere assai maggiori;
          anche volendo rimanere ad una stima minimale, quindi, si prevede possano esservi oltre 50 mila, ingressi in più nel 2011 e poi 20-30 mila ingressi in più negli anni successivi, atteso che i flussi dall'Africa sono legati a fattori demografici ed economici che permarranno a lungo;
          la stragrande maggioranza di questi arrivi saranno tutti via mare e ovviamente al di fuori del sistema di programmazione dei flussi migratori. Saranno inoltre flussi misti con ben due diverse componenti: rifugiati, ossia vittime di persecuzione, e migranti economici;
          come in passato, presumibilmente anche in futuro per lo più le persone provenienti dal canale libico-tunisino chiederanno asilo. A questo proposito un'indicazione viene dai dati del Viminale: negli ultimi anni circa il 50 per cento dei richiedenti asilo con quel tipo di provenienza ha ottenuto una qualche forma di protezione internazionale; da ciò consegue che il canale libico-tunisino nel 2011 dovrebbe generare almeno 50 mila domande d'asilo aggiuntive per poi generarne più di 20 mila negli anni successivi e che queste domande dovrebbero tradursi nel 50 per cento in nuovi rifugiati;
          la direttiva europea n.  2003/9 impone di adottare adeguate misure di accoglienza per tutti i richiedenti asilo;
          in attuazione della predetta direttiva, il decreto n.  140/2005 ha previsto per i casi di sbarco una prima permanenza di circa un mese in un Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) e poi, fino alla decisione sulla domanda, il soggiorno in una struttura dello Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati);
          attualmente presso i Cara sono disponibili circa 2000 (duemila) posti mentre lo Sprar dispone di circa 3000 (tremila) posti ai quali devono aggiungersi circa 1000 (mille) posti nei cosiddetti «centri Morcone» nati da un accordo tra il Ministero dell'interno e alcuni grandi comuni;
          con i Cara quindi si possono gestire non più di 20-25 mila sbarchi l'anno. Ancora più limitate le disponibilità dopo il primo mese: se, sulla base dell'esperienza, calcoliamo in sei mesi il tempo medio intercorrente tra la domanda e la pronuncia definitiva abbiamo che lo Sprar e i centri Morcone anche considerata la rotazione degli ospiti possono ospitare meno di 10 mila richiedenti asilo l'anno;
          appare pertanto drammatico lo scostamento tra il numero prevedibile – pur secondo una stima minimale – dei richiedenti asilo in questo e nei prossimi anni e le attuali possibilità di accoglienza, il che:
              a) renderà inevitabile nel 2011 il ricorso a strutture straordinarie di prima accoglienza;
              b) renderà inevitabile considerare l'idea di accrescere e di molto le possibilità di accoglienza dello Sprar;
          nel 2010 si è programmato lo Sprar per il triennio 2011-2013, ma nulla impedisce l'adozione di un programma straordinario con altri posti;
          lo Sprar si basa su un apposito fondo nazionale che viene distribuito tra i comuni che ne fanno richiesta che poi assegnano le risorse a strutture del privato sociale  –:
          quali interventi urgenti si intendano adottare al fine di rendere più agevole il ricorso a strutture straordinarie di prima accoglienza in favore di tutti quei migranti richiedenti asilo provenienti dal canale libico-tunisino;
          se si intendano mettere a disposizione risorse aggiuntive per un programma straordinario di ampliamento del sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar);
          cosa si intenda fare affinché vi possano essere più comuni disponibili a entrare nello Sprar rispetto al passato;
          quali siano, in previsione del livello strutturalmente alto di domande e dunque di persone da accogliere nei prossimi anni, gli indirizzi operativi disposti per far fronte al cattivo funzionamento dei progetti di accoglienza inseriti nel sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e quali siano, in merito, le disposizioni impartite agli organi periferici, anche con riferimento ai rapporti tra questi ultimi e le istituzioni pubbliche locali;
          se e quali iniziative si intendano adottare al fine di giungere, così come proposto dalla commissione De Mistura, ad una riforma normativa che preveda un unico sistema nazionale di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati da collocarsi come evoluzione dell'attuale sistema di protezione (Sprar), in modo da garantire agli stessi adeguati percorsi di integrazione sociale nel nostro Paese. (5-07822)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          da fonti di stampa e dall'associazione nazionale Arcigay risulterebbe che l'Italia è stata esclusa dal consiglio di amministrazione del Fondo globale per la lotta contro Aids, malaria e tubercolosi perché indietro con i pagamenti di ben due anni;
          l'Italia era stata la promotrice del Fondo durante i lavori del G8 di Genova; il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel 2009 a L'Aquila, in occasione del G8 dichiarò che: «entro il prossimo mese verseremo 130 milioni di dollari a cui ne aggiungeremo altri 30»;
          l'Italia ospiterà tra appena due mesi la IAS, uno dei più importanti eventi medico-scientifici dedicati alla lotta all'AIDS;
          degli oltre 40 Paesi donatori (a cui vanno aggiunte associazioni come quelle che fanno capo a Bill Gates e a Bono Vox) l'Italia è l'unico a non aver ancora versato la quota del 2009»  –:
          se tali notizie corrispondano al vero;
          quali iniziative intenda prendere il Governo per rispettare gli impegni presi;
          quale sarà l'atteggiamento del Governo italiano alla prossima riunione IAS;
          se non ritenga il Governo che tale comportamento metta in una cattiva luce il nostro Paese sia rispetto agli impegni presi, sia rispetto alla necessità del nostro Paese di contribuire in modo determinante alla lotta all'Aids in tutto il mondo, e cosa intenda fare per rimediare. (5-07849)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il signor Federico L. ha convissuto a lungo con la signora Meirelles De Oliveira, cittadina portoghese, dalla quale ha avuto due figli, Filippo L. e Matteo L., entrambi nati a Bologna, il primo in data 19 marzo 2005 e il secondo in data 21 settembre 2006;
          il 30 marzo 2007 la signora Meirelles parte alla volta del Portogallo insieme ai figli per quella che avrebbe dovuto essere una normale visita ai parenti. In seguito il signor Federico L. scoprirà che prima di partire la donna aveva rubato il denaro in cassaforte ed i libretti di risparmio dei bambini, essendo già intenzionata a non fare più ritorno in Italia;
          dal marzo all'agosto 2007 il padre dei bambini si reca a Lisbona con cadenza pressoché mensile per andare a trovare i figli, facendo con sempre più insistenza pressioni per un loro immediato rientro in Italia. A fronte di ciò la donna reagisce in maniera violenta e negativa;
          in data 17 agosto 2007 il signor Federico L. ricorre al tribunale per i minorenni di Bologna per ottenere l'affidamento dei figli; successivamente il medesimo sporge querela nei confronti della signora Meirelles per sottrazione di minori presso i carabinieri di Bologna;
          il 16 ottobre 2007 il signor Federico L. attiva – attraverso l'autorità centrale italiana – il processo per il rimpatrio dei figli ai sensi della Convenzione Aja del 1980. La richiesta è trasmessa all'autorità centrale portoghese;
          il 19 dicembre 2007 l'autorità centrale italiana si oppone al rigetto, che l'autorità centrale portoghese aveva nel frattempo manifestato, richiamandosi alla legislazione in materia di affidamento e all'indipendenza del processo Aia;
          il 22 dicembre 2007 il signor Federico L. presenta una seconda querela nei confronti della signora Meirelles per il furto del denaro dalla cassaforte e dei libretti di risparmio dei bambini;
          finalmente, in data 11 febbraio 2008, l'autorità centrale portoghese decide di inoltrare il fascicolo Aja al tribunale per i minori e la famiglia di Lisbona;
          il 15 febbraio 2008 il giudice dell'Aja (tribunale dei minori e famiglia di Lisbona) contestualmente aveva sospeso (non archiviando) il processo per l'affidamento chiesto dalla signora Meirelles in Portogallo perché sovrapposto a quello di Bologna;
          il giorno 14 marzo 2008 la signora Meirelles chiede l'affidamento dei figli al tribunale per i minori e la famiglia di Lisbona portoghese inspiegabilmente congiunto con il processo Aja;
          il 2 aprile 2008 si svolge la prima udienza presso il tribunale per i minorenni di Bologna; nella circostanza la signora Meirelles, pur non presentandosi di persona, si costituisce in giudizio per mezzo dell'avvocato;
          il 28 maggio 2008 il tribunale per i minorenni di Bologna, con provvedimento provvisorio ed in seguito all'indagine effettuata dai servizi sociali, al fine di concedere una chance alla madre e con l'intento di farla desistere in breve dai propri intenti di non fare mai più ritorno in Italia con i figli, stabilisce l'affidamento condiviso dei bambini, conferma il luogo di residenza dei minori in Italia, ordina alla signora Meirelles di riportare i minori in Italia. Il provvedimento non viene rispettato dalla signora Meirelles;
          il 12 giugno 2008 il signor Federico L. si reca a Lisbona per l'udienza di rimpatrio ex Convenzione dell'Aja 1980. Nell'occasione al Console italiano in loco, dottor Giovanni Frignone, viene negato l'ingresso in aula (nonostante richieste formali fossero state espresse in tal senso). Dopo l'udienza il padre cerca di vedere i figli (intenzione già anticipata con telegramma alla madre), ma la signora Meirelles, con l'aiuto di sua madre, si oppone e scappa. Viene inutilmente chiesto l'intervento della polizia;
          il 2 luglio 2008 la signora Meirelles ricorre in appello contro il provvedimento adottato dal tribunale per i minorenni di Bologna; ma la corte d'appello di Bologna dichiara inammissibile il reclamo;
          il 16 settembre 2008 il giudice dell'Aja portoghese emette sentenza che nega il rimpatrio dei minori poiché a suo avviso i bambini sono alla data e per decisione del tribunale dei minori di Bologna affidati congiuntamente ad entrambi i genitori e quindi non riscontra motivi per cui gli stessi non possano stare in Portogallo. Contro tale decisione il signor Federico L. ricorre in appello, e altrettanto fa il pubblico ministero portoghese;
          il 27 marzo 2009 la corte d'appello di Lisbona si pronuncia sul ricorso presentato contro la sentenza Aja di primo grado dando ragione agli appellanti e definendo la ritenzione dei minori illecita, ma non ordina il rimpatrio dei bambini indicando al tribunale di primo grado di indagare sulle eventuali motivazioni di cui all'articolo 13 della Convenzione dell'Aja;
          il 7 maggio 2009 il tribunale per i minorenni di Bologna concede l'affidamento esclusivo dei minori al padre e pronuncia la decadenza dalla potestà genitoriale della madre. Ordina anche il rimpatrio dei minori ed emette certificati conformi ex regolamento (articolo 39, paragrafo 1 e articolo 42, paragrafo 1) trasmessi in Portogallo debitamente tradotti ed apostillati;
          il 25 giugno 2009 il signor Federico L. chiede il riconoscimento e l'esecuzione in Portogallo della sentenza di affidamento emessa dal tribunale dei minori di Bologna e il relativo procedimento viene assegnato al 1° giudizio, 1° sezione (di qui in avanti giudice dell'esecuzione). Nel frattempo si celebra una nuova udienza processo Aja 1980 a Lisbona; udienza resasi necessaria dopo la sentenza del 27 marzo 2009 emessa dalla corte d'appello;
          il 9 luglio 2009 il giudice dell'esecuzione di Lisbona riconosce l'esecutività dell'affidamento anche in Portogallo;
          il giorno 11 settembre 2009 il giudice Aja del tribunale dei minori di Lisbona si dichiara incompetente sull'affidamento chiesto dalla madre in Portogallo (in seguito al provvedimento definitivo emesso dal tribunale dei minori di Bologna) ed archivia;
          il 7 ottobre 2009 la signora Meirelles impugna in corte d'appello di Bologna il decreto del tribunale per i minorenni. La corte d'appello di Bologna rigetta ancora una volta le istanza della Meirelles;
          l'11 novembre 2009 la signora Meirelles si costituisce e presenta opposizione presso il giudice dell'esecuzione di Lisbona che la dichiara inammissibile;
          nel frattempo – sempre nell'ambito del giudizio dell'esecuzione di Lisbona – il pubblico ministero chiede di effettuare la consegna dei bambini al padre;
          il 15 febbraio 2010 il giudice dell'esecuzione ordina all'autorità centrale portoghese di accordarsi sulla consegna dei bambini al padre con l'omologa autorità centrale italiana;
          il 26 febbraio 2010 la signora Meirelles avanza al giudice dell'esecuzione istanza di nullità per incompletezza della citazione iniziale (nonostante la questione non sia stata sollevata in via preliminare, e nonostante la signora abbia ugualmente esercitato il contraddittorio, non abbia subito pregiudizio alcuno ed il procedimento si sia concluso). Il pubblico ministero si esprime contro l'istanza, il giudice viceversa l'accoglie, fra l'altro asserendo che fatti del genere possono accadere in ragione della particolarità del processo, non comune presso il tribunale di Lisbona. Il signor Federico L. si oppone alla richiesta di nullità ma la sua istanza viene respinta;
          il 5 marzo 2010 la signora Meirelles ricorre in Italia presso la Corte di cassazione contro il provvedimento emesso dal tribunale per i minorenni di Bologna; il ricorso è rivolto solo contro l'ordine di rimpatrio;
          il 13 aprile 2010 la signora Meirelles ricorre in appello contro l'archiviazione (provvedimento del 11 settembre 2009) sul procedimento di affidamento da lei chiesto in Portogallo. Il ricorso è intempestivo oltre che infondato in fatto ed in diritto ma comunque pare accolto dalla corte d'appello di Lisbona;
          il 23 aprile 2010 la signora Meirelles presenta ricorso in appello contro l'esecutività dell'affidamento in Portogallo;
          il 26 aprile 2010 il signor Federico L., stremato da tutta la vicenda, presenta denuncia per infrazione alla Commissione europea nei confronti del Portogallo. Il procedimento viene rubricato al numero CHAP(2010)01687;
          dopo due anni dall'illecita sottrazione dei minori, e precisamente in data 8 giugno 2010, il giudice Aja 1980 portoghese emette finalmente sentenza definitiva ordinando il rimpatrio dei bambini dando per assunta l'assenza dei rischi ex articolo 13 Convenzione dell'Aja del 1980;
          il 15 giugno 2010 l'autorità centrale portoghese contatta telefonicamente il padre dei minori al fine di prendere accordi circa la consegna dei bambini. Il signor Federico L. si dice disposto a partire in qualsiasi momento raccomandandosi con le autorità portoghesi circa la pericolosità della signora Meirelles (lo stesso fa il console italiano a Lisbona, dottor Brignone). Dopo vari colloqui, anche nei giorni seguenti, le autorità portoghesi, dopo aver rassicurato i propri interlocutori sul fatto che le misure di controllo sono state prese, informano il padre che la data per la consegna è fissata per il 25 giugno 2010, perché prima non si può fare;
          nel frattempo il giudice dell'esecuzione di Lisbona (non l'Aja) emette i mandati di consegna per la polizia di sicurezza pubblica ed informa l'autorità centrale portoghese; ciononostante dal 18 giugno 2006 il signor Federico L. non riesce più a parlare con i figli nemmeno al telefono. Risulterà poi che il 21 giugno è stato l'ultimo giorno in cui i bambini sono andati a scuola;
          il 23 giugno 2010 la signora Meirelles chiede al giudice dell'esecuzione l'effetto sospensivo dell'appello e la revoca dei mandati. La richiesta è respinta. Nel frattempo Federico L. arriva a Lisbona in vista della consegna dei figli. Con il console italiano l'uomo va a colloquio con l'autorità centrale portoghese e viene rassicurato sul fatto che da una settimana la polizia sta controllando la Meirelles ed i bambini e che questi sono a casa. Dopodiché il padre si mette in contatto con i servizi sociali per la consegna dei minori informandoli sulla pericolosità della madre. Viene stabilito che la consegna avverrà il 25 giugno;
          il 25 giugno il signor Federico L. si reca con il console italiano e l'avvocato Normanha alla polizia per la sicurezza pubblica per la consegna dei figli, ma risulta che la signora Meirelles è fuggita da una settimana con i bambini per destinazione ignota. L'uomo presenta querela contro la signora Meirelles presso il tribunale penale di Lisbona per sottrazione dei minori, scomparsa degli stessi e disobbedienza della madre a vari ordini dei giudici; presenta anche querela presso la stazione dei carabinieri di Bologna per sottrazione di minori e scomparsa degli stessi. Nel frattempo in Portogallo nessuno riesce a localizzare i bambini;
          intanto il giudice dell'esecuzione, tramite il legale portoghese del signor Federico L., avvocato Normanha, suggerisce al padre una strana mediazione, mai supportata da alcuna richiesta di controparte;
          il 2 luglio 2010 il giudice dell'esecuzione, accogliendo l'istanza della signora Meirelles, invia con urgenza il fascicolo alla corte d'appello di Lisbona; mentre l'autorità centrale di Lisbona chiama con insistenza il padre dei bambini per sapere quale sia la sua posizione circa la richiesta di mediazione e gli intima di rispondere formalmente entro 48 ore;
          il 5 luglio 2010 il signor Federico L. si reca presso la Autorità centrale portoghese per avere chiarimenti sulla presunta proposta di mediazione e ribadisce di non opporsi a che la signora Meirelles salga in aereo e torni in Italia unitamente ai bambini, sebbene non abbia avuto alcuna richiesta formale in tal senso. Intanto l'avvocato Normanha contatta il collega di controparte per la fantomatica mediazione. Gli viene detto che sarà richiamato in giornata ma, nonostante ulteriori tentativi, ciò non viene fatto;
          il sette luglio 2010 il padre rientra in Italia senza i figli;
          il 28 luglio seguente il giudice dell'esecuzione chiede alla signora Meirelles di comunicare quando ha intenzione di consegnare i bambini. La madre informa il giudice dell'esecuzione che non ha intenzione né di fare sapere dove si trovi effettivamente né di consegnare i bambini poiché si dichiara certa che la corte d'appello revocherà i mandati;
          il 20 agosto 2010 la corte d'appello di Lisbona respinge l'effetto sospensivo richiesto dalla madre atteso che i mandati non sono ricorribili; dopodiché il giudice dell'esecuzione recepisce e ribadisce il parere della corte d'appello, respinge l'effetto sospensivo e dichiara la signora Meirelles rea di disobbedienza;
          il 6 settembre seguente – in forza degli ultimi pareri del giudice dell'esecuzione e della corte d'appello – il signor Federico L. chiede alla sezione penale di Lisbona (al GIP) i mandati di detenzione e richiesta di audizione degli agenti di polizia e dei parenti della signora Meirelles;
          nel frattempo la signora Meirelles ripropone la stessa istanza di richiesta di attribuzione di effetto sospensivo alla corte d'appello di Lisbona che era già stata rigettata nel mese di agosto dalla stessa corte d'appello;
          finalmente in data 24 settembre 2010 la signora Meirelles viene localizzata con i bambini a Setubal (località ubicata a circa 50 chilometri a sud di Lisbona) dalla polizia giudiziaria. Invece di avvertire il padre o l'Ambasciata italiana, la polizia giudiziaria conduce i bambini in un istituto (Santa Casa della Misericordia — Lisbona) applicando in modo ingiustificato la legge sui minori in pericolo;
          il successivo 25 settembre 2010 la polizia giudiziaria inserisce il ritrovamento dei bambini in Schengen e SIRENE e convoca il padre in Portogallo urgentemente, per la consegna dei bambini, tramite Interpol. A questo punto il signor Federico L. si precipita in aeroporto mentre l'Interpol comunica agli omologhi portoghesi che l'uomo sarà a Lisbona entro l'indomani per recuperare finalmente i bambini;
          il 26 settembre il padre sbarca a Lisbona alle 8.20 e incontra il console italiano e l'avvocato Normanha con i quali si reca all'istituto ma la polizia giudiziaria rifiuta di consegnare i bambini dapprima sostenendo che siccome i bambini sono sotto articolo 91 (legge portoghese sui minori in pericolo) è necessario un ulteriore mandato di un giudice per eseguire il mandato precedente;
          il giorno seguente l'avvocato Normanha deposita atti informativi all'apertura delle cancellerie di tutti i tribunali a qualche titolo interessati, inclusa la corte d'appello, dopodiché il signor Federico L. si reca in tribunale portoghese con il console italiano e lo stesso avvocato Normanha per ottenere la firma del giudice su di un ordine di consegna dei bambini al padre, indirizzato all'istituto di accoglienza; nel pomeriggio dello stesso giorno il giudice Aja trasmette all'istituto un nuovo dispaccio che conferma la validità dei mandati e ne ordina l'immediata esecuzione. Ma passano alcuni minuti e la cancelleria del giudice dell'esecuzione informa il padre dei bambini che la corte d'appello ha inviato direttamente all'istituto un'ulteriore decisione sommaria presa dal giudice Vouga con la quale viene accolta l'istanza della signora Meirelles e si ordina all'istituto di consegnare i bambini alla madre. L'atto non è inoltrato (come dovrebbe) attraverso il giudice dell'esecuzione;
          a questo punto l'istituto di accoglienza dei bambini, in presenza di un ordine diametralmente opposto ai precedenti (quello del giudice Aja della stessa giornata che ribadisce provvedimento di consegna dei bambini al padre del 15 settembre 2010 e quello del giudice dell'esecuzione del 8 giugno 2010 che ordina la consegna dei bambini al padre, ai quali si contrappone il provvedimento emesso dalla corte d'appello nella persona del giudice Vouga che revoca i precedenti mandati ordinando di restituire i bambini alla madre), trattiene i bambini in attesa di chiarimenti;
          il 28 settembre l'avvocato Normanha (avvocato portoghese del padre dei minori) chiede una nuova certificazione al Tribunale Aja (secondo giudizio) sulla validità dei mandati e la ottiene. Si reca quindi in corte d'appello per ottenere una analoga certificazione, ma viene fatto attendere fino alla chiusura;
          l'avvocato dell'istituto di accoglienza dei bambini contatta l'avvocato Normanha comunicandogli di aver ricevuto, dallo stesso giudice Vouga, un ordine che gli impone di consegnare i bambini alla madre ignorando qualsiasi altro atto di qualsiasi altra corte;
          il 29 settembre 2010 l'avvocato Normanha riesce finalmente a ottenere copia degli atti dalla corte d'appello. L'ultimo atto (quello del giorno prima) a firma del giudice Vouga non contiene alcuna motivazione e ordina sostanzialmente di ignorare qualsiasi altro atto sfavorevole alla signora Meirelles, citando esplicitamente il processo Aja;
          attualmente l'avvocato Normanha ha preparato un ricorso contro il provvedimento emesso dal giudice Vouga, nonché un esposto contro il medesimo presso il Consiglio superiore della magistratura portoghese;
          i contorni che la vicenda sta assumendo dimostrano una scarsa idoneità delle normative internazionali a sostenere situazioni come questa e come tante altre, che, in ragione dell'aumento della convivenza tra persone di diversa nazionalità, si stanno imponendo all'attenzione dell'opinione pubblica e del legislatore  –:
          se non ritengano necessario intervenire presso le autorità portoghesi affinché venga data finalmente esecuzione ai provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie italiane e straniere con le quali è stato disposto l'affidamento esclusivo dei minori al padre, e perché le stesse autorità agevolino, nell'interesse dei bambini, il loro rientro in Italia ed affinché, per quanto di competenza, siano trovati spazi di collaborazione sul versante giudiziario per arrivare in tempi brevi ad adottare decisioni sul futuro dei bambini conformi a quanto previsto dalle convenzioni internazionali.
(5-07855)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 2 agosto 2011 l'Avvocatura di Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato istanza in Corte costituzionale con richiesta di rinvio dell'udienza del 20 settembre 2011 relativa alla verifica di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa di cui all'articolo 4, comma 3, della legge n.  40 del 2004;
          nell'istanza è stata preannunciata l'adesione delle controparti, ovvero degli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini (nel caso di specie difensori della coppia di coniugi per cui è stato sollevato il dubbio di legittimità costituzionale sul divieto di eterologa con ordinanza del tribunale di Firenze – Registro ordinario corte costituzionale n.  19 del 2011, alla richiesta di rinvio in cui si chiede di attendere una pronuncia nei confronti dell'Austria, già condannata per l'applicazione del divieto di fecondazione eterologa in violazione della Carta europea dei diritti dell'uomo (sentenza del 1o aprile 2010 della corte europea dei diritti dell'uomo condanna l'Austria per il divieto di fecondazione eterologa che viola gli articoli 8 e 14 della CEDU);
          a giudizio della prima firmataria del presente atto è gravissimo che l'Avvocatura di Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri preannunci al Presidente della Corte costituzionale una adesione di parti attrici all'istanza quando gli avvocati Filomena Gallo, Gianni Baldini e Gian Domenico Caiazza non sono stati consultati né preventivamente né successivamente al suo deposito;
          come risulta da un comunicato stampa diramato il 2 agosto 2011, gli avvocati Gallo e Baldini non sono affatto d'accordo con il rinvio, in quanto ciò comporta l'impossibilità da parte di molte coppie sterili di poter ricorrere alla donazione di gameti per poter avere una gravidanza;
          è altresì gravissimo anche che il Governo si costituisca dinanzi alla Corte costituzionale e alla Corte europea dei diritti dell'uomo, in palese violazione degli obblighi assunti in sede di piano d'azione di Interlaken, che impegna il Governo a non costituirsi in giudizi a seguito di sentenze della Corte europea dei dritti dell'uomo che mirano a fornire la corretta interpretazione della Carta europea dei diritti dell'uomo all'interno dell'Unione europea;
          l'udienza del 20 settembre 2011 sulla verifica di costituzionalità del divieto di eterologa (articolo 4, comma 3, legge n.  40 del 2004) è stata rinviata a nuovo ruolo  –:
          sulla base di quali elementi l'Avvocatura dello Stato ha preannunciato al Presidente della Corte costituzionale l'adesione delle parti attrici all'istanza di rinvio dell'udienza depositata lo scorso 2 agosto;
          se il Governo intenda revocare la propria costituzione nel procedimento innanzi alla Corte costituzionale in merito alla verifica di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa di cui all'articolo 4 comma 3 della legge n.  40 del 2004, con ciò adempiendo agli obblighi assunti in sede di piano d'azione di Interlaken. (5-07867)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          tra l'ottobre 1980 e il maggio 1981 il Governo degli Stati Uniti annunciò quelli che poi vennero scoperti essere i primi cinque casi della Sindrome da immuno-deficienza acquisita;
          il 5 giugno 1981 negli Stati Uniti viene pubblicato il primo studio relativo a una patologia infettiva che provoca un deficit del sistema immunitario. È l'atto di nascita dell'Aids;
          sono passati trent'anni e la pandemia ha certamente insegnato molte cose al mondo contemporaneo. Oggi una sola pillola può tenere l'infezione sotto controllo pur non potendola curare e nuove ricerche mostrano che gli anti-retrovirali non sono solo terapeutici, ma possono anche ridurre il rischio d'infezione; la pandemia ha mostrato di quanto sia necessario fare massicce e mirate campagne d'informazione sulle malattie a trasmissione sessuale;
          il Governo italiano, in occasione della giornata mondiale della lotta all'Aids, si è limitato a promuovere una campagna che ha come obiettivo quello di «incentivare i giovani adulti (30-40 anni), di qualunque orientamento sessuale, italiani e stranieri, ad effettuare il test HIV» (http://www.governo.it/GovernoInforma/campagne_comunicazione/aids_2010/index.html);
          secondo l'esperienza acquisita in tutto il mondo, la lotta all'Aids non si fa solo nell'ambulatorio delle analisi, ma si concretizza nel momento in cui le persone scelgono di proteggersi durante i rapporti sessuali; è certamente quello il momento della scelta, della decisione da prendere, è li che si decide se si vuole combattere la battaglia o lasciarla sopraffare;
          secondo le più importanti organizzazioni che si occupano di lotta all'Aids occorrono campagne, innanzitutto non sporadiche ma sistematiche, anche rivolte alle diverse comunità: migranti (quindi in diverse lingue), popolazione carceraria, eterosessuali, omosessuali, bisessuali, transessuali, coppie siero divergenti (come si fa in Svizzera). La necessità di un messaggio più mirato è d'altronde riconosciuto anche dalla Commissione Nazionale per la lotta contro l'AIDS che sin dal giugno 1987 ha istituito presso il Dipartimento di malattie infettive, parassitarie e immunomediate dell'Istituto superiore della sanità il Servizio nazionale telefono verde AIDS (TVA) che prevede il contributo di mediatori linguistico culturali per rivolgersi ai cittadini stranieri (http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/aids/telefono-verde.html);
          studi e ricerche indicano che tali campagne dovrebbero essere mirate per le diverse comunità; negli Stati Uniti e nel Regno Unito ci sono per esempio dati aggiornati sul comportamento sessuale della comunità LGBT con dati sempre aggiornati sulla diffusione della malattia, in Italia cifre e analisi sulla salute della popolazione omosessuale sono limitate ad alcune realtà locali;
          al meeting Onu su Hiv/Aids che si svolgerà dall'8 al 10 giugno 2011 a New York, il Governo italiano ha affidato la lotta all'Aids al sottosegretario Giovanardi e al suo dipartimento antidroga;
          finora risulta soltanto che le proposte italiane saranno quelle della richiesta della cancellazione delle politiche sulla riduzione del danno che sono proprio quelle ritenute più efficaci;
          l'ultimo dossier sull'AIDS rintracciabile sul sito del Governo risale al 2008;
          l'Italia è stata esclusa dal consiglio di amministrazione del Fondo globale per la lotta contro Aids, malaria e tubercolosi perché indietro con i pagamenti di ben due anni e questo nonostante sia stata la promotrice del Fondo durante i lavori del G8 di Genova;
          l'Italia ospiterà tra appena due mesi la IAS, uno dei più importanti eventi medico-scientifici dedicati alla lotta all'AIDS;
          degli oltre 40 Paesi donatori (a cui vanno aggiunte associazioni come quelle che fanno capo a Bill Gates e a Bono Vox) l'Italia è l'unico a non aver ancora versato la quota del 2009  –:
          quali altri iniziative abbia messo in campo il Governo riguardo la lotta all'Aids;
          per quale motivo gli ultimi dati aggiornati sulla lotta all'Aids risalgano al 2008;
          se il Governo non ritenga inopportuno inviare alla Conferenza Onu su Hiv/Aids dell'8-10 giugno il Sottosegretario Giovanardi che solitamente esprime posizioni politiche di evidente pregiudizio nei confronti delle persone omosessuali e se le proposte da lui annunciate sul proporre la cancellazione delle politiche «sulla riduzione del danno» siano rappresentative delle posizioni del Governo e su quali basi scientifiche e sociali si basa tale decisione;
          se non ritenga il Governo un grave errore lasciare alle sole Associazioni l'iniziativa della lotta all'Aids che la considerano una priorità nazionale e che hanno promosso il Forum della società civile italiana sull'Hiv/Aids (http://www.forumhivaids.it/);
          quale sarà l'atteggiamento del Governo italiano alla prossima riunione IAS;
          se non ritenga il Governo che tale comportamento metta in una cattiva luce il nostro paese sia rispetto agli impegni presi, sia rispetto alla necessità del nostro paese di contribuire in modo determinante alla lotta all'Aids in tutto il mondo.
(5-07892)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in data 11 luglio 2011, la prima firmataria del presente atto ha già presentato l'atto di sindacato ispettivo n.  4-12640 relativamente alla sottrazione internazionale di due minori avvenuta ad opera della loro madre, signora Meirelles De Oliveira, in danno del padre dei bambini, signor Federico L.;
          il Governo non ha mai risposto alla predetta interrogazione nonostante i reiterati solleciti del 21 settembre 2011, 16 novembre 2011, 15 febbraio 2012, 11 aprile 2012, 4 luglio 2012;
          successivamente ai fatti citati nella ricordata interrogazione parlamentare, si sono verificati altri fatti che hanno vieppiù aggravato la posizione dei due minori e del padre di questi ultimi. In particolare:
              il 4 novembre 2010 l'avvocato Normanha ha presentato ricorso al Consiglio superiore della magistratura portoghese evidenziando: a) l'operato del giudice Vouga che si era avocato ben due procedimenti diversi (processo Aja e riconoscimento sentenza sull'affidamento), emettendo sentenza sommaria individuale, revocando i provvedimenti precedenti di entrambi i processi; fatto che la signora Meirelles fosse inspiegabilmente a conoscenza di provvedimenti che sarebbero stati emanati dal giudice Vouga. Nel ricorso citato è stato anche segnalato come la polizia giudiziaria si sia rifiutata di eseguire doppi mandati di consegna in corso di validità ed esecutività dei bambini al padre;
              l'8 novembre 2010 l'avvocato Normanha ha presentato reclamo alla corte d'appello di Lisbona relativamente al processo per il riconoscimento della sentenza italiana sull'affidamento eccependo la manifesta violazione del Regolamento (CE) 2201/2003 ad opera del giudice Vouga;
              il 4 novembre 2010 la corte d'appello di Lisbona sospende il procedimento di riconoscimento ed esecuzione della sentenza italiana sull'affidamento poiché, essendo stato presentato ricorso in corte di cassazione in Italia da parte della signora Meirelles, ritiene opportuno riconoscere al ricorso un effetto sospensivo nonostante tale effetto sia incompatibile con l'ordinamento giuridico portoghese e italiano, ma ritenendo opportuno procedere per eccezione;
              l'11 novembre 2010 l'avvocato Normanha presenta reclamo alla corte d'appello di Lisbona relativamente al processo Aja eccependo il difetto di competenza del giudice Vouga nel revocare i mandati di consegna dei bambini al padre;
              il 12 novembre 2010 il giudice del Tribunale di primo grado, relativamente al processo di riconoscimento ed esecuzione della sentenza italiana sull'affidamento, chiede l'invio dell'intero fascicolo al Consiglio superiore della magistratura portoghese affinché valuti la validità del provvedimento del giudice Vouga;
              il 7 dicembre 2010 la corte d'appello di Lisbona respinge il reclamo presentato dall'avvocato Normanha con un provvedimento collegiale, collegio il quale è presieduto dallo stesso giudice Vouga;
              il 4 gennaio 2011 l'avvocato Normanha presenta doppio ricorso alla Suprema corte di cassazione contro il provvedimento della corte d'appello sul procedimento di riconoscimento ed esecuzione della sentenza italiana sull'affidamento, eccependo questioni di incostituzionalità e violazione procedurale, ribadendo inoltre che nello spazio comunitario, secondo il regolamento (CE) la sentenza italiana non deve nemmeno necessitare l'instaurazione di un nuovo processo di riconoscimento presso lo Stato destinatario;
              il 20 gennaio 2011 il Consiglio superiore della magistratura portoghese respinge il ricorso presentato dall'avvocato Normanha ritenendolo inammissibile in quanto inerente fatti squisitamente giurisdizionali ed ignorando e non argomentando, nelle motivazioni, l'illecito che era stato evidenziato;
              il 27 gennaio 2011 la corte d'appello di Lisbona si pronuncia, relativamente al processo Aja, ordinando la continuazione del processo al tribunale di primo grado disponendo che si indaghino eventuali cause di rischio fisico e psichico grave (ex Articolo 13 Convenzione Aja) a cui i bambini potrebbero essere esposti al loro rientro in Italia. Si tratta di un provvedimento che suscita anche lo stupore del giudice di primo grado poiché nemmeno la signora Meirelles aveva eccepito tale argomentazione nella sua impugnazione e perché tale istruttoria non si rendeva necessaria una volta che la sentenza di affidamento esclusivo al padre e decadimento della potestà genitoriale della madre, pronunciata dal tribunale per i minorenni di Bologna, poi confermata dalla corte d'appello di Bologna, già escludeva qualsiasi causa di rischio e doveva ritenersi vincolante anche per il sistema giudiziario portoghese, come da rapporti intra-comunitari;
              il 21 marzo 2011 la Corte di cassazione italiana accoglie parzialmente il ricorso presentato dalla signora Meirelles ammettendo che la sentenza della corte d'appello debba essere parzialmente cassata là dove aveva ritenuto inammissibile il ricorso per intempestività. La Corte di cassazione mantiene decaduta la signora Meirelles della potestà genitoriale e rinvia alla Corte d'appello la questione inerente l'affidamento ed il regime di visita per questioni di tempestività del ricorso, già indicando però che questa «ferma la decadenza della potestà della madre, la regolamentazione dell'affidamento [...] troverà spazi limitati»;
              i giorni 7-8-9 dicembre 2011 si celebrano per la terza volta le udienze di primo grado del processo Aja, con audizione dei testimoni, allo scopo di verificare le cause di rischio per i bambini al ritorno in Italia. I familiari della signora Meirelles ammettono che nel periodo giugno-settembre 2010 si erano resi irreperibili, assieme alla Meirelles ed i bambini per evitare di essere rintracciati perché a conoscenza dei mandati di consegna. In fase istruttoria il giudice chiede ed ottiene per rogatoria una nuova ed aggiornata relazione ai servizi sociali italiani circa la situazione abitativa, economica e sociale del signor Federico L. la quale conferma la perfetta idoneità di questi ad accogliere ed allevare i propri figli;
              il 23 marzo 2012 il tribunale di primo grado, relativamente al processo Aja, emette una nuova sentenza determinando nuovamente il ritorno immediato dei bambini in Italia e la loro consegna al padre, emettendo nuovi mandati di consegna immediatamente esecutivi per la polizia e la Dgrs, esplicitando che non c’è alcun pregiudizio a che la madre accompagni i bambini, assieme al padre. Il giudice precisa inoltre che la riconsegna dei bambini al padre non equivale, come asserito dalla signora Meirelles, a privarli della figura materna, la quale non ha alcun impedimento, nemmeno da parte del signor Federico L. a frequentarli con continuità, bensì a permettere loro di riconquistare la figura patema, alla quale sono provatamente legati e della quale hanno assoluta necessità;
              nei giorni immediatamente successivi la Dgrs organizza, d'accordo con la polizia locale, il prelievo dei bambini per la consegna al padre ma questi, assieme a tutta la famiglia (madre e nonni) risultano nuovamente irreperibili, a casa come a scuola;
              il 28 marzo 2012 la signora Meirelles deposita un atto al tribunale di primo grado chiedendo che al suo ricorso in appello venga riconosciuto l'effetto sospensivo e che non vengano emessi i mandati di consegna dei bambini;
              il 29 marzo 2012 il giudice del processo Aja respinge la richiesta di attribuzione di effetto sospensivo alla signora Meirelles poiché non ammissibile nella sostanza e nella forma, dato che nessun ricorso è ancora stato presentato. La informa altresì che i mandati sono già stati emessi e che sono immediatamente esecutivi;
              il 29 marzo 2012 la signora Meirelles deposita il ricorso in corte d'appello, chiedendo nuovamente l'attribuzione di effetto sospensivo ed asserendo che la consegna dei bambini al padre italiano (anche in quanto tale) sarebbe contraria e pericolosa per l'ordine pubblico portoghese;
              il 2 aprile 2012 l'avvocato Normanha denuncia alla sezione penale del tribunale di Lisbona il consapevole rifiuto della Meirelles di riconsegnare i bambini, i quali sono stati da questa occultati, e chiede che a suo carico venga emesso mandato di arresto europeo per sottrazione di minori e sequestro di persona e la segnalazione ai servizi SIS, SIRENE. A tal fine ricorda che la signora Meirelles è stata privata dell'affidamento e della potestà genitoriale sui figli;
              il 16 aprile 2012 l'avvocato Normanha, procuratore del signor Federico L., si costituisce in appello;
              il 18 aprile 2012 la direzione della Dgrs informa il giudice che la polizia locale ha rintracciato la signora Meirelles presso la sua residenza abituale ma in assenza dei figli che questa dichiara che i bambini si trovano con i nonni, in un luogo che rifiuta di rivelare. La direzione, data l'ostruzione della signora Meirelles all'esecuzione dei mandati di consegna suggerisce di attivare la divisione specializzata nel rintraccio delle persone scomparse della polizia giudiziaria;
              il 20 aprile 2012 la corte d'appello di Bologna, secondo quanto indicato dalla corte di cassazione, si pronuncia confermando integralmente la sentenza del tribunale per i minorenni di Bologna che affidava i bambini al padre e dichiarava la madre decaduta della potestà genitoriale;
              il 27 aprile 2012 il Procuratore impone alla signora Meirelles di rivelare il luogo dove si trovano i figli entro cinque giorni;
              il 28 maggio 2012 il signor Federico L. presenta nuova denuncia-querela alle autorità italiane a, ipotizzando i reati di cui agli articoli 574-bis e 606 del codice penale, chiedendo inoltre l'attivazione dell'Interpol per il rintraccio dei propri figli;
              il 21 giugno 2012 la corte d'appello di Lisbona respinge il ricorso presentato dalla signora Meirelles, relativamente al processo Aja, perché inammissibile, non alterando quindi la validità della sentenza del tribunale di primo grado, con i conseguenti mandati di consegna dei bambini al padre, che rimangono esecutivi;
              il 27 giugno 2012 l'avvocato Normanha segnala alla sezione penale del tribunale di Lisbona, relativamente alla denuncia presentata il 2 aprile 2012 – circa la quale non si conosce alcun esito – l'emissione della sentenza della corte d'appello, rinnovando la richiesta di emissione di mandati di cattura;
          attualmente i due minori sono occultati in qualche luogo che la madre si rifiuta di rivelare; non frequentano la scuola da mesi e non possono accedere ai servizi sanitari. In sostanza, pur non essendolo, vivono come orfani di padre, per via della condotta della signora Meirelles la quale da anni (ed impunemente) ignora ed ostacola l'esecuzione di qualsiasi provvedimento giudiziario;
          le autorità portoghesi paiono avallare la strategia dilatoria operata dalla signora Meirelles la quale ignora il danno causato ai figli, in questo fiancheggiata dai propri familiari, e violano apertamente le più basilari norme di cooperazione internazionale, non mancando, talvolta, di esprimere pareri denigratori del cittadino straniero (nella fattispecie il padre dei minori);
          a fronte di tutto ciò, grave e preoccupante appare il silenzio del Governo, il quale fino a questo momento non ha dato risposta all'atto di sindacato ispettivo n.  4-12640  –:
          se ed in che modo si siano attivate le autorità italiane dopo il deposito dell'atto di sindacato ispettivo n.  4-12640 dell'11 luglio 2011;
          se non ritengano necessario intervenire presso le autorità portoghesi affinché venga data finalmente esecuzione ai provvedimenti emessi dalle autorità giudiziarie italiane e straniere con le quali è stato disposto l'affidamento esclusivo dei minori al padre, e perché le stesse autorità agevolino, nell'interesse dei bambini, il loro rientro in Italia ed affinché, per quanto di competenza, siano trovati spazi di collaborazione sul versante giudiziario per arrivare in tempi brevi ad adottare decisioni sul futuro dei bambini conformi a quanto previsto dalle convenzioni internazionali. (5-07924)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          come riportato sul sito web ParmaNews24 lo scorso 24 luglio 2012, gli occhi della Corte europea dei diritti dell'uomo sarebbero puntati sul carcere di Parma, ciò a causa della situazione di evidente degrado della struttura penitenziaria emiliana e del trattamento considerato disumano dei detenuti ivi reclusi. In particolare, secondo quanto è dato apprendere dalle agenzie di stampa, le criticità segnalate riguarderebbero alcuni «ricorsi, anche se non molti, di detenuti troppo malati per restare in carcere, mentre quelli legati al poco spazio a disposizione in cella sono circa 1.200»;
          l'Italia è già stata condannata per quattro anni consecutivi – l'ultima, questo mese di luglio – per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. Le quattro condanne derivano da altrettanti ricorsi presentati dal detenuto Franco Scoppola, persona reclusa proprio nel carcere di Parma;
          già nel 2008 era chiaro ai magistrati e ai medici che il detenuto Franco Scoppola non poteva ricevere cure mediche adeguate all'interno dell'istituto penitenziario in questione. Ma l'amministrazione penitenziaria non si è mai attivata per risolvere il problema, il che ha dato la stura alla condanna emessa dalla Corte di Strasburgo la scorsa settimana;
          i problemi segnalati nei ricorsi sopra citati (cattiva sanità e sovraffollamento) erano già stati dibattuti dal Governo nel mese di novembre 2011, dopodiché lo Stato italiano aveva presentato alla Corte di Strasburgo il piano carceri con l'obiettivo di evitare un'ennesima condanna, ma ciò non è bastato: ora, con questo nuovo duro pronunciamento, la Corte europea dei Diritti dell'uomo chiede all'Italia risultati concreti sul fronte del diritto alle cure dei detenuti e della mancanza di spazi all'interno dei nostri istituti di pena;
          lo Stato ha il dovere di assicurare che le condizioni detentive siano compatibili con il rispetto della dignità umana;
          da tempo la sovrappopolazione e la mancanza di cure e di spazio personale nelle carceri sono state individuate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo quali violazioni dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU)  –:
          se nel corso dell'esame dei ricorsi presentati dal detenuto Franco Scoppola la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia invitato la Repubblica italiana a presentare osservazioni scritte;
          ove esse siano state richieste, quale sia il testo delle osservazioni che il Governo ha presentato nei relativi procedimenti e da chi siano state redatte;
          se il Ministro interrogato intenda adottare urgentissime misure compensative per supplire alla mancanza di spazio e per far sì che la salute e il benessere dei detenuti siano adeguatamente garantiti all'interno dei nostri istituti di pena;
          se, al fine di diminuire il sovraffollamento, si intenda ampliare e/o rafforzare il ricorso alle misure alternative alla detenzione;
          se il Governo non intenda favorire e/o promuovere – anche alla luce delle continue condanne provenienti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo – un dibattito pubblico relativamente alla proposta di un provvedimento di amnistia e indulto ed individuare una serie di altre misure urgenti per rimediare alla pessima amministrazione della giustizia italiana. (5-07925)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nell'ottobre 2007 l'allora Ministro dell'interno Giuliano Amato ha diffuso la circolare n.  55 avente per oggetto «Matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso. Estratti plurilingue di atti dello stato civile» (Protocollo n.  15100/397/0009861); la circolare è stata inviata in tutti i comuni italiani dando precise disposizioni sulla non trascrizione dei matrimoni effettuati all'estero dalle coppie dello stesso sesso;
          ad avviso della prima firmataria del presente atto, la circolare ministeriale è in netto contrasto con il Trattato di Nizza sulla libera circolazione, con il Trattato di Lisbona sulla lotta ad ogni forma di discriminazione e con la direttiva europea 2004/38/CE, in particolare gli articoli 3, 9, 10 e 33;
          l'articolo 2 del decreto-legge n.  30 del 6 febbraio 2007, che recepisce la direttiva europea 2004/38/CE, cita in modo chiaro il fatto che i «familiari» possono ricongiungersi e vengono definiti come tali anche i «coniugi», ed è fuor di dubbio che il termine si riferisca alla figura del coniuge così come essa è configurata nel Paese in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è celebrato e che in base alla direttiva stessa deve essere riconosciuto come tale; tale interpretazione è stata sostenuta anche dalla Corte di cassazione (Cassazione Penale Sezione I Sentenza n.  1328 del 19 gennaio 2011), e, più recentemente, dal tribunale civile di Reggio Emilia con ordinanza 1401/2011 depositata il 13 febbraio 2012;
          la circolare Amato del 2007 dal punto di vista del diritto antidiscriminatorio vìola l'articolo 43 del decreto legislativo n.  286 del 1998 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
          diverse sentenze della Corte di cassazione, in particolare la più recente 4184/2012, hanno esplicitamente escluso che i matrimoni tra persone dello stesso sesso possano dirsi contrari all'ordine pubblico, tale indicazione si ricava anche dalla sentenza 138 della Corte costituzionale, invece la circolare Amato 2007/55 motiva proprio per ragioni di ordine pubblico l'indicazione riguardo la non trascrivibilità dei matrimoni contratti all'estero;
          il Parlamento europeo ha recentemente approvato il rapporto Lechner sulla «giurisdizione, la legge, il riconoscimento e l'applicazione delle decisioni e degli strumenti relativi alla successione e la creazione di un Certificato Europeo di Successione» e del rapporto della deputata Sophie In't Veld sull'eguaglianza, che chiede alla Commissione ed agli Stati membri di «elaborare proposte per il mutuo riconoscimento delle unioni civili e delle famiglie dello stesso sesso»;
          il 14 aprile 2012 l'associazione radicale Certi Diritti, che da anni si batte per il ritiro della circolare Amato, ha mandato una lettera ai membri del Governo, co-firmata oltre che dalla prima firmataria del presente atto anche da Anna Paola Concia, deputata del Pd, Yuri Guaiana, segretario associazione Radicale Certi Diritti, Paolo Patanè, presidente nazionale Arcigay, Paola Brandolini, presidente Arcilesbica, Luca Possenti, vice presidente famiglie Arcobaleno e Rita De Santis, presidente AGEDO, nella quale veniva chiesto ai destinatari di attivarsi per ritirare la circolare Amato 2007/55;
          in risposta a quella lettera il Ministro per i rapporti con il Parlamento con lettera del 15 maggio 2012 (prot. 62-2012) scrisse che aveva ritenuto «di inoltrare la nota di trasmissione al Ministro dell'interno, competente per valutare la richiesta in merito alla circolare Amato n.  55 del 18 ottobre 2007»;
          recentemente il Ministro dell'interno ha fatto sapere per le vie brevi ai rappresentanti della associazione radicale Certi Diritti che la sollecitavano a dare una risposta riguardo alla richiesta di ritiro della circolare Amato, che della questione era stato investito anche un altro Ministro  –:
          quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogai riguardo alle questioni poste in premessa con particolare riguardo agli effetti prodotti dalla circolare Amato 2007 n.  55 rispetto alle leggi citate, alla direttiva europea citata, ai documenti votati dal Parlamento europeo, così come per le diverse sentenze del tribunale di Reggio Emilia e della Corte di cassazione;
          se il Ministro dell'interno non ritenga urgente ritirare la circolare Amato 2007 n.  55 viste le evidenti diverse forme di discriminazione che determina;
          se la questione sia all'attenzione del Ministro dell'interno o se, e in relazione a quali profili, sia trattata anche da altri Ministri;
          se non ritengano che tale circolare Amato possa porsi in netto contrasto con la lotta alle discriminazioni nei confronti delle persone lesbiche e gay e in contrasto con le norme che prevedono la trascrizione dei matrimoni contratti all'estero da cittadini italiani nelle anagrafi dei Comuni. (5-07928)

Interrogazioni a risposta scritta:


      TADDEI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il dottor Sergio Marchionne amministratore delegato di Fiat-Chrysler Spa ha recentemente dichiarato, con un comunicato ufficiale, che il piano denominato «Fabbrica Italia» non si farà più;
          il dottor Marchionne con un comunicato stampa ha dichiarato che le cose sono profondamente cambiate da quando nell'aprile 2010 venne annunciato il piano. È impossibile fare riferimento ad, un progetto nato due anni e mezzo fa ed è necessario che il piano prodotti e i relativi investimenti siano oggetto di costante revisione per adeguarli all'andamento dei mercati;
          l'annuncio della Fiat, di fatto mette una pietra tombale sugli investimenti ingenti annunciati per tutti gli stabilimenti italiani;
          la causa sarebbe derivante dal calo drammatico delle vendite che ha portato nel 2012 il mercato dell'auto italiano a livelli del 1979;
          nel piano «Fabbrica Italia si parlava di 20 miliardi di euro di investimenti, cifre impensabili oggi, a detta dell'azienda, visto che il Lingotto è sempre più lontano dall'Italia»;
          già in occasione dell'incontro con le organizzazioni sindacali che si è tenuto a Torino ad agosto scorso Fiat aveva ribadito la delicatezza di questo periodo, di cui è impossibile prevedere l'evoluzione, impone a tutti la massima cautela nella programmazione degli investimenti;
          tale notizia ha creato notevole sconcerto e forte preoccupazione tra i lavoratori dello stabilimento Fiat di Melfi che vedono un futuro incerto legato alle future scelte del gruppo Fiat-Chrysler che potrebbe portare ad una forte riduzione della presenza di stabilimenti presenti in Italia con forti ricadute in termini occupazionali che, oltretutto, deprimerebbero ulteriormente la situazione economica di una regione come la Basilicata già duramente provata dalla recessione economica;
          a parere dell'interrogante è urgente che il Governo convochi l'azienda in quanto si deve verificare immediatamente se il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non esserci più, evidenziando così un problema molto serio;
          appare evidente che il non aver fatto gli investimenti ha avuto come ricaduta il fatto che la Fiat ha venduto meno di altri in quanto non ha offerto al mercato né nuovi modelli, né modelli innovativi;
          il rischio è che in Italia il sistema industriale dell'auto, non solo Fiat e componentistica salti del tutto è evidente e deve essere affrontato senza azioni dilatorie per dare ai lavoratori e al Paese intero certezze su un settore strategico per l'economica italiana e per l'occupazione che rischia di non avere prospettive di crescita;
          se non ritenga necessario e improcrastinabile riferire in merito all'ipotesi di revisione dei piani programmatici da parte della Fiat-Chrysler relativi al Piano «Fabbrica Italia» come preannunciato nel comunicato ufficiale emesso dall'azienda;
          se non ritenga necessario convocare l'amministratore delegato di Fiat-Chrysler al fine di verificare le intenzioni del gruppo automobilistico in Italia e per riaffermare la necessità di mantenere fede agli impegni presi in merito agli investimenti garantiti sia in ricerca che in nuovi modelli da produrre negli stabilimenti in Italia;
          se e quali siano gli intendimenti da parte di Fiat-Chrysler in merito allo stabilimento di Melfi. (4-17667)


      REGUZZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il FAI, Fondo ambiente italiano, è una fondazione nazionale senza scopo di lucro nata nel 1975 allo scopo di «Promuovere in concreto una cultura di rispetto della natura, dell'arte, della storia e delle tradizioni d'Italia e tutelare un patrimonio che è parte fondamentale delle nostre radici e della nostra identità»;
          grazie all'opera meritoria dei suoi soci, del presidente onorario Giulia Maria Mozzoni Crespi, del presidente Ilaria Borletti Buitoni, dei vicepresidenti Paolo Baratta, Guido Roberto Vitale, Marco Magnifico e del direttore generale Angelo Maramai oltreché di migliaia di sostenitori e simpatizzanti, donatori e amici, il FAI ha salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico del nostro Paese;
          a Varese, circondata da un magnifico giardino all'italiana, Villa Menafoglio Litta Panza di Biumo è stata costruita alla metà del XVIII secolo per volere del marchese Paolo Antonio Menafoglio e ampliata in epoca neoclassica dall'architetto Luigi Canonica, su incarico del duca Pompeo Litta Visconti Arese. La villa è celebre nel mondo per la collezione d'arte contemporanea che Giuseppe Panza di Biumo vi ha raccolto a partire dagli anni ‘50. Nei saloni e nelle grandi scuderie, sono esposte oltre cento opere di artisti contemporanei, oltre a ricchi arredi del periodo che va dal XVI al XIX secolo e ad un'importante raccolta di arte africana e precolombiana;
          sia l'opera del FAI sia la straordinarietà della villa e dei giardini meritano un'attenzione particolare dai gestori della cosa pubblica, sia a livello locale, sia a livello nazionale;
          nel 2015, a pochi chilometri da Varese, si svolgerà l'Esposizione universale  –:
          se e quali iniziative il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere ai fini di sostenere l'opera del FAI, con particolare riferimento a Villa Panza, ai bellissimi giardini ed alle collezioni d'arte ospitate;
          se e quali iniziative il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere ai fini di coinvolgere e valorizzare il FAI e il complesso di villa Panza nell'organizzazione dell'Expo 2015, favorendo le potenziali ricadute sociali, culturali, turistiche ed economiche. (4-17669)


      REGUZZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          nel 2015 i svolgerà a Milano l'Esposizione internazionale denominata «Expo 2015»;
          il Governo – anche per il tramite della società di gestione e del commissario straordinario – ha tra i vari obiettivi quello di coinvolgere e valorizzare il territorio lombardo che ospita la manifestazione;
          il comune di San Giorgio su Legnano in provincia di Milano è una cittadina di 6.700 abitanti che vede la presenza di luoghi di interesse architettonico e artistico, naturalistico e storico tra i quali la Villa e il Parco Parravicini ed il Palazzo Arborio-Mella;
          a San Giorgio su Legnano tutti gli anni in primavera la «famiglia Legnanese» organizza un importante torneo di scacchi, entrato nel guinness dei primati nel 1995 per il maggior numero di partecipanti ad una competizione scacchistica, contando oltre novecento concorrenti, tra cui l'allora campione del mondo Anatolij Karpov;
          San Giorgio su Legnano dista solo pochi chilometri dal sito della Fiera di Milano dove si svolgeranno i principali eventi della manifestazione  –:
          se e quali iniziative il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere ai fini di coinvolgere e valorizzare il territorio ed il comune di San Giorgio su Legnano nell'organizzazione dell'Expo 2015, favorendo le potenziali ricadute sociali, culturali, turistiche ed economiche. (4-17670)


      REGUZZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          nel 2015 i svolgerà a Milano l'Esposizione internazionale denominata «Expo 2015» che ha per tema la nutrizione;
          il Governo – anche per il tramite della società di gestione e del commissario straordinario – ha tra i vari obiettivi quello di coinvolgere e valorizzare il territorio lombardo che ospita la manifestazione;
          il «parco agricolo sovracomunale dei mulini» è stato istituito nel 2008 tra i comuni di Legnano, Canegrate, San Vittore Olona e Parabiago. Il parco si sviluppa lungo il corso del fiume Olona e presenta caratteristiche significative per la flora, la fauna e le attività agrituristiche che sono insidiate;
          il parco dei mulini dista solo pochi chilometri dal sito della fiera di Milano dove si svolgeranno i principali eventi della manifestazione;
          nel parco dei mulini esistono aziende agricole e agriturismi che possono portare un utile contributo al tema dell'Expo  –:
          se e quali iniziative il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere ai fini di coinvolgere e valorizzare il territorio appartenente al parco dei mulini nell'organizzazione dell'Expo 2015, favorendo ricadute sociali, culturali, turistiche ed economiche. (4-17671)


      REGUZZONI e MONTAGNOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il Presidente del Consiglio ha recentemente dichiarato alla stampa che: «Bisogna agire per migliorare la competitività delle imprese e si deve agire sul costo del lavoro e sulla produttività che vede l'Italia tra i paesi che hanno peggiorato la posizione a livello internazionale. Recuperare la competitività delle imprese è ora una sfida del paese da prendere in considerazione, forse ancora più importante dello spread. L'attenzione delle istituzioni e degli osservatori europei si sta spostando su questo parametro»  –:
          se il Presidente abbia – con le parole riportate – inteso finalmente recepire le critiche di chi da tempo insiste nel richiedere un approccio meno «invasivo» dello Stato e della tassazione in genere nel settore dell'economia;
          a quali modalità di «recupero di produttività» il Presidente intendesse riferirsi ed in che modo il Governo intenda supportarne la realizzazione. (4-17680)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      EVANGELISTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'11 settembre 2012, in coincidenza con l'undicesimo anniversario dell'attacco terroristico alle Twin Towers, a Bengasi si è verificato un attacco al consolato americano in cui hanno trovato la morte l'ambasciatore americano Chris Stevens, considerato da tutti l’«uomo del dialogo», un suo collaboratore e due marines;
          l'azione è iniziata intorno alle 21 e 30, quando una folla armata di Rpg (lanciarazzi) e armi automatiche ha preso d'assalto l'edificio del consolato americano, dandolo poi alle fiamme e issato la bandiera nera islamica al posto di quella americana. Gli scontri sono andati avanti per diverse ore e vi avrebbero preso parte diversi membri della milizia islamica Ansar Al-Sharia, che si era già segnalata nel recente passato per alcuni raid dimostrativi nella capitale della Cirenaica;
          purtroppo nella stessa serata anche l'ambasciata americana al Cairo è stata attaccata da dimostranti, sempre a causa di un film su Maometto prodotto da egiziani copti negli Stati Uniti, considerato blasfemo e offensivo per l'Islam (chiunque l'abbia visto lo ha ritenuto un pessimo prodotto cinematografico oltre che un'opera ridicola con il preciso intento di mancare rispetto ai fedeli di una religione che si vuol far passare come «il cancro del mondo»); decine di manifestanti hanno contestualmente manifestato davanti alla sede dell'ambasciata Usa a Tunisi contro il citato film blasfemo; il 13 settembre 2012, invece, durante un tentato assalto alla sede diplomatica statunitense nella capitale Sanaa, hanno perso la vita 4 persone;
          le ultime notizie riportate da agenzie stampa riferiscono che «più di mille afgani si sono riversati sulle strade di Kabul, per protestare contro il film girato negli Stati Uniti e diffuso sul web. Almeno 2.500 pachistani, inoltre, si sono radunati in corteo a Peshawar, mentre la polizia ha rafforzato le misure di sicurezza per impedire eventuali sbocchi violenti alla protesta. Dal giorno dell'attentato al consolato Usa di Bengasi... 17 persone sono morte nelle violenze legate alle proteste contro il film in numerosi paesi del mondo islamico»;
          come è stato poi appurato dalle autorità libiche, di concerto con l’intelligence militare americana, l'azione era programmata da tempo con meticolosità da salafiti radicali dichiarati jihadisti reduci dall'Afghanistan, non legata al contenuto del film (rivelatosi un pretesto);
          si tratta, infatti, di una reazione alla morte di Abu al-Libi, il numero 2 dell'organizzazione terroristica, dopo un attacco di un drone americano in territorio al confine afghano-pakistano, confermata poi dal leader al Zawahiri;
          invece, secondo le autorità libiche i responsabili sarebbero forze legate all’ex Rais Gheddafi;
          non è sfuggita la simbolica coincidenza con l'anniversario dell'attacco alle torri gemelle, un fatto che ha creato senza dubbio ulteriori preoccupazioni sulla gravità della minaccia del radicalismo islamico anti-occidentale in Libia, a fronte delle speranze che l'esito delle recenti elezioni per l'Assemblea costituente aveva suscitato negli osservatori internazionali;
          il nostro Paese, anche e soprattutto dopo la firma della cosiddetta dichiarazione di Tripoli del 21 gennaio 2012 (un documento siglato nell'ambito del tentativo di rafforzare il legame di amicizia e collaborazione tra i due Paesi nell'era post Gheddafi) intende garantire, tra le altre, il sostegno politico al processo di pacificazione nazionale, permettere alla «primavera libica» un approdo democratico e assicurare al popolo libico un futuro nel contesto euro-mediterraneo, anche se è forte la preoccupazione del popolo italiano circa i nuovi disordini scoppiati nel Paese, ma soprattutto in una regione, la Cirenaica, che non mostra propriamente intenzioni unitarie;
          tra l'altro, Mustafa Abu Shagur è stato eletto il 13 settembre 2012 primo ministro della Libia dall'Assemblea Nazionale di Tripoli, battendo nella votazione conclusiva Mahmoud Jibril, leader della coalizione di forze laiche e alla guida del Consiglio di transizione nei primi mesi dopo la fine del Rais;
          la prevista visita in Italia del presidente del Consiglio nazionale libico, Mohammed al Magarief, che avrebbe dovuto incontrare il presidente del Consiglio e alte cariche dello Stato, è stata annullata proprio a causa degli eventi sopra descritti  –:
          di quali e più aggiornate notizie disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se e quali iniziative preventive siano state adottate per la tutela delle nostre rappresentanze diplomatiche;
          in una area così strategica e vitale per i nostri interessi, quali siano gli intendimenti del Governo in relazione agli impegni che il nostro Paese ha sottoscritto con le autorità libiche, ancorché caratterizzate da forte instabilità politica, per sostenere quelle istituzioni nel rafforzamento della sicurezza del Paese nella sua fase di ricostruzione democratica.
(5-07916)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il signor Bruno Pistoia, cittadino italiano, si trova recluso in Francia, all'interno della struttura penitenziaria di Nizza;
          il 12 luglio 2012 l'uomo ha ricevuto una lettera/comunicazione dall'ospedale di Nizza nella quale i medici sostengono che il quadro clinico del signor Pistoia è molto grave posto che i valori della glicemia sono costantemente sopra i 500 e che per questo motivo il paziente necessita di un immediato trasferimento a Marsiglia per essere sottoposto ad un ricovero urgente;
          nella predetta comunicazione i medici dell'ospedale di Nizza scrivono anche che — considerate le gravi condizioni di salute in cui versa l'uomo e le probabili conseguenze disastrose alle quali possono condurre i valori della glicemia così alti — da questo momento in poi loro non sono più responsabili della salute del signor Pistoia;
          il signor Pistoia non vuole essere trasferito all'ospedale di Marsiglia perché ciò aumenterebbe la distanza dai suoi affetti familiari, visto e considerato che già oggi la signora Stefania Novelli deve sostenere un viaggio molto lungo e dispendioso per recarsi a trovare il marito nel carcere di Nizza;
          ed invero più di quattro mesi fa l'uomo ha chiesto il trasferimento in un carcere italiano. A tal proposito, l'ambasciatore italiano a Nizza e il direttore del carcere francese hanno più volte garantito alla signora Stefania Novelli che la richiesta di trasferimento sarà presto accolta, ma finora nulla di tutto questo è avvenuto  –:
          se il Ministro interrogato non intenda immediatamente assumere iniziative per accertare le condizioni di salute del signor Bruno Pistoia;
          se le pratiche relative alla richiesta del signor Pistoia di scontare il resto della pena comminatagli in un carcere italiano stiano facendo il loro corso regolare, e se, da questo punto di vista, il Governo non intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché al più presto il detenuto in questione ottenga il trasferimento chiesto ormai più di quattro mesi fa in modo da essere curato vicino all'affetto dei suoi cari. (5-07926)

Interrogazioni a risposta scritta:


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del regolamento (CE) n.  847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n.  2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con le Filippine, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore  –:
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quale siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-17672)


      ROSATO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 7 agosto 2012, l'aula del Senato ha approvato definitivamente l'atto S. 3324 sulla ratifica ed esecuzione dell'accordo che è stato firmato a Zagabria il 16 ottobre 2008 in materia di cooperazione culturale e istruzione tra il Governo italiano e quello croato;
          è manifesta l'importanza strategica e politica di questo trattato con la Croazia, Paese con il quale condividiamo un lungo confine marittimo e che a partire dal luglio 2013 entrerà a far parte dell'Unione europea;
          la Croazia gioca un ruolo strategico sullo scacchiere balcanico, e dalla sua piena integrazione in Europa possono discendere benefici per l'intera area;
          l'accordo stipulato tra il nostro Paese e la Repubblica croata favorirà lo scambio di studenti e docenti di ogni ordine e grado tra le due Nazioni e incentiverà lo studio delle due lingue;
          l'accordo, inoltre, prevede una collaborazione in campo sportivo e nelle politiche giovanili; e una collaborazione specifica nel settore culturale e dell'arte che si estrinseca nel contrasto al traffico illecito di beni culturali e diritti d'autore e nella creazione di una rete degli istituti di cultura;
          il testo di ratifica dell'accordo per essere esecutivo occorrerà di alcuni decreti attuativi per lo stanziamento delle risorse ivi previste  –:
          quali tempistiche il Governo prevede per l'emanazione dei decreti attuativi della legge di ratifica dell'accordo. (4-17683)

AFFARI REGIONALI, TURISMO E SPORT

Interrogazione a risposta immediata:


      HOLZMANN. — Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere — premesso che:
          da anni in Alto Adige si chiede, da parte degli ambienti più oltranzisti, la cancellazione di gran parte della toponomastica di lingua italiana;
          attualmente i toponimi di lingua italiana sono 8.500, a fronte di circa 120.000 di lingua tedesca, ed è evidente il tentativo strisciante di cancellare i nomi italiani;
          sui sentieri di montagna la segnaletica, ad esempio, è quasi ovunque esclusivamente in lingua tedesca, persino i cartelli che segnalano i pericoli sono monolingui;
          negli ultimi anni sono stati «inventati» centinaia di toponimi per denominare strade forestali, sentieri, bacini montani, piccoli corsi d'acqua con nomi intraducibili, ovviamente in lingua tedesca;
          sabato 15 settembre 2012 il consiglio provinciale di Bolzano ha approvato una legge che porterà alla cancellazione di migliaia di toponimi di lingua italiana;
          l'approvazione è avvenuta nonostante la manifesta volontà contraria della maggioranza dei consiglieri di lingua italiana;
          lo statuto di autonomia per il Trentino-Alto Adige prevede chiaramente che la toponomastica debba essere bilingue, quindi la legge provinciale recentemente approvata sarebbe una palese violazione della normativa di rango superiore sulla base del principio della gerarchia delle fonti;
          la legge provinciale furbescamente delega alle comunità comprensoriali (tutte a maggioranza tedesca) il compito di indicare i toponimi che verrebbero poi decisi da un comitato di sei membri (nominati dalla giunta e dal consiglio provinciale, quindi a maggioranza tedesca), nel quale gli italiani sarebbero solamente due, e si spianerebbe la strada, quindi, alla cancellazione pressoché totale dei toponimi di lingua italiana dell'Alto Adige  –:
          se il Governo intenda immediatamente impugnare la legge provinciale dinnanzi alla Corte costituzionale per palese violazione dei vincoli di bilinguismo previsti dallo statuto d'autonomia del Trentino-Alto Adige. (3-02483)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


      BRIGUGLIO e DI BIAGIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere — premesso che:
          il 14 settembre 2012 l'isola di Lipari è stata colpita da un violento nubifragio che ne ha trasformato le strade in fiumi di fango e il mare in un pantano pieno dei detriti scivolati da valle verso la costa;
          il nubifragio, abbattutosi in poche ore, ma con particolare violenza, ha scaricato una «bomba» d'acqua, provocando smottamenti e allagamenti con ingenti danni alle abitazioni e a numerose sedi di attività produttive, stimati per circa 30 milioni di euro, anche se i dirigenti della Protezione civile sono al lavoro per redigere un bilancio definitivo;
          il sindaco di Lipari, Marco Giorgianni, ha chiesto lo stato di calamità naturale al Governo Monti, alla Protezione civile e al Governo regionale;
          la situazione sta rientrando nella normalità grazie al pronto intervento dell'amministrazione comunale di Lipari, della Protezione civile di Messina e del Corpo forestale, che hanno messo in campo uomini e mezzi insieme alla popolazione locale;
          infatti, come dichiarato dal responsabile della Protezione civile di Messina, Bruno Manfrè, in quarantotto ore sono state eliminate tutte le situazioni critiche, tanto che non ne hanno risentito né l'accoglienza turistica, né, in particolare, le strutture recettive e commerciali;
          tuttavia, bisogna effettuare tutte le verifiche per valutare la fragilità del territorio e attivare le giuste misure di prevenzione, realizzando quelle opere strutturali che consentano di prevenire altri fenomeni analoghi per il futuro  –:
          se il Governo non intenda adottare in tempi brevi iniziative di competenza per garantire il recupero e la messa in sicurezza del territorio, realizzando quelle opere strutturali che consentano di prevenire o fare fronte a fenomeni analoghi. (3-02481)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


      LANZARIN, MUNERATO, DUSSIN, TOGNI e ALESSANDRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          a seguito della sentenza del Consiglio di Stato del maggio 2012 e della legge della regione Veneto, del luglio 2011, che ha modificato le norme istitutive del parco del Delta del Po, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato la revisione del procedimento di VIA relativo alla riconversione a carbone pulito della centrale Enel di Porto Tolle, allo scopo di tenere conto dell'applicazione di tale legge regionale;
          da notizie di stampa sembra che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è preoccupato se Enel spa abbia ancora intenzione di portare avanti la riconversione a carbone pulito di tale centrale;
          gli uffici del Ministero hanno chiesto all'Enel spa ulteriori prescrizioni ed integrazioni, mettendo in seria crisi la fattibilità del progetto in tempi brevi, e prolungando ulteriormente l’iter del procedimento, che è iniziato nel 2005;
          il prolungamento della vicenda della centrale di Porto Tolle mette in seria difficoltà il Paese e in particolare il Polesine, dove ormai chiude una azienda al giorno piccola, media o grande che sia, creando migliaia di disoccupati e famiglie in disagio economico; oramai i cittadini hanno perso la fiducia alle istituzioni;
          nel frattempo, in Calabria, a Saline Ioniche, la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha decretato la compatibilità ambientale e l'autorizzazione al successivo esercizio, di una nuova centrale a carbone da 1320 megawatt mentre, per Porto Tolle, le autorità politiche non riescono a portare a termine la riconversione a carbone della centrale, già esistente, ad olio combustibile;
          la realizzazione della centrale di Porto Tolle è condivisa e richiesta da tutti a livello locale, dalla regione Veneto, dalla provincia, dal comune di Porto Tolle, dal sindacato e dalle associazioni  –:
          quali siano le iniziative, anche politiche, che il Ministro intende porre in atto per quanto di sua competenza per accelerare l’iter di approvazione del progetto della riconversione a carbone pulito della centrale ad olio combustibile di Porto Tolle e quali tempi si prevedano. (5-07912)


      PIFFARI e CIMADORO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (I.S.P.R.A.) è un ente di ricerca italiano nato nel 2008 dall'accorpamento di tre enti controllati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: l'istituzione dell'ISPRA è avvenuta con il decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133;
          con la legge n.  282 del 1991 viene istituita l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (o ENEA), ente pubblico italiano che opera nei settori dell'energia, dell'ambiente e delle nuove tecnologie a supporto delle politiche di competitività e di sviluppo sostenibile. I principali compiti attuali dell'ENEA sono: ricerca di base ed applicata, inclusa la realizzazione di prototipi e l'industrializzazione di prodotti, nei settori dell'energia, dell'ambiente, delle tecnologie e delle applicazioni nucleari, delle tecnologie delle radiazioni (ionizzanti e non); responsabilità del presidio scientifico e tecnologico in tema di energia nucleare; conduzione di grandi progetti di ricerca, sviluppo e dimostrazione, con prevalente contenuto ingegneristico e tecnologico; studi sul grado di sviluppo di tecnologie avanzate, inclusi gli impatti economici e sociali anche in risposta a richieste delle pubbliche amministrazioni; studi, ricerche, misure, prove e valutazioni per soggetti pubblici e privati; collaborazione con enti ed istituzioni estere inclusa la definizione della normativa tecnica, la partecipazione ai grandi programmi di ricerca e agli organismi internazionali; trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca a sostegno dello sviluppo nazionale; collaborazione con le regioni e con le amministrazioni per lo sviluppo delle realtà produttive del territorio; formazione post-universitaria e collaborazione con le università nazionali ed internazionali; attività di comunicazione e promozione della ricerca;
          si è appreso, da quanto pubblicato in diversi articoli di organi di stampa e web (L'Eco di Bergamo, Araberara, ecodibergamo.it, antenna2.it) che sono attualmente al vaglio della regione Lombardia ed in particolare presso l'ufficio «ricerca energetica e attività mineraria», facente riferimento all'assessorato «Ambiente energia e reti», guidato dall'assessore Raimondi Marcello, cinque istanze di autorizzazione da parte del gruppo australiano Energia Minerals Ltd già Metex Ltd, volto alla ricerca di nuovi giacimenti di zinco e altri minerali nelle dismesse aree estrattive della Val Seriana in provincia di Bergamo, quali Novazza, Valgoglio e Riso di Gorno;
          l'area compresa nel panorama delle miniere per cui sono state richieste le autorizzazioni è parte integrante del parco regionale delle prealpi Orobie;
          il sistema minerario della Val Seriana è particolarmente conosciuto grazie alle riserve di uranio presenti nel sottosuolo. La riserva del metallo radioattivo si estende dal versante orobico alla vicina Val Vedello, in provincia di Sondrio, passando attraverso la Val Goglio. Si tratta di circa quattro milioni di tonnellate di roccia nascosti sotto prati e boschi che contengono abbastanza uranio per fare funzionare quattro centrali nucleari per 10 anni;
          in natura l'uranio non si trova mai allo stato elementare. I suoi composti si ritrovano molto comunemente dispersi in piccole quantità e raramente formano minerali abbondanti. Il tenore dell'uranio disperso nelle rocce ignee è stato calcolato del 8,5•10-5 per cento (Clarcke e Washington). Nel caso della Val Vedello le percentuali dei giacimenti si attestano tra il 3 e il 7 per cento. I minerali nei quali si trova uranio in maggior concentrazione possono essere classificati in tre categorie: a) le uraniniti; b) i columbo-titano-tantalati delle terre rare e d'uranio: (v. columbite); c) minerali di origine secondaria; fra i quali sono particolarmente interessanti le miche di uranio (v. uraninite; radioattivi minerali);
          secondo la definizione fornita dall’International union of pure and applied chemistry (IUPAC), le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica, precisamente scandio, ittrio e i lantanoidi. Scandio e ittrio sono considerate «terre rare» poiché generalmente si trovano negli stessi depositi minerari dei lantanidi, tra cui l'uranio, e possiedono proprietà chimiche simili. Il termine «terra rara» deriva dai minerali dai quali vennero isolati per la prima volta, che erano ossidi non comuni trovati nella gadolinite. Le sorti attuali dell'approvvigionamento mondiale di terre rare, sono in buona misura legate al monopolio della Repubblica popolare cinese, che ne detiene il 95 per cento dell'estrazione e della produzione di questi minerali;
          le terre rare sono utilizzate in molti apparecchi tecnologici: superconduttori, magneti, catalizzatori, componenti di veicoli ibridi, applicazioni di optoelettronica (ad esempio laser Nd:YAG), fibre ottiche (erbio), risonatori a microonde (sfere di YIG, ovvero Yttrium iron garnet), nonché nel comparto della tecnologia bellica;
          nel mese di luglio 2012 il Governo cinese ha confermato il taglio delle esportazioni di terre rare nella misura del 27 per cento nella prima metà del 2012. Questo dato ha allarmato i Paesi del WTO, i quali hanno, per quanto riportato dalla stampa specializzata (Sole 24 ore 23 agosto 2012), deciso di intraprendere una politica mineraria votata all'autosufficienza nella produzione di questi minerali;
          diversi studi scientifici (tra cui quello dell'università di Padova, nel lavoro di ricerca del dottor Gobbo) hanno dimostrato che: «l'estrazione delle terre rare implica inoltre seri rischi d'impatto ambientale dovuti principalmente a tutta una serie di particelle di piccolissime dimensioni, acque di scarico e prodotti chimici che derivano dall'estrazione del minerale. In primo luogo tutti questi componenti, sono stoccati in apposite aree di sequestro. La mancanza di alcuni tipi specifici di precauzioni, potrebbe portare nelle zone vicine al sito, ad emissioni di torio, uranio, metalli pesanti e fluoruri»  –:
          se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, alla luce di quanto emerso dai dati scientifici e dalle notizie di stampa riportate, non ritenga necessario incaricare l'ISPRA, istituto controllato dal suo dicastero, impegnandolo in un'opera adeguata e di doverosa ricerca sulle potenziali possibilità economiche e sui rischi ambientali di questi particolari minerali, in concerto con un'adeguata discussione con l'opinione pubblica su questa eventuale nuova risorsa a disposizione del Paese.
(5-07913)


