XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 20 settembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              nel gennaio 2011 la società Petroceltic Elsa ha presentato al Ministero dello sviluppo economico un progetto per la ricerca di idrocarburi nel mare Adriatico che, pur escludendo le aree interdette ai sensi del decreto legislativo 128 del 2010, prevede la perforazione del fondo marino fino ad una profondità massima di 2.800 metri;
              nel giugno 2011 la commissione per la valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato che tali attività potevano essere ammesse esclusivamente per la ricerca sismica con tecnica air-gun;
              nel mese di giugno 2012 i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per i beni e le attività culturali hanno sottoscritto il richiesto parere di compatibilità ambientale relativamente alla prospezione geofisica dell'area interessata dal progetto di ricerca;
              tale attività è propedeutica alla ricerca e coltivazione di idrocarburi;
              la decisione dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per i beni e le attività culturali e dello sviluppo economico è stata contestata formalmente, con ricorso al TAR del Lazio, dalle regioni Molise e Puglia già nel 2011, forti del consenso di gran parte delle istituzioni locali rivierasche e del sostegno popolare delle associazioni ambientaliste e di migliaia di cittadini organizzati in comitati civici;
              il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini ha dichiarato che il Governo, con la decisione di autorizzare le ricerche, non ha fatto altro che applicare la legge esistente, a suo parere una delle più rigide tra i Paesi del Mediterraneo a tutela dell'ambiente;
              il 9 novembre 2012 a Trieste è stata convocata una conferenza internazionale delle regioni adriatiche allo scopo di valutare le potenzialità di valorizzazione energetica del mare ed eventualmente pianificarne l'attuazione operativa;
              l'estrazione del petrolio e la sua raffinazione comportano un notevole dispendio di acqua che aggraverebbe il deficit idrico della zona costiera adriatica;
              l'acqua utilizzata per l'attività di ricerca rischierebbe di inquinare il terreno e la falda per via della sua contaminazione da zolfo e metalli pesanti;
              le perforazioni determinano l'incremento del rischio subsidenza, l'abbassamento del terreno a causa delle estrazioni di idrocarburi, talvolta accompagnato da micro terremoti e dissesti geologici particolarmente pericolosi in zone sismiche e ben noti nell'Alto Adriatico, dove le attività di estrazione sono state sospese anche per lunghissimi periodi a causa di tale fenomeno;
              l'attività di perforazione determina l'insorgenza di almeno 3 tipologie di incidente industriale, come esplosione di gas, fuoriuscita incontrollata di petrolio, collisioni di navi con la piattaforma, con il rischio di gravi conseguenze per gli addetti al ciclo produttivo e all'ambiente;
              il petrolio del basso Adriatico è valutato di pessima qualità, perché particolarmente bituminoso e contenente un alto grado di idrocarburi pesanti e zolfo;
              la salubrità delle acque marine dell'Adriatico è decisiva per valorizzare e promuovere il turismo e la pesca;
              le popolazioni, le istituzioni locali e regionali, i parlamentari, le organizzazioni economiche e le associazioni ambientaliste hanno contestato esplicitamente, con atti formali e manifestazioni pubbliche, la previsione che l'Adriatico possa diventare un bacino petrolifero,

impegna il Governo:

          a sospendere l'autorizzazione già rilasciata alla ricerca di petrolio nell'Adriatico, in attesa di conoscere gli esiti della conferenza internazionale di Trieste del 9 novembre 2012;
          ad assumere iniziative normative urgenti per l'istituzione nell'Adriatico della zona di protezione ecologica e della pesca, coincidente con la zona economica esclusiva, in cui siano vietate le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
(1-01141) «Bordo, Bellanova, Ginefra, Servodio, Vico, Mastromauro, Boccia, Fontanelli, Maurizio Turco, Naccarato, D'Antona».

Risoluzioni in Commissione:


      Le Commissioni X e XI,
          premesso che:
              la AnsaldoBreda, società controllata del comparto meccanico ferroviario, negli ultimi 6 anni ha dovuto ripianare perdite per un miliardo. I primi a farne le spese sono i 700 dipendenti delle circa 40 società dell'indotto e del cosiddetto «incentrato», attive intorno agli stabilimenti di Pistoia, Napoli, Reggio Calabria e Palermo;
              è ormai evidente, da diverse settimane, l'orientamento dell'amministratore delegato del Gruppo Finmeccanica Orsi, di dismettere aziende storicamente impegnate nei settori dell'energia e dei trasporti e in generale di scegliere l'abbandono del settore civile per impegnarsi soltanto in quello militare;
              a Pistoia e Reggio Calabria preoccupano le posizioni degli addetti dell'incentrato: lavorano in stabilimento, effettuano mansioni analoghe a quelle dei loro colleghi dipendenti di AnsaldoBreda, ma dipendono da società esterne e hanno trattamenti economici e tutele differenti. I sindacati, tra Toscana e Calabria, contano 10 società ascrivibili a questa tipologia per circa 400 dipendenti. La AnsaldoBreda rappresenta una grande risorsa occupazionale per Pistoia, con 900 lavoratori diretti e i migliaia che compongono l'indotto. Rischia di chiudere definitivamente la Bredamenarinibus di Bologna che, attualmente, tiene in cassa integrazione 260 lavoratori su un totale di 290. L'azienda è stata messa in vendita da Finmeccanica già da tempo;
              si parla di 102 esuberi strutturali che la controllata Finmeccanica ha messo in preventivo per fine 2012, ma rappresentano l'ennesima emergenza occupazionale del Paese. Simmi, azienda che si occupa di montaggio di componentistica, ha fatto ricorso ad ammortizzatori sociali per i suoi 235 dipendenti sparsi tra Pistoia, Reggio Calabria e Napoli. Simav, società di servizi romana con 520 dipendenti a livello nazionale che serve quasi esclusivamente il gruppo Finmeccanica, licenzia invece 24 persone nel capoluogo partenopeo;
              le rimostranze dei lavoratori, sono incentrate contro la holding Finmeccanica che non assicurerebbe gli investimenti e le liquidità necessarie atte a garantire il futuro produttivo della società che controlla al 100 per cento, anche nel momento in cui è rientrato un po’ di lavoro e che ci sono commesse;
              ci sarebbero certezze produttive solo fino a marzo 2013. Continuano le preoccupazioni per i dipendenti dell'azienda e dell'indotto, che in questo periodo conta una settantina di persone in cassa integrazione;
              in questi ultimi anni, si è assistito alla mancanza di una politica industriale chiara caratterizzata, invece, dal susseguirsi di quattro amministratori delegati, e dall'assenza di investimenti nell'ammodernamento degli impianti produttivi oltre che di un miliardo di euro di deficit prodotto in dieci anni,

impegna il Governo

ad adottare le opportune scelte strategiche ed industriali dirette a salvaguardare i livelli occupazionali, nei settori dell'energia e dei trasporti, degli stabilimenti legati a Finmeccanica e citati in premessa, con particolare riferimento agli stabilimenti di Pistoia e Bologna.
(7-00985) «Poli, Galletti, Libè, Bosi, Ruggeri, Anna Teresa Formisano».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              il decreto-legge n.  201 del 2011, cosiddetto Salva Italia, ha abolito la pensione di anzianità e a seguito di tale riforma, a partire dal 1o gennaio 2012, è possibile andare in pensione solo dopo aver maturato i requisiti anagrafici di «vecchiaia», cioè solo dopo aver raggiunto l'età prevista per la pensione di vecchiaia. Dal 1o gennaio 2012 è stato inoltre introdotto il metodo contributivo di calcolo delle pensioni per tutti i lavoratori, secondo il meccanismo pro rata;
              la gestione separata dell'Inps incassa annualmente circa 8 miliardi di euro di contributi, erogando però soltanto circa 300 milioni di euro di prestazioni pensionistiche, per cui una gran parte di tali contributi non ritorna a coloro che li hanno versati né come prestazione previdenziale né come rimborso;
              i suddetti contributi rischiano di diventare «contributi silenti» quando non sono sufficienti alla maturazione della pensione minima e spesso sono riconducibili ad alcune tipologie di lavoratori in particolare, tra cui i parasubordinati e gli appartenenti a professioni il cui esercizio non è regolato da ordini professionali nonché molte donne casalinghe uscite precocemente dal mercato del lavoro;
              ciò dipende dal fatto che oggi l'ingresso nel mondo del lavoro avviene con molto ritardo rispetto al passato e che, nella maggior parte dei casi, si tratta di un mercato del lavoro caratterizzato da elementi di assoluta precarietà e intermittenza, per cui risulta difficile soddisfare i requisiti richiesti dalla recente riforma previdenziale per accedere alla propria pensione;
              gran parte dei contributi versati all'apposita gestione separata dell'Inps viene versata, dunque, a fondo perduto: se infatti non si raggiunge il minimo richiesto dalla legge per maturare la pensione, gli stessi non danno diritto ad avere una pensione propria e, anche nel caso in cui si maturi il minimo di contribuzione richiesto, la pensione ottenuta ha un valore piuttosto esiguo;
              sono note le difficoltà esistenti nel trasferire presso altre gestioni quanto già versato o nel raggiungere gli anni necessari alla pensione di vecchiaia cumulando versamenti effettuati presso gestioni diverse pur facenti capo all'INPS (tra queste la ricongiunzione onerosa),

impegna il Governo:

          ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, affinché ai lavoratori di cui in premessa venga riconosciuto il diritto alla restituzione dei contributi cosiddetti silenti, al fine di garantire loro una forma di tutela economica indispensabile per affrontare le spese legate alla gestione della vita quotidiana, soprattutto in un momento difficile come quello che l'Italia sta attraversando a seguito della crisi economico-finanziaria internazionale;
          a valutare in alternativa tra le possibili soluzioni quanto già emerso in sede parlamentare, secondo cui gli anni di contributi presso le diverse gestioni vengano automaticamente cumulati tra loro ovvero ogni gestore provveda ad erogare una parte della pensione proporzionale ai versamenti ricevuti al fine di garantire l'equità del sistema previdenziale per lavoratori autonomi, dipendenti e parasubordinati.
(7-00986) «Giammanco, Antonino Foti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CENNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          la decisione numero 1622/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006 istituisce un'azione comunitaria a favore della manifestazione «Capitale europea della cultura» per gli anni dal 2007 al 2019;
          la decisione numero 1622/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 2006 dispone quindi le procedure per l'assegnazione della «Capitale europea della cultura» per gli anni dal 2007 al 2019. L'allegato a tale documento stabilisce che per l'anno 2019 sarà una città italiana ad essere designata «Capitale europea della cultura»;
          ad oggi numerose città italiane avrebbero manifestato, a mezzo stampa, la volontà di candidarsi a «Capitale europea della cultura»: tra cui Matera, Bari, Venezia, Ravenna, Cagliari, Brindisi, Siena, Verona, Aquila, Perugia - Assisi, Palermo, Bergamo;
          la città di Siena, per voce dell'amministrazione comunale, ha annunciato da tempo la sua prossima candidatura: una proposta accolta con entusiasmo da tutti i settori della società civile e sostenuta con forza dalle istituzioni locali, dai cittadini e dal mondo associazionistico, imprenditoriale produttivo provinciale. Per promuovere tale candidatura si sono già insediati, nei mesi scorsi, un direttore ed appositi comitati operativi nominati dagli enti istituzionali territoriali;
          la città di Siena ed il suo territorio possono vantare un ricco e diversificato patrimonio artistico e storico, una serie di istituzioni formative e didattiche di valenza internazionale ed una vocazione europea legata alla multiculturalità sviluppata nel corso dei secoli. In provincia di Siena sono infatti presenti quattro siti Unesco patrimonio dell'Umanità: il centro storico di Siena, il centro storico di San Gimignano, il centro storico di Pienza ed il territorio della Val D'Orcia. La città ospita anche due atenei di prestigio nazionale ed internazionale (l'università statale e l'università per stranieri) e centri culturali di valenza mondiale fra cui l'Accademia musicale Chigiana ed il Santa Maria della Scala. Siena può inoltre vantare in Italia, con 37 centri espositivi, il primato del rapporto fra residenti e musei;
          risulta quindi evidente come la candidatura di Siena possa valorizzare la millenaria, settoriale e diversificata peculiarità culturale della città e rappresentare un volano straordinario di crescita sociale, economica, occupazionale e produttiva;
          circa gli orientamenti del governo, l'interrogante ricorda che in relazione all'assegnazione della «Capitale europea della cultura» per il 2019 il 10 novembre 2009, l'allora Sottosegretario di Stato per i Beni e le attività culturali Francesco Giro, rispondendo alla interrogazione numero 5-01795 (presentata dal deputato Franco Ceccuzzi), sottolineò come «nessuna specifica e formate iniziativa» fosse «stata ad oggi attuata» rispetto alle candidature per la nomina a capitale europea per la cultura per l'anno 2019. «Ciò in quanto – spiegò ancora testualmente Francesco Giro – la fase di preparazione prevede che sei anni prima dell'anno della manifestazione ciascuno Stato membro inviti le città del proprio paese che potrebbero essere interessate a presentare candidature. Conseguentemente il governo italiano pubblicherà nel 2012 un annuncio in tale senso, dopo il quale, trascorsi 10 mesi, la commissione selezionatrice italiana, composta da sei esperti nominati dall'Italia e da sette nominati dalle istituzioni europee, si riunirà per decidere la città candidata»;
          nei mesi scorsi alcuni autorevoli esponenti dell'attuale Governo, secondo quando riportato da alcuni media, si sarebbero però espressi apertamente a sostegno della candidatura della città di Bergamo a «Capitale europea della cultura» per il 2019. In particolare il Ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri avrebbe affermato il 26 marzo: «Bergamo è una città d'arte e di cultura straordinarie, un territorio pieno di capolavori artistici. Credo che nessuna città abbia tanta storia tanta ricchezza e tanto patrimonio da difendere, per meritare più di Bergamo il riconoscimento di capitale europea della cultura»;
          il Ministro degli Esteri Giulio Terzi, il 25 agosto 2012 avrebbe inoltre dichiarato: «Bergamo è una grande città d'arte e cultura, un punto di riferimento internazionale che merita di ottenere il riconoscimento di capitale europea della cultura. È un realtà culturalmente unica al mondo». Lo stesso ministro avrebbe quindi annunciato pubblicamente il suo impegno personale per creare tutte le condizioni possibili per uno sviluppo positivo: «sono personalmente impegnato affinché questo avvenga»;
          tali prese di posizione non sembrerebbero all'interrogante rappresentative di una imparziale valutazione di merito circa la possibile candidatura in oggetto  –:
          se le dichiarazioni dei Ministri dell'attuale Esecutivo, citate in premessa, corrispondano a verità e preannuncino una netta presa di posizione da parte del Governo per il sostegno della candidatura di Bergamo a capitale europea della cultura per il 2019 e, nel caso, quali sarebbero le motivazioni di tale scelta;
          se non ritenga al contrario equo, equilibrato e trasparente, per garantire una assegnazione imparziale e meritocratica capace di valorizzare tutti gli sforzi logistici, organizzativi ed economici dei centri urbani italiani che hanno avanzato la volontà di candidarsi a «Capitale europea della cultura», definire ed inaugurare rapidamente le procedure e la tempistica relative alla designazione delle candidature stesse. (5-07974)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI GIUSEPPE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per le pari opportunità, ai sensi dell'articolo 17, comma 1-bis, della legge 3 agosto 1998, n.  269, recante norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di schiavitù, come modificato dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38 che ha introdotto delle novelle anche alla legge 15 febbraio 1996, n.  66, recante «norme contro la violenza sessuale»;
          in virtù di una delega del Ministro per le pari opportunità, l'Osservatorio opera attualmente presso il dipartimento per le pari opportunità, tramite l'istituzione di una banca dati, con il compito di acquisire e monitorare i dati e le informazioni relativi alle attività, svolte da tutte le pubbliche amministrazioni, per la prevenzione e la repressione del fenomeno dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, della pornografia minorile e delle azioni di prevenzione e repressione ad esso collegate;
          come è noto, l'Osservatorio acquisisce dati e informazioni a livello nazionale ed internazionale relativi alle attività svolte per la prevenzione e la repressione dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori e alle strategie di contrasto programmate e realizzate anche da altri Paesi; analizza, studia ed elabora i dati forniti dalle pubbliche amministrazioni; promuove studi e ricerche; informa sull'attività svolta, anche attraverso il sito internet istituzionale e la diffusione di pubblicazioni mirate; redige una relazione tecnico-scientifica annuale a consuntivo delle attività svolte, anche ai fini della predisposizione della relazione che il Presidente del Consiglio dei ministri presenta annualmente al Parlamento; predispone il piano nazionale di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, che sottopone all'approvazione del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia (C.I.C.Lo.Pe.); acquisisce i dati inerenti le attività di monitoraggio e di verifica dei risultati, coordinandone le modalità e le tipologie di acquisizione ed assicurandone l'omogeneità; partecipa, a mezzo di suoi componenti designati dal capo del dipartimento per le pari opportunità, all'attività degli organismi europei e internazionali competenti in materia di tutela dei minori e di contrasto all'abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori;
          l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile svolge un ruolo fondamentale sul versante europeo ed internazionale, partecipa a numerose iniziative poste in essere dal Consiglio d'Europa, per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza sessuale a danno dei minori, in particolare attraverso il programma «Costruire un'Europa per e con i bambini» di cui è parte integrante il programma d'azione «Bambini e violenza», iniziativa che ha previsto la redazione delle linee guida europee relative alle strategie nazionali integrate per la protezione dei minori dalla violenza; il documento è stato approvato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 18 novembre 2009, all'interno della raccomandazione n.  10/2009;
          tra gli effetti prodotti da questo programma d'azione si annovera la negoziazione della nuova convenzione del Consiglio d'Europa «sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale», uno strumento altamente innovativo in ambito internazionale in quanto vincolante per gli Stati firmatari. Proprio in tale contesto l'Osservatorio ha partecipato attivamente alla redazione del testo della convenzione di Lanzarote che è stato aperto a firma anche dall'Italia;
          l'Osservatorio collabora anche al programma europeo Safer Internet 2009-2013, il piano d'intervento in materia di nuovi media e tutela dei minori, di cui Save the Children e Adiconsum sono i referenti unici per la Commissione europea in Italia, al progetto collaborano anche la polizia postale e delle comunicazioni e il CISMAI: il progetto si è aggiudicato il co-finanziamento della Commissione europea all'interno del programma «Prevention of and Fight Against Crime 2007-2013»;
          inoltre l'Osservatorio partecipa il gruppo di lavoro del Child On Europe (The European Network of National Observatories on Childhood), nato in seno all’Europe de l'Enfance, gruppo intergovernativo permanente dell'Unione europea sull'infanzia e l'adolescenza, impegnato nell'elaborazione delle linee guida europee sull'istituzione di sistemi nazionali di monitoraggio e raccolta dati relativi alla violenza sui minori;
          l'Osservatorio segue i lavori del Comitato interministeriale dei diritti umani (CIDU) per tutto ciò che riguarda l'attuazione in Italia della convenzione ONU sui diritti del fanciullo e l'implementazione del protocollo opzionale che si occupa di vendita dei bambini, prostituzione minorile e pedopornografia;
          l'Osservatorio partecipa al programma «Daphne III», della Commissione europea, indetto per il periodo 2007-2013: un'iniziativa tesa al finanziamento di progetti presentati da soggetti, istituzionali e non, degli Stati che vi aderiscono per contribuire alla protezione dei bambini, dei giovani e delle donne contro ogni forma di violenza; progetto di formazione continua in tema di contrasto all'abuso sessuale in danno di minori, al turismo sessuale, alla pedofilia e pedopornografia, in favore delle realtà giudiziarie e investigative dei Paesi del Centro America. Questo progetto è promosso in partnership, con la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, che lo ha realizzato, e Unicef;
          fa anche parte del gruppo di lavoro DROIPEN, avente per oggetto la discussione delle proposte di revisione della decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell'Unione europea, del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile;
          l'Osservatorio partecipa alle iniziative dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), riguardo all'elaborazione di appositi indicatori di valutazione dell'impatto delle misure legislative e delle politiche adottate dall'Unione europea per garantire un livello sempre maggiore di protezione dei diritti dei minori;
          dal 2009 agli inizi del 2012, l'Osservatorio ha agito a supporto dell'attività del focal point nazionale sui diritti dell'infanzia e l'eliminazione di ogni forma di violenza a danno dei minori presso il Consiglio d'Europa;
          tra le attività più recenti svolte dall'Osservatorio, si segnala il coordinamento per il contributo italiano alla bozza della nuova strategia del Consiglio d'Europa sui diritti del bambino, per gli anni 2012-2015, presentata a Monaco in occasione della Conferenza di alto livello tenutasi il 20-21 novembre 2011, ed adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 15 febbraio 2012; ed anche il commento italiano alla raccomandazione (2012)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri, adottata il 28 marzo 2012;
          ai sensi dalla legge n.  38 del 6 febbraio 2006, l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile si avvale di personale già in forze ad altre istituzioni ed è pertanto senza oneri per la finanza pubblica, infatti non sono previsti gettoni di presenza, né rimborsi spese per i componenti;
          in sede di conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, è rientrato, inspiegabilmente, nell'ambito della soppressione di enti e società (di cui all'articolo 12, comma 20);
          il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, all'articolo 12, comma 20 (soppressione di enti e società) recita testualmente: «...Restano fermi, senza oneri per la finanza pubblica, gli osservatori nazionali di cui all'articolo 11 della legge 7 dicembre 2000, n.  383, e all'articolo 12 della legge 11 agosto 1991, n.  266, l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n.  103...», salvando, fortunatamente, l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza; appare all'interrogante incomprensibile la logica che ha prodotto la scelta di voler inserire tra gli enti da sopprimere l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile che, come precedentemente esposto, risulta essere senza oneri a carico della finanza pubblica;
          alla luce di quanto esposto e in considerazione della delicata tematica di cui trattasi, nonché degli impegni assunti a livello europeo ed internazionale, appare ovvio, ad avviso dell'interrogante, come le attività svolte dall'Osservatorio non possano essere trasferite ai competenti uffici del dipartimento per le pari opportunità, così come previsto dall'articolo 12, comma 20, del decreto-legge sopracitato, e come detto Osservatorio debba invece essere riconsiderato tra gli enti da salvaguardare  –:
          se il Governo non intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative per mantenere in vita, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato, l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, attraverso il mantenimento della sua autonoma attività nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di garantirne la prosecuzione delle relative attività. (4-17710)


      RIVOLTA, NICOLA MOLTENI e MONTAGNOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          consorzio di cooperative sociali Icaro è ente accreditato di servizio civile, iscritto all'albo nazionale, con sede in provincia di Caserta;
          tale ente nel 2011 ha avuto approvati 4 progetti di servizio civile che prevedevano l'impiego di 112 volontari. I suddetti volontari hanno iniziato l'anno di servizio civile nel corso del 2012;
          su Il fatto quotidiano.it il 17 settembre 2012 è stato pubblicato l'articolo «Icaro, il consorzio anticamorra accusato di cattiva gestione dei beni sottratti ai clan»;
          in tale articolo si segnala come «la prefettura di Napoli ha scritto che “prescindendo da responsabilità penalmente rilevanti secondo il Gip di Napoli, le associazioni a cui erano stati affidati i beni confiscati... tra le quali Icaro... si sono distinte per la loro totale inerzia, permettendo così ai clan di camorra e in particolare al clan Lubrano-Ligato di continuare a ricavare dagli stessi delle rendite”»;
          sempre dall'articolo citato si ricava come numerose amministrazioni comunali, tra cui quella di Napoli, abbiano revocato i servizi affidati al consorzio;
          quanto descritto in premessa evidenzia, secondo gli interroganti, una situazione che potenzialmente risulta essere in contrasto con gli obiettivi formativi e di cittadinanza attiva propri del servizio civile nazionale  –:
          quali attività straordinarie di controllo e di ispezione intenda mettere in atto sui progetti di cui risulta titolare il consorzio di cooperative sociali Icaro, al fine di verificare discrasie tra gli obiettivi formativi del servizio civile nazionale e i comportamenti evidenziati dalla prefettura di Napoli. (4-17725)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa hanno reso noto il fatto che è stato presentato un piano per l'Ilva dal presidente Bruno Ferrante ai sindacati dei metalmeccanici, il cui testo è già stato consegnato in procura;
          l'Ilva si sarebbe impegna a realizzare interventi che permetteranno la riduzione delle emissioni di polveri e di altri inquinanti. Ciò avverrà grazie ad un impegno straordinario del valore di circa 400 milioni di euro per investimenti ambientali. Secondo la dirigenza dell'azienda «Gli interventi previsti nei parchi minerali sono finalizzati all'abbattimento delle polveri diffuse prodotte dallo spolveramento dei cumuli. L'insieme degli interventi ridurrà le polveri del 70-90 per cento sulla base delle garanzie fornite da società specializzate del settore»;
          l'urgenza degli interventi annunciati è causata dalla notizia che i custodi giudiziari hanno notificato all'azienda l'ordine di rifare completamente 6 batterie delle cokerie degli altiforni e di spegnere 6 torri e 2 altiforni;
          l'Ilva ha previsto interventi anche per i parchi; annuncia poi la riduzione del 20 per cento della giacenza media dei materiali nei parchi con conseguente riduzione dell'altezza dei cumuli, e quindi della superficie sottoposta all'erosione del vento, già programmata per una realizzazione strutturale alla metà di ottobre 2012;
          per quanto riguarda la questione delle cokerie nello stabilimento siderurgico, l'azienda ha reso noto che le «batterie 9 e 10 sono già in fase di ristrutturazione», mentre «le batterie 5 e 6 verranno fermate a partire da dicembre 2012» per una serie di lavori, tra cui «la demolizione e ricostruzione del piano di carico delle pareti refrattarie e dei rigeneratori dei forni a coke»;
          gli «interventi sulle batterie 5 e 6 – si legge ancora nel piano – permetteranno di migliorare le prestazioni ambientali delle stesse rendendole confrontabili a quelle delle batterie più moderne ed efficienti». Nel progetto sono poi previsti «immediati interventi sugli altoforni 1 e 2 che inizieranno contestualmente alle batterie 5 e 6 in dicembre»;
          per l'acciaieria 1 viene annunciata «la chiusura e copertura del tetto e la costruzione di un nuovo filtro a tessuto con capacità di filtrazione di circa 3,2 milioni di metri cubi l'ora». Sempre nell'acciaieria 1 è previsto un nuovo impianto di aspirazione e desolforazione  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative di competenza si intendano assumere per una verifica dei livelli di inquinamento così prodotti, al fine di garantire la massima tutela della salute della cittadinanza e la cura dell'ambiente. (4-17735)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          è stato pubblicato il bando per effettuare la nomina del direttore della Agenzia per l'Italia Digitale necessario per la selezione del direttore generale della nuova Agenzia, «tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione»;
          naturalmente, i candidati dovranno inviare il proprio curriculum vitae all'indirizzo di posta elettronica certificata «entro e non oltre la mezzanotte del quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dell'avviso sulla Gazzetta Ufficiale». L'invio dei curriculum la candidatura dovrà essere «completo di clausola di autorizzazione al trattamento dei dati in esso contenuti e corredato da una dichiarazione di disponibilità a ricoprire l'incarico, debitamente sottoscritta e accompagnata da copia di un valido documento d'identità»;
          si segnala che il decreto-legge, 13 maggio 2011, n.  70, poi convertito in legge, ha eliminato l'obbligo di fornire un'informativa e raccogliere il consenso al trattamento dei dati personali in occasione dell'invio e della ricezione di curricula. Il consenso che il Governo chiede, dunque, non è più necessario, per legge, da oltre un anno  –:
          se, apprezzando l'iniziativa necessaria allo sviluppo del sistema Paese grazie alla quale sarà garantita la necessaria diffusione delle reti di nuova generazione (NGN), l'uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici per l'erogazione di servizi ai cittadini e la promozione di iniziative di alfabetizzazione informatica per abbattere il digital divide, non si intenda superare l'errore tecnico segnalato al fine di realizzare con celerità la cosiddetta agenda digitale necessaria per la crescita, per aumentare la produttività del sistema economico, per ridurre in modo drastico i costi della pubblica amministrazione, per semplificare i rapporti tra pubbliche amministrazioni, cittadini ed imprese;
          quando si ipotizzi avverrà la nomina dei vertici dell'Agenzia per l'Italia digitale poiché, in caso di ritardo, ci sarebbe il rischio concreto di arrivare alla fine della legislatura senza aver rispettato l'impegno assunto, anche nei confronti dell'Europa, di dotare il nostro Paese di un'agenda digitale. (4-17740)


      DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          con delibera del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012 il Governo ha impugnato la legge della regione Marche n.  3 del 26 marzo 2012 (BUR n.  33 del 5 aprile 2012) «Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale» in quanto contenente una serie di disposizioni che nel disciplinare la valutazione di impatto ambientali contrastano con la normativa comunitaria e statale e, pertanto, violano l'articolo 117, comma 1, della Costituzione e gli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), della stessa, norme che riservano allo Stato la materia della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;
          nella regione Marche sono state recentemente rilasciate numerosissime autorizzazioni per la realizzazione di impianti a biogas e, nell'ambito dei processi amministrativi che hanno portato al rilascio di dette autorizzazioni, i relativi progetti non sono stati sottoposti a procedura di verifica di assoggettabilità a VIA e/o di VIA in ragione della potenza inferiore a 3 MW termici e 1 MW elettrico, ai sensi dell'articolo 3 della legge regionale 3 del 2012;
          le autorizzazioni rilasciate, fortemente contestate dai cittadini e dagli enti locali, sono state impugnate – o si accingono a esserlo – davanti al competente tribunale amministrativo, anche per la presunta incostituzionalità della legge regionale n.  3 del 2012 in base alla quale gli uffici regionali hanno disposto l'esclusione dei progetti dalle procedure di VIA;
          l'articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n.  87 «Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale, prevede che quando è promossa una questione di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, la Corte costituzionale fissa l'udienza di discussione del ricorso entro novanta giorni dal deposito dello stesso. Qualora la Corte ritenga che l'esecuzione dell'atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, trascorso il termine di cui all'articolo 25, d'ufficio può adottare i provvedimenti di cui all'articolo 40. In tal caso l'udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il dispositivo della sentenza è depositato entro quindici giorni dall'udienza di discussione;
          l'articolo 40 della citata legge, invece, recita: «L'esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero fra Regioni può essere in pendenza del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte»  –:
          se, per il rischio reale di provocare danni all'incolumità dei cittadini, si intenda rappresentare alla Corte costituzionale l'opportunità di una sospensione, per gravi ragioni, degli effetti della legge 3 del 2012 della regione Marche, in pendenza del giudizio. (4-17744)


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          già con l'interrogazione n.  5-06224 si erano evidenziate le problematicità legate alla realizzazione della stazione elettrica TERNA in agro di Spinazzola (contrada Podice) che servirebbe decine di impianti eolici in attesa di autorizzazione;
          la stazione elettrica TERNA è un'opera che occuperebbe, tramite procedura espropriativa, le seguenti superfici:
              area stazione TERNA: 76.496 metri quadrati;
              area per strada di accesso e scarico acque: 9.352 metri quadri;
              area servitù connessione alla linea AAT «Matera-S.Sofia»: 8.007 metri quadri;
              area occupazione temporanea: 43.154 metri quadri;
          in particolare l'autorizzazione di tale abnorme stazione elettrica venne concessa nel settembre 2010 e, in seguito a denunce per abuso d'ufficio ed esposti da parte dell'ingegner Donato Cancellara, è stata annullata in autotutela nel febbraio 2012 con determina dirigenziale n.  8 del 9 febbraio 2012 – BURP n.  28 del 23 febbraio 2012 che, tra i motivi dell'annullamento evidenzia, al punto 2.1 della determina, l'interferenza paesaggistica della stazione elettrica TERNA con il torrente Basentello in agro di Spinazzola più volte sottolineate dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Bari;
          infatti, tra le tante irregolarità (mancanza di avvisi di esproprio, varianti mai esaminate, mancanza di valutazione impatto ambientale, assenza della stazione TERNA in tutti i piani di sviluppo approvati dal Ministero dello sviluppo economico) è stato accertato il mancato rispetto dei ripetuti pareri di diniego espressi dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Bari alla realizzazione della stazione Terna evidenziando l'interferenza con il vincolo paesaggistico rappresentato dalla presenza del torrente Basentello e sottolineando l'incompatibilità paesaggistica dell'opera elettrica, ope legis, ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera c) del Codice dei beni culturali e paesaggistici decreto legislativo n.  42 del 2004. Si tratta di pareri espressi in tre distinte conferenze di servizi nelle quali è stata ripresentata a più riprese la stazione elettrica TERNA prima come opera connessa dell'impianto fotovoltaico della società Agrienergy di Bari S.r.l., poi come opera connessa dell'impianto fotovoltaico della società Resolar S.r.l., poi come opera connessa dell'impianto fotovoltaico della società Guastamacchia S.p.A., poi come opera connessa dell'impianto eolico della società TRE Tozzi renewable energy spa; ad oggi, il medesimo progetto della stazione TERNA continua ad essere presentato come opera connessa di svariati altri impianti eolici i cui progetti, depositati presso il comune di Spinazzola e presso la Regione Puglia, ripresentano la stazione TERNA con identica localizzazione. Trattasi di impianti eolici della Nextwind S.r.l., della Gustamacchia spa, della TRE Tozzi Renewable Energy S.p.A., della WKN Basilicata Development PE2 S.r.l. Ciò dimostra il voler pertinacemente realizzare la stazione TERNA nel sito inizialmente prescelto senza alcuna analisi delle macroalternative localizzative e senza alcuna valutazione di impatto ambientale della singola opera nonché valutazione cumulativa con le svariate sottostazioni elettriche di utenza (con superficie di migliaia di metri quadri ciascuna) previste in adiacenza alla medesima stazione TERNA;
          risulta che ora si stia cercando nuovamente di autorizzare la stazione TERNA nel medesimo sito, aggirando il diniego della soprintendenza tramite l'approvazione del nuovo piano paesaggistico della regione Puglia (denominato PPTR) che eliminerebbe il vincolo paesaggistico (attualmente imposto dalla presenza del torrente Basentello per l'intero Foglio Catastale 89 del comune di Spinazzola, foglio in cui ricade interamente la stazione TERNA) non per l'intero corso d'acqua Basentello, ma per un ridotto tratto che guarda caso capita proprio a ridosso del sito scelto per la stazione elettrica TERNA. Infatti, il nuovo piano farebbe iniziare il vincolo paesaggistico dal punto di intersezione del Basentello con la strada provinciale 232 (ex statale 168 al chilometro 35 + 950 metri) che sovrasta, tramite un ponte, l'alveo del Basentello;
          questo nuovo piano paesaggistico territoriale regionale non è ancora stato approvato, ma in seguito alla delibera della giunta regionale n.  1371 del 10 luglio 2012, «Piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia (PPTR) – Istituzione del Comitato Tecnico paritetico Stato Regione» (pubblicata il 30 luglio sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Puglia) si apprende che prossimamente ci sarà un tavolo tecnico Stato-regione in cui si discuterà del nuovo piano paesaggistico in vista della sua approvazione;
          secondo l'opinione espressa da dirigenti regionali in merito alla vicenda, in base ad una ricognizione delle aree tutelate, il Basentello non sarebbe più considerato torrente/fiume diversamente da quanto indicato nella cartografia IGM e quindi, ai fini della rilevanza paesaggistica, occorre che sia riconosciuto come acqua pubblica e a questo proposito la posizione della regione Puglia come spiegato alla fine del paragrafo precedente sarebbe che il Basentello ha caratteristiche di acqua pubblica dopo l'intersezione con la strada statale SS168;
          in proposito però si evidenzia come il Torrente Basentello sia a servizio dell'imponente invaso denominato «Serra del Corvo» formatosi tramite la realizzazione dell'omonima diga del Basentello, per cui è l'intero corso d'acqua superficiale, in quanto tale, da considerarsi un corso d'acqua pubblica ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 18 febbraio 1999, n.  238;
          in merito all'attribuzione del requisito di acqua pubblica, il PPTR esclude il tratto del Basentello a monte dell'attraversamento stradale, ciò è in totale contraddizione con la constatazione visiva/strumentale che il Basentello è caratterizzato da un'identità idrografica e geomorfologica, a monte e a valle dell'attraversamento stradale (strada provinciale 232, ex strada statale 168) tale che il tratto a valle rappresenta la naturale prosecuzione del torrente che scorre a monte della strada provinciale 232 (ex strada statale 168). È evidente l'unità idrografica del Basentello e non si ritiene comprensibile, se non in un ottica meramente discriminatoria, il diverso trattamento dei due tratti del Basentello ai fini della qualifica di acqua pubblica e dell'attribuzione del vincolo paesaggistico;
          invocando la sistematica del diritto è possibile affermare che l'iscrizione nell'elenco delle acque pubbliche ha valore meramente dichiarativo, ma non costitutivo della pubblicità del corso d'acqua (cfr. sentenza Consiglio di Stato Sez. IV n.  657/2002). Se le acque sono considerabili pubbliche o meno, dipende unicamente dalle loro qualità sostanziali, e precisamente se hanno o acquistano attitudine ad un generale utilizzo di interesse pubblico. Nella fattispecie del torrente Basentello, il tratto a monte dell'intersezione stradale strada provinciale 232 (ex strada statale 168), rappresenta un'acqua pubblica ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 18 febbraio 1999, n.  238 così come il tratto a valle. Si ritiene condivisibile ritenere che non avrebbe alcun senso logico/razionale differenziare il tratto a valle dal tratto a monte ai fini dell'applicazione dei regimi di tutela del futuro piano paesaggistico territoriale della regione Puglia (PPTR) se non in un'ottica meramente discriminatoria;
          inoltre, escludendo i periodi di scarsa piovosità, rilevanti sono i problemi di esondazione del torrente Basentello a monte dell'intersezione con la strada provinciale 232 (ex strada statale 168), come evidenziano gli studi condotti dalla società SoilData S.r.l. per conto della CESI spa incaricata dalla stessa Terna S.p.A. Studi illustrati nell'elaborato deposito presso l'ufficio tecnico del comune di Spinazzola ed intitolato «relazione idrologica ed idraulica del piazzale di stazione» (codice elaborato: RC FR 10009 CER 01891, ultima revisione 5 maggio 2011). In tale elaborato si considerano i rischi di esondazione a monte dell'intersezione stradale con la strada provinciale 232 valutando l'interazione negativa tra il Basentello e il suo tributario tramite somma delle portate critiche di entrambi i corsi d'acqua. Inoltre, vengono considerati i problemi di esondazione, a monte dell'intersezione stradale, nel caso di portate critiche ed eventuale ostruzione del ponte del Basentello che sovrasta il torrente. È emblematico leggere a pag. 34 delle conclusioni: «La Stazione di Spinazzola si trova nelle vicinanze del Torrente Basentello: i calcoli idraulici sulle piene fluviali di tale corso d'acqua hanno dimostrato che la Stazione è ubicata all'interno delle aree esondabili nel caso di piena cinquantennale e duecentennale. Per questo motivo, il piano di Stazione si trova ad una quota di +375.30 m s.l.m, circa 3m al di sopra della piena duecentennale del torrente. La stazione nella parte più vicina al Basentello è su rilevato: il terrapieno sarà protetto al piede da una scogliera in massi ciclopici per evitare possibili azioni di erosione da parte della corrente fluviale durante i fenomeni di esondazione»;
          il Ministero per i beni e le attività culturali – direzione generale per il paesaggio, ha trasmesso il 4 aprile 2012 la circolare n.  10 nel rispondere ad un quesito posto dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia circa l'esclusione del torrente Basentello dal Piano PPTR ha tra l'altro asserito che: «appare però indispensabile evidenziare, ai fini di una ricognizione più esaustiva e per la continuità dell'azione di tutela svolta da questo Ministero e quindi dalle regioni relativamente all'individuazione delle categorie territoriali oggetto di vincolo paesaggistico, che è necessario completare la ricognizione effettuata dalla Carta Idrogeomorfologica con l'analisi della cartografia utilizzata fin dal 1985 (IGM ed oggi anche CTR) dalle soprintendenze per i beni ambientali architettonici, archeologici, artistici e storici con la circolare n.  8/85. La suddetta attività si pone come scopo quello di identificare, alla data di imposizione del vincolo, quei corpi idrici superficiali aventi caratteristiche di fiumi-torrenti, la cui rilevanza paesaggistica fu riconosciuta e confermata da questo Ministero e dalle Regioni;
          una volta riconosciuti i fiumi e torrenti all'epoca identificati (carta dell'IGM), questi dovranno essere confrontati con quelli ricogniti dalla suddetta Carta Edrogeomorfologica. Qualora alcuni corpi idrici non siano presenti nella Carta Edrogeomorfologica, ovvero abbiano perduto quelle caratteristiche relative alla «categoria Fiumi», sarà necessario procedere all'identificazione della permanenza della rilevanza paesaggistica e al riconoscimento della cause della loro scomparsa in particolare se dovuta ad effetti antropici o naturali;
          il comitato di cui sopra vedrà riuniti oltre alla regione Puglia, il Ministero per i beni e le attività culturali (direzione generale per il paesaggio) e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Direzione generale per protezione della natura e del mare)  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, in vista della approvazione del nuovo «Piano paesaggistico territoriale della regione Puglia (PPTR) in relazione al fatto che il vincolo paesaggistico del torrente Basentello inizierebbe dal punto di intersezione del Basentello con la strada statale strada provinciale 232 (ex strada statale 168) che sovrasta, tramite un ponte, l'alveo del Torrente Basentello. (4-17745)


      DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          la procura di Campobasso ha chiesto un nuovo rinvio a giudizio per il presidente della regione Molise, Michele Iorio, in questa occasione con l'accusa di abuso d'ufficio ed indebita erogazione di fondi statali nell'ambito dell'inchiesta sulla gestione dei fondi erogati dopo il sisma che ha colpito parte del territorio molisano nel 2002;
          secondo la procura, Michele Iorio, immediatamente dopo la nomina a commissario per l'emergenza post-terremoto, con atto monocratico – quale «favore elettorale propagandistico» – allargò «abusivamente» l'area del cratere ad altri 69 comuni della provincia di Campobasso, rispetto ai 14 inclusi nell'elenco stilato dall'ordinanza della protezione civile;
          oltre ai 69 comuni, risultano inclusi tra i beneficiari del fondo per l'emergenza del terremoto – fondi pubblici destinati al risarcimento dei territori colpiti – anche 19 parrocchie, le quali ottennero circa nove milioni di euro: i 69 comuni e le 19 parrocchie risulterebbero, dunque, indebiti percettori di fondi pubblici, per un totale di 143 milioni di euro;
          l'indebito allargamento del novero dei beneficiari ha senza dubbio penalizzato i 14 comuni legittimamente riconosciuti colpiti dalla relativa ordinanza, che avrebbero dovuto percepire tutti i fondi pubblici e che sono stati considerati dalla procura, al pari del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri, parti lese;
          anche la ricostruzione post-sisma – ferma, a distanza di dieci anni, al 30/35 per cento nonostante il miliardo di euro stanziato – sembra assumere i caratteri di quello che all'interrogante appare il «modello Iorio», vale a dire di un sistema cui consegue un uso personale e disinvolto delle risorse pubbliche, a scapito dei cittadini molisani tutti – l'interrogante ricorda in proposito che presso la procura di Campobasso sono aperte almeno 8 inchieste inerenti a fatti ed atti compiuti dal Presidente Iorio nelle molteplici funzioni cumulate negli anni, di governatore e di commissario per le diverse emergenze;
          fermo il principio della presunzione di non colpevolezza di cui al secondo comma dell'articolo 27 della Costituzione, ad avviso dell'interrogante appare del tutto inopportuna la permanenza in carica di Michele Iorio nelle funzioni commissariali, posto che esse non possano essere disgiunte dalle capacità di buon governo dei soggetti che vi sono chiamati – funzioni che sono da ascriversi a quelle funzioni pubbliche da adempiersi con disciplina e onore, ai sensi dell'articolo 54, comma secondo, della Costituzione;
          sui fatti indicati ha indagato anche la Guardia di finanza, per conto della procura della Corte dei Conti che ha ipotizzato, a carico di Michele Iorio, un danno erariale di 158 milioni di euro, con ciò giungendo alle medesime conclusioni a cui è giunta la procura di Campobasso  –:
          fermo restando il corso giudiziario degli eventi descritti in premessa, se ritengano che i fatti che continuano a susseguirsi, oggetto, insieme alla presente, di numerosi altri strumenti del sindacato ispettivo presentati dall'interrogante, e che investono la persona di Michele Iorio siano compatibili con le cariche che continua a ricoprire, in particolare quella inerente alle funzioni di commissario straordinario, di nomina governativa. (4-17751)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


      BOSI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la NATO sta trasferendo le proprie strutture di Napoli Bagnoli e dipendenze presso una nuova e più estesa base, situata in località Lago Patria (Napoli);
          tale spostamento farà automaticamente decadere gli appalti in essere per manutenzione del verde e facchinaggio, attualmente svolti da circa 70 lavoratori, che rischiano così di perdere il lavoro;
          la NATO per assicurare tali incombenze nella nuova base di Lago Patria ha indetto nuove gare di appalto, non inserendovi le garanzie a salvaguardia degli attuali livelli di occupazione, previste in caso di cambio d'appalto;
          la NATO è tenuta al rispetto delle leggi e dei contratti italiani, come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n.  2083 del 18 settembre 1962 – articolo 9;
          una delle aziende che attualmente gestisce l'appalto in premessa ha già attivato la procedura di licenziamento collettivo  –:
          quali azioni il Governo intenda porre in essere per richiamare la NATO al rispetto delle leggi e dei contratti italiani, evitando il paventato licenziamento dei circa 70 lavoratori attualmente addetti. (3-02485)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PIANETTA e STRADELLA. —Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la cittadina italiana Chiara Invernizzi di Valenza (Alessandria) ha sposato un cittadino dell'Arabia Saudita circa tre anni fa e si è stabilita con la madre e il padre nel Paese del marito;
          il matrimonio è naufragato e il marito, sulla base delle leggi islamiche in vigore in Arabia Saudita, l'ha ripudiata, impedendole nel contempo di tornare in Italia;
          nonostante il consolato italiano abbia provveduto a rilasciarle un nuovo passaporto, alla donna è stato impedito di lasciare il Paese poiché, secondo la legge in vigore nel Paese, le donne non hanno diritto all'espatrio senza l'autorizzazione del marito che riveste le veci di tutore legale;
          la madre è riuscita a rientrare in Italia mentre il padre è rimasto al suo fianco, poiché altrimenti Chiara Invernizzi non avrebbe possibilità di muoversi liberamente, essendo vietato ad una donna la guida di un veicolo;
          il marito ha minacciato di denunciare la donna per appropriazione indebita e adulterio, reato che in Arabia Saudita è punito con la morte;
          il consiglio comunale di Valenza ha presentato una mozione urgente di sostegno alla donna;
          il vice console italiano a Jeddah, Giovanni Nocera, è al corrente della «situazione molto delicata la cui risoluzione è stata affidata ad alti livelli istituzionali» ed ha sottolineato come la diplomazia italiana stia lavorando «a stretto contatto con le autorità locali» ma anche che al momento è impossibile delineare i tempi per trovare una via d'uscita alla vicenda;
          alcuni parlamentari europei hanno sottoscritto un appello all'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, la baronessa Catherine Ashton, affinché vengano attivati tutti i possibili canali di mediazione diplomatica, europea ed internazionale, per il suo rimpatrio in Italia  –:
          se il Governo non ritenga indifferibile un intervento finalizzato ad ottenere il rimpatrio della cittadina italiana Chiara Invernizzi e, di conseguenza, di suo padre.
(5-07977)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il processo di integrazione europeo tra gli Stati dell'Europa e quello della globalizzazione non hanno spinto gli Stati ad uniformare la legislazione sulla cittadinanza. In tutti i Paesi sono stati apportati numerosi correttivi su singoli aspetti e ad estendere il principio della doppia cittadinanza, senza realizzare tuttavia reali processi di convergenza, anzi determinando una vera babele di leggi;
          grazie al lavoro svolto dall'Osservatorio sulla cittadinanza dell'istituto europeo di Fiesole, si ha un quadro sull'evoluzione dei sistemi legislativi in oltre 40 Paesi, dal quale si ricava che gli Stati europei in modo crescente accettano o tollerano la doppia cittadinanza e diminuisce il numero dei Paesi che chiedono di rinunciare alla nazionalità precedente;
          la legislazione sulla cittadinanza nella la maggior parte dei Paesi si basa su una combinazione di ius sanguinis e ius soli, e sono 13 gli Stati che conservano la cittadinanza unica legata al principio ius sanguinis, pur con alcune eccezioni: Spagna, Austria, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia;
          per quanto riguarda i cittadini residenti all'estero, l'applicazione dello ius sanguinis varia tra numerosi Stati. L'Italia ha preferito la trasmissione automatica iure sanguinis all'estero senza limiti generazionali in assenza di rinuncia esplicita. Ciò ha comportato a dare la cittadinanza italiana ad un milione di cittadini tra il 1998 e il 2010. Altri Stati, come Spagna, Germania Regno Unito, Portogallo hanno posto un limite generazionale;
          lo ius soli invece è lo strumento che permette a chi nasce in un determinato Paese di acquisire il diritto di cittadinanza. Sono pochi gli Stati che non contemplano norme simili: Danimarca, Estonia, Lettonia, Polonia e altri ancora. La Svezia, per esempio, consente la naturalizzazione, per semplice dichiarazione, ai minori che abbiano vissuto nel Paese per 5 anni. Questa è una forma che combina ius soli e ius domicilii, che molti Paesi utilizzano (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Portogallo, Regno Unito) per facilitare il processo di integrazione delle nuove generazioni di figli degli immigrati. Lo ius soli nell'Unione europea esisteva solo in Irlanda, che lo ha abolito 2004. In tutta l'Unione europea si applica lo ius soli automaticamente o per dichiarazione dipendente dalle condizioni dei genitori (periodo di residenza). Questo criterio è previsto da Belgio, Germania, Irlanda, Portogallo, Regno Unito con profonde differenze: tre anni in Irlanda, 8 in Germania, 10 in Belgio);
          in alcuni casi gli Stati sono intervenuti in maniera restrittiva, come l'Italia nel 1992, e in altri 13 paesi lo ius soli è stato introdotto per la prima volta nella legislazione (Austria, Germania, Lussemburgo, Svezia), in altri ancora (Danimarca e Malta) è stato rimosso;
          inoltre è da annoverare il principio dello ius domicilii, cioè la naturalizzazione per residenza stabile, per gli stranieri minori e adulti. Anche qui le norme variano sensibilmente da Paese a Paese. Si va dai 3 anni in Belgio ai 10 dell'Austria, Italia e Spagna. Il requisito più diffuso è di 5 anni. Qui le procedure di naturalizzazione sono materia esclusiva nella maggioranza degli Stati. Solo Germania, Olanda, Portogallo e Spagna, diviene un diritto acquisito una volta maturati i requisiti necessari. I tempi di attesa variano dai 3 mesi della Germania ai 18-24 mesi di Francia e Italia. Una tendenza diffusa è l'introduzione di testi linguistici e di conoscenze civiche del Paese ospitante: tra i 16 Paesi che li ha introdotti, non figura l'Italia, che però lo ha introdotto per l'ottenimento del soggiorno di lungo periodo;
          la cittadinanza italiana ai sensi dell'articolo 9, della legge n.  91 del 5 febbraio 1992 e successive modifiche e integrazioni, è concessa agli stranieri attraverso la naturalizzazione dopo dieci anni di residenza legale in Italia, a condizione di assenza di precedenti penali, secondo il principio dello ius domicilii. Per i residenti in Italia la domanda deve essere inoltrata alla prefettura competente insieme alla documentazione necessaria, per il successivo esame del Ministero dell'interno. Emesso il decreto da parte del Ministero dell'interno, l'interessato deve prestare davanti al sindaco giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza delle leggi dello Stato. Non sono previsti costi per richiedere la cittadinanza, tranne il caso di acquisto per matrimonio (euro 200), in tutti gli altri casi il riconoscimento della cittadinanza è gratuito, ad esclusione dei costi relativi al rilascio di certificati di stato civile, di cittadinanza e naturalizzazione e/o le relative traduzioni o legalizzazione; il termine per la definizione del procedimento è di 730 giorni dalla data di presentazione della domanda:
              un Paese europeo pur non aderente all'Unione europea ma che ha accolto gli accordi bilaterali con l'Unione europea, è la Svizzera, che applica unicamente il principio dello ius domicilii per gli stranieri che aspirano alla naturalizzazione elvetica ed ha introdotto il test linguistico oltre a quello già in vigore, delle conoscenze civiche;
              è la legge federale del 29 settembre 1952 a regolare l'acquisto e la perdita della cittadinanza svizzera, denominata, legge sulla cittadinanza, LCit. La procedura di naturalizzazione prevede tre tappe: la richiesta va inoltrata alle autorità federali (Confederazione), cantonali e comunali;
              la LCit, che è cambiata in tutti questi anni solo su un punto dal 1992 (una donna svizzera che sposa uno straniero non perde più la sua cittadinanza), prevede tre forme per accedere alla cittadinanza svizzera da parte del candidato straniero: naturalizzazione ordinaria, che prescrive 12 anni di residenza in Svizzera (tra i 10 e i 20 anni d'età valgono il doppio), buona conoscenza della realtà del territorio e buona reputazione; naturalizzazione agevolata, che riguarda persone di nazionalità straniera sposate con una cittadina svizzera o un cittadino svizzero o bambini con un genitore svizzero che non hanno acquistato la cittadinanza elvetica; reintegrazione, per quelle persone che hanno perso la cittadinanza svizzera e possono recuperarla;
              la procedura di naturalizzazione, la cui durata si aggira tra i 18 e i 36 mesi, comporta, indipendente dall'esito finale, il prelievo di tasse da parte di ognuno dei tre livelli istituzionali coinvolti, ossia il comune, il cantone e la Confederazione (articolo 38 LCit), i cui importi devono essere commisurati all'effettivo dispendio causato dalla trattazione dell'incarto (principio di corresponsione);
              per quanto riguarda invece la procedura di naturalizzazione ordinaria, le tasse cantonali e federali sono sempre determinate dalle spese amministrative previste dal Regolamento cantonale e dall'ordinanza federale, per quanto riguarda le tasse comunali, alle autorità locali è conferita la facoltà di decidere autonomamente la tassa da prelevare, fino a 10 mila franchi commisurate alle condizioni economiche del richiedente;
              l'ultima iniziativa politica tesa ad estendere la formula della naturalizzazione agevolata è stata respinta dalla votazione popolare il 26 settembre 2004, si tratta del decreto federale del 3 ottobre 2003 circa la naturalizzazione agevolata per i figli di immigrati di seconda generazione e la naturalizzazione automatica per i figli di terza generazione;
          le misure restrittive della legislazione elvetica per l'ottenimento della cittadinanza stanno portando ad una lieve diminuzione della richiesta di naturalizzazione: dalle 40 mila del 2010 la Svizzera è passata alle 37 mila del 2011, con un calo del 6 per cento e una stabilità attorno alle 4 mila dei cittadini italiani e tedeschi;
          una ricerca condotta dall'Istituto di studi demografici dell'università di Ginevra, giunta alla conclusione che la revisione totale della legge sulla cittadinanza provocherebbe un calo complessivo di 3.500 naturalizzazioni l'anno, ha spinto il presidente della Commissione federale delle migrazioni, Walter Leimgruber, a chiedere al Governo svizzero che la procedura di naturalizzazione debba svolgersi su un unico livello e sostituire i tre livelli attuali (comune, cantone e confederazione) per diventare semplice, unica e trasparente  –:
          se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza affinché nell'ambito delle trattative fiscali bilaterali che si sono aperte tra l'Italia e la Svizzera, si possano porre nei termini previsti dalle rispettive autonomie e sovranità, il diritto alla reciprocità in materia di cittadinanza per quanto riguarda l'importo relativo alla tassa;
          se, il Governo non intenda adoperarsi, affinché nell'ambito degli Accordi bilaterali Unione europea-Svizzera, l'Unione europea solleciti il Governo elvetico a un maggiore impegno per l'estensione della procedura della naturalizzazione agevolata per i cittadini dell'Unione europea circa la tassa per la procedura di naturalizzazione legata al principio di ius domicilii allo scopo di considerare unicamente le spese amministrative come avviene in tutti i Paesi dell'Unione europea. (4-17723)


      EVANGELISTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il signor Massimo Scozzaro, residente in Thailandia e iscritto all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire) ha rappresentato all'interrogante, tramite e-mail, una serie di problemi che affliggono i nostri concittadini italiani in relazione alla qualità dei servizi consolari messi a disposizione da quando gli uffici dell'ambasciata si sono trasferiti in nuova sede, presso la All Season Tower, e separati in cancelleria consolare e diplomatica;
          risulta che per accedere alla sezione consolare, situata al 27o piano, è necessario prendere appuntamento tramite il sito internet, ma sullo stesso (quando funziona, però – sempre secondo il menzionato signor Scozzaro) i tempi di attesa sarebbero in media di 20 giorni e le motivazioni per ottenere la visita sono limitate a poche voci e troppo generiche: capita, a quanto pare, a molte persone che per poter accedere agli uffici debbano prendere un appuntamento per rinnovo patente anche se non è quello il vero motivo della visita;
          inoltre, allo sportello di ingresso, in genere determinante per smistare e gestire l'arrivo dei cittadini, pare siano presenti delle guardie di vigilanza privata di nazionalità Thai che non parlano in maniera comprensibile né l'inglese né l'italiano e che in molti casi, non sapendo cosa rispondere, facciano attendere a lungo fuori dagli uffici dell'ambasciata; come pure, risulterebbero disagevoli sia l'utilizzo del numero telefonico messo a disposizione (nessuna risposta o operatore che non comprende l'italiano e casella telefonica piena che impedisce di lasciar messaggi) sia l'utilizzo dello strumento di posta elettronica in quanto, viene lamentato, le e-mail non riceverebbero alcuna risposta;
          in ogni caso, sono frequenti notizie relative alle lamentele di molti cittadini italiani che vivono in Asia sui disservizi degli uffici consolari  –:
          se sia a conoscenza dei disagi e delle difficoltà dei nostri concittadini residenti nella regione asiatica;
          se ciò non derivi anche dalla drastica riduzione di personale e sedi di uffici consolari;
          come intenda garantire migliori e più efficienti servizi atteso che, nello specifico, la nostra rappresentanza a Bangkok è una delle più importanti in Asia. (4-17732)


      EVANGELISTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          risulta all'interrogante che il Ministero degli affari esteri abbia appaltato a una multinazionale privata, non meglio identificata, tutto il lavoro che prima veniva svolto dagli impiegati dei consolati, come per esempio il rilascio dei visti; per fare qualche esempio: sul sito del consolato generale italiano a Shanghai viene chiesto di presentare la domanda direttamente all’Italy Visa Application Center (IVAC) che è estranea al consolato (l'Ivac è, infatti, un fornitore di servizi gestito da una società privata, autorizzato a ricevere le domande di visto); sul sito dell'ambasciata di Mosca viene indicato che le domande di visto possono essere presentate direttamente al consolato o per il tramite delle società VMS di Mosca e CVB di Ekaterinburg alle quali è stato affidato il servizio di raccolta delle domande di visto per l'Italia  –:
          se si tratti di un caso isolato o di una pratica consolidata;
          se non ritenga che tale decisione contrasti con l'avvio di una revisione della spesa che ha riguardato anche tutto il comparto consolare. (4-17741)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      LOVELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          gli abitanti di Spinetta Marengo, comune di Alessandria, – peraltro già largamente interessato dalle criticità ambientali legate alla presenza del polo chimico Solvay Solexis – hanno recentemente denunciato la presenza di amianto in un ammassamento di migliaia di metri cubi di pietrisco stoccato nei pressi della stazione ferroviaria locale e derivante dai lavori di rimozione e rifacimento dalla massicciata della linea ferroviaria Alessandria-Piacenza;
          la presenza di polvere di asbesto ha creato notevole allarme nei residenti della zona, i quali hanno provveduto a contattare il comune e a richiedere un ulteriore approfondimento da parte dell'Arpa. Dai riscontri dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente è emerso che nel pietrisco ammassato vicino al centro abitato è stata rilevata la presenza di amianto del tipo «crisotilo», materiale pericoloso per la salute umana poiché cancerogeno. L'ammassamento è stato quindi sottoposto ad un intervento di messa in sicurezza, attraverso un trattamento incapsulante con liquido inertizzante per evitare la dispersione di fibre nell'area. La vicenda è stata inoltre denunciata alla procura della Repubblica;
          benché i vertici dell'Arpa provinciale di Alessandria abbiano tranquillizzato la popolazione riguardo ai rischi per la salute legati alla dispersione delle polveri, spiegando che tale evenienza avrebbe potuto verificarsi solo nel caso di una frantumazione e successiva dispersione del materiale stoccato, è stato tuttavia sottolineato che la presenza di amianto è largamente diffusa nelle massicciate ferroviarie dell'intero territorio nazionale  –:
          se sia noto quali possano essere le conseguenze sanitarie per gli abitanti di Spinetta Marengo (Alessandria) che sono stati esposti per oltre quindici giorni al materiale depositato nei pressi della stazione ferroviaria, che è poi risultato contenere amianto;
          se la presenza di materiale asbestiforme nelle massicciate ferroviarie presenti sul territorio nazionale possa arrecare danni alla salute umana;
          se non ritenga di dover avviare di un processo volto alla messa in sicurezza e alla successiva bonifica dall'amianto da attuarsi sull'intera rete ferroviaria italiana. (5-07976)

Interrogazione a risposta scritta:


      MANCUSO, CICCIOLI, BARANI, GIRLANDA, DE LUCA e CROLLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in Toscana, negli ambiti territoriali di caccia (ATC 6 e 7) di Grosseto e Massa Marittima, si rimborsano 10 euro ai cacciatori che, di ritorno da una battuta di caccia, portassero come trofeo una coda di volpe;
          se il cacciatore è anche tesserato dell'associazione Libera Caccia, riceve altri 5 euro a carico della stessa associazione;
          la giustificazione del macabro premio sarebbe l'eccessiva numerosità della popolazione delle volpi, animale che sarebbe divenuto infestante e gravemente pericoloso per i campi coltivati e per le tane di fagiani, di cui mangerebbe tutte le uova, tanto da metterne in pericolo la specie;
          in realtà, a oggi, in Toscana non è stato effettuato alcun censimento della popolazione volpina;
          non è, quindi, possibile sapere con certezza, quante volpi sono presenti sul territorio maremmano;
          lo strumento dell'offerta di una taglia potrebbe spingere alcuni cacciatori, soprattutto i più giovani e inesperti, a cacciare per denaro  –:
          se il Governo intenda promuovere iniziative, anche per il tramite dell'ISPRA, per accertare la numerosità della popolazione volpina sul territorio e la sua eventuale ed effettiva pericolosità, sensibilizzando le istituzioni e i cittadini dall'adottare iniziative per premiarne l'uccisione. (4-17748)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MANCUSO, CICCIOLI, BARANI, GIRLANDA, DE LUCA e CROLLA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il sisma del 6 aprile 2012 oltre che l'Emilia Romagna, ha coinvolto anche la zona mantovana con pesanti danni;
          le scosse hanno danneggiato anche le strutture del castello di San Giorgio, appendice merlata della reggia di Gonzaga;
          la camera degli sposi, la sala completamente affrescata del Mantegna all'interno di una delle torri del castello, ha subito rilevanti danneggiamenti;
          nella scena della Corte si è aperta una lesione lunga 3 metri;
          la soprintendenza ai beni artistici e storici e quella ai beni architettonici, la IUAV di Venezia e la direzione lombarda dei Beni culturali hanno quantificato in oltre 5 milioni di euro la stima dei danni alla reggia;
          la soprintendente Giovanna Paolozzi Strozzi il 20 maggio 2012 ha ordinato la chiusura totale della Reggia, che con i suoi 35 mila metri quadrati e le 500 stanze è per estensione seconda solo al Vaticano e in un anno ospita 250 mila visitatori;
          la chiusura, pur giustificata e prudente, priva la città di Mantova di una delle sue più belle manifestazioni artistiche e uno dei suoi più acuti richiami turistici  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative volte a stanziare appositi fondi per permettere a breve la riapertura della reggia di Gonzaga;
          se il Governo abbia intenzione di promuovere, attraverso sgravi fiscali, l'intervento dei privati per recupero della reggia, e in particolare della camera degli sposi. (5-07978)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


      MISEROTTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Comando generale dell'Arma dei carabinieri nel febbraio 2012 ha indetto un concorso per il reclutamento di 1886 allievi effettivi e nel settembre 2011 è stato bandito il concorso per l'ammissione al 2o corso triennale di 490 allievi marescialli le cui prove concorsuali sono terminate nel giugno 2012;
          il decreto-legge n.  95 del 2012 meglio noto come spending review prevede il blocco del turn over al 20 per cento è tagli dell'80 per cento per il triennio 2012/2015, con conseguente riduzione degli allievi assunti in base ai sopracitati concorsi da 1886 a 241 unità;
          i candidati che hanno partecipato hanno dovuto sostenere diverse prove attitudinali e psicofisiche che hanno comportato anche un investimento economico da parte delle loro famiglie diretto ad aiutare gli aspiranti vincitori;
          ad avviso dell'interrogante, una politica di tagli applicata ad un concorso già espletato non garantisce risparmio di spesa dal momento che, ridurre il personale dichiarato idoneo è antieconomico trattandosi di un investimento statale già concluso;
          tali tagli comporterebbero un ulteriore aggravio della situazione critica che già investe il settore della sicurezza con l'inevitabile conseguenza di abbassare i livelli di qualità del servizio a scapito dei cittadini  –:
          se il Governo non ritenga opportuno, in deroga a quanto stabilito dalla normativa vigente, riconsiderare il numero di unità da assumere tra i vincitori dei suddetti concorsi al fine di garantire e potenziare la sicurezza per tutti i cittadini, messa a rischio dall'ondata di protesta e disordine sociale dovuti alla grave crisi economica che sta attraversando il nostro Paese. (4-17722)


      MIGLIORI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          secondo recenti notizie, diffuse dai quotidiani, l'Arma dei carabinieri avrebbe attivato una procedura di declassamento della caserma di Arcidosso (Grosseto);
          attualmente questa svolge, 24 ore su 24, un servizio strategico per tale territorio, comprendente ben 9 comuni (Arcidosso, Camagnatico, Castel del Piano, Cinigiano, Civitella Paganico, Roccalbegna, Santa Fiora e Seggiano), controllando dunque l'intera area del Monte Amiata, che presenta condizioni ambientali avverse per configurazione geografica e climatica;
          la summenzionata decisione comporterebbe un ridimensionamento del personale, e pertanto delle forze dell'ordine presenti sul territorio, nonché la riorganizzazione delle attività, con conseguente diminuzione della sicurezza per il cittadino;
          non molto tempo fa, a seguito dell'interrogazione dell'onorevole Monica Faenzi n.  4-13277 del 22 settembre 2011 a codesto Ministro, recante la richiesta di chiarimenti circa l'eventuale declassamento o la chiusura della compagnia dei Carabinieri di Arcidosso (Grosseto), è seguita la risposta del 24 luglio 2012, secondo la quale «non vi è alcun piano che ipotizzi la soppressione della Compagnia dei Carabinieri di Arcidosso, in provincia di Grosseto» e la precisazione di come «l'Arma dei Carabinieri rappresenti una delle istituzioni più vicine ai cittadini, nei confronti dei quali svolge la sua costante azione di prevenzione quale espressione significativa della presenza dello Stato sul territorio, grazie alla capillare distribuzione dei suoi presidi»  –:
          quali iniziative urgenti il Governo intenda attuare per scongiurare tale eventualità, confermando la posizione assunta nella sopracitata risposta, garantendo a questo territorio, come agli altri, la presenza dello Stato, il presidio del territorio e la conseguente serenità e sicurezza dei cittadini. (4-17726)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          un comunicato delle organizzazioni sindacali della polizia di Stato ha diffuso il resoconto dell'incontro avvenuto il 18 settembre 2012 tra il direttore centrale per le risorse umane e tutte le organizzazioni sindacali per discutere sui criteri riguardanti la mobilità relativa alla legge n.  104 del 1992;
          nella nota si legge: «In apertura dei lavori il Prefetto Fioriolli ha illustrato la problematica in esame, le criticità che l'Amministrazione deve affrontare sulla base di alcuni dati statistici che vengono qui riassunti:
              domande di trasferimento pendenti per il personale del ruolo Agenti Assistenti Sovrintendenti n.  584; per gli appartenenti al ruolo ispettori le domande nell'anno 2011 sono state 18 di cui 8 accolte, 5 respinte e 4 in trattazione; per l'anno 2012 domande presentate n. 20 di cui 9 accolte e 11 in trattazione; per gli appartenenti al ruolo direttivo le domande presentate sono state 2 di cui 1 respinta ed una in trattazione;
              il personale che fruisce dei permessi mensili previsti dalla legge n.  104/92 ammonta a circa 6.000 unità; l'Amministrazione ha, pertanto, chiesto al sindacato di aprire una discussione possibilmente condivisa per trovare criteri sulla mobilità che potessero contemperare l'esigenza di dare riscontro alle richieste del personale con la funzionalità di taluni uffici, in considerazione del fatto che le domande di trasferimento in uscita riguardano per la maggior parte solo alcune grandi sedi del nord e le domande in entrata riguardano solo poche città del sud. Il Prefetto Fioriolli, inoltre, ha affermato che l'Amministrazione sarebbe intenzionata a procedere al trasferimento del personale che, al termine dell'istruttoria abbia i requisiti richiesti dalla legge per assistere i figli o il coniuge portatori di handicap in condizione di gravità, mentre per tutti gli altri casi, si riserva di completare l'istruttoria e di valutare, caso per caso, la fattibilità del trasferimento. Al riguardo le scriventi organizzazioni hanno ribadito di dare immediata attuazione almeno ai trasferimenti del personale per l'assistenza ai figli e al coniuge nonché di essere pronte ad affrontare un confronto serio e costruttivo con l'Amministrazione sulla delicata problematica, anche al fine di stabilire procedure, criteri, tempi e modalità applicative certe e omogenee relative alla mobilità di cui alla legge n.  104/92, oltre che correggere ogni forma di sperequazione tra il personale a parità di condizioni, anche con riguardo all'applicazione della norma in esame o quella di cui all'articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica n.  335/82. Inoltre il cartello sindacale ha ribadito che qualunque confronto non può trovare l'approvazione delle parti sociali quando le proposte, come nei casi rappresentati dall'Amministrazione, costituiscono una deroga alle norme previste dalla legge n.  104/92 in materia di mobilità per il personale che assiste persone affette da handicap grave. L'Amministrazione ha preso atto delle posizioni espresse, ha manifestato la volontà di giungere in tempi rapidi alla conclusione dell'istruttoria delle domande pendenti e di assumere autonome determinazioni tenendo conto delle posizioni espresse da tutti i sindacati»  –:
          se tale argomento sia mai stato affrontato dal consiglio centrale della rappresentanza militare e, in caso affermativo, quali siano stati i dati statistici evidenziati dall'amministrazione militare e quali le proposte avanzate dall'organismo di rappresentanza, per sezione e per comparto. (4-17734)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          l'Accademia Britannica srl, che si occupa tra l'altro delle vacanze di studio in Gran Bretagna e in Irlanda di studenti italiani figli di dipendenti INPDAP, è stata già oggetto, sin dal 2008, di diversi atti di sindacato ispettivo (5-00051, 4-00491, 4-01632, 4-05004, 4-05885, 4-07505 e 2-01480) nei quali si sosteneva, limitatamente alle materie di interesse del Ministro interpellato, la sussistenza di attività che potevano risolversi in danno dell'erario in materia di imposta sul valore aggiunto, nonché delle regole della concorrenza;
          nel rispondere, il 31 maggio 2012 presso l'Assemblea della Camera, all'interpellanza 2-01480, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze ha fatto presente che, con riferimento gli avvisi di accertamento delle annualità 2004, 2005 e 2006, l'Accademia britannica Sri ha presentato ricorso che è stato accolto dalla Commissione tributaria di Campobasso; tuttavia ha anche precisato che la direzione provinciale di Campobasso dell'Agenzia delle entrate, ha proposto appello contro le sentenze di annullamento;
          sull'annosa vicenda giova evidenziare quanto segue:
              con due distinte note 17 luglio 2009 e 11 agosto 2009, l'Agenzia delle entrate di Roma ha ribadito all'INPDAP che l'Accademia Britannica avrebbe dovuto emettere le fatture per gli acconti relativi al periodo ai sensi dell'articolo 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972;
              l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con nota dell'ottobre 2009, riconoscendo l'errata applicazione del regime IVA da parte di Accademia Britannica ha affermato che il modo di procedere dell'INPDAP sulla questione «non solo appare anomalo, perché privo di contenuti efficaci a garantire il rispetto della par condicio tra i concorrenti, ...ma non risolve neppure marginalmente il problema delle possibili ricadute negative sugli equilibri concorrenziali...»;
              nel rispondere all'interrogazione scritta 4-00491 il 16 novembre 2009, il Ministero dell'economia e delle finanze ha fatto presente come l'Agenzia delle entrate abbia chiarito all'INPDAP, in ordine alla corretta fatturazione delle prestazioni effettuate dalla società Accademia britannica, che, ai sensi della sentenza 13 ottobre 2005 resa dalla Corte di giustizia nella causa C/200/04 (relativa ad una vicenda del tutto analoga), le prestazioni di servizio relative ai cosiddetti «pacchetti turistici tutto compreso» sono disciplinate dall'articolo 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972 e non dall'articolo 10, comma 1, n.  20, dello stesso decreto del Presidente della Repubblica. Quindi, con riferimento all'organizzazione dei cosiddetti «viaggi studio», la società Accademia britannica avrebbe dovuto emettere le relative fatture ai sensi dell'articolo 74-ter del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972;
              alle gare INPDAP per i viaggi di studio di studenti italiani figli di dipendenti partecipa una pluralità di concorrenti; consentire ad uno solo di questi di considerare sotto il profilo fiscale l'offerta come «prestazione educativa e didattica» invece che come «pacchetti turistici tutto compreso», al pari degli altri concorrenti, significa a giudizio degli interpellanti concedergli un ingiustificato vantaggio  –:
          se non ritenga opportuno tener conto della sentenza 13 ottobre 2005 resa dalla Corte di giustizia nella causa C/200/04, con riferimento alla vicenda esposta in premessa;
          se non ritenga che il trattamento di maggior favore fiscale riservato all'Accademia Britannica srl debba considerarsi esteso a tutti i concorrenti che partecipano alle gare INPDAP per i viaggi di studio dei figli di dipendenti.
(2-01671) «Grassano, Guzzanti».

