XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 13 novembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              l'autismo viene considerato un disturbo pervasivo dello sviluppo che si manifesta nei primi tre anni di vita e colpisce in particolare le aree della comunicazione, della interazione sociale e del gioco;
              i bambini con disturbo dello spettro autistico presentano, pertanto, evidenti difficoltà nell'ambito delle competenze sociali quali, ad esempio, un utilizzo alterato dei comportamenti non-verbali, delle relazioni interpersonali, della condivisione emotiva, così come risulta distorta la comunicazione e vi è una tendenza ad avere comportamenti, interessi ed attività limitati, ripetitivi e stereotipati;
              tali difficoltà, estendendosi sia alla sfera cognitiva che a quella affettiva, rendono oggettivamente problematico lo sviluppo delle relazioni con gli altri;
              secondo le indagini più recenti negli Stati Uniti ad avere la sindrome autistica è circa 1 bambino ogni 110, mentre in Europa le stime variano da 1 ogni 160 della Danimarca e della Svezia, a 1 ogni 86 della Gran Bretagna. Dagli studi epidemiologici svolti sia in Europa che negli Stati Uniti è emerso un generale e costante aumento delle diagnosi di autismo e delle diverse sindromi ad esso collegate che risultano più che raddoppiate nell'ultimo decennio;
              l'autismo in Italia ha una prevalenza di un 1 bambino ogni 200, mentre venti anni fa il rapporto era di 1 su 2.000;
              ad oggi, non vi sono ancora conoscenze certe circa la causa del disturbo, anche se sono state formulate diverse ipotesi e quella che al momento sembra essere la più accredita è la causa genetica o multifattoriale ad impronta neurobiologica;
              l'eventuale diagnosi precoce e il conseguente intervento tempestivo e appropriato rappresentano elementi essenziali, dal momento che possono incidere in modo significativo sui risultati di lungo termine: essi consentono, infatti, la presa in carico dei soggetti ad un'età in cui determinati processi di sviluppo possono ancora essere corretti, assicurando un miglioramento del livello di qualità della vita della persona autistica e dei suoi familiari. Le diverse diagnosi di autismo vengono effettuate però ancora con molte difficoltà e in tempi troppo lunghi;
              secondo una ricerca del Censis e della Fondazione Cesare Serono, in quasi l'80 per cento dei casi i primi sospetti sulla presenza di tale disturbo, sono stati formulati dalle madri, in particolare a partire dal secondo anno di vita del bambino;
              i disturbi avvertiti con più frequenza dai familiari sono quelli relativi alla compromissione della comunicazione verbale e non verbale, seguiti dai problemi legati all'apprendimento. Tra i disturbi più problematici da gestire vi sono l'aggressività e l'autolesionismo;
              l'indagine evidenzia che la tipologia e la gravità dei sintomi che individuano i disturbi dello spettro autistico rappresentano per le famiglie un impegno in termini di assistenza estremamente gravoso. Proprio l'assistenza, infatti, nella maggior parte dei casi sembra ricadere interamente sulle spalle della famiglia, con evidenti ripercussioni non soltanto sulla qualità della vita ma anche sulle scelte per il futuro. In media, sarebbero circa 17,1 le ore al giorno dedicate all'assistenza e alla sorveglianza delle persone affette da tale disturbo. Nello specifico, il rapporto ha evidenziato che la disabilità della persona con autismo ha avuto un effetto negativo sulla vita lavorativa del 65,9 per cento delle famiglie coinvolte nello studio. Ben il 25,9 per cento delle madri ha dovuto lasciare il lavoro e il 23,4 per cento lo ha dovuto ridurre;
              nell'ottobre 2011 sono state pubblicate, a cura dell'Istituto superiore di sanità, le nuove linee guida sull'autismo, redatte da un panel di esperti, ma affette ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo da un evidente vizio di metodo, essendo state realizzate senza interpellare l'intera platea della comunità scientifica. La conseguenza più immediata è rappresentata dal fatto che non contengono indicazioni validate e complete sul modo di fare la diagnosi di autismo;
              in particolare nel documento viene data particolare attenzione e prevalenza al modello ABA (applied behaviour analysis) derivato dal metodo Lovaas, che ha lo scopo di modificare il comportamento del bambino attraverso un programma sostanzialmente addestrativo, mentre nessuna o scarsa considerazione viene attribuita agli altri metodi. La scelta unilaterale, che consiste nel dare prevalenza ad alcune attività o metodi piuttosto che altri, appare pertanto fuorviante;
              la stessa Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, nelle «Linee guida per l'autismo. Raccomandazioni tecniche-operative per i servizi di neuropsichiatria dell'età evolutiva», aveva evidenziato l'importanza di mantenere entrambi gli approcci al trattamento del disturbo, quello comportamentale e quello evolutivo, in virtù del fatto che non esiste un unico intervento valido per tutti i bambini soggetti a tale disturbo; infatti, secondo la prevalente comunità scientifica la tendenza più efficace per affrontare i disturbi autistici è quella di un approccio integrato che miri a colmare, prima di tutto, il «deficit di sintonizzazione» esistente tra i bambini ed i familiari, in particolare la madre;
              i risultati conseguiti da tale approccio integrato, che si affianca alle altre attività di ordine fisico e materiale, sembrerebbero essere di giovamento per una percentuale del 79 per cento dei bambini autistici;
              al fine di garantire alle famiglie la possibilità di scegliere la terapia più idonea ed una ricerca scientifica più aperta, 176 tra associazioni ed enti hanno aderito alla petizione per la riapertura delle linee guida su «Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti»,

impegna il Governo:

          a procedere ad una revisione delle linee guida, in modo tale da agevolare il confronto tra i diversi approcci teorico-clinici, a cui deve essere riconosciuta la medesima dignità di strumenti terapeutici destinati ad affrontare la patologia in esame e a promuovere, in tal modo, l'utilizzo di un approccio integrato e multilaterale, anche sulla base dei risultati positivi conseguiti da tale sistema;
          ad adottare ogni iniziativa di competenza per garantire una rete di aiuti e di sostegno alle famiglie delle persone affette da disturbo autistico, che dedicano alla loro cura e assistenza gran parte della propria esistenza;
          ad assumere iniziative per fornire gli strumenti necessari al personale sanitario per assicurare una diagnosi tempestiva, il cui ruolo determinante può favorire l'individuazione degli interventi più adeguati per il trattamento di questa particolare patologia;
          ad adottare iniziative per destinare le giuste risorse alla ricerca, in modo da studiare le cause all'origine del disturbo autistico e fornire le risposte più idonee per il suo trattamento.
(1-01185) «Mosella, Fabbri, Pisicchio, Tabacci, Brugger».


      La Camera,
          premesso che:
              la recente decisione della Commissione europea di ritirare il regolamento per la denominazione di origine dei prodotti extra-Ue rappresenta una grave battuta d'arresto alle azioni di tutela del made in Italy e di contrasto alla contraffazione portate avanti, da oltre dieci anni, dall'Italia e da altri Paesi europei per salvaguardare i prodotti europei di qualità dalla concorrenza sleale dei Paesi asiatici;
              la proposta di regolamento, approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo nel 2010, era ferma da oltre due anni al Consiglio europeo che non è mai riuscito ad esprimere una maggioranza schierata a tutela della trasparenza del mercato e del diritto alla chiara informazione dei consumatori, da qui la decisione di ritirarla;
              tale decisione, accolta ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo con disinteresse dal Governo italiano, lascia le imprese italiane esposte alla concorrenza sleale dei Paesi extra europei che potranno continuare, indisturbati, ad introdurre nel mercato merci a basso costo e prive dell'indicazione origine, amplificando la crisi dell'industria manifatturiera, la quale rappresenta un settore strategico per l'economia italiana. Non bisogna poi trascurare l'impatto che la stessa ha sui consumatori che verrebbero privati di uno strumento fondamentale per valutare i loro acquisti e proteggere la loro salute;
              la proposta di regolamento rappresentava un primo ed importante passo per il riconoscimento del «made in», fornendo ai consumatori una corretta informazione sul Paese di origine di diverse categorie di merci, dall'abbigliamento al tessile, alle calzature e alla ceramica, nonché restituendo alle imprese maggiore competitività;
              l'approvazione del regolamento avrebbe poi permesso all'Unione europea di recuperare lo svantaggio competitivo nei confronti dei suoi principali partner commerciali. Stati Uniti, Canada, Cina e Giappone, che impongono l'obbligo di un marchio di origine sulle importazioni, e di porre di conseguenza le basi per il rilancio dell'economia europea;
              in Italia la materia è regolata dalla legge 8 aprile 2010, n.  55, recante disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, che promuove e sostiene l'industria manifatturiera italiana attraverso l'introduzione di un sistema di etichettatura a garanzia della qualità del «made in Italy»;
              la citata legge rappresenta un valido strumento di contrasto ai fenomeni di contraffazione, permettendo alle imprese di difendere e valorizzare le proprie produzioni e garantendo ai consumatori la certezza di essere correttamente informati sulla qualità e la sicurezza dei prodotti acquistati;
              la mancanza di un regolamento europeo sul «made in» vanifica gli sforzi compiuti dal Parlamento italiano con l'approvazione della citata legge n. 55 del 2010, lasciando gli imprenditori italiani senza difese di fronte alla concorrenza sleale di chi senza scrupoli immette sul mercato prodotti di qualità estremamente bassa e dannosi per la salute umana, facendoli passare come «made in Italy» quando in realtà non lo sono;
              davanti alla crisi che sta vivendo l'Italia, tristemente segnata dalla chiusura delle aziende e dalla perdita di posti di lavoro, è necessario che il Governo si adoperi, in ambito italiano ed europeo, per la salvaguardia della normativa sull'origine e sull'etichettatura dei prodotti, a tutela della produzione di qualità;
              la mancanza di una chiara posizione in materia di tutela del «made in Italy» fornisce un segnale poco incoraggiante all'industria manifatturiera italiana, dimostrando che il Governo non ha compreso che il settore del «made in Italy» rappresenta il vero punto di forza su cui puntare per restituire competitività al tessuto imprenditoriale italiano;
              è necessario che la Commissione europea presenti quanto prima una proposta alternativa al regolamento europeo sul «made in» che sani la sperequazione esistente tra i Paesi europei e gli altri Paesi che obbligano i prodotti importati alla denominazione di origine e che sia in ogni caso compatibile con la legge n.  55 del 2010;
              l'Italia è uno dei Paesi più danneggiati dallo sviluppo del mercato del falso, perché, oltre a disporre di una struttura produttiva che ha difficoltà ad attrezzarsi adeguatamente per contrastare il fenomeno, ha anche una significativa quota di produzione, quella del «made in Italy» appunto, che risulta maggiormente esposta alla concorrenza sleale dei prodotti contraffatti;
              nel 2008 il mercato del falso in Italia ha fatturato 7 miliardi e 107 milioni di euro ed ha sottratto all'economia regolare oltre 130 mila posti di lavoro;
              le posizioni che l'Unione europea ha assunto in merito all'indicazione del luogo di origine e all'etichettatura dei prodotti allontanano la possibilità di vedere concretamente attuate le istanze espresse dalle imprese manifatturiere per una maggiore tutela del «made in Italy»,

impegna il Governo:

          ad utilizzare, in sede di Unione europea, tutti gli strumenti idonei a far si che venga riconsiderata la decisione della Commissione europea di ritirare il regolamento per la denominazione di origine dei prodotti extra-europei, la quale risulta inaccettabile ed economicamente devastante per le imprese, i lavoratori, i consumatori e le famiglie;
          ad adoperarsi in sede europea affinché venga adottata una proposta di regolamento europeo sull'indicazione del Paese di origine dei prodotti importati Paesi extraeuropei, a tutela delle produzioni di qualità, che sia in ogni caso compatibile con la legge n.  55 del 2010.
(1-01186) «Torazzi, Dozzo, Maroni, Bossi, Fugatti, Lussana, Fedriga, Montagnoli, Fogliato, Volpi, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Forcolin, Giancarlo Giorgetti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Vanalli».


      La Camera,
          premesso che:
              la politica di revisione della geografia giudiziaria adottata da questo Governo con l'esercizio della delega contenuta nell'articolo 1, comma 2, della legge n.  148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.  138 del 2011, – soppressione di tutte le sezioni distaccate dei tribunali, di quasi tutti i tribunali non capoluogo di provincia e degli uffici dei giudici di pace –, in un contesto di grave crisi del settore giustizia, ha ulteriormente aggravato la situazione del sistema, poiché fa solo «cassa» nell'immediato per importi modesti – senza peraltro che vengano tenuti in debita considerazione i costi del trasferimento del personale e delle risorse materiali – e producendo nel breve delle diseconomie di scala, dovute alla creazione di macro strutture di tribunali che risulteranno dei veri e propri «carrozzoni», tali da compromettere ulteriormente il già carente servizio della giustizia, dato che molti cittadini saranno indotti a rinunciare alla tutela costituzionalmente garantita dei propri diritti in una sede accentrata e molte volte lontana, a discapito di una giustizia di prossimità, che, come dimostrano i dati statistici, è efficiente e oltremodo la più conforme ai parametri europei;
          i decreti legislativi 7 settembre 2012, n.  155 «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.  148», e 7 settembre 2012, n.  156 «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.  148», disattendono le indicazioni contenute nei pareri delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato, che rilevavano come i princìpi e i criteri direttivi contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n.  148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.  138 del 2011, fossero stati recepiti solo in parte, poiché non si teneva conto, tra l'altro, dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, oltre a non preservare nuove strutture recentemente finanziate, tra cui quelle di Chiavari e Bassano del Grappa;
          la politica di revisione della geografia giudiziaria del Governo deriva da scelte, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, difficilmente apprezzabili, se si considera che in diverse circostanze, e con dichiarazioni apparse sui maggiori quotidiani nazionali, è stato affermato che la criminalità organizzata mafiosa è ben radicata nel Nord del nostro Paese, e ciò nonostante le uniche sedi di tribunale «ripescate», nel definitivo ridisegno della geografia giudiziaria, per ragioni connesse al contrasto alle mafie sono state solo quelle del Sud (Caltagirone e Sciacca in Sicilia, Castrovillari, Lamezia Terme e Paola in Calabria, e Cassino), mentre al Nord, in base agli atti di questo Governo, non esiste alcun problema di infiltrazioni della criminalità organizzata che suggerisca il mantenimento dei tribunali quali presidi del territorio,

impegna il Governo

ad adottare con urgenza un provvedimento normativo correttivo dei decreti legislativi 7 settembre 2012, n.  155, e 7 settembre 2012, n.  156, al fine di dare puntuale attuazione ai contenuti dei pareri approvati dalle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, e conseguentemente pervenire alla riviviscenza degli uffici giudiziari soppressi in difformità ai citati pareri.
(1-01187) «Nicola Molteni, Dozzo, Maroni, Bossi, Fugatti, Lussana, Fedriga, Montagnoli, Fogliato, Volpi, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Forcolin, Giancarlo Giorgetti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli».

Risoluzione in Commissione:


      La X Commissione,
          premesso che:
              il 23 ottobre 2012 la Commissione europea ha deciso di ritirare la proposta di regolamento sul «made in», un testo il cui esame era stato avviato sin dal 2002 e che nel 2010 aveva ricevuto il «via libera» dal Parlamento europeo, tramite l'approvazione di uno specifico rapporto, curato, per l'occasione, da tre relatori italiani;
              la richiesta di ritiro è stata avanzata del responsabile europeo per il commercio, il liberale belga Karel De Gucht ed approvata dal collegio dei commissari;
              il regolamento ritirato prevedeva l'obbligo per i produttori extracomunitari dei settori del tessile, dell'abbigliamento, del legno, delle ceramiche, del valvolame e dell'oreficeria di specificare il luogo di produzione, in modo da fornire al consumatore una chiara indicazione sull'origine del prodotto;
              il testo conclusivamente elaborato aveva il sostegno oltre che dell'Italia, di Francia, Polonia e Spagna ma dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo si è bloccato nel Consiglio europeo per l'opposizione, tra gli altri, di Germania, Gran Bretagna e dei Paesi del nord Europa;
              con il citato regolamento, gli Stati dell'Unione avrebbero avuto a disposizione uno strumento decisivo contro le false etichettature e la falsificazione di prodotto, premiando i produttori europei che hanno deciso di non delocalizzare e di continuare la produzione sul territorio comunitario;
              giova anche considerare che per talune categorie di beni di consumo, la competitività può consistere nel fatto che la loro produzione nell'Unione europea è sinonimo di qualità e di rigorose norme di produzione;
              l'urgenza di introdurre strumenti di tutela per il made in Italy è tale che nel 2010 il Parlamento ha approvato la legge 8 aprile 2010, n.  55, cosiddetta «Legge Reguzzoni-Versace-Calearo», con la quale si introduceva l'etichettatura obbligatoria e la tracciabilità in 11 settori merceologici – dai prodotti tessili, al calzaturiero e alla pelletteria che in complesso occupano circa 1 milione di persone – dettando nuove norme e regole circa le caratteristiche che i prodotti debbono avere e prevedendo sanzioni per le aziende che producono false dichiarazioni circa la tracciabilità delle fasi di lavorazione;
              il provvedimento di tutela del made in Italy è stato accompagnato da un sostegno unanime per tutto l’iter parlamentare, segnando alla Camera un'altissima percentuale di voti favorevoli (546 voti a favore); com’è noto la legge n.  55 è stata bloccata dall'Unione europea, con la duplice motivazione della sua non piena aderenza alle norme comunitarie e della introduzione di un made in comunitario;
          l'Italia è uno dei Paesi che ha più da perdere nello sviluppo del mercato del falso, ambito in cui grande rilevanza assume la falsa indicazione di origine; sia perché ha una struttura produttiva composta per la grande maggioranza di micro, piccole e medio-piccole imprese, che hanno difficoltà ad attrezzarsi adeguatamente per contrastare il fenomeno, sia perché ha una significativa quota di produzione in beni di lusso, che sono quelli maggiormente esposti alla concorrenza dei prodotti contraffatti;
              il falso non danneggia solo i prodotti copiati, ma anche l'intero comparto produttivo di riferimento a causa dell'ingenerarsi di una concorrenza economica scorretta; più in generale danneggia le imprese che operano in maniera trasparente e rispettosa delle regole;
              i dati forniti da INDICAM, WTO e OCSE, stimano il peso delle vendite di merci contraffatte tra il 7 ed il 20 per cento dell'intero commercio mondiale; il 20 per cento del mercato illegale mondiale riguarda tessile, moda e abbigliamento. L'Icc (Camera commercio internazionale) stima che entro l'anno 2015, il settore del falso costerà agli Stati circa 1.700 miliardi di dollari; stima inoltre che il fenomeno dilagherà, mettendo a rischio ogni anno circa 2,5 milioni di posti di lavoro regolari;
              la recentissima ricerca in materia effettuata dal Censis per conto del Ministero dello sviluppo economico, stima in 7,1 miliardi di euro l'impatto del mercato del falso sull'economia nazionale, con una perdita di 130.000 posti di lavoro; considerando la domanda complessivamente generata, il Censis ha calcolato una perdita di gettito per le casse dello Stato, tra imposte dirette e indirette, di 5.281,50 milioni di euro, pari al 2,5 per cento del totale delle entrate tributarie per le imposte considerate;
              l'Unione europea non dispone per il momento di disposizioni armonizzate sul marchio di origine nell'Unione europea è le disparità fra le regolamentazioni in vigore negli Stati membri nonché l'assenza di regole chiare in materia a livello comunitario comportano una frammentazione del quadro giuridico;
              alcuni dei maggiori partner commerciali dell'Unione europea, come gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone e il Canada, hanno introdotto il marchio d'origine obbligatorio; la situazione attuale pone l'Unione europea in condizioni di svantaggio rispetto ai suoi partner commerciali;
              tale situazione pone l'Italia in svantaggio ancora maggiore rispetto ai partner europei; nella consapevolezza di tale situazione, immediate sono state le reazioni dei parlamentari italiani presso l'Unione europea, nonché delle organizzazioni imprenditoriali quali Confindustria, Sistema Moda Italia, Federlegno, CNA, che hanno sottolineato come le analisi secondo cui la ripresa economica debba necessariamente basarsi sul rilancio del comparto manifatturiero, non siano state tenute in alcuna considerazione dal Consiglio europeo;
              il sistema imprenditoriale ed industriale del nostro Paese sta maturando sempre più la convinzione:
          a) che l'Unione europea è distante dagli interessi dei cittadini e delle imprese;
          b) che la lobby della grande distribuzione sostenuta dai Paesi del nord Europea sta avendo il sopravvento sui Paesi manifatturieri;
          c) che l'Esecutivo comunitario ha preferito mettersi in rotta di collisione con il Parlamento, unico organo democraticamente eletto, piuttosto che con i Paesi nel nord Europa;
              tali convinzioni sono rafforzate, oltre che dalla decisione in esame, anche dalla inopinata approvazione nel settembre 2012 di un regolamento comunitario che prevede una fortissima riduzione dei dazi doganali sull'importazione di prodotti, tessili, d'abbigliamento e calzaturieri;
              conclusivamente, si osserva che questa impostazione di pensiero, purtroppo suffragata da ormai innumerevoli prove e indizi, costituisce la base culturale di forze politiche emergenti; essa è rafforzata ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo dalla perniciosa idea, ormai dilagante tra i cittadini, che questa sia l'Europa delle banche e che i Paesi dell'Europa del Nord stiano adoperandosi per impoverire e «depredare» i Paesi dell'Europa del sud per il tramite delle istituzioni comunitarie,

impegna il Governo:

          ad intervenire in sede di Unione europea:
              a) per scongiurare il ritiro della proposta di regolamento sul «made in» e per difendere gli interessi delle nostro Paese di fronte agli altri Paesi europei;
              b) per comunicare, nelle sedi opportune, l'enorme disagio delle imprese e dei cittadini italiani rispetto a una decisione che rischia di allontanarli ulteriormente dall'Europa;
              c) per far sì che la Commissione europea riprenda in mano il dossier «made in», inducendo il Consiglio a riaprire il confronto e la discussione sul relativo regolamento;
          ad assumere iniziative, anche normative, in ambito nazionale:
              a) per rafforzare gli strumenti per la lotta alla contraffazione di prodotto, con particolare riferimento alle produzioni di punta del made in Italy;
              b) per semplificare le procedure di sequestro delle merci contraffatte;
              c) per favorire, nei comparti produttivi nazionali maggiormente afflitti da fenomeni di contraffazione, la massima tracciabilità possibile dell'origine delle produzioni, nel quadro della normativa nazionale e comunitaria vigente, mediante l'adozione volontaria di metodi di tracciatura da parte delle aziende o dei comparti;
          a valutare, in tale quadro, di assumere iniziative sia per l'introduzione di forme di semplificazione amministrativa, sia per l'adozione di strumenti di incentivazione, anche mediante ampliamento di strumenti incentivanti a legislazione vigente.
(7-01028) «Lulli, Colaninno, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Zunino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari europei, per sapere – premesso che:
          la Commissione europea, martedì 23 ottobre 2012, ha ritirato dal suo «programma per il 2013», innanzi al Parlamento europeo, la proposta di regolamento cosiddetto made in recante, cioè, l'introduzione di una disciplina volta a obbligare all'etichettatura di origine su alcuni prodotti importati in Europa dai Paesi terzi;
          tale proposta della Commissione fu approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo nel 2010, all'indomani dell'attuazione del procedimento di co-decisione previsto dal Trattato di Lisbona;
          la proposta, come approvata dal Parlamento europeo, è quindi tornata all'esame del Consiglio in cui si è evidenziato nuovamente un blocco dovuto all'assenza di una sufficiente maggioranza a suo favore;
          in questo modo si è colpito pesantemente il made in Italy danneggiando gli imprenditori che producono beni di indiscussa qualità, in assoluta sicurezza e in completa osservanza della legge nonché i consumatori che si vedono negato il diritto ad un'informazione trasparente sulla provenienza delle merci acquistate;
          se non ci dovesse essere un «ripensamento», la decisione adottata dalla Commissione finirà, di fatto, per avvantaggiare chi fa affari d'oro spacciando per made in prodotti lavorati senza il minimo rispetto delle normative vigenti in materia ambientale e di costo del lavoro;
          all'origine della decisione della Commissione vi sarebbero tre recenti sentenze del World trade organization (WTO) che hanno considerato incompatibili con l'accordo sulle barriere tecniche (Tbt) alcune misure, introdotte dagli USA, in materia di etichettatura di origine;
          sulla scorta di queste sentenze, la Commissione europea ha ritenuto che il quadro giuridico di riferimento multilaterale sarebbe mutato e, conseguentemente, l'etichettatura d'origine obbligatoria sui prodotti importati, a suo tempo ritenuta compatibile, oggi sarebbe considerata incerta ed anche la disciplina dell'etichettatura e la possibile estensione del regolamento ai prodotti dell'Unione europea sarebbero difficilmente praticabili per problemi relativi all'individuazione della base giuridica appropriata ed all'attuazione tecnica;
          tale motivazione non appare convincente poiché le sentenze del WTO sono recentissime e ancora appellabili, e inoltre, non sono state valutate con adeguata attenzione;
          infatti, non si comprende, vista la decisione presa, il motivo per il quale, negli scorsi giorni la Commissione europea avesse fatto circolare un documento (n.  107/12 del 3 ottobre 2012) che, oltre a ricordare le citate incompatibilità con disposizioni del WTO, prospettava però l'eventuale possibilità di individuare un'evoluzione diversa della situazione, ipotizzando soluzioni che avrebbero consentito di continuare, attraverso una diversa base giuridica, la ricerca di una finalizzazione positiva per la proposta di regolamento;
          oltretutto, non si comprende il motivo per il quale, anche solo informalmente, la Commissione non abbia ritenuto opportuno confrontarsi con il Parlamento europeo, dove si sarebbe potuto ragionare su una proposta alternativa;
          questa decisione, in un momento oltretutto così delicato per l'economia rischia di colpire mortalmente molti settori produttivi vitali del nostro Paese e ciò ha provocato, giustamente, delle dure reazioni da parte delle rappresentanze industriali dei singoli settori coinvolti  –:
          cosa intenda fare il Governo, al di là della protesta ufficiale effettuata dal rappresentante permanente, affinché vi sia un immediato chiarimento sulle motivazioni che hanno portato la Commissione europea a non confrontarsi con il Parlamento prima di assumere una decisione che, di fatto, danneggia gravemente sia i produttori sia i consumatori europei che rischiano di essere invasi da merci contraffatte e che potrebbero presentare gravi rischi per la salute degli eventuali acquirenti;
          cosa si intenda fare per definire, in sede europea, una proposta alternativa rispetto alla decisione presa dalla Commissione che ha determinato, oltretutto, un precedente pericoloso nel sistema di rappresentanza delle istituzioni europee con un atto ad avviso dell'interrogante quantomeno inopportuno e frettoloso che deve essere rivisto e «corretto» al più presto.
(2-01734) «Polidori».

Interrogazione a risposta orale:


      CICCIOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  28 del 2012 prevede, all'articolo 2, che le sanzioni previste per la commercializzazione dei sacchetti di plastica per l'asporto delle merci decorrano a partire dal 1o gennaio 2014;
          si sta profilando una anticipazione del termine di cui sopra al 1o gennaio 2013;
          questa soluzione altera tutti i programmi produttivi di circa un centinaio di aziende che operano nel settore per un totale di circa 4 mila dipendenti ed un volume di affari che, considerando l'indotto ammonta, soprattutto in un periodo di crisi quale quello attuale, a cifre economiche estremamente significative;
          tale anticipazione creerà notevole ricorso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e mobilità) nonché disoccupazione;
          la stessa legge n.  28 del 2012, all'articolo 2 contiene delle violazioni delle norme europee in vigore per le quali l'Unione europea in data 4 luglio ha notificato all'Italia formale richiamo con comunicazione di prevedibili sanzioni;
          in Italia esiste un'unica azienda produttrice di materiale alternativo, la Novamont di Novara che sarebbe partecipata per circa il 40 per cento dal gruppo bancario Intesa;
          il costo del prodotto della Novamont è di 3,80 euro al chilogrammo contro 1,20/25 euro dell'attuale materiale in uso nel mercato e l'operazione determinata dal decreto renderà utili notevoli alla azienda monopolista, che, tra l'altro, richiede il pagamento anticipato della merce  –:
          se non ritenga che dietro un, almeno apparente, nobile scopo di prospettiva – cioè indirizzare la produzione di sacchetti di plastica da asporto verso materiali più ecologici – si prospetti invece il rischio di una gigantesca operazione speculativa che mette in ginocchio un comparto della nostra già fragile economia e consente utili sproporzionati ad un concorrente di mercato. (3-02611)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nell'esperienza quotidiana sono sempre più frequenti casi in cui i cittadini si scontrano con i disservizi del sistema sanitario nazionale; tali disservizi sono molte volte causa di lunghe liste di attesa, anche per le visite più urgenti ed essenziali, che possono risultare fatali o comunque peggiorative per le condizioni del paziente;
          nell'azienda sanitaria di Crotone Magna Grecia tra le prestazioni che si riescono a prenotare solo a considerevole distanza di tempo, comunque superiore a un anno, vi sono, ad esempio, la visita angiologica, l'eco doppler, l'ecocolordopplergrafia cardiaca come risulta rispettivamente dal numero prenotazione 121741, codice ricetta 180110070947055, e numero prenotazione 12750 codice ricetta 180110070947066 di un paziente dializzato. Per non parlare poi delle lunghe liste di attesa per le mammografie, indagini radiologiche del seno, fondamentali per la conferma di quesiti diagnostici, per lo screening finalizzato all'eventuale diagnosi precoce di tumori di quell'organo e per i controlli successivi alle cure per patologie neoplastiche mammarie;
          gli esempi citati sono solo alcuni dei tanti che giornalmente vengono denunciati; in altri Paesi europei le liste di attesa non possono andare oltre un periodo ben definito ed in alcuni è addirittura riconosciuto quale reato punibile la mancata erogazione del servizio nei termini imposti;
          il protrarsi di tale situazione sta producendo molteplici disagi ai pazienti; in particolare, si rileva un accentuarsi dei ritardi nei ricoveri, il rischio di assegnazione in divisioni ospedaliere non competenti per la malattia elettiva per la quale si è richiesto il ricovero, situazione che mette a rischio la loro salute. Per evitare di incorrere in situazioni così disagiate i cittadini finiscono per rivolgersi a strutture private con pesanti ripercussioni economiche per le proprie famiglie, o, molto spesso, decidono di emigrare per farsi curare in altre regioni del centro-nord;
          in un siffatto contesto, si calano, ineludibili e significativi, i dati della cosiddetta «mobilità sanitaria passiva» regionale, ossia l'effettuazione di prestazioni sanitarie, a carico del servizio sanitario regionale, fuori dalla Calabria. La mobilità passiva che rappresenta circa il 15 per cento di tutti i ricoveri ordinari, è aumentata notevolmente in questi ultimi anni verso regioni del centro-nord, ma spicca il 13 per cento schizzato al 17 per cento (nel 2008) verso la Sicilia ben superiore al 9 per cento della Toscana, all'11 per cento dell'Emilia, pari al 17 per cento della Lombardia, che notoriamente, offrono quanto di meglio ci possa essere oggi nel nostro Paese in termini di servizi sanitari. Nel 2010, in termini di spesa, essa è aumentata di circa 10 milioni di euro arrivando a quasi 260 milioni di euro;
          gran parte di questo incremento è da ricondurre all'accentuato decadimento dell'offerta sanitaria in ambito regionale, sempre più inadeguata ad assorbire la domanda di prestazioni sanitarie, specialistiche, di diagnostica strumentale o, anche, di ricovero ospedaliero. È indubbio, infatti, che insufficienze organizzative, la progressiva maggiore mancanza di personale, la sempre più ricorrente chiusura o dismissione di reparti e servizi e, da ultimo, di presidi, in assenza del preventivo o almeno contemporaneo allestimento di strutture alternative, sui territori interessati a quei tagli, concorrono in modo rilevante a orientare altrove le scelte dei pazienti calabresi  –:
          se il Governo, dall'avvio della fase commissariale per la gestione del piano di rientro dai debiti sanitari della regione Calabria, sia in possesso di dati in grado di verificare se la «mobilità sanitaria passiva» regionale sia variata, ed eventualmente, in quale direzione, in quale misura e con quali consistenze per scansioni annuali;
          quali iniziative, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, il Governo intenda promuovere nel territorio dell'ASP di Crotone al fine di garantire uguali opportunità di accesso ai servizi sanitari, riducendo i tempi che ostacolano l'efficace fruizione del diritto alla salute attraverso eliminazione o il contenimento delle liste d'attesa;
          se il Governo intenda specificamente verificare se, nel sistema sanitario calabrese ed in particolare nella provincia di Crotone, sia attualmente garantito concreto rispetto dei livelli essenziali di assistenza anche alla luce del fatto che l'articolo 32 della Costituzione italiana, nel sancire la tutela della salute come «diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività», di fatto obbliga lo Stato a promuovere ogni opportuna iniziativa e ad adottare precisi comportamenti finalizzati alla migliore tutela possibile della salute. (5-08422)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 30 ottobre 2012 sul sito della prefettura di Napoli (quando la stessa era retta dal prefetto Andrea De Martino) è stata comunicata la nomina per il comune di Portici (Napoli) del commissario prefettizio nella persona del dottor Pasquale Manzo, prefetto in quiescenza dal luglio 2011 e il cui ultimo incarico era stato presso la prefettura di Biella;
          contestualmente è stato nominato subcommissario sempre per il comune di Portici il dottor Michele Scognamiglio, già assessore al comune di San Giorgio a Cremano;
          in data 25 ottobre 2012 era stata data notizia in precedenza anche della nomina al comune di Cercola (Napoli) del commissario prefettizio nella persona del dottor Antonio Scozzese, dirigente di II fascia in quiescenza;
          il dottor Scozzese ha ricoperto gli incarichi di direttore del servizio finanza locale del Ministero dell'interno e presso lo stesso dicastero è stato responsabile dell'ufficio di staff ufficio trasferimenti ordinari agli enti locali e risanamento degli enti locali dissestati della direzione centrale per la finanza locale del dipartimento per gli affari interni e territoriali ed ha collaborato a numerose gestioni commissariali;
          in data 20 ottobre 2012 il quotidiano Corriere del Mezzogiorno edizione di Napoli aveva pubblicato la notizia che Scognamiglio è indagato «per i reati di abuso di ufficio, falso ideologico, turbata libertà degli incanti, peculato» in base ad una inchiesta giudiziaria sui rifiuti condotta dal pubblico ministero Mariantonietta Troncone della Procura di Nola. I fatti si riferiscono al comune di Casalnuovo alla «Commissione straordinaria incaricata della gestione del comune dopo lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni malavitose, che avvenne il 29 dicembre 2007». Nell'articolo si legge che: «A conclusione degli interrogatori, il pubblico ministero deciderà se chiedere il rinvio a giudizio. Sull'istanza si pronuncerà il Gup. È stata invece già respinta la richiesta di arresto, perché il giudice per le indagini preliminari non ha ritenuto sussistessero le esigenze cautelari. È un inchiesta complessa quella della Troncone. Riguarda le procedure adottate a Casalnuovo tra il 2008 ed il 2010 per l'affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti alla Ecologia SaBa. Leader, quest'ultima, nel settore della raccolta dei rifiuti fino all'interdittiva antimafia comminatale dalla Prefettura di Napoli a marzo 2010, confermata poi dal Tar Campania e dal Consiglio di Stato, ma contraddetta, a giugno 2012, da un'altra Prefettura, quella di Avellino, dove la società ha nel frattempo trasferito la sede legale.»;
           in data 5 dicembre 1998 si legge in rete che: «A San Giorgio a Cremano, il Municipio e i cittadini diventano soci per finanziare lo sviluppo e dare il via ai lavori per le infrastrutture con un piano di copertura degli investimenti che in venti anni dovrebbe quintuplicare il capitale iniziale di 20 miliardi. Il meccanismo escogitato dalla giunta, guidata dal sindaco Ferdinando Riccardi, per raccogliere denaro, coinvolgere i residenti nei progetti dell'ente e lucrare sull'investimento è l'emissione di Buoni ordinari comunali, che a Napoli si è rivelata un disastro finanziario. Il Municipio, secondo il piano elaborato dall'assessore alle finanze Michele Scognamiglio, emetterà entro la primavera del 1999 Boc per 20 miliardi di lire al 3,5 per cento destinati a finanziare progetti produttivi: il recupero e la sistemazione dell'area dismessa ex Itc, dove accogliere industrie eco-compatibili; il recupero del parco di villa Vannucchi, dove sorgerà un centro convegni; la costruzione dei parcheggi. “I nostri Boc sono destinati innanzitutto ai cittadini – spiega Scognamiglio –. Il coinvolgimento della collettività è una finalità politico-sociale dei Boc che non si può trascurare, così come non si possono trascurare gli aspetti finanziari: l'investimento deve essere produttivo e deve essere supportato da un piano finanziario preciso che contempli rischi e vantaggi”»;
          si evince l'attività politica svolta (perlopiù) in un vicinissimo comune dall'attuale subcommissario Scognamiglio precedentemente al suo incarico a Portici;
          il tribunale di Napoli, sezione del riesame, con ordinanza n.  7569 del 31 gennaio 2012, depositata l'11 luglio 2012 in merito alla richiesta, di applicazione della misura cautelare in carcere a carico del predetto Michele Scognamiglio, formulata dalla procura della Repubblica di Nola ha stabilito che «l'appello presentato dal P.M (...) appare fondato limitatamente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alle contestazione addebitate agli indagati... non ritenersi sussistente un concreto ed attuale pericolo di recidiva, alla luce del lasso di temporale trascorso dalla data di commissione dei fatti ... (...)»; «Letto l'articolo 310 c.p.p. rigetta l'appello proposto dal Pm in data 14 ottobre 2011 avverso l'ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Nola il precedente 30 settembre, con la quale veniva rigettata la richiesta di applicazione della misura cautelare e/o interdittiva nei confronti di Michele Scognamiglio (...) per i reati di cui agli articoli 323, 479, 353 e 314 c.p. di cui ai capi A), B), C), D), E) ed F) come rispettivamente ascritti nella originaria richiesta di emissione di misura cautelare»;
          a nominare Manzo, Scognamiglio e Scozzese è stato l'ex prefetto di Napoli;
          sul discutibile operato del dottor Andrea De Martino l'interrogante ha già depositato un'interrogazione a risposta scritta;
          tali nomine sono avvenute per Manzo e Scognamiglio nell'ultimo giorno da prefetto di Napoli per il dottor De Martino indi a qualche giorno proprio dal passaggio ufficiale di consegne al neo prefetto di Napoli dottor Francesco Antonio Musolino;
          il 7 agosto 2012 per effetto della cosiddetta «spending review» (articolo 5, comma 9, decreto-legge n.  95 del 2012) è stato disposto che: «È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.  165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n.  196, nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti, già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescenza, che abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività corrispondenti a quelle oggetto dello stesso incarico di studio e di consulenza»  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti, ad avviso dell'interrogante gravissimi, quali misure si intendano adottare e in particolare se non si ritenga opportuno che i tre soggetti nominati rispettivamente commissari e sub commissario siano rimossi immediatamente dai loro incarichi affinché lo Stato italiano sia credibile nelle proprie funzioni;
          se il Ministro dell'interno intenda assumere iniziative affinché i prefetti non abbiano a comportarsi in maniera scollegata dalle normative vigenti, e affinché se essi stessi, tutori della legge sul territorio di propria giurisdizione, violano il dettato normativo si apra immediatamente una revisione sulle funzioni ed autorità riconosciute ai «prefetti». (4-18493)


      DI STANISLAO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          le adozioni internazionali in Sri Lanka sono ferme da novembre 2011. Sono state bloccate tutte le procedure adottive, compresi gli abbinamenti già formalizzati. Tutto questo è successo in seguito ad un increscioso episodio che ha visto coinvolte le missionarie della carità in Sri Lanka (suore di Madre Teresa di Calcutta); «su denuncia di una telefonata anonima, il 23 novembre 2011, un gruppo di perone guidato da Anoma Dissanayake, Presidente della Ncpa (National child protection authority), ha circondato e fatto irruzione nell'Orfanotrofio, Prem Nivasa di Moratuwa, delle missionarie della carità, accusando Suor Mary Eliza, di adozioni illegali. Il 25 novembre è scattato l'arresto per Suor Eliza, rilasciata poi su cauzione il 29 novembre»;
          il 5 dicembre 2011 il magistrato Yvonne Fernando ha scagionato suor Mary Eliza dall'accusa di adozioni illegali. Il procuratore Nevil Abeyratne ha dichiarato che la Ncpa ha agito «in modo irresponsabile» e ha offuscato l'immagine limpida delle suore di Madre Teresa, che da anni servono la società srilankese;
          nonostante le accuse si siano dimostrate palesemente infondate, il Paese continua la sua chiusura alle adozioni internazionali. L'ultima informazione pervenuta è che una commissione di otto membri avrebbe dovuto rivedere le procedure adottive internazionali e che, in seguito a questa operazione, a maggio 2012, sarebbero riprese le partenze. Purtroppo, nulla è successo;
          gli enti italiani in Sri Lanka sono in attesa di notizie ufficiali da quasi un anno. Le richieste di informazioni al Department of probation and child care services of Sri Lanka (organismo preposto alle adozioni) non hanno avuto risposta. Ancora oggi, le famiglie italiane, non hanno notizie certe ed affidabili da parte del Paese sul fronte della ripresa delle adozioni  –:
          se il Governo intenda verificare la reale posizione del Paese relativamente alle adozioni internazionali e ottenere notizie ufficiali da parte del Department of probation and child services sul futuro delle adozioni italo-cingalesi e, nello specifico, sul futuro delle pratiche adottive di tante famiglie italiane, accolte e non concluse. (4-18494)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il 7 novembre 2012 si sono astenuti dal lavoro nell'arco dell'intera giornata i dipendenti dell'azienda COMPASS che operano all'interno della Camera dei deputati;
          l'iniziativa scaturisce dall'annunciato licenziamento di 15 unità lavorative da parte della «Compass Group» che gestisce la ristorazione di palazzo Monte Citorio;
          secondo il comunicato firmato Cgil (Filcams), Cisl (Fisascat), Uil (Tucs) «A seguito dell'attivazione della procedura 223/91 del 25 settembre 2012 da parte della Compass Group riguardo al licenziamento su scala nazionale di 824 lavoratori poniamo in evidenza il dramma sociale che si verificherebbe nel caso in cui venissero licenziati i 15 dipendenti previsti dall'azienda sull'appalto del reparto caffetteria all'interno della Camera dei deputati»;
          la «Compass Group» è in Italia da 40 anni;
          nel 1967 nasce la Onama s.n.c. di Mario e Paolo Bianchi;
          nel 1977 Onama si trasforma in s.p.a. e gestisce 20.000 pasti giorno con le filiali di Milano e Torino;
          nel 1987 l'azienda sviluppa un'apposita linea per la ristorazione sanitaria, nello stesso anno viene completata la copertura del territorio con l'apertura della filiale Onama di Salerno;
          nel 1988 nasce Ristomat, società operante nel settore dei buoni pasto;
          Compass Group Italia s.p.a. è una delle principali protagoniste nel mercato italiano nell'ambito della ristorazione collettiva, dei servizi di supporto nonché dei buoni pasto;
          l'organico è attualmente composto da 7.941 dipendenti di cui 16 dirigenti, 65 quadri, 487 impiegati, 7.373 operai, al netto dei rapporti non a tempo indeterminato;
          Compass Group è affidataria dei servizi di ristorazione a palazzo Monte Citorio e, degli 824 licenziandi, 15 sono di servizio alla Camera dei deputati;
          in data 7 novembre 2012 Repubblica.it informa: «Tra i quindici dipendenti a tempo indeterminato della Compass in sciopero ci sono padri e madri di famiglia che, lavorando a tempo pieno, portano a casa uno stipendio al massimo di 1.100 euro al mese (che sono invece 600/700 in caso di part-time, ndr): “Se non avremo risposte sul nostro futuro – dicono – continueremo lo sciopero a oltranza”. E in tutta Italia i colleghi della Compass che rischiano il posto sono in totale 824»;
          il 25 settembre 2012 Compass Group Italia spa ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per 824 lavoratori, effetto e conseguenza delle nuove norme cosiddette «Fornero» in tema di licenziamenti;
          la comunicazione aziendale recita: «allo stato la Compass Group Italia S.p.A si trova nella necessità di procedere a risolvere il rapporto di lavoro per complessive n.  824 non dirigenziali (al netto dei rapporti non a tempo indeterminato), che risultano essere strutturalmente in esubero rispetto alle mutate esigenze organizzative e produttive, di cui 12 quadri, 147 impiegati, 665 operai»;
          il futuro di 824 famiglie appare segnato dalla volontà di questa multinazionale inglese che vuole aumentare i propri profitti;
          allo stato dei fatti la Compass Group non risulta interessata dalla crisi economica odierna;
          da ottobre 2011 al settembre 2012 sono state svolte oltre 97 mila ore di supplementare, oltre 29 mila ore di straordinario, 170 mila ore circa di ferie e permessi non goduti, assunzioni di stagisti e interinali;
          numeri in crescita che certificano la buona salute della struttura organizzativa del gruppo inglese;
          a seguito della decisione unilaterale da parte dell'azienda di procedere ai suddetti licenziamenti senza la preventiva contrattazione sindacale prevista dalla legge, è stata proclamata l'azione di sciopero che ha coperto la turnazione dell'intera giornata lavorativa;
          a Bruxelles il Parlamento europeo ha condannato l'Italia per le mancate tutele nei confronti dei licenziamenti collettivi adottati dalle aziende, che portano la nostra disoccupazione al 12 per cento e aumentano le tensioni sociali nel Paese;
          la direttiva 98/59/CE obbliga i datori di lavoro che prevedono di effettuare licenziamenti collettivi di procedere a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori al fine di raggiungere un accordo;
          sempre il Parlamento europeo ha disposto che nelle consultazioni vanno esaminate le opportunità di evitare i licenziamenti collettivi o di ridurre il numero di lavoratori interessati nonché di attuare le conseguenze dei licenziamenti ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, per quanto di competenza, quali iniziative intendano assumere al fine di aprire un tavolo con il Compass Group per difendere tutti i posti di lavoro e fare chiarezza su questa anomala decisione assunta, chiedendo da subito il ritiro della lettera datata 25 settembre 2012. (4-18509)


      ANGELA NAPOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il tavolo Massicci ha prorogato di ulteriori tre anni il piano di rientro della spesa sanitaria in Calabria, con la motivazione che il commissariamento non riuscirà a raggiungere gli obiettivi prefissati entro la fine del corrente anno 2012, termini previsto per il suo epilogo;
          ferma restando a questo punto la necessità della proroga, che comunque all'interrogante appare eccessiva nella lunghezza prevista, è evidente, a fronte del permanere della pesante emergenza sanitaria regionale, la grave inefficienza evidenziata dalla gestione commissariale che, tra l'altro, ha visto anche più volte le dimissioni, poi sempre rientrate, di uno dei due sub commissari;
          d'altra parte la nomina di alcuni dirigenti del settore, ad avviso dell'interrogante, privi di competenza nel merito, nonché l'attuazione di una minima parte del piano di rientro senza adeguati interventi programmatici utili a garantire la salute del cittadino calabrese, nonché i danni che emergono nel settore a causa di indennità e compensi che sembrerebbero, per quanto risulta all'interrogante, essere stati elargiti ai dipendenti senza alcuna valutazione di merito, evidenziano l'assoluta mancanza di responsabilità con la quale parte della politica calabrese continua a gestire il settore della sanità, all'interno del quale sono nate lobby affaristiche ed opportunità carrieristiche sanitarie-politiche, lasciando anche il campo ad interessi della ’ndrangheta;
          una richiesta di parere indirizzata dall'interrogante al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Ministri interrogati nel mese di gennaio 2012, tendeva, altresì, a denunciare la grave situazione, perdurata per mesi, creatasi al vertice della dirigenza dell'ASP di Reggio Calabria, voluta e mantenuta dalla pervicacia con la quale la regione si ostinava a non voler prendere atto dei vari interventi della giustizia amministrativa e della magistratura con i quali avrebbe dovuto essere reintegrato il direttore generale di quell'azienda sanitaria provinciale, rimosso d'imperio in nome dello spoil system;
          dopo lunghi mesi e dopo l'ennesimo giudizio favorevole della magistratura, la regione Calabria è stata oggi costretta a riportare a capo dell'ASP di Reggio il dottor Renato Carullo;
          pur tuttavia, proprio a dimostrazione che la parte politica che oggi gestisce il commissariamento per l'emergenza sanitaria calabrese non ha a cuore la risoluzione delle grosse problematiche che stanno minando il diritto alla salute e alla cura dei cittadini, si registra che essa promuove l'approvazione una proposta di legge con la quale si intenderebbe riordinare il sistema sanitario regionale con una diversa configurazione degli ambiti organizzativi e territoriali delle aziende sanitarie e ospedaliere regionali; il tutto sembra all'interrogante finalizzato a rimuovere alcuni degli attuali vertici delle odierne aziende sanitarie provinciali;
          infatti, con tale provvedimento, in maniera disorganica e non sistematica, verrebbero creati dei nuovi organismi sovraziendali, chiamati aree, che conterrebbero aziende sanitarie ed ospedaliere riperimetrate nel territorio e nelle competenze amministrative;
          la profonda modifica del sistema sanitario regionale, già approvata a maggioranza, dalla terza commissione regionale, contrasta con quanto riportato dal piano di rientro sanitario oggetto di accordo stipulato il 17 dicembre 2009 tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero della salute e il presidente pro tempore della regione Calabria;
          tra l'altro, la Corte costituzionale, con sentenza n.  131 del 2012, ha già recentemente dichiarato la illegittimità di una norma emanata dalla regione Calabria in contrasto con il piano di rientro sanitario, che non può essere unilateralmente modificata dall'organo regionale, se non in violazione degli articoli 120 e 117 della Costituzione;
          tale modifica, oltre a confliggere con le previsioni del citato piano di rientro, andrebbe a vanificare quanto sino ad ora realizzato in attuazione di detto piano, non tenendo, tra l'altro, in alcuna considerazione la imminente riorganizzazione delle province calabresi, che potrebbe portare alla immediata obsolescenza della riforma sanitaria che questo consiglio regionale si propone di approvare;
          ed ancora, quella che all'interrogante appare una modifica unilaterale del piano di rientro inizierebbe a spiegare i propri effetti, causando l'impiego di ingenti risorse pubbliche necessarie per attuare la immediata estinzione e costituzione di nuove aziende con trasferimento di competenza, di risorse umane e presidi ospedalieri; risorse pubbliche che, viceversa, dovrebbero essere destinate alla salute dei cittadini calabresi;
          ad avviso dell'interrogante tutto quanto sopra premesso rende inaccettabile la gestione del commissariamento per l'emergenza sanitaria, nonché la sua proroga come recentemente definita al tavolo Massicci, da parte del potere politico, in particolare del Presidente della regione, il quale, tra l'altro, nel momento del suo insediamento a presidente dell'attuale giunta, ha trattenuto per sé la delega al settore della salute  –:
          se non ritengano necessario ed urgente assumere ogni iniziativa di competenza per sottrarre alla politica e, quindi, al presidente della regione Calabria l'incarico di commissario per l'emergenza sanitaria regionale. (4-18524)