      MARIANI, BRAGA, BOCCI, BRATTI, ESPOSITO, GINOBLE, IANNUZZI, MARANTELLI, MARGIOTTA, MORASSUT, MOTTA, BENAMATI, REALACCI e VIOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la tutela e la sicurezza del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un interesse prioritario della collettività;
          al contrario di quanto necessario continua ad esserci un pesante deficit di prevenzione e cura del territorio dai rischi di eventi calamitosi derivanti da alluvioni, frane e valanghe, quando invece una corretta opera di prevenzione può limitare o addirittura evitare che frane ed alluvioni si trasformino in fenomeni devastanti per l'uomo e per l'ambiente;
          finora le politiche adottate per la difesa del suolo non si sono rivelate particolarmente efficaci; il piano del 2009 che assegnava in via straordinaria al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un miliardo di euro a valere sulle risorse FAS per finanziare gli interventi prioritari di prevenzione sulla base di accordi di programma con le regioni si è rivelato di lenta e difficile attuazione;
          anche i fondi ordinari per la difesa del suolo, quelli fondamentali e indispensabili per sostenere politiche concrete da parte di regioni e amministrazioni locali, sono stati notevolmente ridotti; la Corte dei conti nella relazione sul rendiconto di gestione 2011 rileva che per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), rispetto al 2008 e al 2010 lo stanziamento definitivo risulta in netta diminuzione (–58,29 per cento rispetto al 2008 e –13 per cento rispetto al 2010). Tali diminuzioni hanno inciso in particolare sulla missione 18 (sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente) che assorbe circa l'86 per cento di tutto lo stanziamento del Ministero, ed in particolare, proprio sul programma 18.12, che riguarda, tra l'altro, gli interventi per la tutela del rischio idrogeologico e le relative misure di salvaguardia;
          più in generale, nella citata relazione, si evidenzia una scarsa capacità di spesa del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella gestione delle pur ridotte risorse pubbliche per la tutela dell'ambiente che in più occasioni sono state utilizzate per interventi pubblici non strettamente coerenti con le priorità del Ministero, né condivise con le regioni e gli enti locali; ad esempio il decreto-legge n.  83 del 2012, cosiddetto «decreto sviluppo», ha utilizzato risorse pubbliche inizialmente finalizzate alle politiche ambientali per finanziare il progetto dell'auto elettrica; allo stesso modo il recente decreto n.  129 del 2012, «Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto», prevede che all'attuazione di interventi previsti nel protocollo d'intesa sono altresì finalizzate risorse disponibili (anche in conto residui) dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'esercizio finanziario 2012, nel limite massimo di 20 milioni di euro. Si tratta appunto delle risorse destinate ai trasferimenti alle regioni per interventi di carattere ambientale e per la tutela del territorio contro il rischio idrogeologico ai sensi del decreto legislativo n.  112 del 1998;
          la riprogrammazione di risorse per la difesa del suolo e del territorio su altre finalità e le pesanti riduzioni degli stanziamenti ordinari iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, impediscono la necessaria predisposizione di ordinarie politiche di prevenzione, in luogo di una gestione straordinaria tesa a contenere i danni già avvenuti che, tra l'altro necessita di entrate straordinarie reperite mediante aumenti di imposta;
          infatti, la gestione delle frequenti emergenze dovute al dissesto idrogeologico ha dovuto misurarsi negli ultimi anni con le crescenti difficoltà economiche e di bilancio del Paese, scaricando sulle regioni colpite dalla calamità e sui cittadini il costo dell'emergenza mediante l'apposizione di addizionali fiscali regionali e l'aumento dell'accisa sulla benzina, meccanismo successivamente dichiarato illegittimo dalla Cotte costituzionale;
          l'approssimarsi della stagione autunnale rende ancora più urgente un incisivo impegno del Governo per la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico, che superi la logica dell'emergenza e utilizzi per la prevenzione tutte le risorse a tale scopo stanziate, migliorando l'efficacia nell'utilizzo delle risorse;
          proprio nei giorni scorsi le isole Eolie sono state colpite da un forte nubifragio, che ha causato, secondo le prime stime, oltre 30 milioni di euro di danni e lo stesso Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato che, destinando un milione di euro alla prevenzione, si sarebbero potute evitare le drammatiche conseguenze a cui si sta assistendo;
          la necessità di una più attenta politica di prevenzione è stata recentemente ribadita con la presentazione dell'ordine del giorno a prima firma Mariani in sede di conversione in legge del decreto-legge 7 agosto 2012, n.  129, recante disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda avviare, in coerenza con le apprezzabili dichiarazioni nella direzione della promozione della prevenzione, al fine di realizzare una politica di tutela del suolo che ne privilegi concretamente la messa in sicurezza, utilizzando al meglio le risorse disponibili e tenendo conto della necessità di superare le criticità causate dal basso tasso di utilizzo registrato fino ad ora e delle notevoli difficoltà burocratiche incontrate da regioni ed enti locali. (5-07914)


      STRADELLA e GHIGLIA. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato la scorsa estate da alcuni organi di stampa, in Piemonte si concentrerebbe lo stoccaggio di una grossa percentuale di rifiuti radioattivi di diversa provenienza;
          vi è una forte preoccupazione per l'impatto ambientale sul territorio, visto il pericolo che arriva principalmente dal trizio, sostanza radioattiva rilasciata nell'acqua e nell'aria in modo sistematico  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione nella regione Piemonte, con particolare riferimento alle categorie e alla quantità di rifiuti radioattivi nei siti di Bosco Marengo, di Saluggia e di Trino. (5-07915)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


      ZAZZERA e DI PIETRO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          dopo il crollo della «Schola Armaturarum», del muro nella Casa del Moralista, della Casa del Piccolo Lupanare, del muro di Porta di Nola, il cedimento di un pilastro della Casa di Loreio Tiburtino, della Bottega su via Stabiana e il distacco dell'intonaco di Venere in Conchilia, il 9 settembre 2012 l'area archeologica di Pompei ha subito l'ennesima perdita;
          durante la notte una trave di legno di quattro metri è improvvisamente crollata sul peristilio di Villa dei Misteri, non creando fortunatamente né feriti né vittime vista la chiusura ai visitatori;
          secondo i primi rilevi tecnici, la causa del distacco della trave sarebbe dovuta ad infiltrazioni di acqua, ma le indagini sono ancora in corso;
          ciò che appare davvero sconfortante è il fatto che questa volta non è crollato un reperto storico con secoli e secoli di vita, ma una trave montata una quindicina di anni fa proprio per sostenere le tegole del tetto;
          la struttura dove era allocata la trave infatti, paradossalmente fa parte di un'opera di restauro e di consolidamento;
          ad avviso dell'interrogante, soprattutto alla luce dei numerosi incidenti accaduti dal 2005 ad oggi all'interno degli scavi di Pompei e le denunce di inadempienza contro la soprintendenza, è grave che in quest'area archeologica famosa in tutto il mondo continuino a mancare interventi di manutenzione ordinaria, anche perché tale incuria sta mettendo a repentaglio la sicurezza dei visitatori  –:
          per quali ragioni non vi sia un monitoraggio continuo dei beni archeologici di Pompei e quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di garantire la corretta conservazione e manutenzione dell'area. (4-17663)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


      DOZZO, MARONI, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere — premesso che:
          il decreto legislativo 16 luglio 2012, n.  109, adottato dall'attuale Governo e recante «Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare», prevede, all'articolo 5, una disposizione transitoria finalizzata a consentire una sanatoria per i lavoratori stranieri irregolari;
          in particolare, si prevede che: «I datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, e successive modificazioni ed integrazioni, che, alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo occupano irregolarmente alle proprie dipendenze da almeno tre mesi, e continuano ad occuparli alla data di presentazione della dichiarazione di cui al presente comma, lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale in modo ininterrotto almeno dalla data del 31 dicembre 2011, o precedentemente, possono dichiarare la sussistenza del rapporto di lavoro allo sportello unico per l'immigrazione»;
          la sanatoria in atto è censurabile sotto molti profili, a cominciare dal fatto che è stata inserita nelle pieghe di un decreto legislativo di recepimento di una direttiva comunitaria, diretta a combattere l'impiego di lavoratori stranieri il cui soggiorno sia irregolare;
          è noto, altresì, che l'effetto annuncio delle sanatorie di questo tipo è quello di trasmettere ai potenziali migranti l'idea che, una volta giunti nel territorio del nostro Paese da clandestini, si possa comunque confidare sulla tolleranza da parte delle autorità e alla fine si potrà ottenere il permesso di soggiorno, al pari di quanti abbiano, invece, osservato scrupolosamente le regole;
          non è un caso, peraltro, che le false illusioni trasmesse dalla sanatoria in atto siano tra le concause che stanno alimentando il ritorno massiccio di sbarchi sulle coste italiane;
          per come è stata concepita, la sanatoria in atto costituisce una totale rinuncia a governare il fenomeno dell'immigrazione nel nostro Paese, consentendo proprio di regolarizzare tutte quelle persone che erano rimaste fuori dagli ingressi regolari stabiliti dai precedenti «decreti flussi», emanati sulla base delle effettive potenzialità di assorbimento del mercato del lavoro italiano, peraltro oggi ulteriormente ridotte per effetto della crisi economica;
          il risultato sarà verosimilmente quello di regolarizzare come colf o badanti una gran massa di persone che poi rimarranno sul territorio italiano, magari a svolgere attività illecite connesse alla contraffazione commerciale, allo spaccio di stupefacenti, alla prostituzione, come purtroppo viene spesso confermato dalle cronache, che ci riferiscono di stranieri dediti stabilmente, come spesso testimoniato dalla presenza di precedenti penali o di polizia, alle attività citate, ma spesso in possesso di permessi di soggiorno come collaboratori domestici, ottenuti nel corso di procedure di sanatoria;
          tali previsioni sono suffragate anche dai requisiti richiesti per sanare le badanti e i collaboratori domestici, che sono più accessibili, rispetto agli altri casi, sia sotto il profilo delle soglie di reddito del datore di lavoro, sia per quanto attiene all'ammissione del part time;
          il costo di tale regolarizzazione appare piuttosto modesto, se si considera che la dichiarazione di emersione è presentata previo pagamento di un contributo forfettario di 1.000 euro per ciascun lavoratore, al quale si aggiungeranno le somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale, pari ad almeno sei mesi;
          anche sotto il profilo da ultimo citato si può immaginare facilmente che i pagamenti verranno effettuati con riferimento al solo periodo minimo richiesto e che la corresponsione della retribuzione sarà probabilmente fittizia, giacché la prova dovrà essere fornita con una semplice autocertificazione;
          la finalità di emersione di retribuzioni corrisposte in «nero» sarà facilmente frustrata dal fatto che, nella migliore delle ipotesi, quando, cioè, non si tratti di mere simulazioni di rapporti inesistenti, emergeranno solo le retribuzioni corrispondenti alle soglie minime, mentre continueranno ad essere corrisposti in «nero» la maggior parte dei compensi;
          si appalesa in maniera esemplare in questa sanatoria, a giudizio degli interroganti, la distanza del «Governo dei tecnici» dalla realtà vissuta quotidianamente dai cittadini, che suggerirebbe provvedimenti di segno opposto, diretti a salvaguardare le nostre realtà produttive e i lavoratori italiani, spesso lesi anche da forme di dumping sociale che provvedimenti come quelli in esame finiscono con l'assecondare  –:
          se siano state valutate le controindicazioni, sopra riportate, della sanatoria in corso, anche alla luce del particolare periodo di crisi occupazionale in atto, e quali iniziative si intendano assumere per evitare che i rischi illustrati in premessa possano avverarsi. (3-02478)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.), istituito dalla legge n.  180 del 1978 e attualmente regolamentato dalla legge n.  833 del 1978 (articoli 33-35), sono atti compositi di tipo medico e giuridico, che consentono l'effettuazione di determinati accertamenti e terapie ad un soggetto affetto da malattia mentale che, anche se in presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, rifiuti il trattamento;
          il concetto di TSO, e quello di ASO è basato su valutazioni di gravità clinica e di urgenza ed è quindi inteso come una procedura esclusivamente finalizzata alla tutela della salute e della sicurezza del paziente;
          dal punto di vista normativo, il trattamento sanitario obbligatorio viene emanato dal sindaco del comune presso il quale si trova il paziente, su proposta motivata del medico. Qualora il trattamento preveda un ricovero ospedaliero, è necessaria inoltre la convalida di un secondo medico, appartenente ad una struttura pubblica;
          il sindaco può emanare l'ordinanza di trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di un libero cittadino solo in presenza di due certificazioni mediche che attestino che la persona si trova in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti interventi terapeutici; che gli interventi proposti vengono rifiutati e che non è possibile adottare tempestive misure extraospedaliere;
          le tre condizioni di cui sopra devono essere presenti contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico (che può essere il medico di famiglia, ma anche un qualsiasi esercente la professione medica) e convalidate da un secondo medico che deve appartenere alla struttura pubblica;
          le certificazioni oltre a contenere l'attestazione delle condizioni che giustificano la proposta di TSO, devono essere motivate nella situazione concreta. In altre parole non dovrebbero essere ammesse certificazioni che si limitano alla mera enunciazione delle tre condizioni sopra indicate, né tanto meno prestampati. Così come non dovrebbero essere prese in considerazione certificazioni che si limitano alla sola indicazione della diagnosi;
          in data 30 maggio 2011 il sindaco di Avetrana, avvocato Mario De Marco, ha disposto «il trattamento sanitario obbligatorio in considerazione di degenza ospedaliera del signor Michele Misseri da effettuarsi presso una struttura ospedaliera idonea mediante trasporto con unità di pubblico soccorso 118»;
          il provvedimento del sindaco di Avetrana è stato adottato, contrariamente a quanto stabilito dalla legge n.  833 del 1978, non su proposta motivata di un medico né su domanda del medico curante del signor Misseri, ma sulla base di una richiesta formulata in data 30 maggio 2011 dal comandante della stazione dei carabinieri di Avetrana, Maresciallo Fabrizio Viva, e, quindi, sulla scorta di non meglio precisate informazioni assunte dai medesimi carabinieri in base alle quali, a parere del primo cittadino di Avetrana, si rendeva necessario effettuare, con estrema urgenza, l'accertamento delle condizioni sanitarie del signor Misseri sotto il profilo psicologico;
          peraltro il TSO disposto nei confronti del signor Misseri prevede il ricovero ospedaliero, sebbene non risulti esservi agli atti la convalida del provvedimento da parte di un secondo medico appartenente ad una struttura pubblica così come previsto dalla normativa di settore;
          l'articolo 33 della legge n.  833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari; qualora previsti, i trattamenti sanitari obbligatori devono comunque rispettare la dignità della persona, i diritti civici e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura;
          l'articolo 33, comma 3 della legge n.  833 del 1978 aggiunge inoltre che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato  –:
          quale sia stata l'esatta dinamica degli avvenimenti che hanno portato alla degenza ospedaliera coatta del signor Misseri, e per quali motivi il maresciallo dei carabinieri di Avetrana abbia proposto il TSO nei confronti del signor Misseri e se sia nota la ragione per la quale il sindaco di Avetrana lo abbia disposto;
          se non si ritenga opportuno che siano resi pubblici tutti gli atti in base ai quali è stato attuato tale provvedimento (compresi i verbali dei carabinieri);
          se si intenda in ogni caso fare chiarezza sulla vicenda e verificare per quanto di competenza la regolarità della procedura. (5-07894)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato lo scorso 8 agosto dall'agenzia di stampa ANSA, un operaio romeno di 28 anni, Ioan Tomoroga, si è impiccato nella cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Pontremoli (Massa Carrara);
          l'uomo era stato arrestato per il sequestro della giovane moglie avvenuto in mattinata. I carabinieri, chiamati da alcuni vicini, erano intervenuti dopo che Ioan Tomoroga si era recato nell'abitazione di Pontremoli dove la donna vive sola da una ventina di giorni dopo essersi separata dal marito con cui era sposata da 5 anni. Il romeno è stato così arrestato per sequestro di persona e rinchiuso nella cella di sicurezza della caserma di Pontremoli in attesa del trasferimento al carcere di Massa;
          sembra che per evitare gesti estremi, l'uomo sia stato privato di oggetti come lacci delle scarpe, la cintura e persino i jeans. Il giovane si è però sfilato la maglietta, l'ha legata alla griglia dello spioncino sulla porta e se l’è legata al collo. Quindi si è seduto su una sedia lasciandosi cadere. La morte è avvenuta per asfissia  –:
          se il Ministro competente intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del ragazzo morto suicida nella caserma di Pontremoli siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte del personale dell'Arma in servizio presso la predetta struttura. (5-07946)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni, dal 1996 al 2009, la mancata riscossione delle sanzioni relative alle quote latte ha rappresentato per il bilancio dello Stato, e quindi per i contribuenti stessi, un onere gravoso pari ad oltre 1,5 miliardi di euro;
          con riferimento alle tredici campagne lattiero-casearie dal 1995/1996 al 2007/2008, l'onere che il Paese ha sopportato, in conseguenza degli esuberi produttivi riscontrati nelle campagne medesime, è stato pari a 2.492 milioni di euro versati alla Commissione che, come precisa la Corte, «rappresentano una perdita netta e irrecuperabile per l'economia italiana, perdita che avrebbe dovuto gravare sui produttori eccedentari, ma invece è stata finora finanziata in gran parte con i fondi pubblici»;
          in ordine alle medesime campagne, il predetto importo, imputato ai produttori in questione per 2.226 milioni di euro, è stato riscosso per 301 milioni di euro, restando ancora da riscuotere 1.925 milioni di euro; tale importo decresce a 1.871 milioni di euro nel 2009, ultimo anno finora relazionato dalla Corte dei Conti;
          nel corso delle campagne 2010/2011, a seguito di ulteriori adesioni alle rateizzazioni, l'importo ancora dovuto dai produttori eccedentari risulterebbe superiore a 1,5 miliardi di euro;
          la perdita netta complessiva del contribuente italiano ammonterebbe ad oltre 4 miliardi di euro, stando alle stime della Corte dei Conti;
          ad oggi non è stata data attuazione all'articolo 8-septies, comma 2, del decreto-legge n.  5 del 2009 norma di perequazione verso i produttori che si sono messi in regola rispetto a coloro che hanno beneficiato di quote integrative a titolo gratuito, a causa della mancata attivazione e dotazione, prevista «in misura non inferiore a 45 milioni di euro per l'anno 2009», del relativo fondo;
          la mancata effettiva riscossione del prelievo non rateizzato costituisce una ulteriore sperequazione nei confronti di coloro che rispettano le regole, a vantaggio di chi sostanzialmente non ne riconosce la valenza;
          inoltre, ad oggi non è stata data attuazione all'articolo 39, comma 13, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito dalla legge n.  111 del 2011, che dovrebbe dare disposizioni attuative in materia di riscossioni;
          la Commissione agricoltura della Camera il 18 luglio 2012 ha approvato, con parere favorevole del Governo, la risoluzione n.  8-00194, all'esito del dibattito sulle risoluzioni Delfino 7-00860, Zucchi 7-00912, Beccalossi 7-00920, Biava 7-00934; la citata risoluzione impegna l'Esecutivo «a riscuotere le somme ancora dovute con la massima efficacia mediante Equitalia spa, in qualità di incaricata dell'esercizio dell'attività di riscossione nazionale dei tributi e contributi»;
          le gravi difficoltà in cui versa attualmente la finanza pubblica e le pesanti distorsioni generate alla competitività dal comportamento scorretto dei produttori eccedentari a scapito di quanti, con enormi sacrifici, si sono messi in regola, richiedono un intervento urgente per dare piena attuazione alla legge e ripristinare pari opportunità per tutti i produttori, nonché credibilità per l'intera filiera  –:
          se e come siano state contabilizzate nel bilancio dello Stato le somme versate alla Unione europea per le campagne dalla 1995/1996 alla 2001/2002, di cui alla decisione del Consiglio del 16 luglio 2003, pari a circa 1.400 milioni di euro;
          se e come siano state contabilizzate nel bilancio dello Stato le somme trattenute annualmente dalla Unione europea per le campagne dalla 2003/2004 alla 2008/2009, pari a circa 1.150 milioni di euro, ovvero se siano rimaste non contabilizzate ad alimentare lo scoperto del fondo di rotazione per il pagamento degli aiuti comunitari;
          quale sia, concretamente, l'impatto sulla finanza pubblica derivante dalla mancata riscossione dei prelievi supplementari dovuti dai produttori eccedentari, essendo del tutto insostenibile mantenere a carico dello Stato, e quindi della collettività, gli oneri derivanti dal comportamento contra legem di alcuni ben individuati operatori del settore lattiero-caseario;
          conseguentemente vista la gravità e l'urgenza della questione, quali iniziative tempestive ed efficaci il Governo intenda assumere per attuare l'impegno assunto con la risoluzione approvata il 18 luglio 2012.
(2-01668) «Delfino, Adornato, Binetti, Bonciani, Bosi, Calgaro, Capitanio Santolini, Carlucci, Enzo Carra, Cera, Ciccanti, Compagnon, De Poli, Dionisi, D'Ippolito Vitale, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi».

Interrogazione a risposta immediata:


      GALLETTI, CICCANTI, TASSONE, OCCHIUTO, COMPAGNON, VOLONTÈ, RAO, NARO, ANNA TERESA FORMISANO, RUGGERI, POLI e DELFINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere - premesso che:
          l'Italia registra tempi di pagamento dei crediti iva vantati con l'erario molto superiori rispetto a partner europei come Germania, Francia e Belgio, che saldano i loro crediti entro sessanta giorni;
          questa situazione pone le imprese italiane in una chiara situazione di svantaggio concorrenziale rispetto ai competitor stranieri;
          il 4 maggio 2012 una nota dell'Agenzia dell'entrate annunciava lo sblocco di 2,2 miliardi di euro di rimborsi iva, di cui avrebbero beneficiato almeno undicimila partite iva;
          lo sblocco delle risorse da parte della Ragioneria generale dello Stato sarebbe avvenuto in due tranche: la prima, di 400 milioni di euro, entro pochi giorni dal comunicato stesso; la seconda di 1,8 miliardi di euro entro la metà del mese di maggio 2012;
          secondo una recente stima le imprese italiane sarebbero creditrici dello Stato per circa 5 miliardi di euro e l'annuncio dell'Agenzia delle entrate è stato accolto con favore, tenuto conto del disagio attuale dei soggetti creditori, alle prese con la caduta di domanda a causa della recessione e la carenza di liquidità  –:
          se il pagamento dei crediti iva annunciato a maggio 2012 dall'Agenzia delle entrate sia stato effettuato e a quanto ammonterebbe il totale dei crediti maturati o in via di maturazione, per i quali sarebbe opportuno già prevedere adeguati stanziamenti. (3-02477)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GHIZZONI, MIGLIOLI e SANTAGATA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 6 agosto 2012 il Ministero dell'economia e delle finanze ha pubblicato sul portale del federalismo fiscale stime relative, tra le altre, all'aggiornamento del gettito annuale dell'IMU sulla base dei versamenti in acconto di giugno;
          a giudizio di molti comuni le stime pubblicate non sembrerebbero in alcun modo confortate dagli incassi contabilizzati con la prima rata di giugno essendo, in molti casi, più del doppio di quest'ultima;
          in una nota di chiarimento, il Ministero afferma che la stima è operata tenendo in considerazione la circostanza che alcuni contribuenti hanno optato per il versamento in tre rate dell'IMU sull'abitazione principale. Inoltre, per i versamenti relativi ai fabbricati rurali la prima rata è versata nella misura del 30 per cento dell'imposta. Infine, si devono considerare i versamenti relativi ad alcune fattispecie impositive ai fini IMU riguardanti, in particolare, i contribuenti ancora mancanti; gli immobili cosiddetti «fantasma» non dichiarai in catasto; i fabbricati rurali da accatastare entro novembre e gli immobili di proprietà del comune;
          a fronte di queste nuove stime basate su previsioni alquanto aleatorie, reale e certo è stato il nuovo aggiornamento del taglio ai trasferimenti che ha interessato, in particolare, il Fondo sperimentale di riequilibrio;
          proprio nel momento in cui l'Istat comunica una caduta del PIL rispetto al secondo trimestre del 2011 pari al 2,6 per cento (in precedenza era -2,5 per cento) si operano ulteriori tagli su enti che potrebbero essere, invece, un necessario volano per lo sviluppo;
          ancora più grave e allarmante è il caso dei comuni interessati dal sisma del 20 e 29 maggio 2012 cui il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 1° giugno 2012 ha sospeso il pagamento dell'IMU al 30 settembre 2012, sospensione successivamente prorogata fino al 30 novembre 2012;
          sui 104 Comuni dell'area del terremoto, ben 62 registrano un aumento della stima IMU superiore al 50 per cento del precedente valore; di questi, 34 mostrano aumenti per oltre il 100 per cento (fino al caso limite del 516 per cento oltre sei volte il valore di aprile); all'estremo opposto, riduzioni per oltre il 30 per cento riguardano 14 comuni, di cui 8 diminuiscono di oltre il 50 per cento (fino al minimo di -77,6 per cento); tali variazioni, da considerare in larga parte anomale, privano di significatività i dati pubblicati relativi ai comuni colpiti dal terremoto;
          gli effetti sulle assegnazioni statali ai comuni dell'area configurano evidentemente gravi rischi di tenuta della gestione finanziaria a breve e medio termine. I comuni oggetto di sopravvalutazione dell'IMU vedono non solo azzerato il proprio fondo di riequilibrio, ma non potranno contare, in tutto o in parte, sul gettito Imu di dicembre, trattenuto dallo Stato a copertura delle compensazioni e dei tagli conseguenti alla stima IMU. Anche i comuni che hanno avuto riduzioni in eccesso del gettito stimato dell'IMU rischiano forti squilibri finanziari se non adotteranno una gestione di estrema prudenza nell'utilizzo delle assegnazioni statali, a fronte della prospettiva – peraltro del tutto auspicabile ed urgente – di una revisione ulteriore dei dati ministeriali;
          le cifre, ad esempio, fornite dai comuni modenesi configurano evidentemente l'urgenza di rivedere le stime effettuate dal Mef;
          in effetti rispetto alle stime Mef di maggio quelle fornite a luglio, corrette per la nuova stima del dato Imu, registrano in generale riduzioni rispetto al valore del fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), come per i comuni:
              a) Bomporto, rispetto alle stime iniziali, riceverà minori trasferimenti equivalenti a circa 410 mila euro;
              b) Ravarino riceverà minori trasferimenti paria a 252 mila euro;
              c) Bastiglia riceverà minori trasferimenti equivalenti a circa 360 mila euro;
          le riduzioni rispetto al valore del fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) nei casi di incapienza del fondo comportano addirittura la restituzione allo Stato:
              a) Città di Castelfranco Emilia dovrà restituire oltre 4 milioni di euro;
              b) Nonantola circa 900 mila euro;
              c) Campogalliano circa 700 mila euro;
          altresì, in relazione ai dati della riscossione Imu in acconto si registrano, rispetto al totale atteso, percentuali tra il 16 per cento e il 45 per cento, anche derivanti dalla mancata riscossione dovuta all'applicazione dei provvedimenti di sospensione sino al 30 novembre 2012 dei termini degli adempimenti tributari  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga urgente porre rimedio ad una situazione che può aggiungere ulteriori elementi di difficoltà finanziarie ai comuni colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. (5-07804)

Interrogazione a risposta scritta:


