XVI LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 698 di lunedì 8 ottobre 2012
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI
La seduta comincia alle 15,30.
SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 26 settembre 2012.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Bergamini, Bosi, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cicchitto, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, Corsini, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Guzzanti, Iannaccone, Lupi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Nucara, Pisacane, Pisicchio, Rigoni, Stefani, Tenaglia, Valducci e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione della mozione Dozzo ed altri n. 1-01146 concernente criteri di riparto delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (ore 15,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Dozzo ed altri n. 1-01146 concernente criteri di riparto delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Misiti ed altri n. 1-01158, Aniello Formisano ed altri n. 1-01159, Ossorio ed altri n. 1-01162 e Fitto ed altri n. 1-01164 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Fava, che illustrerà anche la mozione Dozzo n. 1-01146, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GIOVANNI FAVA. La ringrazio, signor Presidente. Signor Ministro, la ringrazio di essere presente oggi, perché riteniamo che questa mozione ormai rivesta un interesse che, con ogni probabilità, è poco avvertito nell'ambito del dibattito di queste settimane - parlo del dibattito politico - ma lo è molto nel dibattito sul territorio, soprattutto quando si parla di imprese. Pag. 2
Vedete, signor Presidente, colleghi, dal 1999 ad oggi il mondo è decisamente cambiato ed è evidente che è cambiato ancora di più dal 2008 ad oggi, se vogliamo vederlo in termini relativi. Non c'è dubbio che nel 1999, quando nel mese di maggio venne assunta quella decisione nella Conferenza unificata Stato-regioni, nell'ambito della quale si stabilì l'automatismo di ripartizione dei fondi strategici (i cosiddetti fondi per le aree sottosviluppate o sottoutilizzate) con un meccanismo automatico per il quale l'85 per cento dei fondi doveva necessariamente essere destinato alle aree del Sud e il 15 per cento al resto del Paese, il legislatore, gli enti locali e i soggetti che avevano partecipato a quella discussione vivevano in un mondo diverso da quello in cui stiamo vivendo oggi.
Questo è il punto di partenza, perché questa mozione non contiene elementi di tipo ideologico, ma semplicemente una serie di valutazioni che sono figlie della situazione contingente. In questi giorni e in queste settimane, insieme a molti colleghi, ho avuto modo di parlare e di sentire direttamente dalla viva voce di molti imprenditori del Nord, in particolare, le loro difficoltà, le difficoltà di tutti i giorni nel riuscire, in un certo qual modo, ad andare avanti, con una serie di situazioni difficili che si sono create all'interno della congiuntura generale, in particolare nei mercati specifici di riferimento. Devo dire che, quando in molti di questi discorsi è uscito il tema degli aiuti in generale - usiamo il termine in senso lato -, degli incentivi, dei sussidi e della possibilità che ha lo Stato di intervenire con risorse proprie o semplicemente trasferendo risorse comunitarie, è parsa abbastanza chiara una linea che vede i nostri imprenditori molto disorientati rispetto ad un tema che non conoscono. È un tema assolutamente inesplorato, è una questione che, nelle mie latitudini, non appartiene e non è mai appartenuta, dal punto di vista culturale, al dibattito interno ed esterno fra aziende e parti sociali, aziende e istituzioni, perché non se ne era mai avvertita la necessità.
Fino a quando questa necessità non si è avvertita, salvo alcuni casi specifici, dei quali abbiamo sentito parlare anche in giorni molto recenti, nessuno ha pensato che fosse più o meno giusto o corretto chiedere aiuto, e nessuno lo sta facendo nemmeno adesso.
Voi sapete che, nell'ambito di quello che noi abbiamo vissuto con gli «Stati generali del Nord» nelle scorse settimane, è uscita una linea abbastanza condivisa - anche il presidente di Confindustria l'ha condivisa - secondo la quale gli imprenditori non chiedono aiuti allo Stato, ma chiedono agevolazioni fiscali, semplificazioni, possibilità di internazionalizzare, possibilità di vedere defiscalizzato in modo netto il ricorso alla sperimentazione interna piuttosto che all'innovazione o a tutte quelle forme che oggi emancipano i nostri mercati rispetto ad altri.
Ciononostante, non possiamo fare finta che non esista il problema, e cioè che non esistano delle risorse che vengono messe a disposizione e che spesso non vengono utilizzate a determinate latitudini, a fronte del fatto che, magari, mancano i progetti di reindustrializzazione o altro.
Giustamente, in una discussione informale con il Ministro, poco fa, ci dicevamo che i tempi sono cambiati e che ogni sette anni questa programmazione va rivista. Credo che il tema torni adesso prepotentemente di attualità nella misura in cui, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, saremo tenuti a prendere delle decisioni, ma serve un indirizzo ben preciso da parte di questo Parlamento che ci dica due cose sostanziali.
La prima è prendere atto di un fatto innegabile: purtroppo, questo è un Paese quasi totalmente svantaggiato. La grossa differenza, la grossa divaricazione tra le aree svantaggiate della metà degli anni Novanta e della fine degli anni Novanta che hanno portato a questa determinazione, e la situazione attuale nasce da lì, da questo tipo di problema.
Il secondo fatto è che, per fare fronte a questa nuova situazione che si è venuta a creare, va analizzata la tematica degli Pag. 3incentivi e degli interventi dello Stato e dell'Unione europea su uno spettro geografico più ampio.
Lungi da me e dagli altri firmatari della mozione l'idea di invertire il rapporto. Non è che siamo qui per dire che adesso serve un vincolo di destinazione delle risorse dell'85 per cento da questa parte e del 15 per cento dall'altra parte. Semplicemente, noi proponiamo di uscire da questa logica degli automatismi e di cominciare a ragionare sulla scorta delle cose utili da fare.
Vi sono intere parti del Paese che hanno avuto e probabilmente ce l'hanno ancora - mi auguro - una vocazione industriale netta e che, ad esempio, è facilmente individuabile nell'ambito degli strumenti di programmazione territoriale che sono sempre stati posti in essere. Vi sono interi distretti che oggi rischiano di sparire, nell'attuale situazione di rischio di desertificazione del sistema industriale italiano in generale - e io dico del Nord in particolare -, e che hanno bisogno di essere considerati al pari e alla stregua di tutte quelle aree che, fino a ieri, abbiamo considerato svantaggiate, perché sono interi comparti del nostro sistema che rischiano, da un giorno all'altro, di essere cancellati e spazzati via, da un lato, dalla crisi e, dall'altro lato, dalla globalizzazione e dalla scarsa capacità di essere competitivi in uno Stato e in Paese come il nostro, dove è oggettivamente difficile fare impresa. Rendono molto difficile fare impresa la nostra selva di norme, la presenza asfissiante del nostro Stato, la cronica insufficienza dei nostri enti locali e delle nostre pubbliche amministrazioni, che dovrebbero essere in grado di fare fronte alle esigenze dei mercati che cambiano.
In un contesto di questo tipo, quel meccanismo va ripensato per forza. Io sono convinto, come credo molti colleghi in questa Aula, che oggi vada pensato e ripensato un modello di sviluppo industriale che parta da quelle aree, da quei territori e da quei distretti dove la vocazione industriale è figlia di cento, centocinquanta o duecento anni di storia e dove esistono le qualità umane, professionali e imprenditoriali per far sì che sia più facile dare origine alla ripresa.
Continuo a pensare che sia molto difficile oggi credere di poter realizzare nuove aree industriali e nuovi distretti industriali in territori che non ne hanno mai avuto la vocazione, non perché non lo fosse anche prima, ma perché, mentre prima ci potevamo anche provare, oggi diventa prioritario, dal mio punto di vista, cercare di salvare quello che c'è e cercare di innestare in modo serio su quel settore industriale e su quel comparto il germe della crescita e dello sviluppo, perché è evidente che, laddove c'è una pianta, è più facile farla crescere rigogliosa che non laddove non è mai cresciuto nulla.
In virtù di questo ragionamento, che credo sia molto sereno - non nasce, ripeto, da un pregiudizio politico di sorta, ma semplicemente da un'analisi della situazione che viviamo e che abbiamo vissuto in questi mesi e in questi anni -, serve un impegno a rivedere queste modalità.
Serve un impegno a rivederle, soprattutto alla luce del fatto che il settennato 2007-2013 si sta concludendo e siamo nel momento in cui bisogna cominciare a progettare i sette anni successivi e a capire cosa succederà dal 2014 in poi, in una logica in cui tutti siamo impegnati - credo - a cercare di sostenere al massimo la possibilità che determinati territori, sistemi produttivi e distretti possano non rischiare di sparire dalla mattina alla sera.
Se voi andate in alcune parti del Paese, troverete, ormai, molto più «Sud» in alcune zone del Nord che non nel Sud stesso. Infatti, quelle che venivano normalmente fotografate, in modo plastico, come le aree dello spreco, figlie di logiche degli anni Settanta, in determinate aree del Sud, oggi, anche dal punto di vista visivo, somigliano a molte aree del Nord. Non vi è più bisogno di andare in Calabria o in Basilicata per cercare qualche zona industriale con relitti o capannoni vuoti: basta venire dalle mie parti, ad esempio nel distretto ceramico del modenese. Andate a vedere cosa sta succedendo in quel Pag. 4comparto. Sempre dalle mie parti, basta andare nei territori dove si trova il gloriosissimo distretto del legno. Andate a vedere cosa sta succedendo nel distretto della sedia nella provincia di Udine. Vi sono veramente chilometri di capannoni vuoti che rischiano di non essere mai più riempiti.
Dobbiamo intervenire dove esiste un problema, ma dove già esistono le strutture. Avremmo anche minori difficoltà. Pensare di ripartire da capo, con un sistema infrastrutturale nuovo, in aree altrettanto nuove, oggi è fuori da qualsiasi logica. Dobbiamo recuperare quello che già esiste del nostro patrimonio, della nostra capacità e della nostra competenza di fare impresa.
Per questi motivi abbiamo presentato la mozione Dozzo n. 1-01146, per portare la discussione all'interno del Parlamento e per far sì che il Parlamento stesso, prima della fine di questa legislatura, possa portare avanti un dibattito, nell'ambito del quale ci si possa confrontare sicuramente su questioni politiche di altra natura, ma qui oggi stiamo scherzando sulla pelle dei cittadini onesti, che lavorano e che hanno la pretesa di continuare a farlo. Stiamo scherzando sulla pelle di quei cittadini che oggi, soffocati da uno Stato con un certo tipo di vocazione, con le difficoltà che hanno a fare ricorso normalmente al credito, con le difficoltà che hanno tutti i giorni ad essere competitivi, nel momento in cui esistono delle risorse a favore di un sistema che dovrebbero andare a beneficio di tutti, si trovano ad essere discriminati da un meccanismo di ripartizione automatica figlio di un ragionamento di altri tempi, che probabilmente era giusto in quel periodo - non voglio negare la valenza politica di quel tipo di impostazione -, ma che oggi è fuori dal tempo e dalla storia. Dobbiamo aggiornarci, dobbiamo essere moderni. I primi a dover dimostrare una certa modernità devono essere proprio i membri di questo Parlamento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01158. Ne ha facoltà.
AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, la mozione in oggetto, presentata da Grande Sud-PPA, non tende certamente a contrastare la mozione Dozzo n. 1-01146. L'abbiamo presentata perché, invece, riteniamo che sia necessario mettere a fuoco le esigenze dei territori che quest'anno - non in futuro - hanno un prodotto interno lordo pro capite di circa la metà rispetto a quello registrato, sempre quest'anno, al Nord.
Ci siamo documentati per vedere quando, come e perché siano stati individuati questi fondi aggiuntivi nazionali per le politiche di sviluppo delle aree definite sottoutilizzate del Paese, finalizzati a garantire una maggiore concentrazione delle risorse nelle aree dove è più elevata la sottoutilizzazione del potenziale produttivo e dove vige uno svantaggio competitivo accumulato e prospettico.
Questa è, nella sostanza, la ragione per cui sono stati istituiti i fondi per le aree sottosviluppate. A decorrere dall'anno 2003, l'utilizzazione di questo Fondo è stata sostanzialmente destinata a quelle aree che coincidono con l'ambito territoriale delle cosiddette aree depresse e ad esse sono state fatte confluire due linee di finanziamento.
È chiaro che i tempi di istituzione di questi fondi sostanzialmente coincidono con le ultime vicende della chiusura della Cassa per il Mezzogiorno e naturalmente tali fondi sono denominati proprio come quelli che erano impegnati nella Cassa per il Mezzogiorno. Poi bisogna vedere se nella Cassa per il Mezzogiorno ci sono stati fondi aggiuntivi, che non sempre erano fondi aggiuntivi, ma comunque così era stata istituita la Cassa.
Quindi, per sopperire agli effetti negativi che potevano esserci in quei territori di pertinenza della Cassa - è chiaro -, è stato costituito questo Fondo, ma con una visione un po' più ampia, nel senso che non erano interessate solo le zone depresse del Mezzogiorno, ma le zone sottoutilizzate dell'Italia. Questa è la ragione per cui il CIPE ha operato quella suddivisione, che è automatica e che si può rivedere, nel senso però di utilizzare questi Pag. 5fondi laddove è più necessario, ovvero dove effettivamente è sottoutilizzato il potenziale produttivo e c'è uno svantaggio competitivo accumulato e prospettico.
Credo che, se si usano i termini esatti, quell'85 per cento destinato al Sud deve crescere e non diminuire, perché chiaramente, nonostante la crisi, se andiamo a paragonare i territori del Centro-nord e del Nord con i territori del Sud, vediamo che i territori del Sud presentano quelle caratteristiche che sono state individuate dalla legge per cui è stato istituito il Fondo.
Ecco perché noi abbiamo presentato questa mozione. Abbiamo presentato questa mozione perché, in un territorio come il Mezzogiorno, a detta del CNEL e della Svimez, negli ultimi quattro anni l'industria del Sud - perché non è vero che c'è il deserto nel Sud, attenzione: nel Sud c'è un'industria di tutto rispetto, soprattutto nei settori avanzati - ha perso 147 mila posti di lavoro, il che corrisponde ad una riduzione complessiva del 15,5 per cento, che corrisponde al triplo della media del Paese e, sostanzialmente, perlomeno al doppio della percentuale persa al Nord.
Io ritengo che vada aiutato anche il Nord, con altri sistemi e con altri incentivi, ma non con i fondi aggiuntivi previsti per le aree sottoutilizzate, rispetto alle aree di crisi di cui parla la mozione precedentemente illustrata. Ritengo che lì vada messo un occhio per migliorare e per dare una possibilità in più a quei territori. Si parlava di Sassuolo, si parlava del settore della ceramica e via dicendo: è giusto, ma senza intaccare quello che è il senso della legge istitutiva dei FAS, che riguarda le zone sottoutilizzate rispetto a quelle già in crisi, che almeno hanno la possibilità ancora di produrre, anche se in termini più ridotti rispetto al passato. Ma in alcuni casi, nel caso del Mezzogiorno, il 15,5 per cento corrisponde al triplo del resto del Paese e significa che la disoccupazione industriale nel Mezzogiorno è tripla rispetto a quella del Centro-nord.
In più devo dire che, nel recente passato, come ricorderanno i colleghi e il Governo, sono state fatte delle manovre con le quali praticamente, secondo il CNEL, dal rapporto 85 e 15 sono stati sottratti circa 28 miliardi di euro per fare fronte alla crisi del Nord. Io sono contento di questo e non ho una particolare obiezione, se non, per esempio, perché parte di questi soldi sono stati utilizzati per le «quote latte», ma sono cose minime rispetto, invece, alla giusta azione che è stata fatta per fare fronte alla cassa integrazione, che numericamente interessava soprattutto il Nord.
Quindi, è stato giusto, con riferimento ai 28 miliardi di euro, che sono stati attribuiti per solidarietà a quella parte del Paese che ne aveva in quel momento bisogno, perché altrimenti i disoccupati senza cassa integrazione sarebbero giustamente scesi in piazza e ci sarebbe stata una crisi anche sociale di grande dimensione, che il Ministro Tremonti e gli uffici si siano prodigati per aiutare quei territori; ciò, tuttavia, non significa che in futuro, quando la ripresa ci sarà, non si avvertirà la necessità di poter utilizzare anche quei soldi recuperati per poter dotare il Mezzogiorno di infrastrutture come già fatto in passato nel Centro-nord. Penso all'Alta Velocità ferroviaria: al riguardo, al Centro-nord sono stati previsti e spesi circa 60 miliardi di euro di fronte ai quali i 18 o 20 miliardi che necessitano per completare, da Salerno a Palermo, l'Alta Velocità ferroviaria mi pare che siano più che proporzionati. Quindi, è evidente che, nel caso dei fondi già utilizzati per il Centro-nord, noi pretendiamo che siano restituiti quando la ripresa economica ci sarà nel nostro Paese. In più, nella programmazione 2013-2020 noi dobbiamo prevedere, come chiede la nostra mozione, che siano rispettate le finalità della legge istitutiva che non sono state modificate dalle variazioni che ha subito questa legge. I FAS quindi devono essere tutti adoperati nelle zone sfortunate del Paese e, se ce ne sono al Nord, siano anche attribuiti al Nord, però è chiaro che la stragrande maggioranza di questi territori si trova nel Mezzogiorno d'Italia.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini, che illustrerà la mozione Aniello Formisano ed altri n. 1-01159, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, a decorrere dal 2003 le risorse destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate del Paese sono concentrate in un fondo di carattere generale, il Fondo per le aree sottoutilizzate, il FAS. Ai sensi della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nel medesimo fondo sono iscritte tutte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale nonché ad incentivi ed investimenti pubblici. Per quanto concerne il riparto delle risorse, l'articolo 61, comma 3, della stessa legge, attribuisce al CIPE il compito di ripartire, con proprie delibere, la dotazione del Fondo per le aree sottoutilizzate tra gli interventi in esso compresi. Il Quadro strategico nazionale del 2007 prevedeva anche una politica regionale di sviluppo destinata in modo specifico ai territori con squilibri economici e sociali. Poi è scoppiata la crisi e per il Sud si sono ridotte non solo le risorse aggiuntive ma anche quelle ordinarie, rendendo difficile quell'inversione di tendenza indicata dalle proiezioni programmatiche del Governo. Come chiarito in un recente articolo dei professori Mario Centorrino e Pietro David, pubblicato dal sito www.lavoce.info.it, per accelerare i tassi di crescita delle regioni meridionali del 2007 in coincidenza con il ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013, si stabilì di adottare una strategia di sviluppo che, per la prima volta, vedeva confluire nella stessa programmazione tutte le risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate: i fondi comunitari, le quote di cofinanziamento nazionale e le risorse aggiuntive nazionali. In totale, 124,7 miliardi di euro (60,3 di fondi strutturali e 64,4 di FAS), che, nei successivi sette anni, dovevano finanziare un'unica strategia di sviluppo per il Mezzogiorno, indicata nel Quadro strategico nazionale. Si tratta di un documento nato dal processo partenariale che ha coinvolto comuni, province, regioni e amministrazioni centrali nella definizione di scelte strategiche, priorità di intervento e modalità attuative della spesa per lo sviluppo. Tale approccio, definito «politica regionale unitaria», aveva come precondizioni per la sua stessa efficacia l'intenzionalità dell'obiettivo territoriale e l'aggiuntività delle risorse. In sostanza, a differenza delle politiche ordinarie, che sono di regola orizzontali, la politica regionale di sviluppo sarebbe dovuta risultare destinata specificamente a quei territori che presentavano squilibri economici e sociali e per essere efficace, cioè per raggiungere l'obiettivo di ridurre i divari, le risorse impiegate avrebbero avuto carattere di distinzione ed aggiuntività rispetto a quelle ordinarie.
In base a queste precondizioni, la ripartizione delle spese in conto capitale della politica regionale unitaria (quindi la spesa aggiuntiva) sarebbe dovuta essere l'85 per cento per il sud e il 15 per cento per il centro-nord in modo che la quota totale delle spese in conto capitale (ordinarie più aggiuntive) per il Mezzogiorno sul totale nazionale avrebbe dovuto crescere fino al 45 per cento. Se questo era l'impianto strategico nel 2007, la crisi economica ha modificato tutta l'impostazione finanziaria della politica regionale unitaria. La percentuale di spesa in conto capitale nelle regioni meridionali sul totale nazionale evidenzia come dal 2009 questa strategia sia sostanzialmente compromessa. La quota di spesa in conto capitale per il sud è diminuita dal 35,4 del 2009 al 31,2 per cento del 2011. In valore assoluto si è passati dai 22,4 miliardi investiti nelle regioni meridionali del 2009 ai 15,1 miliardi di euro del 2011. A ridursi sono state non solo le risorse aggiuntive nazionali, quindi i FAS, utilizzate in chiave anticiclica per altri interventi su tutto il territorio nazionale, ma anche le risorse ordinarie la cui quota destinata al Mezzogiorno sul totale è passata dal 26,8 del 2009 al 18,8 del 2011, contravvenendo ad una delle precondizioni essenziali della politica regionale unitaria.
Anche il rapporto Svimez del 2012 sull'economia del Mezzogiorno presentato Pag. 7a Roma il 26 settembre 2012 sottolinea come negli ultimi anni la strategia complessiva volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale delle regioni meridionali sia completamente venuta meno. In sostanza, come nel precedente ciclo di programmazione, le risorse aggiuntive stanno sostituendo i tagli di quelle ordinarie, compromettendo di fatto l'efficacia della politica regionale unitaria. Nel corso del 2008 infatti sono intervenute alcune disposizioni che hanno inciso in maniera significativa sulla programmazione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate. Mi riferisco a due decreti, in primo luogo al decreto-legge del 25 giugno 2008, n. 112, che prevede una strategia di razionalizzazione delle risorse volta ad una ricognizione delle risorse disponibili sul fondo, in considerazione della rilevanza strategica nazionale di questi settori (naturalmente c'è stato quel problema); invece con il decreto-legge del 29 novembre 2008 n. 185, che si è posto in linea di continuità rispetto al decreto-legge n. 112, si sono previste la riprogrammazione e la concentrazione delle risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell'economia italiana. A tal fine sono stati costituiti tre fondi: il fondo sociale per l'occupazione e la formazione; il fondo infrastrutture; il fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale. Ecco che ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011 n. 88 si è avuta la denominazione del federalismo fiscale, e di fatto ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione.
Per il periodo invece di programmazione 2007-2013 le risorse sono state fissate, così come prevede la legge, per un importo complessivo pari a 64,379 miliardi di euro. Per l'anno 2008 sono state apportate numerose riduzioni a carico delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate in attuazione di alcune disposizioni legislative adottate nel corso degli anni. Infatti il rapporto Svimez 2012, già citato, asserisce che oggi ci vogliono quattro secoli per recuperare il gap che divide il nostro Mezzogiorno dal settentrione. Il rapporto parla di desertificazione industriale e la disoccupazione tocca il 25 per cento, più del doppio rispetto a quella del centro-nord. Nel 2012 il PIL è sceso ancora del 3,5, i consumi del 3,8 e gli investimenti del 13,5, e negli ultimi quattro anni (2007-2011) sono stati 147 mila i posti di lavoro persi al sud, il triplo dei dati del centro-nord.
In questa situazione dal 2000 al 2010 oltre un milione e 350 mila persone hanno perso il lavoro e abbandonato il Mezzogiorno aggravandone l'impoverimento. Si tratta di una situazione di grave e progressivo impoverimento che richiederebbe piani di emergenza ed investimenti pubblici. Lo stesso intervento straordinario, quando c'è stato, in anni ormai lontani, era la semplice sostituzione di quello ordinario che non c'era mai stato. Era un investimento che non mirava a ridurre le differenze ma a dare soldi ai potenti meridionali in modo che potessero mantenere il loro potere e continuare a fare gli interessi settentrionali. Anche i Governi di centrodestra degli ultimi vent'anni hanno trascurato il sud per compiacere la Lega e non c'è dunque da stupirsi che i vecchi divari si siano allargati. Il meridione sconta oggi il combinato disposto della peggiore crisi dal dopoguerra e dell'impostazione leghista della compagine berlusconiana che ha colpito sistematicamente nella convinzione che le realtà settentrionali ne avrebbero tratto giovamento.
Oggi vediamo con certezza e con nettezza che è vero il contrario: senza politiche di coesione territoriale tutto il sistema Paese ne soffre. La crescita dell'economia italiana, infatti, è strettamente legata allo sviluppo delle regioni meridionali e al recupero del divario territoriale in termini di PIL, occupazionale e, soprattutto, delle infrastrutture. Con un Mezzogiorno a bassi livelli di produzione, anche se il centro-nord crescesse a tassi europei, il PIL nazionale rimarrebbe sempre intorno alla media degli ultimi dieci anni, ossia poco sopra lo zero (0,2 per cento).
Signor Presidente, signor Ministro, quindi noi siamo qui ad intraprendere le Pag. 8necessarie iniziative affinché siano mantenuti gli attuali criteri di riparto delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione effettivamente realizzati, ad assegnare nel più breve tempo possibile alle amministrazioni destinatarie le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione e a garantire che l'utilizzo di tali risorse sia oggetto di costante monitoraggio e valutazione al fine di accelerare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ossorio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01162. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE OSSORIO. Signor Presidente, devo esprimere il mio compiacimento per la presenza del Ministro Barca su questo argomento. La mozione che illustro, della componente dei repubblicani, è redatta insieme all'onorevole Francesco Nucara ed è firmata dall'onorevole Mario Pepe dei Repubblicani Azionisti. Intanto, signor Ministro, devo dire che sono molto preoccupato e siamo molto preoccupati di questo tentativo surrettizio di spostare le percentuali che finora dovevano pur essere un punto di riferimento certo ed acquisito nella ripartizione dei fondi (85 per cento e 15 per cento). A me pare che, in modo surrettizio e silenzioso, si voglia cancellare d'emblée, tutto insieme, questo criterio, che non era un criterio tanto per risollevare la famosa questione del Mezzogiorno, ma era un criterio intelligente perché il sistema economico e produttivo del Paese tutto insieme potesse prendere quota. Questo come punto di riferimento della nostra mozione.
Il Fondo per le aree sottoutilizzate, infatti, rispondeva all'esigenza di sostenere le politiche attive delle aree appunto sottoutilizzate che, in larghissima parte, purtroppo, ieri come oggi, ricadono ancora nel Mezzogiorno d'Italia. Non voglio essere querulo nella mia rivendicazione sull'argomento, ma voglio puntualizzarlo e porlo all'attenzione del Governo. Insomma, non ci può essere questa deriva a tutto piede su un argomento così delicato. Purtroppo, ancora oggi ricadono tante colpe sulle regioni meridionali del Paese e su questo sono d'accordo. Ecco perché mi fa piacere la presenza del Ministro, signor Presidente. Sono d'accordo sulle tante responsabilità delle regioni meridionali. Nella stessa definizione del fondo FAS si coglie il senso autentico, il senso politico di aree in difficoltà strutturali che, come repubblicano, non ho reticenza ad affermare male governate. Male governate quando c'è stato un Governo del centrodestra, male governate quando c'è stato un Governo del centrosinistra perché non hanno saputo guardare al di là. Si sono soltanto attenuti ai fatti contingenti e immediati, pure importanti.
Quando dico male governate queste regioni ovviamente so di essere tranchant, ma allora diciamo non governate in maniera adeguata, non governate, insomma, in modo da permettere lo sviluppo pieno delle potenzialità effettive di queste aree. Non pongo solo il problema dell'entità dell'intervento finanziario, ma dell'espressione di una classe dirigente a tutto tondo a cui affidare il Governo di questo vasto territorio.
Noi non sappiamo quanto volontario sia stato il perpetrarsi dell'ormai annosa questione del sud. Sappiamo che molte di queste colpe ricadono sulla classe dirigente del meridione. Eppure sappiamo che la ricchezza maggiore esiste proprio in quelle aree: migliaia di giovani altamente qualificati (ingegneri, matematici, fisici) ormai prendono la strada dell'espatrio forse definitivo, vanno ad irrobustire l'economia della Germania, l'economia dei Paesi anglosassoni e forse non ritorneranno più in Italia. Le regioni più giovani d'Italia, quelle del Mezzogiorno, hanno formato sì una classe dirigente di quadri di alta qualità che ormai non ritorneranno forse più in queste regioni e forse in Italia. I fondi FAS dovrebbero rappresentare lo strumento principale di Governo della politica regionale e nazionale, per permettere la realizzazione degli investimenti necessari. Ricordo qui un libro molto bello del professor Francesco Compagna di qualche anno fa: egli ricordava la politica della città come punto essenziale ed importante Pag. 9dell'intervento del Mezzogiorno, perché qui bisogna parlare di intervento del Mezzogiorno. Se non si parla dell'irrobustimento e della riqualificazione delle aree metropolitane, noi non facciamo un passo in avanti e i FAS continueranno a non servire per lo sviluppo di queste regioni.
Vogliamo ricordare che la legge n. 296 ha destinato ai FAS 64 miliardi, specificando che l'85 per cento di quelle risorse fosse destinata a favore del Mezzogiorno e su questa posizione noi repubblicani non ci muoviamo e non ci muoveremo. Infatti i FAS sono stati usati come bancomat (è stato detto in modo anche un po' greve, ma lo vogliamo dire: così è stato) e spingono oggi il presidente Caldoro, in un'intervista rilasciata a La Repubblica nella cronaca di Napoli, a dire: «Ho appena scritto al ministro Grilli e al Premier Monti a proposito del piano di stabilizzazione finanziaria». Concludo, signor Presidente. «Ebbene, mi devono inviare tre commissari: dobbiamo avere accesso a 200 milioni di fondi FAS che sono nostri (...)» e via seguitando. So bene la querelle che esiste tra il Ministero e la regione Campania a proposito della scelta dei progetti, ma non me ne faccio carico. Dico soltanto che è importante l'intesa. Ecco perché ribadiamo qui in questa sede, signor Presidente, tutti gli impegni che chiediamo al Governo con la nostra mozione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, intervengo semplicemente per preannunziare la presentazione della mozione del Partito Democratico, che francamente avremmo evitato volentieri. Non per - come è noto - scarsa attenzione del Partito Democratico sul tema, ma perché l'abbiamo trovato sgradevole, signor Ministro, e fuori luogo, anche rispetto al dibattito che già in aula c'è stato sui temi e sul tema, dibattito che ha visto lei come protagonista negli ultimi mesi, ma anche il precedente Governo, per molte delle questioni sollevate dalla mozione Dozzo, spesso in difesa di alcuni temi che vorrei brevemente richiamare. La nostra sorpresa è aumentata ascoltando il collega Fava oggi qui in aula, che ha raccontato la storia di un'Italia a metà, o meglio la storia di un Paese visto solo dal nord e per il nord, un Paese che non tiene conto dell'esistenza del Mezzogiorno e di quanto le economie siano non solo interconnesse, ma dipendenti le une dalle altre e che facciano del nostro Paese, anche per i punti di forza che persistono e permangono, punti di forza particolarmente legati all'esistenza stessa del Mezzogiorno, che Dozzo, il collega Fava e gli altri deputati della Lega Nord che hanno firmato questa mozione probabilmente non conoscono.
Infatti, se li conoscessero, probabilmente, essi si sarebbero già resi conto che il Ministro dell'economia e delle finanze del Governo Berlusconi, che è stato sostenuto dalla Lega Nord per oltre tre anni, aveva caratterizzato la sua azione di politica territoriale, utilizzando il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) in funzione delle emergenze che, via via, il Governo stesso si trovava ad affrontare.
Quindi, il presidente del gruppo della Lega Nord avrebbe dovuto sapere, prima di scrivere la mozione, che la delibera del 21 dicembre 2007, n. 166, che evidenziava un ammontare pari a 64 miliardi di euro, passerà alla storia per le risorse stanziate e mai utilizzate per il Mezzogiorno. Infatti, quella delibera è stata, via via, prosciugata proprio dal Governo precedente, protagonista assoluto il Ministro Tremonti. Vorrei ricordare solo alcuni dei prelievi fatti. Collega Fava, quei prelievi non sono stati fatti rispettando il criterio del rapporto 85/15 per cento, purtroppo; anzi, in alcuni casi, quel criterio è stato utilizzato al contrario, nel senso che i prelievi venivano fatti dal Fondo per le aree sottoutilizzate, e quelle risorse venivano utilizzate per le emergenze; e guarda caso, tali emergenze hanno riguardato sempre, o in alcuni casi, spese di parte corrente: penso al disavanzo del Servizio sanitario nazionale, che ha visto prelievi per un miliardo e 300 milioni di euro, 708 milioni nel 2008 e 528 nel 2009; per non parlare, poi, delle emergenze che lo hanno caratterizzato: dalle Pag. 10coperture delle assunzioni dei ricercatori universitari, passando per la rottamazione dei frigoriferi.
