XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 11 dicembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              il 10 dicembre di ogni anno si svolge, a Stoccolma (e ad Oslo per la consegna del Premio Nobel per la pace), la cerimonia di assegnazione del Premio Nobel a personalità che si sono distinte, «apportando considerevoli benefìci per l'umanità» e «per le loro ricerche, invenzioni, per l'opera letteraria, per l'impegno in favore della pace mondiale», nei diversi campi della letteratura, della fisica, della chimica e per la pace;
              per quanto concerne, nello specifico, l'ambito della letteratura, il nostro Paese è stato insignito per sei volte del premio Nobel con il conferimento del riconoscimento a Giosuè Carducci (1906), a Grazia Deledda (1926), Luigi Pirandello (1934), Salvatore Quasimodo (1959), Eugenio Montale (1975) e Dario Fo (1997);
              il 2013, tra l'altro, ricorrerà il centenario dalla pubblicazione dell'opera «Canne al vento» con cui venne conferito il Premio Nobel per la letteratura alla scrittrice di origini sarde Grazia Deledda, peraltro unica donna italiana ad essere stata insignita del premio Nobel,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere l'istituzione della Giornata nazionale della letteratura, da celebrarsi il 10 dicembre di ogni anno, in concomitanza con l'assegnazione del premio Nobel, al fine di promuovere il valore della letteratura, quale strumento di diffusione del sapere e di promozione del dialogo interculturale, della comunicazione e della pace, e per ricordare gli autori italiani che hanno ottenuto il Premio Nobel.
(7-01060) «Centemero».


      La VII Commissione,
          premesso che:
              nel 1977 per iniziativa dei tre sindacati di settore della CGIL, CISL e UIL fu fondato l'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (IMAIE) con il compito di gestire i diritti connessi spettanti agli artisti interpreti ed esecutori;
              in tanti anni di gestione dei diritti connessi, l'IMAIE ha raramente distribuito i compensi agli artisti aventi diritto;
              sebbene l'articolo 7 della legge n.  93 del 1992 avesse attribuito all'IMAIE alcune funzioni mutualistiche, è dimostrato che l'Istituto abbia gestito i fondi destinati alle attività di studio e di ricerca e di formazione e sostegno professionale degli artisti interpreti esecutori in modo del tutto negligente;
              nonostante l'Istituto fosse vigilato da ben 3 Ministeri, il 28 maggio 2009 l'IMAIE è stato dichiarato estinto dal prefetto di Roma per incapacità dell'Istituto di raggiungere gli obiettivi statutari;
              a seguito dell'estinzione dell'IMAIE gli aventi diritto – decine di migliaia di musicisti e attori italiani e stranieri – non hanno ancora riscosso i compensi loro spettanti che ammontano a oltre 120 milioni di euro;
              nonostante il fallimento dell'esperienza dell'IMAIE, il Governo con l'articolo 7 del decreto-legge n.  64 del 2010, convertito con modificazioni, della legge n.  100 del 2010, ha voluto ri-costituire un Nuovo istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (Nuovo IMAIE);
              in 3 anni dalla propria nascita il Nuovo IMAIE è riuscito a distribuire agli artisti dell'audiovisivo solo i compensi maturati nel secondo semestre 2009 e agli artisti del settore musicale è ancora in corso di ripartizione le quote dei compensi maturati nello stesso semestre;
              risulta che il presidente del Nuovo IMAIE abbia stipulato accordi transattivi sul passato tendenti al ribasso, a danno degli artisti;
          il presidente del Nuovo IMAIE non ha mai dato l'opportunità né ai titolari aventi diritto né ai membri del Comitato consultivo dell'Istituto di conoscere il contenuto e le clausole di tali contratti;
              nel corso della riunione del Comitato consultivo del 12 luglio 2011, il presidente del Nuovo IMAIE ha mostrato ai componenti del Comitato un testo del decreto ministeriale da lui predisposto per il riordino della materia dei diritti connessi spettanti agli artisti interpreti ed esecutori;
              il testo del decreto aveva l'obiettivo di modificare nella sostanza le disposizioni di cui al decreto-legge n.  64 del 2010 poiché prevedeva una rappresentanza obbligatoria, esclusiva e generale dall'Istituto in Italia di tutti gli artisti, italiani e stranieri, istituendo di fatto un monopolio legale a favore del Nuovo IMAIE;
              nonostante nessuna norma abbia mai previsto un monopolio legale in capo all'IMAIE, i dirigenti del Nuovo istituto hanno operato con l'obiettivo di ostruire l'entrata nel mercato di altri operatori;
              il decreto-legge n.  1 del 2012, convertito con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012, all'articolo 39, commi 2 e 3, dispone che l'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi degli artisti è libera;
              la Presidenza del Consiglio dei ministri previo parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato adotterà a breve un proprio decreto che indicherà «i requisiti minimi necessari ad un razionale e corretto sviluppo del mercato degli intermediari di tali diritti connessi»;
              per effetto della sopra citata disposizione, non ha più ragione di esistere in capo al Nuovo IMAIE la vigilanza congiunta della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per l'Informazione e l'editoria, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali prevista dal decreto-legge n.  64 del 2012;
              l'articolo 71-septies e seguenti della legge sul diritto d'autore n.  633/1941 prevede che i compensi spettanti per la copia privata siano raccolti e ripartiti dalla Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.) «tramite le loro associazioni di categoria maggiormente rappresentative, per il trenta per cento agli autori, per il restante settanta per cento in parti uguali tra i produttori originari di opere audiovisive, i produttori di videogrammi e gli artisti interpreti o esecutori»;
              come annunciato più volte dal Commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Michel Barnier, la proposta direttiva in materia di gestione collettiva dei diritti, approvata l'11 luglio 2012, all'interno del più ampio progetto dell'Agenda digitale europea, ha l'obiettivo di tutelare gli artisti disponendo regole di trasparenza e di omogeneità di gestione collettiva dei diritti, con particolare riguardo alle nuove tecnologie di sfruttamento online, nell'ambito della realizzazione del mercato unico europeo,

impegna il Governo:

          a rendere note le determinazioni necessarie per procedere alla distribuzione di eventuali residui successivi alla liquidazione, tenendo conto che oggi esistono più associazioni e società di collecting in rappresentanza degli artisti interpreti esecutori;
          a rendere noti i contenuti dei contratti stipulati dal Nuovo IMAIE prima e dopo l'entrata in vigore della decreto-legge n.  1 del 2012;
          a far sì che la Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.) come previsto dalla normativa vigente distribuisca in tempi rapidi i compensi raccolti per la copia privata a tutte le associazioni di produttori ed artisti.
(7-01065) «Zazzera, Borghesi».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              l’ictus cerebri è la terza causa più comune di morte e la principale causa di incapacità funzionale nei Paesi occidentali, colpendo per il 50 per cento soggetti di età inferiore ai 65 anni e per il 12 per cento soggetti al di sotto dei 45 anni e comporta per il paziente perdita di funzionalità, nonché un peggioramento della qualità della vita;
              per fibrillazione atriale si intende un'alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da una completa irregolarità dell'attivazione elettrica degli atri che influisce, in presenza di tale anomalia, sulle normali contrazioni atriali che vengono sostituite da movimenti caotici, completamente inefficaci ai fini della propulsione del sangue ed il ritmo cardiaco diviene completamente irregolare;
              in Italia l'incidenza di questa aritmia si aggira intorno all'1 per cento, ma aumenta con l'avanzare dell'età, raggiungendo il 6 per cento nelle persone con più di 60 anni; dati epidemiologici evidenziano che la fibrillazione atriale è responsabile dell'85 per cento degli ictus dovuti ad aritmie cardiache e di oltre il 50 per cento delle forme cardioemboliche;
              la terapia della fibrillazione atriale richiede un approccio multidisciplinare. In assenza di tale approccio si registrano risultati inferiori in termini di sopravvivenza e di qualità di vita dei pazienti;
              i pazienti con fibrillazione atriale vengono solitamente trattati con farmaci anticoagulanti, tuttavia vi sono due possibili strategie: la cardioversione, o conversione al ritmo cardiaco normale, e il controllo della frequenza cardiaca;
              attraverso una forte campagna di prevenzione integrata è possibile indirizzare tutte le persone ad avere uno stile di vita sano, un'alimentazione equilibrata e corretta ad effettuare esercizio fisico e controlli della regolarità del ritmo cardiaco, informando sui danni e sulle problematiche che scatenano i vari fattori di rischio, quali il fumo, l'alcool ed il diabete;
              il compito della prevenzione sia primaria sia secondaria va effettuato sui cofattori di rischio della fibrillazione atriale e dell’ictus ed occorre sottoporre la popolazione a screening, in modo da individuare i soggetti a rischio, e ciò non può essere fatto singolarmente ma su scala nazionale;
              risulta necessario coinvolgere i medici di base e tutti gli operatori sanitari in un piano di prevenzione che potrebbe fare in modo di incardinare alcuni processi di cura relativi ad alcune malattie, bloccandole con semplici procedure medico-infermieristiche all'interno di ambulatori organizzati;
              i centri clinici con esperienza casistica e con adeguate terapie sono distribuiti in modo disomogeneo sul territorio nazionale;
              la possibilità di accedere a cure sanitarie adeguate, rimuovendo fattori di disparità, è uno degli elementi principali che contribuiscono alla realizzazione del diritto alla salute di rilevanza costituzionale,

impegna il Governo:

          ad assicurare ai pazienti affetti da tale patologia percorsi diagnostici, terapeutici ed assistenziali mirati e di carattere multidisciplinare, al fine di garantire una dignitosa qualità della vita;
          ad inserire nel nuovo piano sanitario nazionale la fibrillazione atriale in maniera permanente quale patologia che comporta gravi implicazioni cliniche;
          a sensibilizzare l'opinione pubblica, attraverso campagne di informazione e di prevenzione, circa i principali fattori di rischio della fibrillazione atriale;
          ad assumere iniziative volte a valorizzare il ruolo del medico di base il quale, attraverso la presa in carico del paziente, può migliorare la performance del sistema a livello sia professionale sia organizzativo.
(7-01061) «Farina Coscioni, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».


      La XII commissione,
          premesso che:
              nel mondo si riscontrano circa 7-8.000 patologie, molte delle quali croniche, invalidanti o fatali, che colpiscono tra il 6 e l'8 per cento della popolazione nel corso della vita e, malgrado le singole malattie rare siano caratterizzate da una bassa prevalenza, il numero totale di persone che ne sono affette, solo nell'Unione europea (UE), varia tra i 27 e i 36 milioni, pari a una persona su 100,000;
              in Italia sono circa 2 milioni le persone affette da malattie rare, e circa il 70 per cento è in età pediatrica;
              l'80 per cento di queste malattie è di origine genetica, per il restante 20 per cento dei casi si tratta di malattie acquisite;
              l'Unione europea ha indicato le malattie rare tra i temi prioritari delle politiche sanitarie, al fine di stabilire l'uguaglianza del trattamento dei cittadini rispetto ai livelli essenziali di assistenza (LEA) stabiliti dagli Stati membri; diversi Stati hanno recepito tali indicazioni;
              in Francia, per esempio, da tempo è stato adottato un piano nazionale per le malattie rare e già dal 1994 è in vigore l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci orfani che ha consentito a più di 400 prodotti farmaceutici di ottenere l'autorizzazione temporanea di utilizzo (ATU), permettendo ai pazienti di utilizzarli in media 12 mesi prima dell'ottenimento dell'autorizzazione all'immissione in commercio;
              l'ATU ha come finalità quella di consentire l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi prima ancora che lo stesso abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo e non vi sia una valida alternativa terapeutica garantita da un farmaco regolarmente autorizzato;
              attualmente, in Italia, il Sistema sanitario nazionale (SSN) riconosce l'esenzione per l'acquisto solo di determinati farmaci, vista la difficoltà riscontrata nella classificazione di queste malattie, con conseguente aggravio per le famiglie dei pazienti;
              il decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n.  279 (recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie») riporta, all'allegato 1, l'elenco delle malattie riconosciute come rare dal Servizio sanitario nazionale;
              l'articolo 8 del suddetto decreto ministeriale prevede testualmente che «I contenuti del presente regolamento sono aggiornati, con cadenza almeno triennale, con riferimento all'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, ai dati epidemiologici relativi alle malattie rare e allo sviluppo dei percorsi diagnostici e terapeutici di cui all'articolo 1, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n.  662, e successive modificazioni e integrazioni»;
              ad oggi, nonostante le previsioni di cui sopra, non si è proceduto ad alcun aggiornamento, sebbene il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2008, mai entrato in vigore, recasse, all'allegato 7, un aggiornamento della malattie riconosciute come rare, individuando altre 109 patologie ad integrazione dell'allegato 1 del decreto ministeriale n.  279 del 2001;
              nell'ordinamento la possibilità di accedere a farmaci non ancora dotati di autorizzazione all'immissione in commercio è limitata ai casi disciplinati dal decreto del Ministero della salute dell'8 maggio 2003, relativo al cosiddetto uso compassionevole, e dal decreto-legge n.  536 del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  648 del 1996, concernente misure per il contenimento della spesa farmaceutica, e, pertanto, possono essere somministrati ai pazienti solo in presenza di sperimentazioni cliniche in fase già avanzata;
              lo schema dell'ATU, mutuato dal sistema francese, applicato ai farmaci destinati alla cura di malattie rare, orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti di avere a disposizione tali farmaci con largo anticipo rispetto ai tempi necessari alla conclusione degli studi clinici e all'ottenimento dell'autorizzazione alla commercializzazione;
              il percorso autorizzativo di detta tipologia di farmaci è molto lungo e reso difficoltoso dal fatto che, solitamente, gli studi clinici richiedono molto tempo, in quanto la ricerca scientifica ha difficoltà a raggiungere sufficienti prove di evidenza e di efficacia visto l'esiguo numero di pazienti su scala mondiale e risulta, quindi, necessario dislocare le sperimentazioni in diversi Paesi, con conseguente ulteriore aggravio dal punto di vista dei tempi necessari alla relativa conduzione;
              le persone affette da patologie non ancora accreditate come rare sono prive di ogni tutela socio-assistenziale: sono costrette a sostenere interamente i costi di eventuali farmaci esistenti in commercio nonché quelli delle visite specialistiche e delle terapie riabilitative; in ambito lavorativo non possono usufruire di congedi e permessi per malattie e in ambito scolastico sono privi dell'adeguata e necessaria assistenza;
              molte delle patologie rare sono gravemente invalidanti e compromettono in modo significativo la qualità della vita sul piano psico-fisico sia dei pazienti che delle rispettive famiglie;
              consapevoli delle difficoltà che le persone affette da malattie rare devono quotidianamente fronteggiare e della necessità di sollecitare l'opinione pubblica e le Istituzioni, affinché si possa giungere a risultati reali e tangibili, diverse associazioni hanno richiesto l'intervento del legislatore e un riscontro sui tempi di aggiornamento dei LEA,

impegna il Governo:

          ad aggiornare l'elenco delle malattie rare di cui al decreto-ministeriale n.  279 del 2001, includendo le 109 patologie, già individuate dall'allegato 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2008 mai entrato in vigore, nonché inserendo tutte la patologie diagnosticate come rare;
          ad aggiornare con cadenza annuale l'elenco delle malattie rare di cui al decreto ministeriale n.  279 del 2001;
          a porre in essere tutte le iniziative necessarie per garantire la presa in carico dei malati affetti da malattie rare e delle loro famiglie, in particolare attraverso l'accesso alle cure e all'assistenza materiale, economica e psicologica, in modo da ottemperare alle indicazioni dell'Unione europea;
          ad agevolare, per quanto di competenza, la predisposizione di una normativa che preveda l'autorizzazione temporanea di utilizzo per favorire l'accesso ai farmaci innovativi cosiddetti orfani, mutuando il modello francese;
          a promuovere la ricerca scientifica finalizzata ad individuare nuove terapie o farmaci per la cura delle malattie rare.
(7-01062) «Farina Coscioni, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              l'Associazione italiana medici per l'ambiente - Isde (International Society of Doctors for the Environment) di cui la dottoressa Antonella Litta, è referente per Viterbo, ha inviato un articolato documento al responsabile per la direttiva 98/34 della Commissione europea, e per conoscenza al commissario europeo all'ambiente, al commissario europeo alla salute, al presidente della Commissione europea; di detto documento sono stati messi a conoscenza anche il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, i presidenti delle Commissioni «Igiene e sanità» e «Territorio, ambiente, beni ambientali» del Senato della Repubblica; i presidenti delle Commissioni «Ambiente, territorio e lavori pubblici» e «Affari sociali» della Camera dei deputati; il presidente della Commissione «Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare» del Parlamento europeo;
              il citato documento contiene «osservazioni in opposizione allo schema di decreto interministeriale che propone l'introduzione di alcune modifiche al decreto legislativo n.  31 del 2001 relativamente ai requisiti di potabilità (notification number 2012/0534/I - C50A, title “schema di decreto interministeriale per l'introduzione nell'allegato I, parte B, del decreto legislativo 2 febbraio 2001 n.  31, del parametro microcistina - LR e relativo valore di parametro”), affinché esso sia rigettato sia per palese illegittimità in quanto in flagrante conflitto con la vigente normativa europea ed italiana, sia per palese inammissibilità, in quanto in flagrante contrasto con le evidenze scientifiche e le inequivocabili indicazioni dello Iarc, dell'Oms e dell'Usepa, e in altrettanto flagrante violazione del principio di precauzione»;
              l'approvazione del decreto renderebbe de facto lecita l'erogazione di acque destinate a consumo umano anche in presenza di contaminazione da cianobatteri e loro microcistine; è evidente che la legislazione vigente proibisce tale erogazione: ne consegue che lo schema di decreto interministeriale ipso facto si configura contra legem, e va quindi rigettato in quanto lungi dall'emendare il decreto legislativo n.  31 del 2001 inequivocabilmente lo viola nei suoi stessi fondamenti;
              lo schema di decreto de quo, consentendo de facto l'erogazione per consumo umano di acqua contaminata da cianobatteri e relative microcistine appare altresì in contrasto con l'articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana che «tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e si configura pertanto non solo di dubbia legittimità, ma altresì non in linea con i principi costituzionali in quanto è ad avviso dei firmatari del presente atto in irrimediabile conflitto con quanto disposto dalla Costituzione italiana;
              sono acclarati senza possibilità di equivoco la gravità del problema dell'eutrofizzazione e il pericolo per la salute umana determinato della presenza di cianobatteri e microcistine in corpi idrici utilizzati per l'erogazione di acque potabili; è inoltre acclarata la grande, e in parte ancora sconosciuta, potenzialità tossica dei cianobatteri; vi è chiara nozione della potenziale pericolosità della loro mutevole ed imprevedibile risposta a diverse condizioni climatiche ed ambientali, delle azioni tossiche, epigenetiche, genotossiche ed oncogene di tanti e vari tipi di microcistine da essi prodotte, delle documentate e croniche difficoltà in Italia di una potabilizzazione efficace, sicura e costante delle acque che presentano queste criticità, della mancanza di un reale e diffuso sistema di sorveglianza, allarme e gestione di questi fenomeni su tutto il territorio nazionale italiano, ed infine e soprattutto del documentato e concreto rischio per la salute umana e quindi della necessità di tutelare e preservare le caratteristiche di qualità delle acque come disposto dalla direttiva 98/83. Ne consegue che lo schema di decreto interministeriale citato si configura altresì come atto in contrasto con l'evidenza scientifica e la deontologia medica, ecologica e bioetica, oltre che con l'ortoprassi amministrativa e gestionale;
              è sufficiente inoltre considerare quali siano in materia le indicazioni di tutte le agenzie internazionali, europee ed italiane di protezione dell'ambiente, della salute e dei diritti umani, per evincere come lo schema di decreto interministeriale citato nel suo esito effettuale si ponga in contrasto con tutte le indicazioni formulate dalle più autorevoli fonti scientifiche, oltre che legislative ed amministrative. Valga ad esempio il caso del gravissimo degrado e inquinamento del lago di Vico, affetto ormai da lungo tempo da un gravissimo processo di eutrofizzazione e da sempre più frequenti e massicce fioriture del cianobatterio Plankthotrix rubescens, detto anche alga rossa, capace di produrre una microcistina cancerogena, non termolabile e tossica per gli esseri umani, per la flora e la fauna lacustre, classificata dalla Iarc (Agenzia internazionale di ricerca sul cancro) come cancerogeno di classe 2 b;
              nella relazione tecnica che costituisce parte integrante e sostanziale delle citate osservazioni, si presentano esaurientemente gli inconfutabili dati, le evidenze scientifiche e la vastissima bibliografia a sostegno delle osservazioni medesime; ne discende, ad avviso dei firmatari del presente atto, che per le ragioni scientifiche esposte lo schema di decreto interministeriale de quo andrebbe ritirato; ulteriori osservazioni sono formulabili altresì in ordine al metodo con cui l'atto è stato predisposto ed avviato nel suo iter procedimentale; ed in tale ambito si evidenzia che: a) a giudizio degli interroganti le proposte di emendamento delle leggi nazionali possono riguardare l'adozione di termini più stringenti, in ossequio al principio europeo di prevenzione, non termini più laschi; questo schema di decreto ammette invece ed effettualmente favorisce la presenza di una classe di tossici ora non prevista né tollerata dalla legge europea e italiana; b) il testo della proposta sembra essere stato indirizzato per verifica alla sola Commissione imprese e industrie dell'Unione europea (nel cui sito internet compare con la relativa scheda), mentre riguarda una classe di sostanze tossiche di diretto impatto ed interesse primario sanitario e non industriale, in quanto riguardante la totalità della popolazione nazionale utente di un servizio fondamentale per la qualità della vita, come la fornitura di acqua potabile; c) l’iter seguito si è quindi fin qui caratterizzato per aver effettualmente sostanzialmente eluso fin dall'origine indispensabili ed adeguati criteri, controlli e procedure; d) dal testo stesso della scheda di presentazione presente nel sito della Commissione imprese e industrie dell'Unione europea peraltro si evince come l'atto sia presentato in modo che appare a dir poco carente e pertanto come esso sia viziato per ragioni tanto di merito quanto di metodo, tanto sostanziali quanto formali; e) vi si legge che «esso non è una misura sanitaria o fitosanitaria», mentre è di assoluta evidenza che se approvato esso avrebbe una notevole ed assai negativa rilevanza sanitaria; f) analoga sottolineatura merita l'esplicita ammissione che «L'analisi di impatto non è disponibile al momento della notifica», e basterebbe questo solo dato a motivare il rigetto dello schema di decreto; g) il decreto, nel suo esito che effettualmente consente e favorisce l'erogazione per consumo umano di acqua contaminata, si pone in aperto contrasto con la necessità di contrastare ogni forma di inquinamento e degrado delle acque anche in considerazione degli obiettivi europei in tema di qualità delle acque previsti per l'anno 2015; h) ne discende che non solo per le ragioni giuridiche e scientifiche esposte, ma anche per ragioni di metodo, procedimentali, deontologiche, di congruità e coerenza, lo schema di decreto interministeriale de quo andrebbe ritirato;
              alla luce delle suddette osservazioni si ribadisce che, in relazione allo schema di decreto interministeriale citato, dovrebbe esservi un ripensamento sia in quanto esso appare in flagrante conflitto con la vigente normativa europea ed italiana, sia in quanto risulta in flagrante contrasto con le evidenze scientifiche e in altrettanto flagrante violazione del principio di precauzione;
              l'associazione italiana medici per l'ambiente - Isde (International Society of Doctors for the Environment - Italia) si riserva ogni ulteriore azione in tutte le competenti sedi,

impegna il Governo:

          a revocare lo schema di decreto interministeriale citato nelle premesse, tenuto conto che esso ad avviso dei firmatari del presente atto si configura in conflitto con la normativa italiana e in contrasto con l'evidenza scientifica e la deontologia medica, ecologica e bioetica;
          in ordine alle questioni e alle tematiche poste da una situazione oggettivamente inquietante per la tutela della salute della popolazione interessata, ad adottare tempestivamente tutte le iniziative necessarie e urgenti affinché il decreto legislativo n.  31 del 2001, che ha recepito la direttiva europea 98/83 per quanto riguarda la potabilità delle acque destinate a consumo umano, non venga modificato con l'introduzione di nuovi parametri per sostanze cancerogene evitabili per le quali, come noto, non esistono soglie di sicurezza.
(7-01063) «Farina Coscioni, Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Zamparutti».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              il settore floricolo nazionale è in forte difficoltà e, pur avendo generato nel 2011 un giro d'affari di oltre 1 miliardo di euro, è in costante ridimensionamento, con perdite di superficie coltivata di oltre il 25 per cento rispetto agli ettari registrati nel 2005 e la produzione crollata di oltre il 30 per cento;
          le ragioni della crisi che investe il settore sono da ricercarsi negli elevatissimi costi di produzione a cui segue inevitabilmente un aumento progressivo e massiccio delle importazioni da altri Paesi europei, primi tra tutti l'Olanda, che non solo produce nel territorio nazionale, ma appalta in Paesi terzi, quali Equador, Guatemala, Colombia e Kenia, dove le rose rappresentano l'81 per cento della produzione nazionale di fiori recisi ed il loro export e in costante aumento;
          la nuova fiscalità rurale e il costo del gasolio agricolo, indispensabile al riscaldamento delle serre per la coltivazione di molte varietà, impediscono al settore di essere competitivo sia sul mercato comunitario, visti i più bassi costi energetici a carico delle aziende europee, sia su quello extra-Unione europea in considerazione di un clima caldo più favorevole alla produzione floricola;
          in alcune regioni e particolarmente in Liguria, la nuova tassazione rurale genera un meccanismo perverso per il quale l'IMU sui terreni floricoli risulta più elevata di quella imposta ai terreni edificabili; nella provincia di Imperia infatti, i cui terreni sono caratterizzati da estimi catastali più alti che nel resto d'Italia, l'applicazione dell'aliquota massima del 10,6 per mille, unitamente ai previsti moltiplicatori, comporta un esborso a carico delle aziende locali di oltre il 500 per cento rispetto a quello che era dovuto con l'applicazione dell'ICI, rendendo, di fatto, per queste aziende impossibile competere non solo con l'estero ma anche con altre realtà nazionali che svolgono la stessa attività senza avere però la stessa tassazione;
          la recente sentenza del tribunale dell'Unione europea che, avendo dichiarato l'illegittimità dell'esenzione dalle accise sul gasolio utilizzato per il riscaldamento delle serre, applicato in favore dei nostri floricoltori nel periodo 2001-2004, in quanto incompatibile con il mercato comune, obbliga l'Italia a recuperare presso i beneficiari le somme corrispondenti agli aiuti concessi, comprensive degli interessi dovuti, mette rischio sopravvivenza molte aziende del settore;
          riguardo alla inventariazione degli immobili ai fini della assoggettabilità o meno all'IMU, i recenti orientamenti forniti dalle Agenzie del territorio con riferimento alla casistica delle serre, risultano estremamente differenti gli uni dagli altri e basati su una interpretazione restrittiva di come oggi la coltivazione di piante con l'utilizzo di serre viene esercitata; la coltivazione su suolo naturale, unica condizione, secondo la norma vigente, atta ad escludere l'inventariazione delle serre, è un'attività infatti ancora in uso, ma passata in secondo piano rispetto alla coltivazione su platee in cemento o bancali e pertanto il riferimento alle radici infisse sul terreno non tiene conto delle nuove tecniche di coltivazione finalizzate a migliorare l'ordinaria potenzialità produttiva del terreno, come peraltro sancito chiaramente dal nuovo articolo 2135 del codice civile,

impegna il Governo:

      a valutare la possibilità di:
          a) procedere urgentemente ad una revisione della normativa riguardante gli estimi catastali, considerato che a parità di coltivazione, la rendita di un terreno sito in un determinato territorio non può essere cinquanta o sessanta volte superiore a quella di altre zone del Paese, quando non della stessa regione;
          b) intervenire presso le competenti sedi comunitarie al fine di concordare una soluzione che non penalizzi ulteriormente le aziende floricole costrette a restituire le somme corrispondenti alle agevolazioni fruite, posto che la perdita di competitività del fiore europeo deriva dalle migliori condizioni climatiche dei Paesi terzi e dal bassissimo costo della manodopera ma soprattutto da politiche europee di sostegno allo sviluppo che si traducono, per il settore floricolo, in un taglio totale dei dazi, cosa questa che favorisce enormemente la delocalizzazione produttiva delle imprese comunitarie;
          c) chiarire il regime da adottarsi in materia di accatastamento delle serre, prevedendo una interpretazione della norma che tenga conto della funzione propria di protezione delle piante e in linea con le nuove tecniche di coltivazione finalizzate a migliorare l'ordinaria potenzialità produttiva del terreno;
          d) prevedere, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, e nel rispetto dei vincoli imposti dalla normativa comunitaria, adeguati sostegni a favore del comparto floricolo nazionale.
(7-01064) «Negro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
          si fa riferimento ad autorevoli prese di posizione, nello specifico del cardinale di Bologna Caffarra e al suo «vero grido di dolore» per la condizione delle chiese delle zone terremotate;
          vi è, a parere dell'interpellante, una situazione ingiusta ed un atteggiamento di ambiguo silenzio da parte di chi ha potere decisionale in merito, per le esigenze «spirituali» dei cittadini colpiti dal sisma;
          a tutt'oggi non sono stati predisposti edifici prefabbricati per celebrare le funzioni religiose soprattutto in previsione del Natale in cui rivestono particolare significato  –:
          se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, nelle forme in cui ritiene, soprattutto per il tramite della Soprintendenza ai beni culturali dell'Emilia Romagna, per ridare la possibilità agli abitanti delle zone terremotate di assolvere alle loro esigenze spirituali in luoghi adibiti a ciò.
(2-01778) «Garagnani».