AFFARI ESTERI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'interno, per sapere, premesso che:
          la partecipazione alla vita politica italiana dei cittadini italiani all'estero, che formano una comunità di più di 4 milioni e mezzo di persone, è riconosciuta dall'articolo 48 della Costituzione, che costituisce la circoscrizione estero, ed è regolata dalla legge 27 dicembre 2001, n.  459;
          tale complesso normativo ha consentito fino ad oggi la realizzazione di un'esperienza inedita per la democrazia italiana, vale a dire l'espressione del voto da parte di oltre un milione di cittadini in precedenza esclusi, anche se le precedenti consultazioni elettorali e referendarie all'estero hanno evidenziato disfunzioni legate alle procedure di voto, in particolare per quanto riguarda la stampa del materiale, l'invio e la ricezione dei plichi elettorali, nonché, in alcuni casi, la riconsegna degli stessi;
          una questione di fondo riguarda l'incompiuto allineamento dei dati di competenza del Ministero degli affari esteri con quelli AIRE gestiti dal Ministero dell'interno: nel 2011 sono state registrate circa 370.628 situazioni di cittadini presenti solo nell'AIRE senza riscontro negli schedari consolari, e ben 595.622 situazioni di soggetti presenti negli elenchi consolari, ma non in quelli dell'AIRE, con un incremento del numero di situazioni disallineate del 2,5 per cento in un anno, per un totale di 966.250 cittadini equivalenti a oltre il 20 per cento degli iscritti all'AIRE; questo nonostante che nel corso del 2011 sia stata approvata dalla Camera la mozione Garavini ed altri, n.  1-00655, che impegnava il Governo ad «adottare un piano straordinario d'intervento volto al superamento del divario tra i dati dell'AIRE e quelli degli schedari consolari»;
          nelle consultazioni elettorali, oltre alle disfunzioni amministrative e ai problemi legati al mancato allineamento dei dati AIRE e consolari, si sono manifestati incresciosi episodi dei quali si sono interessate la magistratura e la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato la quale, nel 2008, ha formulato una proposta di annullamento dell'elezione, che ha poi di condotto alle dimissioni di un parlamentare eletto all'estero;
          per prevenire qualsiasi forma di illegalità connessa all'applicazione della legge n.  459 del 2001, presso i due rami del Parlamento sono state depositate numerose proposte di legge da parlamentari di diverso schieramento, tra cui quelle firmate dai capigruppo del Partito Democratico alla Camera e al Senato;
          la modalità di voto che sembra meglio assicurare l'effettività del diritto richiesta dalla Costituzione è quella del voto per corrispondenza che va dunque tutelato e perfezionato; lo strumento più efficace sembra essere l'inversione dell'opzione, da realizzare mediante l'istituzione presso i consolati di un apposito elenco dei cittadini italiani residenti all'estero che manifestano la volontà di esercitare il diritto di voto direttamente nel Paese di residenza; con tale soluzione, il cittadino che non esercita l'opzione per il voto all'estero entro un termine prestabilito, conserva il suo diritto, ma lo può esercitare rientrando in Italia;
          la revisione della legge n.  459 del 2001 per introdurre l'inversione dell'opzione e l'entrata a regime del nuovo sistema richiedono tempi probabilmente non compatibili con l'imminente scadenza elettorale; sono auspicabili, dunque, misure di natura amministrativa volte a mettere in sicurezza il voto all'estero; esse, ad esempio, potrebbero consistere: nella stampa centralizzata in Italia del materiale elettorale; nell'indicazione sul plico elettorale dell'indirizzo dell'ufficio consolare di competenza, per un'agile restituzione in caso di mancato recapito; nel prevedere l'obbligo per l'elettore di indicare sul tagliando del certificato elettorale il numero identificativo del proprio passaporto o della carta d'identità; nell'obbligo per gli uffici consolari di custodire le buste inviate dagli elettori e i plichi non recapitati in un apposito spazio dotato di garanzie di inviolabilità; nella costituzione di un coordinamento presso ogni circoscrizione consolare, i cui componenti sono designati dai presentatori delle liste e dalle associazioni di emigrati, affinché cooperino con, gli uffici consolari nei compiti di controllo delle operazioni di ricevimento dei plichi, di spedizione agli elettori, di ricezione delle buste e di rinvio all'ufficio centrale per la circoscrizione Estero; nel garantire un'adeguata informazione istituzionale e pubblicità sulle elezioni all'estero, anche attraverso i giornali locali  –:
          se, prima delle consultazioni elettorali del 2013, il Governo non intenda, nell'ambito dei poteri conferiti dall'ordinamento esercitare il proprio potere regolamentare per mettere in sicurezza il voto all'estero, realizzando ove possibile le indicazioni prioritarie fornite in premessa e, in ogni caso, accelerando l'attività di allineamento dei dati AIRE e consolari sugli italiani residenti all'estero.
(2-01738) «Garavini, Adinolfi, Pompili, Cuomo, Bordo, Causi, Ciriello, Corsini, Cuperlo, De Micheli, Fedi, Ferranti, Fiorio, Fogliardi, Genovese, Ginefra, Giovanelli, Laratta, Lolli, Mastromauro, Giorgio Merlo, Mosca, Naccarato, Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Mario Pepe (PD), Pollastrini, Porta, Recchia, Rossomando, Siragusa, Vaccaro, Verducci, Zampa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      RENATO FARINA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          di recente emersa all'attenzione dell'opinione pubblica l'azione, che coinvolge cittadini italiani, dello Jugendamt. Di esso così riferisce il settimanale Tempi, nel suo sito internet in data 10 novembre 2012: «(È un) ente statale tedesco, qualcosa di più che un ufficio di assistenza giovanile, come invece si pensa. L'organizzazione, che svolge anche un'encomiabile opera a difesa dei giovani sottoposti a violenza, ha la funzione di sostegno attivo ai tribunali e di difesa degli interessi della Germania. Il codice sociale tedesco prevede per legge che lo Jugendamt intervenga sempre quando ci sono della cause di divorzio tra genitori che hanno figli minori, soprattutto quando a separarsi sono coppie binazionali. In tribunale, al momento della separazione, sono presenti la mamma, il papà e come parte in causa lo Jugendamt (il terzo genitore). Il suo compito è quello di garantire il Kindeswohl, letteralmente «bene del bambino», che per i tedeschi non è il bene superiore dei figli – come previsto da tutte le convenzioni internazionali – ma è il bene del bambino secondo la comunità tedesca. In poche parole: lo Jugendamt tende ad anteporre l'essere tedesco dei bambini al loro vero bene, facendo in modo che nessun minore lasci la Germania, che l'affido esclusivo non venga mai dato al genitore straniero, e interrompendo o rendendo difficile i suoi contatti col figlio. Come? Ad ogni costo, con qualsiasi mezzo, spesso anche con misure penali»;
          in particolare, si riferisce la vicenda della signora Marinella Colombo, la quale si è vista privata del diritto di vedere il proprio figlio, come ha raccontato lei stessa nel libro «Non vi lascerò soli» (Rizzoli editore). Come riferisce la sintesi curata dalla casa editrice, l'autrice «ha scritto questo libro senza mai uscire di casa. Da più di un anno, infatti, è agli arresti domiciliari, accusata di avere rapito i suoi bambini. La sua, però, non è la solita storia di genitori che usano i figli come terreno su cui sfogare vecchi rancori e desideri di vendetta. Nella sua storia niente è come ci si aspetterebbe che fosse. Nel 2006, quando si separa dal marito tedesco, Marinella ottiene l'affidamento. Da subito però l'istituzione che in Germania ufficialmente tutela i minori, lo Jugendamt, si insinua nella causa di separazione. Nel 2008, per non perdere il proprio lavoro, Marinella è costretta a tornare in Italia. Pur essendoci un accordo tra lei e il marito, a sua insaputa una mattina Leonardo e Nicolò vengono prelevati dalle forze dell'ordine a scuola, e riportati a Monaco di Baviera. Marinella scoprirà anche che sulla sua testa pende un mandato di cattura internazionale per sottrazione di minori, emesso già mesi prima, mentre i bambini, però, erano in vacanza con il marito. Ma le irregolarità non si fermano qui: la sua drammatica vicenda porta alla luce le pratiche anomale e discriminanti dello Jugendamt nei confronti dei coniugi stranieri di coppie miste, testimoniate dalle decine e decine di cause pendenti presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Oggi i bambini sono in Germania, il giudice tedesco scrive che manca loro moltissimo la mamma, ma respinge ugualmente ogni richiesta avanzata da Marinella per non essere cancellata dalla vita dei suoi figli. Ma lei non si è arresa. Continua a lottare contro una giustizia che a dispetto di quel che sostiene non si interessa affatto del bene di chi dovrebbe essere protetto: i bambini. Chi restituirà loro l'infanzia che gli è stata rubata?»;
          il polacco Marcin Libicki, ex presidente del comitato per le petizioni del Parlamento europeo, da tempo denuncia lo Jugendamt come organizzazione unica in Europa finalizzata a difendere gli interessi della Germania contro quelli dei cittadini di ogni altro paese. E non è il solo a farlo. Anche l'eurodeputato Nathalie Griesbeck (Aide) della commissione Libertà e giustizia sta cercando di portare alla luce questi casi: «Si tratta di situazioni estremamente gravi e dolorose. Ci sono tantissime coppie binazionali che incontrano enormi difficoltà. L'Unione Europea, la commissione Libertà e giustizia e anche la commissione per le Petizioni, sono sollecitate molto frequentemente, a dimostrazione che esistono tantissime situazioni di questo tipo in tutto il continente. In Europa ci sono 27 legislazioni nazionali diverse e solo con una stretta collaborazione si potrà riuscire a far capire allo Jugendamt che la sua posizione non rientra nel rispetto dei diritti dell'infanzia e del diritto alla vita familiare»;
          riferisce Tempi che in Francia è stata la Rete televisiva France3 a portare alla luce queste vicende. «Sono migliaia le famiglie vittime della politica nazionalista dello Jugendamt secondo cui un bambino nato in Germania deve crescere lì», ha raccontato la conduttrice. «L'organizzazione è in grado di influenzare il giudice tedesco determinandone la decisione». Nel caso riportato da France3, agenti dello Jugendamt hanno detto alle bambine che i genitori erano pazzi, e per ordinare alla polizia di prelevarle da scuola hanno utilizzato un referto psichiatrico il quale sosteneva che i genitori non erano in grado di fare crescere i figli. Per fortuna la famiglia è riuscita a scappare all'estero dove i medici li hanno dichiarati sani e in grado di far crescere i loro figli;
          l'articolo 11 del regolamento Bruxelles II bis prevede che il bambino possa essere ascoltato durante il procedimento di rimpatrio o di affidamento ad altre famiglie se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità. Questo non accade pressoché mai, facendo supporre che il diritto tedesco non sia in accordo con quello europeo. Invece lo è, ma nessuno ferma lo Jugendamt. «Già varie volte le istanze giuridiche europee hanno sottolineato queste violazioni: da una parte la Corte di giustizia dell'Unione Europea con una sentenza del luglio 2010 e dall'altra anche la Corte europea dei diritti dell'uomo», dice ancora Nathalie Griesbeck. «Lo Jugendamt non rispetta i regolamenti e le convenzioni europee. L'Europa non può intervenire con la forza, ma in ottemperanza di queste sentenze lo Jugendamt dovrà uscire dalla sua concezione restrittiva e che oltraggia, come riconosciuto dalla giurisprudenza, il diritto di vivere in famiglia e il benessere dei bambini»;
          l'eurodeputata Cristiana Muscardini (Conservatori social riformatori) e la collega Nathalie Griesbeck, il 30 giugno 2011 hanno interpellato la Commissione europea: «È normale, ammissibile, legittimo, l'uso del mandato d'arresto europeo contro genitori colpevoli soltanto di amare i propri figli sopra ogni altra cosa?». La risposta data da Viviane Reding a nome della Commissione è stata: «Gli Stati membri hanno convenuto, a livello di Consiglio, che l'autorità giudiziaria emittente il Mae debba eseguire un controllo della proporzionalità, valutando la gravità del reato commesso, la durata della condanna e i costi e i benefici che l'esecuzione di un mandato d'arresto comporta». Spetta quindi alla Germania valutare le circostanze particolari di ogni singolo caso. Certo che se è lo Jugendamt a richiedere il Mae, difficilmente la Germania si opporrà –:
          se questi fatti corrispondano al vero;
          come il Governo abbia, nel caso citato di Marinella Colombo, tutelato l'interesse del bene supremo dei minori e come intenda far valere questi principi nelle sedi internazionali opportune e nei rapporti bilaterali con la Germania. (5-08428)

Interrogazione a risposta scritta:


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 31 ottobre 2012 8 prigionieri sono stati giustiziati in una sola volta nella prigione di Evin a Tehran.  Prima di questi, 16 prigionieri erano stati impiccati il 22 e il 24 ottobre rispettivamente nelle prigioni di Ghazvin e Gohardasht;
          quindi, il numero delle esecuzioni solo negli ultimi 10 giorni ha raggiunto quota 24;
          Sadegh Koohi, 27 anni, prigioniero nella prigione di Gohardasht, è stato giustiziato il 24 ottobre dopo essere stato otto anni dietro le sbarre. È stato mandato al patibolo unicamente per aver protestato contro le torture fisiche e gli insulti alla sua famiglia e per aver picchiato Ali Khadem, una guardia carceraria della prigione di Gohardasht;
          il torturatore Ali Khadem ha personalmente giustiziato questo prigioniero;
          il segretario del Consiglio nazionale della resistenza iraniana ha dichiarato che il numero delle esecuzioni in tutto l'Iran è aumentato in un modo senza precedenti. Il numero delle esecuzioni nei 20 mesi passati a Ghazvin ,è pari a quello degli ultimi 20 anni, ha detto il vice procuratore della città;
          la Resistenza iraniana ha denunciato, inoltre, che sempre nella giornata del 31 ottobre 2012 le forze irachene, su ordine di Sadeq Mohammad Kazem, hanno proibito l'ingresso a Camp Liberty di uno specialista in protesi. Questo specialista si era recato a Liberty, secondo quanto precedentemente concordato, per fornire i suoi servizi ai residenti feriti;
          in questo modo, i feriti e i disabili sono stati privati, ancora una volta, della possibilità di ricevere i servizi specialistici necessari;
          giovedì 1o novembre 2012 le forze irachene hanno impedito l'ingresso del camion che portava cibo e verdura. Dato che il veicolo è rimasto bloccato all'ingresso di Liberty per molte ore, la maggior parte del cibo è andata a male  –:
          se il Governo non ritenga di intervenire, anche nell'ambito degli interventi di cooperazione allo sviluppo, in difesa dei diritti umani per chiedere misure urgenti per fermare lo spaventoso trend della violazione dei diritti umani in Iran, in particolare l'aumento delle esecuzioni collettive;
          se il Governo non ritenga di farsi portavoce della richiesta della Resistenza iraniana che chiede che venga inviata una missione investigativa nelle prigioni dei mullah per indagare sull'applicazione di pene brutali e disumane. (4-18495)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


      CONTENTO. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          di recente la Commissione europea ha stralciato la proposta normativa in discussione da almeno un decennio e relativa alla tracciabilità dei prodotti extra Ue (il Parlamento di Bruxelles aveva già votato a favore dell'iniziativa legislativa nel 2010);
          la sospensione dell’iter dipenderebbe dai dubbi giuridici insorti in seno alla Commissione circa la compatibilità della disposizione attualmente al vaglio rispetto alla giurisprudenza internazionale del Wto;
          fatto sta che l'improvviso blocco dell'approvazione della normativa del made in ha creato pesanti tensioni e timori soprattutto nelle aziende italiane di qualità, le maggiormente esposte ai nefasti effetti di una concorrenza asiatica sleale e contraria ai principi del commercio internazionale  –:
          se intendano attivare tutti i canali di confronto disponibili al fine di sollecitare le istituzioni di Bruxelles a riprendere l’iter della normativa comunitaria del made in giungendo così ad una rapida tutela delle aziende europee mediante l'obbligo di tracciabilità dei prodotti stranieri. (4-18504)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


      BURTONE. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          diverse associazioni ambientaliste lucane hanno denunciato la riattivazione presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare della procedura di valutazione di impatto ambientale dell'istanza denominata «d148 D.R. – CS» della società Apennine Energy srl che ha richiesto in questi giorni il riavvio dell'istanza di pronuncia di compatibilità ambientale per il rilascio del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, già in capo alla Società Consul Service S.r.l. (ora Apennine Energy srl);
          si tratta di una richiesta di permesso che interessa di fatto la prossimità della costa jonica meta pontina;
          la medesima società sarebbe titolare in Basilicata anche della concessione di Fonte San Damiano, compresa nei territori dei comuni di Ferrandina e Pomarico, a cavallo del Basento nonché avrebbe acquisito anche la società Celtique Energie s.p.a., e con essa anche la titolarità dei permessi di ricerca di Monte Negro compresi tra i comuni di Craco e San Mauro Forte e anche del permesso di ricerca denominato Torrente Alvo, ricadente nei comuni di Tolve, S. Chirico Nuovo, Oppido Lucano, Vaglio di Basilicata, Cancellara;
          va detto che il Ministero dello sviluppo economico, a cui è in capo il procedimento principale, aveva provveduto in data 19 luglio 2011 a comunicare alla società Apennine Energy S.r.l., già Consul Service S.r.l., il definitivo rigetto dell'istanza di autorizzazione;
          questo però sembrerebbe non aver impedito al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di non ravvisare motivi ostativi alla riattivazione dell'istanza di pronuncia di compatibilità ambientale presentata in data 11 settembre 2008, ritenendo dover procedere ad una nuova valutazione di impatto ambientale;
          queste notizie si accompagnano anche ad una serie di sondaggi che la multinazionale Shell avrebbe attivato per verificare la possibilità di effettuare ricerche nel mar Jonio;
          la costa jonica lucana avrebbe bisogno di un vero contrasto del fenomeno erosivo che minaccia uno dei litorali più belli del Paese e non di essere ulteriormente martoriata da ricerche per estrazione petrolifera  –:
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano attivare con la massima urgenza per verificare le concessioni di cui in premessa e valutare il respingimento delle citate istanze al fine di salvaguardare la costa jonica lucana nonché il patrimonio paesaggistico e naturalistico delle zone interessate dalle richieste in oggetto.
(3-02599)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta immediata:


      PAGLIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          gli scavi archeologici di Pompei rappresentano il secondo sito italiano più visitato, dopo il Colosseo, con quasi 2 milioni e mezzo di presenze annue di turisti;
          la celebre città campana, con il suo vasto patrimonio archeologico e il frequentatissimo Pontificio Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario, costituisce un centro storico-artistico e religioso di primo piano, in quanto meta privilegiata di numerosi studiosi e pellegrini, provenienti da tutto il mondo;
          nonostante la straordinaria ed invidiabile bellezza dell'intera area, ad avviso dell'interrogante, essa non appare adeguatamente valorizzata, soprattutto se si considera l'assenza, o quanto meno l'intollerabile insufficienza, di strutture volte ad assicurare alle persone con disabilità motorie (temporanee o permanenti) efficienti condizioni di accesso e di fruizione dei principali luoghi di interesse culturale, in completa autonomia e sicurezza;
          l'articolo 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, infatti, al comma 1, specifica che «la valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura»;
          da questo punto di vista, preme segnalare alcuni gravi ed intollerabili disagi che si registrano, invece, nel territorio considerato;
          innanzitutto va sottolineato che, all'interno del sito archeologico di Pompei, il percorso per i diversamente abili, realizzato, negli anni scorsi, con dispendio di ingenti risorse finanziarie, copre meno del 10 per cento dell'intera area e risulta, per la maggior parte, non conforme ai requisiti prescritti dalla normativa vigente in materia di sicurezza, accessibilità e superamento delle barriere architettoniche, sia dal punto di vista tecnico sia per quanto concerne la toponomastica;
          una volta giunto alla biglietteria, il visitatore disabile deve uscire, tornare indietro e ripercorrere, con evidenti difficoltà, l'intera Piazza Anfiteatro, in quanto per accedere al percorso riservato bisogna entrare da un ingresso esterno laterale, adiacente alla necropoli;
          il percorso riservato, poi, oltre a non consentire una visita completa degli scavi, è costituito da un sistema di pedane inidonee (in quanto trattasi di strutture in ferro, a grata, con pendenze disomogenee), che creano evidenti difficoltà di movimento;
          le case effettivamente visibili sono solo due: quella del poeta Menandro, che presenta un corridoio molto stretto non accessibile con la carrozzina, e quella di Polibio (su Via dell'abbondanza), accessibile solo attraverso un percorso non agevolmente praticabile;
          a tutto ciò si aggiungono, infine, le condizioni altamente inefficienti di un intero tessuto urbano, che, pur dovendo essere funzionale alla piena vivibilità di una città, come Pompei, a forte vocazione turistica, si caratterizza, invece, per la carenza di parcheggi riservati, l'inagibilità dei servizi igienici pubblici, le condizioni impraticabili del manto stradale e, in particolare, dei marciapiedi: il caso più emblematico è rappresentato da Piazza Schettini, i cui disagi sono stati da tempo denunciati da singoli cittadini e da associazioni di categoria e su cui è intervenuto anche il Codacons;
          il grado di civiltà e di sviluppo di un Paese si misura anche dalla capacità di integrazione e di inclusione sociale, nonché dalle iniziative finalizzate ad assicurare la parità delle opportunità, attraverso la garanzia della dignità e il rispetto delle persone che vivono in condizioni di disagio fisico;
          è indispensabile, quindi, che tutte le istituzioni, nazionali e locali, si attivino tempestivamente per garantire l'effettivo diritto alla mobilità dei portatori di handicap, attraverso la completa eliminazione delle barriere architettoniche, nonché una gestione responsabile del territorio ed anche del patrimonio culturale volta a rimuovere le eventuali inefficienze e a promuovere la realizzazione di un efficace sistema integrato di «accessibilità» e di fruibilità, in conformità alla legislazione vigente;
          la «partecipazione» e la centralità del visitatore dovrebbe costituire un obiettivo primario di ogni più ampio ed articolato progetto di valorizzazione e di sviluppo, per cui è importante contemperare l'esigenza primaria di non recare, attraverso la realizzazione di strutture esterne, serio pregiudizio ai beni tutelati con quella, altrettanto fondamentale, di consentire, anche alle persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere i siti di interesse, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature, in condizioni di massima sicurezza e autonomia;
          alla luce della grave congiuntura economico-finanziaria che investe anche il Paese, il turismo può rappresentare il volano per l'economia nazionale, tanto che il Ministro interrogato, in un'intervista di gennaio 2012, nel ribadire l'impegno dell'Esecutivo per il rilancio dei beni culturali italiani, ha addirittura affermato che Pompei e il Colosseo dovranno rappresentare l'emblema di un nuovo e diverso modello di sviluppo del sistema Paese;
          per una città come Pompei, ad alta vocazione turistica, le modalità di accoglienza e di accompagnamento dei visitatori rappresentano, senza dubbio, un importante biglietto da visita;
          è necessario, pertanto, che tutte le istituzioni, nazionali e locali, si attivino tempestivamente per garantire una gestione responsabile del territorio, volta a rimuovere le eventuali inefficienze e a promuovere la realizzazione di un efficace sistema integrato di «accessibilità» e di fruibilità del patrimonio culturale, al fine di rendere effettivo il diritto alla mobilità dei portatori di handicap, anche attraverso l'adozione di forme di monitoraggio, controllo e sanzione per i casi di inosservanza  –:
          se il Ministro interrogato ritenga che la città di Pompei sia adeguatamente attrezzata per assicurare, alle persone con esigenze fisiche specifiche, efficienti condizioni di accessibilità e di fruibilità dei luoghi di interesse culturale, in conformità a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia, e, in ogni caso, quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di dare soluzione alle criticità evidenziate in premessa e di migliorare la vivibilità dell'intero percorso cittadino circostante l'area archeologica. (3-02608)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GRAZIANO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          recentemente si è assistito ancora al degrado, più volte denunciato, di uno dei monumenti più visitati d'Italia, la reggia di Caserta;
          a distanza di pochissimi giorni si è verificata, prima, la caduta di un timpano dalla facciata laterale interna del palazzo reale, poi, una parte di un capitello dal cornicione nell'angolo estremo della facciata esterna, quello occupato dalla scuola specialisti dell'Aeronautica militare. Una caduta, quest'ultima, rovinosa, ma soprattutto pericolosa giacché il pezzo, staccandosi dalla facciata esterna e cadendo da oltre quaranta metri di altezza proprio sulla piazza antistante il monumento, avrebbe potuto provocare una tragedia, evitata solo per una fortunata coincidenza, essendo ancora in corso l'orario delle visite e senza peraltro dimenticare gli allievi della scuola specialisti dell'Aeronautica, i dipendenti della scuola superiore della pubblica amministrazione e della soprintendenza che vi transitano ogni giorno;
          la reggia non è nuova a questo genere di incidenti. Nel 2009, la caduta di parte del capitello della facciata interna del Palazzo, sul lato del parco, aveva schivato cavalli e carrozzelle. L'ultimo restauro risale a circa trenta anni fa;
          dopo l'ultimo cedimento, i rilievi tecnici dei vigili del fuoco hanno confermato che i due elementi architettonici caduti dal palazzo erano lesionati da tempo e hanno scoperto altri elementi architettonici pericolosamente danneggiati sulla facciata esterna in cima al timpano. Intanto, allo stato, risultano transennate e messe in sicurezza con ponteggi provvisori le aree nei pressi delle varie entrate della reggia utilizzate dai turisti, e non solo, per tutelare la loro incolumità fisica e interdire l'ingresso delle auto nei cortili. All'esito dei controlli saranno definite misure aggiornate e opportune per gestire i flussi dei visitatori e del personale;
          le difficoltà gestionali e manutentive in cui versa il complesso vanvitelliano sono evidenti. Questi episodi dimostrano che ormai interventi strutturali seri, radicali e incisivi, di sistemazione del monumento non solo non sono più rinviabili, ma non possono incappare nella stretta economica del momento;
          del resto, pensare di chiudere l'accesso del monumento ai visitatori e impedirne la fruizione pubblica sarebbe l'ennesimo colpo alle prospettive, già magre, di rilancio del turismo, oltre che un danno gravissimo all'immagine di tutto il territorio;
          sarebbe oltremodo indispensabile e non differibile ormai investire nel patrimonio culturale italiano e stanziare risorse per garantire quella manutenzione puntuale che manca da tempo e una gestione efficiente del palazzo e delle sue pertinenze. La reggia, e con essa le prospettive di turismo e di sviluppo del territorio, non possono finire sotto le macerie di una cattiva gestione e di una annosa disattenzione istituzionale;
          viene da chiedersi che fine hanno fatto i proclami e le buone intenzioni di creare un circuito turistico che comprendesse oltre alla reggia anche Casertavecchia, San Leucio e la stessa Carditello. Purtroppo, la programmazione ha lasciato il posto all'emergenza;
          viene da chiedersi anche se non sia urgente porre attenzione sulla valorizzazione della reggia di Caserta, proponendo per essa la costituzione di una Soprintendenza speciale delle regge borboniche, che comprenderebbe oltre a quella di Caserta anche le regge di Napoli e Capodimonte  –:
          se intenda adoperarsi con misure e interventi urgenti per invertite questa tendenza emergenziale, investendo nel patrimonio architettonico e culturale, a cominciare proprio dalla reggia, scongiurando ogni ipotesi di chiusura e avviando piuttosto un importante intervento conservativo per questo monumento che è patrimonio dell'Unesco;
          quale sia l'orientamento del Ministro interrogato circa la costituzione presso la Reggia di Caserta di una soprintendenza speciale delle regge borboniche. (5-08431)

Interrogazione a risposta scritta:


      CAVALLOTTO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          la Venaria Reale, imponente complesso alle porte di Torino con 80.000 metri quadri di edificio monumentale e 80 ettari di Giardini, è, un capolavoro dell'architettura e del paesaggio barocco universale, dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco;
          la reggia e i giardini sono un grande spazio culturale moderno che offre esperienze, emozioni e opportunità ai conoscenza molteplici, proponendosi come una «corte contemporanea» aperta a tutti, dove regnano la bellezza e il piacere di vivere;
          la reggia è stata aperta al pubblico il 12 ottobre 2007, dopo 8 anni di restauro seguiti a 2 secoli di abbandono e degrado;
          il progetto di recupero, promosso dall'Unione europea e curato dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalla regione Piemonte per un finanziamento totale di 200 milioni di euro, è considerato il più grande cantiere d'Europa nel campo dei beni culturali;
          nella magnificenza della reggia e dei giardini, quasi ogni giorno si alternano mostre d'arte e di storia, musica e spettacoli, passeggiate, piaceri del cibo, giochi e relax e tanto altro ancora;
          nel periodo 2007-2012 si sono svolte: 16 mostre temporanee organizzate negli spazi espositivi della reggia; oltre 2.000 concerti, spettacoli e iniziative culturali ospitati nella reggia e nei giardini; 250 eventi circa dedicati all'enogastronomia e all'intrattenimento; più di 20.000 itinerari didattici svolti da scuole di ogni ordine e grado;
          la Venaria Reale si è attestata tra i primi cinque siti culturali più visitati d'Italia;
          il numero di ingressi è da considerarsi impressionante nel periodo 2007-2012: 4.143.518;
          nello specifico 2007: (dal 10 giugno/inaugurazione dei giardini e dal 12 ottobre/inaugurazione della reggia) 241.909; 2008: 786.256; 2009: 855.112; 2010: 798.447; 2011: 951.617; 2012: (parziale) 510.177;
          il Consorzio La Venaria Reale che gestisce il complesso conta una sessantina di dipendenti diretti (circa 350 se si considera anche il personale delle società che si occupano dei vari servizi concessi in outsourcing);
          il bilancio annuale del Consorzio per le diverse attività, mostre, servizi, manutenzione ordinaria e straordinaria, personale, utenze, promozione e altro si attesta mediamente intorno ai 14 milioni di euro;
          circa la metà del budget è coperto dai contributi degli enti che formano il Consorzio; la restante parte (50 per cento circa) proviene da risorse interne, vale a dire da incassi ricavati da attività proprie, biglietti, servizi, affitto, location, royalties, sponsorizzazioni, gestione diretta dei punti ristoro e bookshop e altro;
          l'apertura della reggia ha generato per la città di Venaria Reale (35.000 abitanti circa) un incremento di circa il 12 per cento dell'occupazione (fonte: ufficio lavoro del comune di Venaria, 2009); il valore degli immobili del centro storico è passato in molti casi da poche centinaia di mila lire per metro quadro di fine anni Novanta, agli attuali 3.300 euro al metro quadro (per edifici spesso ancora da ristrutturare), comportando inoltre un aumento sensibile del «giro d'affari», nascita di nuove imprese e riconversione di attività commerciali votate al turismo anche per Torino e la sua provincia;
          la Venaria Reale è gestita dal 2008 dal «Consorzio di valorizzazione culturale La Venaria Reale», costituito dal Ministero per i beni e le attività culturali, regione Piemonte, città di Venaria Reale, Compagnia di San Paolo e Fondazione 1563 per l'arte e la cultura;
          in tutto questo panorama di eccellenza mancata erogazione del contributo annuo da parte del MIBAC per un importo di due milioni di euro;
          nel 2008 al momento dell'atto costitutivo il Ministero si impegnava a garantire la cifra di due milioni di euro all'anno. Al momento risulta soltanto coperto il 2010 attraverso un impegno di ARCUS, attualmente non ancora incassato. Complessivamente si può dire che mancano all'appello oltre 6 milioni di euro;
          si tratta come può immaginare di una cifra importante che viene a mancare alla fine di ogni anno e costringe così ogni anno gli altri soci a farsi carico di questo debito;
          in particolare la regione Piemonte è il principale socio sostenitore della reggia, con un investimento che grosso modo ogni anno supera i 3 milioni di euro, che anche in tempi difficili come questo, dimostra come l'istituzione sostenga le sue eccellenze  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire rispettando gli accordi presi destinando quanto dovuto, anche per il passato, per la gestione della reggia di Venaria. (4-18482)

DIFESA

Interrogazioni a risposta orale:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          l'associazione Vittime uranio ha di recente denunciato nuovi casi di malattia tra i militari per possibile contaminazione da uranio impoverito, come si apprende dall'agenzia di stampa ANSA del 29 novembre 2011;
          un caso riguarda un ex militare che aveva prestato servizio presso il poligono di Salto di Quirra, in Sardegna, poligono già al centro dell'inchiesta avviata dalla procura di Lanusei;
          il Ministro della difesa pro tempore il 30 luglio 2010, rispondendo all'interrogazione n.  4-05710 aveva affermato che: «circa il numero delle persone che potrebbero aver contratto “patologie connesse all'uranio impoverito sul territorio italiano”, allo stato, risultano 13 casi di neoplasie tra il personale impiegato nei poligoni di tiro, dei quali 4 deceduti per le conseguenze di patologie neoplastiche (da tener presente che tale dato potrebbe essere condizionato dal fatto che il personale congedato viene poi perso dal flusso informativo sanitario militare)»;
          lo stesso Ministro, il 12 settembre 2011, rispondendo all'interrogazione n.  4-11666 presentata dagli interroganti aveva affermato che: «per quanto concerne, in particolare, i dati relativi al personale che ha operato presso il poligono di Salto di Quirra, i casi di neoplasie comunicati all'osservatorio, relativamente al periodo 1992-2010, risultano in totale 21»;
          l'Associazione vittime uranio ha anche denunciato il rischio che siano persi oltre 24 milioni sui 30 destinati alle vittime dalle leggi finanziarie del 2008 e 2009, fondi che potrebbero essere persi se non impegnati entro la fine dell'anno;
          da fonti di stampa si è appreso che la procura di Lanusei sta indagando anche sul fenomeno delle malformazioni alla nascita che riguardano i bambini di militari che hanno operato nel poligono di Quirra e gli animali che hanno pascolato nelle vicinanze;
          da analisi effettuate dal professor Massimo Zucchetti del politecnico di Torino è stata riscontrata traccia di uranio impoverito nelle ossa di un agnello nato con due teste in una zona vicina al poligono di Quirra, circostanza ampiamente riportata dalla stampa;
          nel rapporto di Carla Goffi (Mouvement Chrétien pour la Paix) e Ria Werjauw (International Coalition to Ban Uranion Weapons), dell'ottobre 2011, pubblicato su alcuni siti internet, si legge che: «nel corso di un interrogatorio, il Capitano Giancarlo Carrusci, responsabile del PISQ tra 1977 e 1992, ha confermato il lancio di missili Cormoran-2 (da aerei tedeschi) con testata in uranio»  –:
          se il Ministro non intenda fare chiarezza sul numero di casi, riferiti al personale militare, di gravi patologie o di morte registrati in seguito o durante il servizio presso il poligono di Salto di Quirra e in tutti gli altri poligoni presenti sul territorio nazionale, tra cui quelli di Capo Teulada e Capo Frasca, sempre in Sardegna e Torre Veneri, in provincia di Lecce;
          se il Ministro non intenda fare chiarezza sul numero di morti e gravi patologie registrate anche nel personale impiegato nel corso di missioni all'estero svoltesi dal 1980 ad oggi;
          se il Ministro non intenda intraprendere iniziative per scongiurare il rischio che i fondi per le vittime dell'uranio impoverito vadano persi e non intenda quindi snellire i procedimenti burocratici per il riconoscimento degli indennizzi alle vittime;
          se non intenda avviare un'indagine ministeriale sul fenomeno delle malformazioni alla nascita;
          se non intenda fare chiarezza anche sull'utilizzo di armamenti all'uranio impoverito nei poligoni italiani e a anche in relazione a quanto riportato nel rapporto suindicato di Carla Goffi e Ria Werjauw. (3-02594)


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in data 26 settembre 2012 il presidente dell'Anavafaf scrive una lettera alla Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, alle Commissioni difesa di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio e al Ministro della difesa concernente i premi assicurativi per personale ammalato o deceduto per tumori riconducibili a uranio impoverito o nano particelle;
          nella lettera si fa riferimento ad una comunicazione del signor Casimiro Pinto di Torre del Greco, già appartenente alla Guardia di finanza, dalla quale si apprende che i nostri militari erano assicurati dalla Assicurazioni navali di Ferrara. Si precisa che i militari che hanno subito infortuni all'estero hanno ottenuto i risarcimenti da questa compagnia assicurativa;
          l'Anavafaf in passato ha denunciato diversi casi di militari che non hanno avuto tale beneficio, come il caso del lanciere Fulvio Pazzi, militare deceduto per un tumore e per il quale è stata riconosciuta la causa di servizio, che non ha ottenuto il premio assicurativo  –:
          se il Governo intenda chiarire i motivi per i quali non sono stati assegnati i premi assicurativi e se abbia in suo possesso un elenco dei militari in condizioni simili al citato lanciere Pazzi che pur avendone diritto non ha ottenuto i risarcimenti  –:
          se il Governo intenda poi chiarire se le assicurazioni riguardano solo i militari che hanno operato in missioni all'estero o anche coloro che hanno operato nelle basi Usa e Nato in Italia. (3-02595)


      MARCAZZAN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nella giurisdizione del dipartimento militare marittimo di Taranto sono operativi impianti di depurazione all'interno della stazione navale Mar Grande, legittimati alla depurazione delle sole acque reflue civili, quando tecnicamente potrebbero trattare anche le «acque reflue navali ed oleose di sentina»;
          il decreto legislativo 24 giugno 2003, n.  182, conferisce alle acque reflue navali ed oleose di sentina la definizione di «rifiuti», limitandone così lo smaltimento per opera degli impianti già esistenti ed utilizzabili solo per le acque reflue civili, imponendo così la necessità di dotarsi di un sorgitore esterno che comporterebbe una spesa di 327.000 euro mensili;
          nel comune di Taranto l'esatta definizione del concetto di «autonomia funzionale» dell'amministrazione difesa nell'ambito delle infrastrutture militari in materia di gestione e trattamento dei rifiuti non è condivisa da tutti gli organi dell'ente locale, con conseguente incertezza di azione da parte del comando militare  –:
          quali iniziative intenda adottare al fine di considerare, nel regime di specialità già attribuito ai comandi militari, anche gli impianti di trattamento delle «acque reflue navali ed oleose di sentina», per evitare una spesa superflua quantificata in 327.000 euro mensili, e al fine di conferire maggiore concretezza alla nozione di «autonomia funzionale» dell'amministrazione difesa nell'ambito delle infrastrutture militari in materia di gestione e trattamento dei rifiuti. (3-02597)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BOCCI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          all'inizio del mese di ottobre 2012 l'Agenzia industrie della difesa ha comunicato l'intenzione di costituire il «Polo di munizionamento e demilitarizzazione», accorpando lo stabilimento militare di Baiano (Spoleto) a quello di Noceto (Parma);
          lo stabilimento militare di Baiano conta più di duecento addetti, mentre quello di Noceto circa settanta;
          lo stabilimento di Baiano, secondo il piano triennale adottato, raggiungerà l'obiettivo del pareggio di bilancio entro i termini di legge, ovvero entro il mese di dicembre del 2014;
          contemporaneamente, lo stabilimento ha sviluppato progetti in materia ambientale e di sicurezza che aprono prospettive di espansione, con la previsione di una ventina di nuovi contratti interinali, il che permetterebbe di trasmettere l'eccellente know-how della struttura di Baiano ai nuovi assunti e di preservare nel futuro l'alto livello di professionalità presente;
          in questa situazione, è evidente che la prospettiva di un accorpamento tra Baiano e Noceto presenta forti criticità, sia per la mancata previsione del pareggio di bilancio del futuro Polo entro dicembre 2014 sia per il concreto rischio di ridurre la funzionalità di Baiano e di limitarne le prospettive di espansione  –:
          se non ritenga di disporre una valutazione sull'effettiva necessità dell'accorpamento dei due stabilimenti militari e sulle conseguenze che tale accorpamento potrebbe comportare. (5-08424)


      CONTENTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nel gennaio del 2010 il comune di Gorizia e lo Stato maggiore dell'Esercito si sono accordati per un accorpamento del comando di Brigata della «Pozzuolo del Friuli» presso la caserma «Montesanto» di via Trieste, chiudendo i presidi di piazza Cesare Battisti e Via Duca d'Aosta;
          in tale occasione venne di fatto assicurata la permanenza della storica Brigata all'interno del territorio comunale;
          nel tempo i lavori di adeguamento della struttura in questione sono ammontati a circa 3 milioni di euro;
          di recente il Ministero della difesa ha annunciato l'avvio di un procedimento interno per una nuova allocazione della Brigata, probabilmente spostandola dalla città di Gorizia  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e se sia già stata indicata la nuova sede nella quale verrà dislocata la Brigata «Pozzuolo del Friuli»;
          se non ritenga necessario che questo presidio militare resti a Gorizia, anche alla luce dell'accordo intervenuto nel gennaio del 2010 tra l'allora generale di Stato Maggiore Giuseppe Valotto, e l'amministrazione comunale;
          se non ritenga che ulteriori spostamenti di sede comportino inutili esborsi, anche a seguito degli interventi strutturali già ultimati alla caserma «Montesanto» di Trieste. (5-08429)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il C-27J «Spartan» è un bimotore a turbina adibito a velivolo militare di «trasporto tattico». Può portare, al suo interno, numerosi soldati equipaggiati e jeep, cannoni e altri sistemi d'arma medio-piccoli. Ha quindi un'alta flessibilità di impiego e le migliori prestazioni tra i velivoli della sua categoria;
          è stato annunciato a Roma dalla direzione armamenti aeronautici del Ministero della difesa un accordo per la fornitura di due esemplari dell'aereo di trasporto tattico C-27J «Spartan» prodotto da gruppo Finmeccanica con il Ciad. L'accordo includerebbe la fornitura di un anno di supporto logistico, di parti di ricambio (due anni), due kit di protezione balistica, un kit di ricerca e soccorso e uno di evacuazione medica;
          il Ciad è un uno dei Paesi più poveri al mondo, l'aspettativa di vita dei suoi 11,5 milioni di abitanti è di appena 49,6 anni; la mortalità infantile sotto i 5 anni è del 209 per cento e il tasso di alfabetizzazione degli adulti è di appena il 33,6 per cento. Vige altresì ancora la pena di morte;
          Amnesty International ha denunciato che nel Paese sono aumentati i casi di arresti e detenzioni illegali, così come di tortura, aggressioni ai danni di difensori dei diritti umani, giornalisti e sindacalisti. Stupri e altre violenze nei confronti di donne e ragazze sono stati frequenti. Le condizioni nelle carceri sono difficili ed equiparabili a trattamento o pena crudele, disumana o degradante. Le strutture di detenzione sono sovraffollate e i prigionieri spesso non hanno avuto accesso ad adeguati servizi medici e ad altri servizi di base;
          sempre secondo Amnesty International, in Ciad funzionari ciadiani e membri di gruppi armati responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, come uccisioni illegali, stupro e altre torture, hanno continuato ad agire nell'impunità e le vittime non hanno ricevuto assistenza, aggiunge l'organizzazione. Alla vigilia del voto presidenziale, Idriss Déby Itno ha concesso l'amnistia per i reati commessi da membri di gruppi armati, alcuni dei quali sospettati di aver commesso reati ai sensi del diritto internazionale;
          il 15 giugno 2011, il Ciad e le Nazioni Unite hanno firmato un piano d'azione sui minori affiliati alle forze armate e i gruppi armati, per porre fine al reclutamento e all'impiego di bambini soldato, ma non è ancora ben chiaro se sia stato o meno avviato;
          in Africa, il gruppo Finmeccanica è ormai una delle più affermate fornitrici di sistemi per la guerra aerea. Ad oggi ha consegnato alle aeronautiche militari locali oltre 750 velivoli tra addestratori SF-260 ed aeromobili da trasporto tattico G-222 e C-47J. Solo al Sud Africa sono stati venduti più di 250 velivoli da addestramento e da attacco leggero MB-326 in varie versioni. I velivoli sono stati costruiti su licenza nel Paese e sono stati denominati «Impala Mk 1» e «Mk II»;
          il Ciad deve ancora risolvere questioni chiave molto delicate come la tutela dei diritti umani, lotta alla violenza contro le donne ed un sistema giudiziario caratterizzato da abusi e soprusi inaccettabili  –:
          se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per rivedere gli accordi tra Finmeccanica e il Ciad per la fornitura di armi e mezzi militari, come il C-27J, tenendo conto della grave situazione sociale, politica e umanitaria in cui versa questo Paese e dare di contro una risposta umanitaria alla crisi alimentare e di valori che attanaglia la sua popolazione;
          se il Governo intenda assumere iniziative per introdurre maggiori controlli e restrizioni in relazione alle esportazioni e al commercio di armi verso Paesi in stato di conflitto armato o che presentano gravi violazioni dei diritti umani. (4-18496)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sulla Gazzetta del mezzogiorno in data 12 novembre 2012 è stato pubblicato l'articolo dal titolo «Morirono d'amianto, l'arsenale di Taranto risarcisce gli eredi» in cui si legge «I familiari di un sottufficiale della Marina militare e di un operaio civile dell'Arsenale di Taranto hanno ottenuto un risarcimento dal Ministero della difesa riservato alle vittime del dovere. Lo rende noto Luciano Carleo, presidente di «Contramianto e altri rischi Onlus». I casi riguardano la morte da mesotelioma causata dall'esposizione all'amianto sulle navi militari e nelle officine dell'Arsenale. A moglie e figli – spiega Carleo – spetterà una somma una tantum di 200mila euro ed una rendita vitalizia per ogni erede di 1.300 euro al mese. Questi primi riconoscimenti fanno ben sperare in una soluzione positiva delle numerose richieste di vittime del dovere promosse da Contramianto e che sono in attesa di risposta. Il Ministro della difesa ha accolto 65 domande sulle 141 presentate dai familiari del personale decedute per mesotelioma. Secondo l'associazione onlus l'attività di rimozione dell'amianto sinora svolta sulle navi della Marina Militare ha permesso di bonificare completamente solo il 20 per cento e, parzialmente, il 44 per cento delle 155 unità navali con presenza di materiali contenenti amianto a bordo, attualmente in servizio con equipaggio fisso. Nel solo periodo 1993-2005 nell'Arsenale Marina Militare di Taranto sono state rimosse da Officine e Navi 600 tonnellate di amianto e i dati – conclude Carleo – evidenziano una casistica significativa di mortalità e morbilità per patologie asbesto-correlate»;
          la risposta all'interrogazione 4-14374, presentata dagli stessi interroganti, riporta che «(...) il piano attuato dalla Marina militare per la risoluzione del problema della presenza di amianto a bordo delle unità navali è nel pieno della sua fase esecutiva e procede regolarmente, sulla base della documentazione di mappatura prodotta dal Registro italiano navale (Rina). L'attività sinora svolta ha permesso di bonificare completamente il 20 per cento e, parzialmente, il 44 per cento delle 155 unità con presenza di materiali contenenti amianto a bordo, attualmente in servizio con equipaggio fisso, nonché di avviare ulteriori attività di bonifica, tuttora in corso, la quale avviene, principalmente, nell'ambito delle soste manutentive programmate delle unità. Anche l'ambiente circostante è sottoposto a verifiche periodiche (di massima annuali) per accertare l'assenza di pericolosità per la salute del personale imbarcato (rilievo delle fibre aerodisperse, secondo un protocollo stabilito dall'Università di Genova) e ogni unità navale è dotata di specifici dispositivi di protezione individuale per le fibre di amianto, nonché di un definito protocollo d'intervento, da attuarsi nel caso si verifichino avarie a carico di impianti o componenti con materiali contenenti amianto. Le unità navali ancora non completamente bonificate vengono utilizzate nelle varie attività addestrative e operative, in quanto l'amianto, ove presente, risulta adeguatamente confinato e incapsulato, ferma restando, ovviamente, l'adozione delle richiamate misure a tutela della salute del personale imbarcato (...)»  –:
          se non si ritenga urgente fornire i dati nazionali delle vittime del dovere a causa dell'amianto per i lavoratori militari e civili e i dati delle domande presentate;
          quanti e quali siano le situazioni di inquinamento ambientale riscontrate dai servizi di vigilanza, di cui all'articolo 260 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90, e quale sia il conseguente rischio per i lavoratori militari e civili. (4-18512)


      DI STANISLAO. —Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          recentemente durante l'udienza preliminare davanti al gup di Lanusei, il procuratore della Repubblica, Domenico Fiordalisi, per cinque ore ha elencato i nomi dei morti e delle decine di persone che si sono ammalate di cancro, esibendo le relazioni scientifiche dei periti che hanno analizzato il terreno del poligono di Quirra ed esaminato centinaia di animali, pecore in particolare, nate con un occhio al centro della testa, con due orecchie al posto degli occhi ed altre deformazioni che sarebbero state provocate dall'inquinamento di quell'area;
          secondo l'accusa, i responsabili sarebbero stati i generali, altri alti ufficiali, medici e docenti universitari per i quali il procuratore Fiordalisi ha chiesto il rinvio a giudizio con le accuse, a vario titolo, di omissioni dolose, favoreggiamento, falso ideologico in atto pubblico ed ostacolo aggravato alla difesa del disastro ambientale nel poligono interforze di Quirra;
          secondo il magistrato le morti sospette per tumori e leucemie tra i militari ed i civili sono da ricondurre all'inquinamento prodotto dagli esperimenti di armi e munizioni, nonché allo «smaltimento illecito di rifiuti». Per il procuratore Fiordalisi i responsabili sarebbero i generali comandanti o ex comandanti, che si sono succeduti negli anni tra la base di Perdasdefogu e il distaccamento a mare di San Lorenzo (Villaputzu);
          il procuratore Fiordalisi ha anche depositato le perizie svolte da altri docenti universitari e chimici che, contrariamente a quanto avevano affermato i loro colleghi indagati, hanno riscontrato tracce di torio ed uranio impoverito in alcuni cadaveri che sono stati riesumati lo scorso anno su disposizione del magistrato;
          sono emerse intercettazioni telefoniche in cui gli indagati, in particolare i docenti dell'università di Siena, dopo essere stati interrogati in procura negando di avere trovato del torio durante le loro ispezioni nel poligono, ammettevano di avere «soprasseduto» all'indagine scientifica;
          in una conversazione, il professore Riccobono si lamentava del fatto che gli apparati militari e della Nato non gli avevano comunicato la presenza di torio e che lui si era concentrato nella ricerca dell'uranio, tralasciando quindi l'elemento torio anche perché la commissione militare gli aveva detto che «non era importante indagare su questo elemento»;
          il torio è stato trovato nelle ossa delle vittime che avevano libero accesso in quell'area dove pascolavano oltre 15mila tra pecore e mucche, mangiando in un territorio inquinato anche da rifiuti tossici radioattivi che venivano interrati nel poligono;
          saranno le indagini della magistratura e il processo a individuare eventuali colpevoli e vittime e a definire le responsabilità a tutti i livelli  –:
          quale sia l'orientamento del Governo sulla questione dell'inquinamento di cui in premessa e dei conseguenti rischi per la salute, posto che il Governo medesimo è responsabile delle azioni dei vertici militari coinvolti nelle vicende e nelle attività del poligono Salto di Quirra, e quali siano le iniziative e gli interventi, qualora ci fossero, adottati. (4-18515)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