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa hanno pubblicato uno studio in base al quale si evince che la recessione che attanaglia il Paese potrebbe dipendere in parte anche dal modo con il quale l'esecutivo conduce la ricerca dei consumi e delle spese dei cittadini per verificare la fonte di reddito e l'entità di essa per perseguire con efficacia la lotta all'evasione tributaria;
          è stato proposto l'acquisto di un auto quale l'esempio migliore per tentare di comprendere a capire l'effetto negativo provocato anche al mercato interno delle auto dagli strumenti presuntivi messi in campo dal legislatore ed utilizzati in maniera (sia pur legalmente) anomala dagli Uffici finanziari con lo scopo di scovare nuova materia imponibile, incrementare il recupero di gettito e far cassa coi trattamenti premiali incentivanti;
          una situazione tipo frequente è quella di un contribuente, lavoratore dipendente residente in una località qualsiasi, con un reddito annuo di euro 30.000,00 ed una casa di abitazione di metri quadri 80 per la quale paga una rata annuale di mutuo di euro 7.200,00; se alla fine del marzo 2008, utilizzando i propri risparmi pluriennali avesse acquistato una autovettura nuova Fiat Bravo 1.600 c.c. a gasolio (120 CV) al prezzo di euro 20.000,00 (magari in sostituzione di un'altra auto ormai troppo vecchia da rottamare), la sua posizione nei confronti del fisco risulterebbe la seguente:
              applicando il cosiddetto «spesometro» (cfr. articolo 38, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973 secondo cui «l'ufficio ... può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d'imposta, salvo la prova contraria che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta ...»), poiché nell'anno 2008 ha effettuato spese per almeno euro 27.200,00 (euro 20.000,00 relative all'acquisto dell'auto ed euro 7.200,00 relative al rimborso di n.  12 rate del mutuo sulla casa) che vanno ad aggiungersi a quelle per utenze varie (luce, gas, acqua, telefono, ...), assicurazioni, tributi e quant'altro delle quali il fisco ha diretta conoscenza attraverso la consultazione della sua posizione nell'anagrafe tributaria, il contribuente sarebbe già al limite della situazione di anomalia per aver eroso tutto il suo reddito annuale senza considerare la quota destinata al suo mantenimento (alimenti, vestiario, carburante per l'auto, svago, ...) e potrebbe essere chiamato dal fisco a dimostrare dove ha preso il danaro necessario per vivere;
          applicando il previgente (ma ancora vigente) «redditometro» (cfr. articolo 38, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973 secondo cui «... la determinazione sintetica può essere altresì fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva ...», in procinto di essere sostituito con un nuovo modello abbastanza simile concettualmente a quello degli studi di settore basato sull'analisi statistica di situazioni tributarie riferite a contribuenti ritenuti astrattamente virtuosi), il suo reddito complessivo per il 2008 risulterebbe di euro 38.315,13 (sulla base dei valori e dei coefficienti redditometrici rielaborati a norma degli aggiornamenti disposti con Provvedimento n.  20996 dell'11 febbraio 2009 del direttore dell'Agenzia delle Entrate), pari alla somma di euro 27.021,60 per il possesso dell'abitazione e di euro 11.293,53 per il possesso dell'autovettura rapportato a 9 mesi, e per il 2009 di euro 42,079,64 (influenzato a rialzo per il possesso dell'autovettura rapportato a 12 mesi); in tal caso risulterebbero soddisfatte anche le due condizioni dello scostamento in almeno due periodi d'imposta su tre e della differenza fra il dichiarato e l'accertato superiore al 25 per cento del dichiarato (secondo le regole previgenti) ovvero l'unica condizione della differenza fra il dichiarato e l'accertato superiore al 20 per cento del dichiarato (secondo le regole vigenti);
          in entrambi i casi l'ufficio finanziario è legittimato ad agire nei confronti del suddetto contribuente scegliendo il criterio accertativo che preferisce e dal quale si attende il miglior risultato, senza minimamente considerare la sua storia tributaria e la sua presumibile capacità di risparmio perché il fine della lotta all'evasione ha costretto all'utilizzo di mezzi che se utilizzabili, non appaiono equilibrati per raggiungere il fine;
          eccepire che il contribuente, se virtuoso, non ha nulla da temere perché potrà dimostrare di aver utilizzato risorse derivanti «... da redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta ...» o da «... redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile» (cfr. articolo 38, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973) non basta perché la previsione legislativa è di difficile applicazione quando si è considerati evasori per presunzione di legge, che esige la produzione di documenti specifici, di difficile completo reperimento, con la necessità di fornire prove difficilmente reperibili;
          se poi nella famiglia del contribuente c’è qualcuno che ha la partita IVA ed è necessario esibire qualche estratto conto per dimostrare la legittima provenienza delle risorse utilizzate, la situazione si complica ulteriormente: l'ufficio finanziario avvia le indagini finanziarie per poter utilizzare le presunzioni legali che gli consentono di accertare come maggiori ricavi tassabili non solo gli eventuali accreditamenti sui conti privi di una adeguata giustificazione documentale, ma gli addebitamenti sui conti, costringendo il contribuente ad una defatigante ed onerosa richiesta alle banche di copia fronte/retro degli assegni emessi (minimo 3,50 per ogni fotocopia), un altrettanto difficoltoso recupero di estratti conto bancari (anch'essi estremamente costosi) e di rendiconti relativi all'utilizzo delle carte di credito (normalmente, dopo sei mesi, nessun gestore rilascia più duplicati) ed infine una affannosa e ansiogena ricerca di bollette, ricevute, fatture e quant'altro (gli scontrini fiscali peraltro non servono a nulla perché non recano l'indicazione del codice fiscale di chi ha sostenuto la spesa). Alla fine di questa defatigante procedura accade frequentemente che manchi la documentazione completa necessaria a provare la propria innocenza e normalmente la vicenda trova il suo epilogo in un accertamento molto più gravoso di quello che sarebbe derivato dallo spesometro o dal redditometro, difficile come detto, da contrastare in sede giudiziale ed estremamente oneroso da definire anche attraverso l'utilizzo degli strumenti deflattivi alternativi (acquiescenza o adesione o conciliazione);
          l'esempio riportato è in grado di svelare come il semplice acquisto di un'autovettura nuova, anche solo di media cilindrata, possa avere effetti negativi per gli ignari contribuenti, che potrebbero astenersi da acquisti incauti, contribuendo al ristagno attuale della situazione economica  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se ritenga di assumere delle iniziative, ad iniziare dalla prosecuzione della necessaria, fondamentale, civilissima lotta all'evasione basandosi su stime e presunzioni elaborate non più solo in maniera teorica, ma che tengano in maggior conto la situazione effettiva del contribuente, anche al fine di meglio separare gli evasori dalla restante parte dei cittadini onesti. (4-17660)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato il 12 giugno 2011 dal quotidiano online Articolo Tre, un giovane marocchino di 18 anni, Abdel Aziz Khaya, giovedì 9 giugno ha cercato di uccidersi impiccandosi nel carcere Le Vallette di Torino dove era detenuto da un mese;
          il ragazzo è tra la vita e la morte ed è ricoverato in coma farmacologico all'ospedale Maria Vittoria: le sue condizioni sono molto gravi e anche nel fortunato caso in cui sopravvivesse, riporterebbe probabilmente seri danni in quanto – secondo quanto riferito dai medici – il suo cervello è rimasto senza ossigeno per parecchio tempo;
          prima di tentare il suicidio il ragazzo aveva inviato una lettera allo zio presso il quale momentaneamente risiedeva in cui gli spiegava che tutti in carcere lo trattavano male e che voleva uscire. A tal proposito l'articolo citato riporta una dichiarazione della madre del ragazzo, la quale si chiede «com’è possibile che nessuno si sia accorto della sofferenza di mio figlio. Nella lettera dice che lo trattavano male e che lo odiavano. Perché nessuno lo ha aiutato ?»;
          Aziz, che lavorava in nero in un ristorante di Torino, era stato arrestato il 5 maggio per il possesso di 20 grammi di hashish e per resistenza a pubblico ufficiale. Era però stato anche denunciato dai familiari di due sorelle romene, di 17 e 14 anni, con le quali avrebbe avuto rapporti sessuali. La più grande era la sua ragazza e, a quanto pare, entrambe erano consenzienti. Ma per la legge sotto i 14 anni, nonostante l'assenza di denunce, si procede per violenza. L'altro ieri il tribunale della libertà ha autorizzato la scarcerazione dell'uomo, negata il 25 maggio;
          il direttore del carcere Le Vallette di Torino, dottor Pietro Buffa, ha attuato da tempo un progetto di monitoraggio dei detenuti più fragili e Aziz era sottoposto ad un regime di «grande sorveglianza», compresi gli incontri periodici con lo psicologo  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
          se intenda avviare una indagine amministrativa intenda al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti e se nei confronti del detenuto Abdel Aziz Khaya siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
          per quali motivi il detenuto, sebbene sottoposto ad un regime di «grande sorveglianza», sia riuscito a mettere in pratica i suoi istinti suicidi;
          se il detenuto abbia potuto usufruire di un adeguato sostegno psicologico nel corso della sua permanenza in carcere;
          quanti tentativi di suicidio siano stati messi in atto dai detenuti dall'inizio dell'anno;
          se il Governo non ritenga che l'alto tasso di atti di autolesionismo e di suicidi in carcere dipenda anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
          come si intenda intervenire in tempi rapidi e con quali provvedimenti per superare questa grave situazione creatasi nelle carceri italiane per arginare l’escalation dell'autolesionismo, dei tentati suicidi e dei suicidi e, soprattutto, come si intendano tutelare i soggetti meno tutelati, «i senza niente» che, per paura del dopo carcere, ricorrono sempre più frequentemente al suicidio;
          se non si intenda immediatamente assumere iniziative volte a stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e dei detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione e di dannazione, ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui i detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società;
          quali misure si intendano attuare per limitare il sovraffollamento carcerario e per creare situazioni più consone alla salute, anche mentale, del detenuto e quali percorsi, alternativi alla detenzione, di reinserimento nel tessuto lavorativo e sociale, si intendano intraprendere, già dall'interno, per arginare tali fenomeni degenerativi e di disagio. (5-07805)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la prima firmataria del presente atto ha ricevuto la lettera di un educatore penitenziario che ha partecipato al concorso C1 per 397 posti risultando «idoneo»;
          il 12 aprile 2010 sono stati assunti gli educatori per coprire tutti i 397 posti da vincitore;
          a seguito delle rinunce, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) ha comunicato all'educatore sopracitato e ad altri educatori che rientravano fra i 397 vincitori di scegliere la sede dove prendere servizio fra quelle disponibili; ciò accadeva nel maggio del 2010;
          da allora però i «vincitori» subentrati a seguito delle rinunce – in tutto 44 – non hanno più ricevuto alcuna comunicazione e non hanno ancora preso servizio;
          questa situazione appare agli interroganti «insensata» per tre ordini di motivi:
              a) per l'ingiustizia che subiscono i vincitori del concorso;
              b) per la necessità di queste figure professionali verificata dalla prima firmataria del presente atto nelle visite ispettive, figura necessaria per stilare le relazioni che consentono ai detenuti di accedere ai benefici previsti dalla legge;
              c) perché la copertura finanziaria è già stata prevista per tutti i 397 posti  –:
          se quanto descritto in premessa corrisponda al vero;
          se il Ministro non intenda sanare immediatamente questa ingiustizia che colpisce non solo gli educatori vincitori del concorso, ma anche i carcerati sottoposti a condizioni di vita detentiva spesso «disumane e degradanti». (5-07806)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal sito di informazione on lineViterbo news il 21 giugno 2011, il dottor D'Andria, direttore del carcere viterbese «Mammagialla», si è dimesso dal suo incarico avendo ottenuto un nuovo posto presso gli uffici dipartimentali di Roma;
          come evidenziato dal sindacato della polizia penitenziaria Ugl, l'improvviso trasferimento del dottor D'Andria lascia il carcere viterbese senza alcuna figura dirigenziale e ciò accade in un periodo particolare, considerata la recente «protesta pacifica» fatta dai detenuti ivi ristretti, e la richiesta fatta da tutte le sigle sindacali di un incontro con il prefetto di Viterbo, per esporre le problematiche urgenti in tema di sovraffollamento e di grave carenza del personale di custodia;
          peraltro il periodo estivo farà sicuramente da amplificatore delle problematiche esistenti, il che rende urgente procedere ad un rapido incarico permanente di almeno un'altra figura dirigenziale al vertice dell'istituto di pena in questione  –:
          se non intenda attivarsi immediatamente al fine di dotare il carcere di Viterbo di un nuovo direttore con incarico permanente, ciò anche alla luce delle gravi criticità che presenta il carcere «Mammagialla». (5-07807)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano Il Giorno del 24 giugno 2011, un uomo di nazionalità marocchina di 24 anni, detenuto presso il carcere di Opera, è deceduto in ospedale dopo un malore;
          da quanto emerso nell'imminenza dei fatti, sembra che il detenuto stesse lavorando per poi cadere a terra perdendo i sensi davanti a tutti, ma una lettera anonima indirizzata alla direzione di Opera fa il nome di un presunto aggressore;
          l'avvocato dell'uomo ha avanzato l'ipotesi che si possa trattare di una morte seguita ad un'aggressione, come confermato anche dagli accertamenti di un medico di fiducia  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
          se intenda avviare, per quanto di competenza, una indagine amministrativa interna al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti e se in merito a questa vicenda non siano ravvisabili responsabilità di omessa vigilanza da parte dell'amministrazione dell'istituto.
(5-07808)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS del 21 giugno 2011 il provveditorato generale dell'amministrazione penitenziaria del Triveneto ha reso noto, con una nota, che tra non molto agenti di polizia penitenziaria in pensione potranno svolgere, su base volontaria ed in considerazione delle esigenze degli istituti di pena, incarichi, compiti e mansioni compatibili con il proprio status all'interno dei penitenziari;
          a tal proposito, i sindacati di polizia penitenziaria Osapp, Sinappe, Cisl-Fns, Fp-Cgil, Ugl e Cnpp, hanno rilasciato il seguente comunicato: «Da oltre un anno e mezzo le organizzazioni sindacali tentano invano di mettere in guardia il ministro della Giustizia Alfano e il capo del Dap Ionta sui rischi che il protocollo di intesa stipulato con l'Anppe, un'associazione di pensionati del Corpo il cui consiglio di amministrazione è composto da dirigenti del sindacato autonomo Sappe, può comportare. Oggi, prendiamo atto del fatto che la realtà ha travalicato la più tragicomica delle previsioni: tra non molto i pensionati lavoreranno al posto degli agenti della Polizia penitenziaria. A quale titolo il ministro Alfano e soprattutto il capo del Dap Ionta continuano ad avallare le assurde pretese di un unico sindacato, per giunta minoritario, consentendo che dei pensionati sostituiscano colleghi ancora in servizio?»;
          sottolineata l'incongruenza tra gli impegni assunti dal Governo in merito alle nuove assunzioni di personale della polizia penitenziaria e la scelta di avvalersi di ex appartenenti al Corpo della polizia penitenziaria oggi in pensione, la prima firmataria presente atto non può che evidenziare come il protocollo di intesa stipulato tra il Ministro della giustizia e il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, da una parte, e l'Anppe, dall'altra, oltre che inopportuno, presenti anche profili di      dubbia legittimità alla luce dalla vigente normativa;
          la prima firmataria del presente atto aveva già presentato sulla stessa materia nel settembre del 2010 l'interrogazione n.  4/08446 rimasta senza risposta  –:
          se non ritenga opportuno rivedere il protocollo d'intesa stipulato con l'Associazione nazionale polizia penitenziaria (ANPPE) indicato in premessa, ciò anche alla luce delle osservazioni provenienti dagli altri sindacati degli agenti della polizia penitenziaria. (5-07809)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Ansa del 23 giugno 2011, un assistente capo di polizia penitenziaria, in servizio presso il gruppo operativo mobile – Gom – di Milano Opera, nella tarda serata del 22 giugno 2011 ha tentato il suicidio ed è ora ricoverato in gravissime condizioni presso l'ospedale Fatebenefratelli di Milano;
          sulla vicenda Donato Capece, segretario generale del Sappe, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Siamo sconcertati per l'accaduto e forte è la preoccupazione per il fenomeno dei suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia, ed alla Polizia penitenziaria in particolare. Bisogna capire e accertare quanto hanno eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni operative del collega che ha posto in essere il tragico gesto estremo, nonché le problematiche connesse alla vita personale dello stesso. La continuità e la periodicità con cui avvengono questi tristi eventi deve fare seriamente riflettere la nostra Amministrazione, che non può non prendere atto delle manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante, oltre che da problematiche attribuibili alla propria sfera personale, probabilmente anche da un lavoro difficile e carico di tensioni. Nonostante il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, al fine di verificare le condizioni di disagio psico-fisico del personale, si fosse impegnato nel passato per attivare dei centri di ascolto sul disagio lavorativo e personale, di fatto riteniamo che ancora non sia stato fatto quanto basta per abbattere lo stress lavorativo all'interno degli istituti penitenziari»  –:
          quanti siano i suicidi e i tentati suicidi verificatisi tra gli appartenenti al Corpo della polizia penitenziaria negli ultimi 5 anni;
          se non ritenga che avvenimenti tragici di questo tipo dipendano anche dalle manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da condizioni di lavoro difficili e cariche di tensioni;
          se non intenda avviare immediatamente adeguati centri di ascolto sul disagio lavorativo e personale degli appartenenti al Corpo della polizia penitenziaria.
(5-07810)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          domenica 19 giugno 2011 la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo ha visitato il carcere di Bologna «La Dozza» assieme a Monica Mischiatti e ad Arcangelo Macedonio dell'Associazione Radicali Bologna;
          nell'istituto bolognese erano presenti 1140 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 483 posti; gli uomini detenuti sono 1076 mentre le donne sono 66; i detenuti tossicodipendenti sono in tutto 279: 266 uomini e 13 donne; i detenuti stranieri costituiscono il 63 per cento della popolazione detenuta;
          per quanto riguarda il corpo degli agenti di polizia penitenziaria, l'organico previsto dal decreto ministeriale 6 settembre 2001 era di 567 unità, mentre quello attualmente amministrato è di 518 unità, ma quello effettivo al netto di distacchi, missioni, aspettative e maternità è di 370 unità; in questa situazione il monte ore assegnato di circa 71.000 ore in un anno è assolutamente insufficiente a coprire il fabbisogno; infatti, nel 2010 il corpo ha garantito:
              17.494 colloqui di detenuti con i loro familiari, per un totale di circa 60.000 ingressi;
              17.031 colloqui telefonici (quasi 5.000 in più rispetto al 2009);
          sono state effettuate 2.948 traduzioni e sono stati messi in movimento 4.345 detenuti; i detenuti piantonati presso luoghi esterni di cura sono stati 135 rispetto ai 98 dell'anno precedente. Le visite programmate o d'urgenza sono passate da 567 a 887; vi sono stati 2.035 ingressi comprensivi di detenuti nuovi giunti ed assegnati ad altri istituti nonché 2.046 uscite comprensive di detenuti trasferiti in altri istituti o rimessi in libertà;
          quanto all'aspetto sanitario, il passaggio della sanità penitenziaria al servizio sanitario nazionale presenta ancora gravi carenze: in particolare, l'assistenza odontoiatrica e l'assistenza psichiatrica sembrano problemi irrisolvibili e ciò è particolarmente grave considerati i problemi che colpiscono l'apparato stomatologico dei detenuti e il disagio psichiatrico sempre più diffuso negli istituti penitenziari; persino medicine di prima necessità devono essere acquistate all'esterno e a spese dei detenuti; a volte, piccole emergenze come un forte mal di denti non possono essere affrontate tempestivamente perché gli infermieri non possono dare al detenuto un farmaco come l'Aulin senza prescrizione medica;
          la fatiscenza dell'istituto «La Dozza» diviene sempre più allarmante perché anche i fondi della manutenzione ordinaria sono da tempo ridottissimi: il cattivo odore delle fogne ha accompagnato la delegazione per tutta la visita essendo state le fognature dell'istituto costruite in previsione di una popolazione penitenziaria più che dimezzata rispetto all'attuale; anche i locali che ospitano le docce sono in rovina con le mura piene di muschio di colore verde e nero; l'acqua calda non c’è per tutti ed è più che probabile che in estate – come accaduto l'anno scorso – l'acqua sia calda che fredda verrà a mancare del tutto;
          quanto alle condizioni di vita dei detenuti, queste sono letteralmente indecenti: in celle fatiscenti di 11 metri quadri costruite per ospitare un detenuto, ce ne sono ammassati tre peraltro costretti a viverci per almeno 21 ore al giorno; i carcerati, anche i più indigenti (la stragrande maggioranza) sono costretti ad acquistare persino la carta igienica e i prodotti per l'igiene personale e per la pulizia delle celle; le possibilità di lavoro per i reclusi sono pochissime: nemmeno la carente «pianta organica per il lavoro dei detenuti», secondo la quale dovrebbero lavorare circa 260 detenuti, viene rispettata perché coloro che svolgono mansioni peraltro poco qualificanti, sono circa un centinaio; molti detenuti vivono lontanissimi dai propri familiari e raramente riescono a fare colloqui persino con mogli e figli;
          sulla mancanza di lavoro in carcere, l'interrogante ritiene di dover segnalare una cella del carcere bolognese dove vivono tre giovani detenuti marocchini di 20, 26 e 31 anni (Said, Raduan e Ahmed), due dei quali appellanti e uno definitivo; i tre ragazzi magrebini hanno sistemato la stanzetta che li ospita con tocco quasi artistico: alle mura sporche hanno applicato – come fosse carta da parati – lenzuola riciclate di vari colori abbinati con gusto; inoltre, sempre munendosi di colla fatta con farina e acqua, carta e stoffa, hanno costruito un bellissimo lampadario, dei porta CD, e ganci appendi-tutto; durante tutto il tempo della permanenza della delegazione nella cella, i tre giovani non hanno fatto altro che ripetere «aiutateci a fare un lavoro; siamo bravi, sappiamo fare tutto, non lasciateci marcire qui dentro per 24 ore; noi non andiamo nemmeno all'aria per paura di provocazioni durante i passeggi che potrebbero farci prendere qualche rapporto»;
          secondo l'efficientissimo comandante, il dottor Roberto Di Caterino, sono esauriti i fondi di tutti i capitoli di spesa necessari per l'amministrazione dell'istituto;
          la prima firmataria del presente atto ha presentato altre interrogazioni sul carcere bolognese, in particolare la n.  4-08971 relativa ad un'altra visita ispettiva effettuata nell'ottobre del 2010, rimaste senza risposta  –:
          se sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
          quali interventi urgenti intenda mettere in atto per riportare la capienza della casa circondariale di Bologna nei numeri regolamentari;
          in che modo intenda affrontare la carenza del personale di polizia penitenziaria, carenza che incide fortemente sulle già scarsissime attività trattamentali;
          se il monte ore delle ore di straordinario assegnato agli agenti sia – in rapporto alla popolazione detenuta – lo stesso in tutti gli istituti italiani e se sia possibile conoscerlo istituto per istituto;
          se intenda assumere urgentemente iniziative per coprire e incrementare i capitoli di spesa esauriti, in particolare le risorse destinate al funzionamento stesso dell'istituto e a quelle che consentano maggiori possibilità di lavoro e di studio per i detenuti;
          quali iniziative di competenza, anche sul piano del monitoraggio, si intendano mettere in atto per agevolare e rendere definitivamente efficace il passaggio dalla sanità penitenziaria al Servizio sanitario regionale del carcere «La Dozza»;
          a quando risalga l'ultima relazione della ASL e cosa vi sia scritto in merito all'agibilità e al rispetto delle norme igienico-sanitarie dell'istituto bolognese;
          quali provvedimenti urgenti si intendano adottare al fine di aumentare il numero delle linee telefoniche a disposizione dei detenuti in modo da renderlo adeguato all'elevato tasso di sovraffollamento presente nell'istituto di pena bolognese. (5-07811)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da Agenda Parlamento del 20 giugno 2011, un detenuto del carcere di Buoncammino attende da cinque mesi che gli vengano recapitati i bagagli rimasti nell'istituto di pena di Trapani da cui è stato trasferito per motivi di salute;
          nonostante i ripetuti solleciti al direttore dell'istituto siciliano, l'uomo non ha ancora ricevuto alcunché e quindi ha deciso di presentare un esposto alla procura della Repubblica;
          Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione «Socialismo Diritti Riforme», ha avuto un lungo colloquio con il detenuto, 44 anni, nato a Buenos Aires, attualmente ristretto nel Centro clinico della casa circondariale di Cagliari, il quale le ha detto quanto segue: «Il 21 gennaio scorso sono stato tradotto a Buoncammino per la necessità di usufruire di una struttura penitenziaria dotata di un Centro Diagnostico Terapeutico in cui poter effettuare tempestivamente cure ed esami. All'atto del trasferimento mi consentirono di portare solo lo stretto necessario sia perché il trasferimento sarebbe avvenuto con l'aereo sia perché il soggiorno nel nuovo carcere sarebbe durato solo pochi giorni. Una volta giunto a destinazione ho appreso che la permanenza nell'Istituto sardo si sarebbe protratta a causa delle mie precarie condizioni di salute. Ho quindi scritto al direttore del carcere di Trapani informandolo della situazione e chiedendogli di farmi recapitare, come del resto mi era stato assicurato al momento del trasferimento qualora la permanenza si fosse prolungata per un periodo ragionevole, i bagagli. Non avendo avuto risposta, ho inviato un'istanza attraverso l'Istituto cagliaritano. Ancora una volta però non ho avuto riscontro. Ho quindi presentato reclamo al Magistrato di Sorveglianza di Cagliari per sollecitare il direttore di Trapani. Nessun riscontro hanno avuto neanche le richieste inviate via fax e gli interventi telefonici da parte dei miei avvocati. Del problema sono stati interessati anche il direttore e il comandante della casa circondariale di Cagliari i quali mi hanno comunicato che il direttore di Trapani non intendeva recapitare i bagagli essendo la mia assegnazione provvisoria. È evidente che il direttore del carcere di Trapani interpreta erroneamente il comma 8 dell'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 2000 in quanto la durata del trasferimento non può considerarsi breve essendo trascorsi 5 mesi e presumibilmente essendo necessaria una ulteriore permanenza per ragioni legate alle condizioni di salute. La chiarezza della normativa rende incomprensibile l'atteggiamento ostinato del direttore. Ho presentato un esposto alla procura della Repubblica per verificare se non possa configurarsi il reato di omissione di atti d'ufficio»;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto si tratta di un'assurda vicenda che viola il diritto del cittadino privato della libertà, danneggiandolo  –:
          quali urgenti iniziative intenda adottare affinché al detenuto in questione vengano recapitati immediatamente tutti i suoi bagagli con i libri in essi contenuti;
          se non si intendano adottare gli opportuni provvedimenti disciplinari nei confronti del direttore e del comandante del carcere cagliaritano, i quali fino ad oggi hanno inspiegabilmente impedito al detenuto di poter esercitare il suo sacrosanto diritto allo studio interpretando, ad avviso degli interroganti, erroneamente l'articolo 83, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 2000. (5-07812)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          Cosimo Intrepido, 31enne, originario di Trepuzzi (Lecce), rinchiuso nel carcere di Castrogno per scontare un residuo di pena per rapina, si è tolto la vita il 29 giugno 2011 impiccandosi alle sbarre della sua cella;
          l'uomo era in attesa di entrare in una comunità di recupero per tossicodipendenti ed in passato aveva già tentato di togliersi la vita;
          sul triste episodio il segretario del Sappe, Giuseppe Pallini, ha dichiarato: «L'istituto teramano potrebbe ospitare 240 detenuti invece ne ospita 410: di questi, oltre la metà soffre di problemi psichici con difficile gestione, scaricati a Teramo per il solo fatto che c’è il servizio di guardia medica su 24 ore e una psichiatra per alcune ore la settimana. I mancati interventi strutturali sull'esecuzione della pena e sul sistema penitenziario nazionale hanno nuovamente portato gli istituti di pena del Paese in piena emergenza, lasciando soli a loro stessi gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria»;
          i familiari del detenuto morto suicida hanno presentato un esposto alla procura della Repubblica per chiedere di chiarire le cause della morte  –:
          se il Governo non intenda urgentemente attuare iniziative di competenza per capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare nella morte del detenuto avvenuta nel carcere di Castrogno;
          in particolare, se non intenda verificare se ed in che misura il detenuto morto suicida disponesse di un adeguato supporto psicologico;
          se non intenda, per quanto di competenza, aumentare l'organico degli psichiatri assegnati presso il carcere di Castrogno, anche alla luce dell'elevato numero di detenuti affetti di disturbi psichici ivi presenti;
          se non si ritenga oramai indifferibile fornire elementi sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere e nei centri di identificazione ed espulsione in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette;
          se si ritenga necessaria e indifferibile, proprio per garantire i diritti fondamentali delle persone, la creazione di un «osservatorio» per il monitoraggio delle morti che avvengono in situazioni di privazione o limitazione della libertà personale, anche al di fuori del sistema penitenziario, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti e degli immigrati;
          se non si intenda assumere immediatamente iniziative volte a stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e di detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione e di dannazione, ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società;
          se non sia indispensabile e urgente assumere iniziative, anche normative, per favorire il ricorso a forme di pene alternative per garantire un'immediata riduzione dell'affollamento delle carceri italiane;
          se anche alla luce dei fatti riportati in premessa, si ritenga che all'interno delle carceri e dei centri di identificazione ed espulsione siano garantiti i diritti fondamentali della persona. (5-07813)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il tribunale di Tivoli versa da tempo in una situazione di intollerabile carenza strutturale;
          l'estensione del territorio e la correlata imponenza delle pendenze del tribunale di Tivoli, sia nel settore civile che in quello penale, hanno reso sempre più palese l'assoluta inadeguatezza delle dotazioni organiche del tribunale tiburtino sia con riferimento al numero dei giudici, che a quello del cancellieri e del restante personale amministrativo;
          in particolare, la condizione di sofferenza nel settore penale è gravissima: la vacanza del posto di presidente di sezione, protrattasi per un anno e sei mesi, ha già prodotto in passato la paralisi di ogni attività del Tribunale in composizione collegiale e l'aumento esponenziale del numero dei fascicoli non trattati; il ruolo di rito monocratico è altrettanto gravato, risultando di impietosa evidenza la carenza di giudici e cancellieri non in grado di rispondere sufficientemente al contenzioso in entrata e drammaticamente in ritardo su quello ereditato dall'accumulo dei processi non risolti a causa dei numerosi avvicendamenti tra i giudici che hanno chiesto ed ottenuto il trasferimento dalla sede di Tivoli;
          l'inadeguato dimensionamento della dotazione di personale amministrativo determina ritardi in ogni adempimento, con intuibile disagio per gli operatori forensi e grave vulnus per l'effettività del diritto di difesa;
          la situazione di carenza degli organici si è ultimamente aggravata anche a causa dell'ulteriore diminuzione dei magistrati in organico ispirata ad una incomprensibile logica gestionale delle risorse che pregiudica l'esercizio della funzione giurisdizionale a vantaggio dello svolgimento di funzioni e mansioni schiettamente amministrative;
          tale situazione incide sul diritto costituzionalmente garantito ad un processo equo di durata ragionevole, tanto per gli imputati quanto per le vittime dei reati;
          la grave carenza degli organici di cui soffre il tribunale di Tivoli è stata oggetto di una delibera del consiglio direttivo della Camera penale di Tivoli datata 20 giugno 2011 nella quale i penalisti tiburtini hanno proclamato lo stato di agitazione;
          con successiva delibera del 28 giugno 2011 la giunta dell'Unione camere penali italiane ha ritenuto di dover condividere le ragioni che hanno indotto la Camera penale di Tivoli a ricorrere alla proclamazione dello stato di agitazione e, nel contempo, ha espresso alla stessa la solidarietà dell'intera avvocatura penalistica italiana  –:
          se il Ministro interrogato non intenda attivarsi al fine di dotare il tribunale di Tivoli di personale amministrativo e per quanto di competenza di magistrati – sia giudicanti che requirenti – in misura adeguata e proporzionale al numero imponente delle sue pendenze e del suo bacino di utenza.       (5-07814)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          un anno fa il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria divulgava la circolare GDAP – 0032296-2010 nella quale si prevede la formazione di alcuni agenti di polizia penitenziaria per prevenire i suicidi in carcere;
          nella circolare l'amministrazione – preso atto del fatto che a causa delle note carenze le figure professionali istituzionalmente deputate all'assistenza psicologica del detenuto risultano per lo più assenti o comunque non prontamente reperibili – dispone che presso ogni carcere venga istituito un servizio di ascolto composto dal personale di polizia penitenziaria e dell'area educativa e integrato da appartenenti al volontariato. Tale servizio ha «il precipuo compito di soccorrere il detenuto in situazioni di imminente criticità in cui non sia possibile l'intervento immediato di professionisti esperti, attraverso l'attivazione di dinamiche comunicative finalizzate al sostegno del soggetto in difficoltà, all'individuazione di problematiche specifiche e delle necessarie misure d'urgenza, secondo le linee guida che la direzione generale dei detenuti e del trattamento provvederà ad emanare»;
          data la specificità della materia, nella circolare si prevede «la realizzazione di un progetto formativo per il personale di polizia penitenziaria all'uopo individuato»;
          secondo i sindacati di polizia penitenziaria la predetta circolare – ad oggi l'unico tentativo, per quanto insufficiente, di arginare l'emergenza suicidi – non ha avuto alcuna pratica applicazione, atteso che i progetti in essa previsti non sono ancora partiti;
          la finalità della circolare era dunque quella di avviare la formazione di 4-5 agenti in ciascun istituto, per dotarli delle conoscenze necessarie a valutare se vi è il rischio che un detenuto possa tentare il suicidio, oltre che a sostenerlo nelle situazioni più critiche, quando lo psicologo non può intervenire immediatamente, per esempio nelle ore serali e notturne;
          secondo Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, la circolare è rimasta lettera morta perché mancano le strutture e il personale. Le circolari di questo tipo servono a tamponare il malcontento, ma è impossibile metterle in pratica se non sono accompagnate da finanziamenti;
          nel 2010 i suicidi di detenuti sono stati 66, nel 2011 se ne contano già 16  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda attuare al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP – 0032296 – 2010 avente ad oggetto «Emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria», in particolare se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria. (5-07815)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, Redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», il 27 marzo 2011, Ilie Nita, 34 anni, romeno residente a Vigonovo (Venezia), si è impiccato nella sua cella del carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia. Era detenuto dallo scorso 10 febbraio, dopo essere stato arrestato dai carabinieri di Dolo con l'accusa di estorsione nei confronti della sua ex compagna, anch'essa romena, dalla quale con minacce e intimidazioni si sarebbe fatto consegnare, stando all'ipotesi accusatoria, 300 euro;
          l'uomo, che si era sempre proclamato innocente, aveva già compiuto un gesto di grave autolesionismo che aveva costretto gli agenti della polizia penitenziaria a trasferirlo alcuni giorni in ospedale per le cure;
          dopo il suo ritorno in cella, Ilie Nita era tenuto particolarmente d'occhio, ma gli organici nel carcere di Santa Maria Maggiore sono ridotti all'osso e in questo momento di sovraffollamento spesso c’è un solo un agente che deve tenere d'occhio ben cento detenuti;
          nella circostanza il giovane rumeno ha approfittato del fatto che i suoi compagni di cella, dopo il pranzo, erano usciti in cortile per l'ora d'aria e anche l'agente del piano si era spostato per controllare il cortile: lui si è appeso alle sbarre e, intorno alle 15,30, quando i suoi due compagni sono rientrati hanno visto quel corpo appeso. Era ancora vivo, le sue gambe hanno lanciato gli ultimi spasmi: uno di loro l'ha sollevato, l'altro ha chiesto aiuto, ma alla fine non c’è stato nulla da fare. Sono accorsi gli agenti, hanno sciolto il nodo che ormai era stretto al collo, però pochi minuti dopo l'uomo è deceduto;
          nel 2009 ci sono stati ben tre suicidi nel carcere di Santa Maria Maggiore ed un altro avvenne lo scorso 22 settembre, per il quale sono tuttora in corso indagini miranti ad accertare eventuali responsabilità;
          tra i suicidi verificatisi nel carcere veneto quello che ha sollevato maggiore scalpore è stato quello del ventiseienne Mohamed P., marocchino, che si strangolò con un brandello di coperta il 6 marzo 2009 in una cosiddetta «cella liscia», priva di ogni appiglio e suppellettile, utilizzata per i detenuti a rischio suicidario ma, sembra, anche come punizione per gli indisciplinati. Per quella morte furono indagate diverse persone, tra cui l'ispettore di polizia penitenziaria Domenico Di Giglio, che quel giorno comandava gli agenti in servizio e che fu accusato di omicidio colposo. La vicenda finì con una ulteriore tragedia, poiché Di Giglio, nel frattempo messo in congedo per problemi psicologici, si toglie la vita il 27 settembre 2009 (a tre giorni dall'inizio del processo per la morte di Mohamed), dopo aver ucciso la moglie Emanuela Pettenò, 43 anni  –:
          se nei confronti del giovane Ilie Nita risulti siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza, protettive ed educative previste e necessarie;
          se risulti coperto l'organico previsto per ogni ruolo operativo nel carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia;
          se il numero degli educatori e degli psicologi assegnato presso la struttura penitenziaria veneziana risulti sufficiente a garantire i diritti delle persone ivi recluse. (5-07816)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», Enzo Di Marco, 49 anni, detenuto nella casa circondariale di Massa, si è sentito male durante la notte dell'11 marzo 2011. I compagni di cella se ne sono accorti soltanto la mattina dopo e hanno dato l'allarme, ma era troppo tardi per prestargli qualsiasi soccorso. Probabilmente la morte è stata causata da un infarto, anche se bisognerà attendere gli esiti degli esami tossicologici e istologici, disposti dal magistrato, per avere una risposta certa;
          se l'ipotesi dell'arresto cardiocircolatorio venisse confermata, Enzo Di Marco sarebbe il decimo detenuto ucciso da un «infarto», tra cui tre ragazzi non ancora trentenni;
          poco tempo prima della morte di Enzo Di Marco i familiari dei detenuti scrissero questa lettera poi pubblicata sul quotidiano Il Tirreno: «Scriviamo questa lettera perché vorremmo esprimervi alcune nostre perplessità sulla Casa circondariale di Massa. Attualmente si trova in uno stato di sovraffollamento assurdo, una situazione disumana. Detenuti costretti a dormire per terra e in condizioni igieniche poco sicure. Anche se tutte queste persone hanno sbagliato, stanno pagando e non è giusto non rendere pubblica questa situazione. Vengono trattati come bestie. I giornali nazionali non parlano mai del carcere di Massa e delle condizioni in cui vivono i detenuti. Non è giusto che vivano come animali. Facciamo appello alle istituzioni affinché non chiudano gli occhi sul carcere di Massa, ma aiutino i carcerati a vivere con dignità la loro pena. La soluzione forse sarebbe quella di abolire alcune leggi che hanno pesato moltissimo sulle carceri italiane. Una su tutte potrebbe essere quella sull'immigrazione»;
          nella casa circondariale di Massa ci sono 62 celle, divise in 3 sezioni detentive. In ogni cella dovrebbero trovare posto 2 detenuti, ma per i noti problemi di sovraffollamento la «capienza ufficiale» dell'istituto è stata portata a 175 posti, quindi aggiungendo una terza branda per cella. Attualmente la situazione è drammatica, perché i detenuti presenti sono oltre 260 (esattamente erano 266, all'ultima rilevazione, effettuata a inizio anno). Non ci sono brande per tutti e, anche se ci fossero, nelle celle non c’è lo spazio per montarle, quindi i detenuti sono costretti a dormire su materassi a terra  –:
          quali siano le cause che hanno provocato la morte del detenuto Enzo Di Marco;
          se non ritenga opportuno, negli ambiti di competenza, effettuare un'ispezione all'interno della casa circondariale di Massa e attuare urgentemente ogni iniziativa di competenza al fine di capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare in ordine a quanto capitato al detenuto Enzo Di Marco;
          se risulti se l'infermeria del carcere sia dotata di un defibrillatore funzionante;
          se risulti coperto l'organico previsto per ogni ruolo operativo nel carcere di Massa;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di risolvere il grave sovraffollamento esistente all'interno della predetta struttura penitenziaria. (5-07817)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», lo scorso 8 marzo Francesco Sparaccio, 53 anni, è stato trovato cadavere nel carcere di Cerinole (Caserta) nella cella dove da sei anni stava scontando l'ergastolo. Qualche mese addietro l'uomo aveva cominciato ad accusare dolori, per i quali ha chiesto sempre più frequentemente assistenza infermieristica, dopodiché è stato curato con Malox e antidolorifici, anche per via endovenosa;
          il 25 gennaio 2011 il suo legale, Daniela D'Amuri, ha chiesto al magistrato di sorveglianza il ricovero d'urgenza, perché Sparaccio accusava dolori insopportabili al ventre e allo stomaco. Richiesta rimasta senza conseguenze, visto che in ospedale Sparaccio non ci è mai arrivato;
          la famiglia dell'uomo ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Caserta, chiedendo di accertare se la morte di Francesco si sarebbe potuta scongiurare; se il personale medico del carcere ha accertato fino in fondo le cause di quei malori e per quale ragione nessuno abbia ritenuto di trasferire il detenuto in ospedale per le indagini mediche necessarie  –:
          quali siano le cause che hanno condotto al decesso di Francesco Sparaccio;
          se non intenda assumere le opportune iniziative ispettive presso l'ufficio del magistrato di sorveglianza al fine dell'esercizio dei poteri di competenza;
          se siano state messe in atto tutte le misure preventive, di cura e di assistenza che le condizioni di salute del detenuto imponevano. (5-07818)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», ha reso noto che un detenuto di 60 anni, che stava scontando una pena di nove anni presso il carcere La Dogaia di Prato, è morto mercoledì 6 aprile 2011, 36 ore dopo essere stato sottoposto a un intervento per un'ernia inguinale;
          secondo quanto è stato riferito dall'Asl, l'intervento chirurgico era perfettamente riuscito e il paziente, controllato dalla polizia penitenziaria, era stato riportato in carcere. Apparentemente il detenuto stava bene e non avrebbe mostrato alcun sintomo di altri disturbi. Poi la morte improvvisa, forse dovuta a un problema cardiaco  –:
          se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una indagine amministrativa interna al fine di appurare le cause che hanno provocato il decesso del detenuto in questione e se risulti che all'uomo siano state garantite e assicurate tutte le cure necessarie che il suo già precario stato di salute richiedeva.
(5-07819)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», un giovane detenuto nel carcere di Bari, il 30enne di origini francavillesi Massimo Di Palmo, gravemente cardiopatico, sta lottando per vedersi riconosciuto il diritto alla salute, diritto «inalienabile» anche per chi è detenuto;
          a causa della cardiopatia di cui soffre, il giudice del tribunale di Brindisi, dottor Giuseppe Licci, ha disposto il ricovero del detenuto nel Centro clinico del capoluogo barese, ma nella clinica non c’è posto e così l'uomo è stato trasferito in una cella dove attualmente convive con altri otto detenuti, tutti fumatori  –:
          quali provvedimenti urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché il detenuto Massimo Di Palmo venga ricoverato nel centro clinico di Bari così come disposto dal magistrato di sorveglianza;
          se non ritengano comunque opportuno intervenire al fine di garantire al detenuto in questione condizioni di detenzione compatibili con il suo precario stato di salute. (5-07820)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il Detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», il 2 aprile 2011, Mario Germani, 29 anni, ha tentato di suicidarsi nella sua cella del carcere di «Mammagialla» di Viterbo. L'uomo è stato salvato da alcuni agenti di polizia penitenziaria e trasportato d'urgenza nell'ospedale di Belcolle con un'ambulanza del 118, dove è stato rianimato e intubato ed è tuttora ricoverato al reparto di rianimazione, in condizioni gravissime;
          Mario Germani era stato arrestato nei giorni scorsi da una pattuglia della polizia che lo aveva sorpreso, di notte, fuori dalla propria abitazione, dove avrebbe dovuto essere agli arresti domiciliari. È stato così denunciato per evasione e riportato in carcere. Sono in corso indagini per accertare le ragioni che hanno indotto il giovane a tentare il suicidio;
          nel carcere di Viterbo l'ultimo decesso risale a un anno fa, quando mori per «cause naturali» Agostino G., detenuto di 35 anni. L'ultimo suicidio avvenne il 20 aprile 2009, con la morte per impiccagione del 57enne Antonino Saladino. Il 2008 fu l'anno più «nero» del carcere di «Mammagialla», con 3 suicidi ed 1 morte per cause «da accertare»  –:
          di quali informazioni disponga il Ministro circa i fatti riferiti in premessa;
          se il Governo non ritenga che l'alto tasso di atti di autolesionismo e di suicidi in carcere dipenda anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
          quali iniziative intenda porre in essere affinché gli indirizzi di gestione del sistema penitenziario siano conformi ai principi del nuovo regolamento penitenziario in ordine agli interventi di trattamento del detenuto;
          quali siano gli intendimenti del Governo in ordine all'esigenza di riforma della legge n.  354 del 26 luglio 1975 e dunque dell'ordinamento penitenziario e dei criteri di esecuzione delle pene e delle altre misure privative o limitative della libertà;
          di quali informazioni disponga il Ministro in ordine ai suicidi verificatisi in questi ultimi anni nel carcere Mammagialla e se intenda avviare una indagine amministrativa in tema in proposito.
(5-07821)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il Detenuto Ignoto», Associazione «Antigone», Associazione «A Buon Diritto», Mehedi Kadi, algerino 39enne, si è impiccato il 3 aprile 2011 nella casa di reclusione «Due Palazzi» di Padova. Era appena stato trasferito da Vicenza, arrestato nel 2008 e condannato con pena definitiva fino al 2023 per rapina e tentato omicidio. L'uomo ha deciso di uccidersi quando è rimasto solo in cella mentre gli altri compagni di reclusione usufruivano dell'ora d'aria pomeridiana;
          lo scorso anno nella casa di reclusione di Padova ci furono ben 3 suicidi: il primo fu il 28enne tunisino Walid Aloui, che si impiccò il 23 febbraio 2010; poi fu la volta di Giuseppe Sorrentino, 35 anni, che si uccise il 7 marzo 2010 e l'ultima delle impiccagioni ebbe come vittima Santino Mantice, 25enne, che si uccise nel reparto infermeria il 30 giugno 2010, quando gli mancavano soli 3 mesi a terminare la pena detentiva. Inoltre il 17 luglio 2010 fu ritrovato senza vita in cella Sabi Tautsi, che aveva 39 anni e la cui morte fu registrata come evento determinato da «cause da accertare». Negli ultimi 13 mesi, quindi, nell'istituto di pena padovano sono morti 5 detenuti, di cui 4 per suicidio tramite impiccagione  –:
          se nei confronti del detenuto in questione risulti siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza, protettive ed educative previste e necessarie;
          se risulti coperto l'organico previsto per ogni ruolo operativo nella casa di reclusione di Padova;
          se il numero degli educatori e degli psicologici assegnato presso la struttura penitenziaria patavina risulti sufficiente a garantire i diritti delle persone ivi recluse;
          di quali informazioni disponga il Ministro in ordine ai suicidi verificatisi in questi ultimi mesi nel carcere Due Palazzi di Padova e se intenda avviare una indagine amministrativa interna in proposito. (5-07823)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani redazione Radiocarcere, redazione Ristretti Orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», il 9 aprile 2011 un assistente capo della polizia penitenziaria, Ruggero Porta, 42enne, in servizio alla casa reclusione di Mamone Lodè (Nuoro) si è suicidato con la pistola di ordinanza. Ne ha dato notizia la segreteria nazionale della Uil-Penitenziari. L'agente penitenziario era effettivo presso la casa circondariale di Brescia Canton Mombello, ma da circa dieci anni era stato distaccato presso la struttura penitenziaria di Mamone;
          la stessa fonte ha reso noto che il 12 aprile 2011 si è suicidato l'assistente capo della polizia penitenziaria Antonio Parisi, 40 anni, effettivo in servizio nella casa circondariale di Caltanissetta, era attualmente distacco alla casa circondariale di Caltagirone. L'uomo, che doveva iniziare il suo turno di servizio, ha accostato la macchina al ciglio della strada e si è impiccato a un albero  –:
          se siano state avviate eventuali indagini amministrative al fine di verificare le cause che hanno indotto i due agenti di polizia penitenziaria a togliersi la vita;
          se le autorità fossero a conoscenza del disagio psicologico dei predetti agenti di custodia e se fossero state avviate tutte le procedure di precauzione per prevenire gesti estremi di questo tipo;
          se negli istituti di pena ai quali erano assegnati i due agenti sia mai stato istituito un punto di ascolto con la presenza di psicologi;
          se non intenda istituire con urgenza un tavolo di confronto sul disagio del personale appartenente alla polizia penitenziaria così come da tempo richiesto dal segretario della Uil-Pa penitenziari;
          cosa intenda fare per aumentare significativamente l'organico degli agenti di polizia penitenziaria. (5-07824)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA dell'11 aprile 2011, una cinquantina di rappresentanti di varie sigle sindacali della polizia penitenziaria ha manifestato a Bari dinanzi alla sede del provveditorato per l'amministrazione penitenziaria, nei pressi del carcere;
          i manifestanti hanno chiesto di incontrare il provveditore regionale del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Salvatore Acerra, per chiedergli interventi urgenti per rafforzare l'organico della polizia penitenziaria particolarmente carente nel carcere di Trani dove nelle ultime ore sono stati trasferiti circa 150 detenuti che erano ospitati in un'ala del carcere di Bari che è ora in ristrutturazione;
          i sindacati (Osapp, Cisl Fns, Cgil Pp, Ugl Pp, Sinappe, Fsa Cnpp) hanno chiesto che nel carcere di Trani vengano almeno reintegrate le 50 unità che sono al momento distaccate;
          in Puglia è da tempo che i sindacati di polizia penitenziaria denunciano il sovraffollamento delle strutture carcerarie e l'inadeguatezza numerica degli organici dei baschi azzurri  –:
          se non intenda reintegrare presso il carcere di Trani i 50 agenti di polizia penitenziaria distaccati presso il Ministero della giustizia e l'ufficio esecuzione penale esterna;
          quali provvedimenti intenda adottare al fine di contrastare il grave sovraffollamento di cui soffrono gli istituti di pena pugliesi in modo da migliorare le condizioni di vita delle persone ivi ristrette;
          vista la situazione di grave sovraffollamento delle carceri pugliesi, se non reputi urgente adeguare le piante organiche degli agenti di polizia penitenziaria.
(5-07825)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, comporto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», lo scorso 1o aprile Carlo Saturno, 22 anni, di Manduria (Taranto), si è impiccato nella casa circondariale di Bari e dopo vari giorni di agonia ha cessato di vivere il 7 aprile;
          a trovare penzoloni l'uomo sono stati gli agenti di polizia penitenziaria che lo hanno tirato giù quando respirava appena ed era in fin di vita. In suo aiuto è intervenuto il personale dell'infermeria e del 118. Come fanno sapere i suoi familiari, Carlo soffriva da tempo di crisi depressive ed era in cura con tranquillanti. Il suo avvocato, Tania Rizzo, del foro di Lecce, lo aveva visto l'ultima volta una ventina di giorni fa nel corso di un'udienza che lo riguardava nel tribunale di Mandria. Secondo quanto riferito dall'avvocatessa «In quella circostanza Carlo era visibilmente agitato, nervoso e scostante». I familiari che vivono a Manduria si sarebbero già rivolti ad un proprio legale di fiducia per capire le cause del gesto e soprattutto per scoprire eventuali responsabilità;
          Carlo Saturno era detenuto per furto, ma era anche parte civile nel processo in corso davanti al tribunale di Lecce contro nove poliziotti del carcere minorile, che sono accusati di aver compiuto violenze sui ragazzi detenuti tra il 2003 e il 2005. Carlo, che all'epoca era sedicenne, avrebbe subito vere e proprie sevizie. Gli agenti sono accusati di maltrattamenti e vessazioni. Saturno è uno dei tre ex detenuti di quel carcere minorile che ha trovato il coraggio di presentarsi come parte lesa nel processo iniziato il 19 febbraio davanti al giudice Pietro Baffa, che vede imputati, per i presunti abusi nei confronti anche di Saturno, il capo degli agenti Gianfranco Verri, il suo vice Giovanni Leuzzi, sette agenti di polizia penitenziaria, per rispondere tutti della presunta atmosfera di paura instaurata tra i giovani detenuti con minacce, privazioni e violenze non di natura sessuale  –:
          se intenda disporre un'ispezione presso il carcere di Bari al fine di verificare se nei confronti del giovane Carlo Saturno risulti siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza, protettive ed educative previste e necessarie ciò anche alla luce dello stato di profonda frustrazione psicologica di cui era affetto il detenuto e della delicata vicenda giudiziaria nella quale lo stesso risultava essere coinvolto. (5-07826)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il Detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», lo scorso due aprile Mario Coldesina, 42 anni, è deceduto nella propria cella. Secondo i primi accertamenti medico legali il decesso sarebbe avvenuto per soffocamento;
          il detenuto era rinchiuso nel reparto «nuovi giunti» del carcere di Novara, in una cella con altre due persone. Da quanto si è saputo, intorno alle 13 l'uomo ha sbucciato un kiwi e l'ha mangiato tutto intero. Subito dopo si è sentito male. Soccorso da personale del 118, intervenuto su richiesta dei responsabili del carcere, è morto poco dopo;
          sulla vicenda è intervenuto il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che ha espresso preoccupazione per il sovraffollamento delle carceri dal momento che – sostiene l'organizzazione sindacale – la cosiddetta «legge svuota carceri» non ha deflazionato a sufficienza gli istituti di pena. La nota del Sappe continua: «Non è ancora chiaro se si è trattato di un incidente o di un suicidio. L'uomo era detenuto per furto aggravato e il suo periodo di detenzione sarebbe terminato nel 2013. Aveva impugnato la sentenza di primo grado ed era in atteso della conclusione del processo di appello»  –:
          quali siano le cause che hanno provocato la morte del detenuto e, in particolare, se risulti che lo stesso si sia suicidato;
          per quali motivi e da quanto tempo il detenuto fosse rinchiuso nella sezione «nuovi giunti»;
          se risulti che il detenuto abbia chiesto e ottenuto un colloquio con lo psicologo del carcere;
          se non ritenga opportuno effettuare un monitoraggio relativamente allo stato di applicazione, nonché agli effetti e ai risultati della legge 26 novembre 2010, n.  199, «Disposizioni relative alla esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno», comunicandolo alle Camere, anche al fine di verificare la possibilità che la norma di cui all'articolo 1 della predetta legge abbia una validità non limitata nel tempo e che, quindi, la sua efficacia vada oltre il 31 dicembre 2013. (5-07827)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'associazione Antigone Campania ha reso noto che in data 12 aprile 2011 un romeno 58enne rinchiuso nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Ce), si è tolto la vita impiccandosi nel bagno della cella;
          l'uomo, ritenuto incapace di intendere e volere in un procedimento per il reato di omicidio, era stato prosciolto per «infermità di mente» e sottoposto alla misura di sicurezza dell'internamento in ospedale psichiatrico giudiziario per un periodo di 5 anni;
          la misura di sicurezza, tuttavia, era stata prorogata di altri 5 anni, e la notizia gli era arrivata il giorno precedente al suicidio, facendolo sprofondare nella disperazione;
          il 58enne, a termini di legge, avrebbe potuto ottenere il ricovero in una comunità psichiatrica esterna al circuito penitenziario, ma non arrivò mai alcuna disponibilità ad accoglierlo nelle strutture della regione di provenienza, poiché l'asl di riferimento non lo poteva o non lo voleva assistere;
          nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa il precedente suicidio risale 5 gennaio 2011, quando si uccise Massimo B., di 32 anni. Il 4 agosto 2010 vi mori Stefano Crocetti, di 42 anni, per cause ancora non accertate. Il 21 dicembre 2009 si impiccò Pierpaolo Prandato, di 45 anni e allo stesso modo finì i suoi giorni Vincenzo Nappo, di 43 anni, il 9 giugno 2009. Il 16 settembre 2008 un'altra morte per «cause da accertare», quella di Massimo Morgia, 37 anni. Il 28 marzo 2008 si suicidò Said Mouaouia, tunisino di 36 anni. Il 29 gennaio 2008 toccò a Vincenzo Romano, di 35 anni, il 4 gennaio 2008 si suicidò il 26enne Fabrizio P. Il 30 novembre 2007 si uccise Antonio Romanelli, 57 anni, il 12 aprile dello stesso anno il 50enne Gianluigi Frigerio. Il 7 marzo 2007 morì in cella per AIDS Antonino M., di 43 anni, e il 29 gennaio il marocchino Derri Hajaj per «arresto cardiocircolatorio»;
          in poco più di 4 anni, quindi, 13 persone sono morte nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, su questi decessi e più in generale sulle condizioni della struttura è in corso un'inchiesta della procura di Santa Maria Capua Vetere, coordinata dalla dottoressa Raffaella Capasso;
          la prima firmataria del presente atto, a seguito di una visita ispettiva effettuata il 5 marzo 2011, ha depositato l'interrogazione n.  4-11261 che a tutt'oggi non ha ricevuto risposta  –:
          se non ritengano opportuno effettuare un'ispezione all'interno dell'ospedale psichiatrico di Aversa e attuare urgentemente ogni iniziativa di competenza al fine di capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità amministrative o disciplinari in ordine all'episodio narrato in premessa e a tutti gli altri verificatisi in questi ultimi tre anni. (5-07828)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «il Detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», la sera di domenica 3 aprile 2011, Adriana Ambrosini, una ragazza di 24 anni, si è tolta la vita nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova);
          la donna si è uccisa approfittando della pausa-cena, in cui i vigilanti erano impegnati a sorvegliare gli altri internati: si è allontanata dalla mensa con una scusa, ha raggiunto la sua stanza e lì si è impiccata con un lenzuolo agganciato alla finestra;
          Adriana Ambrosini, originaria della provincia di Pavia, era all'ospedale psichiatrico giudiziario per scontare due anni di internamento, di cui uno era già trascorso: non aveva mai mostrato aggressività verso se stessa, né segnali di depressione. A scatenare la reazione estrema, forse, il trasferimento in un'altra struttura di una compagna di detenzione;
          nell'ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere, considerato un istituto-modello, il precedente suicidio risaliva a 16 mesi fa; l'11 dicembre 2008, T.G., un 27enne originario di Rieti, si impiccò in cella. Ma il caso più misterioso è quello di Katiuscia Favero, una ragazza di 30 anni che fu ritrovata impiccata ad una recinzione del giardino interno alla struttura il 16 novembre 2005: per gli investigatori si trattò di un suicidio, per la madre fu un omicidio. Katiuscia, prima di essere internata all'Opg, era stata detenuta alcuni mesi nel carcere fiorentino di Sollicciano e poi ricoverata in un reparto psichiatrico ospedaliero, dove aveva denunciato di essere stata violentata, ma l'unico risultato della sua denuncia fu il trasferimento a Castiglione delle Stiviere  –:
          se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano, negli ambiti di rispettiva competenza e nel rispetto e indipendentemente dalle inchieste avviate dalla magistratura, aprire un'indagine amministrativa interna volta a verificare, in ordine alla morte della signora Adriana Ambrosini, eventuali responsabilità disciplinari del personale operante all'interno dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere;
          quali misure amministrative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di loro competenza, in tempi immediati, per affrontare le condizioni di insostenibile degrado, di repressiva segregazione, anche laddove immotivata da diagnosi psichiatrica, di abbandono civile ed etico, cui sono sottoposti gli internati nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere nonché negli altri ospedali psichiatrici giudiziari sparsi sul territorio nazionale;
          quali indirizzi il Governo intenda assumere o confermare, in riferimento ai lavori svolti a suo tempo dalla commissione Pisapia, in ordine agli articoli del codice penale che interessano l'adozione delle misure di sicurezza per i malati di mente, in conformità con le sentenze della Corte costituzionale. (5-07829)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 3 aprile 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Giarre (Catania), accompagnata da Gianmarco Ciccarelli (Radicali Catania);
          la delegazione, ricevuta e accompagnata nel corso della visita dall'assistente capo di polizia penitenziaria Giovanni Farruggia, ha constatato la seguente situazione: la guardiola di vigilanza posta all'ingresso del carcere (la cosiddetta «block house» dove si svolge il primo filtro all'accesso della struttura) non è presidiata da alcun agente, a causa della carenza di personale; secondo quanto riferito dall'assistente capo Farruggia, la carenza di agenti di polizia penitenziaria è una delle maggiori criticità dell'istituto: «stamattina siamo in sei, ma di pomeriggio saremo ancora di meno; il nostro è un lavoro di responsabilità, noi agenti stiamo prendendo la strada dell'ansia, ma il Ministero da qualche anno a questa parte non ci sente; se qualcuno sta male devo chiamare il 118, ma dove sono gli uomini per fare uscire un detenuto ?»; gli agenti effettivamente in servizio sono 32 (fra titolari e distaccati da altri istituti), a fronte di circa 50 agenti previsti dalla pianta organica; la marcata carenza di personale di polizia penitenziaria, oltre a determinare condizioni di notevole disagio fisico e fortissimo stress psicologico per gli agenti, incide sulla sicurezza dell'istituto e sulle attività trattamentali dei detenuti, che risultano fortemente ridotte;
          alla carenza di personale di polizia penitenziaria si affianca il mancato funzionamento dei dispositivi di videosorveglianza; «in questo momento non funzionano le telecamere e nemmeno i monitor: prima hanno rubato Sant'Agata, poi hanno messo le grate !», afferma l'assistente capo Farruggia, per sottolineare l'assenza di sorveglianza e la schizofrenia di un sistema incapace di assicurare condizioni di sicurezza;
          la cinta muraria esterna si presenta scrostata e in fase di ristrutturazione; «questo carcere è stato aperto meno di vent'anni fa, ma è una delle cosiddette carceri d'oro, è stato costruito con cemento impoverito, e le condizioni strutturali sono pessime perché raramente si fanno opere di manutenzione», afferma Farruggia; la guardiola di sorveglianza all'ingresso (la cosiddetta «block house») presenta umidità sul tetto;
          prima di entrare negli ambienti detentivi e incontrare le persone ristrette, si uniscono alla delegazione il vicesindaco di Giarre Leo Cantarella e l'assessore comunale Giuseppe Cavallaro; «abbiamo promosso alcune iniziative, attività ricreative e spettacoli musicali, sia noi che l'Amministrazione provinciale», dice il vicesindaco Cantarella; «questo carcere è troppo distaccato dalla realtà esterna, il reinserimento dopo la detenzione è un aspetto problematico», afferma l'assessore Cavallaro; «parliamoci chiaramente: qui è una discarica sociale», sottolinea l'assistente capo Farruggia;
          la casa circondariale di Giarre non dispone di un'area verde attrezzata per lo svolgimento dei colloqui dei detenuti con i familiari minorenni;
          l'assistente capo Farruggia evidenzia l'assenza di una fermata dell'autobus in prossimità del carcere, con conseguente disagio per i familiari delle persone detenute;
          la casa circondariale di Giarre nasce, in origine, come struttura a custodia attenuata destinata ad ospitare detenuti tossicodipendenti; oggi la struttura ospita anche detenuti in regime di media sicurezza; i detenuti presenti sono circa 100, a fronte di una capienza regolamentare di circa 60 posti, secondo quanto riferito dagli agenti; le celle hanno una dimensione di 16 metri quadrati, ospitano al massimo 3 detenuti e sono tutte provviste di doccia al loro interno; le ore d'aria sono 4, due al mattino e due al pomeriggio; i detenuti stranieri presenti, perlopiù sfollati da istituti del nord Italia, sono circa 40;
          l'assistenza sanitaria è assicurata da una guardia medica dalle 14.00 alle 20.00; di mattina è presente il dirigente sanitario; l'infermiere è presente la mattina e il pomeriggio; nelle ore notturne, in caso di necessità, viene chiamata la guardia medica esterna; se è necessario ricoverare un detenuto in una struttura esterna, per la traduzione e per il piantonamento possono esserci problemi legati alla carenza di agenti di polizia penitenziaria; molti detenuti presentano problemi di tipo psichiatrico; nella sezione B sono presenti 22 detenuti in regime di custodia attenuata; i detenuti presenti in questo reparto scontano una condanna definitiva; le porte delle celle sono aperte dalle 8.30 alle 19.00;
          all'interno della sezione è presente un piccolo laboratorio per la decorazione della ceramica; alcuni detenuti raccontano di aver partecipato ad un corso di vasai: i vasi realizzati sono stati esposti in una mostra realizzata in una sala messa a disposizione dal comune di Giarre, e il ricavato è stato donato agli extracomunitari; i detenuti lamentano l'assenza di una palestra: «non ci sono i fondi per allestirla», spiegano gli agenti; ai detenuti è consentito giocare a pallone per tre volte alla settimana; all'interno del carcere c’è un teatro che però, a detta dei detenuti, nell'ultimo periodo non è più stato utilizzato; i detenuti che lavorano sono pochi, e lamentano la limitatezza dei fondi per le mercedi: «io sono lavorante in cucina e guadagno 30 euro al mese, non mi bastano nemmeno per le sigarette», afferma un detenuto; il rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria è buono, sottolineano i detenuti; un grave problema, a detta dei detenuti, è il rapporto con il magistrato di sorveglianza: «l'ultima volta l'ho visto un anno e mezzo fa», dice un detenuto; «il magistrato di sorveglianza non funziona, è assente», conferma un altro; i detenuti sottolineano il disagio a cui vanno incontro, in occasione dei colloqui, i familiari non forniti di automobile: «non c’è una fermata dell'autobus vicino al carcere, le nostre famiglie devono percorrere un chilometro e mezzo in salita per arrivare dal carcere alla strada nazionale»;
          i detenuti manifestano gratitudine per la visita: «quel poco di umanità che ci mostrate voi radicali è l'unico filo di speranza; mandate a Pannella un bacione da parte dei ragazzi di Giarre»; e ancora: «qui RadioRadicale purtroppo non si prende, è possibile fare qualcosa ?»;
          nella sezione A, che si sviluppa su due piani, sono ristretti detenuti comuni in regime di media sicurezza; in ciascuna cella è presente un letto a castello a 3 piani;
          la delegazione ha incontrato i detenuti di questo reparto nel cortile-passeggio; nel corso del colloquio con i detenuti, si presenta il dottor Sebastiano Russo, dirigente sanitario della casa circondariale;
          i detenuti lamentano disagi per la mancanza di acqua calda («quando c’è, è soltanto per mezz'ora al giorno»); problemi nel rapporto con il magistrato di sorveglianza; assenza di attività («non c’è la scuola superiore, non ci sono corsi, il teatro a malapena l'abbiamo intravisto, senza fare nulla il reinserimento è un'utopia»); lamentano inoltre il fatto che l'amministrazione del carcere fornisca gratuitamente soltanto mezzo litro di detersivo ogni due mesi e una spugnetta: «tutto il resto dobbiamo acquistarlo di tasca nostra, anche i sacchetti per la spazzatura», affermano i detenuti; la carenza di risorse economiche, anche per fare fronte ad esigenze primarie, viene sottolineata dall'assistente capo Farruggia, che afferma: «non abbiamo fondi, a volte il Lysoform lo porto io da casa»; i prezzi del sopravvitto, a detta dei detenuti, sono superiori a quelli di mercato («un bagno schiuma Neutro Roberts da 750 ml lo paghiamo 3,85 euro»);
          C.S. nato a Napoli il 18 dicembre 1975, racconta di aver chiesto un trasferimento per stare più vicino alla sua famiglia, che non vede da molto tempo: «non faccio un colloquio da circa 2 anni, ho tre figli e mia madre ha problemi di salute; prima stavo nel carcere di Secondigliano, poi mi hanno trasferito a Ragusa e adesso sono qui a Giarre»; C.S. lamenta il fatto di aver chiesto, da circa 2 anni, di poter fare le analisi del sangue, senza che ancora il prelievo sia stato effettuato;
          anche G.A., nato a Napoli l'11 gennaio 1970 e padre di tre figli minorenni, vorrebbe essere trasferito in un istituto campano per poter stare più vicino alla famiglia («mia figlia ha un linfoma, non ce la faccio a stare lontano da lei»);
          D.M., detenuto marocchino nato il 23 novembre 1980, è stato trasferito a Giarre nel marzo 2010 dal carcere milanese di Opera; D.M lamenta il fatto di non aver ricevuto il sussidio di disoccupazione che aveva chiesto durante la detenzione nel carcere di Milano: «avevo fatto domanda a Opera, l'INPS ha pagato tutti quelli che, come me, avevano fatto richiesta, perché a me i soldi non sono stati dati ? Perché mi hanno mandato qua ?», si chiede;
          S.O. nato a Siracusa il 15 giugno 1977, non sa per quale ragione sia stato diminuito, dal settembre del 2010, il numero delle telefonate e dei colloqui allo stesso consentiti: «prima facevo 6 colloqui e 4 telefonate ogni mese, così come tutti gli altri detenuti; da 8 mesi invece posso fare soltanto 4 colloqui e 2 telefonate, per quale motivo non è dato saperlo, il direttore non mi ha dato alcuna motivazione valida»;
          M.V. è detenuto che lavora come barbiere per 30 euro al mese, «ma da 7 mesi non mi pagano», lamenta;
          molti detenuti lamentano l'assenza dell'educatore («l'educatore non si vede mai»);
          K.G. nato a Tunisi il 24 febbraio 1972, è un detenuto tossicodipendente sottoposto a trattamento metadonico, ormai prossimo alla liberazione per fine pena («mi hanno accettato in una comunità a Milano, ma non ho i soldi per il biglietto del treno»);
          l'infermeria della casa circondariale di Giarre non è dotata di defibrillatore;
          un intervento chirurgico previsto per un detenuto in data 1o aprile è stato rinviato a causa della carenza di personale di polizia penitenziaria, secondo quanto riferito dal dirigente sanitario;
          l'assistente capo di polizia penitenziaria F.T., nato in Germania il 26 settembre 1968 e residente a Marianopoli (Caltanissetta), vorrebbe essere trasferito in un istituto della provincia di Caltanissetta: «vivo una situazione di fortissimo disagio, sono veramente disperato, sono in servizio da 21 anni e da 18 anni faccio il pendolare, non ce la faccio più a fare 160 km al giorno»  –:
          se siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
          cosa intenda fare il Ministro della giustizia:
              a) per ripristinare i dispositivi di sicurezza dell'istituto di Giarre;
              b) per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria;
              c) per riportare alla capienza regolamentare i posti detentivi;
              d) per offrire concrete possibilità di lavoro ai 100 detenuti presenti;
              e) per assicurare la manutenzione degli edifici;
              f) per assicurare l'erogazione acqua calda;
              g) per allestire un'area verde per lo svolgimento dei colloqui dei detenuti con i familiari minorenni;
              h) per dotare i detenuti di generi per la pulizia delle celle;
              i) per controllare i prezzi praticati all'interno dell'istituto per la vendita ai detenuti di generi di varia natura;
              l) per dotare l'istituto di una palestra adeguatamente attrezzata, magari in sinergia e in collaborazione con gli enti istituzionali locali;
              m) per fare in modo che i detenuti provenienti da altre regioni scontino la loro pena in istituti più vicini ai loro congiunti, come previsto dall'ordinamento penitenziario;
              n) per incrementare il numero degli educatori;
          cosa intendano fare, per quanto di competenza, i Ministri interrogati per assicurare il diritto alla salute dei detenuti e per scongiurare eventi critici e/o drammatici causati dalla penuria di personale medico h 24 e dall'assenza di strumentazioni di primo soccorso come il defribillatore;
          quali iniziative di propria competenza intenda assumere il Ministro della giustizia, in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza. (5-07830)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Sicilia il 21 aprile 2011 nel carcere agrigentino di contrada Petrusa sarebbe scoppiata una forte protesta da parte dei detenuti (attualmente oltre 450) che, stanchi di sopravvivere in condizioni disumane dettate dagli spazi sempre più ristretti, hanno deciso di intraprendere lo sciopero della fame e di rendere evidente il loro disagio battendo le pentole contro le sbarre;
          nello stesso istituto di pena, anche gli agenti della polizia penitenziaria sono ai ferri corti con la dirigenza, atteso che dai comunicati emessi nei giorni scorsi dai sindacati dei baschi azzurri emergono accuse evidenti ai vertici della struttura detentiva accusata di far lavorare in condizioni comunque difficili il personale penitenziario  –:
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di contrada Petrusa di Agrigento e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario;
          quali interventi urgenti intenda promuovere per rendere più accettabili le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria del carcere di Agrigento e se non ritenga necessario assumere iniziative che risolvano strutturalmente i gravi problemi della situazione carceraria. (5-07831)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», giovedì 21 aprile Fabio Tranchina, detenuto 40enne, fermato martedì scorso dalla DIA di Palermo perché accusato di concorso nella strage di via D'Amelio, ha tentato per due volte il suicidio nella sua cella del carcere Pagliarelli di Palermo, dove è detenuto in regime di isolamento  –:
          se al detenuto in questione risulti essere stato applicato il restrittivo regime carcerario di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti di Fabio Tranchina dopo questi due tentativi di suicidio;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo. (5-07832)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», mercoledì 20 aprile 2011 un detenuto italiano di 30 anni recluso nel carcere di Voghera ha tentato di impiccarsi approfittando dell'uscita del compagno di cella per «l'ora d'aria», ma è stato tempestivamente soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria che gli hanno salvato la vita;
          l'episodio è avvenuto in un periodo di particolare tensione nella casa circondariale di via Prati Nuovi, atteso che da circa una settimana una quarantina di reclusi in una sezione di alta sicurezza del carcere vogherese stanno facendo lo sciopero della fame  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti del detenuto in questione dopo il tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Voghera;
          quali siano i motivi che hanno spinto quaranta detenuti reclusi in una sezione di alta sicurezza del carcere di Voghera a intraprendere lo sciopero della fame;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Voghera, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità nel carcere in questione, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-07833)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», Associazione «A buon diritto», un detenuto di 34 anni, W.D., si è impiccato con una maglietta alle sbarre della sua cella ubicata nel carcere di Sollicciano;
          l'uomo, giovedì 21 aprile, è rientrato in anticipo rispetto ai compagni dal cortile dei passeggi riuscendo così a mettere in atto il suo intento suicida;
          W.D. era in custodia cautelare con l'accusa di detenzione di droga e di rissa. Era stato arrestato il 5 ottobre 2010 assieme alla sua fidanzata e a 3 connazionali dalla polizia, accorsa per la segnalazione di una rissa tra extracomunitari. Nella circostanza gli agenti hanno trovato 4 nigeriani che si stavano picchiando e una donna, anch'essa nigeriana, che prendeva a testate un muro urlando a squarciagola. I poliziotti – volendo chiarire l'accaduto – hanno interrogato la giovane, che ha solo 18 anni e che ha raccontato di essere appena tornata da Amsterdam per incontrare il proprio ragazzo, uno di quelli coinvolti nella zuffa. Gli agenti insospettiti hanno quindi deciso di recarsi nelle abitazioni dei coinvolti nella lite, accompagnati dalla ragazza. Mentre effettuavano il controllo la giovane si è accasciata a terra accusando mal di pancia. Accompagnata d'urgenza all'ospedale le sono stati trovati in corpo 20 ovuli contenenti cocaina;
          nel solo mese di aprile sono morti 11 detenuti, di cui 5 suicidi, 2 per malattia e 4 per «cause da accertare». Da inizio anno salgono così a 50 i decessi nelle carceri italiane: 19 per suicidio, 21 per «cause naturali» e 10 per «cause da accertare». La loro età media era di 35 anni, 15 erano stranieri e 35 italiani; 2 le donne: Loredana Berlingeri, di 44 anni, morta per «cause naturali» il 18 marzo nel carcere di Reggio Calabria ed Adriana Ambrosini, 24 anni, che si è impiccata lo scorso 3 aprile nell'OPG di Castiglione delle Stiviere (Mantova)  –:
          se e come il 5 gennaio 2011 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio di W.D. non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Sollicciano;
          quali provvedimenti urgenti intenda attuare al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP – 0032296-2010 avente ad oggetto «Emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria»; in particolare se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Sollicciano, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità nel carcere fiorentino, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-07834)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. – Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», martedì 13 aprile 2011, Houssein Tahiri, detenuto Bienne di origini Afghane, rifugiato politico in Italia dal 2007, ha tentato il suicidio tagliandosi la gola con una lametta nella sua cella del carcere Coroneo di Trieste;
          il detenuto è stato salvato dall'infermiera in servizio e poi medicato dai sanitari del 118 chiamati immediatamente dalla direzione della casa circondariale;
          secondo alcuni Houssein Tapiri avrebbe tentato di togliersi la vita in quanto non lo lascerebbero tornare nel suo Paese;
          dopo il tentato suicidio il detenuto è stato precauzionalmente messo in una cella di isolamento;
          già il 19 ottobre 2010, l'uomo si era cucito la bocca usando un ago e del filo  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti di Houssein Tahiri dopo questo tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’equipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere Coroneo;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione, in particolare se non si ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità al suo interno, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-07835)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazione Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», mercoledì 20 aprile 2011 Franco Livagra, sessantacinquenne, è morto nel carcere di Torino a causa di una malattia di cui soffriva da tempo;
          l'uomo era stato condannato in appello a 13 anni di carcere, per reati legati allo sfruttamento della prostituzione ed era in attesa della sentenza della Corte di cassazione;
          nel solo mese di aprile sono morti 11 detenuti, di cui 5 suicidi, 2 per malattia e 4 per «cause da accertare». Da inizio anno salgono così a 50 i decessi nelle carceri italiane: 19 per suicidio, 21 per «cause naturali» e 10 per «cause da accertare». La loro età media era di 35 anni, 15 erano stranieri e 35 italiani; 2 le donne: Loredana Berlingeri, di 44 anni, morta per «cause naturali» il 18 marzo nel carcere di Reggio Calabria ed Adriana Ambrosini, 24 anni, che si è impiccata lo scorso 3 aprile nell'OPG di Castiglione delle Stiviere (Mantova)  –:
          se nel carcere di Torino siano garantiti i livelli essenziali di assistenza sanitaria;
          quali fossero le cause della malattia del detenuto e a quali terapie il detenuto fosse sottoposto;
          se sia a conoscenza della grave emergenza in corso nelle carceri italiane e in particolare dell'incremento dei decessi all'interno degli istituti di pena;
          se non ritenga necessario avviare ispezioni e verifiche sui dieci decessi le cui cause sono ancora da accertare.
(5-07836)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, composto da Radicali italiani, redazioni Radiocarcere, redazione Ristretti orizzonti, associazione «Il detenuto ignoto», associazione «Antigone», associazione «A buon diritto», giovedì 21 aprile Marzio Berti, detenuto 40enne, verso mezzogiorno, si è sentito male e ha chiesto di vedere il medico. Il sanitario lo ha visitato per poi rimandarlo in cella, perché il malore sembrava passato. Invece dopo pochi minuti il detenuto ha avuto una nuova crisi ed è crollato sul pavimento, ucciso da un arresto cardiocircolatorio. Inutile l'arrivo dell'ambulanza: sospetta overdose, come pare abbia scritto il medico del 118 nel referto. Di eroina, probabilmente tagliata male, entrata non si sa come nel carcere della Dozza;
          Marzio Berti, tossicodipendente da almeno 20 anni, stava scontando una condanna definitiva per furto, ma aveva alle spalle una lunga serie di reati, tra cui anche un omicidio. Era stato arrestato per la prima volta nel 1994 a Riccione, poco più che ventenne. Da allora, aveva fatto dentro e fuori dalle carceri;
          nel solo mese di aprile sono morti 11 detenuti, di cui 5 suicidi, 2 per malattia e 4 per «cause da accertare». Da inizio anno salgono così a 50 i decessi nelle carceri italiane: 19 per suicidio, 21 per «cause naturali» e 10 per «cause da accertare». La loro età media era di 35 anni, 15 erano stranieri e 35 italiani; 2 le donne: Loredana Berlingeri, di 44 anni, morta per «cause naturali» il 18 marzo nel carcere di Reggio Calabria ed Adriana Ambrosini 24 anni, che si è impiccata lo scorso 3 aprile nell'Opg di Castiglione delle Stiviere (Mn)  –:
          se sia stata assicurata al signor Berti ogni forma di assistenza prevista dalla legge;
          se il Ministro competente non intenda aprire una indagine amministrativa interna al fine di accertare le modalità con le quali la sostanza stupefacente sia riuscita a fare ingresso all'interno dell'istituto di pena bolognese;
          se il tragico episodio non renda ancora più evidente e necessario una particolare cura di assistenza e recupero dei tossicodipendenti nelle carceri;
          se il Governo non ritenga necessario un urgente ripensamento della politica fino ad oggi adottata per combattere il problema della tossicodipendenza, e sulla necessità che anche in Italia sia possibile sperimentare la somministrazione dell'eroina a scopo terapeutico e sotto controllo medico;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere della Dozza, in particolare dei detenuti tossicodipendenti.
(5-07837)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 24 aprile 2011, giorno di Pasqua, la prima firmataria del presente atto è andata a visitare il carcere Regina Coeli a Roma accompagnata dal presidente del senato del Partito radicale Marco Pannella, da Matteo Angioli del comitato nazionale di Radicali italiani e da Enrico Salvatori, militante di Radicali italiani;
          nel corso della visita ispettiva la delegazione è stata accompagnata dalla dal vice-direttrice, Anna Angeletti e dalla coordinatrice del nucleo traduzioni e piantonamenti, Alessia Forte;
          alle ore 8.00 del 24 aprile i detenuti presenti erano 1.138 a fronte di una capienza regolamentare di 724 unità; 73 detenuti erano ricoverati nel Centro diagnostico terapeutico (12 al primo piano, malattie infettive; 30 al secondo piano, medicina generale; 31 al terzo piano chirurgia); nella 1a sezione erano presenti 122 detenuti; nella 2a, 223; nella 3a 207; nella 4a 108; nella 6a 156; nella 7a (prima accoglienza) 125; nell'8a (reparto protetti) 122; 2 detenuti sono in articolo 21; 3 detenuti sono ricoverati in ospedali esterni; la 5a sezione è chiusa per lavori di ristrutturazione;
          i detenuti stranieri sono poco più del 50 per cento della popolazione penitenziaria; 110 sono i tossicodipendenti ufficialmente assistiti dal Sert;
          la carenza di personale è a dir poco preoccupante: nella casa circondariale operano 250 agenti di polizia penitenziaria in meno rispetto alle 606 unità previste dalla pianta organica, tutti «costretti» allo straordinario, nonostante il loro sia considerato un lavoro usurante; il nucleo traduzioni e piantonamenti deve svolgere un'immensa mole di lavoro per il trasferimenti dei detenuti nelle altre carceri del territorio nazionale, i ricoveri in ospedale, le visite specialistiche, le udienze processuali; il giorno della visita ispettiva erano previsti in turnazione 80 agenti, di cui solo 25 per garantire il turno notturno; un altro elemento da considerare, che ha pesato e peserà enormemente nello stress lavorativo del corpo nei prossimi giorni, è dovuto al fatto che ben 36 agenti siano in congedo in quanto candidati alle prossime elezioni amministrative del 15 e 16 maggio; inoltre, non è da sottovalutare che la polizia penitenziaria perde ogni mese almeno 50 unità tra pensionamenti, congedi, decessi, rinunzie, malattie, e – come riferisce il comandante – a causa della mancanza di concorsi e bandi della polizia penitenziaria, ormai non giungono più reclute di 18-20 anni, ma giovani di almeno 25 anni, diversi dei quali hanno già famiglia e figlio a carico e, quindi, con uno slancio nel lavoro spesso smorzato;
          il centro diagnostico e terapeutico dell'istituto è nella realtà dei fatti una «grande infermeria»; fino a non molto tempo fa, disponeva di due sale operatorie ben funzionanti per interventi chirurgici di non elevata complessità, ma questo servizio – molto utile ad evitare traduzioni e piantonamenti – non esiste più dopo il passaggio della sanità penitenziaria alla ASL; la sala radiologica è funzionante ma solo in orari di ambulatorio, quindi non di notte e durante i festivi; per i detenuti del carcere di Regina Coeli che hanno bisogno di essere ricoverati, si utilizzano sia l'ospedale Belcolle che il Sandro Pertini, ma i posti sono insufficienti: l'ospedale Belcolle, pur essendo dotato di buoni servizi, ha solo 8 posti letto disponibili per tutta la regione Lazio, mentre il Pertini, che fino a non molto tempo fa disponeva di 22 posti letto, ora ne ha solo 15;
          il reparto detentivo dei «nuovi giunti» è affollatissimo e, considerata la delicatezza del primo impatto con il carcere, pesa notevolmente il taglio del monte ore degli psicologi (vedi interrogazione n.  4-11038); dato il sovraffollamento, spesso, l’«accoglienza» dei nuovi arrivati viene dirottata in alcune celle del centro clinico; proprio presso il CDT, in una cella, la delegazione ha incontrato 5 nigeriani, visibilmente provati, reclusi da due settimane, ai quali ancora non era stata data la possibilità di tagliarsi la barba né erano stati consegnati effetti di prima necessità come gli asciugamani;
          per la 5a sezione, chiusa per ristrutturazione, si ipotizza un'apertura tra un anno, sempre che il flusso dei fondi previsti non si interrompa;
          nonostante le tante e costose ristrutturazioni, il carcere di Regina Coeli, mostra tutta la fatiscenza di un edificio del settecento: la III sezione – che ospitò Pertini e Saragat durante il fascismo e che non è stata mai ristrutturata – è la peggiore di tutto l'istituto; la delegazione ha potuto riscontrare che in quasi tutto il carcere nelle celle nate per ospitare un detenuto sono presenti tre detenuti e nelle celle da due posti ci sono cinque o sei detenuti, tutti sistemati in letti a castello;
          ciò che colpisce di più è sicuramente l'inattività cui sono costretti i reclusi di Regina Coeli: solo il 10 per cento di loro ha la possibilità di lavorare, mentre le ore d'aria sono distribuite con il contagocce e nella permanenza in cortili angusti, dove raramente i detenuti hanno a disposizione un pallone;
          nota positiva sono gli educatori: anche se numericamente dovrebbero essere di più rispetto alle esigenze, sembrano tutti molto motivati, in particolare gli ultimi due nuovi arrivati; il ruolo di supplenza che spesso gli agenti svolgono al posto di figure professionali carenti (come quella degli psicologi che si sono visti ulteriormente tagliare il monte ore), significativa è stata durante la visita la testimonianza resa da un agente del CDT; i lunghi turni a cui è sottoposto lo portano a conoscere i detenuti del suo reparto meglio di quanto non sia consentito ai pochi psicologi del carcere che devono seguire ciascuno circa 400 detenuti: piccole attenzioni fatte per lo più di ascolto di sofferenze e di parole di umanità che recano sollievo a persone che vivono una drammatica realtà e che a volte, non avendo davanti che la prospettiva della galera vissuta nelle condizioni sopra ricordate, tentano di prolungare la permanenza in infermeria per posticipare il più possibile il ritorno in cella  –:
          quali urgenti iniziative si intendano assumere al fine di far rientrare la Casa Circondariale di Regina Coeli nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
          quali provvedimenti di competenza ritengano opportuno adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
          se non si intenda urgentemente rivedere il numero degli agenti di polizia;
          se non si intenda urgentemente rivedere il numero degli agenti di polizia penitenziaria attualmente assegnato presso il predetto istituto di pena posto che lo stesso risulta attualmente gravemente sottodimensionato e, a causa di ciò, foriero di gravi disfunzioni sia per la vita dei reclusi, sia per le condizioni di lavoro degli agenti;
          se si intenda intervenire immediatamente per ridimensionare la drastica diminuzione della presenza di psicologi, permettendo agli psicologi già in funzione per poche ore mensili di passare alle ASL come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, in quanto operatori sanitari;
          se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, di formazione, sportive e scolastiche;
          in che tempi si prevedano la ristrutturazione della V sezione di Regina Coeli e la sua riapertura;
          se siano stati presi in considerazione progetti di chiusura dello storico istituto romano. (5-07838)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 1o maggio 2011 la prima firmataria del presente atto e il senatore Marco Perduca sono andati a visitare il carcere di San Vittore a Milano, accompagnati dal Segretario dell'Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato e dai dirigenti e militanti radicali Giulia Crivellini, Lorenzo Lipparini, Lucilla Bertolli, Susanna Tanzi, Marco Loiodice e Cristina Stellini;
          nel corso della visita ispettiva la delegazione è stata accompagnata dall'ispettore superiore Mario De Michele e, in alcuni momenti, dalla direttrice dell'istituto, dottoressa Gloria Manzelli; le sezioni visitate sono state la terza, la quinta, le sesta, il cosiddetto centro clinico e la sezione femminile; la seconda e la quarta sezione sono chiuse ma perché dichiarata totalmente inagibile e l'altra in ristrutturazione;
          il 1o maggio erano presenti nel carcere di San Vittore 1.641 detenuti, 1.537 uomini e 104 donne a fronte di una capienza regolamentare consentita di 712 posti; la dislocazione dei ristretti era la seguente: reparto penale 109, 3o reparto 317, 5o reparto 469, 6° reparto 540, 7o reparto 102; 12 delle 104 donne sono detenute con i loro bambini presso l'ICAM; un bambino era invece detenuto in cella con sua madre perché arrivati nella notte; il 65 per cento dei detenuti sono stranieri e il 70 per cento sono in attesa di giudizio; i tossicodipendenti dichiarati sono 230; i casi psichiatrici sono circa 400; la carenza di organico della polizia penitenziaria è notevole: a fronte di una «forza» stabilita dal Ministero di 990 unità, gli agenti effettivamente presenti sono 34 donne e 308 uomini; il riepilogo dei distacchi e delle assenze della polizia penitenziaria, mostra, infatti, questo quadro: distaccati N.T.P. (nucleo traduzioni e piantonamenti) – P.R.A.P. (provveditorato generale) – procura – tribunale di sorveglianza – U.E.P.E. (ufficio esecuzione penale esterna) – distacchi sindacali – Fiamme Azzurre: 15 donne e 229 uomini; distaccati in missione: G.O.M. (gruppo operativo mobile) – Altri istituti (Bollate, Opera): 7 donne e 60 uomini; distaccati reparto medicina penitenziaria dell'ospedale San Paolo e presso ICAM: 9 donne e 26 uomini; malattie, aspettative, ospedale civile e militare: 9 donne e 74 uomini; congedi ordinari e straordinari – parentali: 7 donne e 56 uomini; riposi settimanali e recuperi ore: 14 donne e 104 uomini; mandati politici ed amministrativi: 32 uomini; sospesi dal servizio: 2 uomini;
          il dato del sovraffollamento è veramente allarmante: la delegazione ha visitato celle di 7 metri quadri ove erano ristretti tre detenuti e celle di 13 metri quadri dove ce ne erano 9 o 10; d'altra parte, l'amministrazione non fornisce i mobili per riporre gli effetti personali né gli sgabelli per tutti i detenuti perché altrimenti diverrebbe pressoché impossibile muoversi all'interno della cella; cella ove quasi tutti i detenuti passano almeno 20 ore al giorno nella più completa inattività; i detenuti che lavorano, infatti, sono in tutto 280 (meno del 20 per cento) per un periodo limitato ed esclusivamente alle dipendenze dell'amministrazione per mansioni interne all'istituto poco qualificanti (pulizie, porta-vitto, e altro); per questa situazione, la delegazione è dell'avviso che i detenuti siano vittime di trattamenti disumani e degradanti;
          a paragone di altri istituti di analoghe dimensioni e sovraffollamento, l'igiene nelle celle è accettabile sia per la buona volontà dei detenuti sia perché l'amministrazione, nonostante i tagli, fornisce detersivi, stracci, scope e spazzoloni necessari alla pulizia;
          per quel che è stato possibile notare durante la visita ispettiva i rapporti fra detenuti e agenti sono ispirati alla reciproca comprensione, considerata l'emergenza in corso per gli uni e per gli altri;
          non solo le celle, ma anche le caserme ove alloggia la polizia penitenziaria sono poco dignitose: si tratta sostanzialmente di stanze-celle con sbarre alle finestre, senza bagno e doccia, ove alloggiano 2 agenti e altri due si appoggiano usandole come spogliatoi;
          solo nel reparto «la nave» che ospita circa 60 detenuti tossicodipendenti quasi tutti in cura metadonica è stato possibile riscontrare attività trattamentali volte al recupero sociale dei reclusi: celle aperte, attività varie dalla mattina fino alle 16 30 del pomeriggio; contatto costante con personale qualificato in particolare psicologi;
          le transessuali si trovano in celle del reparto protetto e lamentano il mancato accesso alle cure ormonali cui si sottoponevano prima di essere arrestate;
          il cosiddetto «centro clinico» è abbastanza carente e sarebbe meglio definirlo «una grande infermeria», visto che le visite specialistiche, gli interventi chirurgici anche semplici e i ricoveri vengono effettuati all'esterno con le conseguenti problematiche di traduzioni e piantonamenti che pesano sull'organico già carente degli agenti; si registrano, per esempio, 5/6 casi di dialisi al giorno che si effettuano all'esterno perché il centro clinico non è attrezzato; solo ad un'osservazione superficiale, la delegazione ha riscontrato alcuni casi che vanno segnalati: un detenuto del V reparto, M.R da quattro mesi ha una sacca esterna che definisce «la borsa in pancia», afferma di non aver ricevuto risposta alla sua richiesta di cure mediche e nuova operazione chirurgica; al VI reparto, nella cella 432 un detenuto ha una scheggia di vetro nella mano, ma nessun medico lo ha visitato in 15 giorni; S.M (matricola 136891) è stato operato ai denti, ma in carcere nessuno ha più provveduto a mettergli una dentiera e soffre moltissimo quando mangia;
          quanto alle condizioni di vita degli stranieri, in molti lamentano di non avere un'adeguata assistenza legale, molti sono infatti coloro che sono assistiti da un avvocato d'ufficio e che ricevono poche informazioni sulla loro condizione processuale; per i musulmani non esiste nell'istituto una stanza per il loro culto e nelle celle, dato il sovraffollamento, è quasi impossibile pregare; alcuni lamentano il fatto che le domande per accedere ai corsi di italiano sono ferme da due mesi; difficoltà si registrano da parte di coloro che, non avendo familiari in Italia, chiedono di poter telefonare sui telefoni cellulari o perché i congiunti non dispongono di un apparecchio fisso o perché è difficile raggiungerli a casa;
          nel carcere di San Vittore sono pressoché inesistenti palestre o luoghi attrezzati ove poter svolgere un minimo di attività fisica almeno durante le ore d'aria; gli unici posti accessibili sono i cosiddetti «passeggi» peraltro squallidi e superaffollati, dove il pallone viene concesso solo due volte alla settimana;
          secondo i dati forniti dall'amministrazione, dovrebbero essere una cinquantina i detenuti che si trovano ristretti solo per il reato di clandestinità e che, in base al pronunciamento della Corte europea di giustizia, dovrebbero essere scarcerati;
          nel VI reparto tutte le celle sono da 6 letti in uno spazio di 12 metri quadri; dalle bocche di lupo non passa la luce e molte celle hanno la disposizione dei letti tale per cui è impossibile aprire la finestra  –:
          quali urgenti iniziative si intendano assumere al fine di far rientrare la casa circondariale di San Vittore a Milano nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
          quali provvedimenti di competenza ritengano opportuno adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
          se la ASL abbia rilasciato i periodici documenti di idoneità dell'istituto, a che data risalga l'ultimo, cosa abbia scritto, nel rilasciare la certificazione, in merito al sovraffollamento delle celle detentive, allo stato della struttura edilizia, degli impianti elettrico idraulico e di riscaldamento, degli infissi, all'idoneità del centro clinico;
          se non si intenda sollecitare una maggiore collaborazione tra amministrazione e ASL affinché possa essere garantito il diritto alla salute dei detenuti;
          se non si intenda urgentemente rivedere il numero degli agenti di polizia penitenziaria attualmente assegnato presso il predetto istituto posto che lo stesso risulta attualmente gravemente sottodimensionato e, a causa di ciò, foriero di gravi disfunzioni sia per la vita dei reclusi, sia per le condizioni di lavoro degli agenti e di tutto il personale;
          come intenda porre freno ai tanti distacchi del personale della polizia penitenziaria;
          se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali dei detenuti, in particolare quelle lavorative, di formazione, sportive e scolastiche;
          in che tempi sia stato previsto il completamento dei lavori della sezione in ristrutturazione e se i fondi stanziati siano sufficienti;
          se si prevedano progetti di ristrutturazione delle caserme degli agenti di polizia penitenziaria;
          se siano stati presi in considerazione progetti di chiusura dello storico istituto milanese e, nel caso, se ritenga il Ministro della giustizia di renderli noti. (5-07839)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n.  28, recante attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n.  69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali è stato emanato il decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n.  180 «Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi;
          l'articolo 5 del decreto ministeriale n.  180 del 2010 fissa, al comma 3, il termine di 40 giorni per la conclusione del procedimento di iscrizione nel registro degli organismi di mediazione e nell'elenco dei formatori per la mediazione e, al comma 4, prevede l'iscrizione in caso di assenza di risposta del responsabile, introducendo così il principio del silenzio assenso per i soli enti che hanno richiesto per la prima volta l'iscrizione;
          gli organismi e gli enti già accreditati, costituiti in data antecedente al 4 novembre 2010, subiscono una discriminazione palese con notevoli danni, a causa dei tempi indefiniti di risposta determinati dall'applicazione dell'articolo 5 del decreto ministeriale n.  180 del 2010  –:
          quali atti saranno emanati al fine di eliminare ogni palese discriminazione che scaturisce dall'applicazione dell'articolo 5, comma 3 e 4, del decreto ministeriale n.  180 del 2010, affinché vi sia un trattamento paritario degli organismi di mediazione e degli enti di formazione già costituiti, prevedendo l'applicazione analogica del comma 4 dell'articolo 5 del decreto ministeriale anche per le istanze di accreditamento di ulteriori formatori, di ulteriori mediatori, di ulteriori sedi territoriali, nonché per l'approvazione dei regolamenti di procedura redatti successivamente al decreto ministeriale n.  180 del 2010, consentendo a Tutti di poter operare nelle stesse condizione, come sempre fatto, nel rispetto della legge. (5-07840)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica del giorno 8 maggio 2011, un uomo di 62 anni, Luciano B., si è ucciso nel carcere torinese di Le Vallette con un cappio ricavato da un lenzuolo approfittando dell'ora d'aria e si uccide con un cappio ricavato da un lenzuolo;
          l'uomo era finito in carcere pochi giorni prima, schiacciato o sconvolto da accuse pesantissime (violenza sessuale aggravata), tutte ancora da dimostrare;
          l'indagine contro Luciano B., tenuta coperta dalla procura e dalla polizia, così come lo scattare delle manette, era in una «fase delicata». Il sostituto procuratore titolare del fascicolo, dottor Dionigi Tibone, a inizio settimana aveva impresso un'accelerazione all'inchiesta. Si temeva che l'uomo potesse entrare in contatto con una delle vittime, in tempi ravvicinati. Ed allora è stato firmato un decreto di fermo del pubblico ministero, per evitare di lasciarlo libero di muoversi e incontrare persone da proteggere. Il giudice per le indagini preliminari non ha convalidato l'arresto, fatto da personale della questura, ma ha comunque disposto la custodia in carcere;
          alle strapiene celle del carcere Le Vallette, stando agli accertamenti interni e alle prime verifiche della stessa procura, l'uomo ha seguito la trafila prevista per tutti i «nuovi giunti». «Fotosegnalamento», registrazione delle impronte digitali, colloquio d'ingresso. È stato visitato dal medico di turno, come d'obbligo, e da uno specialista, chiamato a valutare e misurare la propensione a gesti estremi. Non è stato classificato a rischio suicidio. Gli è stato assegnato un posto nel padiglione C, quinta sezione –:
          se intenda riferire sui fatti esposti in premessa;
          se sia noto quali siano stati gli esiti del colloquio del detenuto morto suicida con lo psicologo specialista all'atto del suo ingresso in carcere;
          se sia stata aperta una indagine amministrativa interna volta a fare piena luce sulle cause che hanno provocato il suicidio del detenuto Luciano B., e quali ne siano stati gli esiti. (5-07841)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 5 maggio 2011, nel corso del telegiornale serale andato in onda su RAI Uno, è stato trasmesso il servizio relativo all'arresto dell'ex manager della Parmalat Calisto Tanzi;
          nel corso di esso è stata proiettata (con tanto di audio) l'immagine di alcuni funzionari della Guardia di finanza che, recandosi sotto l'abitazione del condannato, suonavano al citofono presentandosi, alla moglie che aveva risposto, come i militari incaricati dell'arresto;
          sempre nel corso di servizi mandati in onda nel corso dei telegiornali capita di assistere ad alcuni video che riprendono – in violazione della legge – cortei urlanti di incappucciati appartenenti alle forze dell'ordine mentre «scortano» in manette l'arrestato di turno; oppure a persone trascinate fuori dalle questure con gli schiavettoni ai polsi;
          le foto e le immagini di persone in manette contrastano con quanto disposto dall'articolo 114, comma 6-bis, del codice di procedura penale («è vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta»)  –:
          quali provvedimenti urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché «spettacoli» del genere non abbiano più a ripetersi. (5-07842)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Sicilia del 4 maggio 2011, è apparso un appello dei familiari di Franco Miduri, 26enne augustano, nel quale si chiede che il detenuto venga sottoposto ad un intervento chirurgico urgente;
          nell'appello i familiari dell'uomo, detenuto nel carcere di Cavadonna, scrivono: «Non sono bastati gli appelli al Tribunale, non è bastata la diagnosi del consulente Goliardo Suber, che ha confermato il danno allo scafoide carpale. Franco da subito dopo l'arresto ha lamentato forti dolori al polso. Il dottor Suber richiedeva la rimozione della prima ingessatura, troppo stretta. Con il trascorrere delle settimane il dolore e il fastidio non passavano e quindi il dottor Suber, come consulente di parte, richiedeva al Tribunale che venisse effettuata una radiografia particolare e, quindi, un intervento chirurgico urgente al polso. La seconda visita avveniva insieme a due consulenti di parte nominati dal giudice. Questi, a differenza di Suber, concludevano che la «frattura e la condizione del paziente erano compatibili con la permanenza in carcere»;
          per il consulente tecnico di parte, «l'uomo ha urgente bisogno di essere sottoposto ad un intervento chirurgico per sistemare la lesione carpale. Da questo punto di vista sarebbe opportuno eseguire una particolare radiografia che, sono certo, evidenzierebbe il sospetto della lesione»  –:
          quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché al detenuto in questione venga garantito il diritto alla salute.
       (5-07843)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia AGI del 2 maggio 2011, nel carcere di Messina è scoppiato l'allarme sanitario dopo che a un detenuto ventiduenne della Costa d'Avorio, ricoverato al policlinico della città dello Stretto, è stata diagnosticata una forma di tubercolosi conclamata;
          la denuncia è stata fatta dal segretario generale della Uil-pa Penitenziari, Eugenio Samo, che sulla vicenda ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Se le autorità penitenziarie, sanitarie e politiche avessero avuto accortezza ed attenzione alle nostre pubbliche denunce sulla incompatibilità igienico-sanitaria del carcere di Messina, formulate dopo la nostra visita del 18 febbraio, oggi, forse, non dovremmo essere costretti a parlare di una preoccupante emergenza sanitaria. Ciò che ci preoccupa è che nonostante la patologia sia stata diagnosticata da almeno tre giorni nessun intervento di profilassi è stato eseguito nella struttura detentiva e nei confronti del personale e dei detenuti che sono stati, inconsapevolmente, a contatto con il detenuto malato. Responsabilmente, invece, occorre intervenire con urgenza per scongiurare i rischi di contagio»;
          il detenuto affetto da tubercolosi è stato assegnato a Messina nell'ottobre del 2010, proveniente dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, per avvalersi delle cure al centro clinico dell'istituto penitenziario messinese a causa di un tumore epatico;
          l'interrogante ha più volte esposto la preoccupante situazione del carcere di Messina Gazzi con atti di sindacato ispettivo alcuni dei quali presentati a seguito di visite (interrogazioni 4/07241 - 4/09074 - 4/09270 - 4/09625 - 4/10121 - 4/08158 - 5/04582)  –:
          se il personale penitenziario e i detenuti reclusi nel carcere di Messina siano stati tempestivamente sottoposti ad un intervento di profilassi;
          quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di scongiurare il diffondersi di casi di tubercolosi all'interno della struttura penitenziaria messinese.
(5-07844)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in un appello indirizzato il 6 maggio 2011 al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, il segretario generale dell'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Leo Benedici, ha scritto quanto segue: «L'amministrazione penitenziaria centrale, ovvero il cosiddetto Dap, continua a sottovalutare, con conseguenze gravissime, le reali condizioni del personale femminile di polizia penitenziaria addetto agli istituti e alle sezioni detentive destinati alle detenute di sesso femminile»;
          ed invero benché il personale femminile di polizia penitenziaria sia il 6,9 per cento nell'organico complessivo del corpo (3.074 su 44.620 unità) e le detenute siano mediamente il 4,6 per cento della popolazione detenuta nazionale di circa 67.600 soggetti, si continuano a trasferire le agenti agli istituti maschili o, peggio, a destinarle ad uffici ministeriali o presso segreterie politiche;
          sempre secondo quanto riportato dalla Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, nella sezione femminile della casa circondariale di Firenze-Sollicciano, in cui alloggiano 107 detenute, alcune delle quali con gravi problemi psichici e 7 bambini in tenerissima età, sono impiegate solo 1 o 2 agenti per turno, oppure presso il più grande istituto femminile d'Italia di Roma-Rebibbia per quasi 400 detenute ci sono solo 90 agenti delle 160 previste  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di aumentare l'organico del personale femminile della polizia penitenziaria;
          se intenda richiamare il personale femminile della polizia penitenziaria assegnato presso gli istituti di pena maschili o, peggio, presso gli uffici ministeriali o le segreterie politiche. (5-07845)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in diversi tribunali della Repubblica sono ancora in uso (o lo sono stati fino a pochissimo tempo fa) dei moduli pre-stampati e pre-compilati dove, sostanzialmente, si prevede che in sede di separazione legale dei coniugi l'istituto dell'affido condiviso dei figli di cui alla legge n.  54 del 2006 possa essere regolato esclusivamente con l'attribuzione del cosiddetto «domicilio prevalente», ossia con l'allocazione automatica del minore alla madre, il che non è previsto dalla vigente normativa;
          ora, grazie all'associazione ADIANTUM, si è scoperto che nemmeno il Ministero della giustizia è esente da questa responsabilità, in quanto in alcune pagine del suo sito internet (http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_3_1_5.wp?tab=m&contentId=USC5084) è contenuto un chiaro riferimento ad un modulo (scaricabile), attribuibile al tribunale di Brescia, contenente il riferimento al cosiddetto «domicilio prevalente» della madre in cui si legge espressamente che, in automatico, il minore viene allocato prevalentemente presso la madre, ciò a dispetto dello spirito e della ratio della legge n.  54 del 2006;
          la tale circostanza è estremamente grave dato che in questo modo, da un lato, il Ministero della giustizia fornisce un avallo indiscutibile ad una pratica discutibilissima e, dall'altro, lo stesso dà prova di essere a conoscenza di tale pratica;
          sulla vicenda il legale dell'associazione ADIANTUM, avvocato Davide Romano, ha emanato la seguente nota: «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore». Non è una speranza utopica, ma esclusivamente quanto stabilisce l'articolo 12 delle disposizioni di legge in generale; vale per tutti, ma soprattutto per chi le leggi le deve applicare istituzionalmente. Eppure, sembra che questo principio a volte sfugga ad alcuni magistrati che è vero che «sono soggetti soltanto alla legge» ex articolo 101 comma secondo Cost., ma è altrettanto vero che alla legge debbono essere soggetti, onde evitare quel sentirsi «legibus soluti» che porta all'arbitrio di un potere magistratuale assoluto, non difforme dall'autarchia. E forse, il nostro Paese non merita regimi, di nessun tipo, siano essi politici, militari o magistratuali. Ed allora, dinanzi a comportamenti espressamente violativi delle leggi vigenti da parte della magistratura (melius, una parte di essa: solo una parte), non si può rimanere inermi e si deve ricorrere ad ogni strumento giuridico per arginare fenomeni di sfrontata violazione del sistema giuridico, di inammissibile inapplicazione della legge, di evidente scientifica strategia di disapplicazione di una legge dello Stato. Queste sono le ragioni sostanziali della diffida che ADIANTUM ha formulato al Ministero della giustizia affinché ponesse in essere i (pur vero limitati) sistemi per evitare una cronica inapplicazione della legge 54/2006 afferente al principio generale dell'affido condiviso del minore ad entrambi i genitori, anche in caso di separazione/divorzio. È evidente che alcuni Tribunali sembrano disapplicare la normativa vigente e collochino «prevalentemente» ed automaticamente il minore presso uno dei due genitori (spesso la madre), affezionati a quel retaggio storico di inciviltà giuridica che calpesta il diritto del minore alla conservazione di entrambi i genitori, e distruggendo duemila anni di evoluzione giuridica per tornare con la memoria al potere di potestà della civiltà arcaica romana o delle sacre scritture bibliche in cui il figlio è solo oggetto e mai soggetto di diritti. È per questo che ADIANTUM, nel pieno silenzio dell'Istituzione politica (il Ministero della giustizia) ha presentato una class action al TAR Lazio evidenziando il comportamento omissivo del Ministero nel munirsi di strutture che eliminino la disfunzione organizzata di parte della magistratura nella disapplicazione della legge 54/2006. È per questo che si attendeva con la speranza e la convinzione di una diversa strutturazione dell'apparato statuale per il rigoroso rispetto della legge e della costituzione l'udienza di discussione fissata dal TAR Lazio per il prossimo 26 ottobre 2011. Ma tutte le speranze si infrangono dinanzi ad una realtà che sembra irridente del diritto dei minori a conservare entrambi i genitori. Infatti, è proprio il Ministero della giustizia, nel proprio sito ufficiale, ad allegare (così sostanzialmente suggerendolo) il modulo prestampato redatto dal tribunale di Brescia per la presentazione della domanda di separazione consensuale dei coniugi, in cui si legge espressamente che, in automatico, il minore viene allocato prevalentemente presso la madre ! A questo punto appare evidente che il comportamento del tribunale di Brescia si appalesa come offensivo della giuridicità del sistema ed il Ministero della giustizia concorrente nell'offesa. Infatti, ci si pone l'immediato problema di quale sia la funzione del magistrato nella valutazione del caso concreto per la verifica dell'applicazione della legge 54/2006, laddove si rediga un modulo prestampato che diseguagli automaticamente uno dei due genitori. Non si contesta il diritto proprio del magistrato di applicare il collocamento prevalente presso uno dei due genitori laddove lo ritenga opportuno nel caso concreto, ma il criterio di prevedere una figura prevalente tra i genitori senza e prima dell'analisi del caso concreto. Non possiamo pensare che il tribunale di Brescia voglia volontariamente pregiudicare automaticamente il diritto del minore alla conservazione paritaria di entrambi i genitori e siamo convinti che si sia trattato di un mero errore nella redazione del modulo prestampato (magari nel tentativo di defaticare la mole di lavoro insostenibile a cui i magistrati debbono giornalmente far fronte). Ma simili errori non possono capitare, avallati dal Ministero della giustizia, in un Paese che vanta una millenaria civiltà giuridica. La magistratura ha un fondamentale compito, nel sistema giuridico italiano, quale è quello di applicare la legge al caso concreto; spesso, i magistrati non sono aiutati in questo (a volte ingrato) compito, e dovrebbero essere facilitati ed agevolati nello svolgimento del proprio lavoro; ma in alcuni casi sembra che rinuncino allo svolgimento dei propri compiti, rimettendo ad un modello generale le proprie decisioni, ad un modello a volte redatto con la dimenticanza della vigenza di una legge dello Stato. È per questo che si provvederà a denunciare questa disfunzione di sistema alla Corte di Giustizia Europea. Non si può rimanere inermi dinanzi al tentativo di eliminazione giuridica di una delle due figure genitoriali a discarico di chi rischia di crescere «sostanzialmente orfano» di uno dei genitori per decisione effettuata «in nome del popolo»  –:
          se non intenda disporre l'immediata rimozione dal sito ufficiale del Ministero della giustizia della modulistica disponibile presso il tribunale di Brescia ad oggetto «ricorso per separazione consensuale dei coniugi»;
          quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di garantire la piena applicazione della legge n.  54 del 2006 in modo tale che i minori, anche dopo la separazione dei coniugi, possano continuare a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i loro genitori. (5-07846)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI del 5 maggio 2010, le condizioni di salute di Antonino Santapaola, 56enne, persona sottoposta al duro regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, sono notevolmente peggiorate;
          a tal proposito il professor Carlo Rossetto, medico legale incaricato dalla quarta sezione del tribunale di Catania di redigere una perizia clinica sul fratello del boss Antonino Santapaola ha detto quanto segue: «Le condizioni psichiatriche di Antonino Santapaola, 56 anni, affetto da schizofrenia paranoide cronica associata a debolezza mentale con in atto depressione ansiosa, sembrano passare in secondo piano rispetto alle condizioni cliniche generali di salute»;
          secondo i legali dell'uomo, gli avvocati Giuseppe Lipera e Grazia Coco, «Antonino Santapaola mostra chiari segni di aggravamento della sofferenza fisica e psichica. Peraltro, da un recente esame ecodoppler, eseguito il mese scorso, si è rilevato una “sindrome post trombotica dell'arto inferiore sinistro con insufficienza valvolare della vena femorale superficiale e poplitea”, a conferma delle sue scadenti condizioni di salute»  –:
          se, alla luce del grave quadro clinico e delle precarie condizioni di salute in cui versa il detenuto non intenda sospendere momentaneamente l'applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario disposto a suo tempo nei confronti di Antonino Santapaola.
(5-07847)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano Il Mattino del 1o maggio 2011, è apparso un articolo intitolato «Benevento, detenuto tenta il suicidio con una lama da barba, in prognosi riservata»;
          secondo una prima ricostruzione l'uomo, G.M., un ventottenne siciliano, recluso presso la casa circondariale di contrada Capodimonte, ha tentato di togliersi la vita tagliandosi il collo con una lametta da barba ed ora è ricoverato in prognosi riservata;
          poco più di un anno fa – era l'8 aprile del 2010 – lo stesso carcere di Benevento era stato teatro di un'altra tragedia, quella della morte di un 39enne di Napoli che, coinvolto tre mesi prima in un blitz della direzione distrettuale antimafia contro un clan camorristico, aveva cominciato a collaborare con la giustizia ma non era ancora stato ammesso al programma di protezione. L'uomo era stato trovato impiccato nella cella che occupava dal 2 febbraio: aveva legato un capo di una calzamaglia da sport alla cerniera della porta, poi si era stretto l'altro al collo e si era lasciato andare  –:
          se nei confronti del detenuto G.M. risulti siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza, protettive ed educative previste e necessarie;
          se risulti coperto l'organico previsto per ogni ruolo operativo nel carcere di Benevento;
          se il numero degli educatori e degli psicologici assegnato presso la struttura penitenziaria di contrada Capodimonte risulti sufficiente a garantire i diritti delle persone ivi recluse. (5-07848)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del 4 luglio 2011; un uomo, dall'altezza di due metri e dieci centimetri, è stato recentemente rinchiuso nel carcere sardo di Buoncammino;
          a causa dell'altezza fuori dal normale, il detenuto non ha un letto adeguato, né vestiario e scarpe adatte alla sua stazza, sicché la sua condizione di vita sta divenendo sempre più insostenibile in un ambiente reso ancora più difficile dal sovraffollamento e dal caldo;
          l’handicap dell'altezza rende di fatto la permanenza dell'uomo incompatibile con una struttura come quella di Buoncammino; oltre all'impossibilità di disporre di un letto adeguato alle sue dimensioni, che lo costringe a dormire rannicchiato o addirittura a terra, per il detenuto in questione vi sono problemi legati sia all'uso degli spazi della cella sia a quelli comuni, al vestiario, alle scarpe, e per l'alimentazione che dovrebbe essere adeguata alle necessità;
          l'uomo ha più volte chiesto di essere trasferito in un istituto penitenziario del Piemonte, regione dove risiedono alcuni parenti  –:
          se il Governo non intenda, per il caso di specie, intervenire affinché venga garantito al detenuto in questione il diritto ad un trattamento che tenga conto della situazione di una persona alta oltre due metri, per la quale in tutta evidenza l'incompatibilità con la struttura carceraria di Buoncammino, del tutto inadeguata al soddisfacimento del bisogni primari di questa persona, diviene assoluta ed indiscutibile;
          se non si intenda disporre l'immediato avvicinamento del detenuto ai suoi parenti e, quindi, il suo trasferimento in un istituto penitenziario del Piemonte, purché strutturalmente adeguato ad accoglierlo. (5-07850)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          dal 1o luglio 2011 il Coordinamento sindacale unitario della polizia penitenziaria assegnata presso la casa di reclusione di Rossano ha decretato l'astensione dal consumare il pranzo e la cena, astenendosi dall'esercitare un diritto riconosciuto a tutti i lavoratori comandati in attività di servizio;
          all'iniziativa ha aderito la totalità del personale in attività di servizio;
          la decisione presa dalle organizzazioni sindacali è dovuta al disinteresse dimostrato dal Ministro della giustizia e dai vertici dell'amministrazione penitenziaria relativamente alla condizione lavorativa, al riconoscimento dei diritti e alle tante problematiche sollevate da tempo dagli agenti penitenziari della casa di reclusione di Rossano;
          in particolare, le organizzazioni sindacali chiedono agli organi competenti di procedere nell'immediato: a) alla rivisitazione della pianta organica; b) all'integrazione dell'organico di polizia e del personale amministrativo/contabile; c) all'istituzione di una commissione per la definizione dei carichi di lavoro; d) al ripristino dell'orario ordinario di servizio; e) alla stabilizzazione definitiva del personale distaccato ad altre sedi; f) alla integrazione dell'organico destinato alla gestione dei terroristi; g) alla fissazione della capienza massima della popolazione carceraria ospitabile; h) alla dotazione di mezzi di trasporto personale e detenuti; i) alla liquidazione degli arretrati straordinario e missioni; l) alla rimodulazione della fascia di collocazione dell'istituto  –:
          quali iniziative abbia predisposto il Ministero della giustizia per andare incontro alle necessità della polizia penitenziaria assegnata presso la casa di reclusione di Rosario specificatamente segnalate in premessa. (5-07851)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con lettera circolare GDAP-0068960-2011 ed oggetto «Direttive per l'applicazione della legge 193/2000 (Smuraglia) – Agevolazioni contributive», il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha rilevato, all'esito dell'esame del monitoraggio relativo all'anno 2009, l'avvenuto superamento dei limiti di budget previsti dal decreto n.  87 del 25 febbraio 2002 («Regolamento recante sgravi fiscali alle imprese che assumono lavoratori detenuti»), attuativo della legge n.  193 del 2000 (Smuraglia). In conseguenza di ciò, alla luce quindi dello stato delle cose rilevato al 31 dicembre 2009 ed ai dati relativi al primo semestre 2010, e tenuto inoltre conto del trend in costante crescita delle posizioni lavorative dei detenuti e quindi degli sgravi richiesti dalle imprese e cooperative, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha ritenuto quindi indispensabile procedere ad una esistente riduzione del budget che dovrà essere considerato a disposizione di ogni provveditorato regionale per le attività lavorative dei detenuti (sia per quelli ristretti in carcere, sia per quelli ammessi ad una qualche misura alternativa alla detenzione);
          a seguito della citata circolare, l'associazione Antigone ha lanciato un appello intitolato: «Lavoro uguale sicurezza, lavoro uguale carceri meno affollate. Contro i tagli alle cooperative sociali, ai consorzi, alle imprese», il cui testo è il seguente: «Sono finiti i soldi. Così l'amministrazione penitenziaria sta giustificando le proprie disposizioni con le quali ha creato il panico nelle carceri italiane. Non vi sarebbero più soldi per pagare i contributi a favore di quelle cooperative e imprese che hanno assunto detenuti dentro il carcere o detenuti fuori dal carcere. Si tratta di un tipico taglio non ragionato. Se ciò dovesse essere confermato, così come pare, migliaia di detenuti in misura alternativa rientreranno in carcere in quanto licenziati dai loro datori di lavoro andando a peggiorare una situazione di affollamento penitenziario già insopportabile. Non arrivano segnali dal Ministero della giustizia diretti a risolvere il problema. Cooperative sociali, consorzi, associazioni, imprese non sarebbero nelle condizioni di proseguire nei loro lavori. Noi chiediamo al Dap di usare tutti soldi della Cassa delle ammende, compresi i milioni già promessi per progetti non ancora avviati oppure le decine di milioni messe da parte per l'edilizia penitenziaria, allo scopo di dare copertura finanziaria alla legge Smuraglia quanto meno sino alla fine dell'anno. Non fare questo ora sarebbe un errore tragico»  –:
          se il Governo non intenda assumere iniziative per destinare i fondi della Cassa delle ammende, e/o parte dei soldi accantonati per l'edilizia penitenziaria, al fine di dare copertura finanziaria alla legge n.  193 del 2000 (cosiddetta «Smuraglia»). (5-07852)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 4 luglio 2011, un agente di polizia penitenziaria, Giuseppe P., 35enne, assistente capo in servizio presso il carcere di Parma, si è tolto la vita dopo aver fatto rientro nel suo paese di origine, in provincia di Crotone;
          il segretario generale del Sappe, Donata Capece, ha commentato: «Al di là dei problemi personali del collega, che da poco aveva perso la madre ciò che purtroppo constatiamo per l'ennesima volta è la sottovalutazione dello stress psico-fisico del lavoro quotidiano degli agenti nelle sovraffollate carceri italiane. Controllare 69mila detenuti è diventato anche pericoloso, visto che ciascun poliziotto penitenziario si trova a dover sorvegliare anche più di cento detenuti per volta. E che dire poi della istituzione del punti di ascolto psicologico che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aveva preannunciato nel 2008, quando a capo del Dap c'era Ettore Ferrara, predecessore di Franco Ionta. Non se ne è fatto nulla per mancanza di risorse. I 50 psicologi che hanno vinto il concorso devono infatti essere ancora assunti, ma i tagli previsti dalle ultime manovre non lo consentono. Sollecitiamo l'Amministrazione a destinare al lavoro in carcere educatori e psicologi ora impiegati in altri compiti»;
          sempre più spesso ultimamente il mondo carcerario si misura con simili tragici eventi; i fenomeni di suicidio riguardano tanto i detenuti quanto i poliziotti penitenziari ed in entrambi i casi sono statisticamente superiori a quanto avviene fuori dal carcere;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, chi quotidianamente lavora all'interno di carceri sovraffollate, invivibili ed ingestibili, dovrebbe essere supportato al meglio nella propria attività, essere messo nelle condizioni di fare fronte al disagio ed allo stress derivanti dai proprio lavoro, evitando che coloro che tutti i giorni sono in prima linea a contatto con i detenuti siano i soli a farsi carico di una situazione sempre più difficile, il che significa organizzare il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria in modo da ridurre lo stress, superare la condizione di perenne sotto organico che obbliga questi ultimi a turni massacranti, fornire loro supporti anche di tipo psicologico  –:
          se siano state avviate eventuali indagini amministrative al fine di verificare le cause che hanno indotto l'assistente capo in servizio presso il carcere di Parma a togliersi la vita;
          se le autorità fossero a conoscenza del disagio psicologico dell'agente e se fossero state avviate tutte le procedure di precauzione per prevenire l'atto suicidale;
          se nel carcere al quale era assegnato l'uomo sia mai stato istituito un punto di ascolto con la presenza di psicologi;
          se non intenda istituire con urgenza un tavolo di confronto sul disagio del personale appartenente alla polizia penitenziaria, così come da tempo richiesto dalle varie organizzazioni sindacali;
          cosa intenda fare per aumentare significativamente l'organico degli agenti di polizia penitenziaria. (5-07853)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Città di Salerno del 4 luglio 2011, Carmine Parmigiano, 32enne, detenuto nel carcere di Rebibbia, sarebbe morto suicida in cella dopo quindici giorni di isolamento, in quanto, secondo una prima ricostruzione, non avrebbe retto al periodo di punizione seguito ad una violenta rissa scoppiata nel cortile della struttura detentiva romana;
          la procura ha disposto l'esame autoptico sull'uomo, mentre le prime notizie diffuse nel corso delle ultime ore parlano di uno «strangolamento auto provocato»: il giovane si sarebbe dunque impiccato;
          l'ultimo arresto nei confronti del detenuto morto suicida era arrivato nell'agosto 2010, con l'accusa di stupri, pestaggi e sequestri di persona con rapina al danni di prostitute e transessuali, in un giro di spedizioni romane concluse con gli arresti dello stesso Parmigiano, di Luigi De Prisco, 29 anni, e di una terza persona, il paganese Sabato Savastano, 21enne, già in carcere precedentemente alla misura  –:
          se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Rebibbia siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano state responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
          se non si intendano adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio che ogni anno si registrano all'interno delle strutture penitenziarie;
          se non ritenga che l'alto tasso di suicidi in carcere dipenda dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
          quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere. (5-07854)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 4 luglio 2011 il quotidiano La Gazzetta del Sud, in un articolo firmato da Giuseppe Mercurio, ha riportato la notizia che, per la rilevanza in merito al funzionamento della sanità in carcere, la prima firmataria del presente atto, ritiene di dover riportare integralmente: «In carcere senza farmaci, è grave. Aveva subito il trapianto di un rene e non le è stata somministrata la terapia. Il diritto alla salute e quello alle cure mediche deve essere garantito a tutti, sia alle persone libere sia a quelle detenute. Purtroppo però non sempre è così. Troppi i casi di malasanità nelle carceri italiane con detenuti che hanno rischiato e continuano a rischiare la vita nel migliore dei casi e, quelli più sfortunati, che sono morti. Sarebbe proprio un presunto caso di malasanità quello di cui è rimasta vittima Rosa Sacco, 29 anni, residente in viale Isonzo, coinvolta nel novembre 2010 nell'operazione Rinascita, effettuata dalla squadra Mobile della Questura catanzarese e che avrebbe, secondo le accuse, sgominato due associazioni a delinquere dedite al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, principalmente nella zona sud del capoluogo e, qualche settimana fa, nell'operazione Chiosco, effettuata congiuntamente da Polizia e Carabinieri, che ha portato all'arresto per spaccio di droga di 25 persone, al divieto di domicilio in Calabria per altre 10, con 7 indagati a piede libero e 3 ragazzini arrestati su disposizione del Tribunale dei minori. Rosa Sacco, dopo l'operazione Rinascita, è stata trasferita nel carcere di Potenza in quanto colpita dalla misura della custodia cautelare del carcere. Qui la donna avrebbe comunicato ai sanitari che 11 anni fa le era stato impiantato un rene. Un caso fortunato visto che non è facile trovare un organo compatibile. Per questo motivo il suo legale, l'avvocato Antonio Ludovico, ha presentato istanze di scarcerazione sia al giudice per le indagini preliminari sia al tribunale del Riesame per incompatibilità col regime carcerario. Tutte respinte. La giovane donna, quindi, avrebbe dovuto assumere un farmaco, il “Cellcept”, due volte al giorno per impedire da parte del suo organismo il rigetto dell'organo trapiantato. Questa terapia che la donna avrebbe dovuto assumere non le sarebbe stata somministrata dai sanitari della casa circondariale. C’è dell'altro. A seguito delle doglianze di Rosa Sacco, i sanitari si sarebbero limitati a somministrare dei tranquillanti. La donna, col passare del tempo, avrebbe notato che le sue condizioni di salute stavano peggiorando progressivamente sino a quando, poco tempo fa, sarebbe caduta a terra priva di sensi. Immediato il trasporto urgente e il ricovero nell'ospedale di Matera dove si trova tuttora ricoverata in gravi condizioni. Proprio per questo motivo non è stato potuto espletare l'interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari di Potenza, La Rocca, dopo l'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare dell'operazione Chiosco, perché, su un certificato medico rilasciato dal primario di nefrologia dell'ospedale di Matera, Rosa Sacco non è in grado di sostenere l'interrogatorio. La donna avrebbe voluto parlare, spiegare la sua posizione ma non è nelle condizioni di farlo. Proprio nei giorni scorsi l'avvocato Antonio Ludovico si è recato nell'ospedale di Matera per verificare di persona le condizioni di salute della sua cliente. “Sono rimasto mortificato e avvilito – ha detto – nel vedere una persona che è quasi un cadavere, riversa in un letto, piena di cerotti nella zona dell'esofago e della gola, e che a stento poteva parlare. La cosa ancora più grave è che la signora Sacco è tornata in dialisi. Ciò significa che la donna rischia di perdere il rene che le era stato impiantato undici anni fa. Questa situazione modificherà irreversibilmente lo stato di vita della signora Sacco e, per questo motivo, presenteremo alla Procura della Repubblica di Potenza un esposto dettagliato, denunciando i sanitari della casa circondariale di Potenza che non avrebbero permesso le cure mediche del caso e di tutti i sanitari che hanno avuto in cura la donna in questi mesi, che sono stati sordi a tutti gli appelli che ha fatto la mia assistita che, sistematicamente, tutti i giorni denunciava il fatto che stava malissimo e che non doveva interrompere la terapia. Ora, sul suo comodino all'ospedale di Matera c’è proprio una confezione di ’Cellcept’, il farmaco che le sarebbe stato negato. Ovviamente, nomineremo un consulente, chiederemo una perizia al giudice e non arretreremo davanti a nulla. Anche perché non è possibile, dopo la fatica fatta per trovare in passato un rene compatibile, che tutto questo lavoro per far stare bene una persona sia stato vanificato, secondo noi, da una mancata somministrazione dei farmaci adatti. Per non parlare del dolore dei familiari che si sono trovati la Sacco in dialisi. Sarà innocente o colpevole ma ciò non autorizza nessuno a negare le cure mediche del caso. Non è assolutamente accettabile”»;
          inoltre, sempre per rimanere nel tema della sanità nelle carceri lucane, la prima firmataria del presente atto, è venuta a conoscenza di un altro episodio riguardante, questa volta, il carcere di Matera, vicenda che ha avuto per protagonista il detenuto extracomunitario, Camara Naw;
          il 27 giugno 2011, Camara Naw che, particolare non irrilevante, tra pochissimi giorni avrà concluso il suo fine pena, si ustiona gravemente nel carcere di Matera. Dopo il ricovero in ospedale, il detenuto viene nuovamente tradotto in carcere il 2 luglio. Le prescrizioni dei sanitari ospedalieri prevedono una medicazione da farsi in carcere il 4 luglio e una seconda medicazione da effettuarsi in ospedale il 6 luglio;
          in base a quanto appreso dall'interrogante, sembrerebbe che in un primo momento i sanitari del carcere di Matera abbiano disposto che il detenuto venisse medicato direttamente nella cella, in un ambiente tutt'altro che sterile e che solo a seguito del rifiuto opposto dall'infermiere incaricato, Camara Naw sia stato medicato nell'infermeria del carcere, ambiente anche questo tutt'altro che idoneo in caso di ustioni così gravi  –:
          se quanto descritto in premessa corrisponda al vero;
          se risultino i motivi per i quali alla signora Rosa Sacco siano stati negati i farmaci antirigetto;
          se si intenda svolgere un'indagine amministrativa interna per chiarire come si siano svolti i fatti che hanno portato la signora Rosa Sacco a mettere così seriamente in pericolo la sua salute e la vita stessa;
          quanto alla vicenda di Camara Naw, se siano note le ragioni per le quali è stata disposta la medicazione in luoghi non sterili del carcere;
          quale sia lo stato di salute attuale del detenuto e se sia stata effettuata la medicazione in ospedale prevista per il 16 luglio;
          quale sia lo stato della sanità nelle due carceri lucane, se siano forniti ai detenuti malati i farmaci necessari e praticate le cure di cui hanno bisogno nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (5-07856)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 9 luglio 2011 la prima firmataria del presente atto ha visitato la casa di reclusione di Spoleto accompagnata da Irene Testa (segretaria dell'Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto) e Liliana Chiaramello (Radicali Italiani); la visita è stata guidata dal direttore Ernesto Padovani e dal comandante;
          quel giorno erano presenti in istituto 679 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 453 posti; in particolare, secondo un report del 29 giugno, quando i detenuti presenti erano 684, la situazione nei diversi circuiti penitenziari era la seguente: reclusione ordinaria, in 110 posti disponibili vi erano 258 detenuti; alta sicurezza 1, in 25 posti disponibili erano presenti 16 detenuti; alta sicurezza 3, in 125 posti disponibili erano presenti 233 detenuti; in 41-bis su 101 posti disponibili erano presenti 78 detenuti; nel circuito «protetti – promiscua» su 51 posti disponibili erano presenti 94 detenuti; non vi erano detenuti in infermeria, che ha una capienza di 21 posti, né nella sezione «transito» che ha 10 posti disponibili; dei 10 posti destinati ai semiliberi, vi erano 5 detenuti; nell'istituto non sono previsti, per mancanza di spazio e personale, le sezioni «prima accoglienza», «protetti omo/transessuali», «protetti/riprovazione sociale», «protetti/Forze dell'Ordine»; il sovraffollamento è così alto nelle sezioni AS3 e reclusione ordinaria che le stanze destinate alla socialità sono state sottratte alla ricreazione dei detenuti e occupate da 6/8 posti letto;
          il Corpo degli agenti di polizia penitenziaria è fortemente carente; se ci si riferisce, come giusto, al personale effettivamente in servizio, mancano ben 115 unità e questo deficit di presenze si ripercuote inevitabilmente sulle attività trattamentali che nel carcere di Spoleto, nonostante la buona volontà del direttore, sono molto limitate, arrivando a percentuali di accesso al lavoro sotto il 10 per cento nella sezione affollatissima dei detenuti comuni; il direttore ha fatto richiesta di qualche agente in più per garantire l'imminente piano ferie, ma ancora non ha ricevuto risposte;
          pur disponendo il carcere di Spoleto di locali destinati alle lavorazioni adeguatamente attrezzati, questi sono praticamente inutilizzati a causa della mancanza dei fondi destinati al lavoro dei detenuti; ad avviso della prima firmataria del presente atto, che ha visitato la falegnameria, la sartoria e la tipografia, rappresenta un vero spreco lasciare inutilizzati tutti quei macchinari che potrebbero impiegare un numero consistente di detenuti indirizzandoli ad un effettivo percorso riabilitativo; inoltre, chiunque abbia la fortuna di accedere ad una qualsiasi forma di lavoro nell'istituto penitenziario, deve essere visitato da un medico che deve essere appositamente retribuito, sottraendo il compenso dovuto dai già esigui fondi destinati alle mercedi per i detenuti;
          educatori e psicologi penitenziari sono figure professionali del tutto carenti nel carcere di Spoleto; infatti, sono solamente 4 gli educatori e 2 gli psicologi penitenziari ex articolo 80; questi ultimi possono dedicare solo qualche minuto al mese ai detenuti che hanno bisogno del loro supporto;
          nel carcere di Spoleto ci sono 88 ergastolani le metà dei quali in 41-bis; l'istituto non è nelle condizioni di garantire agli ergastolani l'isolamento notturno e il lavoro;
          per comprendere la mancanza di risorse, basti dire che per i lavori di manutenzione dell'istituto non ci sono risorse a disposizione e che è ormai inesistente il fondo destinato ai prodotti igienici, alla fornitura dei quali tenta di supplire la Caritas con sporadiche e comunque insufficienti donazioni;
          quanto ai cosiddetti «eventi critici», quest'anno si è verificato un suicidio in alta sicurezza, mentre gli atti di autolesionismo riguardano soprattutto i detenuti comuni, in particolar modo gli stranieri;
          quanto ai colloqui con i familiari, pur essendo stato abolito l'odioso e vietato muretto divisorio e pur concedendo la direzione la possibilità ai familiari di cumulare le ore mensili, il disagio dei visitatori è notevole per le file di ore che devono sopportare; anche per il personale di polizia penitenziaria lo stress è notevole visto che devono organizzare 700 colloqui differenziati per le diverse tipologie di detenuti;
          fra i casi incontrati nel corso della visita durata più di cinque ore si segnalano:
              G.R. ergastolano ostativo che ha rappresentato le sue continue idee suicidarie essendo materialmente impossibile per lui offrire una qualsiasi forma della «collaborazione» richiesta;
              A.D. è un giovane che si è visto costretto ad interrompere il corso di laurea in «consulenza del lavoro e delle relazioni aziendali» intrapreso con profitto negli anni di detenzione a Modena. Il caso, era stato già segnalato nell'interrogazione n.  4-11466 che ancora non ha ricevuto risposta;
          nel reparto di media sicurezza vi sono tantissimi detenuti che vivono lontanissimi dalla loro famiglia; per loro, lavorare in carcere è un miraggio; nella sezione 1A su 55 detenuti lavorano solo in due; in molti, pur essendo detenuti a Spoleto da molto tempo, affermano di non aver mai visto un educatore; tutti i detenuti sostengono che per un anno non ha funzionato il riscaldamento;
          N.D. albanese, ha la famiglia residente a Trento; separato, ha una bambina di 6 anni che non vede da tre; 4 mesi fa ha presentato la domanda per essere trasferito nel carcere di Trento, ma non ha ricevuto alcuna risposta;
          E.K. da lungo tempo attende di essere operata alla caviglia, afferma di es sere in lista di attesa all'ospedale Pedrera di Rimini, ma dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ancora non lo trasferiscono al a centro clinico;
          S.D.M.A. da tempo ha presentato domanda di trasferimento a Padova o Treviso o Venezia perché moglie e figli vivono a Venezia-Mestre, ma non ha ancora ricevuto risposta; inoltre, soffre di emorroidi e perde molto sangue, è in lista di attesa per essere operato ma non viene chiamato e soffre tantissimo;
          V.V. deve scontare ancora una lunga pena e vorrebbe intraprendere un percorso veramente riabilitativo impossibile a Spoleto; per questo, a marzo, ha chiesto di essere trasferito a Bollate, ma non ha ricevuto ancora risposta;
          T.H. macedone di 45 anni ha il fine pena nel 2020 ed è completamente sdentato; nel 2009 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria lo ha spostato a Spoleto proprio per fargli avere la dentiera, ma ancora non l'ha ricevuta e non riesce a mangiare;
          Z.A. deve scontare meno di due anni e da due anni è a Spoleto; ha fatto richiesta di trasferimento a Milano dove risiede la sua famiglia, non ricevendo risposta;
          C.B. albanese che deve scontare una lunga pena; stava a Rebibbia Nuovo complesso e, dopo la condanna definitiva, aveva chiesto di potersi spostare di poche decine di metri, a Rebibbia Penale, per intraprendere un vero percorso riabilitativo, ma lo hanno mandato a Spoleto;
          C.L. albanese che deve ancora scontare 9 anni e 4 mesi. Dal penale del carcere La Dozza di Bologna lo hanno spostato a Spoleto; a Bologna faceva colloqui ogni settimana col fratello che adesso è malato di tumore sotto chemioterapia e non può venire a trovarlo;
          G.S. ha fatto richiesta di trasferimento per gli istituti di Bologna, Ferrara, Pesaro o Fossombrone perché la sua famiglia è a Cesena e sua moglie è detenuta nel carcere di Forlì. Il suo fine pena è molto lontano, nel 2029; il detenuto ha detto alla delegazione «una pena così lunga non si può scontare in queste condizioni», in condizioni di sovraffollamento, senza la possibilità di poter lavorare e senza poter svolgere una qualsiasi attività e, per di più, senza contatti con i familiari;
          C.A. tunisino, deve ancora scontare 2 anni e sei mesi e da un anno è a Spoleto. Lamenta il fatto di non essere mai stato chiamato dal magistrato di sorveglianza nonostante almeno 10 richieste;
          O.S. due mesi fa ha avanzato richiesta di trasferimento nel carcere di Trento dove vive la famiglia che non può venirlo a trovare fino a Spoleto;
          V.P. anche lui ha fatto richiesta di trasferimento in un carcere dove ci sia la possibilità di lavorare; ha indicato Roma Rebibbia, Cassino, il vecchio istituto di Civitavecchia perché sua moglie vive a Napoli e potrebbe più facilmente venirlo a trovare;
          P.K. albanese condannato a 7 anni, ha scontato 3 anni e 8 mesi e ha chiesto di poter andare al CEIS di Spoleto; ha sposato un'italiana dalla quale ha avuto un figlio che ora ha tre anni e vive a Milano-Legnano;
          R.M. marocchino di 72 anni quasi cieco e diabetico che prende insulina quattro volte al giorno;
          D.P. deve scontare una pena molto lunga; la sua famiglia a Torino e ha due bambine di 8 e 3 anni; ha bisogno di lavorare per mantenere le sue figlie e ha chiesto al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di essere trasferito a Bollate per intraprendere un vero percorso riabilitativo; l'UEPE di Torino ha fatto su di lui una relazione positiva;
          D.C. da sette anni è dentro e da quando è in prigione non vede il padre ultraottantenne che vive a Firenze; ha fatto domanda di trasferimento in Toscana dove ha ancora molti procedimenti in piedi;
          l'ordinamento penitenziario prevede espressamente all'articolo 28 che «Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»  –:
          quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Spoleto; in particolare, entro quali tempi si preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti, soprattutto per quanto riguarda le sezioni AS3 e reclusione ordinaria;
          se non si intendano adottare le opportune iniziative di competenza al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari, degli educatori, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso il predetto istituto di pena, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone recluse;
          cosa si intenda fare per garantire ai detenuti l'attività trattamentale, sia essa di studio e/o di formazione e lavoro, atta a preparare il futuro reinserimento sociale previsto dall'articolo 27 della Costituzione, anche attraverso l'utilizzo di maggiori fondi da destinare alla falegnameria, sartoria e tipografia;
          se ed in che modo si intendano potenziare, all'interno della struttura penitenziaria in questione, le attività di orientamento e formazione al lavoro e di ricerca di posti di lavoro da offrire ai detenuti, in particolar modo per quelli che hanno quasi finito di scontare la pena;
          cosa intendano fare, negli ambiti di rispettiva competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti e, in particolare, se risulti entro quali tempi verrà ripristinata un'adeguata assistenza psicologica e psichiatrica;
          cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per aumentare l'insufficiente e totalmente inadeguato numero di educatori attualmente in servizio presso la struttura carceraria spoletina;
          se non si ritenga di dover urgentemente intervenire per garantire il normale funzionamento dell'istituto quanto alla manutenzione ordinaria e al reperimento dei prodotti igienici;
          cosa intenda fare per eliminare il notevole disagio e lo stress al quale i familiari dei detenuti devono periodicamente sottostare per poter avere un colloquio con i propri cari ristretti nel carcere di Spoleto;
          se e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone condannate all'ergastolo recluse all'interno dei circuiti alta sicurezza e penale conforme alle norme e ai princìpi dell'ordinamento giuridico italiano e dell'ordinamento penitenziario;
          se il Governo non intenda intervenire facendosi promotore di una normativa volta alla abolizione del cosiddetto «ergastolo ostativo»;
          se non si intenda adottare le opportune iniziative al fine di garantire al detenuto A.D. la ripresa del proprio corso di laurea in «consulenza del lavoro e delle relazioni aziendali», così come già sollecitato nella precedente interrogazione n.  4-11466;
          quali provvedimenti intenda adottare al fine di garantire il rispetto della cosiddetta «territorialità» della pena sì da riavvicinare i detenuti reclusi nel carcere di Spoleto, soprattutto quelli ristretti nel reparto di media sicurezza, ai propri familiari; ciò in particolare per quanto riguarda i detenuti N.D.; S.D.M.A.; V.V.; Z.A.; C.B.; C.L.; G.S.; O.S.; V.P.; P.K.; D.P. e D.C.;
          se sia noto quando il detenuto T.H. potrà avere la dentiera di cui necessita per mangiare;
          per quale motivo il detenuto E.K. non sia stato ancora trasferito al centro clinico;
          quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare per garantire il diritto alla salute di R.M.;
          se il Governo non intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione. (5-07857)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal sito online piacenza24.eu lo scorso 13 luglio 2011, un detenuto piacentino di 60 anni, originario della Liguria, sarebbe stato brutalmente aggredito all'interno del carcere piacentino. L'uomo è stato picchiato da più persone che gli hanno procurato diverse fratture al volto;
          la procura di Piacenza ha avviato un'indagine e disposto il trasferimento dell'uomo in un altro carcere, così come per un'altra persona aggredita insieme all'uomo. Per ora, ci sono tre indagati, accusati di lesioni volontarie aggravate: un sudamericano, un nordafricano e uno slavo. Gli investigatori della squadra di polizia giudiziaria della procura stanno sentendo diversi detenuti e nei prossimi giorni saranno sentiti anche alcuni agenti della penitenziaria;
          l'aggressione sarebbe avvenuta il primo luglio, ma in precedenza l'uomo era già stato picchiato. Quel giorno, il 60enne è stato prima picchiato, in un corridoio, mentre la persona che era con lui ha ricevuto una gomitata. Il 60enne, poi, dopo essere stato medicato in infermeria, all'uscita è stato aggredito di nuovo da altri detenuti. Gravi le lesioni riportate: fratture alla mandibola, al naso, allo zigomo, all'orbita oculare  –:
          quali siano le cause che hanno portato ad un gesto così violento all'interno di una struttura penitenziaria;
          come mai nei confronti del detenuto, già oggetto di pestaggio in precedenza, non siano state adottate tutte le misure di protezione e di isolamento atte a tutelare la sua incolumità;
          se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere di Piacenza per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione.
(5-07858)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul sito di Ristretti Orizzonti, l'11 luglio 2011, sotto il titolo: «Assordante silenzio sulla morte di un detenuto paraplegico», è stato pubblicato il seguente articolo: «C’è indifferenza e insensibilità sul dramma delle carceri da parte delle istituzioni, degli esponenti politici e dei media». Lo afferma in una nota il leader del Movimento diritti civili, Franco Corbelli. «Il silenzio – aggiunge – sull'ultimo drammatico caso del detenuto paraplegico cosentino, lasciato morire in carcere, denunciato da Diritti Civili è vergognoso. Ancora una volta sono stato lasciato da solo a combattere l'ennesima battaglia civile per una giustizia giusta e umana. Quello che più colpisce e provoca, in me, tanta delusione e grande amarezza è l'assordante silenzio mediatico su questa ultima disumanità delle carceri, una inaudita vergogna. Tacciono le Istituzioni e i politici ma i media no, non possono tacere, non può una stampa libera chiudere gli occhi, non può non dare spazio e ascolto alla legittima e dignitosa richiesta di verità e giustizia che arriva dai familiari di questo recluso». «Il detenuto morto – prosegue Corbelli – è un essere umano, non è un fantasma, ha un nome e cognome, si chiamava Ennio Manco, 52 anni, paraplegico, è morto nel carcere di Palermo e ai suoi familiari è stato di fatto addirittura impedito di poter vedere la salma che è stata poche ore dopo il decesso subito chiusa in una bara e il giorno dopo trasferita dalla Sicilia in Calabria. Questo è un fatto gravissimo»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
          se intendano avviare un'indagine amministrativa interna al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti e se nei confronti del detenuto Ennio Manco siano state messe in atto tutte le misure di cura e assistenza che le sue precarie condizioni fisiche richiedevano;
          per quali motivi sia stato impedito ai parenti del detenuto di vedere la salma del loro familiare. (5-07859)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, un detenuto di 46 anni, Antonio Padula, di Francavilla Fontana (Brindisi), si è tolto la vita nella cella del supercarcere di Borgo San Nicola a Lecce, impiccandosi con i lacci delle scarpe;
          a scoprire l'accaduto la mattina del 14 luglio 2011 è stato un agente di custodia. L'uomo si trovava in carcere per l'omicidio di Donato Andrisani, di 60 anni, originario di Francavilla Fontana, avvenuto nel gennaio scorso e confessato da Padula. Andrisani venne soffocato con una busta di plastica e poi dato alle fiamme  –:
          se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere Borgo San Nicola di Lecce per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione;      
          in che modo fosse seguito dal personale medico il detenuto in questione e a quando risalga l'ultimo incontro che lo stesso aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
          se, in particolare, risulti se l'uomo fosse stato visitato dallo psichiatra del carcere e se quest'ultimo avesse riscontrato un rischio suicidario;
          quali misure più in generale il Ministro interrogato intenda adottare nell'immediato per arginare il fenomeno dei suicidi all'interno delle nostre strutture penitenziarie. (5-07860)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano il Gazzettino del 13 luglio 2011, le telecamere interne del carcere Due Palazzi avrebbero ripreso il tentato omicidio per mafia accaduto la mattina di lunedì 11 luglio nel reparto di alta sicurezza dell'istituto patavino. Nel caso di specie le telecamere, che riprendono sia all'interno della cella che all'esterno, ricostruiscono minuziosamente la dinamica dell'aggressione. Mostrano chiaramente che Giovanni Di Giacomo voleva uccidere Francesco Bruno, entrambi ergastolani di mafia;
          a seguito della brutale aggressione, Francesco Bruno, sessant'anni, palermitano, sta lottando tra la vita e la morte nel reparto di neurochirurgia del policlinico. Di Giacomo, cinquantaseienne, killer di Totò Riina e in passato molto vicino anche a Bernardo Provenzano, ha sulle spalle sette delitti. Ha partecipato alla guerra di mafia tra il 1977 e il 1982. Poi ha anche condanne per droga;
          Francesco Bruno non usciva mai dalla cella per l'ora d'aria giornaliera. E forse non aveva neanche contatti con Giovanni Di Giacomo, che era detenuto in un'altra cella del reparto di alta sicurezza. Ma lunedì mattina, di ritorno dalla sua ora d'aria, l'ex killer di Riina è piombato praticamente indisturbato nella cella di Bruno. La dinamica dell'aggressione è molto semplice. Le immagini mostrano che Di Giacomo è entrato nella cella di Bruno e lo ha scaraventato a terra, sbattendogli la testa sul pavimento fino ad aprirgliela. Dopodiché lo ha colpito anche con una bombola. L'aggressione è avvenuta prima di pranzo senza che vi fosse nei paraggi un agente di polizia penitenziaria pronto ad intervenire. Evidentemente Giovanni Di Giacomo era convinto di aver ucciso il concittadino palermitano. Perché dopo il fatto è andato tranquillamente a mangiare. Ed era a tavola quando gli agenti sono andati a prenderlo. Voleva soltanto sapere se Francesco Bruno era ancora vivo. Il movente dell'aggressione non andrebbe ricercato nei rapporti in carcere dei due ergastolani. L'ordine di uccidere sarebbe venuto da fuori  –:
          come sia possibile che in un reparto di alta sicurezza, all'interno del quale sono detenuti ergastolani per delitti di mafia, un detenuto sia riuscito quasi ad ammazzare un altro uomo, aggredendolo brutalmente, il tutto al di fuori della benché minima misura di vigilanza e controllo da parte degli agenti di polizia penitenziaria;
          se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere Due Palazzi per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione e/o del personale della polizia penitenziaria.
(5-07861)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 12 luglio 2011, una detenuta di 32 anni è stata trovata morta nel proprio letto, in una cella del carcere di Trani. Lo ha reso noto il vicesegretario generale nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Domenico Mastrulli, il quale ha dichiarato quanto segue: «A Trani, su disposizione della Asl e della Regione, è stata soppressa la figura della guardia medica h24 ed il servizio prima funzionante è stato trasferito in quello della casa circondariale maschile e il carcere femminile è costretto a rivolgersi al 118 ed alla Guardia medica dell'Ospedale Civile Cittadino in casi anche di piccola somministrazione di terapia, tra cui quella della tossicodipendenza e delle medicine riguardanti la sfera psico-mentale». Mastrulli chiede «l'immediato riassetto medico sanitario e paramedico infermieristico in tutte le Carceri della Puglia senza alcuna interruzione del servizio al fine di evitare ulteriori tragedie umane»;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 che stabilisce «modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria» all'allegato C, nella parte dedicata a «monitoraggio e valutazione» prevede che «Al fine di valutare l'efficienza e l'efficacia degli interventi a tutela della salute dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale, garantendo, nel contempo, l'efficacia delle misure di sicurezza, viene realizzato in ogni Regione e Provincia autonoma un Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, con rappresentanti della Regione, dell'Amministrazione penitenziaria e della Giustizia minorile, competenti territorialmente senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Contestualmente, ai fini del coordinamento nazionale, viene realizzato presso la conferenza Unificata fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e le Autonomie Locali, un Tavolo di consultazione, costituito da rappresentanti dei dicasteri della Salute e della Giustizia, delle Regioni e Province autonome e delle Autonomie locali, con l'obiettivo di garantire l'uniformità degli interventi e delle prestazioni sanitarie e trattamentali nell'intero territorio nazionale. Parimenti, allo scopo di assicurare la necessaria coerenza tra le misure connesse alla sicurezza e le misure connesse alla tutela della salute, è opportuno prevedere una struttura di riferimento presso il Ministero della Giustizia, sia nell'ambito del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria sia in quello del Dipartimento della Giustizia Minorile».  –:
          se la situazione relativa al carcere di Trani sia stata oggetto di verifica da parte degli organi previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, o in ogni caso, comunicata al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, e quali iniziative per quanto di competenza intenda adottare perché non siano pregiudicati i livelli essenziali di assistenza per i detenuti. (5-07862)