Interrogazioni a risposta scritta:


      NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13, comma 12-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 recante: «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», cosiddetto decreto «salva Italia» successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge n.  214 del 22 dicembre 2011, ha introdotto l'imposta municipale propria — IMU, il cui tributo si applica sulla componente immobiliare diretta ad accorpare in un'unica tassa, l'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) con relative dovute addizionali per effetto di redditi fondiari su beni non locati, e l'imposta comunale sugli immobili (ICI);
          il presupposto dell'imposta è costituito dal possesso di beni immobili, intesi quali fabbricati o terreni, compresa l'abitazione principale e le sue pertinenze;
          secondo la prima formulazione della disciplina, il tributo si sarebbe dovuto applicare solo sui beni immobili diversi dall'abitazione principale e relative pertinenze;
          il gettito fiscale derivante dall'applicazione dell'IMU sull'abitazione principale risulta pari a circa 3,8 miliardi di euro secondo le stime effettuate da parte del Ministero interrogato, nel corso del 2012;
          la suesposta imposta a distanza di un anno dalla sua introduzione è stata oggetto di numerose critiche, a giudizio dell'interrogante, condivisibili, in particolare nei confronti del pagamento del tributo per la prima casa, le cui detrazioni tengono conto del numero dei componenti, ancora a prescindere dal reddito, nonché dalle valutazioni che essa colpisce un numero molto rilevante di immobili, su cui grava il costo del mutuo, determinando pertanto un carico finanziario e tributario dell'immobile spesso impossibile da sostenere per molti proprietari;
          ulteriori profili di criticità, a giudizio dell'interrogante, si rilevano nel calcolo complessivo dell'IMU, il cui onere risulta obiettivamente maggiore e impegnativo, rispetto alla precedente imposta comunale sugli immobili (ICI), abrogata dal precedente Governo Berlusconi, a giudizio dell'interrogante in modo corretto, nei riguardi della prima abitazione, in considerazione dell'importanza storica ed affettiva attribuita per la prima casa da parte di milioni di italiani;
          l'interrogante rileva, in considerazione di quanto esposto, come occorra prevedere differenti entrate tributarie per l'amministrazione dello Stato, al fine di esonerare dal pagamento dell'IMU per la prima abitazione, la cui imposta è stata tra l'altro oggetto di rilievi critici d'incostituzionalità  –:
          quali orientamenti intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non ritengano opportuno assumere iniziative per prevedere l'esonero dal pagamento dell'imposta municipale propria — IMU a partire dall'anno 2013, limitatamente alle abitazioni principali, e prevedere, conseguentemente, la copertura finanziaria, in alternativa al gettito derivante dalla medesima imposta, attraverso gli introiti provenienti dal contrasto all'evasione fiscale. (4-18985)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere — premesso che:
          da lunedì 10 dicembre 2012 più di mille nuovi giochi di modello slot sono legalmente «on line», basterà introdurre codice fiscale e numero di carta di credito;
          in data 5 dicembre 2012 il corriere.it ha ricordato che Luigi Magistro, nuovo direttore generale dei Monopoli dello Stato in un'intervista al Corriere avesse detto una settimana prima sulle slot: «dovremo intensificare i controlli, ma anche ripianificare la collocazione, evitandone la presenza vicino alle scuole, ai luoghi di culto, agli ospedali»; semmai, ha aggiunto Magistro, bisognerà «concentrare la presenza nel territorio» e «limitare al massimo l'introduzione di nuovi giochi»;
          le concessioni agli impresari del gioco d'azzardo fruttano circa 8 miliardi l'anno all'erario, a cui si aggiungono le tasse sulle vincite. In totale si tratta di entrate che riducono il deficit di quasi l'1 per cento del Pil ogni anno. Il problema è che nel 2012, per la prima volta, la crescita delle scommesse sta frenando: saliranno al più del due per cento, mentre le entrate erariali sono per la prima volta in calo di 500 milioni;
          è il Paese in cui i partiti della maggioranza chiedono liberalizzazioni, ma bloccano le gare sulle concessioni demaniali. È l'economia dalla quale tutti dicono che lo Stato deve ritirarsi. Detto fatto. È appena asciutto l'inchiostro su quelle frasi, che dall'altro ieri le slot machine sono entrate nelle case (benché Magistro avesse dimenticato di dirlo);
          è la sorpresa di Natale;
          secondo i Monopoli dello Stato, non è che l'applicazione di una legge di due anni fa;
          nel frattempo né l'agenzia né il Ministero dell'economia e delle finanze, che la controlla, hanno rinunciato a distribuire 50 nuove concessioni per le slot sul web;
          «In fondo – scrive Federico Fubini – è solo il prosieguo di un aumento dell'offerta di gioco d'azzardo (legale) che ha sprigionato tassi di crescita cinesi in un Paese che, per il resto, vive una decrescita del Pil fra le più rapide al mondo. Nelle scommesse legali gli italiani hanno speso 15,4 miliardi di euro nel 2003 e 79,8 miliardi nel 2011. È un incremento del 22,8 per cento l'anno, per un fatturato che vale il 5 per cento del Pil e mette il settore fra le prime industrie del Paese. In base ai dati dei Monopoli, in Italia la spesa media in scommesse per abitante maggiorenne è stata di 1.586 euro nel 2011: il 13,5 per cento del reddito. È ormai una delle grandi voci di spesa degli italiani, che nel frattempo tirano la cinghia su tutto il resto. Ogni euro in più speso in scommesse, spesso, è un euro in meno in acquisti di prodotti utili di imprese italiane rimaste oggi senza mercato nel Paese»;
          facile dunque sospettare che le nuove slot on line servano (anche) a incrementare i flussi di cassa per lo Stato. Non solo a sfidare le piattaforme offshore, come si dice. Come fossero queste le riforme strutturali per risanare l'Italia  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure intendono assumere ciascuno per quanto di propria competenza per bloccare queste concessioni, ostacolare l'ingresso di nuovi giochi on line che in tempi di crisi minano ulteriormente la fragilità emotiva dei cittadini. (4-18986)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'isola di Lampedusa continua ad essere meta di sbarchi di immigrati provenienti dal nord Africa;
          è importante evidenziare che tale flusso migratorio è ininterrotto ormai da anni e che nelle ultime settimane, come ha riferito il Ministro dell'interno in sede di audizione presso la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato il 27 novembre 2012, ha raggiunto punte elevatissime al cospetto di strutture di accoglienza inadeguate anche a seguito di danneggiamenti dovuti ad incendi dolosi;
          per tale situazione la popolazione continua a pagare le conseguenze di uno stato di emergenza che si ripercuote sull'economia dell'isola;
          si evidenzia che per mitigare le ricadute negative sui flussi turistici, principale risorsa insieme all'attività di pesca per il sostentamento di gran parte delle famiglie isolane, erano state adottate misure di sostegno alle imprese turistiche di Lampedusa, volte a favorirne la sopravvivenza ed a fronteggiare le conseguenze del calo delle presenze turistiche dovuto alla continua emergenza che vivono le isole Pelagie;
          tali misure vanno a scadere nei prossimi giorni e, ad oggi, non risulta in programma una loro proroga, anche se l'emergenza per gli sbarchi non accenna a diminuire e, con essa, la sofferenza delle imprese turistiche dell'isola;
          a tal proposito si evidenzia che l'associazione degli albergatori di Lampedusa, il consorzio dei pescatori, l'associazione dei pescatori e l'associazione degli imprenditori hanno deciso, ove in tempi celeri non dovessero arrivare impegni da parte del Governo volti a rassicurare la popolazione che tali misure verranno riproposte anche per il prossimo anno, di intraprendere forme di protesta clamorose, e tali da enfatizzare lo stato di malessere della popolazione  –:
          se il Governo sia a conoscenza dello stato di agitazione della popolazione e delle categorie economiche di Lampedusa;
          se non ritenga doveroso assumere urgentemente le iniziative necessarie volte a prorogare le misure di sostegno alle imprese dell'isola ed aiutarle a fronteggiare l'emergenza dovuta agli sbarchi ed allo stato di tensione esistente a Lampedusa. (4-18988)


      MENIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Presidente del Consiglio, Mario Monti, il 16 novembre 2012, ha ricevuto in visita a Roma il Presidente della Repubblica della Costa d'Avorio, Alassane Ouattara;
          la Costa d'Avorio, Paese francofono dell'Africa sub sahariana, è uscita quasi indenne nel 2011 da una rivoluzione civile che avrebbe potuto compromettere in modo serio la convivenza tra etnie e classi sociali del Paese;
          si apre per questo Paese una prospettiva importante di sviluppo economico, urbanistico e civile non più strettamente unito al ruolo egemone della Francia, storicamente indiscusso, per favorire un'apertura durevole verso tutti i Paesi dell'Unione europea, e dunque anche l'Italia;
          è opinione comune che questo Paese dopo dieci anni di crisi civile, possa riprendere un ruolo geopolitico strategico per il mantenimento della pace tra identità religiose in tensione crescente in tutta l'area sub sahariana: cattoliche, protestanti e mussulmane;
          la Costa d'Avorio è un punto di riferimento per lo Stato Vaticano che in questo Paese ha il cuore della sua azione pastorale nell'area e di sostegno alla pace. Una via diplomatica importante per il nostro Paese;
          la ricchezza di materie prime – anche recentemente sono stati individuati importanti giacimenti petroliferi – ne fa un Paese con solide base economiche per gli operatori stranieri  –:
          quali volontà si siano manifestate nel suddetto incontro del 16 novembre 2012, tra i due presidenti ed in particolare se e come si sia valutato di rafforzare le relazioni tra i due Paesi;
          in caso affermativo, su quali settori dell'economia potrebbe incentrarsi un impegno italiano in Costa d'Avorio ed in particolare se si sia o meno valutato una prospettiva di coinvolgimento dell'ENI;
          se vi sia intenzione o meno di far seguire nuovi incontri intergovernativi e interministeriali tra i due Paesi.
(4-18990)


      MARSILIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il MES (Meccanismo europeo di stabilità) è stato ufficialmente inaugurato il giorno 8 ottobre 2012, a seguito della ratifica e del successivo deposito del suo trattato istitutivo da parte dei propri membri, i singoli Stati dell'eurozona;
          in Italia l'approvazione definitiva del trattato, depositato a settembre presso i competenti uffici dell'Unione europea, è avvenuta con voto della Camera dei deputati, nel corso della seduta del 19 luglio 2012;
          in tale data venne accolto dal Governo l'ordine del giorno n.  9/05359/001, a firma dell'interrogante e dell'onorevole Rampelli;
          il dispositivo dell'ordine del giorno citato impegnava il Governo, tra le altre cose, a «prevedere che il membro supplente del consiglio dei governatori, in luogo del titolare Ministro delle finanze pro-tempore, sia un vice ministro o un sottosegretario dello stesso, e ad attivare un procedimento di verifica parlamentare sui criteri di scelta e sui curriculum dei membri effettivo e supplente nell'ambito del consiglio d'amministrazione;
          dal sito internet ufficiale del Meccanismo europeo di stabilità, nella pagina relativa alla governance dello stesso, si apprende che sono già state effettuate le nomine spettanti all'Italia relative al membro supplente del «consiglio dei governatori», nonché al titolare e al supplente del «consiglio d'amministrazione»;
          a dispetto da quanto previsto nell'ordine del giorno di cui sopra, non solo il membro supplente del «consiglio dei governatori» non risulta essere un membro del Governo italiano; ma nemmeno alcuna procedura parlamentare di verifica è stata attivata per la nomina dei membri del «consiglio d'amministrazione»  –:
          quali siano le ragioni che hanno indotto il Governo a non rispettare quanto determinato dall'ordine del giorno 9/05359/001;
          quali siano i motivi per i quali la scelta del membro supplente del «consiglio dei governatori» e quella del membro effettivo del «consiglio d'amministrazione» siano ricadute sulla stessa persona;
          se non ritengano opportuno, ognuno per quanto di propria competenza, attivare comunque un procedimento di verifica parlamentare, anche al fine di condividere con il Parlamento delle scelte fondamentali per il Paese. (4-18991)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul settimanale L'espresso del 13 dicembre scorso è stato pubblicato un articolo a firma di Riccardo Bocca dal titolo «Il mistero del sergente rapito» in cui, tra le altre, si riferisce di un possibile atto intimidatorio avvenuto il 16 ottobre 2012 ai danni dell'abitazione di Marisa Gentile, moglie dello scomparso Davide Cervia. Nell'articolo viene ricostruita sommariamente la complessa e mai risolta vicenda del rapimento di Davide Cervia, ex sottufficiale della marina militare specializzato in attività di guerra elettronica e contromisure;
          sulla questione sono reperibili articoli di stampa e informazioni di ogni genere. Tra queste, sul portale web «Terra News», è possibile leggere l'articolo dal titolo «Il segreto libico dell'esperto di guerra elettronica». In particolare si legge «Forse è a pochi metri dall'Hotel Rixos a Tripoli, nell'area della cittadella fortezza appena conquistata dai ribelli; o, chissà, il pezzo di verità mancante è ancora rinchiuso in uno dei tanti bunker sparsi nel deserto verso il sud della Libia, sulla strada della fuga del rais. Marisa e Alberto Gentile guardano le immagini trasmesse in queste ore dalla capitale in fiamme dell'ex regime pensando a quante volte la verità sulla scomparsa di Davide Cervia – che di Marisa era il marito – è stata nascosta. Certo, c’è da fidarsi poco dagli 007 italiani mandati sul fronte della guerra da almeno due mesi, la speranza che il governo italiano possa oggi fare luce sulla scomparsa del tecnico di guerra elettronica, ex sergente della Marina Militare, è, per loro, ormai lettera morta. Dal momento del rapimento di Davide Cervia, avvenuto a Velletri, in provincia di Roma, il 12 settembre 1990, c’è stata un'inchiesta archiviata nel novembre 1999 – «perché ignoti gli autori del reato» –, una fila interminabile di documenti falsi rifilati alla moglie Marisa e al suocero Alberto, un groviglio di fonti create probabilmente ad arte per depistare ed una verità che nessuno sembrava voler realmente cercare. E sullo sfondo il paese che più è stato legato ai misteri d'Italia, la Libia di Gheddafi, il colonnello che non ha mai smesso di basare il suo potere anche sui rapporti strettissimi con l'Italia. Davide Cervia era un tecnico di guerra elettronica, specializzato nei sistemi di arma Teso Otomat che l'industria militare di stato italiana aveva venduto fin dagli anni ’70 ai tanti paesi canaglia del mondo, Libia compresa. Prima di congedarsi, Davide lavorò sulla Maestrale, acquisendo una specializzazione preziosissima. Poi, nel 1990, spari per sempre, rapito, come dimostrò anche l'inchiesta ufficiale. Per anni la Marina Militare negò la qualifica di esperto «GE», fino a quando la moglie Marisa e il suocero Alberto occuparono insieme al Comitato per la verità su Davide Cervia gli uffici dall'allora ministro della difesa italiano Martino. Dopo otto ore di trattative, serrate e tese, il vero foglio matricolare venne fuori: la specializzazione che la Marina aveva sempre negato era lì, nero su bianco. Non un corso qualsiasi, ma un addestramento di alto livello, che poche decine di tecnici avevano. Per la burocrazia della marina era un tecnico Elt/Ete/Ge, specializzato nella «guerra elettronica», quella serie di dispositivi dedicati al disturbo dei radar nemici. Quella sigla rendeva l'ex sergente della Marina scomparso un pezzo prezioso che qualcuno aveva venduto, includendolo in uno dei sofisticati sistemi di arma prodotti in Italia. E Davide non era uno qualsiasi, tanto che sul suo dossier gli ufficiali scrissero: «Ha contribuito in maniera fattiva alla esecuzione delle manutenzioni preventive e correttive sugli apparati GE, facendosi apprezzare per l'elevata preparazione professionale, l'interesse e la dedizione al servizio». Gli elementi che ricollegano la sua scomparsa alla Libia sono moltissimi: «A Taranto, quando Davide fece il corso della Marina – spiega Alberto Gentile – vi erano moltissimi marinai libici e qualcuno potrebbe aver notato la sua preparazione». L'assistenza militare del regime di Gheddafi è sempre stata una nostra specialità, fino a pochi mesi prima del conflitto, quando abbiamo fornito diverse corvette alla marina libica. Vi fu poi una testimonianza di due operai italiani appena tornati dalla Libia, raccolta da un giornalista sportivo nel 1994, che riferirono di aver visto Cervia nella zona centrale del paese. E ancora: proprio la Libia alla fine degli anni ’80 aveva contrattato diverse imprese italiane per sistemare le navi attrezzate con il sistema Teseo Otomat. Un tecnico come Cervia era sicuramente preziosissimo. Il 23 dicembre del 1996 una prima velata ammissione della pista libica del rapimento di Davide Cervia arrivò – seppur indirettamente – dal governo italiano: «L'allora sottosegretario agli esteri Rino Serri ci disse che stavano trattando il rilascio di Davide con i libici – ricorda Alberto Gentile – ma noi non dovevamo più parlare di rapimento. Passarono i mesi e nulla accadde». Poi calò di nuovo il silenzio. La circostanza viene confermata oggi anche da Falco Accame, che partecipò all'incontro tra la famiglia Cervia e Serri. Oggi l'apertura dei bunker di Gheddafi potrebbe essere una chance irripetibile per ricostruire quello che è accaduto a Davide Cervia. Nella confusione che regna a Tripoli in queste ore è però difficile capire chi è in grado di controllare gli archivi del rais. Un contributo molto importante può venire dal «nostro uomo a Tripoli», l'ex numero due del regime Jalloud, fuggito in Italia la scorsa settimana con l'aiuto del Aise. Serve però qualcuno che abbia voglia di chiedere una vera collaborazione. Lo stesso Cnt – che vorrebbe dare una svolta democratica alla Libia – ora che ha trasferito il governo provvisorio nei palazzi del potere tripolino – avrebbe la possibilità di aprire gli archivi, con una importante operazione verità. In fondo un regime si abbatte anche così.»;
          nel corso delle precedenti legislature sono stati numerosi gli atti di sindacato ispettivo che nei due rami del Parlamento sono rimasti privi delle dovute risposte. Tra questi si evidenziano, per i contenuti e per i silenzi delle istituzioni a cui sono indirizzati, gli atti:
              Senato 4/00492 dell'8 luglio 1992, Senato 4/02348 dell'11 febbraio 1993, Senato 4/05353 del 10 febbraio 1994, Senato 3/00274 del 13 ottobre 1994, Senato 4/00358 del 3 giugno 1994, Senato 4/07419 del 22 dicembre 1995, Senato 2/00233 del 28 febbraio 1997, Senato 4/05744 del 13 maggio 1997, Senato 4/14930 del 20 aprile 1999, Senato 4/14972 del 22 aprile 1999, Senato 4/22074 1 febbraio 2001;
              Camera 4/24415 del 4 marzo 1991, Camera 4/26501 del 24 giugno 1991, Camera 4/26803 del 5 luglio 1991, Camera 4/26907 del 10 luglio 1991, Camera 4/26957 dell'11 luglio 1991, Camera 3/00137 del 7 luglio 1992, Camera 4/03259 del 13 luglio 1992, Camera 5/00430 del 1 agosto 1996, Camera 2/00335 del 16 dicembre 1996, Camera 2/00484 del 28 aprile 1997, Camera 4/09499 del 28 aprile 1997, Camera 4/09823 dell'8 maggio 1997, Camera 4/11916 del 22 luglio 1997, Camera 4/12078 del 29 luglio 1997, Camera 4/34380 del 6 marzo 2001  –:
          quale sia il ruolo svolto nella vicenda dai servizi segreti italiani e come si spieghino le reticenze e la contraddittorietà degli interventi che emergono dalle risposte rese nel tempo ad alcuni atti di sindacato ispettivo inerenti la vicenda in premessa e se sia in grado di escludere ogni possibilità di connivenze tra i servizi di sicurezza italiani e quelli di altri Paesi;
          se risulti se all'epoca dei fatti l'Interpol e la Criminalpol siano state attivate e con quali risultati;
          se risulti se il team operativo preposto al coordinamento e al monitoraggio delle attività di ricerca in ambito nazionale ed internazionale costituito nel 1993 – come relazionato dal Ministro della difesa Fabbri – abbia effettivamente operato, da chi fosse composto e quali risultati abbia ottenuto;
          se siano state fatte ricerche sulla sorte degli altri tecnici italiani che hanno conseguito la stessa specializzazione di Davide Cervia e se siano state progettate ed approntate misure di sicurezza per salvaguardare la loro incolumità; quanti siano, quanti di loro siano in congedo e quanti siano in servizio in Italia o all'estero;
          se risulti se siano state effettuate ricerche ed indagini presso i paesi ai quali gli armamenti in questione sono stati venduti;
          se si sia accertata l'effettiva destinazione finale delle suddette armi onde verificare che non sia in atto un traffico d'armi «triangolato» e che non vi siano state violazioni delle norme sulle esportazioni di armi verso Paesi per i quali fossero in corso embarghi militari;
          se, in caso di incertezza circa la destinazione finale delle armi, non si siano allargate le ricerche presso i Paesi – anche se soggetti ad embargo – che hanno effettivamente in uso i sistemi d'arma sui quali Davide Cervia era stato addestrato;
          se siano state avviate indagini interne per accertare responsabilità negli apparati del Ministero dell'interno, del Ministero degli affari esteri e del Ministero della difesa dai quali, a vario titolo ed in varie circostanze, siano pervenute notizie incomplete, fuorviami, alcune delle quali rivelatesi addirittura false;
          se non si ritenga, alla luce degli ultimi importantissimi eventi, di impegnarsi a dare nuovo impulso alle ricerche di Davide Cervia. (4-19007)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


      MIOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          con l'interrogazione n.  4-16945 a prima firma dell'interrogante è stato chiesto, innanzitutto, se fosse a conoscenza dei Ministri interrogati la vicenda del professor Grassivaro, resa nota al grande pubblico da un ampio servizio del Corriere della Sera, ingiustamente escluso dalla nomina di addetto scientifico presso le ambasciate a Caracas e Buenos Aires, nonostante la competente commissione ne avesse apprezzato la «eccellente preparazione»;
          il 4 giugno 1993 il professor Grassivaro aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato ma solo dopo 17 anni il ricorso veniva trasmesso al Consiglio di Stato per il relativo parere e, in data 11 novembre 2011, il ricorso è stato accolto, nonostante che già nel 1996 il Ministero fosse stato sollecitato a prendere posizione a seguito dell'interpellanza parlamentare (n.  2-00146) a firma dell'onorevole Marco Boato;
          con la precedente interrogazione è stato chiesto altresì di conoscere se fossero state individuate le responsabilità per un ritardo inaccettabile che ha comportato danni economici, professionali ed «esistenziali» al professor Grassivaro e quale proposta di risarcimento fosse allo studio,
          con risposta alla interrogazione sopraindicata, il Ministro degli affari esteri ricostruisce la vicenda ma sembra attribuire alla inerzia del professor Grassivaro il ritardo nell'esame del ricorso perché afferma che «...l'interessato non ha provveduto nel termine perentorio dei 120 giorni previsto dalla normativa ad attivarsi per i seguiti del ricorso»;
          a mente dell'articolo 11, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 ottobre 1971, n.  1199, che regola il procedimento per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, «Trascorso il detto termine, il ricorrente può richiedere, con atto notificato al Ministero competente, se il ricorso sia stato trasmesso al Consiglio di Stato» pertanto la possibilità per l'interessato di attivarsi per il seguito del ricorso, non può essere scambiato per una condizione cui ottemperare, pena la perdita del diritto al risarcimento;
          risulta invece dal comma 1 dello stesso articolo che sussiste il dovere del Ministero di trasmettere il ricorso al Consiglio di Stato per l'emissione del relativo parere;
          pertanto, le responsabilità del grave ritardo nel dare corso al procedimento introdotto con il ricorso straordinario andrebbero accertate in sede ministeriale e non dovrebbero essere accampate ragioni infondate, anche alla luce del respingimento della analoga eccezione presentata dal Ministero al Consiglio di Stato  –:
          se il Ministro interrogato intenda procedere alla individuazione delle responsabilità in capo ai dirigenti inadempienti, atteso che il privato cittadino non ha omesso alcuna formalità procedimentale e, nel merito della vicenda che lo ha riguardato, ha ottenuto formale attestazione per l'ingiustizia subita, salva l'attesa di un equo risarcimento in sede giustiziale. (4-18982)


      VILLECCO CALIPARI e TEMPESTINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 10 dicembre 2012 si è celebrata la giornata mondiale diritti umani. La data è stata scelta per ricordare la proclamazione da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite della dichiarazione universale dei diritti umani avvenuta il 10 dicembre 1948;
          nell'ultimo decennio vi sono stati importanti progressi per la condizione femminile in Afghanistan: l'approvazione di una nuova Costituzione nella quale vengono sanciti pari diritti a uomini e donne, una legge per l'eliminazione della violenza contro le donne (EVAW) l'adozione di un nuovo piano d'azione nazionale per le donne afgane (NAPWA), la costituzioni di un Ministero ad hoc per l'uguaglianza di genere e i diritti delle donne;
          tuttavia, tali importanti progressi non risultano ancora sufficienti, e al momento non costituiscono una adeguata garanzia di sviluppo e sicurezza per le donne afghane. In particolare, le donne continuano a subire grandi e gravi restrizioni e violenze nelle aree rurali del Paese, e soprattutto nelle province meridionali più conservatrici;
          la Commissione indipendente afghana sui diritti umani, esprimendo preoccupazione per la crescente violenza contro le donne, denuncia che nel 2012, in Afghanistan, ci sono stati almeno 70 delitti d'onore registrati. Secondo l'esponente della commissione Suraya Sobahrang, quest'anno si sono registrati quattromila casi di violenze contro le donne, mentre lo scorso anno sono stati tremila i casi registrati di violenza. I dati non riflettono comunque l'ampiezza del fenomeno della violenza contro le donne nel Paese, poiché molto spesso le violenze non vengono denunciate. Sobahrang ha poi spiegato che molti di coloro che commettono atti di violenza contro le donne cercano poi rifugio nelle aree controllate dai Talebani per evitare di essere arrestati;
          l'Italia, con l'adozione del Piano d'azione nazionale per l'attuazione della Risoluzione ONU 1325 su «Donne, pace e sicurezza», nel dicembre del 2010, ha assunto un ulteriore impegno per la promozione e tutela dei diritti delle donne nelle situazioni di conflitto, anche attraverso la loro inclusione nei negoziati di pace; manca tuttavia, ancora oggi, l'inclusione nei Piano nazionale degli indicatori temporali, degli obiettivi quantitativi, degli indicatori di successo e delle informazioni sulle risorse finanziarie;
          il 30 ottobre 2012 viene definitivamente approvato il disegno di legge di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sul partenariato e la cooperazione di lungo periodo tra la Repubblica italiana e la Repubblica islamica dell'Afghanistan, firmato a Roma il 26 gennaio 2012»;
          nell'articolo 2, paragrafo 7, di tale accordo si afferma che l'Italia continuerà a sostenere lo Stato di diritto, allo scopo di rafforzare le capacità del sistema giudiziario, migliorare l'accesso alla giustizia e promuovere il rispetto dei diritti umani, inclusi quelli delle donne e delle minoranze afgane, principalmente attraverso i Programmi prioritari nazionali (NPPs). Viene inoltre dichiarato che un'attenzione speciale continuerà ad essere riservata alla promozione dei diritti delle donne rafforzando la componente dell'uguaglianza di genere nei programmi italiani anche con l'obiettivo di sostenere le istituzioni e l'effettiva applicazione di leggi fondamentali come la legge sulla eliminazione della violenza contro le donne (EVAW)  –:
          quali siano, alla luce della recente approvazione della legge di ratifica ed esecuzione dell'accordo sui partenariato e la cooperazione di lungo periodo tra la Repubblica italiana e la Repubblica islamica dell'Afghanistan, fatto a Roma il 26 gennaio 2012, le misure che sono state individuate al fine di contrastare la crescente violenza contro le donne in Afghanistan. (4-18998)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MARIANI, BRAGA, REALACCI, BRATTI, VIOLA, MARGIOTTA, IANNUZZI, MOTTA e BENAMATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          numerose agenzie e notizie di stampa pubblicate a seguito della Conferenza sulla regolazione dei servizi idrici organizzata dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas a Milano lo scorso 3 dicembre 2012, hanno riportato la notizia secondo cui le tariffe idriche italiane sarebbero fra le più basse d'Europa e questo fatto, unitamente alla previsione (anch'essa riportata con titoli in grande evidenza sui quotidiani) che sarebbero necessari 65 miliardi di euro per investimenti sulla rete idrica e per la depurazione delle acque, porterebbe all'inevitabile conclusione che le tariffe idriche dovrebbero essere riviste in aumento da parte dell'autorità stessa;
          occorrerebbe avviare una rilevazione indipendente delle tariffe italiane ed europee, in modo da effettuare i necessari confronti sulla base di criteri certi e statisticamente condivisi;
          i dati sulla cui base l'Autorità per l'energia si appresta a deliberare il sistema tariffario provvisorio dovrebbero consentire l'individuazione e l'adozione dei costi standard posti quale criterio generale della regolazione tariffaria, come evidenziato dall'Autorità alla Commissione VIII Ambiente della Camera dei deputati in ben due distinte occasioni;
          nell'adozione del sistema tariffario provvisorio ed in quello definitivo dovrebbero essere rispettate le indicazioni emerse dal voto popolare in seguito al referendum del giugno 2011 con il quale è stata abrogata la remunerazione di quanto investito;
          occorrerebbe chiarire quali siano i criteri ed i valori posti a base del riconoscimento degli oneri finanziari con specificazione delle singole voci di dettaglio, quali siano gli esiti delle simulazioni effettuate in questo periodo, se da tali risultati sia possibile assicurare che la tariffa sia in grado di finanziare gli investimenti previsti dai piani di ambito e quali siano gli standard omogenei di qualità dei servizi che l'Autorità intenderebbe richiedere ai gestori, a garanzia dei cittadini e dell'utente finale  –:
          se vi sia stato un coinvolgimento del Governo in relazione all'ipotesi di una revisione del sistema tariffario per i servizi idrici e di quali elementi disponga al riguardo, con particolare riferimento ai criteri previsti, agli esiti delle simulazioni e agli standard di qualità dei servizi;
          quali siano gli orientamenti che il Ministro intenda assumere per garantire il contenimento delle tariffe agli utenti e per evitarne un generalizzato aumento ed entro quanto tempo saranno definiti i criteri tramite cui l'Autorità potrà definire la componente di tariffa ispirata al principio di riconoscere il «costo della risorsa», la cui determinazione è di competenza dei Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012, Gazzetta Ufficiale n.  231). (5-08644)

Interrogazione a risposta scritta:


      RAZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la regione Toscana ha avuto soprattutto in questi ultimi tempi un numero sempre maggiore di esondazioni e di alluvioni;
          il presidente della regione richiede fondi statali per riparare i «danni» causati dalle «condizioni meteorologiche»;
          il presidente della regione anche recentemente ha dichiarato al giornale Pubblico del 29 novembre 2012 che «Il maltempo sta facendo enormi disastri. Ma finiamola di parlare di bombe d'acqua improvvise: ormai, il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo, e non solo nella nostra regione, è la normalità: attrezziamoci prima, per evitare danni più consistenti alle famiglie. Meno male abbiamo proibito costruzioni, a ridosso delle zone a rischio, che potevano creare ancora più problemi alla gente. E abbiamo speso 150 milioni in tre anni, per la prevenzione in tutta la Toscana»;
          su iniziativa dei vertici della regione Toscana sono state modificate norme regionali permettendo interventi più «aperti» rispetto a norme di maggiore tutela di cui alla legge regionale n.  66 del 2011;
          tali interventi sono stati permessi in zone ad alto indice sismico riconosciute dagli stessi vertici della presidenza e protezione civile regionale o su cui gli stessi vertici hanno richiamato l'attenzione;
          con simili «elargizioni finanziarie» da parte dello Stato si rischia di premiare la non cautela  –:
          quali iniziative finanziarie si intendano intraprendere per evitare aggravi di finanza nel bilancio dello Stato;
          se e quali iniziative «normative» si intendano intraprendere nell'interesse generale ai fini di elevare i criteri della sicurezza e della incolumità. (4-18984)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:


      SAVINO. — Al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          i 2 miliardi di euro destinati al «programma attrattori culturali 2007-2013», finalizzati al miglioramento dell'offerta culturale delle regioni del Sud Italia, non sono stati spesi e quindi dovranno essere restituiti alla Commissione europea;
          si tratta di risorse importanti, dirette allo sviluppo del turismo e della cultura e che invece non sono mai state impegnate operativamente, nonostante i diversi progetti stilati in questi anni, tutti non realizzati;
          a tale cifra devono aggiungersi anche gli 1,5 miliardi di euro del 2011, con un evidente spreco a fronte di un patrimonio culturale, naturale e paesaggistico che necessita di molteplici interventi e dunque di adeguate risorse finanziarie;
          i cosiddetti POIN (programma operativo interregionale) e PAIN (programma attuativo interregionale) per il Sud, pur rappresentando gli strumenti principali attraverso cui promuovere e sostenere lo sviluppo socio-economico delle regioni del Mezzogiorno, con la valorizzazione, il rafforzamento e l'integrazione su scala interregionale del patrimonio culturale, naturale e paesaggistico in esse custodito, sono rimasti disattesi;
          i fondi europei, infatti, non soltanto non sono stati spesi ma anzi sono stati riallocati per finanziare altre voci di spesa che nulla hanno a che fare con il settore della cultura;
          per impegnare quei 2 miliardi in progetti credibili il tempo è praticamente scaduto, visto che entro il 31 dicembre va dimostrato che ci siano progetti in corso d'opera, con i relativi investimenti, da realizzare entro il mese di giugno 2013;
          bisogna altresì ricordare che di recente, nel corso dell'esame al Senato del decreto-legge sviluppo in Commissione bilancio ha espresso parere contrario sull'emendamento del Governo che prevedeva la nascita dell'Agenzia per la coesione, a cui veniva affidato il compito di provvedere alle iniziative in materia di utilizzazione dei fondi strutturali comunitari, sull'attuazione dei programmi e sulla realizzazione dei progetti che utilizzano fondi strutturali comunitari  –:
          quali iniziative il Governo intenda adottare per individuare i responsabili del mancato utilizzo dei fondi europei di cui in premessa, con un ingiustificato spreco di denaro, a fronte di un Paese attraversato da una crisi economico-finanziaria che lo ha reso molto vulnerabile;
          quali ulteriori iniziative urgenti intenda assumere, in considerazione del forte ritardo italiano sullo stato di attuazione dei programmi operativi per la programmazione 2007-2013 di cui in premessa, per individuare metodi corretti di utilizzo delle risorse, tesi a sostenere lo sviluppo ed il rilancio del patrimonio culturale e paesaggistico italiano. (4-19003)

DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:


      CICU. —Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  95 del 2012, all'articolo 23, comma 6, ha incrementato di un miliardo di euro per l'anno 2013 il fondo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace;
          il suddetto fondo, per l'anno 2012, aveva invece ricevuto un incremento di oltre 1400 milioni, di cui circa 1250 per il solo Ministero della difesa;
          come è emerso anche durante la discussione del disegno di legge di stabilità presso la Commissione difesa della Camera dei deputati, la dotazione finanziaria attualmente prevista non appare sufficiente ad assicurare il sostegno di tutte le missioni e attività in corso e, in particolare, delle previste azioni connesse al redeployment dal teatro afghano, che avrà inizio nel corso del 2013 per concludersi entro il 2014;
          le recenti tragiche notizie provenienti dal teatro afghano rendono ancora più pressante l'esigenza che mezzi, equipaggiamenti e attività di formazione ed addestramento continuino ad essere adeguati a garantire ai nostri contingenti la possibilità di agire in modo efficace e con il massimo livello di sicurezza possibile in contesti particolarmente difficili –:
          se il Governo intenda implementare, ed in quale misura, anche attraverso ulteriori interventi normativi, le risorse del fondo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace. (3-02652)

Interrogazione a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione prima) ha pronunciato la sentenza n.  1467 del 3 dicembre 2012, sul ricorso numero di registro generale 1461 del 2012, proposto dal capitano dell'Arma dei carabinieri Massimo Ferrari contro il Ministero della Difesa, e il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, per l'annullamento del provvedimento prot. n.  402/5 del 31 agosto 2012, con il quale il Comandante interregionale carabinieri «Vittorio Veneto» ha rigettato il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente avverso la sanzione disciplinare di Corpo di giorni 3 «di consegna» inflittagli e notificatagli il 19 maggio 2012 dal Comandante provinciale carabinieri di Venezia;
          nella sentenza si legge «la vicenda riguarda le censure e la conseguente sanzione disciplinare adottata nei confronti del comandante la compagnia c.c. di Schio. Il fatto storico, di cui è causa, principia da un dato incontestato: le attenzioni del cane della signora Codiferro agli avventori del bar “Scledum” di Schio, tra cui l'odierno ricorrente. Antitetiche ed inconcilianti, invece, sono le versioni delle successive reazioni dei presenti, così come sottoposte all'attenzione dell'Ufficiale comandante il reparto provinciale dell'Arma di Vicenza, diretto superiore del ricorrente, che ha svolto gli accertamenti istruttori ed ha provveduto alla irrogazione della sanzione disciplinare in questa sede censurata. [...] Può condividersi, nei termini di cui in motivazione, il rilievo, invero collocato e definito, dalla difesa ricorrente, come eccesso di potere per travisamento dei fatti, ma afferente alla valutazione, o meglio alla non valutazione delle deposizioni testimoniali prodotte dall'attuale ricorrente. Osserva il Collegio che la motivazione del provvedimento censurato non menziona punto l'esistenza, né le ragioni per cui tali prove documentali non sono state riconosciute utili all'incolpato, atteso che in una vicenda contraddistinta da inconciliabili ed antitetiche versioni dei fatti era necessario dar conto, proprio nella motivazione del provvedimento, del percorso logico seguito per addivenire all'atto finale. Tale omissione non risulta colmata neppure dalla disamina degli atti prodromici al provvedimento. Infatti il rapporto disciplinare del 19 maggio 2012, prot. 199/9, redatto dal Comandante provinciale di Vicenza dell'Arma, partecipa di un processo emotivo, più che di una scevra valutazione dei fatti, quando testualmente sostiene nel punto 5 – esame delle giustificazioni –: “... poiché le dichiarazioni dagli stessi (testimonianze prodotte dal ricorrente) rilasciate, appaiono, palesemente di parte” e così conclude: “... le dichiarazioni rese dai testimoni dell'ufficiale, si ha la sensazione, in particolare, che Terragin Paolo abbia voluto, forzatamente, assumersi la responsabilità della frase in contestazione”. Ebbene in disparte il fatto che per tali categoriche affermazioni non consta alcuna obiettiva e manifesta dimostrazione, non risulta neppure che i testi indicati dal ricorrente siano mai stati ascoltati dall'ufficiale in comando ovvero da altri militari da questi appositamente delegati. Tali rilievi convincono il Collegio della sussistenza, nel provvedimento, del difetto, evidente, di motivazione, non avendo l'Amministrazione, per tali ragioni, adeguatamente giustificato il provvedimento sanzionatorio assunto. Pertanto il ricorso deve essere accolto con il consequenziale annullamento dell'atto impugnato. Restano salve, naturalmente, le ulteriori determinazioni che l'Amministrazione potrà, al riguardo, adottare in sede di riesame della intera vicenda, da effettuarsi, però, ad opera di Ufficiali dell'Arma dei carabinieri non in servizio presso la Legione Interregionale Carabinieri “Vittorio Veneto”»;
          ad avviso degli interroganti, alla luce della decisione dei giudici amministrativi, appare evidente l'esercizio di una giustizia esercitata in maniera ingiustificata dall'autorità investita del potere disciplinare per fini estranei alla logica e alla previsione della norma regolamentare;
          la vicenda ha avuto particolare eco sulla stampa locale e all'interno dell'Arma dei carabinieri  –:
          quali immediate azioni intenda intraprendere nei confronti dei superiori gerarchici del militare in premessa e quali immediate iniziative per ricondurre l'esercizio della potestà sanzionatoria a canoni di legalità e ragionevolezza tali da impedirne un uso per finalità diverse da quelle espressamente contemplate dalle norme dell'ordinamento militare.
(4-19000)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          nella seduta della Camera dei deputati n.  660 di mercoledì 4 luglio 2012, con interrogazione a risposta immediata n.  3-02367, indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze, l'interrogante ha rappresentato la vicenda di una agenda abruzzese ulteriormente posta in difficoltà economica e operativa da quelle che appaiono all'interrogante irresponsabili e inopinate decisioni degli uffici della sede di Pescara della società Equitalia Pragma. Il concessionario della riscossione, tra l'altro in luogo di apprendere somme che reclamava da quella ditta e poste nella sua disponibilità, mediante una compensazione, presso un soggetto terzo debitore dell'azienda di cui si trattava, decideva, infatti, di apporre vincoli pignoratizi su un bene strumentale della medesima;
          descritte le condotte ritenute dagli interpellanti inopinate, inaccettabili e perniciose del concessionario nella vicenda de qua, i quesiti posti chiedevano «se, con riferimento alle vicende che nel rapporto con Equitalia Pragma srl hanno coinvolto la società di cui al caso di specie, il Ministro interpellato non intenda promuovere un'attività ispettiva presso gli uffici della sede di Pescara del concessionario per accertare la correttezza, la legittimità, la trasparenza, l'economicità e l'imparzialità delle procedure e delle decisioni che il medesimo adotta e, nel caso di esiti positivi dell'ispezione, se non intenda adottare, con ogni urgenza e senza indugio alcuno, tutte le misure, anche cautelari, per inibire al personale eventualmente in difetto almeno ogni ulteriore attività decisionale, potenzialmente dannosa per i contribuenti e per l'apparato dello Stato, e se, per evitare che in futuro si ripetano casi di discrezionalità giurisdizionale nelle decisioni intorno alle spese di giudizio, il Ministro interpellato intenda farsi promotore di un'opportuna iniziativa normativa volta a tutelare integralmente le ragioni eventualmente riconosciute in capo al contribuente»;
          la risposta è stata resa in aula dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, il quale si è limitato a dare lettura di un documento ricevuto dal Ministero dell'economia e delle finanze; nel merito dei chiarimenti offerti, ancorché dichiaratamente de relato, il Ministro per i rapporti con il Parlamento, negletta in toto ad avviso dell'interrogante l'interrogazione esposta in atto, ha sostenuto che, in relazione ai tre rappresentati casi di «ineludibile» iscrizione ipotecaria, «imprevedibilmente la locale Giustizia tributaria» si sarebbe discostata da «consolidati orientamenti giurisprudenziali cui l'Amministrazione finanziaria si era ispirata». In altri termini, sembra di capire dal tenore della risposta che l'Amministrazione finanziaria sarebbe stata disturbata dal libero convincimento dei giudici tributari, specificatamente dalla non conformità delle decisioni da questi adottate in sentenze ai supposti orientamenti consolidati ed evidentemente, graditi all'Amministrazione finanziaria che, peraltro, è soggetto ben distinto da Equitalia;
          il Ministro informava, inoltre, invero – sempre ad avviso degli interpellanti – in modo del tutto inconferente, che, relativamente, alla evidenziata «presunta mancata attivazione dell'agente della riscossione al recupero di somme della società in questione detenute da terzi», enti, ministeri ed ex esattori della riscossione avrebbe dato riscontri comunque negativi ai relativi accertamenti. Peraltro, il Ministro ad avviso degli interpellanti, taceva in ordine all'unica circostanza riferita in atto di sindacato probante la mancata attivazione di Equitalia al recupero delle somme reclamate, ossia la loro disponibilità reiteratamente offerta dall'azienda, in compensazione di un suo credito con soggetto terzo, e da quest'ultimo medesimo che direttamente richiedeva indicazioni per il versamento, direttamente al concessionario, delle somme dovute dalla sua creditrice;
          secondo quanto risulta agli interpellanti, ulteriori approfondimenti presenti nel documento predisposto per fornire la risposta all'interrogazione a risposta immediata (di cui il rappresentante del Governo non ha dato lettura) recherebbero l'informazione che, pendente il termine di 120 giorni per effettuare il primo incanto, un'istanza di rateizzazione sulle cartelle oggetto di pignoramento presentata dalla ditta abruzzese avrebbe sospeso l'attività esecutiva. Appare assai discutibile agli interpellanti l'asserita rilevanza dell'istanza di rateizzazione sul pignoramento immobiliare in corso. Del resto, con circolare in data 15 aprile 2011 di Equitalia medesima è sostenuto che, ad eccezione delle istanze di rateizzazione tempestive, tutte le altre non sospendono le procedure esecutive già in corso. Peraltro, il termine fissato per la chiusura di un procedimento è, di norma, quello di 30 giorni ex articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n.  241, termine entro il quale Equitalia non solo non ha definito il procedimento in rilievo ma non ne ha neppure comunicato l'avvio alla contribuente;
          infine, nella risposta si sostiene che il termine di 10 giorni fissato dall'articolo 53 del decreto Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  602 per la cancellazione, a cura del concessionario, della trascrizione di ipoteca, nei casi considerati dal legislatore, sarebbe un termine «ordinatorio». Posto che lo sia, conclusione già di per sé aberrante in un sistema tutto squilibrato a favore dell'amministrazione finanziaria, tale natura non equivale a ridurlo a termine arbitrario o, di fatto, «inesistente». Quantunque, in ipotesi, ordinatorio, la sua inosservanza integra la volizione del rifiuto a ottemperare a un disposto di legge. È appena il caso, comunque, in proposito, di sottolineare come risulti quantomeno non etico e diseducativo che la pubblica amministrazione tenti di dissimulare le inadempienze, carenze, incapacità e inettitudini dietro «il dito» dell'ordinatorietà dei termini che la riguardino. Gli interpellanti ritiene particolarmente dannosa questa propensione che, a suo avviso, ha caratteri immorali, tanto da aver presentato, in data 17 settembre 2008, una proposta di legge, n.  1663, annunziata il 18 settembre 2008, recante «disposizioni in materia di perentorietà dei termini» relativamente a quelli che attengono a procedimenti della pubblica amministrazione. Giova, in ogni caso, rilevare che sono comminate sanzioni per i casi di ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento ex articolo 2-bis della legge 7 agosto 1990, n.  241 e di omissione di atti d'ufficio ex articolo 185 del codice penale, recentemente posta dalla Cassazione a fondamento anche della condanna al risarcimento del danno morale subito dal contribuente in ipotesi di pignoramento illegittimo (così, Cassazione civile, sezione III, n.  9445/2012)  –:
          se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione ai dispositivi delle sentenze della locale giustizia tributaria contestate da Equitalia anche laddove statuiscano, come nelle sentenza n.  1160 del 18 marzo 2010 della commissione tributaria di Pescara nell'ambito di uno dei giudizi promossi dall'azienda abruzzese considerata, che «...invero è risultato in punto di fatto che la Equitalia ha provveduto alla iscrizione ipotecaria per cartelle notificate da oltre un anno e senza che medio tempore sia stato dato avviso alla parte interessata... l'articolo 50 decreto del Presidente della Repubblica n.  602 del 1973 afferma che si può procedere ad esecuzione quando sono decorsi sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento (...) il secondo comma del richiamato articolo 50 afferma che l'espropriazione deve essere preceduta dalla notifica di un avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro 5 giorni. Trattasi di un, secondo ulteriore presupposto per la legittimità dell'esecuzione, secondo nel senso che si aggiunge al precedente ed anche per questo il collegio deve notare che manca la prova dell'avvenuto adempimento. Ciò si adatta al caso di specie e se ne devono trarre le conseguenze si che per tale verso il ricorso va accolto»;
          se, il Ministro interpellato, sul punto della mancata attivazione di Equitalia rispetto al contenuto di comunicazioni inoltrate a Equitalia Pragma dalla contribuente e dall'azienda sua debitrice, dirette a mettere a disposizione dell'agente della riscossione le somme reclamate, in capo alla prima, e a chiedere indicazioni circa le procedure valide per la corresponsione al concessionario delle somme medesime, intenda pronunciarsi sulla rilevanza di quelle comunicazioni e se non ritenga verificato, sulla scorta di quella stessa corrispondenza, il nesso di causalità che l'interrogante, intendeva, nel precedente atto, e intende, nel presente, evidenziare, tra il loro contenuto e l'inerzia di Equitalia rispetto all'acclarata possibilità di apprendere le somme reclamate e disponibili ma paradossalmente ignorate, tenuto conto che nella precedente risposta ricordata in premessa non sono stati forniti ad avviso degli interpellanti adeguati chiarimenti;
          se il Governo, attesa la disposizione di cui all'articolo 53, comma 2, del decreto Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  602, che recita: «se il pignoramento è stato trascritto in pubblico registro mobiliare o immobiliare, il concessionario, nell'ipotesi prevista dal comma 1 ed in ogni altro caso di estinzione del procedimento richiede entro 10 giorni al conservatore la cancellazione della trascrizione», ritenga di confermare l'opinione circa la natura ordinatoria del termine di 10 giorni ivi fissato e, in tal caso, al di là di ogni altra soccorrente disposizione dell'ordinamento, se non reputi etico, opportuno, anzi, necessario impartire disposizioni stringenti agli uffici dell'amministrazione finanziaria e agli enti, organismi e soggetti da essa controllati o vigilati perché l'inosservanza eventuale del termine indicato sia sempre rigorosamente e chiaramente motivata, evitando, in tal modo, l'impunità dell'arbitrio e il sostanziale svuotamento della volontà del legislatore opponendo l'argomentazione dell'ordinatorietà del termine di fatto per dissimulare una condotta inefficiente e antieconomica;
          se, con riferimento alle vicende riferite nella richiamata interrogazione a risposta immediata n.  3-02367, che nel rapporto con Equitalia Pragma hanno coinvolto la società di cui si tratta, il Ministro interpellato non intenda promuovere un'attività ispettiva presso gli uffici della sede di Pescara del concessionario per accertare la correttezza, la legittimità, la trasparenza, l'economicità e l'imparzialità delle procedure e delle decisioni che il medesimo adotta e, nel caso di esiti positivi dell'ispezione, se non intenda adottare, con ogni urgenza e senza indugio alcuno, tutte le misure, anche cautelari, per inibire al personale eventualmente in difetto almeno ogni ulteriore attività decisionale, potenzialmente dannosa per i contribuenti e per l'apparato dello Stato, e se, per conferire certezza alle decisioni intorno alle spese di giudizio, il Ministro interpellato non intentato non intenda farsi promotore di un'opportuna iniziativa normativa volta a tutelare integralmente le ragioni eventualmente riconosciute in capo al contribuente.
(2-01781) «Toto, Della Vedova».

Interrogazioni a risposta immediata:


      LUSETTI, GALLETTI, ANNA TERESA FORMISANO, RUGGERI, PEZZOTTA, LIBÈ, TASSONE, CICCANTI, COMPAGNON, RAO, NARO e VOLONTÈ. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 22 maggio 2012 il Governo ha presentato le nuove misure volte a disciplinare i rapporti di credito e debito tra la pubblica amministrazione e le imprese fornitrici; rientrano fra tali misure:
              a) i due «decreti certificazione», il decreto ministeriale del 22 maggio 2012, avente ad oggetto la certificazione dei crediti scaduti nei confronti delle amministrazioni centrali (inclusi gli enti pubblici nazionali), e il decreto ministeriale del 25 giugno 2012, avente ad oggetto la certificazione dei crediti scaduti nei confronti delle regioni ed enti locali, inclusi gli enti del servizio sanitario nazionale;
              b) gli accordi tra l'Abi e le associazioni imprenditoriali sottoscritti il 22 maggio 2012, aventi ad oggetto l'istituzione di un plafond dedicato allo smobilizzo dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione;
          il procedimento di certificazione del credito sarà gestito a regime tramite una piattaforma elettronica messa a disposizione dal Ministero dell'economia e delle finanze;
          al momento, la piattaforma per la certificazione dei crediti espone solo le funzionalità per consentire la registrazione da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici;
          le amministrazioni che hanno concluso il procedimento di registrazione non rappresentano neanche l'1 per cento del totale;
          gli istituti di credito non hanno ancora istituito il plafond dedicato allo smobilizzo dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione –:
          quali siano i tempi previsti per l'effettiva operatività del sistema di certificazione, al fine di evitare il procrastinarsi di una situazione di difficoltà finanziaria del tessuto imprenditoriale. (3-02654)


      SARDELLI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'appartenenza dell'Italia all'Unione europea comporta una serie di impegni di finanza pubblica (pareggio di bilancio 2013, riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo ed altri), la cui importanza non sempre viene compresa dai cittadini e che, peraltro sta, a significare l'affidabilità finanziaria del Paese rispetto ai suoi impegni di debito pubblico –:
          quali sarebbero le conseguenze concrete di un mancato rispetto dell'Italia del patto di stabilità europea e, in particolare, cosa comporterebbe un aumento dello spread di altri 300 punti fra costo di titoli decennali italiani e tedeschi in termini di costo dei mutui, costo del denaro per le aziende e debito pubblico per il Paese. (3-02655)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


      FLUVI, RUBINATO e DE PASQUALE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nella Gazzetta Ufficiale n.  274 del 23 novembre 2012 è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 novembre 2012, n.  200, recante il regolamento per disciplinare il pagamento dell'IMU da parte delle organizzazioni non profit e per stabilire i casi in cui è prevista l'esenzione dal pagamento dell'imposta per le unità immobiliari destinate allo svolgimento delle attività istituzionali con modalità non commerciali;
          il tanto atteso regolamento reca una spiacevole sorpresa per gli enti non commerciali che svolgono attività didattiche, fra i quali le scuole paritarie, che, per poter usufruire dell'esenzione dal pagamento dell'IMU, dovranno offrire un servizio a titolo gratuito o remunerato, come recita l'articolo 4, comma 3, lettera c), del suddetto regolamento, con «corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso»;
          la stessa sopravvivenza di moltissime scuole e istituti paritari dipende dall'interpretazione delle parole del regolamento che fanno riferimento ad un «importo simbolico»;
          solo a seguito della precisa definizione in termini quantitativi di tale «importo simbolico» le scuole paritarie potranno capire se il loro attuale equilibrio finanziario potrà essere preservato e contemporaneamente godere del beneficio dell'esenzione dal pagamento dell'IMU o se, per poter beneficiare dell'esenzione, dovranno accollarsi la quasi totalità dei costi per il servizio offerto;
          occorre, al riguardo, un chiarimento immediato da parte del Governo, in modo da evitare l'alternativa tra lo smantellamento degli istituti paritari che svolgono una funzione pubblica (molto spesso in funzione sussidiaria dello Stato, come nel caso delle scuole dell'infanzia) e concorrono a garantire e rendere effettivo il diritto alla libertà di istruzione nel nostro Paese e un aggravamento delle rette corrisposte dalle famiglie, specialmente in un contesto economico già fortemente deteriorato in ragione della crisi  –:
          se «l'importo simbolico» debba qualificarsi ogniqualvolta il corrispettivo versato non copra il costo integrale effettivo del servizio, ma solo una frazione dello stesso e se il Governo non ritenga necessario emanare disposizioni interpretative dell'articolo 4, comma 3, lettera c), del regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze 19 novembre 2012, n.  200, che definiscano l’«importo simbolico» ivi previsto in misura tale da consentire agli istituti scolastici paritari di poter beneficiare dell'esenzione dal pagamento dell'IMU e, allo stesso tempo, di preservare il loro equilibrio finanziario senza incrementare i corrispettivi attualmente richiesti alle famiglie. (5-08638)


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la prossima scadenza dell'ultima rata dell'imposta municipale propria (IMU) comporterà un ulteriore aggravio del carico tributario sui contribuenti;
          infatti, dopo aver sopportato il ripristino dell'imposizione municipale immobiliare sulla prima casa, che ha già comportato, a partire dalla prima rata dell'IMU scaduta il giugno 2012, un notevole esborso per i cittadini, questi ultimi saranno ulteriormente colpiti dai forti incrementi di aliquota disposti da moltissimi comuni;
          come facilmente prevedibile, e come già segnalato in precedenza dal presentatore del presente atto di sindacato ispettivo, gli enti locali vedono infatti nella possibilità, stabilita dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, di incrementare le aliquote IMU, una delle pochissime possibilità rimaste loro per riequilibrare i propri bilanci, fortemente incisi dalla riduzione dei trasferimenti erariali realizzata negli ultimi anni, nonché dagli effetti del Patto di stabilità interno;
          il combinato disposto di tali elementi sta comportando un notevole incremento del prelievo che, per un contribuente medio che possieda una sola casa, o una casa di prima abitazione ed un immobile diverso, è probabilmente quantificabile in una misura compresa almeno tra il 30 ed il 50 per cento, tale da risultare insostenibile in una situazione economica recessiva, nella quale le famiglie stanno già subendo da anni una significativa riduzione del reddito disponibile e del loro potere di acquisto;
          ad aggravare ulteriormente tale quadro occorre evidenziare come la possibilità, che i comuni hanno, ai sensi della predetta normativa di cui all'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, di modificare nel corso del 2012 le aliquote d'imposta, abbia determinato una notevole complicazione delle modalità di calcolo dell'imposta da parte dei contribuenti;
          infatti, questi ultimi, laddove possiedono immobili ubicati nei comuni che hanno deciso incrementi di aliquote, saranno costretti, in sede di versamento del saldo, a ricalcolare completamente l'imposta e, per di più, nel caso degli immobili diversi da quelli di prima abitazione, a calcolare due volte l'imposta, applicando l'aliquota base per quanto riguarda la quota di imposta di pertinenza dello Stato e, invece, l'aliquota fissata dal rispettivo comune per quanto riguarda la quota di imposta di pertinenza di quest'ultimo, procedendo poi a scomputare dall'imposta determinata in base alla nuova aliquota quella di spettanza dello Stato e quella di spettanza comunale già versata in sede di acconto applicando le aliquote di base;
          è facile immaginare quale sarà l'aggravio, in termini di adempimenti aggiuntivi per i cittadini, di tali modalità di calcolo, le quali, oltre a determinare il rischio di numerosi errori da parte dei contribuenti in sede di versamento, che ricadranno anche sui comuni, esaspereranno ulteriormente i cittadini, già portati in alcuni casi, a causa della miope politica restrittiva perseguita dall'attuale Governo, ad una condizione di vera e propria disperazione dall'incredibile incremento del prelievo, che raggiungerebbe nel 2012, il 44,7, e sfonderebbe addirittura, nel 2013, la soglia del 45 per cento;
          al di là degli effetti economici deleteri che l'introduzione dell'imposta municipale unica, prima di tutto, e, poi, gli incrementi di aliquota disposti in corso anno, hanno comportato, occorre dunque che l'Esecutivo ed il Parlamento si interroghino seriamente circa la compatibilità di un meccanismo tanto articolato e barocco di calcolo e versamento dell'imposta rispetto alle esigenze di semplificazione e di chiarezza della normativa tributaria, nonché di buona fede e leale collaborazione nei rapporti tra il fisco e i contribuenti, poste dallo statuto dei diritti del contribuente;
          in tale contesto appare urgente che il Parlamento possa disporre al più presto di una completa informativa circa le scelte adottate dai comuni italiani in merito alle aliquote IMU, nonché, soprattutto, in merito alle conseguenze sull'ammontare complessivo del prelievo tributario determinato dall'introduzione anticipata dell'IMU operata dal Governo con l'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, che può, evidentemente, essere valutato solo alla luce della definizione, intervenuta solo recentemente, delle aliquote definitive da parte degli enti locali  –:
          quanti comuni abbiano deliberato l'incremento delle aliquote IMU, quanti abbiano deciso di fissare le aliquote nelle misure massime previste dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, quale sia l'effetto complessivo di tali incrementi sulla pressione tributaria e se intenda assumere iniziative al fine di semplificare la disciplina IMU, in particolare per quanto riguarda le modalità di calcolo e di versamento della quota di imposta di pertinenza dei comuni sugli immobili diversi da quelli prima abitazione, nonché al fine di introdurre misure di sgravio in favore dei contribuenti a basso reddito che siano stati incisi dall'IMU sulla prima casa.
(5-08639)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FLUVI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          al fine di intensificare le relazioni economiche e commerciali tra i due Paesi, attraverso la costituzione di attività operative da parte delle imprese estere, l'Italia ha ratificato con la Repubblica federale del Brasile, sulla base del modello predisposto dall'Ocse, una convenzione per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito entrata in vigore il 24 aprile 1981;
          la funzione primaria del Modello OCSE e delle Convenzioni bilaterali che su di esso si basano è quella di eliminare la doppia imposizione internazionale attraverso il metodo dell'esenzione e il metodo del credito di imposta così da eliminare i conflitti e le distorsioni di natura fiscale che hanno effetti negativi sugli investimenti;
          la citata convenzione prevede che le imprese italiane che hanno stabilito in loco attività economiche e produttive hanno diritto, in Italia, ad usufruire di un credito di imposta pari al 15 per cento dell'imponibile delle attività prodotte nel Paese sudamericano;
          al contrario, il Brasile riconosce un credito d'imposta sull'ammontare lordo degli utili in misura del 25 per cento e del 15 in caso di dividendo;
          tale asimmetria di imposizione incentiverebbe comportamenti opportunistici da parte degli operatori economici che sarebbero indotti a dirottare gli investimenti nel Paese estero dove la possibilità di realizzazione degli utili è più elevata e il livello di imposizione è più basso;
          la citata convenzione ratificata negli anni ottanta poteva sembrare appropriata all'economia di quegli anni allorquando il tasso di crescita dell'Italia superava quello del Brasile e l'internazionalizzazione delle imprese italiane era incentivato da una più favorevole tassazione prevista nel Paese estero;
          allo stato in cui versano attualmente le imprese italiane, gravate da una elevata pressione fiscale e da bassi tassi di crescita annuali dell'Italia, l'incentivo a spostare la produzione in Paesi con una pressione fiscale inferiore ed un tasso di crescita più elevato sembra essere controproducente per il rilancio competitivo dell'Italia;
          secondo il rapporto annuale European Attractiveness Survey 2012 di Ernst & Young. L'Italia risulta uno dei Paesi europei meno attrattivi per un investimento di medio termine;
          l'articolo 35 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179 prevede l'istituzione di uno sportello unico per l'attrazione di investimenti esteri e agevolare gli investitori esteri che manifestino interesse per la realizzazione di iniziative di significativo impatto economico e sociale per l'Italia;
          il Ministro dello sviluppo economico sostiene peraltro da tempo la necessità di attivare strumenti specifici, oltre a quelli di miglioramento della competitività di sistema, per attirare investimenti esteri nell'economia reale  –:
          quale sia l'entità dei crediti fiscali concessi negli ultimi anni alle imprese italiane che operano nella Repubblica federale del Brasile e se non ritenga utile, ai fini della trasparenza, rendere nota l'entità dei crediti fiscali maturati in relazione alle convenzioni per evitare le doppie imposizioni ratificate dall'Italia. (5-08624)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BITONCI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          qualche anno fa, stante il fatto che il gioco d'azzardo sia vietato dal codice penale, è stato introdotto nel nostro Paese «il gioco con partecipazione a distanza», vale a dire la licenza, concessa a varie società per la gestione di apparecchi per il gioco online, con un considerevole aumento del fatturato per le società concessionarie;
          non a caso, negli ultimi anni, l'industria del gioco d'azzardo è diventata una delle più importanti del Paese, tanto che lotterie, slot machine, poker, scommesse e giochi d'azzardo di diversa natura hanno inondato il mercato a ritmi sempre più frenetici, con notevole crescita dei giocatori, che coinvolge ogni gruppo sociale, compresi pensionati, casalinghe, giovani e facendo dell'Italia il primo Paese al mondo per spesa pro capite dedicata al gioco;
          secondo alcuni dati apparsi su alcuni siti web di settore, nelle scommesse legali gli italiani hanno speso quasi 80 miliardi di euro nel 2011, con un incremento del 22,8 per cento l'anno a partire dal 2003, e per un fatturato complessivo che vale il 5 per cento del Pil nazionale, facendo di questo «settore» una delle prime industrie del Paese, tanto che, secondo i dati dei Monopoli, in Italia la spesa media in scommesse per abitante maggiorenne è stata di oltre 1.500 euro nel 2011, pari al 13,5 per cento del reddito pro capite;
          relativamente al fenomeno legato al gioco d'azzardo patologico, nel solo 2010 si è prodotto un volume d'affari di oltre 60 miliardi di euro, con 30 milioni di giocatori, che si dividono nei quasi 20.000 punti di servizio ove è possibile scambiare questa attività;
          secondo una recente ricerca, Nomisma evidenzia come la percezione degli italiani rispetto alla disponibilità di informazioni adeguate sul gioco e le sue possibili implicazioni negative sia assolutamente carente (53 per cento), soprattutto riguardo alla possibilità di dipendenza da gioco, e che l'86 per cento degli italiani richiedono più informazioni sui rischi connessi al gioco e ritengono insufficiente l'opera di sensibilizzazione sinora attuata;
          diversi comuni prima, e a seguire anche il Ministero della salute, hanno adottato dei provvedimenti, dai regolamenti comunali a dei decreti ministeriali, al fine di impedire la capillare diffusione di questi centri del gioco, tenendoli lontani da ospedali e dalle scuole, dalle chiese;
          all'interno del medesimo provvedimento, viene altresì stabilito come da lunedì 17 dicembre, più di mille nuovi giochi di modello slot diventeranno legalmente «online», dal momento che sarà sufficiente introdurre codice fiscale e carta di credito per poter tranquillamente giocare sul computer da casa  –:
          se, in ragione della gravità del fenomeno e delle conseguenze che questo causa sulle famiglie italiane, non ritenga opportuno assumere immediate iniziative per rivedere l'attuale normativa, prevedendo, in luogo di una legalizzazione dei giochi «online», una moratoria rispetto all'immissione di nuovi giochi, aumentando, viceversa, le iniziative e le risorse finalizzate alla prevenzione del fenomeno del gioco d'azzardo patologico e della ludopatia. (4-18976)