      BORGHESI, DI PIETRO e PALADINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          i decreti ministeriali del 1o giugno 2012 e del 5 ottobre 2012 hanno dato attuazione alle disposizioni riguardanti i lavoratori cosiddetti esodati, di cui all'articolo 24, commi 14 e 15, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, all'articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n.  216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n.  14, nonché all'articolo 22 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135;
          gli oneri programmati a legislazione vigente per l'attuazione dei predetti decreti ministeriali sono pari, ai sensi del comma 15 dell'articolo 24 del citato decreto-legge n.  201 del 2011 e dell'articolo 22 del citato decreto-legge n.  95 del 2012, complessivamente a 309 milioni di euro per l'anno 2013, 959 milioni di euro per l'anno 2014, 1.765 milioni di euro per l'anno 2015, 2.377 milioni di euro per l'anno 2016, 2.256 milioni di euro per l'anno 2017, 1.480 milioni di euro per l'anno 2018, 583 milioni di euro per l'anno 2019 e 45 milioni di euro per l'anno 2020, per un totale complessivo pari 9.774 milioni di euro –:
          se tale risorse siano ritenute eccedenti dal Governo e di quanto rispetto alle reali esigenze di cui alle disposizioni di legge citate. (3-02606)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le complesse questioni concernenti la gestione del patrimonio pubblico, in particolare per quanto riguarda i beni del demanio, rappresentano uno snodo essenziale per le prospettive di politica economica del Paese;
          nell'attuale condizione di criticità della finanza pubblica, un'operazione di corretta ed equilibrata valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato e degli enti locali, rappresenterebbe uno strumento fondamentale per recuperare nuove risorse da destinare ai prioritari obiettivi di politica economica;
          è evidente, infatti, come non sia possibile procedere ulteriormente nell'inasprimento della pressione fiscale sui contribuenti onesti, che ha raggiunto livelli tali da pregiudicare, probabilmente, le stesse prospettive di ripresa dell'economia italiana;
          in tale contesto, da molti anni si è aperto un dibattito su quali siano le modalità e gli strumenti più adatti per fare in modo che l'ingentissimo patrimonio immobiliare dello Stato, cui si aggiunge quello degli enti locali, possa diventare una fonte cui attingere per abbattere il debito pubblico, riequilibrare il carico tributario, nonché individuare risorse da destinare al sostegno dei consumi delle famiglie e al rilancio degli investimenti produttivi;
          nonostante l'amplissima produzione normativa che ha interessato, almeno nelle ultime tre legislature, tale settore, nessuno dei Governi succedutisi in tale lasso di tempo è riuscito a realizzare obiettivi apprezzabili in merito;
          al contrario, si sono evidenziate diverse problematiche negli interventi di valorizzazione del patrimonio immobiliare finora posti in essere;
          da un lato, tali misure hanno assunto, per lo più, carattere finanziario, ad esempio in occasione delle operazioni di cartolarizzazione denominate SCIP 1 e SCIP 2; dall'altro, si sono verificati veri e propri fenomeni di depauperamento del patrimonio pubblico, a vantaggio, come nel caso della creazione del fondo immobili pubblici, degli investitori privati che hanno acquisito le quote del predetto fondo avvantaggiandosi del regime di sostanziale esenzione fiscale dall'ICI e dall'IMU impropriamente riconosciuta sugli immobili conferiti al fondo stesso;
          in altri casi sono stati sollevati forti dubbi circa l'effettiva vantaggiosità, per lo Stato, delle operazioni di dismissione degli immobili realizzate attraverso il meccanismo del «sale and lease back», in quanto l'introito erariale derivante dalla cessione degli immobili risulta spesso, come testimoniato da alcune inchieste giornalistiche svolte in materia, inferiore al flusso attualizzato dei canoni di locazione che le amministrazioni pubbliche devono pagare ai nuovi proprietari a titolo di locazione sugli immobili ceduti, i quali continuano ad essere utilizzati per finalità pubbliche;
          inoltre, occorre rilevare come la gestione, spesso assai carente, di molti immobili, nonché gli intrecci, spesso inestricabili, di competenze tra diverse amministrazioni e livelli di governo in relazione ai singoli cespiti, renda poco appetibili sul mercato numerosi beni, il cui valore sarebbe potenzialmente molto elevato, ma che sovente versano in condizioni di manutenzione disastrosi, e per i quali, assai spesso, mancano addirittura gli atti di accatastamento: in tale contesto sussiste il rischio che le operazioni di dismissione si concentrino solo su quei beni di maggior pregio e di più facile collocamento sul mercato, rimanendo invece invenduta un'ampia fetta di beni che presentano maggiori problematiche;
          sotto un diverso profilo, in molti casi lo Stato è gli enti locali non hanno nemmeno una compiuta conoscenza del proprio patrimonio immobiliare, né degli spazi immobiliari che essi utilizzano: a tale riguardo appare significativa l'esperienza, non certo incoraggiante, rappresentata dall'applicazione delle norme in materia di monitoraggio degli impieghi del patrimonio immobiliare pubblico di cui all'articolo 2, comma 222-bis, della legge n.  191 del 2009, in merito alla quale, secondo i dati forniti dal direttore dell'Agenzia del demanio nel corso dell'audizione svoltasi il 5 settembre 2012 presso la Commissione finanze, emerge come il numero delle amministrazioni pubbliche che hanno adempiuto agli obblighi di comunicazione in merito risulta complessivamente insoddisfacente (53 per cento), raggiungendo, in alcune aree del Paese, livelli del tutto inaccettabili (ad esempio, del 22 per cento in Calabria, del 23 per cento in Sicilia, del 25 per cento in Campania, del 26 per cento in Basilicata, del 27 per cento nel Lazio, del 35 per cento in Molise, del 40 per cento in Trentino Alto Adige);
          più in generale, si pone il problema di come ogni operazione di dismissione e valorizzazione del predetto patrimonio immobiliare debba fare i conti con le dimensioni, storicamente piuttosto ristrette, del mercato immobiliare nazionale relativo a tale tipologia di immobili, nonché del fattore congiunturale rappresentato dall'attuale crisi economica, che ha contribuito a rarefare ulteriormente i volumi degli scambi su tale mercato, con evidenti conseguenze negative sul livello dei prezzi;
          sullo sfondo si pone inoltre l'ulteriore tema del rapporto tra tale processo di dismissione e valorizzazione e l'ormai ad avviso dell'interrogante fantomatico «federalismo demaniale» previsto dal decreto legislativo n.  85 del 2010, il quale avrebbe dovuto comportare il trasferimento agli enti territoriali di una fetta potenzialmente amplissima del demanio statale, ma la cui attuazione risulta completamente bloccata, anche a seguito del parere negativo espresso il 18 maggio 2011 dalla Conferenza unificata sul decreto che deve individuare i beni esclusi dal predetto trasferimento;
          in tale intricatissimo contento c’è dunque il forte rischio che il processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio non prenda effettivamente avvio, ovvero che iniziative non meditate in materia possano, nell'attuale fase recessiva, tramutarsi in una vera e propria svendita del patrimonio pubblico, magari a vantaggio dei poteri forti e di soggetti appartenenti al solito «salotto buono» del mondo finanziario italiano, generando un vero e proprio danno erariale che suonerebbe come un'ulteriore beffa ai danni dei cittadini onesti, i quali, oltre a venire colpiti dal continuo incremento del prelievo fiscale, sarebbero sostanzialmente privati di beni che appartengono alla collettività;
          finora le misure messe in campo in questa materia dall'attuale Governo non sembrano certo all'interrogante rassicuranti, in quanto ricalcano le iniziative, inefficaci, adottate dai precedenti Esecutivi, puntando su un'articolata architettura finanziaria basata sulla creazione di società di gestione del risparmio alle quali devolvere i cespiti immobiliari conferiti ad uno o più fondi, le cui quote di partecipazione dovrebbero essere, prima o poi, collocate sul mercato;
          la logica sottesa a tale tipo di strategia finanziaria dovrebbe determinare effetti di riduzione del debito pubblico nella misura in cui le quote di tali SGR siano collocate sul mercato presso gli investitori, i quali, tuttavia, per essere attratti ad acquistare tali quote, dovranno essere rassicurati circa l'effettiva redditività di tali fondi;
          tali flussi di reddito non potranno, evidentemente, essere ottenuti esclusivamente attraverso la vendita dei beni conferiti, la quale, anche per le condizioni del mercato appena richiamate, potrà avvenire solo in un arco temporale ampio, onde evitare «svendite» dei beni, ma saranno principalmente realizzati attraverso operazioni di lease back, cioè mediante i flussi dei canoni di locazione che la pubblica amministrazione pagherà sui beni medesimi;
          non a caso, l'articolo 7, comma 2, del disegno di legge di stabilità 2013, istituisce nello Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, a decorrere dal 2013, un fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari, con una dotazione di 500 milioni di euro per il 2013, di 900 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e di 950 milioni a decorrere dal 2016;
          pertanto, al momento, l'unica misura concreta adottata dal Governo in tale settore è lo stanziamento di circa 2,3 miliardi di euro nel solo triennio 2013-2015, sostanzialmente in favore dei soggetti che acquisiranno le quote delle SGR, mentre ancora una volta l'unico soggetto pubblico che dispone delle risorse necessarie per fornire un concreto apporto finanziario a tale operazione, la Cassa depositi e prestiti, sarà chiamata ad utilizzare i risparmi degli italiani anche per anticipare agli enti conferenti (Stato e enti locali) il valore dei beni trasferiti a tali veicoli finanziari;
          a testimonianza di quello che all'interrogante appare lo stato di incertezza, se non addirittura di confusione, in cui versa l'Esecutivo anche su questi temi, possono essere richiamati i conciliaboli in corso presso i competenti settori dell'amministrazione pubblica, culminati nel seminario a porte chiuse svoltosi presso il Ministero dell'economia e delle finanze il 25 settembre 2012, il quale, tuttavia non sembra aver sortito effetti illuminanti in materia;
          in tale contesto, appare dunque fondamentale che il Governo faccia, nelle sedi istituzionali proprie, chiarezza su tale quadro, a giudizio dell'interrogante ancora molto opaco, al fine di dare concretezza agli annunci più volte lanciati  –:
          quale sia la strategia complessiva perseguita dal Governo in merito al processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, quale sia lo stato di avanzamento di tale processo, quali siano i risultati finora raggiunti, in termini di beni ceduti ed incassi realizzati, quali siano stati i riflessi, realizzati ed attesi, di tali misure sullo stock di debito pubblico esistente, quale sia il ruolo in materia dalla Cassa depositi e prestiti, se sia stato predisposto un crono programma pluriennale relativo al predetto processo e se non ritenga opportuno fornire al Parlamento una costante informazione in merito a queste problematiche, al fine di assicurare la piena trasparenza di tali operazioni, sia sotto il profilo della tutela della legalità, sia per quanto attiene alla salvaguardia di un patrimonio che appartiene a tutti i cittadini. (5-08434)


      FLUVI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, cosiddetto decreto-legge «Salva Italia», prevede una revisione delle modalità di determinazione dell'ISEE – indicatore della situazione economica equivalente – nonché dei campi di applicazione dell'indicatore, al fine di rivedere la procedura di concessione delle agevolazioni fiscali e i benefìci assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie;
          la citata norma prevede, nell'ambito della revisione, che sia data una maggiore rilevanza agli elementi collegati alla ricchezza patrimoniale della famiglia e ai trasferimenti monetari, anche se esenti da imposizione fiscale, e introduce dei criteri volti a determinare un sistema fiscalmente più equo che: a) tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia, nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e delle persone disabili a carico; b) valorizzi in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero, al netto del debito residuo per l'acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative; c) permetta una differenziazione dell'indicatore per le diverse tipologie di prestazioni;
          tale revisione avrebbe dovuta essere adottata entro il 31 maggio 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che al momento non risulta essere ancora stato emanato, ha, tra l'altro, il compito di individuare le agevolazioni fiscali e tariffarie, nonché le provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1o gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore ad una soglia da individuare con lo stesso decreto  –:
          quali siano i tempi per l'emanazione del citato decreto attuativo, considerato che il termine previsto dal predetto articolo 5 del decreto-legge n.  201 del 2011 è scaduto il 31 maggio 2012, che l'effetto dell'individuazione delle agevolazioni fiscali e tariffarie decorre dal 1o gennaio 2013 e che l'attuazione della norma avrebbe una valenza anche sul piano della maggiore equità fiscale. (5-08435)


      DELLA VEDOVA e DI BIAGIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 343, della legge n.  266 del 2005, ha istituito un fondo finalizzato ad indennizzare i risparmiatori «rimasti vittime di frodi finanziarie», e abbiano subìto «un danno ingiusto»;
          ai sensi del comma 344 del succitato articolo, la platea dei fruitori del fondo, di cui al comma 343, è stata estesa a quei risparmiatori che hanno sofferto il danno in conseguenza del default dei titoli obbligazionari della Repubblica argentina e, successivamente, – ai sensi del decreto-legge 28 agosto 2008, n.  134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi, il diritto è stato esteso anche agli azionisti e/o obbligazionisti di Alitalia-Linee aeree italiane s.p.a. che non hanno esercitato eventuali diritti di opzione aventi oggetto la conversione dei titoli in azioni di nuove società;
          il comma 345 dell'articolo 1 della legge n.  266 del 2005 dispone che fondo citato sia alimentato dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario nonché del comparto assicurativo e finanziario, definiti con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze; con lo stesso regolamento sono altresì definite le modalità di rilevazione dei predetti conti e rapporti;
          successivamente, la disciplina regolante la gestione del suddetto fondo è stata riformata con l'entrata in vigore dell'articolo 4, comma 1-bis, del decreto-legge 9 ottobre 2008, n.  155, che ha introdotto – modificando l'articolo 1 della legge n.  266 del 2005 – i commi da 345-novies a 345-quinquies-decies, con l'obiettivo di razionalizzare la gestione delle risorse dei conti e dei rapporti definiti dormienti ai sensi della normativa vigente;
          ai sensi del predetto comma 345-quinquies-decies è stato abrogato l'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2007, n.  116, che affidava la gestione del fondo a un'apposita commissione nominata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze e prevedeva l'emanazione di uno o più regolamenti, complicando ulteriormente la disciplina in materia di gestione delle risorse;
          al di là delle criticità di natura normativa e finanziaria del suddetto fondo, a distanza di sei anni dall'entrata in vigore della normativa disciplinante lo stesso fondo, al momento non risultano essere stati ristorati quei risparmiatori che hanno subìto un danno, il cui diritto è contemplato dalla normativa vigente;
          a tali criticità va ad aggiungersi il fatto che, il fondo, così come configurato – alla luce delle disposizioni della legge n.  266 del 2005 – ha una portata risarcitoria limitata rispetto a quanto delineato dalla normativa europea;
          nel caso di mancata sussistenza di una frode, ma di insolvenza dell'impresa di investimento i risparmiatori – alla luce della normativa vigente – non potrebbero accedere al beneficio della copertura offerta dal sistema di indennizzo;
          a tale criticità si aggiunge il fatto che l'attuale configurazione del fondo non consente l'adesione delle imprese di investimento allo stesso, limitando pertanto l'apporto di risorse nelle fattispecie contemplate dal comma 345 del medesimo articolo della succitata legge n.  266;
          la mancata chiarezza sull'ammontare delle risorse attualmente disponibili sul fondo rischia di vanificare ogni ipotesi di ampliamento della platea dei potenziali fruitori, rendendo complessa l'ipotesi di un'implementazione delle funzionalità del fondo di indennizzo dei risparmiatori attraverso l'istituzione di un fondo di garanzia per vittime di frodi finanziarie in caso di procedure concorsuali al fine di erogare adeguati indennizzi alle vittime di frodi finanziarie in cui la società emittente è fallita, come nel noto caso della compagnia di navigazione Deiulemar Spa, che al momento conta circa 13.000 obbligazionisti e piccoli risparmiatori come vittime;
          in data 7 novembre 2012, rispondendo ad un'interrogazione a risposta immediata presso la Commissione finanze in materia di un eventuale fondo di garanzia per le vittime del crac Deiulemar, il Sottosegretario Vieri Ceriani ha evidenziato che «la definizione dei presupposti delle procedure e dei criteri per il riconoscimento degli indennizzi dei risparmiatori, vittime di frodi finanziarie, è subordinata al previo accertamento delle risorse del fondo conti dormienti, il cui ammontare è soggetto alla decurtazione degli importi da rimborsare ai titolari dei conti dormienti che ne abbiano fatta richiesta. Le procedure di rimborso sono attualmente in corso e non è possibile al momento rivedere l'esisto»;
          infatti, al momento non risultano chiari agli interroganti i dati relativi ai rimborsi già avvenuti e all'attuale configurazione del fondo di cui all'articolo 1, comma 343, della legge n.  266 del 2005, in quanto la mancata ricognizione delle risorse rende complessa ogni ipotesi di utilizzo delle stesse anche attraverso un eventuale ampliamento della platea dei fruitori del medesimo fondo;
          considerando l'importanza che la verifica delle risorse del fondo potrebbe avere, segnatamente sul versante della ricognizione delle risorse provenienti dai conti dormienti, sarebbe auspicabile avviare ogni utile iniziativa volta all'accertamento degli stessi, attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali coinvolti;
          in un momento di grave crisi economica in cui ogni cittadino e ogni amministrazione sono chiamati ad essere parte attiva di dinamiche di spending review e di rimodulazione delle spese e delle risorse, l'idea che sussista un fondo – normativamente previsto per far fronte a situazioni complesse come il rimborso di cittadini vittime di «danni ingiusti» – di cui non si conosce l'ammontare e dal quale non risultano essere partite erogazioni appare paradossale  –:
          quali iniziative intenda predisporre al fine di procedere all'accertamento, in tempi celeri, delle risorse dei conti dormienti destinate al fondo di cui in premessa, al fine di poter consentire un ampliamento dell'utilizzo delle risorse dello stesso, anche estendendo la platea dei fruitori alle vittime di frodi finanziarie in cui la società emittente è fallita. (5-08436)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il sistema europeo dei conti, versione europea del manuale SNA 1993 dell'ufficio di statistica delle Nazioni Unite, che stabilisce le regole per costruire gli aggregati macroeconomici su cui si concentra l'analisi economica, le politiche dei Governi, la convergenza europea e la verifica degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti nei trattati e negli accordi dell'Unione europea in materia di coordinamento dei bilanci, prevede un aggiornamento del manuale di contabilità nazionale (sistema europeo dei conti SEC95), che entrerà in vigore nei Paesi dell'Unione europea dal 2014;
          secondo quanto riportato da Eurostat, le indicazioni sui nuovi metodi statistici di contabilizzazione delle grandezze economiche e finanziarie di ogni Paese riguarderanno anche la contabilizzazione delle spese militari sostenute dagli Stati europei;
          la nuova contabilizzazione avrà effetti sostanziali importanti e potrebbe avvantaggiare, in termini di incremento del prodotto interno lordo, i Paesi con maggior produzione di armamenti;
          attualmente, le spese militari sono considerate in modi diversi nella contabilità nazionale a seconda che siano passibili anche di un utilizzo civile (per esempio, una portaerei), oppure destinate a scopi esclusivamente distruttivi (per esempio, un missile); in questo secondo caso, non vanno ad arricchire il capitale di un Paese, ma vengono classificate tra i «consumi intermedi»;
          con i nuovi metodi di contabilizzazione, tutti gli acquisti di sistemi d'arma e dei relativi sistemi di supporto, purché utilizzati per un periodo superiore a un anno, saranno contabilizzati come investimenti in beni durevoli; aumenteranno gli aggregati di capitale fisso dei vari Paesi, e con essi aumenterà «artificiosamente» il valore del prodotto interno lordo;
          essendo i sistemi d'arma capitale fisso, a tutti gli effetti, questo adeguamento contabile produrrà una variazione del prodotto interno lordo che non rispecchierà un incremento della ricchezza e del benessere del Paese;
          la proposta da molte parti avanzata di escludere dal rapporto debito/prodotto interno lordo le spese per investimenti pubblici comporterebbe che, se le spese pubbliche in armamenti distruttivi venissero considerate investimenti, sarebbero esclusi dagli indicatori europei validi ai fini del rispetto degli accordi in materia di finanza pubblica;
          secondo l'Eurostat i Paesi europei, attraverso tale revisione statistica, migliorerebbero le loro stime di contabilità nazionale: tuttavia l'impatto positivo stimato sul prodotto interno lordo varierebbe di molto da Paese a Paese con una media di mezzo punto di crescita; per l'Italia si tratterebbe di un aumento «contabile» stimato del prodotto interno lordo di 800 milioni di euro;
          in Italia non è ancora disponibile alcuna stima ufficiale circa l'impatto della nuova metodologia contabile  –:
          quale sia l'orientamento del Governo sui fatti espressi in premessa; se disponga di stime sull'impatto dell'aggiornamento delle metodologie di contabilità nazionale sugli indicatori di finanza pubblica; se non ritenga che l'Italia, la quale è costituzionalmente una nazione che ripudia la guerra, dovrebbe avanzare, nelle competenti sedi internazionali, proposte alternative in materia di metodologie contabili delle spese per armamenti. (5-08421)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CONTENTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          vari istituti di edilizia agevolata del Paese stanno proponendo ai comuni in cui insistono immobili di loro titolarità un'esenzione al pagamento dell'imu (e ciò al fine di evitare che l'esborso debba, poi, essere compensato mediante un aumento dei canoni a carico delle famiglie locatarie, già alle prese con gli effetti della crisi economica)  –:
          quali iniziative di competenza si intendano adottare per ovviare alla situazione sopra emarginata e se sia ipotizzabile una deroga, riduzione o esenzione dell'imposta sugli immobili a favore degli enti di edilizia popolare. (4-18503)


      MARCHIONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          i possessori di un titolo di massofisioterapista, conseguito dopo l'entrata in vigore della legge n.  42 del 1999 (cioè dopo il 17 marzo 1999), al termine di corsi di durata biennale o triennale, possono svolgere la propria attività tanto in regime libero professionale, quanto come dipendenti presso strutture sanitarie private e private convenzionate, ma non possono usufruire, in caso di emissione di documentazione fiscale per prestazioni rese in regime libero professionale, dell'esenzione IVA ex articolo 10, n.  18), del decreto del Presidente della Repubblica n.  633 del 1972;
          l'Agenzia delle entrate, sulla base di quanto affermato dal Ministero della salute con nota 7 agosto 2012, ha chiarito infatti, con risoluzione 17 ottobre 2012, n.  96, che ripete analoga risoluzione 13 aprile 2007, n.  70, che il regime di esenzione IVA è applicabile solo ai massofisioterapisti, il cui titolo era equipollente a quello di fisioterapista ai sensi del decreto ministeriale 27 luglio 2000 e, pertanto, conseguito anteriormente al 17 marzo 1999;
          ne consegue che i massofisioterapisti con formazione biennale o triennale che hanno conseguito il titolo dopo la data del 17 marzo 1999 sono esclusi dal regime di esenzione IVA;
          dall'analisi delle disposizioni legislative e ministeriali contenute nella citata nota ministeriale appare all'interrogante che la disparità di trattamento fiscale tra possessori della stessa qualifica di operatori sanitari sia riferita non al diverso livello di preparazione professionale o di mansioni svolte, ma esclusivamente alla data di conseguimento del diploma  –:
          se non si ritenga, con riferimento alla questione esposta, di adottare iniziative anche di carattere normativo, per rimuovere tale disparità, in modo di assicurare l'esenzione IVA anche ai massofisioterapisti che hanno conseguito il titolo dopo il 17 marzo 1999. (4-18510)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta orale:


      VELTRONI, VASSALLO, BENAMATI, LENZI, LA FORGIA, VERINI e ZAMPA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          sono state presentate due petizioni al Parlamento europeo volte a favorire il superamento delle difficoltà riscontrate dall'inchiesta sulla strage di Ustica, in particolare per quanto riguarda le mancate risposte alle numerose rogatorie internazionali emesse dalla magistratura italiana: la prima è la petizione 1252/2011 dichiarata ricevibile il 5 marzo 2012 e la seconda è la petizione 88/2012 dichiarata ricevibile il 23 maggio 2012;
          la Commissione, invitata a fornire informazioni al Parlamento (articolo 202, paragrafo 6, del regolamento), ha risposto con una nota del 27 giugno 2012 contenente il seguente testo: «La Commissione è a conoscenza del caso di Ustica e del fatto che più di 30 anni dopo il disastro, i parenti delle vittime di questa tragedia sono ancora in attesa di giustizia. La Commissione non ha la competenza per intervenire nell'amministrazione quotidiana dei sistemi giudiziari dei singoli Stati membri, cosa che rientra in linea di principio nell'ambito di competenza delle autorità degli Stati membri. La Commissione si rammarica del fatto che l'Italia e altri due Stati membri non abbiano ancora ratificato la convenzione del 29 maggio 2000 relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, che è in vigore e attualmente vincolante in 24 Stati membri dell'UE. La Commissione ha presentato un pacchetto globale di misure volte a migliorare la protezione delle vittime del crimine. Non è di competenza dell'Unione europea intervenire nelle procedure di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell'UE non disciplinate dagli strumenti legislativi dell'UE»  –:
          per quali motivi l'Italia e altri due Stati membri non abbiano ancora ratificato la convenzione del 29 maggio 2000 relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, che è in vigore e attualmente vincolante per 24 Stati membri dell'Unione europea; quali iniziative intenda assumere il Governo per porre rimedio a questa grave lacuna in tempi brevi, anche in considerazione delle difficoltà che questo comporta nell'accertamento della verità sulla strage di Ustica; quali iniziative diplomatiche intenda intraprendere presso gli altri Stati, affinché venga espressa una fattiva collaborazione con l'autorità giudiziaria del nostro Paese. (3-02601)


      BURTONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          come già denunciato nell'ambito dell'interrogazione presentata in data 6 novembre 2012 n.  5-08383 si sono avviate, con una celerità davvero incomprensibile, le procedure di trasferimento degli uffici giudiziari di Pisticci presso la sede del tribunale di Matera, quand'anche vi fossero 5 anni di tempo come previsto dal decreto legislativo;
          con il presente atto di sindacato ispettivo l'interrogante intende sottoporre all'attenzione del Ministro quanto accaduto negli ultimi giorni;
          gli avvocati denunciano il trasferimento dei fascicoli processuali depositati presso la cancelleria civile avvenuto con due viaggi in una Fiat Punto in dotazione al tribunale di Matera di cui l'ultimo venerdì 9 novembre 2012;
          gli avvocati sostengono che non vi sarebbe nessun atto scritto che autorizzerebbe tale trasferimento e ciò sarebbe un atto dovuto per il fatto che gli assistiti hanno diritto di sapere dove sono depositati i propri atti;
          inoltre, gli avvocati hanno evidenziato come tali documenti così delicati siano stati prelevati da una sola persona e portati a Matera senza altro personale e forze dell'ordine impegnate nella scorta;
          è stato fatto presente da diversi avvocati che, dopo essersi recati in cancelleria per consultare alcuni documenti, non li hanno trovati, proprio a causa del trasferimento materiale di cui non sono stati messi al corrente;
          dei 2800 fascicoli civili presenti a Pisticci, ne sarebbero stati spostati circa 200, e di questi circa la metà, riguarderebbero processi da tenersi la prossima settimana, il resto farebbe, riferimento alle cause riservate;
          si è di fronte ad un atto davvero grave se dovesse corrispondere a verità; non è ammissibile che fascicoli così delicati possano esser maneggiati in questo modo  –:
          quali iniziative il Ministro intenda adottare con la massima urgenza per verificare chi abbia autorizzato tale trasferimento, con quale atto, e perché non vi fossero ufficiali di polizia giudiziaria a sorvegliare, nonché se non intenda verificare la possibilità di assumere le iniziative di competenza per una road map più elastica estesa su un arco temporale in grado di utilizzare i 5 anni previsti per legge, anche al fine di appurare la fondatezza delle osservazioni prodotte circa la sostenibilità della presenza degli uffici giudiziari a Pisticci. (3-02610)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA il 7 novembre 2012, il carcere di Melfi (Potenza) presenta gravi criticità strutturali, a cui si aggiunge una carenza di organico di almeno 50 agenti di polizia penitenziaria;
          vista la situazione, il segretario nazionale aggiunto dell'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Domenico Mastrulli, ha lanciato un appello al Ministro interrogato e contestualmente al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nel quale si sostiene che per il carcere di Melfi sono necessari fondi per la manutenzione ordinaria, per l'impianto di sorveglianza, per il muro di cinta e il sistema anti-scavalcamento;
          oltre alle risorse per risolvere le predette situazioni, risulta che a Melfi manchino, oltre agli agenti penitenziari, anche il direttore titolare e altre importanti figure che fornirebbero ulteriori e determinanti garanzie per il personale operante nella struttura  –:
          quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di reperire le risorse necessarie per garantire la manutenzione ordinaria, il funzionamento dell'impianto di sorveglianza nonché il rifacimento del muro di cinta e del sistema anti-scavalcamento del carcere di Melfi;
          se ed in che modo intenda colmare la carenza di organico degli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Melfi;
          per quali motivi il carcere di Melfi sia sprovvisto di un direttore responsabile. (4-18488)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo i dati forniti dall'ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al 15 ottobre 2012, i detenuti presenti nelle sezioni per i disabili sarebbero 78 (76 uomini e 2 donne), ciò a fronte di circa 98 posti disponibili;
          al contrario, secondo i dati forniti dall'ufficio servizi sanitari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, alla fine del 2006 nelle carceri italiane erano presenti quasi 500 detenuti con disabilità motoria o sensoriale di cui: 121 in Lombardia, 96 in Campania, 51 nel Lazio, 34 nelle Marche, 31 in Toscana, 23 in Piemonte e Valle d'Aosta; 20 in Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia, 17 in Puglia, 16 in Emilia Romagna e Sardegna, 14 in Calabria, 3 in Umbria, Abruzzo-Molise e Liguria e 1 in Basilicata;
          dopo il 2006 non è stata più fatta alcuna rilevazione in proposito, e questo nonostante l'ufficio servizi sanitari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si sia impegnato a mandare le schede per l'indagine alle direzioni degli istituti di pena;
          ad oggi non esiste un sistema di monitoraggio nazionale sulle condizioni di salute dei carcerati e questo rende estremamente difficile stabilire quanti siano esattamente i disabili detenuti nelle carceri italiane;
          il carcere è strutturalmente elemento di barriere, basti pensare al problema dei bagni e a cosa significhi una turca per un detenuto con difficoltà motoria. Inoltre in carcere mancano gli ausili e manca l'assistenza adeguata anche nei centri clinici;
          negli istituti di pena italiani esistono alcune sezioni di osservazione per i detenuti con disabilità mentale, sezioni attrezzate per persone con disabilità fisica (solo in 7 istituti) e sezioni attrezzate per minorati fisici, ossia per quei detenuti con una disabilità più lieve (4 strutture in tutta Italia);
          l'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, di cui alla legge n.  354 del 1975, e successive modificazioni, relativo alla detenzione domiciliare, al comma 1, lettera c), prevede che «La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di (...) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali»;
          l'accertamento della disabilità in carcere – senza il quale non è possibile fornire gli ausili alla persona disabile o concedergli il beneficio della detenzione domiciliare – rappresenta un problema: per verificare se un detenuto è disabile; infatti, passano in genere da uno a tre anni e ciò a causa di commissioni da riunire, verbali da compilare e visite specialistiche da effettuare  –:
          per quali motivi dopo il 2006 l'ufficio servizi sanitari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non sia stato più in grado di elaborare dati attendibili sulla presenza, all'interno delle carceri, dei detenuti con disabilità motoria o sensoriale;
          quanti siano esattamente i detenuti con disabilità motoria o sensoriale presenti all'interno dei nostri istituti di pena;
          quanti disabili mentali siano presenti all'interno delle sezioni di osservazione; quanti detenuti con disabilità fisica e quanti minorati fisici siano invece presenti nelle sezioni attrezzate;
          quante siano in Italia le sezioni di osservazione dei detenuti con disabilità mentale e quante siano le sezioni attrezzate per i minorati fisici e per i detenuti che presentano più grave forme di disabilità fisica;
          quali siano i deficit più comuni che presentano le persone invalide e/o disabili recluse all'interno delle carceri;
          quante siano le persone affette da disabilità motoria o sensoriale che stanno scontando la pena in detenzione domiciliare in base a quanto previsto dall'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario;
          quanto tempo in media occorra ai fini dell'accertamento medico della disabilità nei confronti di una persona detenuta e se non si ritenga opportuno adottare le opportune iniziative, per quanto di competenza, affinché le predette verifiche si possano svolgere in tempi molto più rapidi, ciò al fine di garantire gli opportuni ausili alle persone con difficoltà motorie o sensoriali;
          se vi sia un'attenzione e una salvaguardia nel trattamento detentivo riservato alle persone affette da disabilità. (4-18489)


      PAGLIA. —Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          con la legge 27 maggio 1991, n.  176, è stata autorizzata la ratifica ed è stata data esecuzione alla convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, stipulata a New York dai Paesi aderenti all'ONU;
          l'articolo 3, comma 1, recita: «... in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente...»;
          anche la Carta dei diritti fondamentali della Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 ribadisce la preminenza dell'interesse superiore del bambino in tutti gli atti che possano direttamente o indirettamente riguardarlo e riconosce al minore il diritto fondamentale alla protezione e alla cura;
          l'articolo 333 del codice civile cita «... il giudice, secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può disporre l'allontanamento dalla residenza familiare...»;
          sono molti i casi in cui il minore allontanato e affidato a comunità permane presso la struttura per mesi e a volte anni, dipende se il minore è in attesa di affidamento o se si cerca di recuperare il rapporto famigliare del minore con i genitori;
          non esistendo termini di scadenza entro cui i soggetti istituzionali coinvolti (dai giudici, agli psicologi, agli assistenti sociali) sono tenuti a esprimere giudizi o pareri, il minore permane a lungo presso la comunità;
          si promuovono sempre più spesso campagne per l'efficienza burocratica e per la riduzione dei costi, e si tiene poco conto, invece, dei danni e problemi che si potrebbero evitare ai bambini se i tempi fossero certi e veloci;
          educatori e psicologi esprimono nella maggior parte dei casi pareri negativi sulla prolungata permanenza del fanciullo presso strutture «famiglia»  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intendano porre in essere per la fissazione di una durata massima di permanenza del minore presso le strutture pubbliche o private di assistenza sociale, onde evitare danni psico-sociali. (4-18511)


      DI STANISLAO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          recentemente il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) ha, sollevato il caso dell'assistente capo di polizia penitenziaria presso la casa circondariale di Lecce, M.S.;
          nel mese di luglio 2011 all'età di 43 anni e con 21 anni di servizio il signor M. è deceduto per un tumore ai polmoni lasciando una moglie e due figli;
          quella del signor M. rappresenta la condizione di migliaia di lavoratori penitenziari costretti a lavorare per 8/9 ore a giorno, inalando il fumo passivo rilasciato dalle sigarette dei detenuti;
          i detenuti sono autorizzati a comprare le sigarette ed a fumare, spargendo veleno che viene inalato non solo dai poliziotti penitenziari, ma anche dai detenuti non fumatori i quali a causa del sovraffollamento, vengono messi nelle stesse stanze con questi ultimi;
          la denuncia del Sappe è contro un'amministrazione penitenziaria che non si cura affatto della problematica e che non ha messo in campo alcuna iniziativa per arginare il problema e per prevenire le conseguenze;
          viene altresì evidenziato come il fumo passivo nelle carceri italiane non sia considerato un fattore di rischio per cui non è neanche inserito nel documento di valutazione dei rischi di ogni penitenziario; conseguentemente chi si ammala di tali patologie non può nemmeno vedersi riconosciuta, come malattia professionale, nessuna patologia derivante proprio dall'inalazione del fumo passivo delle sigarette;
          il Sappe ritiene necessario apportare alcuni accorgimenti tecnici come dotare le sezioni detentive oppure le stanze dei detenuti di aspiratori per diminuire od azzerare il diffondersi dei fumi  –:
          se il Governo non ritenga di affrontare concretamente il problema del fumo passivo nelle carceri e apportare i giusti e necessari accorgimenti per tutelare la salute dei lavoratori e dei detenuti. (4-18514)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa si apprende che non avendo il pubblico ministero Raffaele Casto di Brindisi esercitato entro dodici mesi l'azione penale lo stesso ha chiesto la sostituzione del carcere con l'obbligo di dimora e pertanto «Tornano liberi, per decisione del gip, su istanza delle difese e dello stesso magistrato, i cinque componenti di un gruppo che» era stato trovato «in possesso di un fucile d'assalto Ak 47 Kalashnikov M70AB2, di una carabina per la caccia al cinghiale Remington 30-06, e da una meno sofisticata ma altrettanto micidiale a breve distanza lupara ricavata da una doppietta Bernardelli calibro 12, oltre a 49 cartucce per la stessa Remington»;
          a tutt'oggi è stata sollecitata formalmente ben 4 volte la risposta all'interrogazione a risposta scritta n.  4-15477 presentata dai sottoscritti il 26 marzo 2012 con la quale si riportavano notizie di stampa relative ad un esposto denuncia depositato presso la sezione di polizia giudiziaria della polizia di Stato della competente procura di Potenza contro, tra l'altro, il sostituto procuratore Raffaele Casto. Nell'esposto denuncia si rappresentava che sarebbero state scritte falsità nei verbali sulla base dei quali poi è stato iscritto nel registro degli indagati con l'accusa di avere rilasciato false dichiarazioni al pubblico ministero  –:
          se sia a conoscenza dei fatti narrati e se intenda assumere iniziative ispettive presso i citati uffici giudiziari ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza.
(4-18521)


      RENATO FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 28 ottobre Radio Radicale trasmetteva una intervista a cura di Lanfranco Palazzolo alla signora Marinella Colombo sulla vicenda della signora Silvia Kalina, la quale – secondo le notizie riferite – sarebbe detenuta nel carcere di San Vittore a Milano contro ogni senso di umanità, essendo essa gravemente malata e praticamente isolata dal mondo;
          detta intervista si concludeva con un appello di questo tenore: «Spero che qualcuno intervenga, spero che qualcuno ci ascolti»;
          l'interrogante ha visitato la casa circondariale di San Vittore (ex articolo 67 O.P.), nella sezione femminile, intorno alle ore 13 di venerdì 9 novembre 2012 e ha voluto accertarsi della veridicità dei fatti narrati nella citata intervista, rendendosi conto dello stato di gravissima prostrazione della signora Kalina. La signora ha dichiarato di essere ammalata di cancro e di aver già subito due operazioni chirurgiche, perdendo nel giro di pochi mesi diciotto chilogrammi, e presentando ora una spaventevole magrezza. Ho accertato che, a causa della difficoltà di lingua, non può praticamente interloquire con nessuno. Ha detto di essere stata in effetti visitata dall'oncologo, «per trenta secondi»;
          altre detenute, presenti durante questo breve colloquio, hanno confermato il grave stato di sofferenza della Kalina;
          nessuna lamentela ed anzi elogi sono stati riservati agli agenti della polizia penitenziaria;
          la situazione giudiziaria della signora Kalina è di detenuta in «custodia cautelare», essendo stata arrestata in Germania, su ordine del Gip di Milano il 14 maggio 2012 con mandato di cattura europeo. Il 20 luglio viene estradata a Roma, il 31 luglio a Milano. Avrà il processo a dicembre. La signora Marinella Colombo, nella citata intervista, denuncia numerose anomalie nel comportamento della procura di Milano;
          non si può non rilevare come, in situazioni quali quelle della signora Silvia Kalina, sia sostanzialmente messo in discussione il rispetto degli articoli 27 («senso di umanità» della pena) e 32 (diritto alla salute) della Costituzione  –:
          di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda di cui in premessa e se ritenga di promuovere iniziative ispettive ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-18525)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          con la legge n.  231 del 1990, articolo 10, è stato istituito l'orario delle attività giornaliere per le Forze armate fissato in trentasei ore settimanali;
          successivamente, con decreto del Ministro della difesa, sono state disciplinate le articolazioni dell'orario normale delle attività giornaliere, in relazione alle esigenze di servizio, e lo straordinario e sono stati indicati i metodi di rilevazione oggettiva delle presenze;
          è bene precisare che il decreto-legge 27 maggio 2008, n.  93, ha introdotto la «defiscalizzazione» degli straordinari e dei premi di produttività, prorogata di anno in anno fino alla recente legge di stabilità;
          lo Stato maggiore di ogni singola Forza armata ha quindi emanato delle disposizioni applicative sull'orario di servizio e sul compenso per il lavoro straordinario;
          lo Stato maggiore della Marina ha emanato le proprie disposizioni che, in linea di massima, valgono anche per il personale del Corpo delle capitanerie di porto;
          le disposizioni individuano anche i tetti massimi individuali fissando lo straordinario in: 300 ore per il personale non direttivo in servizio permanente effettivo nonché per gli ufficiali fino al grado di capitano di fregata e 450 ore per il personale dei gradi dirigenziali (ammiragli, capitani di vascello) nonché per i sommergibilisti durante la navigazione;
          il comando generale del Corpo delle capitanerie di porto ha emanato una propria direttiva per l'organizzazione interna dei servizi relativa agli uffici marittimi periferici e per regolamentare la disciplina dell'orario di lavoro e dello straordinario;
          solo il personale dei gradi dirigenziali ha la facoltà di autorilevare (autocertificazione) il proprio orario di lavoro;
          tuttavia, i fondi assegnati dal comando generale del Corpo delle capitanerie di porto non sono stati distribuiti tra tutto il personale con criteri di equità;
          ciò ha provocato negli anni, in alcuni comandi, il mancato pagamento di molte ore di lavoro straordinario a favore del personale contrattualizzato (da marescialli a capitano di fregata) e molti comandi pertanto hanno fatto ricorso, a quanto consta agli interpellanti all'insaputa degli interessati, al pagamento degli straordinari utilizzando altri fondi (compensi forfettari di guardia), arrecando in tal modo al personale contrattualizzato (sottufficiali e ufficiali) un notevole danno economico, considerato che l'ora dello straordinario oltre che pensionabile e detassata è maggiore dell'ora del compenso forfettario di guardia (ad esempio un compenso forfettario di guardia è uguale ad 8 ore di servizio, oltre l'orario normale che viene pagato mediamente con circa 41 euro lorde, mentre otto ore di straordinario vengono remunerato con 115 euro lorde);
          di tale anomala gestione dei pagamenti dello straordinario, il personale ne è venuto conoscenza solo dopo molto tempo attraverso note ufficiali del comando che comunicava il pagamento dei CFG (compensi forfettari di guardia) in luogo dello straordinario;
          la procura militare della Repubblica di Napoli, a seguito dei fatti su esposti, ha avviato azioni penali nei confronti di numerosi sottufficiali ed ufficiali per il reato di truffa aggravata continuata  –:
          se il Ministro interpellato intenda verificare quanto segue:
              a) in base a quali criteri sono stati distribuiti al personale tutto delle Capitanerie di porto i fondi per lo straordinario;
              b) se i fondi messi a disposizione dal comando generale del Corpo delle capitanerie di porto dal 1o gennaio 2007 al 31 dicembre 2011, sono stati sempre equamente distribuiti tra tutto il personale avente diritto (dai gradi dirigenziali al sottocapo in servizio permanente effettivo);
              c) se per il periodo 1o gennaio 2007 -31 dicembre 2011 ai gradi dirigenziali che si sono autocertificati le presenze sia stato retribuito oltre il monte ore a disposizione anche lo sforamento e quindi le 530 ore di straordinario ed altri emolumenti incompatibili con lo stesso;
              d) quale sia il motivo per il quale al personale contrattualizzato fino al grado di capitano di fregata sono state compensate le ore di straordinario effettuate con altri fondi (compensi forfettari di guardia), all'insaputa degli stessi e senza che questi ultimi ne avessero fatto esplicita richiesta;
              e) cosa stia accadendo presso la direzione marittima (capitaneria di porto) di Palermo ove risulta all'interrogante che sono accaduti i fatti esposti e quali provvedimenti intenda assumere per tutelare il personale militare che, oltre ad essere penalizzato economicamente, subisce conseguenze morali e di carriera, a causa di comportamenti gestionali anomali assunti dai responsabili in comando;
          quali iniziative intenda assumere affinché al personale interessato siano pagate le ore di straordinario dal 1o gennaio 2007 al 31 dicembre 2011 compensate erroneamente e per volontà dei gradi superiori con i CFG (compensi forfettari di impiego).
(2-01737) «Lo Presti, Della Vedova».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CICU e TESTONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la strada statale 554 «Circonvallazione cagliaritana» in Sardegna, realizzata tra la fine degli anni ‘60 e la prima parte degli anni ‘70, si trova in una situazione di degrado, congestione e ad un livello di pericolosità tra i maggiori della rete statale regionale; tale stato di fatto è dovuto alla scarsa attenzione e alle sconcertanti modalità operative poste in essere negli ultimi anni da parte di ANAS spa;
          nel 2005 l'ANAS ha eseguito dei lavori di eliminazione delle cunette laterale al fine di allargare la banchina laterale; l'acqua piovana, non trovando più un recettore originario si riversa sulla sede stradale creando in taluni punti vaste e pericolose pozzanghere; l'ANAS, a quanto consta agli interroganti, ha omesso di individuare una soluzione alternativa alla raccolta delle acque;
          nel 2008 la regione autonoma della Sardegna ha predisposto un progetto preliminare per la sistemazione degli svincoli e degli accessi laterali sottoscrivendo con le amministrazioni comunali, la provincia e l'ANAS un accordo di programma per la sistemazione della strada statale. L'accordo attribuiva alle amministrazioni comunali e provinciale il compito di attuare una serie di interventi complementari, per collegare la strada statale 554 alla viabilità comunale e per la realizzazione di complanari destinate a canalizzare il traffico afferente ai numerosi insediamenti commerciali, produttivi e abitativi presenti sulla strada statale 554;
          tali interventi venivano individuati come prioritari unitamente alla realizzazione degli svincoli. Compito dell'ANAS era quello di adeguare l'asse e attuare la sistemazione degli svincoli. Nel febbraio 2012 la regione autonoma della Sardegna ha assegnato le prime risorse disponibili pari a circa 44 milioni di euro ai sottoscrittori dell'accordo, individuando contestualmente l'intera copertura programmatica dell'opera per circa 233 milioni di euro;
          tuttavia il compartimento ANAS di Cagliari a partire dal 2010, senza tener conto delle progettazioni in corso, ha avviato in modo sistematico la chiusura di numerosi accessi alle attività produttive e commerciali, nonché alla viabilità laterale preesistente; contrariamente alle richieste delle amministrazioni comunali delle aree attraversate; a nulla sono serviti i ricorsi amministrativi, gli incontri convocati dal prefetto e le proteste degli operatori economici;
          in sostanza l'ANAS, rispetto alla originaria previsione di considerare la strada statale 554 strada di tipo D (strada urbana di scorrimento), ha modificato motu proprio, senza informare le autorità locali e senza tenere in alcun conto le esigenze economiche e sociali dei cittadini dell'area, la classificazione dell'arteria in strada di tipo B (strade extraurbane principali) o tipo C (strada extra urbana secondaria); prova ne sia che non vengono più rilasciati nulla osta per la costruzione di edifici, in quanto, in tale ipotesi classificatoria, le fasce di rispetto ai lati della strada sono ad inedificabilità assoluta;
          tuttavia in tal modo si disconosce la sussistenza di attività produttive e di insediamenti abitativi sviluppatisi in questi anni attorno all'arteria; gioverà ricordare che l'ANAS è al servizio dei cittadini e delle amministrazioni delle aree attraversate dalle strade e non il contrario; l'atteggiamento della società stradale nazionale, sia pure dettato dalla scarsità di risorse, altro non fa che porre un ulteriore fardello sulle comunità locali e sul sistema economico provinciale, già gravati da una profondissima crisi economica  –:
          se non ritenga opportuno intervenire sull'ANAS, al fine di ottenere il pieno rispetto dell'accordo di programma per la sistemazione della strada statale 554 «circonvallazione cagliaritana» sottoscritto nel 2008 tra la regione autonoma della Sardegna, le amministrazioni comunali, la provincia di Cagliari e l'ANAS medesima. (5-08423)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIBIINO, VINCENZO ANTONIO FONTANA, GIAMMANCO, GAROFALO, PRESTIGIACOMO, LA LOGGIA, GERMANÀ, MINARDO e TORRISI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          RFI, società cui è attribuito il ruolo pubblico di gestore dell'infrastruttura del gruppo Ferrovie dello Stato, ha presentato il nuovo piano di modernizzazione della linea ferroviaria Catania-Palermo che, contrariamente al passato, accluderà un'interconnessione bidirezionale con le città di Enna e Caltanissetta;
          nello specifico, il nuovo collegamento muovendo dalla stazione di Bicocca in provincia di Catania, si snoderà tramite un tracciato a doppio binario fino ad Enna sud, sito da cui successivamente si diramerà un tunnel attraverso i Nebrodi che giungerà a Pollina-Castelbuono in provincia di Palermo;
          l'itinerario è realizzabile in due macrofasi funzionali distinte: la prima consiste nel raddoppio dei tracciati Catania-Bivio Enna Sud e Catania-Enna sud, compresa la velocizzazione della linea Roccapalumba-Marianopoli; la seconda, invece, si riferisce al completamento dell'intero itinerario con la realizzazione del tunnel tra Enna Bivio Sud e Pollina-Castelbuono;
          il financial plannig presentato da RFI anticipa costi elevatissimi che non trovano riscontro in una copertura finanziaria adeguata. Allo stato attuale risulta fattibile unicamente la realizzazione dei tracciati Bicocca-Catenanuova e Roccapalumba-Marianopoli per i quali il piano Sud ha stanziato segnatamente 480 e 62 milioni di euro; al contrario, la tratta Catenanuova-Enna, a fronte di una previsione di spesa pari a 1.446 milioni di euro può contare sulla disponibilità di 6 milioni di euro destinati alla progettazione preliminare; discorso analogo vale per il collegamento Enna-Castelbuono il cui investimento si aggira attorno a 3.749 milioni di euro di cui disponibili solo 2 milioni;
          la discrasia, ad avviso degli interroganti palese, tra le decisioni adottate da RFI e la concreta possibilità di dar loro un seguito non è affatto una novità se si considera che da oltre 30 anni la Sicilia attende l'ultimazione del raddoppio della Palermo-Messina e della Siracusa-Messina;
          il progetto siglato da RFI presenta un ulteriore aggravio per l'intero sistema di trasporto ferroviario: il fattore tempo; raddoppiare la Bicocca-Enna e costruire una galleria di 74 chilometri attraverso i Nebrodi significa per la Sicilia attendere almeno 20 anni (tempi previsti da RFI), un arco temporale che verosimilmente potrebbe dilatarsi in ragione dei numerosi espropri da eseguire e delle connesse lungaggini burocratiche di carattere procedurale;
          la soluzione alle criticità del sistema ferroviario siciliano non risiede nell'attuazione di un'opera tanto dispendiosa e dai tempi di realizzazione così lunghi, bensì, nella velocizzazione dei tracciati esistenti, ottimizzando, ad esempio, curve e rettifili. Un simile intervento costerebbe 200 milioni di euro, consentirebbe di percorrere la distanza del tratto Catania-Palermo in 2 ore e 20 minuti e potrebbe essere ultimato nel corso di un anno  –:
          se il Ministro intenda rivedere il progetto per rendere più veloci i tracciati esistenti anche in virtù delle considerazioni espresse in VIII Commissione il 19 giugno 2012;
          se ritenga ragionevole fornire ai siciliani, in tempi brevi, una ferrovia efficiente assumendo iniziative per una rimodulazione dell'attuale piano di RFI sulle indicazioni da ultimo delineate. (4-18479)


      CALVISI, META, MARROCU, SCHIRRU, FADDA, MELIS, ARTURO MARIO LUIGI PARISI e PES. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          dal 2009 le Ferrovie dello Stato hanno interrotto il servizio di collegamento marittimo tra Civitavecchia e Golfo Aranci, causando un grande disagio per residenti e turisti, privati di un importante mezzo di comunicazione con la Sardegna;
          la soppressione della tratta Civitavecchia-Golfo Aranci ha poi determinato, di fatto, l'eliminazione definitiva del trasporto merci su rotaia in tutta la Sardegna, visto che quella tratta costituiva l'unico servizio merci su rotaia attivo per la regione Sardegna, causando un ulteriore indebolimento di un sistema infrastrutturale nevralgico, per il quale i sardi avevano già pagato ampiamente in termini economici – considerato che le navi traghetto delle F.S. furono acquistate anche con il contributo della regione Sardegna – e recando gravi danni all'industria sarda, in particolare alla Keller Elettromeccanica nello stabilimento di Villacidro, azienda oggi in crisi, che costruiva e riparava rotabili ferroviari di ogni tipo e ha rappresentato una delle realtà industriali più importanti in Sardegna;
          nel conto nazionale dei trasporti 2010-2011, al capoverso VI.3 (Collegamenti con le isole), è riportato quanto segue: «Le società pubbliche che operano sui collegamenti marittimi di linea tra il Continente e la Sardegna sono il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiano e la Tirrenia. La tratta Civitavecchia-Golfo Aranci, gestita dalle F.S., è stata soppressa nel corso dell'anno 2009»;
          il collegamento Golfo Aranci-Civitavecchia è considerato servizio pubblico di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n.  422 del 1997; inoltre è incluso nella rete ferroviaria ad Sistema nazionale integrato dei trasporti (SNIT) di cui al piano generale dei trasporti e della logistica, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 2001, ed è anche indicato nella concessione sessantennale (TAV. B) alle Ferrovie dello Stato di cui al decreto ministeriale n.  138/T del 31 ottobre 2000;
          da un lato, quindi, il quadro normativo-contabile statale afferma la rilevanza e la necessità della linea di collegamento marittimo gestita dalla Ferrovie dello Stato, dall'altro è noto che da anni il servizio è stato interrotto, dando vita ad una situazione evidentemente confusa e contraddittoria;
          il collegamento delle Ferrovie dello Stato è stato di grande importanza, sia perché ha consentito di garantire un servizio alle persone che intendevano spostarsi da e per l'isola, sia perché ha reso possibile l'intermodalità con il ferro; e la soppressione di tale collegamento non è stato sicuramente compensato dall'impegno delle F.S. di continuare a svolgere corse a chiamata anche al servizio del sistema industriale sardo;
          per quale ragione nel Conto nazionale dei trasporti si continui a riportare che: «Le società pubbliche che operano sui collegamenti marittimi di linea tra il Continente e la Sardegna sono il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiano e la Tirrenia» visto il collegamento Civitavecchia-Golfo Aranci delle Ferrovie dello Stato è stato soppresso da anni, come giustamente riportato nello stesso Conto nazionale dei trasporti  –:
          se lo Stato continui effettivamente a riconoscere una compensazione alle Ferrovie dello Stato per un servizio che non viene più effettuato e, nel caso, a quanto ammontino dette risorse, considerato che in passato la compensazione appannaggio delle FS per il collegamento con la Sardegna si può quantificare su una cifra attorno ai 15 milioni di euro considerato che nel contratto di programma 2001-2005 il contributo statale alle FS per i collegamenti ferroviari con la Sicilia e la Sardegna fu complessivamente determinato in 45 miliardi di lire annui, da suddividere per 2/3 alla regione Sicilia e per 1/3 alla regione Sardegna;
          considerato che il collegamento con le isole comprende anche la Sicilia, se il Governo intenda smentire o confermare le voci riportate dalla stampa sarda che ipotizzano l'attribuzione per i collegamenti con la regione Sicilia dell'intero contributo statale. (4-18516)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          con l'operazione «Terminator 4» della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che ha portato nel mese di dicembre 2011 all'esecuzione di 18 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti e gregari della cosca Lanzino/Ruà di Cosenza, è emersa la capacità della ’ndrangheta di controllare il voto in occasione delle competizioni elettorali;
          a seguito di questa operazione antimafia, sono stati iscritti nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e voto di scambio l'ex sindaco del comune di Rende (CS), attuale consigliere provinciale del partito democratico, e l'ex assessore dello stesso comune, già assessore provinciale in quota al partito democratico e successivamente autosospesosi dall'incarico pubblico perché rinviato a giudizio in un'altra inchiesta della DDA di Catanzaro con l'accusa di usura aggravata dalle modalità mafiose;
          secondo quanto emerso dagli atti d'indagine, i due esponenti politici in questione, nelle vesti di sindaco ed assessore comunale del Comune di Rende, avrebbero affidato alla cooperativa «Rende 2000» l'esecuzione di alcuni lavori in cambio di voti e sostegno elettorale in occasione della competizione per il rinnovo del Consiglio provinciale di Cosenza del 2009 che si è conclusa con l'elezione di entrambi;
          la cooperativa in questione, che si è occupata, per conto del comune di Rende, dello svolgimento di servizi di competenza comunale come la manutenzione delle fognature, la nettezza urbana, la cura del verde, i servizi cimiteriali, la manutenzione e la sorveglianza dei beni municipali, sarebbe stata gestita, secondo gli inquirenti, da esponenti di primo piano della criminalità organizzata locale destinatari dei provvedimenti giudiziari legati a questa operazione antimafia;
          gli accertamenti della polizia giudiziaria hanno evidenziato come in occasione delle elezioni provinciali del 2009 la cosca locale si sia attivamente impegnata nell'elezione dei due amministratori comunali attraverso un capillare controllo del voto condotto anche al di fuori delle sezioni elettorali;
          già in data 31 maggio 2012, sullo stesso argomento, è stata presentata un'interrogazione parlamentare a risposta scritta a cui il Ministro dell'interno, nonostante la serietà dei fatti denunciati, non ha ancora dato alcuna risposta  –:
          se non ritenga necessario e non più differibile, visto il notevole lasso di tempo trascorso dall'emersione dei gravi fatti contestati dalla magistratura inquirente ai due ex amministratori comunali, promuovere l'accesso presso il comune di Rende al fine di chiarire un quadro che, per come emerge dagli atti dell'inchiesta, sarebbe di un'evidente serietà.
(2-01735) «Dima, Santelli, Golfo, Antonino Foti, Galati, Traversa, Biava, Piso, Saltamartini, Murgia, Di Caterina, Castiello, Nastri, Faenzi, Minasso, Martinelli, Dell'Elce, Rosso, Frassinetti, Laboccetta, Nola, Ghiglia, Ciccioli, Gottardo, Cannella, Costa, Formichella, Fucci, Picchi, Nicolucci, Bellotti, Catanoso, Pelino, Abrignani, Ascierto, Calderisi, Cazzola, Cicu, Cirielli, Contento, Garagnani, Laffranco, Miserotti, Petrenga, Roccella, Mariarosaria Rossi, Sbai, Testoni, Cesario, D'Anna, Lehner, Mottola, Orsini, Stasi, Pittelli, Mario Pepe (Misto-R-A), Romele».