      BERNARDINI, MECACCI, BELTRANDI, MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 18 luglio 2011, la prima firmataria del presente atto ha visitato il carcere di Pistoia insieme a due esponenti radicali, Matteo Angioli e Manila Michelotti e al consigliere dei Verdi al comune di Pistoia Lorenzo Lombardi; la visita è stata guidata dall'ispettore Giuseppe Catullo;
          al momento della visita nel carcere costruito nel 1905 erano presenti 117 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 74 posti; i detenuti in attesa di giudizio sono 70 (46 giudicabili, 18 appellanti e 6 ricorrenti) mentre coloro che hanno una condanna definitiva sono in tutto 47; quanto alle nazionalità, sono presenti 17 albanesi, 2 algerini, 12 rumeni, 1 polacco, 1 pachistano, 1 cileno, 1 colombiano, 1 macedone, 1 croato, 1 della ex Jugoslavia, 1 egiziano, 2 serbi, 3 tunisini, 1 uruguaiano, 1 bulgaro, 2 della Repubblica dominicana, 1 spagnolo, 1 georgiano, 11 marocchini, 1 nigeriano e 55 italiani; i tossicodipendenti presenti nel carcere erano 31;
          forte è la carenza che si registra nel corpo degli agenti di polizia penitenziaria: infatti, rispetto ad una pianta organica che prevede 79 unità, gli agenti effettivamente in servizio sono 45 di cui uno, prossimo alla pensione;
          nel carcere di Pistoia c’è una guardia medica h 24; gli educatori sono 2; vi è un solo psichiatra che si occupa anche dei colloqui del nuovi giunti e – da ciò che viene riferito alla delegazione – è in grado di intervenire entro le 12 ore successive all'ingresso di un nuovo detenuto; fortemente scoperto è il settore dell'assistenza psicologica: c’è un solo psicologo ex articolo 80; il direttore, occupandosi anche di altri istituti, presta servizio due volte a settimana;
          quanto agli eventi critici, c’è da segnalare un suicidio lo scorso anno e, quest'anno, 37 casi di autolesionismo in cui la direzione comprende anche gli scioperi della fame;
          il lavoro per i pochi detenuti che vi accedono, si limita alle mansioni domestiche e alla manutenzione ordinaria: in tutto si tratta di 26 lavoratori; da segnalare che in questi dati sono compresi 7 ex collaboratori di giustizia che nel carcere di Pistoia sono in tutto 10 in una sezione a loro dedicata con celle aperte dalle 9 alle 18 e con a disposizione un biliardino e un piccolo campo di calcetto, basket e pallavolo;
          quanto alla scuola ci sono solo corsi di alfabetizzazione anche perché, per le scuole medie, dovendo le classi, secondo le disposizioni del Ministero, essere formate da un minimo di 15 alunni è difficile raggiungere questo numero per il forte turn over che si verifica ogni anno nella casa circondariale di Pistoia, dove l'anno scorso, fra detenuti entrati ed usciti, si sono registrate ben mille movimentazioni;
          le celle nella zona isolamento e transito sono indecenti: pareti scrostate e sporche, poca luce, gabinetto alla turca; la delegazione ha trovato anche tre detenuti in celle di circa 6 metri quadri destinate originariamente ad una persona; in tale degrado igienico, civile e umano i detenuti vi passano 21 ore al giorno; in una cella dove erano presenti tre detenuti, da quattro mesi si trovava un giovane sieropositivo respinto dagli altri detenuti delle sezioni comuni; in isolamento c'era un detenuto iracheno – T.B.S. – che affermava di trovarsi lì perché da una settimana, non riuscendo a parlare con l'educatrice, aveva intrapreso uno sciopero della fame di protesta; l'educatrice, presente durante la visita, smentiva le affermazioni del detenuto che però denunciava un fatto veramente accaduto: quando stava nel carcere di Lucca era stato programmato un intervento chirurgico alla cistifellea che è saltato a causa del trasferimento a Pistoia; ora, protesta il detenuto, dovrà ricominciare tutta la trafila, comprese le analisi cliniche che aveva fatto in vista dell'intervento;
          nel reparto «comuni» (media sicurezza), al piano terra, quasi tutte le celle di sei metri quadrati ospitano 3 detenuti sistemati in letti a castello a tre piani, il che rende praticamente impossibile perfino il semplice stare in piedi tutti nello stesso momento; le celle sono fatiscenti e, nonostante la buona volontà dei detenuti, in condizioni igienico-sanitarie precarie; i detenuti usufruiscono di 4 ore d'aria al giorno e di conseguenza, passano 20 ore chiusi nelle condizioni sopra descritte, subendo – ad avviso della prima firmataria del presente atto trattamenti disumani e degradanti  –:
          quali urgenti iniziative si intendano assumere per garantire civili condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Pistoia; in particolare, entro quali tempi si preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti, soprattutto per quanto riguarda le sezioni media sicurezza (piano terra) ed isolamento e transito;
          cosa intenda fare – e in che tempi – per aumentare l'organico degli agenti penitenziari e degli psicologi presso il predetto istituto, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone ivi ristrette;
          cosa si intenda fare per garantire ai detenuti l'attività trattamentale, sia essa di lavoro, studio e fisica per non costringerli a subire i trattamenti disumani e degradanti insiti nel modo in cui si svolge di fatto la loro detenzione;
          cosa intendano fare, negli ambiti di rispettiva competenza, per garantire il diritto alla salute dei detenuti e, in particolare, entro quali tempi verrà offerta un'adeguata assistenza psicologica;
          in che tempi intenda stanziare i fondi necessari alla manutenzione dell'istituto da tempo trascurata tanto da rendere invivibili sia i luoghi frequentati dai detenuti che la stessa caserma degli agenti;
          in che modo si intenda intervenire nei confronti del detenuto sieropositivo da quattro mesi relegato nella sezione isolamento e transito perché respinto dagli altri detenuti;
          se sia noto quando il sopracitato detenuto iracheno verrà sottoposto all'intervento chirurgico già programmato ma rinviato per via del trasferimento da Lucca a Pistoia;
          se il Governo non intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere, anche attraverso la creazione di percorsi protetti di reinserimento sociale e lavori socialmente utili per tutti i condannati a pene inferiori ai tre anni di reclusione. (5-07863)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia AGI del 4 agosto 2011, la situazione delle carceri umbre si sarebbe fatta gravissima;
          i dati parlano di un tasso di sovraffollamento del 75 per cento rapportato alla capienza regolamentare degli istituti di pena, e del 6 per cento rapportato alla capienza tollerabile (capienza regolamentare 954 posti, capienza tollerabile 1.564 posti), con 1.672 detenuti complessivi;
          in particolare, solo per prendere la situazione più nota ed emblematica, a Capanne, nella sezione maschile, ci sarebbero 461 detenuti (compresi 6 disabili) a fronte di una capienza di 406 e, in quella femminile 83 detenute a fronte di 59 posti. Nella sezione maschile in circa 22 celle il terzo detenuto dorme con un materassino di gommapiuma di pochi centimetri poggiato a terra, mentre tra le donne ci sono celle con 6 detenute;
          sui 379 agenti di polizia penitenziaria previsti, a Capanne ce ne sarebbero solo 241. Certe notti c’è un solo agente per cento detenuti  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tutto quanto sopra esposto e, in caso affermativo, se ritenga opportuno verificare, attraverso un'ispezione all'interno delle carceri umbre, le condizioni delle varie strutture penitenziarie, in particolare del carcere perugino;
          quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare condizioni di vita adeguate nelle carceri umbre, corrispondenti ai dettami costituzionali e alla normativa vigente in Italia;
          se, in particolare intenda intervenire al fine di garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione e i collegati articoli delle norme sull'ordinamento penitenziario di cui alla legge n.  354 del 1975 e del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 2000;
          quale sia la ripartizione del personale di polizia penitenziaria all'interno delle carceri umbre tra ispettori, sovrintendenti, agenti ed assistenti, distinguendo le unità previste da quelle effettivamente in servizio.       (5-07864)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'8 febbraio 2006 il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza la legge n.  54 (cosiddetto affido condiviso), contenente disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento dei figli;
          il principale enunciato di questa norma, in linea con la cultura dominante, in tema di famiglie separate, vigente nei Paesi dell'Unione europea, afferma che «anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»;
          il signor Fabrizio Adornato, maresciallo capo e vice comandante del comando stazione carabinieri di Ronco Scrivia (Genova), genitore separato di una bambina di cui avrebbe l'affidamento condiviso, per via di decisioni discutibili adottate dai tribunali non riesce più a condurre una vita normale e altissimo è il rischio di non potersi più relazionare adeguatamente con la propria figlia;
          negli anni, i magistrati avrebbero emesso sentenze ad esclusiva tutela della figura materna, e stando a quanto pubblicamente sostiene il signor Adornato, avrebbero dato prova di accanimento giudiziario, perseguendo interessi personali e commettendo chiare omissioni in fase processuale;
          così, dal 2001 lo stipendio del maresciallo Adornato è stato decurtato di una cifra pari a circa 500 euro, e dal mese di febbraio 2011 la decurtazione, per effetto di un pignoramento richiesto dalla ex moglie e incondizionatamente accolto dai giudici, è salita ad euro 820 mensili;
          con i rimanenti 700 euro il maresciallo Adornato, in dispregio della documentazione da cui ben si evince la sua situazione reddituale, dovrebbe pagare l'affitto del nuovo immobile, la rata dell'autoveicolo, il vitto suo e della bambina, le utenze di luce, gas ed acqua, nonché condurre una pur minima vita sociale;
          l'impossibilità di rispettare gli impegni economici, evidentemente superiori al reddito disponibile residuo, non consentirà al maresciallo Adornato di continuare a sostenere i costi di una abitazione e seguire la crescita della figlia in un ambiente familiare adeguato;
          il maresciallo Adornato ha sporto denuncia nei confronti di tre pubblici ministeri di tre vice procuratori onorari della procura di Genova per omissione di atti d'ufficio ed interesse privato in atti di ufficio;
          in relazione a tali esposti/querela, nonostante sia trascorso molto tempo, a quanto consta agli interroganti, non v’è ancora alcun riscontro da parte della magistratura competente;
          tale stato di cose, inoltre, ha costretto il maresciallo Adornato ad un estenuante sciopero della fame che lo ha portato ad un grave stato di debilitazione fisica, e solo l'intervento di amici e persone che gli vogliono bene ha scongiurato peggiori conseguenze;
          vicende come quella del maresciallo Adornato rappresentano, ad avviso degli interroganti, un danno per la collettività intera, per i figli e per tutti i familiari. Migliaia di cittadini italiani oggi versano nelle medesime condizioni del signor Adornato, non trovando alcuna tutela all'interno di prassi giudiziarie che perseguono, in tal modo, l'interesse di un solo genere, discriminando l'altro;
          la Repubblica italiana si basa sul principio dello Stato di diritto e del rispetto della legge –:
          quali iniziative normative il Governo intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa per rendere inequivocabili la necessità di bilanciamento tra i due generi nelle cause di separazione e affidamento dei figli.       (5-07865)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il due agosto 2011 un detenuto 36enne, originario di Rieti, si sarebbe tolto la vita nel carcere di Capanne;
          l'uomo si sarebbe tolto la vita inalando gas da una bomboletta nel bagno della sua cella;
          è il 39esimo suicidio verificatosi nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno;
          già lo scorso gennaio un 23enne, Michele Massari, si era tolto la vita nel carcere di Capanne inalando il gas all'interno di un sacchetto di plastica  –:
          nel rispetto e a prescindere dall'inchiesta eventualmente avviata dalla magistratura, quali siano gli intendimenti del Governo e quali siano gli esiti, allo stato, dell'inchiesta avviata nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria al fine di accertare modalità ed eventuali responsabilità in ordine al suicidio verificatosi nel carcere di Perugia;
          se il Governo non ritenga che l'alto tasso di atti di autolesionismo e di suicidi in carcere dipenda anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno;
          quali iniziative, più in generale, il Governo intenda assumere per contenere e ridurre l'alto tasso dei decessi per suicidio in carcere; in particolare, se e quali iniziative intenda porre in essere affinché gli indirizzi di gestione del sistema penitenziario siano conformi ai princìpi del nuovo regolamento penitenziario in ordine agli interventi di trattamento del detenuto;
          quali siano gli intendimenti del Governo in ordine all'esigenza di riforma della legge n.  354 del 26 luglio 1975 e dunque dell'ordinamento penitenziario e dei criteri di esecuzione delle pene e delle altre misure privative o limitative della libertà. (5-07866)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          come riportato dalle agenzie di stampa, nelle scorse settimane un detenuto di 38 anni nel carcere di Lecce è stato protagonista di un atto di autolesionismo: ha ingerito due lamette da barba ed è stato trasportato in ospedale;
          il gesto è stato determinato dalle precarie condizioni del giovane costretto su una sedia a rotelle a causa di un episodio violento;
          in un primo momento il detenuto era stato assegnato agli arresti domiciliari, poi revocati; occorrerebbe ricoverare il detenuto in una eventuale struttura sanitaria adeguata alle sue condizioni precarie di salute;      
          nonostante l'impegno e la buona volontà dei dirigenti e del personale, le condizioni del carcere di Lecce (ma, si potrebbe dire, delle tante carceri più in generale) non sono tali da consentire che siano rispettati pienamente i diritti umani  –:
          se non si intenda disporre il ricovero del detenuto in questione in una struttura sanitaria adeguata alle sue precarie condizioni di salute;
          se ed in che misura al detenuto di cui in premessa venga garantito una adeguato sostegno psicologico;
          quali iniziative immediate intendano assumere, negli ambiti di rispettiva competenza, per affrontare un problema così grave, sia per il caso specifico del carcere di Lecce, sia per le condizioni più generali delle carceri italiane. (5-07868)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Gazzetta di Modena del 21 luglio 2011 è apparso il seguente articolo di Saverio Cioce e intitolato: «Modena, carcere senza sapone per i detenuti; lo compra chi può, pidocchi nella sezione femminile»: «Un frigorifero conquistato. E il prossimo obbiettivo è quello di un paio di congelatori per servire acqua fredda a 150 detenuti, che con 40 gradi nelle celle, in tre per ogni stanza da nove metri quadrati, devono aspettare che passi un altro giorno, uguale al precedente. “Ormai non so più che lingua parlare – sbotta Paola Cigarini, a capo dell'associazione Carcere Città che da anni lavora con i suoi volontari nel carcere di S. Anna – Tutti dicono che la situazione è intollerabile, che così non si può andare avanti ma nulla cambia; ma qual è la situazione dove nessuno può far nulla? Il taglio dei fondi e i risparmi coatti hanno dato la mazzata finale a una situazione già grave. E ora mi sembra che siamo al delirio. Chi ha sete può bere solo l'acqua del rubinetto, calda o se va bene un poco più fresca quando si può miscelare con quella delle bottiglie ghiacciate dai congelatori. Sempre che funzionino, naturalmente: per tutto il carcere ce ne sono sei, uno per ogni 75 detenuti, ma ora due sono rotti e non ci sono fondi per aggiustarli. Ho mandato lettere a Coop e Conad per trovarne due anche vecchi e dismessi ma funzionanti e aspetto una risposta. Per il resto facciamo i conti con i tagli di fondi da parte del ministero». Per il carcere modenese questo significa che da due settimane non vengono più passate né le bustine di sciampo né i dentifrici e neppure i detergenti per le celle. «Chi ha il conto a zero euro, e questo vale per più della metà dei detenuti – prosegue con amarezza la Cigarini – può avere 10 euro ogni due mesi grazie a ‘Porta Aperta’ al Carcere: a quel punto l'alternativa è tra una saponetta in più o un pacchetto di sigarette. Ancora una volta i cittadini devono organizzarsi da soli per far fronte all'assenza dello Stato. Noi dal canto nostro ci occupiamo principalmente delle sezione femminile e siccome ci sono numeri più piccoli possiamo dare 10 euro a settimana, autotassandoci. Così almeno i detergenti sono assicurati anche se i pidocchi fanno strage. In serata avevamo programmato una cocomerata con le detenute durante un'ora d'aria; ci abbiamo rinunciato perché dieci donne su 29 hanno problemi di pediculosi e non si può correre il rischio di allargare l'epidemia. Non vogliamo neppure escluderle; aspettiamo di eliminare i pidocchi”. Così dicendo dà un'occhiata al phone center dove ha accompagnato un detenuto; ha il permesso per un paio d'ore e le sta usando per telefonare alla sua famiglia in Tunisia. La vita quotidiana nel carcere di S. Anna scivola tra il caldo e le zanzare, perché tra le grate passano solo quelle; i più danarosi usano gli spiccioli per comprare gli zampironi, altro non è possibile usare. Il problema dell'occupazione per chi è dietro le sbarre è sempre lo stesso. Persino i piccoli lavoretti interni sono stati tagliati della metà. Il portavitto, il bibliotecario, il cuoco sono stati accorpati: metà spesa con metà personale che fa il doppio. La direttrice Rosa Alba Casella in questi giorni è in ferie e quando tornerà troverà sul tavolo i problemi di sempre e il bubbone sempre gonfio del sovraffollamento»  –:
          se non ritenga di dover disporre una visita ispettiva presso il carcere di Modena;
          se non intenda dotare il carcere di Modena di un numero di congelatori adeguato a quello dei detenuti ivi ristretti;
          cosa intenda fare al fine di garantire l'immediata distribuzione ai detenuti del carcere di Modena di prodotti di prima necessità, quali bustine di shampoo, dentifrici e detergenti per le celle; più in generale, quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, anche in considerazione della stagione estiva, al fine di rendere più tollerabili e conformi alla legge e ai regolamenti le condizioni di vita e di salute delle persone recluse all'interno dell'istituto di pena in questione. (5-07870)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 21 luglio 2011, l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali Italiani, Antigone, Ristretti Orizzonti. Il Detenuto Ignoto, A Buon Diritto e Radiocarcere, ha pubblicato la seguente mail inviata dall'avvocato Davide Mosso del Foro di Monza: «Una persona da me assistita che si trovava nel carcere di Monza in custodia cautelare, il signor Redouane Messaoudi, nato nel 1974 in Algeria, è stato trovato privo di vita la mattina di sabato 16 luglio. Ieri mattina è stata effettuata l'autopsia (alla quale peraltro non ho potuto partecipare né direttamente né tramite medico legale non avendo titolo perché non sono riuscito a contattare l'unico familiare con cui avevo parlato, un fratello che vive in Grecia). Il signor Messaoudi era in quel momento nel reparto di psichiatria del carcere. Affetto da diabete insulinodipendente, epilettico e con diagnosi di disturbo borderline, dopo un periodo di osservazione nell'Opg di Reggio Emilia era rientrato nel normale circuito penitenziario. Prima di andare a Monza, dove si trovava da circa due settimane, era stato a Voghera. Era stato arrestato ad aprile per un'ipotesi di cessione di stupefacenti (una dose) e resistenza. L'udienza preliminare, già fissata dieci giorni fa, era stata rinviata a ieri data l'impossibilità in quell'occasione per il signor Messaoudi a comparire (era in ospedale e i medici non avevano dato nulla osta). Ieri era previsto che il giudice incaricasse uno psichiatra di svolgere perizia. Nella comunicazione del carcere sulla possibile causa del decesso si fa riferimento al reiterato rifiuto del signor Messaoudi di assumere l'insulina. Per somministrargliela forzatamente era stato ricoverato in ospedale in due occasioni. Il giorno precedente al decesso non gli sarebbe stata somministrata per due volte l'insulina perché rifiutata»  –:
          se siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa; quale sia l'esatta dinamica degli eventi che ha condotto alla morte dell'uomo;
          se intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza, una indagine amministrativa interna al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti; se nella circostanza non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinare in capo al personale penitenziario e se nei confronti del detenuto in questione siano state messe in atto tutte le misure di cura e assistenza che le sue precarie condizioni fisiche richiedevano. (5-07871)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'Osservatorio permanente sulle morti in carcere composto da Radicali Italiani, Ristretti Orizzonti, Radio Carcere, Antigone, A buon diritto e Il detenuto ignoto, il 4 luglio 2011, all'ospedale «Borgo Roma» di Verona, è morto K.V., cittadino greco di 47 anni. Tra le ipotesi, il suicidio o lo sballo finito in tragedia: una settimana prima, infatti, in una cella del carcere di Montorio, l'uomo aveva inalato il gas dalla bomboletta utilizzata per cucinare;
          per far piena luce sulla vicenda, il pubblico ministero, dottor Francesco Rombaldoni, ha aperto un'inchiesta, anche se fino ad oggi non risultano iscritti nel registro degli indagati. Tra le ipotesi al vaglio degli investigatori, il suicidio o uno sballo finito in tragedia;
          il gesto estremo dell'uomo viene giudicato quantomeno «strano» anche dalle autorità del penitenziario: il detenuto infatti non aveva mai procurato problemi e aveva tenuta una condotta irreprensibile tanto che il suo fine pena previsto per il 2013 sarebbe stato anticipato alla fine del 2011, grazie ai benefici ottenuti durante la carcerazione. Era anche ben inserito nelle attività del carcere: frequentava la redazione del giornale Microcosmo, oltre ad aver partecipato a dei corsi scolastici. Aveva dei problemi di salute, raccontano ancora dal carcere, ma era stato curato con ricovero in ospedale e anche quelle patologie vascolari si erano risolte senza complicazioni  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
          quale sia l'esatta dinamica degli eventi che ha condotto alla morte dell'uomo;
          se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare il modo in cui siano avvenuti i fatti e se nella circostanza non siano ravvisabili profili di responsabilità disciplinare in capo al personale penitenziario. (5-07872)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel carcere di Montorio di Verona lavorano 280 agenti di polizia penitenziaria di ogni grado e la pianta organica ne prevede 407;
          la capienza del carcere è di circa 500 detenuti, che ad oggi sono quasi il doppio;
          nello scorso mese di giugno 2011 è stato sventato un tentativo di fuga di un detenuto che aveva già raggiunto il muro di cinta;
          si sono accertati tre casi di tubercolosi;
          il trattamento di missione non è corrisposto dal settembre 2010; mancano fondi anche per le minime esigenze (carta, lampadine)  –:
          quali misure urgenti il Ministro intenda attuare per garantire, oltre ai diritti dei detenuti, quelli della polizia penitenziaria che deve sopportare, con grande sacrificio, turni di lavoro forzati;
          come intenda garantire fondi indispensabili per la manutenzione ordinaria;
          quali misure intenda attuare per diminuire l'affollamento, anche in considerazione delle esigenze igienico-sanitarie, onde evitare situazioni di rischio.
(5-07873)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'istituto penitenziario di Trento, fiore all'occhiello dell'amministrazione penitenziaria, è all'avanguardia dal punto di vista dell'evoluzione tecnologica per la cosiddetta «sorveglianza dinamica» della polizia penitenziaria;
          la direzione di detto istituto, che procederebbe, a quanto consta agli interroganti, alla gestione del carcere e del personale ivi collocato in maniera autoritaria e «privatistica», da tempo suscita lamentele e malumori;
          alla prima firmataria del presente atto, in particolare, risulta che: a) in detto istituto, data la carenza di un'equa e trasparente organizzazione del lavoro, i turni di piantonamento di detenuti presso le corsie in ospedale sarebbero di 8 ore rispetto alle usuali 6; b) nonostante la conclamata carenza di poliziotti penitenziari sarebbero state aperte nuove sezioni detentive; c) il complesso degli alloggi esterni sarebbe privo sia di un'assicurazione sugli stabili che di contratti per le manutenzioni; d) alcuni operatori del predetto penitenziario avrebbero denunciato atteggiamenti irrispettosi da parte della direzione; e) a causa del diniego della predetta direzione di inviare un detenuto a visita specialistica per presunta scabbia, poi accertata, gli agenti avrebbero rischiato il contagio e la diffusione della malattia anche all'esterno dell'istituto;
          le organizzazioni sindacali di categoria avrebbero più volte segnalato tali atteggiamenti all'amministrazione;
          l'attuale direzione, già nella precedente gestione del carcere di Rovereto, avrebbe provocato uguali e simili problematiche;
          recentissime notizie di stampa riferiscono di un'avvenuta ispezione ministeriale presso il carcere  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra e se corrisponda al vero che presso il carcere di Trento si sia svolta un'ispezione ministeriale e, in caso affermativo, con quali esiti. (5-07874)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA, il 9 maggio 2011 nell'ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Aversa un giovane quasi trentenne è morto per soffocamento;
          nel solo 2011 nell'ospedale psichiatrico di Aversa già si sono registrati 4 decessi, tre dei quali per suicidio;
          a tal proposito l'associazione «Stop Opg» che raccoglie le organizzazioni che aderiscono alla campagna per l'abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Fatti come questo, per il contesto in cui avvengono e per le gravi ombre che gettano sulle istituzioni non possono essere letti come tragiche fatalità: gli Ospedali psichiatrici giudiziari sono luoghi di morte, di sofferenza e di privazioni, e non è più possibile rinviare interventi risolutivi. Chiediamo semplicemente di applicare la legge e provvedere all'immediata chiusura di tutti i 6 Opg italiani. Da quando con un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è stata stabilita la chiusura delle strutture, il numero degli internati è inspiegabilmente lievitato, passando da meno di 1.300 internati del 2007 agli oltre 1.500 di oggi, 350 dei quali sono dimissibili da subito  –:
          se nella morte per soffocamento avvenuta il 9 maggio 2011 all'interno dell'ospedale psichiatrico giudiziario non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale;
          se negli ambiti di rispettiva competenza intendano assumere iniziative, se necessario anche normative, straordinarie, indicando altresì tempi certi per la chiusura degli ospedali psichiatrici, giudiziari e, a partire dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, e dando solide garanzie sul reinserimento e il sostegno agli internati nel loro percorso di recupero. (5-07875)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Adnkronos del 17 maggio 2011, un detenuto italiano di 32 anni, con fine pena 2013, che scontava la condanna nel carcere di Ivrea, è evaso a Milano spintonando gli agenti che lo accompagnavano per una visita autorizzata alla madre malata; nel 2010 ci sono state complessivamente 139 evasioni di detenuti a livello nazionale: 15 da istituti, 3 da soggetti ammessi a fruire di permessi di necessità (come in questo caso), 38 da chi godeva di permessi premio, 3 di lavoro all'esterno, 12 da semiliberi e ben 68 sono stati gli internati che non sono rientrati dopo avere avuto periodi di licenza;
          secondo Donato Capace, segretario del Sappe, «Quest'episodio conferma ancora una volta le criticità del sistema carcere e mette in luce i gravi rischi per la sicurezza connessi ai servizi di traduzione e trasporto dei detenuti»  –:
          quali siano le modalità attraverso le quali si è consumata l'evasione del detenuto di Ivrea; se nel caso di specie non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo agli agenti di polizia penitenziaria che stavano scortando l'uomo;
          se risulti che il servizio di scorta e traduzione del detenuto di Ivrea fosse carente e/o organizzato e predisposto in modo non idoneo. (5-07876)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 19 maggio scorso, una delegazione della segreteria regionale calabrese dell'Ugl polizia penitenziaria, composta dal segretario regionale, Andrea Di Mattia, e dal delegato regionale, Carlo D'Angelo, ha incontrato il provveditore della Calabria, Nello Cesari;
          nel corso dell'incontro, è scritto in una nota, i sindacalisti hanno manifestato «le preoccupazioni per le condizioni lavorative dei poliziotti penitenziari in servizio negli istituti della regione; condizioni che non sfuggono, purtroppo, alle ataviche criticità che contraddistinguono il sistema penitenziario nazionale, tra cui giova ricordare l'abnorme sovraffollamento delle carceri, la preoccupante carenza di personale e turni di servizio espletati su 3 quadranti orari, ossia su 8 ore giornaliere»;
          al riguardo è stata segnalata la situazione del carcere di Cosenza, «uno dei pochi istituti (se non l'unico) della Calabria dove fino a pochi giorni fa il personale espletava turni da 6 ore, come previsto dalla normativa pattizia e di settore. Purtroppo, l'apertura di un nuovo padiglione detentivo (che non sembra, per la verità, aver rappresentato la tanto agognata panacea ai problemi del sovraffollamento dell'istituto) ha mutato la situazione tanto da spingere i componenti la delegazione a richiedere un incremento delle risorse umane a disposizione della stessa casa circondariale». Nel corso dell'incontro è stata anche «invocata la necessità di nominare un Provveditore titolare che garantisca e stabilisca corrette relazioni sindacali, allo stato inesistenti»  –:
          quali provvedimenti urgenti ed immediati intenda adottare al fine di risolvere tutti i punti critici segnalati dalla segreteria regionale calabrese dell'Ugl polizia penitenziaria nel corso dell'incontro avuto con il provveditore della Calabria, dottore Nello Cesari. (5-07877)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          secondo quanto riportato da Ristretti orizzonti, Mario Santini, un detenuto di 60 anni residente a Pistoia, è morto il 18 maggio nel carcere Don Bosco di Pisa. L'uomo, che era allo stadio terminale di un cancro polmonare ed era affetto da HIV, era stato dimesso da circa due ore dall'ospedale santa Chiara di Pisa in quanto dichiarato paziente lungodegente;

          la notizia è stata data dal garante per i diritti dei detenuti, l'avvocato Andrea Callaioli che ha dichiarato: «Un uomo in quelle condizioni non doveva morire in carcere per questioni etiche»;

          sempre stando ad una prima ricostruzione fatta dal garante per i diritti dei detenuti, l'uomo sarebbe stato dimesso perché «nella struttura ospedaliera civile non si potevano fare trattamenti clinici e neppure trattamenti di cura del dolore visto il livello avanzato della malattia ed erano necessari solo interventi di mantenimento». L'uomo in ospedale è sempre stato piantonato in quanto il giudice di sorveglianza non aveva disposto la sospensione dell'esecuzione penale e quindi una volta dimesso è rientrato in carcere;

          il detenuto deceduto avrebbe finito di scontare la pena detentiva per lesioni dolose aggravate nel 2013. La procura di Pisa ha disposto l'autopsia ed è stato aperto un fascicolo dal pubblico ministero, dottor Miriam Romano  –:

          se sia noto per quali motivi il detenuto Mario Santini, con un cancro al polmone in fase terminale e affetto da HIV, si trovasse, al momento della morte, in una cella del carcere Don Bosco di Pisa, invece che in una struttura ospedaliera attrezzata per quel tipo di patologie e in grado di alleviarne le sofferenze. (5-07878)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano Il Tirreno dello scorso 20 maggio è apparso un articolo intitolato: «Detenuto ritrovato morto, c’è il sospetto di un'overdose di stupefacenti»;
          l'articolo in questione dà conto del decesso di Enrico Brera trovato cadavere nei giorni scorsi nella sua cella nel carcere di Porto Azzurro. Secondo i primissimi riscontri, forse il decesso è stato causato da infarto provocato da una assunzione di sostanza stupefacente;
          agli atti risulterebbe che l'uomo avrebbe assunto sostanza stupefacente che si era portato con sé in cella tornando da un permesso premio a Milano;
          Brera, ormai cadavere, era stato trovato sabato scorso dagli agenti di turno della polizia penitenziaria del carcere di Porto Azzurro: era privo di vita, disteso nel suo letto nella sua cella che occupava da solo. Aveva da poco compiuto 53 anni  –:
          quali siano le cause che hanno condotto alla morte di Enrico Brera;
          se sulla vicenda l'amministrazione penitenziaria abbia aperto una indagine amministrativa interna;
          nel caso venisse il decesso fosse stato provocato dall'assunzione di sostanza stupefacente, in che modo la droga è entrata in carcere e se vi siano responsabilità del personale penitenziario per omessa vigilanza e/o controllo;
          quanti siano gli agenti penitenziari nel carcere di Porto Azzurro e se il loro numero corrisponda alla pianta organica prevista dal Ministero. (5-07879)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa DIRE, il 15 maggio nell'istituto penitenziario di Viterbo un agente di polizia penitenziaria di 42 anni si è suicidato con un colpo di arma da fuoco;
          negli ultimi 10 anni si sono registrati oltre 75 suicidi, di cui 3 nei primi mesi 2011;
          da anni i sindacati di polizia penitenziaria chiedono, inascoltati, l'adeguamento degli organici, il rispetto dei contratti sindacali e che ai poliziotti penitenziari che prestano servizio negli istituti di pena venga fornita un'adeguata assistenza psicologica di supporto, dato il numero allarmante di suicidi registrato tra gli agenti  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire i diritti degli agenti di polizia penitenziaria che prestano servizio negli istituti di pena e, in particolare, un'adeguata assistenza psicologica di supporto, ciò anche alla luce dell'alto tasso di suicidi registrato negli ultimi 10 anni tra i baschi azzurri.
(5-07880)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Sicilia del 16 maggio scorso, presso l'istituto penitenziario di Enna un detenuto è stato colpito dai calcinacci caduti dai locali passeggi, a causa della struttura fatiscente;
          sulla vicenda Mimmo Nicotra, vice segretario generale Osapp, ha diramato la seguente nota: «Solo grazie alla buona sorte per il detenuto si è scongiurato il peggio ricorrendo alle cure dell'infermeria dell'istituto. Solo ieri il Ministro della giustizia ha raccontato l'ennesima favola sullo stato delle carceri italiane, mentre oggi nelle carceri si continua a fare i conti con la carenze di organico e risorse. Fondi che addirittura non bastano neanche per garantire la manutenzione ordinaria degli istituti. Figuriamoci quella straordinaria»  –:
          se non intenda disporre, nell'immediato, la manutenzione straordinaria dell'istituto penitenziario di Enna. (5-07881)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Nuova Sardegna del 19 maggio scorso è apparso il seguente articolo intitolato: «Alghero, pochi agenti e troppi detenuti, dietro le sbarre situazione insostenibile»: «La casa circondariale scoppia e ora il Sappe, sindacato delle guardie carcerarie, si rivolge al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a muso duro: “Così non si può andare avanti”. Secondo i dati ufficiali, nel carcere di Alghero al momento sono recluse 200 persone, a fronte di una capienza che ne prevede non più di 150. “Un sovraffollamento – spiega Roberto Martinelli, vicesegretario nazionale del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria – che non soltanto impedisce una normale funzione rieducativa, ma che oggettivamente mette in discussione la dignità di chi sta pagando per le proprie colpe”. Una situazione alla quale va a sommarsi la carenza del personale di sorveglianza. “Su un organico ottimale di 92 agenti – continua Martinelli – quelli in forza al carcere di Alghero sono appena 72, tra i quali non pochi distaccati, per un totale di appena 44 uomini impiegati per i turni nell'arco delle 24 ore”. Non sorprende, dunque, che tra le guardie penitenziarie ci sia chi non fa le ferie dal 2008 o che gli straordinari siano di 40 ore a testa. Sempre secondo il Sappe, la situazione lavorativa nel carcere di Alghero sarebbe al limite della tolleranza. “Attualmente – si legge nel documento inviato alle istituzioni competenti – in ogni turno vengono impiegati sei o sette colleghi, che però la notte diventano quattro o cinque”. Praticamente, meno della metà rispetto ai quattordici previsti. Il che, si capisce, crea non pochi disagi. “Anche perché – aggiungono dal sindacato – durante il servizio a turno le guardie devono provvedere pure allo svolgimento delle visite ambulatoriali esterne dei detenuti o all'accompagnamento di questi ultimi nei tribunali o in altri penitenziari”. Con prevedibili conseguenze nefaste se, magari durante la notte, si dovesse verificare qualche evento critico. Tuttavia, la sicurezza e l'ordine all'interno del carcere sarebbero comunque garantiti, sebbene a costo di turni faticosi. Ad affermarlo con assoluta certezza è il commissario Gesuino Meloni, che in questi giorni – in assenza del direttore Francesco D'Anselmo, ancora in attesa di conferma, e del comandante Antonello Brancati – è di fatto il responsabile della casa circondariale. “Non nego – commenta Meloni – che con una ventina di colleghi in più la situazione sarebbe migliore, ma in tutta sincerità devo dire che la sicurezza all'interno del carcere non è mai stata messa in discussione. E qualora si dovessero verificare emergenze notturne, con detenuti che devono essere trasportati in qualche ospedale, si avverte un'ambulanza del 118 alla quale viene assegnata una guardia che a sua volta è immediatamente sostituita da un'altra unità richiamata in servizio per l'occasione”. Stando al commissario Meloni, sarebbero in fase di completamento anche i lavori di ristrutturazione dei precari ballatoi della sezione “D”, dove sono detenute ventiquattro persone»  –:
          se la situazione descritta nell'articolo sopra riportato corrisponda al vero;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di migliorare le condizioni di detenzione delle persone recluse nel carcere di Alghero;
          se intenda nel brevissimo periodo emanare provvedimenti urgenti volti a diminuire sensibilmente il numero dei detenuti reclusi nel carcere sardo aumentando contemporaneamente il personale di polizia penitenziaria, quello amministrativo, medico e psicologico. (5-07882)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 22 maggio 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa di reclusione di Noto (Siracusa), accompagnata da Luigi Pappalardo e Gianmarco Ciccarelli, responsabili dell'Associazione Radicali Catania;
          la struttura, un ex convento del XVII secolo, è ubicata nel cuore del centro storico;
          la delegazione, ricevuta e accompagnata nel corso della visita dall'ispettore di polizia penitenziaria Celeste e dall'assistente capo Gambuzza, ha constatato la seguente situazione: l'istituto si compone di una parte vecchia, in condizioni fatiscenti, e di un'ala recentemente ristrutturata, aperta nel 2009, in cui sono ospitati i detenuti, in condizioni strutturali buone;
          il carcere è sovraffollato: a fronte di una capienza regolamentare di 186 posti, sono presenti 256 detenuti; i detenuti stranieri sono circa 60, soprattutto sfollati da carceri del nord Italia (e in particolare da istituti di Milano); gli stranieri scarcerati in conseguenza della decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea (sulla illegittimità della detenzione in carcere per il reato di clandestinità) sono circa 25;
          il numero degli agenti di polizia penitenziaria è gravemente sottodimensionato: «siamo soltanto una cinquantina, dovremmo essere molti di più», affermano gli agenti; secondo la pianta organica gli agenti dovrebbero essere 169; questa carenza di organico così marcata si ripercuote sulla vita dei detenuti e determina condizioni di stress insopportabile per gli agenti, che denunciano: «siamo troppo pochi, facciamo turni massacranti, noi dalle istituzioni siamo stati dimenticati»; la carenza di agenti, inoltre, comporta seri rischi per la sicurezza della struttura; il carcere non è dotato del muro di cinta e le postazioni di vigilanza esterne (le cosiddette «garitte») non sono presidiate: «non riusciamo a garantire la vigilanza nelle garitte esterne, ma qui le sentinelle fuori sono fondamentali perché il carcere si affaccia sulla piazza e spesso i parenti riescono a colloquiare con i detenuti attraverso le finestre, c’è il rischio che riescano a fare passare perfino sostanze stupefacenti», spiega un agente;
          alle finestre che si affacciano sull'esterno sono applicati pannelli in plexiglass («gelosie») e oltre alle sbarre sono presenti reti metalliche a maglia stretta: l'ingresso di luce naturale e la circolazione di aria risultano, pertanto, fortemente ridotti;
          le ore d'aria di cui possono usufruire i detenuti sono quattro, 2 al mattino e 2 al pomeriggio; per un'ora e mezza, dalle 16.30 alle 18, è consentita la permanenza in una stanza per la socialità, dotata di televisione, in cui i detenuti vengono chiusi a chiave;
          i detenuti che lavorano sono 124, poco meno della metà della popolazione detenuta; le officine per le lavorazioni, dove i detenuti lavorano come falegnami, fabbri, tessitori e sarti, sono ubicate nella parte vecchia della struttura; nelle sale per la lavorazione del legno, ampie e attrezzate con macchinari, lavorano circa 25 detenuti; in quest'ala si trovano anche le aule in cui si svolgono i corsi di scuola elementare e media e la sala per le perquisizioni; oltre alle attività di lavoro, sono attivi diversi corsi (elettricisti, alberghiero, informatica, restauro);
          l'ala ristrutturata del carcere si articola in 6 sezioni, dislocate su 3 piani (2 sezioni per ciascun piano); i detenuti, generalmente in 3 per ogni cella, dormono in un letto a castello a 3 piani; le docce sono all'interno della cella e l'erogazione dell'acqua calda è assicurata, secondo quanto riferiscono i detenuti;
          la prima sezione del piano terra ospita 41 detenuti; alcuni di loro lamentano l'assenza di lavoro: «questa è una casa di reclusione, qui dovremmo lavorare tutti»; altri lamentano il fatto che il costo di alcuni beni del sopravitto sia superiore al prezzo di mercato («un pacco di pasta da 1 chilo ce la fanno pagare 1,65 euro»); molti lamentano l'assenza del magistrato di sorveglianza: «io non l'ho visto mai», afferma un detenuto; un altro detenuto dice di aver presentato istanza al magistrato di sorveglianza nei primi giorni di marzo, per scontare il residuo della pena agli arresti domiciliari in base alla legge 199 del 2010, ma di non aver ancora ricevuto alcuna risposta; un detenuto tunisino residente a Brescia sottolinea il problema dell'assenza di lavoro e aggiunge: «io non ho i soldi nemmeno per comprare i vestiti e le sigarette; ho bisogno di lavorare perché dalla Tunisia ci sono difficoltà per fare arrivare un vaglia»; «per lavorare viene fatta una graduatoria, ma si aspetta anche più di 7 mesi», segnala un detenuto;
          gli educatori presenti nella casa di reclusione di Noto sono 2; molti detenuti sottolineano la carenza di queste figure: «gli educatori? E chi li ha visti mai?», dice un detenuto; un altro afferma: «io in 9 mesi che sono qua li ho visti una volta sola»;
          la delegazione visita anche le sezioni del 2o piano e l'infermeria ubicata al 3o piano; l'assistenza sanitaria è assicurata da 4 medici che coprono, dal lunedì al venerdì, la fascia oraria dalle 10 alle 18, e da 4 infermieri (2 effettivi e 2 a parcella); il medico di guardia, dottor Paolo Teodoro, riferisce di una situazione «tutto sommato positiva: mancherebbe l'h24, ma posso dire che la situazione sotto il profilo sanitario è tranquilla»; anche i detenuti confermano che l'assistenza sanitaria è buona  –:
          quali iniziative intenda assumere per far rientrare la casa di reclusione di Noto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
          quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il gravissimo deficit di organico di polizia penitenziaria;
          quali iniziative intenda assumere per incrementare il numero degli educatori;
          se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione;
          quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa, con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
          in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena evitando, oltre ai costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni prevalentemente del Centro-nord, la rottura dei legami affettivi dei detenuti con i loro familiari più stretti, in molti casi anche figli minori. (5-07884)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 22 maggio 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Siracusa, accompagnata da Luigi Pappalardo e Gianmarco Ciccarelli, responsabili dell'Associazione «Radicali Catania»;
          l'istituto, costruito nel 1997, sorge in una zona periferica della città (contrada Cavadonna); le condizioni della struttura sono buone;
          la delegazione, ricevuta e accompagnata nel corso della visita dall'ispettore di polizia penitenziaria Antonino Landogna, ha constatato la seguente situazione: il carcere è gravemente sovraffollato; a fronte di una capienza regolamentare di 309 posti, sono presenti 575 detenuti, di cui 247 scontano una condanna definitiva, mentre 328 sono in attesa di giudizio (72 imputati in attesa di primo giudizio, 74 appellati, 62 ricorrenti); l'istituto ospita detenuti comuni in media sicurezza, detenuti in regime di alta sicurezza e detenuti «protetti» (sex offender ed ex appartenenti a forze di polizia); la struttura è suddivisa in 4 reparti: accettazione (20 detenuti), blocco 10 (28 detenuti), blocco 25 (142 detenuti), blocco 50 (385 detenuti);
          i detenuti stranieri sono circa 120, quasi tutti provenienti da istituti del Nord Italia; «a volte arrivano interi pullman di detenuti stranieri sfollati da carceri del nord, soprattutto da Milano», riferiscono gli agenti, che aggiungono: «con tutti questi immigrati sfollati dal nord per noi è un problema, perché poi dobbiamo fare le traduzioni per accompagnarli alle udienze»;
          il carcere ospita esclusivamente detenuti di sesso maschile; il padiglione femminile, presente all'interno della struttura, non è mai stato aperto per carenza di personale di polizia penitenziaria («è pronto, ci sono perfino le brande», riferiscono gli agenti);
          la carenza di personale di polizia penitenziaria è una delle maggiori criticità; la pianta organica prevede 315 agenti, quelli in servizio sono 160, di cui però 27 sono distaccati e 3 in missione; inoltre 18 agenti sono in aspettativa elettorale e altri 6 agenti sono ormai prossimi alla pensione; la circostanza che l'organico di polizia penitenziaria sia così gravemente sottodimensionato determina condizioni di stress intollerabile per gli agenti: «ogni volta che si verifica un'emergenza, dobbiamo inventarci il modo per risolverla; così non riusciamo ad andare avanti, ma nessuno sembra capirlo», sottolinea l'ispettore Landogna; «il nostro carico di lavoro è troppo elevato, e anche per andare in bagno a volte è un problema, perché non c’è nessun collega che può sostituirti», denuncia un agente; la carenza di agenti determina gravi rischi per la sicurezza dell'istituto; «noi siamo pochi e anziani, mentre loro (i detenuti) sono molti e giovani» dice un agente; «quando apriamo una cella con 12 detenuti e noi in quel piano siamo in poche unità, andiamo realmente incontro a gravi pericoli», sottolinea un altro agente; le postazioni di guardia ubicate nelle mura perimetrali (le cosiddette «garitte») non sono presidiate, e il sistema di videosorveglianza non è funzionante; la carenza di personale di polizia penitenziaria si ripercuote in modo diretto anche sulle condizioni di vita dei detenuti, e in modo particolare sul loro diritto alla salute: spesso accade che i detenuti non possano effettuare le visite specialistiche prenotate in strutture ospedaliere esterne perché mancano gli agenti, o i mezzi, per effettuare le traduzioni;
          i detenuti che lavorano sono circa 40, un numero inferiore al 10 per cento della popolazione detenuta; alcune unità sono impiegate in un panificio/biscottificio gestito da una cooperativa esterna; la maggior parte dei detenuti, invece, lavora alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria con mansioni di giardiniere, lavorante in cucina, portavitto, lavorante in lavanderia, scopino; le ore d'aria in cui i detenuti possono uscire dalla cella sono 4, due al mattino e due al pomeriggio; sono attivi corsi di scuola elementare, media e tecnico-agrario; inoltre, sono attivi corsi di laboratorio letterario, di raccolta differenziata e di training autogeno; i detenuti coinvolti in attività scolastiche e altri corsi sono circa 70; per tutti gli altri, nessuna attività; dopo l'assegnazione, quest'anno, di 4 nuovi educatori, sono presenti 5 educatori (di cui 2, però, sono in maternità);
          per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, sono presenti 1 medico e un infermiere h24; gli infermieri sono 10, di cui 3 dipendenti del Ministero e 7 parcellisti; un'infermiera parcellista denuncia: «non ce la facciamo più; gli infermieri ministeriali non ci stanno mai, sono sempre in malattia, a noi invece ci pagano a ore»; un defibrillatore è presente in ogni piano dell'istituto, «ma dovrebbero farci i corsi per come utilizzarlo», sottolinea l'infermiera; i detenuti con problemi di tossicodipendenza sono circa 65; sono molti i detenuti affetti da patologie di tipo psichiatrico;
          nella sala colloqui è ancora presente il muretto divisorio; il carcere di Siracusa, malgrado vi siano ampi spazi esterni di verde, non è dotato di un'apposita area per il colloquio dei detenuti con i familiari minorenni;
          il reparto accettazione, ubicato al piano terra, dovrebbe essere destinato ad ospitare i nuovi giunti in attesa della definitiva assegnazione in altri reparti; in realtà la permanenza in questo reparto spesso si prolunga fino a periodi di tempo molto lunghi; le celle non sono dotate di televisione; le docce sono all'interno della cella ma da circa un mese, a causa di un guasto alla caldaia, non c’è l'acqua calda: i detenuti, quando è possibile, vengono accompagnati in un altro reparto per fare la doccia, con ulteriore aggravio di lavoro per i pochi agenti presenti;
          nella cella n.  1 è presente un detenuto italiano condotto in carcere poche ore prima; nella cella n.  3 è ristretto un detenuto in regime di alta sicurezza; questo reparto, secondo quanto riferito, ospita anche 2 detenuti in regime di semilibertà;
          le altre celle del reparto accettazione ospitano detenuti di nazionalità egiziana che si trovano in questi ambienti detentivi dal 23 aprile 2011 e sono completamente indigenti: indossano i vecchi pigiami a strisce forniti dall'amministrazione penitenziaria e alcuni di loro non hanno nemmeno un paio di scarpe o di ciabatte; tentano di comunicare con la delegazione in visita ma non è possibile comprendere ciò che dicono, dato che parlano soltanto l'arabo; nel carcere di Siracusa non c’è un intermediatore culturale e nessun'altra figura in grado di parlare o quantomeno di comprendere la lingua araba; lo stato di sofferenza di questi detenuti stranieri, dovuto alle condizioni di estrema povertà e alla impossibilità di comunicare, appare evidente; secondo quanto riferito dagli agenti, l'unica persona all'interno del carcere in grado di parlare l'italiano e l'arabo è un detenuto lavorante ristretto in un'altra sezione;
          nella cella n.  2 sono presenti 3 detenuti egiziani; 2 di loro dormono in un letto a castello, mentre 1 è costretto a dormire per terra; la cella n.  4 ospita 2 detenuti egiziani, così come la cella n.  6; nella cella n.  7 sono ristretti 3 detenuti egiziani, così come nelle celle n.  8 e n.  9;
          la sezione blocco 50 è il reparto in cui l'emergenza del sovraffollamento si manifesta in modo più drammatico; il numero dei detenuti ospitati in questo reparto è superiore alla capienza regolamentare dell'intero istituto di pena; nel blocco 50 infatti sono ristretti 385 detenuti: 146 al primo piano (detenuti comuni), 140 al secondo piano (detenuti comuni); 99 al terzo piano (detenuti «protetti»); a causa della carenza di personale di polizia penitenziaria, ogni piano è presidiato da 1 solo agente: «uno di noi deve tenere a bada 150 detenuti, ma questo non è umanamente possibile, ve ne rendete conto ?» si sfoga un agente;
          nella cella n.  2 sono ristretti 11 detenuti in circa 25 metri quadrati: siamo ben al di sotto di 3 metri quadri di spazio per detenuto; «e in questa cella siamo stati anche in 13», riferiscono i detenuti; sono presenti tre letti a castello a 3 piani e un letto a 2 piani; le condizioni strutturali della cella sono buone, fatta eccezione per il vano doccia che si presenta in condizioni fatiscenti; l'acqua calda è erogata soltanto per un'ora al giorno; «con un'ora soltanto di acqua calda, in 11 persone, l'ultimo fa sempre la doccia fredda; e dobbiamo essere veloci, altrimenti anche il penultimo !», dice un detenuto;
          P.G. dichiara di non fare colloqui da circa 4 anni: «la mia famiglia vive a Rapolla (Potenza), ho i genitori anziani, sono detenuto dal 2003 e negli ultimi 5 anni sono sempre stato in carceri lontane dal mio paese; ho chiesto un avvicinamento, perché non mi viene accordato ?»;
          nella cella n.  1 sono ristrette 10 persone in circa 25 metri quadrati; pure i detenuti di questa cella raccontano di essere stati, recentemente, anche in 13;
          R.G. è un detenuto che lavora in lavanderia e fa il volontario in biblioteca; lamenta il fatto che il magistrato di sorveglianza si ostini a rigettare le sue reiterate istanze volte ad ottenere un permesso-premio, nonostante la relazione di sintesi predisposta dagli operatori del carcere sia stata redatta nello scorso ottobre con valutazione positiva; «perché il magistrato di sorveglianza rigetta se il carcere ha dato parere favorevole ?», si chiede, e aggiunge: «ho la sensazione che il magistrato di sorveglianza si limiti a rigettare senza esaminare in modo approfondito la situazione; ho 5 rigetti tutti uguali, sembrano fotocopiati, cambiano solo le date; in questi rigetti c’è scritto che “non appare ancora maturo il percorso di consapevolezza del condannato”, ma quelli del carcere sanno come mi comporto, io sono effettivo in lavanderia e inoltre faccio il volontario in biblioteca, e infatti mi hanno dato parere positivo»; e conclude: «allora così il reinserimento è solo sulla carta !»;
          nella cella n.  4 sono ristretti 11 detenuti; «non abbiamo nemmeno lo spazio per muoverci», sottolineano; lamentano anche loro il fatto che l'acqua calda sia disponibile soltanto per un'ora al giorno: «la caldaia viene azionata soltanto per un'ora al giorno perché dicono che mancano i fondi, ma così qualcuno di noi deve farsi la doccia con l'acqua fredda, vi sembra giusto ?»;
          la cella n.  3 ospita 11 detenuti stranieri: 7 tunisini, 1 egiziano, 1 algerino, 1 marocchino e 1 del Bangladesh; sono tutti provenienti da istituti del Centro e del Nord Italia;
          S.M. 35 anni, tunisino, è stato sfollato dal carcere di Torino e si trova a Siracusa Cavadonna da 7 mesi; S.M. si avvicina alle sbarre con il supporto di una stampella e afferma di avere seri problemi ai piedi e di non ricevere adeguata assistenza: «c'ho un ferro in un piede e l'altro piede è fratturato, dovrei operarmi con urgenza; prima di essere trasferito qui, sono stato al centro clinico del carcere di Messina, dove non mi hanno fatto mai nemmeno una visita; da quando sono qua, mi hanno chiamato 4 volte per andare in un ospedale, ma 3 visite sono state annullate perché non c'erano gli agenti per accompagnarmi e così sono andato soltanto una volta per fare i raggi; lo specialista mi ha detto che dovrei operarmi e che dovrei avere due stampelle, ma purtroppo ne ho una sola»; e aggiunge: «mia moglie e mio figlio di 2 anni vivono a Torino; dallo scorso novembre chiedo di poter essere trasferito al centro clinico di Milano o di Torino: da quando sono qui non ho mai fatto un colloquio, né con la mia famiglia, che non ha i soldi per venirmi a trovare, né con l'avvocato, che è a Torino; non riesco a camminare e se posso fare la doccia è solo grazie all'aiuto dei miei compagni di cella: ho fatto la domandina anche per avere una seconda stampella e per avere un volontario che mi aiuti»;
          A.N., detenuto algerino, lamenta di non aver ricevuto alcun compenso per il lavoro svolto, nel 2002, alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (con la mansione di scopino); A.N. era ristretto nel carcere romano di Rebibbia ed è stato trasferito nel carcere di Siracusa da quasi un mese: «questo trasferimento – lamenta A.N. – mi impedisce di partecipare all'udienza per la rideterminazione del fine pena, fissata a Roma per il prossimo 7 giugno»;
          M.K.B.M. detenuto tunisino con fine pena nel maggio 2012, lamenta di aver presentato, in data 26 gennaio 2011, istanza di liberazione anticipata al magistrato di sorveglianza, senza aver ricevuto alcuna risposta; questo detenuto dice di trovarsi ristretto soltanto per non aver ottemperato all'ordine di lasciare il territorio italiano: «io sono qua dentro soltanto per clandestinità e ho sentito che l'Europa ha cancellato questo reato, ma allora perché non mi fanno uscire ?»; altri detenuti dichiarano di essere nella stessa situazione e lamentano la difficoltà di parlare con il proprio avvocato: «ci sfollano in luoghi lontani e non possiamo fare colloqui con il nostro avvocato; le telefonate possiamo farle solo di mattina, ma l'avvocato di mattina è in tribunale»;
          anche i detenuti di questa cella lamentano il fatto che l'acqua calda sia erogata soltanto per un'ora al giorno; inoltre lamentano l'assenza di lavoro e di qualsiasi attività: «nessuno di noi lavora, nessuno di noi fa i corsi !; per fare i corsi devi aspettare molto tempo»;
          nella cella n.  5 sono ristrette 10 persone; i detenuti di questa cella ci segnalano subito le preoccupanti condizioni di salute di uno di loro, M.D.; M.D., volto scarno e visibilmente provato, dice di avere un tumore al fegato e di essere affetto da epatite B e C: «sto veramente male, avrei bisogno di cure; in 6 o 7 occasioni ero pronto per fare la visita specialistica che era stata prenotata in ospedale, ma alla fine queste visite sono state rinviate perché mancavano gli agenti penitenziari»;
          la cella n. 8 ospita 11 detenuti stranieri, quasi tutti sfollati da carceri della Lombardia; S.A. (marocchino di 40 anni), dice di soffrire molto a causa di un problema di emorroidi: «non riesco quasi a camminare, non scendo neanche all'aria per il forte dolore»; e prosegue: «qualche tempo fa mi hanno chiamato alle 8 del mattino, mi hanno detto di alzarmi e prepararmi per andare in ospedale; poi, alle 14, mi hanno detto che non era possibile»;
          un altro detenuto lamenta l'assenza di attività: «qui non facciamo niente, non c’è una palestra, non c’è una biblioteca»;
          A.M.S. è disperato per la lontananza dalla compagna e dal piccolo figlio nato il 5 febbraio 2011: «circa 2 mesi fa ho fatto domanda al magistrato di sorveglianza per l'avvicinamento alla famiglia, ma ancora non ho avuto nessuna risposta»; e, mostrando la foto del neonato, spiega: «sono stato arrestato 2 giorni dopo la sua nascita e non ho potuto fare il riconoscimento; adesso ci vorrebbe un notaio ma io non ho i soldi, non ho i soldi nemmeno per pagarmi un avvocato»; A.M.S., alla fine del breve colloquio, avvicina le mani al collo e dice: «penso veramente di prendere la corda»;
          H.U.U., detenuto cinese, dice di trovarsi in questo carcere da quasi 5 mesi: «prima ero a Poggioreale, lì nel mio libretto avevo 258,69 euro, ma questi soldi ancora non sono arrivati qua, io ho fatto la richiesta ma i soldi non sono arrivati»;
          E.S.A. vorrebbe avvicinarsi alla famiglia, che vive a Milano: «sono qui da 3 anni e mezzo, prima ero a San Vittore, ho fatto domanda di avvicinamento 4 volte, ma non ho ricevuto nessuna risposta, né un sì né un no !»;
          altri detenuti denunciano: «per poter lavorare deve passare 1 anno, ma se non hai soldi muori di fame, noi non abbiamo i soldi per mangiare !»;
          nella cella n.  7 sono ristretti 11 detenuti;
          M.M., dice di avere necessità di lavorare: «sono solo, non ho famiglia, prima lavoravo in cucina, poi 7 mesi fa mi hanno diagnosticato un'ernia e adesso non mi fanno lavorare più finché non sarò operato; ma io ho bisogno di lavorare !»;
          un altro detenuto, A.G. dice di soffrire di anoressia e di essere tossicodipendente, e afferma di essere stato dichiarato incompatibile con il regime carcerario ordinario dai periti del tribunale di Palermo; «prima ero all'Ucciardone di Palermo, poi mi hanno trasferito al carcere di Augusta e ora mi hanno portato qua; ma io vorrei essere trasferito in un centro clinico per essere curato, oppure in una comunità; qui non funziona niente, io ho i denti cariati e non posso neanche mangiare, ma il dentista non funziona; anche quelli del Sert non si vedono mai»;
          S.A., ristretto in questa cella dal mese di gennaio, denuncia i ritardi per ottenere il certificato di detenzione: «2 mesi fa ho fatto la domanda per il foglio di detenzione, ho necessità di spedirlo alla mia famiglia, ma ancora non è stato possibile averlo, dicono che deve essere autenticato...»;
          altri detenuti lamentano: «non cambiano le lenzuola da circa 3 mesi»; e ancora: «il vitto è scadente, la carne se la metti nel muro non scende, resta incollata»;
          alcuni detenuti stranieri segnalano che il costo per effettuare telefonate nei loro Paesi è superiore rispetto ad altri istituti: ad esempio, 10,60 euro per una telefonata di 10 minuti in Egitto, oppure 7,00 euro per una telefonata di 10 minuti in Romania;
          molti detenuti sono a conoscenza dell'iniziativa nonviolenta di Marco Pannella, in sciopero della fame dal 20 aprile 2011 con l'obiettivo, fra gli altri, di sollecitare il Parlamento ad approvare un provvedimento di amnistia ai sensi dell'articolo 79 della Costituzione; alcuni detenuti preannunciano il loro proposito di aderire al digiuno: «siamo con Pannella, voi siete gli unici a interessarvi della nostra misera condizione»;
          il rapporto fra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria appare buono; molti detenuti mostrano piena consapevolezza delle enormi difficoltà che quotidianamente gli agenti, largamente sotto organico, sono costretti ad affrontare;
          «stasera avete trovato una serata tranquilla», evidenziano gli agenti, «ieri per esempio abbiamo avuto 9 nuovi giunti, ed è stato un problema: li dobbiamo perquisire, controllare, immatricolare, ubicare, ma quando si è in pochi tutto diventa complicato; ogni giorno dobbiamo perquisire circa 300 persone che vengono per fare i colloqui; il nostro è un lavoro massacrante, ma c’è totale disinteresse a livello centrale: non capiscono che noi, così, non ce la facciamo più»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
          se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il drammatico sovraffollamento della casa circondariale di Siracusa e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
          quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
          quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la gravissima carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro degli agenti stessi;
          quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
          se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione;
          se, e in che modo, intenda intervenire, per quanto di competenza, rispetto ai casi segnalati e alle specifiche criticità evidenziate in premessa;
          se intenda dotare l'istituto di una figura di intermediazione culturale in grado di comunicare con i detenuti di lingua araba;
          quali iniziative intenda adottare affinché sia garantita l'erogazione dell'acqua calda per un tempo congruo a soddisfare le basilari esigenze igieniche della popolazione detenuta;
          quanto tempo occorrerà ancora attendere prima che sia rimosso il muretto divisore nella sala colloqui;
          quali iniziative intenda assumere affinché sia attrezzata un'apposita area verde per lo svolgimento dei colloqui dei detenuti con i familiari minorenni;
          quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
          in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, evitando i costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni, prevalentemente del Centro-nord;
          quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all'interno dell'istituto penitenziario di Siracusa alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo. (5-07885)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano l'Arena del 30 maggio 2011 è apparso un articolo intitolato: «Proteste della polizia penitenziaria a Montorio. In carcere gli agenti sono pochi»;
          la prima firmataria del presente atto, data l'importanza e la gravità di quanto esposto nel predetto articolo, ritiene di riportarne integralmente il contenuto: «Diritti dei detenuti, che in carcere hanno “scelto” di andare. Ma anche diritti della polizia penitenziaria, che in carcere ci deve lavorare. A Montorio lavorano 280 uomini e donne di polizia penitenziaria, compresi tutti gradi. La pianta organica prevederebbe 407 unità. Ed era stata stilata in base a una capienza massima del carcere di circa 500 detenuti. Oggi l'istituto circondariale di Montorio scoppia come tutte le altre carceri italiane. Qui si toccano picchi di mille detenuti. Per questa ragione tutte le organizzazioni sindacali della struttura hanno proclamato lo stato di agitazione. E hanno iniziato una serie di incontri, il primo con il direttore Antonio Fullone, che s’è dimostrato molto partecipe, d'altra parte lui e i suoi uomini sono nella stessa barca. O meglio sullo stesso barcone che rischia di affondare. L'altro giorno in carcere è arrivato il provveditore Felice Bocchino, che ha competenza regionale, ma davanti al documento che ha mostrato e che testimonia che lui aveva chiesto al ministero 1 milione e mezzo di euro per lavori di messa in sicurezza degli istituti del Veneto e gliene sono stati concessi 260 mila, ben si capisce che ormai s’è raschiato oltre il fondo del barile. Protestano i detenuti, che battono le posate sulle sbarre e rifiutano il cibo perché, dicono, sono in condizioni disumane e con il caldo la situazione peggiora. Protestano i poliziotti che non riescono più a reggere i ritmi, lavorando con cinque o sei incarichi diversi ogni giorno. “Il personale già carente continua a diminuire (turni di lavoro forzati anche di 15 ore consecutivi). Uomini di vigilanza e/o di scorta insufficienti tanto che solo grazie all'enorme spirito di sacrificio e di abnegazione si è riusciti a sventare in tempo, l'altro giorno un tentativo di evasione da parte di un detenuto che aveva già raggiunto il muro di cinta in prossimità dell'uscita”, dice Carlo Taurino della Cgil. “Sono stati fatti tagli ai fondi già tagliati con rischi anche per l'igiene e la salubrità: abbiamo avuto tre casi di Tbc; mancano i soldi anche per acquistare la carta, o una lampadina per importanti zone di illuminazione dell'istituto; le missioni non vengono corrisposte da settembre 2010”, gli fa eco Giovanni Sicilia del Sappe. E ancora ci sono automezzi insufficienti ed inadeguati, obsoleti. “Chiediamo fatti non propaganda”, dicono i rappresentanti di Sappe Osapp Cisl Uil Sinappe Cgil Cnpp Ugl Notarfrancesco, Lioce, Ferrari, Budano, Nappi, Taurino, De Cieri e Floris. Il personale chiede lo sfollamento di almeno 153 detenuti di cui 53 protetti per riportare la presenza a tre detenuti per cella, il massimo consentito, così come ha stabilito da anni l'Asl di Verona; e ancora la sospensione fino a nuova assegnazione di personale di tutti i corsi e futuri progetti di aree lavoro per i detenuti oltre alla revoca di ogni disposizione finalizzata all'apertura della nuova sezione di osservazione per detenuti affetti da patologie psichiche. Nei prossimi giorni il personale della penitenziaria incontrerà il sindaco Flavio Tosi affinché si faccia promotore delle loro istanze con il ministro Maroni, cui a sua volta verrà chiesto di intercedere dal ministro Alfano»  –:
          quali provvedimenti urgenti si intendano adottare al fine di risolvere i gravi problemi di cui soffre il carcere di Verona, con particolare riferimento alle condizioni di vita e di salute dei detenuti e del personale di polizia penitenziaria.
(5-07886)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Provincia del 30 maggio 2011, è stato pubblicato un articolo nel quale viene data notizia che nel carcere di Torre del Gallo sono state rinvenute piattole e pidocchi nelle celle; per questi motivi nelle celle del carcere di Pavia è esplosa la protesta: i reclusi lamentano la presenza di parassiti e chiedono, per questo, di essere visitati. Sono stati segnalati anche casi di scabbia, ma a tal proposito il direttore dell'istituto penitenziario, dottoressa Iolanda Vitale, ha dichiarato: «Qualche episodio c’è stato in passato, ora non abbiamo nessun problema di infezioni di questo tipo»;
          i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, in particolare la Uil, hanno fatto pochi giorni fa un'ispezione nel carcere di Torre del Gallo, denunciando carenze igienico-sanitarie più generali: «Le celle sono sporche e da tempo i muri non vengono tinteggiati. La struttura cade a pezzi. I casi di infestazione da piattole registrati confermano la nostra analisi. Non dobbiamo dimenticare che le sezioni detentive sono anche luoghi di lavoro per il personale di polizia penitenziaria che, inevitabilmente, corre il rischio di essere contagiato. A Pavia i posti previsti sarebbero 244, ma ci sono 480 detenuti. Una situazione che chiaramente comprime gli spazi dei reclusi ed abbatte al minimo i livelli di civiltà»  –:
          se si intenda provvedere quanto prima ai lavori di manutenzione della struttura penitenziaria di Torre del Gallo;
          se, vista la presenza di parassiti e piattole nelle celle, tutti i detenuti siano stati accuratamente visitati da personale medico qualificato;
          se dal punto di vista igienico-sanitario la struttura carceraria in questione sia a norma;
          se sia stata effettuata una disinfestazione delle celle e di tutti i relativi ambienti di lavoro;
          a quando risalga l'ultima relazione della ASL in merito ai requisiti igienico sanitari di tutti gli ambienti del carcere di Pavia e cosa vi sia scritto in tale relazione. (5-07887)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Adnkronos del 31 maggio 2011, gli agenti di polizia penitenziaria della casa circondariale di Asti hanno indetto uno stato di agitazione permanente; lo hanno dichiarato sette sigle sindacali: Sappe, Osapp, Fns Cisl, Uilpa, Cgil, Ugl, Fsa – Cnpp. Le segreterie provinciali hanno sottoscritto un documento in cui sottolineano il «grave malessere che attanaglia il personale di polizia penitenziaria astigiano, sempre più massacrato nel quotidiano da carichi di lavoro che non hanno precedenti. Lo stato di agitazione permanente rimarrà convocato fino a quando non saranno assunti – spiegano – concreti provvedimenti in termini di assegnazione di unità»;
          i sindacati chiedono un intervento straordinario ed urgente che deve riguardare l'invio immediato di almeno 20 unità per porre rimedio alla grave drammaticità della casa circondariale di Asti. Il penitenziario astigiano conta oggi 126 agenti in servizio a fronte di una pianta organica prevista di 267 unità spiegano i sindacati. Per questo chiedono che si apra un tavolo di confronto immediato con il provveditore regionale al fine di trovare soluzioni concrete ed immediate unitamente alle segreterie provinciali delle organizzazioni sindacali della casa circondariale di Asti  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di risolvere i gravi problemi che hanno indotto gli agenti di polizia penitenziaria della casa circondariale di Asti ad indire lo stato di agitazione permanente. (5-07888)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, Agostino Castagnola, recluso nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino, si è tolto la vita infilando la testa in un sacchetto di plastica morendo soffocato;      
          Castagnola è il terzo detenuto della casa circondariale torinese a uccidersi nel giro di pochi giorni;
          a metà maggio 2011 si era impiccato con la cintura nel bagno della cella Vincenzo Lemmo, 48 anni, di i Forcella, in carcere con una pesante condanna definitiva per traffico di stupefacenti e per i suoi legami con la camorra. La sua pena sarebbe terminata solo nel 2025;
          dopo quest'ultimo suicidio Leo Beneduci, segretario del sindacato della polizia penitenziaria Osapp, ha dichiarato: «Dall'inizio dell'anno è il venticinquesimo suicidio, il terzo a Torino in venti giorni. È una strage continua. E la polizia penitenziaria è sempre più abbandonata al destino di prendere atto del disastro delle carceri italiane. È evidente che l'unica soluzione è incrementare l'organico con un provvedimento straordinario: quello che il ministro Alfano promette e non mantiene dall'inizio della legislatura»  –:
          di quali elementi disponga in merito alle modalità con le quali era seguito dal personale medico il detenuto Agostino Castagnola e a quando risalga l'ultimo incontro che il detenuto aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;      
          se con riferimento al suicidio di Agostino Castagnola non ritenga opportuno avviare una indagine ministeriale all'interno della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino al fine di verificare l'esistenza di eventuali profili di responsabilità. (5-07889)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          Walter Bonifacio, quarantenne originario del veneziano, è morto il 24 maggio 2011 nella sua cella della casa di reclusione di Padova che condivideva con due altri detenuti;
          la notizia è stata data dalla newsletter di Ristretti Orizzonti, il servizio giornalistico dei detenuti del carcere padovano;
          dalle poche notizie trapelate sembra che l'uomo abbia inalato del gas e poi sia caduto, sbattendo violentemente la testa, circostanze che finora non hanno trovato conferma da parte dell'istituzione penitenziaria;
          secondo quanto riportato da Ristretti Orizzonti, il giorno della morte di Walter Bonifacio il termometro segnava 34 gradi; con quelle temperature, le celle di cemento armato della casa di reclusione diventano veri e propri forni e tre persone rinchiuse in otto metri quadrati comprensibilmente soffocano  –:
          quali siano le cause che hanno portato al decesso del detenuto Walter Bonifacio;      
          di quali elementi disponga in merito alle modalità con le quali era seguito dal personale medico il detenuto Walter Bonifacio e a quando risalga l'ultimo incontro che il detenuto aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
          se, in particolare, fosse stato visitato dallo psichiatra del carcere e se quest'ultimo avesse segnalato un rischio suicidario del detenuto;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di contrastare il grave sovraffollamento che si registra nella struttura penitenziaria patavina, anche in vista dell'imminente arrivo della stagione estiva. (5-07890)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 29 maggio 2011 l'interrogante ha visitato il carcere Vazia Rieti, accompagnata dalle militanti e dirigenti radicali Irene Testa, Valeria Centorame e Paola Di Folco;
          il carcere di Rieti, è un carcere nuovo, aperto nel 2009 che – considerato il sovraffollamento delle carceri laziali – è inspiegabilmente utilizzato solo per un terzo della sua capacità ricettiva; delle 11 sezioni a disposizione, infatti, solo 3 ospitano detenuti; tutte le altre sono chiuse per mancanza di personale della polizia penitenziaria; pertanto, a fronte dei 450 posti disponibili solo 142 detenuti sono ospitati nella struttura;
          il 50 per cento circa dei detenuti sono stranieri; 80 sono tossicodipendenti e di questi 52 sono in terapia metadonica che i detenuti assumono tramite una strumentazione «autodosante»; almeno trenta persone sono sottoposte a cure con benzodiazepine;
          le celle, concepite per ospitare uno o, al massimo, due detenuti, sono attualmente occupate da quattro reclusi, sistemati in letti a castello; in cella i detenuti trascorrono la maggior parte della giornata considerato che solo 26 di loro hanno la possibilità di svolgere attività lavorative; d'altra parte – sempre a causa della carenza di personale – non sempre è possibile fruire delle attività che strutturalmente sono possibili nel penitenziario: palestra, teatro sociale, biblioteca, campo sportivo, cineforum, corsi di informatica ed alfabetizzazione;
          il carcere di Rieti è dotato di infrastrutture prescritte dall'ordinamento penitenziario – come l'area verde per i colloqui all'aperto con i minori – che però non sono utilizzate per la citata carenza di agenti di polizia penitenziaria;
          l'istituto non è ancora dotato della pianta organica della polizia penitenziaria; gli agenti sono drammaticamente e sicuramente insufficienti, costretti a turni massacranti anche di 12 ore consecutive;
          per molti detenuti, soprattutto stranieri, avere rapporti con i familiari è pressoché impossibile data la mancanza di infrastrutture e collegamenti autostradali e ferroviari verso la città di Rieti;
          quanto all'assistenza sanitaria, l'istituto è nella fase di organizzazione con la ASL di riferimento e, comunque, al momento, è privo della guardia medica durante la notte e per due ore dalle 12 alle 14; il reparto medico infermieristico, è dotato di un'apparecchiatura radiologica acquistata di recente, ma che non può essere utilizzata perché «inidonea» all'uso in carcere;
          riguardo all'assistenza psicologica, uno psicologo del SERT si reca in istituto una volta a settimana; uno psicologo dell'amministrazione penitenziaria (ex articolo 80) è previsto per sole 8 ore mensili, mentre per i nuovi giunti, lo psicologo addetto, arriva entro 48 ore dall'ingresso in istituto del detenuto  –:
          se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
          quali iniziative intenda mettere in atto per riportare la popolazione detenuta nel carcere di Rieti nel limite dei posti regolamentari disponibili e consentire la piena applicazione dell'ordinamento penitenziario in merito alla regionalizzazione della pena; in che tempi saranno aperte le altre 8 sezioni attualmente chiuse;
          se non ritenga finalmente di dover autorizzare, senza ulteriori ritardi e rinvii, la pianta organica del personale di polizia penitenziaria da assegnare all'istituto, colmando le lacune esistenti che creano un enorme stress fisico e psicologico dei pochi agenti in servizio costretti a turni massacranti;
          in che tempi intenda intervenire per assicurare le attività trattamentali, in primo luogo il lavoro, che consentano ai detenuti di intraprendere un percorso riabilitativo;
          in che tempi verrà assicurata ai detenuti un'adeguata assistenza psicologica;
          se risulti quanto sia costata al contribuente l'apparecchiatura inutilizzata per gli esami radiologici e come si intenda ovviare alle costose traduzioni per gli esami radiologici esterni. (5-07893)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS, nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, lo scorso 5 giugno, un internato di 39 anni è morto per sospetta setticemia;
          a dare la notizia del sesto decesso registratosi ad Aversa nel 2011 è stato Dario Stefano Dell'Aquila, portavoce dell'associazione Antigone Campania e componente dell'Osservatorio nazionale sulla detenzione. Nel corso di quest'anno, ad Aversa, tre internati si sono tolti la vita suicidandosi, uno è morto per soffocamento e due sono morti per malattia;
          nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa vi sono circa 300 internati, sofferenti psichici autori di reato sottoposti ad una misura di sicurezza, sicché più volte è stato chiesto, nel corso degli anni, tanto all'amministrazione penitenziaria quanto al servizio sanitario regionale, interventi immediati per garantire livelli essenziali di assistenza sanitaria all'interno della predetta struttura;
          i precedenti decessi hanno riguardato dei suicidi: lo scorso 6 maggio un 33enne si è impiccato nella sua cella; l'11 aprile un romeno di 58 anni, recluso da circa otto anni, si è impiccato nel bagno della propria cella; ancora prima, il 5 gennaio, un uomo di 32 anni, ha compiuto lo stesso estremo gesto. Nel pomeriggio del 9 maggio, invece, un uomo era morto per soffocamento –:
          quali siano le cause del decesso avvenuto lo scorso 5 giugno nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa;
          se il Ministro non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso la struttura di Aversa per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte del personale della struttura;
          se all'interno della predetta struttura siano garantiti i livelli essenziali di assistenza sanitaria. (5-07895)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, nel carcere spoletino di Maiano, un detenuto 53 si è suicidato il 3 giugno 2011. Da quanto sembra, l'uomo era alle prese con problemi di salute. Gli addetti alla sicurezza, nonostante la sorveglianza, lo avrebbero trovato impiccato e a nulla è valso il loro disperato tentativo di salvarlo. Il cuore dell'uomo aveva già cessato di battere e il medico non ha potuto far altro che accertare l'avvenuto decesso;
          l'uomo si trovava recluso già da un po’ di tempo al carcere di Maiano e da quanto trapela doveva scontare una pena detentiva piuttosto lunga. Non è escluso che il detenuto possa essere caduto in una forte crisi depressiva che lo ha portato a compiere il tragico gesto;
          negli ultimi tempi le condizioni di vita dei reclusi del carcere di Maiano sono notevolmente peggiorate a causa dell'arrivo di nuovi detenuti che hanno portato la struttura a ospitare circa 700 unità. Come già noto e più volte sottolineato anche dai sindacati della Polizia penitenziaria, la situazione relativa alla sicurezza è al limite, con gli agenti che operano in condizioni precarie  –:
          se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere di Spoleto per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione;
          se sia noto in che modo era seguito dal personale medico il detenuto in questione e a quando risalga l'ultimo incontro che lo stesso aveva avuto con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
          se, in particolare, l'uomo fosse stato visitato dallo psichiatra del carcere e se quest'ultimo avesse riscontrato un rischio suicidario;
          quali misure più in generale il Ministro intenda adottare nell'immediato per arginare il fenomeno dei suicidi all'interno delle nostre strutture penitenziarie.
(5-07896)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano Italia Oggi del 5 giugno 2011 è stato pubblicato l'articolo intitolato: «In carcere preservando il rapporto detenuti-figli. Presentato uno studio»;
          nell'articolo viene illustrato un interessante studio sulle relazioni tra genitore-detenuto e figli minori. Il quadro d'insieme del fenomeno, che solo in Italia interessa ogni anno circa 100 mila minori i cui genitori sono detenuti e che a livello europeo tocca quota 1,2 milioni, è stato fotografato nel primo rapporto presentato a Roma nelle scorse settimane;
          l'indagine, condotta nel 2009-2011 attraverso questionari rivolti a personale carcerario interno e volontari che assistono le strutture, e colloqui a genitori reclusi, ha interessato complessivamente 112 carceri italiane (pari al 53 per cento delle complessive 213 che operano nel nostro territorio). Le regioni che hanno partecipato maggiormente sono state Valle d'Aosta, Basilicata, Trentino e Lombardia. Emerge come nella grande maggioranza dei casi (76 per cento) nel delicato momento d'incontro tra minori e genitori in carcere non è presente personale adeguatamente preparato. Inoltre, nel 66 per cento delle strutture esaminate manca una circolare che disciplini e detti regole condivise, cui il personale deve attenersi nel corso degli incontri familiari;
          le perquisizioni effettuate sui minori prima dell'ingresso al colloquio sono al 40 per cento personali e al 29 per cento con metal detector. I colloqui avvengono nella grande maggioranza dei casi di mattina (81 per cento) e solo nell'8 per cento dei casi tutto il giorno. Quanto alla frequenza, il 32 per cento delle carceri prevedono otto e più incontri al mese, il 41 per cento sei volte e il 27 per cento quattro volte; la durata è nel 54 per cento dei casi di 1 ora, nel 40 per cento fino a 2 ore e nel 4 per cento oltre 3 ore. Nel 59 per cento delle carceri non è possibile far pranzare insieme genitori e minori (solo il 7 per cento). Un dato emblematico riguarda la presenza di strutture adeguate per il colloquio genitori figli: il 65 per cento delle carceri non ne è dotata;
          le regioni più virtuose sono Emilia Romagna (83 per cento delle strutture ne è dotata), Lazio (60 per cento), Lombardia (58 per cento). Sorprende la Valle d'Aosta che non ne ha alcuna. Quel che serve sono risorse per supportare i progetti formativi e di assistenza oltre ad una maggiore sensibilità sulla cultura del recupero del rapporto genitore figlio soprattutto nel periodo in cui il primo sia detenuto  –:
          quali iniziative intenda adottare affinché in ogni carcere italiano sia presente personale adeguato nel momento dell'incontro tra minori e genitori detenuti;
          se non intenda inviare una circolare a tutti gli istituti di pena che disciplini e detti regole condivise, cui il personale deve attenersi nel corso degli incontri tra minori e genitori detenuti;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare affinché in tutte le carceri italiane il detenuto-genitore possa pranzare insieme al figlio;
          se non intenda mettere a disposizione strutture adeguate per il colloquio genitori-detenuti e figli in tutti quegli istituti di pena che ne risultano attualmente sprovvisti;
          se non intenda destinare maggiori risorse per supportare i progetti formativi e di assistenza volti al recupero del rapporto genitore-figlio soprattutto nel periodo in cui il primo sia detenuto.
(5-07897)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sul Quotidiano di Calabria del 5 giugno 2011 è apparso un articolo intitolato: «l'UGL scrive al Prefetto; nella Casa Circondariale violati i patti sindacali»;
          nell'articolo citato si narra che la segreteria regionale dell'Ugl della Polizia Penitenziaria della Calabria ha inviato la seguente lettera al Prefetto di Cosenza: «La situazione della casa circondariale e della locale direzione delegittima, con la sua azione, le prerogative sindacali. Il direttore della Casa Circondariale di Cosenza, Filiberto Benevento, è solito adottare provvedimenti di notevole importanza, connessi all'organizzazione del lavoro del Corpo di Polizia Penitenziaria, in modo unilaterale, ovvero senza il previsto e necessario confronto con le parti sindacali, salvo poi fornire scarne informazioni alle stesse parti, omettendo un passaggio fondamentale: la convocazione. Ma non è tutto. Si assiste, impotenti, alla sistematica alienazione dei diritti di buona parte del Personale e alla violazione di accordi sindacali vigenti e di recente sottoscrizione al solo scopo di salvaguardare solo una parte di personale. A tal proposito, in questi giorni, dinnanzi alla necessità di garantire la fruizione delle tanto agognate ferie estive a tutto il personale la direzione della casa circondariale di Cosenza sembrerebbe orientata ad istituire turni distribuiti su 3 quadranti orari (ossia da 8 ore giornaliere) in taluni posti di servizio ritenuti erroneamente privilegiati e con meno carichi di lavoro, tra cui uno di difficile comprensione atteso l'indirizzo consolidato di sopprimere quasi quotidianamente tale presidio di sicurezza. Inoltre sembrerebbe anche in forte dubbio il pagamento del lavoro straordinario atteso l'insufficiente ed irrisorio monte ore messo a disposizione della casa circondariale di Cosenza che, nonostante la carenza di personale si trova ancora nelle possibilità di garantire l'espletamento di turni su 4 quadranti orari. Chiediamo quindi la convocazione di un incontro per l'approfondimento dei temi che costituiscono solo la punta dell’iceberg del dissenso nei confronti del modus operandi adottato dall'attuale dirigenza della Casa Circondariale Cosenza»  –:
          se corrisponda al vero quanto esposto dalla segreteria regionale dell'Ugl della Polizia Penitenziaria della Calabria al prefetto di Cosenza;
          quali provvedimenti e/o iniziative intenda adottare al fine di ripristinare un corretto rapporto sindacale tra gli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso l'istituto di pena calabrese e il loro direttore. (5-07898)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante il 23 maggio 2011 è tornata a visitare il carcere palermitano dell'Ucciardone accompagnata da Donatella Corleo e Sergio Rovasio;
          nella visita la delegazione è stata guidata dal dottor Marcello Veneziano, direttore che sarà a breve sostituito dalla dottoressa Rita Barbera essendo egli stato nominato provveditore regionale della Sicilia;
          rispetto alle visite precedenti, oggetto delle interrogazioni n.  4-08438 e 4-02624, la situazione è leggermente cambiata seppure persistano gravissime illegalità sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e della dignità delle persone ivi ristrette;
          i fatti per i quali si registra un miglioramento riguardano sia l'apertura della ristrutturata ottava sezione sia la diminuzione della popolazione detenuta seguita ad uno sfollamento; lavori in corso riguardano la seconda sezione che, a detta del dottor Veneziano, dovrebbe essere consegnata nel prossimo mese di ottobre; per la sesta sezione, c’è un progetto di ristrutturazione che però è in attesa di finanziamento;
          per quanto riguarda la situazione degli agenti di polizia penitenziaria permane una forte carenza essendo gli effettivi in numero di 350 rispetto ai 530 previsti dalla pianta organica; ciò determina la distribuzione su tre turni di lavoro anziché quattro provocando un forte stress negli agenti in servizio;
          i detenuti presenti all'atto della visita erano 583 di cui, 315 con sentenza definitiva, 147 in attesa di primo giudizio, 69 appellanti e 52 ricorrenti;
          nell'ottavo reparto, quello ristrutturato, sono ristretti 122 detenuti che vivono in celle finalmente dotate di bagno con doccia;
          nella settima sezione i detenuti sono 222 e dato del sovraffollamento è sconcertante avendo potuto verificare che in stanze di circa 15 metri quadri sono ristretti ben 7 detenuti, i quali dispongono pertanto di poco più di 2 metri quadri testa; gli ambienti sono fatiscenti e dal punto di vista igienico indecenti: celle dalle mura scrostate e sporche che cadono a pezzi, gabinetti indecenti, docce comuni che, a causa dell'umidità, sembrano delle grotte di colore verde e nero per il muschio alle pareti e nel soffitto, sudicie e piene di ruggine agli impianti; la presenza di zanzare è notevole, i detenuti le raccolgono via via nei bicchieri e di notte sono costretti a dormire completamente coperti per evitare quello che definiscono un vero e proprio «massacro»; a tutto ciò si aggiunge l'indisponibilità degli attrezzi e dei detersivi per pulire le celle che solo i detenuti che hanno denaro sufficiente nel conto corrente, possono acquistare a caro prezzo allo spaccio interno;
          su 583 detenuti, solo 70 lavorano, pari al 12 per cento: immutata rispetto alle visite precedenti è rimasta la pressoché totale assenza di attività; quasi tutti i detenuti, infatti, passano 20 ore in cella, avendo accesso a 2 ore d'aria la mattina e a 2 il pomeriggio, ma essendo privati del tempo che in altri istituti viene destinato alla «socialità»;
          tutti i detenuti lamentano i prezzi troppo alti dello spaccio interno;
          dal punto di vista medico-sanitario la situazione è peggiorata soprattutto per quel che riguarda la disponibilità di farmaci: anche il Brufen (di cui si parla nelle interrogazioni precedenti), cioè «la medicina che cura tutto», dal mal di pancia al mal di testa, è divenuto «raro» il che ha fatto vivere ad alcuni detenuti momenti di grande sofferenza quando hanno affrontato un mal di denti o di testa acuti;
          nonostante le ristrutturazioni, il muretto divisorio continua ad essere presente nelle sale colloqui, rendendo particolarmente squallidi gli incontri dei detenuti con i familiari, in particolare quando si tratta di minori; alle finestre di molte celle ci sono ancora le cosiddette «gelosie», vietate dal regolamento penitenziario perché impediscono sia alla luce e all'aria di entrare che di poter guardare all'esterno; non è un caso che un detenuto della settima sezione abbia usato l'espressione «qui siamo trattati come animali»;
          oltre alla settima, e alla nuova sezione, la delegazione ha visitato il reparto «protetti»: anche lì, si è constatato lo stato di degrado strutturale e la generale situazione di precarietà igienica; nella prima cella visitata erano ristretti due uomini visibilmente in stato di grave sofferenza psichica, probabilmente sotto l'effetto di psicofarmaci: uno dei due tremava;
          altra forte carenza che permane e che riguarda tutto l'Istituto, è quella riguardante le figure professionali di sostegno psicologi, educatori e perfino gli assistenti sociali.sono pochissimi; alcuni detenuti affermano di non aver mai visto l'educatore;
          quanto segnalato in precedenza è peraltro confermato da una recente presa di posizione dei sindacati SAPPE-FNS.CISL-UGL.PP-FP.CGIL-polizia penitenziaria-Palermo Ucciardone, che l'interrogante ritiene di dover riportare integralmente: «Alla Direzione della Casa Circondariale Palermo “Ucciardone” – Al Provveditorato Amministrazione Penitenziaria Palermo
           prot. 01/11 unitaria
          Palermo li 8 giugno 2011
          Oggetto: Urgente disinfestazione CC Ucciardone, Chiusura immediata della 7a e 3a sezione, per carenze igienico sanitarie: muffe Stachybotrys Chartarum, umidità e muri screpolati, vetuste condizioni strutturali e notevole carenza di personale di polizia varie qualifiche. Con la presente si intende segnalare, ancora una volta, ma non solo, le gravi problematiche che affliggono l'Istituto Penitenziario dell'Ucciardone.
          In atto, la situazione dell'istituto non permette di assolvere il mandato istituzionale cui è demandato il Corpo di Polizia Penitenziaria.
          Ciò a causa della penuria di personale, di stanziamenti economici insufficienti, nonché del sovraffollamento detentivo che ormai da tempo ha superato ogni soglia di civile e razionale tollerabilità.
          A causa di quanto esternato, il personale di Polizia Penitenziaria è costretto sempre più a operare in situazioni di oggettiva difficoltà e con scarsissimi livelli di sicurezza. Per citare alcuni esempi, ormai, è prassi consolidata sorvegliare più sezioni e cancelli contemporaneamente, come alla 9a sezione, oppure disposti su più piani vedasi 7a, 3a e 8a (un solo agente per effettuare i controlli, deve spostarsi da un piano ad un altro). Per tamponare la carenza di agenti, in palese violazione degli accordi sindacali siglati a livello nazionale, si fa ricorso ai cosiddetti doppi turni.
          Nonostante da tempo le OO.SS scriventi abbiano più volte scritto e denunciato tale situazione nessun miglioramento ne è derivato. Il carcere dell'Ucciardone rischia di esplodere da un momento all'altro e nessuno adotta i provvedimenti necessari. Si continua a disattendere gli accordi sindacali siglati e a calpestare i diritti umani di centinaia di detenuti e degli operatori Penitenziari. In tutto l'istituto gravano condizioni igienico sanitarie e strutturali da terzo mondo, non possono più sottacere alla situazione igienica critica e non possono far altro che chiedere una Disinfestazione Generale Urgente in tutto l'istituto penitenziario dell'Ucciardone perché i Poliziotti Penitenziari sono stanchi di recarsi a lavoro e poi ritornare a casa pieni di morsi di zanzare oppure mentre si recano di sentinella ed ovunque lungo i viali dell'Ucciardone vedono camminare le blatte, e molto spesso si vedono pure grossi ratti.
      Nei Corridoi ed all'interno delle camere detentive cadono calcinacci per le fatiscenti condizioni dei muri a causa dell'umidità e muffe. Gli impianti idrici e fognanti sono vecchi, fuori norma ed arrugginiti, con continue e mai interrotte perdite sia di acqua corrente che reflue, con conseguenti malsane esalazioni che inquinano l'interno degli stabili. Pochissimi sono i sovrintendenti e gli ispettori, ed in assenza, vengono sostituiti da personale non di ruolo che assumono funzioni superiori senza averne alcuna corresponsione economica.
      Per i motivi espressi, nelle more di interventi risolutivi, questa organizzazione sindacale chiede che l'Amministrazione Penitenziaria proceda una disinfestazione generale in tutto l'istituto penitenziario Urgente dell'Ucciardone alla chiusura immediata della 7a e 3a, il rientro di tutto il personale di varie qualifiche distaccato a vario titolo presso altre sedi, escludendo però i colleghi che hanno motivi gravi familiari oppure di opportunità.»  –:
          se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          se intendano rispondere a questa e alle interrogazioni presentate in precedenza;
          in che tempi avverrà in Sicilia il passaggio della sanità penitenziaria al SSN e quali siano i motivi del ritardo;
          quali iniziative intenda mettere in atto per riportare la popolazione detenuta nel carcere dell'Ucciardone nel limite dei posti regolamentari disponibili e consentire la piena applicazione dell'ordinamento penitenziario oltre che il rispetto di quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo;
          se non ritenga finalmente di dover completare, senza ulteriori ritardi e rinvii, la pianta organica del personale di polizia penitenziaria, colmando le gravissime lacune esistenti che creano un enorme stress fisico e psicologico degli agenti in servizio costretti a turni massacranti oltre che al mancato riconoscimento degli effettivi ruoli professionali ricoperti;
          in che tempi intenda intervenire per assicurare le attività trattamentali, in primo luogo il lavoro, che consentano ai detenuti di intraprendere un percorso riabilitativo;
          in che tempi verrà assicurata ai detenuti un'adeguata assistenza psicologica e quando verranno adeguati gli organici del personale di ogni ordine e grado;
          cosa intenda fare per affrontare l'emergenza igienico-sanitaria dell'istituto e per ristrutturare gli edifici fatiscenti, compresa la caserma degli agenti;
          a quando risalga l'ultima relazione della ASL in merito ai requisiti igienico-sanitari di tutti gli ambienti del carcere dell'Ucciardone e cosa vi sia scritto in tale relazione;
          a quando risale l'ultima morte verificatasi nell'istituto, a quando l'ultimo suicidio, in che modo si siano verificati, quale fosse l'età e la nazionalità delle persone decedute;
          quante siano dall'inizio dell'anno le morti verificatesi nell'istituto palermitano, quante per cause naturali e quante per suicidio; quanti siano stati i tentati suicidi, quanti gli atti autolesionismo;
          se intenda dotare i detenuti delle attrezzature e dei detersivi per pulire le celle e se intenda vigilare sui prezzi praticati all'interno dello spaccio;
          quando si abbatterà il muretto divisorio delle sale colloqui e quando verrà attrezzata un'adeguata area verde per i colloqui all'aperto dei detenuti con i minori e con gli altri familiari. (5-07899)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'8 giugno 2011 è deceduto nel carcere di Poggioreale a Napoli Domenico Piscopo, 52 anni;
          nel carcere di Poggioreale sono presenti circa 2.700 detenuti a fronte di una capienza di 1.400 posti;
          secondo quanto riferito dalla stampa e dall'associazione Antigone, l'uomo con gravi problemi di salute, avrebbe cominciato ad avvertire forti dolori al braccio diverse ore prima del tragico evento;
          l'interrogante ritiene sia importante che si svolgano indagini approfondite per ricostruire la dinamica dell'accaduto e la verifica dell'efficacia dei soccorsi, anche a garanzia degli stessi operatori penitenziari  –:
          quale sia stata la dinamica degli eventi e la tempistica del soccorsi;
          quali fossero le figure professionali sanitarie in servizio nel reparto al momento dell'emergenza;
          quale modello organizzativo sia dato all'interno della struttura penitenziaria per fronteggiare i casi di emergenza sanitaria;
          se e con quale personale all'interno della predetta struttura siano garantiti livelli essenziali di assistenza sanitaria. (5-07900)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un lancio dell'agenzia di stampa ANSA del 16 giugno 2011, la casa circondariale di piazza Manno a Oristano sarebbe infestata dai topi;
          qualche giorno fa nella guardiola del carcere è stato catturato un ratto lungo 18 centimetri, ma tanti altri, provenienti dalle fogne cittadine, circolano liberamente tra celle, uffici e reparti con grave pregiudizio per la salute dei 97 detenuti, di 109 tra ufficiali e agenti della Polizia penitenziaria e dei venti impiegati del servizio amministrativo. Già negli anni Ottanta il carcere di piazza Manno era stato evacuato per motivi igienico-sanitari  –:
          in che modo si pensi di poter risolvere – nella situazione igienico-sanitaria sopra descritta del carcere di Oristano e, in particolare, nell'attuale periodo estivo – la presenza dei topi all'interno della struttura penitenziaria ed il conseguente rischio di diffusione di malattie infettive;
          in particolare, quali iniziative immediate si intendano mettere in atto per stanziare i fondi necessari almeno per la manutenzione ordinaria delle celle, delle docce e dello spazio wc. (5-07901)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 15 giugno 2011 nel carcere di Torino, S.H., un egiziano di 29 anni in carcere da alcuni giorni per spaccio di droga, ha cercato di togliersi la vita impiccandosi con un lenzuolo nella sua cella della nona sezione al padiglione B;
          il giovane è stato trasportato all'ospedale Maria Vittoria di Torino da dove, dopo i controlli, è stato dimesso con cinque giorni di prognosi. È il quinto tentativo di suicidio, di cui tre portati a termine, che si verifica nel carcere torinese dall'inizio dell'anno  –:
          come si intenda intervenire in tempi rapidi e con quali provvedimenti per superare questa grave situazione creatasi nelle carceri italiane per arginare l’escalation dell'autolesionismo, dei tentati suicidi e dei suicidi e, soprattutto, come si intendano tutelare i soggetti meno tutelati, «i senza niente» che, per paura del dopo carcere, ricorrono sempre più frequentemente al suicidio;
          quali misure si intendano attuare per limitare il sovraffollamento carcerario e affinché si creino situazioni più consone alla salute, anche mentale, del detenuto e quali percorsi, alternativi alla detenzione, di reinserimento nel tessuto lavorativo e sociale si intendano intraprendere, già dall'interno, per arginare tali fenomeni degenerativi e di disagio. (5-07902)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato in un articolo pubblicato da La Gazzetta del Sud del 15 giugno 2011, un detenuto di 24 anni, F.G., in carcere per rapina nel penitenziario di Taranto, si è suicidato inalando il gas di una bomboletta che aveva in cella per la preparazione dei pasti;
          il ragazzo, che dopo l'arresto aveva collaborato con la giustizia facendo arrestare i propri complici, sembra che si sia tolto la vita a causa di problemi legati a motivi familiari;
          la situazione di sovraffollamento di detenuti continua a farsi sempre più tragica nelle carceri pugliesi in particolare, con quasi 4.400 detenuti a fronte di 2.300 posti disponibili nella regione e con il carcere di Taranto che ha quasi raggiunto i 650 detenuti a fronte di una capienza massima di circa 315 posti;
          secondo i rappresentanti dei sindacati di categoria: «la Polizia penitenziaria non ce la fa più, a causa della grave carenza degli organici ad evitare il ripetersi di fatti tragici, nonostante le centinaia di interventi messi in campo per salvare i detenuti che hanno deciso di farla finita»  –:
          in che modo fosse seguito il detenuto suicidatosi in particolare, a quando risalga l'ultimo incontro che il medesimo ha avuto con lo psicologo, con l'educatore e/o con gli assistenti sociali;
          se, in particolare, l'uomo fosse stato visitato dallo psichiatra del carcere e se quest'ultimo avesse segnalato un rischio suicidario nel paziente;
          se, anche con riferimento al suicidio indicato in premessa, non intenda avviare una ispezione amministrativa presso il carcere di Taranto;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di contrastare il grave sovraffollamento degli istituti di pena pugliesi. (5-07903)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in un comunicato diramato dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria del 15 giugno 2011 legge che «tutto il personale di polizia penitenziaria in servizio al nucleo traduzioni e piantonamenti del carcere di Reggio Emilia, compreso l'ispettore coordinatore del nucleo medesimo, ha rassegnato le dimissioni ed ha chiesto di essere impiegato in altri servizi»;
          il motivo che ha indotto gli agenti ad assumere questa iniziativa estrema è il timore per la propria incolumità personale e professionale, a causa delle gravi difficoltà in cui sono costretti ad operare, atteso che il reparto è carente di sette agenti, gli automezzi sono assolutamente insufficienti e le traduzioni vengono effettuate con autovetture prese a noleggio o con automontate prive di séparé (che dovrebbe separare la zona detentiva, in cui si trovano i detenuti, dall'abitacolo destinato agli agenti di scorta), il tutto a causa della mancanza di fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria;
          a tal proposito il Sappe aveva chiesto all'amministrazione penitenziaria l'assegnazione di due furgoni ordinari e due blindati, per gli istituti di Reggio Emilia (casa circondariale e ospedale psichiatrico giudiziario), senza però ottenere risposte adeguate  –:
          se corrisponda al vero quanto illustrato in premessa;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di aumentare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso il nucleo traduzioni e piantonamenti del carcere di Reggio Emilia;
          se, alla luce della situazione di estremo disagio in cui sono costretti a operare gli agenti di polizia penitenziaria al nucleo traduzioni e piantonamenti del carcere di Reggio Emilia, non intenda mettere subito a disposizione della casa circondariale e dell'ospedale psichiatrico giudiziario del capoluogo emiliano due furgoni ordinari e due blindati così come richiesto dai rappresentanti del Sappe. (5-07904)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 15 giugno 2011 il SI.DI.PE (sindacato direttori penitenziari) ha diramato un duro comunicato denunciando che i direttori delle carceri e degli uffici di esecuzione penale esterna (UEPE) sono ostaggi nelle mani dell'amministrazione penitenziaria;
          nel documento si accusa la parte pubblica: a) di disattendere le norme penitenziarie e quelle strumentali ed organizzative (in particolare la cosiddetta legge Meduri e il decreto legislativo n.  63 del 2006) rivolte ai dirigenti d'istituto e di UEPE; b) di non bandire concorsi per dirigenti penitenziari e/o per altre figure professionali penitenziarie; c) di non coprire i vuoti di organici causato dal pensionamento di molti dirigenti penitenziari d'istituto e di UEPE; d) di non attivarsi in alcun modo per aumentare gli organici degli educatori, degli assistenti sociali dei contabili e degli psicologi; e) di non aver avviato alcun tavolo negoziale per il primo contratto di lavoro dei dirigenti penitenziari nonostante siano decorsi sei anni di totale vuoto normativo; f) di negare sistematicamente i diritti sindacali non dando alcun riconoscimento al SIDI.PE, storico sindacato dei direttori penitenziari; g) di non dare puntuale applicazione all'articolo 28 del decreto legislativo n.  63 del 2006; h) di disporre un numero eccessivo di distacchi presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e/o presso i provveditorati o altre amministrazioni di tanti dirigenti penitenziari che vengono così sottratti al loro lavoro presso gli istituti di pena; i) di non attivarsi per contrastare le deficienze di organico e la mancanza di risorse;
          a tal proposito il SI.DI.PE, insieme alle altre sigle rappresentative dei dirigenti penitenziari, sta organizzando una grande manifestazione unitaria che molto probabilmente si svolgerà a Roma  –:
          se non intenda dare immediato avvio ad un tavolo negoziale insieme ai rappresentanti del SI.DI.PE e delle altre sigle rappresentative dei dirigenti penitenziari al fine di trovare una soluzione ragionevole in merito ai tanti problemi sollevati nel documento richiamato in premessa. (5-07905)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto denunciato dal Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) il 14 giugno 2011 nel carcere di Bari si trovano attualmente ristretti ben 530 detenuti, circa il 300 per cento in più rispetto ai posti disponibili, il che, secondo il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria, fa slittare l'istituto di pena barese al primo posto della classifica delle «prigioni–lager» in Italia;
          nel celle del carcere di Bari, dove al massimo dovrebbero essere ospitati 6 detenuti, ve ne sono addirittura 20; alcuni reclusi dormono ad un palmo dal soffitto (quasi a 5 metri dal pavimento) e le loro condizioni sanitarie sono ridotte al minimo, con «rischio concreto di epidemie»;
          per risolvere il problema del sovraffollamento del carcere barese, secondo il Sappe, basterebbe far decollare il progetto delle sezioni detentive modulari da allocare entro i muri di cinta delle carceri  –:
          se corrisponda al vero la su descritta situazione nel carcere di Bari e, nel caso, quali iniziative si intendano adottare per impedire che a persone già private della libertà sia inflitta la pena supplementare del degrado di luoghi e condizioni di detenzione che offendono la dignità umana;
          quali iniziative intenda assumere il Governo per intervenire tempestivamente rispetto alle più drammatiche urgenze di sovraffollamento, edilizie e igienico-sanitarie della casa circondariale di Bari;
          quali iniziative, più in generale, intenda assumere il Governo in relazione al complessivo fenomeno di sovraffollamento delle carceri italiane; in particolare, quale sia l'orientamento del Governo in merito al progetto volto alla creazione di sezioni detentive modulari da allocare entro i muri di cinta delle carceri;
          quali siano gli orientamenti del Governo in relazione all'ipotesi già prospettata di un provvedimento di clemenza (amnistia e/o indulto), che contribuisca a riportare il trattamento penitenziario a quel «senso di umanità» e a quella «rieducazione del condannato», previsti dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione. (5-07906)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 10 e 13 giugno i rappresentanti di Antigone Marche hanno visitato gli istituti penitenziari di Ascoli Piceno e di Pesaro raccogliendo i dati relativi all'attuale situazione che si vive all'interno delle mura di cinta dei predetti istituti di pena;
          nella relazione elaborata da Antigone con riferimento alla situazione che si vive all'interno del carcere di Ascoli Piceno è dato leggere quanto segue: «Il carcere ascolano ha due sezioni. La prima, denominata “Marino”, ospita 44 detenuti (di cui 29 definitivi, 5 ricorrenti, 5 appellanti, 5 giudicabili) sottoposti al regime del 41-bis, il cosiddetto “carcere duro”, previsto per persone incarcerate per reati di criminalità organizzata, terrorismo ed eversione, che impone misure più rigide per chi vi è sottoposto, come la censura della corrispondenza, la limitazione dei colloqui e di tutte le relazioni familiari (ad esempio le telefonate) o della permanenza all'aperto (l'ora d'aria). La seconda, che è la parte circondariale dell'istituto, ospita 68 detenuti (di cui 12 protetti, tra cui 4 sex offender e 8 tra collaboratori e appartenenti alle forze dell'ordine, 25 definitivi, 5 ricorrenti, 7 appellanti e 31 giudicabili). Tra questi vi sono un detenuto semi-libero e uno in articolo 21, cioè detenuti che possono passare parte della giornata fuori dell'istituto. La semilibertà è una misura alternativa al carcere e permette al condannato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per attività lavorative, istruttive o utili al suo reinserimento nella società. Viene concessa dal tribunale di sorveglianza cui spetta il compito di valutare che il condannato definitivo abbia i requisiti soggettivi e oggettivi per ottenerla. L'articolo 21, invece, è una modalità del trattamento penitenziario che prevede, per la persona detenuta, l'uscita dall'istituto di pena per parte della giornata esclusivamente per motivi di lavoro. Per questo, viene disposto dalla direzione dell'istituto di pena su autorizzazione del magistrato di sorveglianza per i definitivi e della competente autorità giudiziaria per gli imputati. I problemi maggiori sono legati al sovraffollamento. La capienza regolamentare della sezione circondariale è di 36 detenuti, ma alla data del 13 giugno 2011 ce n'erano 68. Inoltre 4 celle erano chiuse per ristrutturazione, mentre nella cella 10 vi erano ben nove detenuti in meno di 29 metri quadri (vano bagno incluso) e nella cella numero 3, della superficie di meno di 20 metri quadri (vano bagno incluso), stavano 5 reclusi. A causa del sovraffollamento, poi, viene utilizzata la sala della socialità per alloggiare i detenuti: mettendo i materassi a terra. Al momento della visita, infatti, erano appena stati sfollati 6 detenuti fino al giorno prima alloggiati in questo modo. I posti di lavoro disponibili sono diminuiti sia nel numero che negli orari. Alla data della visita, erano 16 i lavoranti nel giudiziario e 4 nella sezione 41-bis. Ma a parte i tre aiuto cuoco che hanno un contratto di 6 ore al giorno, tutti gli altri hanno avuto tagli drastici negli orari: il barbiere lavora un'ora e mezzo per due volte a settimana; l'addetto alla lavanderia 2 ore al giorno; lo scopino 4 ore. Tutto il personale, sia quello di polizia che quello amministrativo, è sotto organico. In particolare, delle 182 unità di polizia penitenziaria assegnate all'istituto ascolano, al momento 141 sono quelle amministrate, ma solo 131 presenti. A queste forze, vanno aggiunte le 25 unità del GOM (Gruppo operativo mobile). Delle 21 unità previste di personale amministrativo, ce ne erano soltanto 12, più la direttrice. Non è previsto alcun trattamento per i sex offenders (i detenuti per reati sessuali) e il Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) ha ridotto le ore dello psicologo, previsto per sole 130 ore annue. A questo taglio, però, la regione sta cercando di rispondere aggiungendo altre 130 ore con un progetto ad hoc che riguarda tutti gli istituti di pena marchigiani. Al momento, per protestare contro la mancata fornitura di saponi, sia per l'igiene personale che per quella delle celle, i detenuti stanno facendo ogni giorno, a staffetta, uno per cella, lo sciopero della fame. Il problema della mancanza di carta igienica sembra, per ora, risolto. Un elemento preoccupante è che non c’è alcuna separazione tra detenuti e semi-liberi. La sezione dei semi-liberi, infatti, è chiusa da anni e sia i detenuti in articolo 21 che i semi-liberi dormono insieme agli altri detenuti»;
          con riferimento al carcere di Pesaro l'associazione Antigone Marche ha rilevato quanto segue: «Il carcere di Pesaro ha una capienza regolamentare totale di 152 persone, mentre quella tollerabile totale è di 252. Alla data di venerdì 10 giugno, però, vi erano 334 detenuti, di cui 27 donne. La quasi totalità delle celle sono di 9 metri quadri e molte ospitano tre detenuti, in particolare nella sezione femminile le celle da 3 sono 6. I bagni, in cui ci sono le docce, sono in ogni cella, in un vano separato. Si dovrebbero risistemare gli impianti, ma c’è sia acqua calda che fredda. A Pesaro non si registrano diminuzioni nella quantità di vitto, ma nelle ore di lavoro e nelle mansioni dei detenuti. Infatti, alcuni compiti sono stati accorpati ad altri, diminuendo perciò l'impiego delle persone recluse. Ad esempio, non c’è più il servizio della distribuzione del cibo perché sono gli stessi lavoranti della cucina a dovere anche portare i pasti agli altri. Per quanto riguarda il personale, dei sei educatori assegnati, ce ne sono in servizio cinque. C’è un solo psicologo che svolge un servizio di 70 ore annue a conversione. Mentre della pianta organica di 169 agenti di polizia, quelli assegnati sono 129, ma 120 sono in servizio. Da lunedì scorso, sono arrivati anche un commissario e un vice. Il personale amministrativo conta, invece, di 5 persone in segreteria e 7 in ragioneria»  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di contrastare il pesante e grave sovraffollamento che si registra all'interno degli istituti di pena di Ascoli Piceno e di Pesaro;
          se non intenda attivarsi immediatamente al fine di aumentare l'organico degli educatori, degli psicologi, del personale amministrativo e degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso le strutture penitenziarie indicate in premessa;
          per quali motivi si sia registrata una diminuzione delle ore di lavoro e delle mansioni dei detenuti-lavoranti ristretti nel carcere di Pesaro e come intenda porvi rimedio;
          cosa si intenda fare affinché ai detenuti sex-offenders del carcere di Ascoli Piceno venga garantito il trattamento psico-terapeutico previsto dall'ordinamento penitenziario;
          se non intenda attivarsi per fornire ai detenuti del carcere di Ascoli Piceno i prodotti per l'igiene sia personale che per le celle;
          per quale motivo la sezione dei semi-liberi del carcere di Ascoli Piceno sia chiusa e se non intenda attivarsi per la sua immediata riapertura in modo da evitare che detenuti e semi-liberi dormano insieme;
          se non ritenga opportuno provvedere a risistemare gli impianti dei bagni presenti nelle celle del carcere di Pesaro. (5-07907)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 3 giugno 2011 l'interrogante, assieme ad Ornella Favero, Irene Testa e Maria Grazia Lucchiari, ha visitato la casa di reclusione «Due Palazzi» di Padova; la delegazione è stata accompagnata dal direttore dell'istituto, il dottor Salvatore Pirruccio;
          quel giorno, nella casa di reclusione, che ha una capienza regolamentare di 439 posti, erano presenti 823 detenuti, mentre 4 erano assenti temporanei; 795 i detenuti con sentenza definitiva, 13 in attesa di primo giudizio, appellanti 6, ricorrenti 10, 2 internati definitivi e un detenuto scarcerato «senza uscita fisica»;
          il corpo degli agenti di polizia penitenziaria risulta carente di 101 unità avendo in forze 330 agenti a fronte di una pianta organica che ne prevede 431;
          la delegazione si è incontrata con lo staff medico (dottor Basta, dottor Montalto, dottor Guerrieri, psichiatra dottor Berto) e non ha potuto non rilevare gravi carenze di organizzazione che si ripercuotono sullo stato di salute dei detenuti, l'80 per cento dei quali è costretto a passare il tempo in cella nell'inattività e nella desolazione più completa;
          la sanità nel carcere, come ha sottolineato lo stesso direttore dottor Pirruccio, è ancora priva del medico referente della Asl che coordini il servizio sia per la casa di reclusione sia per la casa circondariale;
          non esiste la carta dei servizi sanitari prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, recante modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria;
          i detenuti a seguito della visita medica – se ne fanno circa 90 al giorno – non hanno in mano alcun referto; le visite esterne prenotate spesso saltano per carenze del nucleo traduzioni;
          la Asl non fornisce i farmaci da banco (quelli per la cura delle emorroidi e i farmaci flebotrofici di fascia C, per esempio, non sono disponibili); c’è un solo dentista per 823 detenuti; né le dentiere né gli occhiali sono compresi nei LEA e non vengono forniti ai detenuti, nemmeno a quelli più indigenti;
          il dottor Marino Berto, psichiatra dell'istituto, riferisce dell'elevato numero di casi psichiatrici e di malati psichici; significativa è stata la sua considerazione quando la conversazione si è incentrata sui suicidi «se capitasse a me di finire in prigione, in queste condizioni, non resisterei più di due giorni»; sostiene che in carcere vi sia un commercio clandestino di farmaci da parte dei detenuti tossicodipendenti che spesso divengono vittime di overdose di farmaci, una sorta di «abuso alternativo»;
          successivamente alla visita, durante un incontro con redazione e collaboratori della testata giornalistica di «Ristretti orizzonti» che ha sede presso la struttura, una psicologa dell'istituto, dottoressa Giovanna Donzella, riferisce che non si ha tempo sufficiente per i colloqui psicologici con i detenuti, potendo dedicare a ciascuno di loro solo pochi minuti;
          gli psicologi assunti ex articolo 80, con partita iva, ricevono un trattamento lavorativo assolutamente insufficiente e demotivante per le stesse professionalità, con una retribuzione lorda di 17 euro l'ora per non più di 27 ore lavorative mensili (459 euro lordi mensili);
          l'assistenza psicologica di prevenzione agli istinti suicidi non può che essere estremamente carente; non esiste un nucleo di osservazione per i soggetti a rischio; non è effettuata alcuna valutazione psichiatrica preventiva all'ingresso in carcere;
          non è previsto alcun lavoro per i pazienti psichiatrici;
          non esiste un reparto ospedaliero funzionante nella struttura e ottenere ricoveri nelle strutture esterne risulta difficile;
          si lamenta una insufficienza di risorse generale che va a ricadere su diversi settori – dai presidi medici e farmaceutici, ai prodotti e alle dotazioni per l'igiene personale e degli ambienti, alle telefonate per i nullatenenti non previste, al vitto (4 euro comprensivi di tre pasti al giorno a detenuto) – che rende la permanenza in carcere, specie per chi è nullatenente e non ha aiuti dall'esterno, sempre meno sopportabile, degna e umana  –:
          se i Ministri siano a conoscenza delle situazioni esposte in premessa;
          se i Ministri intendano adottare le iniziative di competenza, quali e con quale urgenza, per:
              a) riportare la popolazione detenuta presso il carcere «Due Palazzi» di Padova entro i limiti di capienza legale previsti per l'istituto;
              b) integrare il personale di polizia penitenziaria al numero previsto dalla pianta organica in forze all'istituto;
              c) ottenere per quanto di competenza che tutti gli adempimenti relativi al passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero di giustizia all'Asl di competenza – l'individuazione di un medico referente per la struttura e l'elaborazione della carta dei servizi sanitari ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008 – siano completati;
              d) dotare la struttura di un reparto ospedaliero;
              e) ottenere un'adeguata copertura medica, farmaceutica, psichiatrica e di supporto psicologico e attuare dei programmi di prevenzione dei suicidi e delle patologie psichiatriche;
          se i Ministri intendano operare affinché si faccia fronte al più presto alle necessità economiche indispensabili a una detenzione dignitosa e accettabile, e per aumentare le opportunità occupazionali, secondo quanto stabilito dall'articolo 27 della Costituzione, per ogni detenuto.
(5-07908)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tirreno del 21 giugno 2011, un uomo, di origini nordafricane, detenuto nel carcere Porto Azzurro di Livorno, ha tentato di togliersi la vita improvvisando con alcuni lacci un cappio legato alle sbarre della propria cella;
          l'uomo è stato salvato dal personale della polizia penitenziaria in quel momento in servizio, il quale è intervenuto in tempo, insieme al personale medico, scongiurando che il detenuto portasse a compimento il suo gesto estremo  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
          se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
          se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
          più in particolare, quali iniziative, anche normative, si intendano assumere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora. (5-07909)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 30 giugno 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita presso la casa di reclusione di San Cataldo (Caltanissetta), accompagnata dai militanti radicali Donatella Corico, Giuseppe Nicosia e Gianmarco Ciccarelli;
          la visita ha avuto una durata di 5 ore e 40 minuti; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal direttore dell'istituto, Angelo Belfiore, e dal comandante di Polizia penitenziaria, Alessio Cannatella;
          la situazione riscontrata è la seguente: i detenuti presenti sono 100, di cui 94 scontano una condanna definitiva, 4 sono in attesa di giudizio, 2 in regime di semilibertà; la capienza regolamentare della casa di reclusione di San Cataldo, secondo quanto riferito dal direttore, è di 127 posti;
          secondo quanto riferito, gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 64, a fronte di una pianta organica che prevede 71 unità;
          i detenuti che lavorano sono 15; circa 30 detenuti hanno seguito corsi scolastici (scuola elementare e media) o hanno avuto la possibilità di accedere ad altri corsi, tra cui si segnalano «Attimi d'evasione», un laboratorio cartoonist tenuto dal vignettista Lello Lombardo, e il progetto «Vela», un percorso finalizzato al recupero e al reinserimento sociale con il coinvolgimento delle famiglie delle persone condannate;
          la delegazione visita le celle dell'istituto e si sofferma a colloquiare con le persone ristrette;
          gli stranieri sono circa il 40 per cento della popolazione detenuta; alcuni riferiscono di trovarsi in carcere per non aver ottemperato all'ordine di espulsione: «siamo qui per clandestinità, non abbiamo commesso nessun altro reato»;
          gli educatori, secondo quanto riferito dal responsabile dell'area educativa Michele Lapis, sono 5;
          molti detenuti lamentano ritardi e inadempienze da parte del magistrato di sorveglianza;
          alcuni detenuti lamentano l'assenza del direttore: «ho fatto 5 istanze per parlare con lui, oggi lo vedo per la prima volta», afferma un detenuto; «il direttore dopo 9 mesi lo sto conoscendo adesso», lamenta un altro; va sottolineato che il direttore della casa di reclusione di San Cataldo è altresì direttore della casa circondariale di Caltanissetta e della casa circondariale di Gela (Caltanissetta);
          nella cella n.  13 sono ristretti 6 detenuti; la cella non è provvista di doccia, ai detenuti è consentito l'utilizzo della doccia esterna tre volte alla settimana; nella cella, inoltre, non c’è l'acqua calda; alle finestre delle celle sono saldate lamiere di circa 1,20 metri di altezza, che coprono la visuale esterna fino ad una altezza di circa 3 metri dal pavimento; oltre a queste lamiere e alle normali sbarre, sono applicate alle finestre reti a maglia stretta, per cui la circolazione di aria e l'ingresso di luce naturale risultano particolarmente limitati; le condizioni della cella sono fatiscenti; alcuni detenuti riferiscono che il rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria è buono: «qui sono più elastici e più umani che in altre carceri»;
          F.S. nato a Catania il 24 aprile 1982, lamenta ritardi nella concessione dei giorni di liberazione anticipata da parte del magistrato di sorveglianza: «non mi sono arrivati i giorni, altrimenti avrei potuto presentare già ad aprile la domanda per la legge 199, per andare ai domiciliari, invece dovrò attendere fino ad agosto»;
          la cella n.  12 ospita 4 detenuti; anche in questa cella alle finestre sono applicate, oltre alle normali sbarre, lamiere in ferro e reti a maglia stretta;
          nella cella n.  11 sono ristrette 6 persone; anche le finestre di questa cella hanno lamiere in ferro e reti a maglia stretta, oltre alle normali sbarre; la cella non è provvista di doccia;
          G.C. nato a Bari il 16 novembre 1969, riferisce di aver presentato nel febbraio 2012 una domanda di avvicinamento alla famiglia, residente a Bari, e di non aver ricevuto alcuna risposta: «ho una moglie e due figli di 12 e 22 anni, prima ero nel carcere di Bari, sono stato trasferito qua per sfollamento, devo scontare ancora più di 2 anni, vorrei stare più vicino alla famiglia, non vedo mia moglie e uno dei miei figli da 19 mesi»;
          anche R.G. nato a Napoli il 15 gennaio 1972, riferisce di essere stato trasferito «per sfollamento» dal carcere napoletano di Poggioreale e di aver fatto già da alcuni mesi richiesta di avvicinamento alla famiglia, senza aver ricevuto alcuna risposta: «non vedo i miei figli da un anno e mezzo: anche se a Poggioreale si sta peggio preferivo stare là, almeno potevo fare i colloqui»;
          R.C. nato a Napoli il 13 ottobre 1962, racconta di dover scontare ancora molti anni in carcere e di aver fatto domanda per essere trasferito in un istituto con maggiori opportunità di lavoro: «ho il fine pena nel 2020, tre mesi fa ho fatto la domanda per il trasferimento, vorrei andare a Gorgona, a Volterra, a Spoleto o a Noto, ma sarei disposto ad andare in qualsiasi altro istituto perché non ho famiglia ma ho bisogno di lavorare»;
          la cella n.  10 ospita 6 detenuti; non c’è la doccia e alle finestre sono applicate, oltre alle sbarre, lamiere di ferro e reti a maglia stretta;
          un detenuto lamenta: «non mi hanno consentito di andare al funerale di mio fratello»; e aggiunge: «6 mesi fa, a gennaio, ho fatto la domanda per andare ai domiciliari (legge n.  199 del 2010) e ancora sto aspettando una risposta, ormai mi mancano soltanto 4 mesi da scontare»; alcuni detenuti sottolineano il disagio di dover dormire su materassi di gommapiuma eccessivamente scomodi: «guardate che spessore hanno e in che condizioni sono, questi andrebbero cambiati»; un altro detenuto lamenta: «c’è un buco da cui escono gli scarafaggi, ho chiesto di chiuderlo, ma ancora niente»;
          nella cella n.  9 (non fumatori) sono ristretti 5 detenuti; un detenuto racconta: «io uscirò domani, vorrei andare in una comunità perché ho problemi con l'alcool, quando bevo divento aggressivo; questo sistema carcerario non funziona, io avrei avuto bisogno di controllare il mio fegato, la mia schiena, di fare sport, non di stare fermo in questa branda a prendere gocce per dormire»;
          E.V. detenuto rumeno ventisettenne, riferisce di avere il fine pena nel dicembre 2012 e di non aver ricevuto alcuna risposta all'istanza presentata nel mese di gennaio 2012 per scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio (ai sensi della legge n.  199 del 2010 e successive modifiche): «almeno vorrei una risposta, un sì oppure un no»;
          nella cella n.  8 sono ristretti 6 detenuti stranieri (5 marocchini e un egiziano); la cella è di ampie dimensioni e il bagno è dotato di doccia; le condizioni strutturali sono fatiscenti; un detenuto riferisce di aver presentato tre volte l'istanza per i domiciliari ex legge n.  199 del 2010 e di aver ricevuto altrettanti rigetti: «a noi stranieri rigettano sempre tutto»; un altro detenuto afferma: «vorrei finire di scontare la pena in Spagna, dove risiede la mia famiglia»;
          la cella n.  7 è di dimensioni molto ampie (circa 220 metri quadrati) e ospita 8 detenuti; anche in questa cella sono applicate alle finestre, oltre alle normali sbarre, lamiere in ferro e reti a maglia stretta; il bagno è dotato di doccia e di 2 gabinetti;
          M.C.N. detenuto di nazionalità nigeriana trentunenne, riferisce di avere problemi di salute («alla pelle») e di aver presentato nel mese di settembre 2012 domanda per scontare il resto della pena nel suo Paese: «l'ho chiesto tanti mesi fa, il mio passaporto è in regola, ormai mi mancano solo 6 mesi per il fine pena»;
          anche E.N.C. vorrebbe scontare il residuo della pena nel suo Paese, la Nigeria, dove risiedono la moglie e due figli minorenni (di 2 anni e 4 anni);
          H.N.M. detenuto del Bangladesh ventottenne, riferisce di avere un residuo di pena da scontare inferiore ad un anno, e lamenta di non aver ricevuto alcuna risposta alle istanze presentate per ottenere i giorni di liberazione anticipata e per accedere alla detenzione domiciliare ex legge n.  199 del 2010;
          un detenuto lamenta: «in questo carcere c’è la palestra ma io ancora non l'ho potuta vedere, negli ultimi mesi ho fatto la domanda ogni settimana ma ancora niente»;
          nella cella n.  2 sono ristretti 18 detenuti, sistemati in 9 letti a castello; l'età delle persone ristrette è compresa fra 21 e 66 anni; la finestra, dotata di rete a maglia stretta oltre alle normali sbarre, è protetta da una speciale inferriata interna posta a circa 90 centimetri dalla finestra stessa: l'ingresso di luce naturale è ridottissimo; i detenuti lamentano le condizioni in cui sono costretti a scontare la pena: «la convivenza in 18 persone è difficile, qui si calpesta la nostra dignità in tutto»; nel bagno sono presenti una doccia (non provvista di tendina) e due gabinetti disposti uno accanto all'altro: «è una cosa indecente, non c’è nessuna privacy», afferma un detenuto; secondo quanto riferito dai reclusi, l'acqua calda non esce mai dai rubinetti mentre per la doccia viene erogata soltanto 3 giorni alla settimana, e precisamente il martedì, il giovedì e il sabato dalle 8,30 alle 11,30 e dalle 13,30 alle 15,00: «gli orari in cui c’è l'acqua calda coincidono con le ore d'aria, o fai la doccia o vai al passeggio», evidenziano i detenuti; «i materassi in gommapiuma sono scomodissimi, viene meglio a dormire sulla grata di ferro che su questi materassini», lamentano i detenuti; la palestra, secondo quanto riferito, «funziona discretamente», ma non tutti hanno la possibilità di accedervi e un detenuto recrimina: «chi riesce ad andarci è fortunato, io ho fatto la domanda e non mi hanno nemmeno risposto»; un detenuto lamenta il fatto che la televisione sia di piccole dimensioni e con il segnale video disturbato: «questa cella pare un capannone per i cinesi, la tv si vede malissimo e io dal mio letto non la vedo proprio, ogni volta mi viene una crisi di nervi»; i detenuti protestano per le condizioni della sala per la socialità: «quella sala è pessima, e poi lì fa un caldo insopportabile», dice un detenuto; «il bagno della sala per la socialità fa schifo», aggiunge un altro;
          M.D.C. napoletano ventiquattrenne, riferisce di non aver ricevuto alcuna risposta alle istanze presentate per essere trasferito in un carcere più vicino al luogo di residenza della famiglia, in modo da poter svolgere i colloqui: «vorrei avvicinarmi ai miei che vivono a Napoli, ho fatto due domande, una a settembre e un'altra a maggio, ma non mi risponde nessuno»;
          B.M. paternese di 25 anni, segnala l'assenza di risposta alla sua istanza per accedere alla detenzione domiciliare ai sensi della legge n.  199 del 2010: «mi mancano 8 mesi di pena da scontare, ho fatto domanda per la 199 diversi mesi fa, ancora non ho ricevuto risposta»;
          anche F.T. catanese trentaduenne, ha chiesto di poter scontare il residuo della pena agli arresti domiciliari ex legge n.  199 del 2010, senza aver ancora ricevuto alcuna risposta: «a me mancano soltanto 2 mesi per uscire da qui», afferma;
          7 detenuti ristretti nella cella n.  2 sono tossicodipendenti; l'assistenza del Sert, secondo quanto riferito, è del tutto inadeguata: «non ci fanno nessun trattamento, il Sert è come se non ci fosse»;
          C.D. riferisce di avere 2 figli minorenni e sottolinea come in questo carcere i colloqui e le telefonate con i familiari siano consentiti per un tempo inferiore rispetto ad altri istituti: «qui ogni mese possiamo fare soltanto 4 ore di colloquio e 2 telefonate da 10 minuti, mentre nel carcere di Augusta potevo fare 6 ore di colloquio e 4 telefonate da 10 minuti»; questo detenuto racconta di essere stato recluso dopo un processo durato 21 anni per un fatto commesso nel 1989: «quando mi hanno arrestato, lavoravo ed ero un'altra persona già da molto tempo»;
          A.M. mazarese trentatreenne, riferisce di essere al 3° giorno di sciopero della fame perché alla sua richiesta di un colloquio con il magistrato di sorveglianza non è seguito alcun riscontro, dopo più di un mese dalla presentazione della domanda;
          M.T. nativo di Canicattì (Agrigento), lamenta carenze nell'assistenza sanitaria: «da quando sono stato trasferito in questo carcere sono affetto da psoriasi, o perlomeno si presume che sia psoriasi, 3 mesi fa ho fatto una domanda per una visita in un ospedale, per effettuare una biopsia, ma ancora non mi ci hanno portato»;
          molti detenuti si rammaricano per l'assenza di lavoro e di attività trattamentali: «questa non è una casa circondariale, è una casa di reclusione, ma stiamo sempre chiusi in cella, abbiamo solo le ore d'aria e un'ora per la socialità»; «come casa di reclusione dovrebbe esserci il lavoro, e invece qui non c’è niente», dice un detenuto; «dopo un anno che ero qua mi hanno fatto lavorare per 20 giorni come scopino», racconta un altro;
          una criticità evidenziata dai detenuti riguarda il cosiddetto sopravitto, con riferimento sia alla qualità che al prezzo dei prodotti: «il cibo che acquistiamo a volte ci viene consegnato quando è ormai prossimo alla scadenza e in alcuni casi quando è già scaduto»; «la cioccolata che ho acquistato, quando me l'hanno consegnata era già scaduta da un mese», protesta un detenuto; altri confermano: «capita con le merendine, con gli ovetti Kinder e anche con altri prodotti, ce li fanno pagare cari ma ce li portano scaduti»; con riferimento ad un consistente numero di prodotti del sopravitto, i detenuti denunciano prezzi di vendita superiori rispetto ai normali prezzi di mercato e forniscono la marca, il formato e il prezzo di alcuni prodotti; l'interrogante, successivamente, ha verificato che la differenza fra il prezzo dei prodotti in vendita all'interno del carcere e il prezzo ordinario degli stessi prodotti in vendita nei supermercati più vicini all'istituto di pena, in molti casi, è davvero notevole: a titolo esemplificativo, la pasta Barilla (confezione da 1 chilogrammo) costa euro 1,25 al supermercato mentre in carcere è venduto a euro 1,49; lo shampoo Roberts (confezione da 500 ml) costa euro 1,99 al supermercato mentre in carcere è venduto a euro 2,65; il bagno schiuma Vidal costa euro 1,19 al supermercato mentre in carcere è venduto a euro 2,15; una confezione di batterie Duracel stilo o ministilo costa euro 2,90 al supermercato mentre in carcere è venduta a euro 4,90;
          i detenuti riferiscono che i moduli per presentare le domandine non vengono forniti in quantità sufficiente;
          i detenuti denunciano che le schede che i familiari devono compilare per la consegna di beni o prodotti al congiunto ristretto (schede recanti l'intestazione «direzione casa di reclusione San Cataldo») non vengono fornite dal carcere ma possono essere acquistate esclusivamente in un tabacchino vicino al carcere, al prezzo di euro 0,10;
          nella cella n.  3 sono ristretti 8 detenuti; anche in questa cella alle finestre sono applicate, oltre alle normali sbarre, reti a maglia stretta e lamiere metalliche (fino ad un'altezza di circa 3 metri dal pavimento) che limitano notevolmente l'ingresso di aria e di luce naturale; in questa cella, a differenza della precedente, la televisione si vede bene; il bagno è provvisto di doccia, i detenuti confermano che l'acqua calda per la doccia è disponibile soltanto per 3 giorni alla settimana;
          «con gli agenti qui va tutto bene, il problema è il magistrato di sorveglianza», sottolineano alcuni; i detenuti mostrano delusione con riferimento agli effetti della legge n.  199 del 2010: «la svuotacarceri è stata un fallimento perché non arriva, o se arriva, arriva a ridosso del fine pena: a un detenuto è arrivata 10 giorni prima della scarcerazione»;
          un detenuto racconta: «ho una figlia piccola, mi hanno arrestato per un residuo di 3 mesi, quando mi hanno arrestato lavoravo e ora invece ho perso il lavoro»;
          i detenuti lamentano l'assenza di lavoro all'interno della casa di reclusione: «in questa cella siamo in 8 e nessuno di noi lavora»;
          un detenuto lamenta: «il Tribunale di sorveglianza per darci l'affidamento ai servizi sociali ci richiede un lavoro, ma fuori un lavoro non ce lo danno perché abbiamo precedenti penali: è il cane che si morde la coda»;
          la cella n.  6 ospita 11 detenuti, sistemati in 4 letti a castello a tre piani; anche alle finestre di questa cella sono applicate reti a maglia stretta e lamiere in ferro: «non passa l'aria, sembriamo al 41-bis», afferma un detenuto, «se guardiamo fuori ci roviniamo la vista», sottolinea un altro; «la finestra si affaccia sul passeggio, a che servono queste lamiere ?» si chiede un detenuto, che aggiunge: «queste lamiere assorbono il calore e lo rilasciano durante tutta la giornata, anche la notte»; il bagno di questa cella, provvisto di doccia e di due gabinetti affiancati, si presenta in condizioni fatiscenti;
          un detenuto milanese riferisce di non aver mai ricevuto risposta alle numerose istanze presentate per chiedere di essere trasferito in un istituto di pena più vicino al luogo di residenza della famiglia, che vive a Milano: «sono fuori dalla Lombardia da 2 anni e mezzo, dal carcere di Opera mi hanno sfollato ad Augusta e ora sono qui da 4 mesi, ho fatto un sacco di domande per avvicinarmi alla famiglia, ho una figlia di 9 anni che è venuta a trovarmi la settimana scorsa, non la vedevo da 6 mesi»;
          nella cella n.  5 sono ristretti 12 detenuti, sistemati in 4 letti a castello a tre piani; «in 12 persone, la mattina per andare in bagno è un problema», lamenta un detenuto; «ne ho girate carceri, qui tutto sommato non si sta male», afferma un altro; anche in questa cella le finestre sono parzialmente ostruite da lamiere metalliche e presentano reti a maglia stretta;
          E.S. cittadino italiano nato a Skopje (Macedonia) il 23 luglio 1990, riferisce di essere stato trasferito in questa casa di reclusione «per sfollamento» e lamenta di non aver ricevuto risposta alle istanze di avvicinamento alla famiglia: «provengo dal carcere di Secondigliano, sono qui da 1 anno, la mia famiglia è residente a Napoli, ho fatto numerose domande per riavvicinarmi, è da più di 6 mesi che lo chiedo»;
          nella cella n.  4 sono ristretti 10 detenuti; anche in questa cella sono applicate alle finestre lamiere metalliche e, oltre alle sbarre, reti a maglia stretta;
          S.G. detenuto albanese trentacinquenne, riferisce di avere un forte dolore alla schiena e di non ricevere cure: «sto malissimo, posso stare in piedi soltanto per pochi minuti al giorno, un mese fa il medico mi ha visitato ma i farmaci che mi ha prescritto il carcere non me li dà e quelli comprati dai miei familiari, che vivono a Roma, non li fanno entrare»; S.G. ha presentato la richiesta di trasferimento in Albania e riferisce che il Ministero della giustizia della Repubblica d'Albania, con un documento firmato dal Ministro della giustizia Eduard Halimi, si è detto favorevole ad accoglierlo per scontare il residuo della pena in un carcere albanese: «se il mio Paese ha già detto che posso scontare la pena là, perché l'Italia mi trattiene ?»;
          M.E.B. marocchino trentatreenne, espone così il suo problema: «dopo essere stato arrestato dai carabinieri di Rho ed essere stato portato nel carcere San Vittore di Milano, non ho più i miei documenti; io ho un permesso di soggiorno permanente rilasciato in Spagna, il numero è EX 2662140, uscirò da qui il 20 agosto prossimo, ma se non ho questo documento rischio di andare in un CIE»;
          B.F.M. detenuto albanese nato nel 1976, riferisce di avere presentato domanda per un colloquio con il magistrato di sorveglianza e lamenta di non aver ricevuto, dopo 6 mesi, alcuna risposta;
          una nota positiva è che tutte le celle della casa di reclusione sono dotate di frigorifero;
          nella sala per la socialità, di ampie dimensioni, oltre ai tavoli e alle sedie sono presenti un tavolo da ping pong e un calcetto rotto; i detenuti possono accedervi ogni giorno dalle 15,30 alle 16,30; il wc è in cattivo stato;
          la sala per i colloqui fra i detenuti e i familiari è ampia e i muri sono decorati da murales; alle finestre sono applicate reti a maglia stretta; l'istituto non è dotato di un'area verde attrezzata per lo svolgimento dei colloqui fra i detenuti e i familiari minorenni;
          il cortile-passeggio esterno, privo di copertura, è circondato da un lugubre filo spinato;
          l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n.  354 (ordinamento penitenziario), stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
          l'articolo 15 della medesima legge prescrive che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
          il comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n.  230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), dispone che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale»;
          l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, assume, a mezzo di visite e di colloqui e, quando occorre, di visione di documenti, dirette informazioni sullo svolgimento dei vari servizi dell'istituto e sul trattamento dei detenuti e degli internati»;
          il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)»  –:
          quali interventi intenda mettere in atto per consentire ai detenuti di poter svolgere attività lavorative, culturali, sportive finalizzate ad un'effettiva riabilitazione che faciliti il futuro reinserimento sociale;
          se si intendano — intanto — incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
          cosa si intenda fare per una fornitura quotidiana dell'acqua calda per le docce, per intraprendere lavori di manutenzione straordinaria che includano la rimozione delle lastre metalliche e delle reti a maglie strette che ostacolano l'ingresso di aria e luce e per la separazione dei wc e delle docce;
          a quando risalga l'ultima visita effettuata dall'ASL sullo stato dei luoghi del carcere di San Cataldo e cosa vi sia scritto nell'ultima relazione semestrale;
          in che modo si intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          a quanti dei detenuti del carcere di San Cataldo venga applicato il trattamento rieducativo previsto dall'ordinamento penitenziario, trattamento che deve tendere, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi, secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti;
          cosa si intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
          in particolare, come si giustifichino gli sfollamenti dalle carceri sovraffollate di altre regioni che sradicano i detenuti dal loro ambiente familiare;
          come questi sfollamenti a centinaia di chilometri di distanza siano compatibili con la normativa citata in premessa;
          se corrisponda al vero che la legge n.  199 del 2010 e la sua recente estensione a 18 mesi per l'esecuzione presso il domicilio delle pene, venga applicata agli aventi diritto solo a ridosso del fine pena e, comunque, a molti mesi di distanza dalla presentazione e se intenda assumere iniziative ispettive presso l'ufficio del magistrato di sorveglianza;
          se intenda intervenire per favorire la presenza dei mediatori culturali per i detenuti stranieri;
          se e quali iniziative intenda assumere per rendere effettiva la possibilità per i detenuti stranieri di scontare gli ultimi due anni di pena nel Paese d'origine;
          se intenda vigilare sui prezzi del sopravvitto chiedendo conto alla ditta appaltatrice sia della qualità dei prodotti che dell'elevato costo;
          se corrisponda al vero che i familiari delle persone detenute sono costretti ad acquistare presso una rivendita esterna al carcere i moduli per la consegna di beni o prodotti al familiare ristretto;
          se corrisponda al vero che i moduli per presentare le domandine non siano forniti ai detenuti in quantità sufficiente;
          se intenda verificare lo stato dei materassi in dotazione nelle celle e provvedere eventualmente alla loro sostituzione;
          se corrisponda al vero che ai detenuti tossicodipendenti non è assicurato un adeguato trattamento terapeutico e quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
          se si intenda controllare la possibilità per i detenuti di avere colloqui frequenti tanto con il direttore (magari disobbligandolo dal doversi dividere in tre istituti) e se intenda assumere iniziative ispettive presso l'ufficio del magistrato di sorveglianza;
          quanti detenuti ha incontrato il magistrato di sorveglianza nell'ultimo anno, con quale periodicità e se abbia mai visitato le celle detenzione, i passeggi e tutti i luoghi frequentati dai reclusi;
          se intenda intervenire per allestire l'area verde per gli incontri dei detenuti con i loro familiari, in particolare se minorenni. (5-07918)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal Quotidiano di Puglia il 29 luglio 2012, Antonio Giustino, 52enne, napoletano, si è impiccato nel carcere di Lecce all'interno della sua cella;
          secondo le prime ricostruzioni, il detenuto ha deciso di restare in cella, durante l'ora d'aria, che inizia alle 14 e termina alle 16, in modo da avere la cella sgombra. A quel punto, s’è letteralmente barricato, usando alcune brandine dei letti a castello, per poi mettere in atto l'insano gesto che l'ha portato alla morte;
          sulla vicenda il vicesegretario generale dell'Osapp, Domenico Mastrulli, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Le carceri di Puglia, con quello di Lecce in primo piano, rappresentano un problema serio. Solo quindici giorni addietro un detenuto di Borgo San Nicola ha tentato la fuga e quello di oggi non è certo il primo episodio di suicidio»;
          Antonio Giustino è il 33esimo detenuto che si toglie la vita dall'inizio dell'anno  –:
          se e come il 29 luglio 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare in capo al personale penitenziario; con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Lecce;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Lecce, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni di legalità all'interno della struttura penitenziaria in questione, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e contrastando l'elevato tasso di sovraffollamento ivi presente. (5-07919)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica il 28 luglio 2012, un uomo, recluso nel penitenziario romano da oltre cinque anni, con un residuo di pena da scontare di un anno, e che negli ultimi tre anni aveva sostenuto, con successo, venti esami universitari e che si stava preparando a discutere la tesi di laurea in lettere e filosofia – corso Dams – all'università di Roma Tre, non si è potuto laureare in quanto, a poche ore dalla convocazione davanti alla commissione di laurea, il magistrato di sorveglianza gli ha negato il permesso, facendo saltare tutto;
          alla base del diniego vi sarebbero motivi di legittimità visto che, secondo il magistrato, il detenuto sarebbe in attesa dell'esito dell'impugnazione del rigetto di un permesso richiesto nel mese di gennaio 2012;
          la vicenda è stata segnalata dal Garante dei detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni, il quale ha diramato il seguente comunicato: «Per una settimana la magistratura di sorveglianza ha tenuto tutti in attesa: la famiglia, il detenuto, il nostro ufficio, la direzione del carcere, l'università. Poi, a poche ore dalla discussione, ha deciso di respingere la richiesta di permesso facendo sfumare tutto. Una vicenda incredibile e avvilente anche perché è stata sgradevole la tempistica, visto che il diniego è arrivato solo a poche ore dalla discussione della tesi. La storia è anche lo specchio della complicata situazione in cui versa il tribunale di sorveglianza di Roma, caratterizzata da ritardi e lentezze nel rispondere alle esigenze del sistema carcerario e, in alcuni casi, da una durezza nelle decisioni verso chi deve scontare la pena e non merita un ulteriore grado di giudizio. Questa vicenda è uno schiaffo all'impegno di tante persone che sul recupero sociale dei detenuti investono molto. Per garantire il lieto fine non sono bastate le relazioni positive di chi con questo uomo lavora quotidianamente, né i motivi di risocializzazione e di riscatto culturale. E, come degna conclusione, il detenuto ci ha ufficialmente detto di non volersi più laureare in carcere. Aspetterà di farlo fra un anno, quando sarà un uomo libero»;
          il comma 4 dell'articolo 19 della legge n.  354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che «è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione»;
          l'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n.  230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario) è interamente dedicato agli studi universitari; in particolare i commi 1 e 2 stabiliscono: 1) i detenuti e gli internati, che risultano iscritti ai corsi di studio universitari o che siano in possesso dei requisiti per l'iscrizione a tali corsi, sono agevolati per il compimento degli studi. 2) a tal fine, sono stabilite le opportune intese con le autorità accademiche per consentire agli studenti di usufruire di ogni possibile aiuto e di sostenere gli esami  –:
          se il Ministro, stante la gravità dell'accaduto, intenda al più presto verificare ed approfondire i fatti descritti in premesse avvalendosi dei suoi poteri ispettivi.
(5-07920)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          Alfredo Liotta, 41 anni, detenuto in attesa del giudizio in Cassazione per associazione mafiosa e omicidio, è morto, qualche giorno fa, all'interno del carcere di Siracusa;
          il 2 luglio aveva iniziato lo sciopero della fame e la direzione della casa circondariale di Siracusa aveva incaricato un altro detenuto di vigilarlo per evitare che il suo compagno di cella compisse un gesto di autolesionismo. Ma tutte le misure escogitate dalla direzione del carcere sono risultate inutili, così come a nulla sono valsi i tentativi del suo compagno di cella di rianimarlo;
          la salma dell'uomo è stata subito portata all'obitorio dell'azienda ospedaliera Umberto I della città aretusea. La moglie, tramite gli avvocati Valeria Sicurella e Salvatore Liotta di Catania, ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Siracusa affinché si indaghi sulle cause della morte del marito e sull'individuazione delle eventuali responsabilità che hanno portato al decesso del detenuto;
          i legali del signor Liotta, proprio all'inizio di luglio 2012, avevano presentato istanza alle Corti che si occupavano dei processi dell'uomo, per denunziare l'assoluta incompatibilità con il regime carcerario delle condizioni di salute del detenuto. I giudici hanno nominato un medico psichiatra che, dopo aver visitato in carcere Liotta l'11 luglio 2012, pur dando atto di scadenti condizioni generali e di uno stato di deperimento organico del detenuto, concludeva per una compatibilità con il carcere, atteso che era curato farmacologicamente con antidepressivi ed antiepilettici;
          a seguito dell'esposto dei familiari del detenuto, il pubblico ministero di Siracusa, dottor Musco, ha nominato un medico legale per eseguire l'autopsia sula cadavere di Alfio Liotta. I legali hanno nominato un loro consulente medico legale. Nell'esposto presentato alla procura di Siracusa si prospettano possibili gravi omissioni degli operatori sanitari per l'assoluta carenza di cure prestate a Liotta, malgrado il suo stato di gravissimo deperimento fosse stato denunziato dai legali dell'imputato sin dal 5 luglio 2012  –:
          se il Ministro abbia disposto una specifica indagine interna sul decesso del detenuto;
          quali siano i motivi che avevano spinto il detenuto a mettere in atto lo sciopero della fame e se da parte del personale carcerario e dei sanitari dell'istituto siano stati predisposti tutti i mezzi per evitare che, per il rifiuto del cibo, l'uomo potesse mettere a rischio la sua vita; in particolare se al detenuto sia stata assicurata tutta l'assistenza possibile oltre che umana, adeguata alle sue condizioni fisiche:
          se siano noti i motivi per cui non sia stato disposto d'urgenza il ricovero in ospedale del detenuto in questione;
          se, infine, il Ministro non ritenga urgente avviare un'indagine sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi.
(5-07921)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da La Gazzetta del Sud del 29 luglio 2012, Tommaso P., 32 anni, di Altamura, in provincia di Bari, internato presso l'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto dal mese di maggio 2012 per ordine della magistratura di sorveglianza, si è suicidato con i suoi stessi calzini attorcigliati al collo come una corda;
          sulla vicenda il direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario, Nunziante Rosania, ha dichiarato: «È una situazione drammatica soprattutto per la carenza del personale di sorveglianza: la notte abbiamo a disposizione 6 agenti di polizia penitenziaria per 8 reparti. I due suicidi non hanno nulla a che vedere tra loro, peraltro la vivibilità all'interno del carcere come ha potuto constatare il senatore Marino nei giorni scorsi è migliorata: gli internati sono adesso 240, erano più di 400. Ma sono situazioni di una certa complessità alle quali noi facciamo fatica a far fronte con i nostri mezzi: non solo la carenza della polizia penitenziaria, ma i due psicologi di cui mi avvalgo riescono a seguire i pazienti per un massimo di 5 ore al mese per ciascuno. Tommaso P. aveva una dipendenza legata all'alcol, sarebbe uscito a breve dal nostro carcere e sarebbe stato accolto da una comunità. Ipotesi per la quale aveva mostrato evidenti segni di rifiuto»;
          nel solo mese di luglio si sono registrati due suicidi all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari, peraltro intervallati da un terzo decesso provocato dagli effetti letali del gas di una bomboletta da campeggio inalato da un internato tossicodipendente che voleva stordirsi trovando invece atroce morte per asfissia;
          i giudici di sorveglianza continuano ad applicare misure di sicurezza nonostante i due pronunciamenti della Corte costituzionale che impongono cure alternative alla detenzione di tipo carcerario offerta dagli ospedali psichiatrici per i quali una legge del Parlamento prevede la chiusura entro il prossimo 31 marzo  –:
          se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti dell'uomo morto suicida fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza fossero in atto nei confronti dell'internato al momento dell'avvenuto suicidio;    
          se si intenda valutare se sussistono i presupposti per assumere iniziative ispettive presso l'ufficio della magistratura di sorveglianza che ha disposto la misura di sicurezza nei confronti dell'internato poi morto suicida;
          di quali elementi disponga il Governo in ordine al trattamento sanitario dell'internato, con particolare riferimento al reinserimento dello stesso;
          se corrisponda al vero che non sia ancora avvenuto il riparto tra le regioni dei finanziamenti finalizzati alla presa in carico da parte delle ASL delle persone internate attraverso la predisposizione di progetti terapeutico riabilitativi individuali;
          quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare così da consentire alle ASL di prendere in carico le persone internate facendole dimettere all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi-individuali. (5-07922)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa e dal bollettino quotidiano di «Ristretti Orizzonti» il 15 luglio 2012, il «pentito» di camorra Angelo Ferrara, di 41 anni, si è suicidato impiccandosi con i lacci delle scarpe nella Casa di reclusione di Carinola, nel casertano;
          l'uomo è stato rinvenuto riverso a terra, senza vita, coi lacci stretti intorno al collo dagli agenti della Polizia penitenziaria. Secondo i primi rilievi, nessun segno di colluttazione sarebbe presente sul corpo del detenuto;
          la salma è stata trasferita presso il dipartimento di medicina legale dell'ospedale di Caserta, dove sarà effettuata l'autopsia disposta dal magistrato di turno;
          nel 2008 le dichiarazioni di Angelo Ferrara avevano portato alla condanna di numerosi esponenti della camorra napoletana appartenenti al clan Moccia di Afragola (Na); dopodiché, posto in «programma di protezione» dalla apposita commissione del ministero dell'interno, l'uomo si stabilisce con una nuova identità a Ronchi dei Legionari (Gorizia). Negli anni successivi, però, gli viene revocato il programma di protezione e finisce detenuto nel carcere di Carinola in quanto: a) il 27 maggio 2009, con dei complici, compie una rapina alla filiale del Monte dei Paschi di Siena di Portogruaro (Ve); b) nel settembre 2010 rapina altre due banche di Rimini;
          sulla vicenda Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), ha diramato il seguente comunicato stampa: «Ieri a Carinola (Caserta) un altro detenuto si è tolto la vita nonostante gli encomiabili sforzi che quotidianamente svolge la Polizia Penitenziaria per evitare che le nostre carceri sprofondino nel baratro della civiltà. Questo ennesimo suicidio ci preoccupa, come ci preoccupano le voci che dicono che dal prossimo 18 luglio le carceri campane saranno coinvolte in una serie di proteste con battitura delle inferriate. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria e di educatori, di psicologi e di Personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani (67mila detenuti in carceri che ne potrebbero ospitare 43mila, con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite tenuto anche conto che più del 40 per cento di chi è detenuto è in attesa di un giudizio definitivo) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Spesso, come a Carinola, il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all'interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all'anno. Le tensioni in carcere crescono non più di giorno in giorno, ma di ora in ora: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli agenti e alle strutture ed impedire l'implosione del sistema»  –:
          quali iniziative siano state adottate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per assicurare l'incolumità di Angelo Ferrara; in particolare se e come il 15 luglio 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario; con chi divideva la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se il detenuto lavorasse e/o partecipasse alle attività trattamentali dell'istituto e, di conseguenza, quanto tempo passasse normalmente all'interno della cella;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Carinola;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Carinola, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità all'interno della struttura penitenziaria in questione, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi in modo da garantire il funzionamento del nuovo padiglione detentivo. (5-07927)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalla rivista Ristretti Orizzonti, Vincenzo Boscarino, detenuto in espiazione pena presso il carcere di Padova, è deceduto l'11 luglio 2012 a seguito di una grave malattia;
          sulle circostanze che hanno provocato la triste fine di Vincenzo Boscarino, l'11 luglio 2012 Elton Kalica ha scritto il seguente articolo pubblicato sulla rivista Ristretti Orizzonti intitolato «La tragedia di Vincenzo, il dolore di una madre». «È morto Vincenzo Boscarino. Aveva quarantaquattro anni, e di fronte a una simile tragedia, in galera si usa dire “povera sua madre”. È un detto antico, che però esprime in modo perfetto il pensiero di chi ha sperimentato l'amore incondizionato di una madre verso il proprio figlio, e la capacità di resistere ai peggiori drammi della vita: e la madre di Vincenzo oggi dovrà resistere ad una tragedia, una nuova sfida, nuovo dolore. Ho conosciuto Vincenzo circa quattro anni fa, quando entrò nella redazione di Ristretti. Non parlava tanto di sé, ma mi raccontò un po’ dei suoi trascorsi: figlio di immigrati siciliani, era cresciuto nella periferia di Milano guardando la ricchezza degli altri, finché non aveva deciso di prendersene un po’ anche lui, illegalmente. Poi le condanne, lunghe per la recidiva, e così il destino alla fine aveva portato lui, vagante da una galera all'altra per il sovraffollamento, in carcere a Padova. La madre di Vincenzo vive a Milano, ma conosce a memoria i treni, gli autobus e le strade che la portavano a vedere per un'ora il suo unico figlio a colloquio. Forse, durante gli ultimi colloqui si era accorta che Vincenzo dimagriva, forse si era preoccupata in silenzio – si sa come si annoiano i figli delle preoccupazioni delle madri – e non aveva avuto il coraggio di pensare alla malattia; alla fine, in quell'ora di colloquio, si finisce sempre per parlare di un futuro migliore, sognando il giorno in cui ci si potrà abbracciare fuori, in libertà. Vincenzo però si era accorto del suo anomalo e progressivo dimagrire, e si era anche rivolto ai medici del carcere lamentando forti dolori allo stomaco e non solo. Ci eravamo accorti anche noi che qualcosa non andava: una volta a settimana si andava al campo e Vincenzo giocava a pallone sempre, ma poi, tutto d'un tratto, non veniva più. “Ma come sei magro”, gli dicevano anche i volontari in redazione. “Mi curano per una infezione allo stomaco”, raccontava Vincenzo, “sto prendendo dei gastroprotettori”. Solo che i mesi passavano e Vincenzo aveva continuamente febbre e alla fine molte ghiandole si erano gonfiate grosse come delle noci. Altre visite mediche in carcere, altri farmaci, mentre Vincenzo peggiorava: aveva ormai un colorito di un pallore anormale e gli occhi sempre più scavati. Alla fine la diagnosi è arrivata. Scortato in ospedale, è bastata una visita per scoprire che quei grappoli di linfonodi gonfi erano l'effetto dall'attività micidiale di una forma tumorale che si chiama linfoma non Hodgkin.  A quel punto i medici dell'ospedale lo hanno ricoverato d'urgenza. In corridoio, i primi giorni era sempre sorvegliato da agenti. La madre l'ha raggiunto immediatamente all'ospedale, piangeva, pregava in corridoio aspettando l'orario per abbracciarlo, per toccarlo. Dopo alcuni giorni il magistrato ha ordinato la sospensione della pena, così Vincenzo è tornato ad essere un uomo libero e poteva ricevere visite. Sua madre non si separava più da lui, l'accarezzava, nonostante l'insofferenza del figlio a tanta tenerezza, lo baciava, lo guardava dormire, e poi dormiva anche lei, ai suoi piedi. Dopo pochi giorni sono venuti i parenti, silenziosi e gentili, gli hanno fatto capire che non era solo. Che potevano essere più uniti ora, senza le mura del carcere di mezzo. Però Vincenzo stava male. La pelle si era colorita di un giallo che spaventava. I dottori dicevano che era arrivato in ospedale troppo tardi, ma nessuno voleva crederci. Quando qualcuno gli chiedeva come stava, diceva “adesso sto meglio” e i suoi occhi cercavano sempre di trasmettere tranquillità al visitatore. Tuttavia, riusciva difficile a chiunque essere tranquilli, e immancabilmente ci si domandava come mai i medici non gli avevano fatto fare degli esami prima, molto prima. Dopo qualche giorno ha iniziato il trattamento con la chemioterapia, che all'inizio ha dato dei risultati buoni. I linfonodi si sono sgonfiati e per Vincenzo le settimane passavano aspettando il prossimo ciclo di cure. Ogni tanto si alzava lentamente e guardava allo specchio i rilievi scolpiti sul proprio corpo ossuto, e probabilmente sentiva muovere nello stomaco un sentimento misto di paura e di ottimismo, ma la fiducia che il proprio corpo sarebbe riuscito a sconfiggere la malattia aveva sempre la meglio sulla paura della morte. Aspettava anche la madre di vedere il figlio rinascere. Ogni tanto però era costretta a scappare a Milano: nulla l'avrebbe mai staccata dal letto del figlio, se non fosse che, dopo tanti anni, era arrivata l'ora che le assegnassero una casa popolare, e alcune pratiche richiedevano la sua presenza. Nel frattempo, c'erano alcuni volontari della redazione a fargli visita, a turno, per tenergli compagnia. Alcune volte l'ho anche sorpreso portando a fargli visita qualche detenuto in misura alternativa, che Vincenzo accoglieva con l'allegria di chi incontra una persona in circostanze inimmaginabili. Poi sua madre tornava, e prendeva posto ai suoi piedi. Pochi giorni fa Vincenzo ha iniziato a sentirsi male di nuovo. I medici hanno cominciato a fare dei controlli, ma la morte l'ha colto di sorpresa, senza dargli nemmeno il tempo di arrabbiarsi, come si arrabbierebbe qualsiasi persona ancora forte se rischiasse una morte prematura. Ha colto di sorpresa anche la madre che ha chiesto di andargli di nuovo vicino per vederlo, per toccarlo e salutarlo, un'ultima volta. Di fronte alla morte di una persona ancora giovane, il pensiero va alla madre che gli è sopravvissuta. Ma come si fa a capire il dolore che porta nel cuore la madre di Vincenzo? Impossibile calcolare le fatiche di una madre che viaggia per centinaia di chilometri per abbracciare il proprio figlio in una sala colloqui; inimmaginabile la rabbia verso un destino così crudele che dal carcere ha offerto quel figlio alla morte traghettandolo lungo i dolori della malattia; forse lei andrà avanti cercando forza nella fede, oppure sarà lo stoicismo di una vita di battaglie a farle superare anche questa prova, ma noi continuiamo a chiederci come mai è arrivato in ospedale così tardi. Se si cercano notizie su questo linfoma, si legge ovunque che “negli ultimi anni il trattamento dei linfomi non Hodgkin ha fatto registrare enormi progressi, anche nei casi in cui il tumore si è diffuso dal sito primitivo, ed è in costante aumento il numero di malati che oggi possono guarire”. Può darsi che quello che ha aggredito Vincenzo sia stato un tumore più cattivo di altri, ma i tempi del carcere sono davvero incompatibili con i tempi della cura. Vincenzo ha avuto il destino di tanti detenuti malati: è stato “consegnato” agli specialisti quando ormai era troppo tardi. La vera battaglia in carcere è quella per costringere tutti a fare più in fretta nella corsa contro la malattia, perché la malattia non si ferma ad aspettare i tempi della galera»  –:
          se, negli ambiti di rispettiva competenza, intendano avviare iniziative volte a fare piena luce sull'accaduto;
          se risulti a quanti giorni di distanza dalla morte si siano svolti i funerali di Vincenzo Boscarino, quanto tempo il suo corpo sia rimasto all'obitorio e quali siano le ragioni della ritardata sepoltura;
          come, in che modo e secondo quali criteri e parametri il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria conteggia dal punto di vista statistico i decessi dei detenuti avvenuti all'interno degli ospedali e, quindi, fuori dagli istituti di pena.
(5-07929)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 29 giugno 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale «Piazza Lanza» di Catania accompagnata da Gianmarco Ciccarelli, segretario dell'associazione Radicali Catania;
          la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria Salvatore Tramontana e, nella seconda parte della visita, anche dalla direttrice dell'istituto Elisabetta Zito;
          il carcere è gravemente sovraffollato: i detenuti presenti sono 545 (528 uomini e 17 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 155 posti; questo dato relativo alla capienza regolamentare (155 posti), confermato ancora una volta dalla direzione dell'istituto (esattamente corrispondente a quello fornito all'interrogante in occasione di precedenti visite effettuate nella casa circondariale piazza Lanza di Catania in data 10 luglio 2008, 15 novembre 2009, 18 novembre 2010, 31 dicembre 2011) e peraltro indicato anche in un'ordinanza emessa in data 5 marzo 2012 dal magistrato di sorveglianza di Catania dottor Salvatore Meli, risulta di gran lunga inferiore a quanto recentemente dichiarato dal Ministero della giustizia nella risposta scritta all'interrogazione n.  5-06720 (già n.  4-14404), laddove si indica una capienza regolamentare di 361 posti;
          il carcere ospita detenuti comuni in regime di media sicurezza; circa il 75 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio: gli imputati sono 252, gli appellanti sono 109, i ricorrenti 45; i detenuti che scontano una condanna definitiva sono 139, di cui 2 ergastolani; i detenuti stranieri sono 60 (58 uomini e 2 donne);
          la carenza di personale di polizia penitenziaria risulta particolarmente marcata; a fronte di una pianta organica determinata nel numero di 430 unità, gli agenti assegnati – secondo quanto riferito dal comandante Tramontana – sono circa 330, di cui circa 100 distaccati (circa 60 agenti in servizio presso il nucleo traduzioni e piantonamenti e circa 40 agenti distaccati in altri istituti di pena), per cui gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio presso la casa circondariale piazza Lanza sono circa 230, comprese 12 unità addette alla scorta di autorità sotto tutela; le informazioni fornite all'interrogante in occasione della visita si discostano notevolmente, anche in questo caso, da quanto dichiarato dal ministero della giustizia nella sopramenzionata risposta, ove risulta scritto che «il personale di Polizia penitenziaria effettivamente presente alla data 31 marzo 2012 è composto da 366 unità»;
          la casa circondariale di piazza Lanza consta di quattro sezioni attualmente funzionanti («Amenano», «Simeto», «Nicito», «Etna») e di un reparto (il cosiddetto «terzo padiglione») chiuso da circa 10 anni per inagibilità;
          secondo quanto riferito, non sono ancora state apportate al reparto «Nicito» le necessarie e urgenti opere di adeguamento strutturale volte a renderlo conforme alle normative di legge;
          la delegazione visita il primo piano del reparto «Amenano», accedendo all'interno di ciascuna cella e soffermandosi a colloquiare con le persone detenute;
          tutte le celle di questa sezione misurano circa 20 metri quadi e sono dotate di bagno con doccia;
          lo spazio a disposizione di ciascun detenuto è inferiore a 3 metri quadri e la temperatura all'interno delle celle è molto elevata; «fa un caldo bestiale, non abbiamo nemmeno un frigorifero», lamentano i detenuti;
          i detenuti lamentano carenze nell'erogazione dell'acqua: «abbiamo l'acqua soltanto per 6 ore al giorno, riempiamo le bottiglie per avere un po’ di acqua nelle altre ore del giorno, ci serve per le emergenze, per lavarci e soprattutto per tirare il wc», raccontano i detenuti;
          i detenuti trascorrono chiusi in cella almeno 20 ore al giorno; le ore d'aria in cui i detenuti possono recarsi nel cortile esterno (il cosiddetto «passeggio») sono quattro, due al mattino e due al pomeriggio: «ma ci alterniamo anche nelle ore d'aria, perché nei passeggi non ci entriamo tutti, siamo troppi», sottolineano alcuni; «stiamo in cella per 20 ore al giorno, spesso anche per 22», conferma un altro detenuto; molti detenuti lamentano l'assenza di socialità e di attività trattamentali: «stiamo chiusi in cella dalle 15 alle 9 dell'indomani, qui la giornata non passa mai, la rieducazione non esiste»; «nelle condizioni in cui siamo, 3 anni di carcere equivalgono a 9 anni di carcere», lamenta un detenuto;
          il carcere non è dotato di sale per la socialità né di palestra: «la palestra la facciamo in cella con le bottiglie d'acqua», riferiscono i detenuti; il comandante Tramontana informa che «dopo agosto la palestra dovrebbe aprire»;
          le celle ospitano indistintamente persone giovanissime e persone anziane, detenuti in attesa di giudizio e detenuti che scontano una condanna definitiva;
          molti detenuti lamentano carenze nell'assistenza sanitaria, che negli istituti di pena della Sicilia dipende ancora dal Ministero della giustizia; un detenuto mostra il dito anulare della mano destra storto e riferisce di esserselo fratturato in cella, per salire al quarto piano del letto a castello, e di non aver ricevuto cure adeguate: «il dito mi è rimasto storto a causa di un ritardo nell'operazione per togliere il ferro»; un altro detenuto, con un evidente rigonfiamento sulla guancia, afferma: «aspetto da più di un anno per togliere questa ciste nella guancia»; un detenuto tossicodipendente riferisce che l'unico trattamento che gli viene somministrato sono «le gocce per dormire»; un detenuto racconta quel che gli è accaduto qualche sera prima: «soffro di asma, la sera della partita di calcio Italia-Inghilterra mi sono sentito male e ho chiamato il medico intorno alle ore 21.00, ma il medico è arrivato solo dopo la fine della partita»; molti detenuti lamentano: «qui se stai male ti danno sempre la stessa pillola, vale per tutto, sia che hai mal di testa, sia che hai mal di pancia, sia che hai mal di schiena: è la pillola che cura tutto»;
          a detta di molti, l'assistenza psicologica è del tutto insufficiente rispetto alle esigenze della popolazione detenuta: «qui la psicologa si vede soltanto quando entriamo», sottolineano i detenuti;
          i detenuti evidenziano che il rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria è buono;
          i detenuti lamentano criticità in relazione ai compiti propri del magistrato di sorveglianza: «per ottenere i giorni di liberazione anticipata aspettiamo molti mesi, anche 7 mesi»; un detenuto afferma: «se mi venissero riconosciuti i giorni di liberazione anticipata, potrei uscire e andare a lavorare alla Città del Sole»; un altro riferisce: «gli educatori del carcere sono presenti e ci seguono con la relazione, il problema dipende dal magistrato di sorveglianza»; molti detenuti con condanna definitiva riferiscono che la richiesta di poter scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio (ai sensi della legge n.  199 del 2010 e successive modifiche) viene evasa, «bene che vada», a distanza di molti mesi: «si fa prima a scontare tutta la pena che ad ottenere una risposta»; secondo quanto riferito dalla direttrice dell'istituto, i detenuti con condanna definitiva che hanno potuto usufruire della detenzione presso il domicilio, ex legge n.  199 del 2010 e successive modifiche, sono in tutto 6, e soltanto 1 da quando il residuo pena che è possibile scontare presso il domicilio è stato esteso a 18 mesi; alcuni detenuti riferiscono di trovarsi in carcere per scontare pene di pochi mesi: «io sto scontando una condanna definitiva di 2 anni e 10 giorni, per un fatto commesso tantissimo tempo fa, ed è la prima volta che entro in carcere», riferisce un detenuto; «io devo scontare ancora un mese, sono qua da 10 giorni, per via di una vecchia condanna che è diventata definitiva», racconta un altro;
          nella cella n.  11 sono ristrette 10 persone; sono presenti due letti a castello a tre piani e un letto a castello a quattro piani: la distanza tra il tetto e il quarto piano del letto a castello è di circa 20 centimetri per questa ragione il detenuto a cui è riservata questa sistemazione generalmente trascorre la notte sugli sgabelli;
          la cella n.  20 ospita 10 persone; anche in questa cella è presente un letto a castello a quattro piani e uno dei detenuti dorme sugli sgabelli; i detenuti sottolineano l'assenza della scaletta: «per salire sul letto ci dobbiamo arrampicare»;
          nella cella n.  19 sono ristretti 9 detenuti; «fino a lunedì scorso eravamo in 10, non c’è spazio e manca l'aria, stiamo peggio degli animali», sottolineano i detenuti;
          nella cella n.  12 sono ristretti 8 detenuti; alcuni lamentano la presenza di scarafaggi: «escono dal tombino, entrano dalla finestra: ogni sera facciamo la lotta con le blatte»;
          la cella n.  13 ospita 9 detenuti; in questa cella è ristretto M.T. (nato a Giarre (CT) il 14 agosto 1973), il quale racconta così la sua vicenda: «ho il fine pena nel maggio del 2013, sono tossicodipendente, ho fatto la domanda per andare in comunità, la comunità «Faro» di Messina era disponibile ad accogliermi, ma il magistrato di sorveglianza ha rigettato la mia richiesta»;
          nella cella n.  18 sono presenti 9 detenuti; un detenuto lamenta: «la legge 199 non funziona: io sono qui dall'altro ieri e in tutto devo fare 8 mesi, ma il tempo che presento la domanda e che il magistrato di sorveglianza mi risponde... faccio prima a scontare gli 8 mesi»;
          nella cella n.  14 sono ristretti 10 detenuti; anche in questa cella un detenuto è costretto a dormire sugli sgabelli; un detenuto con condanna definitiva lamenta: «il definitivo dovrebbe farsi il carcere in pace, ma qui non si può vivere»;
          anche nella cella n.  17 sono presenti in 10; i detenuti lamentano: «siamo troppo stretti, qui dobbiamo fare i turni anche per andare in bagno»; un detenuto con la stampella riferisce di stare molto male e di non aver ancora ricevuto assistenza: «ho problemi ai legamenti, un dolore atroce, i ragazzi mi danno una mano per vestirmi, aspetto da 30 giorni che i medici mi chiamino»;
          nella cella n.  16 sono ristretti 9 detenuti;
          la cella n.  15 ospita 9 detenuti; C.V. detenuto in questa cella, riferisce di essere completamente cieco da un occhio e di non ricevere adeguate cure: «mi mancano dieci gradi da un occhio, non ci vedo completamente, avrei bisogno di una visita specialistica»;
          un altro detenuto lamenta l'assenza di lavoro: «qui è ozio forzato, io ho fatto la domanda per lavorare 10 mesi fa e ancora non mi hanno chiamato»;
          nella casa circondariale di Catania piazza Lanza, secondo quanto riferito dal comandante, i detenuti che lavorano sono circa 50: meno del 10 per cento della popolazione detenuta  –:
          se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere piazza Lanza di Catania;
          se intende finalmente chiarire il dato della capienza regolamentare dell'istituto e spiegare il motivo per quale il dato del Ministero si discosti in modo così ragguardevole da quanto affermato dal magistrato di sorveglianza e dalla direttrice dell'istituto;
          se e quando si intenda intervenire per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
          quanto alla carenza idrica, se intenda intervenire immediatamente, visto il sovraffollamento delle celle e il pericolo – da non sottovalutare – di diffusione di malattie contagiose;
          se, e in che tempi, verranno effettuate le opere di adeguamento strutturale necessarie a rendere il reparto «Nicito» conforme alla normativa vigente;
          in che modo si intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          a quanti dei detenuti definitivi del carcere di piazza Lanza viene applicato il trattamento rieducativo previsto dall'ordinamento penitenziario, trattamento che deve tendere, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi, secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti;
          come giustifichino la presenza nella stessa cella di detenuti definitivi e in attesa di giudizio e, addirittura, di un ergastolano;
          se corrisponda al vero che la legge n.  199 del 2010 e la sua recente estensione a 18 mesi per l'esecuzione presso il domicilio delle pene, venga applicata agli aventi diritto solo a ridosso del fine pena e, comunque, quanti siano i detenuti che hanno beneficiato dell'intero periodo richiesto;
          se il magistrato di sorveglianza abbia mai dato disposizioni per il rispetto della normativa riguardante le condizioni di detenzione e, in caso affermativo, quali siano le ragioni per le quali le disposizioni stesse non siano state rispettate;
          quali iniziative si intendano assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
          se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche, di formazione e sportive. (5-07930)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 1o luglio 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Trapani «San Giuliano», accompagnata dagli esponenti radicali di Palermo e Catania, Donatella Corleo e Gianmarco Ciccarelli;
          il penitenziario, inaugurato nel 1965, è ubicato in località Casa Santa, una frazione del comune di Erice (TP) contigua all'agglomerato urbano della città di Trapani;
          la visita ha avuto una durata di 5 ore e 50 minuti; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria Giuseppe Romano e, nella seconda fase della visita, anche dal direttore dell'istituto Renato Persico;
          l'istituto è gravemente sovraffollato: i detenuti presenti sono 495 mentre la capienza regolamentare dell'istituto è di 271 posti, a cui vanno aggiunti 11 posti letto della sezione «semilibertà»; il numero dei detenuti presenti è superiore perfino rispetto alla capienza cosiddetta «tollerabile» che, secondo quanto riferito, è di 443 posti letto; l'istituto è articolato in diverse sezioni; nel reparto «Mediterraneo», che ospita detenuti comuni in regime di media sicurezza, i detenuti presenti sono 277 a fronte di una capienza regolamentare di 169 posti; nel reparto «Ionio» (alta sicurezza) sono ristretti 112 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 64 posti; nella sezione «Egeo» (femminile) le detenute presenti sono 18 a fronte di una capienza regolamentare di 14 posti; nel reparto «Tirreno» (detenuti protetti) i reclusi sono 63, mentre la capienza regolamentare è di 24 posti; sono presenti inoltre un reparto «semilibertà» con una capienza regolamentare di 11 posti e un reparto «isolamento» denominato sezione «BLU»;
          il personale di polizia penitenziaria risulta fortemente sottodimensionato: la pianta organica prevede 330 agenti, ma quelli in servizio sono 282, di cui 48 unità sono in forza al nucleo traduzioni e piantonamenti e 9 unità sono distaccate presso altri istituti e presso l'Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE); gli agenti effettivamente in servizio nel carcere di Trapani, dunque, sono soltanto 225, con una carenza effettiva di oltre 100 unità rispetto alla pianta organica (la cui previsione è commisurata, evidentemente, ad una popolazione detenuta corrispondente alla capienza regolamentare, e quindi di gran lunga inferiore rispetto a quella attualmente presente nella casa circondariale); «l'età del personale di polizia penitenziaria è aumentata molto, quelli che in questi anni sono andati in pensione non sono stati rimpiazzati», afferma il comandante; alla marcata carenza di agenti si affianca la carenza di risorse e di mezzi in dotazione alla polizia penitenziaria, con grave pregiudizio per la serenità degli agenti e con rilevanti ripercussioni in termini di sicurezza: «non ci sono i soldi per la manutenzione e la riparazione dei mezzi», riferisce il comandante, «abbiamo soltanto un furgone funzionante e a volte siamo costretti ad accompagnare i detenuti alle udienze con l'automobile: l'altro giorno un detenuto ha tentato di afferrare il volante»;
          le condizioni strutturali del penitenziario sono discrete; «tutto sommato, per essere un carcere che ha 50 anni, le condizioni dal punto di vista strutturale non sono cattive; ci vorrebbero un po’ di lavori di manutenzione ma i soldi sono pochi», riferisce il comandante; una delle maggiori criticità della struttura è rappresentata dalla gravissima carenza idrica: l'acqua viene erogata soltanto per 4 ore al giorno, a causa di problemi di approvvigionamento che riguardano l'intero comprensorio della val d'Erice; «abbiamo l'acqua col contagocce, e alcuni giorni fa – racconta il comandante – siamo stati addirittura senz'acqua per un problema tecnico del comune di Erice, un guasto al dissalatore: i detenuti hanno protestato, ma poi quando abbiamo spiegato che il problema non dipendeva da noi la protesta è rientrata, i detenuti hanno compreso»; la direzione del carcere, secondo quanto riferito, ha avanzato richiesta per l'installazione di un potabilizzatore d'acqua, un intervento per il quale sono necessari circa 20 mila euro, che consentirebbe di assicurare un'erogazione di acqua per 8/10 ore al giorno;
          gli stranieri ristretti nella casa circondariale di Trapani sono 124, circa il 25 per cento della popolazione detenuta; i detenuti tossicodipendenti sono 82; i detenuti che lavorano sono circa 40, meno del 10 per cento della popolazione detenuta: si tratta esclusivamente di lavori non professionalizzanti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria; fino ai primi anni ’90 era presente un'officina di falegnameria, poi chiusa, e attualmente nella casa circondariale di Trapani non sono attive lavorazioni di alcun tipo; per quanto riguarda l'istruzione, sono attivi corsi di scuola elementare, media e superiore: «da settembre sarà attiva la scuola alberghiera», riferisce il direttore;
          la delegazione visita il reparto «Mediterraneo» (detenuti comuni), che si articola su tre piani (piano terra, primo e secondo piano); reti di sicurezza orizzontali sono applicate ai ballatoi dei piani, a separare un piano dall'altro, secondo una obsoleta concezione di struttura carceraria;
          in questa sezione le celle, di circa 16 metri quadrati, ospitano fino a 6 detenuti (meno di 3 metri quadrati a testa) in letti a castello a tre piani e sono dotate di bagno con doccia; inoltre, sono dotate di frigorifero e hanno finestre che assicurano un ingresso di luce naturale da ritenersi soddisfacente;
          i detenuti trascorrono in cella 20 ore al giorno e possono usufruire di 4 ore d'aria, due al mattino e due al pomeriggio; in questo istituto c’è un campo sportivo dove i detenuti, a turno, possono giocare a pallone; non ci sono, invece, sale per la socialità;
          il rapporto fra la popolazione detenuta e gli agenti di polizia penitenziaria è molto buono, e sono tanti i detenuti che sottolineano questo aspetto: «qui gli agenti ci trattano bene, con umanità»; «in questo carcere ci sono tanti problemi, a partire dal sovraffollamento, ma degli agenti non possiamo lamentarci»; «ho grande stima del comandante e di tutti gli agenti, lavorano con professionalità in una situazione che è difficile anche per loro»;
          anche il rapporto con il magistrato di sorveglianza è descritto dalla maggioranza dei detenuti in termini positivi, specialmente con riferimento agli ultimi mesi: «prima il magistrato di sorveglianza veniva da Palermo, e non funzionava granché; adesso invece è a Trapani e da meno di un anno funziona meglio»;
          una delle lamentele più diffuse riguarda la carenza di acqua: «è assurdo farci stare in 6 in una cella con questo caldo e per di più senza acqua corrente per quasi tutto il giorno», afferma un detenuto; «sappiamo che è un problema generale della città, ma per chi è recluso è ancora più dura», evidenzia un altro; «se manca l'acqua, manca tutto, e quella poca acqua che esce è ruggine!»;
          la poca acqua che viene erogata presenta un colore giallastro che è motivo di forte preoccupazione per molti detenuti, soprattutto per quelli che sono costretti a bere l'acqua del rubinetto perché non hanno i soldi per acquistare l'acqua imbottigliata; nella cella n.  4, piano terra, ad esempio, sono ristretti 4 detenuti tunisini completamente indigenti: «non abbiamo soldi, beviamo questa acqua che esce dal rubinetto – affermano – ma ha un brutto colore, un brutto sapore, non si può bere!»; questi detenuti hanno applicato una pezza al rubinetto per tentare di filtrare l'acqua trattenendo i residui, e mostrano con angoscia il colore marroncino della pezza, a riprova del fatto che l'acqua erogata non è pura; uno di loro lamenta: «bevo quest'acqua da un anno e otto mesi e adesso ho un forte dolore al fegato: è giusto questo, secondo voi?»; «per l'ASP (azienda sanitaria provinciale) l'acqua del rubinetto è potabile», informa il comandante;
          molti detenuti, inoltre, lamentano di non avere prodotti per l'igiene personale e per la pulizia della cella: «siamo senza shampoo, senza detersivo, non si può vivere così»; «l'amministrazione ha pochissimi soldi», riferisce il comandante, che aggiunge: «riusciamo a comprare qualcosa grazie al cappellano»;
          la delegazione si reca nei cosiddetti «passeggi», cioè i cortili dove i detenuti trascorrono le ore d'aria; nel reparto «Mediterraneo» ci sono tre passeggi, ognuno destinato ad accogliere i detenuti di un determinato piano; in queste aree esterne c’è un wc degradato, un calcetto balilla, e una piccola tettoia che assicura una limitata porzione di ombra, dove la delegazione si sofferma a colloquiare con i detenuti;
          «la situazione è critica, non ce la facciamo più», lamentano alcuni detenuti, sottolineando il problema del sovraffollamento e la carenza di acqua; altri lamentano che nella loro cella, pur essendo in 6 detenuti, le «bilancette» (piccoli armadietti dove i detenuti ripongono il vestiario) sono soltanto quattro; altri ancora lamentano l'assenza di socialità e di attività volte alla rieducazione: «qui non facciamo niente, stiamo per 20 ore chiusi in cella, siamo dimenticati da Dio»; alcuni detenuti raccontano che «di notte escono gli scarafaggi dal gabinetto»; molti lamentano il fatto che «le forniture sono scarse: in un mese ci danno soltanto due rotoli di carta igienica, uno straccio e una confezione di detergente per pulire la cella, il dentifricio ce lo danno ogni 3 o 4 mesi»; «i prezzi del sopravitto sono cari, – lamentano alcuni detenuti – accanto ai prodotti di prima qualità dovrebbero esserci anche prodotti meno cari, per consentire a chi ha pochi soldi di poter risparmiare»; un'altra criticità segnalata dai detenuti riguarda la quantità del vitto, «scarsa», a detta di molti, e i limiti posti all'acquisto dei prodotti: «chi non ha soldi mangia pochissimo, e chi è benestante non può nemmeno dare aiuto ai compagni di cella più poveri perché, ad esempio, ognuno di noi può acquistare al massimo 3 kg di pasta alla settimana, non di più: che senso hanno questi limiti nell'acquisto dei prodotti?», lamentano i detenuti, «ci consentono di comprare soltanto un bagnoschiuma alla settimana, oppure soltanto una confezione di 20 forchette di plastica alla settimana, ma a volte questi prodotti li dividiamo con i nostri compagni di cella che non hanno soldi, e quindi sono insufficienti»; un detenuto lamenta il fatto che tra i prodotti che possono essere acquistati non ci sia la pentola grande, ma soltanto il tris di pentolini: «in cella siamo in 6, è impossibile fare la pasta per tutti nei pentolini piccoli, e così siamo costretti a utilizzare una pentola rotta che abbiamo trovato in cella: una pentola vecchissima, che ha più dell'ergastolo», scherza amaramente; quando la delegazione si reca a visitare le celle del primo piano viene mostrata questa pentola che in effetti è vecchissima e rotta, con lo scotch nella parte superiore «per non fare uscire l'acqua», spiegano i detenuti, che aggiungono: «per lavarla spesso ci tagliamo»;
          un numero consistente di detenuti, soprattutto stranieri provenienti da istituti del nord Italia e campani provenienti da istituti della Campania, riferisce di essere stato trasferito «per sfollamento: ci hanno portato qua perché proveniamo da carceri sovraffollate, ma anche questo carcere è sovraffollato!»; molti evidenziano la sofferenza di dover scontare la pena (o la custodia cautelare in carcere) lontano dalla famiglia, e spesso a pagare le conseguenze di questi trasferimenti in altre regioni sono i figli, anche minorenni; un detenuto napoletano racconta: «preferivo stare a Poggioreale, da quando sono qua non ho più visto mio figlio di 8 anni, so che va dallo psicologo due volte alla settimana, lui mi cerca continuamente e la mamma gli dice che il suo papà sta lavorando, mi farei anche un anno di pena in più pur di stare vicino alla mia famiglia e poter fare i colloqui»;
          un detenuto lamenta: «sono definitivo con 10 anni di pena da scontare, e mi tengono in questo carcere che è una casa circondariale, ma io non dovrei stare qua, dovrei stare in un carcere dove ci sono attività, dove si lavora»;
          alcuni detenuti palermitani riferiscono di essere stati trasferiti a Trapani dal carcere Ucciardone di Palermo soltanto per il fatto di aver parlato con la prima firmataria del presente atto in occasione di una precedente visita ispettiva all'interno della casa circondariale palermitana;
          diversi detenuti stranieri manifestano il timore di finire in un CIE (centro di identificazione ed espulsione), una volta usciti dal carcere: «perché non ci identificano mentre siamo qua?»; «qui hanno il nostro nome, cognome e tutto, se ci identificano quando siamo in carcere per quale motivo poi ci mandano nei CIE?»;
          inoltre, molti detenuti stranieri riferiscono che il meccanismo per ottenere il trasferimento in un carcere del proprio paese, al fine di scontare in quel luogo gli ultimi 2 anni, è lento ed estremamente complicato; un detenuto di nazionalità kosovara, ormai prossimo al rimpatrio, racconta: «è difficilissimo, non c’è nessuno che ci aiuta, non ci sono mediatori, io ho atteso 6 mesi soltanto per capire se dovevo rivolgermi all'ufficio stranieri o all'ambasciata, poi dal momento in cui ci fanno fare la domanda al momento del rimpatrio passa molto tempo, per me addirittura un anno, ma se invece la pratica per l'espulsione funzionasse bene sarebbe meglio non solo per noi, ma anche per l'istituto e per lo Stato italiano»; e aggiunge: «per quelli che come me non fanno i colloqui con i familiari, 4 telefonate al mese sono poche, non sarebbe più giusto consentire a chi non fa mai i colloqui di poter telefonare 6 volte al mese?»; e infine: «per Natale ho chiesto di poter fare una telefonata straordinaria a mia madre che è malata, e non me l'hanno concessa»;
          molti detenuti manifestano delusione con riferimento alla legge n.  199 del 2010: «altro che svuota carceri, questa legge qui non ha avuto nessun effetto positivo, praticamente non ha funzionato»; alcuni detenuti lamentano lentezze nell'invio della relazione di sintesi: «mi mancano 14 mesi di pena da scontare e ho chiesto gli arresti domiciliari, ma il carcere dopo 7 mesi dalla richiesta non ha ancora mandato la relazione»; «se il carcere non invia la relazione la mia pratica si blocca»;
          nella casa circondariale di Trapani gli educatori sono quattro, più il responsabile dell'area trattamento educativo: «c’è carenza di educatori», afferma il direttore;
          un detenuto riferisce di essere stato trasferito nell'ultimo periodo per ben cinque volte in istituti diversi, sottolineando un aspetto negativo di questi continui spostamenti: «io di carceri ne ho girati 6, ma non per cattiva condotta, per sfollamento!»; e aggiunge: «quindi apro una sintesi in un carcere e poi devo ricominciare tutto da capo nel nuovo carcere»;
          un detenuto lamenta: «il magistrato di sorveglianza non mi ha dato il permesso di vedere mia figlia appena nata»;
          alcuni detenuti tossicodipendenti lamentano: «per parlare col SERT passano mesi»; altri detenuti riferiscono che spesso le iniezioni vengono fatte attraverso le sbarre, senza nemmeno aprire la porta della cella;
          FC., ristretto nella cella n.  22, piano terra, riferisce di essere affetto dal morbo di Raynaud e di non ricevere in questo carcere, a differenza di quanto avveniva nel carcere di Caltagirone e in quello di Caltanissetta, il farmaco «Trental» (a base di Pentossifillina);
          la delegazione prosegue la visita e si reca al 2o piano del reparto «Mediterraneo»;
          M.S., detenuto marocchino ristretto nella cella n.  67, racconta di essere stato trasferito a Trapani «per sfollamento» dal carcere napoletano Poggioreale: «vorrei tornare in Campania, lì ho un fratello e una sorella, un mese fa ho fatto la domanda per avvicinamento colloqui ma ancora non ho ricevuto alcuna risposta»;
          R.N., riferisce di soffrire di crisi epilettiche e di avere una madre anziana e malata («operata alla schiena») e aggiunge: «4 mesi fa, quando mi mancavano 8 mesi di pena da scontare, ho fatto la domanda per scontare la pena nel mio domicilio (legge n.  199 del 2010), adesso mi mancano soltanto 4 mesi e ancora come vedete sono qua»;
          S.R., detenuto di nazionalità tunisina, invece, teme di dover ritornare nel carcere Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino), in cui è assegnato: «mia madre vive a Mazara del Vallo (Trapani), vorrei restare in questo carcere o comunque in uno vicino»;
          L.M., detenuto residente a Torre Annunziata (NA) con fine pena nel 2021, afferma di soffrire molto a causa della lontananza dalla famiglia e soprattutto dai due figli minorenni (di 8 anni e 12 anni): «sto qui da un anno e da un anno non vedo la mia famiglia, da un anno non faccio un colloquio, i miei familiari non hanno i soldi per venirmi a trovare, 5 mesi fa ho fatto la richiesta per il trasferimento in Campania ma è stata rigettata, 3 mesi fa ne ho fatta un'altra ma ancora non ho avuto risposta; io vorrei lavorare, ho bisogno di lavorare, per mandare qualcosa alla mia famiglia e anche per me, ma in questo carcere non mi chiamano per lavorare, chiamano quelli che hanno fatto domanda dopo di me»;
          i detenuti che lamentano l'assenza di lavoro sono molti;
          S.I. lamenta: «io sul libretto non ho un centesimo e fuori non c’è nessuno che si preoccupa di me, ho soltanto mia mamma che era in una clinica e ora non so nemmeno se è ancora viva oppure è morta»;
          W.P. è un detenuto di nazionalità albanese trasferito «per sfollamento» dal carcere milanese di San Vittore: «da Milano mi hanno mandato a Catania, dove sono stato per 6 mesi, e ora sono qui a Trapani da 20 mesi; la mia famiglia vive a Milano, ho moglie e figli, ho fatto 3 domande di trasferimento per stare più vicino alla famiglia ma non ho mai ricevuto alcuna risposta»;
          un detenuto della cella n.  55 riferisce con angoscia della presenza notturna di scarafaggi: «di notte escono dal bagno e passeggiano nella cella»; i suoi compagni di cella confermano: «ha la fobia degli scarafaggi, quando li vede sta male e sale al 3o piano del letto a castello»;
          alcuni detenuti stranieri lamentano l'assenza di forniture per la pulizia della cella e mostrano quello che utilizzano per lavare il tavolino e il pavimento: «usiamo questa pezza sporca per pulire il tavolo e questo pezzo di accappatoio come straccio per pulire a terra»;
          A.H., detenuto tunisino che sconta una condanna definitiva, lamenta: «mi è stata rigettata la domanda per fare una telefonata a mia moglie in Tunisia, sono qui da 4 mesi e ancora non ho mai potuto parlare al telefono con mia moglie»;
          la delegazione prosegue la visita e si reca al 1o piano del reparto «Mediterraneo»;
          nella cella n.  29 è ristretto P.T., quarantenne, che riferisce di essere stato trasferito dalla casa di lavoro di Modena «Saliceta San Giuliano» alla casa di lavoro di Favignana per aver praticato lo sciopero della fame e la battitura delle inferriate: «il magistrato di sorveglianza di Trapani ha ritenuto legittimo questo mio trasferimento, ma allora è vietato fare lo sciopero della fame?»;
          A.H., tunisino, ristretto nella cella n.  30, mostra la bocca completamente priva di denti, e lamenta: «sono qui da 4 anni e da 4 anni aspetto una dentiera»;
          R.H., tunisino, riferisce di aver fatto domanda per essere trasferito in un carcere toscano, per stare vicino ai familiari: «tutta la mia famiglia vive a Firenze, anche i miei processi sono là, ho fatto la domanda per andare in un carcere più vicino ma non mi rispondono»;
          nella cella n.  31 sono ristretti 6 detenuti, tra cui A.C., che afferma: «non ho genitori né parenti, ho soltanto una compagna che è l'unica persona che mi è rimasta, è l'unico affetto che ho, lei vive a Bologna e non ha la possibilità di venirmi a trovare per i colloqui, ho fatto la domanda per poter avere almeno un colloquio telefonico con lei, vorrei almeno poterla sentire per telefono, ma ancora non me l'hanno accordato»;
          R.P., detenuto catanese ristretto nella cella n.  32, riferisce di aver fatto varie domande per essere trasferito in un istituto più vicino alla famiglia, che risiede a Catania: «da quando sono qui a Trapani, cioè da 8 mesi, non vedo mio figlio di 8 anni; prima stavo nel carcere di Enna e lì ero più vicino alla mia famiglia; ho fatto domande per andare al carcere di Augusta, di Noto, di Caltagirone ma me le hanno rigettate, dicono per problemi di posti, ma anche questo carcere è sovraffollato!»;
          anche R.P., detenuto di nazionalità albanese ristretto nella cella n.  41, vorrebbe scontare la sua pena in un carcere vicino alla famiglia, che risiede a Roma, e riferisce di avere presentato una domanda per avvicinamento senza aver mai ricevuto alcuna risposta: «la mia famiglia risiede a Roma, ho un figlio di 8 anni che è nato a Roma, non lo vedo da 3 anni e mezzo, cioè da quando mi hanno trasferito in Sicilia, prima infatti ero a Regina Coeli, poi mi hanno mandato nel carcere di Enna, poi in quello di Augusta e ora da 2 anni e mezzo sono qui a Trapani; ho fatto domanda per essere trasferito a Rebibbia o comunque in un carcere del Lazio, ho anche allegato tutta la documentazione con il certificato di residenza di mio figlio minorenne, non mi hanno mai risposto»;
          H.T. (cella n.  47), detenuto di nazionalità tunisina con un residuo di pena da scontare di 7 mesi, riferisce di aver presentato la domanda per l'accesso alla detenzione presso il domicilio, ai sensi della legge n.  199 del 2010, senza aver ancora ricevuto alcuna risposta: «sono residente a Catania, dove ho una moglie e avrei anche un lavoro»;
          nella casa circondariale di Trapani, secondo quanto riferito, c’è un elevato turn-over di detenuti: «in questo carcere il problema delle porte girevoli c’è ancora», sottolinea il direttore;
          la sala colloqui del reparto «Mediterraneo» è ampia, arredata con tavolini e sedie, e si presenta in buone condizioni; anche la sala colloqui della sezione femminile, di dimensioni più ridotte, appare in buono stato;
          il penitenziario, sebbene sia dotato di ampi spazi esterni, non ha un'area verde attrezzata per lo svolgimento del colloquio dei detenuti con i familiari minori: «speriamo di attrezzarlo a breve – riferisce il comandante – grazie ai fondi donati dal kiwanis, lo spazio è già stato individuato»;
          «purtroppo la carenza di fondi rende tutto più difficile, quasi tutti i nostri capitoli sono asciutti», sottolinea il direttore;
          l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n.  354 (ordinamento penitenziario), stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
          l'articolo 15 della medesima legge prescrive che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
          il comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n.  230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), dispone che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale» (...)  –:
          se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere «San Giuliano» di Trapani;
          se e quando si intenda intervenire per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
          quanto alla carenza idrica, se intenda intervenire immediatamente per l'installazione di un potabilizzatore d'acqua che consentirebbe l'erogazione dell'acqua per 8/10 ore al giorno;
          a quando risalga l'ultima analisi effettuata dall'ASL sulla potabilità dell'acqua erogata nelle celle detentive stante lo stato di indigenza di molti detenuti che non hanno i mezzi per acquistare l'acqua minerale imbottigliata;
          in che modo si intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          a quanti dei detenuti definitivi del carcere di Trapani venga applicato il trattamento rieducativo previsto dall'ordinamento penitenziario, trattamento che deve tendere, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi, secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti;
          cosa si intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
          in particolare, come si giustifichino gli sfollamenti dalle carceri sovraffollate del Nord e campane che sradicano i detenuti dal loro ambiente familiare costringendo peraltro l'amministrazione a sostenere costi ingenti per le traduzioni necessarie ad assicurare la presenza dei detenuti alle udienze che li riguardano;
          quanto spende l'amministrazione per le traduzioni dei detenuti e quanto personale venga utilizzato, nel complesso, per effettuarle;
          come questi sfollamenti a centinaia di chilometri di distanza siano compatibili con la normativa citata in premessa;
          se corrisponda al vero che la legge n.  199 del 2010 e la sua recente estensione a 18 mesi per l'esecuzione presso il domicilio delle pene, venga applicata agli aventi diritto solo a ridosso del fine pena e, comunque, quanti siano i detenuti che hanno beneficiato dell'intero periodo, 12 mesi prima e 18 mesi con l'adeguamento della nuova normativa;
          se intenda intervenire per favorire la presenza dei mediatori culturali per i detenuti stranieri;
          se e come intenda intervenire per assicurare che l'identificazione dei detenuti stranieri avvenga nel periodo della detenzione in carcere, evitando così il successivo trattenimento degli stessi nei centri di identificazione ed espulsione;
          se e quali iniziative intenda assumere per rendere effettiva la possibilità per i detenuti stranieri di scontare gli ultimi due anni di pena nel Paese d'origine;
          se intenda intervenire per allestire l'area verde per gli incontri dei detenuti con i loro familiari, in particolare se minorenni;
          se corrisponda al vero il fatto che alcuni detenuti del carcere Ucciardone di Palermo siano stati trasferiti a Trapani dopo aver «parlato» con la prima firmataria del presente atto in occasione di una precedente visita ispettiva; se intenda verificare quanti e quali detenuti siano stati trasferiti dall'Ucciardone a Trapani e quali siano state le ragioni del trasferimento.
(5-07931)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un lancio di agenzia di stampa ANSA dello scorso 10 luglio, il segretario nazionale di Magistratura Democratica, dottor Piergiorgio Morosini – intervenendo alla quarta serata di «Tabularasa – La frontiera», in piazza Italia, a Reggio Calabria, dedicata dagli organizzatori, Giusva Branca e Raffaele Mortelliti, alla «fine dell'innocenza», tra piazza Fontana, il caso Moro e le stragi del 1992 – avrebbe rilasciato la seguente dichiarazione: «Ragioniamo su quello che è il vero problema del nostro Paese che non è solo la criminalità organizzata ma la necessità di vivere in società dove certi diritti fondamentali sono garantiti a tutti, anche ai carcerati. Il 41-bis è effettivamente un problema, al di là di quali possano essere gli interessi della criminalità di stampo mafioso. Guardate che gli USA non estradano in Italia i boss mafiosi perché il 41-bis da loro viene assimilato alla tortura. Alcuni parlano di tortura democratica. Il regime carcerario del 41-bis è un regime terribile, dove il rispetto del diritto umanitario è veramente a forte rischio: noi dobbiamo interrogarci sugli effetti di sistema che l'azione antimafia ha portato nel nostro Paese. Noi rischiamo di essere un Paese e un'istituzione che a forza di guardare negli occhi il mostro-mafia, il mostro-’ndrangheta, il mostro-camorra, rischia di diventare lui stesso il mostro. Quando potremo parlare in maniera seria, serena, pacata del nostro regime carcerario vorrà dire che saremo diventati davvero un paese maturo»;
          l'articolo 41-bis dell'Ordinamento penitenziario non rispetta i principi fissati dall'articolo 27 della Costituzione e si pone in contrasto con i trattati internazionali;
          non è un caso che, sia nei resoconti giornalistici, sia negli atti parlamentari, questa normativa venga definita «carcere duro», con ciò intendendo un regime che non è volto alla tutela della sicurezza nel carcere bensì a sottoporre imputati o condannati per taluni reati ad un supplemento di afflizione;
          il risultato di questa situazione è una normativa che, nel suo inusitato rigore, nella sua deliberata ribellione al principio di rieducazione della pena, contrasta con i più nobili valori scolpiti nella Carta Costituzionale, così come peraltro si evince dalla lettura dei libri «Barriere di vetro», edito dalla Camera penale di Roma nel 2002, e «Tortura democratica» di Sergio D'Elia e Maurizio Turco, edito da Marsilio sempre nel 2002;
          la prima firmataria del presente atto, presentando direttamente al Parlamento la proposta di legge n.  4147 elaborata insieme all'Unione delle camere penali italiane, ha indicato una strada per tutelare la sicurezza nel carcere che sia allo stesso tempo rispettosa dei princìpi costituzionali  –:
          se il Governo non ritenga opportuno promuovere iniziative normative volte alla modifica dell'articolo 41-bis dell'Ordinamento Penitenziario in modo da rendere il cosiddetto «carcere duro» conforme alle ripetute affermazioni della Corte costituzionale sulla necessità che sia rispettato, in costanza di applicazione del regime in questione, il diritto alla rieducazione e ad un trattamento penitenziario conseguente.
(5-07932)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS il 9 luglio 2012, un detenuto 30enne di origine bosniaca si è suicidato, intorno alle 5 del mattino, impiccandosi nella sua cella del carcere di Vibo Valentia;
          l'uomo, che solo poco tempo fa aveva tentato l'evasione dalla casa di reclusione di Rossano, doveva scontare 13 anni per reati contro la persona e il patrimonio. Dopo essersi legato attorno al collo un nodo scorsoio ricavato con le lenzuola in dotazione e averne legato l'estremità all'inferriata della finestra, pare si sia lanciato dal termosifone per imprimere maggiore slancio e forza alla stretta. A nulla sono valsi i soccorsi immediati della polizia penitenziaria e del personale medico del carcere;
          sulla vicenda Gennarino De Fazio, della direzione nazionale della Uil Pa penitenziari, ha dichiarato: «Ho ormai perso il conto del numero di suicidi che continuano spaventosamente a perpetrarsi nelle carceri e che fanno assumere al dato i connotati di un bollettino di guerra. Fra sovrappopolamento, ristrettezze economiche, spending review a senso unico e depauperamento degli organici, l'utenza e gli operatori sono coloro che ci rimettono, mentre al centro si continua a teorizzare e a sperperare. Solo di qualche giorno addietro infatti la notizia che la Calabria dopo il provveditore “part-time” da condividere ora con questa ora con quell'altra regione da più di due anni, dovrà riscoprire anche i direttori a servizio ridottissimo. Dunque mentre a Roma si teorizzano la vigilanza dinamica e i nuovi circuiti penitenziari, in Calabria la Polizia penitenziaria, sempre più abbandonata a sé stessa, ricorre all'ormai sperimentatissima arte dell'arrangiarsi chiedendosi di nuovo se e come si riuscirà a superare l'estate, ma, soprattutto, quante vite dovranno ancora spegnersi prima che si accenda un faro efficace sull'universo»  –:
          se il Governo non intenda urgentemente assumere le iniziative di competenza per supportare e sostenere concretamente, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, l'individuazione delle eventuali responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare nella morte del detenuto in questione;      
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Vibo Valentia;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          se il Ministro non ritenga opportuno intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di avviare un'indagine ministeriale per conoscere la reale situazione del penitenziario calabrese e comprendere a fondo le condizioni di vita dei detenuti e quelle di lavoro degli operatori penitenziari. (5-07933)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS il 9 luglio 2012, il direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Giovanni Tamburino, ha dichiarato, in occasione della visita del Ministro interrogato al carcere genovese di Marassi, che sarà subito riattivata l'unità monitoraggio dei suicidi (UMES) che era stata costituita nel 2000 dando inizio, tra pochi giorni, a una verifica caso per caso  –:
          da chi sia composto e quali siano i compiti dell'UMES (unità monitoraggio eventi di suicidio) e di quali collaborazioni si avvalga;
          quali siano stati i risultati conseguiti dalla predetta unità di monitoraggio durante il periodo in cui la stessa è rimasta operativa;
          se e quali proposte di intervento siano state formulate in passato dal predetto organismo;
          quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare modo all'UMES di conseguire gli obiettivi per i quali è stata riattivata;
          più in generale, quali provvedimenti intenda adottare al fine di scongiurare il ripetersi di atti di autolesionismo, suicidio e tentato suicidio tra i detenuti, e quali atti concreti intenda urgentemente compiere allo scopo di dare sostegno e sollievo alle persone recluse, soprattutto in questo periodo estivo, in cui il sovraffollamento e il caldo aumentano i rischi di depressione alimentando il ripetersi di eventi tragici all'interno delle strutture penitenziarie, ciò in attesa di provvedimenti legislativi capaci di dare risposte certe e definitive ai problemi delle carceri italiane, a partire da quelli di amnistia e di indulto. (5-07934)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del primo settembre 2011, all'interno del carcere di Campobasso i detenuti hanno intrapreso una nuova protesta battendo nuovamente le forchette sulle finestre del carcere e facendo sentire la propria voce sul sovraffollamento delle celle e sulle condizioni igienico sanitarie carenti;
          i detenuti hanno ribadito che le proteste si ripeteranno anche nei prossimi giorni, almeno fino a quando la situazione non dovesse migliorare  –:
          quali dati aggiornati siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione riscontrata presso il carcere di Campobasso, con particolare riguardo al numero di detenuti effettivamente presenti nella struttura e al tasso di sovraffollamento in essa riscontrato, nonché al numero degli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio;
          quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori del carcere di Campobasso;
          in particolare, entro quali tempi preveda che l'istituto possa rientrare nella dimensione regolamentare dei posti previsti. (5-07936)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un articolo pubblicato su Repubblica.it il 3 settembre 2011, nel carcere di Caltanissetta è morto un detenuto 35enne al quale era stata diagnosticata la meningite virale e che per questo motivo era stato ricoverato d'urgenza presso l'ospedale cittadino;
          la vicenda è stata resa nota dal vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra, che ha scritto una lettera all'amministrazione penitenziaria, in cui si esprime «preoccupazione» per il personale che, «visti i tempi di incubazione del virus (otto giorni), potrebbe essere stato contagiato»;
          il sindacato della polizia penitenziaria ha rivolto un accorato appello alla direzione della casa circondariale di Caltanissetta affinché la stessa «adotti tutte le misure necessarie al fine di evitare il propagarsi dell'infezione, scongiurando la possibilità, dato che la malattia si trasmette per via aerea, che venga esportata anche fra le famiglie del personale»;
          al momento a tutto il personale penitenziario risulta essere stata prescritta una terapia preventiva mentre nessuna notizia trapela su quanto sia stato eventualmente disposto per i detenuti e i loro familiari incontrati nei colloqui  –:
          quali notizie i Ministri interrogati abbiano raccolto su come il detenuto si sia ammalato e su come e in che tempi si sia tentato di salvarlo;
          quali notizie i Ministri interrogati siano in grado di fornire sull'effettiva consistenza o assenza di un pericolo di epidemia di meningite all'interno del carcere di Caltanissetta;
          se e quali iniziative intendano assumere, al fine di prevenire la diffusione della malattia tra gli altri detenuti e i loro familiari incontrati ai colloqui, tra il personale penitenziario e i loro familiari e se non ritengano opportuno disporre una campagna d'informazione e sensibilizzazione all'interno della struttura penitenziaria in questione, al fine di rendere possibile la tempestiva individuazione di eventuali ulteriori casi di malattia e il tempestivo intervento delle strutture mediche preposte. (5-07937)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 30 agosto 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Modica (Rg), accompagnata da Antonello Buscema, sindaco di Modica, e da Gianmarco Ciccarelli, segretario dell'associazione Radicali Catania;
          la delegazione è stata ricevuta e accompagnata nel corso della visita da Giovanna Maltese, direttrice della casa circondariale, e dal commissario Maiorana, comandante di Polizia penitenziaria;
          il carcere è ubicato nell'ex convento di Santa Maria del Gesù (XV secolo), a Modica Alta; l'ex convento è sede carceraria dal 1865;
          l'istituto è sovraffollato: a fronte di una capienza regolamentare di 36 posti, le persone recluse sono 64, tutti detenuti comuni di sesso maschile; i detenuti stranieri sono 33 (circa il 50 per cento della popolazione detenuta); scontano una condanna definitiva 16 detenuti, mentre 48 sono in attesa di giudizio (41 imputati, 5 appellanti, 2 ricorrenti);
          «i detenuti in questo carcere ce li mandano da Napoli, da Milano...», racconta la direttrice, «una settimana fa i detenuti erano 70; quando ci sono sbarchi di immigrati, i presunti scafisti li portano qua»;
          gli agenti di Polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 39 (la pianta organica ne prevede 42);
          la dimensione piccola dell'istituto e la professionalità della direttrice, del comandante di Polizia penitenziaria e del personale in servizio compensano, almeno in parte, criticità e problemi legati in primo luogo al sovraffollamento e alle inadeguatezze strutturali; «in questo carcere – afferma la direttrice – si respira un'aria serena»;
          la direttrice riferisce sulla realizzazione delle docce all'interno delle celle, ad opera dei detenuti, nell'ambito del progetto «manutenzione edificio»; altri progetti attivi, finanziati dal Fondo sociale europeo, riguardano le pulizie e la cucina; «abbiamo liberato le docce comuni: lì faremo una minipalestra; sono inoltre attivi corsi di alfabetizzazione, informatica, teatroterapia», spiega la direttrice; che aggiunge: «fino all'anno scorso era operativo il Cefop, con una banca dati sul lavoro per mettere in relazione i detenuti e le imprese; ma purtroppo quest'anno non è stato finanziato»;
          nel carcere di Modica non è presente un'area verde attrezzata per lo svolgimento dei colloqui con i familiari minorenni: «non c’è lo spazio», afferma la direttrice; «abbiamo però un'associazione che fa la clownterapia: intrattiene i bimbi in attesa del colloquio, è un progetto finanziato dalla provincia»; la piccola sala colloqui, inoltre, è allestita con quadri per i bambini;
          gli ambienti detentivi si articolano in due sezioni: la seconda e la terza; ai detenuti sono consentite 4 ore d'aria al giorno, dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 13.00 alle 15.00;
          le celle hanno una zona giorno e una zona notte, generalmente con 2 letti a castello a tre piani, e ospitano da 3 a 6 detenuti; alle finestre delle celle sono applicate reti a maglia stretta; le condizioni igieniche sono buone;
          A.M. un detenuto nato a Sfax (Tunisia), segnala che vorrebbe scontare la pena nel suo Paese;
          nella seconda sezione sono ubicate la sala del barbiere e la cucina;
          il passeggio dove i detenuti si recano durante le ore d'aria è in comune per le due sezioni; presenta una rete di sicurezza anche nella parte superiore ed è dotato di pavimentazione «antitrauma»; a disposizione dei detenuti, un calcetto balilla e un tavolo da ping pong;
          incontriamo nel passeggio alcuni detenuti napoletani che vorrebbero tornare in istituti della Campania per stare più vicini alle famiglie: «mi hanno mandato qua da Poggioreale per sfollamento, sto a 1000 chilometri dalla famiglia»; «anche se a Modica si sta bene, preferiremmo tornare a Poggioreale»;
          nella terza sezione è presente una sala polivalente (scuola, proiezioni, musicoterapia, biblioteca); in questa stanza i detenuti musulmani possono riunirsi per pregare; da qui si accede a una cappella in cui sono presenti mosaici realizzati dai detenuti; nell'aula corsi sono esposti i risultati del découpage: «pensiamo di fare un mercatino per natale», dice la direttrice; è attiva anche una sala informatica;
          l'infermeria è in buone condizioni e c’è anche un gabinetto odontoiatrico; l'assistenza sanitaria è garantita da 11 ore al giorno di presenza medica e da 15 ore al giorno di presenza infermieristica; i medici del Sert, secondo quanto riferito, sono disponibili e presenti all'interno dell'istituto per 25 ore mensili, una volta alla settimana; i detenuti tossicodipendenti sono 28, «perlopiù locali», informa la direttrice; un detenuto è affetto da epatite C e uno è affetto da patologie di tipo psichiatrico;
          all'interno del carcere sono in servizio un educatore e uno psicologo;
          10 detenuti lavorano alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, 11 nell'ambito della «work experience» finanziata con i fondi europei; in totale i detenuti che lavorano sono 22, circa il 30 per cento della popolazione detenuta;
          la cella n.  6, terza sezione, ospita 6 detenuti: 4 catanesi, un modicano, e un napoletano; «il vitto è buono, per la qualità del cibo non ci possiamo lamentare», affermano i detenuti; «questo carcere rispetto a Piazza Lanza è un paradiso», afferma un detenuto di Catania; il detenuto di Napoli racconta di avere una figlia di 7 mesi e la madre gravemente malata: «e io sono lontano da loro», dice commosso; alcuni dicono «purtroppo Radio Radicale qua non si sente bene»;
          contigui all'istituto di pena, il chiostro in stile tardo gotico, recentemente restaurato dalla Soprintendenza e riaperto al pubblico, e la chiesa con affreschi, luoghi di valore storico e grande pregio architettonico; anche per restituire l'intero complesso alla piena fruizione dei cittadini, il sindaco Buscema suggerisce la costruzione di un nuovo carcere in un'area più idonea, «già individuata dal comune»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
          se, e in che modo, intenda intervenire per fronteggiare il sovraffollamento della casa circondariale di Modica e, a tal fine, quali iniziative intenda assumere per far rientrare l'istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti;
          se, ed in che modo, si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione;
          se, e in che modo, intenda intervenire per far sì che siano rimosse le reti a maglia stretta applicate alle finestre delle celle;
          in che modo intenda operare per ripristinare il principio della territorializzazione dell'esecuzione della pena, evitando i costosissimi sfollamenti dalle carceri di altre regioni, atteso che anche la casa circondariale di Modica è sovraffollata e che la lontananza dal domicilio spesso è motivo di sofferenza per le persone ristrette e per i loro familiari, anche minorenni. (5-07938)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          Ismail Ltaief è stato ristretto per alcuni mesi (fino a giugno 2010) all'interno della casa circondariale di Velletri (RM);
          nel corso della detenzione all'interno del predetto istituto di pena, il detenuto è stato assegnato come lavorante presso il servizio cucina;
          nello svolgimento di questa sua mansione, il signor Ltaief poteva riscontrare che alcuni agenti di polizia penitenziaria, insieme ai detenuti lavoranti, si appropriavano, illecitamente, di numerosi generi alimentari destinati ai reclusi;
          per questi motivi, avendo il detenuto manifestato l'intenzione di denunciare i responsabili per il delitto di peculato, veniva gravemente minacciato e intimidito da Pirolozzi Antonio e Bussoletti Mauro, entrambi assistenti capo del corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la menzionata casa circondariale;
          a seguito di formale denuncia presentata presso le competenti autorità, il signor Ltaief veniva prelevato dalla sua cella di notte e brutalmente picchiato con un tubo flessibile di plastica e con calci e pugni da Roberto Pagani, Giampiero Cresce e Carmine Fieramosca, pestaggio avvenuto all'interno della stanza dello stesso Roberto Pagani che al momento dei fatti ricopriva il ruolo di ispettore capo del Corpo della polizia penitenziaria;
          a seguito del violento pestaggio il signor Ltaief riportava lesioni personali consistite in «frattura apofisi traversa ds di L1, ecchimosi al dorso e in regione lombare, contusione costale sx», guaribili in trenta giorni e poi protrattesi oltre i giorni 40;
          grazie alla denuncia presentata dal signor Ltaief, la procura della Repubblica di Velletri, nella persona del procuratore capo, dottor Silverio Piro e del sostituto procuratore, dottor Carlo Morra, apriva due procedimenti a carico del personale della polizia penitenziaria assegnato presso il carcere di Velletri, uno per il delitto di peculato e l'altro per i delitti di violenza privata, intralcio alla giustizia e lesioni gravissime;
          il procedimento penale per il delitto di peculato è tuttora in fase di indagini preliminari, mentre in relazione al procedimento penale ad oggetto i reati di violenza privata aggravata, intralcio alla giustizia aggravato e lesioni personali gravi aggravate commessi in danno del signor Ismail Ltaief, i magistrati inquirenti hanno chiesto e ottenuto l'emissione di misure cautelari nei confronti dei cinque agenti di polizia penitenziaria (tre di loro si trovano attualmente agli arresti domiciliari, mentre per altri due è stato disposto l'obbligo di dimora);
          con riferimento al procedimento penale ad oggetto i reati di violenza privata aggravata, intralcio alla giustizia aggravato e lesioni personali gravi aggravate commessi in danno del signor Ismail Ltaief, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Velletri, dottoressa Alessandra Ilari, su esplicita richiesta della pubblica accusa, ha disposto il giudizio immediato nei confronti di tutti e cinque gli imputati;
          la prima udienza del processo si è tenuta presso il tribunale monocratico di Velletri, giudice dottoressa Calvanese, il giorno 14 luglio 2011. Nell'occasione il signor Ltaief, assistito dall'avvocato Alessandro Gerardi, si è costituito parte civile, essendo intenzionato a chiedere la punizioni dei colpevoli e il risarcimento di tutti i danni patiti;
          della vicenda si sono occupati molti quotidiani tra i quali Il Messaggero, con un articolo del 12 febbraio 2011 («Detenuto vede agenti che rubano, loro lo pestano per farlo tacere»). Il Riformista del 14 luglio 2011 («Il detenuto Ismail denuncia: minacce e botte dalle guardie»), l'Opinione del 14 luglio 2011 («Ex cuoco del carcere pestato per aver parlato»), nonché l'agenzia di stampa ANSA sempre del 14 luglio 2011  –:
          quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione all'accaduto e se non si ritenga necessario far immediatamente chiarezza sull'intera vicenda, sia quella relativa alla sottrazione di cibo destinato ai detenuti, sia quella ad oggetto il violento pestaggio al quale è stato sottoposto il detenuto Ismail Ltaief, tutti comportamenti gravissimi di cui sono accusati agenti di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Velletri;
          se e quali misure si intendano prendere per evitare, in futuro, il verificarsi di episodi analoghi all'interno dell'istituto penitenziario veliterno. (5-07939)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato lo scorso 9 agosto dall'agenzia di stampa ADNKRONOS, nella casa circondariale Lo Russo Cutugno di Torino mancherebbe l'acqua calda per le esigenze del personale di Polizia penitenziaria;
          sulla incredibile quanto grave vicenda Leo Beneduci, segretario generale dell'Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha rilasciato la seguente dichiarazione: «In base alle informazioni in nostro possesso vi sarebbe l'esigenza di lavori di ripristino di non eccessiva difficoltà e persino gratuiti ma per il problema dell'acqua calda del personale, è proprio il caso di dirlo, la direzione non fa un tubo. Dopo il ripetersi di troppe e ripetute aggressioni purtroppo analoghe per modalità ed esecutori, quella dell'acqua calda al carcere di Torino più che una scoperta risulta essere l'ennesima ingiustizia perpetrata nei confronti di un personale che, in assoluta povertà di mezzi e di considerazione, continua a svolgere con abnegazione e sacrificio il proprio difficile lavoro in favore della collettività»  –:
          se questo stato di cose corrisponda alle informazioni in possesso del Ministero;
          se non intenda disporre l'immediato avvio dei lavori di ripristino in grado di consentire l'erogazione dell'acqua calda al personale di Polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale Lo Russo Cutugno di Torino. (5-07940)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa ANSA lo scorso 13 agosto, nel carcere minorile Fornelli di Bari sarebbe scoppiata una rissa tra due gruppi di detenuti contrapposti, uno barese e l'altro foggiano, che avrebbe provocato alcuni feriti poi medicati in ospedale e, quindi, riportati in carcere;
          la rissa ha avuto uno strascico il giorno seguente, quando i due gruppi rivali hanno messo a soqquadro alcune celle, barricandone gli ingressi. Per la seconda volta in poche ore gli agenti di polizia penitenziaria sono intervenuti riportando la calma; è stato chiesto l'ausilio dall'esterno di altre forze dell'ordine, ma il loro intervento non è stato necessario;
          nell'istituto per minorenni di Bari sono presenti in prevalenza due schieramenti di detenuti, foggiani e baresi, i quali nutrirebbero a vicenda da anni forti rancori;
          per il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) la situazione nella struttura barese, unica del genere in Puglia, sarebbe insostenibile, posto che al suo interno vi sarebbero circa trenta giovani reclusi, mentre gli agenti di polizia penitenziaria non sarebbero più di venti;
          a fronte di questa situazione di estrema criticità, il centro di prima accoglienza di Taranto, sebbene senza detenuti, continua a rimanere aperto, con un inutile dispendio di uomini e mezzi  –:
          se non intenda spostare con urgenza uomini e risorse dal centro di prima accoglienza di Taranto all'istituto Fornelli di Bari, ciò anche alla luce della gravissima situazione di tensione che si vive all'interno della predetta struttura minorile. (5-07941)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un lancio di agenzia AGI del 16 agosto 2011, una giovane nigeriana, Kate Omoregbe, detenuta nel carcere di Castrovillari, da dove uscirà tra meno di un mese, nella prima decade di settembre, dopo aver scontato una condanna a quattro anni, ha chiesto ufficialmente asilo politico in Italia;
          la giovane immigrata chiede di poter restare in Italia, dove si trova da dieci anni, con regolare permesso di soggiorno, e di non essere espulsa per evitare, nel suo Paese, la lapidazione per il suo rifiuto (per questo è stata anche ripudiata dalla sua famiglia) di sposare una persona molto più grande di lei e di non volersi convertire dal cristianesimo alla religione musulmana;
          la richiesta di asilo, sottoscritta dalla ragazza è stata trasmessa dalla direzione del carcere di Castrovillari alla competente questura di Cosenza  –:
          verificata la vicenda, che cosa intenda fare il Governo per impedire il rimpatrio di Kate Omoregbe e tutelare così il suo elementare diritto alla vita evitando che l'Italia si renda compartecipe di un atto di disumana violenza. (5-07942)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 24-25-26 giugno 2011, i detenuti e gli ergastolani del carcere di Spoleto, hanno aderito a tre giorni di sciopero della fame per manifestare la loro solidarietà alla lotta nonviolenta di Marco Pannella e dei Radicali volta a denunciare le condizioni disumane e fuorilegge dei nostri istituti di pena e, quindi, ad ottenere un provvedimento di amnistia e di indulto;
          in particolare, aderendo allo sciopero della fame, i condannati all'ergastolo del carcere di Spoleto hanno chiesto alle istituzioni, tra l'altro, la dovuta attenzione sul tema del «fine pena: mai»; tema che solleva la più ampia questione dell'inattualità del codice Rocco e della dubbia compatibilità di molte delle sue norme con la realtà odierna, oltre che con i princìpi costituzionali e il diritto internazionale e comunitario;
          già nel mese di marzo 2007, circa 700 detenuti, condannati all'ergastolo, avevano inviato al Presidente della Repubblica delle richieste di conversione dell'ergastolo in pena di morte, dichiarando espressamente di essere stanchi di «morire un pochino tutti i giorni» e di desiderare quindi di «morire una volta sola»;
          si tratta di iniziative spontanee, realizzate, non senza difficoltà, dagli ergastolani, che, per quanto ovviamente provocatorie, rivelano tutta la tragicità e la paradossalità della condizione di chi sa che passerà il resto dei propri giorni in carcere, senza poter ravvisare, in quel «fine pena: mai», la finalità rieducativa che, sola, legittima la pena, ai sensi dell'articolo 27 della Costituzione;
          nonostante la giurisprudenza costituzionale abbia sancito la possibilità di concedere anche agli ergastolani i benefici della liberazione condizionale e della liberazione anticipata, quando abbiano dato prova di un avvenuto ravvedimento o di un attivo interesse al percorso di risocializzazione, tuttavia la realtà del carcere dimostra come le ipotesi di concessione di questi benefici siano alquanto rare, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, ribadendosi come l'ergastolo sia e resti una pena perpetua, secondo gli interroganti in violazione del principio di cui all'articolo 27 della Costituzione;
          l'articolo 27, comma 3, della Costituzione prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato;
          il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977, dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950, dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della Raccomandazione (2006) 2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall'articolo 1, commi 1 e 6, della legge 26 luglio 1975, n.  354, che prescrive che «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona», dovendo altresì essere attuato «secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione;
          quali urgenti provvedimenti e iniziative di competenza intenda adottare, al fine di rispondere alla manifestazione di protesta e disagio attuata dai condannati alla pena perpetua affinché la questione della discussione circa il superamento dell'ergastolo sia affrontata con tutta la serietà, l'urgenza e l'attenzione che merita. (5-07943)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel processo penale, attualmente, non esiste un'adeguata regolamentazione delle spese del procedimento;
          in caso di sentenza penale di condanna, i costi di giustizia gravano sull'intera collettività, anziché su chi ha commesso il reato;
          allo stesso tempo, chi viene assolto non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per pagare il proprio avvocato;
          la grande e piccola criminalità costringono lo Stato a sostenere spese per l'impiego di magistrati, di personale di segreteria, del pubblico ministero, degli ufficiali giudiziari, e così via, senza che alla condanna penale sia affiancata una condanna al rimborso di tutti i costi del processo;
          invece, il cittadino innocente risulta penalizzato per aver dovuto sostenere spese che andrebbero poste a carico della parte che lo ha ingiustamente denunciato, oppure dallo Stato che ha attivato d'ufficio un'azione penale infondata  –:
          se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non intenda promuovere una diversa regolamentazione delle spese dei procedimenti penali. (5-07944)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato l'8 agosto dal quotidiano La Gazzetta del Sud, Francesco Cino, 67enne, detenuto da qualche giorno presso il carcere di Catanzaro dopo l'intervento chirurgico per l'asportazione d'un carcinoma, si è impiccato nella sua cella;
          negli ultimi tempi l'uomo aveva più volte espresso, alla moglie, al figlio, ai suoi legali, il desiderio di togliersi la vita. Al medico che lo aveva operato disse: «Dottore, la prego, mi faccia morire...»; tempo fa il detenuto confessò d'essersi bevuto una intera bottiglietta di colla vinilica senza tuttavia aver subito alcuna conseguenza. Intenzioni suicidarie che avevano spinto i difensori a vergare in fretta una richiesta al giudice per le indagini preliminari di Cosenza per sottoporre Cino a una perizia psichiatrica. Lo scopo era quello di valutare le condizioni psichiche dell'uomo e la sua compatibilità col regime carcerario. Il giudice aveva autorizzato la visita specialistica che, probabilmente, avrebbe dovuto svolgersi stamattina nell'infermeria del carcere catanzarese. Ma il sessantasettenne detenuto è stato più lesto;
          gli avvocati Ubaldo e Marlon Lepera hanno già preannunciato un esposto per fare piena luce sulla vicenda. L'iniziativa dei legali è finalizzata a verificare se c’è stata una flessione nel livello di sorveglianza dal momento che Cino aveva più volte esternato quella sua insana voglia d'ammazzarsi  –:
          se intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Catanzaro siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e quindi se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto;
          quanti siano gli psicologi in servizio effettivo presso la struttura penitenziaria in questione;
          se il detenuto fosse stato visitato da uno psicologo dopo aver espresso più volte l'intenzione di togliersi la vita;
          se non si intenda adottare o implementare le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio.
(5-07945)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 10 agosto 2011 sito on-line Iltaccoditalia.info è apparso un articolo di Andrea Gabellone intitolato: «Sappe; proteste dei detenuti arrestati dopo i disordini nel Centro per immigrati»;
          dalla lettura dell'articolo si apprende che le proteste degli immigrati arrestati dopo i disordini nel Centro per immigrati si sono sommate alle condizioni già oltre il limite del carcere barese; tant’è che lo scorso 8 agosto 20 profughi, arrestati proprio per gli incidenti alla periferia del capoluogo pugliese, hanno deciso di opporsi al rientro in cella dopo l'ora d'aria, il che ha comportato grandi problemi per il personale della polizia penitenziaria, che ha impiegato più di due ore per far rientrare la contestazione;
          il carcere barese è proporzionalmente il più affollato d'Italia, con oltre 530 detenuti a fronte di circa 200 posti disponibili;
          il segretario nazionale del Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Federico Pilagatti ha dichiarato, a proposito della casa circondariale di Bari: «Ci sono stanze al primo piano della IIIo sezione con detenuti che dormono per terra, senza che possano nemmeno stare in piedi tutti insieme. Purtroppo a fronte dell'inferno che si vive giornalmente all'interno del carcere di Corso de Gasperi, si registrano solo sterili discussioni sul nuovo carcere che vanno avanti da anni e che servono solo a conquistare spazi sui mass media. Se solo si fosse voluto un nuovo penitenziario, la città di Bari lo avrebbe potuto avere oltre dieci anni fa a costo zero per le casse dello Stato. Infatti una cordata di costruttori diede la propria disponibilità a costruire un nuovo carcere in periferia ricevendo in cambio i terreni su cui sorge la struttura penitenziaria, che sarebbero stati utilizzati per tutta una serie di iniziative commerciali»  –:
          quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo per intervenire rispetto al grave problema del sovraffollamento del carcere di Bari, riportando le presenze dei detenuti nei limiti imposti dalla capienza regolamentare;
          se – anche alla luce dei detenuti arrestati dopo i disordini nel Centro per immigrati e trasferiti presso la struttura penitenziaria barese – intenda da subito restituire un minimo di spazio vitale a tutte quelle persone ivi recluse che sono costrette a vivere in celle dove lo spazio a disposizione di ciascuna persona è addirittura al di sotto dei 3 metri quadrati al punto che alcuni detenuti sono costretti a dormire per terra senza poter nemmeno stare in piedi tutti insieme. (5-07947)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          su Il Velino del 10 agosto 2011 è apparso un appello rivolto «alle autorità preposte» dal leader del Movimento diritti civili, Franco Corbelli, in favore di un detenuto calabrese, A.P., recluso nel carcere di Cosenza, gravemente malato dopo una paralisi;
          lo stesso detenuto ha chiesto in una lettera di essere curato prima che sia troppo tardi, descrivendo il suo dramma, la sua sofferenza, la grande ingiustizia che sta subendo;
          l'uomo, durante la detenzione, è stato colpito da una paralisi e da due anni sta soffrendo di un dolore costante e atroce. A causa della sua malattia è stato anche portato nel carcere di Vibo Valentia, ma i medici gli hanno detto che oramai è troppo tardi per curare il tipo di patologia dalla quale è affetto;
          Franco Corbelli, nel suo appello, parla di «fatto grave, indegno di un Paese civile e di uno Stato di diritto» e chiede «per questo detenuto un atto di giustizia giusta e umana, la possibilità di poter tentare di curare in una struttura ospedaliera adeguata questo recluso gravemente malato che rischia di morire. Una Nazione civile ha il dovere di accogliere questa richiesta. Non conosco questo detenuto, ma di fronte al dramma umano, alla ingiustizia, alla indicibile sofferenza, alla disumanità di un uomo, gravemente malato e sofferente, abbandonato e condannato a morire in carcere, ho il dovere civile e morale di intervenire, di chiedere giustizia per questa persona»  –:
          se questo stato di cose corrisponda alle informazioni in possesso dei Ministri interrogati;
          se e come intendano procedere, negli ambiti di rispettiva competenza, perché siano fornite al detenuto le cure adeguate nel rispetto del suo stato di salute come diritto costituzionalmente garantito, posto che, ad avviso degli interroganti quanto descritto in premessa non appare compatibile con gli standard minimi di condizioni vivibili di detenzione. (5-07948)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 10 agosto è apparso un articolo sul quotidiano La Sicilia nel quale viene descritta la situazione incandescente che sta attraversando il carcere di contrada Petrusa di Agrigento a seguito dell'elevato numero di immigrati extracomunitari di origine tunisina arrestati dopo essere sbarcati sulle coste di Lampedusa;
          ad entrare nel penitenziario al confine tra Agrigento e Favara non sono ovviamente tutti coloro che approdano a Lampedusa e poi transitano da Porto Empedocle: in carcere finiscono coloro i quali vengono prima indicati e poi identificati come scafisti delle carrette del mare. Per tutti il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina è punito con la reclusione, sicché coloro i quali vengono condannati, in quanto ritenuti responsabili del reato in questione, vengono chiusi nelle celle del carcere agrigentino;
          in ciascuna cella della struttura penitenziaria siciliana convivono da mesi e anni anche 4 detenuti, in condizioni ai limiti della tollerabilità umana, soprattutto quando una simile situazione si perpetua nel periodo estivo e la situazione, anche dal punto di vista igienico-sanitario, diventa devastante;
          secondo le previsioni, continuando con questo ritmo di nuovi arrivi in massa, a fronte di un numero minore di scarcerazioni, c’è la quasi certezza che entro qualche giorno al Petrusa si possa sfondare lo storico muro delle 500 persone detenute, quota mai raggiunta in un penitenziario che venne inaugurato nel 1997 per accogliere al massimo 200 detenuti;
          il piano carceri prevede la realizzazione di un nuovo padiglione all'interno della struttura penitenziaria in questione, consentendo così l'innalzamento della capienza del carcere agrigentino a circa mille persone. I lavori, già iniziati da tempo, procedono molto a rilento e, come denunciato dalle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria, molto probabilmente non saranno terminati entro il termine previsto e stabilito nel progetto originario  –:
          quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, con urgenza, per garantire normali condizioni di vita ai detenuti ed agli operatori dell'istituto di pena siciliano conformemente a quanto stabilito dalle norme costituzionali e dell'ordinamento penitenziario;
          cosa impedisca il completamento dei lavori volti alla costruzione di un nuovo padiglione che potrebbe immediatamente consentire il trasferimento dei detenuti evitando loro di vivere nel degrado dei luoghi che oggi li ospitano, che, per la situazione di sovraffollamento, stanno infliggendo a persone già private della libertà una pena aggiuntiva inutile e offensiva della dignità umana. (5-07949)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal sito online ilpiacenza.it del primo agosto 2011, una donna detenuta nel carcere di Novate per omicidio avrebbe tentato di togliersi la vita, annodandosi un lenzuolo intorno al collo ed è stata salvata dagli agenti di polizia penitenziaria;
          sulla vicenda Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, ha dichiarato: «Dopo essersi annodato il cappio intorno al collo, la donna si è lanciata nel vuoto. Solo grazie all'immediato intervento dell'agente di polizia penitenziaria in servizio nella sezione femminile è stata evitata un'altra tragedia: l'agente, è entrata nella stanza ed ha sollevato il corpo sulle sue spalle e poi, aiutata da un'altra detenuta, ha snodato il cappio e tratto in salvo la donna. Gli eventi critici nelle 206 carceri italiane si susseguono al ritmo di oltre 200 al giorno, il che rende ancora più difficile la gestione delle carceri, resa già drammatica dal sovraffollamento e dalla carenza di personale. In Italia ci sono 25.000 detenuti in più rispetto ai posti previsti e mancano 6.500 agenti. In Emilia Romagna mancano 650 agenti e ci sono 2.000 detenuti in più. A Piacenza bisognerebbe incrementare l'organico di almeno 30 agenti»  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
          se non si intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti della donna che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti della donna dopo questo episodio;
          se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
          più in particolare, quali iniziative, anche normative, si intendano assumere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora;
          se non si ritenga necessario adottare misure urgenti volte ad incrementare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria e a rimuovere il grave sovraffollamento del carcere Novate di Piacenza, in modo da garantire l'esistenza di condizioni minime di vivibilità della struttura, il rispetto pieno degli standard di sicurezza e funzionalità e l'adeguatezza della stessa alle proprie finalità costituzionali. (5-07950)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un'agenzia AGI diramata il 4 agosto 2011, nel carcere di Capanne (Perugia) un tunisino di 24 anni sarebbe stato ricoverato il 3 agosto all'ospedale Santa Maria della Misericordia del capoluogo umbro dopo aver ingerito delle lamette da barba;
          le condizioni dello straniero, attualmente ricoverato nei reparto di gastroenterologia, non sarebbero gravi e già nei prossimi giorni potrebbe essere dimesso per fare rientro in carcere;
          nella notte tra martedì 2 e mercoledì 3 agosto, sempre nel carcere perugino di Capanne, un detenuto di 36 anni, originario di Rieti, aveva tentato il suicidio inalando il gas di una bomboletta  –:
          di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
          per quali reati il detenuto che ha tentato il suicidio si trovasse in carcere, se fosse in attesa di giudizio o condannato in via definitiva e da quanto tempo fosse detenuto;
          se, prima di questo gesto, risultasse essere seguito da uno psicologo;
          quanti siano attualmente i detenuti ristretti nel carcere di Capanne di Perugia e quanti siano gli psicologi effettivamente in servizio presso la predetta struttura penitenziaria;
          se consti che attualmente l'uomo benefici di un adeguato supporto psicoterapeutico;
          se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza al fine di verificare, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare in ordine al suicidio tentato dal detenuto di nazionalità tunisina;
          quanti tentativi di suicidio siano stati messi in atto dai detenuti dall'inizio dell'anno;
          se non si intenda immediatamente assumere iniziative volte a stanziare fondi per migliorare la vita degli agenti penitenziari e dei detenuti in modo che il carcere non sia solo un luogo di espiazione e di dannazione, ma diventi soprattutto un luogo, attraverso attività culturali, lavorative e sociali, in cui i detenuti possano avviare un percorso concreto per essere reinseriti a pieno titolo nella società.
       (5-07951)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un'agenzia ANSA diramata il 4 agosto 2011, nel carcere di Campobasso si sarebbero verificati due tentativi di suicidio nel giro di poche ore;
          il primo si è registrato il 3 agosto intorno alle 13 quando un detenuto italiano di 50 anni ha tentato di impiccarsi. Il secondo, nella serata del giorno successivo, ha visto protagonista un uomo di 30 anni che ha ingerito alcune lamette. In entrambi i casi il pronto intervento degli agenti della polizia penitenziaria ha evitato il peggio;
          su questi episodi il consigliere nazionale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe), Aldo Di Giacomo, ha dichiarato quanto segue: «Siamo di fronte a fatti che confermano il malessere che si registra nelle carceri italiane. Oggi siamo riusciti a salvare due vite, domani non si sa. A giorni 12 poliziotti verranno trasferiti in un'altra sede e in questa maniera il problema dell'esiguo numero di operatori di polizia penitenziaria si accentua ancora di più»  –:
          di quali informazioni disponga circa i fatti riferiti in premessa;
          per quali reati i detenuti che hanno tentato il suicidio si trovassero in carcere, se fossero in attesa di giudizio o condannati in via definitiva e da quanto tempo fossero detenuti;
          se, prima di questo gesto, i due detenuti risultassero essere seguiti da uno psicologo;
          quanti siano attualmente i detenuti ristretti nel carcere di Campobasso e quanti siano gli psicologi effettivamente in servizio presso la predetta struttura penitenziaria;
          se consti che attualmente i due uomini beneficiano di un adeguato supporto psicoterapeutico. (5-07952)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROSATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel febbraio 2003 il Ministero della giustizia ha bandito un concorso pubblico per esami per il conferimento di 271 posti di allievo vice ispettore di polizia penitenziaria;
          evasa una prima volta la procedura selettiva, l'amministrazione, per dare attuazione ad un provvedimento giurisdizionale amministrativo, ha provveduto a ripetere, nei 2006, la prova preselettiva, le visite mediche e le prove psicoattitudinali;
          la procedura si è arrestata dopo la prova scritta del 25 novembre 2009, alla quale hanno fatto seguito le prove orali iniziate l'8 novembre 2011 ma mai concluse;
          risulta all'interrogante che un candidato ha avanzato ricorso avverso il provvedimento di nomina del presidente della commissione del concorso per «presunta illegittimità poiché in quiescenza», e per tali ragioni il TAR dei Lazio ha emesso un'ordinanza sospensiva (la n.  2934 del 5 luglio 2012) successivamente confermata dal Consiglio di Stato (ordinanza n.  03338/2012);
          le prove orali, che sarebbero dovute concludersi il 19 giugno 2012, si sono fermate perché oggetto del contenzioso, lasciando nel limbo 326 partecipanti al concorso, che, di fatto, hanno iniziato questo percorso di selezione nove anni fa e non ne vedono ancora la fine;
          il protrarsi di questa situazione, com’è evidente, danneggia i candidati idonei e le loro famiglie che, non rinunciando a sperare in una positiva soluzione della vicenda, auspicano l'arruolamento nella polizia penitenziaria  –:
          se il Ministro interrogato possa relazionare sulla vicenda e aggiornare sul contenzioso avviato davanti al TAR del Lazio;
          quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di tutelare le legittime aspettative dei candidati del concorso e quali tempistiche sono previste per la soluzione della vicenda. (4-17664)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa lo scorso 11 settembre 2012 (ANSA) A.L., 46enne, assistente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Poggioreale, in malattia dal 10 marzo 2012, è morto dopo aver ingerito un micidiale mix di farmaci: era sparito dalla sua abitazione il giorno precedente;
          la notizia è stata resa nota da Donato Capece, segretario generale del Sappe, il quale ha dichiarato: «Quel che ci lascia perplessi è che l'Amministrazione Penitenziaria pensa di avere messo sul piatto soluzioni concrete al dramma del disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari, ma non è affatto così. L'incontro che si era tenuto a Roma lo scorso 31 luglio scorso su questo drammatico tema è stato deludente ed inconcludente. Il collega era scomparso da casa ed è stato trovato domenica nei pressi del cimitero di Alife. I casi di suicidi tra i baschi azzurri dovrebbero fare seriamente riflettere ed invece confermano come sono distanti i vertici del Dap dalla realtà delle carceri italiane. L'approccio al delicato e drammatico tema, la morte per suicidio di 7 poliziotti penitenziari negli ultimi 7 mesi (più di 100 i casi dall'anno 2000), non ha visto mettere in campo a nostro avviso efficaci azioni per contrastare il disagio lavorativo del personale di Polizia penitenziaria e contestualmente stimolarne la professionalità. Le uniche soluzioni proposte dal Dap Giovanni Tamburino sono state la realizzazione di una brochure da diffondere tra il Personale e la previsione di un numero verde di ascolto, da contattarsi in caso di necessità. Questo significa non affrontare il problema alla radice. Mancano concrete iniziative per garantire e favorire il benessere dei Baschi Azzurri. Le soluzioni proposte dal Dap servono solamente all'Amministrazione Penitenziaria per scaricarsi la coscienza su un tema tanto drammatico e delicato che avrebbe avuto necessità di ben altra sensibilità umana ed istituzionale  –:
          se il Ministro interrogato ritenga che possa esservi connessione diretta o indiretta tra questi tragici gesti e le condizioni ambientali e lavorative in cui si trovano costretti ad operare gli agenti di polizia penitenziaria;
          se non reputi di dover assumere iniziative al fine di valutare la reale e concreta entità del fenomeno dei suicidi tra i lavoratori appartenenti alla polizia penitenziaria prevedendo l'eventuale istituzione di un'apposita commissione;
          se non ritenga opportuno adottare immediati provvedimenti atti a scongiurare il ripetersi di simili tragedie anche raccomandando opportune misure di supporto psicologico. (4-17676)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa l'11 settembre 2012, il detenuto Daniele Ridolfi, 26enne, si è tolto la vita nel Carcere Opera di Milano lo scorso 2 settembre. L'uomo si è impiccato nella sua cella ed è morto venerdì 7 settembre in ospedale, dove era stato trasportato dopo l'accaduto;
          sono 112 i detenuti morti nei primi 9 mesi del 2012, di cui ben 40 sono stati i suicidi;
          Ridolfi si sarebbe impiccato con l'ausilio di una tenda che aveva attaccato alla sua finestra. L'oggetto in questione era vietato dal regolamento eppure si trovava nell'area dei detenuti protetti dove aveva la sua cella il 26enne;
          i genitori del detenuto morto suicida, che sarebbe uscito dal carcere il prossimo 26 dicembre, hanno autorizzato l'espianto degli organi  –:
          se e come il 2 settembre 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio dell'uomo non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
          se corrisponda al vero il fatto che al momento del suicidio l'uomo si trovasse nell'area dei detenuti protetti;
          se corrisponda al vero il fatto che l'uomo si sia impiccato con una tenda, e per quali motivi il detenuto disponeva di questo oggetto vietato dal regolamento;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Opera. (4-17677)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