Interrogazioni a risposta scritta:


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la disciplina dell'iva delle prestazioni di locazione di fabbricati in vigore dal 26 giugno 2012 (decreto-legge n.  83 del 2012) presenta ancora problemi aperti. In particolare, non è stato chiarito il momento esatto in cui scade il termine per l'opzione;
          posto che in generale la scelta va fatta all'entrata in vigore del decreto o nei sessanta giorni successivi, per i contratti successivi alla data di entrata in vigore della legge, in virtù di quanto disposto dallo Statuto del contribuente, non è chiaro da quale data far partire i 60 giorni. Il decreto infatti è stato convertito in legge il 7 agosto e la legge di conversione è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale l'11 agosto;
          se fosse vera la seconda ipotesi ci sarebbe tempo fino al 10 ottobre 2012 per effettuare l'opzione per abbandonare il precedente regime di esenzione;
          dubbi ulteriori sono poi sorti riguardo alla fatturazione: ad esempio l'integrazione con fatture di sola IVA e la fatturazione già effettuata per prestazioni annuali  –:
          quali iniziative urgenti intenda eventualmente assumere al riguardo. (4-17707)


      PISICCHIO, BOCCI, OLIVERIO, FABBRI, CAVALLARO, GINOBLE, RIA, TESTONI, CASSINELLI e LO PRESTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della difesa, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il superamento dell'attuale crisi che sta incidendo pesantemente sull'economia italiana impone, di adottare iniziative che permettano al sistema produttivo italiano di essere sempre più competitivo nel nuovo scenario internazionale. Per ottenere questo obiettivo di crescita, condiviso da tutte le forze politiche e sociali, il nostro Paese deve puntare con decisione su produzioni ad alto valore aggiunto e soprattutto su prodotti tecnologicamente avanzati. Di qui l'esigenza di promuovere un decisivo sforzo per una politica industriale che favorisca l'innovazione nei settori di punta;
          nell'area delle alte tecnologie, che ha rappresentato tradizionalmente un punto di forza per il Paese, si sono dovuti registrare negli ultimi decenni alcuni passi indietro. Uno dei settori che invece è rimasto pienamente vitale e in grado di ulteriore sviluppo è l'industria dell'aerospazio, sicurezza e difesa, nella quale è stato creato un patrimonio nazionale di tecnologie strategiche. In forza di tale patrimonio questa industria assicura occupazione qualificata in Italia a oltre cinquantamila persone di alto livello scientifico e tecnico (oltre il 30 per cento ingegneri/laureati in discipline scientifiche) e fornisce un contributo significativo al prodotto interno lordo e alla bilancia commerciale del Paese. È da rimarcare che tale settore produttivo è presente (e costituisce una realtà significativa) in molteplici regioni, sia settentrionali (principalmente Piemonte, Lombardia e Liguria) sia del Centro-Sud (Lazio, Toscana, Umbria, Campania, Puglia e Abruzzo);
          il significato di questo settore va ben oltre le sue dimensioni. Si tratta infatti di un settore strategico sia per soddisfare le esigenze di sicurezza nazionale, sia per consolidare la collocazione dell'Italia nell'ambito dei Paesi maggiormente sviluppati anche per la preziosa funzione che esso svolge di fertilizzazione del sistema economico nazionale;
          è per tali motivi che i Governi delle nazioni maggiormente sviluppate (basti pensare alle principali economie europee) sono tradizionalmente impegnati a sostenere in modo sistematico l'avanzamento tecnologico del settore, partecipando in modo strategico e non episodico al finanziamento della ricerca con un ruolo di «partenariato» strutturale. La partecipazione dello Stato infatti è elemento fondamentale e indispensabile: la ricerca in questo settore ad altissima tecnologia richiede investimenti di un livello tale, che in nessun Paese le aziende sono in grado di sostenerne autonomamente;
          un notevole sforzo è stato finora condotto in Italia per promuovere con impegnativi investimenti in ricerca la continua innovazione in questo settore. Con la legge n.  808 del 1985 è stato a suo tempo creato un efficace strumento per realizzare quel necessario intervento dello Stato che qualifica quali «addizionali» le attività di ricerca e sviluppo svolte. In venti anni di applicazione la legge n.  808 – che recentemente la Commissione europea ha dichiarato pienamente conforme alle disposizioni comunitarie in materia – ha dimostrato la sua efficacia consentendo all'industria italiana di requisire una solida leadership mondiale in diversi comparti, dagli elicotteri ai radar, ai velivoli regionali, ai sistemi satellitari da osservazione, a specifici progetti sviluppati da piccole e medie imprese di nicchia. Inoltre, sono stati sviluppati centri di ricerca pubblici e non.  Sono stati costituiti in molte delle regioni interessate distretti tecnologi quali nuclei preziosi per coagulare e stimolare attività coordinate di grandi imprese, piccole e medie imprese su obiettivi comuni;
          l'impegno degli altri Paesi inclusi i partner europei per il sostegno della ricerca in questi settori è significativo anche in questo momento di crisi, nella consapevolezza che i «tagli» alla ricerca specie in questa area equivarrebbero a negare l'acqua ad una pianta novella. È diversa la situazione in Italia, ove per tutto il 2012 in particolare non è stata stanziata alcuna risorsa per la legge n.  808;
          il mancato stanziamento per il 2013 di risorse per promuovere la ricerca nelle industrie dell'aerospazio e della difesa determinerebbe conseguenze di particolare gravità per tali industrie, che per un anno senza alcun sostegno e con pesante sacrificio hanno portato avanti autonomi ed impegnativi progetti di ricerca per lo sviluppo di prodotti tecnologicamente innovativi. Il protrarsi della attuale situazione minerebbe la possibilità di realizzare quel processo continuo di avanzamento tecnologico e di rafforzamento della competitività dell'industria italiana con impatti negativi, anche a breve, su di una occupazione, come detto altamente qualificata  –:
          quali iniziative di politica industriale i Ministri interrogati intendano adottare:
              a) per salvaguardare la presenza e la competitività dell'Italia nel settore dell'aerospazio, della sicurezza e difesa, uno dei non molti settori di alta tecnologia in cui il nostro Paese opera con ruoli significativi;
              b) per destinare adeguate risorse già dall'esercizio 2013 in modo da dare continuità, in un contesto di razionale sviluppo, a quel «partenariato» strutturale che lo Stato è chiamato a svolgere in questo settore. (4-17708)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          una lunga serie di proroghe ha connotato la vicenda dell'entrata in uso del cosiddetto «nuovo redditometro» che prosegue. Dopo un anno di sperimentazione, esso non è ancora stato reso operativo, nonostante fosse prevista originariamente la sua utilizzabilità per l'anno 2011;
          lo scorso anno il provvedimento è stato posticipato per tre volte nel breve volgere di quattro mesi, fissando il termine della raccolta al 31 dicembre;
          alla fine del 2011, verificata l'impossibilità di utilizzo per motivi tecnici, si è proposta come nuovo termine di presentazione la data del giugno 2012, in concomitanza con la presentazione del modello Unico 2012. Purtroppo anche nel mese di giugno si è avuto un ennesimo slittamento del termine a causa di un meccanismo non perfettamente oliato che per il modo con cui è stato congegnato appare di difficoltosa utilizzabilità;
          esistono ad oggi alcune simulazioni predisposte dalle associazioni di categoria in collaborazione con Sose e con l'Agenzia delle entrate, ma sono ritenute dai tecnici ancora troppo lontane dal poter fornire risultati attendibili;
          il direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, nel corso di un'audizione, ha precisato che il ritardo è motivato dall'intenzione di rendere lo strumento del redditometro il più efficace possibile prima di presentarlo e renderlo effettivamente operativo. Le elaborazioni finora sono state condotte solo su un numero ridotto di gruppi omogenei, ed è questo uno dei problemi, poiché manca la sperimentazione di un campione rappresentativo della complessiva ed eterogenea categoria dei contribuenti;
          lo strumento, quando perfezionato, funzionerà attraverso l'incrocio dei dati espressi dal contribuente e si andrà in cerca di eventuali incongruenze tra reddito dichiarato e spese effettuate. Per rendere più sensibile il sistema, sono stati previsti 11 tipi di nuclei familiari e più di cento voci di spesa, articolate in sette categorie: abitazione, mezzi di trasporto, contributi e assicurazioni, istruzione, attività sportive e ricreative e cura della persona, altre spese significative, investimenti immobiliari e mobiliari netti;
          vi è però da risolvere l'ulteriore problema dell'asimmetria tra i dati che il contribuente inserirà del software e quelli che il fisco ha utilizzato per costruire lo strumento  –:
          di quali elementi disponga al riguardo e quali eventuali iniziative ulteriori intenda assumere. (4-17709)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il termine del 1o ottobre 2012 entro il quale dovrebbe essere presentata la dichiarazione Imu potrebbe non essere effettivo poiché il modello di dichiarazione non è ancora disponibile, tanto che secondo la stampa specializzata appare inevitabile la proroga dell'adempimento  –:
          se quanto esposto in premessa trovi conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda eventualmente assumere. (4-17711)


      SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del 25 giugno 2012, il Ministro dell'economia e delle finanze ha stabilito le modalità di certificazione, anche in forma telematica, dei crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, da parte delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 9, commi 3-bis e 3-ter, del decreto-legge n.  185 del 2008;
          il suddetto decreto ministeriale, all'articolo 3, comma 3, stabilisce che la certificazione non può essere rilasciata qualora risultino procedimenti giurisdizionali pendenti, per la medesima ragione di credito;
          ad avviso dell'interrogante, è necessario distinguere i procedimenti giudiziari volti all'accertamento del credito dai procedimenti esecutivi diretti a soddisfare la pretesa del creditore, diretti cioè alla realizzazione coattiva di un risultato pratico in adempimento di un obbligo giuridico;
          l'articolo 474 del codice di procedura penale, al primo comma, stabilisce che l'esecuzione forzata può avere luogo solo in virtù di un titolo esecutivo che abbia ad oggetto un diritto certo, liquido ed esigibile;
          il titolo esecutivo, dunque, è un documento che dichiara l'esistenza di un diritto di credito in capo ad un soggetto, e in base a queste caratteristiche intrinseche del titolo stesso, la legge fonda su di esso la possibilità di azionare la procedura esecutiva per soddisfare il diritto che il debitore non ha spontaneamente assolto  –:
          se non ritenga opportuno e necessario ammettere a certificazione i crediti oggetto di procedimento esecutivo, in quanto certi, liquidi ed esigibili e chiarire la portata dell'espressione «procedimenti giurisdizionali in corso». (4-17713)


      MANCUSO, BARANI, CROLLA, CICCIOLI, GIRLANDA e DE LUCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  1404 del 1956 («Soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti di qualsiasi forma costituiti) attribuisce al Ministero dell'economia e delle finanze, e in particolare all'Ispettorato generale per gli affari e la gestione del patrimonio degli enti disciolti (IGED), la definizione delle gestioni liquidatone;
          nel 1996, il Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Azeglio Ciampi, riferì che vi erano da definire 460 gestioni, tra cui l'Ente Colombo ’92 (costruito per l'EXPO ’92 e che ricevette 800.000 visitatori sui 3 milioni di euro previsti);
          in Veneto c’è «l'istituto per la conservazione della gondola e la tutela del gondoliere», un «Consorzio intercomunale soggiorni climatici di Verona», un «Istituto culturale delle comunità dei ladini storici delle Dolomiti bellunesi», e una «Fondazione centro studi transfrontaliero del Comelico e Sappada»;
          in Piemonte c’è il Centro piemontese di studi africani, e un «Istituto per le piante da legno e l'ambiente»;
          è l'Emilia Romagna la regione con più enti strumentali (368), seguita da Lombardia (297), Toscana (267), Campania (262), Veneto (258), Piemonte (253), Liguria (220), Sicilia (206);
          quella che ne ha di meno è il Molise (21), regione piccola e poco popolosa;
          le «sforbiciate» annunciate negli ultimi dieci anni ne hanno cancellati o riordinati solo 37 – una decina dei quali sotto il Governo Monti – ma comunque ne hanno creati quattro nuovi;
          negli ultimi anni sono stati varati nuovi provvedimenti finalizzati alla soppressione degli enti inutili: uno nel 2002, uno nel 2007 (governo Prodi), un paio nel 2008, poi ancora nel 2009 e altri due nel 2010;
          ad oggi non risultano casi di soppressione conseguenti ai procedimenti di riordino e soppressione inizialmente previsti dall'originaria norma «taglia-enti» e tutti gli enti soppressi lo sono stati mediante specifica norma di legge;
          secondo il Ministro per la semplificazione normativa pro tempore Roberto Calderoli, nel 2010 gli enti inutili erano 714;
          Calderoli produsse 29 decreti di abolizione;
          i decreti «Calderoli» andavano a toccare anche enti utili e funzionanti come gli ordini professionali;
          il decreto «Milleproroghe» di gennaio 2011 riportò tutto al punto di partenza;
          l'UPI (Unione delle province) ha quantificato in 7 miliardi di euro il costo del mantenimento in vita degli enti inutili catalogati dal Ministero dello sviluppo economico, di cui 2,5 miliardi di euro solo per i compensi ai vari consigli di amministrazione  –:
          se il Governo intenda censire il numero esatto degli enti inutili presenti oggi nel Paese;
          se il Governo intenda fornire elementi relativamente allo stato di avanzamento del processo di eliminazione di tali enti;
          se il Governo intenda dar precisamente conto dei montanti risparmiati e risparmiabili attraverso l'eliminazione degli enti inutili e dell'utilizzo di tali risparmi. (4-17716)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la cosiddetta «Manovra di ferragosto» contenuta nel decreto-legge n.  138 del 2011 all'articolo 2 dal comma 36-terdecies al comma 36-duodevices, prevede una nuova disciplina in vigore dal 2012. In base alla nuova normativa se una società o ditta individuale concede in godimento l'utilizzo di un bene di impresa che sia bene mobile, tipo autovettura, e o che sia bene immobile, tipo appartamento, a un socio o a un familiare a titolo personale ha apportato le novità di seguito descritte: all'utilizzatore del bene persona fisica (socio e/o familiare), si configura un reddito diverso ai sensi dell'articolo 67 TUIR comma 1 lettera h-ter) pari alla differenza tra il valore del mercato e il corrispettivo annuo pattuito per la concessione del godimento del bene; al concedente società e/o ditta individuale è prevista l'indeducibilità dei costi relativi al bene se il corrispettivo annuo risulta inferiore al valore di mercato;
          ai fini di consentire all'amministrazione finanziaria l'attività di controllo, la norma ha disposto che per i beni concessi in uso la società o anche l'utilizzatore dovrà inviare all'Agenzia delle entrate una comunicazione relativa ai beni concessi in godimento. Le medesime informazioni devono essere impiegate dal fisco per svolgere verifiche ai fini dei cosiddetti accertamenti sintetici o da redditometro sulle persone fisiche. Con un successivo provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate n.  166485 del 16 novembre 2011 è stato approvato il modello della comunicazione con le relative istruzioni e termini di consegna;
          il provvedimento amplia notevolmente l'oggetto della comunicazione rispetto a quanto riportato nella manovra di ferragosto, infatti le istruzioni ministeriali precisano che devono essere comunicati tutti i beni comunque assegnati ai soggetti sopra detti a prescindere dal fatto che l'utilizzo avvenga a titolo gratuito o verso corrispettivo e indipendentemente dal fatto che sia o non sia inferiore al valore di mercato. Possono essere presenti casistiche piuttosto complicate, per esempio il socio che è anche amministratore oppure dipendente, allora in tal caso potrebbe avere l'auto assegnata con fringe benefit, e quindi non dovrebbe essere riportata questa informazione nella comunicazione. In presenza di beni dovranno inoltre essere evidenziati i finanziamenti e le capitalizzazioni effettuate dai soci alla società. Dovrebbe trattarsi degli apporti sia in denaro sia in natura a titolo di finanziamento infruttifero o fruttifero o di qualsiasi altro versamento senza obbligo di restituzione effettuato dai soci. Il provvedimento sembra non specificare nulla a proposito quindi non legando questi eventuali versamenti agli acquisti dei beni per esempio;
          per i beni da indicare nella comunicazione dovranno essere riportati tutti i dati identificativi dei medesimi, ma non andranno indicati i beni che hanno un valore imponibile inferiore ai 3.000 euro. La comunicazione riguarda le assegnazioni di beni in corso per ciascun anno e doveva essere trasmessa telematicamente all'Agenzia delle entrate entro il 2 aprile 2012 poiché il 31 marzo sabato era sabato a causa della difficoltà della comunicazione che contiene diversi punti ancora poco chiari sia relativamente ai beni da comunicare che relativamente ai finanziamenti e versamenti dei soci. Con un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate il 13 marzo 2012 è stato prorogato al 15 ottobre 2012 il termine per l'invio della prima comunicazione dei beni ai soci relativamente al periodo 2011;
          da tempo sono richieste indicazioni ufficiali che a tutt'oggi ancora mancano e arrivano voci di proroga della scadenza della trasmissione della comunicazione. Esso potrebbe slittare a fine anno o anche a gennaio 2013. Una proroga più ravvicinata creerebbe, secondo quanto scritto, un intreccio di date con la scadenza degli acconti del 30 novembre 2012;
          si consideri inoltre che sono attesi alcuni chiarimenti, in particolare sul trattamento fiscale dei beni a deducibilità limitata che l'imprenditore utilizza anche nella sua sfera privata: per tali beni, infatti, l'imprenditore dovrebbe pagare interamente l'Irpef nonostante abbia dedotto solo parzialmente il loro costo  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, e nell'eventualità positiva, quali iniziative intenda eventualmente assumere per evitare in questo ed in futuri casi il fenomeno della proroga che appare, più precisamente, per la sua rilevanza statistica, quasi una regola. (4-17721)


      BOFFA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          numerose e pressanti sono le segnalazioni che pervengono quotidianamente dai comuni dei territori di riferimento;
          gli amministratori locali rilevano che la recente riduzione del fondo di riequilibrio, i tagli già effettuati negli ultimi anni ai trasferimenti erariali e il patto di stabilità, rischiano di paralizzare l'attività dei comuni nei rispettivi territori;
          si segnala inoltre che il meccanismo destinato a modificare progressivamente il FSR, in funzione dell'IMU, ha generato alcune incongruenze, tra queste si cita ad esempio il caso del dato ICI 2010 che non tiene conto delle eventuali e successive variazioni dovute alle attività di accertamento effettuate da molti enti virtuosi, i quali, grazie alla lotta all'evasione e all'elusione fiscale, hanno aumentato la base imponibile con un conseguente buon risultato in sede di pagamento dell'acconto IMU;
          nonostante tali sforzi, molti enti hanno subìto per gli effetti finanziari compensativi, ulteriori tagli che, come conseguenza, hanno prodotto il ricorso ad un aumento dell'aliquota base dell'IMU, resasi necessaria per riequilibrare i bilanci; si sono chiesti dunque ancora maggiori sacrifici ai cittadini;
          i meccanismi di regolazione introdotti stanno provocando inoltre gravi problemi di liquidità rischiando di paralizzare anche la gestione di cassa in vista dei pagamenti obbligatori da effettuare entro fine anno;
          il quadro che emerge da tali segnalazioni appare dunque fortemente penalizzante anche per quei comuni che hanno prodotto una gestione virtuosa dei propri conti e che rischiano, al pari di altri meno ligi, di non riuscire a far fronte nemmeno alle spese per il finanziamento delle funzioni fondamentali  –:
          se non ritenga il Ministro di assumere iniziative per una revisione del gettito ICI 2010 nonché dei correlati meccanismi di rideterminazione del fondo di riequilibrio e dei trasferimenti erariali, tenendo conto dell'aumento della base imponibile che molti comuni hanno conseguito grazie alla lotta all'elusione e all'evasione fiscale;
          quali iniziative e quali meccanismi di riequilibrio il Ministro intenda mettere in atto per salvaguardare i tanti comuni virtuosi del territorio nazionale che, insieme ai loro cittadini, hanno profuso sforzi per tenere i conti in ordine nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, così come la legge espressamente prescrive. (4-17727)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in un anno il costo della benzina è aumentato di circa 35 centesimi al litro, di cui 21 vanno allo Stato sotto forma di accise, mentre 14 alle compagnie petrolifere. Per i cittadini questo stato di cose si traduce in una spesa di 768 euro in più in un anno, pari a 49 giorni di spesa alimentare di una famiglia media. I dati provengono da un'associazione di consumatori, che ha stimato le ricadute sulla spesa per 420 euro annui aggiuntivi per i pieni di carburante e di 348 euro annui aggiuntivi per aumenti indiretti, dovuti soprattutto al maggiore costo per il trasporto merci;
          il dato relativo alle ricadute indirette è particolarmente allarmante, poiché rende evidente l'incidenza dei prezzi dei carburanti sul tasso di inflazione. Secondo le stime, a fine anno è possibile un'ulteriore spinta al rialzo dell'1,1 per cento rispetto al tasso di inflazione attuale  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali eventuali iniziative intendano assumere per evitare potenziali speculazioni, stimolare la modernizzazione dell'intera filiera e promuovere la massima liberalizzazione del settore e una diminuzione delle accise, come fatto in Francia, grazie alla quale sarebbe possibile un risparmio per costi diretti ed indiretti e una diminuzione della tassa da inflazione. (4-17733)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 13 settembre 2012, un detenuto ha tentato di togliersi la vita impiccandosi alle grate della cella del carcere di Monza;
          l'uomo, approfittando dell'assenza dei compagni di cella che stavano rientrando dopo l'ora d'aria in cortile, ha preso la cintura dell'accappatoio e ha deciso di porre fine nella maniera più tragica al suo disagio. Si è legato la corda intorno al collo e si è appeso alle grate in ferro della finestra. Solo un caso ha evitato che il gesto dell'uomo si compisse. Appena entrati in cella, infatti, sia l'agente di polizia sia i due detenuti hanno immediatamente soccorso l'uomo liberandolo dal cappio;
          attualmente il giovane si trova in una cella del reparto di isolamento priva di alcun oggetto che potrebbe nuocergli, come da prassi, in attesa che si chiariscano i motivi del suo gesto  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
          se intenda avviare un'indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
          se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
          più in particolare quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza psicologica e medico-psichiatrica ai detenuti, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora;
          più in generale, come si intenda intervenire in tempi rapidi e con quali provvedimenti per superare questa grave situazione creatasi nelle carceri italiane per arginare l’escalation dell'autolesionismo, dei tentati suicidi e dei suicidi e, soprattutto, come si intendano tutelare i soggetti meno tutelati, «i senza niente», che, per paura del dopo carcere, ricorrono sempre più frequentemente al suicidio;
          quali misure si intendano attuare per limitare il sovraffollamento carcerario e affinché si creino situazioni più consone alla salute, anche mentale, del detenuto e quali percorsi, alternativi alla detenzione, di reinserimento nel tessuto lavorativo e sociale si intendano intraprendere, già dall'interno, per arginare tali fenomeni degenerativi e di disagio. (4-17731)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa ASCA il 13 settembre 2012, le detenute della sezione femminile dell'istituto penitenziario di Castrovillari (Cosenza) avrebbero deciso di protestare, ogni sera alle 19,30, battendo le gavette alle finestre della cella per richiamare l'attenzione sul sovraffollamento del carcere, sulle carenze igieniche e sulle scarse cure mediche;
          in una lettera pubblicata sul Quotidiano della Calabria, fatta uscire dall'istituto tramite i parenti, le donne descrivono quella che definiscono «condizione disumana» e scrivono: «In queste celle viviamo male, tre detenuti al posto di due; le docce fuori dalle celle e per di più solo tre volte a settimana. Ci sono detenute operate che stanno male, sebbene abbiano un piccolo residuo di pena. Detenute con patologie gravi e persino con perizie dei tribunali che parlano di “incompatibilità carceraria”; eppure vivono in questo posto, in questo inferno»  –:
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (4-17737)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'agenzia di stampa AGI del 12 settembre 2012 ha riportato le seguenti dichiarazioni del coordinatore nazionale dell'Ugl polizia penitenziaria, Walter Campagna: «A pochi mesi dal completamento dei lavori del nuovo complesso minorile di Catanzaro, oggetto di un'imponente attività di manutenzione straordinaria ed ampliamento, nessun riscontro si è registrato in termini di incremento di personale. Alla luce di ciò è impensabile programmare una data di inaugurazione della stessa struttura se il superiore dipartimento non provvederà a colmare tale problematica, oggi aggravata dalla chiusura del Centro di prima accoglienza di Reggio Calabria»  –:
          se ed entro che termini intenda provvedere all'aumento del personale di polizia penitenziaria da assegnare al nuovo complesso minorile di Catanzaro;
          se a tal fine non intenda richiamare in servizio gli agenti di polizia penitenziaria attualmente distaccati presso il Ministero della giustizia;
          per quando sia prevista l'inaugurazione del nuovo carcere minorile di Catanzaro. (4-17738)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          sul Secolo XIX del 19 settembre 2012 è apparso il seguente articolo di Graziano Cetara: «Ci sono condanne che non si scontano mai fino in fondo. E che ti inseguono. Diventano una seconda carta d'identità e viaggiano con te. Il carcere, quando è un tribunale a sentenziare, dovrebbe essere una parentesi più o meno lunga prima del riscatto, della riabilitazione. Dovrebbe. Per il codice della strada, invece, la pena non basta. Ora a Genova, in base a una legge introdotta due anni fa ma rimasta di fatto inapplicata in attesa di modifiche e aggiornamenti mai arrivati, il giudizio si estende alla sfera morale della persona. Proprio così. E una condanna per questioni di droga diventa un marchio di indegnità, inaffidabilità (anche se controlli e analisi negli anni hanno dimostrato il contrario) capace di farti revocare la patente. Matteo G., 41 anni, rappresentante di commercio di Arenzano, chiede di restare coperto dall'anonimato per non aggiungere un altro danno alla “beffa appena incassata”: per i prossimi tre anni potrà spostarsi solo a piedi o accompagnato. Lo ha deciso il prefetto. Ha sbagliato, Matteo G., finendo nelle maglie di una organizzazione di spacciatori di cocaina nell'ormai lontano 2006. Ha pagato un primo conto, con una condanna a tre anni e mezzo. E si è sottoposto a ogni genere di test e analisi, dal sangue ai capelli, passando ogni controllo. La giustizia però non si è fermata e quando ormai la sua vita si era stabilizzata sulla retta via, con una moglie e una figlia in arrivo tra qualche mese e un lavoro come rappresentante di gioielli ormai avviato, è arrivata la mazzata: sei indegno, gli dice in sostanza il provvedimento, quindi non puoi guidare fino a nuovo ordine. È successo alla fine del mese scorso e il provvedimento è stato notificato quando Matteo e la famiglia si trovavano in vacanza in Trentino. In campeggio. L'ufficiale giudiziario incaricato dalla prefettura di Genova non ha sentito ragioni. E ha raggiunto il camping per farsi consegnare la licenza di guida. Risultato? Marito e moglie incinta sono rimasti a piedi. Ma quel che è peggio, avvertono gli avvocati del commerciante (Carlo Contu per gli aspetti penali, e Maurizio Porretti e Stefano Mascini per quelli civili) è che senza la possibilità di guidare Matteo non può neanche tenersi il lavoro. Lascia stare che, risolto il problema della vacanza conclusa con un inatteso viaggio in treno, il rappresentante abbia deciso di tenere segreto il suo impiccio e di dotarsi di un autista personale per non perdere il lavoro. Il problema ora è combattere contro un marchio di infamia che dice di non meritare. E lo afferma esibendo le carte a sostegno della sua buona condotta. Il primo dei punti fermi è rappresentato dai tempi. L'inchiesta per spaccio risale a un periodo nel quale Matteo non aveva ancora la patente. Siamo nel 2006. L'allora trentaseienne patteggia una pena a tre anni e mezzo che, tra custodia cautelare e arresti domiciliari, sfocia ben presto nell'affidamento in prova: il test con il quale si concludono quasi sempre certe pene per le quali il ritorno in libertà non rappresenti un rischio enorme per la società. Matteo supera l'esame e la sua pena viene scontata ed estinta. A questo punto decide di rifarsi una vita. Prende moglie e patente. E siamo nel 2010. La sua esistenza cambia rotta. Si sottopone a ogni genere di test per dimostrare a tutti che ha tagliato con la droga e con l'ambiente marcio tutto attorno. Gli alambicchi della Asl confermano puntualmente la sua buona fede e il suo stato di salute. E il segno del riscatto. Ma il passato ritorna. Lo fa nei modi più beffardi, a volte. E nel caso di Matteo lo fa rinfacciandogli degli episodi minori relativi agli stessi fatti per cui era stato condannato e poi incarcerato. Briciole giudiziarie di un'inchiesta che doveva essersi esaurita e invece ancora aveva in servo delle sorprese. Al rappresentante viene presentato un conto da nove mesi di reclusione da scontare. Sono fatti che risalgono a quando ancora non aveva la patente e che nulla potevano aggiungere o togliere alla sua moralità: si può essere più o meno indegni se si spaccia dieci volte oppure dodici? Per il prefetto di Genova sì. E sulla base della legge nel frattempo entrata in vigore, Matteo riceve la revoca della patente. Con i suoi avvocati presenta un ricorso al giudice di pace, tentando la strada più breve tra quelle consentite. Ed è di ieri la decisione di sospendere temporaneamente il provvedimento del prefetto. Matteo potrà continuare a guidare fino al 29 novembre. Quando un altro giudice sarà chiamato a decidere sulla sua moralità. Solo a quel punto questa storia giudiziaria potrà arrivare al punto. E solo allora Matteo saprà quante condanne ancora dovrà scontare prima di provare a rifarsi una vita»;
          il ritiro della patente di guida è un handicap assoluto nelle attività di lavoro in cui la patente è necessaria e/o relativo in tutte quelle in cui l'uso della stessa è più o meno indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro. Non disporre della patente di guida è oggi una forma di grave incapacitazione della persona. È chiaro che la sanzione introdotta dall'articolo 19 della legge n.  120 del 2010 è stata voluta, in ragione dei suoi effetti dissuasivi, proprio per questo, ma è anche chiaro che, per il risultato incapacitante che produce e, in particolare, per il ritardo nel tempo di produzione dello stesso (alla fine della pena principale), tale sanzione ostacola e riduce fortemente la possibilità di reinserimento al lavoro della persona condannata;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto c’è da interrogarsi su quale efficacia potrebbero avere le predette misure visto e considerato che il condannato non sarà certo ostacolato dal ritiro della patente di guida se intende tornare a delinquere, mentre sarà ostacolato da questo provvedimento se intende seguire un percorso di riabilitazione sociale e di lavoro  –:
          se il Governo non intenda adottare iniziative di carattere normativo al fine di apportare le opportune modifiche all'articolo 120 del codice della strada in materia di requisiti morali necessari per ottenere il rilascio della patente di guida, ciò al fine di non perseguitare la persona condannata anche dopo l'espiazione della pena, ma semmai facilitandone il reinserimento sociale conformemente a quanto stabilito dall'articolo 27 della Costituzione.
(4-17739)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il sito online del quotidiano «La Gazzetta del Mezzogiorno» il 19 settembre 2012 ha pubblicato un articolo siglato v.cord.arc. dal significativo titolo: «Privilegi al Perrino. Sposta due partorienti per favorire la figlia»;
          in particolare, si racconta che il 16 giugno 2012, a Brindisi, dalla stanza 10 dell'unità operativa di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Perrino, al 9o piano, sarebbero state «sfrattate» due partorienti, una delle quali incapace di deambulare avendo partorito da poco; La stanza viene pulita a dovere e disinfettata per ospitarvi la figlia di un medico; da sola, anche se i letti disponibili sarebbero tre;
          secondo quanto denunciato dall'associazione consumatori antiusure e abusi bancari finanziari assicurativi-amministrativi, ciò sarebbe accaduto «al solo fine di adibire la medesima stanza 10 alla figlia di uno dei medici che sembra operi nello stesso ospedale»;
          il presunto medico, si sarebbe arrogato il diritto di utilizzare la struttura pubblica e di tenere a disposizione della figlia «e relativi parenti» una stanza «oltre la particolareggiata servitù dei dipendenti»  –:
          se siano avviate indagini su quanto rappresentato in premessa. (4-17747)