Interrogazione a risposta immediata:


      DOZZO, MARONI, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 31 dicembre 2012 cesserà la gestione commissariale dell'emergenza profughi, conseguente alla crisi nordafricana, che, attraverso apposite ordinanze, era stata affidata alla protezione civile;
          secondo i dati del Ministero dell'interno, diffusi da organi di stampa nel 2011, le commissioni territoriali italiane hanno esaminato circa 25.626 richieste di asilo, riconoscendo lo status di rifugiato a 2.057 richiedenti e accordando 2.569 protezioni sussidiarie e 5.662 protezioni umanitarie;
          nei primi tre mesi del 2012, durante il perdurare dell'emergenza nordafricana, sono state respinte circa i due terzi delle istanze di asilo (5.365 respinte su 7.090 presentate);
          alla luce dei dati sopra riportati ed in considerazione del superamento della fase più acuta della crisi nordafricana, si evidenzia la necessità di procedere, secondo le ordinarie norme vigenti in tema di immigrazione, al rimpatrio di quanti, sfuggiti da scenari di guerra civile, si trovino ora sul territorio italiano senza titolo;
          tale situazione va affrontata tempestivamente, anche in considerazione dell'impatto sociale che potrà crearsi nelle città italiane a seguito dell'uscita dai centri di accoglienza di persone prive di qualsiasi occupazione e, quindi, di mezzi leciti di sussistenza;
          contrariamente a questi auspici, si apprende, da notizie di stampa, che il Governo, anche attraverso eventuali intese con le regioni, intenderebbe varare un piano di rientro nei Paesi di origine di questi immigrati, non aventi titolo a protezione internazionale, attraverso il pagamento del viaggio e la corresponsione di una cifra di 1.500 euro, a carico dello Stato;
          tali intendimenti, se confermati, rappresenterebbero una scelta indifendibile nell'attuale situazione economica, che vede il tasso di disoccupazione giovanile ai massimi storici ed una situazione occupazionale generale drammatica per i lavoratori italiani;
          a fronte di tale situazione si corrisponderebbe a stranieri sostanzialmente clandestini una somma di danaro, che, commisurata al costo della vita nei Paesi di origine, è da considerarsi significativa, realizzando un'evidente discriminazione nei confronti dei giovani italiani in cerca di occupazione, che non hanno mai usufruito di forme di sostegno al reddito, in quanto mai occupati, e dei disoccupati che non siano più beneficiari di ammortizzatori sociali –:
          quali siano gli intendimenti del Governo in ordine alla necessità di provvedere tempestivamente al rimpatrio degli immigrati clandestini di cui in premessa, senza ulteriori aggravi per le finanze pubbliche. (3-02607)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BRIGUGLIO e GIORGIO CONTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella notte tra il 31 ottobre e l'1 novembre 2012 è stata collocata una corda legata come un cappio davanti all'ingresso dello studio dell'avvocato Tommaso Calderone in Barcellona P.G.;
          la scoperta del gesto è stata fatta dallo stesso professionista, la mattina del 1° novembre, il giorno seguente, cioè, la significativa sentenza del rito abbreviato riguardante l'operazione «Pozzo e Gotha 2», con la quale sono state inflitte pesanti condanne – quasi 170 anni di carcere in tutto – a 16 soggetti, tra capi, gregari e fiancheggiatori della mafia locale;
          l'avvocato Tommaso Calderone è uno dei penalisti più preparati e affermati non solo della città del Longano, nonché difensore da anni di molti esponenti della criminalità organizzata barcellonese, e impegnato nella difesa di imputati nei procedimenti «Pozzo e Gotha»;
          l'avvocato Calderone, dopo aver fatto la scoperta ha subito avvertito i carabinieri e del caso è stato investito anche il procuratore capo di Barcellona P.G. Salvatore De Luca;
          della vicenda si occuperà anche la direzione distrettuale antimafia di Messina per le eventuali implicazioni del gesto, anche in tema di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza;
          si tratta di un fatto grave ed inquietante soprattutto perché intervenuto nelle ore immediatamente successive alla sentenza relativa all'operazione «Pozzo e Gotha 2», con la quale sono state inflitte pesanti condanne ai capi, gregari e fiancheggiatori della mafia locale e nei confronti di un legale impegnato in quel procedimento penale  –:
          se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano definite ed applicate le misure atte a garantire l'incolumità dell'avvocato Tommaso Calderone. (5-08426)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 30 ottobre 2012 le segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali rappresentative del Corpo nazionale dei vigili del fuoco hanno ricevuto una comunicazione da parte del dipartimento nazionale dei vigili del fuoco in cui si annunciava l'emanazione di un bando relativo alla selezione di 65 unità da condurre al XXV corso basico sommozzatori. Tale selezione specificatamente era rivolta al personale avente qualifica di vigile del fuoco;
          la Confsal, congiuntamente con le organizzazioni sindacali regionali di Cgil, Cisl e Uil Sicilia, tenuto conto che da anni si richiede fortemente l'autonomia del soccorso dell'isola al fine di elevare lo standard di sicurezza offerto dai vigili del fuoco in regione, ha richiesto l'autorizzazione a un contingente di straordinario che consenta il mantenimento operativo nei quattro turni del nucleo di Catania, così come fatto per sopperire alle carenze di qualificati e per altre specializzazioni;
          la Sicilia è completamente circondata dal mare e conta numerose isole minori a forte vocazione turistica anche nella parte orientale e, pertanto a giudizio dell'interrogante, è indispensabile mantenere alto lo standard operativo della componente sommozzatori;
          nella nota del dipartimento, invece, delle 65 unità previste dall'istruendo corso solamente 2 sono assegnate alla Sicilia e, nello specifico, a Palermo;
          sull'isola sono attivi due nuclei sommozzatori: a Palermo e a Catania a copertura, rispettivamente, delle esigenze operative della Sicilia occidentale e orientale. Il primo ha una dotazione organica effettiva di 23 unità (2 CR, 10 Cs di cui 2 in missione a costo zero provenienti da Catania e 11 VP) «spalmata» su tutti e 4 i turni di servizio, mentre il nucleo di Catania opera il dispositivo di prevenzione, sicurezza e soccorso su 2 turni con un totale di 12 unità (5 CS e 7 VP);
          gli interventi di soccorso operati nel corso del corrente anno dal nucleo di Catania sono stati circa 60, quasi come nel 2011;
          tale condizione è stata più volte segnalata e con essa le difficoltà cui è costretto a convivere ormai da anni il personale che non può garantire appieno l'attività di prevenzione, sicurezza e soccorso;
          la completa esposizione al mare dell'isola, la presenza di numerosi arcipelaghi e laghi, la forte vocazione turistica sono condizioni che rappresentano un grosso deterrente al quale la risposta del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non può che essere, a giudizio dell'interrogante e delle organizzazioni sindacali, insufficiente con tale dotazione;    
          più volte è stato richiesto, nelle more dell'emanazione di un bando di selezione, l'erogazione dell'istituto dello straordinario per consentire la copertura operativa in tutti e 4 i turni, soprattutto nel periodo estivo dov’è più alto il rischio d'incidenti;    
          alla luce dell'istruendo iter formativo è necessario un segnale di attenzione per il nucleo di Catania, affinché possa essere garantito uno standard minimale, ma sufficiente per potere garantire in tutti e 4 i turni uno standard di sicurezza adeguato;
          uno standard minimo di sicurezza, nelle more dell'emanazione del bando di selezione e in aggiunta alla collaborazione con il nucleo reggino, può ottenersi anche con la formazione di squadre minime composte da due o tre unità presso il nucleo sommozzatori di Catania in straordinario in modo da abbattere i tempi di risposta in caso d'intervento  –:
          quali iniziative intenda adottare il ministro interrogato per adeguare la struttura di Catania e per renderla coerente con la dotazione organica. (4-18481)


      CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da notizie provenienti da organi di stampa locali e nazionali emerge che nei giorni scorsi si sarebbe verificato un grave episodio di intimidazione ai danni di Andrea Landi, consigliere comunale di Fisciano, in provincia di Salerno;
          come riportano gli articoli di cronaca, alcuni ignoti avrebbero preso di mira l'automobile di proprietà dell'amministratore locale, parcheggiata sotto la sua abitazione sita nella frazione Gaiano, bucandone i pneumatici ed apponendo sul parabrezza un bigliettino anonimo di avvertimento;
          solidarietà è stata espressa al consigliere da altri esponenti locali, mentre sull'accaduto indagano i carabinieri della compagnia di Mercato San Severino e non è esclusa alcuna pista, ivi compresa una possibile minaccia di stampo mafioso, che i medesimi organi di stampa collegano alla prossima pubblicazione, da parte della tipografia di proprietà del consigliere Landi, di un volume sulle mafie commissionato da alcune associazioni;
          in diversi comuni della provincia di Salerno sono numerosi gli episodi di intimidazione, violenza e minaccia che periodicamente vengono commessi ai danni di consiglieri, assessori ed esponenti politici locali, anche durante le campagne elettorali, al fine di condizionare illecitamente l'attività amministrativa nei territori interessati;
          suddette incresciose vicende, più volte riportate dall'interrogante in atti di sindacato ispettivo, meritano di essere approfondite mantenendo alto il livello di guardia, in quanto incidono direttamente sulla sicurezza e l'incolumità degli amministratori locali, condizionandone il regolare esercizio del mandato elettorale  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se gli stessi corrispondano al vero e se sia ipotizzabile un collegamento tra quanto accaduto e la criminalità organizzata;
          quali iniziative o provvedimenti di competenza intenda assumere al fine di garantire, anche attraverso un maggiore presidio del territorio da parte delle forze dell'ordine, la sicurezza e l'incolumità degli amministratori locali dei comuni della provincia di Salerno. (4-18483)


      CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa locali e nazionali riportano un grave episodio di criminalità verificatosi nei giorni scorsi nella città di Salerno;
          nel tentativo di rapinare un negozio di compravendita di oggetti preziosi sito nel quartiere Mercatello, a sud della città, alcuni ignoti minacciavano con una pistola giocattolo il responsabile dell'esercizio commerciale, che veniva successivamente colpito con diverse coltellate all'addome ed al torace;
          la vittima dell'aggressione veniva così trasportata all'ospedale di Salerno, riportando gravi ferite e trasferita al reparto di rianimazione, con prognosi riservata, mentre le forze dell'ordine si ponevano sulle tracce dei banditi;
          egli ultimi mesi a Salerno si verificano con sempre maggiore frequenza episodi di violenza, criminalità ed illegalità diffusa nei diversi quartieri della città, causa di apprensione ed allarme sociale tra i cittadini salernitani e più volte segnalati dallo stesso interrogante;
          è pertanto evidente l'esigenza di garantire la sicurezza dei cittadini con un incremento capillare del controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine, che tenga conto anche della condizione delle periferie e del tessuto socio-economico della città;
          simili incresciosi episodi rappresentano un grave nocumento sia per lo stile di vita dei cittadini che per l'immagine stessa della città di Salerno  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative o provvedimenti di competenza intenda assumere al fine di arginare il crescente fenomeno della microcriminalità nella città di Salerno, anche attraverso un maggiore presidio del territorio da parte delle forze dell'ordine. (4-18484)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa locale (Arena di Verona) di questi ultimi giorni riportano la notizia secondo la quale nelle ultime settimane, nell'area compresa tra i comuni di Costermano, Caprino e San Pietro in Cairano (Verona), si sarebbero verificati numerosi furti ad abitazioni private ed esercizi commerciali;
          nello specifico, gli organi di stampa evidenziano come il numero di furti, notevolmente cresciuto, abbia interessato sia ville di proprietà, che immobili commerciali, come il distributore di benzina di Costermano, dove, a seguito della violenza perpetrata dai rapinatori dell'ultimo furto, il proprietario dell'attività è stato anche ricoverato in ospedale;
          la violenza dei ladri che operano nell'area è particolarmente spiccata, tanto che a seguito dell'arresto di un rapinatore da parte di una pattuglia dei carabinieri, lo stesso rapinatore avrebbe preso a calci le auto delle forze dell'Arma;
          la crescente spirale di violenza che in questi mesi si sta registrando nei comuni del Veronese sta creando estrema preoccupazione tra gli abitanti e gli amministratori locali del territorio che, a più voce, chiedono ai livelli di governo superiori, un rafforzamento della presenza delle forze dell'ordine nell'area  –:
          considerati i fatti sopra descritti e la grave situazione venutasi a determinare, se non ritenga opportuno adottare idonee iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, per aumentare il livello di controlli nel territorio interessato dagli episodi sopra descritti. (4-18487)


      BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la stampa nazionale e locale del 7 e 8 novembre 2012 riporta l'agghiacciante notizia dell'omicidio di due bambini, uccisi dal padre Mustapha Haijaji, marocchino di 44 anni residente a Città di Castello (Perugia), che ha poi tentato il suicidio;
          l'uomo avrebbe giustificato il suo folle gesto perché voleva punire la moglie, anch'essa marocchina di 35 anni, che non voleva indossare il velo e abiti lunghi;
          la donna aveva denunciato il marito per minacce fin dal 2010 e, circa un mese fa, dopo un ennesimo litigio e una ulteriore denuncia perché l'uomo l'aveva minacciata con un coltello, aveva lasciato l'abitazione di Città di Castello e si era trasferita ad Umbertide, per cercare di ricostruirsi una vita, portando con sé i figli, un bimbo di 8 anni, Ahmed ed una bambina di 12 anni, Jahane;
          la sera del 6 novembre 2012 mentre la moglie era al lavoro, l'uomo le avrebbe telefonato, dicendo che voleva mettere fine alla loro storia, perciò la donna, allarmata, aveva avvisato le forze dell'ordine, che si sono recate nella casa di Umbertide;
          al loro arrivo gli agenti hanno trovato l'uomo e i figli chiusi in bagno: i due bambini morti sgozzati e il padre gravemente ferito;
          l'uomo è in stato di arresto per omicidio ed è in ospedale grave, ma non in pericolo di vita;
          questo ennesimo, tragico episodio dimostra ancora una volta come violenza fisica, sottomissione, imposizione di usi e tradizioni tribali sono solo alcune delle vessazioni a cui sono sottoposte ancora troppe donne di religione islamica in Italia; si tratta di fenomeni alimentati dalla disinformazione, dall'isolamento, dal fanatismo religioso;
          questo è ancora più grave e sconcertante di tanti altri episodi, purtroppo già avvenuti nel nostro Paese, perché vede coinvolti due bambini indifesi, che dovrebbero ricevere amore e protezione dal padre e non essere uccisi con tanta ferocia;
          i tanti episodi di violenza, compiuti nei confronti delle donne musulmane ed i loro figli, oltre a suscitare indignazione e ferma condanna, devono anche far riflettere sul fatto che la maggior parte di essi sono compiuti da componenti dei loro nuclei famigliari e da persone del loro stesso credo religioso;
          i continui episodi di maltrattamenti e violenza dimostrano, a giudizio dell'interrogante, ancora una volta, che le politiche ispirate al multiculturalismo sono miseramente fallite e che è ancora lontano il raggiungimento di una vera integrazione sociale  –:
          se i Ministri siano a conoscenza di tali fatti;
          se e quali eventuali altri elementi possiedano in merito a tale vicenda;
          se risulti per quali motivi, nonostante le denunce fatte dalla donna, non sia stato attivato un programma di aiuto o di protezione, che potesse tutelare lei e i suoi figli;
          se siano in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte donne islamiche, vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
          se non ritengano necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, una indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per verificare la reale condizione delle donne straniere che vivono in Italia. (4-18492)


      FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni passati tutti le principali testate giornalistiche hanno dato notizia dell'apertura di una indagine relativa ad alcuni appalti per la fornitura di beni e servizi all'amministrazione della polizia ed al Ministero dell'interno;
          in particolare, gli organi di informazione hanno dato notizia che questa indagine avrebbe lambito anche il vicecapo della polizia prefetto Izzo – che infatti è poi stato sentito come testimone – e il prefetto Maddalena, ex direttore della divisione tecnico logistica del Viminale –:
          quale sia lo stato dei fatti a conoscenza del Ministro su questo tema.
(4-18498)


      GARAVINI e CODURELLI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di febbraio 2012 una operazione della polizia di Stato portava a scoprire che all'interno del forno del bar pizzeria «The Village» di Lecco erano occultate numerosi dosi di cocaina, facendo anche ritenere che il bar fosse un luogo di spaccio;
          lo stesso locale risultava essere di proprietà e gestito da parenti del locale boss della ’ndrangheta Franco Coco Trovato, da tempo ritenuto uno dei capi della criminalità organizzata nel territorio di Lecco, attualmente detenuto perché condannato all'ergastolo;
          a seguito delle indagini il sindaco di Lecco, Virginio Brivio, ha revocato la licenza di pubblico esercizio ai titolari del «The Village»;
          a seguito della conferma della decisione del sindaco da parte del TAR, lo stesso sindaco è stato fatto oggetto di minacce direttamente da parte di esponenti della famiglia Coco Trovato  –:
          se il Ministro sia al corrente della vicenda e quali iniziative intenda assumere per garantire la sicurezza del sindaco del comune di Lecco e la puntuale applicazione delle decisioni prese nel pieno rispetto delle normative di prevenzione antimafia. (4-18508)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sul sito del Ministero dell'interno il 17 marzo 2012 è stato pubblicato un comunicato dal titolo «Il prefetto di Taranto sospende il consiglio comunale di Manduria» nel quale si legge che: «A seguito delle dimissioni rassegnate da sedici consiglieri comunali del comune di Manduria, il prefetto di Taranto Claudio Sammartino ha disposto ieri la sospensione di quel Consiglio comunale, nominando Commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione dell'ente il viceprefetto Aldo Lombardo, in servizio al Gabinetto del ministero dell'Interno.
      Il prefetto Sammartino ha anche proposto al ministero dell'interno lo scioglimento dell'organo consiliare. Il Commissario prefettizio, che si insedierà nei prossimi giorni, avrà i poteri del Consiglio comunale, del sindaco e della Giunta municipale»;
          sul sito del Ministero dell'interno il 30 marzo 2012 è stato inserito un comunicato dal titolo «Accesso ispettivo antimafia nel comune tarantino di Manduria» nel quale si legge che: «Il prefetto di Taranto è stato delegato dal ministero dell'interno ad esercitare i poteri di accesso e di accertamento presso il comune di Manduria, dove recenti iniziative giudiziarie hanno evidenziato pericoli di infiltrazioni della criminalità organizzata pugliese (Sacra Corona Unita) nel tessuto amministrativo municipale. L'accesso ispettivo antimafia sarà svolto, entro un termine di tre mesi eventualmente prorogabile, da una Commissione che avrà il compito di accertare eventuali collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata ovvero forme di condizionamento tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità dell'amministrazione comunale, ed anche il regolare funzionamento dei servizi ad essa affidati. La Commissione sarà formata dal prefetto Angelo Ciuni, dal viceprefetto Francesco D'Alessio e dal maggiore Giuseppe Dell'Anna, comandante del Gruppo della Guardia di Finanza di Taranto»  –:
          quali siano le «iniziative giudiziarie (che) hanno evidenziato pericoli di infiltrazioni della Criminalità organizzata pugliese» ovvero per quali motivi non si sia intervenuto prima del 17 marzo;
          non essendo reperibili sul sito del Ministero comunicazioni al riguardo, se l'accesso ispettivo antimafia che si doveva svolgere sia stato concluso o prorogato, nel qual caso fino a quando, e comunque, se del caso, quando siano state consegnate le conclusioni e con quali esiti;
          se non si ritenga urgente adottare ogni iniziativa di competenza per lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale alla prima data utile. (4-18520)


      FAENZI. —Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 5 novembre 2012, n.  188, recante «Disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane», prevede una serie di norme volte alla riorganizzazione delle funzioni degli ambiti territoriali delle regioni degli enti locali e dello Stato, all'interno dell'attuale quadro di contenimento della spesa pubblica, per il conseguimento dei connessi obiettivi di stabilità e crescita;
          gli interventi contenuti all'interno del suddetto provvedimento che seguono, quelli già prefigurati dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, e dal decreto-legge n.  95 del 2012 convertito dalla legge 7 agosto, n.  135, in ordine al nuovo ordinamento provinciale, indicano inoltre una procedura con tempi cadenzati degli adempimenti preparatori, garantiti dall'eventuale intervento sostitutivo dei Commissari ad acta, in base al nuovo assetto;
          l'interrogante evidenzia come, nell'ambito di una complessiva riforma degli organi dello Stato e del suo funzionamento, con riferimento alla regione Toscana, il quotidiano «la Stampa», riporti che all'interno della medesima regione vi sia un numero molto elevato di uffici decentrati dello Stato, i cui dipendenti, che complessivamente risultano circa 45 mila (considerando tra l'altro, dieci prefetture, dieci comandi provinciali dei carabinieri e dieci questure, le cui strutture secondo i calcoli della nuova suddivisione della geografica istituzionale saranno ridotte a quattro sedi) avvertono uno stato d'incertezza e di preoccupazione per il proprio futuro professionale;
          secondo una stima pubblicata dal suddetto quotidiano, i risparmi complessivi pari a circa 8 milioni di euro, determinati dagli oneri derivanti dal mantenimento delle prefetture di Prato, Pistoia, Lucca, Grosseto e di Massa Carrara, che confluiranno all'interno delle città metropolitane, non risulteranno così significativi per il contenimento della finanza pubblica, a differenza invece di un congruo risparmio realizzato attraverso la diminuzione delle sedi e delle relative utenze;
          il medesimo articolo rileva inoltre altre analogie con quanto suesposto, sia con riferimento alle questure che alle province della Toscana, la cui prossima organizzazione territoriale secondo quanto prevedono i recenti provvedimenti legislativi adottati, appare tuttavia confusa; per le questure infatti (il cui numero complessivo all'interno della regione risulta di circa 3 mila dipendenti fra civili e militari le cui competenze sono tra l'altro differenti), il quotidiano «la Stampa», ipotizza una serie di declassamenti i cui risparmi nel complesso si riveleranno di modesta entità e le cui conseguenze determineranno nella provincia della costa della Toscana uno squilibrio, in quanto si avrebbe soltanto una questura e otto commissariati invece di cinque;
          ulteriori profili di criticità si segnalano anche per il riordino delle province toscane, i cui dipendenti complessivamente oltre 4 mila e 500, sono in attesa degli effetti derivanti dalla riduzione del numero degli enti in due anni, che potrà determinarsi sia con riferimento ai calcoli di meccanismo delle pensioni, che nell'ambito dei criteri dei prossimi trasferimenti;
          risultano inoltre vaghe le modalità dei medesimi trasferimenti, con riferimento alle funzioni; secondo quanto evidenzia il suddetto articolo, mentre il personale degli uffici provinciali avrà maggiori probabilità di rimanere al proprio posto di lavoro, le funzioni di staff amministrative e di pianificazione si presteranno invece ad un maggiore accentramento;
          l'articolo del quotidiano «la Stampa» riporta inoltre che a rischio della perdita del posto di lavoro sono i dipendenti delle province di Massa Carrara e di Lucca, il cui numero è attualmente circa 550, a causa della disciplina normativa che regola la messa in mobilità per le dotazioni di personale eccedenti il fabbisogno; così come quelli delle agenzie e di provveditorati la cui configurazione complessiva e futura risulta all'interrogante incomprensibile;
          l'interrogante segnala infine che anche le capitanerie di porto e i vigili del fuoco della Toscana, che non seguono i confini provinciali, evidenziano aspetti preoccupanti sul futuro assetto organizzativo e sul funzionamento del personale, paventando il rischio di ulteriori riduzioni delle strutture già attualmente deficitarie;
          a giudizio dell'interrogante, lo scenario suesposto con riferimento ai provvedimenti adottati dal Governo, nell'abito dei provvedimenti legislativi di riordino delle province, delle città metropolitane e degli enti territoriali dello Stato con richiamo alla regione Toscana, ove fosse confermato, non può che destare sconcerto e preoccupazione sia con riferimento alla mancata tutela e alla salvaguardia dei dipendenti sul piano occupazionale, che nell'ambito dei criteri adottati per la ripartizione sul territorio regionale degli enti locali, che potrebbero determinare evidenti squilibri geografici con conseguenti danni alle comunità locali interessate della Toscana  –:
          quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se intendano confermare quanto riportato dal quotidiano la Stampa, sugli effetti e l'impatto che i provvedimenti del decentramento e del riordino delle province e degli altri enti territoriali, previsti dai recenti provvedimenti legislativi, avranno per la regione Toscana;
          in caso affermativo, quali iniziative infine, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere al fine di salvaguardare in via prioritaria i livelli occupazionali dei dipendenti degli enti locali della medesima regione, nonché la qualità dei servizi che gli stessi organi amministrativi forniscono alle comunità locali, qualità che, secondo quanto esposto in premessa, appare fortemente penalizzata. (4-18523)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta immediata:


      MONDELLO, ENZO CARRA, CAPITANIO SANTOLINI, CARLUCCI, TASSONE, COMPAGNON, CICCANTI, RAO, NARO, VOLONTÈ, DELFINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la bozza di riforma ministeriale, presentata nei giorni scorsi dal vice capo di gabinetto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, prevede l'accorpamento dell'ufficio scolastico regionale ligure e di quelli provinciali a quello del Piemonte, con la creazione di un ufficio scolastico interregionale che avrebbe direzione e sede principale a Torino, una succursale a Genova e alcuni non meglio precisati uffici territoriali;
          il decreto ministeriale rientra nei provvedimenti di spending review e prevede l'accorpamento di cinque uffici scolastici di piccole regioni ad altri di regioni più estese o limitrofe;
          infatti, oltre alla Liguria assorbita dal Piemonte, il Friuli Venezia Giulia confluirebbe nel Veneto, l'Umbria nelle Marche, il Molise nell'Abruzzo, la Basilicata nella Puglia;
          è opportuno rimarcare, tuttavia, che le specificità delle regioni si manifestano anche attraverso strutture amministrative regionali, in quanto la scuola è sempre più inserita nel sistema economico e culturale del territorio, e queste fusioni mettono in serio pericolo le possibilità degli studenti e delle famiglie di far parte di un sistema di formazione di tipo locale;
          la riduzione della spesa pubblica amministrativa non dovrebbe gravare sul processo di decentramento e del lavoro sul territorio, che valorizza l'autonomia delle scuole e il loro efficace radicamento;
          oggi più che mai si ha bisogno che la scuola e la formazione siano in stretta connessione con il territorio che esprime precise richieste formative ed occupazionali, per far sì che i percorsi proposti siano davvero connessi al mondo del lavoro;
          occorre, altresì, segnalare che il Governo, mentre prima si era impegnato per rendere operativo entro marzo 2013 il passaggio delle competenze scolastiche alle regioni, ora invece si sta orientando su una vocazione piuttosto accentratrice e centralista –:
          se non ritenga opportuno rivedere la bozza di decreto ministeriale in questione, cercando di reperire le risorse della spending review attraverso altri capitoli di spesa non strettamente inerenti al funzionamento scolastico sul territorio. (3-02602)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CAVALLOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          a poche settimane dall'inizio della scuola e dalle prime mobilitazioni studentesche torna al centro del dibattito il tema dell'edilizia scolastica;
          da notizie di stampa si apprende che sono cinque le aule sgombrate e chiuse al liceo scientifico Darwin di Torino;      
          lo sgombero è avvenuto perché nei giorni scorsi gli studenti di alcune classi si sono trovati davanti dei pannelli di cartongesso sbriciolati per terra, ad un passo dai banchi;
          tale vicenda ha riportato alla mente il ricordo della disgrazia che ha tolto la vita nel novembre 2008 a Vito Scafidi;
          nei giorni scorsi all'I.T.C. Luxemburg è crollata la controsoffittatura di alluminio nella zona vicino alla finestra della classe III A; fortunatamente gli studenti non erano in quel momento seduti dietro i banchi sui quali è caduta la lastra;
          le condizioni delle strutture delle scuole torinesi sono la rappresentazione della condizione della scuola pubblica in Italia;
          sembra impensabile che si debba continuamente procedere per emergenze rispetto al tema dell'edilizia  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se intenda assumere iniziative per destinare fondi all'edilizia scolastica, in modo da mettere in sicurezza le scuole, essendo a giudizio dell'interrogante inammissibile che vengano previsti ulteriori tagli alla scuola pubblica, mentre si pensa alle dotazioni informatiche per i docenti del Sud. (4-18486)


      BITONCI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          alcuni mesi or sono, organi di stampa locale del trevigiano, riportavano la notizia secondo cui un professore di un istituto superiore di Mogliano Veneto (Treviso), avrebbe portato in classe, durante una lezione di religione, la bandiera veneta, allo scopo di illustrare agli studenti la storia dell'evangelista Marco e della scritta riportata sulla bandiera stessa, riferendo inoltre che una dirigente scolastica dello stesso istituto avrebbe poi richiamato il docente in merito all'inopportunità di esporre la bandiera all'interno dell'aula, richiamando altresì l'articolo 118 del regio decreto 30 aprile 1924, n.  965, «Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti d'istruzione media», laddove si precisa che «Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l'immagine del Crocifisso e il ritratto del Re»;
          in questi ultimi giorni, il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge che prevede l'insegnamento dell'inno di Mameli nel piano di studio nelle scuole e riconosce il 17 marzo di ogni anno, in continuità con il festeggiamento dei 150 anni, come «Giorno dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera», allo scopo di promuovere i valori di cittadinanza e di consolidare l'identità nazionale;
          qualche giorno fa, un visitatore del museo archeologico di Oderzo (Treviso), a quanto consta all'interrogante avrebbe lamentato il fatto che una guida del museo, di fronte ad alcuni reperti di origine paleo veneta, li avrebbe nominati come «reperti di origine pre-romana», sostenendo altresì che fosse lo stesso Ministero ad aver deciso che d'ora in poi non potranno più chiamarsi paleo venete;
          da più parti, è stato evidenziato come nei libri di testo degli istituti scolastici, di ogni regione, ordine e grado, e approvati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la storia e la cultura e le tradizioni locali vengono di norma trattate in maniera superficiale e non conforme con la stessa storia del territorio  –:
          se non ritenga necessario chiarire quanto occorso al museo di Oderzo, assumendo altresì ogni iniziativa di competenza affinché i programmi scolastici ministeriali considerino maggiormente la millenaria storia e cultura della Serenissima Repubblica di Venezia, oggi derubricata solo come «Repubblica Marinara».
(4-18519)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, CALGARO, POLI e DELFINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          i risultati del mercato del lavoro sono peggiorati durante tutto il 2011 e i primi 9 mesi del 2012. Il tasso di occupazione si è attestato al 56,9 per cento, mentre il tasso di disoccupazione è passato dal 9,7 per cento al 10,7, segnando un aumento dell'1 per cento in rapporto all'anno precedente, il che rappresenta il punto più alto dal 2012. Tuttavia, il tasso reale di disoccupazione è superiore, poiché ai quasi 2,1 milioni di disoccupati si aggiungono 250.000 lavoratori in cassa integrazione;
          le categorie più colpite sono quella dei giovani e quella dei disoccupati di lunga durata. La disoccupazione giovanile, salita al 34,6 per cento durante il primo semestre del 2012, è più che raddoppiata dall'inizio del 2009. Allo stesso modo, i disoccupati di lunga durata rappresentano il 51,1 per cento del totale dei disoccupati. Inoltre, molti lavoratori escono completamente dal mercato del lavoro: il tasso dei lavoratori che non cercano più lavoro ha raggiunto il 5 per cento del totale della forza lavoro. Il numero dei NEET (giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione) ha raggiunto il livello allarmante di 1,5 milioni;
          l'allarmante nota dell'ISTAT diffusa pochi giorni fa, nell'ambito del rapporto sulle prospettive dell'economia 2012-2013, evidenzia tassi di disoccupazione record, retribuzioni quasi ferme e una rilevante contrazione dei consumi, oltre che un forte calo del prodotto interno lordo;
          nello specifico, l'istituto di statistica prevede un «rilevante incremento» del tasso di disoccupazione, per quest'anno al 10,7 per cento e destinato a salire il prossimo anno raggiungendo almeno l'11,4 per cento «a causa del contrarsi dell'occupazione», unito all'aumento dell'incidenza della disoccupazione di lunga durata;
          l'Italia è entrata nella seconda fase di recessione consecutiva dall'inizio della crisi globale. La ripresa viene frenata dalla contrazione dei consumi, legata all'impoverimento complessivo della popolazione. Tale contrazione è aggravata dal fatto che gli stipendi – per coloro che ancora mantengono il loro posto di lavoro – crescono in misura inferiore rispetto all'inflazione. Il tasso di investimento è diminuito e l'aumento della domanda dall'estero è sensibilmente rallentato. Infine, tra il 2009 e il 2012, la spesa pubblica è diminuita del 2 per cento in rapporto al prodotto interno lordo, con effetti negativi diretti sugli investimenti pubblici;
          in questa congiuntura il debito pubblico è schizzato dal 103 per cento del prodotto interno lordo nel 2007 al 120 per cento nel 2011. A seguito dell'aumento dei tassi di interesse nazionali sono anche sorti dubbi sulla tenuta delle finanze pubbliche. Per ridurre il deficit il Governo ha aumentato la pressione fiscale che ormai sta raggiungendo il 50 per cento. Queste misure di austerità rischiano di alimentare ulteriormente il ciclo della recessione e di rinviare ancora l'inizio della ripresa economica e il risanamento fiscale;
          nel biennio 2012-2013 le famiglie italiane continueranno «a sperimentare significative riduzioni del reddito – si legge nel rapporto –, con conseguenze negative sul tasso di risparmio». I consumi subiranno dunque per tutto l'anno in corso una forte battuta d'arresto, mentre nel 2013 il calo si attenuerà;
          in questo contesto diventa sempre più urgente prendere decisioni, progettare interventi di vasto respiro, coniugare rigore e sensibilità sociale. I dati evidenziati dall'Istat rilevano che la fase di debolezza ciclica dell'economia italiana «condurrebbe a un deterioramento complessivo delle condizioni del mercato del lavoro». Nei primi due trimestri dell'anno in corso «si è osservata una sostanziale tenuta dei livelli occupazionali, unitamente a una diminuzione delle ore lavorate, anche attraverso il ricorso alla cassa integrazione guadagni, anche se segnali più negativi sono emersi a settembre. Purtroppo anche questa temporanea misura di tamponamento della crisi si sta velocemente avviando al termine;
          occorrono azioni mirate che possano offrire concrete opportunità nella lotta contro la disoccupazione giovanile, utilizzando intelligentemente tutti gli strumenti a disposizione, europei e nazionali, per aiutare le piccole e medie imprese a superare i momenti difficili riguardo l'accesso ai finanziamenti, così come richiesto anche dalle politiche comunitarie in merito  –:
          quali urgenti e concreti iniziative in termini di welfare intendano porre in essere per aiutare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro, dell'istruzione o della formazione e se non ritengano necessario assumere iniziative normative volte a creare investimenti in grado di promuovere il lavoro anche attraverso finanziamenti a costi sostenibili, eliminando restrizioni e strettoie per le piccole e medie imprese (PMI) – creatrici dell'80 per cento dei posti di lavoro in Europa, così come richiesto dalle scelte strategiche comunitarie. (3-02596)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'attività di odontotecnico prevede l'iscrizione fra i piccoli imprenditori artigiani presso le camere di commercio, secondo la classificazione 33.10.3 fra le attività economiche, e dal 2007 col codice 32.50.20, essendo l'odontotecnico individuato quale fabbricante di protesi dentali (e genericamente di dispositivi medici su misura), compresa la loro eventuale riparazione;
          la realtà operativa degli odontotecnici è prevalentemente di piccole o medie dimensioni (in Italia, nel 2011, veniva indicativamente stimata la presenza di circa 9.000 laboratori, dei quali solo un centinaio di medie dimensioni) e, pertanto, a parere dell'interrogante, si dovrebbe tener conto delle siffatte modeste dimensioni ai fini di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro;
          si ritiene, infatti, che per un corretto inquadramento di tali rischi sia doveroso considerare la struttura e prendere in esame le tecniche di lavorazione normalmente sviluppate all'interno dei laboratori odontotecnici, tenendo presente che molte attrezzature e materiali, così come molti operatori (pur esistendo un mansionario specifico per ogni addetto), intervengono in diverse fasi di lavorazione se non, a volte, addirittura in tutte le lavorazioni, il che è da considerarsi come ulteriore fattore di riduzione dei rischi;
          invero, in seguito alla pubblicazione degli accordi tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sui corsi di formazione per lo svolgimento diretto, da parte del datore di lavoro, dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, ai sensi dell'articolo 34, commi 2 e 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, e per la formazione dei lavoratori ai sensi del successivo articolo 37, comma 2, del decreto legislativo n.  81 del 2008, purtroppo, l'attività di odontotecnico è stata classificata «a rischio alto» in quanto equiparata alle manifatture;
          tale classificazione, invece, a parere dell'interrogante non trova corrispondenza nella realtà e comporta, di fatto, per le piccole imprese odontotecniche un insostenibile dispendio di tempo e di energie, oltre che costi molto elevati, in quanto, in aggiunta agli oneri già previsti dalla normativa vigente (formazione per: addetto primo soccorso, prevenzione incendi, rappresentanti dei lavoratori, ove nominati), sarebbe obbligatorio anche un ulteriore ed oneroso percorso formativo di altre nove ore;
          non risultano all'Inail malattie professionali significative a carico degli odontotecnici e le associazioni di categoria, sempre molto attente alla problematica sicurezza ed igiene negli ambienti di lavoro, sin dall'entrata in vigore del decreto legislativo n.  626 del 1994 e successive integrazioni e modificazioni, hanno attivato un sistema di informazione e formazione continua;
          peraltro, con il progresso tecnologico – che ha permesso di migliorare le fasi della produzione e del lavoro, di adottare materiali più avanzati e meno pericolosi e di utilizzare dispositivi di protezione collettivi ed individuali sempre più avanzati e sicuri – ma soprattutto dopo l'entrata in vigore della «direttiva macchine» del 1996, le attrezzature vengono costruite in modo tale che i rischi eventualmente derivanti siano minimi  –:
          se il Governo non convenga sull'opportunità che l'attività di odontotecnico, pur rientrante nella classificazione delle attività economiche nelle manifatture, possa essere considerata, ai fini della valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, nella categoria di rischio bassa e, quindi, ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.  212, e, in caso di risposta affermativa, se non si ritenga di dover adottare celermente ogni iniziativa di competenza atta a tale riconoscimento. (5-08425)


      ZAMPA, DE PASQUALE, PEDOTO, CENNI, SIRAGUSA, RAMPI, LO MORO, LIVIA TURCO, LENZI, SCHIRRU, CODURELLI, GHIZZONI, CARDINALE, MOTTA, LAGANÀ FORTUGNO, GNECCHI, MATTESINI, D'INCECCO, D'ANTONA e SERVODIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          anche i recenti fatti di cronaca confermano che la violenza contro le donne è un fenomeno allarmante e in costante crescita;
          le donne subiscono più forme di violenze e da diversi autori: amici, parenti, datori e colleghi di lavoro, conoscenti e sconosciuti;
          i partner sono responsabili nella maggioranza degli stupri e di le violenze domestiche sono in maggioranza gravi o molto gravi;
          secondo i dati forniti dalla ricerca dell'Istat 2006 «La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia», sono più di 2 milioni le donne che hanno subito comportamenti persecutori (stalking), più di 7 milioni le donne che hanno subito violenza psicologica e più di i milione le donne che hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni;
          nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate, fenomeno imputabile anche a fattori di tipo culturale. È infatti ormai noto che l'autocensura da parte delle donne aggrava le spirali di violenza che possono raggiungere livelli aberranti e criminali;
          spetta alle istituzioni favorire e sostenere la scelta della denuncia e promuovere tutte le azioni necessarie per educare le nuove generazioni alla cultura dei diritti delle persone e alla non violenza;
          nella risposta alla precedente interrogazione sul tema n.  3-02155, presentata dalla prima firmataria del presente atto e da altri deputati; il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali nell'illustrare le azioni del Governo in merito alla prevenzione, l'informazione e la sensibilizzazione sul tema dello stalking e violenza di genere ha posto l'accento su una nuova campagna relativa al numero di pubblica utilità 522», quale «servizio molto importante, che è stato (...) recentemente riprogettato, anche al fine di coinvolgere le principali associazioni che operano nel settore» e cruciale per «la ricezione e gestione di ogni segnalazione, denuncia o testimonianza su fatti, eventi, procedure ed azioni relative a violenza di genere e stalking»;
          il Ministro, in occasione di una presentazione pubblica alla Camera dei deputati del 24 luglio 2012, è venuto a conoscenza dell'esistenza di un servizio e di un dispositivo anti stalking («Vodafone Angel») messo a punto dalla Fondazione Vodafone Italia – fondazione privata – con un investimento di circa cinquecentomila euro. L'obiettivo del servizio è quello di fornire tale dispositivo a circa 2000 donne oggetto di stalking e a grave rischio di violenza su tutto il territorio nazionale, al fine di rendere più immediato, attraverso la geolocalizzazione, un eventuale intervento delle forze dell'ordine in caso di aggressione;
          nonostante l'avvenuto interessamento del dipartimento competente per il servizio 522», non è ancora chiaro se il call center del 1522 potrà recepire e gestire le chiamate delle donne in difficoltà effettuate anche tramite il dispositivo «Vodafone Angel»  –:
          se non ritenga utile ed efficace un'integrazione tra il servizio del 1522 e «Vodafone Angel», visto il successo della sperimentazione condotta sulla città di Roma che ha visto in poco più di 12 mesi, l'utilizzo del dispositivo da parte di 36 donne vittime di atti persecutori con più di 40 richieste di aiuto, tra le quali 16 risolutivi e diretti interventi delle forze dell'ordine attraverso la volante;
          quali iniziative si intendano intraprendere per promuovere e facilitare una efficace integrazione tra il servizio di pubblica utilità 522» e Vodafone Angel, un concreto esempio di utile dispositivo a tutela delle donne in difficoltà. (5-08427)


      LOLLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 67-quater, comma 13, del cosiddetto decreto-legge sviluppo e crescita n.  83 del 2012 per gli orfani delle vittime degli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo, a partire dal 6 aprile 2009, si applicano, senza limiti di età, le disposizioni in materia di assunzioni obbligatorie nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 7, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n.  68;
          presso l'ufficio di collocamento della provincia dell'Aquila è stata negata agli orfani l'iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio, bloccando la possibilità di poter usufruire di quanto disposto dal suddetto articolo;
          l'articolo, infatti, afferma che non ci sono limiti di età per rientrare nelle liste da cui le pubbliche amministrazioni possono attingere per le assunzioni obbligatorie, ma, allo stesso tempo, rimandando ai requisiti di legge, di fatto limita questa possibilità ai soli orfani minorenni fino a 21 anni se studenti di scuola superiore al momento del decesso dei genitori o agli studenti universitari con età massima di 26 anni sempre al momento del decesso dei genitori;
          inoltre, il recente concorso pubblico bandito in relazione alla gestione della ricostruzione post terremoto non prevede la possibilità, all'atto della domanda di iscrizione, di segnalare il proprio stato di orfani né con voci cliccabili né con riquadri di testo in cui specificare eventuali alternative, rendendo impossibile la segnalazione di trovarsi in tale condizione per richiedere l'applicazione dei benefìci previsti nella legge n.  68 del 1999  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, sul piano normativo, anche valutando se ricorrono i presupposti per emanare una circolare, al fine di chiarire che non sono previsti limiti di età. (5-08432)