È successo di tutto con il Fondo per le aree sottoutilizzate. Se facessi la lista, lunghissima, qui in Aula - che, ovviamente, è agli atti parlamentari, ma non la faccio semplicemente per evitare l'ennesima agonia del nostro dibattito sul Mezzogiorno -, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Eppure, la Lega ha trovato il modo di costruire un dibattito parlamentare ed una mozione sul tema del Fondo per le aree sottoutilizzate. Per questa ragione, abbiamo assunto decisioni per l'ennesima volta, sono state approvate più mozioni.
Quindi, io non ho dubbi che il Governo, alla fine di questo dibattito, del quale avremmo tutti quanti fatto volentieri a meno, confermerà per le risorse che siamo riusciti a difendere dopo il «saccheggio» di Tremonti - lo ripeto: per le risorse che siamo riusciti a difendere - di cui sono convinto che il Governo garantirà la ripartizione fatta sin dal 1999, che il Ministro Barca conosce molto bene, che fa riferimento ad un'idea di sviluppo territoriale che consentiva, e consente, alle risorse nazionali di sommarsi alle risorse comunitarie. Per quali obiettivi? Per consentire alle aree meno sviluppate, alle aree rimaste indietro, di avere strumenti ulteriori per far sì che la convergenza economica, la coesione sociale e l'integrazione territoriale, avvenissero alle stesse condizioni, con gli stessi ritmi, agli stessi standard.
Per questa ragione, la nostra critica molto forte, il nostro voto contrario, ovviamente, alla mozione della Lega Nord, non poteva essere sufficiente, e ci ha spinto a presentare un nostro documento che, di fatto, richiama alcuni dei passaggi oggetto del dibattito parlamentare di questi mesi. Un dibattito svolto con lo stesso Ministro Barca, nelle Commissioni competenti, che, probabilmente, vista l'iniziativa della Lega Nord, è necessario ribadire anche in queste ore, nei prossimi giorni, qui in Aula.
In particolar modo sottolineiamo che il Mezzogiorno ha subito le conseguenze della crisi economica quanto il centro-nord e più del centro-nord, con una caduta maggiore del prodotto e una riduzione ancora più pesante dell'occupazione nel biennio di recessione 2008-2009, mentre la ripresa debole del biennio 2010-2011 è stata incerta e insufficiente. Tra il 2007 e il 2011 il PIL del Mezzogiorno ha subito una riduzione in termini reali del 6,1 per cento a fronte di una riduzione del 4,1 per cento del centro-nord. Da quattro anni i consumi nel Mezzogiorno non crescono; cumulativamente la caduta, dal 2007, ha superato i tre punti percentuali, e i consumi delle famiglie hanno registrato un calo significativo, anche per quelli alimentari, riducendosi complessivamente del 4,5 per cento. Infine, le stime per il 2012 effettuate recentemente con il modello previsionale regionale Svimez-Irpet, evidenziano un forte peggioramento del quadro economico, un aggravamento della recessione, una contrazione del PIL superiore a quella dei partner europei e un peggiore andamento di tutte le regioni meridionali, e in particolare modo la tendenza ad un ampliamento del divario tra nord e sud: il PIL del centro-nord dovrebbe flettere del 2,2 per cento, mentre quello del sud fa segnare una riduzione del 3,5 per cento. Le manovre restrittive comportano, secondo queste stime, un effetto depressivo sul PIL dell'1,1 per cento nel 2012, ma è assai differente a livello territoriale: siamo allo 0,8 per cento nelle regioni centro-settentrionali e al 2,1 per cento in quelle meridionali.
Dentro questa logica non si può non parlare di lavoro; i tassi di occupazione giovanile, se si considerano le classi da 25 a 34 anni, fascia di età molto significativa perché depurata dall'effetto di partecipazione al mondo dell'istruzione, nel Mezzogiorno sono pari al 47,6 per cento, a fronte del 75,7 per cento delle regioni del centro-nord. Infine, quello che emerge dai dati è soprattutto il fatto che la spesa ordinaria al sud, diminuita dagli 11,3 miliardi di euro del 2010 ai 7 miliardi di Pag. 11euro del 2011, è l'elemento peculiare di debolezza dell'attività complessiva di investimento; la sua incidenza sulla spesa ordinaria complessiva è scesa dal 25,5 per cento del 2010 al 18,2 per cento del 2011.
Ricorderà, Ministro Barca, che i dibattiti fatti alla fine degli anni Novanta ci facevano sperare, e puntare, ad un livello di spesa per il Mezzogiorno che doveva almeno toccare il 40 per cento; siamo scesi al 18,8 per cento nel 2011 e questo la dice lunga sulla condizione generale degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno. Che cosa chiederà il Partito Democratico al Governo? Certamente chiederà di ribadire che quella ripartizione per le risorse residue, o meglio, per le risorse salvate dalle grinfie di Tremonti, venga ovviamente confermata fino al completamento del processo di investimento già programmato, mi riferisco al periodo 2007-2013 e chiediamo che, per dare sostanza a tutto questo, in sede di DEF, signor Ministro, il Governo porti avanti la proposta che anche Svimez ha rilanciato, e che prevede per il Fondo per lo sviluppo e la coesione una dotazione di risorse iscritte in bilancio non inferiore allo 0,6 per cento del PIL e che, per quanto flessibile nella ripartizione annuale, non possa risultare inferiore allo 0,4 per cento a fine anno. Stiamo parlando evidentemente delle risorse per il Fondo per lo sviluppo e la coesione, perché questo darebbe un segnale molto chiaro rispetto alla priorità del Mezzogiorno recentemente richiamata dallo stesso Presidente del consiglio, Monti.
Lo ripeto e mi avvio a concludere signor Presidente, noi avremmo voluto evitare questa discussione francamente superflua rispetto ai problemi che abbiamo di fronte e rispetto al dibattito che si aprirà a partire dalle prossime ore sulla legge di stabilità ma, tant'è, evidentemente era necessario per i gruppi di opposizione, per la Lega Nord, coprire questo spazio di dibattito parlamentare con un'operazione che ci sembra di pura e semplice propaganda (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca.
FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. Signor Presidente, il Parlamento solleva, pur con diverse richieste di impegno, un tema rilevante: i criteri di riparto territoriale del Fondo per lo sviluppo e la coesione, io intendo in tutti i testi, per il periodo 2014-2020, oggi identificato nel riparto 85-15% dal decreto legislativo n. 88 del 2011, articolo 2, che attua il nuovo testo costituzionale. Il tema è rilevante perché l'attuazione dell'equilibrio economico e sociale, che il dettato costituzionale ci affida, deve avere due caratteristiche sia nel riparto delle risorse tra Mezzogiorno e centro-nord, sia nel riparto tra le singole regioni, sia nel riparto per livello di Governo responsabile, toccato da una delle mozioni, sia per scelta delle priorità.
Esso deve essere stabile per dare certezza ai soggetti, il che esclude ogni possibile ritocco in corsa del 2007-2013, dove il mandato, ribadito da alcune mozioni, è peraltro quello di attuare ciò che si doveva fare e non modificarlo, ma anche obbliga quel dettato a tenere conto delle condizioni economiche e sociali che possono modificarsi. È dunque corretto che questo Governo, nell'istruire la programmazione 2014-2020 tanto del Fondo per lo sviluppo e la coesione che dei fondi comunitari, si ponga le questioni che voi sollevate, sulle quali darò solo uno spunto brevissimo, Presidente, di orientamento.
Nell'introdurlo, nell'accennarlo, sono poche parole, tenete conto che ogni sette anni, come sapete bene, a livello europeo avviene la stessa cosa - ed è in corso in questo momento - nel negoziato con Bruxelles, e cioè una revisione dei criteri di riparto territoriale del fondo comunitario. Si tratta di una revisione che, lo ricordo a Pag. 12tutto il Parlamento, vede due modifiche in corso, una che l'Italia ritiene positiva e una negativa. Vede - e ci tengo a sottolinearlo, visto che la prima delle mozioni presentate è della Lega Nord - l'aumento del pro capite delle regioni del centro-nord Italia, aumento su cui l'Italia ha dato un giudizio positivo, vede però una riduzione del pro capite del sud, sul quale il Governo ha dato un giudizio severamente negativo, e contro il quale si sta battendo, com'è evidente da quanto dichiarato dal Ministro per le politiche comunitarie.
Detto ciò e chiarito questo, l'orientamento del Governo è il seguente. Per quanto riguarda il riparto, è corretto - e quindi il Governo è orientato a esprimere un impegno a valutare tanto le une che le altre posizioni - che ogni sette anni (ed è questo il momento), quella chiave di riparto venga riesaminata. Nel farlo il Governo dovrà però anche tenere conto evidentemente del fatto che il divario interno al Paese, com'è stato ricordato, si è in realtà mantenuto e in alcuni casi si è addirittura aggravato. Penso all'occupazione, dato che la caduta occupazionale si è verificata soprattutto nel sud. Dovrà tener conto della capacità di assorbimento e del buon uso delle risorse, su cui abbiamo un record, e dovrà e non potrà non tenere conto delle perturbazioni o distorsioni dell'allocazione territoriale delle risorse ordinarie che qui è stata richiamata.
Nel concludere, Presidente, vorrei anche sottolineare che nell'assumere - nell'orientarsi ad assumere - questo impegno, il Governo ritiene anche suo dovere fare altre due cose. È dovere del Governo anche immaginare un'ipotesi per il 2014-2020 di programmazione comune, interconnessa, che rompa il diaframma tra le due aree del Paese, con particolare riferimento alle aree interne che sono spesso fuori dalla nostra attenzione. E ancora, il Governo ritiene di dover istituire un presidio a tutela di alterazioni del riparto che sono avvenute, tanto che - do al Parlamento questa informazione - è calcolabile che, per quanto riguarda i fondi nazionali, il riparto effettivo che registreremo alla fine del periodo non sarà 85-15, ma 70-30. In secondo luogo, il Governo ritiene di mettere dei presidi ai tagli e agli usi impropri di questo Fondo che, non solo nell'anno scorso ma anche in quest'anno, magari in queste ore, possono derivare da atti del Parlamento.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Damiano ed altri; Dozzo ed altri; Paladini ed altri: Modifiche alla vigente normativa in materia di requisiti per la fruizione delle deroghe in materia di accesso al trattamento pensionistico (A.C. 5103-5236-5247-A) (ore 16,35).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge: Damiano ed altri; Dozzo ed altri; Paladini ed altri: Modifiche alla vigente normativa in materia di requisiti per la fruizione delle deroghe in materia di accesso al trattamento pensionistico.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 4 ottobre 2012.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 5103-5236-5247-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Lega Nord Padania ne hanno chiesto l'ampliamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Muro, ha facoltà di svolgere la relazione.
LUIGI MURO, Relatore. Signor Presidente, prima di illustrare la relazione ritengo opportuno e doveroso fare un'osservazione preliminare. Innanzitutto, ringrazio il presidente Moffa e la Commissione Pag. 13per avermi dato il mandato a riferire all'Assemblea e per avermi affiancato, con serietà e con grande attenzione, nell'elaborazione di questa proposta che, non sfuggirà, è irta di insidie politiche ma anche umane, giuridiche e anche di rapporti sulla credibilità delle istituzioni.
Qui si confrontano due grandi temi, due grandi principi: il principio secondo il quale i patti vanno rispettati non solo tra le persone ma, soprattutto, tra lo Stato e i cittadini. I patti sono fatti dall'insieme delle norme che regolano la vita delle persone e che, quindi, fanno insorgere, in capo ai cittadini, quello che viene definito il legittimo affidamento rispetto alle aspettative dell'organizzazione della propria vita. Poi, vi è un altro principio, che è un principio che oggi è assorbente, ossia quello della stabilità dello Stato.
Quindi, non si tratta di una lotta tra quale dei due principi debba sopprimere l'altro. Si tratta, piuttosto, della capacità, da parte delle istituzioni, di contemperare queste due imprescindibili esigenze, dando esempio, appunto, che è ancora possibile che la buona politica alberghi nella Aule del Parlamento. È evidente anche che davanti a problematiche così complesse, altre cose devono informare il nostro comportamento (almeno il mio e nel mio piccolo, per quello che potrò fare, sarà sempre così), come la serietà dei messaggi che anche le forze politiche devono dare all'esterno.
Credo che proprio il fatto che la proposta sia stata firmata da tutte le forze politiche potrebbe anche sterilizzare, tra virgolette, la polemica politica. Sterilizzare, perché non vi è nessuno che deve mettere la bandierina della primogenitura. Siamo tutti interessati a recepire un problema che esiste, che è concreto e che va risolto. Quindi, no allo scontro tra i partiti e no, aggiungo, a uno scontro demagogico e pretestuoso con il Governo e con il Ministro Fornero, perché questi scontri non pagano. In un momento di difficoltà, nella famiglia come nelle istituzioni, quando vi sono dei problemi non si litiga ma si lavora di più, si lavora con forza, senza che nessuno, però, rinunci alle proprie idee. Quindi, sono necessarie proposte serie e credibili, soprattutto nell'interesse dei cittadini e dello Stato.
Non dobbiamo sottovalutare il fatto che in questo momento migliaia e migliaia di persone aspettano dei segnali da quest'Aula. Noi dobbiamo fare in modo che le vite di queste persone abbiano delle certezze, assumendoci la responsabilità di dire loro quello che si può fare e quello che, in questa fase almeno, non è possibile fare.
Chi dice: «tutti dentro» è uguale chi dice: «tutti fuori», perché non è possibile pensare che non si abbia il coraggio di capire che in questo momento bisogna lavorare con serietà. È anche vero che al Governo chiediamo uno sforzo notevole affinché, nell'ambito della ristrettezza che sicuramente esiste, sappia avere la capacità di comprendere che l'azione del Parlamento è un'azione che rispecchia in maniera seria e serena una realtà oggettivamente venutasi a creare con l'entrata in vigore del cosiddetto decreto «salva Italia». È ovvio che questa mia precisazione non è personale, credo che sarà largamente condivisa e credo che ha un riverbero, essenzialmente, in quello che accadrà nei prossimi giorni, nelle prossime ore: noi siamo in attesa di un ulteriore parere - lo dirò meglio dopo - per poter poi instradare. A me piace pensare che questo provvedimento, da un lato e dall'altro sia un cantiere aperto, con dei paletti e un perimetro ben delineato, che adesso illustrerò.
Detto questo, passo a dire che questo provvedimento è un provvedimento certamente complesso, che è frutto - come ho detto - di un lungo e articolato lavoro, svolto con serietà, sentendo tutte le persone, i gruppi i sindacati, tutti coloro che potevano aiutarci a comprendere meglio una legislazione complessa e difficile, che spesso va al di là di quello che la norma dice e colpisce delle persone, che è difficile vedere, immaginare se poi non le tocchi con mano e non le ascolti con le tue orecchie.
Il provvedimento che portiamo oggi all'attenzione dell'Assemblea è il testo unificato Pag. 14delle proposte di legge sottoscritte un po' da tutti: l'Atto Camera n. 5103, a prima firma dell'onorevole Damiano, l'Atto Camera n. 5236, a prima firma dell'onorevole Dozzo, l'Atto Camera n. 5247, a prima firma dell'onorevole Paladini; è stato elaborato in sede di comitato ristretto e, successivamente, sottoposto a modifiche nel corso della fase di esame degli emendamenti.
L'articolato che si propone in Aula, dunque, interviene su diversi aspetti della recente riforma del sistema previdenziale, con l'obiettivo di ampliare la platea dei lavoratori nei confronti dei quali possono ancora applicarsi le previgenti disposizioni in maniera di accesso e maturazione dei trattamenti pensionistici. Peraltro, prima - come detto - di addentrarci, dobbiamo ricordare che la Commissione lavoro arriva qui in Assemblea con il parere favorevole della I Commissione (Affari costituzionali), con il parere favorevole con osservazione della VI Commissione (Finanze) e con il parere che, a ore, dovrebbe pervenire dalla V Commissione (Bilancio), la quale ha chiesto - e qui ci appelliamo al Governo - una relazione tecnica per appunto quantificare gli oneri che sono assolutamente l'elemento essenziale, uno dei pilastri affinché si possa tornare al concetto di serietà rispetto ai messaggi che lanciamo anche all'esterno.
Dico questo ovviamente non per un problema procedurale, ma per un problema sostanziale: una legge così complessa, con un impatto così importante non può essere una legge seria appunto se non ha una giusta copertura finanziaria, ma anche di questo parlerò brevemente.
Per essere sintetico su questo provvedimento e per non aggravare il dibattito di un intervento burocratico, illustrerò brevemente quali sono i capisaldi di questa normativa. Sappiamo che il cosiddetto decreto «salva Italia» ha previsto delle deroghe; con il nostro provvedimento si stabiliscono due principi: il primo è il principio secondo il quale l'entrata in vigore dei diritti, scaturenti dalle deroghe, viene posticipata al 31 dicembre, e non al 4 dicembre, e l'altro che il concetto di maturazione sostituisce quello di decorrenza del diritto.
Sembrano due concetti semplici, ma dietro questa esposizione nascono e si nascondono poi tutte quelle situazioni che hanno carne, ossa e cuore, e tante famiglie che aspettano il nostro intervento.
Dobbiamo dire che poi il Governo è intervenuto due volte sul problema, prima nell'ambito del cosiddetto milleproroghe e poi nell'ambito della cosiddetta spending review, è intervenuto con il contributo della Commissione, con gli interventi che in questi mesi abbiamo fatto tutti insieme si è ulteriormente ampliata la platea. È evidente che se il provvedimento oggi arriva qui vuol dire che le forze politiche, soprattutto la Conferenza dei presidenti di gruppo, che ha stabilito di calendarizzare il provvedimento, ha ritenuto che quei passi avanti - che indubbiamente sono stati dei passi avanti - non sono stati sufficienti, quindi oggi siamo ancora qui in questo cantiere - che io mi auguro sia aperto, ma non sia aperto a tempo indeterminato e possa trovare una soluzione.
Quindi, questo testo parte - come dicevo - dalla consapevolezza che le misure di salvaguardia non siano ancora sufficienti a coprire il numero di lavoratori che è rimasto escluso, quindi credo che sia necessario un ulteriore sforzo. Gli esempi sono tantissimi, le persone che abbiamo incontrato, direttamente o attraverso le organizzazioni, sono tantissime, ma ci sono dei casi che sono effettivamente da segnalare, ovviamente non di natura personale, ma di categorie. A me piace ricordare come secondo me un errore materiale che può tranquillamente correggersi è quello per esempio dove si è previsto che la decorrenza dell'anno scolastico sia il 1o gennaio, quando tutti sanno che per legge e per uso la decorrenza dell'anno scolastico è il 1o settembre, quindi c'è lì un'esclusione che facilmente potrebbe essere sanata. Io faccio degli esempi che non sono ovviamente esaustivi, le dinamiche sono tantissime, sono enormi.
C'è un caso nel quale bisognerebbe riportare un'equità e che a me piace Pag. 15sottolineare: una categoria troppo poco ascoltata nel corso di questi anni dal Parlamento, quella dei marittimi, dove abbiamo, nella stessa nave, due soggetti diversi, il capitano e il macchinista; il macchinista può andare in pensione prima, perché si ritiene usurato, e il capitano no - intendo non il grande comandante Schettino, ma il mozzo di coperta e il mozzo di macchina. Così potrei continuare per tante, tante altre categorie.
Quindi, come vedete, dietro la norma, dietro un'Aula di Parlamento, dietro un'Aula di Commissione ci sono delle persone, noi dobbiamo stare attenti a che il nostro articolato ne ricomprenda il più possibile, stando attenti anche ad evitare che in questo ampio articolato poi si inseriscano anche delle categorie che invece hanno avuto la capacità di stare un po' a galla nelle diverse prospettive che la legge consente loro.
Credo che questo provvedimento, che modifica ulteriormente l'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, possa essere approvato, sarebbe un guaio per la credibilità del Parlamento se questo provvedimento, così tanto reclamizzato, così tanto posto dalle forze politiche come momento di grande contributo del Parlamento al Governo tecnico, poi venisse affossato. Noi dobbiamo fare in modo di aiutare il Governo, di aiutare la Commissione, che deve dare il parere, a trovare le risorse.
Noi avevamo pensato che per un intervento importante, la copertura finanziaria potesse essere reperita dalle maggiori entrate determinate intervenendo sui giochi pubblici online, sulle lotterie istantanee o apparecchi, perché pensiamo che sia una categoria di intervento che possa essere più di altre sottoposta all'attenzione del Parlamento. La Commissione finanze ci pone altri problemi che noi rispettiamo, ma noi non è che, per usare un termine, «ci impicchiamo» su una copertura di spesa. Noi riteniamo che quella copertura di spesa sia in questo momento storico quella che più poteva aiutare il Governo a risolvere il problema, ma se ci sono altre poste ben vengano, noi siamo disponibili a ragionare.
Quindi, credo che questa mia breve relazione, che non a caso non scende su tutti i punti, perché sono talmente tanti che sarebbe facile dimenticarne qualcuno, ha voluto mettere tre capisaldi nel suo agire, innanzitutto la serietà della Commissione. Non abbiamo intenzione di strumentalizzare persone, ma non abbiamo intenzione però di fare passi indietro rispetto ad un principio che più volte abbiamo ribadito al Governo nei ripetuti incontri. Quando un Governo si mette in navigazione con un mare così agitato, con un mare in burrasca, è molto semplice che possa accadere che, in una difficile navigazione, ci sia qualche momento in cui c'è la necessità di correggere la rotta. Noi vogliamo stare a fianco, il Governo non deve vedere il Parlamento o la Commissione - almeno nel nostro caso non è così - come coloro che vogliono fare l'assalto alla diligenza per fare chissà cosa. Noi siamo solo portavoce di legittime aspettative e siamo certi che il Governo saprà raccoglierle.
Ovviamente sappiamo che per essere seri - e questo è il secondo punto - bisogna portare avanti proposte credibili, perciò ho parlato di un cantiere aperto, a tempo però determinato e certo.
In terzo luogo, dobbiamo darci tutti insieme un metodo di lavoro, che è quello di incontrarci, sederci, stabilire un tempo entro il quale le nostre posizioni possono trovare una mediazione, ma mai fare il muro contro muro. In questo momento non servirebbe a nessuno, non servirebbe alla politica, non servirebbe alle istituzioni, non servirebbe ai cittadini, che magari potrebbero tributare qualche applauso in più o in meno a qualche tribuno che direbbe loro che hanno sempre e solo ragione, che poi si ritroverebbero però nella solita saga dello scaricabarile, dove alla fine quello che rimane senza nessun risultato è proprio il diritto che i cittadini reclamano (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per il Terzo Polo, Popolo della Libertà, Popolo e Territorio e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Saluto gli alunni e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo Giannone di Pulsano, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
MICHEL MARTONE, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.
CESARE DAMIANO. Signor Presidente, condivido le osservazioni che ha fatto or ora l'onorevole Muro. Vorrei sottolineare alcuni punti.
Il provvedimento è unitario, coinvolge tutti i partiti, quelli che sostengono il Governo e i partiti di opposizione, è il frutto di un grande lavoro durato mesi, non è propagandistico e non è improvvisato.
Il nostro obiettivo - lo voglio dire con chiarezza al rappresentante del Governo - non è quello di smontare una riforma; il nostro obiettivo è quello di correggere laddove esistono degli errori che richiamano il tema della giustizia sociale. Noi non pensiamo che con l'azione, proficua, del Parlamento si tratti di dire che abbiamo risolto, con i 120 mila salvaguardati, il problema. Il problema non è ancora risolto, ma - lo ripeto - noi vogliamo correggere. Abbiamo anche udito in qualche occasione lo stesso Ministro del lavoro affermare che una riforma varata in ventuno giorni in un momento di straordinaria emergenza può avere anch'essa qualche difetto.
La nostra impostazione si divide in due parti. Non voglio fare un esame di dettaglio, perché c'è davvero il rischio di saltare qualcosa, ma richiamare alcuni punti.
C'è una prima parte che riguarda l'opzione contributiva, vale a dire l'estensione agli uomini di ciò che è già previsto per le donne dalle attuali leggi, la legge Maroni del 2004, n. 243, che consente di andare in pensione adottando il sistema contributivo per tutto il periodo con trentacinque anni di contribuzione e cinquantasette anni di età. C'è una proposta di estensione agli uomini. Devo dire che il 20 giugno scorso, alla Camera, in una replica le parole del Ministro sono state da ultimo: «Sempre nella valutazione del costo collettivo dell'impatto sul trattamento previdenziale si potrebbe considerare di ricorrere ad una norma per estendere il contributivo retroattivo anche per gli uomini - ricordo che tale norma è già in vigore per le donne - come opzione di scelta da demandare al lavoratore e all'azienda».
Come si vede, anche in questo caso non c'è l'idea di una controriforma: abbiamo raccolto un suggerimento esistente. Ma quello che a noi preme in particolare, più che questo punto, è il punto della correzione, il punto che consente di andare in pensione con le vecchie regole, perché noi siamo convinti di una questione: a differenza di quello che sostiene il Governo, e naturalmente se abbiamo torto siamo pronti a ricrederci, non è vero che con le attuali normative possiamo dire che nel 2012, nel 2013 e nel 2014 - mi fermo agli anni immediatamente più vicini a noi - non vi sarà alcuno che possa essere messo nella condizione di non avere reddito. Un lavoratore licenziato entro il 31 dicembre 2011, che deve aspettare anni per la pensione, non ha alcun ammortizzatore sociale. Vogliamo dirlo, anche in questo caso, con chiarezza, con nettezza: abbiamo portato degli esempi, abbiamo persone in carne ed ossa che, purtroppo, si trovano quest'anno e si troveranno nei prossimi due anni in queste circostanze. Non ce lo possiamo permettere. È di questo che noi parliamo: non possiamo lasciare una situazione così indeterminata, che crea disperazione sociale. Con vecchie regole, noi diciamo: la questione della mobilità e degli accordi. C'è un intervento sulla data (pensiamo che gli accordi siano quelli fino al 31 dicembre 2011), non pensiamo che Pag. 17possiamo accettare l'idea che gli accordi siano soltanto quelli stipulati in sede ministeriale.
Ci sono aziende, in cui nella stessa azienda ci sono due lavoratori: uno che avrà la possibilità di andare in pensione perché ha sottoscritto l'accordo in sede ministeriale, l'altro che, nelle stesse condizioni, non potrà farlo, perché ha sottoscritto, pur essendo nella stessa azienda, nella stessa qualifica e nella stessa condizione del primo, l'accordo in una sede non ministeriale, vale a dire all'ufficio provinciale del lavoro. Anche questa è un'incongruenza, così come il tema dell'aspettativa di vita, che non andrebbe contabilizzata, perché crea una circostanza in base alla quale, per questo legame, basta un giorno di data di scarto per non poter più andare in pensione.
C'è il tema dei prosecutori volontari, l'eliminazione delle clausole che derivano dal decreto del 1o giugno 2011, ad esempio non aver lavorato neanche un giorno dopo l'autorizzazione alla prosecuzione, ma c'è chi davvero ha lavorato per un solo giorno, per due giorni, per tre giorni, e si vede inibita questa possibilità.
Ci sono i licenziati individuali, finora non compresi nella normativa. Sono la parte più debole. Ricordo che abbiamo approvato l'ordine del giorno n. 9/4829-A/163, accettato anche dal Governo, che ha dato il via libera il 16 dicembre 2011. Come si vede, già all'epoca noi avevamo percepito quali erano i problemi che derivano da questa riforma e, quando parliamo di licenziati individuali, non parliamo di persone che, naturalmente, fanno delle dichiarazioni, per così dire, a voce. Stiamo parlando di persone che si sono licenziate e il cui licenziamento è certificato con una comunicazione obbligatoria agli uffici del lavoro. Parliamo di esodati: valga la data dell'accordo. Vi sono lavoratori che hanno l'accordo entro il 2011, ma sono per alcuni mesi in aspettativa, che non ricadono nell'attuale normativa.
Così come abbiamo introdotto, in questa proposta di modifica, un criterio, quello della maturazione dei requisiti al diritto alla pensione, non quello della decorrenza del trattamento pensionistico, perché sappiamo perfettamente che in quel caso avremmo, come si dice, anche la contabilizzazione della finestra mobile e dell'aspettativa di vita, quindi una restrizione del numero di persone che possono utilizzare questa normativa.
L'onorevole Muro ha ricordato anche alcuni casi che la legge non contempla, che sono questioni di buonsenso che noi sottoponiamo al Governo. Il caso della scuola: è evidente che la decorrenza di un ciclo scolastico non è uguale alla contabilizzazione del ciclo industriale della FIAT. Un operaio segue la cadenza 1o gennaio-31 dicembre e un professore segue la cadenza 1o settembre-31 agosto. Perché non considerare queste diverse cadenze?
È una questione di buonsenso che deve trovare un riparo.
Come non considerare poi altre determinate categorie di lavoratori? Penso al macchinista ferroviere, per esempio, che, considerata l'attuale situazione, dovrebbe andare in pensione a 67 anni. Il ferroviere è solo alla guida e abbiamo i treni ad alta velocità, quindi vi è anche un problema di sicurezza. Bisogna considerare la particolare situazione di queste categorie.
Per concludere, vorrei dire che intorno al problema sollevato dalla nostra proposta si sono svolte molte discussioni. Credo che tutti sgombreranno il campo da un primo argomento di carattere politico: qui non vi è una contrapposizione, non abbiamo il problema di affermare una petizione di principio; noi vogliamo risolvere un problema concreto, che riguarda le persone, perché, come tutti sanno, siamo di fronte a dei drammi sociali ai quali dobbiamo prestare ascolto. Noi chiediamo questo al Governo e lo facciamo con grande determinazione.
È stato sollevato un secondo problema relativo alla copertura. Noi abbiamo indicato come copertura per un'entità complessiva, fino al 2018, di circa 5 miliardi di euro, una tassazione ulteriore dei giochi online. L'onorevole Muro, giustamente, ha ribadito come questa tassazione vada anche nella direzione di colpire questo tipo di gioco d'azzardo e, quindi, è un intervento Pag. 18che ha una doppia caratteristica sociale ed è un'indicazione emersa dalla Commissione. Naturalmente stiamo aspettando il parere relativamente ai costi, che sarà espresso domani, chiesto dalla Commissione bilancio. Viceministro, questa volta vorremmo avere un parere suddiviso per anno e per tipologia di intervento, non un parere cumulativo. Vogliamo sapere, anno per anno, il costo per ogni tipologia o famiglia di lavoratori - esodati, in mobilità, contributori volontari - che verrebbero coinvolti in un'azione di tutela. Lo diciamo perché sulla contabilizzazione dei costi abbiamo una serie di problemi, che cito brevemente.
Con la conversione del decreto-legge «salva Italia» abbiamo istituito la contabilizzazione e la scomposizione degli effetti per macrovoce e, quando si parla del pensionamento anticipato con requisito anagrafico di 35 o 36 anni di contributi - vale a dire l'eliminazione delle quote -, da qui al 2018 la contabilizzazione è di 13 miliardi e 765 milioni di euro di risparmio. La domanda che mi assilla è questa: come è possibile che l'eliminazione di tutte le quote comporti un risparmio di circa 14 miliardi di euro e riparare all'errore dell'assenza di gradualità, che riguarda appena 120 mila lavoratori, sia stato contabilizzato in 9 miliardi e 100 milioni di euro? Non vorrei che finisse come con la legge sui lavori usuranti, promossa quando ero Ministro del lavoro. Abbiamo stanziato risorse per 5 mila persone all'anno, perché quello sembrava il limite assolutamente invalicabile, da non superare, poiché avevamo a disposizione 252 milioni di euro l'anno. Poi, signor Viceministro, ho presentato un'interrogazione, lei mi ha risposto e qual è il consuntivo? In quindici mesi avremmo dovuto aspettarci - rispetto a quella straordinaria limitazione che, se non vi fosse stata, sembrava che crollasse l'intero impianto della riforma - 6.200 lavoratori in pensione, attraverso la clausola dei lavori usuranti, mentre in realtà sono stati 930. Anziché spendere 300 milioni di euro, ne abbiamo spesi 50. Credo allora che abbiamo il dovere di fare delle valutazioni che siano realistiche per quanto riguarda i costi.
Detto questo, la nostra copertura può avere un difetto. Vedremo quali saranno i giudizi del Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Ragioneria generale dello Stato. Ricordo sempre al Governo che c'è una legge di stabilità di prossima approvazione, c'è la spending review numero 2 e credo che, da un punto di vista politico, non possiamo accettare che tutti i risparmi e le risorse che si raccolgono vadano esclusivamente a diminuzione del debito.
È sacrosanto, ma facciamo una tripartizione: metà a debito e l'altra metà un po' a sviluppo ed un po' ad intervento sociale, come in questo caso sul tema delle pensioni.
Per questo noi crediamo che sia possibile, che sia necessario, che sia socialmente indispensabile e che vi sia un problema di giustizia sociale. E soprattutto noi siamo anche preoccupati quando attraverso i decreti attuativi abbiamo delle regole che sono più restrittive delle leggi. Vedremo il decreto sui nuovi 55 mila salvaguardati: non vorremmo che in questo decreto vi fossero delle interpretazioni che, anziché consolidare quella platea, riducessero il numero e l'impatto dell'efficacia di quello che abbiamo insieme costruito.