      BITONCI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          le scuole paritarie rappresentano in Italia un vero patrimonio culturale, offrendo un importante servizio, sia per i cittadini, sia per lo stesso bilancio dello Stato, in ragione del fatto che tali strutture determinano ogni anno un risparmio di spesa superiore ai dieci miliardi di euro e sebbene questi istituti, secondo alcune stime, abbiano già perso negli ultimi anni oltre diecimila iscritti;
          per l'importanza del servizio offerto, come, a esempio, quello delle scuole materne, gli istituti paritari debbono considerarsi un servizio pubblico a tutti gli effetti;
          il Ministero dell'economia e delle finanze ha recentemente emanato il decreto n.  200 e riguardante «le modalità e le procedure per l'applicazione proporzionale, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dell'esenzione dell'IMU per le unità immobiliari destinate allo svolgimento delle attività istituzionali con modalità non commerciali», stabilendo altresì alcuni parametri per definire tali attività didattiche, ovvero essere «paritarie», stabilendo il fatto che non devono essere «discriminatorie nell'accettazione degli alunni», recare l'obbligo di «accogliere gli alunni portatori di handicap», e dare «pubblicità del loro bilancio», e che le attività didattiche devono essere svolte a «titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto conto dell'assenza di relazione con lo stesso»;
          appare assolutamente difficile ed oneroso per le scuole paritarie ottemperare ad alcuni degli obblighi oggi previsti al fine di ottenere l'esenzione dal pagamento dell'IMU, in particolar modo laddove viene previsto che il servizio scolastico ed educativo debba essere offerto a titolo gratuito o dietro un corrispettivo economico definito «simbolico»;
          l'attuale formulazione del provvedimento mette oggi a serio rischio la continuità del servizio offerto dalle scuole paritarie, soprattutto nei comuni di ridotte dimensioni, con evidenti e negative ripercussioni sui servizi sociali delle famiglie, tanto che la loro eventuale chiusura non consentirebbe allo Stato né agli enti locali di farsi carico dei problemi conseguenti ad un aumento della popolazione scolastica  –:
          se non si ritenga opportuno, in ragione del carattere, ad avviso degli interroganti, vessatorio e penalizzante verso la libertà di educazione, rivedere la sopra citata normativa al fine di consentire la continuità nella offerta formativa oggi garantita dalle scuole paritarie. (4-18977)


      MURO e BOCCHINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legge n.  174 del 2012 (articolo 3, comma 1, lettera g) e h) impedisce ai Comuni in anticipazione di tesoreria o che utilizzano entrate a specifica destinazione di utilizzare l'avanzo di amministrazione;
          il comune di Pozzuoli, in provincia di Napoli in sede di bilancio preventivo 2012 ha previsto quale prima entrata l'avanzo vincolato proveniente dal rendiconto 2011;
          lo stesso ente ha previsto il fondo di svalutazione crediti pari a 22.104.363 euro di cui 17.496.500 euro da plusvalenze derivanti da alienazioni;
          tale operazione sarebbe stata fatta attraverso uno sviamento della legge quantificando a «zero» il valore degli immobili del comune e, quindi, classificando l'intero importo quale plusvalenza in aperta violazione non solo di una normale prudenziale previsione ma dei costi effettivamente sostenuti; sarebbero altresì violati i principi contabili stabiliti dall'osservatorio per la finanza degli Enti locali che prevedono le iscrizioni nel bilancio delle entrate ragionevolmente accertabili e attendibili (si pensi che il bilancio preventivo 2012 è stato approvato dal comune il 12 novembre 2012 senza che sia neppure iniziata la procedura di vendita), anche alla luce di quanto la Corte dei conti ha più volte stabilito (da ultimo vedere pronuncia Corte dei conti Toscana-sez controllo), ossia l'impossibilità di accertare le somme previste nel bilancio se non si è stipulato il relativo contratto di vendita (a Pozzuoli non vi è neppure il bando);
          anche analizzando la composizione dell'avanzo si evidenzia che nei 4.608.000 di avanzo economico sono ricompresi 2.758.968 di euro derivanti da proventi per sanzioni al codice della strada relative ad anni pregressi senza che abbiano il requisito della accertabilità che è posseduta solo al momento dell'incasso effettivo;
          si rileva altresì che nel detto avanzo sono inclusi 150.000 euro di proventi dal servizio acquedotto per nuovi allacci, nonché 750.000 euro da maggiori proventi per sanzioni urbanistiche dimenticando che tali imposte non sono state riscosse al 12 novembre 2012;
          le delibere accompagnatorie del bilancio di previsione sono in relazione alla TARSU: il piano economico 2012 include maggiori oneri di gestione per gli anni pregressi (2010 e 2011). Il comune di Pozzuoli ribalterebbe sulle gestioni successive oneri pregressi dimenticando ancora che tali spese dovevano essere richieste a mezzo ruolo suppletivo e non inserite nel piano economico esponendo l'ente alla nullità delle nuove cartelle esattoriali con evidente ulteriore sbilancio;
          tale atto dichiara la necessità funzionale di tutto il personale dipendente anche distaccato presso altri enti senza alcun rispetto dei parametri di legge (popolazione/dipendenti), omettendo di attestare che da tale verifica vi sarebbe una eccedenza di 200 unità;
          la relazione dei revisori indica sentenze non riconosciute per un importo di 2.790.000 euro finanziate destinando 2.838.000 euro di avanzo del 2011 che, come detto ex decreto-legge n.  174 del 2012, non può essere utilizzato dal comune di Pozzuoli che è in regime di anticipazione; senza contare che lo stesso avanzo 2011 è di ulteriore dubbia applicabilità in presenza di un contenzioso INPDAP sub iudice di circa 5.000.000 euro;
          quanto detto innanzi, pertanto comporta, a giudizio dell'interrogante, che la previsione del fondo svalutazione crediti include una posta di entrata di bilancio che non possiede i requisiti di legge con evidente riverbero sulla legittimità del relativo bilancio e che, più in generale, il bilancio del comune di Pozzuoli presenta un fittizio equilibrio che nasconde, in realtà, uno squilibrio reale di circa 28.000.000 di euro  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se si intenda promuovere una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica. (4-18992)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TOTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          con ordinanza eseguita in data 23 novembre 2009, veniva disposta la custodia cautelare in carcere di Mileti Italo, nell'ambito di un'operazione investigativamente denominata «Ground Zero» rubricata al r.g. 7195/09 della procura della Repubblica di Pescara;
          l'interrogatorio di garanzia del Mileti, unitamente a quello di altro coindagato, veniva disposto per il successivo 25 novembre 2009. In occasione del primo interrogatorio, relativo a coindagato, il giudice per le indagini preliminari, in persona del dottor Luca de Ninis, avrebbe rappresentato al difensore, avvocato Giuseppe Cichella, di versare in una posizione di «potenziale indagato, per eventuali valutazioni sull'opportunità dell'esercizio della difesa». A tale deduzione, il legale avrebbe ribattuto di non aver mai saputo che si potesse essere «potenziali indagati» sollecitando il giudice a un'immediata verifica della personale compatibilità del legale con l'ufficio di difensore, significando che, in assenza di alcuna determinazione ricognitiva della medesima, avrebbe proceduto oltre nell'interrogatorio a salvaguardia dello status libertatis del suo cliente indagato;
          terminato l'atto, si sarebbe dovuto dare ingresso, come da provvedimento del gip, al secondo interrogatorio, relativo al Mileti, e, tuttavia, con giustificazioni estemporanee, di improvvisa stanchezza lamentata dal pubblico ministero, dottor Gennaro Varone, e di indisponibilità asserita dal gip di disporre rinvii ad horas, a motivo dei propri impegni d'ufficio, se ne disponeva lo slittamento al giorno successivo, essendo testi, tutti presenti all'incombente istruttorio: l'avvocato Luca Francano, codifensore; la dottoressa Lucia Porro, cancelliera; i dottori Raffaella Latorraca e Mauro Leo Tenaglia, uditori giudiziari;
          sulla scorta di detto inopinato rinvio, l'avvocato Cichella chiedeva di poter conferire con il proprio assistito, Mileti Italo, in vista dell'incombente del giorno successivo. Il colloquio, svoltosi all'interno dell'apposito locale, fu integralmente captato mediante apparecchi per la cosiddetta «intercettazione ambientale»;
          il mattino del giorno seguente, il giudice per le indagini preliminari, dottor Luca de Ninis, negli atti prodromici al raccoglimento dell'interrogatorio, reiterava l'invito all'avvocato Cichella a riflettere sulla propria posizione di «potenziale indagato» per eventuali valutazioni sull'opportunità dell'esercizio della difesa. Ancora una volta, l'avvocato dichiarava di sconoscere la qualità di «potenziale indagato» e chiedeva formalmente al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari stesso se vi fosse una iscrizione a suo carico, circostanza determinante ai fini della prosecuzione o interruzione del proprio mandato difensivo, dovendosi, viceversa, ritenere potiore l'obbligo legale, oltreché deontologico, ad esercitare la difesa, la cui inottemperanza è, peraltro, sanzionata dall'articolo 105 del codice di procedura penale, di non abbandonare immotivatamente la difesa. Espressamente chiedeva, altresì, al giudice per le indagini preliminari di segnalare eventuali ragioni di incompatibilità non solo rispetto a quelle previste dall'articolo 106 del codice di procedura penale ma, tout court, per l'eventuale acquisizione in capo allo stesso difensore della qualità di indagato nel medesimo procedimento, circostanza che avrebbe determinato il venir meno delle condizioni per l'esercizio dell'ufficio difensivo. Il giudice, disponeva senz'altro indugio di procedere oltre essendo presenti all'incombente istruttorio tutti i medesimi testi più sopra nominati;
          di particolare rilevanza fu che, nel corso del colloquio difensivo ascoltato dall'autorità giudiziaria, immediatamente prima dell'interrogatorio di garanzia, e nella predisposizione della strategia difensiva, il Mileti accennava a più riprese a un'operazione di natura assicurativa, in particolare con il noto broker Mediass spa, nella quale un qualche ruolo avrebbe avuto anche uno dei soggetti menzionati nel provvedimento di custodia cautelare, il dottor Enzo Mancinelli. Di fatto, sulla base di tali affermazioni, la procura della Repubblica avrebbe formulato un secondo capo di imputazione a carico, tra l'altro del Mileti, sull'ipotesi di una presunta corruzione avente come protagonisti il soggetto testé menzionato e lo stesso Mileti;
          per opportuna puntualizzazione, è da evidenziare che per detta seconda ipotesi di reato sarebbe stato richiesto il rinvio a giudizio del Mileti e del suo stesso difensore sulla scorta, giustappunto, delle risultanze delle intercettazioni ambientali che li avevano riguardati. Il giudice dell'udienza preliminare, al contrario, non ravvisò alcuna ipotesi di reato nella condotta di entrambi, assolvendo il secondo e prosciogliendo il primo, in assenza di conforme previsione normativa al riguardo;
          appare evidente, a parere dell'interrogante, l'impegno profuso, in particolare dal pubblico ministero titolare dell'inchiesta, nel porre in atto iniziative, nel caso di specie le intercettazioni dei colloqui con il difensore inerenti alla predisposizione proprio dell'interrogatorio di garanzia, idonee a privare il Mileti del diritto alla difesa costituzionalmente sancito e tutelato: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (articolo 24, comma 2, della Costituzione). Il profilo censurabile della condotta del magistrato è reso ancor più consistente, a giudizio dell'interrogante, dalla strumentalità dell'iniziativa investigativa, tesa ad aggravare la posizione pre-processuale, evidentemente funzionale alla necessità, da un lato, di supportare una vicenda giudiziaria che, non solo all'apprezzamento dell'interrogante ma all'occhio dell'opinione più diffusa, apparve dall'immediato sproporzionata nel clamore e negli effetti provocati, come, i successivi sviluppi processuali avrebbero confermato, cristallizzandone la sostanziale implausibilità e, dall'altro lato, di giustificare il puntuale, ostinato rigetto di ogni istanza di revoca o attenuazione di misure cautelari esorbitanti, a giudizio dell'interrogante, rispetto alle effettive esigenze cautelari;
          i connotati della condotta del pm, pertanto, appaiono, a parere dell'interrogante, idonei ad integrare la fattispecie dell'illecito rubricato quale abuso di ufficio e sanzionato dall'articolo 323 del codice penale che testualmente dispone: «1. Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
      2. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità»;
          a parere dell'interrogante, appare indubbia la sussistenza di entrambi gli elementi integrativi della fattispecie, giacché la violazione della legge è rinvenibile, intanto, nella violazione reiterata dell'articolo 24 della Costituzione che sancisce il principio dell'inviolabilità «in ogni stato e grado del procedimento» del diritto alla difesa. Il principio appare de plano violato, da qualunque punto di disamina lo si riguardi, nella circostanza in rilievo essendo stati violati i presidii di quel principio, ossia le coerenti disposizioni di legge volte a sostanziarlo, in particolare, per quel che rileva in argomento, intanto quelle di cui all'articolo 96 del codice di procedura penale sul diritto, incomprimibile, alla nomina di un difensore di fiducia da parte dell'indagato; poi, quelle altre relative ai «colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare», di cui all'articolo 104 del codice di procedura penale. Se, infatti, il colloquio tra il Mileti e l'avvocato Cichella fu un colloquio tra indagato e suo difensore, quell'intercettazione oggetto del presente atto di sindacato non poteva che essere lesiva del diritto costituzionale «inviolabile» alla difesa. Se, diversamente, fosse stato vero, ma non lo era, che il colloquio tra gli stessi due soggetti verteva solo «...formalmente in tema di colloqui difensivi ma, in realtà, in materia di colloqui tra indagati; favoriti dalla qualifica di avvocato di uno di essi...», come asserito dal magistrato di cui si tratta nel decreto di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, allora emerge, di tutta evidenza, sempre a parere dell'interrogante, la consapevolezza, da parte di quel pubblico ministero, che il Mileti fosse, nella circostanza data, privo di assistenza legale; che lo stesso avvocato Cichella fosse privo di titolo per conferire con lui e che egli stesse arrecando, per logica conseguenza, un danno ingiusto all'indagato. Alla stregua di siffatte considerazioni, è tautologico concludere a giudizio dell'interrogante che il rispetto del diritto del Mileti alla difesa, e l'ossequio al relativo principio costituzionale, che, ovviamente, attiene anche alla fase di predisposizione dell'interrogatorio di garanzia, fosse stato, inopinatamente e gravissimamente, misconosciuto e conculcato nella circostanza riferita. L'intenzionalità del danno consiste nella volontaria, preordinata e deliberata volontà, a parere dell'interrogante, di porre in essere non consentiti artifizi, finalizzati a ottenere elementi ulteriori di accusa, in violazione delle norme che sanciscono l'inviolabilità del diritto di difesa, anche mediante la strumentale rappresentazione di sopravvenute ragioni di rinvio dell'interrogatorio del Mileti, in realtà indispensabili per dare luogo alla sistemazione dei congegni di captazione all'interno del locale nel quale doveva svolgersi il colloquio difensivo. Il danno ingiusto risiede nell'artificiosa creazione di un aggravato quadro indiziario a carico del Mileti, che si sarebbe sostanziato in un considerevole ampliamento della sua detenzione, alimentata da pervicaci rigetti delle numerose istanze di rimessione in libertà che, altrimenti, sarebbero stati difficilmente motivabili. Ancora, fu violato il diritto riconosciuto alla persona sottoposta alle indagini dall'articolo 64 c.p.p, che dispone sia essa avvertita, prima che abbia inizio l'interrogatorio, che: «b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda...». È d'uopo chiedersi come possa conciliarsi questo diritto con un interrogatorio nel quale l'autorità giudiziaria era in realtà del tutto avvertita delle risposte che il Mileti avrebbe fornito, avendone, a parere dell'interrogante arbitrariamente, captato le confessioni al difensore anteriormente all'atto. È conferente, inoltre, la sottolineatura della violazione, che ad avviso dell'interrogante si appalesa nella vicenda data, dell'articolo 271 del codice di procedura penale che inibisce l'utilizzo dei risultati di intercettazioni eseguite al di fuori dei casi consentiti dalla legge e le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni degli avvocati, tra altri soggetti;
          inaccettabile e gravissimo appare, nella vicenda de qua, che l'ufficio del pubblico ministero non si peritò, neppure in via residuale, di giustificare la negligenza del diritto alla difesa del Mileti tanto da neppure giustificare la supposta e pretesa caducazione, nel caso di specie, delle guarentigie di cui all'articolo 103 del codice di procedura penale, in materia di divieto di intercettazione delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, in relazione ai diritti pregnanti e in rilievo, per dettato costituzionale, dell'indagato, oltretutto assoggettato alla misura della custodia cautelare in carcere ma di quelli, inconferenti e irrilevanti del legale. Appare dunque stravolto, nel citato decreto di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, il principio per il quale la garanzia di cui al richiamato articolo 103 c.p.p. concerne l'indagato ed è, esattamente, espressione di quell'insopprimibile e incomprimibile diritto alla difesa costituzionalmente sancito e, nella circostanza, drammaticamente pretermesso. Lo stravolgimento consiste nell'argomentare, alla stregua di garanzia che assisterebbe il difensore, che essa s'intenderebbe esclusa allorquando il difensore medesimo sia egli stesso indagato, tesi peraltro che, chiosando per incidens, neppure appare condivisibile  –:
          se il Ministro non ritenga, esaminati i fatti riferiti e svolta ogni considerazione opportuna e appropriata in ordine alla compatibilità degli stessi con i principi fondanti della nostra civiltà giuridica e dello Stato di diritto trasposti nell'ordinamento positivo del nostro Paese, di dover esercitare la facoltà di promuovere l'azione disciplinare nei confronti del pubblico ministero dottor Gennaro Varone per le violazioni a cui si riferisce l'atto di sindacato ispettivo;
          se il Ministro non ritenga di dover promuovere iniziative normative idonee a inibire la reiterazione di condotte lesive di diritti costituzionalmente tutelati in materia di giustizia e, comunque, ad assicurare l'effettivo rispetto di quei diritti medesimi, da parte di chiunque. (5-08637)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Ansa il 4 dicembre 2012, dal Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) arriverebbe l'ultima scoraggiante fotografia della situazione del carcere di Savona, il quale così viene descritto: «Ottantanove detenuti presenti per trentasei posti letto, l'aula scolastica interna e quella riservata alle attività sportive e allo yoga trasformate in celle. Un carcere che registra l'assenza della titolarità di un direttore e di un comandante di reparto della polizia penitenziaria. Il carcere di Savona resta e rimane contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto, nonostante gli sforzi degli operatori ed espone gli agenti di polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio. Non è normale che una struttura costruita per trentasei posti letto ne stipi in realtà novanta. Questo vuol dire pessime condizioni di vivibilità per i detenuti e pessime condizioni di lavoro per la polizia penitenziaria. Non a caso nei primi sei mesi del 2012 a Savona quattro detenuti hanno posto in essere atti di autolesionismo: ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, tagli diffusi sul corpo e provocati da lamette. In tutto il 2011, a conferma delle critiche condizioni di lavoro dei poliziotti in servizio a Savona, si erano registrati 3 atti di autolesionismo, 1 tentato suicidio e 3 colluttazioni»  –:
          se corrisponda al vero quanto riportato in premessa;
          se non intenda provvedere, per l'istituto di pena in questione, all'immediata nomina del direttore e del comandante di reparto della polizia penitenziaria;
          quali provvedimenti urgenti intenda al fine di eliminare il pesante sovraffollamento che si registra nel carcere di Savona;
          più in generale, se non ritenga urgente intervenire affinché le leggi e i regolamenti penitenziari vengano fatti finalmente rispettare all'interno della struttura penitenziaria, soprattutto per quanto riguarda la disponibilità degli spazi e per quanto di competenza l'assistenza psicologica e sanitaria di cui hanno bisogno le persone ivi ristrette. (4-18994)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere - premesso che:
          secondo quanto riportata dall'agenzia di stampa ANSA dell'8 dicembre 2012, tutte le organizzazioni sindacali del Corpo di polizia penitenziaria e del comparto Ministeri – Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Ugl, Fns-Cisl, Cnpp, Cgil – sosterranno a partire dal 10 dicembre la protesta del personale in servizio nella casa circondariale Dozza di Bologna, che si asterrà dalla consumazione del pasto nella locale mensa a causa della cattiva qualità dei pasti distribuiti e per la scarsa igiene dei locali destinati al consumo;
          Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, ha dichiarato: «da quanto ci è stato segnalato sembrerebbe che l'intera area destinata alla consumazione dei pasti sia satura di odori sgradevoli e poco consoni ad un locale di ristorazione. Probabilmente la causa di tali odori pesanti è da ricondurre allo scarso e non idoneo trattamento igienico dell'ambiente e delle superfici, dove sarebbero stati riscontrati frigoriferi rotti da mesi, una griglia in ferro piena di residui alimentari accumulati da tempo e posta sotto i fornelli. Oltre alla cattiva qualità dei pasti sembra che non venga rispettato il menu giornaliero. Nelle ore serali i pasti, oltre ad essere di pessima qualità, sarebbero insufficienti; inoltre, vi è la presenza di un solo addetto che funge da cuoco e da lavapiatti contemporaneamente. Per tutte queste ragioni il personale, ormai stanco, sostenuto dalle organizzazioni sindacali, a partire da lunedì si asterrà dalla consumazione dei pasti. Ricordiamo che è già la seconda volta che il personale è costretto a ricorrere a tale forma di protesta, sempre per le stesse ragioni»  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire al personale in servizio presso la casa circondariale Dozza di Bologna la qualità dei pasti distribuiti e la completa igiene dei locali destinati al loro consumo. (4-18995)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, il 7 dicembre 2012 un detenuto per reati comuni, Angelo Antonio Aragosa, 48 anni, napoletano, si è impiccato utilizzando un lenzuolo che aveva agganciato ad un finestrone nel carcere di Ariano Irpino (Avellino);
          secondo alcune fonti, il recluso da tempo era caduto in uno stato di depressione procuratogli dall'insofferenza al regime carcerario. Nel frattempo la procura di Ariano Irpino ha aperto un'inchiesta;
          Gianfranco Marcello, nell'esprimere solidarietà alla moglie e alla famiglia del detenuto, che sono state avvertite, precisa che «tragedie come questa rappresentano sempre una sconfitta per gli operatori ma il detenuto, che al momento del suo arrivo ad Ariano Irpino era stato seguito da educatori e psicologi, non aveva dato segni premonitori del gesto che avrebbe poi messo in atto»;
          secondo la moglie del detenuto, «Angelo aveva diverse patologie, stava su una sedia rotelle, aveva una protesi all'anca e difficoltà a camminare, e non gli davano le stampelle, ma soprattutto non ce la faceva più: “Vuole suicidarsi”. Per questi motivi la moglie si era rivolta all'associazione Il Detenuto Ignoto, sottolineando le gravi condizioni di salute del marito e il suo proposito di suicidarsi»;
          sulla vicenda Irene Testa, segretaria dell'Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto, ha dichiarato: «Lo scorso 21 settembre ho ricevuto una telefonata e-mail della moglie del detenuto Angelo Aragosa che ravvisava il rischio di suicidio di suo marito nonché la mancanza di cure adeguate per patologie gravi di cui era affetto il congiunto. Avevo segnalato immediatamente il caso al presidente campano dell'Associazione Antigone Mario Barone affinché verificasse quanto segnalatomi. La risposta ricevuta da fonti interne al carcere era stata rassicurante e si diceva che il detenuto non aveva mai mostrato intenzioni suicide»  –:
          se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere di Ariano Irpino per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione;
          con quanti detenuti condividesse la cella l'uomo al momento del suicidio;
          di quali patologie soffrisse il signor Angelo Aragosa;
          se al detenuto fossero state messe a disposizioni le stampelle che lui stesso aveva richiesto;
          se e quali misure precauzionali siano state prese dalla direzione dell'istituto di pena in questione dopo la segnalazione del caso proveniente dalle associazioni Il Detenuto Ignoto e Antigone;
          se il Ministro interrogato, per la riduzione del numero di suicidi tra i detenuti, oltre ai naturali rapporti di valorizzazione e di rispetto della persona, non ritenga opportuno incrementare la pratica dell'identificazione del «profilo» della persona ad alto rischio di suicidio;
          se non ritenga importante l'aggiornamento del personale, onde facilitare la valutazione dei segnali precoci di rischio di suicidio soprattutto nei confronti di persone appena arrestate. (4-18996)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il signor Cosimo Lo Nigro si trova, in esecuzione pena, presso la casa circondariale di Bologna al fine di scontare la condanna residua di anni sette di reclusione, al netto del condono per indulto applicato per anni tre, inflitta con sentenza di condanna emessa dalla corte d'appello di Reggio Calabria in data 16 marzo 2009, per il delitto previsto dall'articolo 74, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del 1990, commesso fino al 4 novembre 2003; fine pena marzo 2015;
          posto che il detenuto, a seguito di trauma da schiacciamento, presentava nell'avampiede destro esiti di innesto al calcagno, ulcera dorsale mediale atrofica di 5-7 millimetri di diametro con esiti cicatriziali diffusi, amputazione totale del V dito e parziale del III e del IV, nonché una marcata alterazione dei segmenti ossei tarsali, in data 15 marzo 2011 il tribunale di sorveglianza di Palermo ha ritenuto necessaria l'adozione di misure alternative, nello specifico la detenzione domiciliare ex articolo 47-ter, comma 1, lettera c) della legge sull'ordinamento penitenziario, al fine di consentire al medesimo l'espletamento delle necessarie terapie e l'intervento chirurgico di osteomie delle teste articolari;
          sempre per gli stessi motivi, il tribunale di sorveglianza, successivamente, ha consentito alla richiesta del detenuto di essere trasferito presso la casa circondariale di Bologna per poter essere seguito dall'istituto ortopedico Rizzoli e il centro protesi di Budrio;
          una volta trasferito a Bologna e fissato l'intervento per il giorno 26 settembre 2012, il detenuto avanzava istanza di differimento pena che veniva accolta lo stesso giorno dal magistrato di sorveglianza, dottoressa Bosi, dopodiché la decisione finale veniva rinviata al tribunale di sorveglianza per l'udienza del 25 ottobre 2012;
          purtroppo il detenuto, lo stesso giorno in cui gli veniva concesso il differimento della pena, rifiutava l'intervento facendolo spostare al 22 novembre 2012 in quanto non era venuto ancora a conoscenza dell'esito positivo dell'istanza fatta dal difensore nel suo interesse; di conseguenza il magistrato, il 27 settembre 2012, revocava il differimento pena concesso il giorno prima;
          alla successiva udienza del 25 ottobre 2012, nella quale si discuteva della concessione della detenzione domiciliare per motivi di salute, presenziava il dottor Mazza in sostituzione della dottoressa Bosi in quanto, quest'ultima, aveva avuto un lutto in famiglia; nella circostanza venivano rigettate tutte le istanze di misura alternativa al carcere fatte per permettere al detenuto di subire un intervento molto delicato (sia dal punto di vista della salute fisica che psichica) in ambiente sereno in quanto si riteneva che non vi fosse incompatibilità con il regime carcerario;
          il 21 novembre 2012 il signor Lo Nigro viene nuovamente ricoverato presso l'istituto ortopedico Rizzoli di Bologna e, il giorno seguente, veniva sottoposto all'intervento di amputazione della gamba destra;
          successivamente veniva avanzata nuova istanza di differimento pena al magistrato di sorveglianza dottoressa Bosi e istanza di detenzione domiciliare al tribunale di sorveglianza in quanto, a seguito dell'intervento, come da varie relazioni di medici (chirurghi e medico-legale) il detenuto avrebbe dovuto osservare un lungo periodo di convalescenza di almeno 3 mesi per l'effettuazione di medicazioni ogni 2-3 giorni e, quindi, essere seguito anche dal centro protesi di Budrio; era Infatti impensabile che Lo Nigro, dopo un intervento delicato quale l'amputazione della gamba e, un breve periodo di ricovero in ospedale, potesse essere ritradotto in carcere con i rischi che ne sarebbero conseguiti in merito ad infezioni e a buon esito dell'intervento stesso;
          si fa presente che la situazione di incompatibilità di Lo Nigro con la struttura carceraria emerge da varie relazioni mediche in atti atteso che le stesse evidenziano anche il percorso post-operatorio a cui deve essere sottoposto il detenuto e la necessità dei continui contatti con l'istituto ortopedico Rizzoli dapprima, quindi, con il centro protesi di Budrio ed, infine, con una struttura (privata o convenzionata con il servizio sanitario nazionale) nella quale svolgere idonea fisioterapia alla gamba;
          a tal proposito, il centro protesi di Budrio «R.T.M. Ortopedia Personalizzata S.R.L. U.S.» ha fatto pervenire al difensore del detenuto breve relazione nella quale sono specificati gli incontri che Lo Nigro dovrà avere con loro: il primo subito dopo l'intervento (ma che ad oggi ancora non è stato fatto) e, successivamente, dopo circa 25/35 giorni dall'operazione e, da quel momento, per circa 15 giorni lavorativi, il paziente dovrà recarsi quotidianamente, presso la suddetta struttura al fine di predisporre la protesi. Dopodiché il detenuto sarà seguito dai tecnici ortopedici al fine di acquisire il meccanismo motorio di utilizzo della protesi finché non riconquisti pietra autonomia. È altresì espressamente consigliata, così come riferisce il medico chirurgo, dottor Gualdrini, la terapia suppletiva da eseguirsi presso il loro centro ovvero altro convenzionato con il servizio sanitario nazionale;
          in risposta a quest'ultima istanza avanzata dalla difesa del detenuto, il magistrato di sorveglianza di Bologna ha disposto la trasmissione degli atti al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria affinché venisse valutata l'opportunità di trasferire il detenuto presso adeguato centro clinico dell'amministrazione penitenziaria. Ad oggi Lo Nigro si trova ancora presso la casa circondariale di Bologna;
          in ogni caso il detenuto, proveniente dalla casa circondariale Ucciardone di Palermo, è stato trasferito presso il carcere di Bologna affinché potesse effettuare il suddetto intervento presso l'istituto ortopedico Rizzoli di Bologna ed essere quindi seguito del centro protesi di Budrio «R.T.M. Ortopedia Personalizzata S.R.L. U.S.» (officina ortopedica specializzata in protesi di arti inferiori); sarebbe dunque fondamentale che il signor Lo Nigro venisse, nel pieno rispetto del diritto alla salute, trasferito presso un centro clinico dell'Emilia Romagna (Parma) al fine di permettergli di continuare ad essere seguito dall'istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, presso il quale, inoltre, è già stata fissata una visita di controllo per il 28 dicembre 2012 e, quindi, potersi recare presso il centro protesi di Budrio convenzionato con il servizio sanitario nazionale con il quale sono già stati presi contatti;
          a tal riguardo la difesa del detenuto ha già avanzata istanza al provveditorato regionale e al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria affinché venga scelto un centro clinico in Emilia Romagna  –:
          se il Governo non ritenga opportuno adottare gli opportuni provvedimenti affinché il detenuto Cosimo Lo Nigro, anche alla luce delle circostanze esposte in premessa, venga trasferito, nel pieno rispetto del suo diritto alla salute, presso un centro clinico dell'Emilia Romagna;
          più in generale, quali provvedimenti urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, affinché al detenuto venga pienamente garantito e tutelato il diritto alla salute. (4-18999)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