      ZAZZERA e PALADINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel 2007, secondo quanto riferito all'interrogante, 914 dipendenti della società Vodafone, di cui 133 della sede di Roma, sono stati esternalizzati attraverso una cessione dei lavoratori a Comdata Care spa;
          tale operazione è stata accompagnata da un accordo sindacale che prevedeva per il personale ceduto una garanzia occupazionale di 7 anni;
          molti dei dipendenti in questione hanno intrapreso, conseguentemente, una battaglia legale. In particolare risulta agli interroganti che i lavoratori hanno impugnato la cessione di ramo d'azienda occorsa in data 5 novembre 2007 per effetto della quale il loro rapporto era stato trasferito alla cessionaria Comdata Care spa, instando affinché il tribunale, accertata l'insussistenza dei requisiti per la cessione di un ramo d'azienda ex articolo 2112 del codice civile, dichiarasse la nullità, l'illegittimità o l'inefficacia del trasferimento e la persistenza dei rapporti di lavoro in capo a Vodafone Omnitel NV, con conseguente condanna della società al ripristino funzionale del rapporto, adibendo i ricorrenti alle mansioni rientranti nella propria qualifica professionale di inquadramento e, in ogni caso,       equivalenti a quelle ultime svolte sino al 5 novembre 2007;
          a sostegno della domanda sembra che i ricorrenti, per quanto consta agli interroganti, descritta dettagliatamente l'organizzazione aziendale anteriore alla cessione, con particolare riferimento a tutti i servizi relativi alla funzione customer care della quale facevano parte le attività cedute, precisato che contestualmente alla cessione le parti sottoscrivevano un contratto di appalto di servizi, ed illustrata altresì l'organizzazione aziendale successivamente all'impugnata cessione al fine di dedurre la dipendenza funzionale delle attività cedute rispetto a quelle non esternalizzate, abbiano dedotto in diritto l'insussistenza dei requisiti della preesistenza e dell'autonomia funzionale del ramo ceduto ai fini dell'inapplicabilità dell'articolo 2112 del codice civile, assumendo che l'operazione avrebbe celato una mera esternalizzazione di manodopera eccessivamente costosa e sgradita, tanto che quasi tutti i ricorrenti sarebbero stati trasferiti dai settori non ceduti a quelli oggetto della cessione, in prossimità della cessione stessa e che del pari quasi tutti i ricorrenti beneficiavano di situazioni personali evidentemente sgradite all'azienda;
          il tribunale del lavoro di Roma, in più occasioni, ha giudicato «inefficace» tale cessione, disponendo il reintegro dei lavoratori. In particolare si segnala la sentenza del tribunale di Roma del 27 luglio 2012, nella causa iscritta al n.  350/2010 R.G. promossa da alcuni lavoratori contro Vodafone Omnitel NV in persona del legale rappresentante pro tempore e contro Comdata Care spa in persona del legale rappresentante pro tempore, che ben ricostruisce l'intera vicenda. Si legge: «Orbene, gli elementi sopra evidenziati, se pure singolarmente non decisivi, valutati nel loro insieme, inducono ad escludere che la cessione del novembre 2007 abbia riguardato un'autonoma articolazione aziendale, risolvendosi nella cessione di una pluralità di contratti di lavoro subordinato e, quindi, in una forma di espulsione di quote di personale, non consentita neppure nel mutato contesto normativo. Deve pertanto dichiararsi, in accoglimento del ricorso, l'inefficacia nei confronti dei ricorrenti del contratto di cessione di ramo d'azienda stipulato tra la Vodafone Omnitel NV e la Comdata Care spa in data 5 novembre 2007, con conseguente declaratoria della persistenza del rapporto di lavoro dei ricorrenti in capo alla società Vodafone Omnitel NV e condanna della società al ripristino della concreta funzionalità del rapporto di lavoro con ciascun ricorrente in mansioni equivalenti al livello di inquadramento posseduto alla data del trasferimento»;
          Vodafone al momento ha un organico di 8.000 dipendenti (di cui 1.000 a Roma), ricavi per quasi 9 miliardi di euro, utili per circa 4 miliardi e mezzo di euro, ma ciononostante ha aperto, una dietro l'altra, due procedure di licenziamento per riduzione del personale (licenziamento collettivo) proprio per i 133 lavoratori coinvolti in questa vicenda;
          in particolare la prima procedura collettiva è terminata il 10 maggio 2012 e soltanto i lavoratori da reintegrare hanno ricevuto la lettera di licenziamento con la messa in mobilità;
          all'interrogante è stata consegnata la graduatoria compilata da Vodafone come previsto dalla legge in tema di licenziamenti collettivi. Dalla lista emergerebbe che dei licenziamenti effettuati solo 17 persone figurerebbero nelle prime posizioni della graduatoria, mentre i rimanenti occuperebbero posizioni che non ne consentirebbero il licenziamento. È stato segnalato, in particolare, il caso più eclatante della signora F., penultima nella graduatoria, licenziata poiché appartenente al gruppo dei lavoratori reintegrati dal giudice del lavoro del tribunale di Roma;
          in data 25 maggio 2012 Vodafone provvedeva poi a stipulare un accordo sindacale con il quale si offriva la possibilità di essere assorbiti tramite fusione per incorporazione dal gruppo Comdata spa;
          il 21 giugno, però, la Comdata avrebbe inviato a ciascun dipendente una lettera in cui chiariva come tale fusione era in realtà condizionata alla circostanza che fosse ritirato gran parte del contenzioso promosso. Sembrerebbe quindi trattarsi di una condizione non scritta nell'accordo del 25 maggio 2012, ma evidentemente ritenuta sottintesa dall'azienda;
          i dipendenti vincitori del ricorso legale contro Vodafone, interessati prima di ogni cosa a difendere un posto di lavoro di ragionevole solidità, avrebbero quindi deciso di non ritirare il contenzioso e di proseguire il difficile percorso legale, soprattutto tenendo conto che, dall'esame dei bilanci della Comdata, è emersa, con chiarezza, una situazione economico-finanziaria critica e quindi di scarsa garanzia sul piano occupazionale;
          proprio in relazione allo stato economico-finanziario, i legali di alcuni dei lavoratori Vodafone hanno inviato una lettera di richiesta di delucidazioni a Vodafone, Comdata e organizzazioni sindacali, ad oggi mai riscontrata da nessuno dei destinatari;
          la seconda procedura di mobilità è stata aperta da Vodafone in data 1o agosto 2012 Vodafone;
          dal testo della stessa emergerebbe, secondo gli interroganti chiaramente, la volontà di Vodafone di colpire con tale procedura proprio i lavoratori da reintegrare. Questo dato emergerebbe in particolare da questo passaggio: «Si precisa inoltre che gli esuberi consistono in complessivi 100 lavoratori in quanto ai 95 lavoratori di cui si è appena detto si devono aggiungere i 5 dipendenti ugualmente addetti ad attività di back office cedute nel novembre 2007 a Comdata Care e, pertanto, da allora non più presenti in azienda»;
          tali 5 dipendenti, sempre per quanto consta agli interroganti, farebbero parte del primo gruppo di lavoratori da reintegrare che Vodafone, però, non sarebbe riuscita a licenziare con la prima procedura, in quanto persone allora appartenenti alle categorie protette dalla legge. Le condizioni che all'epoca impedirono il licenziamento allo stato sarebbero infatti decadute;
          la procedura viene motivata da Vodafone con le seguenti argomentazioni, tutte contestate e ritenute non veritiere dai lavoratori: a) le attività di back office che hanno fatto oggetto della cessione del ramo d'azienda non sarebbero più gestite né all'interno del call center di Roma né presso altri contact center di Vodafone in Italia e devono dunque considerarsi cessate; b) non sussisterebbero volumi di traffico tali da impiegare, in tutto o in parte, l'incremento della forza lavoro rispetto agli organici esistenti; c) la particolare politica di specializzazione dei contact center per tipologia di singoli mercati non consentirebbe di variare gli equilibri tra volumi di traffico gestiti e costo del lavoro;
          l'11 ottobre 2012 scadranno i termini per il tentativo di accordo tra organizzazioni sindacali e azienda alla presenza della regione Lazio, per cui dal 12 ottobre Vodafone sarà in condizione di inviare altre lettere di licenziamento ai dipendenti che, invece, la magistratura aveva ordinato di reintegrare;
          in data 12 settembre 2012 il sito Internet «Corriere delle comunicazioni» pubblicava un articolo intitolato «Vertenza Vodafone-Comdata: a Roma lavoratori in piazza» e sottotitolato «Gli addetti al call center manifestano contro il rifiuto di Vodafone Italia di reintegrare oltre 130 dipendenti così come stabilito dal tribunale capitolino che si è espresso contro la cessione del back office a Comdata Care. Ma l'operatore non ci sta: “L'esternalizzazione è stata sottoscritta dalle organizzazioni sindacali”», nel quale si dà conto del presidio contro i licenziamenti (tutti i giorni dalle 8 alle 20) presso piazza dei Santissimi Apostoli a Roma davanti alla sede di Vodafone Italia, organizzato dagli addetti al call center dell'operatore, prima esternalizzati in Comdata Care e poi tornati in Vodafone dopo una sentenza del tribunale di Roma;
          si legge: «La storia dei 133 ex addetti al call center inizia il 5 novembre 2007, quando Vodafone cede il back office, a Comdata Care. L'accordo prevede l'esternalizzazione di 914 dipendenti tra Roma, Napoli, Ivrea, Milano e Padova e la garanzia del posto per 7 anni. L'operazione supera il vaglio dei 27 giudici del lavoro tra Roma, Milano, Napoli e Padova, ma a loro volta gli ex addetti al call center si rivolgono al tribunale di Roma, che (...) dichiara “inefficace il contratto di cessione di ramo d'azienda” e ordina il reintegro degli esternalizzati. Secondo il giudice Francesca Romana Pucci infatti la cessione è stata, in realtà “una forma di espulsione di quote di personale, non consentita neppure nei mutato contesto normativo”. (...) Vodafone Italia dal canto suo sottolinea al Corriere della Sera che l'accordo relativo alla cessione del ramo “è stato ritenuto valido da 27 sentenze in tutta Italia” compresa “la più recente, datata 5 luglio 2012, emessa dal tribunale di Roma”, ma che è stato anche “sottoscritto dalle organizzazioni sindacali, dal Ministero del lavoro e dal Ministero dello sviluppo economico”. Inoltre precisa l'azienda “a garanzia di continuità occupazionale, lo scorso 25 maggio Vodafone Italia, Comdata spa e le rappresentanze sindacali hanno siglato un accordo che consolida la partnership commerciale tra Vodafone e Comdata spa e che prevede la fusione di Comdata Care all'interno dei Gruppo Comdata”»;
          ad avviso degli interroganti ci si trova di fronte ad una situazione di estrema urgenza e importanza, soprattutto tenendo conto della rilevanza del diritto al lavoro, costituzionalmente garantito (articoli 35 e 36 della Costituzione), di tutti i lavoratori coinvolti  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
          se e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare per tutelare tutti i lavoratori coinvolti. (5-08433)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – per sapere – premesso che:
          il quotidiano Il Gazzettino, nella sua edizione dell'8 novembre 2012, ha pubblicato un servizio del giornalista Paolo Calia, reperibile anche nel sito internet intitolato «Muore di tumore a 56 anni, per l'INPS può lavorare e non merita la pensione»;
          il citato articolo riferisce della vicenda di cui è rimasta vittima-protagonista la signora Michelina Bruschetta di Treviso, malata di tumore, fiaccata dalla chemioterapia, costretta in carrozzina per evitare di cadere;
          nonostante le penose condizioni in cui si è venuta a trovare, per l'Inps la signora Bruschetta, ex parrucchiera, sarebbe comunque stata in condizione di camminare e lavorare e quindi non meritevole di una pensione d'invalidità;
          l'esito della visita davanti alla commissione medica che ha poi dato il responso di cui sopra, effettuata a marzo è arrivato il 7 novembre 2012, a cinque mesi di distanza dalla morte e dal funerale della diretta interessata, deceduta il 18 giugno 2012;
          alla signora Bruschetta il tumore risulta essere stato diagnosticato tre anni fa, un mesotelioma pleurico, una forma particolare, legata alle polveri d'amianto presenti, un tempo, in molti prodotti utilizzati dalle parrucchiere;
          da allora è cominciato il calvario della signora Bruschetta tra dottori, ospedali e mille carte da firmare. L'avvocato trevigiano Sossio Vitale riesce a far ottenere a Michelina le agevolazioni previste dall'Inail per chi è colpito da malattie professionali. Poi le due sorelle si rivolgono all'Inps per l'accompagnatoria prevista per gli invalidi al 100 per cento; come si è sopra riferito, il 7 novembre 2012 dall'Inps è giunta la risposta, negativa, alla domanda fatta a marzo, stabilendo che l'interessata non era invalida, in quanto la patologia riscontrata non è «invalidante» e che la capacità lavorativa «non è ridotta»  –:
          se quanto sopra riferito corrisponda a verità;
          come si spieghi che la commissione in questione, nonostante tutta l'evidenza dell'invalidità di cui era vittima la signora Bruschetta, abbia stabilito che l'interessata non era da ritenere invalida in quanto la patologia riscontrata non è «invalidante», e che la capacità lavorativa «non è ridotta»;
          come si spieghi che il responso della commissione sia giunto ben cinque mesi dopo il decesso dell'interessata. (4-18490)


      NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito della remunerazione post-lavorativa erogata dall'Istituto nazionale di previdenza pubblica, l'interrogante segnala che numerosi lavoratori pensionati, denunciano che la pensione accreditata il primo di ogni mese, spesso, non corrisponde con l'addebito delle rate del mutuo in corso, nel caso in cui i giorni del mese coincidono con la giornata di sabato o di domenica;
          gli istituti bancari con i quali hanno stipulato i contratti di mutuo addebitano infatti l'importo della medesima rata il giorno precedente ovvero il venerdì;
          al contrario l'Istituto nazionale di previdenza pubblica, nel caso in cui il primo del mese cada nella giornata di sabato o di domenica, accredita la pensione il lunedì successivo;
          quanto suesposto, a giudizio dell'interrogante, appare evidentemente penalizzante e sconveniente per migliaia di pensionati, i quali oltre al rischio di un eventuale storno della rata del mutuo per mancanza di fondi sul proprio conto corrente bancario, presso il quale ricevono l'addebito della rata, spesso subiscono anche l'aggravio di ulteriori costi bancari per il pagamento in ritardo della rata del mutuo, unitamente all'ingiusta segnalazione alla centrale rischi Crif, come cattivi pagatori, da parte del proprio istituto di credito  –:
          quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non ritengano opportuno, nell'ambito delle rispettive competenze, assumere iniziative affinché l'Associazione bancaria italiana e l'Istituto nazionale di previdenza nazionale pervengano ad un'intesa volta a far coincidere la valuta del pagamento delle rate del mutuo e l'accredito della pensione nel medesimo giorno. (4-18491)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 11 novembre 2012 sulla pista dell'aeroporto romano «Leonardo da Vinci» un operaio di 44 anni addetto allo scarico dei bagagli, il signor Giorgio Monti, è morto, secondo le prime notizie disponibili schiacciato tra un carrello elevatore e il portellone posteriore di un aereo appena atterrato da Lisbona, della compagnia «Tap Air Portugal»;
          il signor Monti era un dipendente della società di handling Aviapartner ed era addetto alla guida dei camioncini dotati di carrello elevatore che si utilizzano per trasportare i bagagli dalla stiva dell'aereo all'interno dell'aeroporto;
          non risulta chiara la dinamica del tragico incidente, in particolare perché l'operaio non si trovasse al posto di guida del mezzo a quattro ruote bensì sopra l'elevatore  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se non ritenga, per quanto di competenza, di promuovere una verifica di carattere amministrativo per accertare se le normative relative alla sicurezza sul lavoro sono state rispettate;
          se non si ritenga opportuno e necessario accertare se il signor Monti abbia lasciato il posto di guida di sua iniziativa o se invece qualcuno abbia suggerito di collocarsi sopra l'elevatore, e se la pericolosa manovra che è costata la vita al signor Monti fosse di solito compiuta, in caso di guasti o difficoltà ad agganciare l'elevatore al portellone dell'aereo, addetti alla guida dei camioncini. (4-18501)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 12 novembre 2012 un operatore ecologico, il signor Adamo Roncacé è morto a Sant'Egidio alla Vibrata, in provincia di Teramo, schiacciato dal braccio idraulico del camion che solleva i cassonetti, mentre era intento alle operazioni di raccolta dei rifiuti  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica del tragico incidente;
          se siano state rispettate le normative relative alla sicurezza sul lavoro. (4-18502)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


      ALESSANDRI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          i casi di adulterazione della mozzarella di bufala campana DOP, assurti alla massima visibilità nazionale ed internazionale, richiedono un immediato e deciso intervento che riaffermi la volontà del Governo di tutelare un patrimonio alimentare nazionale d'indubbio valore e appeal organolettico apprezzato in tutto il mondo;
          le produzioni lattiero-casearie da sempre hanno una radice storico-culturale correlata all'attività costante di micro, piccole e medie imprese artigiane che tramandano con la pratica quotidiana l'arte della caseificazione e l'avventura di fare impresa in contesti difficili dove ogni posto di lavoro deve essere difeso con energia e determinazione;
          le inefficienze e le speculazioni lungo la filiera agroalimentare, per l'utilizzo di materie prime a basso costo di dubbia provenienza, determinano una turbativa di mercato nel settore lattiero-caseario, ed in particolare nella filiera bufalina, con notevoli perdite in termini di posti di lavoro per la contrazione del prodotto interno lordo nel settore della produzione primaria e dell'indotto;
          la produzione di latte e di mozzarella di bufala, correntemente definiti «l'oro bianco», rappresenta senz'altro un comparto produttivo strategico e non assistito. La capacità produttiva dei Paesi emergenti (dovuta all'alto numero di addetti ed al basso costo del lavoro) e la globalizzazione dei mercati (che rende facile la circolazione delle merci e difficile il loro controllo) hanno suscitato nei cittadini dell'Unione europea un giustificato allarmismo su qualità, sicurezza e provenienza dei prodotti alimentari;
          è stato attivato uno specifico percorso parlamentare che ha condotto all'approvazione della legge 30 dicembre 2008, n.  205, di conversione del decreto-legge 3 novembre 2008, n.  171, recante «Misure urgenti per il lancio competitivo del settore agroalimentare» in cui è contenuto uno specifico articolo;
          l'articolo 4-quinquies-decies, intitolato «Disposizioni per la produzione della mozzarella di bufala campana» (DOP) prevede che a decorrere dal 1o gennaio 2013 la produzione della mozzarella di bufala campana, registrata come denominazione di origine protetta (DOP) ai sensi del regolamento (CE) n.  1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, deve essere effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari. Imponendo nuovi principi per la gestione dei controlli, prevede la tutela degli interessi dei consumatori ed il loro coinvolgimento ed esalta l'approccio di filiera from farm to fork;
          le problematiche della filiera, nonostante provvedimenti legislativi come quello menzionato, sono ancora enormi e di vario tipo. Ne è un esempio la turbativa del prezzo del latte che viene posta in essere attraverso la contraffazione della mozzarella di bufala. A tal proposito la Coldiretti negli ultimi anni si è impegnata a manifestare pubblicamente, istituendo blocchi alla frontiera del Brennero ed ai porti di Napoli e Salerno, per denunciare l'arrivo in Italia ogni anno di enormi quantità di latte, cagliate e polveri di latte di bufala provenienti dalla Romania e dall'Est-Europa, dall'Egitto e dall'India;
          gli allevatori bufalini dell'area DOP vengono costantemente derubati dell'identità e dell'immagine con l'immissione sul mercato di mozzarella di bufala proveniente da chissà quale parte del mondo con un inganno enorme anche nei confronti del consumatori;
          la questione «latte» preoccupa non solo per i dati, ma anche per la poca chiarezza in ambito legislativo, soprattutto comunitario, «non c’è trasparenza sulla tracciabilità del prodotto estero e non è nemmeno possibile reperire l'origine di ingredienti utilizzati per la sua trasformazione». Pertanto è indispensabile che il Governo realizzi gli obiettivi previsti dalla citata legge n.  205 del 30 dicembre 2008 nella parte in cui prevede dal 1o gennaio 2013 l'obbligo di differenziare gli stabilimenti che producono la mozzarella di bufala DOP e, pertanto, disporre che gli stessi siano obbligati all'acquisto di latte proveniente esclusivamente da aree DOP, indipendentemente dalla trasformazione di questo latte in mozzarella di bufala DOP o mozzarella di latte di bufala non DOP dove è possibile utilizzare il latte o la cagliata di latte di bufala;
          è necessario tracciare tutto il latte di bufala italiano verificando con opportuni controlli incrociati la produzione di latte alla stalla e la trasformazione in mozzarella di bufala DOP e non DOP così come realizzata nei Caseifici autorizzati, utilizzando gli organismi di controllo del Ministero e delle regioni e delle azienda sanitarie locali per controlli crociati e periodici nei caseifici e negli allevamenti verificando la vera rispondenza fra il latte bufalino italiano e la mozzarella DOP e non DOP prodotta dai caseifici;
          i controlli devono essere effettuati in maniera costante, improvvisa e mensile, in modo da tutelare sia i produttori di latte che i caseifici che hanno lavorato e continuano a lavorare onestamente;
          solo evitando le frodi si potrà diminuire l'offerta di prodotto alterato sul mercato, fatto questo che garantirà al consumatore la sicurezza e la qualità di ciò che acquista, all'allevatore e al trasformatore onesto il ritorno alla redditività delle loro imprese, ai lavoratori l'innalzamento di posti di lavoro, grazie all'adeguamento dei prezzi di mercato al valore della produzione del latte prodotto;
          il Consorzio di tutela del formaggio mozzarella di bufala campana è stato costituito nel 1981 ed il Ministro delle politiche agricole pro tempore con decreto del 24 aprile 2002 definì il riconoscimento del consorzio di tutela mozzarella di bufala campana e gli attribuì l'incarico a svolgere le funzioni di cui all'articolo 14, comma 15, della legge n.  526 del 1999;
          continue e comprovate attività di sofisticazione della produzione della mozzarella di bufala DOP, oggetto tra l'altro di una serie di puntate di Striscia la notizia, hanno imposto nel 2010 al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore onorevole Luca Zaia di adottare il decreto del 14 gennaio 2010, istituendo un «Comitato di garanzia avente il compito di coordinare e supervisionare l'attività di tutela, promozione, valorizzazione e informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla DOP Mozzarella di Bufala Campana», commissariando di fatto il citato consorzio MBC dop, con il comitato di garanzia composto da: il tenente colonnello dei carabinieri Marco Paolo Mantile, vice comandante dei NAC del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con funzioni di coordinatore; il professore Antonio Sciandone, docente di diritto agrario presso la seconda università degli studi di Napoli; il dottore Emilio Gatto, direttore generale del dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari; il vice questore Roberto Miele, dirigente del Corpo forestale dello Stato di Napoli; il maggiore Claudio Gnoni del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Napoli; il dottore Pietro Quaranta, direttore dell'ufficio di Napoli del dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari;
          il Comitato di garanzia nominato dal Ministro pro tempore Zaia ha svolto una puntuale attività di controllo e di verifica del Comitato durata 6 mesi, dal 21 gennaio al 14 giugno 2010, conclusa con un'articolata relazione consegnata il 7 luglio 2010 al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, alla direzione distrettuale antimafia della procura di Napoli ed alla «Commissione Parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale»;
          in data 30 giugno 2011, nel corso dell'audizione del tenente colonnello Marco Paolo Mantile, quest'ultimo chiariva:
              «...Nel corso dei propri lavori e nel rispetto del mandato conferitogli, il Comitato ha svolto una complessa attività prima di procedere alla stesura della relazione finale. ...Sono state riscontrate evidenze documentali circa l'utilizzo di latte bufalino congelato e di latte bufalino concentrato per la realizzazione della mozzarella di bufala campana Dop, impieghi vietati espressamente dal disciplinare di produzione»;
              «Con riguardo al latte concentrato, è opportuno precisare che si tratta di un procedimento di lavorazione che consente di contrarre i costi di produzione e di stoccaggio. Il latte viene disidratato, concentrato e successivamente congelato, per un costo che varia dai 12 ai 13 centesimi di euro al litro. La concentrazione, fino al 50 per cento dell'umidità presente, tramite evaporazione, consente anche un aumento della resa produttiva della mozzarella pari al 6-7 per cento»;
              «Per tale lavorazione è previsto l'utilizzo di acqua per diluire il prodotto concentrato e l'aggiunta di sieroproteine per ridare il giusto apporto proteico a questo prodotto che io ho chiamato “latte” »;
              «...Abbiamo operato, su 31 ispezioni, 31 sequestri, esattamente 21 per violazioni amministrative e dieci per violazioni penali. Vi era un problema di tracciabilità del prodotto e problemi a margine anche di natura sanitaria, in quanto si trattava di un grosso quantitativo di latte: abbiamo sequestrato 12.000 tonnellate di latte, per un valore complessivo di 17 milioni di euro»;
              «Di queste, circa 3-4 mila tonnellate (di latte) presentavano, dalle analisi fatte dall'Asl competente, una carica batterica di un milione di volte superiore al limite massimo consentito. In mancanza di una tracciabilità del prodotto (non siamo stati in grado di comprendere da dove proveniva questo latte), per dato esperienziale della Asl competente per territorio, ci è stato detto che si trattava sicuramente di latte proveniente dall'estero, segnatamente dalla Romania»;
              «...Ricordo a me stesso – lo dico a salvaguardia dell'onorabilità dei miei collaboratori del Nac di Salerno, che hanno operato in quel difficile clima che vi lascio immaginare, anche intimidatorio – che sia il Tar, sia il Consiglio di Stato hanno dato pienamente ragione agli operatori. Non solo, anche in sede penale, si è arrivati fino al ricorso in Cassazione da parte della controparte ma l'attività è stata considerata legittima e quindi non ci sono state osservazioni di sorta»;
              «...Per completezza, a proposito della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, immagino che stesse svolgendo delle attività nello specifico settore (lo immagino perché con un'esplicita richiesta il dottor Giovanni Conso, della Dda di Napoli, mi ha chiesto copia dell'intera relazione che ho depositato anche agli atti e deduco, dal protocollo della richiesta, che era in atto una procedimento penale verosimilmente afferente a questo argomento). Comunque, noi non siamo stati coinvolti con deleghe ma so che su questo settore operavano anche altri reparti territoriali»;
              «Abbiamo inoltre affiancato i Nas nell'attività di acquisizione documentale presso il Ministero a proposito di un'attività svolta sul pane di Altamura, (originata da una serie di controlli fatti dai Nas in esercizi commerciali). Quindi, un lavoro così puntuale non è mai stato fatto su nessun Consorzio. È anche vero che dall'attività degli ordinari controlli svolti nella filiera, criticità così accentuate come quelle che purtroppo – non lo dico con piacere – sono state rilevate nel Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana, non le abbiamo trovate per gli altri consorzi. Certamente, inadempienze ci sono state, truffe ci sono ma non della portata di quelle che abbiamo riscontrato per questo Consorzio...»;
              «...C’è un sistema dietro – lo abbiamo dimostrato con le nostre attività – che è fuori controllo: sicuramente. C’è un giro d'affari notevole: quando, invece di pagare all'allevatore dell'area Dop, sia esso di Caserta o di Frosinone, il latte 1,20 o 1,30 euro al litro, lo si fa venire dalla Romania o dalla Bulgaria pagandolo 5 centesimi, si capisce bene che invece di guadagnare 30 centesimi o 1 euro, il caseificio ne guadagna 4!»;
              «...C’è quindi una movimentazione di soldi e che dietro ci sia anche la criminalità organizzata lo posso intuire per l'esperienza maturata. Ho lavorato infatti anche in contesti operativi di altro genere, come in Sicilia presso il raggruppamento operativo speciale, e so che quando ci sono grosse movimentazioni di denaro, alle spalle c’è sicuramente la criminalità organizzata, non solo nelle aree del sud ma anche in altre aree del territorio nazionale. Potrebbe essere una forma di riciclaggio molto comoda, molto utile, con dei rischi, veramente minimali di essere comunque individuati e contrastati dagli organi di polizia. Se mi consente, approfitto del clima di serenità...»;
              «...Abbiamo lavorato in un clima veramente non facile. Noi appartenenti alle forze dell'ordine – così anche il Corpo forestale e la Guardia di finanza – percepivamo la pressione e anche una sorta di intimidazione. Non vi nascondo che sono stato convocato dalla procura di Napoli perché per l'attività tecnica svolta in un determinato contesto, il mio nome riecheggiava e sicuramente non in maniera positiva. Quindi, immagino la situazione di una persona che – sia essa del posto o meno – si trova a rivestire quell'incarico: senza poteri è chiaro che da solo non può fare assolutamente nulla»;
              «...Inoltre, è stato disarmante verificare un certa mentalità all'interno del Consorzio, volta soltanto al profitto e finalizzata a spuntare il prezzo più basso per il latte al fine di guadagnare di più. Poi, in realtà, della tutela del marchio, non importava nulla a nessuno...»;
              «Lo ripeto: il giro di affari è notevole ma, da parte del Consorzio, non c’è proprio la mentalità. La tracciabilità non sanno neanche che cosa sia, né si ponevano minimamente il problema: questo è il dramma»;
          la stampa ha divulgato gli esiti di un'indagine durata due anni dove la procura di Napoli ha chiesto l'arresto di un «gruppo criminale» che per anni avrebbe violato il disciplinare di produzione, grazie a un accordo fraudolento tra controllori e controllati. Questo è quanto emerge da un'inchiesta condotta da alcuni pm della direzione distrettuale antimafia di Napoli (Giovanni Gonzo, Alessandro D'Alessio e Maurizio Giordano), pubblicata da più organi di stampa, che si sono trovati di fronte ad un ulteriore filone di indagine;
          la direzione distrettuale antimafia di Napoli ipotizza l'esistenza di un vero e proprio sistema, un'associazione a delinquere tra controllati e controllori. I trasformatori hanno realizzato per anni la mozzarella impiegando illecitamente latte congelato e/o proveniente dall'estero. E chi aveva istituzionalmente il compito di vigilare, ha chiuso un occhio. Se non tutti e due. I pm hanno allegato agli atti le trascrizioni di decine di telefonate in cui gli indagati discutono delle loro trasgressioni al disciplinare, dell'uso di materia prima proveniente dalla Lituania, dall'Estonia e dalla Polonia (si accenna persino a latte in polvere in arrivo dall'India) e della necessità di utilizzare decine di migliaia di quintali di latte congelato e stoccato nei depositi, del valore di milioni di euro. Senza il quale – lamentano – i costi si moltiplicherebbero e il fatturato dimezzerebbe;
          la procura di Napoli ha chiesto l'arresto in carcere di 38 persone di cui gran parte titolari di caseifici ed il sequestro di una trentina di strutture casearie, mentre il Gip, in una ordinanza di 124 pagine che riassume le tappe dell'inchiesta, ha detto no alle misure cautelari perché non sussisterebbero i gravi indizi di colpevolezza per il reato di associazione a delinquere e mancherebbe l'attualità del reato, constatato che «gli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria si fermano al settembre 2010»; mentre i pm della direzione distrettuale antimafia hanno fatto ricorso al riesame, che lo discuterà a fine novembre 2012;
          per fregiarsi del marchio DOP, la mozzarella di bufala campana deve essere prodotta solo con latte fresco proveniente dalle province di Caserta e Salerno, oltre che dei comuni ricompresi tra le province di Napoli, Benevento, Isernia, Frosinone, Latina, Foggia, Roma. Latte che deve essere trasformato entro 60 ore dalla mungitura, acidificato con siero naturale e coagulato con caglio di vitello. Regole che nessuno rispettava, nella continua corsa al ribasso dei prezzi e alla necessità di tamponare in qualche modo gli effetti di alcune epidemie di brucellosi, che hanno decimato i capi di bestiame e la produzione di latte fresco. Quando tutti «barano» è più conveniente impegnarsi per cambiare le regole piuttosto che mettersi a norma;
          notizie riportate da L'Espresso del 29 ottobre 2012 hanno riferito come l'ordinanza del tribunale di Napoli abbia chiarito che, quasi nessuno ottemperava alle regole scritte, che venivano continuamente calpestate. Ed allora la preoccupazione di tutti, di fronte ai controlli sempre più stringenti dei Nas, sembra essere quella di «uscire dall'illegalità». Non certo, però, cominciando finalmente ad utilizzare solo latte fresco prodotto nell'area Dop; «Bisogna modificare il disciplinare e consentire ai caseifici di utilizzare una percentuale di latte congelato o cagliata congelata – si legge in un'intercettazione – sono 20 anni che lo facciamo tutti quanti. Questa è la posizione. E la stessa posizione l'avrà Assolatte, l'avrà l'Unione industriali, l'avranno tutti quanti». In un'altra conversazione «Siamo in difficoltà, questi qua ci fanno chiudere: noi facciamo tutti quanti delle frodi»; ed un altro «Se non utilizziamo il latte congelato il fatturato scende del 50 per cento. Il problema è che negli anni tutti hanno ammassato enormi quantità di latte congelato». Il titolare di un caseificio, ammette di averne «10 mila quintali» stoccati; valore di mercato 1,3 milioni di euro, un altro ancora parla di «1 milione 750 mila litri nelle celle»;
          gli allevatori bufalini, ovviamente, si oppongono con decisione alla modifica del disciplinare. Perché il prezzo pagato alle stalle è irrisorio, e il timore è che precipiti ulteriormente;
          anche pochi mesi fa, nonostante il cambio di gestione, il Consorzio ha provato nuovamente a far passare la modifica, con una delibera approvata in assemblea il 27 giugno: cioè solo pochi giorni prima che esplodesse l'inchiesta. Infatti, le proposte di modifica del disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana dop, avanzate dal Consorzio di tutela, sono entrate nei meccanismi della concertazione agricola: il tavolo verde, anche se le regioni amministrativamente interessate alla dop non hanno ancora una posizione ufficiale;
          ad oggi, nessuna regione ha ancora espresso il parere da rendere al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, loro richiesto dall'articolo 6 del decreto ministeriale del 21 maggio 2007, con il quale il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali regolamenta la procedura a livello nazionale sia per la registrazione che per le modifiche del disciplinare delle DOP e IGP, come definite dal regolamento dell'Unione europea 2006/510;
          trattandosi della modifica di un disciplinare per la produzione di formaggio dop, le regioni Campania, Lazio, Puglia e Molise devono valutare la documentazione a suffragio delle novità da introdurre ed esprimere un parere sia sulla legittimità dell'ente proponente che sul merito delle modifiche. Il parere va trasmesso dalle regioni al Ministero entro i 120 giorni dalla notifica delle richieste di modifica del disciplinare consegnate dal Consorzio di tutela: termine che scadeva a fine luglio 2012;
          il Consorzio, a quanto consta all'interrogante, avrebbe approvato le modifiche prima in consiglio di amministrazione, quindi le avrebbe notificate a fine marzo a regioni e Ministero, infine solo il 24 giugno 2012 queste sarebbero state ratificate dall'assemblea del Consorzio della mozzarella di bufala campana DOP, mentre lo statuto consortile prevede invece una procedura inversa: un mandato dell'assemblea al consiglio di amministrazione per procedere alle modifiche del disciplinare di produzione;
          le questioni di merito da affrontare sono di sostanza. Una su tutte: la cagliata condizionata secondo il Consorzio di tutela si può produrre, purché il latte sia trasformato in cagliata entro 60 ore dall'ultima mungitura; e sempre secondo il Consorzio ciò non significa che sia possibile congelare la cagliata. Il Consorzio, inoltre, sottolinea che con il nuovo disciplinare è fatto divieto ai caseifici di commerciare in latte e semilavorati tra loro, anche freschi, e che di conseguenza è così scongiurata ogni possibilità che si formi una qualche posizione di dominio tale da interferire con la formazione del prezzo del latte;
          di diverso avviso Confagricoltura e CIA, mentre Coldiretti non ha ancora formalizzata la sua posizione;
          infatti il 5 novembre 2012 Giuseppe Politi (presidente Nazionale della confederazione italiana agricoltori) e Mario Guidi (presidente nazionale di Confagricoltura) hanno scritto una nota congiunta al Ministro interrogato chiarendo che:
              «dopo un'attenta analisi delle proposte di modifiche al Disciplinare di produzione avanzate dal Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana, si ritiene di dover ribadire con forza e convinzione le perplessità indotte dagli elementi innovativi proposti a sostanziale modifica del vigente articolato che si ricorda ha ottenuto la conferma con il reg. 103/2008 della registrazione protezione e tutela comunitaria ai sensi del regolamento 510/2006 del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli e alimentari»;
              «Le innovazioni proposte modificando sostanzialmente il processo produttivo farebbero difatti, a nostro avviso, perdere al prodotto la sua caratteristica di formaggio fresco e potrebbero pericolosamente volgarizzare e dequalificare il prodotto – con evidenti riflessi negativi sulla valorizzazione economica della materia prima – nell'immaginario del consumatore. Si ritiene pertanto opportuno ribadire quanto più volte abbiamo avuto modo di manifestare in merito alla nostra contrarietà rispetto:
          a) alla proposta di sostituire l'obbligo di concludere il processo produttivo entro la 60a ora dalla prima mungitura, con la possibilità d'interromperlo consentendo il condizionamento e di fatto il congelamento della cagliata; Una tale ipotesi da un lato apre a nostro avviso – con pericolosi decadimenti d'immagine – alla possibilità d'utilizzo di cagliate congelate, ma sembra rendere anche possibile la pratica d'inaccettabili forzature del normale andamento dei corsi mercantili del latte bufalino;
          b) alla previsione normativa di una diversificazione della produzione (artigianale, normale, per usi industriale) che non solo arrecherebbe confusione e disorientamento nei consumatori, ma anche ufficializzerebbe un'inaccettabile diversificazione ed il decadimento qualitativo di gran parte del prodotto;
              come è noto abbiamo sempre sostenuto la necessità di una contestuale attuazione delle vigenti normative inerenti la tracciabilità della produzione del latte di bufala e la separazione fisica delle strutture finalizzate alla produzione della Mozzarella di bufala Campana (DOP). Riteniamo altresì necessario che entrambe le norme siano portate alla completa applicazione in modo graduale per consentire sia agli allevatori che ai trasformatori di adeguarsi alle prescrizioni in esse previste»  –:
          se intenda prendere una posizione rigida sulla vicenda sopra richiamata ed in tali circostanze rigettare qualunque richiesta che avesse come fine la modifica, peggiorativa, del disciplinare della mozzarella di bufala Campana DOP;
          se corrisponda al vero che gli uffici del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali stiano valutando l'approvazione della modifica del disciplinare del DOP nel senso di ammettere la pratica del congelamento del latte o della cagliata congelata di latte di bufala per permetterne il relativo uso differito nella produzione della mozzarella DOP e, se al verificarsi di tali circostanze, intenda fermamente rigettare una tale, a giudizio dell'interrogante inaccettabile, richiesta;
          se intenda provvedere all'attuazione senza proroghe della normativa sulla separazione dei luoghi di produzione della mozzarella di bufala campana DOP e della mozzarella non DOP;
          se intenda adottare iniziative normative d'urgenza che impongano al Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP l'attività obbligatoria di controllo e di verifica mensile incrociata tra la produzione di latte di ciascuno allevamento bufalino dell'area DOP e l'effettiva trasformazione e resa quantitativa nei caseifici che ritirano per la produzione di mozzarella di bufala campana DOP e mozzarella di bufala campana non dop, prevedendo altresì misure dissuasive integrative ed aggiuntive a quelle ordinarie già previste a carico delle strutture casearie che violano i vincoli normativi di riferimento, al fine di scoraggiare le frodi in commercio;
          se ritenga utile e necessario adottare iniziative in favore degli allevatori di bufale dell'area DOP della mozzarella di bufala campana, volti a permettere una più ampia e diffusa applicazione della tecnica della destagionalizzazione dei parti. (3-02600)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la pesca siciliana ai grandi pelagici quali pescispada, tonno e alalunghe ha una sua specificità storica dovuta all'utilizzo dell'attrezzo «palangaro»;
          in aggiunta all'attuale crisi del settore della pesca marittima tutta, quella siciliana si è aggravata grazie al recepimento dei regolamenti europei sui controlli, che di fatto non tengono conto della specificità della pesca con il «palangaro» ai grandi pelagici, che per natura propria del sistema di pesca «derivante» è soggetta allo spostamento (anche di svariate miglia) per effetto delle imprevedibili correnti marine;
          i comandanti dei pescherecci che utilizzano l'attrezzo palangaro, loro malgrado, nel regolare svolgimento della propria attività, sono costretti a pescare al di fuori dei limiti autorizzati sulla licenza di pesca, per inseguire gli stock che nel periodo primavera-estate si spostano oltre le 40 miglia dalle coste, incorrendo in gravi e pesanti sanzioni;
          è in corso di approvazione una proposta di legge di modifica del «codice della navigazione» risalente al lontano 1942, che a distanza di quasi 70 anni dall'emanazione, non tiene conto dello sviluppo occorso in materia di sicurezza della navigazione;
          la ratio della statuizione del codice della navigazione era legata al fatto che, all'epoca della sua approvazione, gli strumenti di sicurezza erano inferiori agli attuali che, invece, permettono, stante le caratteristiche odierne dei pescherecci rispetto al 1942, di pescare in massima sicurezza al di fuori delle acque originariamente consentite, in quanto per specifica imposizione comunitaria sono dotate di tutta la necessaria strumentazione elettronica di rilevamento satellitare costante «blue-box - epirb» che garantisce la salvaguardia del lavoro in mare, oltre a tutta la moderna strumentazione di navigazione e comunicazione;
          da un recente auto-censimento si è appurato che le imprese di pesca operanti esclusivamente la pesca ai grandi pelagici con l'attrezzo «palangaro» nella provincia catanese sono più di 65 con un equipaggio medio di 4 marittimi dipendenti per imbarcazione, per un totale stimato di 260 famiglie di pescatori;
          i pescatori stanno dismettendo le imbarcazioni dotate di licenza di pesca italiana, imbarcandosi su pescherecci di Malta, ove a fronte della professionalità e del lavoro offerto dai nostri connazionali vengono messi a disposizione pescherecci abilitati alla pesca mediterranea e con contingente di quote di tonno assegnato;
          i pescherecci maltesi sono nella stragrande maggioranza provenienti da dismissioni di pescherecci italiani vecchi ed obsoleti, che vengono abilitati alla navigazione mediterranea ed autorizzati alla pesca del tonno rosso;
          si sta assistendo, nell'immobilismo italiano rispetto ad una evoluzione normativa, all'esodo delle imprese italiane pesca all'estero con conseguenti gravi ripercussioni su tutto il sistema produttivo della pesca, sul personale marittimo dipendente, sulla filiera e sull'indotto  –:
          quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche indicate in premessa. (4-18480)


      SANTORI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, disciplina, all'articolo 66, la «Dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola»;
          il comma 1 del predetto articolo stabilisce che, entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, con proprio decreto da adottare, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, individui i terreni agricoli e a vocazione agricola di proprietà dello Stato, non utilizzabili per altre finalità istituzionali, avvalendosi sia dei dati forniti dall'Agenzia del demanio sia della segnalazione di soggetti interessati;
          il comma 7 riconosce alle regioni, alle province e ai comuni la possibilità di procedere, per le finalità e con le modalità di cui al comma 1, all'alienazione dei citati terreni;
          la ratio della norma è di favorire lo sviluppo dell'imprenditoria agricola giovanile, attribuendo il diritto di prelazione nelle procedure di alienazione dei terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola ed altresì consentendo di poter accedere ai benefici di cui al capo III del titolo I del decreto legislativo 21 aprile 2000, n.  185;
          a tutt'oggi il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali non ha ancora emanato il decreto, entro la prevista scadenza del 30 giugno, di individuazione dei predetti terreni per presunte difficoltà nel censire tali terreni  –:
          se non ritenga di dover provvedere in tempi rapidi all'adozione del decreto per consentire a comuni, province, città metropolitane e regioni di procedere alla vendita dei terreni secondo le modalità previste nel medesimo decreto, in quanto solo così potrebbero attuarsi le agevolazioni previste per i giovani agricoltori.
(4-18485)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


      GIANNI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in un atto di sindacato ispettivo, presentato dall'interrogante nel mese di giugno 2012, si denunciava quanto fosse difficile per i cittadini che si rivolgono al sistema sanitario nazionale, in un contesto di grave crisi economica e di insostenibile tassazione, subire gli aumenti dei ticket sanitari;
          tale situazione si manifesta ancora più pesantemente nelle regioni soggette ai piani di rientro della spesa sanitaria, e cioè la Sicilia, il Lazio, la Puglia, la Campania e la Calabria, dove le famiglie e le imprese residenti in tali regioni sono costrette a subire addizionali irap e irpef maggiorate;
          il Governo Monti, fin dal suo primo giorno di insediamento, ha parlato di politiche di rigore, ma anche di crescita ed equità sociale come i cardini di una politica complessiva in grado di affrontare la crisi economica;
          tale assunto, sicuramente vero in assoluto, assume una valenza maggiore in un momento di grave crisi economica strutturale ed appare, conseguentemente, opportuno come misura di equità sociale procedere all'abolizione o perlomeno alla rimodulazione dei ticket sanitari, almeno per i cittadini che appartengono alle fasce sociali più deboli o per quelli afflitti da gravi patologie;
          il Ministro interrogato, nella risposta scritta all'interrogazione presentata, ha dichiarato che il Governo stava attentamente valutando quali interventi sulla vigente normativa in materia di ticket ed esenzioni potessero essere adottati nel rispetto di alcuni principi generali che si ritenevano imprescindibili:
              a) equità nella distribuzione dell'onere derivante dalla partecipazione alla spesa sanitaria sulle famiglie; a questo fine si terrà conto del reddito familiare complessivo e della composizione quantitativa e qualitativa dei nuclei familiari;
              b) maggiore omogeneità della disciplina sul territorio nazionale;
              c) adozione di strumenti e procedure di agevole applicazione;
          il Ministro interrogato concludeva che era «indispensabile, quindi, individuare un punto di equilibrio tale che il ticket dovuto porti alla riduzione delle prestazioni inappropriate, ma non rappresenti un onere eccessivo per gli assistiti e non comprometta i principi di universalità, solidarietà ed equità del servizio sanitario nazionale»;
          di tutto ciò, e siamo ormai giunti alla fine della legislatura, non si è vista traccia;
          nella regione Sicilia, in particolare, si è aumentata la compartecipazione al 49,11 della spesa sanitaria, stabilendo un meccanismo lesivo degli articoli 36 e 37 dello statuto speciale e delle relative norme attuative, privando la stessa, nell'esercizio finanziario 2012, di una cifra pari a circa 600 milioni di euro –:
          se e come si intendano mantenere gli impegni presi, assumendo iniziative normative che prevedano l'abolizione dei ticket sanitari o perlomeno la loro effettiva rimodulazione, tenuto conto che, in una fase di gravissima crisi economica e recessiva, non è più rinviabile avviare misure di equità sociale che rappresentino segnali concreti di sostegno ai cittadini, in particolare per quelli residenti nelle regioni soggette ai piani di rientro e che subiscono per questo tassazioni locali di irpef e irap maggiorate rispetto al resto del Paese.
(3-02603)


      SAVINO e BARANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il vaccino esavalente (nome commerciale Infanrix Hexa della ditta GlaxoSmithKline) è il vaccino usato anche in Italia per vaccinare i neonati a partire dal secondo-terzo mese di vita e contiene 6 antigeni che dovrebbero proteggere i bambini da difterite, tetano, poliomielite, epatite b, pertosse ed emofilo tipo b;
          in Italia le vaccinazioni pediatriche obbligatorie sono quattro, e cioè contro difterite, tetano, poliomielite ed epatite b;
          a partire dal 2001 è stato messo in commercio il vaccino esavalente, un'unica fiala vaccinale contro sei germi, che ha sostituito i quattro vaccini prima disponibili ed oggi ben difficilmente reperibili singolarmente e, di conseguenza, i genitori si sono trovati obbligati, senza alcuna legge che lo imponga, a somministrare ai loro figli sei vaccini contemporaneamente, invece dei quattro obbligatori;
          secondo il Codacons, questa situazione comporta, tra l'altro, uno spreco di 114 milioni di euro l'anno –:
          se non ritenga opportuno garantire la libertà dei genitori di somministrare ai propri figli unicamente i quattro vaccini obbligatori, assicurandone la disponibilità singolarmente, conseguendo, in tal modo, anche un risparmio in termini di spesa sanitaria. (3-02604)


      MIOTTO, FONTANELLI, LENZI, ARGENTIN, BOSSA, BUCCHINO, BURTONE, D'INCECCO, GRASSI, MURER, PEDOTO, SARUBBI, SBROLLINI, LIVIA TURCO, MARAN, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  135, all'articolo 15, comma 13, lettera c), dispone che la riduzione dei posti letto al 3,7 per mille abitanti, di cui lo 0,7 per mille abitanti destinati alla riabilitazione e lungodegenza, sia effettuata dalle regioni nel rispetto degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera fissati con decreto del Ministro interrogato, con il quale si approva il regolamento che li definisce;
          entro la scadenza fissata del 31 ottobre 2012 il Ministro interrogato ha approvato il decreto, inviato alle regioni per la procedura di acquisizione della prevista intesa;
          fin d'ora si evidenziano alcune criticità che destano diffusa preoccupazione in ordine alle ricadute sulla rete ospedaliera e sulla conseguente esigibilità del diritto alla salute, poiché l'applicazione degli standard indicati rischia di non garantire a tutti i cittadini i livelli essenziali di assistenza, in particolare:
              a) la puntuale indicazione di standard per i servizi di diagnosi e cura in ambito ospedaliero non è accompagnata da analoga indicazione per i servizi che garantiscono la continuità assistenziale ed è assente la scadenza per le regioni, analoga al riordino ospedaliero, per la contestuale programmazione dei servizi extraospedalieri, strutture intermedie ed organizzazione distrettuale, indispensabili se si ritiene di poter ridurre i posti letto;
              b) l'organizzazione ospedaliera è articolata su troppi livelli aventi ordine gerarchico, mentre il modello organizzativo più efficace articola le funzioni per complessità di cura e di assistenza in relazione a bacini di utenza crescenti: il modello previsto rischia di relegare negli ospedali «di base» cure meno qualificate – non meno complesse – perché è prevista una presenza di servizi di supporto modestissima, non più in linea con l'evoluzione delle tecnologie;
              c) la presenza del pronto soccorso per bacini di popolazione di 80/150.000 abitanti in presidi di base, che sono privi di cardiologia e terapia intensiva, non può garantire appropriate cure in caso di urgenza ed emergenza e desta grande sorpresa la previsione di distanze dal pronto soccorso tali da poterlo raggiungere in 60 minuti, invece dei 20-30 minuti finora previsti, situazione ulteriormente peggiorata dalla previsione di una distanza da un dipartimento di emergenza e accettazione di primo livello raggiungibile in ulteriori 60 minuti;
              d) il modello ospedaliero piramidale concentra nelle aziende ospedaliere e nelle aziende integrate ospedale-università, oltre alle eccellenze ed alle altissime specialità, anche tutte le risposte specialistiche per la cura dei malati: tale processo di concentrazione indebolisce la rete ospedaliera e finisce per congestionare i grandi ospedali; il gigantismo dei grandi ospedali è perseguito mediante la soppressione della rianimazione o della terapia intensiva nei presidi di base, ove peraltro è prevista la chirurgia; non compare la dialisi e nefrologia; è assente l'oncologia perfino nei presidi di primo livello e la cardiologia con emodinamica interventistica viene collocata solo nei presidi di secondo livello, nonostante le evidenze epidemiologiche suggeriscano una più congrua distribuzione territoriale di tali servizi specialistici  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere al fine di modificare il regolamento citato in premessa, previa intesa con le regioni, in particolare sulle criticità sopra descritte, al fine di evitare che la riorganizzazione della rete ospedaliera comporti un peggioramento qualitativo delle prestazioni erogate ed una minor garanzia per i cittadini della sicurezza delle cure, oltre ad una difficile esigibilità dei livelli essenziali di assistenza che si tradurrebbe nell'indebolimento dell'accesso al diritto alla salute.
(3-02605)

Interrogazioni a risposta scritta:


      LENZI, FONTANELLI, GRASSI, MURER, FARINA COSCIONI, SBROLLINI, BURTONE, D'INCECCO. Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          molti pazienti emofilici, infettati dal virus dell'HIV e da epatite C e B negli anni ’80 e ’90 in seguito a trasfusioni di sangue o ad assunzione di emoderivati infetti, hanno ricevuto nei giorni scorsi dal ministero della salute delle e-mail con posta elettronica certificata nelle quali vengono informati che non riceveranno alcun rimborso per il danno subito;
          si tratta di persone che, in seguito alla legge n.  244 del 2007, avevano accettato di non intentare causa al Ministero (o di sospendere i procedimenti in corso) per accedere ad una transazione;
          questo è avvenuto perché il Ministero della salute ha pubblicato, a distanza di oltre due anni dalla scadenza del termine di presentazione delle domande di adesione a transazione (19 gennaio 2010) sulla Gazzetta Ufficiale n.  162 del 13 luglio 2012 il decreto ministeriale datato 4 maggio 2012 contenente i «moduli transattivi» in applicazione dell'articolo 5 del decreto n.  132 del 2009;
          dalla prescrizione prevista dall'articolo 5, comma 1, del decreto sono esclusi dalla transazione coloro che hanno promosso causa di risarcimento danni nei confronti del Ministero della salute oltre i 5 anni dalla data di presentazione in sede amministrativa dell'istanza di indennizzo ai sensi della legge n.  210 del 1992 (ovvero oltre i dieci anni dal decesso del soggetto danneggiato: nel caso si tratti di eredi di soggetti deceduti) ovvero oltre i 5 anni dalla data antecedente (alla domanda di indennizzo) rispetto alla quale risulti già documentata la piena conoscenza della patologia da parte del danneggiato;
          al riguardo, si osserva che, in maniera non conforme al diritto, non è prevista in decreto la possibilità di tenere conto dell'esistenza di eventuali atti interruttivi della prescrizione (ad esempio, diffide stragiudiziali); si osserva, altresì, come, sul punto, l'analogia e coerenza con la precedente transazione dell'anno 2003 non sia stata affatto rispettata, in quanto, all'epoca, non si tenne conto di alcun termine prescrizionale al fine di addivenire alla stipula delle transazioni;
          inoltre, al comma 2 dell'articolo 5, si prevede che saranno esclusi dalle transazioni i soggetti per i quali risulti un evento trasfusionale anteriore al 24 luglio 1978, data di emanazione della circolare ministeriale n.  68 che aveva reso obbligatoria la ricerca dell'antigene dell'epatite B nel sangue ed emoderivati; siffatta previsione, ancora una volta al di fuori di ogni «analogia e coerenza» con le transazioni del 2003, è a giudizio degli interroganti del tutto illogica ed erronea poiché la giurisprudenza di merito e di legittimità ha in più occasioni chiarito che la responsabilità da contagio post-trasfusionale in capo al Ministero della salute sussiste quantomeno a decorrere dai primi anni ’70 (e non mancano pronunzie di merito che la fanno risalire alla fine degli anni ’60);
          ne consegue ad avviso degli interroganti una illogica ed illegittima differenziazione delle somme tra categorie di soggetti danneggiati; se, infatti, le somme previste dal decreto in favore dei soggetti affetti da emofilia e da talassemia sono del tutto congrue ed in linea con la precedente transazione, non si può dire altrettanto per quanto concerne i soggetti emotrasfusi occasionali (nonché danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie) per i quali sono state previste, in particolar modo in relazione alle categorie di ascrivibilità tabellare prossime alla ottava, delle somme che in non pochi casi è possibile definire irrisorie;
          inoltre, si prevede una differenziazione tra soggetti deceduti con nesso causale e senza nesso causale; ed infatti, se da un lato, ai soggetti emofilici e talassemici deceduti verranno corrisposte somme di importo equivalente a prescindere dall'esistenza o meno del nesso causale tra la patologia post-trasfusionale ed il decesso (in analogia e coerenza con le precedenti transazioni), non altrettanto può dirsi per le altre categorie di soggetti danneggiati per i quali il decreto prevede non solo una inaccettabile riduzione delle somme ma altresì una netta differenziazione tra soggetti deceduti con e senza nesso causale;
          inoltre, diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno riconosciuto il Ministero della salute responsabile degli omessi controlli  –:
          se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere i criteri e le modalità previste all'articolo 5, commi 1 e 2, del decreto ministeriale 13 luglio 2012, al fine di scongiurare una discriminazione nel riconoscimento dei propri diritti a soggetti danneggiati per una mancanza di controllo da parte dello Stato visto che è facilmente prevedibile una nuova serie di cause e il possibile ricorso alla Corte Costituzionale per palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione. (4-18507)


      DE ANGELIS. —Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) nel maggio 2011 ha classificato i campi elettromagnetici di radiofrequenza come possibili cancerogeni di classe 2B sulla base degli studi sul cancro indotto dai telefoni cellulari;
          la legge quadro sull'elettrosmog n.  36 del 2001 prevede di attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all'articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell'Unione europea;
          la risoluzione del Consiglio d'Europa del 27 maggio 2011 invita i Paesi membri a fissare «limiti cautelativi di esposizione alle microonde per lungo termine ed in tutti gli ambienti indoor, in accordo con il Principio di Precauzione, che non superino gli 0,6 Volt/metro e nel medio termine ridurre questo valore a 0,2 V/m»;
          la risoluzione del Parlamento europeo del 4 settembre 2008 dal titolo «Valutazione intermedia del piano d'azione europeo per l'ambiente e la salute 2004/2010» enuncia l'aumento dei casi di elettrosensibilità e raccomanda di «ridurre l'esposizione alle radiazioni elettromagnetiche»;
          numerose risoluzioni di scienziati indipendenti come l’International commission for electromagnetic safety (ICEMS) e il Gruppo Bioinitiative, citati rispettivamente dal Consiglio d'Europa e dal Parlamento europeo come riferimenti scientifici indipendenti, promuovono l'abbassamento dei limiti di sicurezza a 0,6 V/m, in quanto gli attuali standard non si basano sulle evidenze biologiche  –:
          se siano stati fatti i dovuti approfondimenti sull'impatto ambientale e sulle conseguenze sulla salute. (4-18517)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          il gruppo Monte dei Paschi di Siena è uno dei principali operatori nel settore del credito in Italia;
          in queste settimane è in corso una trattativa sindacale finalizzata alla esternalizzazione di rami operativi d'azienda con conseguente trasferimento di personale;
          le trattative tra le parti sono in una fase di stallo dopo che l'azienda ha interrotto i rapporti con le organizzazioni sindacali e vorrebbe imporre decisioni unilaterali che riguardano in modo particolare, l'esternalizzazione di un numero di dipendenti, variante tra 1.600 e 2.300 unità, principalmente operanti all'interno del consorzio servizi della banca stessa ed in gran parte dislocati su plessi nelle province di Siena, Mantova, Firenze, Lecce, Padova, Milano e Roma;
          tali prospettate esternalizzazioni creano evidente apprensione circa la stabilità dei posti di lavoro degli attuali addetti;
          l'Istituto ha già fruito di una somma pari ad 1,9 miliardi di euro di finanziamento statale (cosiddetta Tremonti Bond) e tale finanziamento raggiungerà la somma complessiva di 3,4 miliardi di euro;
          tale ultima circostanza postula quindi la necessità che il Governo presti particolare attenzione alle vicende di un istituto nei confronti del quale è esposto per un importo di tale rilevanza  –:
          se il Governo sia intenzionato, per quanto di competenza, ad intervenire ed in quale forma, per facilitare la ripresa della trattativa tra le parti.
(2-01736) «Zani, Cenni, Albini, Marco Carra, Naccarato, Miotto, Fiano, Pierdomenico Martino, Bressa, Nannicini, Bellanova, Losacco, Garofani, Adinolfi, Rosato, D'Alema, Giacomelli, Castagnetti, D'Antoni, Lulli, Mariani, Iannuzzi, Codurelli, Picierno, Motta, Ciriello, Cavallaro, Marantelli, Fogliardi, Boccuzzi, Meta, Verducci, Fluvi, Pizzetti, Ventura, De Biasi, Villecco Calipari, Duilio, Farinone, Colaninno».