      MANCUSO, CICCIOLI, BARANI e GIRLANDA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          terzietà e imparzialità sono assunte come le caratteristiche che consentono di distinguere i giudici dagli altri organismi che esercitano funzioni statali diverse;
          Antonio Ingroia è uno dei pubblici magistrati incaricato dell'indagine sul rapporto tra Stato e mafia;
          Antonio Ingroia, a marzo del 2011, dal palco della manifestazione in difesa della Costituzione a Roma, definì «controriforma» quella delle giustizia;
          nell'ottobre 2011, Antonio Ingroia, invitato al congresso del Pdci a Rimini disse: «Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni ma io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione»;
          le sue dichiarazioni hanno sollevato le critiche del Consiglio superiore della magistratura;
          l'8 settembre, il pubblico ministero Ingroia ha partecipato, insieme al magistrato Nino De Matteo, alla festa de Il Fatto Quotidiano;
          dal palco Ingroia ha dichiarato che sulla stagione delle stragi mafiose «non è ancora emersa tutta la verità», ma «a queste condizioni questo è il massimo risultato possibile»;
          secondo Ingroia «queste condizioni» difficilmente potranno cambiare «con questo Parlamento che ha approvato leggi ad personam e che è responsabile del disastro legislativo in cui ci siamo trovati»;
          il pubblico ministero ha quindi concluso: «Dovete cambiare la classe dirigente e questo ceto politico. Si deve voltare pagina»;
          il presidente dell'Associazione nazionale dei magistrati, Rodolfo Maria Sabelli, ha dichiarato che «Ingroia ha fatto un'affermazione di contenuto politico. I magistrati, soprattutto quelli titolari di indagini delicate che hanno provocato accese discussioni sul piano politico, dovrebbero cercare di evitare comportamenti, atteggiamenti e dichiarazioni di natura oggettivamente politica che possano avere ripercussioni sulla loro immagine di imparzialità»;
          durante la stessa festa de Il Fatto Quotidiano dal pubblico si sono sollevate frasi ad avviso degli interroganti ingiuriose contro il Capo dello Stato;
          i due pubblici ministeri presenti hanno accolto tali frasi con un assordante silenzio  –:
          se intenda promuovere iniziative ispettive in relazione ai fatti evidenziati in premessa. (4-17749)


      TOTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con ordinanza eseguita in data 23 novembre 2009, veniva disposta la custodia cautelare in carcere di Mileti Italo, nell'ambito di un'operazione investigativamente denominata «Ground Zero» rubricata al r.g. 7195/09 della procura della Repubblica di Pescara;
          l'interrogatorio di garanzia del Mileti, unitamente a quello di altro coindagato, veniva disposto per il successivo 25 novembre 2009. In occasione del primo interrogatorio, relativo a coindagato, il giudice per le indagini preliminari, in persona del dottor Luca de Ninis, avrebbe rappresentato al difensore, avvocato Giuseppe Cichella, di versare in una posizione di «potenziale indagato, per eventuali valutazioni sull'opportunità dell'esercizio della difesa». A tale deduzione, il legale avrebbe ribattuto di non aver mai saputo che si potesse essere «potenziali indagati» sollecitando il giudice a un'immediata verifica della personale compatibilità del legale con l'ufficio di difensore, significando che, in assenza di alcuna determinazione ricognitiva della medesima, avrebbe proceduto oltre nell'interrogatorio a salvaguardia dello status libertatis del suo cliente indagato;
          terminato l'atto, si sarebbe dovuto dare ingresso, come da provvedimento del gip, al secondo interrogatorio, relativo al Mileti, e, tuttavia, con giustificazioni estemporanee, di improvvisa stanchezza lamentata dal pubblico ministero, dottor Gennaro Varone, e di indisponibilità asserita dal gip di disporre rinvii ad horas, a motivo dei propri impegni d'ufficio, se ne disponeva lo slittamento al giorno successivo, essendo testi, tutti presenti all'incombente istruttorio: l'avvocato Luca Francano, codifensore; la dottoressa Lucia Porro, cancelliera; i dottori Raffaella Latorraca e Mauro Leo Tenaglia, uditori giudiziari;
          sulla scorta di detto inopinato rinvio, l'avvocato Cichella chiedeva di poter conferire con il proprio assistito, Mileti Italo, in vista dell'incombente del giorno successivo. Il colloquio, svoltosi all'interno dell'apposito locale, fu integralmente captato mediante apparecchi per la cosiddetta «intercettazione ambientale»;
          il mattino del giorno seguente, il giudice per le indagini preliminari, dottor Luca de Ninis, negli atti prodromici al raccoglimento dell'interrogatorio, reiterava l'invito all'avvocato Cichella a riflettere sulla propria posizione di «potenziale indagato» per eventuali valutazioni sull'opportunità dell'esercizio della difesa. Ancora una volta, l'avvocato dichiarava di sconoscere la qualità di «potenziale indagato» e chiedeva formalmente al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari stesso se vi fosse una iscrizione a suo carico, circostanza determinante ai fini della prosecuzione o interruzione del proprio mandato difensivo, dovendosi, viceversa, ritenere potiore l'obbligo legale, oltreché deontologico, ad esercitare la difesa, la cui inottemperanza è, peraltro, sanzionata dall'articolo 105 del codice di procedura penale, di non abbandonare immotivatamente la difesa. Espressamente chiedeva, altresì, al giudice per le indagini preliminari di segnalare eventuali ragioni di incompatibilità non solo rispetto a quelle previste dall'articolo 106 del codice di procedura penale ma, tout court, per l'eventuale acquisizione in capo allo stesso difensore della qualità di indagato nel medesimo procedimento, circostanza che avrebbe determinato il venir meno delle condizioni per l'esercizio dell'ufficio difensivo. Il giudice, disponeva senz'altro indugio di procedere oltre essendo presenti all'incombente istruttorio tutti i medesimi testi più sopra nominati;
          di particolare rilevanza fu che, nel corso del colloquio difensivo ascoltato dall'autorità giudiziaria, immediatamente prima dell'interrogatorio di garanzia, e nella predisposizione della strategia difensiva, il Mileti accennava a più riprese a un'operazione di natura assicurativa, in particolare con il noto broker Mediass spa, nella quale un qualche ruolo avrebbe avuto anche uno dei soggetti menzionati nel provvedimento di custodia cautelare, il dottor Enzo Mancinelli. Di fatto, sulla base di tali affermazioni, la procura della Repubblica avrebbe formulato un secondo capo di imputazione a carico, tra l'altro del Mileti, sull'ipotesi di una presunta corruzione avente come protagonisti il soggetto testé menzionato e lo stesso Mileti;
          per opportuna puntualizzazione, è da evidenziare che per detta seconda ipotesi di reato sarebbe stato richiesto il rinvio a giudizio del Mileti e del suo stesso difensore sulla scorta, giustappunto, delle risultanze delle intercettazioni ambientali che li avevano riguardati. Il giudice dell'udienza preliminare, al contrario, non ravvisò alcuna ipotesi di reato nella condotta di entrambi, assolvendo il secondo e prosciogliendo il primo, in assenza di conforme previsione normativa al riguardo;
          appare evidente, a parere dell'interrogante, l'impegno profuso, in particolare dal pubblico ministero titolare dell'inchiesta, nel porre in atto iniziative, nel caso di specie le intercettazioni dei colloqui con il difensore inerenti alla predisposizione proprio dell'interrogatorio di garanzia, idonee a privare il Mileti del diritto alla difesa costituzionalmente sancito e tutelato: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (articolo 24, comma 2, della Costituzione). Il profilo censurabile della condotta del magistrato è reso ancor più consistente, a giudizio dell'interrogante, dalla strumentalità dell'iniziativa investigativa, tesa ad aggravare la posizione pre-processuale, evidentemente funzionale alla necessità, da un lato, di supportare una vicenda giudiziaria che, non solo all'apprezzamento dell'interrogante ma all'occhio dell'opinione più diffusa, apparve dall'immediato sproporzionata nel clamore e negli effetti provocati, come, i successivi sviluppi processuali avrebbero confermato, cristallizzandone la sostanziale implausibilità e, dall'altro lato, di giustificare il puntuale, ostinato rigetto di ogni istanza di revoca o attenuazione di misure cautelari esorbitanti, a giudizio dell'interrogante, rispetto alle effettive esigenze cautelari;
          i connotati della condotta del pm, pertanto, appaiono, a parere dell'interrogante, idonei ad integrare la fattispecie dell'illecito rubricato quale abuso di ufficio e sanzionato dall'articolo 323 del codice penale che testualmente dispone: «1. Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
      2. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità»;
          a parere dell'interrogante, appare indubbia la sussistenza di entrambi gli elementi integrativi della fattispecie, giacché la violazione della legge è rinvenibile, intanto, nella violazione reiterata dell'articolo 24 della Costituzione che sancisce il principio dell'inviolabilità «in ogni stato e grado del procedimento» del diritto alla difesa. Il principio appare de plano violato, da qualunque punto di disamina lo si riguardi, nella circostanza in rilievo essendo stati violati i presidii di quel principio, ossia le coerenti disposizioni di legge volte a sostanziarlo, in particolare, per quel che rileva in argomento, intanto quelle di cui all'articolo 96 del codice di procedura penale sul diritto, incomprimibile, alla nomina di un difensore di fiducia da parte dell'indagato; poi, quelle altre relative ai «colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare», di cui all'articolo 104 del codice di procedura penale. Se, infatti, il colloquio tra il Mileti e l'avvocato Cichella fu un colloquio tra indagato e suo difensore, quell'intercettazione oggetto del presente atto di sindacato non poteva che essere lesiva del diritto costituzionale «inviolabile» alla difesa. Se, diversamente, fosse stato vero, ma non lo era, che il colloquio tra gli stessi due soggetti verteva solo «...formalmente in tema di colloqui difensivi ma, in realtà, in materia di colloqui tra indagati; favoriti dalla qualifica di avvocato di uno di essi...», come asserito dal magistrato di cui si tratta nel decreto di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, allora emerge, di tutta evidenza, sempre a parere dell'interrogante, la consapevolezza, da parte di quel pubblico ministero, che il Mileti fosse, nella circostanza data, privo di assistenza legale; che lo stesso avvocato Cichella fosse privo di titolo per conferire con lui e che egli stesse arrecando, per logica conseguenza, un danno ingiusto all'indagato. Alla stregua di siffatte considerazioni, è tautologico concludere a giudizio dell'interrogante che il rispetto del diritto del Mileti alla difesa, e l'ossequio al relativo principio costituzionale, che, ovviamente, attiene anche alla fase di predisposizione dell'interrogatorio di garanzia, fosse stato, inopinatamente e gravissimamente, misconosciuto e conculcato nella circostanza riferita. L'intenzionalità del danno consiste nella volontaria, preordinata e deliberata volontà, a parere dell'interrogante, di porre in essere non consentiti artifizi, finalizzati a ottenere elementi ulteriori di accusa, in violazione delle norme che sanciscono l'inviolabilità del diritto di difesa, anche mediante la strumentale rappresentazione di sopravvenute ragioni di rinvio dell'interrogatorio del Mileti, in realtà indispensabili per dare luogo alla sistemazione dei congegni di captazione all'interno del locale nel quale doveva svolgersi il colloquio difensivo. Il danno ingiusto risiede nell'artificiosa creazione di un aggravato quadro indiziario a carico del Mileti, che si sarebbe sostanziato in un considerevole ampliamento della sua detenzione, alimentata da pervicaci rigetti delle numerose istanze di rimessione in libertà che, altrimenti, sarebbero stati difficilmente motivabili. Ancora, fu violato il diritto riconosciuto alla persona sottoposta alle indagini dall'articolo 64 c.p.p, che dispone sia essa avvertita, prima che abbia inizio l'interrogatorio, che: «b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda...». È d'uopo chiedersi come possa conciliarsi questo diritto con un interrogatorio nel quale l'autorità giudiziaria era in realtà del tutto avvertita delle risposte che il Mileti avrebbe fornito, avendone, a parere dell'interrogante arbitrariamente, captato le confessioni al difensore anteriormente all'atto. È conferente, inoltre, la sottolineatura della violazione, che ad avviso dell'interrogante si appalesa nella vicenda data, dell'articolo 271 del codice di procedura penale che inibisce l'utilizzo dei risultati di intercettazioni eseguite al di fuori dei casi consentiti dalla legge e le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni degli avvocati, tra altri soggetti;
          inaccettabile e gravissimo appare, nella vicenda de qua, che l'ufficio del pubblico ministero non si peritò, neppure in via residuale, di giustificare la negligenza del diritto alla difesa del Mileti tanto da neppure giustificare la supposta e pretesa caducazione, nel caso di specie, delle guarentigie di cui all'articolo 103 del codice di procedura penale, in materia di divieto di intercettazione delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, in relazione ai diritti pregnanti e in rilievo, per dettato costituzionale, dell'indagato, oltretutto assoggettato alla misura della custodia cautelare in carcere ma di quelli, inconferenti e irrilevanti del legale. Appare dunque stravolto, nel citato decreto di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, il principio per il quale la garanzia di cui al richiamato articolo 103 c.p.p. concerne l'indagato ed è, esattamente, espressione di quell'insopprimibile e incomprimibile diritto alla difesa costituzionalmente sancito e, nella circostanza, drammaticamente pretermesso. Lo stravolgimento consiste nell'argomentare, alla stregua di garanzia che assisterebbe il difensore, che essa s'intenderebbe esclusa allorquando il difensore medesimo sia egli stesso indagato, tesi peraltro che, chiosando per incidens, neppure appare condivisibile  –:
          se il Ministro non ritenga, esaminati i fatti riferiti e svolta ogni considerazione opportuna e appropriata in ordine alla compatibilità degli stessi con i principi fondanti della nostra civiltà giuridica e dello Stato di diritto trasposti nell'ordinamento positivo del nostro Paese, di dover esercitare la facoltà di promuovere l'azione disciplinare nei confronti del pubblico ministero dottor Gennaro Varone per le violazioni a cui si riferisce l'atto di sindacato ispettivo;
          se il Ministro non ritenga di dover promuovere iniziative normative idonee a inibire la reiterazione di condotte lesive di diritti costituzionalmente tutelati in materia di giustizia e, comunque, ad assicurare l'effettivo rispetto di quei diritti medesimi, da parte di chiunque. (4-17750)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      LAFFRANCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          è necessario ricordare, innanzitutto, che prima dell'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica n.  76 del 2004, accanto alla componente permanente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco erano presenti:
              a) i vigili discontinui, ovvero personale richiamato in servizio per periodi circoscritti di venti giorni, al fine di fare fronte, secondo quanto stabilito dall'articolo 70 della legge 13 maggio 1961, n.  469, in occasione di pubbliche calamità, di emergenze o di altre particolari necessità;
              b) i vigili volontari, ovvero personale impiegato presso i distaccamenti volontari, con modalità sostanzialmente differenti;
          l'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  76 del 2004 ha modificato la precedente normativa provvedendo ad istituire un unico elenco di personale volontario, immettendo, così, sotto la comune definizione di vigile volontario e quindi facendolo confluire nel citato unico elenco, le due figure in precedenza evidenziate che, nonostante tale provvedimento normativo, continuano a conservare una propria diversità, stante la sostanziale differenza nelle modalità di impiego;
          è da sottolineare che, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n.  76 del 2004 i vigili volontari e, pertanto anche i vigili discontinui, non sono legati da rapporto di impiego con l'amministrazione; pertanto non risultano firmatari di contratto a tempo determinato e, quindi, oltre a non avere le necessarie tutele contrattuali, non possono essere definiti veri e propri precari;
          nel 2006 si sono avviati processi di stabilizzazione, stante il notevole abuso che nel corso degli anni si era fatto di tale figura. Quindi, i vigili discontinui furono considerati precari fondamentalmente per due ragioni: la prima è che, seppur legati da rapporto di impiego con l'amministrazione e pertanto non firmatari di alcun tipo di contratto a tempo determinato, la loro figura e il loro impiego risultava perfettamente assimilabile a quella del precario (retribuzione analoga al personale a tempo determinato, versamento dei contributi, riconoscimento dell'indennità di disoccupazione); la seconda fu quella di impedire il disperdersi dell'importante bagaglio tecnico-professionale acquisito dai vigili discontinui nel corso degli anni di servizio prestato al fianco della componente permanente del Corpo nazionale, oltre ad una sorta di ricompensa per lo spirito di sacrificio di abnegazione di cui avevano dato dimostrazione;
          la legge 27 dicembre del 2006, n.  296 (legge finanziaria per il 2007) ha stabilito le linee guida per la stabilizzazione dei vigili volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco iscritti negli appositi elenchi da almeno tre anni che abbiano effettuato non meno di centoventi giorni di servizio negli ultimi cinque anni che acquisiscono, in questo modo, lo stato di precari, distinguendosi, comunque, dai precari del pubblico impiego, stante la particolarità delle funzioni svolte del Corpo nazionale. È opportuno, quindi, evidenziare come il processo di stabilizzazione dei vigili volontari sia subordinato ad un selettivo processo di accertamento, non solo dei titoli, ma dei requisiti psico-fisici ed attitudinali, con un elevato tasso di esclusi così come previsto dal decreto del Ministro dell'interno n.  3747;
          a seguito della valutazione dei titoli, così come previsto dall'articolo 8 del citato decreto del Ministro dell'interno, l'apposita commissione esaminatrice ha formato la graduatoria finale dei 6080 vigili del fuoco precari che, in numero pari al doppio dei posti che l'amministrazione di volta in volta mette a disposizione per l'immissione in ruolo, accede alle successive fasi di accertamento dei suddetti requisiti psico-fisici ed attitudinali;
          è necessario, altresì, evidenziare, come, riconoscendo il bagaglio professionale acquisito dai vigili del fuoco volontari-discontinui, il citato decreto del Ministro dell'interno preveda un corso di formazione pari a sei mesi, di cui tre presso le strutture didattiche dell'amministrazione e tre mesi presso i comandi provinciali dei vigili del fuoco, al contrario di quanto previsto per le immissioni in ruolo che avvengono dai concorsi pubblici per i quali è previsto un corso di formazione della durata complessiva di dodici mesi. Questo motivo è importante, perché la stabilizzazione dei vigili del fuoco precari, oltre ad essere indispensabile per salvaguardare il bagaglio tecnico-professionale acquisito, si traduce in un inevitabile risparmio di risorse finanziarie per lo Stato, dovendo sostenere il 50 per cento in meno di oneri economici legati all’iter formativo;
          invero, i fondi stanziati per il processo di stabilizzazione dei vigili del fuoco precari del Corpo nazionale avrebbe garantito la possibilità di convocare a prova ginnica e relativa visita medica, tutti i 6080 vigili precari se non fosse stato approvato il decreto n.  133 del 2008 che ha ridotto, per ragioni economiche, lo stanziamento di fondi e le percentuali del turn-over determinando così il rallentamento della procedura concorsuale;
          è da considerare che, allo stato attuale, e secondo i fondi disponibili, sono stati 3240 i precari convocati nell'espletamento dei criteri di selezione e circa 1900 sono stati i vigili assunti e indirizzati ai centri di formazione professionale per l'espletamento del corso. Restano ancora da assumere tutti gli idonei fino alla 3240 posizione e altri 2800 vigili da convocare per lo svolgimento della selezione professionale e medica;
          la legge 23 dicembre 2009, n.  191 (legge finanziaria per il 2010) ha consentito l'immissione in ruolo di personale corrispondente complessivamente ad una spesa pari quella relativa al personale cessato nel corso dell'anno precedente, lasciando tuttavia la graduatoria di stabilizzazione, senza la necessaria copertura finanziaria;
          la legge n.  191 del 2009 destina le assunzione nelle carriere iniziali dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco negli anni 2010, 2011, 2012 ai volontari in ferma breve, in ferma prefissata e rafferma delle Forze armate secondo la percentuale delle risorse economiche disponibili pari al 45 per cento, non prevedendo, però, alcuna disposizione per il restante 55 per cento delle risorse disponibili, che andrebbe indirizzato alla estinzione della graduatoria di stabilizzazione;
          il dipartimento dei vigili del fuoco ha reso noto che esiste attualmente una carenza di personale pari a 2583 unità;
          è da evidenziare, anche, che la legge 23 dicembre 2009, n.  191, legge finanziaria per il 2010, ha disposto che per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari a quella relativa al personale cessato nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate nel corso dell'anno precedente. A tale fine la legge ha stanziato 344 milioni di euro per l'anno 2011 e 600 milioni di euro a decorrere dal 2012 da destinare al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e ai corpi di polizia;
          è da notare che l'articolo 12 della legge n.  122 del 2010, trovando applicazione anche nei confronti del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ha disposto il collocamento in pensione degli aventi diritto con il risultato che nel 2011 nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco non potranno esserci pensionamenti e pertanto non potranno, di conseguenza, essere operate nuove assunzioni volte a colmare la carenza di organico;
          si prospetta, in ragione di quanto detto al punto precedente, l'impossibilità di utilizzare i finanziamenti già stanziati dalla n.  191 del 2009;
          è quindi ipotizzabile, oggi, per poter avere un organico completo, vista la funzione che ricoprono i vigili del fuoco a tutela della collettività ed in virtù della proroga al 31 dicembre 2012 per le graduatorie in corso (quella sulla stabilizzazione e quella relativa al concorso per 814 posti del concorso indetto con decreto del capo dipartimento dei vigili del fuoco n.  5140 del 6 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale IV serie speciale n.  90 del 18 novembre 2008) di poter procedere ad uno scorrimento delle stesse graduatorie attraverso la divisione del turn over al 50 per cento una volta che, sia riportato al 100 per cento, per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e non al 20 per cento come recentemente previsto con il decreto-legge sulla revisione della spesa  –:
          se non si ritenga necessario intervenire urgentemente, attraverso idonee iniziative normative, per continuare ad ottenere la disponibilità degli stanziamenti previsti per il 2012;
          se, in considerazione della funzione anche sociale che ricoprono i vigili del fuoco nel nostro Paese tenendo in considerazione i numerosissimi casi in cui il loro apporto si rileva determinante per la salvezza di tante vite umane, non si ritenga opportuno avviare per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato delle forme di organizzazione precaria di lavoro, tenuto conto del peculiare modello organizzativo e funzionale del richiamo in servizio di personale volontario-discontinuo, attraverso la stabilizzazione del personale, di cui agli articoli 6, 8 e 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n.  139, che, alla data del 31 dicembre 2011, risulti iscritto negli appositi elenchi di cui al predetto articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n.  139, da almeno tre anni ed abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio e al concorso concernente la stabilizzazione del precariato nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco bandito con decreto ministeriale del Capo dipartimento dei vigili del fuoco, nel soccorso pubblico e della difesa civile – Ministero dell'interno 27 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale, n.  72 dell'11 settembre 2007;
          se non sia il caso di assumere iniziative per prevedere, nei futuri concorsi per direttivi, vice ispettori ed ispettori antincendi, l'elevazione di età a 37 anni per il personale discontinuo del Corpo nazionale che intenda parteciparvi, al fine di offrire una possibilità ulteriore di accesso ai ruoli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a chi, da anni, garantisce un supporto alla struttura. (4-17712)