Quindi, io credo che - e concludo - non abbiamo assolutamente bisogno di tornare di nuovo sulla questione dei numeri e di inseguire dei numeri fantomatici. Abbiamo visto come, nel corso di questi mesi, l'inseguimento dei numeri abbia portato anche ad una serie di valutazioni discordanti tra il Ministero, l'INPS e quant'altro. Quindi, non crediamo che quella sia la strada giusta: è una strada che porta poi ad una difficile quantificazione delle risorse. Pensiamo che dobbiamo partire, ancora una volta, dal diritto di vedere riconosciuta una possibilità di ricorrere alle vecchie regole, nella misura in cui si sia senza lavoro e senza retribuzione.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Damiano.
CESARE DAMIANO. In conclusione, noi parliamo - lo ripeto - di correzioni e pensiamo che siano correzioni necessarie. Ci auguriamo che il Governo si apra al confronto, a partire da questa proposta di legge. Non è una battaglia di principio. La nostra è una battaglia indispensabile di giustizia sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Munerato. Ne ha facoltà.
EMANUELA MUNERATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, esprimo, a nome del mio gruppo, la Lega Nord, soddisfazione e al contempo rammarico per trovarci oggi in quest'Aula a discutere del provvedimento sui cosiddetti lavoratori esodati.
Vi è soddisfazione perché la Lega Nord è stata tra i primi a sollevare il problema e ad attirare l'attenzione del Governo con atti di sindacato ispettivo sulla nuova emergenza sociale che si stava delineando a seguito delle modifiche alla normativa in materia di accesso al pensionamento, introdotte con l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, il cosiddetto decreto salva-Italia.
Con quegli atti denunciavamo l'esistenza dei tanti lavoratori rimasti all'improvviso senza reddito da lavoro e senza ammortizzatore, perché avevano concluso accordi privati per andare in pensione secondo le regole previgenti o perché licenziati senza concertazione preventiva o, ancora, perché in contribuzione volontaria a seguito di perdita del posto di lavoro oppure in mobilità.
Con più ordini del giorno e vari provvedimenti susseguiti al citato decreto-legge n. 201 del 2011 avevamo tentato di impegnare il Governo a trovare una rapida soluzione alla problematica e le necessarie risorse economiche affinché tutti i lavoratori interessati, nessuno escluso, fossero salvaguardati.
A ricordare adesso lo stop and go del Governo, le affermazioni e le smentite del Ministro Fornero e il balletto di cifre sulla platea dei lavoratori esodati, il percorso a tappe che si è scelto di seguire è stato come sparare sulla Croce rossa. Ma, per dovere di chiarezza, voglio ricordare cosa questo Governo ha fatto e quanto ancora avrebbe potuto fare, ma non ha fatto.
Il Ministro Fornero ha insistito per molti mesi che il contingente di lavoratori interessati alla salvaguardia fosse di 65 mila, salvo poi essere smentita dalla relazione INPS che li quantificava in 390 mila e 200. Il Governo, con nota della Presidenza del Consiglio del 20 giugno scorso, chiedeva al Parlamento di non apportare modifiche al testo d'Aula della riforma del mercato del lavoro, al fine di accelerarne l'approvazione, impegnandosi, quale contropartita, a risolvere tempestivamente alcune questioni aperte, tra le quali, appunto, quella dei cosiddetti esodati: promessa non mantenuta. Non solo: ha anche tentato di sbarrare la strada all'iniziativa parlamentare per risolvere la questione.
A tal proposito il Ministro Fornero lo scorso 7 agosto ha inviato al presidente della Commissione lavoro una lettera in cui gli si chiedeva di intervenire nei nostri confronti affinché l'esame del provvedimento fosse rinviato.
Lo ribadisco: non solo questo Governo ha promesso e non ha mantenuto, ma ha anche chiesto a noi, sovrani nel legiferare, quindi secondo modalità improprie, di bloccare i lavori parlamentari. Ringrazio il presidente, l'onorevole Moffa, e tutti i colleghi della Commissione lavoro per il loro senso di responsabilità, convenendo sulla necessità di procedere nel lungo iter di esame.
Ecco perché il nostro sentimento oggi è un misto di soddisfazione e di rammarico: soddisfazione perché il testo unificato che ci auguriamo questa maggioranza approvi è frutto dell'unificazione di tre proposte - tra cui una è a prima firma del nostro capogruppo, l'onorevole Dozzo, condivisa in maniera bipartisan - ed è il risultato di un proficuo e accurato lavoro di tutte le forze politiche, membri della Commissione Pag. 20lavoro, a prescindere dalle posizioni di sostegno o di opposizione alla maggioranza governativa; rammarico perché è comunque dovuto trascorrere quasi un anno prima che si comprendesse «l'occulta» volontà del Governo di non affrontare la questione. Entrando nel merito del provvedimento, pur condividendolo, riteniamo che esso non sia esaustivo rispetto a tutti i risvolti della problematica. Per questo, pur contenti dell'approvazione della nostra proposta emendativa in Commissione lavoro, volta a tutelare anche i lavoratori che si trovano in prosecuzione volontaria della contribuzione, purché perfezionino i requisiti necessari entro il 2018, ne abbiamo riproposte alcune anche in Assemblea, come, ad esempio, quella volta alla salvaguardia dei lavoratori che, a dicembre scorso, si trovavano in mobilità o in cassa integrazione guadagni e che, entro 48 mesi dalla fine dell'ammortizzatore sociale, avrebbero potuto accedere alla pensione secondo il sistema vigente.
La Lega Nord auspica che anche l'Assemblea proceda speditamente all'esame e all'approvazione del provvedimento, perché da troppo tempo centinaia tra lavoratori ed ex lavoratori attendono una risposta (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.
GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, la riforma delle pensioni del Governo Monti ha sicuramente due aspetti di rilievo storico: il primo è l'estensione del calcolo contributivo pro rata, una misura purtroppo tardiva, perché era attesa fino dal 1995, ma ugualmente carica di significato non solo emblematico, perché afferisce alla questione, senza dubbio di grande rilievo, dell'equità intergenerazionale.
Il secondo aspetto di rilievo storico è quello del superamento, a mio avviso, delle pensioni di anzianità, un'anomalia del sistema figlia di tempi e di condizioni scomparsi per sempre, ma che ha consentito a milioni di lavoratori di andare in quiescenza ad un'età compresa tra i cinquanta e i sessant'anni, anzi molto spesso prima dei sessant'anni, e di restarci così per almeno un quarto di secolo, intasando il sistema pensionistico per decenni, a danno e a spese delle future generazioni, perché, in un sistema equilibrato e sostenibile, non è sufficiente tenere conto dell'anzianità contributiva e, quindi, degli anni di lavoro, ma anche e soprattutto del periodo durante il quale si percepisce il trattamento a fronte dei contributi versati.
La riforma Fornero, però, ha anche un grave limite, quello di non avere tenuto adeguatamente conto della fase di transizione, creando così l'esigenza di come salvaguardare, applicando loro le norme previgenti, una vasta platea di lavoratori usciti o in procinto di uscire dal mercato del lavoro nei prossimi anni, i quali rischiano - lo hanno ricordato il relatore, l'onorevole Damiano e la collega della Lega Nord - di rimanere privi di reddito e di tutele, senza poter accedere alla pensione, se non dopo un'attesa di anni.
Poiché quello dei cosiddetti esodati è un problema vero ed ormai è assurto a rango di emergenza nazionale e credo anche ad argomento della prossima campagna elettorale, io non mi sottrarrò all'atto di fede che viene richiesto a chi fa politica dall'attivismo delle organizzazioni sindacali e di questi comitati di esodati, che rivendicano giustamente i loro diritti e reclamano le loro rivendicazioni, e al dovere di riconoscere che vanno trovate delle soluzioni, come ha più volte promesso il Governo, per tutti i casi meritevoli di tutela, anche andando oltre i 120 mila già coperti, con un costo a regime - non dimentichiamolo mai - di 9 miliardi di euro.
Risolvere la questione degli esodati credo sia anche la chiave per difendere la riforma e per evitare che faccia la fine di quella del Ministro Maroni del 2003, quando la questione dello scalone, in buona sostanza, diventò argomento di campagna elettorale e costrinse l'amico allora Ministro del lavoro Cesare Damiano ad investire 7 miliardi e mezzo di euro in Pag. 21un decennio per risolvere un problema che riguardava qualche decina di migliaia di casi.
Ma, se vogliamo essere onesti tra di noi in quest'Aula e con le persone che ci chiedono di risolvere i loro problemi e che probabilmente ci stanno anche ascoltando, dobbiamo anche ammettere che, dietro la guerra dei numeri (cioè quanti sono i cosiddetti esodati), ci sono dei chiarimenti da dare e da fare. In primo luogo, se diciamo tutti, almeno nell'ambito della maggioranza, che non intendiamo buttare all'aria la riforma (ne prendo atto, lo ha detto molto chiaramente il relatore e lo ha detto l'onorevole Damiano), vanno trovati dei criteri, equi e corretti, per delimitare i casi degli aventi diritto, altrimenti non si tratterebbe più di tutelare quanti corrono il rischio di rimanere senza reddito e senza pensione, ma finiremmo per vanificare gli incrementi dell'età pensionabile e per riaprire di fatto la piaga - io la chiamo così - dei trattamenti di anzianità.
Ma come si può affrontare e risolvere la questione degli esodati, signora Presidente, onorevoli colleghi? Credo che in queste condizioni di finanza pubblica sia indispensabile assumere un percorso di gradualità, destinando le risorse disponibili alla soluzione dei casi critici man mano che si presentano e che vengono a scadenza. Secondo me, il testo unificato n. 5103-5236-5237-A non è conforme a questa logica e propone un impianto che va oltre il problema degli esodati. Lo sforamento, onorevole Damiano, creato dalle norme che sono state costruite è dimostrato dall'articolo 1, commi 10-bis e 10-ter: costa a regime 17 miliardi, perché quella soluzione (che è cambiata rispetto alla proposta di lasciare quell'opportunità solo a chi perdeva il posto di lavoro, ma è diventata una regola di carattere generale) è rivolta anche a chi non ha perso il lavoro, ma a chi lavorando ritiene di poter andare in pensione prima. Questo vuol dire ripristinare la pensione di anzianità, seppure sottoponendola al calcolo contributivo anche per il periodo antecedente al 1996.
Noi avremmo, quindi, pensioni di anzianità rivolte a tutti gli aventi diritto, non solo quelli che hanno perso il lavoro, con una penalizzazione economica. È un impianto, quindi, che determina un onere insostenibile e, a mio avviso, anche un impianto di carattere controriformatore.
Come crediamo di uscire da questa discussione? Bene che vada, con un importante ridimensionamento della platea prefigurata nel progetto di legge n. 5103, se troveremo le risorse per risolvere solo qualcuno dei casi indicati e, ovviamente, negoziando con il Governo, perché le coperture finanziarie non si inventano. Le coperture non si trovano alla stregua di un bancomat e quella sui giochi on line non è una copertura adeguata. Ce lo ha detto gentilmente, con un fair play di cui la ringraziamo, la Commissione finanze. ovviamente, le coperture si trovano attraverso una mediazione con il Governo, come è sempre avvenuto e come ha fatto il Senato prima di noi in sede di spending review.
Non a caso, il presidente Moffa, che è persona saggia e che guida con mano ferma la Commissione lavoro, in una intervista al giornale on line di oggi, Il Sussidiario, sostiene di procedere da ora, allargando di anno in anno la platea dei salvaguardati, con riferimento per ora al 2014 e al 2015: una soluzione, quindi, ispirata a criteri di gradualità.
Mi domando allora, cari colleghi, e vi domando perché si è voluto forzare nell'approvare in Commissione e nel portare in Aula un provvedimento carico come un TIR, ma destinato ad uscire da quest'Aula, se andrà bene, come una motoretta. Tali scelte sono compiute senza tenere conto di una lettera che il Ministro Fornero inviò il 7 agosto scorso al presidente Moffa, con la richiesta di differimento dell'esame del progetto di legge atto Camera n. 5103 all'inizio del mese di settembre, allo scopo di trovare utili soluzioni condivise.
Oggi, a mesi di distanza - diciamoci la verità - siamo tornati al punto del 7 agosto, se vogliamo guardare alla sostanza delle cose. Pag. 22
Abbiamo un progetto di legge che non è coperto. Abbiamo un progetto di legge che costa un occhio della testa. I 5 miliardi di euro che noi abbiamo previsto sono assolutamente «inventati». Per di più, abbiamo sollevato un polverone che, quando si depositerà, lascerà delusi coloro che erano stati irresponsabilmente illusi e che, forse, oggi ci stanno ascoltando. Tutto ciò premesso, ho apprezzato la relazione equilibrata e priva di retorica del collega Muro, una relazione che il gruppo del PdL condivide. Già, onorevoli colleghi, signora Presidente, il gruppo del PdL: siamo stati accusati di non aver voluto calendarizzare in Aula questo provvedimento in settembre quando la nostra preoccupazione era solo quella di portarlo in Aula con le spalle coperte sul piano finanziario ed oggi è venuto in Aula senza avere le spalle coperte sul piano finanziario. Ecco, allora, in Aula ci siamo e noi del PdL siamo attenti al problema degli esodati, vogliamo risolvere il problema degli esodati. Vedremo domani, però, signora Presidente, quando si pronuncerà la Commissione bilancio se il progetto di legge A.C. 5103 resterà in Aula o tornerà in Commissione a sottoporsi ad una «cura dimagrante» (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche noi vogliamo risolvere il problema degli esodati e credo che gli interventi che mi hanno preceduto la dicano lunga su questo tema. L'esame in Commissione è cominciato il 17 maggio 2012. Il 6 giugno è stato costituito il Comitato ristretto e il testo unificato del Comitato è stato presentato nella seduta poi dell'11 luglio e adottato come testo base. Tutte le forze politiche hanno partecipato con grande senso di responsabilità. Per la prima volta in Commissione la differenza tra maggioranza ed opposizione è stata così lieve che non ce ne siamo neanche accorti. Infatti, tutte le forze politiche su questo tema si sono mosse in maniera unidirezionale, nella stessa maniera. Quindi, questo va detto, a discapito naturalmente di quelle che potrebbero essere le questioni politiche e di campagna elettorale.
Signor Presidente, però, come hanno detto anche i colleghi che mi hanno preceduto, si tratta di regolare la vita delle persone. Non è che possiamo poi dire che cosa dobbiamo fare o che cosa non dobbiamo fare. Vi è un concetto di base, l'affidabilità dello Stato e, soprattutto, la certezza nello Stato. Infatti, se dei cittadini che hanno firmato dei contratti si vedono negare anche quelle che sono le norme del diritto, è chiaro che il tema è serio, serissimo, nel nostro Paese. È un tema, quindi, che non può essere ambiguo. Ma, soprattutto, siamo nell'ambito della salvaguardia del diritto. Siamo nell'ambito dei diritti della giustizia sociale e, soprattutto, questo provvedimento non è equo - quello che ha messo in atto la Ministra Fornero - perché non esiste una fase di transizione e, non esistendo una fase di transizione, non ci sono stati quei criteri idonei che hanno trovato nella fase di transizione l'applicazione di una gradualità del provvedimento. In altre parole, o è zero o è cento. Con riferimento a qualsiasi norma che approva lo Stato non si può non avere la gradualità di un provvedimento. Anche nelle pene c'è una gradualità; se fai una cosa o commetti un fatto, comunque ci sono le attenuanti e le aggravanti, c'è un sistema, da quello giudiziario a quello dello Stato sociale, dove naturalmente c'è all'interno un criterio di idoneità. Invece, in questa riforma, non c'è nessun criterio, non c'è nessuna idoneità e non c'è la gradualità.
Credo che il tema sia chiaro. Questo la gente vuol sentirsi dire. E, soprattutto, mi vorrei riferire ai casi che si sono venuti a creare con questa riforma: riguardano la scuola, la cadenza, i cicli, come hanno detto prima i miei colleghi e non voglio ripeterlo. Ma il caso veramente emblematico è quello dei macchinisti: 67 anni di età. È un tema che abbiamo portato avanti come partito e come gruppo e abbiamo presentato delle mozioni. Ce lo vedete un Pag. 23macchinista a 67 anni da solo? Attenzione perché le Ferrovie dello Stato hanno tolto il secondo macchinista.
Quindi, oggi abbiamo persone che a 67 anni si potrebbero trovare ad essere macchinisti in un pendolino che trasporta 200 o 300 persone, con tutti quelli che possono essere i rischi del caso. Poi, quando succederà qualcosa, tutti si chiederanno: «Ma come è possibile una cosa del genere?». Purtroppo, questo avviene in Italia. In Italia prima facciamo scappare i buoi e poi diciamo: «Guardate che sono scappati». È questo il vero problema di questo Paese, il problema che non capisce il Ministro Fornero è proprio questo: non è la riformulazione del suo provvedimento, non è un problema di copertura, è un fatto politico, un fatto sociale. Infatti, al di là della copertura - si comprende che una legge debba avere una copertura - vi è un problema sociale chiaro ed evidente: la mancanza di gradualità nei provvedimenti. Non può essere varato un provvedimento tale per cui, dalla mattina alla sera, le persone che hanno firmato dei contratti (le aziende grandi sicuramente non hanno avuto questo problema, ma anche quelle; mi riferisco specialmente alle aziende al di sotto dei 15 dipendenti), si ritrovano senza stipendio, senza possibilità di avere una prosecuzione della propria vita. Infatti, indubbiamente questi sono i momenti più importanti di un essere umano e di un lavoratore: quando arriva alla fine della sua carriera. Credo che questi siano i temi veri del Paese: l'affidabilità dello Stato, la certezza nello Stato, la certezza di un diritto. Viene meno il principio e il fondamento della certezza di un diritto che lo Stato dovrebbe esercitare attraverso il suo comportamento. È questo il vero tema. Il tema di oggi non è, per le forze politiche che sono rappresentate in questo Parlamento, la campagna elettorale, ma è risolvere il problema dei cittadini, del sociale e credo che tutti stiamo cercando di farlo. Sicuramente però ci dividono alcune cose, specialmente la necessità di intervenire con urgenza per salvaguardare quanto meno il rispetto degli accordi sottoscritti tra le parti sociali - attenzione - in sede di contrattazione aziendale, giudicando grave e arbitraria una loro eventuale messa in discussione da parte del Governo con riferimento a questo tema. Infatti questo è il tema, se il Ministro non l'ha capito: è questo il vero tema di questo provvedimento. Forse non si è preoccupata, ma questo è il vero tema di 500.000 persone nel nostro Paese. A voi sembra un tema da poco, un tema che si può così chiudere con la campagna elettorale? No, questo è un tema importante. Qui l'atteggiamento del Governo rispetto alla proposta di legge - purtroppo devo dirlo: ha ragione il collega Cazzola - è ostruzionistico, perché fino ad oggi non c'è... L'ostruzione sta al contrario, è l'ostruzionismo che fa il Governo verso il Parlamento che cerca di dirgli: «Guarda che questa riforma va riveduta comunque». Capiamo tutti che c'è un problema economico, che c'è un problema finanziario, che c'è un problema, ma cerchiamo di risolverlo, perché tutte le forze politiche glielo stanno dicendo. C'è un problema, maggioranza o minoranza, chiunque qua dentro sente e sa che c'è un problema vero, reale, un'esigenza del nostro Paese. Sotto il profilo finanziario, ognuno naturalmente può dire la propria. Noi ad esempio abbiamo una copertura alternativa, che può essere quella di ritoccare le agevolazioni fiscali: sono 720, credo che andranno rivedute. Non sicuramente quelle della prima casa, non sicuramente quelle sui figli, quelle no, ma ce ne sono tantissime altre che possono naturalmente incidere all'interno del nostro Paese.
Come il tema naturalmente degli «scudati»: credo che sia un tema essenziale che vada rivisto nel nostro Paese. Non ci possiamo permettere, nel nostro Paese, di fare una manovra dove agli scudati facciamo pagare il 5 per cento, dopodiché non rispettiamo gli accordi che lo Stato dovrebbe rispettare attraverso un percorso di norma giuridico e legale. È questa la differenza che c'è fra chi crede nel proprio Stato e soprattutto in quelle che sono le norme del proprio Stato. È questo il vero tema. Anche se in Commissione i nostri emendamenti sono stati respinti, erano Pag. 24uguali nel contenuto: non ne voglio fare assolutamente una colpa, perché comunque i provvedimenti insieme sono stati fatti bene.
Quindi, è chiaro che comprendo quelle che sono determinate esigenze politiche: qui, però, c'è la diversità di rappresentanza dei gruppi che hanno segnalato anche l'esigenza di approfondire gli aspetti legati alla quantificazione degli oneri del provvedimento e alla relativa copertura finanziaria, nonché i profili di sovrapposizione con le disposizioni in materia inserite nel decreto-legge n. 95 del 2012 concernente la razionalizzazione della spesa pubblica.
Per tale ragione, prima ancora di fissare un termine per la presentazione delle proposte emendative al testo unificato, si è svolta un'apposita attività conoscitiva ed istruttoria; come si è svolta un'attività conoscitiva ed istruttoria, insieme a tutti i colleghi della Commissione, con tutte le forze sindacali, le persone, naturalmente, i comitati, su quelli che erano i temi essenziali, che anche il Governo avrebbe dovuto ascoltare e considerare nell'ambito del principio della gradualità, della transizione e dell'idoneità dei provvedimenti. Perché non si possono fare provvedimenti così: bisogna, comunque, capire quali sono gli esiti di quei provvedimenti e, soprattutto, delle riunioni che vengono svolte giornalmente dalle Commissioni, dal Parlamento, da tutte le persone che seguono le questioni, che ascoltano i cittadini, e non che sono lontani e distanti dai cittadini su temi così essenziali, di prima natura.
Bisogna giudicare necessario accelerare l'iter di questo provvedimento, perché è importante. Questo era già stato fatto durante l'esame del testo unificato: alcuni gruppi - tutti i gruppi, devo dire - hanno cercato di imprimere una velocità nell'iter, proprio per esprimere un parere, naturalmente, nell'ambito delle sospensioni per la pausa estiva. Poi, appena recuperata la pausa estiva, il 25 luglio, i commissari si sono dichiarati a favore della fissazione dei termini per la presentazione delle proposte emendative.
Successivamente, l'apertura delle deroghe per gli altri 55 mila esodati ha lasciato irrisolte, però, le numerose questioni, tra cui l'esigenza di garantire l'applicazione degli accordi sottoscritti anche al di fuori della sede ministeriale e di assicurare parità di trattamento tra lavoratori del settore pubblico e lavoratori del settore privato. Questo è un tema essenziale: nel 2012, 2013 e 2014 - l'ha detto il collega Damiano - siamo privi di ammortizzatori. Io credo che sia un tema che non possiamo non evidenziare, un tema assoluto; non parliamo, poi, della mobilità, delle regole. Noi vorremmo le regole rimaste, quelle regole del 2011: non si può parlare di mobilità altrimenti. Anche il tema della mobilità è un tema forte, che interessa un'altra fetta di persone che, oggi, mi auguro sentano e si rendano conto di ciò che avviene nel nostro Paese.
La Ministra non può dire che per gli esodati non vale la data dell'accordo, che gli accordi in questo Stato non hanno senso, non hanno valore. Immaginatevi all'estero cosa possono dire di uno Stato in cui non ha valore neanche l'accordo firmato in parti essenziali: ciò è incomprensibile. Poi, si dice che bisogna avere una buona immagine all'estero. Ma di quale immagine parliamo, se non riusciamo neanche a risolvere i nostri problemi? L'immagine che dobbiamo dare non è quella del loden. L'immagine che dobbiamo dare all'estero non è quella del loden! L'immagine che dobbiamo dare all'estero è quella di rispettare gli accordi che lo Stato fa con i propri lavoratori attraverso percorsi chiari. Questa è l'immagine. Perché non serve andare in giro con il loden, se, poi, le persone non riescono neanche a riscuotere la pensione. È questo: perché non la riscuoteranno mai, se vanno avanti così. È questo il vero problema.
Quindi, il problema della maturazione dei diritti acquisiti non può essere sottovalutato da questa Camera e, soprattutto, da un Governo che vuole crescere nella credibilità internazionale. Ma come può crescere, se i diritti acquisiti di un lavoratore non sono oggetto, anzi, sono oggetto Pag. 25al contrario, cioè ci sono, ma non esistono? Credo che destinare risorse disponibili sia un altro tema essenziale: non si può pensare di fare le riforme senza le risorse. E, soprattutto, non si può pensare di essere affidabili e di dare certezza e vigore all'interno di modelli costruiti dal nostro Governo per la credibilità e, poi, essere, all'interno del proprio Stato, assolutamente non credibili. Credo che sia un tema a cui dobbiamo guardare.
La riforma delle pensioni del Ministro Fornero che è stata realizzata alla fine del 2011 la chiamo radicale; scusatemi, il termine radicale magari non a tutti piace ma questa è una radicale riforma del sistema pensionistico che ha determinato, purtroppo, situazioni di ingiustizia palesi, evidenti, sostanziali! Ha determinato sostanziali situazioni di ingiustizia rinviando la data del pensionamento per 400, 500 mila lavoratori che sarebbero andati in pensione nel volgere di pochi mesi o addirittura di un giorno; c'è gente a cui hanno cambiato la vita per un giorno. Nel settore della scuola abbiamo visto il problema delle cadenze, dei cicli; che danni ha provocato in quel settore! Il settore della scuola ha cadenze e cicli, va immediatamente risolto! Così il problema dei macchinisti! Non possiamo pensare che uno vada a fare il macchinista e quindi l'operatore su un treno ad alta velocità a sessantasette anni; qui è stata stravolta completamente la norma: prima i macchinisti erano equiparati alle forze dell'ordine, con la stessa dinamica il giorno dopo si trovano ad andare in pensione a sessantasette anni. Come pensate che uno possa andare a sessantasette anni a guidare un treno ad alta velocità? Me lo spiegate? Guardate che siamo ridicoli! Collega Cazzola, so che sul tema delle anzianità naturalmente sei forte, ma ti vorrei dire che in tutta Europa, in tutto il mondo è così, non c'è solo l'Italia. Semmai l'Italia adesso ha un sistema pensionistico più avanzato degli altri! In tutta Europa, in tutto il mondo è così, l'anzianità è quella; so che voi vorreste mandarli in pensione a ottant'anni, a ottantacinque, quando tutti sono morti, o a novant'anni. Possiamo fare novanta, invece di trenta, sessanta, trenta e trenta, facciamo novanta, così almeno sono morti tutti e il problema delle pensioni lo abbiamo risolto.
Allo stesso modo potremmo risolvere il problema della sanità facendo la sanità come quella americana; non la diamo più a nessuno, poi dopo li andiamo a raccogliere, chi muore, muore, chi rimane vivo, sopravvive. Sono principi naturalmente che studiandoli a scuola avevano un significato chiaro ma non credo che vogliamo questo tipo di modello sociale nel nostro Paese. Il modello sociale del nostro Paese è completamente diverso; siamo in Italia, onorevole Cazzola! Purtroppo il tema è chiaro; non si può pensare che la riforma Fornero non abbia stravolto il sistema pensionistico, relativamente alle vecchie regole, nel volgere di pochi mesi o di alcuni anni. Nella platea di questi lavoratori vi sono inclusi anche quelli in cassa integrazione, senza la prospettiva di tornare a lavorare in azienda oppure quelli senza più un lavoro che sono stati autorizzati ai versamenti contributivi volontari per gli ultimi anni necessari a maturare la pensione; in conseguenza di questo sono 500 mila persone. Questa revisione complessiva, introdotta dalla riforma del sistema pensionistico, ha ridefinito dal primo gennaio 2012 i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia e per il pensionamento anticipato che ha sostituito, sostanzialmente, il pensionamento di anzianità creando appunto un dislivello fra quello che era la giustizia sociale, la transizione, i criteri e la gradualità; non c'è stato nulla di tutto ciò che esiste in qualsiasi Paese. Anche Dini quando fece la riforma del sistema pensionistico con la legge n. 335 del 1995, la fece attraverso un sistema di gradualità; dalla mattina alla sera qualcuno venne penalizzato, però comunque ci fu un sistema di gradualità. Qui vi è un unico sistema di gradualità - non vorrei usare un termine forte, non lo uso, signor Presidente, sono un moderato, ma mi sembra chiaro ed evidente - di questo Governo, in ordine a questo modello; non uso la parola Pag. 26ma sono stato abbastanza chiaro. Ecco qui la sostituzione della revisione complessiva del sistema: lavoratori collocati in mobilità, lavoratori titolari di prestazione straordinaria a carico di Fondi di solidarietà dei settori, lavoratori che antecedentemente alla data del 4 dicembre sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, lavoratori che, alla data del 31 ottobre, sono in congedo per assistere i figli con disabilità grave e avanti, avanti in base all'articolo 6, tutte le risorse stanziate con le procedure previste dal decreto-legge n. 201 del 2011 con riferimento ai lavoratori il cui rapporto si sia risolto in base ad accordi individuali, come diceva l'onorevole Damiano, ai rapporti individuali che sono tanti e in applicazione degli accordi collettivi, degli incentivi all'esodo stipulati in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto-legge e dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Quante cose abbiamo violato, ma quante, quante ne abbiamo violate?
Che cosa abbiamo combinato in questa riforma? Devo dire che io non sono un Ministro, ma non serviva un Ministro per fare questa riforma così. È come a scuola, tu vai e dici: bambino, quanto fa 10 meno 10? Zero. Bravo! E quindi funziona così, tu vai a scuola, prendi uno, oppure è molto facile radere al suolo tutte le cose. Credo che questa riforma abbia applicato questa regola, la regola della mancanza assoluta di gradualità.
Io credo che le proposte di legge, sia quella dell'onorevole Damiano, la n. 5103, sia le altre che poi sono state unificate, intervengano su delle criticità della riforma previdenziale, cosiddetta Fornero, che ho evidenziato prima. Le categorie di lavoratori devono trovare un termine, una condizione, dove i requisiti specifici che sono il caposaldo di quella che è una democrazia, ai quali non può essere applicata una disciplina in materia diversa in via naturalmente così transitoria, che poi è diventata effettiva attraverso la legge.
Queste norme, anche se sono prive di copertura finanziaria, affermano che le proposte servono a far assumere alla Commissione e alla Camera le opportune misure, a pungolare l'Esecutivo sulla necessaria salvaguardia dei lavoratori. Soprattutto mi auguro che qui, oggi, insieme, noi riusciamo ad intervenire anche attraverso le proposte sostanziali che affrontano i temi che sono oggetto di discussione oggi in Aula.
Vorrei ricordare che nella XI Commissione (Lavoro), durante l'esame della proposta di riforma del mercato del lavoro, il Governo ha accolto alcuni ordini del giorno e si è impegnato nella copertura per coloro che hanno sottoscritto gli accordi relativi all'esodo del 31 dicembre 2011. So che oggi gli ordini del giorno non servono, sono spazzatura, perché li presentiamo e poi nella realtà...
MARIO TASSONE. Ma sei un pessimista!
GIOVANNI PALADINI. Ma non sono un pessimista, sono un integralista e, siccome osservo molto, vedo che gli ordini del giorno, purtroppo, non hanno la valenza che dovrebbero avere. Tutto qui, mi sembra molto chiaro. Quindi, anche nell'ordine del giorno sulla spending review che avete firmato voi, PD, PdL, UdC, FLI e Popolo e Territorio, c'era il riferimento al disegno di legge di conversione e poi le modifiche del decreto-legge. Il Governo ha accolto l'ordine del giorno presentato dai rappresentanti dei vari gruppi.
Senza andare molto lontano, senza guardare il mio - magari io sono in minoranza, lo comprendo che ci possa essere un problema -, ma qui c'è anche l'ordine del giorno sulla spending review presentato da voi, PD, PdL, UdC, FLI e Popolo e Territorio. Anche questo è stato accolto.
MARIO TASSONE. Tu non l'hai firmato?
GIOVANNI PALADINI. No, noi non l'abbiamo firmato perché tanto i nostri ordini del giorno non vanno avanti e quindi, è chiaro, che cosa dovevo firmare? Però l'XI Commissione al voto vi ha dato Pag. 27in via definitiva e sistematica la soluzione di tante problematiche relative al cosiddetto tema degli esodati. Poi, nella realtà, l'impegno fatto, scritto e naturalmente voluto da tutti i gruppi per favorire l'iter del testo non ha avuto seguito perché, come vedete, ad oggi siamo ancora qua e siamo fermi alla lettera del Ministro Fornero.