Interrogazione a risposta immediata:


      GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il Parlamento ha approvato un ordine del giorno per impegnare il Governo all'effettuazione di un'asta a pagamento per l'assegnazione delle frequenze digitali;
          il Ministro interrogato aveva indicato i criteri e annunciato l'effettuazione della gara entro e non oltre il mese di dicembre 2012;
          il ricavato dell'asta dovrà servire anche a riequilibrare le distorsioni apportate al mercato dei media dalle posizioni dominanti e dall'irrisolto conflitto di interessi;
          proprio in questi giorni notizie di stampa mai smentite hanno riferito di una lettera spedita dal Commissario europeo per la concorrenza al Governo italiano relativa alle modalità dell'annunciata asta;
          tale lettera, stando sempre alle notizie di stampa, contesterebbe alcune delle procedure previste, arrivando a prospettare la possibilità dell'apertura di una nuova procedura di infrazione a carico dell'Italia –:
          se la notizia corrisponda a verità e se il Ministro interrogato intenda fornire immediatamente ogni informazione utile sull'intera vicenda e sulle azioni che saranno intraprese per rispondere alle eventuali richieste formalizzate dall'autorità europea competente. (3-02609)

Interrogazione a risposta orale:


      VELO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dall'inizio di quest'anno il sistema informativo degli uffici postali d'Italia è andato in tilt un centinaio di volte per il blocco del sistema operativo informatico che ha reso impossibile agli utenti compiere le normali operazioni agli sportelli, quali i pagamenti in scadenza, il pagamento di multe o il ritiro della pensione;
          il problema si verifica in modo indifferenziato in tutta Italia, determinando così molteplici situazioni di tensione che vanno ad aggiungersi al disagio evidente di coloro i quali si sono recati allo sportello per le proprie necessità e si son visti respingere le proprie richieste a causa di un problema al sistema informatico;
          la causa è sempre la stessa sin dal debutto del nuovo software dell'Ibm, che si è aggiudicata la gara di Poste per l'informatizzazione degli uffici postali italiani, e che determinò il blackout di tutta la rete per giorni provocando enormi disagi ai clienti e agli stessi impiegati, ovvero il cattivo funzionamento del sistema, che spesso va in panne e poi riparte, costringendo gli stessi lavoratori a pause interminabili che si ripercuotono inevitabilmente su tutto il servizio e, in casi più gravi, inducendo a rimandare tutti gli utenti indietro con la richiesta di tornare il giorno dopo;
          l'ammodernamento del sistema informatico delle Poste è costato oltre 150 milioni di euro, ma probabilmente la fase di sperimentazione è stata insufficiente così che la nuova piattaforma SDP che ha sostituito il vecchio sistema telematico GPO non riesce a lavorare in modo adeguato, rallentando il ritmo di elaborazione fino al suo arresto;
          visto il ripetersi di questi disagi, appare chiaro che Poste non abbia a tutt'oggi elaborato neanche un piano alternativo tale da poter far fronte a situazioni di stop anche temporaneo in grado di affrontare le emergenze;
          già nell'aprile 2012 le associazioni dei consumatori avevano invitato le Poste ad aprire un tavolo di conciliazione con il compito di verificare i danni subiti dagli utenti e provvedere agli eventuali risarcimenti;
          anche il personale delle Poste subisce gli effetti di tale situazione trovandosi a dover sospendere il lavoro per molto tempo salvo successivamente essere richiamati in servizio poiché il sistema riparte e occorre smaltire il lavoro accumulatosi;
          interpellati sulla questione, gli uffici centrali delle Poste hanno preferito non rilasciare dichiarazioni  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere per chiarire i disservizi di Poste italiane che dall'inizio dell'anno affliggono l'intero comparto postale, al fine di individuare le eventuali responsabilità dell'interruzione di un servizio pubblico fondamentale per i cittadini italiani che si protrae ormai da quasi un anno. (3-02598)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      OLIVERIO, LARATTA e MATTESINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448, e successive modificazioni, e il decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte, con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate, dai Corecom – comitati regionali per le comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
          tali misure di sostegno che hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali nell'ottica di sostenere l'informazione locale di qualità, sono importantissime nell'attuale momento in cui le imprese televisive hanno dovuto affrontare rilevanti investimenti per la transizione al digitale e in considerazione della situazione di crisi del mercato pubblicitario;
          i procedimenti per l'erogazione di detti contributi statali stanno, tuttavia, subendo gravissimi inaccettabili ritardi, con evidenti ripercussioni anche per l'occupazione lavorativa nel comparto. Sono molte le imprese che hanno richiesto la cassa integrazione in deroga e/o che hanno avviato procedimenti di licenziamento collettivo;
          in particolare:
              a) nonostante tutti i Corecom abbiano redatto le rispettive graduatorie regionali fin dallo scorso mese di settembre, non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza dello stanziamento dei contributi relativi all'anno 2011 le cui domande sono state presentate entro il 13 ottobre 2011 e quindi da oltre un anno. Occorre, peraltro, considerare che in caso di ritardo di uno o più Corecom, è possibile definire un riparto in acconto; in conseguenza di ciò, non sono stati ancora emessi i mandati di pagamento a favore delle imprese televisive locali aventi titolo;
              b) non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di ripartizione tra i vari bacini del saldo dei contributi relativi all'anno 2010, con riferimento al quale è stato, ad oggi, stanziato e corrisposto solo un acconto, che in mancanza di immediato intervento rischia la perenzione;
              c) non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012, nonostante che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, tale bando dovesse essere emanato entro il 31 gennaio 2012  –:
          in quali tempi i suddetti provvedimenti verranno pubblicati in Gazzetta Ufficiale e in quali tempi verranno erogati i contributi 2010 e 2011 alle imprese televisive locali aventi titolo. (5-08430)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CROSIO e CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448 e successive modificazioni e il decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte (con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate) dai Corecom – Comitati regionali per le comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
          tali misure di sostegno che hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali nell'ottica di sostenere l'informazione locale di qualità, sono importantissime nell'attuale momento in cui le imprese televisive hanno dovuto affrontare rilevanti investimenti per la transizione al digitale e in considerazione della situazione di crisi del mercato pubblicitario;
          i procedimenti per l'erogazione di detti contributi statali stanno, tuttavia, subendo gravissimi inaccettabili ritardi, con evidenti ripercussioni anche per l'occupazione lavorativa nel comparto (sono molte le imprese che hanno richiesto la cassa integrazione in deroga e che hanno avviato procedimenti di licenziamento collettivo);
          in particolare:
              a)    il Ministro dello sviluppo economico, nonostante tutti i Corecom abbiano redatto le rispettive graduatorie regionali fin dallo scorso mese di settembre, non ha ancora provveduto alla pubblicazione del decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza dello stanziamento relativo all'anno 2011 (occorre, peraltro, considerare che in caso di ritardo di uno o più Corecom, il Ministro può definire un riparto in acconto);
              b)    il Ministro dello sviluppo economico non ha ancora provveduto alla pubblicazione del decreto di ripartizione tra i vari bacini del saldo dei contributi relativi all'anno 2010 (con riferimento al quale è stato, ad oggi, stanziato e corrisposto solo un acconto) che in mancanza di immediato intervento rischiano la perenzione;
              c) il Ministro non ha ancora emanato il bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012 (nonostante che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 5 novembre 2004 n.  292, tale bando dovesse essere emanato entro il 31 gennaio 2012)  –:
          quali siano le ragioni di tali ritardi, le modalità con le quali il Ministro intenda porre rimedio ai ritardi stessi, e i tempi nei quali i suddetti provvedimenti verranno emanati. (4-18478)


      MAGGIONI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 24 del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134, ha introdotto per tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal settore economico in cui operano, nonché dal regime contabile adottato, la concessione di un contributo sotto forma di credito d'imposta del 35 per cento, con un limite massimo pari a 200 mila euro annui ad impresa, del costo aziendale sostenuto per le assunzioni a tempo indeterminato di personale in possesso di un dottorato di ricerca universitario conseguito presso un'università italiana o estera se riconosciuto equipollente in base alla legislazione vigente in materia e di personale in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico;
          il comma 11 del medesimo articolo 24 rimandava le modalità attuative della disposizione ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che avrebbe dovuto essere adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 83 del 2012, quindi entro il 21 agosto 2012;
          il contributo previsto dall'articolo 24 è senz'altro una misura importante per le imprese che investono in risorse umane altamente qualificate, che attendono di conoscere le modalità per poter usufruire di tale beneficio; ad oggi infatti il decreto attuativo non è ancora stato adottato, nonostante siano ormai trascorsi quasi cinque mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  83 del 2012; nelle scorse settimane sono comparse su diversi organi di stampa alcune «anticipazioni» sulle modalità di accesso ai fondi messi a disposizione per l'erogazione del contributo; si diceva, ad esempio, che per l'accesso al bonus non si utilizzerà il meccanismo del clic day, già negativamente sperimentato per altri contributi, ma che l'ammontare dell'aiuto sarà ridotto, in caso di superamento delle disponibilità della misura, in modo da accogliere tutte le domande ammissibili  –:
          in che tempi sarà adottato il decreto attuativo delle misure introdotte con l'articolo 24 del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.  134 e quali siano i motivi che hanno ritardato tale adozione, visto che sono ormai trascorsi quasi tre mesi dal termine previsto dal comma 11 del medesimo articolo 24. (4-18497)


      LUCÀ. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          CSC Italia si pone, per fatturato e addetti, tra le prime dieci società di informatica del Paese, con sedi principali a Milano (direzione generale), Padova, Torino, Genova e Roma, una organizzazione focalizzata verso i settori financial services, government & services, fashion e manufactoring;
          tra i principali clienti di CSC in Italia ci sono: Banca Intesa Sanpaolo, BNL, Reale Mutua, Generali, SOGEI, INPS, INAIL, Ministero dell'interno, Ministero della difesa, Diesel, Versace, Armani, Gucci, Telecom Italia, Poste Italiane, Enel, ENI, Vodafone;
          il fatturato complessivo di CSC Italia è di 81,173 milioni di euro (ultimo bilancio approvato), con un organico di circa 1.200 addetti tra dirigenti, quadri e impiegati;
          nei mesi scorsi si è avuta notizia che i vertici americani della società avrebbero deciso di cedere la parte italiana, con modalità che hanno generato forte preoccupazione, anche considerato che CSC ha usufruito negli anni di agevolazioni fiscali che, solo lo scorso anno, hanno portato la società a ottenere benefici per oltre 100 milioni di dollari;
          il 25 ottobre 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, si sarebbe dovuto svolgere l'incontro, già più volte rinviato per indisponibilità dell'azienda, tra i rappresentanti della Corporate americana di CSC e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, al quale l'azienda non si è presentata;
          contestualmente, il management italiano, su mandato della corporate, ha diffuso una comunicazione aziendale nella quale si annunciava la vendita dei servizi di consulenza e system integration di CSC Italia ad una società italiana, la Dedagroup, con il conseguente passaggio alla nuova gestione di 1.000 lavoratori circa;
          con la cessione di una parte così consistente di CSC Italia si apre di fatto uno scenario di crisi che desta fortissima preoccupazione tra i lavoratori per le inevitabili e pesanti ricadute che potrebbero esserci sul piano occupazionale;
          non tranquillizza, in questo senso, il comportamento, ad avviso dell'interrogante discutibile, di CSC, che ha di fatto proceduto alla vendita senza ricorrere alla mediazione ministeriale, peraltro già concordata  –:
          quali urgenti iniziative intenda intraprendere al fine di garantire una corretta e trasparente gestione della crisi e delle future trattative che riguarderanno i lavoratori della CSC, al fine di garantire il mantenimento dei posti di lavoro. (4-18499)


      LULLI e VICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          risale ormai all'8 luglio 2011, l'invio da parte di Iveco spa, società del gruppo Fiat Industrial, alle rappresentanze sindacali unitarie di Irisbus Italia spa, stabilimento di Flumeri (Avellino), una lettera nella quale comunicava che intendeva cedere il ramo d'azienda costituito dallo stabilimento di Valle Ufita alla società Dr motor company dell'imprenditore molisano Massimo Di Risio che tuttavia ha rinunciato all'acquisto pochi mesi dopo;
          il 3 ottobre 2011 la Fiat ha attivato le procedure per la messa in mobilità e la cassa integrazione per tutti i lavoratori dello stabilimento (700 dipendenti più altri 800 nell'indotto), quando soltanto nel 2010 aveva investito 8 milioni di euro nella ristrutturazione aziendale, che diventano 30 milioni, considerando l'insieme degli investimenti degli ultimi 5 anni;
          dopo il taglio del personale, passato da 1.400 a 700 addetti, due terzi dei quali sono in cassa integrazione da mesi, Fiat è passata direttamente alla chiusura dello stabilimento, sancendo la sua uscita, solo in Italia, dalle produzioni per il trasporto pubblico;
          Irisbus, partecipata al 100 per cento da Iveco spa, produce autobus in tutto il mondo, con stabilimenti in Brasile, India, Argentina, Cina, e cinque siti produttivi in Europa, a Annonay e Rorthais in Francia, Valle Ufita in Italia, Barcellona in Spagna e Vysoke Myto nella Repubblica Ceca;
          la chiusura riguarda solo il sito italiano; le ragioni sarebbero da attribuire agli effetti della grave crisi che ha colpito il mercato degli autobus urbani in Italia, le cui immatricolazioni hanno registrato una drastica riduzione, passando da 1.444 unità del 2006 a 1.113 del 2010, a 291 nel 2011; nello stesso periodo la produzione complessiva dello stabilimento di Valle Ufita è scesa da 717 autobus nel 2006 a 472 nel 2010, mentre nei primi sei mesi del 2011 sarebbe arrivata a 145 autobus;
          in risposta all'interrogazione n.  5-05168 Lulli, riguardante la continuità produttiva dello stabilimento Irisbus di Flumeri, il rappresentante del Governo aveva affermato che il Ministero dello sviluppo economico avrebbe seguito la situazione che si è creata sul territorio in seguito alla decisione del gruppo Fiat Industrial di cedere il ramo di azienda Irisbus di Flumeri, autorizzando, attraverso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la corresponsione del trattamento d'integrazione salariale per un massimo di 818 unità lavorative, per il periodo dal 30 agosto 2010 al 29 agosto 2011;
          il 21 settembre 2011, il Ministro dello sviluppo economico ha convocato Fiat Industrial, Anfia e i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl per esaminare le problematiche della società Irisbus di Valle Ufita, incontro che si è concluso con la proposta rivolta a Irisbus di continuare l'attività produttiva fino al 31 dicembre 2011, per consentire nel frattempo la ricerca di eventuali imprenditori interessati all'acquisizione del sito, oltre a Dr motor company, e la ricollocazione di un'ulteriore parte dei lavoratori interessati presso altre aziende del gruppo Fiat Iveco e il possibile utilizzo di ammortizzatori sociali, per la rimanente quota dei dipendenti;
          a seguito del rifiuto unanime di tale soluzione da parte dei lavoratori e della conferma della necessità che la gestione della vicenda venga assunta Presidenza del Consiglio dei ministri, anche «al fine di rivendicare la definizione e il finanziamento del piano nazionale trasporti, unica soluzione per mantenere in Valle Ufita il sito produttivo del settore bus», la società Irisbus ha aperto, il 30 settembre 2011, la procedura di mobilità per tutti i lavoratori del sito. Le organizzazioni sindacali provinciali e la rappresentanze sindacali unitarie hanno, di conseguenza, chiesto all'azienda l'incontro procedurale, previsto dall'articolo 4 della legge n.  223 del 1991;
          in occasione dello svolgimento del citato atto di sindacato ispettivo si è appreso, inoltre, che per il Governo:
              a) la definizione di un piano nazionale dei trasporti, seppure assolutamente necessario in relazione all'oggettiva obsolescenza del parco autobus nazionale, difficilmente potrà contribuire alla risoluzione della vertenza Irisbus per l'oggettiva carenza di risorse già destinate al fondo trasporto pubblico locale istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per la realizzazione di un piano organico di rinnovo del parco e per le regole volte alla realizzazione di bandi europei che non consentono riserve per l'industria nazionale;
              b) la richiesta di assumere iniziative per stanziare una congrua quota di risorse nazionali e regionali al rinnovo del parco vetture delle aziende operanti nel settore del trasporto pubblico su rotaia e su gomma non è prevista dal piano per il Sud, approvato dal Consiglio dei ministri del 26 novembre 2010, che ha individuato una priorità nelle grandi opere ferroviarie e viarie per rafforzare i collegamenti tra il Nord e il Sud del Paese, destinando ad esse 1,6 miliardi di euro delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate – attualmente denominato fondo per lo sviluppo e la coesione;
              c) ove fosse considerato prioritario, le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate potrebbero essere destinate anche al finanziamento del rinnovo del parco vetture delle aziende operanti nel settore del trasporto pubblico su gomma, fatta salva la normativa nazionale ed europea in materia di aiuti di Stato;
              d) le risorse nazionali del fondo per le aree sottoutilizzate, allo stato attuale, sono coinvolte nei processi di attuazione delle manovre finanziarie di luglio ed agosto 2011 sul contenimento della spesa pubblica;
          la chiusura dello stabilimento di Flumeri esaspera le tensioni sociali e incrina, ulteriormente, i rapporti con le parti sociali, determinando un vero e proprio terremoto sociale nella Valle Ufita e, più in generale, nella provincia di Avellino, che già registra 80.000 disoccupati; in Italia, gli autobus del trasporto pubblico che continuano a circolare, pur non essendo a norma rispetto agli standard di legge in materia di emissioni inquinanti e di ammodernamento del parco circolante, sono almeno ventimila;
          la totale mancanza di una chiara politica industriale nel nostro Paese che individui priorità, regole e risorse cui tutti i soggetti interessati dovrebbero sentirsi coinvolti e vincolati, rende possibili le più imprevedibili scelte dei diversi gruppi industriali, senza che questo possa essere tempestivamente gestito nell'interesse più generale dell'economia e dell'occupazione nazionale;
          dopo la chiusura degli impianti di Termini Imerese e Imola, il gruppo Fiat ha dismesso anche l'unico stabilimento che produce autobus in Italia, in un preoccupante crescendo di disimpegno produttivo nel nostro Paese, strategia che, a giudizio degli interroganti, non sembra vedere l'assunzione da parte del Governo della necessaria e incisiva azione di interlocuzione per la salvaguardia delle produzioni nazionali, soprattutto nei settori a più alto fattore qualitativo e tecnologico. L'esempio dei Governi dei principali Paesi industrializzati, quali la Germania, la Francia o gli Stati Uniti, tuttora, non viene seguito nel nostro Paese;
          la gravità di tali scelte industriali e della mancata elaborazione di una politica industriale assumono i caratteri della tragedia economica e sociale in aeree già duramente provate, come quelle del Mezzogiorno;
          il 26 ottobre 2011, è stata accolta dal Governo la mozione Lulli ed altri n.  1-00738, concernente iniziative in relazione alla annunciata chiusura dello stabilimento Irisbus di Flumeri (Avellino), che nel dispositivo impegnava il Governo:
              ad assumere iniziative immediate per garantire la continuità della produzione di autobus e i posti di lavoro nello stabilimento Irisbus di Flumeri, dando immediatamente il via libera ad altri eventuali investitori, anche stranieri, che volessero rilevare il ramo di azienda Irisbus di Flumeri;
              a prevedere nei successivi provvedimenti di carattere economico e finanziario un impegno di risorse finalizzate al sostegno di un piano nazionale del trasporto pubblico, che valorizzi il sistema industriale nazionale di produzione, stimolando innovazione di prodotto e sostenibilità nella propulsione dei motori;
              a convocare un tavolo nazionale, con i vertici del gruppo Fiat, per verificare le reali intenzioni riguardo agli impegni assunti il 13 febbraio 2011 nell'incontro tra il gruppo medesimo e il Governo, nel corso del quale i vertici dell'azienda si erano impegnati a investire 20 miliardi di euro in Italia e a proseguire negli obiettivi di sviluppo;      
          l'Italia ha esercitato per decenni un ruolo primario nella produzione industriale di autobus e appare paradossale che tale patrimonio possa essere disperso, proprio in una fase in cui sono sempre più evidenti, da un lato, i problemi del trasporto pubblico locale e, dall'altro, la consapevolezza della necessità di un riequilibrio modale nei sistemi di trasporto a favore dei mezzi collettivi;
          è necessario mantenere sotto i riflettori nazionali la vertenza Irisbus, affinché tale vicenda continui ad essere oggetto di interesse da parte degli eventuali acquirenti e per evitare che la Fiat ostacoli l'acquisto dello stabilimento da parte dei medesimi  –:
          quali iniziative immediate intenda assumere il Ministro per evitare la chiusura definitiva dello stabilimento Irisbus di Flumeri e per garantire la continuità della produzione di autobus e i posti di lavoro, favorendo le manifestazioni d'interesse da parte di altri investitori, anche stranieri, che volessero rilevare il ramo di azienda Irisbus di Flumeri. (4-18500)


      PORFIDIA e PETRENGA. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448, e successive modificazioni, e il decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292 prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte (con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate) dai Corecom – comitati regionali per le comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
          tali misure di sostegno che hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali nell'ottica di sostenere l'informazione locale di qualità, sono importantissime nell'attuale momento in cui le imprese televisive hanno dovuto affrontare rilevanti investimenti per la transizione al digitale e in considerazione della situazione di crisi del mercato pubblicitario;
          i procedimenti per l'erogazione di detti contributi statali stanno, tuttavia, subendo gravissimi inaccettabili ritardi, con evidenti ripercussioni anche per l'occupazione lavorativa nel comparto (sono molte le imprese che hanno richiesto la cassa integrazione in deroga e che hanno avviato procedimenti di licenziamento collettivo);
          in particolare:
              a) il Ministro dello sviluppo economico, nonostante tutti i Corecom abbiano redatto le rispettive graduatorie regioni fin dal mese di settembre 2012, non ha ancora provveduto alla pubblicazione del decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza dello stanziamento relativo all'anno 2011 (occorre, peraltro, considerare che in caso di ritardo di uno o più Corecom, il Ministro può definire un riparto in acconto);
              b) il Ministro dello sviluppo economico non ha ancora provveduto alla pubblicazione del decreto di ripartizione tra i vari bacini del saldo dei contributi relativi all'anno 2010 (con riferimento al quale è stato, ad oggi, stanziato e corrisposto solo un acconto) che in mancanza di immediato intervento rischia la perenzione;
              c) il Ministro non ha ancora emanato il bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012 (nonostante che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 5 novembre 2004 n.  292, tale bando dovesse essere emanato entro il 31 gennaio 2012)  –:
          quali siano le ragioni di tali ritardi e le modalità con le quali il Ministro intenda porvi rimedio. (4-18505)


      MESSINA e ROTA. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448, e successive modificazioni, e il decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, prevedono misure di sostegno per il settore televisivo locale, consistenti in contributi che vengono annualmente erogati dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di graduatorie regionali redatte (con riferimento ai dipendenti occupati e ai fatturati conseguiti dalle imprese televisive locali interessate) dai Corecom Comitati regionali per le comunicazioni, a seguito di bando di gara che lo stesso Ministero deve emanare entro il 31 gennaio di ogni anno;
          tali misure di sostegno che hanno contribuito, negli anni, alla crescita e allo sviluppo delle imprese televisive locali nell'ottica di sostenere l'informazione locale di qualità, sono importantissime nell'attuale momento in cui le imprese televisive hanno dovuto affrontare rilevanti investimenti per la transizione al digitale e in considerazione della situazione di crisi del mercato pubblicitario;
          i procedimenti per l'erogazione di detti contributi statali stanno, tuttavia, subendo gravissimi inaccettabili ritardi, con evidenti ripercussioni anche per l'occupazione lavorativa nel comparto (sono molte le imprese che hanno richiesto la cassa integrazione in deroga e/o che hanno avviato procedimenti di licenziamento collettivo);
          in particolare, nonostante il fatto che tutti i Corecom abbiano redatto le rispettive graduatorie regionali fin dallo scorso mese di settembre, non è stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di ripartizione tra i vari bacini di utenza dello stanziamento dei contributi relativi all'anno 2011 le cui domande sono state presentate entro il 13 ottobre 2011 e quindi da oltre un anno (occorre, peraltro, considerare che in caso di ritardo di uno o più Corecom, è possibile definire un riparto in acconto); in conseguenza di ciò non sono stati ancora emessi i mandati di pagamento a favore delle imprese televisive locali aventi titolo;
          non è stato inoltre ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto di ripartizione tra i vari bacini del saldo dei contributi relativi all'anno 2010 (con riferimento al quale è stato, ad oggi, stanziato e corrisposto solo un acconto), che in mancanza di immediato intervento rischiano la perenzione;
          non è stato infine ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando relativo alle misure di sostegno per l'anno 2012 (nonostante che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 5 novembre 2004, n.  292, tale bando dovesse essere emanato entro il 31 gennaio 2012)  –:
          quali siano le ragioni di tali ritardi, le modalità con le quali il Ministro intenda porre rimedio ai ritardi stessi, nonché i tempi nei quali i suddetti provvedimenti verranno pubblicati in Gazzetta Ufficiale e i tempi nei quali verranno erogati i contributi 2010 e 2011 alle imprese televisive locali aventi titolo. (4-18506)


      DI BIAGIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la regione Toscana ha deliberato l'acquisto di 10 treni diesel per un valore di circa 48 milioni di euro da una azienda polacca la «Pesa» con la giustificazione che trattasi dell'unica azienda che garantisce la consegna entro 12 mesi;
          il più importante costruttore italiano di materiale rotabile, la «Ansaldo Breda», ha sede a Pistoia, a poco più di 30 chilometri dalla sede della regione;
          la «Ansaldo Breda» a causa della congiuntura economica interna e internazionale particolarmente sfavorevole, negli ultimi anni ha subito una crisi finanziaria, coinvolgendo anche tutte quelle piccole aziende dell'indotto ferroviario che sono ormai sull'orlo della chiusura, con evidenti ripercussioni sulla già precaria situazione occupazionale;
          non condivisibile poi, in un'ottica di tutela del territorio ed attenzione ai problemi ecologici, è la scelta della regione Toscana di utilizzare treni diesel di vecchia concezione invece di prevedere l'elettrificazione delle linee ferroviarie minori, riducendo l'inquinamento;
          sarebbe opportuno che la regione Toscana rivedesse la scelta di assegnare la commessa alla società polacca «Pesa» in favore dell'azienda italiana «Ansaldo Breda» con sede in Toscana, così portando ossigeno ad un territorio che soffre ormai da troppo tempo di mancanza di lavoro  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere per favorire lo sviluppo di aziende italiane, quali l’«Ansaldo Breda», evitando che si aggravi la già preoccupante crisi occupazionale che affligge il territorio della Toscana. (4-18513)


      SAGLIA e RONCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il Gestore dei servizi energetici s.p.a. (GSE s.p.a.) è società totalmente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze e ha come scopo, sulla base degli indirizzi del Ministero dello sviluppo economico, di promuovere lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e del risparmio energetico attraverso l'erogazione di incentivi economici e azioni informative tese a diffondere la cultura dell'uso dell'energia compatibile con le esigenze dell'ambiente;
          il consiglio di amministrazione del GSE è stato rinnovato per un nuovo mandato triennale nell'assemblea del 13 luglio 2012;
          nei mesi scorsi, immediatamente precedenti a tale rinnovo, si è avuta notizia del fatto che il Ministero dello sviluppo economico, nella logica di una rivisitazione della missione aziendale del GSE, avesse intenzione di rinnovarne la guida operativa;
          numerosi articoli di stampa (Espresso 11 maggio 2012; Milano Finanza 25 maggio 2012; Libero 8 giugno 2012; Milano Finanza 8 giugno 2012; Milano Finanza 26 giugno 2012; Fatto Quotidiano 3 luglio 2012; Espresso 4 luglio 2012; nonché le testate specializzate in problemi energetici Quotidiano Energia e la Staffetta Quotidiana) hanno reso pubblico che, allo scopo di individuare candidature alla posizione di amministratore delegato del GSE nonché delle controllate Gestore dei mercati energetici (GME s.p.a.) e Acquirente unico (A.U. s.p.a.), era stata incaricata una primaria società di ricerca e selezione del personale, la Egon Zendher;
          tale società ha sottoposto una quarantina di curriculum vitae al Ministero dello sviluppo economico e successivamente, in aggiunta ai precedenti, ha proposto altri nominativi di manager con una lunga esperienza nel settore energetico;
          nel frattempo nel decreto-legge «spendin review» è stata inserita una norma che prevede nelle società di Stato a totale controllo pubblico, al fine di un maggiore controllo interno delle politiche e degli atti aziendali, una ripartizione di compiti e deleghe fra il presidente e l'amministratore delegato;
          nonostante il GSE sia considerata la quinta società italiana per fatturato in base al «rapporto annuale di Mediobanca sulle principali società italiane» e svolga il delicatissimo compito di amministrare e gestire i circa 30 miliardi di euro l'anno pagati dai cittadini in bolletta attraverso anche la tariffa A3 per incentivare la realizzazione di impianti di energia rinnovabile di proprietà di privati, i Ministeri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, in base a un'altra norma contenuta nel decreto-legge spending review, hanno considerato il GSE una società di «scarsa rilevanza» riducendone il board a tre membri;
          nel fare ciò hanno accorpato le cariche di presidente e amministratore delegato facendo venire meno qualsiasi possibilità di bilanciamento interno e dotando il nuovo amministratore «unico» di poteri assoluti, difficilmente controllabili:
              aver dichiarato il GSE una società di «scarsa rilevanza» e, di fatto averne svalutato il rating, ha creato molte apprensioni negli operatori – che vantano crediti per 120 miliardi di euro – circa la solvibilità dell'azienda;
              i Ministeri competenti, nel decidere le persone da nominare ai vertici del GSE, non solo hanno riconfermato l'amministratore delegato uscente che volevano a tutti i costi sostituire ma gli hanno anche attribuito la carica di presidente; al che verrebbe da dire «tanto rumore per nulla»;
          prima che venga risposto che ciò discende da esigenze di risparmio, le «economie» realizzate nella riduzione del numero dei membri del consiglio di amministrazione da cinque a tre si può quantizzare, sulla base degli elementi in possesso degli interroganti, nella cifra di circa 120.000 euro/annui, tanto quanto era l'emolumento del consigliere indipendente presidente, dovendo gli altri membri essere dirigenti statali cui non spetta alcun compenso  –:
          se la riduzione di ruolo del GSE vada interpretata, come pare agli interroganti, come abbandono della tutela e dello sviluppo delle fonti rinnovabili;
          se, a fronte di tale riduzione di ruolo, in particolare i compiti di verifica e controllo già scarsamente svolti dal GSE verranno attribuiti ad altri enti o organismi pubblici;
          quali siano stati i criteri in base ai quali è stato individuato il nuovo presidente-amministratore delegato e se gli emolumenti da esso percepiti saranno allineati al tetto individuato per i manager pubblici. (4-18518)


      GALLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere, premesso che:
          è già stata presentata una interrogazione in merito alle attività svolte dalla società Terna spa, quale concessionario di pubblico servizio per la trasmissione dell'energia elettrica sulla rete ad altissima tensione, n.  3-02073; a tutt'oggi non è stata fornita risposta alla suddetta interrogazione;
          al fine della formazione dei costi dell'energia elettrica italiani è importante stabilire quale sia la componente aggiuntiva direttamente adducibile a Terna e, in particolare, con riferimento alla componente dovuta all'energia importata dall'estero;
          è utile analizzare ai fini di cui sopra la relazione finanziaria annuale di Terna spa del 2011, da cui si evidenziano i sotto elencati punti:
              a) è indicato a pagina 31 della relazione che Terna agisce come operatore di trasmissione e dispacciamento (Transmission System Operator – TSO) in regime di concessione governativa, ed esercisce ben 22 linee di interconnessione con l'estero;
              b) non è però indicato, sempre a pagina 31, nella mission, che Terna spa si occupa, come è invece previsto dalla concessione governativa e dal regolamento (CE) n.  1228/2003 (ora abrogato e sostituito integralmente dal regolamento (CE) n.  714/2009), di garantire una corretta ed efficiente importazione di elettricità in Italia;
              c) a pagina 72 della relazione è chiaramente indicato che l'Italia ha ricevuto nel 2011 da fornitori esteri 47.349 GWh, pari a ben il 14,25 per cento, del totale dell'elettricità richiesta dall'Italia, pari a 332.274 GWh;
              d) nelle informazioni sul conto economico di Terna (pagina 142 della relazione) risulta un totale di ricavi dalle vendite e prestazioni pari a 1.591,3 milioni di euro. Sono inoltre valorizzate solo due voci fondamentali di ricavi:
                  1) nella prima vi sono i corrispettivi per l'uso della rete nazionale, pari a 1380,8 milioni di euro pagati da tutti i consumatori italiani; inoltre si citano altri ricavi energia pari a 163,4 milioni di euro per l'effettuazione del reperimento dell'elettricità utilizzata per garantire la stabilità delle rete, pagati da tutti i consumatori italiani;
                  2) nella seconda non sono invece valorizzate voci del tutto obbligatorie per i compiti derivanti dalla concessione e dal regolamento (CE) n.  1228 del 2003, oggi (CE) n.  714 del 2009, quali ad esempio quelle relative ai ricavi conseguenti all'applicazione dei seguenti corrispettivi all'energia importata:
          i diritti pagati dagli importatori a Terna per la vendita a tali operatori della capacità di trasporto, detti DCT (diritti di capacità di trasporto), così come previsti dai suddetti regolamenti europei, il cui valore economico è pari a parecchie centinaia di milioni di euro e che viene riversato nelle bollette di tutti gli italiani. Il regolamento (CE) n.  1228 del 2003, oggi (CE) n.  714 del 2009 impone già da molto tempo a Terna – che appare all'interrogante del tutto inadempiente – addirittura di pubblicare ogni anno uno specifico comunicato in cui la stessa Terna non solo deve contabilizzare ed evidenziare il valore dei corrispettivi Dct introitati, ma deve anche obbligatoriamente indicare la destinazione e lo specifico impiego di tali introiti a favore di un sempre maggior sviluppo dell'importazione a buon prezzo;
          i corrispettivi di accesso alla rete italiana dell'elettricità importata, previsti da lungo tempo dal regolamento (CE) n.  1228 del 2003, oggi (CE) n.  714 del 2009, in Italia definiti di capacità di trasporto, detti CCT, pagati dagli importatori per la vendita di Terna a tali operatori di prestazioni per superare presunte e controverse congestioni sulla rete interconnessa del Nord Italia con l'estero, il cui valore complessivo è anch'esso pari a parecchie centinaia di milioni di euro. Anche questi CCT sono riversati nelle bollette di tutti gli italiani;
              e) non sono valorizzati altri ricavi percepiti per vendite e prestazioni, fra cui i due sopra specificati, ritenuti da Terna «passanti» (pagina 143 della relazione) per il notevole importo di 5.025,5 milioni di euro (pari a più di 3 volte i ricavi effettivamente esposti), per il solo fatto che, a detta di Terna, tali ricavi sono coperti da costi equivalenti. Sembra venir meno, a parere dell'interrogante, ogni elementare principio di contabilità che impone a tutte le aziende di porre nel conto economico e valorizzare, assumendone la responsabilità di bilancio e fiscale, qualunque ricavo, come d'altra parte è imposto specificatamente a tutti i venditori di elettricità italiani, anche per costi cosiddetti passanti, ovvero che hanno una esatta contropartita nei costi, come il trasporto, gli oneri generali di sistema, nell'ambito della fornitura di energia al cliente finale. In tal caso, il venditore ha una semplice partita di giro fra cliente e concessionario di rete, ma deve esporre in bilancio ogni posta di ricavo;
              f) giustifica tale esclusione perché le poste      (pagina 142) «si originano da transazioni di acquisto e vendita di energia, perfezionate quotidianamente con operatori di mercato, effettuate per svolgere le funzioni di dispacciamento». Una giustificazione di esclusione che appare all'interrogante incomprensibile;
          secondo Terna queste partite sarebbero di natura «passante» e quindi non contabilizzabili in quanto, in aggiunta, determinerebbero un saldo a zero fra ricavi e costi. La realtà dei fatti smentisce le suddette affermazioni almeno per i DCT, i cui ricavi e costi sono chiaramente evidenziati nel prospetto di pagina 143. Ricavi e costi che innanzitutto non si riferiscono ad acquisti e vendite di energia ma a imposizioni sull'importazione, e che in più non riscontrano un saldo a zero, se Terna per i DCT ha ricavato nel 2011 la somma di 693,7 milioni di euro ed ha speso 420,1 milioni di euro e somme ben più elevate si riscontrano nei periodi non toccati dalla crisi economica, se si vanno a vedere le relazioni di Terna degli anni precedenti  –:
          se il Governo, quale responsabile della concessione di trasmissione e dispacciamento affidata a Terna, ritenga corrette le segnalazioni al bilancio di Terna sopra elencate, e quali iniziative intenda eventualmente assumere nei confronti di Terna, affinché rediga un bilancio corretto e rispettoso delle sue funzioni di concessionario di pubblico servizio, evidenziando, nel conto economico e quindi nella piena responsabilità di bilancio, gli effettivi costi che gravano sul cittadino, valorizzando con precisione – nel bilancio – i costi, ovvero esplicitando dove sono stati impiegati i fondi richiesti da Terna agli italiani, così come anche imposto dai regolamenti europei a partire dal 2003 e chiarendo a bilancio l'origine dell'effettivo reddito di Terna che sembra non ben delineato in questa congerie di ricavi e costi «passanti», non messi a bilancio. (4-18522)

Apposizione di firme ad una mozione.