      MURER. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          in data 29 agosto 2012, il Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministero della cooperazione internazionale e l'integrazione e con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha approvato un decreto concernente l'attuazione dell'articolo 5 del decreto legislativo n.  109 del 16 luglio 2012, con una procedura per l'emersione di rapporti di lavoro irregolari di stranieri presenti sul territorio italiano senza permesso di soggiorno;
          a chiarimento della proceduta adottata è arrivata in data 7 settembre 2012 dal Ministero dell'interno e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, una circolare esplicativa (la 5638) che chiariva i termini per la presentazione della domanda finalizzata all'emersione dei rapporti di lavoro irregolari relativamente a lavoratori extracomunitari che, alla data del 9 agosto del 2012, erano presenti sul territorio italiano ininterrottamente dal 31 dicembre 2011, e avevano un rapporto di lavoro irregolare e continuativo da almeno tre mesi;
          la procedura prevede che le domande di regolarizzazione possano essere presentate dal 15 settembre del 2012 al 15 ottobre del 2012;
          può attivare la procedura di regolarizzazione il datore di lavoro, che dovrà dimostrare un livello di reddito sufficiente; la congruità del reddito in relazione al numero delle domande presentate e alla retribuzione prevista per i lavoratori è valutata dalla DPL competente;
          a carico del datore di lavoro è previsto un contributo forfettario di mille euro, per ciascun lavoratore da regolarizzare, da versare allo Stato all'atto della presentazione della domanda; il contributo forfettario non è deducibile ai fini fiscali e non verrà restituito in caso di archiviazione, rigetto o irricevibilità della domanda;
          il rapporto di lavoro regolarizzabile dovrà essere in corso al momento della presentazione della domanda e da almeno il 9 maggio 2012;
          per accedere alla regolarizzazione, il lavoratore extracomunitario dovrà dimostrare la sua presenza in Italia prima del 31 dicembre 2011; essa dovrà essere dimostra esibendo documentazione proveniente da organismi pubblici. Tra i riscontri possibili ci sono i seguenti: timbro di ingresso sul passaporto, codice STP (Straniero temporaneamente presente), permesso di soggiorno scaduto, certificato medico di pronto soccorso, richiesta di asilo, rinnovo del passaporto presso l'autorità consolare in Italia, atti giudiziari ed eventuali denunce per reati non ostativi, documentazione relativa alla sanatoria 2009, provvedimento di espulsione, certificato di frequenza scolastica del minore, ricevute pagamento mensa scolastica di un figlio, richiesta del codice fiscale, multa della polizia municipale/carabinieri/polizia di Stato;
          sia il contributo forfettario di mille euro, non restituibili in caso di diniego, sia la necessità di dimostrare con atti provenienti da organismi pubblici, la presenza in Italia dal 31 dicembre 2011, sta creando non poche difficoltà a chi vuole emergere da una situazione di irregolarità, dal momento che, in molti casi, rappresentano ostacoli insormontabili;
          si profila, per queste ragioni, il rischio di vedere molte meno richieste di quelle auspicate, con il pericolo di vedere vanificato uno strumento che, invece, è stato elaborato per aiutare l'emersione, l'integrazione, la lotta alla marginalità  –:
          se siano a conoscenza delle criticità che si stanno evidenziando nella procedura di emersione di cui in premessa, e se non ritengano di introdurre correttivi al fine di non vanificare l'obiettivo di integrazione del provvedimento. (4-17718)


      NICOLA MOLTENI, RIVOLTA e BITONCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), prevista dal decreto legislativo n.  23 del 2011 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», e rivede numerosi aspetti dell'imposta medesima, a partire dal fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale viene destinato allo Stato, riconoscendo la possibilità per il comune di poter modificare, in aumento o in diminuzione e pur dentro un determinato intervallo, le aliquote base fissate dal decreto, sia per quanto riguarda la prima abitazione che sugli immobili diversi dalla prima abitazione;
          il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, il fondo perequativo ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della regione siciliana e della regione Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito stimato ad aliquota di base rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010, così come risultante dal rendiconto al bilancio dell'ente del 2010;
          a seguito delle recenti modifiche apportate all'imposta e contenute nel decreto-legge n.  16 del 2012, oggi i comuni, in fase di predisposizione dei bilanci previsionali per l'esercizio 2012, da approvarsi entro il 31 ottobre 2012, iscrivono a bilancio il gettito derivante dall'applicazione dell'IMU ad aliquote ordinarie sulla base dei valori stimati dal dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze per ciascun comune;
          il comune di Canzo (Como), nel bilancio di previsione 2012, ha iscritto per l'importo di 1.558.000 euro l'entrata da imposta municipale propria di spettanza del comune, così come riportato dal dipartimento delle finanze e in ottemperanza dell'articolo 13, comma 12-bis, del decreto-legge n.  201 del 2011, congiuntamente al dato del fondo sperimentale di riequilibrio, ammontante per l'esercizio in corso a 271.322 euro;
          il dipartimento delle finanze, il 6 agosto 2012, ha aggiornato le stime del gettito annuale dell'IMU sulla base del gettito incassato con l'acconto di giugno 2012, prevedendo per il comune di Ganzo un valore di 1.318.192 euro, ovvero 240.399 euro in meno rispetto alla precedente stima;
          nello stesso sito vengono altresì riportati i nuovi valori dell'ICI 2010 dello stesso comune di Canzo e il cui importo è passato da 1.061.033 a 961.853 euro, pari ad una riduzione di 99.150 euro, sebbene, così come previsto dalla nota metodologica contenuta nel percorso guidato sul sito IFEL si indicasse il dato da inserire nel valore del certificato al conto consuntivo 2010, ovvero, nel caso del comune medesimo, in 1.070.000 euro, così come accertato nella contabilità dello stesso ente e maggiore di oltre 108.000 euro rispetto all'ultimo valore ICI fornito dal dipartimento;
          a fronte delle modifiche apportate ai valori di gettito IMU e di ICI 2010, il comune di Canzo subirà un taglio al FSR di 161.861 euro, così come riportato, peraltro, nel prospetto del dipartimento delle finanze in possesso al medesimo comune, in luogo, tuttavia, di una riduzione allo stesso FSR che, se fosse stata calcolata con i reali valori del rendiconto dell'ICI 2010, sarebbe ammontata a 68.841 euro;
          il maggior taglio operato sul FSR avrà ovvie ripercussioni sugli equilibri finanziari dell'ente, giacché lo stesso ente, in sede di approvazione degli equilibri di bilancio il cui termine è fissato al 30 settembre 2012, dovrà necessariamente far fronte a tale ammanco;
          numerosi comuni, oltre a quello di Canzo, si ritrovano in questa gravissima situazione, nella quale potrebbe anche non essere sufficiente aumentare le aliquote dell'IMU per raggiungere i necessari equilibri di bilancio, in ragione del fatto che numerosi enti lamentano un azzeramento delle attribuzioni erariali o che i tagli imposti dal decreto sulla spending review determineranno riduzioni di risorse insostenibili  –:
          su quali criteri siano state effettuate le stime ministeriali di gettito dell'IMU, specificando altresì se il Governo non ritenga opportuno fornire ai comuni le idonee precisazioni sul fatto che le attribuzioni ministeriali al fondo sperimentale di riequilibrio derivano da procedimenti di quantificazione corretti, coerenti con la vigente normativa ed in linea con i valori ICI 2010 certificati dagli stessi comuni.
(4-17730)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la scuola siciliana da lungo tempo affronta una difficile battaglia contro le fenomenologie della dispersione scolastica (abbandoni, evasioni, ripetenze), il disagio infantile e giovanile e l'insuccesso scolastico;
          a tale scopo, sin dal 1989, sono stati attivati a Palermo e, successivamente, in conformità alla circolare ministeriale n.  257 del 9 agosto 1994, anche in diverse altre province, gli osservatori provinciali contro il fenomeno della dispersione scolastica, con il precipuo compito di definire piani di attività e individuare metodologie di lavoro coerenti: «affinché la programmazione provinciale risponda..... nel modo più funzionale possibile alle esigenze di ciascuna provincia, in rapporto alle risorse (anche extrascolastiche) ivi esistenti» e per «il sostegno e la consulenza delle Istituzioni scolastiche coinvolte, il monitoraggio e le verifiche di qualità delle iniziative poste in essere, la programmazione di iniziative e coordinamento tra scuole per il confronto e la circolazione delle esperienze, la realizzazione di formazione in servizio e di aggiornamento mirato» (circolare ministeriale n.  257 del 1994);
          gli osservatori integrati permanenti provinciali e di area si sono quindi andati definendo come la struttura operativa che consente di correlare: conoscenza del fenomeno, programmazione e organizzazione degli interventi e verifica delle azioni intraprese;
          a Palermo, in particolare, da 15 anni circa esiste, all'interno dell'Osservatorio Provinciale, un Servizio psicopedagogico territoriale che ha il compito di supportare le scuole che ricadono nei diversi Osservatori di area e che è stato impegnato, tra l'altro, nella realizzazione di un'azione interistituzionale coordinata contro l'abuso e il maltrattamento dei minori;
          tali gruppi, denominati G.O.I.A.M (gruppi operativi interistituzionali contro l'abuso e il maltrattamento), svolgono compiti di accoglienza e validazione delle segnalazioni, invio delle stesse, presa in carico dei minori abusati e maltrattati e delle loro famiglie;
          il gruppo lavora in stretto raccordo con l'Ufficio minori della questura, la Procura per i minorenni e il Tribunale per i minorenni;
          la fattiva collaborazione degli operatori psicopedagogici forniti dall'USR ha consentito la creazione di un'attenzione particolare nei confronti dei minori in relazione al loro benessere psicofisico e, oggi, la maggior parte delle segnalazioni di presunti maltrattamenti, provengono dalle scuole e dai docenti che hanno sviluppato adeguate competenze e sensibilità;
          grazie anche al contributo di questo servizio, negli anni, sono state realizzate diverse ricerche-azioni che hanno favorito la crescita di una cultura orientata alla prevenzione e alla presa in carico delle situazioni di disagio socio-educativo;
          in un articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia il 15 settembre 2012, si legge: «L'esercito di psicopedagogisti arruolato negli osservatori contro la dispersione scolastica è ormai alla disfatta. Ripetutamente falcidiato dai tempi del ministro Gelmini, quest'anno si ritroverà con appena 41 operatori in tutta la Sicilia, di cui 19 a Palermo, dove ci sono i dati più alti di dispersione scolastica, con il 10,5 per cento di insuccesso alle medie e il 13,5 per cento alle superiori. Nel capoluogo, l'anno scorso, i 34 psicopedagogisti (62 in tutta l'isola) riuscivano a stento a garantire un servizio nei quartieri più difficili, ma quest'anno sarà quasi impossibile. Tanto che i dirigenti scolastici fanno sentire la propria voce. L'osservatorio di area del distretto 11, che ha sede all'istituto comprensivo Principessa Elena e raggruppa venti scuole delle zone Noce, Zisa, Boccadifalco e Cuba-Calatafimi, interviene con una nota della preside Susanna Di Salvo, che difende l'operato delle cinque unità assegnate negli anni passati e ora ridotte a due. ”Ad oggi – scrive – i risultati conseguiti da questo osservatorio hanno assicurato a migliaia di minori la permanenza all'interno del sistema scolastico allontanandoli da pericoli di devianza sociali”. E chiede al direttore dell'ufficio scolastico regionale, Maria Luisa Altomonte, di garantire la riconferma degli operatori. Ma la dirigente Altomonte attribuisce la riduzione di questo personale a esigenze di risparmio, «come la spending review impone. Inoltre, tranne i primi anni, questi progetti non hanno dato i risultati sperati nel contrasto alla dispersione scolastica – aggiunge –. Proprio su questo fronte il ministero ha previsto investimenti col PON sicurezza, che permetterà di attivare numerosi progetti nelle aree a rischio”»;
          diversamente da quanto sostenuto dalla dirigente Altomonte, forse a causa di una insufficiente conoscenza della complessità del fenomeno in Sicilia, gli osservatori svolgono da anni un ruolo prezioso, di autentico presidio, nella tutela degli alunni con disagio, spesso appartenenti alle fasce più deboli e svantaggiate della popolazione. I risultati raggiunti in questi anni sono molto positivi ed è fondamentale garantire le risorse necessarie per proseguire un'esperienza ormai collaudata ed efficace nei confronti dei minori e delle famiglie che si trovano in condizioni di particolare rischio evolutivo;
          a Palermo, i tagli di cui sopra rischiano di minare l'efficacia di un progetto che negli anni ha portato risultati importanti contenendo il fenomeno della dispersione scolastica e sostenendo il difficile lavoro dei docenti nelle troppe classi a rischio;
          a rischio c’è la fascia più debole della popolazione scolastica;
          l'ultimo rapporto Ocse «education at a glance» dedica ampio spazio al problema della dispersione scolastica sottolineando la correlazione tra condizione sociale della famiglia e successo scolastico: più povera è la famiglia, minori sono le probabilità di successo negli studi. In Sicilia infatti la dispersione scolastica rimane un problema su cui occorrerebbe potenziare le risorse;
          ma la situazione non è la stessa in tutti i Paesi posti a confronto. Anzi il rapporto segnala che esistono forti differenze tra alcuni di essi che si sono impegnati in positive azioni di contrasto del fenomeno (Australia, Finlandia, Irlanda, Svezia), e altri che mantengono basse percentuali di accesso all'istruzione superiore (meno del 20 per cento) per i giovani provenienti dalle famiglie di modesta condizione. Tra questi compare, neanche a dirlo, l'Italia;
          proprio in questa direzione, nel piano di azione e coesione territoriale il Governo ha predisposto una specifica misura, denominata azione 3, per contrastare in modo nuovo la dispersione scolastica, tenendo conto delle esperienze italiane ed europee: si tratta della realizzazione di una rete di prototipi, una sorta di zone di educazione prioritaria nel Mezzogiorno, con azioni coordinate da scuole capofila;
          anche la Sicilia è interessata da questi progetti ed anche per questo è indispensabile se non potenziare almeno mantenere il progetto contro la dispersione riassegnando i posti tagliati  –:
          se alla luce di quanto esposto in premessa, e dell'importanza riconosciuta nel piano di azione e coesione territoriale per la lotta alla dispersione scolastica dal Ministro interrogato, non intenda intervenire con la massima urgenza, per mettere al riparo dai tagli un'esperienza che ha dato negli ultimi 20 anni risultati eccellenti e lustro alla scuola siciliana.
(5-07972)


      CARLUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il crollo parziale del tetto per il cedimento della trave centrale in una scuola di Cordenons in Friuli una settimana fa e lo sgretolamento di un pilastro in un istituto scolastico di Roma questa settimana, entrambe fortunosamente senza vittime o feriti, testimoniano come siano urgenti e necessari gli interventi per la messa in sicurezza delle scuole;
          con delibera del 6 novembre 2009, il CIPE ha disposto l'assegnazione di 413 milioni di euro per il finanziamento di piccole e medie opere nel Mezzogiorno;
          ai provveditori interregionali alle opere pubbliche delle regioni del Mezzogiorno, quali soggetti aggiudicatori del finanziamento per gli interventi di competenza, con decreto ministeriale sono state assegnate le quote secondo la ripartizione risultante dagli atti del CIPE;
          la successiva delibera CIPE del 6 gennaio 2012, riguardante la revisione della pregressa programmazione e assegnazione di risorse, ai sensi dell'articolo 33 della legge n.  183 del 2011 acquisiva agli atti gli elenchi degli interventi indicati nella tabella 5, concernenti gli «Interventi di messa in sicurezza delle scuole» (259 milioni di euro);
          in base alla citata delibera del 6 gennaio venivano assegnati al comune di Margherita di Savoia 1.257.660 euro per interventi di messa in sicurezza dell'istituto scolastico «Francesco Galante»  –:
          entro quali tempi i fondi assegnati al comune di Margherita di Savoia verranno resi disponibili al fine di procedere all'avvio dei lavori di messa in sicurezza dell'edificio scolastico «Francesco Galante». (5-07973)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  95 del 2012 «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» all'articolo 14, comma 13, prevede il passaggio obbligato dei docenti inidonei e degli insegnanti tecnico pratici (C555 e C999) nei ruoli del personale ATA;
          il comma 13 dell'articolo 14 infatti dispone che: «il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto con decreto del direttore generale dei competenti uffici scolastici regionali competente transita nei ruoli del personale amministrativo, tecnico e ausiliario con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico. Il personale viene immesso in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili nella provincia di appartenenza, tenuto conto delle sedi indicate dal richiedente ovvero su posti di altra provincia a richiesta dell'interessato, e, mantiene il maggior trattamento stipendiale mediante assegno personale riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti. Il personale docente dichiarato temporaneamente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, entro 20 giorni dalla data di notifica del verbale della commissione è utilizzato, su posti anche di fatto disponibili di assistente amministrativo o tecnico, prioritariamente nella stessa scuola o comunque nella provincia di appartenenza»;
          il passaggio dovrà essere regolato, così come stabilito dal comma 15 dell'articolo 14 del decreto, da un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze da emanare entro venti giorni dalla data di entrata in vigore dal decreto-legge n.  95 del 2012;
          ad oggi tale decreto non è stato ancora adottato  –:
          in quali tempi si preveda di adottare il decreto, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, che regola il passaggio dei docenti inidonei e degli insegnanti tecnico pratici nei ruoli del personale ATA, così come previsto dal decreto-legge n.  95 del 2012. (4-17714)


      MANCUSO, BARANI, CICCIOLI, GIRLANDA, DE LUCA e CROLLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          alcune facoltà, in particolare quelle scientifiche, sono a ingresso chiuso;
          gli studenti devono superare una prova selettiva per potervi accedere;
          i posti disponibili per ogni facoltà vengono decisi per decreto ministeriale;
          quest'anno sono state presentate 77 mila domande per 1.578 posti a medicina e chirurgia;
          sarebbe naturalmente auspicabile che i test d'ammissione fossero ispirati a principi meritocratici e che le domande indagassero sulla conoscenza dei candidati sulle materie specifiche del corso prescelto;
          questi test non tengono in alcun conto la valutazione il percorso scolastico antecedente e il voto della maturità;
          i test si riducono a domande meramente nozionistiche, senza riuscire a far emergere la vocazione del candidato;
          le domande del test d'ammissione di medicina erano di questo genere: «Quando è stato costruito il muro di Berlino ?», «Ordinare dal più antico al più recente i premi Nobel italiani», da Fo a Pirandello, «Quali sono le vaccinazioni non più obbligatorie ?», «Se si tirano i dadi cinque volte, quante probabilità ci sono che escano numeri pari ?», «Quale tra questi stati era indipendente negli anni Ottanta ?», «Cos’è lo spread ?», «Come si calcola l'IMU ?»;
          le domande sopracitate non appaiono agli interroganti in alcun modo adatte a indagare la cultura medico scientifica dei candidati  –:
          se il Governo intenda promuovere iniziative per una riformulazione dei contenuti dei test d'ammissione dei prossimi anni accademici alle facoltà scientifiche, prevedendoli maggiormente attinenti alle materie scientifiche;
          se il Governo intenda assumere iniziative per provvedere l'indicazione ai candidati di appositi libri di testo su cui poter preparare la prova di ammissione.
(4-17717)


      ZINZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'insegnamento nelle università viene affidato a studiosi che abbiano dimostrato competenza disciplinare in appositi concorsi ovvero a soggetti incaricati aventi le specifiche qualità;
          questi studiosi vengono, poi, raggruppati in settori scientifico-disciplinari che sono distinti per materia ed ai quali si appartiene, tenendo conto delle procedure concorsuali superate;
          la recente riforma, introdotta con la legge «Gelmini», non ha modificato questo principio;
          sempre, nell'università, gli insegnamenti vengono affidati a docenti considerati studiosi della materia a seguito di valutazione concorsuale o di valutazione del Consiglio universitario nazionale (C.U.N.);
          negli ultimi tempi, sembra che il criterio disciplinare stia per essere abbandonato da diverse facoltà per privilegiare il criterio del carico didattico;
          in altri termini, alcune facoltà o dipartimenti assegnano gli insegnamenti, indipendentemente dalla competenza, ai professori che devono completare il carico didattico e cioè il singolo professore, che ha un certo numero di ore di insegnamento nella sua materia, se queste ore non sono sufficienti a coprire il carico didattico, viene autorizzato a svolgere ore di insegnamento anche in altri settori, anche in materie differenti per le quali non ha alcuna qualificazione;
          questo criterio si è aggravato, ancora di più, nei casi in cui il carico didattico è stato calcolato soltanto sulle materie fondamentali;
          alcune facoltà hanno ritenuto che le materie opzionali non potessero far parte del carico didattico e, quindi, un professore di diritto commerciale penale può insegnare anche diritto penale; un professore di diritto pubblico romano può insegnare anche diritto pubblico; un professore di diritto penale delle società può insegnare diritto commerciale; un professore di diritto ecclesiastico può insegnare diritto costituzionale, passando da temi attinenti al diritto internazionale ed al diritto interno, a una materia totalmente differente se non per pochi articoli ed aspetti;
          il Consiglio universitario nazionale, con parere generale n.  7/2009 avente ad oggetto «Revisione dei settori scientifico-disciplinari», reso nell'adunanza del 4 novembre 2009, aveva già chiarito che l'appartenenza ad un settore scientifico-disciplinare non è intercambiabile con quella di un altro settore e che le differenze scientifiche devono essere rispettate nel superiore interesse degli studi, al fine di offrire agli studenti la maggior qualità possibile dei docenti, risultanti da pubbliche valutazioni comparative;
          un esempio di applicazione discutibile dei criteri di appartenenza disciplinare è stato posto in essere dalla facoltà giuridica dell'università degli studi di Bari che ha ad avviso dell'interrogante totalmente ignorato il parere generale n.  7/2009 del Consiglio universitario nazionale ed anche i propri regolamenti, che impongono la programmazione didattica sempre con la prioritaria valutazione dell'appartenenza al settore disciplinare;
          nella facoltà giuridica di Bari è avvenuto che un professore ordinario di diritto costituzionale, il professor Raffaele Rodio, appartenente alla facoltà di scienze politiche ma operante nel dipartimento giuridico in cui è confluita la facoltà di giurisprudenza, pur avendo fatto domanda, è stato totalmente ignorato; ugualmente sono stati ignorati i professori aggregati ed i ricercatori di diritto costituzionale della medesima facoltà;
          la facoltà giuridica, ormai estinta per essere confluita nel dipartimento di giurisprudenza cui afferiscono molti docenti di diritto costituzionale, ha ignorato anche tutti gli altri docenti di diritto costituzionale dell'università di Bari;
          la facoltà, utilizzando il criterio del carico didattico anche al di fuori del proprio settore ed escludendo dal carico didattico gli insegnamenti opzionali, ha operato una forzosa trasmigrazione dei docenti di diritto ecclesiastico e dei docenti di diritto comparato nel settore di diritto costituzionale, rispetto al quale tali docenti non hanno alcuna affinità, ciò, pur in presenza di professori del medesimo settore disciplinare;
          la vicenda è approdata al TAR Puglia su ricorso di un ordinario diritto costituzionale che è il professor Tondi della Mura, componente del consiglio direttivo dell'associazione dei costituzionalisti italiani che ha lamentato la violazione dei più elementari principi di tutela della scientificità, che i professori devono assicurare a fondamento della loro attività didattica;
          è intervenuto, successivamente, sul ricorso del professor Rodio, ordinario di diritto costituzionale, il parere del Consiglio universitario nazionale reso nella seduta del 12 settembre 2012, con il quale è stato chiarito che l'appartenenza di un docente al S.S.D. sul quale attribuire il carico didattico «deve essere considerato un criterio di particolare rilievo nell'attribuzione degli incarichi di insegnamento, in caso di valutazione comparativa con docenti di altri SSD soprattutto quando questi ultimi SSD non siano affini a quello sul quale è istituito l'insegnamento da coprire»;
          il parere del Consiglio universitario nazionale chiarisce che non si può invocare il principio del completamento del carico didattico limitando tale valutazione ai soli insegnamenti fondamentali, senza tener conto di quelli opzionali, specie quando nel settore da occupare vi sono docenti che appartengono a quel settore;
          la linea interpretativa dell'organizzazione scientifico-disciplinare delle università italiane non può essere messa in discussione, perché essa risale alle origini dell'istituzione dell'università, quando l'insegnamento avveniva sulla base della ricerca scientifica del docente e questa peculiarità veniva considerata prioritaria rispetto a qualunque altro criterio di scelta del docente;
          d'altra parte, è evidente che l'insegnamento, affidato ad un docente che appartiene ad altro settore disciplinare, non può certamente essere paragonato a quello di chi ha superato concorsi nazionali ed è stato riconosciuto scientificamente idoneo all'insegnamento proprio di quella materia;
          la tendenza a voler confondere la scientificità dei docenti va immediatamente interdetta a salvaguardia della qualità della didattica nelle università italiane  –:
          quali iniziative il Ministro intenda adottare per consentire che nelle università italiane le assegnazioni di insegnamenti siano effettuate con criteri di qualificazione scientifico-disciplinare. (4-17743)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GNECCHI, DAMIANO, BELLANOVA, BERRETTA, BOCCUZZI, CODURELLI, GATTI, MIGLIOLI, MATTESINI, RAMPI, SANTAGATA, SCHIRRU e BOBBA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:      
          con la legge 24 febbraio 2012 n.  14 – articolo 6 comma 2-ter – è stato esteso il beneficio di cui al comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 2012, a coloro che hanno sottoscritto accordi di esodo individuali o collettivi e il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011;
          con il decreto interministeriale del 1o giugno 2012 sono disciplinate le modalità di attuazione del richiamato comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011;
          con la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  19 del 31 luglio 2012 sono disciplinate le modalità operative per le direzioni territoriali del lavoro in esito alle istanze presentate dai soggetti in possesso dei requisiti per l'inserimento nella platea dei salvaguardati;
          per quanto attiene la tipologia degli esodi individuali, risulta agli interrogante che alcune direzioni territoriali del lavoro, stiano respingendo le istanze di salvaguardia in quanto non riconoscono validità all'accordo individuale stipulato in sede aziendale fra azienda e lavoratore;
          come a conoscenza del Ministero, molti esodi individuali sono stati sottoscritti nella sola sede aziendale e tale strumento per favorire l'esodo di personale è stato utilizzato, in modo particolare, da molte aziende pubbliche, quali Poste, Enel ed altre, che non hanno ritenuto necessaria la ratifica i dei suddetti accordi in sede sindacale o presso le direzioni provinciali del lavoro;
          il combinato disposto di cui al comma 2-ter dell'articolo 6 legge n.  14 del 2012 recita espressamente: «.. in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410-411 e 412-ter del CPC ...omissis» e pertanto dovrebbe intendersi che siano compresi sia gli accordi individuali sottoscritti in sede aziendale che quelli sottoscritti secondo le procedure richiamate dal CPC;
          un accordo fra le parti è comunque valido seppur non ratificato e la mancanza della successiva ratifica da parte dell'azienda non può essere addebitata al lavoratore e comportare la conseguente respinta dell'istanza da parte della direzione territoriale del lavoro  –:
          se non ritenga il Ministro interrogato, per le ragioni sopra evidenziate, di intervenire tempestivamente per correggere la restrittiva applicazione delle direzioni territoriali del lavoro, in merito alla certificazione da produrre dai soggetti che hanno risolto il rapporto di lavoro in base ad accordi individuali. (5-07975)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ANIELLO FORMISANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la legge 6 dicembre 1971 n.  1084 e sue modificazioni, istitutrice del fondo di previdenza integrativo per i lavoratori delle aziende private del gas, «in materia di contribuzione obbligatoria per il finanziamento del Fondo, deferisce al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero del tesoro del bilancio e della programmazione economica, sentito il parere del Comitato di amministratore del Fondo, il potere di decretarne la variazione della misura, in relazione al fabbisogno del Fondo medesimo ed alle risultanze di gestione (articolo 9 c. 3 legge 3 marzo 1987 n.  61)»;
          da qualche anno le organizzazioni sindacali e datoriali del settore gas privato hanno prospettato all'INPS il superamento di tale Fondo senza tener conto della contrarietà manifestata dagli iscritti (che vedono in questo un attacco ai loro diritti quesiti) e dalla stessa INPS che, con documenti tecnici attuariali, ha dimostrato il grave danno erariale che ne deriverebbe (per non parlare del potenziale relativo contenzioso);
          negli ultimi due anni il risultato di esercizio del Fondo è negativo determinando un'erosione patrimoniale dello stesso;
          il Comitato di amministrazione del fondo (insediato con decreto del Ministero del lavoro del 21 aprile 2011) è stato più volte sollecitato invano dai lavoratori iscritti ad operare la rimodulazione della contribuzione in modo da raggiungere il pareggio di bilancio, si è chiesto al Ministero anche che nel decretare il necessario aumento della percentuale di contribuzione l'incremento relativo sia a totale carico delle aziende anche per le quote a contribuzione volontaria (dei lavoratori esodati in regime di mobilità e dei lavoratori ex aziende della distribuzione del gas confluiti in aziende di vendita del gas – legge n.  289 del 2002, articolo 38, comma 5; decreto ministeriale (MSE) del 16 giugno 2003);
          sembrerebbe all'interrogante che vi sia una inerzia del Comitato di amministrazione del fondo nell'adempiere la ridefinizione della percentuale di contribuzione; rilevando in questo l'esistenza di un potenziale conflitto di interesse, lesivo dei diritti quesiti degli iscritti al Fondo;
          nulla può identificarsi come ostativo a tale azione avendo il Comitato di amministrazione, in una precedente occasione (dicembre 1999), già proposto e ottenuto la riduzione della contribuzione obbligatoria dal 4 per cento all'1,7 per cento, determinando, con ciò, nel tempo l'attuale disavanzo;
          al Fondo sono iscritti 9.300 lavoratori, di cui 900 a contribuzione volontaria, e le integrazioni alla pensione A.G.O. attualmente erogate sono 5637  –:
          quali iniziative il Ministero intenda assumere al fine di rimodulare la contribuzione al Fondo o, in alternativa, quale intervento intenda operare al fine di ristabilire l'equilibrio economico del Fondo in prospettiva attuariale (dei futuri 50 anni come il decreto Salva Italia ha stabilito per i fondi previdenziali speciali e di categoria);
          se il Ministro interrogato ritenga opportuno che sia fatto obbligo alle aziende subentranti nella gestione delle reti di distribuzione del gas, in seguito alle gare espletate in attuazione del decreto legislativo n.  164 del 2000 (e legge n.  222 del 2007), di continuare la contribuzione obbligatoria al Fondo Gas per i lavoratori iscritti alla data del subentro, ciò anche, in forza del decreto attuativo del 21 aprile 2011 del Ministero dello sviluppo economico (cosiddetto clausola sociale) che stabilisce per i lavoratori oggetto di trasferimento «...la salvaguardia delle condizioni economiche individuali in godimento, con riguardo ai trattamenti fissi e continuativi e agli istituti legati all'anzianità di servizio...». (4-17719)


      MARINELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la recente riforma pensionistica varata dal Governo con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 (cosiddetta «Salva Italia»), convertito dalla legge n.  214 del 22 dicembre 2011, ha generato situazioni di notevole disparità come, ad esempio, nel caso specifico dei versatori di contributi volontari, ovvero persone uscite dal mondo del lavoro per vari motivi e che hanno scelto di chiedere l'autorizzazione all'Inps per pagare i contributi volontari e cercare di raggiungere l'obiettivo della pensione;
          l'articolo 24, commi 14 e 15, del decreto-legge n.  201 del 2011 riconosce, per alcune categorie di lavoratori, la salvaguardia dai requisiti previsti dalle norme introdotte dalla riforma previdenziale, per cui i destinatari possono beneficiare di quanto previsto ante riforma;
          successivamente, con il decreto interministeriale del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 1o giugno 2012, è stato stabilito il numero relativo alla platea dei beneficiari, ovvero i lavoratori salvaguardati, che potranno accedere al pensionamento con i requisiti e le decorrenze vigenti prima dell'entrata in vigore della riforma;
          tra i lavoratori «salvaguardati» rientrano anche coloro che sono stati autorizzati a versare i contributi volontari, secondo le seguenti condizioni:
              a) non devono avere ripreso attività lavorativa successivamente all'autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione;
              b) devono avere almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  201 del 2011;
          l'applicazione di tali condizioni penalizza però coloro che, in base all'autorizzazione predetta, pur avendo versato contributi per anni, sobbarcandosi quindi un pesante onere finanziario, restano esclusi rispetto a coloro che, avendo ricevuto l'autorizzazione ad ottobre 2011 hanno versato almeno un canone entro il termine del 4 dicembre 2011;
          analoga situazione si è verificata anche per coloro che, pur essendo stati autorizzati a versare i contributi volontari, nel caso in cui abbiano lavorato anche a tempo determinato e per un breve periodo dopo l'autorizzazione, restano automaticamente esclusi dall'ambito della salvaguardia  –:
          quali iniziative anche normative, di carattere urgente ed improcrastinabile, il Ministro interrogato intenda adottare al fine di tutelare la posizione di coloro che, autorizzati a versare i contributi volontari, nel caso in cui abbiano lavorato anche per un breve periodo a tempo determinato in seguito a tale autorizzazione, sono stati esclusi dalla salvaguardia di cui in premessa e dunque dall'applicazione del trattamento pensionistico previgente alla riforma previdenziale varata con la manovra cosiddetta «Salva-Italia» ed evitare un gravissimo pregiudizio ad essi non imputabile. (4-17720)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in un rapporto denominato «Mamme nella crisi» presentato il 18 settembre 2012 al Senato emerge un dato riguardante l'occupazione femminile, che nel 2010 si attesta al 50,6 per cento per le donne senza figli – ben al di sotto della media europea pari al 62,1 per cento – ma poi scende al 45,6 per cento già al primo figlio, al 35,9 per cento se i figli sono due e al 31,3 per cento nel caso di tre o più figli;
          una verifica sul campo, condotta per il biennio 2008-2009 ha reso noto che ben 800 mila mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di avere subito pressioni in tal senso in occasione di una gravidanza. E in Italia si assiste al solito circolo vizioso: occupazione femminile ai minimi, servizi di cura all'infanzia quasi inesistenti, bassa natalità, con una pesante ricaduta sul benessere dei bambini;
          le interruzioni del lavoro per costrizione alla nascita di un figlio, che erano pari al 2 per cento nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando l'8,7 per cento del totale delle interruzioni di lavoro. L'Italia ha il record sui tassi di inattività, e ciò vale soprattutto per le donne, in particolare per la fascia più giovane e in piena età feconda (25-34 anni): inattivo il 35,6 per cento nel 2010 e il 36,4 per cento nel 2011. Anche quando il lavoro per le donne c’è, la qualità peggiora: nel 2010 è diminuita l'occupazione qualificata in favore di quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center;
          l'incremento negli ultimi anni del part-time, per quanto riguarda soprattutto le madri lavoratrici, è dovuto quasi esclusivamente all'aumento di quello involontario, cioè non scelto ma accettato per la mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, con una percentuale nel 2010 del 45,9 per cento sul totale dell'occupazione a tempo ridotto, quasi il doppio della media Ue a 27 (23,8 per cento);
          tra le categorie più vulnerabili ci sono le mamme di origine straniera e quelle mamme sole, i cui figli sono i più esposti al rischio di povertà con una percentuale del 28,5 per cento contro il 22,8 per cento della media dei minori in Italia. Ma l'orizzonte è scuro anche per le giovani donne che, se sono in possesso del solo diploma, fanno i conti con un tasso di occupazione ben inferiore a quello dei coetanei di sesso maschile: 37,2 per cento contro il 50,8 per cento  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali eventuali provvedimenti vogliano assumere a supplemento di quanto già previsto dai testi normativi già sottoposti al voto delle camere e positivamente recepiti nell'ordinamento giuridico per dare soluzione al problema descritto in premessa. (4-17728)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il Cnel ha pubblicato il rapporto sul mercato del lavoro 2011-2012 nel quale sottolinea che fino a inizio 2012 le ore lavorate si sono ridotte con gradualità, mentre l'occupazione addirittura non è mai scesa;
          dal rapporto risulta però un dato che fa temere per il futuro, poiché dai dati emerge che il mercato del lavoro in Italia non ha ancora risentito, se non in misura marginale, della nuova recessione che è in atto;
          tuttavia, l'occupazione in Italia sta cambiando e lo sta facendo a scapito dei giovani. «Cambia la struttura del mercato del lavoro per età, a tutto svantaggio dei più giovani», si legge nel rapporto, «rispetto al 2008 si sono persi oltre un milione di occupati di età inferiore ai 34 anni, solo parzialmente compensati dalla crescita dell'occupazione di età superiore»;
          tra gli occupati crescono invece le donne, per cui l'Italia, pur essendo indietro nel processo di femminilizzazione del mercato del lavoro, registra un «aumento della partecipazione femminile» che, secondo il Cnel, «si protrarrà nei prossimi anni, con una tendenza destinata ad accrescere i servizi sostituti dell'attività domestica: aumenterà la domanda di pasti fuori casa, altre attività di servizio e la richiesta di collaboratrici domestiche»;
          altra caratteristica del mercato del lavoro italiano riguarda «la crescita nel 2011 dei lavoratori dipendenti con un contratto a termine», mentre si riduce «l'occupazione autonoma». In questo caso, «la contrazione ha riguardato soprattutto gli imprenditori e i lavoratori in proprio, ovvero coloro che hanno risentito in prima persona delle difficoltà delle imprese, soprattutto le più piccole». In aumento, inoltre, «la quota di lavoratori a tempo parziale involontari, ovvero coloro che lavorano part time perché non hanno trovato un lavoro a tempo pieno»;
          favorevole, infine, l'andamento dell'occupazione per la componente dei lavoratori stranieri. Nonostante la crisi dei settori dell'industria e delle costruzioni abbia ridotto la domanda di qualifiche operaie, gli immigrati stanno beneficiando, secondo il Cnel, della loro presenza in settori a domanda ancora crescente, come nel caso dei servizi alle famiglie  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nelle eventualità positiva, quali eventuali iniziative intendano assumere con particolare riguardo per la situazione di recessione che favorirà in futuro, con probabilità, l'incremento del tasso di disoccupazione;
          se intendano assumere iniziative in favore dei giovani e dei lavoratori autonomi, categoria che sta subendo gli effetti della crisi in modo particolarmente grave a causa di un sistema di ammortizzatori sociali che non vede particolarmente tutelata questa importante categoria di lavoratori. (4-17736)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      DE ANGELIS. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          alcuni appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria hanno presentato ricorso per il riconoscimento del diritto al pagamento del compenso per il lavoro straordinario per il servizio effettuato nelle giornate di riposo;
          in seguito, la sentenza del TAR di Parma n.  00307/2011 e la successiva pronuncia del Consiglio di Stato – sezione quarta – n.  01342/2012 hanno sentenziato: «il diritto dei ricorrenti (appartenenti alla Polizia Penitenziaria) alla corresponsione del compenso spettante a ciascuno per ogni periodo di servizio svolto per ore di straordinario effettuate e non pagate, svolte in giornate destinate al riposo, oltre le 36 ore settimanali, secondo gli importi maturati in base alla legge e ai contratti collettivi succedutesi nel tempo, nonché dell'indennità per lavoro nel giorno di riposo prevista dal contratto di categoria, recepito con decreto del Presidente della Repubblica n.  170 del 2007, con rivalutazione monetaria secondo l'indice Istat e interessi legali sulle somme rivalutate dalla data di maturazione del diritto fino al soddisfo». Ancora «che quando gli agenti della polizia penitenziaria vengono richiamati in servizio nel giorno programmato per il riposo settimanale (in eccedenza rispetto alle 36 ore settimanali come da contratto di lavoro) il turno in aggiunta deve essere qualificato come straordinario e retribuito a tale titolo...»;
          tale orientamento ha di fatto prodotto da parte delle organizzazioni sindacali rappresentative del personale appartenente al comparto sicurezza richieste di informazioni alle amministrazioni di riferimento;
          al riguardo l'ufficio relazioni sindacali del dipartimento della pubblica sicurezza in data 22 marzo 2012 con nota n.  557/rs/01/21/3580 tra le altre cose affermava «(...) che la questione, per la complessità e la rilevanza dei connessi profili economici e giuridici, implica un approfondito esame ed un eventuale confronto anche con le altre amministrazioni interessate (...)»;
          successivamente lo stesso ufficio con nota del 5 aprile 2012 comunicava alle organizzazioni sindacali della polizia di Stato che la direzione centrale per le risorse umane del dicastero aveva comunicato di aver formulato un apposito quesito di natura giuridica al Dipartimento della funzione pubblica;
          lo stesso ufficio relazioni sindacali comunicava di aver provveduto ad interessare il predetto dipartimento al fine di valutare l'apertura di un confronto sulla intera problematica suesposta;
          ad oggi, non risulta all'interrogante che il Ministero della pubblica amministrazione si sia espresso sulla questione e che abbia aperto un tavolo di confronto  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di evitare disparità di trattamento tra il personale del comparto sicurezza difesa e se non sia il caso di convocare un incontro tra amministrazioni, sindacati e rappresentanze militari al fine di addivenire ad una pacifica risoluzione della questione e quindi al recepimento del connesso orientamento giurisprudenziale. (4-17724)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riferito da agenzie di informazione, una trasfusione sbagliata sarebbe la causa della morte di un 69enne ricoverato all'ospedale «Papardo» di Messina, in seguito, riferiscono i familiari del deceduto, a un errore nell'utilizzo di una sacca di sangue non compatibile con il paziente, che avrebbe provocato serie complicanze fino al decesso  –:
          quali elementi disponga circa la dinamica dell'accaduto e nel caso dovesse risultare confermato che il decesso del paziente è stato provocato da una trasfusione sbagliata, quali iniziative di competenza si intendono promuovere o adottare al riguardo. (4-17715)


      TOTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», con sede in Chieti, era di proprietà della società «Villa Pini d'Abruzzo s.r.l.», dichiarata fallita dal tribunale di Chieti con sentenza del 16 febbraio 2010. All'atto del fallimento, la struttura esercitava, l'attività sanitaria di ricovero e cura, riabilitativa e specialistica ambulatoriale, essendo anche provvisoriamente accreditata con il servizio sanitario nazionale dalla regione Abruzzo. La citata sentenza, peraltro, ammetteva l'impresa fallita a permanere nell'esercizio, provvisorio, dell'attività;
          con deliberazione 13 gennaio 2010, n.  01/2010, il Commissario governativo ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo, nominato con deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2009, sospendeva, dal canto suo, l'accreditamento predefinitivo anche della struttura «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», «per non aver assolto agli obblighi retributivi e contributivi in favore del personale dipendente», in violazione delle disposizioni di cui agli articolo 7, lettera c) e 7-bis della legge regionale 31 luglio 2007, n.  32, come modificata dalla legge regionale 20 novembre 2009, n.  27, recante «Norme regionali in materia di autorizzazione, accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private». Conseguentemente, essa fu esclusa dal novero delle case di cura provvisoriamente accreditate nei cui confronti il Commissario ad acta medesimo, con deliberazione commissariale 18 febbraio 2010, n.  14/2010, autorizzò i relativi tetti di spesa complessivi per le prestazioni sanitarie erogate nel corso dell'anno 2010, sia a pazienti residenti in regione sia a quelli in mobilità sanitaria attiva non residenti in Abruzzo;
          sennonché, con deliberazione 8 aprile 2010, n.  26/2010, lo stesso Commissario ad acta procedette alla definizione del tetto di spesa per l'anno 2010 in favore della Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» e «al riaccreditamento predefinitivo con condizione e proposta di contratto ex articolo 8-quinquies decreto legislativo n.  502 del 1992 per l'anno 2010 all'esercizio provvisorio del fallimento Villa Pini d'Abruzzo s.r.l», avendo deciso di «sciogliere, allo stato, nei confronti dell'esercizio provvisorio del Fallimento Villa Pini d'Abruzzo s.r.l, relativamente al ramo d'azienda Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo la riserva contenuta nella deliberazione Commissariale n.  14/2010 a condizione che, all'atto della sottoscrizione del contratto ex articolo 8-quinquies decreto legislativo n.  502 del 1992 testo vigente, sussistano e comunque siano stati ripristinati gli obbligatori requisiti, di autorizzazione e gli ulteriori obbligatori requisiti per l'accreditamento». Indi, decideva di proporre al Curatore fallimentare lo schema di contratto all'uopo predisposto, fissando il termine massimo del successivo 28 maggio 2010 per la sottoscrizione del contratto medesimo;
          è opportuno porre in evidenza il richiamo, operato nella narrativa della deliberazione commissariale 8 aprile 2010, n.  26 del 2010, dei motivi di esclusione della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» dalle statuizioni della deliberazione 18 febbraio 2010, n.  14 del 2010, indicati nel sopra riferito «stato di sospensione dell'accreditamento», del «conclamato stato prefallimentare nel quale versava la società proprietaria», nonché «della incertezza esistente in ordine al permanere del possesso dei requisiti di autorizzazione e di accreditamento», ciò per cui «si demandava ogni provvedimento a successive verifiche», non meglio specificate;
          è da sottolineare, altresì, il richiamo alla «incertezza esistente in ordine al permanere del possesso dei requisiti di autorizzazione e di accreditamento», posto che esso sembra alludere a problematiche ulteriori rispetto a quelle, di natura gestionale, attinenti ai disattesi obblighi contributivi e previdenziali, che determinarono la sospensione dell'accreditamento della «Casa di cura Villa Pini d'Abruzzo» disposta dal Commissario ad acta;
          va rilevato, altresì, che lo «schema di contratto prestazioni di assistenza ospedaliera erogate dalle strutture private», allegato alla citata deliberazione 8 aprile 2010, n.  26 del 2010, ai fini della proposta di sottoscrizione dell'accordo negoziale tra la Regione Abruzzo - Aziende Sanitarie Locali e «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», perfezionato il successivo 24 maggio 2010, nelle premesse, obbligava la Struttura accreditata a presentare alla Regione, tra gli altri documenti, il «certificato di iscrizione al registro delle imprese rilasciato dalla competente C.C.I.A.A..., altresì contenente l'attestazione di insussistenza di procedure concorsuali o di procedimenti per l'assoggettamento a dette procedure...». In proposito, non è dato di sapere quale valenza, rilievo e significato siano stati attribuiti a detta attestazione istruttoria dalla regione Abruzzo dapprima e dal Commissario ad acta dipoi. Nel caso di specie, ancorché lo schema di contratto allegato alla citata deliberazione 8 aprile 2010, n.  26 del 2010, di «riaccreditamento» della struttura, lo prevedesse, il legale rappresentante (rectius, il curatore fallimentare) della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» non poteva, ovviamente, essere nella condizione di produrre il documento richiesto contenente una siffatta attestazione. E, infatti, il testo del contratto sottoscritto il successivo 24 maggio 2010 tra la regione manica Abruzzo, in persona del Commissario ad acta, le aziende sanitarie del servizio sanitario regionale e la «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», sul punto risulta modificato, richiedendosi che il prescritto certificato di iscrizione al registro delle imprese rilasciato dalla competente C.C.I.A.A. contenesse, non più «l'attestazione di insussistenza di procedure concorsuali o di procedimenti per l'assoggettamento a dette procedure...» bensì «la declaratoria di fallimento e la disposizione di esercizio provvisorio». Non sembra, invero, l'ammissione all'esercizio provvisorio, poter esser ragione esimente e dirimente, posto che la preclusione, stando al tenore dell'attestazione che le strutture debbono produrre circa la «insussistenza di procedure concorsuali», è determinata, ipso facto, dall'eventuale sussistenza delle medesime. D'altronde, nel «modello contrattuale uniforme» approvato con deliberazione n.  14 del 2010 dal Commissario ad acta, non è prevista una specifica deroga per soggetti ammessi ad esercizio provvisorio, al fine di consentirgli la presentazione di un certificato, rilasciato dalla C.C.I.A.A., con attestazione difforme da quella richiesta «erga omnes». Peraltro, la non ammissione all'esercizio provvisorio di una società dichiarata fallita significa la cessazione delle sue attività rimuovendosi, in tal caso, la questione alla radice. Pertanto, con la deliberazione di riaccreditamento della struttura de qua, di fatto si è anche proposto al Curatore fallimentare uno schema di contratto che il medesimo non avrebbe potuto sottoscrivere, almeno per la parte in argomento. Discutibile, sembra all'interrogante, l'intervento operato ad personam (giuridica) per la descritta modifica del modello contrattuale, ratificata solo successivamente alla sottoscrizione dell'accordo negoziale, precisamente con l'adozione della deliberazione 23 giugno 2010, n.  34 del 2010 recante: «Prestazioni erogate dalla Rete Ospedaliera Privata Accreditata anno 2010 – Ratifica schemi di contratto e tetti di spesa sottoscritti». Atto, dunque, di «sanatoria», che rende ancora più giustificate le perplessità in ordine alla vicenda della sospensione, del successivo riaccreditamento e dell'accordo negoziale con la regione Abruzzo della struttura in discussione;
          ancora, lo schema contrattuale allegato alla deliberazione n.  14 del 2010, nelle premesse, prevedeva che, all'atto della sua sottoscrizione, la struttura avesse presentato dichiarazione resa in autocertificazione, attestante, tra l'altro, « e) d'essere in regola con la normativa in materia antinfortunistica e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro e con il possesso dei requisiti minimi previsti dalla vigente disciplina in ogni caso obbligandosi ad adeguarsi all'attuazione delle prescrizioni di cui alla legge regionale n.  32 del 2007 nei tempi e nelle modalità in essa previste; f) certificato di prevenzione incendi e certificato di conformità alle leggi antisismiche, g) certificato di agibilità e, inoltre, che la struttura si obbligasse, oltre al resto, «a rispettare puntualmente la normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e in materia previdenziale. A tal fine prende atto che la violazione debitamente accertata delle obbligazioni assunte costituirà causa di risoluzione del contratto, ai sensi degli articoli 1455 e 1456 del codice civile, attesa l'importanza di tali adempimenti e per come in tal senso espressamente convenuto;». Diversamente, nel testo sottoscritto del contratto «dato atto che ... 3. il curatore fallimentare, si impegna, altresì, a presentare entro il termine di 30 giorni dalla sottoscrizione del presente contratto, dichiarazione resa» in autocertificazione «con la quale attesta», tra l'altro, quanto prescritto in contratto, sub n.  3, lettere e), f) e g), i cui contenuti sono sopra riportati. È, quindi, ripetuto, anche in relazione a detti altri incombenti, un intervento modificativo e, di fatto, agevolativo per la controparte contrattuale, la struttura, rispetto a questioni procedurali diversamente disciplinate nel modello contrattuale proposto ai fini della sua sottoscrizione alla medesima controparte. Si deve soggiungere, per completezza di considerazioni sul punto, che nel contratto sottoscritto tra le parti citate, il 24 maggio 2010, in conclusione premesse, è «dato atto, altresì, della deliberazione commissariale n.  26 del 2010 dell'8 aprile 2010», nella quale, però, si era deciso «di proporre al Curatore fallimentare lo schema di contratto di cui alla deliberazione Commissariale n.  14 del 2010...» in un testo difforme da quello sottoscritto;
          la legge regionale n.  32 del 2007 di regolamentazione delle autorizzazioni, degli accreditamenti e degli accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, all'articolo 5 obbliga «I titolari di autorizzazione all'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie» a inviare «al Comune territorialmente competente un'autocertificazione, con cadenza triennale, attestante il mantenimento del possesso dei requisiti minimi autorizzativi definiti dal Manuale di Autorizzazione emanato dalla Regione. 2. Il Comune trasmette le autocertificazioni ricevute alla Direzione Sanità per conoscenza ed al Dipartimento di Prevenzione territorialmente competente che dispone la necessaria attività di vigilanza e controllo sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi; 3. La Direzione Sanità regionale ha facoltà di disporre attività ispettive sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi avvalendosi del Dipartimento di Prevenzione dell'ASL territorialmente competente»;
          con riguardo alla «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», non è dato di sapere quando sia stata prodotta l'ultima autocertificazione ex articolo 5 della citata legge regionale n.  32 del 2007 e, pur tuttavia, è fondato il dubbio che problematiche di natura strutturale interessino la casa di cura, per la quale, d'altronde, il «Disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'Abruzzo S.r.l. in fallimento» richiama l'esistenza di «alcuni contratti aventi ad oggetto lavori di manutenzione e di adeguamento della struttura...» che sarebbero stati stipulati nel corrente anno dalla curatela. È proprio la situazione dei fabbricati a giustificare dubbi sulla conformità dei medesimi alle prescrizioni normative giacché da quel che è dato di apprendere gli impianti elettrici, per esempio, sarebbero alquanto obsoleti e, dunque, probabilmente, almeno parzialmente, non certificabili. In particolare, poi, la protezione antisismica risulterebbe assente con riguardo al fabbricato ospedaliero. In proposito, oltre a quanto prescritto nei manuali di autorizzazione e di accreditamento approvati con deliberazione della giunta regionale dell'Abruzzo 1o luglio 2008, n.  591/P, e successive modificazioni e integrazioni, è d'uopo rilevare che l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 20 marzo 2003, n.  3274, entrata in vigore il 23 ottobre la classificazione sismica del territorio nazionale, poneva l'obbligo di presentare i progetti di adeguamento antisismico dei fabbricati delle «strutture strategiche» qual è, indubbiamente, una casa di cura, ai sensi della deliberazione della giunta regionale dell'Abruzzo 29 ottobre 2008, n.  1009. Inoltre, gli impianti di protezione antincendio, non sarebbero conformi alla normativa e la struttura, dalla fine dell'anno 2011, avrebbe avuto sospeso il certificato di prevenzione incendi per decisione del comando provinciale dei vigili del fuoco di Chieti;
          rispetto al descritto, ancorché parzialmente e in estrema sintesi, quadro d'insieme, non è dato di sapere se la direzione sanità regionale della giunta regionale dell'Abruzzo abbia mai disposto, avvalendosi del dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria locale, territorialmente competente, successivamente al 18 febbraio 2010, data di adozione della deliberazione n.  14 del 2010, attività ispettive sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», al fine di esperire quelle «successive verifiche» previste nella deliberazione n.  26 del 2010, anche in relazione alla asserita incertezza esistente in ordine al permanere del possesso dei requisiti di autorizzazione e di accreditamento», annoverata tra le cause di esclusione della struttura, in aggiunta a quella della sospensione dell'accreditamento e ad altre, pure indicate, dalla deliberazione in parola, autorizzativa dei tetti di spesa complessivi per l'anno 2010 di ciascuna delle strutture accreditate. Nell'eventualità che attività ispettive siano state espletate, non se ne conoscono gli esiti pure rilevanti per conciliare la sussistenza di requisiti disciplinati in normativa con fatti, quali, esemplificativamente, la sospensione del certificato di prevenzione incendi che avrebbe riguardato la struttura, a distanza di poco meno di due anni dal suo «riaccreditamento» presso la regione Abruzzo. Tra i requisiti, ovviamente, vi sono anche quelli inerenti alle certificazioni relative agli impianti elettrico, idrico, termico e il possesso dei certificati energetici e acustici. Ancora, il possesso dei certificati di collaudo statico dei fabbricati di cui si compone la struttura e di agibilità dei medesimi. E, così pure, costituisce requisito, il cui possesso è stato peraltro dichiarato nelle premesse dei contratti tra la regione Abruzzo - aziende sanitarie locali e «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», «l'essere in regola con la normativa in materia antinfortunistica e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro» elemento che, evidentemente, è condizionato dalla conformità o no dei fabbricati e, dunque, della struttura, alla normativa data in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. Un cenno speciale, anche per la rilevanza sociale della questione, merita la considerazione intorno alla causa di sospensione, poi revocata, dell'accreditamento predefinitivo della struttura «per non aver assolto agli obblighi retributivi e contributivi in favore del personale dipendente». Essendo stata l'impresa dichiarata fallita ancorché autorizzata all'esercizio provvisorio, non risulta che siano state sanate le violazioni di quegli obblighi che, dunque dovrebbero dispiegare gli effetti preclusivi, contemplati dalla legge regionale 31 luglio 2007, n.  32, del mantenimento dell'accreditamento predefinitivo. Diversamente opinando, un requisito, la cui evidente ratio è quella della tutela dei lavoratori di tutte le strutture abruzzesi e della parità di condizione tra i soggetti concessionari di un pubblico servizio e della tutela della concorrenza, si dimostrerebbe eludibile alla stregua dei mutati assetti giuridici dell'impresa, nel caso di specie per il suo passaggio allo stato fallimentare, ipotesi, tuttavia, che la legge regionale non sembra ammettere, come, d'altronde, appare coerente con la sua ratio;
          orbene, dalla lettura della «Relazione sul valore economico del complesso aziendale denominato “Villa Pini d'Abruzzo” al 31 maggio 2012» redatta dal Collegio peritale nelle persone nominate dal Curatore fallimentare con istanza del 22 dicembre 2011, presentata presso il tribunale civile di Chieti – Sezione Fallimentare, ed essendo la nomina di detto collegio confermata, dipoi, dal giudice delegato del menzionato tribunale, si apprendono notizie che legittimano il dubbio circa i possesso, da parte della struttura, di tutti i requisiti minimi autorizzativi. Si legge infatti, tra l'altro quanto segue. «È utile altresì precisare che il contratto di affitto d'azienda fissa tutti gli interventi, anche di adeguamento, necessari per assicurare la funzionalità dell'azienda e per l'esercizio dell'attività sanitaria nel pieno rispetto della normativa in vigore, nonché pone a carico esclusivo della Casa di Cura, gli oneri connessi al rispetto delle normative in materia di prevenzione e sicurezza, tutela ecologia e ambientale, nonché la esecuzione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sui beni mobili e immobili». Naturalmente, non è noto quali siano gli «interventi» contrattualmente «fissati» ma la loro stessa deduzione in contratto rende tautologica l'affermazione per la quale verosimilmente sussistono criticità, a cui quegli «interventi» porrebbero, o avrebbero posto, rimedio;
          nel contesto sopra delineato si cala l'asta per la vendita del complesso aziendale nel quale è ricompresa la «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», fissata per il giorno 12 settembre 2012, nella cui relativa documentazione si rinvengono singolari prospettazioni integranti l'elaborazione di documentazione varia inerente alla procedura di vendita. Tra queste, la clausola inserita, sub 6), nel testo dell’«Accordo di riservatezza», che i soggetti interessati a formulare una proposta vincolante per l'acquisto sono stati chiamati a sottoscrivere, per la quale «Nel caso in cui per vincoli di legge o di regolamento ovvero su legittima richiesta delle competenti Autorità, sia necessario per la Società o per alcuno dei Soggetti interessati consegnare, rendere note a terzi o divulgare dette Informazioni Riservate, è obbligo della Società o di ciascuno dei Soggetti informare la procedura Fallimentare per iscritto preventivamente» (sic !), ravvisandosi nell’«imposizione» di stampo iugulatorio, di tale obbligazione un eccesso di «dominanza» che appare ingiustificato, strumentale e, a parere dell'interrogante, non legittimo. A rafforzare il profilo strumentale che sembra stagliarsi dietro quella clausola si presta l'inopinata «precisazione», recata nel «Disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'Abruzzo S.r.l. in fallimento», nel paragrafo sub G), rubricato: «Avviamento aziendale», per la quale «Con riferimento al contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, alle attestazioni in esse contenute ed ai relativi procedimenti, la procedura fallimentare non offre alcuna garanzia né assume alcun obbligo in ordine ai relativi esiti, rimanendo a carico di ciascun interessato ogni relativa alea e possibile conseguenza pregiudizievole» e, inoltre, «L'aggiudicazione del compendio aziendale non equivale ad automatica volturazione delle autorizzazioni ed accreditamento, restando in capo all'acquirente ogni rischio connesso al buon esito dei relativi procedimenti amministrativi». In altri termini, una presa di distanza, a ben vedere, tout court, una fuga da ogni e qualsivoglia responsabilità che, a tutto concedere, stupisce possa giungere a negligere, in quanto occorra, addirittura, «il contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, le attestazioni in esse contenute e i relativi procedimenti». Di per sé, questa asserzione postulerebbe puntuali verifiche in ordine, esattamente, «al contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo e alle attestazioni in esse contenute» ! Criptico si palesa, anche, l'impegno che «l'offerente» deve assumere «ad astenersi dall'intraprendere attività commerciali e/o sottoscrivere accordi con terzi anche potenzialmente idonei ad arrecare pregiudizio agli interessi della procedura o confliggere con gli stessi». Si segnala, poi, l'inusitato richiamo al contenzioso amministrativo che riguarda l'impresa fallita Villa Pini d'Abruzzo in esercizio provvisorio e precisamente all'impugnativa innanzi al Tar Abruzzo, che, il 28 dicembre 2011, ha accolti i relativi ricorsi, promossa da altre Case di Cura, per l'annullamento delle deliberazioni del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo con le quali si sono disposti il «riaccreditamento» della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» e l'assegnazione del relativo budget annuale. La causa è pendente innanzi al Consiglio di Stato che all'udienza di merito del 13 luglio 2012 ha trattenuto la causa per la decisione, in relazione alla quale nella documentazione d'asta è detto che «il rischio giuridico che grava sulla azienda Villa Pini d'Abruzzo è evidente: una eventuale conferma delle sentenze del Tar potrebbe determinare una forte riduzione del valore dell'azienda», della quale, sempre nelle precisazioni contenute nel citato «Disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'Abruzzo S.r.l. in fallimento», è predicata la difficoltà di «pronosticare con un attendibile grado di certezza il futuro dell'attività... che pure costituisce oggetto della procedura di gara proposta nel presente Disciplinare di Vendita». Appare, di tutta evidenza, incongruente l'avvio di una procedura di gara nelle more di una decisione, comunque ormai non più remota, assistita dalla sfavorevole sentenza pronunciata in primo grado. In effetti, non sembra rispondere a criteri prudenziali e logico-temporali il contrasto evidente tra un'alea cospicua incombente sull'attività aziendale e, per conseguenza, sul valore del compendio aziendale, come peraltro, non appare considerato nella «Relazione sul valore economico del complesso aziendale denominato “Villa Pini d'Abruzzo” al 31 maggio 2012»;
          le vicende della sospensione dell'accreditamento della «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo» e del suo rapido «riaccreditamento», ancorché plurimi elementi avrebbero potuto, rectius dovuto, motivare un diverso e contrario avviso dell'ufficio del commissario ad acta nella loro valutazione, nonché della procedura di gara che, rispetto alla seria minaccia giudiziaria pendente sull'attività aziendale, appare decisione affrettata e carente, se non affatto priva, di un nesso ragionevole e conferente, impensieriscono in modo ragguardevole, sollecitando l'iniziativa di sindacato ispettivo che tende a chiarirne i contorni e ad approfondirne gli elementi concreti e fattuali che le sostanziano  –:
          se, la rappresentata difformità, in particolare sulla «insussistenza di procedure concorsuali o di procedimenti per l'assoggettamento a dette procedure» tra i testi, rispettivamente, dello «schema di contratto» tra Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo e il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo, allegato alla deliberazione 8 aprile 2010, n.  26 del 2010 del commissario governativo ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Abruzzo, e il contratto effettivamente sottoscritto il 24 maggio 2010 tra i medesimi soggetti, non costituisca causa di illegittimità o di censura su, qualsivoglia piano;
          se, con riguardo alla normativa vigente al momento del «riaccreditamento» della struttura «Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo», risultassero, ed eventualmente con quali modalità, sanate le violazioni relative agli obblighi retributivi e contributivi in favore del personale dipendente della Casa di cura;
          se risulti la nominata Casa di cura fosse, al momento del riaccreditamento, e permanga tuttora, in possesso di tutti i requisiti strutturali e gestionali indicati in normativa regionale di settore e in quella, statale, in materia di protezione antisismica, di prevenzione incendi, nonché di prevenzione e sicurezza sul lavoro e di tutela ecologica e ambientale ed eventualmente se e quali attività ispettive sul possesso dei requisiti minimi autorizzativi siano state eseguite dal dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale competente per territorio  –:
          se il Governo non ritenga opportuno predisporre per il tramite del commissario ad acta accertamenti in ordine al contenuto della domanda della nominata casa di cura Villa Pini d'Abruzzo di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, alle attestazioni in essa contenute ed ai relativi procedimenti, attese le asserzioni contenute nel «disciplinare per la vendita del complesso aziendale della società Villa Pini d'Abruzzo srl, in fallimento», paragrafo sub g), rubricato: «avviamento aziendale», secondo le quali «con riferimento al contenuto della domanda di autorizzazione sanitaria/accreditamento predefinitivo e definitivo, alle attestazioni in esse contenute ed ai relativi procedimenti», la procedura fallimentare non offre alcuna garanzia né assume alcun obbligo in ordine ai relativi esiti rimanendo a carico di ciascun interessato ogni relativa alea e possibile conseguenza pregiudizievole». (4-17742)


      GARAGNANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso:
          si fa riferimento a quanto accade nel principale policlinico di Bologna, il Sant'Orsola-Malpighi sull'affido di mansione primariali (facente funzione) dove è stato posto a capo di una unità operativa di oncologia medica un anatomopatologo;
          colpisce infatti la mancata volontà di affidare le funzioni dirigenziali dell'unità operativa di oncologia medica Ex-Martoni ai titolati professionisti della stessa unità nonostante esistano documenti regionali e nazionali i quali prevedono che la direzione di strutture accreditate sia affidata a professionisti con competenze cliniche di 4 livello nella disciplina;
          la suddetta anomala situazione è stata rilevata dalle locali associazioni sindacali di categoria che hanno notificato al direttore generale del policlinico una diffida per un affidamento di mansioni di dubbia conformità con la normativa nonché la trasmissione della problematica alle segreterie nazionali delle medesime con l'invito ad eventuale intrapresa di azione giudiziaria;
          non è noto quali tipi di motivazioni o condizionamenti ci siano stati nella nomina sopradescritta che in qualche modo interferisce nell'autonomia universitaria pur provenendo dal direttore generale (nominato dalla regione: anche questo ad avviso dell'interrogante un fatto anomalo);
          al riguardo si fa presente che l'interrogante ha presentato una proposta di legge «Modifiche all'articolo 4 del decreto-legge 21 dicembre 1999 n.  517 in materia di organi delle aziende ospedaliero universitarie» che mira solamente a riequilibrare e a rafforzare il ruolo dell'università nel rapporto con il Servizio sanitario nazionale;
          la peculiarità del ruolo dell'università nel rapporto con le strutture sanitarie territoriali, in particolare nella formazione del personale medico e in generale nell'assistenza, è stata spesso svilita dall'eccessiva preponderanza del potere politico regionale;
          infatti l'oggettivo condizionamento di nomine e di procedure concorsuali nell'ambito delle strutture sanitarie universitarie collegate alla regione finisce, da un lato, per ledere l'autonomia universitaria e, da un'altro lato, per instaurare un rapporto anomalo con la regione che tende a omologare il sistema sanitario penalizzando le punte di eccellenza, avvalendosi delle competenze attribuite per legge nazionale e che dovrebbero essere meglio definite mortificando oggettivamente la professionalità dei medici  –:
          quali iniziative normative intenda assumere in proposito. (4-17746)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
          il progetto «Fabbrica Italia» avviato da Fiat nel 2010 prevedeva 20 miliardi di euro di investimenti e un milione e quattrocento mila auto prodotte in Italia;
          secondo tale piano a Mirafiori la produzione doveva essere aumentata di circa 100 mila vetture, a Melfi di 400 mila e a Pomigliano di 250 mila, mentre a Cassino i volumi dovevano essere quadruplicati, alla Sevel dovevano essere prodotti 240 mila veicoli commerciali all'anno, mentre era confermata la chiusura di Termini Imerese;
          a Mirafiori nel 2011 la produzione di auto si è fermata a quota 63 mila, dal 2007 al 2011 la produzione di Melfi è scesa da 300 mila a 230 mila automobili, e quella di Cassino da 150 mila a 131 mila, mentre lo stabilimento di Pomigliano l'anno scorso non ha sfornato più di 12 mila macchine;
          del progetto «Fabbrica Italia» rimane solo la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese;
          la cassa integrazione è ormai arrivata in tutti e quattro i grandi stabilimenti del gruppo Mirafiori, Melfi, Cassino e a Pomigliano, dove pochi mesi fa è uscita la prima nuova Panda, che non vende come sperato e dove la cassa integrazione ha riguardato 2.150 dipendenti tra il 20 e il 31 agosto 2012;
          è stato invece posticipato nello stabilimento di Melfi, il lancio di una nuova versione della Punto, nell'attesa di una ripresa del mercato che per ora sembra molto lontana, dove lavorano 5.300 dipendenti, e la cassa integrazione ha già colpito a «macchia di leopardo», a seconda dell'andamento degli ordini, così come a Cassino, la fabbrica che produce Lancia Delta, Fiat Bravo e Alfa Giulietta;
          l'unico stabilimento dove il lavoro viaggia a ritmi regolari è Sevel che produce veicoli commerciali vicino a Chieti;
          dei 190 mila dipendenti del gruppo sparsi nel mondo, 25 mila sono gli operai occupati nei quattro stabilimenti italiani (Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Melfi);
          a livello mondiale il mercato delle auto non è in crisi, nel primo semestre 2012 sono stati venduti sul pianeta 40 milioni e 466 mila auto, il 6,7 per cento in più dello stesso periodo del 2011, che pure era stato un anno record; i costruttori europei che si sono attrezzati prima per essere presenti su quei mercati hanno retto meglio la crisi, la Fiat, da parte sua, si è limitata al solo insediamento in Brasile;
          il crollo delle vendite nell'area euro è conseguenza delle politiche recessive dei Governi per far fronte alla crisi del debito; i mercati dei Paesi del Sud Europa vanno peggio degli altri; i cali più vistosi nell'area euro sono quelli di Fiat (-16,5 per cento) e Renault (-16,1);
          il calo di Fiat è dovuto al fatto che il mercato di riferimento, quello italiano, è quello che ha perso di più (- 19,9) tra i cinque grandi del continente;
          con le attuali condizioni di mercato e all'attuale livello di vendite non c’è lavoro per tutti i dipendenti FIAT e si affacciano le ipotesi dell'affitto degli impianti, del prolungamento della cassa integrazione o del dirottamento di pezzi di produzioni dagli Stati Uniti;
          a Mirafiori è prevista la produzione di due piccoli suv, uno della Jeep e uno della Fiat (la 500X) che entreranno in produzione solo nel 2013 e nel 2014, per essere venduti in Europa e nel resto del mondo;
          oltre a questi modelli non c’è nulla, considerato che i progetti delle vetture che dovranno sostituire la Punto e la Bravo non sono stati ancora deliberati e che dalla fase di avvio alla produzione ci vogliono non meno di diciotto mesi;
          dei 20 miliardi di euro promessi, la FIAT fino ad oggi ha investito in Italia 800 milioni di euro per Pomigliano e un miliardo di euro per la produzione di una Maserati nell’ex Bertone di Grugliasco;
          si conferma con ciò che la Fiat sta perdendo quote di mercato perché non ha fatto investimenti e non ha nuovi prodotti; in tale contesto l'annuncio dell'amministratore delegato FIAT suscita allarme tra i lavoratori soprattutto nel Mezzogiorno e crea un clima di incertezza e di paura;
          prima dell'estate, tramite la banca Lazard, la Volkswagen aveva fatto sapere di essere pronta a trattare il marchio Alfa Romeo, che da vent'anni la Fiat non riesce a valorizzare, e uno dei grandi stabilimenti italiani del gruppo;
          nel Governo tale notizia non sembra avere suscitato interesse, mentre sarebbe utile accertare la consistenza di tale proposta; se la FIAT non dovesse rivelarsi in grado di mandare avanti gli stabilimenti, è necessario trovare alternative per scongiurare l'ipotesi che l'Italia rimanga senza industria automobilistica;
          gli stabilimenti sono in gran parte fermi, i lavoratori provano la paura di non avere un futuro, la prospettiva industriale del Paese è messa fortemente in discussione, il piano «Fabbrica Italia» non c’è evidentemente mai stato;
          è necessario che il Governo capisca la reale strategia del gruppo, i dossier sui quali poteva e può far pesare un proprio intervento: Termini Imerese, Irisbus, Sevel, non sono da considerarsi chiusi;
          è forse il caso di affrontare la questione Fiat come una grande questione industriale del Paese, nel rispetto dei ruoli di ciascuno  –:
          quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Ministro interpellato;
          se ritenga una priorità la salvaguardia e lo sviluppo della base industriale del Paese e se, all'interno di questa priorità, l'industria automobilistica abbia ancora un ruolo o se l'abbia perduto;
          se intenda verificare le reali intenzioni della FIAT a investire ancora in Italia, assicurando le migliori condizioni di contesto anche in termini di ammortizzatori sociali straordinari;
          se, nel caso in cui Fiat non intendesse mantenere alcuni degli stabilimenti, intenda favorire soluzioni che prendano seriamente in considerazione altri soggetti ed iniziative industriali.
(2-01670) «Vico, Lulli, Ventura, Antonino Russo, Capodicasa, Vaccaro, Colaninno, Boffa, Adinolfi, Berretta, Iannuzzi, Misiani, Amici, Boccia, Margiotta, Ferranti, Argentin, Pompili, Corsini, Cuperlo, Zaccaria, Graziano, Mario Pepe (PD), Santagata, Miglioli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TULLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nonostante il permanere della grave crisi economica, nel corso del 2011, il traffico container nel porto di Genova nel 2011 ha registrato un aumento del 5 per cento e nei primi mesi del 2012 l'aumento è del 9,5;
          il porto di Genova, oltre ad essere uno dei perni centrali dell'economia ligure, rimane strategico nel sistema logistico del Paese; in questi mesi si è avviato il percorso di redazione del nuovo piano regolatore portuale per adeguare lo scalo ad un auspicabile e possibile aumento dei traffici;
          tra le ragioni di maggiore competitività dello scalo vi è la necessità di adeguati interventi infrastrutturali a partire dalla realizzazione del terzo valico dei Giovi e della gronda autostradale di ponente, con l'obiettivo di rendere più rapido l'inoltro delle merci, rendendo meno impattante con la viabilità urbana il traffico determinato porto;
          oltre agli interessi legati al porto le opere in discussione e quelle compensative, collaterali, e propedeutiche all'apertura dei cantieri sono fondamentali, non solo per i volumi di traffico che saranno generati in futuro dallo scalo ma per soddisfare anche le attuali esigenze di mobilità urbana, nonché per rispondere agli importanti flussi turistici che interessano Genova e la Liguria;
          a seguito dell'approvazione della delibera del consiglio comunale n.  78 del 20 ottobre 2009 il comune di Genova ha portato avanti, congiuntamente alla regione Liguria e agli altri enti e soggetti interessati le azioni necessarie a completare l’iter progettuale della gronda autostradale di ponente, sulla base delle risultanza del dibattito pubblico che la stessa amministrazione aveva promosso con spirito innovativo teso a favorire una partecipazione attiva dei cittadini prima di assumere le indicazioni definitive del tracciato;
          contemporaneamente all’iter tecnico amministrativo è stato costruito un osservatorio, che coinvolge singoli cittadini oltre il comune e i diversi municipi interessati; in tale sede si è aperto il confronto sulle cosiddette «opere compensative» e sulle opere correlate, ovvero su quegli interventi ritenuti necessari per garantire l'equilibrio sociale ed ambientale dei territori interessati sia nella fase di cantierizzazione dell'opera sia nel nuovo contesto determinato dalla sua messa in esercizio;
          è stata aperta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la procedura di impatto ambientale giunta alla fase delle risposte della società responsabile del progetto (SPEA) ai quesiti posti anche in considerazione del parere espresso dalla regione Liguria che contiene e assorbe anche il parere del comune di Genova;
          restano forti le esigenze dei territori coinvolti dal tracciato di avere certezze in merito alla realizzazione delle opere propedeutiche alla cantierizzazione, di quelle collaterali e compensative anche in merito al miglioramento delle attuali infrastrutture stradali e autostradali del nodo di Genova;
          tra le opere compensative vanno considerate: forme di declassamento dell'A10 e della A7 nei tratti interessati, la complanare di Genova/Prà, il riassetto del tratto Bolzaneto/Rivarolo;
          tra le opere collaterali e propedeutiche vanno considerate la nuova viabilità di collegamento tra il Leiro e il Cerusa, nonché il tunnel sub portuale  –:
          se non si ritenga opportuno, vista l'importanza e l'urgenza della realizzazione dell'opera e considerata la complessità rappresentata, al fine di approfondire rapidamente con gli enti locali e i diversi soggetti interessati le problematicità, assumere iniziative per l'apertura della conferenza di servizi anche prima della conclusione della procedura di VIA.
       (5-07971)

Interrogazione a risposta scritta:


      MUNERATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa locale (Corriere del Veneto, edizione del Polesine, del 17 settembre 2012) riportano la notizia secondo la quale la provincia del Veneto dove maggiormente si è sentita la crisi del settore edilizio è quella di Rovigo, dove uno studio promosso e realizzato dalla Ceav (Cassa edile artigiana veneta) e da Unioncamere, prendendo in analisi il secondo semestre 2012 e analizzando 600 imprese venete con almeno un dipendente, ha evidenziato dati molto negativi sugli ordinativi;
          stando sempre alle informazioni di stampa, la crisi che ha colpito artigiani e industriali del settore e, a livello territoriale, tutto il Veneto, evidenzia particolari difficoltà in provincia di Rovigo (–7,2 per cento) e Treviso (–6,2 per cento), allorché le prospettive per il futuro sono estremamente negative, soprattutto a causa della dinamica del fatturato, per prezzi, ordini e occupazione  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno nell'ambito delle proprie competenze, adottare le idonee iniziative al fine di incentivare il rilancio delle attività e delle imprese del settore edilizio del Polesine, prevedendo altresì gli opportuni provvedimenti al fine di salvaguardare i livelli occupazionali interessati dalla grave crisi del settore. (4-17729)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

      L'interpellanza urgente Boccia e altri n.  2-01621, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lulli.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta scritta Crimi e altri n.  4-17634, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bianconi, Frassinetti, Mariarosaria Rossi, Garofalo, Scalera, Graziano, Versace, Lusetti, Mazzuca.