      REGUZZONI e MONTAGNOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da notizie riportate dalla stampa si apprende quanto segue: «Il presidente dell'Enac Vito Riggio ha incontrato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Corrado Passera per parlare delle iniziative intraprese in tema di collegamenti in regime di oneri sociali con le isole minori della Sicilia, Lampedusa e Pantelleria, attualmente operate in proroga da Meridiana Fly fino al 27 ottobre di questo anno. Il presidente ha consegnato al ministro la documentazione relativa all'indagine informale condotta dall'Ente per la verifica dell'eventuale disponibilità di compagnie aeree ad operare questi collegamenti fino all'entrata in vigore del nuovo regime e per un'eventuale nuova proroga del servizio fino a maggio del 2013. La documentazione dovrà essere esaminata congiuntamente dal ministero, dalla Regione e dall'Enac al fine di valutare le proposte pervenute dai vettori interpellati e i relativi costi, per individuare la soluzione più idonea ad assicurare la continuità territoriale per i cittadini lampedusani e panteschi. Tale proroga secondo le risultanze della Conferenza dei servizi per i nuovi oneri svoltasi a inizio agosto, alla quale hanno partecipato anche il ministero e la Regione Siciliana, potrà essere decisa solo nel caso in cui il rischio di emergenza e il pericolo per l'ordine pubblico derivanti dall'assenza dei collegamenti tra le isole di Pantelleria e di Lampedusa e l'isola principale siano formalmente rappresentati dalle competenti autorità prefettizie  –:
          in cosa consista la documentazione cui la stampa faceva riferimento;
          quali risorse pubbliche siano attualmente impegnate per i collegamenti in argomento e quali potrebbero essere impegnate in futuro;
          quale sia l'orientamento del Governo sull'argomento e se tale orientamento sia compatibile con l'esigenza di rafforzare la concorrenza e liberalizzare il settore, effettuando risparmi sui fondi pubblici impegnati. (4-17679)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