      La mozione Zampa ed altri n.  1-01183, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lo Moro, Coscia, Samperi, Veltroni, Lucà, De Biasi.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in Commissione Vanalli e altri n.  7-00949, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Brancher.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Marco Carra n.  5-08333, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zani, Colaninno.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Lovelli e Velo n.  5-08389, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 novembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Codurelli.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta orale Barbieri n.  3-00062 del 26 giugno 2008;
          interrogazione a risposta scritta Savino n.  4-18259 del 24 ottobre 2012;
          interrogazione a risposta scritta Polledri n.  4-18334 del 30 ottobre 2012;
          interpellanza Zani n.  2-01732 dell'8 novembre 2012.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Maurizio Turco ed altri n.  4-14204 del 14 dicembre 2011 in interrogazione a risposta orale n.  3-02594;
          interrogazione a risposta in Commissione Lulli e Vico n.  5-07310 dell'11 luglio 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-18500;
          interrogazione a risposta in Commissione Gibiino ed altri n.  5-07329 del 12 luglio 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-18479;
          interrogazione a risposta scritta Di Stanislao n.  4-17838 del 27 settembre 2012 in interrogazione a risposta orale n.  3-02595;
          interrogazione a risposta in Commissione Calvisi ed altri n.  5-08401 del 7 novembre 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-18516;
          interrogazione a risposta in Commissione Crosio e Caparini n.  5-08410 dell'8 novembre 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-18478.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BARBATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il caporal maggiore Giuseppe Tripoli, appartenente al Reggimento Col Moschin della Folgore, si è ammalato del morbo di Hodgkin;
          in precedenti casi affini, come ad esempio quello del militare Vito Mirto, il tumore è stato riconosciuto a quanto risulta all'interrogante come riconducibile a «causa di servizio» e visto anche che gli stessi professori Mandelli e Mele (della Commissione Mandelli) in uno scritto pubblicato sulla rivista «Epidemiologia e Prevenzione» (luglio-ottobre 2001) hanno affermato che non si può escludere un nesso tra l'attività e la malattia, si può quindi ritenere che nel caso del caporale sussista il nesso causale/probabilistico;
          si ritiene che avrebbero dovuto essere stati conferiti i risarcimenti previsti (vedi in particolare speciale elargizione) in base alla legge n.  308 del 1981 (e seguenti);
          il caporal maggiore Tripoli era in «permanenza di servizio» e a quanto risulta all'interrogante ha operato in un poligono dove ha espletato tra l'altro compiti di vedetta e quindi compiti di vigilanza (dai quali scaturiva – in base alle leggi n.  466 del 1980, n.  308 del 1981 e al decreto del Presidente della Repubblica n.  243 del 2006 – l'esistenza dello status di «vittima del dovere» del caporale e dei risarcimenti dipendenti da questa condizione);
          il poligono si trova internamente all'area di Camp Darby;
          è stato posto il segreto sul tipo di armamento (munizionamento) impiegato nel poligono;
          il segreto, è stato tra l'altro precisato, avrebbe addirittura durata di 50 anni (ciò tra l'altro è in contrasto con quanto stabilito dalla legge n.  124 del 2007 che fissa la durata massima del segreto in 15 anni prolungabili in casi particolari a 30);
          tale segreto avrebbe dovuto essere stato ordinato dall'UCSI (oggi UCSE) – l'ufficio centrale di sicurezza con una apposita determinazione (di cui non viene fatto cenno);
          è precisato che la secretazione è da collegarsi a modalità di impiego dei reparti speciali, ma si osserva che neppure i reparti speciali potrebbero operare con armamenti (sentenza Corte di cassazione, 1° sezione, 10 dicembre 2001, relativa ai GOS Gruppi operativi speciali, e agli OSSI, operatori speciali servizio informazione);
          di alcuni armamenti si conoscerebbe la pericolosità, come ad esempio quelli che emettono radiazioni di torio nei sistemi di auto guida;
          il poligono si trova, come sopra menzionato, nell'area di Camp Darby, un'area fuori dal controllo nazionale dove sono custodite armi USA all'uranio impoverito;
          i poligoni sono comunque da considerarsi zone a rischio (vedi legge finanziaria 2008, articolo 2, commi 78 e 79) perché nei poligoni si sviluppano particelle di metalli pesanti;
          il caporal maggiore Tripoli ha operato senza adeguate misure di antinfortunistica, tra l'altro ha svolto anche attività nei veicoli dove certamente nelle soste presso i poligoni si sono depositate particelle di metalli pesanti;
          dovevano essere quindi conferiti i risarcimenti per mancanza di adeguate misure di protezione (vedi articolo 21 del regolamento di disciplina militare);
          in merito alla necessità di adozione di misure di protezione adeguate si cita la sentenza del tribunale civile di Firenze (17 dicembre 2008), relativa al paracadutista G.B. Marica per il quale il tribunale ha stabilito un risarcimento di 545.000 euro;
          nel lancio Ansa del 17 luglio 2012 si legge: «I dinieghi ai risarcimenti per militari e civili che si sono trovati in zone ad alto rischio ambientale, zone contaminate da uranio impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti, sono tutti errati e da rifare». È quanto sottolinea Falco Accame, presidente dell'Associazione assistenza vittime arruolate nelle forze armate, che aggiunge: «si basano, infatti, sull'esistenza o meno di un nesso di causa-effetto di tipo deterministico tra la malattia (tumori) e la loro possibile causa. Nei tribunali civili, invece, in procedimenti giudiziari riguardanti risarcimenti da malattie tumorali, viene da sempre adottato, dato che i tumori possono derivare da molteplici cause, il criterio probabilistico, più esattamente definito nei termini del più probabile che non»  –:
          per quali ragioni sia stato posto un vincolo di secretazione sull'impiego dell'armamento/munizionamento;
          per quali motivi non siano stati conferiti i previsti risarcimenti;
          se non intenda il Ministro portare alla luce i motivi della secretazione ed i contenuti medesimi circa l'impiego di armamenti/munizionamenti nonché conoscere la posizione del Ministero rispetto ai fatti descritti. (4-17061)

      Risposta. — L'affermazione secondo la quale «è stato posto il segreto sul tipo di armamento (munizionamento) impiegato nel poligono», sito all'interno dell'area di Camp Darby, non risponde al vero.
      La base di Camp Darby è, infatti, un'installazione priva di poligono, concessa in uso alle forze armate statunitensi a seguito di specifici trattati bilaterali, in virtù dei quali l'Italia ne mantiene, comunque, il controllo.
      La sovranità nazionale viene assicurata dalla presenza del comandante italiano dell'installazione, attraverso il quale è possibile verificare la tipologia di armamento e di munizionamento immagazzinato.
      Peraltro, non risulta agli atti del comando della base l'esistenza, passata e/o presente, di poligoni militari di tiro all'interno dell'installazione, nei quali siano state condotte esercitazioni di tiro con la partecipazione di personale proveniente dalla brigata paracadutisti «Folgore» 9o reggimento d'assalto paracadutisti «Col Moschin».
      È ancora il caso di aggiungere, riferendosi, più in generale ai poligoni, che le attività addestrative e sperimentali sono sempre effettuate nel pieno rispetto di precise norme di legge e di sicurezza; anche i Paesi esteri utilizzatori dei nostri poligoni, devono attenersi, a seguito degli accordi bilaterali stipulati, ai regolamenti vigenti e sono tenuti anche a firmare dichiarazioni puntuali dalle quali si evince l'utilizzo di munizionamento esclusivamente convenzionale.
      Il «disciplinare ambientale» in uso nei poligoni militari prevede che ogni attività sia oggetto di una valutazione preventiva basata sulla documentazione tecnica del materiale da utilizzare, di un controllo di coerenza tra le attività pianificate e quelle effettuate durante le esercitazioni e/o sperimentazioni e, infine, di un controllo successivo all'esercitazione/sperimentazio- ne, durante il quale si interviene con la bonifica, qualora ritenuta necessaria.
      In merito alla vicenda del caporal maggiore, cui fa riferimento l'interrogante, si rappresenta che lo stesso – in servizio presso la compagnia comando e servizi del 9° reggimento d'assalto paracadutisti «Col Moschin» dal 23 giugno 1999 al 25 novembre 2000 – è stato collocato in congedo assoluto dal 26 novembre 2000 per riforma, in quanto riscontrato affetto da una patologia tumorale – accertata dalla commissione medico ospedaliera del Centro militare di medicina legale di Palermo – per la quale l'interessato ha chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
      Tale infermità è stata riconosciuta non dipendente da causa di servizio dal «Comitato di verifica per le cause di servizio» del Ministero dell'economia e delle finanze – il cui parere è vincolante e obbligatorio per l'amministrazione – che non ha ravvisato, nei servizi prestati, specifici fattori di rischio ai fini dell'insorgenza o dell'aggravamento dell'affezione.
      Il militare, con ricorso avverso il provvedimento di diniego, depositato in data 22 maggio 2009 presso la Corte dei conti sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, ha rappresentato di aver assolto il servizio militare in qualità di conduttore di automezzi e di aver partecipato a diverse esercitazioni in poligoni di tiro, al termine delle quali le armi venivano pulite con solventi chimici, dichiarando, inoltre, di essere venuto a contatto con automezzi impolverati rientrati dall'estero senza adeguate protezioni.
      La Sezione Giurisdizionale per la regione Lombardia della Corte dei conti, sulla base della documentazione fornita dal reggimento di appartenenza, ha emesso la sentenza n.  727 del 2011 con la quale, evidenziando la mancanza di prova della dipendenza di causa di servizio prevista dagli articoli 64 e 67 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1092 del 1973, ha rigettato il ricorso.
      Quanto, invece alla speciale elargizione, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010 (articoli 1078 – 1084), il militare ha presentato istanza, in data 15 ottobre 2009, volta a ottenere tale beneficio.
      Attivata la relativa istruttoria, è stato interessato il comitato di verifica per le cause di servizio che, con parere n.  20599 del 2010 in data 29 novembre 2011, ha dichiarato l'infermità sofferta dal militare non riconducibile alle particolari condizioni ambientali o operative ovvero a particolari fattori di rischio.
      In applicazione dell'articolo 6 della legge 11 febbraio 2005, n.  15, è stato inviato all'interessato il preavviso di diniego e, a seguito delle osservazioni e dei documenti presentati dal militare, è stato espresso dal richiamato Comitato – in sede di riesame – un ulteriore parere negativo che ha confermato il precedente «in quanto nelle osservazioni presentate dall'interessato non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio espresso» (parere n.  688 del 2012 in data 29 febbraio 2012),
      L'amministrazione, quindi, conformandosi ai pareri del menzionato organo medico-legale ha emesso il relativo provvedimento negativo, ritualmente notificato all'interessato, con il quale è stata respinta l'istanza da lui prodotta.
      Successivamente, a seguito di documentata domanda prodotta dal militare, è stato nuovamente chiesto, in data 26 giugno 2012, al comitato di verifica di valutare se ricorrano le condizioni per un approfondimento della questione e, eventualmente, di esprimere, in autotutela, un ulteriore parere, del quale si è tuttora in attesa.
      Si precisa, al riguardo, che l'Amministrazione, in ossequio alle disposizioni vigenti, non solo ha l'obbligo di chiedere al comitato – la cui attività è posta al di fuori delle attribuzioni istituzionali della Difesa – il parere sulla dipendenza e sulla riconducibilità alle particolari condizioni ambientali o operative dell'infermità da cui è affetto il soggetto, ma anche di attenersi al parere stesso.
      L'amministrazione ha soltanto la facoltà, in caso di parere negativo e qualora ne ravvisi le ragioni, di chiederne il riesame, ma di adeguarsi allo stesso qualora risultasse confermato.
      In merito all'asserito diritto del caporal maggiore ai «risarcimenti previsti (vedi in particolare speciale elargizione) in base alla legge n.  308 del 1981», il caso in questione non rientra in alcuna delle fattispecie richiamate dall'interrogante: il militare non era in servizio permanente, rivestendo lo status di «volontario in ferma breve» e ha svolto l'incarico di conduttore di automezzi e non di vedetta con funzioni di guardia/vigilanza;
      Si precisa, al riguardo, che ai sensi dell'articolo 1895, commi 1 e 2, del decreto legislativo n.  66 del 2010 (nel quale è confluito l'articolo 6, comma 3, della legge n.  308 del 1981) e dell'articolo 5 della legge n.  308 del 1981, infatti, la speciale elargizione compete unicamente laddove i militari, appartenenti alle diverse categorie, risultino «caduti nell'adempimento del dovere in servizio di ordine pubblico o di vigilanza ad infrastrutture civili e militari ovvero in operazioni di soccorso o semplicemente deceduti durante il periodo di servizio».
      Per completezza d'informazione, si ritiene opportuno chiarire che, nel caso del maresciallo richiamato dall'interrogante, allo stesso è stata riconosciuta la riconducibilità della malattia alle particolari condizioni ambientali o operative per il servizio svolto nel corso delle missioni all'estero e, dunque, in un diverso contesto operativo.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      BARBATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          c’è stato un concorso pubblico, per titoli ed esami per il 2012, per il reclutamento di 3.756 volontari in ferma prefissata quadriennale nell'Esercito, nella Marina militare, compreso il corpo delle capitanerie di porto, e nell'Aeronautica militare, indetto con decreto interdirigenziale n.  306 dell'11 ottobre 2011, emanato dalla direzione generale per il personale militare di concerto con il comando generale del corpo delle capitanerie di porto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4o serie speciale n.  82 del 14 ottobre 2011 riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP 1) in servizio, anche in rafferma annuale, o in congedo per fine ferma, così suddivisi: 2900 posti nell'Esercito ripartiti nella seguenti immissioni: 1450 posti nella 1o immissione, 1450 posti nella 2o immissione, 365 posti nella Marina Militare, di cui 314 per il Corpo equipaggi militari marittimi (CEMM) e 42 per il Corpo delle capitanerie di porto (CP) ripartiti nelle seguenti immissioni: 178 posti, di cui 157 per il CEMM e 21 per le CP nella 1o immissione 178 posti, di cui 157 per il CEMM e 21 per le CP nella 2o immissione, 500 posti nell'Aeronautica Militare ripartiti nella seguente immissione: 250 posti nella 1o immissione, 250 posti nella 2o immissione;
          lo svolgimento del concorso per ciascuna immissione prevedeva una prova di selezione culturale, accertamenti, nell'ambito di ciascuna Forza armata, dell'idoneità fisio-psico-attitudinale comprensiva delle prove di efficienza fisica, valutazione dei titoli;
          con il decreto n.  380 del 6 dicembre 2011 si ha l'aumento di circa 474 posti nella sola immissione dell'Esercito;
          la prova di selezione culturale relativa alla immissione del concorso inizia il 31 gennaio 2012 e termina il 13 febbraio 2012;
          con il decreto n.  34 del 14 febbraio 2012 è stato dato l'avviso riguardante la sessione di recupero delle prove di preselezione a causa delle eccezionali condizioni meteorologiche avverse che hanno colpito l'Italia;
          la sessione di recupero della prova di selezione culturale avviene nei giorni 1-2 marzo 2012;
          il decreto n.  51 dell'8 marzo 2012 – esiti della selezione culturale Esercito Italiano, ha decretato idonei n.  3000 candidati alle fasi successive del concorso;
          il decreto n.  52 dell'8 marzo 2012 – esiti della selezione culturale Marina Militare, ha decretato idonei n.  463 candidati alle fasi successive del concorso;
          il decreto n.  53 dell'8 marzo 2012 – esiti della selezione culturale Aeronautica Militare, ha decretato idonei n.  500 candidati alle fasi successive del concorso;
          il 18 maggio 2012 è stato fissato calendario prove di selezione culturale per la 2o immissione del concorso, con inizio 20 giugno 2012 fino al 2 luglio 2012;
          il decreto n.  128 del 14 giugno 2012 ha approvato la graduatoria finale riguardante la 1o immissione della Marina militare, risultano vincitori n.  80 concorrenti per il CEMM (a fronte dei 157 posti previsti inizialmente dal bando) e n.  21 concorrenti per la CP (numero dei posti rimasto invariato come da bando);
          con il decreto n.  138 del 20 giugno 2012 – è stata approvata la graduatoria finale riguardante la 1o immissione dell'Esercito risultano vincitori n.  1375 concorrenti (a fronte dei 1924 posti previsti inizialmente dal bando e dal successivo aumento);
          con il decreto n.  139 del 21 giugno 2012 – è stata approvata la finale graduatoria la 1o immissione dell'aeronautica militare, risultano vincitori n.  250 concorrenti (posti previsti inizialmente dal bando);
          settantasette giovani sono risultati vincitori tra questi, ciò nonostante, per effetto dei tagli operati dalla cosiddetta Spending review non sono più idonei;
          l'articolo 11 di questo bando enuncia: «Resta impregiudicata per l'Amministrazione della difesa la facoltà di revocare il presente bando di concorso, modificare il numero dei posti, annullare, sospendere o rinviare lo svolgimento delle attività previste dal presente concorso o le ammissioni alla ferma prefissata quadriennale dei vincitori, in ragione di esigenze attualmente non valutabili né prevedibili, ovvero in applicazione di leggi di bilancio dello Stato o finanziarie o di disposizioni di contenimento della spesa pubblica. In tal caso, l'Amministrazione della difesa provvederà a dare formale comunicazione mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4o serie speciale»;
          la Gazzetta Ufficiale non ha dato comunicazione alcuna dei tagli effettuati in questo bando di concorso;
          i 77 giovani idonei vincitori sono venuti a conoscenza dei suddetti tagli solo ed esclusivamente leggendo la graduatoria;
          lo Stato italiano attraversa una profonda crisi economica ed è in atto una riorganizzazione/riduzione organico-amministrativa;
          nel corso delle procedure concorsuali si è incrementato il 6 dicembre 2012 di n.  474 posti circa la 1o immissione dell'Esercito, convocando di seguito n.  3000 persone alle altre fasi concorsuali (visite mediche, prove efficienza fisica ed eventualmente colloquio con lo psicologo) per dichiarare poi vincitori solo 1375 persone;
          risultano dunque 77 marinai vincitori perché collocati nei primi 157 posti della graduatoria finale (previsti dal bando) e pubblicata il 14 giugno 2012;
          ci sono pertanto 77 volontari idonei e vincitori pronti a partire, mentre il Ministero della difesa preferisce esaminare nuovi concorrenti, e sostenere altre spese per le procedure concorsuali, il tutto per assumere n.  80 volontari della stessa categoria ossia CEMM;
          tutto ciò appare all'interrogante contraddittorio e fuorviante;
          se i tagli sono stati fatti per motivi economici, non si comprende cosa si risparmierebbe con tale decisione del tutto «discriminante»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intenda assumere rispetto ad essi;
          se non intenda assumere iniziative per l'assorbimento/reclutamento come da bando anche di questi 77 giovani vincitori;
          per quali motivi gli stessi non siano stati raggiunti da alcun avviso o spiegazione rispetto all'epilogo del bando, posto che gli stessi hanno subito un dispendio economico e di tempo;
          se non si intenda seguire l'esempio dell'Aeronautica militare che dopo avere giudicato idonei e vincitori i primi 250 volontari (come previsto dal bando) per la 1° immissione, per i quali il Ministero ha sostenuto spese per le procedure concorsuali, per la 2o immissione ha previsto solo il reclutamento di n.  50 volontari, cosicché gli stessi al termine delle procedure concorsuali non subiranno tagli, perché già effettuati ed annunciati in precedenza, considerato che i giovani hanno diritto a ricevere spiegazioni, hanno diritto al lavoro e soprattutto meritano lealtà, trasparenza e democrazia. (4-17366)

      Risposta. — La questione relativa all'intervento in chiave riduttiva delle unità da reclutare nell'ambito del concorso in argomento, s'inquadra nel più ampio contesto di perdurante e grave crisi finanziaria che sta interessando il nostro Paese e che impone a tutte le amministrazioni di concorrere concretamente e responsabilmente al perseguimento degli obiettivi di riduzione della spesa pubblica.
      Infatti, in relazione alla stringente necessità di pervenire a risparmi per effetto della più ampia rivisitazione della spesa pubblica recentemente prevista dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 3 maggio 2012 (cosiddetta «Spending Review»), è stato inevitabile per l'amministrazione intervenire drasticamente, operando un indispensabile ridimensionamento delle spese relative al settore del personale della Difesa, con conseguenti ripercussioni anche sull'entità complessiva dei reclutamenti previsti nel 2012 per l'Esercito, la Marina e l'Aeronautica.
      Tale entità, infatti, si è ridotta di 4.000 unità complessive, passando dalle originarie 24.636 a 20.636 unità. Questo intervento evidentemente ha interessato, in varia misura, il reclutamento del personale dei diversi ruoli, tra cui anche i volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP4), la cui riduzione dei posti messi a concorso è oggetto dell'interrogazione in discussione.
      Con tale intervento – peraltro rientrante nella facoltà dell'amministrazione (come previsto nel bando concorsuale) – si è inteso guardare anche in prospettiva, nel senso di salvaguardare, il più possibile, il personale coinvolto, immettendo in ferma quadriennale un numero di unità tali da consentire alle stesse adeguate possibilità di transito nei ruoli del servizio permanente al termine della ferma quadriennale.
      Nel merito, devo sottolineare che, come previsto dal bando di concorso, l'amministrazione ha provveduto a formalizzare tale riduzione di n.  1.653 posti con decreto interdirigenziale n.  168 del 6 agosto 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale – n.  64 del 17 agosto 2012.
      Ciò premesso, faccio osservare che in esito a questo intervento in senso riduttivo, ciascuna Forza armata ha adottato scelte differenti in relazione al grado d'incidenza della riduzione sui due scaglioni di personale che aveva titolo a partecipare alle fasi di selezione. In particolare:
          l'Esercito e l'Aeronautica hanno indirizzato il taglio in misura maggiore sulla seconda immissione in quanto la prima era ormai in fase avanzata;
          la Marina ha suddiviso la riduzione in maniera uniforme tra le due immissioni.
      Per quanto concerne, invece, l'auspicato assorbimento/reclutamento del personale che è stato interessato dalla riduzione in parola, purtroppo, le diverse soluzioni ipotizzate in proposito da altri deputati nell'ambito di interrogazioni di analogo contenuto, risultano non percorribili.
      In particolare, l'ipotizzato ripristino delle precedenti posizioni concorsuali non è adottabile in considerazione:
          dello scenario finanziario di riferimento, che, nel frattempo, risulta ancora più accentuato anche per il recente intervento del decreto-legge 95 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n.135, che impone una contrazione dell'organico della Difesa non inferiore al 10 per cento;
          della disparità che si verrebbe a creare rispetto ai concorsi per il reclutamento di altre tipologie di personale che, parimenti, sono stati ridotti nell'anno corrente di 2.347 unità (pari alla differenza tra i 4.000 posti complessivamente ridotti e la predetta riduzione di 1.653 unità riferite ai soli reclutamenti di VFP4).

      Allo stesso modo, non appare praticabile anche un eventuale scorrimento della graduatoria delle immissioni del prossimo anno. Ciò in quanto, le previsioni di reclutamento per il 2013, pur se ancora in via di definizione, sono improntate a un'ulteriore contrazione dei volumi complessivi con un numero di posti da destinare al concorso VFP4 ancora più contenuto rispetto alle immissioni finali dell'anno 2012.
      Conseguentemente, ove si riconoscesse la possibilità di scorrere la graduatoria, l'assegnazione dei nuovi posti, che andrebbe in via quasi esclusiva ai candidati del concorso dell'anno corrente, escluderebbe la possibilità ai giovani che hanno assunto quest'anno la ferma di un anno (VFP1) di concorrere per l'immissione alla successiva ferma quadriennale del 2013.
      Si sta valutando, tuttavia, l'ipotesi di riconoscere ai candidati giudicati idonei ma non vincitori per la riduzione dei posti operata, punti di merito da far eventualmente valere in occasione delle procedure concorsuali del prossimo anno, ove tale personale decidesse di parteciparvi.
      Infine, in relazione al fatto che una consistente aliquota dei VFP4 destinata alle forze di polizia non potrà trovare collocazione per effetto della riduzione del turn over al 20 per cento, contestualmente introdotto dal medesimo decreto-legge 95 del 2012, sono in corso approfondimenti per verificare che possibilità vi siano di incrementare, nel periodo 2012-2015, il turn over delle citate forze di polizia, anche al fine di ricollocare un maggior numero di VFP4.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la Nuova federazione autonoma A.D.P. da alcuni mesi sta denunciando la grave situazione in cui versa la squadra di frontiera della polizia di Stato all'aeroporto internazionale «V. Bellini» di Catania-Fontanarossa;
          a fronte di un organico complessivo di 145 unità i poliziotti in forza alla squadra di frontiera sono soltanto 10 più 2 coordinatori;
          a giudizio dell'interrogante e della Nuova federazione autonoma A.D.P., con le attuali risorse umane è impossibile assicurare un controllo costante e vigile dei passeggeri a rischio, cioè di quelli in possesso di documenti falsi, o riuscire a compiere un attento ed efficace servizio rivolto a quegli individui che possono mettere in pericolo la sicurezza interna degli Stati membri dell'Unione europea;
          la segreteria provinciale della Nuova federazione autonoma A.D.P. ha sollecitato il 7 ottobre il locale dirigente di polizia ad una soluzione condivisa, ma, a tutt'oggi, non ha ottenuto alcuna risposta;
          nella nota di ottobre erano state richieste, altresì, migliorie per l'attività di controllo passaporti, per la sala arrivi ed ulteriori modifiche ai box controlli documentali di frontiera con l'unico scopo di agevolare e migliorare l'attività di verifica dei passeggeri;
          il 14 novembre 2011, una delegazione sindacale della Nuova federazione composta da dirigenti regionali e provinciali si è recata a Palermo per incontrare il direttore della VII zona «Sicilia» per renderlo partecipe della problematica esposta e richiedendo un intervento risolutivo che, ad oggi, tarda ad arrivare;
          la Nuova federazione autonoma A.D.P. ha, pertanto, dichiarato il 19 dicembre 2011, lo stato di agitazione del personale fino a quando non si addiverrà ad una soluzione  –:
          quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-14766)

      Risposta. — L'ufficio polizia di frontiera marittima ed aerea di Catania è composto da un'aliquota di personale pari a 140 unità; di queste 121 espletano le funzioni istituzionali della Specialità presso l'aeroporto «Vincenzo Bellini» di Catania-Fontanarossa.
      Il predetto scalo aereo, allo stato attuale, risulta essere interessato da un'attività operativa contraddistinta, prevalentemente, da collegamenti nazionali, intra-Schengen e intra Unione europea;
      Va rilevato, infatti, che a seguito del trattato di Schengen, nell'attività dell'aeroporto internazionale «Vincenzo Bellini» di Catania-Fontanarossa, l'incidenza dei voli assume particolare consistenza solo in determinati periodi dell'anno, ed in particolare in concomitanza della stagione estiva, durante la quale, si è ritenuto utile destinare a suddette attività anche personale della squadra di frontiera marittima, nonché personale abitualmente impiegato nei settori burocratici ed amministrativi.
      Al riguardo, giova, comunque, rappresentare che, in concomitanza di una più intensa attività operativa, l'orario di servizio del personale è stato disciplinato da accordi sindacali decentrati.
      Per quanto riguarda, invece, l'attività della polizia di frontiera con caratteristiche extraschengen, è stato accertato che durante il periodo invernale ed autunnale la maggiore incidenza dei voli si registra soltanto nelle fasce orarie 8,00 – 20,00. In alcune giornate in cui non si registra nessun movimento, il personale assegnato viene utilmente impiegato nelle delicate funzioni di sicurezza, di polizia giudiziaria e di vigilanza per i voli.
      Detto personale viene incrementato nei periodi di maggiore flusso.
      Per ciò che attiene, invece, le ulteriori problematiche rappresentate, si fa presente che il personale rispetta le regole dei manuale pratico e del catalogo Schengen che prevedono «un numero adeguato di agenti», tenendo conto dei controllo costante del flusso passeggeri, dell'ora diurna o notturna, della situazione alle frontiere, del livello di minaccia, dell'attrezzatura disponibile e del contesto operativo in generale.
      Le prescritte verifiche documentali vengono eseguite, secondo le previsioni della vigente normativa in materia, da personale qualificato, pari a 12 unità, la cui turnazione di servizio rientra nella tipologia prevista dall'accordo nazionale quadro del 31 luglio 2009.
      Le prescritte verifiche di frontiera, attesa la tipologia del flusso passeggeri che interessa lo scalo aereo, sono espletate dal personale della specialità secondo le previsioni regolamentari dell'Unione europea: allo stato, non risultano profili di criticità.
      L'agitazione del personale non ha coinvolto tutto il personale addetto alla Frontiera, ma solo alcune unità.
      Il restante personale ha condiviso le scelte operative e logistiche della dirigenza.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      DI BIAGIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi tre anni il Governo ha adottato dei tagli lineari nel comparto sicurezza che ammontano a ben tre miliardi di euro, pari al 10 per cento del bilancio complessivo del Ministero dell'interno ed in particolare le risorse della divisione investigativa antimafia sono state ridotte di 13 milioni di euro;
          il disegno di legge di stabilità prevede importanti riduzioni di stanziamenti economici alle forze di polizia. Il taglio dei fondi destinati alla direzione investigativa antimafia, comporterà la chiusura di tre sedi, quali Lecce, Trapani e Trieste ed in prospettiva di altre quattro sedi, quali Agrigento, Catanzaro, Salerno e Messina, presidi della lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso;
          tra le misure che saranno adottate nel disegno di legge di stabilità, figura la decurtazione stipendiale per gli appartenenti alla divisione investigativa antimafia, relativamente al T.E.A. – trattamento economico aggiuntivo – previsto normativamente sin dal 1992 quando è stata istituita la DIA. Per il grado di ispettore, il TEA ammonta a 320 euro al mese;
          la misura segue una previsione di risparmio per 13,1 milioni dal 2012. La decurtazione stipendiale, anche oltre il 20 per cento della retribuzione mensile – uno stipendio di un ispettore con 32 anni di servizio è di circa 2000 euro – non è stata attuata nei confronti di alcuna categoria. Essa sarebbe percepita come una chiaro accanimento nei confronti di poliziotti, carabinieri e finanzieri della DIA;
          va ricordato che gli stessi operatori DIA sono già stati colpiti dal decreto-legge n.  78 del 2010, che prevede gli stipendi bloccati fino al 31 dicembre 2014, nessun riconoscimento stipendiale relativo al compimento dell'anzianità di servizio (cosiddetto assegno di funzione), nessun riconoscimento stipendiale per avanzamento di grado, riduzione del premio produttività e contempla ulteriori tagli sugli straordinari e sulla tredicesima;
          si tratta di tagli che non tengono nella debita considerazione, anzi vanno in direzione di un assoluto dispregio, la peculiarità e l'importanza dell'attività svolta da questi servitori dello Stato che, con i risultati conseguiti nella lotta alle mafie, hanno permesso al Ministro dell'interno di affermare che con questo Governo è stato messo in campo il più grande sistema di contrasto alla mafia mai attuato;
          ci troviamo dinanzi ad una scelta irragionevole: alla divisione investigativa antimafia, creata nel 1991 con la legge n.  410 e fortemente voluta da Giovanni Falcone al fine di allineare il sistema di contrasto italiano a modelli organizzativi già efficacemente collaudati in altri Paesi, si tagliano i fondi in modo radicale, mentre sono profondamente carenti le misure di potenziamento richieste dal contesto temporale che evidenzia uno stato di piena emergenza mafiosa, come testimonia il fatturato delle organizzazioni criminali, che ammonta a 200 miliardi di euro;
          illuminanti sul tema sono le parole che il magistrato Antonino Caponnetto scrisse nel libro «I miei giorni a Palermo»: «Non vorrei che a qualcuno fosse venuto in mente di comprimere o limitare i poteri di un organismo che già lavora in condizioni difficili... il mio auspicio è che si pensi a potenziarla, piuttosto che a inventare nuove figure...»  –:
          se corrispondano al vero le notizie circa l'intenzione del Governo di ridurre le risorse alla DIA con la conseguente chiusura anche di alcune sedi della direzione investigativa antimafia;
          se corrisponda al vero che il Governo intenda cancellare il trattamento economico aggiuntivo corrisposto a tutto il personale in servizio presso le sedi della DIA, che quotidianamente ottiene ottimi risultati nella lotta alla criminalità, nonostante i tagli;
          cosa il Ministro interrogato intenda fare per scongiurare la chiusura delle sedi della direzione investigativa antimafia e i tagli stipendiali per gli appartenenti alla direzione investigativa antimafia affinché non siano i cittadini a dover pagare, ancora una volta, il prezzo più alto di una razionalizzazione di risorse che, così postulata, porterebbe a lasciare scoperta la lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso. (4-13705)

      Risposta. — A vent'anni dalla sua costituzione, la Dia mantiene il suo ruolo strategico per il contrasto alla criminalità organizzata, sia sul versante delle investigazioni preventive, sia su quello delle investigazioni giudiziarie su disposizione della Direzione Nazionale antimafia.
      Per un'analisi dell'attuale situazione occorre tener conto delle modalità con le quali la normativa intervenuta in materia, in particolare dal 2008, ha inciso sulle competenze della Dia, anche con riferimento ai rapporti con le forze di polizia, nonché delle concrete strategie adottate e delle azioni di contrasto della criminalità nel settori di specifica competenza.
      La Dia ha uno spazio operativo di significativa valenza in settori specifici: oltre all'aggressione dei patrimoni di mafia, si evidenzia il ruolo propulsivo e propositivo nella conduzione di investigazioni giudiziarie che hanno consentito di incidere sui beni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata.
      Peraltro, la nuova piattaforma normativa antimafia, la cui disciplina è confluita nel cosiddetto «codice antimafia», ha ulteriormente formalizzato, con norme primarie, la missione prioritaria affidata alla Dia di aggressione di patrimoni mafiosi attraverso le «investigazioni preventive finalizzate ai sequestri dei patrimoni illeciti, lo sviluppo delle operazioni finanziarie sospette ed i monitoraggi degli appalti pubblici». Tale finalità viene perseguita anche grazie all'attività del consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, cui è deputata l'elaborazione delle strategie di contrasto alla criminalità, la razionalizzazione delle risorse impiegate, nonché la periodica verifica dei risultati conseguiti.
      Proprio per le considerazioni sin qui esposte appare evidente come non rientri nelle intenzioni del Governo procedere a un ridimensionamento della Dia anzi è stato potenziato il dispositivo territoriale attraverso l'istituzione di una sezione operativa a Bologna.
      Nonostante le difficoltà economiche, verrà garantita l'operatività della nuova struttura, almeno in una prima fase ad invarianza della forza organica della Dia con una manovra delle risorse a disposizione.
      Il Governo è ben consapevole del ruolo strategicamente rilevante svolto dagli uomini della necessità di migliorare la funzionalità e l'operatività della struttura, nonché tutelare la posizione dei dipendenti compatibilmente con le esigenze della finanza pubblica.
      Pur in una fase di contenimento della spesa pubblica e di limitazione al turnover anche per il personale delle forze di polizia, non è stata prevista alcuna riduzione dell'organico della Dia. Di fronte all'urgente necessità di contenimento della spesa, il Governo con la legge di stabilità 2012 (legge n.  183 del 2011) ha preferito intervenire sul trattamento economico aggiuntivo ristabilendo così un principio di equità tra gli operatori di polizia. Gli appartenenti alle strutture territoriali delle Forze di polizia, infatti, non godono del trattamento economico accessorio percepito dal personale interforze della Dia. E ciò anche quando il personale dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato è chiamato a far parte di settoriali gruppi di lavoro che effettuano controlli antimafia sul territorio.
      Occorre, tuttavia, evidenziare – rispetto a questa previsione – che è stato istituito un fondo volto al finanziamento di misure perequative per il personale appartenente al comparto sicurezza e difesa e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che interessa anche il personale appartenente alla Dia.
      Rispetto all'originario disegno della Dia vi è stato un parziale scostamento nell'attuazione pratica dell'iniziale progetto.
      È da escludere, tuttavia, che tale struttura abbia finito per sovrapporsi nell'ambito operativo e funzionale delle altre componenti del sistema della sicurezza. Il suo sviluppo nel tempo, è stato piuttosto orientato a farne emergere la vocazione specialistica, che non sembra aver sofferto, in maniera particolare, della mancanza di un'attribuzione esclusiva di compiti in materia di lotta alle mafie.
      In tale contesto sono ovviamente indispensabili forme di raccordo che scongiurino sovrapposizioni disfunzionali per l'andamento e il buon esito delle indagini.
      Fino ad oggi i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata costituiscono un sintomo di un'efficace sinergia – anche sul piano dell'attività di investigazione delegata – tra le varie specialità costituite nell'ambito delle varie Forze di polizia.
      Il patrimonio di professionalità espresso dagli operatori della sicurezza è indispensabile nelle attività di polizia giudiziaria che presentano un grado elevatissimo di complessità anche in ragione delle proiezioni internazionali e delle alleanze transnazionali che connotano la minaccia globale rappresentata dalle organizzazioni criminali.
      La conoscenza del fenomeno, i successi investigativi degli ultimi anni, di cui è prova la cattura di pericolosi latitanti, e l'impegno costante nella ricerca di nuovi strumenti operativi hanno, infatti, portato all'adozione di progetti di contrasto sempre più flessibili ed adeguati.
      In questo senso, riveste assoluta priorità il coordinamento investigativo, soprattutto nel corso delle indagini che si proiettano oltre i confini nazionali, in una piena condivisione del patrimonio informativo ed anche attraverso un convinto rafforzamento della cooperazione internazionale.
      In questo ambito è stata realizzata una mappatura completa, a livello nazionale, dei sodalizi criminali e dei singoli affiliati operanti sul territorio, attraverso un progetto informatico denominato «M.A.CR.O.» (mappe della criminalità organizzata). Già avviato, nei mesi scorsi, nelle province di Salerno, Benevento ed Avellino, il progetto sarà esteso, in prospettiva, a tutto il territorio nazionale, consentendo la condivisione delle informazioni acquisite nonché la quantificazione dei sodalizi e dei rispettivi affiliati.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 2 agosto 2012, l'Anavafaf ha inviato una lettera alla commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio, impoverito e alle Commissioni difesa di Camera e Senato;
          nella lettera si citano le numerose richieste che l'Associazione riceve da parte del personale colpito da tumori per possibili danni da nano particelle. Il personale colpito chiede i risarcimenti basandosi su analisi che testimoniano la presenza delle nano(micro) particelle nel corpo. Attualmente si fa riferimento per dette analisi al laboratorio dell'università di Modena, pertanto sono tutte a pagamento;
          l'Anavafaf ritiene che le spese per tali analisi debbano essere a carico dello Stato e che, quindi, in ciascuna delle regioni debba esserci la possibilità presso la sanità militare o civile di eseguirle;
          negli Stati Uniti queste analisi sono state condotte circa 30 anni fa e le nano particelle di uranio impoverito vennero trovate nel poligono dell'aeronautica militare Usa in Florida (poligono Eglin nel 1977);
          l'Anavafaf denuncia, altresì, la necessità, per evitare eventuali interferenze tra le attività di consulenza della commissione e l'attività sanitaria specifica per il campo d'indagine di cui si occupa la commissione stessa, che le analisi possano essere eseguite sotto certificazione nelle varie regioni d'Italia;
          un'altra questione da trattare riguarda le cure mediche all'estero. È auspicabile che, in quei casi di infermità per i quali la sanità italiana presenta alcune insufficienze, al personale sia data la possibilità di recarsi gratuitamente all'estero  –:
          se il Governo non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di assicurare e garantire parità di condizioni di assistenza medica a tutto il personale ammalato, di dare la possibilità di eseguire analisi gratuite e di avviare convenzioni con ospedali all'estero in grado di intervenire su alcune specifiche infermità che in Italia possono non trovare, le giuste e necessarie cure mediche. (4-17279)

      Risposta. — La problematica rappresentata dall'interrogante trova soluzione già nella normativa attualmente vigente; nello specifico, l'articolo 1881 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, stabilisce che «sono a carico dell'Amministrazione le spese di cura, comprese quelle per ricoveri in istituti sanitari e per protesi sostenute dal personale dell'Esercito italiano, della Marina militare e dell'Aeronautica militare e delle Forze di polizia a ordinamento militare».
      In particolare, è previsto il rimborso delle spese sostenute, nonché l'anticipo di quelle da sostenere, per cure e per altre prestazioni sanitarie, a favore del personale militare in servizio permanente e in quiescenza, dei militari in ferma breve e dei volontari in ferma prefissata di uno e quattro anni (VFP1-VFP4), in conseguenza di patologie, ferite o lesioni, riconosciute dipendenti da causa di servizio ovvero per le quali ci si trovi nelle more del riconoscimento della causa di servizio.
      Le spese rimborsate o anticipate sono quelle riferibili a infermità contratte oltre che nel corso di missioni compiute al di fuori del territorio nazionale, nello svolgimento di attività operative o addestrative, anche sul territorio nazionale.
      Per tali attività s'intendono quelle svolte per l'adempimento dei compiti istituzionali con impiego di mezzi/attrezzature militari o che comportino una particolare esposizione al rischio, con esclusione di quelle prettamente didattiche o scolastiche.
      Al riguardo, il rimborso/anticipo delle richiamate spese viene effettuato, con oneri a carico del bilancio della Difesa – in relazione agli importi non corrisposti dal Servizio sanitario nazionale, in applicazione del principio di sussidiarietà – a cura degli enti militari territorialmente competenti, preventivamente autorizzati dalla Direzione generale della previdenza militare della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati.
      Quanto alla possibilità di effettuare cure all'estero, si osserva che, pur non essendo state avviate convenzioni a tal fine, è già previsto, a favore del personale militare affetto da malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio, il rimborso e/o anticipo delle spese per prestazioni sanitarie eseguite o da eseguire presso centri di altissima specializzazione all'estero, laddove le stesse non trovino in Italia possibilità di essere adeguatamente effettuate.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      GIRLANDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella zona di via Veneto a Roma, una delle aree residenziali e turistiche più prestigiose della capitale, sono attivi numerosi locali notturni e night club siti nelle traverse e nelle immediate adiacenze della stessa via Veneto;
          tali locali utilizzano da tempo, nelle ore notturne di apertura, i cosiddetti «buttadentro», persone cioè adibite a convincere i passanti ad entrare ed usufruire di tali locali notturni;
          questi cosiddetti promotori non sono tuttavia operanti sull'ingresso dei locali, ma su via Veneto o sugli incroci principali a maggiore passaggio;
          recentemente l'interrogante, in compagnia di un amico all'uscita di un ristorante della zona, è stato direttamente testimone intorno alle ore 23 all'incrocio tra via Ludovisi e via Emilia dell'incresciosa insistenza di uno di tali promotori di locali notturni, di circa settant'anni e indossante malgrado l'ora notturna un cappello da baseball, che con particolare ostinazione proferiva offerte del tipo «dolce vita», «bel locale con belle ragazze» e simili proposte;
          al fermo rifiuto di un passante e alla richiesta dello stesso di non essere ulteriormente disturbato, tale personaggio si rivolgeva aggressivamente con una espressione gergale romanesca «allora vattene o ti spanzo» facendo alludere presumibilmente, nel significato di tale espressione, al possesso di armi da taglio;
          tali personaggi, nel promuovere i locali, fanno tutti riferimento esplicito a giovani donne attraenti che è possibile incontrare all'interno del night club, ed è frequente assistere a discussioni animate o intimidazioni verbali nei confronti di passanti che chiedono di non essere importunati con tali ambigue profferte;
          negli anni molti di questi locali sono stati più volte sottoposti a sequestro e chiusura temporanea da parte della magistratura e della questura di Roma, come riportato ampiamente nelle cronache giornalistiche, ricominciando tuttavia l'attività non appena terminate le misure giudiziarie cautelari  –:
          se il Ministro non intenda, anche tramite la prefettura di Roma, avviare misure che consentano di liberare le strade adiacenti via Veneto da tale fenomeno, che rende impossibile per i residenti rientrare presso le loro abitazioni dopo le 21 senza essere più volte fermati ad ogni incrocio dai suddetti procacciatori e che compromette inoltre l'immagine turistica di una delle aree di maggiore attrazione e prestigio della capitale.
(4-11727)

      Risposta. — Nei pressi dei locali di pubblico spettacolo situati nella zona di via Veneto a Roma, è riscontrabile la presenza dei cosiddetti «butta-dentro» o «porteurs», cioè di persone – prevalentemente di sesso maschile – preposte a invogliare i turisti ad accedere nei predetti locali.
      Le attività investigative della squadra mobile e della divisione polizia amministrativa e Sociale della questura di Roma, nonché del competente commissariato «Castro Pretorio», hanno evidenziato che le modalità di persuasione adottate dai porteurs sono di tipo verbale o attuate mediante volantinaggio, mentre non risulta che si siano verificati atti di violenza, molestia o costrizione, come si evince dall'assenza di specifiche querele o di denunce al riguardo.
      L'attività di porteurs non è soggetta ad autorizzazioni di pubblica sicurezza, per cui ogni intervento di polizia giudiziaria è legittimato dalla presentazione di querele o di denunce ovvero a seguito di accertamenti relativi all'esercizio della prostituzione all'interno dei locali.
      La questura della capitale, al fine di contrastare eventuali comportamenti illegali, effettua costanti controlli, anche a campione, assicurando il costante monitoraggio del fenomeno.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      IANNACCONE, BELCASTRO e PORFIDIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il sindaco di Montefalcione, in provincia di Avellino, con provvedimento prot. 2834, adottato il 17 giugno del 2011 ha nominato Rossella Pagliuca, nata ad Avellino il 10 febbraio 1982, effettiva al comando stazione carabinieri di Rende (CS), quale rappresentante del comune di Montefalcione in seno all'assemblea dell'ente d'ambito, n.  1 della Campania «Calore Irpino» (AATO) di Avellino;
          il comma 2 dell'articolo 77 del decreto legislativo n.  267 del 18 agosto 2000 – «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» stabilisce testualmente che «per amministratori si intendono, ai soli fini del presente capo, i sindaci, anche metropolitani, i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i componenti delle giunte comunali, metropolitane e comunali, i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, i presidenti, i consiglieri e egli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento»;
          l'autorità di ambito n.  1 Calore Irpino (A.A.T.O.) è il consorzio obbligatorio di enti locali istituito in base alla legge della regione Campania n.  14 del 1997 emanata in applicazione della legge n.  36 del 1994;
          la normativa che attualmente ne disciplina le funzioni è il decreto legislativo n.  152 del 2006;
          pertanto i componenti dell'assemblea dell'autorità di ambito n.  1 Calore Irpino (A.A.T.O.) sono a tutti gli effetti amministratori ai sensi del citato comma 2 dell'articolo 77 del decreto legislativo n.  267 del 18 agosto 2000 – «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali»;
          il comma 6 dell'articolo 78 del decreto legislativo n.  267 del 18 agosto 2000, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, stabilisce che: «Gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l'esercizio del mandato. La richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità. Nell'assegnazione della sede per l'espletamento del servizio militare di leva o di sue forme sostitutive è riconosciuta agli amministratori locali la priorità per la sede di espletamento del mandato amministrativo o per le sedi a questa più vicine. Il servizio sostitutivo di leva non può essere espletato nell'ente nel quale il soggetto è amministratore o in un ente dipendente o controllato dalla medesima amministrazione»;
          il 20 giugno 2011 il carabiniere Rossella Pagliuca, tramite il comando di Rende, ha trasmesso la richiesta al comando generale dell'Arma dei carabinieri di poter essere temporaneamente trasferita presso il comando dell'Arma disponibile più vicino al comune di Montefalcione, al fine di poter ottemperare alla carica rivestita presso l'assemblea dell'ente di ambito n.  1 della Campania, «Calore Irpino» di Avellino per tutta la durata del mandato;
          nonostante ripetute sollecitazioni, il comando generale dell'Arma non ha dato alcuna risposta alla suindicata richiesta, nonostante siano trascorsi ben più di 4 mesi  –:
          quali siano le ragioni per le quali il comando generale dell'Arma non abbia ancora provveduto, ai sensi delle disposizioni riportate in premessa, a trasferire il carabiniere Rossella Pagliuca presso il comando dell'Arma disponibile più vicino al comune di Montefalcione al fine di poter ottemperare alla carica rivestita e se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di garantire al carabiniere Rossella Pagliuca di espletare il mandato conferitole dal sindaco di Montefalcione, in provincia di Avellino, di rappresentante del comune presso l'assemblea dell'ente d'ambito n.  1 della Campania, «Calore Irpino» di Avellino.
(4-14086)

      Risposta. — Si rende noto che, in accoglimento dell'istanza presentata dal carabiniere, cui fa riferimento l'interrogante, il 13 luglio 2012 è stato determinato il trasferimento del militare dalla legione carabinieri «Calabria» alla legione carabinieri «Lazio», per l'impiego presso la stazione carabinieri Roma-Parioli.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      PALADINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in seno alle forze dell'ordine, tra gli altri brillanti risultati ottenuti, spiccano quelli raggiunti dalla direzione investigativa antimafia. Tali successi sono riconosciuti dallo Stato e dall'opinione pubblica e verificabili nelle relazioni semestrali periodicamente inviate al Parlamento;
          come specificato da numerose sigle sindacali in un recente comunicato stampa, con l'insediamento del nuovo direttore «pro tempore» della direzione investigativa antimafia, avvenuto nel luglio 2011, si sarebbe assistito all'assunzione di provvedimenti presi senza concertazione alcuna con gli stessi sindacati;
          tali provvedimenti hanno previsto tagli, proseguono i sindacati, all'indennità aggiuntiva percepita dai dipendenti che ammonta a circa 7 milioni di euro complessivi e che si traduce in circa il 20 per cento in meno di indennità stipendiali per il personale tutto;
          ciò apparirebbe come una vera e propria punizione nei confronti del personale della direzione investigativa antimafia soprattutto qualora si aggiunga come le risorse economiche destinate all'attività tutta della direzione investigativa antimafia siano sempre più esigue tanto da produrre carenze di organico e non essendo, peraltro, mai stato istituito il previsto «ruolo speciale»;
          i tagli di spesa, pur necessari, dovrebbero andare di pari passo con una gestione più oculata delle risorse, localizzando in primis i centri operativi presso immobili demaniali o confiscati alle mafie, risparmiando così sugli esosi canoni di locazione;
          il taglio dell'indennità aggiuntiva che i dipendenti della direzione investigativa antimafia percepiscono dal 1992 come previsto dalla legge istitutiva suonerebbe come mortificante per chi fa antimafia  –:
          se, il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga necessario verificare la possibilità di cancellare i tagli alla direzione investigativa antimafia che, pur se configurati in un piano di mirata gestione, appaiono rispetto a dipendenti che operano con impegno, rischio ed abnegazione quanto mai avvilenti;
          se, non intenda mirare la pur necessaria razionalizzazione delle risorse, in un'ottica che non debba necessariamente risultare penalizzante per il personale. (4-13715)

      Risposta. — A vent'anni dalla sua costituzione, la Dia mantiene il suo ruolo strategico per il contrasto alla criminalità organizzata, sia sul versante delle investigazioni preventive, sia su quello delle investigazioni giudiziarie su disposizione della direzione nazionale antimafia.
      Per un'analisi dell'attuale situazione occorre tener conto delle modalità con le quali la normativa intervenuta in materia, in particolare dal 2008, ha inciso sulle competenze della Dia, anche con riferimento ai rapporti con le forze di polizia, nonché delle concrete strategie adottate e delle azioni di contrasto della criminalità nei settori di specifica competenza.
      La Dia ha uno spazio operativo di significativa valenza in settori specifici: oltre all'aggressione dei patrimoni di mafia, si evidenzia il ruolo propulsivo e propositivo nella conduzione di investigazioni giudiziarie che hanno consentito di incidere sui beni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata.
      Peraltro, la nuova piattaforma normativa antimafia, la cui disciplina è confluita nel cosiddetto «codice antimafia», ha ulteriormente formalizzato, con norme primarie, la missione prioritaria affidata alla Dia di aggressione di patrimoni mafiosi attraverso le «investigazioni preventive finalizzate ai sequestri dei patrimoni illeciti, lo sviluppo delle operazioni finanziarie sospette ed i monitoraggi degli appalti pubblici». Tale finalità viene perseguita anche grazie all'attività del consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, cui è deputata l'elaborazione delle strategie di contrasto alla criminalità, la razionalizzazione delle risorse impiegate, nonché la periodica verifica dei risultati conseguiti.
      Proprio per le considerazioni sin qui esposte appare evidente come non rientri nelle intenzioni del Governo procedere a un ridimensionamento della Dia, anzi è stato potenziato il dispositivo territoriale attraverso l'istituzione di una sezione operativa a Bologna.
      Nonostante le difficoltà economiche, verrà garantita l'operatività della nuova struttura, almeno in una prima fase ad invarianza della forza organica della Dia con una manovra delle risorse a disposizione.
      Il Governo è ben consapevole del ruolo strategicamente rilevante svolto dagli uomini della Dia e della necessità di migliorare la funzionalità e l'operatività della struttura, nonché tutelare la posizione dei dipendenti compatibilmente con le esigenze della finanza pubblica.
      Pur in una fase di contenimento della spesa pubblica e di limitazione al turnover anche per il personale delle forze di polizia, non è stata prevista alcuna riduzione dell'organico della Dia. Di fronte all'urgente necessità di contenimento della spesa, il Governo con la legge di stabilità 2012 (legge n.  183 del 2011) ha preferito intervenire sul trattamento economico aggiuntivo ristabilendo così un principio equità tra gli operatori di polizia. Gli appartenenti alle strutture territoriali delle forze di polizia, infatti, non godono del trattamento economico accessorio percepito dal personale interforze della Dia e ciò anche quando il personale dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato è chiamato a far parte di settoriali gruppi di lavoro che effettuano controlli antimafia sul territorio.
      Occorre, tuttavia, evidenziare – rispetto a questa previsione – che è stato istituito un fondo volto al finanziamento di misure perequative per il personale appartenente al comparto sicurezza e difesa e al Corpo nazionale dei vigili dei fuoco, che interessa anche il personale appartenente alla Dia.
      Rispetto all'originario disegno della Dia vi è stato un parziale scostamento nell'attuazione pratica dell'iniziale progetto.
      È da escludere, tuttavia, che tale struttura abbia finito per sovrapporsi nell'ambito operativo e funzionale delle altre componenti del sistema della sicurezza. Il suo sviluppo nel tempo, è stato piuttosto orientato a farne emergere la vocazione specialistica, che non sembra aver sofferto, in maniera particolare, della mancanza di un'attribuzione esclusiva di compiti in materia di lotta alle mafie.
      In tale contesto sono ovviamente indispensabili forme di raccordo che scongiurino sovrapposizioni disfunzionali per l'andamento e il buon esito delle indagini.
      Fino ad oggi i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata costituiscono un sintomo di un'efficace sinergia – anche sul piano dell'attività di investigazione delegata – tra le varie specialità costituite nell'ambito delle varie forze di polizia.
      Il patrimonio di professionalità espresso dagli operatori della sicurezza è indispensabile nelle attività di polizia giudiziaria che presentano un grado elevatissimo di complessità anche in ragione delle proiezioni internazionali e delle alleanze transnazionali che connotano la minaccia globale rappresentata dalle organizzazioni criminali.
      La conoscenza del fenomeno, i successi investigativi degli ultimi anni, di cui è prova la cattura di pericolosi latitanti, e l'impegno costante nella ricerca di nuovi strumenti operativi hanno, infatti, portato all'adozione di progetti di contrasto sempre più flessibili ed adeguati.
      In questo senso, riveste assoluta priorità il coordinamento investigativo, soprattutto nel corso delle indagini che si proiettano oltre i confini nazionali, in una piena condivisione del patrimonio informativo ed anche attraverso un convinto rafforzamento della cooperazione internazionale.
      In questo ambito è stata realizzata una mappatura completa, a livello nazionale, dei sodalizi criminali e dei singoli affiliati operanti sul territorio, attraverso un progetto informatico denominato «M.A.CR.O.» (mappe della criminalità organizzata). Già avviato, nei mesi scorsi, nelle province di Salerno, Benevento ed Avellino, il progetto sarà esteso, in prospettiva, a tutto il territorio nazionale, consentendo la condivisione delle informazioni acquisite nonché la quantificazione dei sodalizi e dei rispettivi affiliati.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      PORFIDIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dalla stampa si apprende che l'arsenale militare di Messina è destinato a diventare un «centro di eccellenza della Nato» per la demilitarizzazione e lo smaltimento di unità navali NATO, non più in linea, fino a duemila tonnellate (cosiddetto naviglio sottile). Si tratta dello smaltimento di prodotti chimici e idrocarburi, agenti inquinanti e cancerogeni, rifiuti tossici e speciali da stoccare, maneggiare, trattare e bonificare;
          la «zona» dell'arsenale è sotto la giurisdizione militare e quindi al di fuori dalle decisioni e dai dettami del piano regolatore locale;
          il progetto preparato dall'Agenzia industrie difesa, da cui l'ex arsenale di Messina è uno degli stabilimenti dipendenti dal 2001, è stato sposato dalla Namsa (Nato Maintenance and Supply Agency), lo strumento logistico-amministrativo della Nato, con sede a Capellen in Lussemburgo;
          secondo il piano di lavoro, entro la fine dell'estate 2012 la commissione Namsa sarà a Messina per verificare lo stato dell'arsenale e dare il via libera all'arrivo in città delle prime unità navale da lavorare. Il progetto non potrà andare a regime prima di un anno, visto che bisognerà eseguire nella struttura una serie di interventi per la realizzazione di particolari impianti per garantite la sicurezza ambientale e di aree per l'accumulo dei materiali da smaltire;
          dato il particolare tipo di naviglio in questione è presumibile che vi sarà da smaltire e accumulare un grande quantitativo di amianto, ma al momento non è dato sapere dove verrà stoccato questo pericolosissimo materiale, che tanta morte e sofferenza ha già provocato in Italia e nel mondo;
          l'interrogante è consapevole che da molto tempo i lavoratori dell'arsenale assistono a ridimensionamenti, riduzione di personale e dichiarazioni di esuberi, e che viceversa la situazione in questione aprirebbe nuove e prolungate opportunità occupazionali per decine di lavoratori. Tuttavia questo non può essere un motivo per non porsi dubbi e domande e soprattutto per chiudere gli occhi di fronte ad eventuali pericoli per le vite umane. L'arsenale di Messina non può diventare luogo di stoccaggio di prodotti e agenti inquinanti che metterebbero a serio rischio la salute dei lavoratori ma anche l'intera collettività con incalcolabili ricadute sull'ambiente;
          l'interrogante non comprende perché una delle isole più belle del mondo, fiore all'occhiello dell'intero mediterraneo debba essere trattata da vera e propria «pattumiera» militare, un'umiliazione che la Sicilia e la città di Messina certo non meritano  –:
          se non sia il caso di rivedere l'intero progetto ed evitare che Messina diventi la «pattumiera» militare più grande d'Europa;
          qualora si fosse convinti della bontà del progetto e quindi in vista dello smaltimento di grandi quantità di materiale profondamente dannoso per l'uomo e l'ambiente, in particolare l'amianto, dove si intenda stoccare tale materiale senza inficiare l'assetto naturale e sanitario del territorio interessato;
          se il Governo intenda far sì che ogni scelta sia comunque condivisa con la comunità locale e le associazioni di cittadini presenti sul territorio. (4-17013)