      GHIGLIA e PIZZOLANTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'emanazione del decreto-legge n.  73 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  119 del 2012, dimostra che il Governo ha preso atto delle difficoltà connesse alle nuove norme sulla qualificazione delle imprese previste dal regolamento di esecuzione ed attuazione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.  207;
          il suddetto decreto-legge, novellando il comma 14 dell'articolo 357, del decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010, consente l'utilizzabilità per la categoria OG11 dei certificati di esecuzione dei lavori emessi ex decreto del Presidente della Repubblica n.  34 del 2000, a condizione di attribuire, in via convenzionale, l'importo delle lavorazioni eseguite, secondo le percentuali indicate dalla norma, alle categorie OS3 (20 per cento), OS28 (40 per cento) e OS30 (40 per cento);
          tale attribuzione convenzionale va ritenuta corretta in quanto la somma dei valori convenzionali non può che essere pari all'importo dei lavori eseguiti;
          l'articolo 79, comma 16, del decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010 prevede, invece, che per qualificarsi nella categoria OG11 occorre dimostrare l'esecuzione di lavori rispettivamente del 40 per cento nella categoria OS3, del 70 per cento nella categoria OS28 e del 70 per cento nella categoria OS30, con la conseguenza che per ottenere la qualificazione in una classifica, occorre avere eseguito lavori pari a 1,8 volte l'importo della classifica richiesta (per esempio, per ottenere la qualificazione nella classifica pari ad euro 2.000.000.00, occorre avere eseguito lavori per un importo pari ad euro 3.600.000,00);
          il comma 16 del richiamato articolo 79 prevede altresì che l'impresa qualificata nella categoria OG11 può eseguire i lavori in ciascuna delle categorie OS3, OS28 e OS30 per la classifica corrispondente a quella posseduta;
          le disposizioni di cui all'articolo 79, comma 16, del decreto del Presidente della Repubblica, n.  207, hanno effetti negativi per l'accesso delle piccole e medie imprese al mercato delle opere pubbliche, in quanto comportano che le classifiche di importo ottenibili nella categoria OG11 vengano dimezzate rispetto al passato, non risultando congrue rispetto alle effettive capacità e qualifiche in possesso delle imprese  –:
          se intenda adottare le iniziative normative necessarie per allineare alle percentuali di cui al novellato comma 14-bis dell'articolo 357 del decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010 (20 per cento per la categoria OS3, e 40 per cento per le categorie OS28 e OS30) quelle previste dall'articolo 79, comma 16, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n.  207 del 2010 (ad oggi, rispettivamente, 40 per cento, 70 per cento e 70 per cento), oltre ad allineare alle medesime percentuali (20 per cento per la categoria OS3, e 40 per cento per le categorie OS28 e OS30, rispetto alla classifica della categoria OG11) la capacità per l'impresa qualificata nella categoria OG11 di eseguire i lavori in ciascuna delle categorie OS3, OS28 e OS30, al fine di sostenere l'accesso il più ampio possibile delle piccole e medie imprese al mercato dei lavori pubblici. (5-08640)


      MARIANI, LULLI e GIACOMELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da qualche tempo sulla stampa locale della città di Prato viene affermato che nel programma delle infrastrutture strategiche della cosiddetta «legge obiettivo», predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sarebbe stata inserita e finanziata la realizzazione di un viadotto che interviene su via Leonardo da Vinci, importante arteria stradale che attraversa la città di Prato e che consente l'attraversamento dell'area metropolitana da Firenze a Pistoia;
          negli ultimi giorni si avrebbe notizia dell'avvenuto via libera da parte del Ministero al progetto di tale sovrappasso;
          la strozzatura attualmente esistente nell'arteria stradale alla quale si fa riferimento, ha certamente la necessità di essere risolta;
          nell'allegato infrastrutture (doc. LVII, n.  5-bis), trasmesso al Parlamento il 1o ottobre 2012 in occasione della presentazione della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, e precisamente nella Tabella 0, l'opera in questione non risulterebbe inserita nell'elenco del programma delle infrastrutture strategiche;
          la proposta di risoluzione del problema con la realizzazione del sovrappasso, creerebbe problemi rilevanti di impatto sull'organizzazione delle connesse rampe di accesso e, soprattutto, rischia di avere un impatto pesantemente negativo verso le numerose residenze abitative che sorgono intorno all'arteria succitata, tanto che sarebbe opportuna la valutazione dell'interramento della viabilità  –:
          se il progetto in questione sia stato adeguatamente finanziato nel programma delle infrastrutture strategiche della «legge obiettivo», anche considerando la valutazione di impatto ambientale e sanitario del progetto del sovrappasso sulla numerosa popolazione residente attorno all'arteria risultante dall'eventuale costruzione del sovrappasso. (5-08641)


      PIFFARI, CIMADORO e VATINNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          con la sigla Bre.Be.Mi. si indicano sia l'autostrada, in costruzione, che si propone di attuare un collegamento diretto tra le città di Milano e Brescia, sia l'omonima società che se n’è aggiudicata l'appalto;
          il progetto denominato Bre.Be.Mi., dal 2001, anno di presentazione del progetto preliminare, si è sviluppato lungo l’iter autorizzativo concluso nell'anno 2009. Dopo il parere positivo del Cipe e la conseguente delibera (2005), il progetto definitivo è stato approvato il 26 giugno 2009. I lavori di costruzione sono iniziati il 22 luglio 2009 e dovrebbero terminare a primavera del 2013;
          la società Concessioni autostradali lombarde spa (CAL) viene costituita il 19 febbraio 2007 in modo paritetico da regione Lombardia, attraverso Infrastrutture Lombarde, e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con ANAS. La società possiede tutte le qualità e le prerogative dell'ente concedente e si occupa delle procedure di affidamento, della realizzazione, e della gestione di tre importanti autostrade collocate in territorio lombardo: Pedemontana; la direttissima Brescia-Bergamo-Milano (Brebemi) e la tangenziale Est esterna di Milano (Tem). A seguito dell'esperienza maturata da Infrastrutture Lombarde con le autostrade regionali, con la legge Finanziaria 2007 il Governo ha trasferito le funzioni di soggetto concedente per Pedemontana, la direttissima Brescia-Bergamo-Milano (Brebemi) e la Tangenziale Est Esterna di Milano (TEM), da Anas S.p.A. ad una nuova società partecipata dalla stessa Anas e da Regione Lombardia attraverso Infrastrutture Lombarde;
          la Cassa depositi e prestiti spa è una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per il 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, e per il 30 per cento da diverse fondazioni bancarie. È stata costituita nell'attuale forma giuridica di società per azioni il 12 dicembre 2003, in applicazione del decreto-legge 30 settembre 2003 n.  269. La trasformazione tende a renderne la struttura ancora più autonoma, svincolandola almeno in parte dai legami connessi alla precedente forma di ente pubblico;
          SACE è un gruppo assicurativo-finanziario attivo nell’export credit, nell'assicurazione del credito, nella protezione degli investimenti, nelle garanzie finanziarie, nelle cauzioni e nel factoring. Il gruppo assume in assicurazione e/o in riassicurazione i rischi a cui sono esposte le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti all'estero. E presieduta dall’ex ambasciatore italiano negli USA Giovanni Castellaneta. SACE nasce nel 1977 in seguito alla legge n.  227 del 1977 come sezione speciale per l'Assicurazione del credito all'esportazione dell'Istituto nazionale assicurazioni. Con il decreto legislativo n.  143 del 1998 diventa istituto per i servizi assicurativi del commercio estero, diventando in seguito ente pubblico economico. Nel 2004, con la legge n.  326 del 2003 (articolo 6) diventa Sace spa (con effetto dal 1o gennaio 2004). SACE, controllata al 100 per cento da cassa depositi e prestiti, offre una gamma di strumenti per l'assicurazione del credito, la protezione degli investimenti, l'erogazione di cauzioni, garanzie finanziarie e factoring;
          si è appreso da quanto pubblicato in un articolo di stampa Web dal sito terrelibere.org del 29 agosto 2011, che le fondazioni: Astrid, Italiadecide e Res Pubblica presiedute rispettivamente da Franco Bassanini, Luciano Violante e Eugenio Belloni (un'alleanza bipartisan, viste le provenienze politiche) hanno stilato un rapporto condiviso chiamato «Le infrastrutture strategiche di trasporto», che viene dato come il modello della legge che sostituirà la legge obiettivo, in cui viene descritta la crisi del debito pubblico e la difficoltà per lo Stato di finanziare le infrastrutture; In virtù delle problematiche sollevate, nel rapporto viene affrontato il sistema finanziamento delle infrastrutture attraverso una proposta di finanziarizzazione che cerca sul mercato le risorse necessarie. Al centro di quel progetto c’è il ruolo della Cassa depositi e prestiti;
          per quanto riguarda la Bre.Be.Mi la Cassa depositi e prestiti interviene proprio con un finanziamento di 765 milioni di euro. È questo intervento che ha indotto l'impegno di un pool di banche che hanno aperto le linee di credito necessarie: Banca Intesa per 390 milioni, Unicredit e Mps per 290 milioni a testa e Banco Popolare e Centrobanca per 200 milioni cadauno. La Società Brebemi ha, inoltre, aumentato il capitale sociale a 520 milioni. Il prestito investito dovrà essere restituito per il 50 per cento nel corso del periodo di concessione dell'infrastruttura e per il 50 per cento a fine concessione. Le entrate necessarie dovrebbe venire dai pedaggi autostradali;
          lo strumento della finanza di progetto, è una operazione di finanziamento a lungo termine in cui il ristoro del finanziamento è garantito dai flussi di cassa previsti dalla gestione dell'opera prevista nel progetto;
          in un articolo apparso sul Corriere della Sera in data 23 novembre 2012, si è appreso che la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha deliberato il maxi finanziamento in modalità di project financing da 1,6 miliardi di Brebemi. La decisione della BEI sancisce il completamento dell'arteria autostradale entro la scadenza prevista di fine 2013. Sempre secondo l'articolo citato si apprende che «Il closing finanziario dell'infrastruttura, fatti salvi ulteriori affinamenti, verrà siglato nelle prossime settimane e vedrà la Bei erogare un finanziamento da circa 800 milioni mentre l'altra metà è previsto che venga coperta da Cassa depositi e prestiti»  –:
          se il Ministro interrogato possa garantire in termini inequivocabili che, anche attraverso il finanziamento da parte della Cassa depositi e prestiti nei termini sopra riportati, la Bre.Be.Mi. sarà completata entro la scadenza prevista di fine 2013. (5-08642)


      LANZARIN e DUSSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa si è appreso che il progetto dell'asse autostradale Valdastico Nord ha superato l'ultimo ostacolo decisivo ottenendo l'approvazione dalla Commissione VIA;
          il progetto consiste nella realizzazione della prosecuzione della A31 – Valdastico, per un totale di 39 chilometri di autostrada; l'asse autostradale percorre il territorio Veneto, tra Piovene Rocchette e il confine regionale, arrivando nel Trentino per congiungersi con la A22 del Brennero;
          l'autostrada A31 – Valdastico Nord è inserita nella delibera CIPE n.  31 del 13 maggio 2010 e fa parte delle opere del corridoio plurimodale padano da avviare nel triennio 2011-2013;
          la realizzazione dell'autostrada rappresenta uno degli obiettivi più importanti della programmazione dello sviluppo regionale Veneto e di tutto il Nord, ai fini del rafforzamento dei collegamenti tra il territorio della provincia di Vicenza e le reti d'interesse regionale e nazionale;
          attualmente il corridoio del Brennero si presenta congestionato dai flussi della mobilità interna e dai flussi del traffico di transito internazionale, oltre che dal traffico saltuario indotto dal turismo; pertanto, il progetto del prolungamento a Nord della Valdastico e della sua congiunzione con l'autostrada del Brennero si presenta come un intervento indispensabile e improcrastinabile per lo snellimento e il decongestionamento del traffico, permettendo nuove modalità di spostamento delle persone e delle merci più efficienti e più rispondenti alle esigenze di competitività territoriale;
          la popolazione locale attende da anni la realizzazione dell'opera e, pertanto, a seguito della positiva valutazione d'impatto ambientale, attende un'azione accelerata da parte del Governo per permettere l'approvazione definitiva dell'autostrada da parte del CIPE della prossima settimana, prima delle annunciate dimissioni del Governo  –:
          se, a seguito della valutazione d'impatto ambientale positiva, il Ministro interrogato intenda portare alla riunione del CIPE della prossima settimana il progetto della A31 – Valdastico Nord, tratto da Piovene Rocchette a Trento, vista l'improcrastinabile necessità di una celere approvazione dell'opera. (5-08643)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DELFINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da dicembre 2012 le fermate della linea ferroviaria internazionale nei piccoli paesi della Val Roya saranno cancellate per effetto dei tagli previsti nel piano di razionalizzazione del trasporto ferroviario;
          in segno di protesta, il 2 novembre 2012 gli amministratori locali liguri e piemontesi hanno tenuto una manifestazione nella stazione di Ventimiglia, proseguita poi in treno fino a quella di Airole;
          sopprimere tali fermate vorrebbe dire incidere negativamente sullo sviluppo economico e turistico dei piccoli borghi interessati, e soprattutto vanificherebbe tutti quei progetti, già attivati, mirati a valorizzare l'utilizzo del treno come mezzo di trasporto alternativo e pulito;
          risultano incomprensibili, all'interrogante, le difficoltà riscontrate per il mantenimento delle fermate in questione, data la valenza strategica di tale collegamento internazionale;
          sebbene sia condivisibile la necessità di un contenimento delle spese, sarebbe opportuno valutare l'impatto e le ripercussioni negative che tali misure avrebbero sui territori interessati sia in termini economici sia di valenza prettamente funzionale, in quanto si tratta di un collegamento ferroviario internazionale  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di verificare la possibilità di mantenere le fermate della linea ferroviaria internazionale nei piccoli paesi della Val Roya, data la valenza strategica di tale collegamento per lo sviluppo economico e turistico dei borghi interessati. (5-08634)


      BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Rete ferrovie italiane (RFI) con propria disposizione ha interrotto il transito dei treni lungo la tratta che collega lo stabilimento Ferrosud di Matera alla località Casal Sabini di Gioia del Colle;
          questa decisione impedisce la consegna e l'arrivo di nuove commesse;
          a motivazione di questa decisione vi sarebbe la necessità di realizzare ulteriori interventi di adeguamento della rete;
          va detto che spio lo scorso 31 ottobre Rete ferrovie italiane aveva ripristinato il funzionamento della linea in accordo con regione Basilicata e consorzio per lo sviluppo industriale di Matera;
          è ovvio che la decisione penalizza lo stabilimento Ferrosud che attraversa già una non facile fase produttiva;
          rischiano di essere collocati in cassa integrazione diverse unità lavorative della fabbrica impiegate in settori come saldatura carpenteria e verniciatura;
          il prossimo 31 dicembre scade inoltre la cig in deroga per 34 dei 144 lavoratori dello stabilimento  –:
          se e quali iniziative il ministro competente intenda attivare per verificare con Rfi la possibilità di ripristinare immediatamente la funzionalità del tratto ferroviario in questione per evitare un ulteriore aggravamento della situazione produttiva dello stabilimento Ferrosud di Matera.
(5-08635)

Interrogazione a risposta scritta:


      BITONCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa nazionali e locali di Padova riportano la notizia secondo la quale, sulla base di una recente indagine promossa da Legambiente, vi sarebbero numerose tratte ferroviarie dell'intero territorio nazionale che presentano gravi disservizi, dalla lentezza dei collegamenti alla riduzione delle corse e all'aumento del costo dei biglietti, e gli stessi avrebbero determinato un complessivo ed evidente calo di utenti, soprattutto pendolari;
          la rilevazione effettuata, e che sarà presentata a giorni dalla stessa associazione che l'ha promossa, elenca precisamente le maggiori criticità, tra le quali emergono, oltre alle tratte che da tempo lamentano difficoltà, come la Circumvesuviana di Napoli, la Potenza-Salerno, o la Palermo-Messina, anche la Padova-Mestre, linea di estrema importanza nel Nord-Est del Paese e che mette in contatto due città dall'assoluta rilevanza economica, sia per il flusso turistico che vi gravita intorno, sia per quello scolastico, soprattutto universitario, che lega le due realtà venete;
          tra le principali conseguenze di questo disservizio, vi è senza dubbio il maggior utilizzo da parte degli utenti di mezzi alternativi per raggiungere il luogo di lavoro, ovvero il pullman o l'automobile, con un aumento medio complessivo dei costi che gli stessi devono sopportare, tanto più difficilmente sopportabili in un momento di crisi economica, e del livello di inquinamento da essi generato, generalmente maggiore rispetto a quello prodotto dai mezzi ferroviari  –:
          se non ritenga opportuno adottare iniziative nell'ambito delle proprie competenze allo scopo di verificare dettagliatamente le cause dei disservizi ricordati in premessa, adottando altresì le necessarie iniziative di competenza anche in quanto azionista di Trenitalia s.p.a. per ripristinare il corretto funzionamento del servizio ferroviario tra Padova e Venezia, così da renderlo sostenibile e coerente con le esigenze della cittadinanza. (4-18997)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          l'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 relativo alle funzioni fondamentali dei comuni e alle modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali, rivede e precisa alcune disposizioni in materia e disciplinate dall'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78;
          tra queste, viene riscritto il comma 28 dell'articolo 14 del medesimo decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, prevedendo come i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali ad esclusione di quelle relative alla polizia municipale ed amministrativa locale;
          nella disposizione normativa, viene altresì introdotto il comma 31-bis, ove si precisa che le convenzioni hanno durata almeno triennale e alle medesime si applica, in quanto compatibile, l'articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, allorché alla scadenza del predetto periodo, non sia comprovato, da parte dei comuni aderenti, il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sei mesi, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, i comuni interessati sono obbligati ad esercitare le funzioni fondamentali esclusivamente mediante unione di comuni;
          il territorio italiano si caratterizza per la presenza di un elevato numero di comuni di piccole dimensioni, e il passaggio all'attivazione delle funzioni intercomunali necessita sia di un supporto fattivo da parte delle istituzioni nazionali, regionali o provinciali, sia di una flessibilità gestionale in grado di accompagnare gradualmente questo processo anche sulla base delle peculiarità degli enti locali  –:
          stante la non obbligatorietà di unioni o convenzionamenti dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti se appartenenti o appartenuti a comunità montane, se si debba ritenere che la disposizione di cui alla lettera e), comma 1, dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 di modifica del comma 31 dell'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78 si applichi anche a quelle convenzioni delle quali sia parte un comune non obbligato a parteciparvi ai sensi del medesimo articolo citato.
(2-01780) «Vanalli».

Interrogazione a risposta immediata:


      DOZZO, MARONI, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi mesi, in molti territori, soprattutto del Nord del Paese, si registra un'allarmante crescita dei furti nelle abitazioni e nelle aziende, come è possibile constatare dagli articoli di cronaca dei quotidiani che spesso si presentano come veri e propri «bollettini di guerra»;
          il dilagare degli episodi, che in numerosi casi hanno visto coinvolti persone provenienti dall'Est europeo, ha assunto un carattere di intensità tale da costituire motivo di vivissima preoccupazione nei cittadini dei territori interessati, anche per via della violenza e dell'aggressività dimostrata da alcuni di questi rapinatori, sicché molto spesso dal furto si trascende in reati contro la persona;
          gli episodi di violenza e di aggressione alla proprietà, per il loro elevato numero, costituiscono anche un rilevante costo sociale, poiché, nella situazione di insufficienza del controllo statale del territorio, i cittadini e le aziende sono costretti a sopportare elevati costi per dotarsi di sistemi di vigilanza e di protezione;
          il Governo in carica non sembra, ad avviso degli interroganti, aver minimamente compreso la situazione di allarme creata dalla frequenza dei furti in abitazioni, che minano il bene fondamentale della sicurezza e possono indurre, a fronte dell'assenza dello Stato, a ricorrere a forme di autodifesa;
          gli indirizzi intrapresi con la recente approvazione, su iniziativa del Governo, delle norme sulla detenzione domiciliare e sulla messa alla prova vanno, infatti, nella direzione opposta a quella auspicata dagli interroganti, poiché si traducono in un allentamento delle pretese punitive dello Stato e avranno, a parere degli interroganti, l'effetto di far uscire dal carcere, tra gli altri, molti autori di furti e di reati contro il patrimonio –:
          se, alla luce della gravità della situazione sopra descritta e in ragione delle richieste del territorio, degli amministratori locali e delle autorità locali di pubblica sicurezza, che a gran voce chiedono misure concrete di contrasto del fenomeno, non si ritenga opportuno assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di aumentare la presenza ed il controllo delle forze dell'ordine, in particolare nelle zone che registrano maggiori tassi di incremento dei furti in appartamento e nelle aziende, valutando anche la possibilità di impiego dell'esercito, allo scopo di porre fine all'attuale allarmante situazione. (3-02650)

Interrogazione a risposta orale:


      TANONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il comma 2 dell'articolo 18-bis del decreto del Presidente della Repubblica n.  361 del 1957 non richiede, ai fini della presentazione delle liste di candidati alle elezioni politiche, nessuna sottoscrizione per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi e per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 1, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell'articolo 14  –:
          quali siano i partiti che, ad oggi, sono esentati dalla raccolta delle firme per la sottoscrizione delle liste per le elezioni politiche 2013, al fine di evitare interpretazioni difformi al riguardo. (3-02649)

Interrogazioni a risposta scritta:


      TASSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dagli organi di stampa, alcuni consiglieri comunali di Cicala hanno presentato ricorso al Tar della Calabria, ai fini dell'annullamento di ben venticinque delibere della giunta;
          i motivi dell'iniziativa assunta contro la maggioranza comunale riguardano la nomina da parte del sindaco, in qualità di assessore esterno, di Gianfranco Gigliotti, fratello del suocero del primo cittadino: l'esecutivo ha approvato con il suo voto favorevole e decisivo (essendo valide le sedute sotto il profilo del quorum strutturale e funzionale) gli atti impugnati;
          palese, ad avviso dell'interrogante, risulta la violazione dell'articolo 64, comma 4, della legge n.  267 del 2000, a norma del quale «il coniuge, gli ascendenti, i discendenti, i parenti e affini fino al terzo grado, del sindaco o del presidente della Giunta provinciale, non possono far parte della rispettiva Giunta né essere rappresentanti del Comune e della Provincia»;
          si tratta di una causa ostativa sui generis, non riconducibile alla categoria delle ineleggibilità né a quella delle incompatibilità, che sono sempre sanabili (sia pure con diverse modalità), poiché si tratta di una relazione fra congiunti, finalizzata non già ad eliminare un conflitto di interessi tra ente ed eletto, ma ad evitare, specie nei piccoli comuni, che la giunta diventi un organismo a prevalente carattere familiare;
          è evidente che la presenza determinante in giunta di un assessore che non poteva essere nominato comporta la nullità e l'illegittimità delle delibere impugnate;
          in particolare, tra quelle finite nel mirino del Tar ci sono quelle avente ad oggetto la ricognizione annuale del personale, l'approvazione dell'elenco degli immobili da inserire nel piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, il bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2012, il bilancio pluriennale per il triennio 2012/2014, il Piano distrettuale per la realizzazione di prestazioni e servizi socio-assistenziale a favore di persone non autosufficienti, l'assegnazione dei buoni lavoro voucher per prestazioni di tipo accessorio  –:
          se non ritenga opportuno valutare se sussistono i presupposti per procedere allo scioglimento del consiglio comunale, a causa delle deliberazioni viziate approvate nell'ultimo anno e mezzo. (4-18978)


      RAZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'attuale normativa dà la possibilità, tramite la conferenza dei servizi e la conseguente autorizzazione unica, di snellire le procedure in materia di energie rinnovabili;
          questi processi per arrivare alla autorizzazione unica durano mediamente dai 4 ai 5 anni;
          le ultime normative in materia di energie rinnovabili, con particolare riferimento all'energia eolica e a quella fotovoltaica, hanno cambiato profondamente gli equilibri economici di progetti i cui procedimenti autorizzatori sono stati avviati prima del 2011;
          questi progetti rischiano di non essere più economici;
          tuttavia è interesse delle imprese continuare a portare avanti progetti per fini speculativi;
          il rischio di scarsa funzionalità così come programmati è aumentato enormemente;
          secondo alcune fonti e dichiarazioni di esponenti politici e istituzionali di primo piano della vita politica istituzionale italiana il 50 per cento delle pale eoliche è fermo o non produce né energia né ricchezza programmata;
          il danno al Paese è enorme sia da un punto di vista estetico sia paesaggistico;
          i comuni su cui incidono le pale eoliche vedono deturpato il proprio territorio;
          vengono compromesse varie attività, turistiche, economiche e produttive;
          in tale maniera vi è un ulteriore spopolamento di alcune zone soprattutto montane;
          i comuni in questo senso anche a causa della debolezza finanziaria dovuta a carenze di strutture adeguate, economiche, organizzative, finanziarie e uffici tecnici si trovano esposti in maniera precaria rispetto alla forza di aziende il cui unico obiettivo è quello della speculazione individuale;
          l'azione di talune regioni nel rilascio delle autorizzazioni uniche non appare orientata ad una tutela anche dei livelli di enti locali sottostanti;
          in tal modo tali regioni non appaiono tutelare il territorio e non sembrano tenere in debita considerazione il nuovo quadro normativo ed economico;
          in Toscana sarebbero state ritirate le deleghe all'assessore regionale;
          il segretario di un comune su cui incidono le pale eoliche si sarebbe dimessa per contrarietà agli interventi  –:
          se il Governo non intenda sensibilizzare ulteriormente su questo specifico argomento le forze dell'ordine per una sempre maggiore tutela dell'interesse dello Stato per quanto di competenza delle forze dell'ordine stesse;
          se il Governo non intenda promuovere un monitoraggio sulle situazioni descritte anche al fine di impedire speculazioni con conseguente sfregio del territorio;
          se il Governo non intenda anche intervenire per riconsiderare le modalità di presentazione di tali impianti, per evitare che quanto indicato in premessa possa perpetuarsi. (4-18983)


      BARBATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          «l'osceno patto tra clan del Sud e le industrie del Nord Italia» è il titolo del reportage di Gian Antonio Stella sul settimanale Sette riportato a stralci da corrieredelmezzogiorno.it;
          al centro del servizio i rifiuti tossici e clan che avvelenano la Campania;
          «quelli che hanno ammazzato la Campania Felix, vale a dire la Campania fertile descritta con parole estasiate dai grandi viaggiatori del passato, seppellendola sotto montagne di rifiuti tossici omicidi, hanno ucciso, uccidono e continueranno a uccidere più ancora che i killer armati di mitra o pistola. Hanno infettato a morte una terra stupenda. L'ultimo assassinato dal cancro si chiamava Salvatore Simeoli ed è morto la settimana scorsa. Aveva lavorato per anni con Antonio Bruno al consorzio di bacino che si occupava della discarica di Pianura»;
          partendo dalle dichiarazioni di Dario De Simone, per anni uomo di punta dei Casalesi, sicario, che ha ucciso circa una decina di persone, Gian Antonio Stella parla delle «analisi eseguite sugli oli della centrale che hanno accertato la presenza di policlorobifenili, molto inquinanti. A causa dell'inefficienza delle strutture depurative, non di competenza dell'azienda, le sostanze finiscono nella fitta rete di canali irrigui delle province di Caserta, Napoli e Benevento. A Terzigno, uno dei paesi a più alta incidenza di tumori, cinque se ne sono già andati, gli altri tirano avanti tra chemioterapie, trattamenti farmaceutici, lunghe attese nelle anticamere degli ambulatori ospedalieri, un ricovero ogni tanto Antonio è uno dei tanti napoletani, casertani, salernitani colpiti da tumore che hanno scelto di uscire dal ghetto del silenzio e del pudore per affidare il loro dolore all'obiettivo di Diego Barsuglia, il fotografo toscano autore di un duro reportage sul martoriato territorio intorno al capoluogo campano. Si intitola “La terra desolata” e mette insieme le immagini delle vittime dello spaventoso assalto camorrista: di qua i campi, i vigneti, le colline, i ruscelli, i laghetti devastati dal pattume tossico, di là le donne e gli uomini attaccati dalla malattia. Un pugno allo stomaco. Perché tutti vedano, perché tutti sappiano. Business mafioso. Antonio, che “per 22 anni ha lavorato in discarica, ignaro della pericolosità dei rifiuti che, abusivamente, venivano conferiti nelle cave dall'avvocato Cipriano Chianese”, non può urlare la sua rabbia: ha un carcinoma alle corde vocali. Chi fosse Chianese, uno di quei personaggi che da sempre tengono i contatti tra la criminalità e la politica, lo ricorda l'ultimo Rapporto Ecomafia di Legambiente attraverso la deposizione ai magistrati di quel Dario De Simone che abbiamo citato, fondamentale per il processo “Spartacus”»;
          «il clan dei Casalesi è entrato nel business dei rifiuti tra il 1989 e il 1990. In quell'epoca gli imprenditori ci hanno fatto capire il business dell'immondizia, noi prima di quel giorno non sapevamo niente, non sapevamo che con i rifiuti si potevano fare tanti soldi. Ce lo spiegò l'avvocato Chianese, che, con le discariche ha guadagnato miliardi, i fratelli Bruscino, Cardiello, Iossa, tutti imprenditori che navigavano in questo ambito». «Quando noi ce ne siamo accorti», prosegue il pentito, «era un po’ tardi e abbiamo cercato di recuperare il terreno perduto. In due-tre anni di lavoro hanno tirato su tanti soldi. Ci spiegarono che se in una discarica in un giorno arrivano 100 camion di immondizia, l'ultimo è pieno di soldi»;
          i soldi che entravano nelle casse del clan erano pari a quasi 5 miliardi delle vecchie lire, servivano per pagare gli affiliati o gli stipendi, che arrivavano fino a 400 milioni di lire al mese. Cioè circa 400mila euro di oggi distribuiti ogni mese tra i pesci piccoli che si occupavano del lavoro più sporco. I rifiuti del Nord. (...) «Una volta capito come funzionava», si legge ancora nella deposizione dell'ex camorrista, «me ne interessai io per circa due anni e mezzo. I rifiuti arrivano dal Nord, dai depuratori toscani, da Brescia, erano fabbriche industriali di vernici, erano lavanderie industriali, le concerie, arrivava di tutto». Da Padova, Ferrara, Torino, Milano, Varese... (...) L'uomo dei Casalesi racconta come la borghesia mafiosa ha istruito la camorra nell'avviare il business dei rifiuti tossici tasso di mortalità per tumore al fegato negli uomini negli ultimi venti anni in provincia di Napoli è salito dal 22,1 per cento al 38 per cento, e in provincia di Caserta dal 22,3 per cento al 26,4 per cento», era allarmatissimo: «Questo eccesso di mortalità, che riguarda anche altre patologie cronico-degenerative, si configura come un grave problema sociale e ambientale, oltre che sanitario, di vasta dimensione e notevole gravità»  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure ciascuno, per quanto di competenza intendano assumere a tutela della salute dei cittadini che vivono nel circondario descritto in premesso e nel capoluogo menzionato; quali criteri si intendano introdurre per contrastare i traffici selvaggi da Nord a Sud introducendo una tracciabilità del rifiuto (tossico, speciale, indifferenziato, organico, industriale) che permetterebbe di sapere il viaggio del rifiuto dalla partenza all'arrivo, ciò a tutela anche dei terreni agricoli e dell'allevamento, basti pensare alle bufale campane, animali caratterizzanti le zone del casertano. (4-18987)


      BARBATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          ignoti, notte tempo, si sono introdotti nella chiesa del Rosario ad Ottaviano (Napoli);
          il furto è avvenuto nella notte tra martedì e mercoledì;
          i ladri, probabilmente due, sono entrati dalla porta d'ingresso. Hanno scavalcato il cancello e si sono introdotti da una delle tre porte che introducono nel simulacro religioso;
          una volta introdotti nella chiesa hanno prima rovistato negli archivi della sagrestia, tirato fuori documenti, probabilmente alla ricerca dei soldi della questua, raccolti durante la messa avvenuta qualche ora prima;
          delusi dallo scarso bottino hanno deciso di derubare «i santi», portando via: un rosario centenario, un cuore d'oro e cimeli vari che erano da corredo alle statue posizionate nelle cappelle lungo le navate posteriori. Un furto di oltre ventimila euro, almeno secondo la prima stima, ma il valore di fatto dei suppellettili d'oro non è quantificabile perché rappresentavano, assieme al patrimonio custodito nella chiesa un vero e proprio tesoro artistico e culturale;
          la notizia è data da metropolisweb in data 7 dicembre 2012 nell'articolo a firma di Giovanna Salvati;
          il gesto ha sollevato commozione ed indignazione in città;
          polemiche sul sistema di video sorveglianza al momento del fatto non funzionante perché disattive;
          la chiesa risale al 1576 e dispone di un annesso convento;
          conserva tele di Boscoli, Ferraù, Tenzone della scuola di Sebastiano del Piombo e di Angelo Mozzillo ma anche statue marmoree di grosso valore  –:
          quali misure intende assumere il Ministro interrogato in merito ai fatti esposti e se non intenda predisporre per le chiese e i conventi più antichi della Campania adeguati controlli onde scoraggiare azioni come quella descritta in premessa onde preservare la memoria storica e rispettare i luoghi di culto cari alla cittadinanza del luogo. (4-18989)


      BITONCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni appena trascorsi, siti di informazione di storia, cultura e tutela di Venezia, riportavano la notizia secondo cui da diversi mesi non viene esposta, sul palazzo ducale di Venezia, la bandiera di San Marco, simbolo della città;
          numerosi cittadini hanno manifestato il loro dissenso verso una mancanza che fa venire meno una delle consuetudini istituzionali di Venezia che prevedono l'esposizione contemporanea delle tre bandiere, soprattutto trattandosi del luogo che è il simbolo principale della storia istituzionale della nostra città;
          lo statuto della regione Veneto, legge 22 maggio 1971, n.  340, all'articolo 2, afferma che «L'autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia. La Regione concorre alla valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico delle singole comunità, e leggi regionali n.  8 del 2007, «Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto», e n.  10 del 1998, «Disposizioni per l'uso e l'esposizione della bandiera della Regione del Veneto», si pongono come obbiettivo quello della valorizzazione e della promozione della lingua e della cultura veneta, in tutte le sue forme, al fine di tutelare le peculiarità storiche e culturali appartenenti alla cultura veneta e, tra le quali, rientra indiscutibilmente, la bandiera veneta  –:
          se non si ritenga necessario valutare la possibilità di adottare iniziative volte a tutelare le peculiarità delle culture locali, promuovendo azioni finalizzate a supportare e valorizzare la cultura veneziana.
(4-18993)


      DI PIETRO. —Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha presentato in data 7 febbraio 2012 l'interrogazione 4-14773, ad oggi senza risposta, con la quale si chiede ai Ministri interrogati il riconoscimento, anche giuridico, della figura professionale degli ausiliari della viabilità in autostrada;
          garantire l'incolumità dei viaggiatori e mantenere le condizioni di sicurezza dell'autostrada sono i principali compiti degli ausiliari come previsto dal protocollo d'intesa sottoscritto il 20 marzo 1999 dall'AISCAT con il Ministero dell'interno;
          ad oggi, sulle autostrade italiane, per ogni concessionaria si trovano altrettante figure di ausiliario alla viabilità, dal personale formato professionalmente per assistere in maniera qualificata l'utenza – ad esempio con la rilevazione degli estremi degli incidenti senza feriti – a quello impiegato in attività manutentive programmate – quali la salatura invernale, il falcio delle aree verdi, la potatura delle ramaglie, la tinteggiatura degli edifici – che non hanno niente a che fare con la viabilità;
          dal progetto presentato alle organizzazioni sindacali da Autostrade per l'Italia si evince che l'ausiliario sarà impiegato in attività manutentiva programmata e dovrà interrompere l'attività svolta – eventualmente anche cambiando mezzo – e intervenire su quanto segnalato;
          l'attività di pattugliamento è la mansione principale per garantire la sicurezza in autostrada, poiché riduce al minimo le tempistiche di intervento;
          nei casi in cui non è stato fatto tutto il necessario per la sicurezza dell'utenza la Corte di Cassazione ha attribuito alle società concessionarie le responsabilità negli incidenti  –:
          se non ritenga opportuno che venga ridefinita la figura dell'ausiliario della viabilità così da configurare un servizio che garantisca sicurezza e informazione agli automobilisti con compiti principali rivolti alla viabilità. (4-19001)


      BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          i consiglieri comunali di opposizione del consiglio comunale di Tricarico (Matera) hanno inviato una nuova nota al prefetto di Matera per segnalare che, nonostante la sospensione del sindaco Antonio Melfi, quest'ultimo continui a frequentare con sistematica assiduità l'ufficio del sindaco facente funzioni Rocco Dabraio;
          con la nota inviata al prefetto il 3 dicembre 2012 si fa presente con dettaglio di orari e giorno, quando il sindaco sospeso è stato visto all'interno del principio;
          una presenza che non è giustificabile con il disbrigo di pratiche personali considerato che il sindaco sospeso non è residente a Tricarico;
          ovviamente ci si trova di fronte ad una situazione anomala che non può essere ignorata dalle autorità competenti;
          già nei precedenti atti di sindacato ispettivo era segnalata la particolare situazione politico amministrativa di Tricarico dopo la sentenza di sospensione del sindaco Melfi  –:
          se il Ministro intenda valutare, alla luce di questo ulteriore circostanza, se sussistano i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale di Tricarico (Matera). (4-19002)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il più grande telescopio del mondo il Vst (Vlt survey telescope) si trova in Cile ed è stato inaugurato il 6 dicembre 2012 a Napoli presso l'Osservatorio astronomico di Capodimonte dell'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf);
          esso è frutto di una collaborazione avviata dall'Osservatorio di Capodimonte e l'Osservatorio europeo meridionale (Eso);
          Vst è il primo telescopio medio grande, progettato e realizzato totalmente in Italia (prevalentemente a Napoli), che l'Osservatorio di Capodimonte ha concepito e portato a compimento con il concorso di altre sedi Inaf;
          quest'occhio italiano in Cile si erge a 2600 metri di altitudine su un picco andino del Cerro Paranal e ha lo scopo di sorvegliare il cielo con l'obiettivo di fare indagini sui componenti oscuri del cosmo come materia oscura ed energia oscura ma anche monitorare gli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra;
          è costato circa 14 milioni di euro;
          la notizia si apprende dalla testata metropolisweb.it in data 6 dicembre 2012;
          Massimo Capaccioli responsabile scientifico di Vst e direttore dell'Osservatorio di Capodimonte dal 1993 al 2005, ha spiegato che nel 1997 inizia la storia di questo potente telescopio, quando «ricevemmo – ha detto – un grosso finanziamento e decidemmo di costruire un telescopio di classe medio grande con nuove tecnologie e lo proponemmo all'Eso che approvò il progetto»;
          quest'anno l'Osservatorio di Capodimonte ha compiuto 200 anni;
          nel giro di tre settimane si sono avute inoltre due inaugurazioni importanti: il museo degli antichi strumenti astronomici ed il telescopio Vst  –:
          se siano state promosse iniziative per valorizzare e diffondere informazioni nelle scuole in merito al prestigioso telescopio e quali misure si intendano mettere in campo nel futuro per consentire alla più ampia platea scolastica possibile di ogni ordine e grado la visione di queste meravigliose costruzioni che la moderna tecnologia consegna da mani sapienti, atteso che ammirare questi gioielli contribuisce nel sensibilizzare le aspirazioni di allievi e studenti. (4-19006)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
          la grave crisi finanziaria e gestionale degli istituti ospedalieri «Opera Don Uva» (con sedi a Bisceglie, Foggia e Potenza), di proprietà della Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza, è da tempo all'attenzione delle istituzioni regionali della Puglia e della Basilicata e delle amministrazioni locali interessate e sta destando viva preoccupazione tra i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali, nonché tra i pazienti che beneficiano dei servizi erogati da tali strutture e, più in generale, tra la popolazione tutta di detti territori;
          solo per avere un'idea della dimensione dell'Opera Don Uva e della problematica trattata, si evidenzia che, al 31 dicembre 2011, nelle tre sedi citate, si contavano complessivamente 1966 dipendenti e 2054 posti letto (così ripartiti: 1019 dipendenti e 950 posti letto nella struttura di Bisceglie; 530 dipendenti e 631 posti letto nella struttura di Foggia; 417 dipendenti e 473 posti letto nella struttura di Potenza). A fronte di questi dati, tuttavia, nel corso degli ultimi anni si sono accumulati un debito che ammonta a oltre 400 milioni di euro – quasi totalmente nei confronti dello Stato – e perdite di esercizio nell'ordine di 30 milioni annui;
          tali preoccupanti indicatori sono il frutto di scelte gestionali che ad avviso degli interpellanti si sono caratterizzate per imperizia, opacità e incoerenza, tra cui si segnalano investimenti immobiliari intempestivi o affidamenti esterni di servizi e attività che hanno moltiplicato i costi e ridotto l'efficienza dell'organizzazione aziendale;
          confermano il precitato giudizio poco lusinghiero, le numerose inchieste avviate nei confronti dell'opera Don Uva dalla procura della Repubblica di Trani e da quella di Foggia, nonché l'istanza di fallimento proposta dalla stessa procura della Repubblica di Trani nei confronti della Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza (sulla quale, nei prossimi giorni, si pronuncerà il Tribunale di Trani);
          in tale contesto, i primi a pagare le conseguenze degli errori gestionali sono stati i dipendenti che operano presso tali strutture che già (qualche anno fa) hanno dovuto subire gli effetti della messa in cassa integrazione in deroga per 664 unità lavorative e che ora, a decorrere dal 3 ottobre 2012, hanno appreso la decisione dell'azienda di avviare una procedura di licenziamento collettivo per ulteriori 587 unità, numero che, secondo alcune anticipazioni, potrebbe addirittura essere ulteriormente incrementato;
          appare di tutta evidenza che se tali decisioni dovessero concretizzarsi, verrebbe meno gran parte della stessa capacità operativa delle strutture ospedaliere, mettendo così in crisi un intero territorio per le ricadute occupazionali che si determinerebbero e che pregiudicherebbero l'assistenza e la cura delle popolazioni dell'area, soprattutto per patologie che richiedono alta specializzazione e attrezzature dedicate quali quelle che ancora si possono rinvenire in tali ospedali;
          si tratta di una situazione di particolare difficoltà che non può certo dirsi affrontata con misure credibili e realistiche dalla dirigenza dell'Opera Don Uva, la quale ha elaborato un «cosiddetto» piano di risanamento che propone esclusivamente il taglio occupazionale di quasi un quarto della forza lavoro, di fatto determinando la compromissione della capacità operativa di intere funzioni;
          stante la rilevanza e la natura dei problemi sommariamente evidenziati, da più parti si è auspicato il ricorso all'amministrazione straordinaria prevista per le grandi imprese che, a tutt'oggi, anche a parere degli interpellanti si ritiene essere la soluzione più ragionevole e appropriata per assicurare continuità operativa e le migliori garanzie nei confronti degli assistiti, dei lavoratori e dei creditori;
          tuttavia, manifestando una volontà secondo gli interpellanti non pienamente orientata alla leale collaborazione tra tutte le parti interessate, prime fra tutte le organizzazioni sindacali e le istituzioni regionali e locali interessate, la Congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza ha preferito rivolgersi al tribunale di Trani per chiedere l'ammissione al concordato preventivo (secondo una proposta che, invero, tarderebbe ancora a maturare), assumendo esclusivamente tagli del personale;
          a tal riguardo, come più volte formalmente segnalato dalle organizzazioni sindacali, anche in questa sede si lamenta la mancata ottemperanza delle disposizioni di cui all'articolo 4, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n.  223, relative all'obbligo di fornire le più complete informazioni che possano consentire all'interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione del personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero;
          l'insieme delle richiamate scelte aziendali ha determinato un irrigidimento delle amministrazioni regionali nei confronti della dirigenza dell'istituto  –:
          quali siano      le stime del Governo circa i rischi occupazionali che si possono determinare in un'area già gravemente segnata da alti tassi di disoccupazione e le conseguenze sul diritto alla salute delle popolazioni di detti territori e sui livelli essenziali di assistenza, soprattutto per alcune patologie in cui sono specializzate le strutture dell'Opera Don Uva;
          quali iniziative urgenti si intendano assumere al fine di acquisire tutti gli elementi necessari per la gestione degli indicati esuberi occupazionali e per assicurare il pieno rispetto delle prerogative sindacali previste dalla citata legge n.  223 del 1991;
          quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di creare le condizioni per la gestione della crisi (anche a tutela dell'ingente credito dello Stato), prevedendo il pieno e fattivo coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali interessati e delle parti sociali, attraverso l'istituzione di un apposito tavolo di confronto, anche verificando la fattibilità del ricorso all'amministrazione straordinaria.
(2-01782) «Boccia, Ventura, Bellanova, Bordo, Capano, Concia, D'alema, Ginefra, Grassi, Losacco, Luongo, Margiotta, Mastromauro, Servodio, Vico».

Interrogazione a risposta immediata:


      DAMIANO, LENZI, BELLANOVA, BERRETTA, BOBBA, BOCCUZZI, CODURELLI, GATTI, GNECCHI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, MOSCA, RAMPI, SANTAGATA, SCHIRRU, MARAN, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il drammatico contesto socioeconomico che caratterizza da diversi anni il nostro Paese non mostra segnali di miglioramento; gli ultimi dati Istat, aggiornati a settembre 2012, rilevano il perdurare di una condizione di estrema difficoltà: gli occupati sono 22.937 mila, in diminuzione dello 0,2 per cento rispetto ad agosto 2012 (-57 mila unità); il tasso di occupazione è pari al 56,9 per cento e, pur stabile nei dodici mesi, registra una diminuzione di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale; il numero dei disoccupati, che riguarda prevalentemente gli uomini, è pari a 2.774 mila e aumenta del 2,3 per cento rispetto ad agosto 2012 (62 mila unità); il tasso di disoccupazione si attesta al 10,8 per cento, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto ad agosto 2012 e di 2 punti nei dodici mesi;
          la crisi economica ha fortemente indebolito il sistema produttivo italiano, reso più fragile ed esposto a una crisi di competitività che si ripercuote sui lavoratori e sul loro posto di lavoro, sempre più a rischio; per far fronte a quella che si va delineando come una vera e propria emergenza sociale occorre sfruttare tutti gli strumenti a disposizione dello Stato, al fine di attenuare gli effetti della grave recessione sulle famiglie italiane;
          il Ministro interrogato si è mostrato consapevole della drammaticità del momento e dell'urgenza di operare al fine di scongiurare un ulteriore e pericoloso deterioramento della situazione, impegnandosi a tale scopo e dichiarando – nel corso della seduta d'Aula del Senato della Repubblica del 20 settembre 2012 – che «dovrebbero essere disponibili risorse per soddisfare le richieste delle regioni in ordine agli ammortizzatori sociali sia per il 2012 che per il 2013»;
          l'intesa recentemente firmata tra Governo e regioni relativamente al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per il 2013, sembra però non corrispondere alle reali esigenze delle regioni, che ne hanno lamentato la scarsità: infatti, a fronte del miliardo e 700 milioni erogato nel 2011 e i quasi 2 miliardi del 2012, le risorse assegnate per il 2013, meno di un miliardo di euro, appaiono largamente insufficienti a coprire il fabbisogno, soprattutto in vista di un 2013 per il quale le previsioni – che stimano un'ulteriore contrazione del prodotto interno lordo dello 0,7 per cento – confermano una situazione di piena recessione del Paese;
          anche i contratti di solidarietà, prezioso strumento volto alla salvaguardia dei redditi dei lavoratori impiegati presso le imprese in difficoltà economica, necessiterebbero di un maggior impulso, in particolare mediante la proroga delle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 6, del decreto-legge n.  78 del 2009 – e successivamente prorogate fino al 2012 – relative all'aumento del trattamento di integrazione salariale per i suddetti contratti –:
          in ragione della straordinaria congiuntura negativa in cui versa il Paese e delle drammatiche condizioni che questa comporta nella vita di milioni di famiglie, quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare al fine di cercare di attenuarne la portata, mediante lo stanziamento di risorse necessarie alla copertura dell'intero fabbisogno delle regioni in materia di ammortizzatori sociali in deroga per l'anno 2013, nonché attraverso la proroga della norma concernente l'aumento del trattamento di integrazione salariale dei contratti di solidarietà.
(3-02651)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CODURELLI, CORSINI, SCHIRRU e BELLANOVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 22 del decreto-legge n.  95 del 2012 («spending review»), convertito con modificazioni dalla legge n.  165 del 2012, ha disposto l'ampliamento di 55 mila unità della platea di lavoratori salvaguardati dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico introdotto dalla riforma previdenziale attuata nel dicembre 2011 mediante l'emanazione del decreto «SalvaItalia»;
          il comma 2 del suddetto articolo prevedeva un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (15 agosto 2012), al fine di definire le modalità di attuazione della disposizione;
          nonostante le reiterate rassicurazioni provenienti da parte di autorevoli esponenti governativi, a distanza di quasi 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n.  135 del 2012 non si ha ancora alcuna notizia ufficiale relativa all’iter del decreto attuativo, dalla cui adozione dipende il futuro di 55 mila famiglie;
          nella giornata del 6 dicembre 2012, l'Ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti, in risposta alle sollecitazioni pervenute dal rappresentante di uno dei comitati degli «esodati», ha comunicato che «il decreto in oggetto, pervenuto alla Corte dei conti in data 7 novembre 2012, non è stato ancora registrato. Si è in attesa, al momento, di chiarimenti da parte del Ministero del lavoro»;
          gli interroganti, consci delle gravi ripercussioni economiche e psicologiche che il ritardo della pubblicazione del decreto attuativo comporta nelle vite di decine di migliaia di famiglie, ritengono non più procrastinabile il compimento di tale atto  –:
          sulla base della comunicazione rilasciata dall'Ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti citata in premessa, quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di fornire i chiarimenti ritenuti necessari per la registrazione e per la conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo dell'articolo 22 del decreto-legge n.  95 del 2012. (5-08623)

Interrogazione a risposta scritta:


      MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il parco divertimenti «Gardaland», gestito dalla società Gardaland Srl con sede a Castelnuovo del Garda (Verona), è tra i parchi divertimenti leader in Italia, con oltre trenta attrazioni che garantiscono un numero di visite di oltre tre milioni di utenti l'anno e dà occupazione, tenendo conto anche degli operatori stagionali, ad oltre 1.200 persone;
          organi di stampa locale in queste ultime settimane riportano la notizia secondo cui a seguito del calo di visitatori quantificato in oltre 20 per cento nell'ultimo triennio, diretta conseguenza della grave crisi economica che sta colpendo l'Italia, la società avrebbe già depositato in provincia la richiesta per avviare la procedura di mobilità per 63 dipendenti, di cui 5 quadri, 33 impiegati e 25 operai, su complessivi 237 attualmente in organico;
          la società oggi, nonostante il momento di crisi, mostra comunque un fatturato positivo, si stima nell'ordine dei 100 milioni di euro e che garantisce un utile, mentre, a soffrire risulta essere la marginalità, ridotta in modo considerevole e la cui flessione sta portando l'azienda, in vista degli obiettivi futuri, a pensare di ristrutturare la stessa attraverso, per l'appunto, ad una revisione dell'organigramma del personale  –:
          se non ritenga opportuno assumere iniziative, all'interno delle proprie competenze ed anche in ragione dell'importanza strategica del settore dei divertimenti per l'intera area del Garda, per salvaguardare i livelli occupazionali dei dipendenti oggi interessati dalla situazione sopra descritta e delle famiglie del territorio coinvolto.
(4-18981)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GRAZIANO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          Confagricoltura Campania, e le sue articolazioni territoriali maggiormente coinvolte di Caserta e Salerno, ha sempre sostenuto che la soluzione ai problemi del comparto bufalino sarebbe passata attraverso una seria tracciabilità della produzione del latte di bufala e della mozzarella prodotta;
          tuttavia, il processo di certificazione già previsto per la mozzarella di bufala campana DOP, a cui è destinato almeno un terzo del latte prodotto, ha stentato a raggiungere livelli adeguati di efficienza, manifestando anzi palesi limiti e anche gli ultimi adeguamenti non hanno sortito l'effetto desiderato;
          gli allevatori campani hanno effettuato investimenti rilevanti, modificando l'impiantistica aziendale, risanando le mandrie e migliorando complessivamente la qualità del prodotto. Ad oggi è possibile osservare come sia diffusa l'implementazione del bolo ruminale, quale sistema in grado di garantire l'identificazione univoca e permanente dei capi, come sia aggiornata la registrazione degli stessi nella anagrafe nazionale bovina e bufalina della Banca dati nazionale (BDN), come stiamo migliorando di continuo le condizioni igienico sanitarie di tutti gli allevamenti;
          a fronte di tale impegno, tuttavia, non si è registrato l'adeguamento del prezzo del latte, come più volte richiesto, mentre i costi dei mezzi tecnici hanno continuato a lievitare. Già nel 2008 era stata segnalata l'anomalia per cui la domanda di mozzarella cresceva sui mercati nazionali e internazionali e il latte nelle aree denominazione di origine protetta sembrava non interessare ai trasformatori, tanto da chiederne la riduzione di prezzo. Si osservi che dal 2008 al 2011 la produzione del latte, almeno nella provincia di Caserta, che rappresenta il 70 per cento della produzione nazionale, ha avuto un sostanziale decremento per il risanamento sanitario, senza avere per questo uguali effetti negativi sul mercato;
          le lamentele dei produttori di latte hanno portato prima alla approvazione, da parte della XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati, della Risoluzione 7/00101, il 3 febbraio 2009, poi al commissariamento del consorzio di tutela della mozzarella di bufala, quindi alla approvazione di due norme con la precisa finalità di regolamentare il mercato del latte e la produzione della mozzarella di bufala campana DOP, settori in cui si erano palesate alcune incongruenze;
          invero, l'articolo 4-quinquiesdecies del decreto-legge n.  171 del 2008, convertito con modificazioni in legge n.  205 del 2008, prevede che a decorrere dal primo gennaio 2013 la produzione della mozzarella di bufala campana DOP deve essere effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari. Tale norma è nata dalla difficoltà degli organismi di vigilanza di garantire che in un caseificio, dove è ammessa la presenza di latte di provenienza nazionale ed estera di varia natura, allo stato fresco e congelato, ma anche dei prelavorati allo stato fresco e congelato, sia lavorata correttamente, in un momento della giornata e in poche ore, mozzarella di bufala campana DOP, che richiede solo latte di bufala fresco intero nelle 60 ore dalla prima mungitura. Inoltre, l'articolo 7 della legge n.  4 del 2011 prevede che, al fine di tutelare gli interessi dei consumatori e di garantire la concorrenza e la trasparenza del mercato, gli allevatori bufalini sono obbligati ad adottare strumenti per la rilevazione, certa e verificabile, della qualità del latte prodotto giornalmente da ciascun animale, secondo le modalità disposte con decreto ministeriale, sentite le regioni interessate, e questo allo scopo di evitare che nel mercato nazionale della produzione DOP e non DOP sia introdotto in modo illegale latte estero di dubbia provenienza e salubrità;
          giova aggiungere che l'articolo 62 del decreto-legge n.  1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012, ha previsto l'obbligo della forma scritta della stipula dei contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, specie se deteriorabili, e l'indicazione per gli stessi di requisiti ed elementi informativi a pena della loro nullità;
          il combinato disposto delle norme menzionate permette di affrontare le difficoltà incontrate in questi anni dal comparto, sgombrando il campo da falsi postulati e basando i rapporti interprofessionali su trasparenza e correttezza. Ad ogni modo, per garantire una tutela e una vigilanza efficaci sul prodotto DOP, servirebbe tracciare e monitorare l'intera produzione nazionale di latte di bufala che, per la quasi totalità, è concentrata nell'area della produzione DOP. Il monitoraggio delle produzioni dovrebbe tener conto della diversità di dimensione delle aziende e del conseguente livello organizzativo che, nell'immediato, non consentirà di rispondere a quanto la normativa prevede;
          la recente bozza di decreto ministeriale, recante disposizioni per la rilevazione della produzione di latte di bufala, in attuazione del citato articolo 7 della legge n.  4 del 2011, desta preoccupazioni in merito a quanto in esso previsto. L'avvio del percorso di tracciabilità del latte di bufala, che garantisca produttori e consumatori, passerebbe attraverso un sistema macchinoso, oneroso, complicato e facilmente aggirabile ed eludibile. In particolare:
              a) la rilevazione da parte dell'allevatore, in fase di prima applicazione, in via sperimentale per un periodo di 24 mesi, della quantità giornaliera di latte prodotto per singolo animale e la sua registrazione il primo giorno di ogni mese (articolo 2, comma 4), nonché la trasmissione, a decorrere dal primo marzo 2013 (articolo 6), entro i primi 10 giorni lavorativi di ciascun mese dell'anno, dei dati così rilevati (articolo 5, comma 1), contrastano con l'attuazione di una tracciabilità completa e piena, per la quale servirebbero sin da subito l'invio giornaliero delle quantità prodotte e l'indicazione del nome dell'acquirente. In particolare, il dato giornaliero della produzione di massa della singola azienda sarebbe in grado di garantire un sistema di tracciabilità certo e preciso, il quale andrebbe invece fuori controllo se fondato su dati mensili, oggetto di possibili ed eventuali aggiustamenti;
              b) l'affidamento e la gestione del sistema ad un ente privato, con aggravio dei costi per le casse pubbliche, contrasta con ipotesi di controllo e tracciabilità affidate a strutture pubbliche che già operano in tal senso, controllando, quali referenti nazionali, l'intero patrimonio bufalino nazionale;
          sarebbe indispensabile partire quanto prima dalla rilevazione della produzione, sulla base delle informazioni in gran parte disponibili dalla registrazione delle aziende e dei relativi capi nell'anagrafe nazionale bovina e bufalina della Banca dati nazionale (BDN) del Ministero della salute e curata dall'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise «G. Caporale» a Teramo. A corredo di quanto già in possesso dal sistema, si potrebbero aggiungere, con strumenti informatizzati, le informazioni circa la curva di lattazione stimata alla luce delle medie di produzione normalmente compatibili con i metodi di alimentazione e mungitura. Alle aziende, in base al livello di informatizzazione dei dati di mungitura disponibili, spetterebbe rettificare, documentandoli, le informazioni carenti e i dati relativi alla fornitura della produzione complessiva giornaliera e all'acquirente della produzione stessa. Le informazioni incongrue con i dati di base ovvero la mancata fornitura delle stesse potrebbero dar seguito a un accertamento in loco in modo da definire il potenziale produttivo e chiarire le ragioni dell'incongruenza riscontrata;
          la tracciabilità del latte senza un controllo delle fasi di trasformazione arrecherebbe un danno agli allevatori e non sarebbe risolutiva per i problemi del comparto;
          sarebbe necessario rispettare la vigenza della disciplina della separazione dei luoghi di produzione DOP e non DOP, ai sensi del menzionato articolo 4-quinquiesdecies del decreto-legge n.  171 del 2008, senza prevedere ulteriori proroghe proprio per assicurare al comparto trasparenza e serietà;
          per quei caseifici che chiederanno la conferma della certificazione CSQA, andrebbe prevista, dal primo gennaio 2013, la prescrizione circa la provenienza esclusiva del latte acquistato da allevamenti certificati e circa l'assenza di latte di altra specie animale;
          per favorire una rapida applicazione della normativa, si potrebbe prevedere, nei primi sei mesi dall'entrata in vigore della stessa, la possibilità di smaltire eventuale latte in giacenza anche congelato per produzioni non DOP, previa certificazione della giacenza, del controllo della provenienza e della salubrità del latte;
          potrebbe prevedersi che il caseificio certificato possa produrre altri formaggi e ricotta con il latte acquistato anche non DOP, secondo le normative dei rispettivi prodotti;
          allo scopo di armonizzare domanda e offerta del comparto e applicare la normativa sui contratti di vendita dei prodotti agricoli deteriorabili, precedentemente menzionata, potrebbe prevedersi la possibilità di gestire eventuali giacenze di latte non trasformato nelle 60 ore, detenuto anche in depositi esterni al caseificio, solo per la produzione di prodotti alternativi alla mozzarella di bufala campana DOP  –:
          quali siano gli intendimenti del Ministro circa le sollecitazioni proposte al fine di consentire agli allevatori e ai trasformatori di adeguarsi in modo graduale alle prescrizioni previste e menzionate in premessa, stante il ritardo accumulato nell'emanazione (entro il 30 giugno 2009) del decreto ministeriale che avrebbe dovuto definire le modalità di attuazione della norma ex articolo 4-quinquiesdecies del decreto-legge n.  171 del 2008 citato, proprio al fine di consentire alle aziende interessate l'adeguata programmazione delle conseguenti attività;
          con quali iniziative e misure intenda garantire il rispetto, senza ulteriori proroghe, della normativa sulla separazione dei luoghi e delle strutture finalizzati alla produzione della mozzarella di bufala campana DOP;
          se non ritenga di rivedere, alla luce delle considerazioni suggerite in premessa, la bozza di decreto ministeriale sulla tracciabilità della produzione di latte di bufala nel senso auspicato di un sistema efficace di controllo e monitoraggio, così come da tempo sostenuto anche dagli operatori del settore e dal mondo agricolo. (5-08633)