Siamo fermi a quella lettera. In altre parole, nella lettera del 7 agosto, mandata al Presidente, il Ministro Fornero ha chiesto la riflessione dei commissari. La Fornero ci ha chiesto una riflessione. Poiché di guai - usiamo questo termine educato - ne ha combinati abbastanza, ha detto: ragazzi, siccome ne avete combinati pochi, facciamo una riflessione e differiamo ancora di un mese l'esame della proposta di legge e non procediamo alla valutazione degli emendamenti; facciamolo in differita. Invece noi volevamo farla in diretta, perché volevamo capire, su questi esodati, se c'era la volontà politica o no di risolvere questo problema. Altro che differita.
Nella Commissione, sempre il Ministro, dice che, data l'importanza sociale e sistemica delle questioni oggetto del disegno di legge, il Governo chiede che venga effettuato un grande sforzo per affrontare con misure concrete i problemi sul campo: parole, parole, parole, come diceva Mina. Poi, nella realtà, oggi ci troviamo qui. Tra l'altro, noi abbiamo anche giudicato un fatto innovativo e inusuale, che, diciamo, non si era mai verificato.
Almeno nella storia della Camera, mi dicono, è inusuale che un Ministro mandi una lettera alle Commissioni e dica questo, perché si tratta del potere legislativo. Ma, qui siamo arrivati ormai al massimo, nel senso che è inusuale che comunque si proceda mandando una lettera di questo tipo alle Commissioni quando vi è una votazione e, soprattutto, in occasione dell'impegno parlamentare. Però, se questo fosse servito a qualcosa, avrebbe praticamente risolto anche qualcosa!
Credo, comunque, di essere sorpreso dall'atteggiamento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ero sorpreso anche quel giorno in Commissione in occasione del confronto con il Parlamento, e giudico istituzionalmente scorretta la parte in cui il Ministro ha inviato la lettera. Però, naturalmente si tratta di un tema politico e credo che oggi sia importante risolvere il problema degli esodati.
Le modifiche apportate dal testo unificato sono già state spiegate. Mi auguro che vengano portate avanti e che vengano portati avanti soprattutto i temi essenziali, quelli che si riferiscono agli ammortizzatori sociali per gli anni 2012, 2013 e 2014, alla mobilità, su cui noi rivediamo le regole del 2011, ai licenziati individuali e agli esodati, che valga la data dell'accordo, alla maturazione dei diritti acquisiti, destinandovi le risorse disponibili. Condivido il concetto che, comunque, non si può varare un provvedimento senza le risorse. Quindi, anche su questo punto mi auguro che vi sia la copertura finanziaria del testo approvato che poi, nella realtà, è stata suddivisa dall'articolo 5 nel testo al nostro esame, e anche la VI Commissione (Finanze) ha espresso in termini generici la formulazione della copertura, non specificando le maggiori entrate o in che modo debbano essere reperite. Comprendo questo ma, come ho detto, abbiamo una copertura alternativa: toccare le agevolazioni fiscali e non quelle sulla prima casa, sui lavoratori, sui figli e sulle famiglie, ma le agevolazioni fiscali, che sono 720. Secondo me vanno riviste. Sono 720! Questo Governo non si preoccupa assolutamente delle persone che devono andare in pensione, ma si preoccupa, invece, di altri temi, come la rivisitazione di alcune aliquote.
Concludo. Credo che oggi sia una giornata importante. Si trattava della valutazione delle norme che regolano la vita delle persone. Quindi, su questo punto credo che tutti i gruppi abbiano fatto un buon lavoro e abbiano naturalmente cercato di dare una mano a quello che è il sistema Paese, soprattutto per cercare una soluzione nell'ambito dei diritti e della giustizia sociale, tentando di varare un provvedimento che sia il migliore possibile.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gnecchi. Ne ha facoltà.
MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, ovviamente l'onorevole Damiano ed io ci siamo messi d'accordo sugli argomenti da svolgere. Quindi, lui ha svolto un discorso generale mentre io farò un discorso che parte da quelle che sono le affermazioni della Ministra Fornero e del presidente Mastrapasqua, che garantiscono che tutti sono salvaguardati per gli anni 2012, 2013 e 2014.
Addirittura, la Ministra ha rilasciato un'intervista a un'agenzia, che è ovviamente arrivata a tutti, nella quale ci spiega che - come dice la Ministra - «noi siamo disponibili a soluzioni che siano ispirate all'equità e di buon senso. Le soluzioni che cercano di ottenere tutto non sono né di buon senso né eque, ma sono velleitarie ed elettoralistiche. Per queste 120 mila persone, le 65 mila del primo decreto, che sta adesso attuandosi, e le 55 mila del nuovo decreto, oggi licenziato dal Ministro dell'economia e delle finanze, la salvaguardia è chiara», ha spiegato Fornero intervenendo a Focus economia su Radio 24. «Noi abbiamo 120 mila persone che potranno andare in pensione secondo i requisiti precedenti alla nostra riforma, e per quello che verrà dopo, nel periodo dopo il 2014, bisogna distinguere, fare una selezione basata sui criteri di equità».
Noi, a questo punto, però, intanto ci chiediamo se si può parlare di equità e giustizia pensando che, fino al 31 dicembre 2011, le donne potevano andare in pensione a sessant'anni e, dal 1o gennaio 2012, vengono chiesti sessantadue anni. Ricordo anche riforme precedenti, e ovviamente la più grossa in termini di innalzamento dell'età è quella del 1992 di Giuliano Amato, che aveva previsto l'innalzamento di un anno ogni due anni solari e l'aveva previsto sia per il passaggio dai trentacinque ai quaranta anni, sia per il passaggio per le donne dai cinquantacinque ai sessanta e per gli uomini dai sessanta ai sessantacinque.
Quindi, abbiamo qualche problema, rispetto alle donne, a pensare che si sia agito in termini di equità e giustizia. Ricordo anche che la pensione di vecchiaia delle donne è una pensione media di 642 euro al mese e, quindi, se andiamo a vedere i risparmi che erano stati previsti rispetto all'innalzamento dell'età per la pensione di vecchiaia delle donne, questi sono ridicoli, perché si tratta di 157 milioni nel 2013, di 700 nel 2014, di praticamente neanche quattro miliardi in tutto fino al 2018. Tuttavia, per una donna di sessant'anni, avere 642 euro al mese o non averli, fa la differenza, e fa la differenza in una famiglia in cui magari lei sta per compiere sessant'anni, o li ha appena compiuti, e il partner ne ha sessantatré o sessantaquattro. Quindi, fa la differenza.
Poi pensiamo che ci sia equità e giustizia ad aver pensato alla salvaguardia di chi è in mobilità o di chi è stato esodato, ma non - per esempio - di chi è stato licenziato? Oppure pensiamo che ci sia equità e giustizia ad avere ristretto la platea degli aventi diritto con il decreto ministeriale del 1o giugno 2012, restringendo la platea rispetto a quello che era previsto nell'articolo 24 della legge n. 214 del 2011? Pensiamo che ci sia equità e giustizia ad escludere dalla salvaguardia un esodato, un mobilitato o un prosecutore volontario, solo perché ha ripreso l'attività lavorativa a qualunque titolo dopo l'autorizzazione alla volontaria, dopo l'esodo o dopo la mobilità? No, non si tratta di equità e giustizia, ma si tratta di aver creato una lotteria. C'è equità e giustizia a differenziare i lavoratori di grande o di piccola azienda che non hanno sicuramente firmato un accordo, ma si sono ritrovati licenziati? Quando uno viene licenziato, non firma un accordo di disponibilità al licenziamento: se l'azienda fallisce è solo un licenziato, è solo uno che ha perso il lavoro e, nel nostro ordine del giorno n. 9/4829-A/163 del 16 dicembre del 2011, noi chiedevamo che ci fosse equità e giustizia e che si pensasse a tutti i lavoratori e le lavoratrici che in questo periodo di grave crisi economica hanno perso il lavoro e che l'hanno perso a qualunque titolo: per licenziamento, per fallimento dell'azienda, per riduzione di Pag. 29personale di piccole o grandi aziende, con accordi o senza accordi, con ammortizzatori sociali o senza ammortizzatori sociali. Certo avevamo previsto anche noi la certezza della fine del rapporto di lavoro, e la certezza è data dalle comunicazioni obbligatorie agli uffici del lavoro.
Quindi, noi soffriamo a sentir parlare di equità e giustizia e a vedere, invece, che la gente ci scrive e che nelle assemblee troviamo gente che è senza lavoro, senza ammortizzatori sociali e senza pensione. Abbiamo sentito più volte, anche in quest'Aula, il Presidente Monti, all'inizio del suo mandato, dire che effettivamente bisognava prendere atto che le riforme delle pensioni di questi anni avevano portato alla solidità del sistema. Poi l'abbiamo sentito anche il 31 dicembre, quando garantiva, nel discorso di fine anno da Presidente del Consiglio, che nessuno sarebbe rimasto solo.
Così, via via, abbiamo continuato a sentire discorsi di questo tipo, ma se torniamo effettivamente ai numeri e alle situazioni, vediamo - sempre nel decreto-legge «salva Italia», Atto Camera 4829 - che all'inizio prevedeva 50 mila salvaguardati e diceva: la definizione di tale contingente è stata verificata anche sulla base dei dati amministrativi degli enti previdenziali interessati. Ovviamente invece non erano 50 mila; sono diventati poi già con il primo decreto-legge 65 mila, con il secondo decreto-legge saranno 55 mila, ma se poi andiamo a vedere le somme di denaro, quello stanziato con il decreto-legge «salva Italia», per i primi 65 mila si trattava di 5 miliardi e 80 milioni, nella tabella consegnata, per arrivare poi ai primi 65 mila, già vengono stanziati 4 miliardi 187 milioni, quindi già abbiamo un credito, sulla prima tabella, di almeno 900 milioni. Oltretutto, con tutti i paletti messi, vediamo al 21 novembre se si sarà arrivati ai 65 mila, perché forse non si arriva neanche a 65 mila perché, avendo continuato a restringere la platea, forse non arriviamo neanche a quelli.
Allora, quello che ci viene da dire è: non è vero che tutti sono salvaguardati per il 2011, 2012, 2013 e quindi fino al 2014, non è vero; ovviamente noi abbiamo i casi veri delle persone, ci hanno anche chiesto di dire i nomi e i cognomi; non vogliamo adesso dire nomi e cognomi, ma vogliamo citare dei casi. C'è il caso di un lavoratore esodato, che ha quarant'anni e 13 giorni di contributi al 31 marzo 2012, che però ha cessato di lavorare nel marzo 2012; nell'aprile 2013 avrebbe preso la pensione, avendo già quarant'anni di contributi; lui, entro il 30 settembre, avrebbe dovuto decidere se versare il primo bollettino di volontaria o meno, e lo sta versando. Pagherà praticamente, se non riusciamo a salvaguardarlo, e insieme a lui i famosi 200 di IBM e Poste Italiane che sono usciti nei primi mesi del 2012, pur con accordi firmati nel 2011, quindi non si tratta di cose studiate ad hoc per essere salvaguardati, ma accordi firmati nel 2011, con uscita già scritta nell'accordo, prevista nei primi mesi del 2012. Questi avevano e hanno tutti, avrebbero avuto, non so più che termine usare, se il condizionale, l'indicativo o cosa, tutti avrebbero preso la pensione nel 2013 e sono usciti contando sulla famosa finestra prevista dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Quindi questo esodato si ritroverebbe a dover pagare almeno 50 mila euro di volontaria per i due anni che gli mancherebbero rispetto alle nuove regole, e ovviamente si ritroverebbe per due anni e mezzo senza un euro, senza un ammortizzatore sociale, senza niente, solo in attesa della pensione. Di queste persone ovviamente abbiamo le 200 firme, ma non le leggo.
Dico appunto che ci sono casi e casi; una lettera di ieri, arrivata a tutti i deputati, e quindi ovviamente l'abbiamo tutti, racconta la storia di un'altra donna che dice che non sa più come fare a vivere, che non dorme la notte, che ovviamente sta usando psicofarmaci, e che mai avrebbe pensato di doversi trovare in questa situazione: lei compie 60 anni nel 2012 - anzi, a dire la verità, li ha già compiuti nel 2012 - e avrebbe preso la pensione nel marzo del 2013, mentre adesso la prenderà alla fine del 2016. Allora è evidente che noi non possiamo pensare a equità e giustizia in questi termini. Pag. 30
Vado avanti con questi casi proprio perché sia chiaro che noi abbiamo persone vere, in carne ed ossa, da presentare alla Ministra, a Mastrapasqua e a chiunque ci dica che sono tutti salvaguardati fino al 2014. Vorremmo altrettante certezze rispetto alle posizioni contributive che noi possiamo dimostrare, perché dietro ad ogni posizione c'è una persona viva, un po' in crisi ma viva, di cui noi possiamo dimostrare l'esistenza.
Voi purtroppo non potete dimostrare che sono tutti salvaguardati sino al 2014 e che bisognerà occuparsene dal 2015. Ma qui arriviamo alla platea e qui arrivo anche al discorso che ha fatto il mio collega Cazzola: noi non siamo disponibili al restringimento della platea, noi vogliamo che un diritto sia un diritto e non siamo neanche disponibili ai trucchi di restringimento delle platee, come è successo con il decreto ministeriale del 1o giugno 2012, che è stato legittimato solo ed esclusivamente con l'articolo 22 del provvedimento sulla spending review. Noi non siamo disponibili a restringimenti della platea, siamo disponibili - e lo diciamo chiaramente - ad individuare la gradualità di copertura necessaria, affinché a parità di diritti e di requisiti la gente possa andare in pensione.
Quindi, su questo siamo ovviamente disponibili a trattare, però anche sulla disponibilità a trattare vorrei dire che non siamo un Parlamento per corrispondenza. Prima abbiamo ricevuto la lettera della BCE e poi abbiamo ricevuto, come Commissione lavoro, due lettere della Ministra Fornero, che dava la sua disponibilità a discutere con noi sia sulla proposta Damiano Atto Camera n. 5103 e sulle altre, sia sulle ricongiunzioni onerose, ma ancora non abbiamo ottenuto delle risposte. Dunque, non vogliamo essere un Parlamento per corrispondenza, vogliamo essere un Parlamento che viene preso seriamente e che possa trattare. Ricordo che la Commissione lavoro è una delle quattordici Commissioni permanenti di questo Parlamento e che all'unanimità abbiamo dato il mandato al relatore, quindi all'unanimità e seriamente pretenderemmo un confronto che - ribadisco - siamo disponibili ad avere sulla gradualità degli interventi e anche delle coperture economiche. Non ridico tutto sulle coperture economiche, perché l'ha già detto il mio collega Damiano, e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento, che non intendo continuare per non portare via tempo ai colleghi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Onorevole Gnecchi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Sono lieta di salutare, a nome di tutta l'Assemblea, una delegazione di ex parlamentari irlandesi, che sono in visita al nostro Parlamento e che, guidati dall'onorevole Bianco, nostro ex collega, stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.
ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, illustre sottosegretario, in tempi di crisi e di cinghie da tenere strette si sa che quante meno deroghe si accettano, tanto meglio sarà per il progetto complessivo di rinascita. Nulla da eccepire in tutto questo, ma sappiamo altrettanto bene che le cinghie strette non possono e non devono essere sinonimo di svilimento dei diritti cogenti. Infatti, da un lato, le casse sono salve, dall'altro, è la struttura di uno Stato democratico ad essere in pericolo. La riscrittura della riforma pensionistica lo scorso dicembre, purtroppo, si è collocata in una prospettiva non facile e con tanti, troppi, nodi da sciogliere. Migliaia sono stati i lavoratori lasciati fuori dalla porta in una sorta di limbo socio-previdenziale - passatemi l'espressione - dove al mancato riconoscimento di un diritto - maturato, normativamente previsto e concordato con lo Stato - si associa una sorta di svilimento del proprio ruolo sociale, unita all'impossibilità per questi lavoratori di sopravvivere paradossalmente senza reddito e senza pensione. L'hanno chiamata svista, inciampo e talvolta superficialità da Pag. 31parte del Governo. Come la si chiami, ha messo in ginocchio un'intera generazione di lavoratori. E noi parlamentari - lasciatemelo dire - siamo stati messi spalle al muro.
Non abbiamo potuto fare molto, se non renderci disponibili ai comitati di lavoratori che invocavano giustizia e rispetto di un diritto semplice. Si sono avvicendate manifestazioni, proteste, tavoli tecnici e incontri istituzionali. Ogni volta tentennamenti, numeri poco chiari e un'unica certezza: non ci sono risorse.
Praticamente un calvario che si protrae da quasi un anno e, sullo sfondo, un diritto svilito. Certamente ci sono stati passi in avanti sul fronte normativo, che hanno consentito di ampliare le deroghe originarie della riforma prima a 65 mila lavoratori, poi ad altri 55 mila e, in ultimo, pochi giorni fa, il 5 ottobre, con il decreto attuativo del Ministero del lavoro ai sensi dell'articolo 22 del provvedimento sulla spending review, ad altri 55 mila lavoratori. E gli altri? Quale era l'elemento discriminante tra quelli dentro e quelli fuori? Purtroppo non lo abbiamo ancora compreso. Le proposte di legge affrontate lo scorso maggio in Commissione lavoro hanno rappresentato, a mio avviso, una boccata d'ossigeno, una volontà condivisa, corale e pragmatica da parte del Parlamento di riprendere in mano una situazione che era finita fuori controllo e le cui ripercussioni sociali ed economiche, come dicevo, rischiavano realmente di compromettere la tenuta democratica del Paese.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 18,05)
ALDO DI BIAGIO. Tutto questo si colloca anche in una cornice di sobrietà normativa e istituzionale, considerando che la revisione della normativa in materia previdenziale si muove con cautela, senza stravolgere l'impianto delle misure introdotte dal Governo.
Apprezzabile, e mi sembra giusto evidenziarlo in questa sede, è da considerare la condivisione trasversale del provvedimento. In questa occasione, oltre a ringraziare tutti i membri della Commissione lavoro, voglio personalmente ringraziare il mio capogruppo in Commissione lavoro, nonché relatore, Luigi Muro, per l'impegno e la sensibilità dimostrati su questo delicato provvedimento, che, come è stato ampiamente ripetuto dai colleghi di Commissione, non doveva intendersi e non si è inteso come strumento di propaganda politica né tantomeno di scontro tra gruppi parlamentari.
La priorità per tutti era ed è quella di dare soluzione ad un problema e di dare sollievo, meritato e legittimo, a migliaia di lavoratori che hanno pagato lo scotto più alto del «salva Italia», e la condivisione e la rapidità con le quali si è arrivati a un testo condiviso, secondo il mio punto di vista, possono intendersi come espressione di una maturità politica da parte di questa Camera.
Non possiamo non plaudere a questo passo in avanti, ma restano dei nodi, in primis la mancata chiarezza sui profili di natura finanziaria del provvedimento. Il problema resta ancora lo stesso: le risorse. La copertura da trovare ammonta a decine di miliardi di euro fino al 2019, che di questi tempi sono un patrimonio inarrivabile. Come far collimare le esigenze di tutela dei lavoratori con la disponibilità dello Stato? In questo momento, questo interrogativo non si limita ad essere una semplice riflessione, ma una condizione perché queste nuove disposizioni trovino un'effettiva esecuzione. Mi auguro che, sulla base proprio di questa condizione, non si arrivi a trasformare successivamente questa proposta di legge in una macchina con una bella carrozzeria, ma che non parte, perché manca il carburante. Realismo unito a lungimiranza devono essere le parole chiave.
Signor Ministro, credo che convenga con me che non è tempo di approcci visionari o di catastrofismi. Abbiamo l'urgenza di partire da un problema e risolverlo, senza dare spazio alla fantasia. Il mio gruppo, Futuro e Libertà, ha deciso di essere a fianco e accanto a ognuno dei lavoratori, senza alcuna demagogia, nell'auspicio che si trovi quel carburante, si Pag. 32superi quella svista e si rispetti, finalmente, un diritto sacrosanto di giustizia sociale (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.
DONATA LENZI. Signor Presidente, discutere oggi del tema dei cosiddetti esodati è difficile. È difficile perché la disinformazione ha fatto il suo lavoro, il modo con cui è stata affrontata questa questione è stato frammentario, ha previsto più interventi, tra loro non omogenei perché i numeri, quando si parla di pensioni, sono sempre alti e fanno, inevitabilmente, paura, come ricordava, peraltro, adesso l'onorevole Di Biagio.
Dovremmo ricordarci che in questo Paese si pagano 18 milioni di pensioni, ma che queste pensioni sono basse, mediamente intorno ai 1.000 euro e per questo lo Stato spende la cifra spaventosa di 195 miliardi di euro e, se stiamo solo al sistema previdenziale, 170 miliardi di euro. Dovremmo ricordarci che la manovra di dicembre, nel decreto «salva Italia», ha quantificato, come risultato nella relazione tecnica, previsioni di risparmi, da qui al 2018, pari a 50 miliardi di euro e tali che i 14 miliardi di euro risparmiati nel solo 2018 sono strutturali, si ripeteranno anche negli anni a venire. La platea coinvolta, solo in questi cinque anni, è di 2,5 milioni di lavoratori, ma in realtà la quasi totalità dei lavoratori italiani toccherà e subirà la manovra e la riforma.
Allora, cominciamo con i «non è vero». Non è vero che sia una controriforma. Il punto più controverso, quello che attiene alla possibilità di andare in pensione con il calcolo contributivo, sottolineo, non è stato voluto dal Partito Democratico, era una proposta che veniva - peraltro già anticipata in sedi pubbliche e convegnistiche - proprio dall'onorevole Cazzola. Non va bene l'età che lì è stata prevista? Si discute. Vogliamo fare 62 o 63 anni, come dice l'articolo 24 della riforma Fornero in altro comma, lasciando, ovviamente, le donne terminare la loro sperimentazione? Si entra nel merito, si discute e ci si confronta.
I salvaguardati, cioè tutti coloro che si trovano nell'area grigia di chi ha perso il lavoro e non ha ancora la pensione, in ogni riforma pensionistica sono stati salvaguardati. I contributori volontari erano stati sempre salvaguardati nelle riforme pensionistiche precedenti. Hanno in mano un contratto con lo Stato e con l'INPS che ne detta le condizioni. Allora, l'errore più grave, forse, non sta nel comma 14, nelle sei categorie elencate, pur essendo comprensibile la richiesta dei colleghi di ampliare almeno alla mobilità in deroga, ma nel comma 15, quando questa platea è stata sottostimata in modo tale che solo un quarto di quelli che rientravano in questa platea si trovano tutelati, 65 mila su una platea potenziale di 390 mila. Una sottostima così ha costretto, nei mesi successivi, ad una proliferazione di atti amministrativi, molto creativi, che ha inventato criteri non previsti dalla legge, li ha dovuti successivamente legittimare, che sono illogici e molto discrezionali - tali che, a mio giudizio, si potrebbe addirittura configurare l'eccesso di potere - dando vita ad un mostro burocratico al quale con questa legge si tenta di rimediare. Un mostro burocratico che, nella pratica quotidiana vissuta dalle sedi periferiche dell'INPS, si è rivelato inapplicabile. Sono migliaia le lettere e le proteste che sono arrivate e le segnalazioni che arrivano dalle stesse sedi dell'INPS sulla difficile applicazione e ancor più difficile spiegazione di una logica di una riforma.
Ma, soprattutto, come ha già ricordato la collega Gnecchi, non è vero che tutti sono stati salvaguardati, se si guarda al 2012 e al 2013. Noi li abbiamo incontrati, i colleghi tutti li hanno incontrati, abbiamo verificato le loro posizioni, sappiamo che non è vero. D'altronde, se fosse vero che non ce n'è, l'ipotetica stima della Ragioneria di cui si continua a parlare sarebbe più bassa su questi due anni. Se la stima è alta vuol dire che vi sono e vuol dire che l'errore sta all'inizio del percorso. Noi lo stiamo scaricando sulle spalle dei lavoratori che si trovano, in questo momento, senza alcun reddito. Pag. 33
Si è molto detto che anche un sessantenne può trovare lavoro. In altri momenti ed in altre fasi economiche forse. Dico forse, perché io non lo ho mai trovato facile: ho gestito per dieci anni servizi per il lavoro e le posso assicurare che non era facile neanche negli anni del boom. Ma adesso, in piena recessione, al sessantenne, bene che vada, viene offerto lo stesso contratto atipico non tutelato, mezzo in nero e mezzo in regola, che viene offerto al ragazzo giovane, con la conseguenza inevitabile che il peso degli eventuali contributi sta quasi totalmente sulle sue spalle.
Tornando al punto iniziale, riflettiamoci un attimo: anche se la proposta non era nostra, veramente pensate possibile che una riforma delle pensioni, così approfondita e così decisa, non tenga in alcun conto le necessità di chi, accettando una penalizzazione, ha però bisogno di uscire prima? Esiste in tutti i Paesi, Stati Uniti compresi, perché la vita è un'altra cosa: ti puoi ammalare; puoi avere i tuoi parenti ammalati, avere la necessità di accudirli e il tuo stipendio essere più basso di quello che passi alla badante; puoi avere necessità per condizioni lavorative che si fanno particolarmente dure e tendono a mobbizzarti, ad allontanarti dal posto di lavoro. Ci sono scelte di vita. In un sistema contributivo, che senso ha rifiutare che chi ha versato 35, 38, 40 anni di contributi non possa liberamente scegliere di pagare un prezzo, lo stesso prezzo che pagheranno obbligatoriamente i suoi figli per andare in pensione ad una età ragionevole, quale quella che potrebbe nascere in un libero confronto tra di noi?
Inevitabilmente - io ne sono certa - qualsiasi forza politica andrà al Governo su questo punto dovrà intervenire o la conseguenza sarà che è più conveniente andare nel privato: lavoro in nero, mi faccio dare qualcosa in più, lo verso ad un'assicurazione e almeno, raggiunte quelle condizioni corro il rischio delle condizioni dei mercati finanziari, ma posso avere la possibilità di scegliere cosa fare del mio destino e della vita. La «galera» fino ai 67 anni, il lavoro obbligato, non scelto, non tutti insegnano, non tutti fanno i professori: c'è chi fa lavori pesanti, faticosi e logoranti. Accettiamo che la complicazione della vita quotidiana di tutti necessita di norme più attente e più flessibili. Quindi, l'invito è a non allontanare questo tema, a non illudersi che si risolva rimandando tutto in Commissione, che un'altra tappa, un altro blocchetto, un'altra norma, con dei nuovi criteri inventati ancora senza nessun costrutto, possa affrontare la questione. È una questione di fondo ed attiene proprio al nucleo della riforma Fornero. Siamo andati verso il contributivo, abbiamo scelto il contributivo per tutti: tiriamone le conseguenze per tutte le generazioni (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, al di là delle aspettative da parte dei colleghi sarò molto breve, per raccogliere un qualche desiderio, ma anche per andare incontro a qualche delusione. Farò una valutazione di carattere generale rispetto ad un provvedimento che i miei colleghi, impegnati nella Commissione lavoro, hanno svolto con un grande impegno. Ne debbo dare atto al relatore Muro, al presidente della Commissione e a tutti i colleghi e lo faccio non in termini rituali. In fondo anche le discussioni sulle linee generali rischiano di scadere in una liturgia ripetitiva: c'è una sequela di interventi, un'analisi dei temi, dei problemi, un approfondimento, quando si può fare, dei testi all'esame dell'Aula. Ma più di questo certamente non si fa.
Questa volta io ritengo che il rispetto che nutro nei confronti dei colleghi è sincero, perché si sono addentrati in una materia molto difficile e articolata, per cui devo darne anche atto ai proponenti delle proposte di legge, che hanno consentito di predisporre un testo unificato che è stato oggetto di esame da parte della Commissione stessa e quindi trasmesso all'Assemblea. Ma perché questo rispetto? Perché sulle pensioni e in materia di lavoro non Pag. 34credo che ci siano delle certezze e delle verità.
Chi ha qualche mese in più di frequentazione delle aule parlamentari sa che nel tempo il tema delle pensioni è stato affrontato secondo le stagioni, il clima e le condizioni politiche, economiche e sociali. Siamo andati variamente a discutere sulle tipologie di pensioni: ricorderemo le pensioni di anzianità, le pensioni di annata e, poi, tanto per debordare, le «pensioni delle stagioni»; siamo stati testimoni e statori delle «baby-pensioni»; siamo andati verso soluzioni in cui le pensioni avevano il ruolo di smorzare la conflittualità sociale o di creare pacificazione e, per alcuni versi, anche di aggiustare situazioni di tensione e, a volte, anche di soddisfare delle clientele.
Non c'è dubbio che il problema, il tema delle pensioni, quello che stiamo esaminando, può essere importante e serio - come importante e serio è - se viene valutato e soprattutto inquadrato nel contesto sociale ed economico in cui vive il nostro Paese. Al di là di questo, possiamo fare anche i conteggi che alcuni colleghi molto più bravi di me hanno fatto. Essi hanno fatto riferimento con molta chiarezza agli anni (due o tre anni), al tetto e alla riforma, una riforma che certamente è stata definita fondamentale per tutto lo sviluppo politico ed economico e anche per tutta l'azione del Governo. Chi non ricorda che la riforma delle pensioni è stata assunta come una scelta di fondo da parte di questo Governo? Io certamente non la critico. Faccio parte di un gruppo parlamentare che sostiene il Governo, ma ho una libertà di giudizio e di valutazione. Forse gli anni molte volte danno questo passepartout e questa possibilità anche di interloquire, al di là degli schemi e anche dei limiti del confronto e del dibattito politico, ma dando forza certamente al dato parlamentare. Non c'è dubbio che le proposte di legge hanno senso nel momento in cui individuano un dato limite o una debolezza anche di quella riforma. Infatti, le riforme sono importanti e fondamentali se si ha una serie di valutazioni e di provvedimenti anche sul piano dell'intervento economico. Se, al di là di questo, una riforma è approvata semplicemente per raccogliere risorse - brutta situazione che molte volte ho maturato quando svolgevo alcuni ruoli all'interno del Governo, quando si prendevano le contravvenzioni - e per battere cassa, senza fare una valutazione complessiva di tutte le ricadute sul piano sociale, rischiamo di essere frammentari, ma soprattutto di vivere in un contesto certamente virtuale e non veritiero rispetto ai problemi e ai temi che riguardano la gente e i cittadini.
Io provengo da una formazione in cui i diritti e soprattutto la centralità della persona non sono un'evocazione semplicemente civettuola, ma un'evocazione vera sul piano culturale. Il problema, il tema del lavoro è stato sempre un fatto importante e fondamentale, come quelli delle relazioni sociali, delle relazioni sindacali, i grandi temi e le grandi conflittualità.
Se un Paese non crea, attraverso una metodologia e dei criteri certi, per quanto riguarda le pensioni e il lavoro, dei dati certi e dei dati veri, tutto diventa difficile e tutto diventa incolmabile, e anche rispetto alle ansie e agli obiettivi che si intendono raggiungere in termini di sviluppo economico, tutto questo diventa inane, diventa debole e, quindi, ovviamente rischia di non esaurire un percorso virtuoso, come quello che noi pensiamo e auspichiamo che faccia finalmente questo Governo.
La riforma delle pensioni ha lasciato - come si è detto più volte e come si è ripetuto anche in questa occasione - senza una tutela numerosi lavoratori e l'apertura delle finestre, che allora fu pensata, e una rivisitazione anche di questo hanno lasciato senza tutela una platea enorme di lavoratori.
Il problema qual è? È un tema che riguarda semplicemente questo Paese o questo tema riguarda l'Europa sul piano dei diritti, della serietà e della credibilità di un Paese? Avere lasciato sullo sfondo dei lavoratori che avevano ovviamente acconsentito e avevano partecipato ad un patto (allora si parlava di scivolo) che Pag. 35prevedeva di prendere la pensione dopo 36 mesi (e così via, dopo un periodo di mobilità), significa non un fatto tecnicistico sul piano del lavoro e sul piano pensionistico: questo è un problema di tutela del diritto del lavoratore, che programma e pianifica il lavoro rispetto alla propria famiglia, questa è la tutela della famiglia nella sua dignità. La famiglia non si tutela con i bonus. Quante volte l'ho detto, anche all'interno del mio gruppo: non è il bonus la soluzione dei problemi della famiglia! Il problema della famiglia è l'occupazione, le soluzioni sono le certezze e le prospettive del futuro. Come si tiene un Paese e come si regge se non rispetta i patti assunti e non garantisce i diritti, che in questo caso possiamo definire acquisiti?
Mi rendo conto delle grandi difficoltà delle coperture finanziarie (è una vecchia questione) ed ecco perché legavo la problematica delle pensioni all'intero contesto di carattere economico e sociale. I processi dello sviluppo, continuamente auspicati e inseguiti con grande forza e con grande ansia, non sono fine a se stessi, ma sono certamente la risposta di una gestione sul piano politico e di governo complessiva. Non è il Governo che si può settorializzare (c'è il problema del lavoro, c'è il problema dell'interno, c'è il problema degli esteri): è tutta la complessità di una macchina e di una credibilità - voglio aggiungere - di un Paese che deve assumersi le responsabilità e affrontare delle sfide che sono ovviamente sfide di civiltà.