      FAVIA, DI PIETRO e PALADINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          gli organi della stampa hanno riportato le dichiarazioni rilasciate dal Ministro interrogato esclusivamente a giornalisti, cui è immediatamente susseguita, per la prima volta nella storia della Repubblica, una riunione congiunta convocata dai sindacati della carriera prefettizia, della polizia di Stato e dei vigili del fuoco;
          le dichiarazioni del Ministro inerivano alla soppressione di un numero indefinito di prefetture, questure e comandi provinciali dei vigili del fuoco e, come riportate dai giornali, non facevano cenno alcuno ai criteri di razionalizzazione e, vieppiù, in ordine a tale decisione si sono dette all'oscuro le rappresentanze sindacali dei circa 200.000 lavoratori del Ministero dell'interno che ne sarebbero coinvolti;
          al Ministro interrogato è certamente nota la situazione drammatica in cui versano le forze dell'ordine, della sicurezza e della prevenzione, presidi sui quali si sono riversati continui tagli che già da diverso tempo ne minacciano l'operatività e la tempestività sui territori della nazione  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in ordine al futuro della sicurezza per il nostro territorio, per i cittadini e per coloro che vi prestano la loro opera, con quali strumenti intenda eventualmente darvi corso e con quali tempi intenda farne partecipi le rappresentanze sindacali. (5-07910)


      VANALLI e RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a seguito delle elezioni amministrative del 6/7 maggio 2012 e del turno di ballottaggio del 20/21 maggio 2012 svoltesi nel comune di Senago, il signor Riccardo Pase, Valerio Mantovani e Magda Beretta sono stati proclamati consiglieri del comune dall'ufficio centrale, come si evince dalla comunicazione del sindaco datata 23 maggio 2012, e come pubblicamente reso noto, a partire dal 25 maggio 2012, attraverso un manifesto esposto nell'albo pretorio comunale recante l'indicazione dei proclamati eletti alla carica di consigliere comunale, oltre che dal sito internet comunale;
          sulla base di quanto stabilito dal decreto-legge 18 agosto 2000, n.  267, articolo 38 comma 4, che recita testualmente «I consiglieri entrano in carica all'atto della proclamazione ovvero, in caso di surrogazione, non appena adottata dal consiglio la relativa deliberazione», il signor Riccardo Pase, Valerio Mantovani e Magda Beretta erano da ritenersi alla data del 31 maggio 2012 a tutti gli effetti consiglieri comunali;
          in data 31 maggio 2012 alle ore 10, presso il Comune di Senago, è stato tuttavia impedito loro di svolgere il proprio ruolo istituzionale;
          infatti alla richiesta di visionare alcuni decreti emanati dal sindaco nell'anno 2011, con l'obiettivo di svolgere nella maniera più attenta e adeguata il mandato conferitoci dai Cittadini mediante il voto, tale accesso è stato categoricamente negato;
          alla richiesta, avanzata al funzionario del settore affari generali, relativa alla visione dei documenti sopra menzionati, è stato risposto in un primo momento con una indicazione di riformulare l'istanza dopo la convalida della elezione nel consiglio comunale, e successivamente di tornare eventualmente in comune nel pomeriggio e avanzare la richiesta di accesso agli atti segretario comunale, al momento non presente in comune;
          a seguito di successiva sollecitazione e avendo più volte fatto presente che insistenza era giustificata dalla necessità di svolgere il ruolo, è stato chiesto loro di compilare una «scheda di accesso agli atti», successivamente depositata dallo stesso funzionario presso il protocollo generale e numerata come n.  0012826 del 31 maggio 2012: di tale documento, è stata fornita loro successivamente una fotocopia;
          chiedendo gli interessati ulteriori spiegazioni, anche ad altri dipendenti comunali, oltre ad affrontare una lunga attesa, è stato loro comunicato dal predetto funzionario che il ruolo di consiglieri comunali non sarebbe stato loro riconosciuto sino alla convalida della carica da formalizzarsi durante il primo consiglio comunale e che, di conseguenza, non sussisteva per i predetti consiglieri il diritto di visionare gli atti pubblici del comune di Senago;
          quanto accaduto è gravissimo: qualunque cittadino, infatti, ha diritto di accesso agli atti pubblici e tale diritto non gli può essere precluso a priori; è ancora più grave, se tale diritto viene precluso ai consiglieri comunali regolarmente eletti  –:
          se non intenda assumere iniziative normative per rafforzare i poteri di accesso agli atti dei consiglieri comunali ed evitare che si verifichino per il futuro casi analoghi a quello descritto in premessa.
(5-07911)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano «Il Manifesto» del 26 maggio 2011, è apparso un articolo sul Cie di palazzo San Gervasio in provincia di Potenza, a firma Stefano Liberti, dal titolo «Un carcere-voliera per i neo clandestini»;
          per le informazioni in esso contenute, l'interrogante ritiene di riportare integralmente il testo dell'articolo sopra-menzionato:
              «Settantotto tunisini sono rinchiusi nella struttura in attesa di rimpatrio. Sono arrivati in Italia dopo il 5 aprile, quando il Governo ha trasformato con un decreto i profughi in immigrati irregolari palazzo San Gervasio. Un centro di accoglienza trasformato in centro di espulsione. Il centro di reclusione crea un minimo indotto nel paese, dall'albergo pieno di carabinieri ai ristoratori che preparano i pasti alle ditte edili che fanno i lavori di ristrutturazione. Così nessuno protesta. A vederlo da fuori sembra una voliera: una grande rete alta diversi metri, inframmezzata da putrelle di ferro. Dietro al recinto però non ci sono uccelli, ma uomini: 78 tunisini, sistemati in una serie di tende blu con la scritta «ministero dell'interno». Non hanno contatti con l'esterno. Non hanno mai visto un avvocato. Non ricevono visite da associazioni. Il nuovo Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di palazzo San Gervasio è uno dei luoghi più chiusi d'Italia. Inaccessibile ai giornalisti, come tutti gli altri centri della penisola dopo la decisione presa d'imperio dal ministro degli interni Roberto Maroni il 1o aprile, svetta in mezzo a una pianura arsa dal sole. A un chilometro circa di distanza c’è il paese di Palazzo, fulcro nodale della raccolta di pomodori di queste zone. A poche centinaia di metri si passa in Puglia. Manduria è a 190 chilometri. Ma in termini di mobilitazione e di visibilità, la distanza si misura in anni luce. Quando, sull'onda degli arrivi a Lampedusa, il Governo ha cercato di riempire all'inverosimile la tendopoli del tarantino, la associazioni presenti sul territorio si sono ribellate. Il sindaco ha minacciato di dimettersi, seguito a ruota dal sottosegretario all'interno Alfredo Mantovano. Roma ha fatto una parziale marcia indietro e oggi il campo pugliese è usato come centro di smistamento per richiedenti asilo, dove gli immigrati rimangono al massimo 48-72 ore. Quando, con il decreto del 21 aprile, il Governo ha istituito il Cie in Basilicata, nessuno invece si è mosso. Non certamente il sindaco di Palazzo San Gervasio, Federico Pagani, che afferma di «aver dovuto accettare una decisione dall'alto» e si trincera dietro un «no comment» quando gli si sollecitano spiegazioni più dettagliate. Le critiche della polizia. La struttura di Palazzo San Gervasio è uno dei tre Cie temporanei creati sull'onda della presunta emergenza immigrazione: gli altri due sono a Santa Maria Capua Vetere (in provincia di Caserta) e a Kinisia, alla periferia di Trapani. A leggere il decreto che li istituisce, i tre centri dovranno funzionare «fino a cessate esigenze, e comunque non oltre il 31 dicembre 2011». Sempre a leggere il decreto, si apprende che il Governo ha previsto lo stanziamento di una somma pari a 10 milioni di euro, sei milioni per i lavori di ristrutturazione e quattro per le spese di gestione. Dieci milioni di euro per tre centri – la cui capienza massima prevista dalla legge è 500 persone – che dovrebbero rimanere in funzione al massimo sette mesi. L'istituzione di questi centri non ha suscitato le critiche solo dei militanti anti-razzisti, che soprattutto a Santa Maria Capua Vetere stanno portando avanti una campagna di mobilitazione. Ha scatenato critiche molto veementi da parte delle stesse forze dell'ordine. «Queste tendopoli adibite a Cie non garantiscono le necessarie misura di sicurezza né per gli operatori di polizia né per gli stessi migranti», rileva Claudio Giardullo, segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil. «L'utilizzo temporaneo delle tendopoli con funzioni di Cie non può certo tranquillizzare operatori che stanno supplendo all'inadeguato impegno di risorse del Governo e sui quali ancora una volta si vorrebbe scaricare tutto il peso dell'emergenza immigrazione». «La ragione superiore». La storia del centro-voliera di Palazzo di San Gevasio è del tutto particolare. È nato sul territorio di uno stabile confiscato alla mafia come «centro di accoglienza» per i migranti stagionali che in estate si riversavano nella zona per lavorare come braccianti nella raccolta stagionale. «Ha funzionato dal 1999 per dieci anni in questo modo», ricorda Gervasio Ungolo, ex assessore comunale e factotum dell'Osservatorio migranti Basilicata. «Poi, nel 2009, il sindaco lo ha chiuso. Nell'aprile scorso, hanno cominciato a portare i tunisini. Finché, a un certo punto, hanno deciso di trasformarlo in Cie, all'improvviso senza nessuna consultazione con il territorio». «Hanno deciso di creare questo carcere qui in virtù di qualche ragione superiore», gli fa eco Monsignor Giovanni Ricchiuti, arcivescovo di Acerenza. «Questo non è il modo di fare accoglienza», dice scuotendo la testa mentre guarda la struttura, prima di addentrarsi all'interno per una visita di circa un'ora. «Questo muro è uno scandalo». Ma, al di là delle proteste del prelato, gli abitanti di San Gervasio non appaiono particolarmente toccati dalla nascita del Cie. Tanto più che la presenza di questa nuova struttura crea, in una comunità segnata dalla crisi e lacerata dall'emigrazione, quel minimo di indotto che qui non è da considerare trascurabile: l'unico hotel del paese, il Villa Ester, è al completo, grazie all'arrivo dei carabinieri che devono garantire la sicurezza nel centro; i ristoratori del paese si sono divisi la torta dei pasti per i reclusi; i lavori all'interno sono stati affidati a ditte edili di Palazzo. Da temporanei a permanenti ? La trasformazione è stata repentina: dopo l'approvazione del decreto, nel giro di pochi giorni è stato innalzata la rete all'interno e costruito un muro di cinta di tre metri, per impedire le fughe e rendere il campo invisibile da fuori Arrampicandosi su un capannone proprio di fronte, si possono vedere le tende sotto la gabbia, i ragazzi tunisini e un gruppo di operai che lavorano su un lato. «I responsabili della prefettura mi hanno detto che vogliono costruire delle palazzine», racconta monsignor Ricchiuti. L'iniziativa è certamente apprezzabile, vista anche l'arsura che toglie il respiro, ma non può non suscitare qualche domanda. Che senso ha fare lavori di questo tipo in una struttura a carattere temporaneo, che per legge dovrà restare in funzione al massimo fino al 31 dicembre ? È ragionevole costruire palazzine in cemento solo per permettere ai trattenuti di affrontare la calura estiva ? Negli altri Cie già operanti in Italia non c'era posto per questi 78 tunisini ? L'iniziativa sembra piuttosto un esperimento. Il ministro dell'interno Roberto Maroni ha sempre detto che ci sarebbe dovuto essere un Cie in ogni regione. Tra il 2008 e il 2009, aveva stanziato con un paio di decreti la cifra di 200 milioni di euro per creare le nuove strutture. Alla fine, le proteste degli enti locali sul territorio lo hanno fatto desistere. Oggi la nuova emergenza immigrazione gli ha consentito di creare questi nuovi Cie. Quello di Kinisia non è ancora aperto, quello di Santa Maria Capua Vetere è continuamente monitorato dalle associazioni sul territorio, dagli avvocati e provoca malumori anche tra le forze di polizia. Quello di Palazzo San Gervasio, a parte qualche voce isolata, non ha suscitato alcuna polemica. Tutto lascia credere che l'esperimento stia funzionando e che, a partire dall'anno prossimo, un decreto ad hoc cancellerà quella t di temporaneo e istituirà un Cie a tutti gli effetti in questo lembo di terra di Lucania»  –:
          se corrisponda al vero che i 78 tunisini giunti in Italia dopo il 5 aprile siano stati e si trovino ancora rinchiusi nel Cie di palazzo San Gervasio sotto le tende del Ministero dell'interno collocate dentro una sorta di gabbia circondata da un muro;
          se, considerate le condizioni strutturali, siano garantiti gli standard di sicurezza sia per gli operatori di polizia sia per i migranti;
          se corrisponda al vero che i 78 tunisini non abbiano contatti con l'esterno, né abbiano mai visto un avvocato né possano ricevere visite da associazioni;
          se corrisponda al vero che il centro fino ad ora sia stato inaccessibile ai giornalisti e, nel caso, quali siano le ragioni del divieto;
          se le condizioni di vita quotidiana dei trattenuti nel Cie di palazzo San Gervasio corrispondano agli standard umanitari previsti dall'articolo 14 del testo unico sull'immigrazione laddove si afferma che le modalità del trattenimento devono assicurare la necessaria assistenza allo straniero e il pieno rispetto della sua dignità;
          quanti dei 78 tunisini siano stati identificati e quanti fra essi abbiano richiesto asilo e protezione internazionale;
          se esistano dei piani ministeriali per il collegamento con le istituzioni locali, le quali, se opportunamente sostenute, potrebbero attivarsi per rendere più umana la permanenza dei tunisini nel Cie con attività di studio, di insegnamento della lingua italiana, culturali e ricreative;
          se corrisponda al vero che all'interno del Centro sia iniziata la costruzione di palazzine e, in caso affermativo, quali siano le ragioni vista la natura temporanea del Cie di Ponte San Gervasio la cui chiusura è prevista entro il prossimo 31 dicembre e quale sia la spesa prevista. (5-07883)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano L'Opinione, edizione Litorale e Alto Lazio, di venerdì 20 luglio 2012, appare in prima pagina un articolo dal titolo «Maltrattata e denunciata per un biglietto sbagliato» recante occhiello «Il racconto degli avvocati Randazzo e Pucci». L'articolo a firma Ruggiero Capone tratta d'una maestra picchiata a Fiumicino e processata a Civitavecchia. Il giornalista racconta la storia della maestra «Grazia P. che a dicembre verrà processata a Civitavecchia». E precisa che «erano da poco passate le 18,30: Grazia, insegnante 55enne di scuola materna precaria a Fregene, terminava il rientro pomeridiano di sostegno e si dirigeva verso la fermata dell'autobus. Di tanto in tanto approfittava d'un passaggio di colleghe e conoscenti, ma quel 30 di settembre le rimaneva solo attendere il mezzo pubblico. Grazia si sposta solo a piedi, con la bicicletta, con i passaggi o con i mezzi pubblici...». «Alle 18,40 circa riesce a salire sull'autobus Cotral che va in direzione Fiumicino». Quindi la stessa maestra racconta a L'Opinione: «Avevo in mano dei biglietti e non sapevo con precisione quanto si dovesse pagare per Fiumicino – racconta Grazia – avevo biglietti di più tagli: per corse urbane su Roma ed extraurbane, Cotral ed Atac. Così mi stavo dirigendo verso il conducente, e per chiedere quale biglietto obliterare. Ma l'autobus frena in maniera brusca prima della fermata successiva, salgono a bordo due controllori che velocemente bloccano la macchinetta di vidimazione. Allora chiedo loro una spiegazione su quale biglietto dovessi obliterare. Di tutta risposta i controllori mi chiedono i documenti». Il quotidiano spiega che «Grazia s'emoziona, inizia a rovistare in maniera confusa nella borsa e poi: “non trovo la carta d'identità ho solo questi biglietti, vi prego vidimatemi voi quello giusto e poi lasciatemi andare a casa”. Uno dei controllori ordina con voce severa all'autista di fermare l'autobus davanti al commissariato di Fiumicino». «Le porte si aprono – racconta il giornalista – i controllori scendono senza fretta. Grazia si sente non più nel mirino, ha paura e si allontana pensando sia finito tutto lì, solo con un grande spavento. Non ha ancora raggiunto il ponte di ferro di Fiumicino che alle spalle riceve un forte spintone che la scaraventa per terra. Cerca di divincolarsi, ma viene presa a pugni e schiaffi e poi ammanettata. Poi sente un commento del tipo “menaglie a sta stronza tanto qui non ci sono telecamere”. Avrà parlato uno dei poliziotti o il controllore della Cotral? Grazia viene tradotta al commissariato di Fiumicino ammanettata e tenuta per le braccia da più agenti». «Dopo perquisizioni varie – continua il giornale – i documenti vengono rinvenuti in un recondito angolo della borsa della maestra. Le hanno già detto che è in arresto e che verrà trattenuta in cella per la notte. Il giorno seguente l'avrebbe attesa il processo per direttissima al tribunale di Civitavecchia. La Polizia di Fiumicino ha così provveduto ad avvertire il magistrato di turno d'un arresto per resistenza e violenza a pubblico ufficiale, e con successivo tentativo di fuga dell'arrestato». «Intanto il cazzottone in testa – precisa il quotidiano – comporta un certo dolore e Grazia indossa lenti a contatto: il colpo le ha provocato un versamento di sangue in un occhio. Quindi viene trasportata al pronto soccorso di Fregene, anche se lei insisteva di voler andare a quello di Fiumicino, molto più frequentato ed attrezzato. I medici riscontrano evidenti ecchimosi con segni di manette ai polsi. Dopo le cure mediche, e senza levarle le manette, i poliziotti si confrontano sul tradurla a Roma (a Ponte Galeria) o a Settebagni... insomma in un luogo dove la polizia scientifica le avrebbe potuto prendere impronte digitali e foto segnaletiche... L'attende una lunga notte in cella. E solo verso l'alba una poliziotta esclama “ma che avete fatto? A questa poverina non l'avete nemmeno mandata al bagno”. Nella ritirata della caserma la povera maestra viene colta da coliche e non riesce più a trattenere i propri bisogni»... «Il Pm di Civitavecchia rimette in libertà la maestra, non convalidando l'arresto spiega il giornale ... Ma, due mesi dopo, l'arresto viene convalidato. Intanto la maestra aveva querelato i due poliziotti: procedimento che viene celermente archiviato dalla procura civitavecchiese. La querela pare abbia ancor più indisposto la polizia contro la maestra»  –:
          di quali elementi di informazione dispongano circa i fatti descritti in premessa;
          se i Ministri interrogati, per quanto di rispettiva competenza, non intendano disporre accertamenti, anche mediante l'avvio di una indagine ispettiva, con particolare riferimento sia alle modalità dell'intervento delle forze dell'ordine e sia al procedimento di convalida dell'arresto dell'insegnante avvenuto – secondo quanto riportato dal quotidiano L'Opinione – a ben due mesi di distanza dai fatti, ciò al fine di verificare l'eventuale sussistenza degli estremi per l'attivazione dell'azione disciplinare con riferimento alla vicenda esposta;
          quali iniziative normative il Governo intenda utilizzare e quali direttive intenda impartire affinché i cittadini vengano effettivamente tutelati, garantiti e protetti dagli atteggiamenti violenti, arroganti o prevaricatori posti in essere da alcuni appartenenti alle forze dell'ordine. (5-07923)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BITONCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa locale (Gazzettino di Padova di martedì 18 settembre) riportano la notizia secondo la quale la proprietaria di un bar di Padova situato in piazzale della stazione ferroviaria, esasperata dalla continua e difficile situazione di sicurezza dell'area e che obbliga la stessa anche a tener chiuso il locale il sabato, si è vista costretta a mettere in vendita il locale stesso, proponendo la cessione anche ad acquirenti cinesi i quali, negli ultimi anni, hanno acquistato numerosi esercizi;
          la proprietaria del pubblico esercizio lamenta altresì l'inerzia dell'amministrazione comunale, alla quale sono stati richiesti più volte interventi per risolvere la situazione di degrado il quale ha causato, peraltro, la chiusura di altri esercizi della medesima area;
          quest'ultima notizia segue di pochi giorni un fatto occorso nel vicino quartiere dell'Arcella, situato nei pressi della stazione, dove un giovane cameriere sarebbe stato aggredito alle prime luci dell'alba da alcuni malintenzionati di origine nord-africana ai quali aveva precedentemente fornito informazioni stradali;
          la crescente spirale di violenza che in questi mesi si sta registrando a Padova sta creando estrema preoccupazione tra gli abitanti della città portando, suo malgrado, la città veneta e la preoccupazione evidenziata dai suoi cittadini alla ribalta nazionale  –:
          considerati i fatti sopra descritti e la grave situazione venutasi a determinare a Padova, se non ritenga opportuno adottare idonee iniziative nell'ambito delle proprie competenze per aumentare il livello dei controlli nei luoghi più sensibili della città. (4-17668)


      FOGLIARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          tra la fine del 2011 e i primi mesi del 2012 si è svolto, a cura dell'Istat, il 15o censimento generale della popolazione e delle abitazioni;
          a livello nazionale, ogni comune ha inquadrato i rilevatori con forme diverse e sono sorte numerose polemiche per i differenti trattamenti da città a città: dai contratti a tempo determinato del comune di Bologna ai contratti di collaborazione stipulati dal comune di Firenze;
          dopo oltre sei mesi, molti rilevatori lamentano di non aver ancora ricevuto la liquidazione del compenso per l'opera prestata;
          la retribuzione dei rilevatori è subordinati alla completa liquidazione dei contributi da parte dell'Istat, la quale non avrebbe ancora provveduto;
          molti rilevatori sono studenti o disoccupati, persone per le quali la prolungata attesa di una simile entrata può essere causa di gravi difficoltà  –:
          se il Ministro intenda verificare presso l'Istat l'avvenuta liquidazione dei contributi previsti per il pagamento dei rilevatori e se il Ministro intenda assumere iniziative per procedere alla regolamentazione del trattamento contrattuale dei rilevatori in maniera univoca sull'intero territorio nazionale in vista di future rilevazioni. (4-17686)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI GIUSEPPE e ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'inizio di ogni anno scolastico è puntualmente caratterizzato dal riscontro di vari problemi, più o meno previsti o prevedibili;
          in Molise in questi giorni sono terminate le operazioni di nomina a tempo determinato del personale docente ed ATA. Dopo la stipula di contratti a tempo indeterminato per 120 docenti, gli ambiti territoriali degli uffici scolastici hanno provveduto a nominare il personale supplente;
          gli istituti scolastici lamentano difficoltà innanzitutto a causa della mancata nomina del personale di segreteria conseguente, secondo quanto dichiarato, alla volontà del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di riconvertire il personale docente inidoneo, a tale mansione;
          un provvedimento di questo tipo appare, allo scrivente, ingiusto, vessatorio e irrispettoso nei confronti di docenti che hanno gravi patologie;
          da un'analisi delle nomine fatte, di seguito riepilogate, considerando i posti interi e gli spezzoni accorpati, risulta evidente come le disponibilità per le immissioni in ruolo fossero superiori a quanto consentito dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca confermano l'utilità di tanti precari che, con il loro lavoro, garantiscono il funzionamento della scuola pubblica molisana in particolare, ed italiana più generale:
              Campobasso: infanzia 8, primaria 49, sostegno infanzia primaria 30+85, Io grado 39, IIo grado 63, sostegno Io e IIo grado 52+83, collaboratori scolastici 71, totale 480;
              Isernia: infanzia 2, primaria 6, sostegno infanzia primaria 13+28, Io grado 13, IIo grado 16, sostegno Io e IIo grado 11+24, collaboratori scolastici 15, totale 256;
              totale: infanzia 10, primaria 55, sostegno infanzia primaria 156, Io grado 52, IIo grado 79, sostegno Io e IIo grado 170, collaboratori scolastici 86, totale 736;
          alla luce di tali evidenti dati appare inutile e controproducente, per il bene della scuola pubblica italiana, parlare di concorsi senza aver prima garantito un piano di stabilizzazione del personale precario;
          a tutt'oggi in Molise, risultano inevase le richieste delle famiglie sia di avere un tempo scuola adeguato sia di togliere le classi pollaio, tanto che a Montaquila, un comune in provincia di Isernia, alcuni genitori sono stati costretti a rivolgersi al TAR per chiedere lo sdoppiamento di una classe di 34 alunni con un disabile, allocata in ambienti angusti che non rispettano gli standard previsti dalle leggi in vigore che, ricordo, prescrive lo sdoppiamento delle classi con più di 27 alunni;
          una situazione simile è stata denunciata nel comune di Tufara, dove l'amministrazione scolastica provinciale non ha concesso lo sdoppiamento di una pluriclasse con 19 alunni, benché le regole prevedano che al superamento dei 18 alunni le pluriclassi debbano essere sdoppiate;
          in molti altri comuni italiani, non tutti gli edifici sono adeguati alla normativa sulla sicurezza scolastica, in particolare si lamenta la necessità di acquisire il certificato di prevenzione incendi, tanto che nella città di Campobasso il sindaco ha deciso di rinviare l'inizio dell'attività didattica non potendo ottenere dai vigili del fuoco la necessaria certificazione, e non volendo assumersi la responsabilità di emanare un'ordinanza in deroga per l'apertura;
          si ravvede la necessità di una nuova primavera per la scuola pubblica italiana, che possa prevedere un progetto che metta al centro l'istruzione, che si impegni a reperire maggiori risorse da investire nel nostro sistema di istruzione e in chi ci lavora  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          quali iniziative intenda intraprendere affinché, nell'interesse degli studenti e della scuola pubblica italiana, vengano applicate e rispettate tutte le normative vigenti. (4-17656)


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto rivelato dalla trasmissione Radio3 Scienza sulla base di un'inchiesta della rivista «Wired», almeno la metà degli istituti scolastici italiani sarebbe soggetto a rischio sismico e richiederebbe una perizia;
          nonostante ciò, a dieci anni dalla tragedia della scuola San Giuliano, solo un istituto su dieci sarebbe stato effettivamente controllato  –:
          se quanto sopra evidenziato corrisponda a verità;
          in caso affermativo a cosa si debba la mancata perizia e gli omessi controlli in circa nove istituti scolastici italiani su dieci;
          se risulti quale sia la regione più virtuosa, nel senso di maggiori controlli e perizie effettuate; e quali le più inadempienti;
          quali iniziative il Ministero, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda promuovere o adottare in ordine a quanto sopra esposto. (4-17658)


      DI GIUSEPPE e ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          come comunicato in una nota ufficiale della FLC CGIL Molise del 6 settembre 2012, l'organizzazione sindacale denuncia numerose segnalazioni pervenute dalle istituzioni scolastiche della regione Molise e dal personale docente interessato, circa supposte anomalie riguardanti l'organico di sostegno assegnato dagli uffici scolastici provinciali;
          la nota individua due criticità, nella prima si legge che «a differenza degli anni scolastici precedenti, gli uffici scolastici provinciali non hanno comunicato alle scuole le ore da attribuire al singolo alunno, ma le cattedre complessive assegnate all'Istituto»; nella seconda si evidenzia come «le ore di sostegno assegnate alle singole scuole non corrispondono a quanto richiesto a suo tempo con modelli H1 e H2»;
          stante così le cose i dirigenti scolastici si trovano costretti a dover ripartire le ore attribuite ai diversamente abili, molto spesso inferiori rispetto a quanto richiesto, senza che siano stati resi noti i criteri, riguardanti le decurtazioni, utilizzati dal gruppo di lavoro provinciale, competente per l'attribuzione delle ore al singolo alunno;
          è opportuno rilevare come la normativa in vigore, pur prevedendo espressamente l'assegnazione dell'organico di sostegno complessivamente alla scuola e non agli alunni (decreto-legge n.  98 del 6 luglio 2011 e circolare ministeriale n.  61 del 18 luglio 2012), fa permanere la competenza circa l'attribuzione delle ore in capo all'ufficio scolastico provinciale, che, a tal fine, si avvale dell'apposito GLH;
          senza i criteri operativi, le scuole avranno difficoltà ad assegnare le ore agli alunni e tale modalità operativa rischia di far aumentare esponenzialmente il contenzioso in materia, scaricando le responsabilità sulle singole istituzioni scolastiche, con conseguente inutile aggravio per la spesa pubblica  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche esposte, comuni a tutti gli uffici scolastici provinciali d'Italia, e in particolare a quelli molisani;
          se non si ritenga utile sollecitare gli uffici scolastici provinciali a comunicare espressamente alle singole istituzioni scolastiche i criteri utilizzati per attribuire i posti ad ogni singola scuola. (4-17661)


      ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la riorganizzazione della rete scolastica voluta dall'ex Ministro Mariastella Gelmini ha provocato notevoli dissesti nel settore;
          ad oggi la situazione non sembra essersi affatto riassestata, visto e considerato che in diversi istituti scolastici non sono stati ancora attribuiti gli incarichi agli insegnanti;
          in particolare, il Comitato Precari Liguri della Scuola ha fatto richiesta di rinvio delle riunioni di collegio dei docenti perché «gli incarichi dal 1o settembre assegnati agli insegnanti abilitati non saranno attribuiti prima del 31 agosto, data istituzionalmente predisposta dalla normativa vigente, che quest'anno sarà violata per lungaggini ministeriali»;
          pertanto, una parte dei componenti dei collegi dei docenti è esclusa «dalla programmazione iniziale, con grave danno per la completezza e vitalità della medesima, giacché, [...] gli insegnanti precari sono mediamente più giovani dei colleghi di ruolo»  –:
          se sia conoscenza di quanto riportato e come intenda risolvere la questione di cui in premessa. (4-17662)


      REGUZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la Corea di Huntington è un'affezione ereditaria degenerativa del sistema nervoso centrale che determina una distruzione dei neuroni in particolare a livello dei gangli della base e della corteccia celebrale;
          clinicamente è caratterizzata da movimenti involontari patologici, nonché da turbe psichiche, non sempre presenti, che consistono in un deterioramento cognitivo e in alterazione del comportamento;
          l'esordio avviene di solito tra i 30 e i 50 anni (raramente in altre fasce d'età) e il decorso è lentamente progressivo e fatale dopo 16-20 anni di malattia;
          l'ereditarietà è autosomica dominante e la trasmissione del gene è indipendente dal sesso. La probabilità di ereditare il gene della Corea da una persona affetta è del 50 per cento e interessa sia i maschi sia le femmine;
          grazie alla scoperta del gene della malattia, avvenuta nel 1993, è oggi possibile individuare, tra i soggetti a rischio, chi ne è portatore: egli manifesterà, più o meno presto, la sintomatologia coreica; al contrario, chi non è portatore né avrà né trasmetterà la malattia. Questo test, definito predittivo, è effettuato in alcuni laboratori in Italia, ma richiede un'attenta valutazione dei candidati per i molti problemi di natura psicologica ed etica che esso solleva. Non vi sono farmaci in grado di prevenire, bloccare o rallentare la progressione della malattia, o curarla; le sostanze attualmente disponibili, benché utili, hanno solo un effetto sintomatico;
          l'identificazione del gene apre nuove prospettive per una migliore comprensione dei meccanismi patogenetici della corea e stimola gli studi per l'identificazione della proteina alterata del gene. Queste informazioni porteranno sicuramente alla proposta di nuove strategie terapeutiche nel senso di un trattamento eziologico o comunque neuroprotettivo  –:
          se e quali iniziative il Governo abbia attuato o intenda attuare ai fini di:
              a) promuovere una migliore conoscenza della patologia in argomento che permetta di sviluppare terapie efficaci e prassi condivise sia in Italia sia a livello internazionale;
              b) sviluppare la ricerca in questo settore;
          quali ricerche scientifiche o trial clinici riguardanti la patologia in argomento siano in corso nel nostro Paese, e quali siano le relative tempistiche, i risultati raggiunti, e l'impegno del settore pubblico al riguardo. (4-17674)


      REGUZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          la malattia di Charcot-Marie-Tooth è una patologia neurologica, a esordio periferico, trasmissibile ereditariamente, che può manifestarsi a qualsiasi età, dalla nascita fino a età avanzata, all'improvviso, colpendo e indebolendo gli arti e compromettendo altri organi. La scienza medica usa termini come «progressione lenta» per indicare che questa malattia avanza giorno dopo giorno e che ci vogliono anni prima di arrivare a perdere la propria autonomia. In realtà la persona è affetta da un deficit motorio e manuale che gli impedisce di condurre una vita normale, pur non essendo costretto alla sedia a rotelle. In alcune forme è colpito il nucleo del nervo, ma i sintomi sono identici. I primi a essere colpiti sono i muscoli degli arti che a poco a poco si atrofizzano. Ciò causa l'accorciamento dei tendini e la deformazione delle ossa dei piedi e delle mani. Le dita si chiudono perché non hanno forza, i talloni si storcono e spesso la persona arriva a camminare appoggiando solo alcuni punti del piede. Ciò determina problemi di callosità e ulcere con enormi difficoltà all'adattamento alle scarpe, anche quelle ortopediche. La persona inizialmente presenta una camminata instabile fino a cadere frequentemente, diventano poi insuperabili scalini, salite e altre barriere ambientali e architettoniche. La manualità in molti casi è visibilmente compromessa, la presa difficile, fino a non riuscire più a stringere posate e bicchieri o a dovere usare una bacchetta per scrivere al computer  –:
          se e quali iniziative il Governo abbia attuato o intenda attuare ai fini di:
              a) promuovere una migliore conoscenza della patologia in argomento che permetta di sviluppare terapie efficaci e prassi condivise sia in Italia sia a livello internazionale;
              b) sviluppare la ricerca in questo settore;
          se e quali forme di coordinamento tra le regioni siano state o si intendano attuare, per quanto di competenza, ai fini di concentrare in centri di eccellenza le principali competenze mediche, biologiche e scientifiche riguardanti la patologia in argomento;
              c) quali ricerche scientifiche o trial clinici riguardanti la patologia in argomento siano in corso nel nostro Paese, e quali siano e relative tempistiche, i risultati raggiunti e l'impegno del settore pubblico al riguardo. (4-17675)


      ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          secondo il Comitato precari liguri della scuola, il 5 settembre 2012 presso la sede dell'istituto superiore «Bonomi Mazzolari» di Mantova si sono tenute le convocazioni per le assegnazioni delle nomine dei precari per i contratti a tempo determinato;
          in tale occasione, il provveditore di Mantova dottoressa Bianchessi avrebbe reso nota una circolare dell'USR Lombardia con cui il direttore generale, dottor Colosio, comunicava che «non potranno essere stipulati con i ricorrenti nuovi contratti a tempo determinato stante che il carattere illecito dei contratti vieta all'amministrazione di avvalersi nuovamente di quel lavoratore per il futuro»;
          conseguentemente con tale atto, i supplenti annuali che hanno fatto ricorso, sulla base di una direttiva europea contro l'abuso del lavoro precario, che hanno vinto la causa ottenendo il riconoscimento economico del danno subito (sentenza del tribunale lavoro di Mantova n.  258 del 2011), in luogo di essere assunti in ruolo come prevede la direttiva europea, vengono esclusi dalle nomine sui posti di precario (circolare USP di Mantova n.  8499 del 5 settembre 2012);
          secondo il comitato precari si tratterebbe di un atto intimidatorio in quanto rimarranno senza lavoro 150 precari, abilitati ed inseriti a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento, che hanno prestato servizio nella scuola pubblica per anni svolgendo il proprio lavoro con professionalità e passione;
          il Comitato precari liguri chiede un sostegno giuridico pro bono a tutela degli insegnanti di Mantova coinvolti, i quali nel frattempo, hanno chiesto la sospensione delle nomine in attesa di chiarimenti sulla questione  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti riportati e quali iniziative anche normative intenda adottare al fine di risolvere la questione di cui premessa.
(4-17682)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          gli enti previdenziali privati e privatizzati di cui ai decreti legislativi n.  509 del 1994 e n.  103 del 1996 sono stati negli ultimi anni oggetto di diversi interventi legislativi e di indirizzi di coordinamento volti ad assicurare la migliore gestione al fine di garantire la sostenibilità dei sistemi previdenziali e l'adeguatezza delle prestazioni;
          gli indirizzi in materia di bilanci tecnici hanno imposto, inizialmente, che la stabilità delle gestioni previdenziali dei predetti enti e casse privatizzate sia da ricondurre ad un arco temporale non inferiore a trenta anni (articolo 1, comma 763, della legge n.  296 del 2006 – finanziaria 2007), in luogo dei quindici precedentemente previsti;
          ai sensi del comma 24 dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011 gli enti di cui ai predetti decreti legislativi adottano, nell'esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 settembre 2012, misure volte ad assicurare l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni;
          al contempo gli enti previdenziali privati e privatizzati di cui ai decreti legislativi n.  509 del 1994 e n.  103 del 1996 sono stati sottoposti ad una serie di vincoli ed obblighi gestionali, ivi compresi quelli recentemente introdotti dal decreto-legge n.  95 del 2012, in quanto inclusi nell'elenco ISTAT di cui all'articolo 1, comma 3, della legge n.  196 del 2009, che di fatto limitano fortemente l'operatività di detti enti;
          si rileva come appaia, quindi, contraddittorio da un lato sottoporre le casse previdenziali ad uno «stress test», prevedendo il rispetto dell'equilibra previdenziale a cinquanta anni e l'utilizzo della redditività del patrimonio all'1 per cento netto, e dall'altro lato imporre il rispetto di una serie di vincoli gestionali che ne limitano l'operatività;
          appare evidente dall'analisi dei bilanci tecnici come la priorità delle casse sia quella di gestire in maniera ottimale e prudenziale il patrimonio, dotandosi di tutti gli strumenti che sono previsti per i fondi pensione di previdenza integrativa e rafforzando la governance interna a tali fini e, altresì, come in presenza di un prodotto interno lordo con crescita debole o in recessione diventi importante la valorizzazione dei montanti contributivi attraverso una valorizzazione dei patrimoni;
          tale scelta però, ad avviso degli interpellanti, non chiaramente perseguita dal Governo, viene inficiata da una serie di vincoli, come quelli sui consumi intermedi introdotti dall'articolo 8, comma 3, del decreto-legge n.  95 del 2012, a cui sono sottoposti oggi gli enti previdenziali privati e privatizzati di cui ai decreti legislativi n.  509 del 1994 e n.  103 del 1996 che ignorano come nel modello organizzativo di questi enti i costi non siano di carattere autoreferenziale, ma qualificabili come costi di «produzione» o relativi alla «gestione del rischio»;
          non appare corretto comprimere i costi necessari, tra cui quelli per l'effettuazione degli investimenti dei contributi riscossi, per il monitoraggio del fabbisogni sociali ed assistenziali degli iscritti, per la verifica dell'andamento del mercato del lavoro di riferimento, per la definizione e gestione dell’asset allocation strategica e dinamica, per l'individuazione del benchmark e della banca depositaria, per l'utilizzo di advisor e del risk management e per lo svolgimento delle funzioni volte a tutelare le prestazioni previdenziali degli iscritti;
          gli enti previdenziali di cui ai decreti legislativi n.  509 del 1994 e n.  103 del 1996 sopportano i relativi costi di funzionamento nell'ambito delle proprie entrate, non gravando a tale fine sul bilancio dello Stato, e tali costi non superano mediamente l'1 per cento dei rispettivi bilanci  –:
          se sia intenzione del Governo dare un indirizzo chiaro ed univoco in materia di investimenti, nel rispetto dell'autonomia prevista all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n.  509 del 1994, come confermato da ben due sentenze della Corte Costituzionale (5 febbraio 1999, n.  15 e 18 luglio 1997, n.  248), oppure si intenda limitare l'attività di investimento degli enti in oggetto con grave pregiudizio ai bilanci degli stessi;
          se siano state stimate le minori entrate derivanti dalle norme sulle locazioni alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 3 del decreto-legge n.  95 del 2012;
          se siano state altresì stimate le minori entrate derivanti dai vincoli sulla gestione degli investimenti, dell’asset allocation e del rischio;
          se non intendano assumere iniziative per eliminare i vincoli richiamati per ridurre il pregiudizio e il danno nei confronti delle gestioni previdenziali dei liberi professionisti.
(2-01666) «Sardelli, Antonione, Gava, Mistrello Destro, Santori, Brugger».