      DELFINO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in merito ai dati resi noti dall'Istat, il «caro-gasolio» continua ad avere effetti pesantissimi sulle imprese agricole incidendo negativamente soprattutto sulla loro competitività;
          attualmente al gasolio utilizzato per il riscaldamento delle serre si applica la stessa accisa prevista per tutti i prodotti petroliferi destinati agli usi agricoli, pari al 22 per cento dell'accisa ordinaria, a condizione che i richiedenti siano imprenditori agricoli iscritti nel registro delle imprese;
          tale trattamento si è determinato a seguito del venir meno delle disposizioni che prevedevano l'esenzione dall'accisa per il gasolio destinato alle serre con conseguenze negative per il settore florovivaistico ed orticolo in termini di contrazioni delle esportazioni e di perdita di competitività;
          del resto, i continui aumenti dei prezzi dei carburanti continuano a colpire le imprese agricole sotto l'aspetto dei costi di produzione legati all'approvvigionamento del gasolio con aggravi insostenibili che hanno portato alla cessazione dell'attività da parte di molte aziende ovvero alla riconversione colturale;
          anche alla luce dell'impegno assunto nell'accoglimento di un ordine del giorno al decreto-legge «stabilità», risulta necessario intervenire tempestivamente con misure mirate all'azzeramento delle accise sui carburanti sia per le serre sia per tutte le altre imprese agricole, permettendo un'importante riduzione degli oneri a carico delle stesse  –:
          quali urgenti iniziative si intendano attivare al fine di garantire alle imprese agricole italiane adeguate condizioni per il miglioramento delle relative attività e del reddito. (5-08636)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      DI PIETRO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          durante un'audizione presso la XI Commissione della Camera, il Ministro interrogato ha affermato che nella pubblica amministrazione ci sono 260.000 precari più o meno così ripartiti: 130.000 nella scuola, 115.000 nella sanità e negli enti locali e 15.000 nelle amministrazioni centrali;
          rispetto agli esuberi, la quota stimata è di 7.300 eccedenze di personale, frutto dei tagli previsti dalla cosiddetta spending review (più di 4.000 già previste e 3.000 annunciate);
          il personale che risulterà in eccedenza nella pubblica amministrazione sulla base della spending review e che avrà entro il 2014 i requisiti per il pensionamento precedenti la «riforma Fornero» potrà andare in pensione con le vecchie regole. Questa possibilità varrà solo per coloro che dovessero trovarsi in esubero come strumento di gestione delle eccedenze;
          sempre secondo quanto affermato dal Ministro, il fenomeno dei precari, è «un problema che si è accumulato nel corso degli anni ed è legato anche al blocco del turn over» e dunque «non si può pensare che sia un problema risolvibile in pochi mesi» e «non si può pensare ad una stabilizzazione di massa di questo personale», anche perché «altrimenti si avrebbe un blocco delle assunzioni di giovani per molti anni»; per risolvere il problema nell'immediato il Governo dovrà «mandare a regime una norma già varata dal precedente governo, con una riserva di posti costante nei concorsi ad esame per il personale, con contratti a termine, che abbia maturato esperienza triennale nella P.A.», «la possibilità per le P.A. di rinnovare i contratti di lavoro a termine anche oltre il termine dei 36 mesi previsto, sulla base di criteri definiti in sede di accordo collettivo»; per superare le scadenze contrattuali immediate, «nelle more viene data la possibilità a rinnovare contratti in scadenza fino al 31 luglio»;
          a parere dell'interrogante una politica sbagliata, fatta da una parte di blocco delle assunzioni e dall'altra di tagli lineari, ha prodotto precariato senza diritti; ha prima creato il dramma degli esodati e poi li ha considerati un problema, lasciando 200 mila persone senza stipendio o pensione; quindi, serve un intervento urgente che dia prospettive di lavoro immediate ai precari della pubblica amministrazione in scadenza e, parallelamente, è necessaria l'adozione di scelte politiche di segno drasticamente contrario a quelle che hanno creato questa mole enorme di precariato per garantire lavoro stabile;
          si è dunque giunti a riconoscere l'esistenza di 26 mila precari nel pubblico impiego, di cui la metà nella scuola e il resto nella sanità, e a dichiarare,       contestualmente, che non è possibile stabilizzarli, dimenticando che proprio questi lavoratori tengono in piedi due pilastri essenziali del welfare come l'istruzione e l'assistenza sanitaria;
          occorre avviare un percorso di stabilizzazione per i precari cadenzato nel tempo con date certe e con le necessarie coperture finanziarie. Ormai in molti casi il precariato, per via dei passaggi di intermediazione della manodopera, costa più delle assunzioni dirette e quindi si ritiene che questa piaga vada sanata nell'interesse dei cittadini che vogliono una sanità sicura e una scuola pubblica efficiente e di alta qualità  –:
          se non intenda dare avvio al percorso descritto in premessa dall'interrogante e se non ritenga di chiarire come si intendano garantire i servizi pubblici con i 260 mila precari censiti, senza che ci siano prospettive di lavoro immediate e, in prospettiva, di lavoro stabile. (4-19005)

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


      BORGHESI e ZAZZERA. —Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 39, commi 2 e 3, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, dispone che l'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi degli artisti è libera;
          la norma aveva un duplice obiettivo: quello di chiarire che l'intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore fosse libera e quello di promuovere la nascita di nuove imprese e nuovi posti di lavoro;
          la stessa legge prevede che entro tre mesi dalla sua entrata in vigore il Presidente del Consiglio dei ministri adottasse – previo parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato – un proprio decreto con l'indicazione dei requisiti minimi necessari al corretto sviluppo del mercato degli operatori per l'intermediazione dei diritti connessi;
          ad oggi, nonostante siano abbondantemente trascorsi i termini di legge e nonostante le società di collecting abbiano più volte richiamato l'attenzione del Governo, l'anzidetto decreto non è stato ancora emanato;
          i nuovi operatori continuano a incontrare indebiti e, ad avviso degli interroganti, illegittimi ostacoli a operare, anche a causa della mancata emanazione dell'anzidetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, posto che quest'ultimo viene pretestuosamente richiesto dagli utilizzatori quale condizione necessaria alla conclusione di qualsiasi accordo;
          con tale ritardo perdura la disparità di trattamento tra gli artisti, gli interpreti, gli esecutori e i produttori; questi ultimi godono da sempre della piena libertà di rappresentanza e non soggiacciono ad alcun monopolio, né pubblico né privato;
          fin dalla pubblicazione del citato decreto-legge, il nuovo Imaie – creato ex lege per perpetuare la medesima fallimentare organizzazione di quello «vecchio» – ha messo in atto tutte le azioni possibili per ostacolare il processo di liberalizzazione sancito dal citato decreto-legge;
          è di questi giorni la pubblicazione di una lettera al Governo nella quale artisti aderenti al nuovo Imaie, alcuni dei quali hanno partecipato alla gestione del precedente istituto, prospettano che la liberalizzazione sia un danno per la categoria. La tesi è il tipico refrain di quando si interviene per rompere un monopolio inefficiente di oltre trent'anni: ovvero che ci siano i barbari alle porte;
          il 26 novembre 2012 il pubblico ministero Luca Tescaroli ha rinviato a giudizio 205 persone con le accuse di concorso in truffa, riciclaggio e falso in scrittura private ai danni del vecchio Imaie, legate alla vicenda della liquidazione. Il meccanismo era semplice: venivano creati dei «falsi artisti», che poi ricevevano soldi e finanziamenti, creando così un danno enorme nei confronti di chi doveva effettivamente percepire i diritti;
          il nuovo Imaie mantiene la stessa struttura amministrativa del precedente istituto e lo stesso, attuale presidente è stato per anni consulente legale dell'Imaie;
          il direttore generale dell'Imaie è rimasto al suo posto anche nel nuovo istituto, nonostante appaia agli interroganti di tutta evidenza che, non solo non abbia dimostrato alcuna capacità di carattere manageriale – vista la necessità dello scioglimento dell'istituto stesso per incapacità di adempiere ai propri obblighi statutari –, ma abbia anche un'evidente e grave culpa in vigilando;
          lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dà conto del fatto che sono stati sentiti il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, cosa non prevista dalla legge, mentre è stato escluso il Ministero dello sviluppo economico, vero proponente della norma di liberalizzazione e che ripetutamente aveva chiesto un concerto;
          agli interroganti risulta che nella riunione del 28 novembre 2012 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia approvato il parere sull'anzidetto schema di decreto;
          la Presidenza del Consiglio dei ministri non ha reso pubblico il suddetto parere e non è, quindi, dato di sapere agli artisti interessati quale sia il giudizio dell'autorità sui requisiti minimi previsti;
          la Commissione europea l'11 luglio 2012 ha approvato la proposta di direttiva sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi (COM 2012/372) che a tutela degli artisti prevede la libertà di scelta dei propri rappresentanti (collecting) per la raccolta e la distribuzione dei diritti d'autore e dei diritti connessi;
          risulta agli interroganti che il Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri intenda aggiungere, al già lunghissimo iter di emanazione del decreto, il coinvolgimento del comitato consultivo permanente sul diritto d'autore, che non appare rappresentativo dei soggetti direttamente interessati alla percezione dei diritti –:
          quale sia il motivo per il quale non sia reso immediatamente pubblico il parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato sul sito internet della Presidenza del Consiglio dei ministri e quali siano le ragioni per le quali il Governo non completi rapidamente la liberalizzazione del mercato dell'intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore, con l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dal comma 3 dell'articolo 39 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.  27. (3-02653)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere — premesso che:
          è stato inviato alla conferenza Stato-regioni dal Ministro della salute Renato Balduzzi, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze Vittorio Grilli, il regolamento sulla «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera»;
          il regolamento indica il metodo di calcolo per la riduzione delle unita operative complesse e la riconversione delle strutture ospedaliere secondo quanto indicato dall'articolo 15, comma 13, del decreto-legge n.  95 del 2012 sulla spending review, che dovrebbe portare ad una diminuzione dei posti letto ospedalieri in Italia di almeno 7.389 unità;
          al 10 gennaio 2012 in Italia erano presenti 231.707 posti letti (3,82 ogni mille abitanti) di cui 195.922 per acuti (3,23 ogni mille abitanti) e 35.785 per post-acuti (0,59);
          il decreto-legge n.  95 del 2012 indica come obiettivo una media complessiva di 3,7 posti letto per mille abitanti, di cui 0,7 deve essere dedicato a riabilitazione e lungo-degenti e i restanti 3 per gli acuti. Secondo i calcoli, quindi, i posti letto dovranno arrivare in totale a 224.318 unità, di cui 181.879 per acuti (-14.043) e fino a 42.438 per post-acuti (+6635);
          le regioni dovranno pertanto procedere ad una loro riorganizzazione, aumentando o diminuendo il numero dei posti letto in funzione dei nuovi parametri basandosi sulla popolazione generale di ciascuna di esse, pesata e corretta in base alta percentuale di anziani e ai flussi di mobilità ospedaliera tra regioni (il correttivo tiene conto del fatto che alcune regioni registrano una mobilità attiva, in quanto i propri ospedali attraggono pazienti residenti altrove);
          mentre il provvedimento stabilisce standard per le case di cura con le specialità di base (medicina-chirurgia generale-ortopedia-PS) e una soglia di posti letto non inferiore ad 80 per l'accreditamento, nulla viene detto circa le case di cura monospecialistiche che ovviamente hanno una dotazione di posti letto inferiore e per le quali si prevede una chiusura;
          nella provincia di Frosinone i presidi per acuti attualmente sono in funzione: ospedale di Frosinone 416 posti letto; ospedale di Sora 200 posti letto; ospedale di Cassino 299 posti letto; ospedale di Alatri 100 posti letto;
          per un totale di 915 posti letto, mentre le case di cura per acuti dispongono di 129 posti letto totali così ripartiti: Sant'Anna 32 posti letto; Villa Serena 25 posti letto; Villa Gioia 20 posti letto; Santa Teresa 20 posti letto; San Raffaele 30 posti letto;
          allo stato attuale i presidi di Anagni, Arpino, Atina, Ceccano, Ceprano, Ferentino, Isola Liri e Pontecorvo non hanno posti letto per acuti;
          di fatto tutte le case di cura monospecialistiche della provincia di Frosinone saranno costrette a chiudere dopo aver subito già nel 2008, per decisione della giunta Marrazzo, una drastica riduzione del 50 per cento dei posti letto ed in alcuni casi una costosa riconversione in monospecialistica;
          fino al 2008 nella Asl Frosinone il rapporto posti letto/acuti era inferiore al 3 per mille ma con la scelta della giunta Polverini di inserire nel piano sanitario le macroaree l'influenza ed il peso di Roma ha di fatto sfavorito la provincia ciociara;
          nel Lazio poi, la giunta Polverini ha consentito ai proprietari di più strutture di spostare tra le varie macroaree gli accreditamenti, andando ad alterare i fabbisogni territoriali senza tener conto del fattori che determinano il fabbisogno stesso;
          sarebbe opportuno considerare nel calcolo degli standard le zone di confine con le regioni limitrofe, il bacino demografico, i collegamenti viari e la facilità di accessi  –:
          se non ritenga di tener conto di quanto illustrato in premessa dando la possibilità alle case di cura monospecialistiche, che verrebbero di fatto tagliate fuori dai nuovi standard relativi all'assistenza ospedaliera, di potersi consorziare e rientrare quindi nella soglia utile per poter ottenere l'accreditamento.
(2-01779) «Anna Teresa Formisano, Galletti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la sindrome di Rett è una malattia genetica rara che colpisce quasi esclusivamente le femmine e si manifesta tra il primo e il secondo anno di vita: le bambine nascono senza evidenti situazioni di rischio, con parametri auxologici (relativi all'accrescimento) nella norma, compresa la circonferenza cranica ed usualmente senza familiarità per la malattia;
          dal punto di vista epidemiologico la prevalenza è generalmente stimata di un caso su 10.000 nate, la distribuzione della malattia è a macchia di leopardo con zone ad alta incidenza (zone Rett) di cui una identificata nella Toscana nord occidentale;
          oggi il sospetto diagnostico può essere posto già all'esordio della malattia, tra i 6 ed i 18 mesi di vita, mentre la diagnosi di certezza è effettuata tramite la genetica molecolare (vari tipi di anomalie a carico del gene MECP2: duplicazioni, delezioni, mutazioni, di norma ex novo);
          nel 10 per cento dei casi la diagnosi, in assenza di alterazioni geniche, resta esclusivamente clinica, la variabilità è molto ampia e si distinguono forme cliniche differenti: forma classica, frusta, ad esordio con convulsioni precoci o variante di Hanefeld (in cui il gene coinvolto è il CDKL5), la variante congenita o di Rolando (spesso associata ad anomalie del gene FOXG1), la variante maschile e la variante di Zappella in cui compare il linguaggio verbale;
          la presa in carico delle pazienti nella maggior parte dei casi dura tutta la vita, è molto complessa e deve tener conto di molti elementi, in particolare della prospettiva evolutiva, dell'ampia variabilità fenotipica che caratterizza la forma classica e le varianti;
          le disfunzioni specifiche della Rett si inseriscono in un organismo in via di sviluppo e ne condizionano in permanenza le potenzialità. I bisogni delle persone con sindrome di Rett, caratteristici e peculiari per ogni fase di sviluppo, si possono definire e differenziare in base a criteri cronologici (età) e qualitativi (tipologia ed entità dei sintomi);
          è ormai accertato che le persone con sindrome di Rett possono migliorare sostanzialmente la loro qualità di vita purché usufruiscano di una presa in carico continuativa e multiprofessionale ben coordinata, da un team che comprende varie figure professionali (neuropsichiatra, psicologo, terapista, educatore ed altri medici specialisti, dall'ortopedico al gastroenterologo) che cooperano con la persona affetta dalla malattia e la sua famiglia;
          per una diagnosi precoce, alla diagnosi clinica o sospetto diagnostico deve seguire l'analisi di genetica molecolare del MECP2, ed in casi selezionati del CDKL5 o del FOXG1, la diagnosi è relativamente facile nel secondo stadio, molto più complessa all'esordio della malattia e nelle forme varianti: in passato spesso, e ancora oggi, a queste bambine è stato diagnosticato l'autismo;
          la diagnosi di sindrome di Rett dovrebbe oggi essere posta sin dal suo esordio e comunque nella prima fase della regressione precoce; tuttavia, ancora di recente, tale diagnosi può essere posta per la prima volta in donne di età avanzata e ciò si spiega con il fatto che si tratta di una malattia rara e che non tutti i medici di base né gli specialisti hanno familiarità con questo disturbo;
          per la diagnosi esistono criteri internazionali di inclusione, di supporto e di esclusione; criteri anamnestici e clinici e scale di valutazione consentono di formulare la diagnosi della forma clinica e della gravità e di impostare un piano di intervento globale che coinvolga i professionisti, la scuola e la famiglia che deve essere adeguatamente supportata;
          è dunque indispensabile che il servizio sanitario nazionale sia in grado non solo di diagnosticare per tempo la sindrome, ma anche di impostare un progetto terapeutico riabilitativo che miri allo sviluppo comunicativo, relazionale e motorio nonché alla prevenzione delle complicanze;
          tale progetto non può prescindere dal sostegno alla famiglia, è necessariamente frutto di un approccio integrato multi professionale e, in età scolare, deve essere completato da un progetto di integrazione scolastica che metta a disposizione insegnanti specializzati in grado di creare in ogni scuola spazi e momenti strutturati, dove poter agire utilizzando alcune tecniche specifiche;
          in Italia, al riguardo, si è particolarmente distinta la rete regionale toscana organizzata attorno al centro di riferimento regionale (CRR) per la sindrome di Rett dell'azienda USL della Versilia e alla divisione di neuropsichiatria infantile dell'ospedale «Le Scotte» di Siena  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative per individuare risorse da destinare alla ricerca scientifica con l'obiettivo di promuovere e finanziare la ricerca genetica per arrivare quanto prima ad una cura efficace della sindrome di Rett, e sostenere gli studi farmacologici e la ricerca clinico-riabilitativa per individuare soluzioni alle numerose problematiche che la sindrome comporta;
          se si intendano sostenere i centri di riferimento specifici per la sindrome di Rett per la consulenza, la diagnosi e la cura del disturbo così come per la realizzazione di specifici programmi educativi individualizzati nell'ambito dell'integrazione scolastica, d'intesa con gli uffici scolastici regionali. (5-08625)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          presso l'Istituto superiore di sanità operano vari registri epidemiologici, tra cui il registro nazionale della procreazione medicalmente assistita;
          Cultura riproduttiva è il sito (http://culturariproduttiva.wordpress.com/il-progetto) del progetto di ricerca «Creare e comunicare cultura riproduttiva: azioni informative e preventive dell'infertilità della popolazione giovanile italiana»;
          il progetto di ricerca è promosso e realizzato dal LaRiCA – centro di ricerca afferente al dipartimento in scienze della comunicazione dell'università di Urbino Carlo Bo – con la collaborazione dell'Osservatorio sociale dell'infertilità. La ricerca è sostenuta da un finanziamento del Ministero della salute, con il coordinamento dell'Istituto superiore della sanità – Registro nazionale procreazione medicalmente assistita;
          dallo stesso sito (http://culturariproduttiva) si legge che: «Obiettivo prioritario è la delineazione di linee guida per azioni di informazione e prevenzione dell'infertilità e per la promozione della salute riproduttiva della popolazione giovanile italiana. L'obiettivo prioritario si articola in due sotto-obiettivi, rivolto a due popolazioni distinte che necessitano di essere connesse tra loro in relazioni a vissuti e informazioni; cogliere vissuti, aspettative e problemi della popolazione giovane-adulta con problemi di infertilità; indagare percezioni, atteggiamenti valoriali e comportamenti nella popolazione giovanile al fine di prevenire problemi di infertilità. Per realizzare questi obiettivi il progetto prevede le seguenti azioni di ricerca: 1) Indagine di sfondo con raccolta di dati di secondo livello e di testimonianze di esperti. 2) Indagine sui vissuti dell'infertilità in tre centri campione a livello nazionale. 3) Analisi della semantica dei media in relazione alla salute riproduttiva. 4) Osservazione di forum delle community online. 5) Indagine sulla percezione del problema dell'infertilità e sugli atteggiamenti legati alla salute riproduttiva della popolazione giovanile studentesca, attraverso focus group in tre istituti secondari superiori sul territorio nazionale. 6) Promozione di azioni informative e di prevenzione:
              a) Attivazione di un sito web per la diffusione scientifica dei risultati della ricerca, l'aggiornamento dell'avanzamento del lavoro e con annesso un blog tematico dedicato;
              b) Attivazione di un progetto sperimentale di uno spazio sulla salute riproduttiva dei giovani nei social media, i cui contenuti sono prodotti e gestiti da giovani studenti;
              c) realizzazione di un convegno finale di presentazione dei risultati della ricerca e di un incontro di informazione e sensibilizzazione con le scuole (vedi programma in progress);
              d) realizzazione di un volume presso l'editore Franco Angeli di Milano (in preparazione)  –:
          a quanto ammonti il finanziamento del Ministero della salute, con il coordinamento dell'Istituto superiore della sanità-Registro nazionale procreazione medicalmente assistita, al progetto di ricerca «Creare e comunicare cultura riproduttiva: azioni informative e preventive dell'infertilità della popolazione giovanile italiana» promosso e realizzato dal LaRiCA, centro di ricerca afferente al dipartimento in scienze della comunicazione dell'università di Urbino Carlo Bo;
          quale sia la scadenza del finanziamento e del progetto di ricerca;
          se l'Istituto superiore di sanità – registro procreazione medicalmente assistita fosse tenuto o sia tenuto a monitorare la realizzazione degli obiettivi a fronte del finanziamento concesso;
          se il progetto di ricerca finanziato sia da considerarsi concluso;
          quali e quanti siano i progetti di ricerca afferenti a dipartimenti di altre università sostenuti da finanziamento del Ministero della salute, con il coordinamento dell'Istituto superiore della sanità – registro nazionale procreazione medicalmente assistita. (5-08626)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 32 della Costituzione definisce la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. L'articolo 117, comma secondo, lettera m), attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e al comma 3, attribuisce alla competenza legislativa concorrente la tutela della salute;
          la riforma della sanità penitenziaria, approvata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel 2008, con l'obiettivo di equiparare l'esistenza sanitaria dei detenuti a quella delle persone libere, affidava alle regioni e quindi alle asl il compito di occuparsi totalmente dell'organizzazione della sanità all'interno dei penitenziari. Ciò implica non solo mantenere il presidio esistente, ma organizzare un'eventuale turnazione di medici e parasanitari, occuparsi della medicina specialistica, sia all'interno dell'ambulatorio sia in ospedale. A differenza di quanto accaduto altrove, la regione Lazio, a quanto consta agli interroganti, non ha mai attuato la riforma e ciò ha determinato che la sanità nelle carceri avesse lo stesso personale, e non presentasse nessun ammodernamento delle strutture, salvo alcune eccezioni, e nessun piano per affrontare emergenze;
          in un rapporto stilato sugli ultimi dati della situazione della salute dei reclusi di Rebibbia della associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale «Antigone», ha sottolineato che, i casi gravi sono almeno 20, ma numerose patologie comuni finiscono per cronicizzarsi, a causa della mancanza di interventi  –:
          se il Governo sia a conoscenza in generale della situazione in cui versano i detenuti con gravi bisogni sanitari;
          se non ritenga che, nell'ambito del risanamento complessivo del debito della regione Lazio e alla luce delle competenze del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non debba essere data specifica attenzione, tra gli altri, a programmazioni, progetti o investimenti in merito;
          quali interventi, per quanto di competenza, si intendano attuare in risposta ad un'emergenza organizzativa destinata a peggiorare. (5-08627)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          presso l'Istituto superiore di sanità operano vari registri epidemiologici, tra cui quelli dedicati alla sorveglianza e al monitoraggio di specifiche patologie;
          il registro nazionale delle malattie rare ha come obiettivi, come si evince dal sito http://www.iss.it, di:
              «stimare l'incidenza/prevalenza delle malattie rare sul territorio nazionale;
              ipotizzare cause e fattori di rischio associati alle malattie rare;
              rilevare i percorsi diagnostici-terapeutici dei pazienti e i tempi di latenza tra esordio della sintomatologia ed effettuazione della diagnosi;
              promuovere il confronto tra operatori sanitari per la definizione di criteri diagnostici;
          la raccomandazione 2009/C151/02 della Commissione e del Consiglio dell'Unione europea impegna gli Stati membri ad adottare un piano nazionale per le malattie rare entro il 2013;
          il 22 novembre 2012 il Ministro della salute ha inviato una lettera alle associazioni rappresentative delle persone affette da malattie rare e dei loro familiari per invitarle alla presentazione dello schema del piano nazionale malattie rare il 18 dicembre 2012 all’auditorium del Ministero della salute;
          solo successivamente il documento di piano nazionale malattie rare sarà reso disponibile nel portale del Ministero della salute;
          è stato approvato in via definitiva al Senato il disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», senza alcuna modifica rispetto al testo già approvato dalla Camera, che prevede all'articolo 5 un decreto del presidente del Consiglio, da emanare entro il 31 dicembre 2012, che aggiornerà i livelli essenziali di assistenza per le malattie croniche, per le malattie rare e la ludopatia  –:
          se vi siano ritardi in relazione all'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che aggiorna i livelli essenziali di assistenza per le malattie rare. (5-08628)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          presso l'Istituto superiore di sanità operano vari registri epidemiologici, tra cui quelli dedicati alla sorveglianza e al monitoraggio di specifiche patologie;
          come è riportato al link del sito ufficiale (http://www.iss.it) il registro nazionale e regionale del sangue e del plasma è stato istituito in Italia con decreto ministeriale del 18 giugno 1991 per la conoscenza dei dati relativi alla raccolta e distribuzione del sangue umano e al complesso delle attività svolte dai servizi e centri trasfusionali esistenti sul territorio nazionale;
          in particolare, il registro si basa su un questionario, modificato con decreto ministeriale del 5 novembre 1996 che viene compilato dal responsabile di ogni centro o sevizio trasfusionale e inviato alle regioni, le quali provvedono a trasmetterli al Ministero della salute e dell'Istituto superiore di sanità (ISS);
          l'Istituto superiore sanitario prepara un rapporto annuale per il Ministro della salute che viene pubblicato e diffuso a tutte le strutture interessate;
          a tutt'oggi sono disponibili solamente i rapporti e la tabella riepilogativa con i principali dati trasfusionali nazionali e suddivisi per aree geografiche relativi al 2006  –:
          quali siano i motivi del ritardo nella rilevazione dei dati trasfusionali nazionali e suddivisi per aree geografiche dal 2007 ad oggi;
          quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato fare per sanare questa situazione. (5-08629)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          presso l'Istituto superiore di sanità operano vari registri epidemiologici, tra cui quelli dedicati alla sorveglianza e al monitoraggio di specifiche patologie;
          sul sito (http://www.iss.it si evince che: «Il Registro Italiano ArtroProtesi (RIAP) è un progetto dell'Iss che si propone di organizzare, su scala nazionale, il registro degli interventi di sostituzione protesica articolare, uno strumento indispensabile per tenere sotto controllo costante l'uso degli impianti protesici; tutelare la sicurezza dei pazienti; interagire in ogni momento con i Registri già attivi in altri Paesi;
          il progetto Registro italiano artroprotesi (Riap) è sostenuto dal Ministero della salute in collaborazione con la Società Italiana di ortopedia e traumatologia, le Regioni, le associazioni di fabbricanti e di pazienti. (...)»;
          il ministero della Salute nell'ambito di competenza della direzione generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure, ha finanziato, a partire dal 2006, una serie di studi con l'obiettivo, tra gli altri, di eseguire un'analisi epidemiologica e una mappatura a livello nazionale degli interventi di sostituzione protesica dell'anca e del ginocchio  –:
          a quanto ammontino i finanziamenti elargiti per tale progetto dal 2006 ad oggi. (5-08630)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          presso l'Istituto superiore di sanità operano vari registri epidemiologici, tra cui il registro nazionale della malattia di Creutzfeldt-Jakob e sindromi correlate;
          visitando il sito del registro, (http://www.iss.it/rncj/index.php) si legge che: «la sorveglianza svolta dal Registro fa parte delle attività del Reparto di Clinica diagnostica e terapia delle malattie degenerative del sistema nervoso centrale.(...) La sorveglianza della malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ) e sindromi correlate ha avuto inizio in Italia nel gennaio 1993 nell'ambito di un progetto europeo teso ad identificare eventuali cambiamenti nell'incidenza e nelle manifestazioni cliniche o neuropatologiche della MCJ in Europa, in seguito all'epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (BSE) nel Regno Unito»  –:
          quale sia il numero delle segnalazioni di casi sospetti di malattia di Creutzfeldt-Jakob (MCJ) al registro nazionale della MCJ e sindromi correlate dell'Istituto superiore di sanità e quali sia il numero di decessi per MCJ e sindromi correlate con diagnosi certa o probabile in Italia nel mese di novembre 2012. (5-08631)


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il tumore al seno è una delle cause più frequenti di morte nel mondo femminile e la sua incidenza è in costante crescita; infatti, in Italia, ogni anno si ammalano più di 40.000 donne; tale incremento è dovuto anche all'allungamento dell'età media della popolazione femminile e all'aumento dei fattori di rischio; è importante sottolineare che sta cambiando anche l'età in cui la malattia si manifesta: circa il 30 per cento si ammala prima dei 50 anni, fuori quindi dall'età prevista dai programmi di screening mammografico; questo rappresenta, quindi, un ulteriore motivo per sensibilizzare tutte le donne alla cultura della prevenzione e renderle sempre più protagoniste della tutela della propria salute;
          la prevenzione rappresenta una delle armi più importanti per ridurre la mortalità legata a questa tipologia di tumore, basata essenzialmente sullo screening mammografico grazie al quale vengono salvate molte vite; a confermare questa tesi, arriva anche uno studio promosso dall'Osservatorio nazionale screening, la rete di coordinamento nazionale degli screening oncologici del Ministero della salute, attivo presso l'Ispo (Istituto studio e prevenzione oncologica) di Firenze; lo studio, realizzato con il contributo di ricercatori di nove Paesi europei, rappresenta un fondamentale contributo scientifico riguardante lo screening mammografico, che ha coinvolto non solo la stampa scientifica, ma anche l'opinione pubblica; i risultati dello studio mostrano che ogni 1.000 donne dai 50 ai 69 anni che si sottopongono al monitoraggio mammografico con cadenza biennale, circa 8 donne hanno avuto salva la vita, e che 4 casi di tumore della mammella (a fronte delle 67 donne che si ammalano di tumore mammario in assenza di screening) potrebbero essere «sovradiagnosi» (riconoscimento di tumori a bassa capacità evolutiva e quindi potenzialmente non pericolosi); i benefici osservati, in termini di vite salvate, in rapporto agli effetti collaterali (sovradiagnosi e falsi esiti positivi al test) rafforzano la necessità di continuare a promuovere i programmi di screening;
          la prevenzione si può attuare attraverso una serie di accorgimenti basati essenzialmente sull'adozione di uno stile di vita sano in modo da ridurre significativamente i fattori di rischio oggettivo, quali l'obesità, l'eccessivo consumo di alcool, una cattiva alimentazione e la protratta esposizione a radiazioni ionizzanti; in presenza di tali fattori e, comunque, di situazioni oggettive quali l'età, la familiarità con la malattia, l'esistenza di disturbi nel ciclo mestruale, diviene essenziale una efficace prevenzione secondaria basata sulla diagnosi precoce, assicurata da un monitoraggio mammografico organizzato; da ciò si evince l'importanza assunta da tale strumento, considerato sensibile ed affidabile, per identificare allo stadio iniziale tumori anche di piccolissime dimensioni che possono essere immediatamente trattati con terapie meno invasive, aumentando le probabilità di guarigione e riducendo di quasi il 50 per cento il rischio di mortalità  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative per promuovere progetti, in collaborazione anche con la Unione europea, in modo da poter offrire la migliore informazione disponibile su potenziali danni e benefici così da permettere alle donne una scelta informata e basata su solide evidenze scientifiche;
          se si intendano assumere iniziative per investire nel programma di screening mammografico affidando a strutture sanitarie ospedaliere accreditate specificamente qualificate, che da anni si occupano di dare un valido supporto a tutte le donne colpite da carcinoma mammario, idonei strumenti per poter attuare gratuitamente queste prestazioni di prevenzione secondaria alle donne interessate, ad esempio tramite l'esenzione dal ticket per tutti gli screening oncologici;
          se si intenda promuovere ulteriormente l'offerta di screening mammografico, sottolineando l'importanza dei risultati fin qui ottenuti e della valutazione epidemiologica delle attività di prevenzione che vengono realizzate, posto che in tal modo sarà possibile fornire nuovi sviluppi, ottimizzando la qualità del lavoro, con modalità innovative, ad esempio tramite l'utilizzo della mammografia digitale e l'allargamento dell'offerta dello screening alle donne dai 45 ai 49 anni. (5-08632)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MONTAGNOLI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa (siti internet di diverse agenzie di stampa e quotidiani locali) riportano la notizia secondo la quale nello scorso mese di ottobre, nell'ambito dell'attività a tutela del bilancio nazionale, i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Taranto abbiano eseguito una serie di controlli volti a verificare la regolarità della percezione della indennità di accompagnamento, disciplinata dalla legge n.  18 del 1980, in caso di ricoveri presso strutture sanitarie di riabilitazione e/o lungodegenza a totale carico dello Stato o altro ente pubblico;
          a seguito di tali controlli, su un totale di circa 30 mila posizioni analizzate, sono state individuate 650 persone che, pur essendo state ricoverate in strutture sanitarie, hanno percepito in modo indebito l'indennità di accompagnamento;
          la Guardia di finanza ha subito segnalato il tutto agli organi competenti al fine di procedere le somme indebitamente percepite dai singoli richiedenti, ed ammontanti ad oltre 1 milione di euro, denunciando altresì i responsabili all'autorità giudiziaria competente per i reati di cui agli articoli 483 (falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico) e 640-bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) del codice penale;
          nel corso degli ultimi anni, anche a causa della grave crisi economico-finanziaria, si è intervenuti con numerosi provvedimenti legislativi finalizzati a rivedere i livelli di spesa pubblica, eliminando le sacche degli sprechi in tutti i livelli della pubblica amministrazione, dagli enti locali alle aziende sanitarie  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno fornire gli appositi chiarimenti sulle modalità con le quali siano percepite indebitamente tali indennità, provvedendo altresì ad intensificare, in ragione dell'attuale importanza nell'individuare gli sprechi di denaro pubblico, i controlli su analoghe posizioni rispetto a quelle della vicenda sopra descritta. (4-18979)