Qui è certamente in discussione un problema di tutela di una categoria di lavoratori, e quanto male ha fatto al Paese (e a molti di noi) quella polemica, che non abbiamo compreso, tra il Ministro del lavoro e il presidente dell'INPS? Non sapevamo quale fosse il numero dei cosiddetti esodati (60 mila, 40 mila, 50 mila, anzi prima erano 40 mila e poi siamo andati all'accertamento di 65 mila). Certamente ognuno aveva una sua ragione - non voglio criticare nessuno -, ma pensiamo a un povero cittadino, a un povero lavoratore che ha assunto un patto e, visto e considerato che tutto va verso una relatività, tutto diventa per lui incerto, creando ovviamente una prospettiva inesorabilmente drammatica per i lavoratori e le famiglie. Ma certamente quella polemica non ha fatto bene al Paese e alle istituzioni, che invece bisogna garantire.
Io ho ascoltato ed è stata definita «equilibrata» la relazione del collega onorevole Muro. È stata definita certamente equilibrata e, quando si è parlato di copertura, si è sempre inventato un qualche escamotage. In questo caso si è andati verso una copertura che riguarda i proventi dei giochi. Ma non credo che sia stato il Parlamento ad inventarla: è qualcuno dei tecnici che credo abbia dato questa indicazione.
Quante volte ci troviamo di fronte a delle difficoltà di copertura? Allora abbiamo il problema dei giochi e quello degli incentivi. Si dice che oggi i giochi non danno grandi proventi, non danno il riscontro e il gettito auspicato.
Io ho altri dati per quanto riguarda i giochi. Ci sono 60 miliardi di euro per quanto riguarda il gioco illecito, dove la criminalità e la mafia ovviamente hanno costruito degli imperi. In questo discorso, parlare di criminalità organizzata sembra che non sia ovviamente un dato acquisito, ma sia semplicemente da determinare e, soprattutto, da relegare a determinate occasioni, quando si discute di quel problema, come se il problema della criminalità organizzata non fosse un dato fondante che permea tutta la vita politica e sociale di questo nostro Paese.
Non volete i giochi? Certamente ci sono anche altre soluzioni. Troviamo le soluzioni! Qualcuno ha detto - ho sentito tutti interventi responsabili, ecco perché il mio ringraziamento e il mio ossequio sincero e sentito - moduliamo. Nessuno dice «pronta cassa», ma diamo prima di tutto delle certezze, visto e considerato che alcuni santuari di certezze e di verità sono saltati. Non possiamo far finta che non esiste il problema. Se oggi ha un merito questa discussione e hanno un merito i presentatori delle proposte di legge è di avere riproposto in termini forti tale questione e questo lo dobbiamo al Parlamento Pag. 36e alla sua centralità. Infatti, se non ci fossero stati, in tutti questi mesi, la forza del Parlamento e l'iniziativa parlamentare, forse qualcuno avrebbe pensato che, passando il tempo, tutto sarebbe scaduto. Il tempo fa giustizia di ogni cosa, ma certamente, in questo caso, il tempo non può fare giustizia della povertà, della disoccupazione e della disperazione delle famiglie e della gente.
Allora, non c'è dubbio che dobbiamo innescare un processo a mio avviso dinamico, di confronto e di ricerca, dove ci si trova tra forze responsabili. Qualcuno ripeteva continuamente, fuori dalla campagna elettorale: chi ha idea, nelle condizioni in cui si trova il Paese, di strumentalizzare un dato di questo genere, che appartiene a tutti? Non è un problema che riguarda questo o quest'altra forza politica, questo e quell'altro gruppo parlamentare dislocato nella geografia del Parlamento, ma riguarda certamente il Paese nella sua complessità, dove la credibilità ce la giochiamo tutti e se la giocano le istituzioni, e tutti quanti sono nelle istituzioni, sia quelli che sostengono il Governo, sia quelli che fanno opposizione al Governo!
Allora, vediamo quale può essere il percorso da seguire. Mi auguro che il dibattito che verrà fuori, certamente anche nel prosieguo dell'esame degli emendamenti - credo che ci siano stati contributi emendativi e quant'altro -, possa far emergere qualche valutazione in più, qualche illuminazione in più rispetto alla strada e al percorso da seguire. Ce lo auguriamo. So che i colleghi Poli e Ruggeri, che hanno firmato queste proposte di legge, stanno lavorando con molta attenzione. Sono rimasto qui - glielo dicevo al Presidente - disertando un incontro importante, quello del mio collega Ferdinando Adornato, che presenta un libro molto significativo. Però ritengo che molte volte lo «stare sul pezzo» del Parlamento, soprattutto in una discussione sulle linee generali, può sfatare alcuni convincimenti a cui mi riferivo poc'anzi, ossia che questa è semplicemente una liturgia: premessale o di messa, cantata o solenne, ma credo che sia questa l'occasione per un confronto.
Non c'è il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, mi hanno detto che c'è un viceministro del lavoro e delle politiche sociali e altri due sottosegretari. C'è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri che sta ricercando, insieme al mio amico sottosegretario agli interni De Stefano, qualche punto di incontro rispetto alla problematica che stiamo affrontando. Ritengo che il messaggio che vogliamo mandare fortemente è questo: signor viceministro, il Parlamento è il Parlamento. Può essere che nell'accezione comune sia scaduto. Ritengo che oggi ci siano le uniche energie possibili per dare un contributo per determinare, a mio avviso, delle svolte e delle soluzioni. Mi dicono che avremo domani, davanti a Montecitorio, tanto per cambiare, la presenza di manifestanti: la «solita cosa», e i manifestanti li prendiamo qui a Montecitorio, non li mandiamo al Ministero del lavoro - tanto per intenderci -, perché giustamente qui si decide e questo è il centro fondamentale della vita democratica del nostro Paese. Mi auguro che tutto questo possa avere qualche riscontro, non il problema pensionistico soltanto, ma in una valutazione complessiva.
La legislatura purtroppo volge al termine, siamo all'ultima coda e speriamo che la prossima legislatura possa essere più ricca di eventi e di fermenti.
Certamente le premesse e le vicende di oggi non lasciano grandi illusioni e non infondono grandi speranze, ma la speranza è l'ultima a morire: se siamo qui, siamo impegnati a determinare delle svolte e a dare il nostro contributo. Ognuno farà la propria parte. Questa non è una battaglia per una norma, questa non è una battaglia di una categoria. Un tempo si diceva: chi rappresenti? Qual è il blocco sociale che rappresenti? Qui non si rappresenta nessun blocco sociale, non un blocco di interessi, non un blocco di elettori: qui si rappresenta la società vera, la società civile, nelle sue ansie e nei suoi aneliti più profondi. Si difende la famiglia Pag. 37e i diritti dei cittadini. Io ritengo che su questa proposizione un Parlamento democratico e democraticamente eletto, che rappresenta la storia democratica e civile di questo nostro Paese, debba assumersi le proprie responsabilità e debba prenderne atto (Applausi).
GIOVANNI PALADINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa?
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, a proposito dei nostri emendamenti, ai sensi dell'articolo 85-bis del Regolamento. Noi ne avremmo presentati 16 e chiederemmo, come è stato fatto altre volte, se fosse possibile lo sforamento da 10 a 16.
PRESIDENTE. Rappresenterò la questione al Presidente.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 5103-5236-5247-A)
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
MICHEL MARTONE, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, intervengo brevemente al termine di questa intensa discussione generale.
Il Governo, come peraltro già fatto dal Ministro Fornero nella più volte citata lettera del 7 agosto, deve certamente dare atto della notevole importanza sistematica, ma soprattutto sociale, delle questioni sottese al progetto di legge in questione.
Per altro verso, lo stesso Governo chiede che venga riconosciuto il grande sforzo sin qui profuso con i due decreti che hanno previsto la salvaguardia delle prime 120.000 persone, per affrontare con misure concrete i problemi sul campo, anche attraverso l'utilizzo di ingentissime risorse economiche, dell'ordine di diversi miliardi di euro.
Il Governo è comunque consapevole del fatto che si tratta di una questione, peraltro in divenire, per la quale è necessario effettuare sforzi ulteriori in piena collaborazione con il Parlamento. Tuttavia, gli interventi che sarà possibile apportare dovranno, come peraltro spiegato dallo stesso relatore, da un lato, mantenere l'impianto di fondo della riforma pensionistica, sulla quale, per i principi di equità e rigore che l'hanno ispirata, si è consolidato un ampio consenso parlamentare, e dall'altro muoversi in un quadro di complessiva sostenibilità finanziaria.
Si auspica quindi che il Parlamento e il Governo possano individuare in modo concorde un numero adeguato di interventi, dotati di una copertura finanziaria altrettanto adeguata, volti al superamento di alcune problematiche di indubbio rilievo sociale, che sono certamente alla nostra attenzione.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Fiano ed altri n. 1-01140, Di Pietro ed altri n. 1-01147 e Di Biagio ed altri n. 1-01157 concernenti iniziative per garantire adeguate risorse ai comparti della sicurezza, della difesa e del soccorso pubblico, con particolare riferimento all'assunzione di nuovo personale (ore 18,37).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Fiano ed altri n. 1-01140 (Nuova formulazione), Di Pietro ed altri n. 1-01147 e Di Biagio ed altri n. 1-01157, concernenti iniziative per garantire adeguate risorse ai comparti della sicurezza, della difesa e del soccorso pubblico, con particolare riferimento all'assunzione di nuovo personale (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione Pag. 38delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Galletti ed altri n. 1-01160, Gidoni ed altri n. 1-01161 e Mantovano ed altri n. 1-01163, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Fiano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01140 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.
EMANUELE FIANO. Signor Presidente, colleghi e rappresentante del Governo, la mozione che qui presento a nome del Partito Democratico, la prima che è stata presentata in ordine temporale, ha tre obiettivi principali. Intende proporre una risoluzione per la questione del blocco del turn over delle forze dei comparti di sicurezza, difesa e soccorso pubblico dello Stato.
Intende riferirsi anche, nel medesimo testo, ad una questione specifica, che è quella relativa alla copertura dei fondi per il cosiddetto assegno una tantum per l'anno in corso e per l'anno prossimo e, infine, concerne una questione che riguarda l'indennità del personale della Direzione investigativa antimafia (DIA).
Signor Presidente, vorrei iniziare leggendo solo uno o due delle centinaia di messaggi che ho ricevuto - immagino che li abbiano ricevuti molti colleghi - da parte di concorrenti, per esempio, al concorso per allievi carabinieri. Scrive Giuseppe: «come lei ben sa, in questo momento, in mezzo ai tanti problemi da cui, purtroppo, il nostro Paese è afflitto, si sta discutendo della sospensione del turnover per quanto riguarda l'assunzione in seguito al concorso di numero 1.886 allievi carabinieri, nel quale la mia persona risulta vincitore di concorso, idoneo rientrante nella graduatoria, ma non prescelto a causa di tale sospensione. Dopo tanti anni di lotte e sacrifici per riuscire a svolgere un mestiere che, prima di essere un mestiere, è una vocazione, e dopo essere finalmente riuscito a vincere un concorso dell'Arma, è paradossale e clamoroso per me, e per tanti altri ragazzi nella mia situazione, essere stoppati quando ormai il traguardo era raggiunto. Vista la crisi e le difficoltà enormi nel trovare un posto di lavoro, credo di avere tutto il diritto di fare il mestiere che ho sempre sognato di fare, proprio perché l'iter che doveva essere svolto io l'ho superato in pieno».
Analoghi messaggi sono giunti a molti di noi per quello che riguarda la graduatoria per 184 vigili del fuoco e moltissimi altri concorsi, ad esempio, 02IST allievi marescialli, che ha assorbito 150 persone su 490; mi arriva un altro messaggio da Gianmarco.
Ho letto solo alcuni dei messaggi che sono giunti, perché, forse, in quest'Aula, quando si usa il termine asettico del blocco del turnover, non si ha perfetta cognizione di quale sia l'effetto del blocco del turnover, su chi esattamente. Per esempio, su chi ha partecipato ad un concorso dello Stato, ha superato un concorso dello Stato, è risultato idoneo per il ruolo al quale questo concorso si rivolgeva per una delle nostre forze di polizia o per i vigili del fuoco, per esempio, e, poi, in conseguenza di uno dei provvedimenti del Governo - di questo o di precedenti Governi -, si trova idoneo sì, ma senza poter rientrare tra coloro che vengono assunti.
Il blocco del turnover interviene in un periodo, in un contesto sociale e storico, nel quale le mafie e la criminalità organizzata - anche giovandosi, peraltro, della crisi di liquidità che il nostro sistema economico ha, molto pesante in questi anni, in questi mesi - stanno sviluppando ancora di più il proprio profilo criminale e la propria capacità d'infiltrazione nel Pag. 39sistema economico e sociale, come peraltro è stato evidenziato proprio qui, nella relazione dell'anno scorso al Parlamento, da parte dei nostri servizi d'informazione. È anche un periodo nel quale, per fortuna - e li ringraziamo - abbiamo conseguito risultati eccezionali nella prevenzione e nel contrasto a gruppi e soggetti di matrice eversiva, che hanno sfruttato il disagio sociale, la protesta, come conseguenza della crisi economica che ci sta investendo, e hanno promosso varie azioni, la più eclatante delle quali, drammatica, è il ferimento dell'ingegnere Adinolfi, dirigente dell'Ansaldo, nel maggio di quest'anno a Genova.
Abbiamo situazioni di emergenza continua, come quella del cantiere della TAV in Val di Susa, dove sono impegnati quotidianamente centinaia di uomini delle forze dell'ordine; abbiamo questioni inerenti la cura dell'ordine pubblico, in cui migliaia di donne e di uomini delle forze dell'ordine sono impegnati quotidianamente sia per garantire il diritto costituzionale alla manifestazione della propria opinione nei cortei, sia anche a salvaguardare edifici pubblici dallo svolgimento di questi cortei. Apro una parentesi, signor sottosegretario, e parla una persona che difende quotidianamente l'operato delle forze dell'ordine: mi auguro di non dover vedere più scene di ragazzi minorenni manganellati in malo modo dalle forze che difendono l'ordine pubblico in questo Paese, perché io credo che sia sbagliato, pur rendendomi conto che anche le manifestazioni studentesche, come quelle di pochi giorni fa in tutta Italia, possono assumere caratteri di contrasto violento.
Mi auguro che il comportamento dei reparti mobili delle forze dell'ordine sarà diverso nelle prossime occasioni; credo che vada censurato parte di quel comportamento.
Migliaia di donne e uomini sono quotidianamente impegnati nelle grandi e nelle piccole emergenze di questo Paese; ricordo, purtroppo, la drammatica emergenza recentissima del terremoto dell'Emilia. Insomma, in questa situazione nella quale, col crescere della difficoltà economica e sociale, richiediamo un sempre maggiore impegno alle forze dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico dello Stato, con l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 95 del 2012, abbiamo bloccato le assunzioni fino al 20 per cento del ricambio. Il sottosegretario De Stefano, che ringrazio, nel corso di un dibattito analogo a questo, al Senato, la scorsa settimana, ha annunciato che il Governo si sta orientando verso uno sblocco fino al 50 per cento del turnover e tuttavia non siamo ancora in presenza di un provvedimento, anche se, ovviamente, mi fido molto delle sue parole; ma, allora, in base ai dati che abbiamo, quanto vale esattamente questo blocco del turnover? Nelle sole forze del comparto sicurezza, nel triennio a cui si rivolge il blocco del turnover, questo significherà la diminuzione di oltre 18 mila unità con ricadute negative, ovviamente, anche sull'innalzamento dell'età media delle donne e degli uomini delle forze dell'ordine. Quindi, mi rivolgo proprio agli aspiranti allievi carabinieri, agli aspiranti vigili del fuoco, agli aspiranti poliziotti, ai militari e alla guardia di finanza, che forse stanno ascoltando questo dibattito o che lo leggeranno, questo è il numero complessivo di voi che nei prossimi anni, se rimarrà questo blocco del turnover, non potrebbero entrare a far parte del comparto sicurezza. Perché sottolineo il punto dell'innalzamento dell'età? Perché oggi discutiamo di queste mozioni, presentate da tutti i partiti, visto che, dopo la nostra, sono state presentate molte altre mozioni, che si rivolgono alla possibilità di risolvere questo blocco del turnover; nel frattempo, il comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico dello Stato è impegnato in un confronto con il Governo su un'altra questione molto delicata che è la presentazione, da parte del Governo, del regolamento di armonizzazione del trattamento previdenziale - conosce bene l'argomento anche il sottosegretario De Stefano - che è stato oggetto di un incontro, pochi giorni fa, tra le rappresentanze dei comparti. Sulla base di quanto previsto per adesso dal Ministro Fornero - premetto che noi non concordiamo con Pag. 40quanto espresso fino adesso - quell'innalzamento dell'età, che sarebbe quasi la coda del dibattito che si stava facendo prima in questa Aula, che sarebbe conseguente all'innalzamento dell'età pensionabile dei membri dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico dello Stato, se lo sommiamo al blocco del turnover, cioè al fatto che entrano sempre meno forze nuove, fa sì che noi avremo nei prossimi anni, a partire dal prossimo anno, un innalzamento dell'età media di coloro che devono andare a spegnere gli incendi, di coloro che devono garantire l'ordine pubblico, di coloro che devono girare sulle pattuglie delle volanti, di coloro che devono garantire la sicurezza di tutti i cittadini italiani. Lo sapete, lo sappiamo e lo abbiamo detto tante volte in quest'Aula, non solo noi di questo partito, ma tutti i partiti - e mi rivolgo al Governo - che quando immaginiamo leggi che da un lato aumentano l'età pensionabile e dall'altro bloccano l'ingresso di nuove forze giovani nei comparti della sicurezza, della difesa e del soccorso pubblico del Paese, dobbiamo considerare che cosa potrà voler dire avere un vigile del fuoco che supera i sessant'anni, avere un agente di polizia o un maresciallo dei carabinieri che deve inseguire un ladro, uno scippatore o qualcosa di peggio avendo venti, trenta o quarant'anni di più di quello che sta inseguendo. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di donne e di uomini di questo Paese che sono armati e per i quali l'età è un fattore di sicurezza non solo per loro stessi, e sarebbe già sufficiente per me, ma per il resto della popolazione perché essi sono armati. Quindi, è sulla base di queste considerazioni sociali generali e universali per tutto il Paese, non solo per le persone, per gli operatori, per i militari ai quali noi rivolgiamo la nostra attenzione e la nostra sensibilità, che è necessario ripensare al turnover.
È per tutti noi che è necessario modificare quello che è stato sin qui l'atteggiamento sul blocco del turnover, per aumentare l'efficienza del nostro sistema di sicurezza, del nostro sistema di difesa, del nostro sistema di soccorso pubblico, per aumentare la promozione della legalità, perché sappiamo tutti che aumentare e migliorare questi fattori aumenta la competitività, la crescita e lo sviluppo economico del Paese. Ci sono poi due questioni specifiche, oltre alla richiesta di intervenire sul blocco del turnover, che noi abbiamo inserito in questa mozione.
La seconda questione è che c'è una previsione nel decreto-legge del 31 maggio 2010, n. 78, che prevedeva per il 2011-2013 il divieto di superare il trattamento economico spettante per l'anno 2010, anche con riferimento all'assegno funzionale, al trattamento economico superiore correlato all'anzianità, compresa quella nella qualifica o nel grado, agli incrementi stipendiali parametrali: un blocco dall'anno 2010 per il triennio, fino al 2013, della corresponsione economica.
Il legislatore allora, tenendo conto della specificità del comparto - spero che se ne tenga sempre conto di questa questione di legge, che è la specificità dei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico -, in sede di conversione di quel decreto-legge istituì all'articolo 8 del decreto-legge, comma 11-bis, un fondo di 80 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2011 e 2012, destinato al finanziamento di misure perequative. Si tratta di un assegno una tantum per il personale delle forze di polizia e delle Forze armate interessato dalle disposizioni del blocco di cui parlavo prima.
Vi è stata una previsione del legislatore, all'articolo 1 del decreto-legge n. 27 del 26 marzo 2011, che ha incrementato il fondo di 115 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013 ed ha esteso la destinazione del medesimo fondo. Oggi ci troviamo sostanzialmente nella situazione per cui abbiamo avuto i fondi nell'ammontare previsto per l'anno scorso. Il sottosegretario conosce bene la situazione. I fondi disponibili per l'anno 2011 sono stati sufficienti per la corresponsione di questo cosiddetto assegno una tantum, per coloro che avevano maturato i requisiti per la corresponsione delle indennità cosiddette congelate nello stesso anno, ma Pag. 41non abbiamo copertura di somme disponibili per l'anno in corso, 2012, e per l'anno prossimo.
Noi chiediamo anche di prendere e reperire le somme necessarie al soddisfacimento di questa esigenza, come era stato previsto dal decreto-legge n. 27 del 26 marzo 2011, attraverso le risorse utilizzate dal Fondo unico giustizia, che peraltro è citato in altre mozioni anche per lo sblocco del blocco del turnover. Infine, l'ultima questione che poniamo, signor Presidente, signor sottosegretario, è la questione del trattamento economico accessorio, cosiddetto TEA, per il personale della Direzione investigativa antimafia, la DIA.
Voglio qui ricordare per chi non lo ricordasse che in Parlamento, con il nostro voto contrario, fu ridotto questo trattamento economico accessorio del 65 per cento già a partire da quest'anno, con i tagli degli anni precedenti. Voglio anche ricordare che nessun altro contesto pubblico ha visto un taglio così violento sugli stipendi, seppur su una parte accessoria. Vorrei anche ricordare, non so se ce ne sia bisogno, che la DIA è titolare di circa il 35 per cento dei sequestri dei beni delle mafie e della criminalità organizzata in questo Paese. Si tratta di circa 7 miliardi di euro, su un totale di 22 miliardi e 156 milioni di euro, recuperati tra maggio 2008 e giugno 2011 in questo Paese, gli altri 65 per cento sono stati recuperati dalle altre forze di polizia.
Era stata prevista nel decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012, un'ulteriore riduzione di spesa per il 2013 e i successivi tagli di 131 milioni di euro - sono gli ultimi dati che abbiamo visto su questo comparto, sul Ministero dell'interno - avevano portato a un ulteriore taglio al trattamento economico accessorio del personale della DIA di altri 2 milioni di euro. Noi abbiamo la certezza che questo ulteriore taglio non sia accettabile da un punto di vista politico generale, anche perché, come ricordo, era già stato operato un taglio del 65 per cento di questo trattamento obbligatorio del personale della DIA. Vi è stata una reintegrazione di questo suddetto taglio ipotizzato in ulteriori 2 milioni di euro, è stata reintegrata questa somma ma è stata mantenuta una dizione di onere giuridicamente non obbligatorio.
Noi chiediamo, invece, che questa dizione venga ripristinata nella sua formulazione originaria di «spesa avente carattere obbligatorio».
Concludo il mio intervento, ricordando che il Ministro Giarda, presentando a questo Parlamento la prima iniziativa di spending review, ha valutato che il comparto sicurezza dello Stato è quello che, in percentuale, negli anni del precedente Governo ha subito i tagli maggiori del suo bilancio. In sostanza, ci troviamo di fronte ad un comparto che negli anni famosi dei tagli lineari ha subito già, a seconda delle valutazioni, un taglio per una cifra che sta tra i 3 e i 4 miliardi di euro, tra comparto sicurezza, comparto difesa e comparto soccorso pubblico.
Sono tagli che si vedono! Li vediamo nell'età media del personale, nella capacità di manutenere la strumentazione, i mezzi e le macchine che questo personale ha a disposizione per la cura della sicurezza, della difesa e del soccorso pubblico dello Stato. Lo vediamo nel blocco delle progressioni di carriere di molta parte del personale. Oggi lo vediamo anche nella terribile frustrazione di coloro che sono risultati idonei ai concorsi per l'ingresso in queste forze e che vedono, invece, bloccata la via dell'accesso a queste forze. Lo vediamo perché conosciamo la storia di questo Paese e la storia occidentale e sappiamo che in anni di difficile situazione sociale ed economica aumenta l'esigenza da parte degli Stati di garantire, correttamente e democraticamente, l'andamento della convivenza sociale e, quindi, la questione della sicurezza a favore soprattutto di coloro che sono più deboli e, dunque, di coloro che sono più toccati dalla crisi.
Per questo, chiediamo al Governo con forza - credo che lo chiederà tutto il Parlamento unitariamente - di rivedere, come è già stato annunciato, il blocco del turnover al 20 per cento per il triennio 2012-2014 - e mi auguro che potrà essere sbloccato di molto per vedere nuove forze Pag. 42accedere a questi comparti dello Stato -, reperire per gli anni 2012 e 2013, attraverso il FUG, i fondi destinati alla corresponsione di assegni una tantum, modificare la dizione di legge della copertura dei due milioni di euro, che erano stati precedentemente tagliati dal trattamento accessorio degli operatori della DIA, inserendo la nuova dicitura di «spesa avente carattere obbligatorio».
Dopo molti anni, nei quali abbiamo sentito citare il tema della sicurezza sovente e soprattutto nelle campagne elettorali, vorremmo che quando si parla di sicurezza, soprattutto in questo Paese, si pensasse alle operatrici e agli operatori della sicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini, che illustrerà anche la mozione Di Pietro ed altri n. 1-01147, che ha sottoscritto in data odierna. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, sono già intervenuto prima per la questione degli esodati. Credo che qui valga lo stesso tema, cioè la perdurante congiuntura economica, le tensioni sociali che hanno innescato i tavoli delle crisi aziendali, aperti anche nel Ministero dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti dal Sud al Nord, e che hanno coinvolto migliaia di lavoratori, l'emergenza della criminalità in varie città, da Napoli a Milano, i riflessi sull'Italia dell'assalto al consolato americano a Bengasi, l'uccisione dell'ambasciatore americano in Libia, questione gravissima che si è aperta ed estesa anche in altri Paesi nella medesima area geografica e politica. Tutti questi costituiscono per noi primari e rilevanti problemi per l'ordine pubblico.
Si è riunito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, presieduto dal Ministro dell'interno, in cui hanno partecipato i vertici delle forze dell'ordine. L'indirizzo che è stato dato si fonda sul fatto che le condizioni nel territorio nazionale, dal punto di vista della sicurezza, si sono aggravate. Quindi, questo tema riguarda anche il livello di attenzione su una strategia che si basa anche sul dialogo con tutte le parti interessate, specialmente per le vertenze nel Paese che ci preoccupano maggiormente, e anche nel contesto sociale in cui maturano situazioni come quelle dell'Alcoa, dell'Ilva e della Gesip di Palermo. Quindi, non è chiaro come questi temi, l'alta considerazione verso le forze dell'ordine e della sicurezza, oltre che l'estrema necessità del loro apporto, possano sposarsi con i tagli arrecati ai comparti dalla cosiddetta spending review, il cui senso e scopo principale è la revisione dei criteri di spesa e la razionalizzazione, con la conseguente ottimizzazione dell'allocazione delle risorse finanziarie.
L'intero comparto della sicurezza è oggetto di tagli, che si susseguono dall'inizio della XVI legislatura, soprattutto in ordine alle priorità dell'ordine pubblico, della sicurezza sul territorio e per i cittadini. Secondo me - prima abbiamo parlato della questione degli esodati - la situazione dei concorsi pubblici in Italia è uguale a quella degli esodati. Abbiamo una situazione paradossale dei concorsi pubblici, dagli idonei non ammessi, ai volontari in ferma breve, agli ausiliari dei carabinieri, a tutti i concorsi che sono stati fatti: per i vigili del fuoco, la polizia penitenziaria, la marina, gli allievi, gli ausiliari, gli allievi marescialli e tutto quello che riguarda il taglio sulla questione del turnover. Se facciamo un esempio, il turnover ha bloccato l'80 per cento degli ingressi in termini pratici e consentirà un ricambio del personale, tra il pensionamento, l'uscita e l'arruolamento, in entrata, solo del 20 per cento; quindi su 1.000 carabinieri che si collocano in quiescenza, ne saranno arruolati 200. Il turnover nell'Arma ogni anno è corrispondente a 2.290 carabinieri in uscita e, naturalmente, a fronte di pochissimi carabinieri in entrata.
A tutt'oggi, chiaramente, questa è la situazione che si evidenzia nei confronti di queste persone - l'ho già detto l'altro giorno al sottosegretario - e credo che qui lo Stato ed il Governo si debbano assumere Pag. 43delle responsabilità, perché siamo di fronte a persone che vedono vanificati i loro diritti e le loro aspettative: uno vince un concorso e poi non riesce ad entrare nel posto messo a concorso che ha vinto; uno mette impegno per lo Stato, dedizione, senso del dovere, spirito di abnegazione; vuole servire il suo Stato, vince il concorso, ed il suo Stato è il primo a dirgli: hai vinto il concorso, ma a me non interessa nulla. Questo è un tema essenziale che riguarda naturalmente le norme che regolano la vita delle persone vincitrici di concorso: siamo qui nell'ambito della salvaguardia dei diritti e della giustizia sociale. Non c'è certezza del diritto, non c'è certezza nello Stato: cosa c'è di più grave di un giovane che vuole servire lo Stato, che vince un concorso, e a cui lo stesso Stato dice: ma tu chi sei? Questa è una cosa incredibile, che può accadere soltanto in Italia.
Le ricordo, ancora una volta, signor sottosegretario, che, per quanto concerne il concorso degli agenti di polizia, l'ultimo concorso che avete espletato è stato nel 1996, in cui avete assunto quelli con un punteggio pari a 7,75. Voglio dire: gli ultimi li avete assunti nel 2003, quando avete riaperto le graduatorie. È possibile che uno fa un concorso a vent'anni e, dopo 16 anni, si trova quasi a dover andare in pensione, e ancora non è entrato in Polizia? Vi rendete conto del livello a cui siamo qui in Italia? Uno fa un concorso nel 1993 e lo assumono vent'anni dopo! O avrà una famiglia o avrà fatto qualcos'altro perché - se avesse aspettato voi - sarebbe stato meglio che si fosse ammazzato. Non so se ci rendiamo conto di quello che avviene in Italia. Risale al 1993 questo concorso nella Polizia di Stato: sono passati vent'anni!
È come la storia delle sale operative: sono passati dalla riforma, prevista dalla legge n. 121 del 1981, quarant'anni e, ancora, le sale operative comuni non ci sono, ce ne sono due o tre sperimentali in tutta Italia e, per il resto, nulla, ci sono solo sale operative in cui Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza vanno per conto proprio. Poi parliamo di spending review. La legge prevede da quarant'anni queste sale operative ma, in quarant'anni, ancora non le abbiamo realizzate, tanto per fare un esempio.
Ma ora cosa vogliamo fare con questi ragazzi, con questi idonei non ammessi, con questi vigili del fuoco, con questi ausiliari e con questi volontari in ferma breve? Questi fanno quattro anni nell'Esercito, nella Marina, nell'Aeronautica. Fanno i volontari in ferma breve il primo anno, il secondo, il terzo ed il quarto e, al quarto anno, gli dicono: ma tu chi sei? da dove vieni? Ma state davvero scherzando? È una cosa incredibile, che non è mai avvenuta. Credo, comunque, che bisognerà trovare un rimedio a questa situazione. Non si può ricevere migliaia di e-mail e vedere tutti i giorni gente che viene fuori al Parlamento perché il suo diritto è stato violato.
Concludo perché mi sono impegnato ad una relazione veloce, e anche perché ormai è evidente questo stato di cose.
Mi sembra che sia tempo perso, ha ragione il collega qui vicino, lui è dei Carabinieri, io della Polizia, purtroppo ci accomuna questa situazione, siamo messi male con voi, siamo veramente messi male, molto male. Sono preoccupato, signor Presidente, perché il Ministro Fornero ha in mano il regolamento relativo al trattamento previdenziale delle forze dell'ordine, e siccome è un regolamento che non passa per l'Aula, io mi auguro che, come i macchinisti delle ferrovie che sono stati mandati in pensione a 67 anni, noi non ci ritroveremo a 75 anni a guidare la volante, perché credo che saranno questi ormai i vostri orientamenti; ma soprattutto mi auguro che poiché siamo qui a discutere sugli esodati, cioè 500 mila persone, la prossima settimana non ci troveremo a discutere del regolamento del trattamento pensionistico delle forze dell'ordine, in cui praticamente dovremmo vedere che la gradualità, la transizione, il principio che dovrebbe essere applicato anche per loro, non venga meno; ma poiché si tratta di un decreto, e conosciamo il Ministro Fornero, mi auguro che la prossima settimana non ci siano qui davanti le forze dell'ordine che dicono: Pag. 44anche noi siamo come gli esodati, abbiamo lo stesso problema, perché il Ministro Fornero da 57 anni ha portato la nostra età di pensionamento a 75 anni.