      Risposta. — Vorrei, dapprima, precisare che definire l'arsenale di Messina quale «zona... sotto la giurisdizione militare e quindi al di fuori dalla decisioni e dai dettami del piano regolatore locale» non appare corretto.
      Infatti, l'articolo 322, comma 1 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n.  66 del 2010, stabilisce che «in ciascuna regione è costituito un comitato misto paritetico di reciproca consultazione per l'esame anche con proposte alternative della regione e dell'autorità militare, dei problemi connessi all'armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale della regione e delle aree sub regionali e i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti limitazioni».
      Pertanto, qualora si dovessero realizzare nuove opere, in particolare connesse ad attività concernenti la gestione di materiali pericolosi, è evidente che, dovendosi acquisire il parere di tale comitato, gli interessi locali risulterebbero adeguatamente rappresentati.
      Ciò premesso, l'Agenzia industrie difesa (Aid), avendo come compito istituzionale il conseguimento dell'autosufficienza economica delle unità produttive assegnate alla sua gestione – tra cui l'arsenale di Messina – deve necessariamente prendere in esame progetti di riconversione, totale o parziale, allo scopo di portare le attività a livelli sufficienti per il mantenimento in funzione delle strutture industriali a essa conferite.
      Ciò, in relazione alla notevole contrazione del mercato vincolato, considerato il progressivo ridimensionamento delle risorse finanziarie assegnate alle Forze armate.
      La via della riconversione presenta le maggiori probabilità di conseguire un risultato positivo, in particolare, proprio per l'arsenale militare di Messina, tenuto conto della profonda crisi del settore della cantieristica.
      I progetti di riconversione vengono sottoposti ad approfondite valutazioni, in primo luogo dal punto di vista del rispetto delle norme vigenti in tema di sicurezza, salute e igiene, salvaguardia dell'ambiente, poi per quanto riguarda la fattibilità e l'impiego del personale, infine per quanto attiene ai ritorni di carattere economico.
      Nel caso specifico, il cosiddetto «progetto Namsa» è, tuttora, nella fase istruttoria da parte dell'AID e, pertanto, affermare che lo stesso «sia sposato dalla Namsa» è ancora prematuro.
      Anche nel caso in cui gli approfondimenti da parte dell'AID portino a riscontri complessivamente positivi, non è detto che Namsa giudichi accettabile la candidatura dell'arsenale militare di Messina.
      Ribadisco che il progetto potrà passare alla fase propositiva nei riguardi di Namsa solo dopo tutti gli accertamenti di sicurezza e di convenienza.
      È opportuno precisare, comunque, che lo smontaggio e lo smaltimento di navi militari radiate dal servizio, comporta operazioni su unità completamente scariche e asciutte, quindi con esclusione della presenza di prodotti chimici e di idrocarburi, e trattamenti secondo legge di taluni materiali di allestimento.
      In conclusione, nel sottolineare che non si ravvisano elementi tali da far pensare al possibile verificarsi di un inquinamento ambientale, si fa presente che le modalità operative sono sostanzialmente riconducibili a quelle delle operazioni di raddobbo e di riparazione navale usualmente svolte dall'arsenale.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      ROSATO, STRIZZOLO e MARAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la direzione investigativa antimafia da sempre è artefice di importanti risultati di lotta e contrasto alla criminalità organizzata che l'hanno vista protagonista di straordinari successi nella lotta alla mafia;
          in tema di aggressione ai patrimoni mafiosi, nel periodo intercorso tra il 2009 e il primo semestre 2011 sono stati sequestrati beni per un valore di circa 5,7 miliardi di euro e sono stati confiscati beni per un valore complessivo ammontante a circa 1,2 miliardi di euro;
          con queste azioni di sequestro e confisca la direzione investigativa antimafia, grazie alla professionalità dei suoi agenti, contribuisce a implementare le risorse del Ministero dell'interno e del Ministero della giustizia attraverso il fondo unico giustizia (FUG);
          risulta che, nonostante i risultati ed i successi vantati dall'Esecutivo, le dotazioni organiche siano state ridotte e gli stipendi dei 1.300 operatori rimasti all'interno della direzione investigativa antimafia siano stati anche loro ridotti del 20 per cento;
          oltre a questo taglio degli stipendi c’è da segnalare il dimezzamento dei fondi destinati negli ultimi dieci anni;
          il taglio dei fondi all'Antimafia non rende giustizia agli sforzi che quotidianamente mettono in campo questi agenti nella dura lotta alla criminalità organizzata;
          una gestione oculata delle risorse avrebbe dovuto essere preferita ad un'azione di riduzione dei compensi degli agenti direzione investigativa antimafia;
          dopo i pesanti tagli già subiti dalla direzione investigativa antimafia, sia alle strutture sia al personale, con questa ulteriore riduzione dei finanziamenti è messa a rischio l'attività svolta dalla direzione stessa;
          a questa riduzione dei fondi, sono giunte all'interrogante notizie di stampa circa la volontà del Ministero di voler chiudere a breve alcune sedi della direzione investigativa antimafia, in particolare quelle di Lecce, Trapani e Trieste;
          per quanto riguarda la sede della direzione investigativa antimafia di Trieste, si precisa che la necessità di una presenza della direzione investigativa antimafia nel Friuli Venezia Giulia è motivata nella stessa «Relazione del Ministro dell'Interno al Parlamento sull'attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia»;
          dalla relazione emerge che il Triveneto si pone in continuità con altre regioni del nord Italia, dove numerose operazioni hanno dimostrato una sensibile espansione della criminalità albanese, destinata ad assumere un ruolo sempre più rilevante nel panorama delle attività delittuose;
          tra le diverse operazioni portate a termine dalla direzione distrettuale antimafia di Trieste si sottolineano quelle sul traffico di cocaina dall'Austria e dalla Germania verso il resto del Centro-nord d'Italia;
          nella relazione si riscontra che il territorio del Friuli Venezia Giulia continua a registrare la presenza, talora stabilizzata, di soggetti affiliati o, comunque, ritenuti vicini ad organizzazioni criminali di matrice siciliana;
          sempre nella relazione del 2010 si leggeva che da tempo, l'attività info-investigativa svolta dalla direzione investigativa antimafia e dalle forze di polizia aveva «evidenziato ramificazioni di camorra nella zona di Trieste e nelle aree di Lignano Sabbiadoro e Latisana»;
          anche nel II semestre del 2010 è stata accertata l'esistenza a Trieste di un'organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti;
          talvolta si è segnalato il coinvolgimento di questa organizzazione in altre attività illecite similari con la complicità delle altre organizzazione criminali  –:
          se quanto riportato dalle notizie di stampa circa la chiusura delle sedi della direzione investigativa antimafia di Lecce, Trapani e Trieste trovi riscontro;
          se il Governo non ritenga, a fronte di quanto esposto nella relazione, di dover destinare nuove risorse alla direzione investigativa antimafia per il mantenimento delle sedi di Lecce, di Trapani e, in particolare, di Trieste. (4-13754)

      Risposta. — A vent'anni dalla sua costituzione, la Dia mantiene il suo ruolo strategico per il contrasto alla criminalità organizzata, sia sul versante delle investigazioni preventive, sia su quello delle investigazioni giudiziarie su disposizione della direzione nazionale antimafia.
      Per un'analisi dell'attuale situazione occorre tener conto delle modalità con le quali la normativa intervenuta in materia, in particolare dal 2008, ha inciso sulle competenze della DIA, anche con riferimento ai rapporti con le forze di polizia, nonché delle concrete strategie adottate e delle azioni di contrasto della criminalità nei settori di specifica competenza.
      La Dia ha uno spazio operativo di significativa valenza in settori specifici: oltre all'aggressione dei patrimoni di mafia, si evidenzia il ruolo propulsivo e propositivo nella conduzione di investigazioni giudiziarie che hanno consentito di incidere sui beni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata.
      Peraltro, la nuova piattaforma normativa antimafia, la cui disciplina è confluita nel cosiddetto «codice antimafia», ha ulteriormente formalizzato, con norme primarie, la missione prioritaria affidata alla Dia di aggressione di patrimoni mafiosi attraverso le «investigazioni preventive finalizzate ai sequestri dei patrimoni illeciti, lo sviluppo delle operazioni finanziarie sospette ed i monitoraggi degli appalti pubblici». Tale finalità viene perseguita anche grazie all'attività del consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, cui è deputata l'elaborazione delle strategie di contrasto alla criminalità, la razionalizzazione delle risorse impiegate, nonché la periodica verifica dei risultati conseguiti.
      Proprio per le considerazioni sin qui esposte appare evidente come non rientri nelle intenzioni del Governo procedere a un ridimensionamento della Dia, anzi è stato potenziato il dispositivo territoriale attraverso l'istituzione di una sezione operativa a Bologna.
      Nonostante le difficoltà economiche, verrà garantita l'operatività della nuova struttura, almeno in una prima fase ad invarianza della forza organica della Dia con una manovra delle risorse a disposizione.
      Il Governo è ben consapevole del ruolo strategicamente rilevante svolto dagli uomini della Dia e della necessità di migliorare la funzionalità e l'operatività della struttura, nonché tutelare la posizione dei dipendenti compatibilmente con le esigenze della finanza pubblica.
      Pur in una fase di contenimento della spesa pubblica e di limitazione al turnover anche per il personale delle forze di polizia, non è stata prevista alcuna riduzione dell'organico della Dia di fronte all'urgente necessità di contenimento della spesa, il Governo con la legge di stabilità 2012 (legge n.  183 del 2011) ha preferito intervenire sul trattamento economico aggiuntivo ristabilendo così un principio di equità tra gli operatori di polizia. Gli appartenenti alle strutture territoriali delle forze di polizia, infatti, non godono del trattamento economico accessorio percepito dal personale interforze della e ciò anche quando il personale dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, del Corpo forestale dello Stato è chiamato a far parte di settoriali gruppi di lavoro che effettuano controlli antimafia sul territorio.
      Occorre, tuttavia, evidenziare – rispetto a questa previsione – che è stato istituito un fondo volto al finanziamento di misure perequative per il personale appartenente al comparto sicurezza e difesa e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che interessa anche il personale appartenente alla Dia.
      Rispetto all'originario disegno della Dia vi è stato un parziale scostamento nell'attuazione pratica dell'iniziale progetto.
      È da escludere, tuttavia, che tale struttura abbia finito per sovrapporsi nell'ambito operativo e funzionale delle altre componenti del sistema della sicurezza. Il suo sviluppo nel tempo, è stato piuttosto orientato a fame emergere la vocazione specialistica, che non sembra aver sofferto, in maniera particolare, della mancanza di un'attribuzione esclusiva di compiti in materia di lotta alle mafie.
      In tale contesto sono ovviamente indispensabili forme di raccordo che scongiurino sovrapposizioni disfunzionali per l'andamento e il buon esito delle indagini.
      Fino ad oggi i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata costituiscono un sintomo di un'efficace sinergia – anche sul piano dell'attività di investigazione delegata – tra le varie specialità costituite nell'ambito delle varie Forze di polizia.
      Il patrimonio di professionalità espresso dagli operatori della sicurezza è indispensabile nelle attività di polizia giudiziaria che presentano un grado elevatissimo di complessità anche in ragione delle proiezioni internazionali e delle alleanze transnazionali che connotano la minaccia globale rappresentata dalle organizzazioni criminali.
      La conoscenza del fenomeno, i successi investigativi degli ultimi anni, di cui è prova la cattura di pericolosi latitanti, e l'impegno costante nella ricerca di nuovi strumenti operativi hanno, infatti, portato all'adozione di progetti di contrasto sempre più flessibili ed adeguati.
      In questo senso, riveste assoluta priorità il coordinamento investigativo, soprattutto nel corso delle indagini che si proiettano oltre i confini nazionali, in una piena condivisione del patrimonio informativo ed anche attraverso un convinto rafforzamento della cooperazione internazionale.
      In questo ambito è stata realizzata una mappatura completa, a livello nazionale, dei sodalizi criminali e dei singoli affiliati operanti sul territorio, attraverso un progetto informatico denominato «M.A.CR.O.» (mappe della criminalità organizzata). Già avviato, nei mesi scorsi, nelle province di Salerno, Benevento ed Avellino, il progetto sarà esteso, in prospettiva, a tutto il territorio nazionale, consentendo la condivisione delle informazioni acquisite nonché la quantificazione dei sodalizi e dei rispettivi affiliati.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      SCILIPOTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la sicurezza delle persone rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato;
          persistono fatti delinquenziali estremamente gravi che si commettono in alcuni locali pubblici e discoteche di Sorrento in provincia di Napoli, ed in particolar modo quelle denominate «Penelope» e «Fauno», quest'ultima passata alle cronache mediatiche con video pubblicizzati su «Youtube», dove mostrano risse furibonde, con sangue sparso sui divani e quant'altro. Questi fatti criminosi avvengono ogni sabato sera, come è dimostrato dai verbali redatti dagli agenti di pubblica sicurezza che sanzionano amministrativamente i detti locali, dalle denunce dei genitori dei ragazzi aggrediti e dai verbali di pronto soccorso dell'ospedale locale «Santa Maria della Misericordia»;
          le forze dell'ordine addirittura intervengono puntualmente per segnalare schiamazzi notturni e inquinamento acustico e ambientale, prodotto dai suoni dei volumi alti della musica tenuti dalle discoteche incriminate, che, come noto, può essere causa di importanti patologie a carico dell'organo dell'udito e dell'apparato cardiovascolare e respiratorio;
          intanto, va segnalato che il sindaco del comune di Sorrento a quanto consta all'interrogante non ha posto atti amministrativi di freno per evitare il susseguirsi degli episodi enunciati, pur avendone l'opportuna autorità, quali il blocco delle licenze e la chiusura temporanea;
          inoltre non si comprende per quale motivo il prefetto di Napoli, non intervenga drasticamente su un allarme sociale così diffuso, ormai, visto che questi atti si consumano da parte di giovani sotto l'effetto dell'alcol;
          sarebbe altresì opportuno che gli uffici del lavoro, la SIAE e quant'altri, preposti al controllo del personale che lavora in queste discoteche, effettuassero serrati controlli;
          i giovani del posto e le persone che sporadicamente dai Paesi limitrofi frequentano questi locali, sono continuamente esposti al rischio di essere aggrediti selvaggiamente da coloro che invece di divertirsi in modo sano e civile, si pongono in una situazione di efferata cattiveria, tanto da compiere atti di irripetibile gravità, arrecando ingenti danni alle persone e alle cose;
          a tutt'oggi, vane sono state le denunce alla procura della Repubblica del tribunale di Torre Annunziata, competente per territorio ed inutili gli esposti fatti pervenire alle competenti autorità amministrative da parte di tanti cittadini che non si sentono più tutelati  –:
          se il Ministro non ritenga necessario ed urgente, per quanto di propria competenza, valutare l'opportunità di adottare significative iniziative tese a rimuovere le cause e gli effetti prodotti dai fatti innanzi esposti;
          se non ritenga necessario ed urgente valutare l'opportunità di impegnare le Forze dell'ordine per potenziare le attività volte a garantire l'ordine e la sicurezza pubblica;
          se non ritenga opportuno ed urgente che il prefetto di Napoli convochi un incontro con il sindaco di Sorrento al fine di avere notizie in merito allo stato delle cose per risolvere gli annosi problemi che coinvolgono i cittadini residenti;
          se non ritenga opportuno accertare se e come siano stati prodotti interventi repressivi, per evitare nel prossimo futuro che altri giovani possano essere coinvolti in fatti illegali;
          se sia a conoscenza di eventuali iniziative assunte al fine di tutelare i cittadini, i loro figli e tutte le persone che possano frequentare la meravigliosa Sorrento. (4-10962)

      Risposta. — La città di Sorrento, in ragione della sua particolare vocazione turistica e della presenza di molteplici e variegate attività di richiamo per i giovani (soprattutto nei fine settimana), si trasforma in uno dei più affollati centri della «movida» dell'intera provincia.
      La questura ha fatto presente che da tempo, allo scopo di assicurare ed innalzare gli standard di sicurezza e di visibilità, il competente commissariato di Polizia di Stato, in particolare nei momenti di maggiore flusso vacanziero e pendolarismo notturno, esercita un'attenta e capillare attività di controllo del territorio. In particolare, sono state potenziate le citate attività, raddoppiando gli equipaggi sull'intera turnazione h 24.
      Altrettanta attenzione viene posta al contrasto della diffusione di sostanze stupefacenti tra i giovani e, al fine di prevenire anche i comuni reati contro la persona e l'ordine pubblico, sono effettuati mirati controlli presso tutte le attività di maggiore richiamo per i giovani.
      Nel corso di questi ultimi anni, anche le discoteche del luogo sono state sottoposte a svariati controlli, con contestazione degli illeciti commessi.
      Nel corso di incontri con il prefetto di Napoli sulla questione dei locali pubblici, il sindaco di Sorrento ha assicurato una costante sorveglianza soprattutto il sabato sera.
      Dal marzo del 2011 al luglio del 2012 sono stati deferiti all'autorità giudiziaria competente 14 giovani responsabili di 3 episodi di rissa avvenuti nei locali notturni sorrentini, successivamente sottoposti a richiesta di provvedimento di chiusura ex articolo 100 Tulps, laddove le dinamiche dei fatti accertati ne hanno suggerito l'adozione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      TOUADI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'aeroporto di Pratica di Mare è un aeroporto militare situato a 30 chilometri a sud di Roma, nel territorio del comune di Pomezia. È un aeroporto gestito dall'Aeronautica militare e non è aperto al traffico commerciale. All'interno del sito di 830 ettari – uno fra i più vasti aeroporti militari d'Europa – sono presenti molteplici installazioni ed enti di varie forze armate italiane. Nell'aeroporto lavorano oltre 2600 persone. Inoltre, l'aeroporto è circondato – oltre che da campi agricoli, da stabilimenti commerciali – da una zona densamente abitata, segnatamente la località di Campo Ascolano nonché da una zona marittima e una riserva naturale di pregio;
          in data 3 settembre 2012 è scattato un allarme ambientale in seguito allo sversamento di idrocarburi nel fosso di Campo Ascolano che attraversa numerose abitazioni civili e sfocia direttamente in mare. Tale avvenimento si era già verificato dalla stessa fonte nel 2008;
          in data 5 settembre 2012 (come riferito dall'ordinanza del sindaco di Pomezia, la 74 del 14 settembre 2012) è stata convocata d'urgenza una riunione tra gli enti coinvolti, per chiarimenti sull'accaduto e per la definizione di interventi tesi a prevenire ed eliminare i pericoli per l'incolumità dei cittadini;
          in tale sede si apprendeva dal comando dell'aeroporto di Pratica di Mare dell'accidentale fuoriuscita di kerosene avvenuta da una cisterna posta all'interno della stessa area aeroportuale, nonché informazioni circa le misure di contenimento immediatamente attuate;
          in data 6 settembre 2012, personale del S.I.S.P. unitamente a funzionari dell'Arpa Lazio, effettuava un sopralluogo all'interno dell'Aeroporto di Pratica di Mare, i cui esiti sono in via di valutazione;
          in base all'ordinanza precitata il medesimo S.I.S.P ha chiesto all'amministrazione comunale, anche in considerazione di pozzi ad uso potabile, di procedere all'emanazione di opportuni provvedimenti a tutela della salute pubblica, inibendo l'uso a qualsiasi titolo delle acque del Fosso di Campo Ascolano;
          con la precitata ordinanza del sindaco di Pomezia – in ottemperanza al decreto legislativo del 2 febbraio 2001, n.  31, successivamente modificato ed integrato dal decreto legislativo n.  27 del 2002, in attuazione della direttiva 98/83/CE del consiglio del 3 novembre 1998, che detta indirizzi in merito alla qualità delle acque destinate al consumo umano – disponeva il «divieto di utilizzo per il consumo umano dell'acqua da pozzo (compreso l'uso irriguo per ortaggi e verdure destinate all'alimentazione nonché per lo scarico dei servizi igienici) fino a successivo provvedimento  –:
          se i Ministri interrogati siano al corrente di tale fatto e se siano in grado di fornire all'interrogante e alla pubblica opinione l'esatta dinamica dell'accaduto, anche in riferimento alle normali procedure di smaltimenti degli idrocarburi derivanti dall'attività dell'aeroporto;
          quali misure intendano assumere per assicurare una corposa prevenzione di tali incidenti che gravano pesantemente sulla salute dei cittadini, la conservazione di un ambiente marino e forestale di pregio;
          quali azioni intendono intraprendere per riparare ai danni causati all'ecosistema e alla salute pubblica. (4-17903)

      Risposta. — L'evento cui fa riferimento l'interrogante, verificatosi il 3 settembre 2012, ha generato lo sversamento di cherosene avio in un canale delle acque di superficie aeroportuali – prossimo ai piazzali del reparto di volo della Guardia di finanza – che affluisce, a sua volta, in un canale più grande, denominato Vaccareccia, che prosegue in direzione ovest e, in uscita dalla base, costeggia le abitazioni della località Campo Ascolano, per poi confluire direttamente in mare.
      Dalle indagini, effettuate in coordinamento con il personale della Guardia di finanza, è emerso che il carburante avio proveniva dalle vasche di contenimento delle cisterne di stoccaggio del menzionato reparto della Guardia di finanza, le quali, investite da un forte afflusso di acque meteoriche cadute incessantemente nelle ore precedenti l'inquinamento, oltre a una probabile lesione delle cisterne stesse, hanno riversato liquido nei canali di raccolta delle acque di prima pioggia dei piazzali di volo che confluiscono nel predetto canale.
      Nella mattina dell'incidente, il personale del Comando aeroporto segnalava alla locale Sezione antincendi la presenza di forti esalazioni di idrocarburi nella zona aeroportuale adiacente alla Guardia di finanza.
      Immediatamente – senza attendere alcuna segnalazione proveniente dall'esterno – sono iniziate le azioni per individuare sia le cause che la zona coinvolta.
      Accertato lo stato dei fatti, in coordinamento con il personale della Guardia di finanza, sono state avviate le procedure per gli interventi di messa in sicurezza mediante posizionamento, in vari punti del canale, di specifiche panne oleoassorbenti per contenere il deflusso dell'agente inquinante.
      Si è provveduto, quindi, a coinvolgere il locale reparto chimico del Centro sperimentale volo per la campionatura delle acque, interno/esterno base, finalizzata a determinare l'agente inquinante e la sua provenienza.
      Contestualmente, sono intervenuti la locale polizia municipale, i carabinieri della stazione di Torvaianica e il personale dell'agenzia regionale per la protezione ambientale Lazio che ha prelevato campioni di acqua nel tratto di canale interessato.
      Nella tarda serata del 3 settembre 2012, mediante l'intervento di una ditta specializzata nel campo delle bonifiche ambientali, si è provveduto all'aspirazione del fluido inquinato sul punto di origine e lungo il canale all'esterno della base, nella zona di Campo Ascolano.
      Ciò posto, corre l'obbligo di evidenziare che la gestione delle predette vasche di contenimento delle cisterne di stoccaggio, da cui è derivato l'evento in questione, appartiene al Reparto di Volo della Guardia di finanza, coubicato sul sedime aeroportuale di Pratica di Mare.
      Il comando aeroporto di Pratica di Mare, entro le 24 ore dall'evento, con atto di notifica ha provveduto ad informare la regione Lazio, la provincia di Roma e il comune di Pomezia.
      Conseguentemente in data 5 settembre 2012, il sindaco di Pomezia ha convocato presso la sede comunale una riunione urgente con tutte le amministrazioni coinvolte nell'episodio, allo scopo di far luce sulle cause, di conoscere le azioni messe in atto e quelle necessarie per fronteggiare l'eventuale impatto ambientale.
      In tale consesso, il rappresentante dell'azienda sanitari locale, riferendosi ad eventuali fenomeni d'intossicazione correlati, ha rappresentato che non risulta alcun caso di persone che abbiano fatto ricorso al pronto soccorso presso gli ospedali di Anzio, di Ostia o presso la clinica di Sant'Anna di Pomezia.
      Si assicura, in conclusione, che sono state adottate le necessarie misure di sicurezza e attuati i conseguenti provvedimenti.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il signor David Gomiero è stato incorporato il 5 giugno 2006 presso l'85° Reggimento «Verona» di Montorio Veronese quale volontario in ferma prefissata di un anno;
          il successivo giorno 19 giugno il Gomiero è stato sottoposto al ciclo vaccinale con le somministrazioni di Time Test (negativo)+, Vivotif Berna, Mencevax, Trivalente, immediatamente dopo le inoculazioni il signor Gomiero ha cominciato ad accusare nausea, astenia, fotosensibilità e difficoltà alla deambulazione tanto da costringere i medici militari a ricoverarlo presso la locale infermeria;
          il giorno 22 giugno gli è stato inoculato il vaccino Revaxis;
          in data 27 giugno il militare accedeva presso il pronto soccorso di Borgo Trento in Verona e successivamente veniva inviato in licenza di convalescenza e in data 31 ottobre 2006, d'autorità, veniva disposto il suo congedo;
          successivamente alla data del congedo condizioni di salute, debitamente certificate, hanno attestato un progressivo deterioramento delle condizioni di salute e fisiche di David Gomiero ma ciò non ha impedito all'amministrazione militare di denunciarlo per il reato di «Diserzione» (articolo 148 n.  2 c.p.m.p.) perché, militare vfp1 presso l'85° RAV «Verona» di Verona, il 3 luglio 2006 non faceva rientro al Corpo, né si presentava ad altro ente militare, rimanendo assente senza giusto motivo – nei cinque giorni successivi e sino al 31 ottobre 2006, data in cui veniva d'Autorità posto in congedo» e quindi, in data 27 febbraio 2008, di sottoporlo a giudizio presso il Tribunale militare di Verona;
          con sentenza n.  2 del 2008 depositata il 3 marzo 2008 David Gomiero veniva assolto dal reato ascrittogli «perché il fatto non sussiste» avendo rilevato lo stesso collegio giudicante che «Non può ignorarsi, infatti, che sin dal 27 giugno 2006 il pervenuto accusava sintomi di “malessere” a seguito della “vaccinazione trivalente” (181); che tali sintomi, qualificati come “cefalea” ora come “astenia” ora come “polineuropatia di possibile origine virale” comportavano la concessione, da parte dei sanitari, di vari periodi di riposo, che andavano a coprire tutto il periodo di assenza dal servizio addebitatogli; che anche in epoca successiva al congedo sono continuati i ricoveri del giovane, a cui il 2 ottobre 2007 (un anno dopo il congedo) venivano diagnosticati dall'ospedale Di Mestre “piressia recidivante, calo ponderale, iporessia marcata linfoadenomegalie sottomandibolari, stato generale scaduto”; e che da ultimo il Tribunale ha oggi potuto verificare de visu come il Gomiero, qui giunto in carrozzella e deambulante con le stampelle, appaia in condizioni smagrite e ben più precarie rispetto a quelle evidenziate dalle fotografie del recente passato»;
          in data 12 maggio 2009 il signor Gomiero è stato dichiarato invalido civile dal competente organo sanitario e in data 16 giugno 2006 ha chiesto al Ministero della difesa il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia sofferta (assunta dall'amministrazione militare con numero protocollo 0017849 MD E24475 del 17 giugno 2009);
          a parere dell'interrogante la vicenda che ha visto coinvolto il signor David Gomiero e il comportamento assunto nei suoi confronti dall'amministrazione militare, che non ha esitato a denunciarlo e sottoporlo ad un procedimento penale, è ingiustificabile  –:
          se il ministro interrogato sia a conoscenza dell'attuale situazione che vede coinvolto il signor David Gomiero e quali immediate azioni intenda adottare affinché gli sia garantita ogni necessaria assistenza medica;
          se intenda disporre, con la massima urgenza consentita, una inchiesta per accertare se, nell'esecuzione del ciclo vaccinale a cui è stato sottoposto David Gomiero, siano stati rispettate tutte le disposizioni e i protocolli sanitari vigenti all'epoca dei fatti e se questi abbiano garantito il militare in premessa da ogni possibile rischio per la propria salute;
          quanti siano stati i casi di militari che, negli ultimi 20 anni, hanno riportato conseguenze, anche gravi, a seguito della somministrazione dei vaccini indicati in premessa;
          se il Ministro interrogato intenda impartire le opportune disposizioni affinché, ove se ne accertino i presupposti, al signor Gomiero sia riconosciuta la dipendenza delle patologie sofferte come «dipendenti da causa di servizio» e conseguentemente gli siano riconosciuti tutti i benefici economici previsti dalle vigenti normative;
          se il ministro interrogato intenda chiarire quali sono state le ragioni che hanno condotto l'amministrazione militare a denunciare il signor Gomiero alla competente procura militare, quali provvedimenti siano stati adottati nei confronti delle autorità militari che ingiustificatamente ebbero a denunciare un fatto rilevatosi inesistente e il cui solo effetto è stato quello di cagionare al Gomiero medesimo ulteriori patimenti e un indiscutibile danno economico e quale risarcimento/indennizzo, si intenda riconoscere al signor David Gomiero in relazione all'ingiusto processo al quale è stato sottoposto, ove se ne riscontrino i presupposti di fatto e di diritto. (4-05301)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con l'interrogazione a risposta scritta 4-05301 gli interroganti hanno chiesto chiarimenti in merito alle gravi patologie sofferte dal signor Davide Gomiero, a seguito delle vaccinazioni effettuate successivamente all'arruolamento presso l'85° Reggimento «Verona» di Montorio Veronese quale Volontario in ferma prefissata di un anno;
          il 10 dicembre 2007 il signor Gomiero ha presentato domanda ai sensi della legge n.  210 del 1992, il 26 maggio 2009 è stato sottoposto a visita presso la commissione medica ospedaliera – dipartimento militare di medicina legale di Padova (Prot. n.  6373), il 16 giugno 2009 ha presentato domanda per la concessione del trattamento privilegiato ordinario per l'infermità non ancora riconosciuta dipendente da causa di servizio, la visita è stata effettuata il 1° febbraio 2010 sempre presso la commissione medica ospedaliera di Padova (prot. n.  243780000939/10.3.4.3)  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'attuale situazione che vede coinvolto il signor David Gomiero e quali immediate azioni intenda adottare affinché gli sia garantita ogni necessaria assistenza medica;
          se intenda disporre, con la massima urgenza consentita, una inchiesta per accertare se, nell'esecuzione del ciclo vaccinale a cui è stato sottoposto David Gomiero, siano state rispettate tutte le disposizioni e i protocolli sanitari vigenti all'epoca dei fatti e se questi abbiano garantito il militare in premessa da ogni possibile rischio per la propria salute;
          se il Ministro non intenda, in attesa degli accertamenti medici, impartire le opportune disposizioni affinché al signor Gomiero sia riconosciuta la dipendenza delle patologie sofferte come «dipendenti da causa di servizio» e conseguentemente gli siano riconosciuti tutti i benefìci economici previsti dalle vigenti normative.
(4-07004)

      Risposta. — Si risponde congiuntamente ad entrambe le interrogazioni in titolo, in quanto attinenti ad analoga tematica.
      Si osserva, in linea generale, che le modalità di somministrazione dei vaccini al personale militare sono sempre state rispondenti alle raccomandazioni delle organizzazioni internazionali che consentono la somministrazione, anche contemporanea, di vaccini non viventi o in associazione a vaccini viventi purché in sedi diverse, mentre indicano un periodo di almeno quattro settimane fra inoculi di vaccini viventi, qualora non somministrati contemporaneamente.
      I vaccini acquisiti e impiegati dall'amministrazione sono tutti farmaci regolarmente autorizzati al commercio e dispongono di una scheda individuale, presente nelle confezioni, contenente indicazioni, controindicazioni ed eventi avversi o effetti collaterali, oltre alla composizione autorizzata.
      Come chiarito dalla dottoressa Salmaso (Istituto superiore di sanità), nel corso dell'audizione del 18 maggio 2011 presso la terza Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dal senatore Costa, «i vaccini somministrati al personale militare non sono diversi da quelli prodotti per la generalità della popolazione e sono gli stessi che, nel caso delle vaccinazioni obbligatorie, sono somministrate ai bambini soltanto dopo l'effettuazione di controlli molto stringenti, effettuati, sulla base di procedimenti centralizzati a livello europeo».
      L'ipotesi di un'eventuale associazione tra le vaccinazioni e i tumori dell'apparato emolinfopoietico, con particolare attenzione alle popolazioni dei militari, è stata approfondita in sede scientifica dall'Istituto superiore di sanità che ha ampiamente revisionato la relativa letteratura scientifica internazionale, da cui è emerso che sono stati effettuati pochissimi studi, i cui risultati, nell'insieme, sono poco coerenti e l'evidenza è inconsistente.
      Fatta questa doverosa premessa, in merito a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, si fa presente che la vicenda sanitaria del militare è stata, a suo tempo, oggetto di approfondimento in relazione ad una istanza rivolta al Capo dello Stato dalla madre del giovane, riguardante la possibilità per il figlio di poter essere ricoverato e assistito presso un nosocomio militare.
      In quell'occasione, l'Amministrazione militare aveva espresso la propria disponibilità al ricovero dell'interessato presso il policlinico militare del Celio, evidenziando, tuttavia, che ciò non costituiva, in modo alcuno, riconoscimento di responsabilità giuridica da parte della stessa amministrazione circa l'insorgenza delle patologie sofferte.
      Successivamente, comunque, la madre del giovane rinunciò espressamente a tale possibilità per motivi familiari.
      In proposito, è il caso di chiarire che, in assenza di elementi informativi precisi – la sintomatologia lamentata era assolutamente aspecifica, a fronte di dati clinici ed ematochimici nei limiti della norma – non è possibile inquadrare la patologia sofferta dal militare, né formulare contro deduzioni circa l'asserito nesso di causalità con i vaccini, considerato che non si dispone di alcun dato di osservazione, a causa del brevissimo periodo di servizio prestato.
      Riguardo al quesito «se nell'esecuzione dei ciclo vaccinale a cui è stato sottoposto D.G. siano stati rispettate tutte le disposizioni e i protocolli sanitari vigenti all'epoca dei fatti...», il militare risulta essere stato sottoposto al protocollo vaccinale in maniera rispondente, per tipologia e tempistica, a quanto previsto dalla schedula vaccinale per il personale militare, all'epoca vigente.
      Le schedule vaccinali adottate in ambito militare con i decreti ministeriali 19 febbraio 1997 e 31 marzo 2003 sono state ratificate dal Consiglio superiore di sanità del Ministero della salute e risultano pienamente in armonia con le raccomandazioni di istituzioni internazionali mediche sia civili che militari.
      Le direttive applicative di tali decreti, periodicamente aggiornate in relazione alle emergenti innovazioni e conoscenze, tengono conto sia delle indicazioni offerte dal piano nazionale vaccini del Ministero della salute, sia degli accordi di standardizzazione vigenti in ambito Nato, che individuano protocolli vaccinali comuni, da garantirsi per tutti i militari, specie nell'ottica delle missioni in teatri operativi che coinvolgono forze multinazionali.
      Le direttive prescrivono anche – com’è ovvio – di tener conto delle vaccinazioni già effettuate, quali risultino dalla documentazione del militare o da certificazioni dell'autorità comunale (anagrafe vaccinale) o dell'autorità sanitaria pubblica.
      Relativamente ai «casi di militari che, negli ultimi 20 anni, hanno riportato conseguenze, anche gravi a seguito della somministrazione dei vaccini...», presso l'osservatorio epidemiologico della Difesa risultano notificate, dal 1995 ad oggi, 89 reazioni avverse.
      Quanto, poi, alla richiesta che venga riconosciuta al militare la dipendenza da causa di servizio delle patologie sofferte, con riferimento alla domanda di pensione privilegiata tabellare presentata dall'interessato, si rappresenta che il Comitato di verifica per le cause di servizio, con parere n.  27954 del 2011 del 13 dicembre 2011, ha negato la riconducibilità della patologia sofferta dal militare a causa di servizio.
      L'amministrazione ha, quindi, effettuato una nuova istruttoria, chiedendo al Comitato il riesame, in quanto il precedente parere negativo «non sembrava sufficientemente e adeguatamente motivato» in relazione all'influenza che i vaccini somministrati avessero potuto esercitare quale concausa della patologia sofferta.
      Allo stato attuale, si è in attesa di conoscere il parere del Comitato, l'unico organo medico-legale preposto ad esaminare, dal punto di vista tecnico-scientifico, la possibile correlazione tra le malattie contratte dal personale militare e il servizio prestato.
      In particolare, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n.  461 del 2001, in tema di procedimento per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio dei pubblici dipendenti, è stato affidato al Comitato di verifica per le cause di servizio, il compito di pronunciarsi sulla dipendenza o meno da causa di servizio dell'infermità o lesione da cui è affetto il soggetto.
      Il parere del Comitato – istituito e operante alle dipendenze del Ministero dell'economia e delle finanze – è vincolante per l'amministrazione che ha soltanto la facoltà di richiedere un riesame dello stesso, qualora ne ravvisi le ragioni, fermo restando che, nel caso in cui il Comitato, anche in sede di riesame, dovesse esprimersi negativamente, l'amministrazione non può che conformarsi a tale parere.
      Riguardo, in ultimo, ai motivi che hanno indotto l'amministrazione militare a denunciare il signor D.G., si osserva che il comando di appartenenza si è limitato a notiziare dei fatti la competente autorità giudiziaria che ha instaurato il relativo procedimento nei suoi confronti.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          lo Stato Maggiore della Difesa, con la nota n.  2/7774 del 10 agosto 2010, a firma del sottocapo di Stato Maggiore, generale Carlo Gibellino, in merito alle «attività di comunicazione» ha affermato che «Al riguardo, il Signor Capo di SM della Difesa ha già voluto confermare e ribadire quanto previsto dal Regolamento di disciplina militare circa l'opportunità di evitare l'indebita o inopportuna trattazione non solo di argomenti di carattere riservato o di interesse militare ma anche di quelli di servizio ovvero collegati al servizio (articolo 1472 del decreto legislativo n.  66 del 2010 in vigore dal prossimo 9 ottobre), la cui impropria divulgazione potrebbe arrecare nocumento sia pur indiretto alle Istituzioni»;
          indubbiamente il tenore letterale di tale affermazione, con specifico riferimento alle parole «...ma anche di quelli di servizio ovvero collegati al servizio...» evidenzia un richiamo teso all'applicazione anticipata della norma prevista dall'articolo 1472 del decreto legislativo n.  66 del 2010, realizzando, in tal modo, ad avviso degli interroganti, un'inaccettabile violazione di ogni possibile principio di correttezza e di quei canoni di legalità costituzionalmente affermati;
          tale anticipazione pone dei seri dubbi sulla legittimità dell'azione di comando che si rivela essere, ad avviso degli interroganti, più improntata alla negazione di un diritto costituzionalmente protetto che alla tutela delle informazioni di carattere riservato o militare, atteso che, sul punto, il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare ripetutamente che nel concetto di riservatezza non possono essere inclusi ogni forma di attività e ogni aspetto del servizio, specialmente se normali e notori;
          la citata nota per il solo fatto di essere firmata da un ufficiale di vertice delle Forze armate evidenzia inoltre, ad avviso degli interroganti, la difficoltà del Ministro di attuare un efficace controllo sulle azioni di comando poste in essere dallo Stato Maggiore della difesa, che in ipotesi potrebbero rappresentare la reale volontà della compagine militare di sottrarsi al controllo dell'autorità politica  –:
          quali immediate azioni intenda intraprendere il Ministro interrogato nei confronti dell'alto vertice militare, il cui comportamento, in relazione a quanto esposto in premessa, si configura, secondo gli interroganti, come violazione dei doveri attinenti al giuramento;
          quali immediate azioni intenda intraprendere nei confronti di tutti quei militari nei cui confronti sono stati intrapresi, o sono tuttora in corso, procedimenti disciplinari le cui motivazioni appaiono inconciliabili con il diritto previsto dall'articolo 21 della Costituzione. (4-08597)

      Risposta. — La richiamata disposizione di cui all'articolo 1472 del decreto legislativo n.  66 del 2010, recante il codice dell'ordinamento militare, aveva inizialmente assorbito il contenuto dell'articolo 9 della legge n.  382 del 1978, chiarendone la portata per esigenze di certezza dei rapporti giuridici.
      In particolare, con la formulazione della predetta disposizione era stata recepita la costante giurisprudenza secondo cui la limitazione all'esercizio del diritto non riguardava esclusivamente gli argomenti cosiddetti classificati, ma anche quelli afferenti ad interessi collegati al servizio di istituto.
      Al riguardo, si cita il parere del Consiglio di Stato n.  1402 del 2003, reso dalla terza sezione all'adunanza del 6 maggio 2003, che testualmente recita: «La giurisprudenza ha chiarito che gli argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio sono non soltanto quelli cosiddetti classificati, ma anche quelli afferenti ad interessi collegati al servizio di istituto (Cons. Stato, Sez. V, 5 novembre 1992, n.  942)».
      In tale ottica, il riassetto dell'articolo 1472 sotto il profilo tecnico-giuridico, è stato sostanzialmente coerente con i criteri e i principi direttivi della legge delega.
      Tanto premesso, si rende noto che a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 24 febbraio 2012, n.  20, è stato riformulato il citato articolo 1472, nel senso che sono state espunte, da detta disposizione, le parole «di servizio o collegati al», e sono state sostituite dalle seguenti «o di».
      In ragione di ciò, la nuova formulazione del 1o comma di detto articolo è la seguente: «I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l'autorizzazione».
      Chiarito quanto sopra e con espresso riferimento alla nota a firma del sottocapo di Stato Maggiore della Difesa, citata nell'interrogazione in esame, faccio presente che la stessa non poteva considerarsi, illo tempore, come applicazione anticipata dell'articolo 1472, proprio nella considerazione che la limitazione all'esercizio del diritto di manifestazione del pensiero, anche per gli argomenti di servizio, sussisteva, parimenti, già nel periodo di vigenza dell'articolo 9 della legge n.  382 del 1978, abrogato dal codice dell'ordinamento militare contestualmente al suo riassetto, come suffragato dalla richiamata giurisprudenza costante.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito di un procedimento penale è emerso che un militare operante presso la caserma di carabinieri di Ghilarza, soffrirebbe di una malattia incompatibile con incarichi operativi ai quali risulterebbe comunque applicato, con conseguenti gravi scompensi nello svolgimento delle attività. Si tratterebbe di fatti ampiamente noti specie nell'ambiente di lavoro  –:
          se le autorità competenti siano informate della patologia sofferta dal militare e quali provvedimenti abbiano adottato o intendano adottare. (4-14231)

      Risposta. — In relazione a quanto rappresentato dall'interrogante con l'atto in esame, si fa presente che nell'ambito della Compagnia carabinieri di Ghilarza, non risultano prestare servizio militari affetti da malattie che siano incompatibili con l'espletamento degli incarichi operativi loro assegnati.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          all'interrogazione n.  4-14408, con cui gli interroganti chiedevano iniziative volte a rendere omogenea la disciplina per l'impiego del personale nei servizi armati, il Ministro della difesa ha risposto in data 24 luglio 2012 affermando che «[...] essendo le normative pienamente rispondenti alle esigenze operative ed in linea con i criteri di impiego del personale non si ritiene necessario assumere iniziative di modifica al riguardo»;
          con fonogramma di STATESERCITO-DOTTRINA – numero protocollo 46698 datato 23 luglio 2012, sono state emanate nuove disposizioni relative al limite di età per svolgere i servizi armati in ambito Esercito prevedendo l'innalzamento del predetto limite a 50 anni di età anagrafica  –:
          se sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali siano le ragioni dell'azione intrapresa dal vertice militare dell'Esercito. (4-17344)

      Risposta. — In primo luogo, mi preme sottolineare la legittimità dell'iniziativa intrapresa dall'Esercito di armonizzare la propria normativa in materia a quella interforze – pubblicazione SMD-G-011 «Norme per la vita ed il servizio interno nelle installazioni militari» – che prevede, all'articolo 20, «l'esenzione dai servizi armati degli Ufficiali e Sottufficiali che abbiano compiuto il 50o anno di età».
      Rammento, infatti, che l'Esercito ha agito in piena conformità alla direttiva interforze, la quale, all'articolo 1, conferisce alle Forze armate la facoltà di integrare le disposizioni in essa contenute, in relazione alle loro specifiche peculiarità.
      È, dunque, in questo ambito che si deve inquadrare la decisione della Forza armata di innalzare da 40 a 50 anni i limiti anagrafici per lo svolgimento dei servizi armati.
      Nel merito, premesso che per l'Esercito la materia relativa ai servizi armati è oggetto di costante approfondimento ai fini dell'eventuale adozione di provvedimenti coerenti con i cambiamenti ordinativi e con l'evoluzione della Forza armata stessa, faccio osservare di seguito quali sono stati i diversi fattori che il competente organo tecnico – operativo militare ha indicato come determinanti per la decisione in questione.
      Nella risposta alla precedente interrogazione n.  4-14408 sono stati indicati gli elementi di legittimità per i criteri d'impiego del personale militare in servizi armati, facendo riferimento alla pubblicazione SMD-G-011 «Norme per la vita ed il servizio interno nelle installazioni militari».
      In essa sono specificati i due criteri di riferimento da osservare per i servizi armati, in particolare il limite del 50o anno d'età e la possibilità di poter integrare tale limite da ciascuna Forza armata in relazione alle specifiche peculiarità.
      Al termine dei lavori per l'esame dei cambiamenti da apportare alla normativa vigente, in coerenza con la trasformazione ordinativa in atto della Forza armata ed ai processi evolutivi in corso, lo Stato Maggiore dell'Esercito ha individuato in 50 anni il nuovo limite d'età per i servizi armati.
      In particolare, l'esigenza di assicurare l'impiego del personale più giovane prioritariamente presso le unità delle forze operative (destinate a divenire oltre il 70 per cento della Forza armata), determina presso i comandi, enti ed unità del supporto – area scolastico-formativa, area territoriale ed infrastrutturale, area logistica – organici costituiti interamente, o quasi, da personale oltre i 40 anni, con conseguenti notevoli criticità ai fini dello svolgimento dei servizi armati, stante il limite attualmente vigente.
      Allo stesso tempo, un'altra considerazione che ha inciso ai fini dell'intervento dell'Esercito di uniformarsi alle altre Forze armate, è il fatto che la drastica contrazione degli stanziamenti di bilancio renderà inevitabile la limitazione del ricorso all'esternalizzazione.
      Infatti, diversi servizi fino ad oggi svolti in regime di outsourcing, tra i quali presumibilmente anche alcuni di vigilanza armata attualmente garantiti da società private, verranno «internalizzati» determinando, nello specifico settore, ulteriori criticità in conseguenza dell'incremento dell'attuale mole dei servizi armati a carico del personale militare.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          il dottor Roberto Alesse, Consigliere di ruolo della Presidenza del Consiglio dei Ministri nonché, dall'aprile 2008, Consigliere politico istituzionale del Presidente della Camera e, dal novembre 2011, Presidente della Commissione di Garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, dichiara nel curriculum vitae, pubblicato sul sito istituzionale della Commissione di garanzia del diritto di sciopero, di essere «dirigente dello Stato» e di aver ricoperto l'incarico di «Capo ufficio legislativo in alcune importanti amministrazioni centrali dello Stato». Il medesimo dichiara altresì di aver «insegnato presso varie università statali»  –:
          al riguardo si chiede di conoscere quanto segue:
              a) in virtù di quale percorso il predetto abbia avuto accesso al ruolo dei Consiglieri della Presidenza del Consiglio e quando abbia acquisito la qualifica di dirigente dello Stato;
              b) quando abbia ricoperto l'incarico di Consigliere giuridico (funzione, ad avviso dell'interrogante non propriamente istituzionale bensì eventuale e subordinata) e di Capo ufficio legislativo nel corso della XIV e XV legislatura, se tali incarichi siano stati svolti contemporaneamente a quello di Consigliere della Presidenza del Consiglio in servizio presso il DAGL di palazzo Chigi e, in caso positivo, in base a quali disposizioni normative e a quali autorizzazioni;
              c) se, con riferimento alla situazione attuale, il dottor Alesse, ricoprendo l'incarico di Consigliere politico istituzionale del Presidente della Camera dal 2008 ad oggi e di Presidente della Commissione di garanzia dei diritti di sciopero nei servizi pubblici essenziali dal 21 novembre 2011 ad oggi, risulti collocato in aspettativa e/o fuori ruolo rispetto alla posizione di Consigliere della Presidenza del Consiglio ovvero se cumuli le tre posizioni giuridico-economiche;
          se il Governo intenda effettuare, per quanto di competenza, una ricognizione della posizione giuridica dell'interessato, fornendo elementi al riguardo. (4-18375)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame concernente il dottor Roberto Alesse, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Il dottore Roberto Alesse, già dirigente amministrativo dell'Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura nel Lazio), nel settembre 2002 è stato trasferito, con la qualifica di dirigente di seconda fascia nel ruolo unico della dirigenza dello Stato delle amministrazioni dello Stato all'atto (Rud), ai sensi del decreto legislativo n.  165 del 2001. Ha quindi ricevuto l'incarico per la direzione di un servizio presso l'Ufficio nazionale per il servizio civile della Presidenza del Consiglio dei ministri.
      In data 1o aprile 2003 gli è stato conferito un incarico di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca nell'ambito del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (Dagl) della Presidenza del Consiglio dei ministri. In data 1o aprile 2006, avendo maturato il triennio utile, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, è stato inserito nel ruolo dei Consiglieri della Presidenza del Consiglio dei ministri. A decorrere dal 1o gennaio 2012, concluso l'incarico presso il Dagl, gli viene conferito, per un triennio, un incarico di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca nell'ambito del Dipartimento per le politiche di gestione e di sviluppo delle risorse umane della Presidenza del Consiglio dei ministri.
      Dal 2001 al 2006 è stato autorizzato, con note del Segretario generale pro-tempore della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo n.  165 del 2001, a svolgere presso il vice Presidente del Consiglio dei ministri e presso il Ministro degli affari esteri le funzioni di consigliere giuridico. Le predette autorizzazioni rispondono a espresse, formali richieste pervenute ai competenti uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri e avanzate rispettivamente dal vice Presidente della Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministro degli affari esteri, fermo restando in entrambi i casi lo svolgimento dell'incarico di direzione generale del dottor Roberto Alesse presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
      In data 15 maggio 2008 è stato autorizzato, con nota del Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, sempre ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, ad adempiere all'incarico di consigliere per le questioni politico-istituzionali nell'ambito della segreteria particolare del Presidente della Camera dei deputati; l'incarico gli è stato poi conferito con decreto del Presidente della Camera per l'intera legislatura, fermo restando lo svolgimento dell'incarico di consulenza, studio e ricerca presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
      Il 3 agosto 2009 il consigliere Roberto Alesse, su designazione dei Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, con decreto del Presidente della Repubblica, è nominato componente della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (legge 12 giugno 1990, n.  146); eletto dal collegio dell'autorità, ne diviene Presidente in data 21 novembre 2011. Le norme vigenti non prevedono per tali nomine il collocamento in fuori ruolo o comando.
      In conclusione, dalla ricognizione della posizione giuridica del dottor Roberto Alesse, risulta che le citate attività da lui svolte alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni hanno rispettato e rispettano il quadro normativo vigente in materia.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Dino Piero Giarda.