Interrogazione a risposta immediata:


      MOFFA, CALEARO CIMAN, CATONE, CESARIO, D'ANNA, GIANNI, LEHNER, MARMO, MILO, MOFFA, MOTTOLA, ORSINI, PIONATI, PISACANE, POLIDORI, RAZZI, ROMANO, RUVOLO, SCILIPOTI, SILIQUINI, STASI e TADDEI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere — premesso che:
          la riforma della previdenza di primo pilastro, resasi necessaria per contenere gli squilibri di finanza pubblica, non può non richiamare l'attenzione anche sulla previdenza complementare che, dopo una fase di sviluppo registrata nel 2007 (anno di avvio dell'operatività della riforma di cui al decreto legislativo n.  252 del 2005), ha rallentato i propri ritmi di crescita sia per la scarsa consapevolezza del problema pensionistico, sia per il prolungato periodo di recessione economica che ha fatto diminuire la fiducia sulla sua efficacia;
          la previdenza complementare rappresenta un importante strumento di politica economica per il ruolo di stabilizzatore sociale che può svolgere e sarebbe poco lungimirante trascurarne il potenziamento.
          al giugno 2012 gli iscritti ai fondi pensione erano circa 5,7 milioni, con un tasso di incremento rispetto al dicembre 2011 del 2,9 per cento. Essi rappresentano soltanto poco più del 20 per cento del totale degli occupati. È, pertanto, evidente che non è ancora diffusa la percezione che la previdenza complementare è una necessità;
          per rilanciare lo sviluppo è fondamentale rafforzare la fiducia dei cittadini, sia con un'intensa attività di comunicazione finanziaria e previdenziale, sia attenuando gli effetti negativi dell'elevata volatilità dei mercati, favorendo, invece, l'adeguatezza e la stabilità dei loro rendimenti nel tempo, anche attraverso la messa a punto di specifici prodotti di investimento;
          prodotti di investimento che potrebbero rivelarsi efficaci ai fini delle necessarie politiche di sviluppo di cui il Paese avverte l'urgenza; in particolare, tali prodotti potrebbero essere collegati a iniziative della pubblica amministrazione, centrale o periferica, volte alla realizzazione di infrastrutture, opere di pubblica utilità o anche alla capitalizzazione delle piccole e medie imprese, originando ricadute positive anche sull'occupazione e sulla crescita economica del Paese;
          il patrimonio disponibile per gli investimenti dei fondi pensione è di 95 miliardi di euro, ai quali potrebbero aggiungersi circa 45 miliardi di euro delle casse professionali di previdenza;
          nello sviluppo dei fondi complementari è fondamentale il ruolo dello Stato, che può, peraltro, limitarsi esclusivamente a quello di garante di questa tipologia di investimenti dei fondi pensione, del capitale investito e di una quota dei rendimenti attesi;
          a tal fine, potrebbero anche essere utilizzati i fondi di garanzia già esistenti, quali, ad esempio, il «fondo di garanzia delle opere pubbliche», che potrebbe estendere la sua copertura in favore dei progetti finanziati con le risorse del risparmio previdenziale, e il «fondo di garanzia per il credito alle piccole medie imprese», che potrebbe in parte destinarsi anche a operazioni di capitalizzazione di piccole e medie imprese, finanziate con risorse dei fondi pensione;
          la XI Commissione, lavoro pubblico e privato, della Camera dei deputati ha svolto, nei primi mesi del 2010, un ciclo di audizioni informali sulle problematiche relative alla gestione e all'andamento dei fondi pensione e della previdenza complementare, al termine delle quali è stata approvata la risoluzione n.  8-00072, a prima firma del deputato Antonino Foti, che impegna l'Esecutivo ad «investire fortemente sulle potenzialità del sistema dei fondi pensione, in particolare valutando l'opportunità di sostenere eventuali iniziative organizzative, promozionali e di informazione anche su impulso degli enti e delle strutture interessate, dirette a mettere a sistema i fondi medesimi»; la stessa Commissione lavoro pubblico e privato ha più volte sollecitato, anche tramite opportune proposte emendative, la stabilizzazione di una struttura organizzativa, aperta al coinvolgimento e alla partecipazione di tutti i soggetti a vario titolo interessati, diretta a promuovere il coordinamento delle diverse iniziative e la messa a sistema delle più opportune attività atte a sostenere lo sviluppo dei fondi pensioni  –:
          se il Governo non ritenga improcrastinabile portare a compimento tale percorso, anche mediante l'inserimento di adeguate proposte normative per lo sviluppo dei fondi complementari nell'ambito della prossima legge di stabilità. (3-02484)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286 (Testo Unico in materia di immigrazione), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n.  189, stabilisce all'articolo 41 che «gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno (...) sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti»;
          con la legge 23 dicembre 2000, n.  388 (legge finanziaria per il 2001), viene introdotta all'articolo 80, comma 19, una disposizione in materia di assistenza sociale e provvidenze economiche in favore degli stranieri soggiornanti in Italia, secondo la quale «ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286, l'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno; per le altre prestazioni e servizi sociali l'equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno (...)»;
          dal combinato disposto dell'articolo 41 del Testo unico sull'immigrazione e dell'articolo 80, comma 19, della legge finanziaria per il 2001 emergono problemi di coordinamento, posto che l'articolo 80, comma 19, sembra escludere che i possessori di un semplice permesso di soggiorno per lavoro possano ottenere quelli che sono considerati veri e propri «diritti soggettivi» derivanti dalla legislazione sociale quali il diritto alla pensione d'invalidità civile o all'assegno sociale;
          stante l'attuale disciplina vigente in materia di immigrazione, e applicando l'articolo 80, comma 19, potrebbe determinarsi, come caso limite, quello di un lavoratore straniero in possesso di un permesso di soggiorno da più di un anno, ma non ancora in possesso della carta di soggiorno, che divenga, a causa di una grave patologia, totalmente inabile al lavoro; in tal caso egli non sarà più in grado né di soddisfare i requisiti previsti dal Testo unico sull'immigrazione per il rinnovo del permesso di soggiorno, ossia essere parte di un rapporto di lavoro, né tanto meno di conseguire un reddito tale da soddisfare i requisiti richiesti dalla legge per ottenere la carta di soggiorno; a sua volta, senza la stessa carta non potrà ottenere né l'assegno sociale né la pensione di invalidità civile;
          tutti coloro che malauguratamente dovessero venire a trovarsi in una situazione limite come quella sopra descritta sono destinati ad essere relegati ai margini della società, correndo inoltre il rischio di non vedersi più rinnovato il normale permesso di soggiorno che era stato loro conferito, e successivamente di essere espulsi;
          l'unica opportunità che hanno tali soggetti è quella di essere conviventi con familiari che possano assicurare loro il sostentamento, poiché in tale caso potrebbero esservi le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, secondo quanto stabilisce l'articolo 30 del succitato testo unico in materia di immigrazione;
          eventuali effetti preclusivi si produrrebbero solo nei confronti dei cittadini extracomunitari, posto che per i cittadini comunitari si applicherebbe il principio di non discriminazione sancito dal diritto comunitario;
          con sentenza n.  306 del 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi l'articolo 80, comma 19, legge 23 dicembre 2000 (legge finanziaria 2001) e l'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286 (disciplina dell'immigrazione), modificato dall'articolo 9, comma 1, decreto legislativo 30 luglio 2002, sostituito dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n.  3, nella parte in cui si prevede che l'indennità di accompagnamento, stabilita dall'articolo 1, legge 11 febbraio 1980, n.  18, possa essere concessa agli stranieri extracomunitari solo qualora risultino in possesso dei requisiti di reddito fissati per la carta di soggiorno ed ora previsti dal decreto legislativo 8 gennaio 2007 n.  3 di attuazione direttiva n.  2003/109/CE, relativa allo status di cittadini di Paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo; secondo il giudice delle legge, infatti, la norma contrasta con il principio costituzionale del diritto alla salute, di solidarietà, del riconoscimento dei diritti fondamentali indipendentemente dalla appartenenza a determinate entità politiche; in uno dei passaggi della motivazione della citata sentenza, i giudici della Corte costituzionale scrivono: «la Corte ritiene che sia manifestamente irragionevole subordinare l'attribuzione di una prestazione assistenziale quale l'indennità di accompagnamento – i cui presupposti sono, come si è detto, la totale disabilità al lavoro, nonché l'incapacità alla deambulazione autonoma o al compimento da soli degli atti quotidiani della vita – al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l'altro, la titolarità di un reddito. Tale irragionevolezza incide sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili e, come nel caso, parziali, alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza.»;
          facendo leva sulle medesime argomentazione, con successiva sentenza n.  11 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale della stessa normativa, nella parte in cui esclude che la pensione di inabilità, di cui all'articolo 12 del decreto legge 30 gennaio 1971 n.  5 convertito con modificazioni dalla legge n.  118 del 1971 (nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché       essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti, per effetto del decreto legislativo n.  3 del 2007, per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;
          contrariamente alle citate sentenze della Corte costituzionale, l'Istituto nazionale di previdenza sociale ha diramato una circolare (la n.  105 del 2 dicembre 2008) applicativa delle nuove disposizioni in materia di assegno sociale introdotte con l'articolo 20, comma 10, del decreto-legge 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n.  133 (G.U. n.  195 dd. 21 settembre 2008 – Suppl. ord. n.  196), con la quale è stato specificato che, ai fini della concessione dell'assegno sociale, agli stranieri extracomunitari debba continuare ad essere richiesto, oltre ai requisiti di stato di bisogno e di età previsti dalla normativa (circolari INPS n.  303 dd. 14 dicembre 1995 e n.  208 dd. 24 novembre 2006), anche il possesso della «carta di soggiorno» o «permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti»;
          è dunque evidente che l'INPS ridimensiona la portata della sentenza della Corte costituzionale n.  306/2008, cosa che costringe i cittadini stranieri legalmente soggiornanti in Italia, ma non in possesso della carta di soggiorno o «permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti» e che vogliano far valere il loro diritto alla fruizione della prestazione sociale, di dover continuare ad adire le sedi giudiziarie per ottenere un'interpretazione costituzionalmente orientata dalla norma;
          con riferimento ai requisiti richiesti per l'accesso degli stranieri extracomunitari all'assegno sociale, esiste una evidente incompatibilità tra quanto stabilito dalle sentenze della Corte costituzionale citate in premessa e la circolare n.  105 del 2 dicembre 2008 diramata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale  –:
          se e quali provvedimenti intenda prendere il Ministro competente affinché venga chiarito, anche mediante circolare ministeriale, che secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma nulla inibisce agli extracomunitari sprovvisti del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti di accedere alle prestazioni assistenziali e previdenziali;
          se non si ritenga opportuno intervenire per prevenire il sorgere di situazioni di discriminazione ai danni degli stranieri non più abili al lavoro a causa di sopravvenuta invalidità totale ma sprovvisti del permesso di soggiorno di lunga durata e se non si ritenga che da ciò possa sorgere il rischio, per determinati soggetti, di non vedersi più rinnovato il normale permesso di soggiorno che era stato loro conferito e di essere passibili di espulsione, e ciò soltanto in relazione a fatti imprevedibili quali la malattia;
          quali altre iniziative di competenza intenda assumere in ordine alla questione che qui interessa, anche al fine di un puntuale e doveroso rispetto della normativa vigente in materia così come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  306/2008. (5-07869)

Interrogazione a risposta scritta:


      BUCCHINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in base al comma 7 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2011, per coloro il cui primo accredito contributivo è avvenuto a decorrere dal 1° gennaio 1996, in presenza dei requisiti anagrafici e contributivi prescritti, la pensione di vecchiaia spetta, dal 1° gennaio 2012, a condizione che l'importo della pensione risulti essere non inferiore, per l'anno 2012, a 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n.  335 (cosiddetto importo soglia);
          in base al successivo comma 11 dell'articolo 24 del decreto-legge succitato, per coloro il cui primo accredito contributivo è avvenuto a decorrere dal 1o gennaio 1996, in presenza dei requisiti anagrafici e contributivi prescritti, la pensione anticipata spetta, dal 1o gennaio 2012, a condizione che l'ammontare mensile della prima rata di pensione risulti essere non inferiore ad un importo soglia mensile, pari per l'anno 2012 a 2,8 volte l'importo mensile dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, commi 6 e 7, della legge 8 agosto 1995, n.  335 (cosiddetto importo soglia);
          è ovvio che tale elevato importo soglia vanificherebbe, in un prossimo futuro e quando il sistema contributivo entrerà a regime, gli effetti e i benefici di tutte le convenzioni bilaterali e multilaterali di sicurezza sociale stipulate dall'Italia perché sarebbero pochissimi i cittadini migranti in grado di soddisfare l'importo minimo richiesto ai fini del diritto a prestazione in quanto, prevedibilmente, gli anni di contribuzione fatti valere in Italia non consentirebbero il raggiungimento di tale importo (che è pari per il 2012 a 650 euro per la pensione di vecchiaia e a 1.200 euro per la pensione anticipata);
          nella circolare n.  95 del 12 luglio 2012 l'Istituto previdenziale italiano (INPS) sembra voler porre rimedio a questa situazione e rende noto che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato che ai fini della determinazione del cosiddetto importo soglia – introdotto nel calcolo delle pensioni nel sistema contributivo e al di sotto del quale non si acquisisce il diritto a pensione –, occorre considerare anche il pro rata estero in quanto il concetto di «importo soglia», introdotto dal legislatore quale garanzia di prestazione adeguata per coloro che rientrano totalmente nel sistema contributivo, deve essere considerato anche alla luce del principio di assimilazione di cui all'articolo 5 del regolamento (CE) n.  883 del 2004;
          pertanto, informa l'Inps nella recente circolare succitata, al fine di non penalizzare i lavoratori che fanno uso del loro diritto alla libera circolazione, si dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l'importo del pro rata estero deve essere considerato anche nel calcolo dell'importo soglia, in tutti i casi in cui tale requisito sia richiesto per la concessione di una pensione in regime comunitario;
          tale soluzione è stata prospettata nella circolare dell'Inps succitata solo per le pensioni in regime comunitario, mentre nulla si chiarisce per le pensioni in convenzione bilaterale alle quali è interessato un numero ragguardevole di futuri pensionati anche alla luce dei nuovi fenomeni migratori dall'Italia;
          nella circolare succitata si parla inoltre di pro rata estero da prendere in considerazione per raggiungere l'importo soglia e non, come dovrebbe invece essere per ragioni di prassi e di logica, della cosiddetta pensione teorica in modo da salvaguardare anche i diritti di coloro i quali ancora non sono diventati titolari di pensione estera nel momento in cui maturano il diritto a pensione italiana con il meccanismo della totalizzazione e nel sistema contributivo  –:
          quali misure intenda adottare il Ministero interrogato per chiarire che il principio dell'assimilazione dei territori al fine di soddisfare l'importo soglia si applica anche alle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale e che tale importo può essere raggiunto, sia in regime comunitario che in quello bilaterale, prendendo in considerazione la pensione teorica e non l'effettivo pro rata estero evitando cosìdisparità di trattamento tra i nuovi pensionati italiani in convenzione titolari gli uni di un pro rata estero e non titolari gli altri di tale pro rata. (4-17655)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


      GALLI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il TAR Piemonte ha accolto la richiesta di sospensione del calendario venatorio 2012-2013 predisposto dalla regione Piemonte, avanzata nel ricorso avverso tale atto regionale presentato dalle associazioni LAC (Lega abolizione caccia), Pro Natura e Fondazione per l'Ecospiritualità, ricorso che sarà trattato nel merito il prossimo 23 ottobre 2012, e alla base del quale vi sarebbero le seguenti ragioni: mancanza del piano faunistico venatorio regionale, assenza della valutazione d'incidenza prevista per la rete Natura 2000 e non rispetto del parere Ispra con riguardo ai periodi della caccia;
          a seguito di tale sospensione, la prevista apertura dell'attività venatoria del 16 settembre non è potuta avvenire regolarmente;
          con una delibera d'urgenza assunta dalla giunta regionale piemontese il 14 settembre, immediatamente esecutiva, che recepisce i rilievi formulati da Ispra, si consente da sabato 15 settembre la selezione degli ungulati e da domenica 16 settembre la caccia al cinghiale, mentre per le specie ornitiche e leporidi di dovrebbe partire il 30 settembre;
          le associazioni interessate hanno annunciato che ricorreranno ulteriormente avverso la delibera regionale;
          i circa 30.000 cacciatori piemontesi hanno comunque pagato anticipatamente una tassa regionale stimabile in 2.000.000 di euro, una tassa governativa di circa 5.000.000 di euro e il contributo richiesto dagli Ambiti territoriali caccia provinciali di circa 3.000.000 di euro, e subiscono un danno non solo morale, ma anche economico, dovuto alla sospensione di un proprio diritto causa l'errore della regione;
          l'incertezza legata ai futuri ricorsi annunciati potrebbe anche risolversi con l'accoglimento degli stessi e con la definitiva cancellazione dell'attività venatoria per la stagione 2012-2013 in tutto il Piemonte, unica caso in Italia;
          oltre alla lesione del diritto dei cacciatori, diritto riconosciuto con leggi nazionali, seppur nei limiti delle competenze regionali, va considerato il danno derivante ai singoli per la parte di tassazione versata per un'attività che non possono esercitare, ed il danno economico che hanno già subito e che rischiano di subire le attività correlate, dalle aziende faunistico venatorie agli allevamenti di selvaggina, al comparto delle armerie e dell'indotto  –:
          come intendano agire per garantire che possa essere praticato il diritto dei cacciatori a esercitare l'attività venatoria, la cui regolamentazione è devoluta alle regioni che ne devono assicurare la fattibilità anche assicurando l'esercizio dei poteri previsti ai sensi dell'articolo 14, comma 15, della legge n.  157 del 1992;
          se sussistano i presupposti per un rimborso delle tasse erogate dai cacciatori proporzionate al tempo di interruzione dell'attività dal 16 al 30 settembre, e nel caso di accoglimento di ulteriori ricorsi e di totale sospensione del calendario venatorio 2012-2013 per l'intero periodo stagionale;
          se si intenda, in caso di sospensione da parte del TAR Piemonte dell'intero programma venatorio 2012-2013, tenendo conto dell'ulteriore danno che la sospensione dell'attività venatoria provocherebbe all'ambiente e all'ecosistema non potendo regolare l'impatto delle specie nocive sugli stessi, ed essendo la materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117 Costituzione, valutare i presupposti per esercitare il potere sostitutivo;
          se non si intenda verificare, anche l'aderenza alle direttive comunitarie in materia di quanto posto in essere dalla regione Piemonte. (3-02476)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      NEGRO e RAINIERI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 10 settembre il Parlamento europeo riunito in sessione plenaria per l'esame della proposta di regolamento COM (2011) 525 che modifica il Regolamento CE 1760/2000 relativo alle norme sulla identificazione e registrazione dei bovini, ha votato a favore della cancellazione del sistema di etichettatura facoltativa delle carni bovine;
          la bocciatura dell'emendamento che prevedeva il mantenimento della disposizione sulla etichettatura volontaria rappresenta una sconfitta sia per i consumatori, che sempre più insistentemente chiedono di sapere cosa mangiano, che per gli allevatori, in particolare italiani, che lavorano sulla qualità e sull'eccellenza dei loro prodotti;
          l'etichettatura facoltativa per le carni bovine ha rappresentato uno strumento utile ad arginare l'industria dell'anonimato e della contraffazione e appare tanto più grave che la sua cancellazione sia stata votata dal Parlamento, unica istituzione comunitaria ritenuta vicina alle esigenze dei cittadini e lontana dagli interessi delle lobby nordeuropee che spesso plasmano le decisioni di Bruxelles;
          i disciplinari di etichettatura facoltativa relativi alla razza, all'alimentazione e all'allevamento garantiscono la precisione e l'affidabilità delle informazioni fornite e l'assenza di un quadro normativo di riferimento favorirà la diffusione di indicazioni non verificabili a scapito della sicurezza alimentare del consumatore;
          posto che la politica di qualità nell'agroalimentare è una delle priorità dell'Unione europea e che i consumatori europei accordano sempre maggior attenzione alla qualità e genuinità degli alimenti, motivare la cancellazione dell'etichetta facoltativa adducendo che gli elevati costi e oneri amministrativi a carico degli Stati membri non sarebbero proporzionati ai benefici offerti dal sistema, appare altresì pretestuoso e sembra invece favorire una sorta di uniformazione a cui spesso l'Europa ci costringe e che nel settore alimentare penalizza particolarmente il nostro Paese, leader, nelle produzioni alimentari di eccellenza;
          appare infatti inopportuna la cancellazione di un sistema che è facoltativo e la cui applicazione viene decisa dalla filiera, e si giustifica unicamente come tentativo di omologazione nella misura in cui informazioni supplementari ad un prodotto di qualità aggiungono valore all'alimento ma indirettamente discriminano tutti gli altri che non possono vantare eguali caratteristiche di pregio e qualità  –:
          di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritenga urgente intervenire presso le competenti sedi comunitarie al fine di garantire la corretta informazione ai consumatori e tutelare gli allevatori italiani non privandoli di strumenti atti a distinguere la loro produzione. (5-07917)

Interrogazione a risposta scritta:


      MARMO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il comparto zootecnico italiano e piemontese in particolare ha investito nella qualità del prodotto, attraverso un'attenta filiera di allevamento, che ha promosso la scelta delle razze animali, l'alimentazione corretta, la salute animale;
          tale filiera è attentamente normata da protocolli di allevamento e da verifiche da parte di enti terzi che ne garantiscono la tracciabilità;
          tale scelta industriale ha garantito un'alta qualità del prodotto finale, sia che si parli di carni che di lattiero – caseari, configurando così il decantato «made in Italy» riconosciuto in tutto il mondo;
          tutto ciò ha comportato per gli operatori ingenti investimenti economici e temporali per garantire ciò che oggi possiamo immettere sul mercato;
          le plenaria del Parlamento europeo ha dato il via libera alla proposta della Commissione europea che, di fatto, rinvia di 5 anni l'obbligo dei chip per i bovini, quindi la tracciabilità delle carni;
          la stessa ha modificato lo schema attuale di etichettatura volontaria delle carni, inficiando l'etichettatura facoltativa;
          tali scelte vanno nella direzione di non consentire una chiara informazione al consumatore finale, rendendo poco chiari e trasparenti gli acquisti;
          tali scelte vanno verso una standardizzazione al basso della qualità delle produzioni, non valorizzando le produzioni di eccellenza;
          si palesa un sicuro danno al nostro comparto zootecnico che ha fatto della qualità un marchio di produzione, attraverso anni di ricerca ed investimenti;
          si palesa un danno al consumatore finale che vede mancare la trasparenza e la tracciabilità dei prodotti posti sul mercato  –:
          quali azioni intenda porre in essere a tutela della qualità dei nostri prodotti zootecnici in sede di Commissione europea. (4-17665)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


      BURTONE. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nello scorso mese di aprile Gerardo Ciminelli 25enne di Montalbano Jonico è stato colpito da un arresto cardiaco nel sonno e oggi versa in stato vegetativo;
          attualmente è ricoverato presso la struttura sanitaria di Fontanellato di Parma;
          purtroppo a questo dramma se ne aggiunge un altro: la famiglia non riesce a portare il ragazzo a casa poiché non è proprietaria di un immobile e i privati non affittano considerati i lavori che sarebbero necessari per affrontare una simile degenza;
          da quello che si legge dagli organi di informazione, poiché il caso è stato sollevato a mezzo stampa si assiste ad un rimpallo di competenze tra amministrazione comunale di Montalbano Jonico, prefetto e Ater;
          resta il dramma di un caso umano che merita attenzione e risposte per il rispetto della dignità umana avendo ben presente che in regione Basilicata non vi sono strutture sanitarie come le case del risveglio, quella più vicina è a Crotone, o in Campania  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per cercare una soluzione per fronteggiare situazioni come quella descritta in premessa. (3-02475)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riferito dal garante dei detenuti di Livorno, dottor Marco Solimano, nel carcere delle Sughere «le condizioni di vita dei detenuti sono tutt'altro che migliorate. Una relazione dell'Asl ha stabilito che all'interno del carcere a causa delle condizioni fatiscenti c’è rischio di contrarre tubercolosi e scabbia e quindi diventa anche un pericolo per la salute pubblica. Per questo si potrebbero anche percorrere vie istituzionali per mettere in mora il ministero»;
          sempre secondo quanto riferito dal garante e riportato dal quotidiano Il Tirreno del 29 maggio 2011, nel carcere di Livorno ci sono due docce per 65 persone. Nelle docce sono cresciute muffe e muschio. Sono terminati i disinfettanti, le lenzuola non vengono cambiate con regolarità. Le celle sono poco più di 8 metri e ci stanno in tre dove sono chiusi per 20 ore: devono fare i turni perché uno di loro faccia tre passi in un metro e mezzo  –:
          se intenda dotare il carcere di Livorno di un numero di docce proporzionato alla quantità dei detenuti ivi presenti;
          se intendano, negli ambiti di rispettiva competenza, procedere ad una ispezione all'interno del predetto istituto di pena al fine di verificare se quanto detto dal garante dei diritti dei detenuti corrisponda al vero e, nel caso fossero riscontrate situazioni non tollerabili dal punto di vista igienico-sanitario, assumere urgentemente gli opportuni provvedimenti;
          a quando risalga l'ultima relazione della ASL in merito ai requisiti igienico-sanitari di tutti gli ambienti del carcere di Pavia e cosa vi sia scritto in tale relazione.
(5-07891)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA il 10 luglio 2012, un detenuto di 28 anni, italiano, è morto dopo aver inalato il gas di una bomboletta nell'ospedale psichiatrico giudiziario a Barcellona Pozzo di Gotto;
          la notizia è stata resa nota da Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, il quale ha dichiarato: «Bisogna rivedere la possibilità che i detenuti continuino a tenere questi oggetti nelle celle per cucinare e riscaldare cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario. Si sta accertando se si tratta di un suicidio o, come è più probabile, di un decesso avvenuto dopo avere sniffato il gas»  –:
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza fossero in atto nei confronti dell'internato al momento dell'avvenuta inalazione di gas; a tal fine, se non si ritenga opportuno avviare, per quanto di competenza, una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti dell'uomo morto fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
          se il Governo non ritenga urgente assumere impegni precisi e opportune iniziative, in ottemperanza a quanto previsto dall'articolo 135, commi 2 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 giugno 2000, n.  230, al fine di fornire alle strutture carcerarie fornelli elettrici per scoraggiare un uso improprio dei fornelletti a gas di petrolio liquefatto;
          se il Governo non intenda stabilire, secondo quanto previsto dall'articolo 135, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 giugno 2000, n.  230, la quota forfetaria da addebitare ai detenuti per l'uso dell'energia elettrica necessaria per il funzionamento dei fornelletti elettrici;
          quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare così da consentire alle ASL di prendere in carico le persone internate facendole dimettere all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi-individuali così come previsto dal decreto-legge n.  211 del 2011. (5-07935)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la stampa ha reso noto il caso di Salvatore Iaconesi, un cittadino che ha condiviso la sua cartella clinica online dopo che gli è stato diagnosticato un tumore;
          l'ingegnere ha così raccontato così alla stampa la sua vicenda: «Ho un tumore al cervello, ieri sono andato a ritirare la mia cartella clinica digitale: devo farla vedere a molti dottori. Purtroppo era in formato chiuso e proprietario e, quindi, non potevo aprirla né con il mio computer, né potevo mandarla in quel formato a tutti coloro che avrebbero potuto salvarmi la vita. L'ho craccata. L'ho aperta e ho trasformato i suoi contenuti in formati aperti, in modo da poterli condividere con tutti»;
          a causa dell'impossibilità di ottenere le informazioni digitali in formato aperto, ha creato un sito web http://artisopensource.net/cure/ e grazie ad esso il Iaconesi, in una sola giornata, è riuscito a mettersi in contatto con due medici che hanno potuto rapidamente consultare le sue analisi e fornirgli delle indicazioni. La digitalizzazione delle informazioni sanitarie è uno strumento utilissimo perché annulla le distanze e i tempi, consentendo alle persone malate di raggiungere – potenzialmente – chiunque, ovunque;
          l'iniziativa di Artiopensource però dice molto altro. Non è solo un sito che potrà dimostrarsi utile per chi l'ha creato, ma per moltissime altre persone. In primo luogo perché crea un modello, una pratica replicabile che potrebbe essere portata a sistema, diventare prassi in tutti quei casi per i quali il consulto con medici specialisti può fare la differenza tra la vita e la morte. Si pensi per un momento alle possibili applicazioni: una su tutte quella sulle malattie genetiche rare. Malattie difficili da gestire proprio perché manca la possibilità di accedere ad una casistica significativa, la base dell'attività clinica: l'esperienza  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se non ritenga utile e opportuno assumere iniziative normative per consentire all'amministrazione sanitaria la consegna ai pazienti di cartelle cliniche digitali in formato aperto e non più in quello chiuso e proprietario attualmente in uso. (4-17657)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa hanno reso noto il caso di una donna sottoposta a pratiche di fecondazione assistita e diagnosi preimpianto che ha scritto una lettera-denuncia contro legislatore e Governo;
          «Chi vi scrive è incinta di 15 settimane, una gravidanza avuta con l'accesso alla legge 40, o meglio, con quanto di umano di questa legge è stato ottenuto grazie alle sentenze dei giudici dei tribunali e della Corte Costituzionale;
          è grazie infatti ad una pronuncia della Suprema Corte, nello specifico quella che cancella l'obbligo d'impianto di tre embrioni, che mi sono sentita di poter accedere alla tecnica di fecondazione assistita e sempre grazie a quella pronuncia ho potuto opporre un netto rifiuto alla richiesta di impianto di tre embrioni, sulla scia di argomentazioni puramente statistiche, legate all'età della sottoscritta e alla risposta di un corpo, che invece, come molte donne sanno, ha leggi ben diverse da quelle meramente scientifiche;
          il mio corpo, lo sapevo con assoluta certezza, era più che pronto per una gravidanza, non per due o tre, per una e una sola, perché non c’è alcun automatismo tra il volere un figlio e portarsene a casa tre, la scelta di una maternità consapevole passa anche per questa libertà di scelta;
          ora vivo sospesa, in attesa dell'esito di un'altra sentenza, quella dell'amniocentesi, infatti, pur avendo 41 anni, non essendo né io né il mio compagno portatori di malattie genetiche, non abbiamo potuto accedere ad una diagnosi preimpianto;
          diversamente avremmo potuto fare in Belgio, dove lavora il mio compagno come anche in quasi tutto il resto d'Europa, ma le donne normali, che fanno lavori normali, ammesso ce l'abbiano, trovano alcune difficoltà logistiche di non poco conto a lasciare lavoro e figli per trasferire armi e bagagli altrove per almeno un mese, nella più rosea delle prospettive;
          così rimango sospesa, con il mio bambino o bambina che già pensa di farmi le bolle nella pancia, in attesa di sapere se in quel mare di bolle posso immergere tutta me stessa, pancia, testa, cuore, due battiti in un solo respiro;
          la sentenza della Corte di Strasburgo fa giustizia di tutto questo scempio, sana la palese contraddizione di una legge prigioniera di un furore ideologico, che scelse di non consentire la diagnosi preimpianto, vista la libertà riconosciuta da un'altra legge la 194, quella sì frutto di civiltà giuridica, di interrompere la gravidanza, come se per il corpo e il cuore di una donna sia la stessa cosa rinunciare all'impianto di un embrione malato o interrompere una gravidanza in uno stadio avanzato;
          questo perché oggetto di tanto furore ideologico è ancora una volta il corpo della donna, o meglio quel potere antico di generare la vita, unico che non consente l'accesso ai maschi, che nel frattempo hanno ben pensato di depredare tutte le altre forme di potere, dalle quali ci tengono fuori con antica pervicacia. Un legislatore fintamente neutro, perché partecipato all'80 per cento da uomini, ha pensato di scrivere quest'orrore giuridico, condannando le donne con opportunità maggiori a forme di turismo procreativo e quelle con meno opportunità a sentirsi dire che il legittimo desiderio di avere un figlio sano si chiama eugenetica, parola quanto mai fuori luogo e contesto;
          eppure questa palese contraddizione, ripetutamente sottolineata da chi si opponeva all'approvazione di questa legge, non può essere semplicemente sfuggita, il sospetto dapprima strisciante e poi sempre più concreto leggendo le dichiarazioni di questi giorni, è che di questa contraddizione fossero ben consapevoli e che l'obiettivo ultimo di questo furore sia un'altra legge la 194 appunto, che ha garantito a milioni di donne l'accesso ad una maternità consapevole. Non è mancato chi, infatti, proprio in questi giorni ha pensato bene di sostenere che per sanare la contraddizione sottolineata dalla Corte europea, basti semplicemente porre mano alla 194;
          al Governo Monti, che pensa di fare ricorso contro questa sentenza mi pare opportuno suggerire di astenersi, anzitutto perché al momento si assiste ad una macroscopica violazione dell'articolo 3 della Costituzione tra coppie sterili e portatrici di malattie genetiche, che grazie alle sentenze possono accedere alla diagnosi preimpianto e coppie fertili portatrici delle stesse malattie che alla diagnosi non possono accedere. Ma al di là delle argomentazioni di rango costituzionale, di esclusiva spettanza dei giudici della Suprema Corte, le ragioni di un'astensione da qualsiasi forma di ricorso a tutela dei brandelli di questa legge, risiedono in motivi squisitamente di opportunità politica;
          alle forze politiche, invece, nuovamente confermate dal voto, il compito di assumersi la responsabilità di riscrivere questa legge, avendo ben chiaro che la crisi della democrazia rappresentativa è passata anche di qui, attraverso l'approvazione di disposizioni palesemente inique e persecutorie. Ai soloni di queste ore pronti a puntare il dito contro gli integralismi di altri Paesi, per poi erigersi a custodi di quello che abita in casa loro, ricordo che proprio in questi giorni in una terra molto più vicina di quanto si creda, le donne tunisine sono scese in massa per le strade per rifiutare di barattare l'eguaglianza costituzionale, che spetta loro da decenni con una complementarietà;
          e nel caso avessero la memoria corta, vorrei ricordare che il 13 febbraio del 2011, le donne italiane sono scese in piazza, con la più grande manifestazione che il nostro Paese ricordi, per dire che la loro dignità era il limite invalicabile oltre il quale non era più consentito passare, salvando così tutti, cittadine, cittadini e istituzioni dalla rappresentazione oscena e senza vergogna che in quei giorni l'Italia intera subiva. Ebbene, sappiano quei soloni, che le donne italiane tutte, senza distinzione alcuna, giovani, meno giovani, con pance piene o vuote, con volti più o meno rugosi, con culture politiche diverse, laiche e cattoliche, tutte, se necessario, scenderanno nuovamente in piazza a difesa di un presidio di civiltà giuridica e tutte in una sola voce ripeteremo: non si passa.»;
          poiché è la prima volta in assoluto che la cosiddetta legge 40 viene espressamente censurata per contrasto con la cosiddetta legge 194, elemento di fondamentale importanza perché la legge sull'aborto è sì norma ordinaria ma, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, a «contenuto costituzionalmente necessario oltre che vincolato». La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha sottolineato, senza lasciare adito a dubbi, «l'incoerenza del sistema legislativo italiano che da una parte priva i richiedenti dell'accesso alla diagnosi genetica preimpianto, e dall'altra li autorizza a effettuare un'interruzione di gravidanza terapeutica quando il feto è affetto da questa stessa patologia»;
          si consideri che il punto di diritto sollevato dal giudice sovranazionale sarà, come è facile intuire, una premessa ulteriore su cui fondare ricorsi per la presentazione di domande che eccepiscano la questione di illegittimità del divieto di fecondazione eterologa innanzi alla Corte costituzionale;
          essa aprirà un nuovo capitolo di epurazione dall'ordinamento di norme dal contenuto palesemente incostituzionale che, analogamente a quanto avvenuto con riguardo alla procreazione medicalmente assistita (Pma) eterologa, approderà ben presto anche nelle nostre aule di tribunale;
          questa a loro volta, come detto, investiranno del problema ancora una volta la Corte costituzionale chiamandola a pronunciarsi sulla conformità agli articoli 2, 3, 13 e 32 del divieto di accesso alle tecniche per i soggetti fertili ma affetti da patologia genetica trasmissibile alla prole. A costoro infatti, la legge 40, in maniera del tutto irragionevole, lascia solo la crudele scelta di concepire un figlio malato salvo poi la possibilità di optare per l'aborto terapeutico. Non da oggi noi radicali abbiamo sostenuto con forza tale argomento nei vari ricorsi presentati a partire dal 2005. Solo oggi però con tutta la sua autorevolezza la Cedu riprende la questione e la pone al centro del proprio ragionamento di censura della legge n.  40 del 2004 con ogni effetto conseguenziale su altre questioni che rimangono aperte: eterologa, divieto assoluto di sperimentazione sull'embrione, irrevocabilità del consenso;
          la pronuncia con cui è stato censurato il nostro ordinamento giuridico incide pesantemente su un aspetto essenziale della legge che finora era stato affrontato solo con una isolata ordinanza dal Tribunale di Salerno nel 2010: la questione dei requisiti per l'accesso alla Pma. Infatti se dopo le numerose ordinanze dei tribunali di merito (Cagliari e Firenze nel 2007 e Tar Lazio nel 2008) e infine della Corte costituzionale (sentenza 151 del 2009), non vi sono più dubbi, almeno in punto di diritto, sulla legittimità della diagnosi genetica per impianto, la questione rimaneva ancora controversa per le coppie che sterili non sono. Accogliendo le ragioni della coppia che ha fatto ricorso a Strasburgo e delle associazioni di portatori di patologie genetiche trasmissibili, secondo i giudici europei tale limite viola «il diritto al rispetto della vita privata e familiare» (articolo 8 Convenzione europea diritti dell'uomo) in quanto, spiega Baldini, «incide su una scelta personalissima dell'individuo che lo Stato non si può arrogare il diritto di compiere»;
          la censura pare estendersi anche all'articolo 14 della Convenzione («divieto di discriminazione») quantomeno sotto il profilo della ragionevolezza, posto che un'altra legge, la n.  194 del 1978 sull'interruzione di gravidanza, consente l'aborto terapeutico determinando così un'ingiustificata discriminazione tra queste coppie e quelle cui precludendo loro la possibilità di diagnosi preimpianto, viene di fatto impedito di operare preventivamente e con minori danni, alla salute della madre e del concepito in dipendenza del suo stadio di sviluppo, una scelta che comunque con oneri morali e materiali ben maggiori la coppia è legittimata a compiere successivamente  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e se, poiché lo Stato a livello internazionale è rappresentato dal potere esecutivo, piuttosto che ricorrere contro la sentenza della Corte internazionale di Strasburgo che ha condannato la nostra legislazione, non consideri opportuno contribuire ad rendere conforme la legge domestica ordinaria ai supremi principi contenuti nella nostra Carta costituzionale, quelli provenienti dalla giurisprudenza sovranazionale nonché quelli dettati dal senso di umanità, dal buon senso, atteggiando il proprio comportamento al vertice dell'amministrazione sanitaria a quello che la nostra legislazione codicistica definisce, con linguaggio vetusto, propria «del buon padre di famiglia». (4-17659)


      SCILIPOTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la regione Campania, con la legge n.  19 del 10 luglio 2012, ha istituito per il territorio regionale campano il «registro tumori» un eccellente strumento per il monitoraggio sanitario della popolazione;
          tale registro costituisce un passo importante e decisivo verso la realizzazione di un dispositivo sanitario essenziale in una regione come quella campana, tristemente nota agli onori della cronaca perché colpita da fenomeni quali lo smaltimento abusivo di rifiuti tossici e l'incenerimento o raccolta a discarica di quelli ordinari che potrà diminuire, e non esplodere nuovamente come emergenza nazionale, solo se solo la raccolta differenziata diventa davvero un fatto sistematico e non episodico della amministrazione locale campana;
          in nessuna struttura ospedaliera italiana, pubblica o privata, c’è l'obbligo di archiviare i dati relativi alla diagnosi e alla cura dei tumori e diventa difficile tenere sotto controllo le patologie oncologiche perché nessuno si assume il compito di raccogliere in modo sistematico le informazioni, di codificarle e archiviarle per la ricerca scientifica;
          i dati raccolti dal suddetto registro sono essenziali per le indagini sulle cause del cancro, per la valutazione dei trattamenti da adottare, per la progettazione di interventi di prevenzione e per la programmazione delle spese sanitarie;
          venerdì 14 settembre 2012, il Governo ha impugnato davanti alla Corte costituzionale la legge istitutiva regionale di cui sopra, con la giustificazione giuridica che essa «contiene alcune disposizioni in contrasto con il piano di rientro dal disavanzo sanitario» pur essendo il costo a carico della regione stimato intorno a circa un milione e mezzo di euro all'anno e se pure non è possibile direttamente e facilmente stimare di quanto, l'attuazione della misura produce certamente dei benefici non solo in risparmio di vite umane ma anche in termini economici in considerazione delle spese che si sostengono per l'assistenza e la cura dei malati di cancro  –:
          se il Governo intenda con urgenza ritirare l'atto di impugnazione cercando invece di colpire altre aree di potenziale spreco della sanità campana;
          se il Governo non intenda, con apposita iniziativa normativa rendere obbligatoria la raccolta dei dati relativi alla diagnosi e alla cura dei tumori elaborando in sede ministeriale poi i dati mettendoli in relazione con altri provenienti dagli studi relativi al tabagismo, all'impatto del mercurio nell'amalgama dentale o alla presenza di amianto e altre sostanze tossiche nel territorio, per potere avere dati scientifici certi da condividere con il parlamento e le autorità sanitarie onde potere meglio spendere le risorse pubbliche, specie quelle relative alla ricerca, e controllare anche negli anni i risultati delle risorse investite. (4-17666)


      REGUZZONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la fragilità e la deformabilità ossea sono caratteristiche comuni dell'osteogenesi imperfetta (01): definizione che comprende un gruppo molto eterogeneo di malattie ereditarie del tessuto connettivo. Si associano, in misura variabile, altre anomalie dei tessuti extrascheletrici come le sclere, i denti, la cute, i legamenti. La presenza o meno di queste alterazioni e la loro diversa gravità danno luogo a una notevole variabilità del quadro clinico, dalle forme molto gravi a quelle forme moderate o molto lievi, che si manifestano solo con una diminuzione della resistenza ossea. Si tratta comunque di bambini dalla costituzione fisica minuta, con testa voluminosa, intelligenza normale e grande capacità di adattamento alla loro patologia. La fragilità ossea con osteoporosi rappresenta la caratteristica comune della sindrome. Ciò comporta fratture ricorrenti, anche per traumi minimi. La guarigione avviene rapidamente, ma spesso in maniera viziata, con tendenza a deformità della colonna vertebrale e degli arti, che possono incurvarsi e deformarsi progressivamente, anche in assenza di evidenti fratture  –:
          se e quali iniziative il Governo abbia attuato o intenda attuare ai fini di:
              a) promuovere una migliore conoscenza della patologia in argomento che permetta di sviluppare terapie efficaci e prassi condivise sia in Italia sia a livello internazionale;
              b) sviluppare la ricerca in questo settore.
          quali ricerche scientifiche o trial clinici riguardanti la patologia in argomento siano in corso nel nostro Paese, e quali siano le relative tempistiche, i risultati raggiunti e l'impegno del settore pubblico al riguardo. (4-17673)


      DI PIETRO. —Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con deliberazione n.  1 del 12 gennaio 2006 della gestione liquidatoria della ex-ASL n.  4 Basso Molise è stato retribuito a quaranta dipendenti (25 infermieri, 8 chirurghi e 7 anestesisti) dell'ospedale di Termoli, il rischio radiologico relativo agli anni a cavallo tra il 1988 e il 1995 sulla base di una sentenza del Tar che li ha riconosciuti «professionalmente esposti alle radiazioni» su certificazione rilasciata dal responsabile in materia di radioprotezione;
          è la commissione tecnica e non l'esperto qualificato addetto al servizio di sorveglianza in materia di radioprotezione a stabilire, caso per caso, se il lavoratore è «professionalmente esposto alle radiazioni» (legge n.  230 del 1995);
          è stata erogata l'indennità collettiva di 2,4 milioni di euro dal presidente della regione Michele Iorio – per quanto risulta all'interrogante senza un atto ufficiale dell'esecutivo e senza che fosse informato il consiglio regionale – e accreditata alla gestione liquidatoria ex-asl n.  4 e non, come di competenza, al direttore generale dell'azienda sanitaria;
          la sopraindicata delibera, che porta la firma del Commissario ad acta per l'esecuzione delle sentenze del TAR Molise n.  782 e 783 del 2005, ha riconosciuto collettivamente a quaranta lavoratori l'indennità di rischio da radiazioni, nella misura di 200.000 lire lorde mensili (equivalenti degli attuali 103,29 euro), ai sensi dell'articolo 1, comma 2 della legge n.  460 del 1988 nonché del diritto al congedo aggiuntivo di 15 giorni annui e per la condanna dell'Azienda sanitaria locale n.  4 Basso Molise a corrispondere la predetta somma mensile a far data dal marzo 1994, oltre interessi e rivalutazione monetaria a far tempo dal maturare dei singoli crediti;
          l'indennità piena di rischio radiologico che dà diritto a un risarcimento economico e alle ferie biologiche non è una retribuzione ma una misura preventiva (Corte costituzionale – sentenza 430/92) che viene corrisposta solo per i mesi di effettiva e documentata esposizione alle radiazioni;
          le ferie biologiche aggiuntive di 15 giorni annui sono «ferie personali» del lavoratore esposto alle radiazioni, vanno obbligatoriamente godute nell'anno di riferimento, non possono essere monetizzate se non godute e hanno una funzione specifica ovvero «la decontaminazione delle dosi radioattive assorbite nel corso di un anno di lavoro continuo e permanente con i mezzi radio-diagnostici e il ripristino dell'integrità fisica»; è il datore di lavoro e non il direttore del personale ad autorizzare individualmente le ferie biologiche dietro certificazione individuale del primario  –:
          se non ritenga di promuovere verifiche, per quanto di competenza, in ordine alle notizie riportate in premessa, anche al fine di valutare l'eventuale adozione di iniziative normative per assicurare un corretto ed omogeneo funzionamento dell'indennità e delle ferie biologiche sopra citate. (4-17685)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


      GRASSANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere — premesso che:
          dal conto nazionale delle infrastrutture e dei trasporti 2010-2011 del Ministero si evince che la spesa per il mantenimento delle auto, negli ultimi 20 anni, è più che raddoppiata, passando da 47,8 miliardi a 103,7 miliardi di euro;
          di tale spesa, quella per i carburanti, ammonta a quasi la metà ed il costo, sempre negli ultimi 20 anni, è aumentato del 170 per cento;
          gli italiani hanno speso per benzina e gasolio oltre 41 miliardi di euro nel 2010, mentre nel 1990 ne spendevano poco più di 15 miliardi;
          il prezzo dei carburanti ha come riferimento l'andamento del prezzo del petrolio;
          il prezzo del petrolio negli ultimi dieci anni è triplicato, passando da 30 dollari al barile del 2002 ai circa 95 dollari del giugno 2012, con un picco nel 2008 di circa 140 dollari al barile;
          tale andamento del prezzo è determinato dai quantitativi di produzione del greggio e dalle tensioni politiche tra Paesi consumatori e Paesi produttori;
          il prezzo al 30 agosto 2012 della benzina verde oscilla tra gli euro 1,82 e gli euro 1,929 ed il prezzo del diesel tra gli euro 1,701 e gli euro 1,819, con un riferimento del prezzo del petrolio di 95,45 dollari al barile;
          nel 2008 quando il prezzo del petrolio toccò il picco massimo di 146 dollari al barile, la benzina super costava circa 1,5 euro al litro;
          nella composizione del prezzo finale dei carburanti incide in maniera preponderante il peso delle accise che vengono incassate dallo Stato centrale e dell'iva;
          questo aumento dei prezzi dei carburanti incide in maniera devastante sui costi agricoli, rendendo il comparto poco concorrenziale in Europa e nel mondo;
          l'aumento incide anche sui costi alimentari, considerando che un pasto per giungere sulla tavola delle famiglie percorre mediamente circa 2.000 chilometri, causando un ulteriore aggravio ai bilanci domestici  –:
          se e quali iniziative si intendano mettere in atto al fine di calmierare il prezzo dei carburanti, valutando anche la riduzione del peso delle accise statali.
(3-02479)


      DI PIETRO, DONADI, EVANGELISTI, BORGHESI e MONAI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere — premesso che:
          secondo notizie non smentite il gruppo Mediaset avrebbe comunicato con lettera formale al gruppo Telecom Italia spa il suo interesse all'acquisto della rete televisiva La7;
          tale notizia ha fatto seguito a precedenti voci, anche esse non smentite, circa un interesse della società Mediaset, che possiede e gestisce le infrastrutture di telecomunicazione del gruppo, all'acquisto delle infrastrutture di comunicazione di La7;
          ad avviso degli interroganti, ove queste operazioni di acquisizione dovessero essere concluse, risulterebbe azzerato quel poco di pluralismo televisivo attualmente esistente in Italia, venendosi a creare le condizioni per concentrare in modo definitivo nelle mani della famiglia dell’ex Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi, il controllo della quasi totalità dei canali televisivi nazionali in chiaro;
          inoltre, l'assenza di una norma, che definisca in modo chiaro ed incontrovertibile la disciplina dell'incompatibilità tra la titolarità di cariche di Governo e la proprietà di reti televisive, potrebbe rischiare di aggravare quel conflitto di interessi che da sempre colloca l'Italia tra i gradini più bassi della classifica internazionale sulla libertà ed il pluralismo dell'informazione;
          al riguardo si rammenta che, circa un anno fa, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua segnalazione del 1o marzo 2011, aveva ricordato che la presenza di rilevanti partecipazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in più di una rete televisiva nazionale rende questa materia particolarmente sensibile sotto il profilo del conflitto di interessi (legge n.  215 del 2004);
          la protezione del pluralismo informativo, come noto, rappresenta uno dei principi fondamentali dell'Unione europea (articolo 11, comma secondo, dalla Carta europea dei diritti fondamentali) e, in forza di ciò, la giurisprudenza della Corte di giustizia europea ha riconosciuto il diritto degli Stati membri a mantenere una legislazione speciale in materia, più restrittiva del diritto della concorrenza;
          la cosidetta legge Gasparri (legge n.  112 del 2004), poi modificata dal testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n.  177, ha riformato il sistema radiotelevisivo italiano tutelando, ad avviso degli interroganti, in modo evidente gli interessi economici del gruppo Mediaset. Detta legge ha, infatti, introdotto il «sistema integrato delle comunicazioni» (sic), definito come «il settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di internet; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni»;
          l'estensione illimitata del sistema integrato delle comunicazioni rende sostanzialmente inefficace il limite giuridico legato al concetto di posizione dominante, definita come la posizione di un soggetto che sia titolare di autorizzazioni che consentano di diffondere più del 20 per cento dei programmi televisivi o più del 20 per cento dei programmi radiofonici irradiabili su frequenze terrestri in ambito nazionale mediante le reti previste dal medesimo piano, oppure consegua ricavi superiori al 20 per cento dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni;
          alla luce di quanto previsto da tale norma, il limite antitrust del 20 per cento del sistema integrato delle comunicazioni potrebbe consentire al gruppo Mediaset di acquisire la televisione del gruppo Telecom (segnatamente La7), senza superare i limiti stabiliti dalla citata «legge Gasparri»;
          infatti, dall'ultima relazione al Parlamento presentata dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni emerge chiaramente come nessuno dei soggetti che operano nel sistema integrato delle comunicazioni ha superato, nel 2009, il limite dei ricavi (20 per cento del totale) stabilito dalla legge e, più in dettaglio, le imprese che fanno riferimento al gruppo Fininvest(Mediaset e Arnoldo Mondadori editore) raggiungono il 13,34 per cento, seguite da Rai con l'11,80 per cento e dal gruppo Newscorporation con l'11,58 per cento – costituito da Sky Italia (11,32 per cento) e Fox international channels Italy (0,26 per cento);
          appare quanto mai urgente modificare le norme della «legge Gasparri» che definiscono il sistema integrato delle comunicazioni, stabilendo una chiara separazione dei differenti mercati in inclusi nel sistema integrato delle comunicazioni ed introducendo nuove norme che prevedano chiare soglie per individuare una posizione dominante, al fine di proteggere la concorrenza ed il pluralismo;
          rispetto all'operazione di acquisizione di La7 da parte di Mediaset esistono dei limiti ben precisi, che in alcuni casi potrebbero impedire la definizione dell'operazione, ma in altri no. Il primo è quello imposto dalla Commissione europea e prevede che con il digitale terrestre ogni soggetto non possieda più di cinque multiplex, così invece Mediaset più La7 arriverebbero a otto. Più incerti sono invece i limiti del sistema integrato delle comunicazioni previsto dalla «legge Gasparri», che consentirebbe persino una simile acquisizione. Infine, esiste un terzo limite del 20 per cento sul totale dei programmi televisivi per ogni soggetto e, in questo caso, la somma tra quelli di Mediaset e de La7 potrebbe, di fatto, superare il tetto;
          purtuttavia, ad avviso degli interroganti, anche il limite fissato dalla legge sul numero dei canali irradiabili da parte di un medesimo operatore televisivo potrebbe essere messo in discussione, come in passato è accaduto con talune discutibili interpretazioni formulate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando nel 2009 ha ritenuto che Mediaset non avesse sforato il tetto del 20 per cento dei programmi televisivi nazionali previsto dalla «legge Gasparri» (i canali Premium e l'offerta a pagamento di Cologno Monzese non sono stati ritenuti veri e propri canali televisivi ma servizi della società dell'informazione). Inoltre, ad avviso degli interroganti, il limite alla raccolta pubblicitaria è stato vanificato dalla «legge Gasparri», che ha escluso una parte del mercato pubblicitario dall'insieme dei mercati che costituiscono il sistema integrato delle comunicazioni;
          non appare ad oggi chiaro se il limite di 5 multiplex stabilito per coloro che partecipano alla gara per l'assegnazione delle ulteriori frequenze sarà realmente rispettato, come pure se saranno osservati i labili limiti antitrust previsti dalla normativa nazionale;
          tenuto conto infine che nel nostro Paese su materie di rilevante importanza afferenti al pluralismo dell'informazione, il Governo è intervenuto sino ad oggi con ben trentadue provvedimenti normativi e spesso attraverso lo strumento della decretazione d'urgenza  –:
          se il Governo, al fine di evitare ulteriori lesioni del principio del pluralismo e nuove distorsioni al principio della concorrenza nel settore radiotelevisivo, non ritenga necessario adottare immediate iniziative normative urgenti per modificare radicalmente la «legge Gasparri» in modo da stabilire seri e chiari limiti antitrust che impediscano in modo definitivo ulteriori processi di concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione, definendo, altresì, una normativa chiara ed efficace in materia di conflitto di interessi.
(3-02480)


      LULLI, MARAN, BOCCIA, COLANINNO, FADDA, FRONER, MARCHIONI, MARTELLA, MASTROMAURO, PELUFFO, PORTAS, SANGA, SCARPETTI, FEDERICO TESTA, VICO, ZUNINO, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere — premesso che:
          a sei mesi di distanza dalla conversione in legge del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (cosiddetto «decreto crescitalia»), molte delle misure rischiano di restare sulla carta: delle norme attuative previste dal decreto-legge, solo 11 sono state effettivamente emanate, mentre ancora 42 mancano all'appello, tanto che il Governo ha istituito un'apposita task force per la redazione del cronoprogramma delle misure da realizzare;
          se da un lato è positivo che la misura più importante, in termini di impatto economico, ossia la separazione della Snam rete gas dall’Eni, sia stata resa operativa nei tempi previsti, dall'altro va registrato che la seconda in ordine di importanza, l'istituzione dell'Autorità per i trasporti, è ancora ferma quando doveva essere operativa già dal mese di maggio 2012;
          si sta accumulando ritardo anche per l'ampliamento del numero di farmacie, così che dovrà passare ancora del tempo prima che ne aprano di nuove, le quali saranno comunque molte meno delle 5.000 a suo tempo stimate dal Governo;
          nel frattempo, in assenza di una vera concorrenza con il canale delle parafarmacie, non c’è traccia di sconti sui medicinali dispensati dalle farmacie convenzionate con il servizio sanitario nazionale, come invece previsto dal decreto-legge;
          anche per vedere aumentare il numero dei notai in servizio dovrà passare altro tempo, poiché non si hanno notizie né del decreto di revisione in aumento della pianta organica, né sullo stato dei posti messi a bando negli ultimi due anni per coprire le numerose sedi vacanti;
          in materia di carburanti, spetterà al Ministero dello sviluppo economico definire con decreto le nuove tipologie contrattuali per rendere più autonomi dalle compagnie petrolifere i rivenditori di carburante: le rispettive associazioni di rappresentanza non hanno trovato un'intesa, anche per una limitata incisività delle disposizioni legislative finalizzate a portare più concorrenza nella filiera petrolifera;
          situazione simile in campo assicurativo, dove l'operatività delle norme che avrebbero potuto comportare un contenimento dei premi della responsabilità civile auto ha trovato la ferma resistenza delle compagnie, stando a quanto dichiarato al Senato della Repubblica qualche settimana fa dal presidente dell'Isvap, ossia l'autorità che ha in corso di adozione le norme tecniche applicative e che nel frattempo il decreto-legge sulla spending review ha trasformato in Ivass;
          nonostante le nuove disposizioni, ad oggi non è cambiato nulla per quanto riguarda i costi delle transazioni elettroniche di moneta, né per gli esercenti né per i consumatori, essendo ancora inapplicato l'articolo 27 del citato decreto-legge n.  1 del 2012, che già aveva prorogato al 1o giugno 2012 il termine per definire le regole generali di riduzione delle commissioni per transazioni effettuate con carte di pagamento;
          per quanto concerne le professioni, si è ancora in attesa del varo definitivo del regolamento che dovrebbe disciplinare le società tra professionisti;
          in sostanza, con i provvedimenti legislativi sin qui approvati si è soltanto iniziato un percorso di effettiva liberalizzazione, tuttavia si rischia di mantenere lo status quo precedente a causa di rinvii e disapplicazioni, senza fornire alcun contributo concreto per la crescita economica e il sostegno alle nuove generazioni  –:
          quali siano le ragioni del ritardo nell'emanazione dei decreti attuativi delle norme in materia di liberalizzazioni, anche al fine di provvedere ad una loro sollecita approvazione. (3-02482)

Interrogazioni a risposta scritta:


      REGUZZONI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro dello sviluppo economico ha recentemente insediato un tavolo per il rilancio del comparto farmaceutico e individuare gli strumenti per rilanciare la crescita di un settore che il Governo ritiene strategico per lo sviluppo dell'economia nazionale;
          il Ministro ha dichiarato alla stampa che: «La farmaceutica è infatti un driver di sviluppo che incide fortemente sull'economia reale e impiega decine di migliaia di persone. Possiede inoltre buona capacità competitiva, basata principalmente sull'innovazione tecnologica e sulla ricerca: è dunque in questa direzione che il Governo intende concentrare il suo impegno per favorire il superamento delle criticità e supportare il rilancio produttivo del settore»  –:
          quali siano gli assi di sviluppo del lavoro di supporto al settore che il Ministro intende sottoporre al tavolo;
          se e quali azioni il Ministro intenda attuare ai fini di realizzare il condivisibile proposito espresso. (4-17678)


      REGUZZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro dello sviluppo economico ha recentemente dichiarato alla stampa che: «Ci sono margini per mettere più soldi in tasca alla gente ma che senza aumenti di produttività gli aumenti salariali saranno impossibili. Il Governo intende mettere le poche risorse che abbiamo come un'azione di supporto a quello che i sindacati porteranno al tavolo con gli imprenditori, speriamo già nei prossimi giorni e comunque il più presto possibile»  –:
          a quali e quante risorse il Ministro facesse riferimento;
          a quali modalità di «recupero di produttività» il Ministro intendesse riferirsi ed in che modo il Governo intenda supportarne la realizzazione. (4-17681)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa hanno reso noto il fatto che il nuovo consiglio di amministrazione della Rai, impegnato per evitare il dissesto finanziario della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, ha stabilito uno stipendio annuo di 650.000 euro lordi per il direttore generale Luigi Gubitosi;
          successivamente ha deciso la riduzione dello stipendio della presidente Anna Maria Tarantola a soli 366.000 euro, sempre lordi, con un risparmio pari a 87.000 euro rispetto a quanto percepito dal suo predecessore, Paolo Garimberti, che ne veniva retribuito per la sua opera con 450.000 euro;
          posto che il cosiddetto «decreto salva Italia» ha stabilito un tetto massimo per le retribuzioni dei dirigenti pubblici pari a 294.000 euro l'anno, i compensi di Tarantola e Gubitosi appaiono superiori a tale limite, nonostante essi siano dirigenti pubblici poiché non solo buona parte degli emolumenti provengono dal denaro pubblico incassato con il canone di abbonamento ma i bilanci della società sono soggetti alle norme della contabilità di Stato  –:
          se e quali iniziative intendano assumere, per quanto di loro competenza, al fine di verificare l'aderenza delle condizioni contrattuali del presidente e del direttore generale RAI con il tetto agli stipendi dei manager pubblici fissato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2012. (4-17684)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

      La risoluzione in Commissione Scarpetti e altri n.  7-00981, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Damiano, Gatti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta orale Goisis e altri n.  3-02474, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

      L'interrogazione a risposta scritta Crimi n.  4-17634, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Centemero, Barbieri.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Nicola Molteni n.  5-07800, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Di Pietro n.  4-16168 del 21 maggio 2012;
          interpellanza urgente Vitali n.  2-01598 del 16 luglio 2012;
          interpellanza Barbaro n.  2-01622 del 31 luglio 2012;
          interpellanza Delfino n.  2-01660 del 12 settembre 2012;
          interrogazione a risposta orale Grassano n.  3-02468 del 13 settembre 2012.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11636 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07815;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11640 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07816;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11642 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07817;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11643 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07818;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11644 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07819;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11645 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07820;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11647 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07821.
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11648 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07822;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11649 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07823;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11650 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07824;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11651 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07825;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11652 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07826;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11653 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07827;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11654 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07828;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11655 del 18 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07829;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11669 del 19 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07830;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11714 del 27 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07831;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11715 del 27 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07832;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11716 del 27 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07833;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11717 del 27 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07834;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11719 del 27 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07835;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11733 del 27 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07836;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11734 del 27 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07837;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11873 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07838;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11874 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07839;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11898 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07840;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11909 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07841;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11910 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07842;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11913 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07843;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11914 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07844;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11919 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07845;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11920 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07846;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11923 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07847;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11926 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07848;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11939 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07849;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-11957 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07875;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12039 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07876;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12040 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07877;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12041 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07878;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12042 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07879;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12043 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07880;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12044 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07881;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12045 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07882;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12114 del 30 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07883;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12172 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07884;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12173 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07885;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12175 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07886;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12177 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07887;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12178 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07888;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12179 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07889;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12180 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07890;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12181 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07891;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12194 del 6 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07892;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12214 del 7 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07893;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12248 dell'8 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07894;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12291 del 14 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07895;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12292 del 14 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07896;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12293 del 14 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07897;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12294 del 14 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07898;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12333 del 15 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07899;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12375 del 20 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07900;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12395 del 21 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07901;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12396 del 21 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07902;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12398 del 21 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07903;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12399 del 21 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07904;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12401 del 21 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07905;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12402 del 21 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07906;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12407 del 21 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07907;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12461 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07908;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12467 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07909;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12468 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07805;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12469 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07806;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12471 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07807;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12472 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07808;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12473 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07809;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12474 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07810;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12476 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07811;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12482 del 28 giugno 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07812;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12626 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07813;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12627 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07814;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12628 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07850;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12629 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07851;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12630 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07852;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12631 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07853;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12632 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07854;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12640 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07855;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12648 del 11 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07856;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12707 del 15 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07857;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12727 del 18 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07858;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12729 del 18 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07859;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12734 del 18 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07860;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12736 del 18 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07861;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12739 del 18 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07862;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12744 del 19 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07863;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12746 del 19 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07865;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12840 del 27 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07868;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12841 del 27 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07871;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12842 del 27 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07872;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12843 del 27 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07873;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12844 del 27 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07874;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12848 del 27 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07870;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12850 del 27 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07869;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-12996 del 3 agosto 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07867;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13009 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07866;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13010 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07864;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13011 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07952;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13012 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07951;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13013 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07950;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13040 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07949;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13041 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07948;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13042 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07947;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13043 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07946;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13044 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07945;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13045 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07944;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13046 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07943;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13047 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07942;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13048 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07941;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13051 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07940;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13061 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07939;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13087 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07938;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13088 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07937;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-13089 del 6 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07936;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16913 del 10 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07935;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16914 del 10 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07934;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16916 del 10 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07933;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16926 dell'11 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07932;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16978 del 16 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07931;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16979 del 16 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07930;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16985 del 16 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07929;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16987 del 16 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07928;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16990 del 17 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07927;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17116 del 25 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07926;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17127 del 25 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07925;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17137 del 25 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07924;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17177 del 31 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07923;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17179 del 31 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07922;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17180 del 31 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07921;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17185 del 31 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07920;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17187 del 31 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07919;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-17192 del 31 luglio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07918.