Voglio dire questo: per risolvere il problema pensionistico, mi auguro che vi impegnate sulla specificità, perché c'erano, come a proposito degli assegni di funzione, degli impegni ben precisi sulla specificità; abbiamo fatto la specificità facendo le nozze con i fichi secchi, nel senso che la differenza fra le forze dell'ordine e il pubblico impiego, era la specificità, e adesso la specificità si è annullata, è sparita e praticamente le forze dell'ordine sono rimaste ferme al punto in cui erano prima.
Concludo, signor Presidente, signor sottosegretario: diamo una mano a questi giovani! Già solo le e-mail che ci mandano fanno capire quanto vogliono servire lo Stato, con uno stipendio veramente molto basso; ma vogliono mettere il loro impegno, la loro volontà per servire lo Stato. Cerchiamo di approvare questo provvedimento - di cui avevamo parlato anche con il Ministro dell'interno - in cui vi impegnate a far sì che gli idonei non ammessi - ve lo ripeto, è la seconda volta in due settimane che glielo dico, signor sottosegretario - del 1996, 775, li volete chiamare oppure aspettate che anche loro vanno in pensione a 65 anni (Applausi del deputato Ascierto)?
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01157. Ne ha facoltà.
ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, illustre sottosegretario, appena qualche settimana fa il Ministero dell'interno ha pubblicato dei dati alquanto allarmanti: soltanto nel 2011 vi è stato un incremento dei reati pari quasi al 6 per cento, soprattutto quelli di tipo predatorio, proprio quelli che creano maggiore insicurezza tra i cittadini, e che determinano in maniera vistosa le basi di un disagio sociale.
È proprio da queste semplici riflessioni che intendo partire per dare il senso di quanto sia reale il deficit di sicurezza nel Paese, e di quanto il risultato sia amplificato dalla cornice di impasse economica degli ultimi anni, che influisce in maniera quasi proporzionale sugli indici di incremento dei reati commessi. Questo scenario, in cui si mescolano in maniera drammatica disagio sociale, insicurezza e difficoltà economica, alimenta il sottobosco della criminalità organizzata, soprattutto in quelle aree notoriamente roccaforti di illeciti. A ciò si aggiungono anche ulteriori contaminazioni della tenuta sociale italiana, determinate dall'azione dei cosiddetti gruppi antagonisti, come evidenzia la Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza nell'anno 2011 al Parlamento, richiamata da qualche collega.
L'aggravarsi della crisi economica e le misure adottate per fronteggiarla a livello nazionale e internazionale, sono ritenute dal circuito antagonista una favorevole opportunità per riproporre schemi movimentisti tesi a catalizzare e radicalizzare il disagio sociale. Appare chiaro a tutti, e al Governo in primis, che non ci si può certamente limitare a tali realtà come matrici di disagio sociale, ma quella che appare dinanzi agli occhi del cittadino, è senza dubbio una realtà complessa che compromette la qualità della vita di ognuno e ne condiziona gli orientamenti e le scelte sociali.
Di contro, la cosiddetta offerta di sicurezza appare sempre più limitata. Quasi in un trend universalmente proporzionale, da un lato, aumentano i reati, dall'altro, decrescono gli arresti, in una percentuale attestabile intorno al 7 per cento. Sono mesi, se non anni, che la politica, le parti sociali e i cittadini ragionano su questo enigma, ma paradossalmente non si arriva ad una soluzione. Il gap tra reati e arresti aumenta e sullo sfondo il deficit della sicurezza diventa allarme sociale. Ma la brillante idea di tagliare circa un miliardo e mezzo di euro delle risorse destinate ai corpi di polizia e di bloccare, nel contempo, il logico e necessario turn over degli operatori rappresentano quasi un colpo di grazia. In questo momento sembrerebbe banale e certamente riduttivo additare l'attuale Esecutivo come matrice Pag. 45di ogni male all'interno del comparto. La riduzione dei fondi destinati alla sicurezza è un male antico, così come la superficialità con la quale si è proceduto alla gestione delle risorse umane, riferimento preziosissimo della sicurezza, con i vari concorsi che si sono susseguiti. Penso alle migliaia di giovani che negli ultimi anni, pur avendo superato un concorso per polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Vigili del fuoco sono stati letteralmente dimenticati dallo Stato, in attesa di chissà che cosa. Nel frattempo, si è continuato ad indire concorsi e a rinfoltire le schiere. Quanto strutturato fino ad ora è soltanto amplificato e aggravato dalle recenti disposizioni di spending review e dai provvedimenti attuativi della stessa. È un po' come se si perdesse per strada il fine reale dell'intera impalcatura della sicurezza italiana, dimenticandosi in maniera un po' goffa che l'incapacità da parte dello Stato di essere presente come presidio di sicurezza e come strumento di monitoraggio dell'illecito in tutte le sue forme corrisponde a sua volta ad un costo, ad una perdita in termini di risorse economiche che confluiscono nei circuiti paralleli, in termini di porzioni di economia che restano nel sommerso, in termini di assistenza sociale e sanitaria che lo Stato poi deve garantire alle vittime di soprusi e illeciti di varia natura. Costruire sicurezza in Italia significa costruire un'Italia migliore. Ma forse questo noi non l'abbiamo ancora capito; lo hanno capito in molti Paesi europei, dove la qualità della vita è sicuramente migliore di quella italiana, dove c'è un sistema di sicurezza più efficiente, senza sprechi, ma funzionante. In Italia invece razionalizzazione, concetto oscuro, fa rima con tagli selvaggi, ed ecco che si tagliano risorse al Viminale, si decurtano gli stipendi degli operatori della Direzione investigativa antimafia e non si assumono più giovani leve. In questo non vedo razionalizzazione, vedo soltanto lo schiacciamento di un comparto e lo svilimento di un diritto, il diritto dei cittadini ad essere protetti, il diritto degli operatori a lavorare e a farlo nel migliore dei modi, il diritto dei tutori della legge a non avere difficoltà ad arrivare a fine mese. In questa prospettiva, fa riflettere ad esempio il fatto che, dopo gli omicidi verificatesi nel sud pontino la scorsa estate, il Ministero dell'interno per fronteggiare la situazione emergenziale ha rafforzato i nuclei di prevenzione e crimine per rinvigorire il controllo del territorio. Sempre nell'ottica di soluzioni emergenziali ad agosto è stato creato il GIRER, quarto gruppo interforze istituito presso la Direzione centrale della polizia criminale, continuando ad ignorare di proposito l'OCAP. Fa riflettere soprattutto perché, di contro, con la spending review è stata prevista per il Ministero dell'interno una riduzione di spese pari a 130 milioni di euro su questo capitolo. Dobbiamo essere capaci di armonizzare l'esigenza di razionalizzazione fattiva delle risorse dello Stato con le esigenze di sicurezza del Paese, attraverso la piena e reale valorizzazione delle professionalità e delle competenze, senza dimenticare l'incolmabile senso del dovere e dello Stato, che ognuno degli operatori del comparto dimostra ogni giorno, davanti al quale dobbiamo avere solo e unicamente rispetto. Quello che è mancato alle disposizioni della spending review e a quelle che le hanno precedute è una prospettiva di lungo periodo. L'età certamente non fresca e le condizioni fisiche degli operatori del comparto rischiano di essere una zavorra nel breve e medio periodo.
Se a ciò aggiungiamo l'attuale configurazione previdenziale del comparto, che non prevede alcuna deroga rispetto alla normativa vigente per gli operatori del settore, il tutto sembra ancora più paradossale. Dobbiamo semplicemente aprire gli occhi, nulla di più, e pensare non soltanto agli italiani di oggi, ma anche e soprattutto agli italiani che verranno.
Si tratta di un problema strategico, si tratta della salvaguardia della tenuta democratica del Paese, che, privo di un'opportuna e adeguata difesa, è seriamente pregiudicata, come dinanzi ad eventi devastanti della nostra storia come le stragi di mafia dei primi anni Novanta, che Pag. 46hanno lasciato nel tessuto culturale, sociale ed istituzionale italiano una cicatrice profonda.
Il nostro, e suppongo anche quello dei colleghi, non è un esercizio di pura retorica, ma la volontà di mettere al centro dell'attenzione del Governo e del Paese tutta un'emergenza che è nel contempo sociale, economica e culturale.
Noi non possiamo permetterci di rispondere ad un'emergenza creando una nuova emergenza. Non mi sembra giusto nei confronti non solo degli italiani di oggi, ma anche di quelli che si sono sacrificati per estirpare l'emergenza mafia e criminalità. Portando avanti queste misure di cosiddetta «sobrietà senza fondamento», creiamo degli ostacoli insormontabili ai progetti di intervento messi a punto da uomini di Stato come Giovanni Falcone.
Come molti sanno, la DIA è stata fortemente voluta proprio da Falcone e la legge costitutiva, la n. 410 del 1991, giace ancora inapplicata, malgrado siano trascorsi più di vent'anni. Quindi, al male antico, vale a dire la mancata esecuzione delle sue disposizioni, si aggiunge il taglio del T.E.A. degli operatori della DIA e il graduale depotenziamento della struttura.
Su questo versante si sono moltiplicati interventi parlamentari di varia natura, così come gli impegni del Governo a intervenire e rettificare. Colgo l'occasione per ricordare al sottosegretario che abbiamo ancora sospesa in Commissione affari costituzionali la nostra risoluzione che impegna il Governo ad agire proprio in questa prospettiva.
Abbiamo depositato una nuova risoluzione «mediata» rispetto a quella originaria. Nella nuova risoluzione si mette in primo piano l'esigenza di dare priorità alla piena attuazione della legge istitutiva e, in secondo luogo, quella di valutare anche l'opportunità, compatibilmente con le esigenze di bilancio, di reintegrare le risorse destinate al trattamento economico accessorio.
Con la risoluzione «mediata» abbiamo fatto un compromesso importante. Per una questione di rispetto e di coerenza istituzionale nei confronti di quanto fatto finora e, soprattutto, per testimoniare che noi non facciamo inutile demagogia, abbiamo inteso non bypassare quell'atto fermo in Commissione, riportando, magari, quell'impegno in questa nuova sede.
Attendiamo, pertanto, che il Governo porti avanti quel vivace e costruttivo percorso di confronto avviato nel maggio del 2012, ma siamo certi che l'accoglimento degli impegni proposti con queste mozioni possa essere la premessa più adeguata per risolvere tutti gli altri nodi ancora non sciolti.
Ci verrà ripetuto che non ci sono risorse, ma perché, allora, moltiplicate le strutture di riferimento? Infatti, è da segnalare, ad esempio, una duplicazione di competenze, venutasi a creare con l'istituzione presso la Direzione centrale della polizia criminale di altri gruppi interforze che si occupano in maniera specifica di contrasto alle infiltrazioni mafiose in settori particolari.
È il caso del GICER, istituito nell'ambito della ricostruzione post terremoto a L'Aquila, del GICEX, gruppo connesso all'Expo Milano 2015, del GITAV, relativo alla realizzazione della TAV, e, da ultimo, del gruppo connesso alla ricostruzione post terremoto in Emilia Romagna, GIRER. A tali organismi sono aggregati operatori della DIA e le relative spese gravano sul capitolo di bilancio assegnato a questa Direzione. Ciò ha portato, naturalmente, a un notevole dispendio di risorse economiche e di personale.
Allora, dov'è la razionalizzazione? Se poi alle discutibili misure di contenimento introdotte dalla spending review ci aggiungiamo anche le presunte sviste del Governo, oltre al dramma si crea anche la beffa.
Voglio, infatti, ricordare che la stampa, a fine agosto, ha diramato la notizia secondo cui nel Documento di programmazione del Ministero dell'interno, attuativo della spending review, sono stati tolti 2 milioni di euro dal capitolo 2673 nel quale rientrava il T.E.A. per gli operatori della DIA, che era stato denominato per il 2013 come onere non giuridicamente obbligatorio. Il Ministero aveva giustificato Pag. 47questa cosa, manco a farlo apposta, come una svista e annunciato un reintegro delle risorse decurtate. Il problema sta nel fatto che se rimane il titolo «onere non giuridicamente obbligatorio» al capitolo 2673 si rischia di legittimare questo come un bacino di risorse potenzialmente decurtabili, sebbene il T.E.A. rappresenti un trattamento normativo sancito.
Su questa faccenda abbiamo depositato un ordine del giorno accolto all'assestamento di bilancio per quanto riguarda le risorse del Ministero dell'interno, al fine di tutelare l'attuale configurazione del T.E.A., riportando le corrispettive risorse al capitolo degli «oneri giuridicamente obbligatori». Almeno, signor Ministro, come primo step provvediamo a rettificare le cosiddette sviste, poi ragioniamo su tutti gli altri aspetti. Ecco, dobbiamo sforzarci di capire cosa rappresenta realmente un progetto di razionalizzazione, tenendo ferma bene in mente la priorità, cioè la sicurezza dei cittadini e l'equilibrio economico ed operativo dei tutori della legge.
In occasione della nostra recente interrogazione a risposta immediata in merito alla situazione di 1.700 giovani idonei al concorso per la polizia di Stato, il Ministro Cancellieri ha mostrato una non trascurabile lucidità. Ha evidenziato che qualsiasi progetto di riorganizzazione non potrà mai comportare la riduzione degli standard dei livelli di sicurezza né, più in generale, un arretramento dello Stato sul fronte dell'ordine e della sicurezza pubblica, la cui tutela costituisce obiettivo primario, indefettibile del Governo.
Noi vogliamo battere il pugno proprio su questo nobile principio, sottosegretario, che pretendiamo accompagni ogni iniziativa del Governo e, soprattutto, ogni auspicata rettifica di quanto già fatto. Non chiediamo molto. Vogliamo un comparto sicurezza efficiente, dignitoso su cui il Paese possa fare affidamento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone, che illustrerà anche la mozione Galletti ed altri n. 1-01160, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, credo che, a questo punto della discussione, mi impongo un intervento molto contenuto nel tempo. Mi auguro che, invece, il tempo assegnatomi sia sufficiente per poter fare qualche valutazione e qualche riflessione rispetto alle cose che sono state dette e che sono state poste in essere dalle mozioni che abbiamo presentato.
Illustro questa mozione dell'UdC, primo firmatario il Presidente del gruppo, che pone un tema, un problema, di carattere specifico rispetto a quella che è una vicenda particolare in seguito alla legge sulla spending review. Un problema di carattere generale, ossia la questione che riguarda lo status dei poliziotti, ma riguarda soprattutto il comparto sicurezza, l'efficienza, l'esaustività, della sicurezza del nostro Paese. Il problema sicurezza è sempre ritornante, spesso noi lo chiudiamo con grande frettolosità, diciamo che bisogna dare stima alle Forze dell'ordine e registriamo anche i successi delle Forze dell'ordine. Tutto questo è giusto, però dobbiamo mettere in condizione le Forze dell'ordine di operare in termini soddisfacenti e di avere, quindi, le condizioni perché questo tipo di azione e di loro attività possa raggiungere dei risultati apprezzabili, altrimenti scadiamo nell'enfasi e nella retorica, perché molte volte vi sono enfasi e retorica e l'enfasi e la retorica, certamente, non costituiscono alcuna prospettiva e non portano a segno alcun progetto.
Ecco perché, signor Presidente, sommessamente debbo parlare del turnover che viene limitato e che salta di fatto sia per quanto riguarda l'Arma dei carabinieri, che la Polizia di Stato, i Vigili del fuoco. Poi c'è anche il problema che riguarda i VFP1 ed i VFP4. Io ritengo che questo è un dato estremamente preoccupante.
C'è un problema che riguarda i giovani e, come più volte è stato detto anche da parte dei colleghi che mi hanno preceduto, c'è quantomeno una disattenzione o quantomeno un'attesa frustrata, una violazione dei diritti che sono stati acquisiti. Se uno fa un concorso, si impegna, studia e poi, Pag. 48invece di 1.800 posti, ce ne sono 400 dopo qualche anno, ritengo che qui ci troviamo nell'esatta situazione del problema, di cui parlavamo poc'anzi, degli esodati. Anche in quel caso si trattava di un diritto acquisito per altri versi e di diversa natura, ma anche qui ci troviamo su un problema molto, molto simile, ma che soprattutto pone anche delle questioni e degli interrogativi.
Signor Presidente, signor sottosegretario, lei mi ha sentito più volte dire che bisogna mettere un po' di ordine e razionalizzare le Forze dell'ordine. Noi diciamo che c'è un problema di quantità e che c'è un sottorganico. Non c'è dubbio che con questo problema dell'assenza del turnover rimangono vuoti alcuni posti che erano stati programmati e pianificati. Non c'è dubbio.
Ma sono molti, allora, gli organici previsti? Io non lo so dire, perché non è stata fatta una seria razionalizzazione dell'impiego delle Forze dell'ordine all'interno del nostro Paese. C'è un collega che parlava delle sale operative. Io posso dire che ancora andiamo avanti con i commissariati di Polizia di Stato, con le caserme distribuite sui territori, dove ci sono molte volte uno o due carabinieri, e non c'è una valorizzazione, non c'è una sinergia, non c'è un'ottimizzazione delle risorse umane che ci sono.
Ma poi c'è un altro problema. La legge n. 121 del 1981 è stata ampiamente disattesa. Una delle realtà che viene colpita nei concorsi, con la spending review è quella dei marescialli, marescialli dei carabinieri ma anche per la Polizia di Stato. Voglio capire. La legge n. 121 fu fatta per creare una struttura di investigatori, che qualificasse l'azione delle Forze dell'ordine e desse sempre più forza ed efficienza all'azione di contrasto alla criminalità, sia organizzata sia non organizzata, anche perché sono convinto che vattellapesca, caro onorevole Di Biagio, quale è quella organizzata e quella non organizzata. Infatti noi abbiamo, per esempio in giro per l'Italia meridionale ed anche per la Calabria, gente che ha l'araldica e lo stemma nobiliare del capo-clan o del capo-criminale e poi ci sono dei criminali, che sono nelle istituzioni, che sono ugualmente pericolosissimi e soprattutto dannosi per la vita sociale, culturale, economica e via dicendo, sono quelli che sono al riparo. Ecco perché abbiamo bisogno di investigatori. Le scuole di formazione, che venivano legate alla legge n. 121 del 1981, non è che abbiano avuto un grande exploit. Non è che basta soltanto il concorso, non è soltanto la quantità. Certamente si è detto: qui vengono meno i numeri, viene meno ovviamente la quantità, come vogliamo fare la lotta alla criminalità organizzata? Io non lo so, veramente non lo so. Ci affidiamo semplicemente - ed giusto che sia - ai pentiti, ai testimoni ed ai collaboratori di giustizia. Va bene, abbiamo delle categorie. E gli investigatori di una volta? L'intelligence?
Non voglio parlare dei servizi di informazione, quello è un capitolo a parte. Ci assolviamo per il momento: per carità di Patria non parliamo ovviamente dei servizi di informazione, per grazia di Dio. Infatti, quando si parla di risparmio di risorse, dovremmo essere attenti in quel settore a quanto si spende e a quanto si sperpera. Ma questo è un mio vecchio discorso, che facevo quando ero al Copaco, qualche tempo fa. Allora è certo che con queste mozioni cerchiamo di sollecitare.
È un atto di indirizzo parlamentare. È un problema di economia, di economizzare? Qui c'è un equilibrio tra l'economizzare e la sicurezza del Paese. Diciamo anche che la lotta alla criminalità organizzata e non ci metterebbe al riparo da qualche defaillance sul piano economico, perché credo - si tratta di dati che noi abbiamo evidenziato giorno per giorno - che la criminalità organizzata e non organizzata porti dei danni, degli arretramenti e dei ritardi anche per lo sviluppo economico, per cui l'investimento sulla sicurezza è un investimento anche sul piano dell'economia, al di là del rafforzamento dell'istituzione.
L'onorevole Fiano leggeva alcune email e dichiarazioni di partecipanti al concorso. Sui giornali calabresi c'è qualche intervista a qualche mancato maresciallo, a qualche Pag. 49ragazzo che ha registrato un'ingiustizia. Qui troviamo consumata un'ingiustizia rispetto ai diritti e alle attese dei cittadini. Mentre noi parliamo di sicurezza questo atto crea più insicurezza e crea le condizioni per una violenza nei confronti delle istituzioni, perché quando manca la credibilità è un danno enorme. Questi danni non li fanno semplicemente i criminali, questi fatti sono gravissimi e determinano dei contraccolpi negativi. Soltanto questo dico, signor Presidente e non credo di dover aggiungere altro. Ho preso l'impegno con i miei colleghi di essere parco, di rispettare i dieci minuti a mia disposizione. Non assumo impegni per poi violarli, noi li assumiamo con grande responsabilità - non voglio fare nessun tipo di riferimento - ma mi auguro che il Governo - conosco peraltro la sensibilità, per storia e soprattutto per comportamento, lo dico con estrema chiarezza e con grande convincimento, del sottosegretario De Stefano - possa cogliere lo sforzo che facciamo.
Quante battaglie abbiamo fatto per la specificità? Le abbiamo iniziate quando eravamo in Commissione difesa per il riconoscimento di questo ruolo. Malgrado il riconoscimento della specificità e della peculiarità del ruolo delle Forze dell'ordine, delle Forze armate, c'è una situazione e una condizione delle Forze dell'ordine che è gravissima. Questo è un altro capitolo. Io non so in quale mondo si vive, ma chi ha un contatto o un rapporto intenso con le forze dell'ordine sa che la situazione è difficile e che il contrasto alla criminalità organizzata e non organizzata, quella ordinaria, non può essere lasciata al buon cuore, perché se non c'è una quantità, se non c'è chiarezza, non si può neanche razionalizzare o organizzare le Forze.
Ritengo che questo è l'impegno che noi chiediamo in questo momento e ci auguriamo che un atto di indirizzo parlamentare possa servire al Governo per le determinazioni del caso, partendo dall'assenza del turnover, per scegliere il nodo della sicurezza. In quali termini? Che venga finalmente il Ministro dell'interno un giorno in Aula. Questa è la mia conclusione, signor Presidente, lei è attento. Che venga il Ministro e che ci dica qual è il problema della sicurezza. Non ci deve spiegare quello che avviene a Reggio Calabria, a Catanzaro, a Cosenza o in Sicilia, ma, visto e considerato che la dottoressa Cancellieri è stata prefetto, ci dica qual è il problema della sicurezza e se ne dibatta. Molti ci dicono che produciamo molte leggi, però produciamo forse pochi atti di indirizzo parlamentare che ovviamente hanno un riscontro debole, il che è stato più volte evidenziato.
Questa è la mia conclusione, che vuole essere una richiesta, una sollecitazione, una evidenziazione di un problema molto vasto e molto ampio, che esprime anche situazioni che non sono contenute nelle nostre relazioni, ma certamente chi è addetto, chi è impegnato, chi ha responsabilità nell'istituzione sa qual è la situazione di gravità su cui noi abbiamo voluto richiamare, attraverso questi atti di indirizzo parlamentare, l'attenzione e la responsabilità del Governo, oltre che dei colleghi del Parlamento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gidoni, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01161. Ne ha facoltà.
FRANCO GIDONI. Signor Presidente, anche noi abbiamo una mozione sul tema e ringrazio il collega Fiano per aver per primo presentato una mozione che oggi ci permette di discuterne in Aula. Parto forse da un punto un po' più distante per poi giungere alla mozione che abbiamo presentato. Mi riferisco ad una recentissima intervista del Ministro Di Paola rilasciata a Panorama in cui dichiara: «Se non si approvasse la legge delega sulla riforma delle Forze armate la nostra operatività sarebbe a rischio. Il testo è in Commissione al Senato, poi toccherà all'Aula e quindi alla Camera. Capisco che si discuta di legge elettorale, anticorruzione, legge di stabilità e che non siamo "il meglio fico del bigoncio", ma siamo in ritardo, nonostante gli appelli del Presidente Napolitano». «Signor Ministro, percepisce una sotto Pag. 50valutazione?» «No, più che sottovalutazione si tratta di impegni su altre leggi. Con risorse limitate però non fare la riforma significherebbe mettere a rischio l'operatività militare e quindi la capacità di svolgere il nostro lavoro all'estero».
Ovvero di cosa parliamo? Parliamo di 6.876 militari attualmente impiegati all'estero in 25 missioni e questi 6.876 in realtà dobbiamo poi moltiplicarli per circa quattro, per tener conto del turnover e poi di tutte le forze logistiche che li supportano. Di questi 20 mila militari, signor sottosegretario, la gran parte sono VFP4, cioè quei ragazzi che hanno deciso di intraprendere questa carriera, questa strada militare anche poi con la prospettiva eventualmente non di rimanere nell'esercizio, ma di transitare nel cosiddetto comparto sicurezza. E guardi, sono ragazzi che rischiano, se è vero come è vero che 51 di questi sono morti in Afghanistan e 35 in Iraq.
Credo che questo sia il quadro da cui partiamo ed evidentemente vi è la preoccupazione della recessione economica in atto e dei fenomeni che si stanno registrando in Medio Oriente, soprattutto nel Mediterraneo, legati alla cosiddetta Primavera araba, che abbiamo sulla porta di casa. Mi riferisco anche alle conseguenze talvolta di inopportuni atti, come il film ritenuto blasfemo che ha suscitato gravi scontri in Nord Africa, Medio Oriente e Grecia. Mi riferisco infine alla situazione siriana che pare avere una escalation, se è vero come è vero che si sta assistendo ad alcuni scambi di artiglieria sul confine turco-siriano. La non risolta questione libica evidentemente ci porta a una preoccupazione, perché li abbiamo sulle porte di casa, e quindi potremmo avere anche delle ricadute significative sulla sicurezza interna del nostro Paese.
Sicurezza interna che viene presidiata da circa 300 mila uomini. Questi sono i dati. Qui approfitto di lei, signor sottosegretario, perché nello scrivere e nel preparare questo intervento ho cercato di avere dei dati più precisi. In realtà, in Italia non esiste qualcosa di paragonabile al Military balance dell'IISS di Londra o all'annuario dei SIPRI di Stoccolma, che sono dei volumi che danno il quadro del comparto e fanno capire esattamente chi è impiegato, dove (e danno i numeri). Ho trovato un dato che posso riportare qui in Aula. Forse la Francia è quella che si avvicina più a noi, anche come estensione e popolazione: le Forze di sicurezza francesi, annoverando la Police nationale, e il sistema della Gendarmerie e la Direzione generale delle dogane e imposte indirette, conta circa 270 mila tra uomini e donne. I nostri sono circa 300 mila, se è vero che abbiamo 120 mila carabinieri, 110 mila poliziotti e 70 mila finanzieri. Ma non è tutto il mondo della sicurezza, perché nel mondo della sicurezza ovviamente c'è anche il comparto della sicurezza privata. E qualche dato - anche qui - ho dovuto pescarlo all'estero, ad esempio dal Livre blanc sur la sécurité privée, dove per esempio risulta che in Italia il comparto sicurezza gestito dai privati è pari a circa un decimo delle forze statali (definiamole così) a fronte ad esempio della Germania dove il 60 per cento della sicurezza è delegato alle compagnie private.
Quindi, magari in tema della sicurezza una redistribuzione dei compiti e delle funzioni potrebbe essere anche un ragionamento che si potrebbe iniziare per poter creare, se lo Stato devolvesse alcuni settori, posti di lavoro gestiti da privati e vi potrebbero trovare posto quei ragazzi, che citavo prima, attualmente impegnati nelle missioni nell'Esercito.
Ma, evidentemente, non dovrebbe essere neanche un ragionamento che ci spaventa in quanto si dovrebbero ricordare, sottosegretario, i timori che c'erano nel dover togliere la Polizia o i Carabinieri dall'interno degli stadi per delegare le loro funzioni agli steward. Mi pare che si sia trattato di un esperimento ben riuscito, che ha ridotto di molto l'impegno nel nostro campo di sicurezza. Oppure i varchi presidiati dalle compagnie private all'interno degli aeroporti, fatto questo che ha sollevato il comparto statale da una serie di incombenze, liberando risorse in un Paese come il nostro dove ancora i fenomeni malavitosi organizzati sono preponderanti Pag. 51e anche preoccupanti per una loro estensione verso il nord. In questo modo potremmo tornare ad avere un maggiore controllo del territorio e più gente impegnata in operatività che non in azioni ed operazioni che non hanno più alcun senso.
Quello che preoccupa, sottosegretario, è anche la cronica insufficienza di personale nel settore del soccorso tecnico. Lei conosce benissimo la riduzione e la crisi che ha attraversato la Protezione civile come organismo; non ultimo ci aggiungiamo la riforma della Croce rossa italiana, in quanto anch'essa incide sul comparto. Ma, soprattutto, preoccupa la contrazione dei numeri sui Vigili del fuoco permanenti, anche alla luce dei recentissimi avvenimenti con il terremoto in Emilia. Soprattutto il taglio delle risorse sui Vigili del fuoco preoccupa nei nostri territori - vengo da un territorio di montagna - perché i Vigili del fuoco volontari sono una risorsa fondamentale. Le faccio un esempio banalissimo, che è quello della mia provincia, Belluno. Al di là del comando provinciale di Belluno, abbiamo cinque distaccamenti fissi, che sono Feltre, Agordo, Cortina, Pieve di Cadore e Santo Stefano di Cadore, con circa 200 permanenti. A fronte di questi 200 permanenti abbiamo 32 distaccamenti gestiti da 700 Vigili del fuoco volontari. Lei capisce che il famoso piano di intervento in venti minuti voluto dal comando dei Vigili del fuoco nelle zone di montagna è garantito dal soccorso dei volontari più che da quello dei permanenti in prima battuta e, quindi, un taglio dei fondi ai Vigili del fuoco compromette anche questo fondamentale servizio a favore della comunità, tutto all'interno, ovviamente, della spending review.
Non cito i dati sulle contrazioni, perché li hanno già citati i miei colleghi. Quello che preoccupa è che il taglio, così improvviso, provochi la cosiddetta gobba, ossia quello che è già successo per le forze di sicurezza negli anni del terrorismo quando si diede il via a tutta una serie di assunzioni emergenziali che hanno gonfiato gli organici di quegli anni lì e che oggi rappresenta una gobba che si trascina. Magari il settore avrebbe bisogno di più programmazione e, quindi, anche di fronte alla spending review, un ragionamento a lungo termine andrebbe fatto. Infatti, ovviamente, non assumendo oggi, creiamo nella curva una depressione che poi ci portiamo avanti negli anni.
Quello che mi preoccupa è che questo Governo faccia i tagli e dopo si accorga grosso modo che così non funziona. Allora, se è un Governo di tecnici, magari il ragionamento dovrebbe essere più completo e più a trecentosessanta gradi. Non parlo di come il Governo abbia accolto un atto di indirizzo al Senato per vedere di prospettare l'innalzamento, almeno alla soglia del 50 per cento, per il turnover delle forze di polizia. Ma, soprattutto, mi meraviglia la risposta data al collega Rugghia in Commissione. Gliela leggo perché la ritengo interessante. Il sottosegretario afferma nella risposta: «A tal fine, infatti, l'amministrazione ha interessato il MEF, d'intesa con gli altri Dicasteri, per inserire una specifica previsione normativa in tal senso nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2013 che attualmente è oggetto dei necessari approfondimenti di natura tecnica. Tale intervento correttivo innalzerebbe la percentuale dal 20 per cento del 2012 al 50 per cento per il biennio 2013-2014.
La fisserebbe al 70 per cento per il biennio 2016-2017, con ripristino al 100 per cento a decorrere dal 2018». Dopodiché ci dà delle rassicurazioni e dice: «Il Dicastero persegue con determinazione tale rimodulazione e ne auspica un favorevole esito, che vedrebbe ricompresi anche i vincitori di concorso richiamati dall'onorevole interrogante, essendo finalizzata sia a salvaguardare la funzionalità delle Forze di polizia, compresa l'Arma dei carabinieri, rispondendo nel contempo alle esigenze di sicurezza dei cittadini sia da andare incontro alle legittime aspettative dei volontari in ferma prefissata delle Forze armate e vincitori di concorso. Non si deve trascurare infatti che l'attuale percentuale del turnover determina da un lato, per l'Arma dei carabinieri, una contrazione Pag. 52effettiva stimata in 6.500 unità nel periodo 2012-2016, mentre dall'altro l'impossibilità, per circa 2.500 volontari in ferma prefissata quadriennale, già vincitori di concorso, di essere immessi nelle carriere iniziali delle Forze di polizia».
Allora sottosegretario, devo dire che, se quando eravamo al Governo con il Ministro Tremonti ci lamentavamo che il MEF fosse la macchina che dettava l'agenda politica, devo dire che anche con il Governo dei tecnici il MEF gioca la sua parte, ovvero sembra che alla fine i tagli e la spending review non vengano fatti sulla base delle effettive esigenze e sulla base di una rimodulazione che vada verso l'obiettivo dell'efficacia e dell'efficienza, ma in realtà lo si fa solo per fare quadrare i conti, sottomettendo - evidentemente si intuisce - tutta una serie di dicasteri ai diktat o agli ordini o alle indicazioni (come lei preferisce) del MEF.
Concludo ricordando che noi alla fine chiediamo nella nostra mozione di rivedere rapidamente le valutazioni in termini di riduzione del turnover, proprio per tutte quelle cose che le ho citato nel corso del mio intervento. Comunque, chiediamo anche che alle categorie del personale militare in uscita dall'amministrazione della Difesa per effetto della spending review siano concesse o siano studiate compensazioni che siano comunque in grado di conservare al volontariato militare la sua attuale competitività sul mercato del lavoro; ovvero, se non riusciamo comunque a transitarli all'interno del comparto sicurezza, quantomeno cerchiamo di creare degli scivoli verso il mercato del lavoro.
Concludo con quello che ci sembra essere un atto dovuto: evidentemente, come è già stato fatto per il passato, per quanto riguarda il concorso in atto e soprattutto per quello di 1986 originari aspiranti carabinieri, che quantomeno la graduatoria di quanti risultati idonei venga congelata fino ad esaurimento, ovvero che se l'Arma dei carabinieri intende assorbire nuove forze, le vada a pescare da questi ragazzi, che comunque hanno sostenuto un concorso e comunque sono risultati vincitori, al fine evidentemente di evitare tutti quei contenziosi che in analoghe situazioni per il passato sono avvenuti e di cui ancora stiamo discutendo e sopportando le conseguenze, ma soprattutto per dare, signor sottosegretario, un grande segnale che questo è uno Stato serio e quando bandisce un concorso lo fa perché è sicuro che i numeri che mette a concorso saranno i numeri che servono e che non si creino delle illusioni in questi ragazzi che hanno servito la nazione e che da questa nazione si aspettano un gesto di riconoscimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ascierto, che illustrerà anche la mozione n. 1-01163, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, illustro questa mozione, che ritengo sia un atto importante ed anche indispensabile, visto quello che si sta verificando all'interno delle Forze dell'ordine e di quello che si potrà verificare nei prossimi anni. Noi abbiamo al Governo dei tecnici, al Ministero dell'interno abbiamo dei prefetti. Evidentemente sono stati anestetizzati da Monti quando abbiamo fatto la spending review, me lo faccia dire signor sottosegretario, perché se chi ad esempio, come lei, ha passato una vita all'interno della polizia di Stato ed ha diretto uffici importanti come l'Ucigos, non si accorge che il 20 per cento delle assunzioni nei prossimi anni avrebbe creato qualche problema all'impianto delle Forze dell'ordine, io ho qualche dubbio.
Evidentemente, Monti vi ha anestetizzati e, quindi, avete dovuto subire questa situazione. Non è che con il provvedimento «salva Italia» salviamo l'Italia: così ammazziamo gli italiani, perché la mancanza di Forze dell'ordine in strada genera una criminalità maggiore e gli italiani, poi, subiscono i traumi e i danni di questa attività criminale. Nulla di personale, anzi: io vi esorto a recuperare ciò è stato perduto, perché voi siete uomini delle istituzioni, siete capaci di mettere a posto ciò che adesso non lo è. Pag. 53
Cosa si è verificato? Noi avevamo fatto un provvedimento abbastanza chiaro: dicevamo che per ogni uomo delle Forze dell'ordine che andava in pensione, uno doveva essere arruolato. Ciò anche perché i vuoti organici che esistevano erano evidenti, erano già un problema e, quindi, dovevamo tamponare in qualche modo. E questa era la strada che avevamo intrapreso. Poi, abbiamo anche detto che esiste per le Forze dell'ordine qualcosa di diverso nell'ambito del pubblico impiego, perché c'è una specificità, una peculiarità. Abbiamo lamentato, nell'ambito generale, un'emergenza sicurezza e abbiamo elogiato gli uomini delle Forze dell'ordine ogni volta che si sono distinti in atti davvero encomiabili di eroismo, catturando latitanti o, comunque, dando sicurezza ai cittadini.
Ebbene, noi abbiamo visto che tutta questa specificità, tutta questa attenzione, poi, viene a crollare di fronte ad una grande emergenza, che è quella dell'economia, quella del mondo del lavoro. Per l'amor di Dio, però vorrei dire: nessuno nega tutto questo, ma se bisogna comunque recuperare risorse, non recuperiamole sulla sicurezza né, tantomeno, riducendo gli uomini. Vedete, nel provvedimento della spending review, non solo voi dite che negli anni dal 2012 in poi, fino al 2013, solo il 20 per cento di coloro che vanno in quiescenza possono essere assunti, ma dite di mantenere invariati gli standard di sicurezza. Allora, io dico: se diminuiscono gli uomini, come si fa a mantenere invariato lo standard di sicurezza, cioè, l'apparato come fa ad essere, comunque, identico a quello dell'anno precedente? Io capisco, signor Presidente, che i tecnici hanno sostituito la politica, ma non vorrei che ora si mettessero in testa di poter fare anche i miracoli, sostituendosi anche al Padreterno! Come si fa a fare una cosa del genere?
Pertanto, il suggerimento che vi diamo nella nostra mozione - e che spero trovi terra fertile, altrimenti, non penso che possa essere differente - è quello, intanto, di aumentare la percentuale delle assunzioni; di rispettare l'esigenza delle Forze dell'ordine e di rispettare anche quei ragazzi che si sono impegnati in un concorso, che lo hanno vinto e, dopo aver vinto questo concorso, si sentono dire dal Governo: con la spending review abbiamo ridotto il numero degli occupati e, quindi, anche se tu hai vinto il concorso, ti sei impegnato, ti si è dimesso, casomai, da un lavoro che già avevi, perché andavi a fare il carabiniere, il poliziotto, oppure eri un militare che ha servito l'Italia in giro per il mondo, adesso tu non farai il carabiniere, né il poliziotto, né il finanziere, perché abbiamo ridotto. Che faranno questi ragazzi?
Io ricevuto una telefonata, caro sottosegretario, di un ragazzo che diceva: io ho 27 anni e sono al limite. Ho vinto il concorso e sono tra i primi, pur vincitore di concorso, di coloro che rientrano nei tagli: avrò la possibilità in futuro di essere recuperato, anche se poi supererò il limite di età per cui è prevista l'assunzione? Io gli ho risposto: io ritengo che il Governo esaminerà la questione con attenzione e farà in modo che tutti coloro che hanno vinto questo concorso, nel corso degli anni, possano essere assunti e recuperati.
Infatti, sono ragazzi che hanno tutte le qualità, fisiche e morali necessarie e speriamo che le mantengano nel corso degli anni perché chissà cosa può succedere; soprattutto, speriamo che mantengano questo grande spirito di partecipazione alla vita di un'istituzione importante come quella delle Forze dell'ordine. Dobbiamo fare in modo che questi ragazzi vengano recuperati; ancor più, ne abbiamo la responsabilità, tutti insieme, in Parlamento - ho visto che le mozioni del centrodestra e del centrosinistra hanno una convergenza, in generale, sulla questione - perché abbiamo bisogno di persone che stiano in strada, che servano il Paese e, soprattutto, che siano a disposizione dei cittadini.
Dobbiamo invertire questa tendenza dove i giovani non li facciamo entrare e gli anziani li facciamo restare ancora di più; infatti il Ministro Fornero sta preparando un provvedimento sul quale spero che ripensi, perché fino a 62 o a 63 anni non Pag. 54si può rimanere in servizio, soprattutto attivo; voglio vedere un sessantaduenne correre appresso a un rapinatore, un sessantenne combattere con i ragazzini in strada, in occasione di un intervento di ordine pubblico, o caso mai lo mandiamo allo stadio a prendersi qualche legnata da qualche tifoso. C'è una regola biologica della vita! Se non facciamo entrare i giovani fra qualche anno avremo delle Forze dell'ordine che saranno più o meno un geriatrico, ma non sarà un'istituzione pronta a combattere la criminalità.
Mi ricordo che da giovane potevo fare le mie corse; rincorrevo e riuscivo anche a catturare i criminali quando ce n'era la possibilità; oggi dopo cinque metri mi perdo pure una persona che passeggia con me; quindi, c'è una legge biologica, fisica nell'effettuare il servizio istituzionale nelle Forze dell'ordine e anche nelle Forze armate.
A proposito delle Forze armate apro una parentesi; abbiamo fatto una legge in cui abbiamo detto ai ragazzi: entrate nelle Forze armate, potete avere un futuro garantito, rimanete nelle Forze armate se vi piace, sarete arruolati nelle Forze di polizia perché fino al 2019 e passa li prenderemo solo da chi fa il VFP1, il VFP2, il VFP4; dopodiché iniziamo a ridurre l'ingresso nelle Forze armate, adesso riduciamo anche l'ingresso nelle Forze di polizia, ma, allora, a chi è stato per alcuni anni in Afghanistan, in Iraq, nei vari scenari internazionali, cosa diamo adesso? Una pacca sulla spalla? Bravo, l'Italia si compiace con te, vai a casa e rimani disoccupato. Che prospettive diamo ai nostri giovani? Questa è un'Italia che oggi non dà un futuro a nessuno e lo dà ancorché meno a chi già serve la nostra Patria, in divisa.
Allora, impariamo ad invertire questa tendenza; cerchiamo, più che impariamo, cerchiamo di invertire questa tendenza e cerchiamo di rispettare la dignità degli uomini in divisa; cerchiamo di essere più vicini alle nostre istituzioni, perché poi arrivano i momenti in cui tutti quanti ci stracciamo le vesti, siamo tutti solidali, e non mi riferisco certo a voi che conoscete bene come funzionano le istituzioni; però, nel momento in cui, soprattutto in Parlamento, siamo chiamati a dare qualcosa in più alle Forze dell'ordine, siamo sempre un po' tirchi, col braccetto corto; cerchiamo invece di prendere dove possiamo le risorse e di metterle sul capitolo della sicurezza dei cittadini.
Signor sottosegretario, se mi fa la cortesia, bisogna dirlo a Monti, la sicurezza non è una spesa, la sicurezza è un investimento per il futuro del nostro Paese; è un investimento per i cittadini. Vede, non è che ci possiamo mettere a fare dei calcoli per sapere quanto costa un poliziotto; beh, i calcoli li dovremo fare in questo modo: quanto costa il dramma di una persona che subisce una rapina, il disagio di chi ha perso una persona amata in una tragedia. Queste sono le cose che pesano di più e costano di più.
Costano nel profondo dell'animo, costano nel profondo dell'intimo di ogni uomo. La sicurezza è una grande esigenza dell'Italia e va rispettata per tale e vanno aiutati gli uomini in divisa.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'interno, Carlo De Stefano.
CARLO DE STEFANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, con le mozioni iscritte all'ordine del giorno della seduta odierna si pone la questione del reperimento dei fondi necessari a garantire l'assunzione del personale di polizia, eliminando gli effetti del blocco del turnover disposto dalle norme in materia di spending review. Tali disposizioni prevedono una riduzione delle percentuali del turnover del personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, con il completo ripristino a decorrere dall'anno 2016. Pag. 55
Come ho già avuto modo di evidenziare in Senato, in occasione di analogo dibattito svoltosi lo scorso 27 settembre, le Forze di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, pur in presenza di politiche di contenimento della spesa che da diversi anni hanno caratterizzato gli interventi di finanza pubblica nel nostro Paese, sono sempre stati destinatari, a differenza di altri settori del pubblico impiego, di disposizioni che hanno consentito di assumere personale in numero pari a quello cessato dal servizio. Con la norma in esame, pertanto, il legislatore ha voluto omogeneizzare la facoltà di assunzione di tutte le amministrazioni, fissando anche per le Forze di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco una limitazione della stessa.
Ricordo, inoltre, che l'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012, nel prevedere per le amministrazioni dello Stato una riduzione del 20 per cento degli uffici di livello dirigenziale generale e non generale e delle relative dotazioni organiche, nonché una riduzione del 10 per cento della complessiva spesa relativa al personale non dirigenziale, con conseguente rideterminazione delle dotazioni organiche, ha espressamente escluso dall'ambito di applicazione della norma le strutture e il personale del comparto sicurezza e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Per quanto concerne la problematica dei tagli al comparto sicurezza, voglio evidenziare che nel periodo 2009-2012 la dotazione iniziale di bilancio in dotazione alla pubblica sicurezza, in particolare la spesa riferibile ai consumi intermedi, ha subito tagli in base a quanto disposto dalla legge finanziaria per l'anno 2007, dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, nonché dalla legge 12 novembre 2011, n. 183, ossia la legge di stabilità per l'anno 2012. L'articolo 33, comma 8, della legge di stabilità per l'anno 2012, tuttavia, ha istituito un apposito Fondo per il potenziamento e il finanziamento di oneri indifferibili della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e dei Vigili del fuoco. Nell'esercizio finanziario in corso, inoltre, sono state reperite ulteriori risorse, in particolare dai fondi per le missioni internazionali di pace e dai fondi del Ministro, quale quota parte per l'esigenza dei consumi intermedi.
In relazione al concorso delle Forze armate nel controllo del territorio, cosiddetta «operazione strada sicura», al quale fa riferimento la mozione dell'onorevole Di Pietro, voglio precisare che il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, prevede la possibilità di impiego di 4.250 militari anche per il prossimo anno. Come nei precedenti periodi, il nuovo piano di impiego dovrà essere adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa e sentito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica. L'utilizzo dei militari delle Forze armate in servizio di vigilanza a sedi e obiettivi sensibili, nonché in compiti di perlustrazione e pattuglia in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia, ha consentito e consente tuttora di recuperare aliquote delle Forze dell'ordine prima impiegate nelle citate attività.
Fatte queste premesse, ribadisco anche in quest'Aula che il Governo intende perseguire con equilibrio e rigore gli obiettivi di razionalizzazione della spesa e di lotta agli sprechi connessi all'azione di risanamento finanziario e di superamento della crisi. Sono gli stessi contenuti della manovra, tuttavia, a richiedere a tutte le amministrazioni una disponibilità di sacrifici e la massima attenzione alla realizzazione della riforma resa necessaria dall'attuazione del programma di rimodulazione della spesa. Ma proprio lo spirito del provvedimento, che è quello della invarianza nei servizi resi ai cittadini, postula di per sé che la comunità nazionale non debba subire una compressione nella erogazione dei servizi ai cittadini. Tuttavia, la complessità del sistema di reclutamento e avanzamento in carriera delle Forze di polizia non poteva non risentire degli effetti negativi di un provvedimento ispirato alla austerità, severità e rigore. In questo senso, non si possono non condividere le preoccupazioni espresse da tutti gli onorevoli presentatori delle mozioni. Pag. 56
Prima ancora che il Parlamento si rendesse interprete del problema, il Governo si è interrogato, nella sua collegialità, al fine di introdurre quei correttivi che, senza inficiare lo spirito della spending review, consentissero di superare gli effetti negativi della riduzione del turnover. Da qui l'esigenza di bilanciare il programma di contenimento della spesa pubblica con l'esigenza di non abbassare i livelli di funzionalità del sistema sicurezza.
Della questione si è discusso in diverse riunioni del Consiglio dei Ministri, sulla base di una modifica normativa formulata dal Ministero della difesa che innalzerebbe la percentuale del turnover secondo un principio di gradualità per ciascuno degli anni considerati, passando dal 20 per cento del 2012 al 50 per il triennio 2013-2015, al 70 per cento per il biennio 2016-2017 e al 100 per cento a decorrere dal 2018.
Il Ministro Cancellieri ha pienamente condiviso la proposta, sottoponendo alle valutazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri l'opportunità di un ritocco della percentuale al 50 per cento anche per il 2012, e ciò per corrispondere a esigenze specifiche delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco. L'emendamento è attualmente oggetto di un approfondimento di natura tecnica ed economica. È, comunque, intenzione del Governo presentare questa proposta emendativa nell'ambito del disegno di legge di stabilità, che deve essere approvato dal Parlamento entro il corrente anno. Tale intervento mira solo a rispondere ad esigenze di sicurezza, ma non deve essere letto come tentativo di vanificare l'impianto complessivo della spending review. L'intervento emendativo, pur nella consapevolezza che la politica dei sacrifici introdotta dalla spending review avrebbe comportato un abbassamento dei livelli di sicurezza, non intacca lo spirito di severità che ha ispirato la manovra di contenimento della spesa.
Voglio ribadire, anche in quest'Aula, che qualsiasi progetto di riorganizzazione non potrà mai, comunque, comportare un arretramento dello Stato sul fronte dell'ordine e della sicurezza pubblica, la cui tutela costituisce obiettivo primario del Governo. Il Ministro dell'interno, infatti, intende promuovere ogni possibile iniziativa per non fare mancare al sistema complessivo della sicurezza nel nostro Paese le risorse necessarie, pur in un momento di grande difficoltà.
Muovendosi lungo la linea tracciata dall'Esecutivo fin dal decreto «salva Italia», il Governo sottopone alla responsabile valutazione della Camera le considerazioni svolte e gli impegni illustrati, sui quali confida in un decisivo apporto volto a orientare e a confortare l'azione dell'istituzione pubblica nella prospettiva di un duplice obiettivo: la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e la salvaguardia degli equilibri complessivi di bilancio, che hanno consentito al Paese di acquistare una nuova immagine.
Nella compatibilità con questo parametro macroeconomico, il Governo si impegna a valutare, in uno spirito di apertura, tutti i problemi sollevati, avendo cura, però, di non alterare l'equilibrio che l'azione di Governo intende perseguire. L'impegno richiesto al Governo con le mozioni Di Pietro ed altri n. 1-01147, Fiano ed altri n. 1-01140 (Nuova Formulazione), Galletti ed altri n. 1-1160, Gidoni ed altri n. 1-1161 e Mantovano ed altri n. 1-01163 potrebbe essere, pertanto, riformulato, alla luce delle considerazioni svolte e sulla base di analoghi impegni assunti in Senato, in relazione alla possibilità di innalzare il limite del turnover per le assunzioni del personale dei comparti difesa, sicurezza e soccorso pubblico. In questa direzione sembra muovere la mozione Di Biagio ed altri n. 1-01157.
In merito all'ulteriore tema affrontato dagli onorevoli Di Biagio, Di Pietro, Fiano e Mantovano, di garantire risorse al Fondo unico per la giustizia, posso assicurare che il Governo favorirà l'approvazione, in tempi brevi, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri necessario per la distribuzione delle risorse del Fondo unico giustizia. In tal senso sono in corso contatti tra i Ministeri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, al Pag. 57fine di individuare soluzioni che permettano di ricomprendere tra le quote di fondo divisibile anche una parte dei titoli in sequestro, previa loro monetizzazione.
Con riferimento, invece, all'impegno richiesto al Governo nelle mozioni Di Pietro ed altri n. 1-01147 e Galletti ed altri n. 1-1160, relativo al risarcimento a favore del personale dei comparti interessati per la conseguenza del blocco stipendiale e del riordino delle carriere, ricordo che con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 31 luglio 2010, n. 122, lo Stato ha istituito un Fondo perequativo a favore del personale dei comparti di sicurezza e del soccorso pubblico. I relativi stanziamenti sono già stati corrisposti per il 2011, mentre è ancora in fase di approfondimento e di definizione il decreto di attribuzione per il corrente anno.
Questi due ultimi punti della parte dispositiva delle mozioni Di Biagio ed altri n. 1-01157, Di Pietro ed altri n. 1-01147, Fiano ed altri n. 1-01140 (Nuova Formulazione) e Galletti ed altri n. 1-01160 prevedono contenuti sui quali il Governo è già adeguatamente impegnato.
In relazione alla mozione presentata dall'onorevole Gidoni e dall'onorevole Mantovano, voglio ribadire che il Governo persegue con determinazione la possibilità di rimodulare le percentuali del turnover, cosa che avrebbe positive ricadute anche sui vincitori dei concorsi dei comparti difesa e sicurezza.
La proposta emendativa alla quale ho prima accennato, infatti, è volta a salvaguardare la funzionalità delle Forze di polizia, rispondendo all'esigenza di sicurezza dei cittadini, ma anche alle legittime aspettative dei volontari in ferma prefissata delle Forze armate, vincitori di concorso.
Voglio infine invitare a valutare la possibilità di ritirare l'ultimo punto dell'impegno contenuto nella mozione dell'onorevole Fiano, su cui poi è intervenuto anche l'onorevole Di Biagio, successivamente, trattandosi di problematiche più particolari e più specifiche, che attengono alla Direzione del servizio antimafia, già oggetto di dibattito in altre sedi parlamentari.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
In morte del deputato Massimo Vannucci.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, nella giornata del 5 ottobre scorso, la Camera dei deputati è stata colpita da una dolorosa perdita: è mancato, infatti, l'onorevole Massimo Vannucci, un collega che tutti noi abbiamo avuto modo di apprezzare per le sue qualità umane e per l'impegno sempre profuso nell'assolvimento del mandato parlamentare.
La figura dell'onorevole Vannucci sarà commemorata dal Presidente della Camera in una prossima seduta.
Il Presidente della Camera ha già fatto pervenire ai familiari dell'onorevole Vannucci i sensi del più profondo cordoglio e della più intensa partecipazione al loro dolore, che rinnovo sin d'ora anche a nome dell'intera Assemblea.
La Camera peraltro ha partecipato, attraverso la mia persona, alle esequie svoltesi nella giornata di domenica.
Proclamazione di un deputato subentrante.
PRESIDENTE. Dovendosi procedere alla proclamazione di un deputato, a seguito del decesso del deputato Massimo Vannucci avvenuto in data 5 ottobre 2012, comunico che la Giunta delle elezioni ha accertato, nella seduta dell'8 ottobre 2008 - ai sensi dell'articolo 86, comma 1, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 -, che il candidato, che nell'ordine progressivo della stessa lista n. 5 - Partito Democratico nella medesima XIV circoscrizione Marche, segue immediatamente l'ultimo degli eletti, risulta essere Francesco Verducci. Pag. 58
Do atto alla Giunta di questo accertamento e proclamo deputato, a norma dell'articolo 17-bis, comma 3, del Regolamento, per la XIV circoscrizione Marche, Francesco Verducci.
Si intende che da oggi decorre il termine di venti giorni per la presentazione di eventuali ricorsi.
Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data odierna, la deputata Maria Grazia Laganà Fortugno, già iscritta al gruppo parlamentare Partito Democratico, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risulta pertanto iscritta.
Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il senatore Riccardo Villari, in sostituzione del senatore Pasquale Viespoli, dimissionario.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 9 ottobre 2012, alle 11:
1. - Deliberazione sulla richiesta di stralcio relativa al disegno di legge C. 5019 ed abbinate.
2. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 601-711-1171-1198 - D'iniziativa dei senatori: GIULIANO; CASSON ed altri; BIANCHI ed altri; MUGNAI: Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (C. 3900-A).
e delle abbinate proposte di legge: CONTENTO; PECORELLA; CAVALLARO; CAPANO ed altri; BARBIERI; MANTINI ed altri; FRASSINETTI ed altri; CASSINELLI ed altri; MONAI; RAZZI ed altri; CAVALLARO ed altri (C. 420-1004-1447-1494-1545-1837-2246-2419-2512-4505-4614).
- Relatore: Cassinelli.
3. - Seguito della discussione delle mozioni Bersani, Cicchitto, Casini, Misiti, Angela Napoli, Nucara, Moffa, Belcastro e Mosella n. 1-01118 e Di Pietro ed altri n. 1-01129 concernenti iniziative a favore della Calabria.
4. - Seguito della discussione delle mozioni Dozzo ed altri n. 1-01146, Misiti ed altri n. 1-01158, Aniello Formisano ed altri n. 1-01159, Ossorio ed altri n. 1-01162, Fitto ed altri n. 1-01164 e Boccia ed altri n. 1-01165 concernenti criteri di riparto delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione.
5. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
DAMIANO ed altri; DOZZO ed altri; PALADINI ed altri: Modifiche alla vigente normativa in materia di requisiti per la fruizione delle deroghe in materia di accesso al trattamento pensionistico (C. 5103-5236-5247-A).
- Relatore: Muro.
6. - Seguito della discussione delle mozioni Fiano ed altri n. 1-01140, Di Pietro ed altri n. 1-01147, Di Biagio ed altri n. 1-01157, Galletti ed altri n. 1-01160, Gidoni ed altri n. 1-01161 e Mantovano Pag. 59ed altri n. 1-01163 concernenti iniziative per garantire adeguate risorse ai comparti della sicurezza, della difesa e del soccorso pubblico, con particolare riferimento all'assunzione di nuovo personale.
La seduta termina alle 20,15.
CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARIALUISA GNECCHI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 5103-5236-5247-A
MARIALUISA GNECCHI. Negli ultimi 20 anni ogni Governo ha agito sul sistema previdenziale, nel 1992 si è alzata l'età per la pensione di vecchiaia dai 55 anni verso i 60 per le donne, dai 60 anni verso i 65 per gli uomini e i famosi 35 verso i 40 per le pensioni di anzianità, con gradualità di un anno ogni 2 anni solari, nel 1995 si sono modificati strutturalmente molti meccanismi, si è introdotto il sistema di calcolo contributivo, è nata la gestione separata per permettere l'iscrizione previdenziale ai nuovi lavori, si sono garantite ancora molte gradualità; il Governo Prodi ha proseguito con linearità sulle riforme iniziate, tra il 2001 e il 2006, invece, Maroni ha agito pesantemente, Damiano tra il 2006 e 2008 è noto solo per la correzione dello «scalone in scalino», ma nella realtà sono stati molti gli interventi per perfezionare gli interventi lungimiranti precedenti, con la definizione dei lavori usuranti e altre gradualità che tenevano conto della realtà del mondo del lavoro; purtroppo dall'inizio di questa legislatura già nel maggio del 2008 si è iniziato lo smantellamento del sistema con grandi contraddizioni.
A partire dal pubblico impiego, nella stessa legge nel 2008 si sono previsti i pensionamenti coatti, ma contemporaneamente anche l'esonero dal servizio per chi aveva almeno 35 anni, garantendo una retribuzione del 50 o 70 per cento in attesa di pensionamento; l'anno successivo l'innalzamento della pensione di vecchiaia delle donne dai 60 ai 65 anni, nel 2010 una finestra per tutti, pubblici e privati di 12 mesi sia per le pensioni di vecchiaia che per quelle di anzianità e di 18 mesi per i lavoratori autonomi e si sono rese onerose tutte le ricongiunzioni di contributi, proprio quando ormai i cambiamenti di lavoro sono il normale percorso nella vita delle persone; le privatizzazioni negli ultimi 20 anni hanno moltiplicato le modifiche di iscrizione agli enti previdenziali, quindi innovazioni legislative in direzione opposta alla realtà senza alcun monitoraggio.
Gli interventi legislativi Berlusconi/Tremonti/Sacconi hanno comportato che nel 2011 le prime liquidazioni di pensione si sono dimezzate (-29,3 per cento le pensioni di vecchiaia e -14,7 per cento le pensioni di anzianità rispetto all'anno precedente), ormai tutte le fonti concordano che per effetto dell'insieme delle modifiche, comprese quelle Monti/Fornero, già nel 2020, quindi tra 8 anni l'Italia avrà la più elevata età di pensionamento tra i 27 paesi dell'Unione Europea, tutta a spese degli attuali «pensionandi»!
Già Sacconi aveva dichiarato nel 2009 che non sarebbero stati necessari interventi sul sistema pensionistico perché già in equilibrio; Mastrapasqua ogni anno nella relazione sul bilancio annuale dell'Inps snocciola dati molto rassicuranti, nel 2010 aveva parlato addirittura di un attivo dei fondi pensione gestiti dall'Inps di 9 miliardi e 700 milioni a chiusura del 2009.
Monti il 17 novembre nel discorso programmatico aveva dichiarato: «Negli scorsi anni la normativa previdenziale è stata oggetto di ripetuti interventi, che hanno reso a regime il sistema pensionistico italiano tra i più sostenibili in Europa e tra i più capaci di assorbire eventuali shock negativi. Già adesso l'età di pensionamento, nel caso di vecchiaia, tenendo conto delle cosiddette finestre, è superiore a quella dei lavoratori tedeschi e francesi».
Invece il 6 dicembre, quindi pochi giorni dopo, ci siamo ritrovati il Salva Italia alla Camera (vedi Atto Camera Pag. 60n. 4829, pagina 99) in cui i risparmi più consistenti erano costituiti dai tagli sulle pensioni, senza salvaguardare nessun lavoratore espulso dal mondo del lavoro per la crisi economica.
C'è da augurarsi a questo punto che nessuno dica mai più che il sistema è in equilibrio, perché non possiamo immaginare cosa potrebbe accadere! Monti nel discorso da Presidente del Consiglio di fine d'anno ha dichiarato che nessuno sarebbe stato abbandonato dal Governo, l'ha ripetuto in aula in occasione del voto sulla riforma del mercato del lavoro, perché il PD ha condizionato il proprio voto alla soluzione delle criticità della riforma pensioni, c'è stato un ulteriore contingente di 55 mila salvaguardati, ma non è ancora sufficiente.
La ministra Fornero alla Camera l'11 luglio ad una interrogazione del PD (n. 3-02379) ha risposto testualmente: «Vorrei, però, anche sottolineare un aspetto che mi sembra sia sotteso alla domanda degli interroganti, e cioè il fatto che è vero che la riforma genera nel complesso risparmi molto cospicui, ma questi risparmi sono stati interamente contabilizzati a riduzione del disavanzo pubblico e del debito, e quindi ogni ulteriore procedimento di spesa necessita di un finanziamento».
Ha parlato di importi da 2 miliardi e 700 milioni nell'immediato a 22 miliardi nel 2020, cifre diverse da ciò che abbiamo letto nella relazione della Ragioneria di Stato accompagnatoria del Salva Italia, ma ormai sappiamo che sui numeri dobbiamo aspettare monitoraggi credibili, perché fino ad oggi non abbiamo riscontri oggettivi.
Dichiarazioni difficili da accettare per tutti coloro che si sono battuti negli anni per pretendere la separazione tra assistenza e previdenza, in parte conquistata con la Legge n. 88 del 1989, per poter capire e monitorare costantemente l'equilibrio delle gestioni. Legge che sarebbe ancora da perfezionare, ma assolutamente incompatibile con una logica di sottrazione dal bilancio dell'INPS di risorse per coprire il debito pubblico.
La cosa assolutamente inconcepibile e inaccettabile è che tutto ricada su coloro che in questi anni avrebbero dovuto andare in pensione, non c'è una decurtazione o una distribuzione equa della necessità di «far cassa», già difficile da accettare, ma almeno generalizzata, tutto si concentra su una platea anagrafica di sfortunati che pagano per tutti.
Abbiamo condiviso la scelta del contributivo per tutti dal 2012, tutti condividiamo la necessità di ridurre il costo del lavoro; diverso, infatti, sarebbe stato immaginare risparmi finalizzati a questo obiettivo, ma così come si sta attuando si assiste veramente solo ad un furto di risorse dei lavoratori e delle aziende, in un periodo in cui la crisi mette a dura prova e ogni giorno ci sono persone che perdono il lavoro e troppe che non lo trovano.
La manovra Monti/Fornero incide profondamente nella vita delle persone, nelle attese, nei progetti di vita, ma soprattutto non tiene conto di tutto ciò che è accaduto in questi anni di crisi economica, tutti coloro che hanno perso il lavoro, aziende che hanno chiuso, lavoratori autonomi con un singolo dipendente che sono stati costretti a rinunciare alla propria attività, la pensione non può essere un ammortizzatore sociale, ma non si può neanche negarla ad un passo dalla riscossione e spostarla di anni! Stiamo assistendo a troppe contraddizioni, a dicembre in Commissione abbiamo ottenuto un'unica gradualità per i nati nel 52, ma solo per i privati; ostinatamente la ministra ha negato l'estensione al pubblico impiego e adesso pensano a pensionamenti coatti per gli esuberi, nel mille proroghe abbiamo ottenuto la possibilità di salvaguardia per chi ha perso il lavoro, ma vengono trattati meglio i lavoratori che hanno impugnato il licenziamento e chi lo ha accettato riconoscendo la difficoltà del datore di lavoro non viene considerato, sta 6 o 7 anni senza lavoro, senza ammortizzatore sociale, senza pensione; sono trattati meglio i lavoratori delle grandi aziende, che hanno accettato esodi incentivati o sono inseriti in accordi di mobilità. Per esempio, Fornero ci spiega che da sempre si manteneva Pag. 61il diritto a pensione chi lo maturava nell'ambito della mobilità, questo è vero, ma forse non sa che questo calcolo è sempre stato fatto e che si programmava al momento dell'accordo chi mettere in lista di mobilità prima e chi dopo; si considerava l'eventualità di versamenti volontari per perfezionare il requisito, si teneva conto del compimento dei 60 anni, in particolare per le donne, o della «quota» da raggiungere. Con il Salva Italia tutto questo è saltato, pensiamo solo all'innalzamento dell'età della pensione di vecchiaia delle donne. Con il decreto interministeriale si esclude dalla salvaguardia chi abbia intrapreso qualunque attività lavorativa, dimenticando che chi gode di ammortizzatori sociali, mobilità e disoccupazione deve accettare un lavoro se i servizi per l'impiego glielo propongono: per legge è stato costretto ad accettare e adesso con decreto lo si punisce? Sostenendo in continuazione che bisogna che tutti si attivino a cercare lavoro e non vivano solo di sostegno pubblico.
Rimane incomprensibile inoltre la penalizzazione per le donne: spostare l'età per la pensione di vecchiaia, fino al 31 dicembre 2011 requisito 60 anni, dal giorno dopo 62, in modo da creare la rincorsa per cui l'innalzamento è stato repentino, da un giorno all'altro di 5 anni, quando nel 1992 l'innalzamento è stato di 1 anno ogni 2 anni solari, era proprio necessario? Per un risparmio (sempre pagina 99 dell'Atto Camera n. 4829) di 157 milioni nel 2013 e 775 milioni nel 2014, crescenti, ma sulla pelle di chi avrebbe goduto entro pochi mesi di una pensione media di 642 euro mensili, perché di questo stiamo parlando, di pensioni basse, che per la singola donna sono un valore inestimabile, ma come risparmio una goccia nell'oceano.
Va tenuto conto inoltre che tra età per la pensione di vecchiaia e «quote» ogni singolo lavoratore o lavoratrice alla fine della mobilità si ritrovava un periodo breve di attesa, mentre adesso tra il maturare il diritto nell'ambito della mobilità o meno rischia di ritrovarsi senza ammortizzatore sociale e senza pensione anche per 6 o 7 anni!
Fanno notizia «gli esodati»: per fortuna almeno si sono accesi i riflettori, non esistevano come salvaguardati all'origine del provvedimento, sono stati inseriti nel milleproroghe. Su questo si apre un discorso sulla certezza del diritto, è evidente che un lavoratore avrebbe il diritto di aspettarsi che le condizioni previste nel momento in cui ha firmato un accordo rimangano tali e che anche eventuali modifiche legislative dovrebbero tenerne conto, quindi giusto e equo sarebbe molto semplicemente prevedere che si mantengono le condizioni valide nel momento della firma di un accordo di mobilità, di esodo o altro. Ma ancor più grave è non aver considerato tutti i lavoratori e le lavoratrici che non hanno firmato nessun accordo e che si sono ritrovati licenziati o senza lavoro per la crisi, non hanno goduto di ammortizzatori sociali, di incentivi, di nulla! L'unica cosa che potrebbero dimostrare è di aver avuto diritto all'indennità di disoccupazione, lo abbiamo chiesto più volte, ma non siamo riusciti a farlo capire.
L'ultimo messaggio dell'INPS inoltre esclude totalmente dalla salvaguardia tutti coloro che hanno goduto di ammortizzatori sociali in deroga, quindi corrisposti dalle regioni; sembra veramente che si stia cercando di non dare le pensioni, piuttosto che di capire la situazione del mercato del lavoro.
L'attuale situazione è che chi ha perso il lavoro e non ha goduto di nessuna tutela è nella condizione più grave e per tutti sta diventando veramente una lotteria, con conseguenze gravissime anche nel clima sociale in generale; si alimenta in questo modo la sfiducia nelle istituzioni, nello Stato, ogni famiglia ha qualcuno che è stato colpito duramente e il disagio si generalizza. Il decreto sul risparmio della spesa pubblica (decreto legge n. 95 del 2012) ha alimentato un altro motivo di conflitto, quello più classico, tra lavoratori del settore pubblico e privato, per far fronte agli esuberi di personale ha previsto Pag. 62che 24 mila 500 dipendenti vengano collocati in pensionamento coatto con le regole previgenti, creando quindi il senso di iniquità; non è detto che chi subirà l'espulsione sia contento, ma sicuramente sarà invidiato da chi dovrà lavorare tanti anni in più e verrà visto come privilegiato da chi nel privato ha perso il lavoro e non ha nulla. Probabilmente se dal maggio del 2008 non fossero stati fatti interventi legislativi, ma si fosse garantita la possibilità di scelta volontaria di uscita si sarebbe raggiunto lo stesso risultato di uscite che adesso si imporrà, ma non lo sapremo mai perché non c'è stata programmazione e gli interventi sono stati tutti contraddittori. L'unica cosa certa è che tutti si sentono vittime di ingiustizie insopportabili e cresce a dismisura la sfiducia nelle istituzioni.
Nella sfiducia e paura generale è avvilente verificare che il Governo ha deciso a priori un numero di persone da tutelare e tutto viene costruito per confermare questo numero deciso a tavolino e non in seguito ad un monitoraggio reale, per cui la legge prevedeva delle condizioni per essere salvaguardati, resisi conto che la platea è superiore a quella immaginata all'origine con il decreto ministeriale attuativo hanno aggiunto vincoli, andando oltre la legge, ma soprattutto negando la storia di istituti previdenziali che hanno disegnato il nostro sistema.
L'esempio classico, oltre a quanto già detto per i lavoratori nelle liste di mobilità e disoccupazione, è quello della prosecuzione alla contribuzione volontaria: la sua istituzione dimostra la serietà di un paese che invita cittadini e cittadine a tener conto che si vivrà anche dopo la fine del lavoro e che si deve pensare alla pensione durante tutta la vita. La possibilità di prosecuzione volontaria è il vero messaggio educativo, non gli spot televisivi che ci sono stati presentati il 29 maggio alla Camera in occasione della relazione annuale sul bilancio dell'INPS; la prosecuzione volontaria è ricordare a cittadini e cittadine che nei periodi di inoccupazione devono pensare alla pensione e versare i contributi; per incentivare questa scelta responsabile verso il futuro la legislazione ha sempre garantito sicurezza e vantaggi a chi si era ritrovato costretto a far domanda di prosecuzione volontaria perché aveva perso il lavoro o per tante altre situazioni particolari e personali che nella vita possono accadere. La prima legge che non ha riconosciuto il diritto alla salvaguardia dei requisiti previgenti è stata la n. 122 del 2010 che ha applicato a tutti i lavoratori dipendenti la finestra di 12 mesi e agli autonomi di 18 mesi per la decorrenza del trattamento pensionistico dopo la maturazione dei requisiti senza esentare i prosecutori volontari; il Salva Italia ha posto tra i salvaguardati chi ha fatto domanda di prosecuzione volontaria entro il 4 dicembre 2011, ma il decreto ministeriale applicativo ha introdotto limiti aggiuntivi non previsti dalla legge, ha previsto che non si debba aver mai lavorato dopo l'autorizzazione e che si sia versato almeno un contributo prima del 4 dicembre 2011. Sono due requisiti assolutamente assurdi rispetto a questo istituto previdenziale, perché si ha l'autorizzazione valida per tutta la vita, proprio a dimostrazione che quando non si lavora si deve comunque pensare alla futura pensione, e se mancano poche settimane o pochi mesi per perfezionare il requisito pensionistico, tutti hanno consigliato al lavoratore e alla lavoratrice di versare i contributi poco prima del possibile diritto a pensione, perché si poteva sempre aspirare ad un contratto di lavoro e quindi non aver più bisogno di versare volontariamente. Quindi questi due vincoli dimostrano di non conoscere o non condividere lo spirito con il quale il sistema previdenziale ha creato alcune certezze, ma in questo caso non doveva essere un decreto legge a demolirle, ma una riflessione e un dibattito molto più ampio e condiviso per impostare una modifica. La disciplina della prosecuzione volontaria, introdotta nell'ordinamento previdenziale quasi contemporaneamente all'obbligo del versamento contributivo, ha subito nel corso degli anni numerose e profonde modifiche, ma mai ne era stato stravolto il significato in questo modo. Pag. 63
Tutta l'impostazione dei vincoli aggiuntivi rispetto al testo originario del Salva Italia dimostra anche che non si tiene conto di tutte le partite IVA «spintanee», di tutti quei lavoratori che si sono ritrovati costretti ad aprire la partita IVA perché spinti dal proprio datore di lavoro per risparmiare sui propri costi o che hanno provato a sopravvivere in quel modo dopo aver perso il lavoro: anche tutti questi lavoratori e lavoratrici sono esclusi dalla salvaguardia, anche questo è inaccettabile.
Nel 1996 diviene operativa la gestione separata per i lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi, professionisti non iscritti ad altra previdenza obbligatoria e venditori porta a porta) che fino a quella data non avevano alcuna copertura previdenziale. Questa è stata una dimostrazione molto significativa della capacità del sistema previdenziale di rispondere alle modifiche del mondo del lavoro: non esistevano più solo il lavoro dipendente o autonomo o professionale, ma tante altre forme di possibili lavori e quindi si è creata la gestione separata per permettere a tutti di avere una previdenza pubblica obbligatoria che porti alla pensione! L'attuale intervento Monti/Fornero va assolutamente in controtendenza, sembra immaginare una tipologia unica di lavoratore, un lavoratore dipendente, che può essere messo in mobilità o esodato con incentivo e qualora si trovi in questa condizione deve rimanere tale, perché ogni modifica lo esclude da questa immagine stereotipata, a parole invece il Governo dice: siate flessibili, cambiate lavoro eccetera. Tutti i cambiamenti sono invece stati penalizzati e le donne omologate a questa immagine di lavoratore maschio e di grande azienda!
Abbiamo assistito ad interventi contro il sistema previdenziale, contro la certezza del diritto, interventi che stanno gettando nella disperazione troppa gente, è evidente che al prossimo Governo spetterà l'onere di riaffrontare la situazione e pensare ad una riforma delle pensioni che restituisca tranquillità e soprattutto flessibilità e che tenga conto della realtà economica non solo per far cassa sulle pensioni, ma per rispondere alle esigenze di lavoratori e lavoratrici e del mondo del lavoro.
Manca equità e giustizia anche nelle seguenti situazioni.
Ad oggi va segnalato che tutti coloro che sono rientrati nella mobilità in deroga, quella cofinanziata dalle Regioni, sono totalmente esclusi da ogni clausola di salvaguardia, quindi tutti i lavoratori e le lavoratrici delle crisi aziendali dal 2008 che non potevano godere della mobilità ex Legge n. 223 del 1991 (esplicitamente esclusi dal messaggio INPS 13343 del 9 agosto 2012, punto 2.1), nello stesso messaggio per quanto riguarda l'aspettativa di vita (3 mesi aggiuntivi dal 2013) si ribadisce che non verranno considerati per chi è cessato dal lavoro entro il 31 dicembre 2011, mentre tutti coloro che rientrano in accordi di mobilità ordinaria e lunga (non in deroga che è già esclusa) firmati anteriormente al 4 dicembre 2011, con cessazione del rapporto di lavoro dal 1o gennaio 2012 l'adeguamento dell'aspettativa di vita di 3 mesi rischia di non permettere la maturazione dei requisiti pensionistici entro la fine della mobilità.
Sempre lo stesso messaggio INPS 13343 precisa inoltre che non vengono considerati eventuali periodi di sospensione della mobilità per qualunque tipo di attività lavorativa temporanea successiva al 24 luglio 2012, quindi istigazione al lavoro nero o comunque in contraddizione con l'invito a trovare lavoro.
Fin dall'arrivo in aula del Salva Italia abbiamo cercato di far rientrare nella salvaguardia, pensione con le regole previgenti, i lavoratori licenziati per la crisi, per i fallimenti di azienda, dipendenti di piccole aziende che non godono di ammortizzatori e sostegni, la circolare ministeriale n 19 del 2012 e la circolare INPS non prevedono garanzie per chi non possa allegare un accordo collettivo o individuale, ma chi è stato licenziato perché l'azienda ha ridotto il personale o ha chiuso non ha un accordo da allegare!
Ecco alcuni casi classici di licenziati: Carlo L.: «Non sono un salvaguardato, già da dicembre 2011 non ho nessuna entrata, Pag. 64sono stato licenziato non ho fatto nessun accordo, piccola azienda, riduzione di personale, sono stati licenziati quelli più vicini alla pensione, nel 2011 avevo già 36 anni di contributi, ero a due anni dalla pensione (quota 96 al 1o settembre 2012, compimento dei 60 anni, erogazione pensione ottobre 2013). Non trovo lavoro, ho qualche problema di salute e l'ansia mi amplifica tutto, di cosa vivrò se devo arrivare alla pensione di vecchiaia, quindi 7 anni senza nulla?».
Rita P.: «Sono nata nel marzo 1952, nel 2006 sono stata licenziata da un'azienda privata a causa di dismissioni di personale. Nel 2007 ho ottenuto un contratto a progetto, regolarmente registrato, della durata di circa 6 mesi e poi più nulla. Ho versato i contributi per 31 anni. Con i risparmi ho vissuto fino ad ora, ma prima la riforma Tremonti che ha spostato la finestra, portando la mia possibilità di avere la pensione di vecchiaia solo nel 2013 ed ora quest'ultima riforma allucinante mi sposta di altri 4 anni, non mi hanno ancora detto se l'essere stata licenziata è un caso contemplato, ma anche se lo fosse mi dicono che verrei esclusa perché ho lavorato dopo il licenziamento, se non avessi avuto il contratto a progetto sarei salvaguardata, ma non è giusto, in questo modo si favorisce solo il lavoro nero e io non ho nulla dal 2007! E non trovo nulla».
Lea P.: «In prossimità del raggiungimento dei requisiti (40 anni ante riforma) che avrei raggiunto ad ottobre 2012 a 58 anni, ho perso il lavoro senza accordi e senza incentivi all'esodo, percepirò fino a settembre la disoccupazione, che dimostra che sono stata licenziata, mi troverò da ottobre in avanti senza reddito e con la previsione di arrivare alla pensione di vecchiaia a 67 anni non potendomi pagare i contributi, 1 anno e qualche mese, in quanto rimasta senza lavoro».
Roberto C.: «Vivo a Verona, sono nato nell'aprile del 1952, ho iniziato a lavorare come dipendente nel settembre del 1973, dopo 15 mesi di servizio militare, proseguendo ininterrottamente fino a settembre 2009 e maturando 38 anni e qualche mese di contributi. Sono stato licenziato il 30 settembre 2009 (l'azienda aveva meno di 15 dipendenti, quindi licenziamento individuale, senza alcuna tutela, e senza alcun accordo con i sindacati) e sono attualmente iscritto alla lista di mobilità ordinaria non retribuita ex Legge n. 236 del 1993. A 60 anni nessuno ti assume più, a parte un contratto a termine per 4 mesi quest'anno, e mi ero ormai rassegnato ad attendere i due anni che mi separavano dalla pensione da disoccupato, mangiandomi il poco TFR rimastomi. Prima della Riforma Fornero avrei infatti maturato i requisiti nell'aprile del 2012 e per effetto della finestra mobile, acquisito la pensione con decorrenza maggio 2013. Alla luce della nuova manovra (è la quarta manovra che subisco, molte - troppe) mi ritrovo invece a dover attendere - senza alcun reddito e tutela - ben fino al 2016. Mi chiedo perché nessuno abbia pensato ai tanti (o forse troppi) nella mia situazione, e si sia invece ritenuto di salvaguardare con l'apposita clausola solo coloro che sono in mobilità pagata con accordo sindacale. Le sembra giusto ed equo?».
Il decreto ministeriale di attuazione del comma 14 dell'articolo 24 della Legge n. 214 del 2011 ha inserito vari vincoli per ridurre la platea degli aventi diritto esclude tutti coloro che hanno svolto attività lavorativa dopo la risoluzione del rapporto di lavoro, prevede che chi ha avuto l'autorizzazione alla volontaria non abbia mai lavorato dopo (la domanda di prosecuzione volontaria vale per tutta la vita) e prevede almeno un contributo versato prima del 4 dicembre 2011, chi doveva versare qualche mese, dopo la mobilità o per raggiungere il requisito avrebbe versato poco prima del diritto a pensione, perché si ha sempre la speranza di trovare un lavoro, quindi è una richiesta solo per escludere persone oltre all'estensione a tutti e già dal 2013 dell'aspettativa di vita che esclude molti in particolare in mobilità perché non permette loro di maturare i requisiti durante la mobilità.
Ecco alcuni casi, tutte persone in carne ed ossa, non salvaguardate e che sarebbero Pag. 65andate in pensione: Martina M. (ex lavoratrice Stock srl Trieste), Marina Z. (ex lavoratrice Stock srl Trieste): «Siamo due ex lavoratrici della Stock srl di Trieste (industria liquori) uscite dall'azienda (licenziamento collettivo) il 31 dicembre 2008 con la messa in mobilità Legge n. 223 del 1991 per tre anni fino all'8 maggio 2012. Uscite dall'azienda abbiamo chiesto e ottenuto da parte dell'INPS a far data dal 1o gennaio 2009 l'autorizzazione alla contribuzione volontaria, perché appena uscite dalla mobilità avremmo pagato 4 mesi di contribuzione volontaria per poter fissare i 40 anni di anzianità al 4 settembre 2012 (con la legge previgente). Con la legge Salva Italia saremmo state salve, con il Decreto Interministeriale del 1o giugno 2012 è stato fissato il paletto di almeno un contributo accreditato/accreditabile entro il 2011. Come fa un lavoratore se esce dalla mobilità nel 2012 a versarlo nel 2011? C'è proprio una doppia contribuzione! Ma come potevamo versarlo se eravamo in mobilità? Siamo a un passo dal compimento dei 40 anni (con la legge previgente) e non riusciamo ad entrare in nessuna casistica né nei 65 mila e neanche nei 55 mila, perché c'è sempre il malefico «paletto». Ai sensi della previgente normativa noi matureremmo il diritto all'erogazione della pensione, tenendo conto della finestra di 12 mesi, più un mese di aspettativa di vita entro novembre 2013. Da maggio senza niente e con la volontaria da pagare che non ci garantisce di essere salvaguardate solo perché non abbiamo potuto pagare un contributo prima del 4 dicembre 2011, ma ci si rende conto della situazione?» Potrebbero rientrare nella salvaguardia del mille proroghe, ma l'INPS non offre certezze perché le colloca tra i contributori volontari e le esclude per la mancanza del versamento ante 4 dicembre 2011.
Paolo E.: «Questo è il mio caso (simile a tanti altri). Licenziato per ristrutturazione aziendale il 31 marzo 2009, messo in mobilità il 1o agosto 2009, termine della mobilità il 31 luglio 2013 posticipata al 30 aprile 2014 grazie ad un contratto di lavoro a tempo determinato, raggiungimento dei 40 anni contributivi il 31 marzo 2014.» Però l'INPS - agenzia di Albano (Roma) gli ha risposto che non può essere inserito nei derogati della legge n. 122 del 2010 perché matura il requisito pensionistico (40 anni di contributi) successivamente alla data di scadenza originaria della mobilità (8 agosto 2013).
Il caso del signor Paolo è molto frequente, perché per il solo fatto temporale di essersi rioccupato con un contratto a termine durante il periodo di mobilità (opportunità prevista fra l'altro dalle vigenti norme) nel periodo successivo al 31 maggio 2010, viene ingiustamente penalizzato ed escluso dal diritto all'applicazione dei previgenti requisiti pensionistici, perché si sposta l'erogazione dell'indennità di mobilità, ma non viene riconosciuto lo spostamento di data per la maturazione del requisito pensionistico entro la fine della mobilità. È un'assurdità, ma dimostra che non si può generalizzare ed ogni caso è a se stante, quindi anche tutti coloro che erano in mobilità ed hanno lavorato per brevi o lunghi periodi dopo il 31 maggio 2010 perdono il diritto, anche questi penseranno che se avessero lavorato in nero sarebbero salvi. Il nuovo messaggio INPS 13343 pone un altro termine per non considerare il prolungamento della mobilità, che la sospensione sia successiva al 24 luglio 2012, questo creerà ulteriore contenzioso.
Piero C.: «Confesso: ho lavorato. Diciassette settimane dopo l'"esodo" del 9 settembre 2010 quindi, dal 31 dicembre 2010 sono disoccupato in attesa della pensione (nato il 2 maggio 1952 con 39 anni di contributi). Non ho né evaso le tasse, né rubato. Ho solo lavorato 17 settimane con contratto a termine. È colpa così grave aver lavorato perché mi siano confiscati per anni i contributi versati? Faccio affidamento sulla previdenza pubblica e, per salvare l'Italia resto senza pensione e senza stipendio? Vi prego, ravvedetevi. Devo stare 4 anni senza nulla? Dal 1o gennaio 2011 non ho nulla, senza Berlusconi avrei preso la pensione già da giugno 2012, lui ha imposto l'anno di finestra mobile e adesso 4 anni? Di cosa vivrò?» Pag. 66
Ricardo L.: «Pur avendo maturato il diritto alla pensione con la decorrenza nel 2013, causa le restrizioni del decreto Fornero, mi trovo ingiustamente escluso, disoccupato da maggio 2011, nato nel 1952 e compio 60 anni ad ottobre 2012. Maturo 36 di contributi a novembre 2012 con il pagamento dei contributi volontari e raggiungerò "quota 96" come previsto dalla precedente normativa. La decorrenza della mia pensione sarebbe stata dal 1o dicembre 2013, sono stato autorizzato dall'INPS al pagamento dei contributi volontari dal gennaio 2010 e quindi salvaguardato con il decreto del 4 dicembre 2011, il decreto interministeriale degli esodati del 1o giugno 2012 ha previsto tra i vincoli quello di "non aver lavorato" dopo l'autorizzazione al pagamento dei contributi volontari, condizione che precedentemente non esisteva, nel 2010/2011 ho lavorato qualche mese con regolari contratti sospendendo il pagamento dei contributi volontari e riprendendolo ininterrottamente dal maggio 2011. La parentesi lavorativa, alla luce delle nuove regole, mi fa perdere il diritto alla pensione che slitterebbe dal dicembre del 2013 al 2017 per il 15/bis norma transitoria o al maggio 2019. Disoccupato con 60 anni di età, ho pagato contributi volontari per un'ingente somma con la certezza dell'ottenimento della pensione in base alle regole vigenti prima dell'entrata del decreto Salva Italia del 4 dicembre 2011.»
Ugo S.: «Ho cessato il rapporto di lavoro il 16 giugno 2011 secondo tutti i criteri indicati nel Decreto Ministeriale articolo 2 al punto g) ed ho maturato il 16 maggio 2012 i requisiti anagrafici 60 anni di età e contributivi 37,8 anni. Il 1o novembre 2011 ho avuto la fortuna di attivare una collaborazione a progetto durata 7 mesi per la realizzazione di un progetto e terminata il 2 giugno 2012 e la modesta cifra che avrei guadagnato mi sarebbe servita per avere un po' di respiro in attesa della pensione che era prevista per il 1o giugno 2013. Se con il Milleproroghe mi ero risollevato il morale purtroppo il decreto attuativo mi ha portato nuovamente nell'inferno!»
Accordi entro il 4 dicembre 2011, ma risoluzione del rapporto di lavoro nel 2012, gente che già nel 2013 e nel 2014 avrebbe goduto della decorrenza della pensione, ma per l'uscita nel 2012 è esclusa: circa 200 tra poste e IBM più altre aziende da verificare. «Fate in modo che per coloro che hanno sottoscritto accordi individuali di esodo entro il 31 dicembre 2011, ai sensi degli articoli 410 e 411 del Codice Civile, che cessano l'attività nel corso del 2012 possano accedere alla pensione con i requisiti previgenti la riforma Fornero, oppure imponete alle aziende di riassumerci! C'è chi doveva solo aspettare la finestra di Berlusconi, quindi decorrenza pensione 2013 e donne che avrebbero compiuto i 60 nel 2012, nel 2013 e nel 2014 e sono state espulse perché vicine alla pensione.»
Amianto: Tiziano C., «Sono nato il 24 maggio 1958. In data 31 maggio 2012 ho maturato 40 anni di contributi (2080 settimane) e 54 anni di età. In questo calcolo vi è compreso il periodo di esposizione ad amianto riconosciuto e conteggiato dall'INPS pari a 6 anni. Con la vecchia riforma io sarei potuto andare in pensione dal 1o giugno 2012, anche se avrei iniziato a riscuoterla dal 1o ottobre 2013. Il periodo di esposizione all'amianto era dunque riconosciuto come contribuzione effettiva. Con la nuova riforma Fornero, secondo il patronato INCA CGIL, al quale mi sono recato per riformulare la mia situazione, la prima data utile per poter andare in pensione è il 1o novembre 2014, con una decurtazione della pensione pari al 9,46 per cento, cioè a - 236 mensili.
Infatti in tale data non ho i 62 anni di età anagrafica richiesti, pur avendone oltre 42 di contributi (comprensivi dei 6 di esposizione all'amianto che con la nuova riforma non hanno valore). ENEL, con un documento del luglio 2012 parla di 680 esuberi nella filiera olio-gas, comprendente anche delle Centrali di Piombino e Livorno, quanti altri si troveranno nella mia situazione?»
Gianni P.: «Ho lavorato dal 1972 al 1998 da dipendente. Poi una multinazionale ha ristrutturato e mi ha messo fuori, Pag. 67ma io scelsi di fare il libero professionista (EPPI) lavorando ancora con loro. L'ho fatto per un senso di dignità e perché quello sapevo fare. Ho barattato 2 anni di lavoro con loro con i soldi che mi avrebbero dato. Dopo le dimissioni si sono sbloccate le cause dell'amianto e l'ho preso anch'io. L'ultima causa amianto si è sovrapposta con le riforme delle pensioni per cui i 35 anni non bastavano più, Quindi con l'INPS ho 33,8 anni di contributi, nella cassa (EPPI) ne ho 14.
La quota EPPI è ridicola, perché il contributivo puro su contributi del 10 per cento porta a cifre piccole. Se non avessi avuto un problema di salute (l'amianto non fa bene!) qualche anno fa non stavo a pensare alla pensione, di cui mi sono sempre disinteressato (errore grave) quindi mi sono informato (tanta considerazione l'ho avuta da CGIL nazionale che mi ha informato per l'amianto che nemmeno l'INPS locale lo sapeva come veniva inserita in totalizzazione) e ho scoperto che c'era la totalizzazione, me la sono studiata, ma ho visto che applicava il calcolo della opzione contributivo (che è molto peggio del contributivo) e perdevo il 50 per cento. Insomma il problema della totalizzazione che si sta tentando di risolvere, è quello del calcolo. Se non ci fosse stata la crisi (a giugno ho fatturato 600 euro) se stavo bene di salute, se avevo qualche anno di meno (ne ho 63), non stavo a pensare alla pensione. Per tornare alle leggi, la riforma Maroni del 2004, lanciò la totalizzazione (con le proprie regole di calcolo, come diceva la sentenza C.C:) ma il decreto del Governo nel 2006 la fece con il contributivo puro per tutti, meno per le casse ricche dei notai, ecc, che applicano un calcolo in base agli anni, e quindi quasi retributivo se ne hai più di 25. Alla fine della storia, gli unici che rimarranno fregati saranno quelli delle nuove casse del 103, cioè i precari con cassa, dopo una vita in fabbrica, avendo fatto anche il delegato di reparto, mi sento un po' tradito, tutto quell'amianto che ho respirato, forse mi da diritto di essere ancora considerato un lavoratore da tutelare. La ministra Fornero, per equità e giustizia, non avrebbe potuto togliere l'onerosità delle ricongiunzioni dei contributi, unificare i fondi previdenziali, non solo inps e inpdap invece che massacrare la vita delle singole persone?».
Questo è l'unico che vuole rimanere anonimo, ma è un caso classico: «Ho ottenuto l'autorizzazione al versamento dei contributi volontari nell'aprile 2004 perché un'azienda della zona industriale di Bari ha chiuso improvvisamente i battenti, il mese successivo, ho avuto la «fortuna» di trovare un'azienda che, in cambio dell'apertura da parte mia della partita IVA (sebbene si trattasse di un vero e proprio lavoro dipendente), mi ha fatto lavorare per alcuni anni. Poi ho avuto contratti da dipendente però a tempo determinato. Fino ad arrivare a fine 2009, quando l'ultimo contratto a termine non mi è stato più rinnovato. Così, nel gennaio 2010 ho cominciato a versare i contributi volontari agganciandoli all'autorizzazione del 2004, in ciò pienamente legittimato dall'INPS. L'ho fatto solo per un mese, perché il mese successivo ho trovato un nuovo lavoro a tempo determinato, a breve, fino al 31 dicembre 2010. Ma, a fine 2010, il contratto non è stato rinnovato (inutile dire che non ho percepito alcun incentivo, né ho avuto accesso all'indennità di mobilità) e, quindi, dal gennaio 2011 ho ripreso nuovamente a versare i contributi volontari. Da allora sto versando ininterrottamente per raggiungere nell'agosto 2012 i 35 anni di contributi. La mia famiglia è stata sempre monoreddito: ora è addirittura priva di qualsiasi fonte reddituale e siamo in quattro: io (forzatamente disoccupato, senza più alcuna possibilità di reimpiego perché alle centinaia di curriculum inviati non ha mai risposto alcuno), mia moglie casalinga e due figli studenti. In ogni caso, nonostante, gli enormi sacrifici, ero convinto che, in questo modo, e dando fondo ad ogni risparmio familiare faticosamente messo da parte, avrei potuto raggiungere i requisiti previsti dalla legge 23 agosto 2004 n. 243 e dalla successiva legge 24 dicembre 2007, n. 247 (35 anni di contributi e 57 anni di età con eventuale ricongiunzione Pag. 68del periodo da autonomo; oppure 58 anni di età senza ricongiunzione). Poi, è arrivata la riforma Fornero della Legge n. 214 del 2011 con la deroga dell'articolo 24, comma 14, anche per gli autorizzati ai versamenti volontari, però con i tetti di spesa del comma 15. La "mazzata" è: escludere dalla salvaguardia, con un decreto attuativo che vuole stravolgere completamente l'articolo 24, comma 14, della Legge n. 214 del 2011, tutti coloro che hanno lavorato (sia pure a termine) dopo aver ricevuto l'autorizzazione, ma che al momento non lavorano più e sono in costanza di versamenti volontari, è per me una condanna a morte. La differenza è per me vitale, perché in tal caso la mia famiglia non potrebbe sopravvivere fino al compimento da parte mia del pensionamento di vecchiaia (67 anni e 5 mesi), cioè oltre 10 anni da oggi! Io lavorerei, ho già dimostrato di essere disponibile a tutto, anzi proprio non aver lavorato in nero mi penalizza, ma non trovo nulla, sono senza nulla dal gennaio 2011.»
Credito: tutta la situazione dei fondi di solidarietà richiederebbe un capitolo a sé, perché la Legge n. 214 del 11 aveva previsto un minimo di 59 anni di età, il milleproroghe l'ha modificata in 60, il Decreto Ministeriale del 1o giugno 2012 ha modificato ancora prevedendo un minimo di età di 62 anni, ma il fondo prevede un massimo di 60 mesi di indennità, a questo punto il disorientamento è totale e mancano certezze.
Silvano N. - «Decorrenza esodo: 1o gennaio 2009 - come da file allegabile (INPS 2009), l'assegno straordinario per il sostegno del reddito mi è stato regolarmente corrisposto fino al mese di marzo 2012 compreso; nel dicembre scorso ho presentato domanda di pensione tramite il patronato INCA CGIL di Funo; BNL Roma con lettera in data 9 gennaio 2012 (file allegabile: BNL 9 gennaio 2012) mi comunicava l'imminente termine dell'esodo e la necessità di presentare domanda di pensione, peraltro già presentata come detto sopra. Ho ricevuto la comunicazione dell'INPS del 20 marzo 2012 attestante il non accoglimento della domanda di pensione (file allegabile: INPS 2012), sono senza nulla da marzo 2012».
Problemi anche per i lavoratori autonomi che a causa della crisi aspettavano solo la pensione: Enzo M.: «Sono un versatore volontario, autorizzato nel 1979. Ho cessato la mia attività di rappresentante nel maggio 2010 e da giugno 2010 pago i contributi volontari INPS. Con le vecchie norme (leggi 2004-2007-2010) avrei maturato 1823 settimane ad ottobre di quest'anno e avendo già 59 anni (sono del febbraio 1953) con la finestra di 18 mesi sarei andato in pensione a maggio 2014. Ed ora? Dovrò continuare a pagare i contributi e sino a quando? (ammesso di avere i fondi per farlo). Quando potrò andare in pensione? Sono un ex lavoratore autonomo, con le nuove normative per gli autorizzati ante 2007 sono previsti tre odiosi (e per me illegali) paletti, e precisamente: avere un contributo volontario versato prima del 6 dicembre 2011 (io verso dal giugno 2010); maturare la decorrenza della pensione entro 36 mesi dal 6 dicembre 2011 (nuovi 55 mila salvaguardati - ok), non aver mai lavorato dopo l'autorizzazione INPS ai versamenti volontari (io sono stato autorizzato nel lontano 1979, e non avevo versato, perché ho lavorato sino al maggio 2010 ed ho richiesto la rideterminazione degli importi dei versamenti volontari nel maggio 2010. Quale è la data da considerare, il 1979 o il 2010? Purtroppo, mi dicono che sia quella del 1979».