      DE CAMILLIS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          alcuni comuni del Molise — San Martino in Pensilis, Portocannone, Ururi — sono legati allo svolgimento della tradizionale corsa dei carri (carresi) che si svolge in concomitanza con le feste patronali;
          le popolazioni di questi comuni sono coinvolte nell'organizzazione delle carresi, che rappresentano un pezzo di storia e sono strettamente connesse alla stessa identità storico-culturale ultracentenaria di quelle comunità;
          il 14 novembre 2012, ai sindaci di San Martino in Pensilis, Portocannone e Ururi, sono stati notificati avvisi di garanzia, a seguito dell'inchiesta aperta dalla procura di Larino, per abuso d'ufficio, per aver autorizzato lo svolgimento delle tradizionali carresi, in contrasto con una direttiva comunitaria, ripresa da un'ordinanza del Ministero della salute del 21 luglio 2011: «Disciplina di manifestazione pubbliche o private nelle quali vengono impiegati equidi, al di fuori degli impianti e dei percorsi ufficialmente autorizzati»;
          la notizia ha suscitato una reazione di forte indignazione da parte non solo delle comunità direttamente coinvolte, ma anche da parte del resto del territorio regionale, nonché della stessa diocesi di Termoli-Larino, che è intervenuta con una nota stampa, manifestando grande preoccupazione e dichiarandosi disponibile ad appoggiare ogni iniziativa che concorra alla rimozione di ostacoli affinché queste manifestazioni culturali e religiose secolari possano realizzarsi;
          le tradizionali carresi di quest'anno si sono svolte con la regolarità di tutti i pareri necessari e in stretta collaborazione con le forze dell'ordine, che in quelle giornate sono stati presenti, con l'impegno e la serietà di sempre, per consentire il regolare svolgimento delle manifestazioni;
          non può essere cancellata una ultracentenaria tradizione religiosa, radicata nella cultura contadine da sempre attenta nei confronti dell'ambiente e della salute degli animali;
          la impossibilità di continuare nel solco della tradizione la realizzazione delle carresi, significherebbe ledere la dignità di un intero  –:
          quali iniziative normative intenda intraprendere al fine di modificare l'ordinanza del 21 luglio 2011, consentendo deroghe per la realizzazione di manifestazioni di interesse culturale ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, del codice dei beni culturali. (4-18980)


      ROSATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la sclerosi multipla (SM) è una patologia cronica grave che in Italia colpisce circa 60 mila persone e circa 1,3 milioni nel mondo come stimato dal Consiglio superiore della sanità nel parere espresso nella seduta del 25 febbraio 2011;
          ad oggi il Consiglio superiore di sanità non ha manifestato, stando alla risposta che il Ministro interrogato ha dato alla precedente interrogazione parlamentare (n.  4-13821) il 1o agosto 2012, l'intenzione di rivedere quel parere sulla non correlazione tra sclerosi multipla e la insufficienza cerebro vascolare cronica (CCSVI), nonostante la Società internazionale per le malattie neurovascolari, l'anno scorso, abbia concluso il proprio convegno di Bologna riportando che «diversi gruppi di tutto il mondo hanno chiaramente dimostrato, con l'uso della venografia trans catetere, che rappresenta il gold standard, che la prevalenza della CCSVI nella SM supera il 90 per cento dei casi [...] e al contrario, la prevalenza di CCSVI nei soggetti sani è stata calcolata, in uno studio con angio-TAC, a meno dell'8 per cento dei casi»;
          il parere del Consiglio superiore di sanità è stato rilasciato prima che venissero pubblicati i risultati di questi ed altri studi sul fenomeno e pare, quindi, anacronistico rispetto all'evoluzione scientifica che si sta profilando con le ultime indagini pubblicate in ambito scientifico internazionale;
          il Consiglio superiore di sanità con un parere dell'8 giugno 2010 ha ritenuto che «ad oggi l'efficacia di qualsiasi procedura terapeutica vascolare non è sicuramente dimostrata ed è quindi da posporre all'acquisizione di dati scientifici che provino una sicura associazione tra CCSVI e SM» e con la circolare del 4 aprile 2011 si sono, di fatto, bloccati gli interventi di angioplastica sui malati di sclerosi multipla;
          gli interventi di angioplastica presentano bassi rischi anche se effettuati su pazienti affetti da sclerosi multipla e questo diverso trattamento comporta che un malato di sclerosi multipla che riscontri una stenosi emodinamicamente significativa non possa essere curato al pari di un qualsiasi altro paziente che riscontri il medesimo ostacolo al deflusso sanguigno;
          molti malati di sclerosi multipla, pur di ottenere il trattamento di angioplastica, si affidano a strutture private o straniere affrontando spese che possono essere anche dieci volte superiori a quelle del Servizio sanitario nazionale;
          la Società italiana di angioplastica e patologia vascolare (SIAPAV) ha già indirizzato una lettera al Consiglio superiore di sanità nella quale si registra che molti pazienti rifiutano la randomizzazione e preferiscono rivolgersi in strutture non validamente qualificate per ottenere il trattamento altrimenti non usufruibile;
          secondo la stessa SIAPAV «sarebbe opportuno ripristinare la posizione esplicitata nella nota del Ministro della sanità del 27 ottobre 2010 che consentiva, sotto la responsabilità del medico, di erogare le prestazioni per diagnosticare e correggere le anomalie» consentendo, quindi, il ricorso all'angioplastica anche all'interno delle strutture pubbliche  –:
          se, alla luce delle recenti evoluzioni scientifiche, il Ministro non valuti utile un nuovo pronunciamento del Consiglio superiore della sanità in merito alla correlazione tra la insufficienza cerebro vascolare cronica (CCSVI) e la sclerosi multipla (SM);
          se il Ministro non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per ripristinare la possibilità per i malati di sclerosi multipla di effettuare interventi di angioplastica all'interno delle strutture pubbliche e nell'ambito del Servizio sanitario nazionale. (4-19004)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


      MOFFA, POLIDORI, MOTTOLA, CALEARO CIMAN, CATONE, CESARIO, D'ANNA, LEHNER, MARMO, MILO, ORSINI, PIONATI, PISACANE, RAZZI, ROMANO, RUVOLO, SCILIPOTI, SILIQUINI, STASI e TADDEI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Schneider electric Italia è un'azienda che fa capo alla multinazionale francese Schneider; in Italia ha circa 3.000 dipendenti e nel mondo 150.000;
          la Schneider electric Italia è presente da oltre 30 anni a Rieti, dove si producono interruttori magnetotermici;
          lo stabilimento di Rieti è, tra quelli della Schneider electric, quello maggiormente automatizzato con standard di qualità produttivi di altissimo livello;
          lo stabilimento di Rieti consta oggi di 181 lavoratori, con altri circa 120 occupati nell'indotto; in passato lo stabilimento registrava la presenza di 300 lavoratori, che si sono ridotti al numero attuale dopo che sono state attuate, negli anni passati, varie ristrutturazioni; attualmente è in atto una procedura di cassa integrazione;
          attualmente lo stabilimento di Rieti produce interruttori C60; anche se questi sono in fine produzione in quanto sul mercato è stato introdotto un nuovo interruttore il «tim», che viene prodotto in Bulgaria e Francia;
          a detta del sindacato, si potrebbero evitare i licenziamenti se agli attuali volumi produttivi si aggiungessero altri prodotti e con questi si concordassero forme di organizzazione del lavoro;
          da oltre due anni l'azienda è sollecitata dal sindacato a darsi una nuova missione produttiva, visto che era risaputa la fine del processo produttivo degli interruttori C60, e proprio tal fine era stato aperto un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico;
          nell'ultima riunione svoltasi presso il Ministero dello sviluppo economico il responsabile a livello internazionale della Schneider, smentendo sue dichiarazioni precedenti, che prevedevano una soluzione entro il 2012, ha dichiarato la chiusura totale dello stabilimento di Rieti e il licenziamento di tutti i dipendenti;
          la chiusura dello stabilimento di Rieti rappresenterebbe un terribile colpo per il territorio e per il nucleo industriale ivi presente, già martoriato da un'acuta crisi;
          è necessario un intervento da parte del Ministro interrogato nei confronti della multinazionale Schneider per ricercare una soluzione per lo stabilimento di Rieti, tenuto conto degli interessi e della presenza di altri stabilimenti in Italia –:
          se non ritenga necessario e improcrastinabile assumere un'iniziativa nei confronti della multinazionale Schneider al fine di mettere in atto tutte le soluzioni possibili, tenuto conto anche delle proposte sindacali, allo scopo di evitare la chiusura dello stabilimento di Rieti e il licenziamento dei lavoratori dell'azienda, fatto che si ripercuoterebbe, inevitabilmente, anche sui lavoratori dell'indotto.
(3-02656)


      PAGLIA. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Oma Sud è un'azienda aeronautica di stanza a Capua, che vanta prestigiose collaborazioni con colossi del settore – come Alenia, Augusta, Boeing, Airbus – e che sta scontando in questo periodo una grave crisi di liquidità e non riesce ad avere sostegno dalle banche, nonostante l'azienda vanti dei crediti nei confronti del Ministero dello sviluppo economico per i finanziamenti previsti dalla legge n.  808 del 1985;
          la legge n.  808 del 1985 prevede finanziamenti per lo sviluppo delle collaborazioni internazionali nel settore aeronautico; i programmi vengono presentati al Ministero dello sviluppo economico e sottoposti all'approvazione di un comitato interministeriale coadiuvato da un nucleo di tre esperti cattedratici del settore aerospaziale che ne delibera l'accoglimento, decretando, a seconda dell'importanza del progetto, le modalità dell'intervento, la sua entità e la relativa durata nel tempo;
          l'azienda ha ottenuto agevolazioni per la realizzazione dei programmi Skycar, Redbird, Skycar-Xmp, Skycar-Surveyor, dichiarati dal Ministero di «interesse strategico militare»;
          la fase di particolare crisi economica in cui operano le aziende in questi anni e la concomitante perdita di commesse ha posto le officine meccaniche aerospaziali del Sud nella condizione di dover onorare solo parzialmente i contributi e le tasse spettanti alle maestranze;
          la dirigenza dell'impianto spiega che l'azienda vanta un credito di 25 milioni di euro dal Ministero dello sviluppo economico e che gli uffici hanno interpellato banche nazionali ed estere, ma nessuno vuole anticipare questa somma, e nemmeno parte di essa, a qualsiasi tasso d'interesse;
          va, inoltre, ricordato che anche le difficoltà dovute all'accesso al credito non erano ipotizzabili laddove, proprio al fine di porre in essere strumenti anticrisi, è stata raggiunta il 23 giugno 2012 una convenzione quadro tra il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Associazione bancaria italiana per agevolare il ricorso al finanziamento dei crediti vantati presso la pubblica amministrazione locale e centrale;
          rispetto alle difficoltà di reperimento dei mezzi finanziari appena descritte è il caso di ricordare che le aziende a partecipazione pubblica possono accedere, attraverso la Cassa depositi e prestiti, a finanziamenti di fatto illimitati e a condizioni economiche di gran lunga inferiori a quelle che gravano sulle piccole e medie imprese;
          l'interrogante ha già portato all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico la vicenda della Oma Sud attraverso una lettera alla quale il Ministro interrogato ha risposto in data 26 settembre 2012, precisando che, ai fini della liquidazione delle quote di finanziamento ottenute, l'impresa era tenuta a presentare agli uffici del Ministero dello sviluppo economico i consuntivi relativi ai progetti Redbird, SkycarT210-Xmp e Surveyor, già approvati dal comitato per lo sviluppo dell'industria aeronautica come da iter descritto;
          la Oma Sud, in realtà, aveva già provveduto a tale adempimento, trasmettendo, in data 10 settembre 2012, il consuntivo dei costi di programma sostenuti nell'anno 2011 relativi alle fasi di definizione, sviluppo, industrializzazione e realizzazione dei prototipi, per un ammontare complessivo di circa 11 milioni di euro;
          è opportuno precisare che la complessiva situazione generatasi a danno dell'azienda era imprevedibile, viste le disposizioni ministeriali rinvenibili nella circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n.  27-Ragioneria generale dello Stato del 23 settembre 2012, in cui si legge: «nonché la considerazione che l'incentivazione stessa risulta direttamente preordinata e finalizzata al raggiungimento degli obiettivi ritenuti prioritari per il benessere della collettività» e ancora prosegue «l'interesse pubblico sotteso all'erogazione delle provvidenze economiche sia preminente rispetto alla procedura di verifica delineata dal decreto ministeriale n.  40 del 2008, per cui non ricorre l'obbligo di espletarla»;
          con riferimento poi alle recenti richieste del Ministero dello sviluppo economico datate 19 novembre 2012, riguardanti ulteriori chiarimenti su fatture riferibili ai programmi Redbird, SkycarT210-Xmp e Surveyor e, peraltro, avanzate oltre il termine di 30 giorni previsto, si precisa che l'azienda rinuncia alle stesse fatture ed agli importi dalle stesse partiti, essendo impossibilitata, come già a conoscenza del Ministero, ad accedere alla documentazione a causa dell'occupazione della fabbrica;
          nonostante, quindi, la posizione regolare di Oma Sud rispetto al Ministero, ad oggi è confermata la mancata liquidazione dei finanziamenti dovuti, messa a forte rischio, inoltre, dall'incombente chiusura delle contabilità dell'esercizio finanziario 2012;
          da alcuni giorni, i 150 lavoratori dell’Oma Sud, che da cinque mesi non percepiscono lo stipendio, hanno proclamato lo stato di agitazione, con conseguente stop della produzione e con rilevanti problemi di ordine pubblico;
          per sbloccare la vertenza Oma Sud, la Confindustria Caserta ha chiesto l'intervento urgente del prefetto per ottenere la convocazione di un incontro urgente con le organizzazioni sindacali di categoria (Fim, Fiom, Uilm, Ugl metalmeccanici) e le confederazioni provinciali (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), al fine di consentire l'immediato ripristino della normale attività, sottolineando che il protrarsi della situazione comprometterà definitivamente le attività programmate per le prossime settimane, le commesse in corso, nonché i futuri rapporti e contratti con i clienti –:
          quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di sbloccare tempestivamente le procedure di liquidazione delle somme in questione indispensabili alla regolarizzazione della condizione economica di un'azienda strategica in evidente sofferenza. (3-02657)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

      La risoluzione in commissione Frassinetti n.  7-01058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 dicembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: La Loggia, Frattini, Brugger, Zeller.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Dima n.  4-01182, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 settembre 2008, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Traversa, Golfo, Antonino Foti, Galati.

      L'interrogazione a risposta scritta Dima e Carlucci n.  4-04171, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Traversa, Golfo, Antonino Foti, Galati.

      L'interrogazione a risposta scritta Dima n.  4-17038, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Traversa, Golfo, Galati, Antonino Foti.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17196, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17200, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17202, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17204, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17208, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17293, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17294, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17296, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17297, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17298, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17301, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17302, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17303, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17305, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 agosto 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17424, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17425, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17426, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17427, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17430, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n.  4-17431, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 settembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Maurizio Turco, Zamparutti, Farina Coscioni.

      L'interrogazione a risposta scritta D'Incecco n.  4-18883, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Margiotta.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Toto n.  5-07604 del 6 agosto 2012;
          interpellanza urgente Garavini n.  2-01738 del 13 novembre 2012;
          interrogazione a risposta in Commissione Moffa n.  5-08466 del 20 novembre 2012;
          interpellanza Anna Teresa Formisano n.  2-01765 del 3 dicembre 2012;
          interpellanza urgente Barbaro n.  2-01769 del 4 dicembre 2012;
          interrogazione a risposta scritta Miotto n.  4-18949 del 6 dicembre 2012.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Toto n.  4-17750 del 20 settembre 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-08637.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BARBATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a Quarto (Napoli), Massimo Carandente Giarrusso esponente del Popolo della Libertà, eletto sindaco il 16 maggio 2011, sostenuto dalle liste Pdl, Udc, Verdi, Noi Sud, Campania Idea Mediterranea, si è dimesso il 10 luglio 2012 a seguito di perquisizioni che hanno interessato gli uffici comunali e la casa del primo cittadino nell'ambito di un'inchiesta su presunte collusioni tra il clan Polverino e ambienti politici locali;
          «per collusioni con la camorra e proprio con il clan Polverino furono arrestati il coordinatore cittadino e capolista del Pdl, Armando Chiaro ed un candidato della lista “Noi Sud”, Salvatore Camerlingo, che appoggiava la coalizione di centrodestra»; «Nell'ambito dell'indagine condotta dalla Dda di Napoli risultano indagate quattro persone» tra queste «il dirigente dell'Ufficio tecnico, Giulio Cecere» («Il Mattino» – 10 luglio 2012);
          il 26 marzo 2012 su larepubblica.it è stato pubblicato un articolo dal titolo: «“A Quarto 50 euro per un voto” il pm manda gli atti in prefettura» secondo il quale: «La Procura si prepara a inviare in prefettura i verbali di Roberto Perrone, il pentito che ha disegnato la trama delle collusioni del clan camorristico Polverino nella vita politica e amministrativa di Quarto. Un altro comune amministrato dal centrodestra finisce dunque sotto tiro dieci mesi dopo il blitz che, alla vigilia delle elezioni del maggio 2011, portò in cella il capolista del Pdl Armando Chiaro, ora imputato insieme ad altre 140 persone. In carcere, coinvolto nell'indagine dei carabinieri coordinata dai pm Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio, si trova anche Nicola Imbriani, imprenditore definito da Perrone il tramite dell'organizzazione con la politica e ispiratore della lista Noi Sud che aveva sostenuto il candidato sindaco, poi eletto, Massimo Carandente Giarrusso»;
          il 29 marzo 2012 si legge che: «A un anno dal maxi-blitz e dai sequestri miliardari dell'operazione Polvere per 140 presunti affiliati al clan Polverino si avvicina il processo. Si è conclusa con 90 rinvii a giudizio e 50 richieste di giudizio abbreviato l'udienza preliminare nei confronti delle persone finite nella rete gettata da carabinieri e pm contro il clan camorristico di Marano. Tra quanti hanno scelto il rito abbreviato figurano i candidati del centrodestra Armando Chiaro e Salvatore Camerlingo, che finirono in manette nel pieno della campagna elettorale per le amministrative di Quarto. L'arresto dei due politici nel maggio dello scorso anno suscitò grande clamore: il Pdl locale venne di fatto commissariato, con la nomina del senatore Carlo Sarro a garante per la legalità del circolo cittadino (www.napolicentro.eu)»;
          il 16 luglio 2012 un teschio di legno è stato trovato dinanzi alla porta dell'ufficio tecnico del comune di Quarto;    
          il pezzo di legno si trovava era all'interno di una busta nella quale c'erano anche i numeri di utenza telefonica di due magistrati della direzione distrettuale antimafia;
          i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante talmente gravi da richiedere un intervento immediato sull'amministrazione comunale di Quarto (Napoli), posto che sono in corso da parte della direzione distrettuale antimafia di Napoli le indagini sul rilascio delle licenze edilizie nello stesso comune  –:
          quali siano i motivi per cui non si è proceduto già nei mesi precedenti ad avviare le procedure di scioglimento del consiglio comunale. (4-17287)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesto al Ministero dell'interno quali misure necessarie intenda assumere nei confronti dell'amministrazione comunale di Quarto.
      Preliminarmente, assicuro che questo Ministero segue con grande attenzione le vicende che investono l'amministrazione comunale di Quarto che sono state oggetto di approfondimento in diverse riunioni tecniche di coordinamento interforze presso la prefettura di Napoli.
      Come ricordato dall'interrogante, il 9 luglio 2012, il nucleo investigativo del comando provinciale dei Carabinieri di Napoli ha dato esecuzione a un decreto di perquisizione nei confronti di venti persone e contestualmente ha notificato 4 informazioni di garanzia, emessi dalla direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Napoli, nei confronti di affiliati e fiancheggiatori del clan «Polverino», ritenuti responsabili di concorso esterno in associazione mafiosa, abuso d'ufficio, corruzione e falsità in atti pubblici con l'aggravante del metodo mafioso.
      Tali perquisizioni hanno riguardato la casa comunale e le abitazioni private di alcuni amministratori, tra cui anche quella del sindaco.
      Nella riunione tecnica di coordinamento interforze del 17 luglio 2012 si è convenuto, sulla sussistenza di elementi sufficienti per chiedere l'esercizio dei poteri d'accesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 4 del decreto-legge n.  629 del 1982 presso il comune di Quarto.
      Il 31 luglio 2012 è stata nominata, quindi, una Commissione d'indagine per una verifica della sussistenza di eventuali fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata nell'ambito di quell'Amministrazione.
I lavori della commissione sono tuttora in corso.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sul quotidiano La Repubblica del 27 maggio 2010 è apparso un articolo intitolato: «Rivolta nel Cie di Bari; senegalese in fin di vita dopo gli scontri con la polizia»;
          l'articolo dà conto dell'ennesimo tentativo di rivolta scoppiato alle dieci di martedì sera nel Cie di Restinco;
          nei disordini un cittadino senegalese è rimasto in fin di vita a causa degli scontri con le forze dell'ordine, mentre altri nove clandestini sono rimasti feriti e cinque poliziotti hanno riportato ecchimosi e lesioni;
          inoltre sarebbero dieci gli extracomunitari che secondo la questura sarebbero riusciti a scappare;
          il Cie di Restinco è un ex campo profughi istriani ed ex deposito misto dell'Esercito, trasformato prima in centro di permanenza temporanea, poi in centro di prima accoglienza ed infine in centro per richiedenti asilo ma in parte anche in Cie;
          è il terzo tentativo di rivolta esploso a Restinco negli ultimi tre mesi  –:
          quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato in riferimento alle rivolte, alle proteste e ai disordini scoppiati in questi ultimi mesi nel Centro di identificazione ed espulsione di Bari. (4-07421)

      Risposta. — Nella serata del 24 maggio 2010, i trattenuti nel Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Restinco-Brindisi, inscenavano una rivolta con lancio di sassi e oggetti vari con l'intento evidente di favorire la fuga di un gruppo di loro che nel frattempo tentavano di arrampicarsi sul muro di cinta, alto sette metri, con mezzi di fortuna.
      In particolare i rivoltosi ponendo in essere atti di devastazione all'interno e all'esterno mediante l'utilizzo di sbarre di ferro, riuscivano a sfondare il cancello scorrevole che delimita l'area del Cie e a raggiungere l'area di contenimento e, da qui, il muro di recinzione dell'attiguo Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), attraverso il quale alcuni di essi riuscivano a fuggire.
      I disordini venivano sedati e l'ordine ristabilito grazie all'intervento sul posto, in ausilio dell'ordinario dispositivo di vigilanza, di altro personale della locale Questura e dei locali Comandi dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, nonché di un contingente di 10 unità del Reparto mobile di Reggio Calabria che erano già nella zona di Brindisi per altre esigenze di servizio.
      Successivamente veniva accertato che il tentativo di fuga era riuscito per 6 trattenuti tunisini, un marocchino, un algerino ed un palestinese.
      Nel corso della rivolta cinque dei militari intervenuti riportavano lesioni giudicate guaribili in pochi giorni. Due trattenuti rimanevano leggermente feriti e, prontamente accompagnati presso il locale ospedale, venivano giudicati guaribili in 10 e 15 giorni e subito dopo dimessi.
      Uno di essi veniva denunciato in stato di libertà all'autorità giudiziaria competente per resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e danneggiamento aggravato.
      Alla luce di quanto sopra esposto, è del tutto destituita di fondamento la notizia secondo la quale un cittadino senegalese sarebbe stato ricoverato «in fin di vita»; al contrario si può affermare che le Forze di polizia intervenute in quel contesto hanno agito, in quell'occasione e anche nei giorni successivi, per sedare ulteriori disordini, con grande professionalità e senso della misura, ripristinando l'ordine senza che alcuno patisse conseguenze sul piano dell'incolumità personale.
      Nel corso dei 2011 il centro è stato oggetto di frequenti disordini, e tentativi di fuga, che hanno provocato ingenti danni, per i quali sono stati necessari immediati ed onerosi interventi di ripristino.
      In tale contesto, per far fronte in modo più efficace alle esigenze logistiche e alle criticità strutturali del centro, di recente sono iniziati importanti lavori di ristrutturazione, previa temporanea chiusura della struttura che risulta vuota dal 29 maggio 2012.
      I lavori consentiranno di poter disporre di un centro completamente riammodernato, presumibilmente entro l'inizio del 2013.
      La condizione di vivibilità in tali strutture costituisce un aspetto al quale viene dedicata una particolare considerazione da parte del Ministero dell'interno. Gli standard dei servizi qualitativi da erogare devono, infatti, corrispondere a un capitolato unico d'appalto e tendere a garantire, secondo il principio di eguaglianza, l'assoluto rispetto delle diverse appartenenze culturali, etniche e linguistiche, e delle credenze religiose.
      Inoltre, per salvaguardare i livelli essenziali delle prestazioni e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri, le prefetture svolgono una costante attività di monitoraggio e controllo sulla corretta gestione dei centri e sulla conformità dei servizi offerti dall'ente gestore ai parametri prescritti.
      Il progetto Praesidium, attuato in collaborazione con le principali organizzazioni internazionali che si occupano dei problemi dell'immigrazione, consente di svolgere attività di supporto agli ospiti dei centri e di monitorare le condizioni di accoglienza.
      La gestione dei centri continuerà ad essere seguita con la massima attenzione, affinché sia garantita una dignitosa permanenza nelle strutture, nel rispetto delle condizioni di particolare fragilità in cui si trovano gli stranieri ospitati.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      BOSSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere — premesso che:
          il 3 maggio 2011, a seguito di un'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli ci sono stati 39 arresti per droga e racket di appalti; gli arrestati risulterebbero tutti affiliati al clan Polverino, potente organizzazione criminale radicata a nord di Napoli;
          a compiere gli arresti sono stati i carabinieri del comando provinciale del colonnello Mario Cinque a seguito della misura cautelare emessa dal Gip Paola Scandone, anche sulla base delle dichiarazioni dei due pentiti, Domenico Verde e Salvatore Izzo, e relativa al giro di affari del clan Polverino nell'area flegrea su rifiuti, droga, racket di appalti e voto di scambio;
          tra gli arrestati due candidati al comune di Quarto, Armando Chiaro, consigliere comunale uscente, capogruppo del Pdl, ora candidato capolista per il Pdl, e Salvatore Camerlingo, iscritto al Pdl, nella lista «Noi Sud»;
          Armando Chiaro, imprenditore caseario, è stato eletto consigliere comunale già nel 2007 nella lista dell'allora Forza Italia, e da quanto si apprende da notizie di stampa, in quell'occasione, il suo nome era comparso in un'altra indagine per voto di scambio;
          dalla stampa e dalle dichiarazioni rese da due pentiti, risulterebbe che l'imprenditore Chiaro sia coinvolto anche in una «trattativa» con Giuseppe Polverino, latitante a Barcellona, concernente la gestione dei rifiuti di una discarica (sequestrata) di Quarto;
          emergerebbero, inoltre, il ruolo di tramite di Camerlingo, candidato al consiglio comunale con la lista «Noi Sud» e cugino diretto di Salvatore Liccardi, presunto braccio destro di Giuseppe Polverino, per decine di affiliati al clan dei Polverino, e la sua disponibilità ad utilizzare il «telefono rosso», l'unica linea usata dal latitante Giuseppe Polverino per comunicare con i suoi  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
          quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di impedire che la campagna elettorale per le amministrative si svolga in un clima di sospetti e collusioni;
          se intenda fornire elementi sulla grave emergenza criminalità che colpisce importanti istituzioni nella provincia di Napoli e in Campania;
          se non ritenga opportuno assumere tempestivamente iniziative normative al fine di evitare le candidature di persone legate alla criminalità organizzata e indagate per voto di scambio. (4-11869)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesto al Ministero dell'interno quali azioni siano state poste in essere per evitare possibili condizionamenti da parte della criminalità organizzata al libero esercizio del voto nelle scorse consultazioni elettorali del 15 e 16 maggio 2011, nella provincia di Napoli.
      Preliminarmente, assicuro che questo Ministero, per il tramite della prefettura di Napoli, segue con grande attenzione le citate vicende, e che la problematica è stata oggetto di specifico approfondimento in occasione di appositi comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica.
      In particolare nel corso dei vari comitati è stato deciso di intensificare le attività di monitoraggio ed info-investigative da parte delle forze dell'ordine in modo da prevenire il verificarsi di qualsiasi situazione che potesse incidere nella libera espressione del voto.
      Nei comuni della provincia di Napoli, interessati alla tornata elettorale per l'elezione del sindaco ed il rinnovo del consiglio comunale, sono stati disposti mirati servizi volti sia alla prevenzione che alla repressione di eventuali turbative.
      Nell'ambito delle attività preparatorie connesse alle citate consultazioni amministrative, la prefettura di Napoli ha disposto un controllo circa l'insussistenza in capo ai candidati, ammessi alle elezioni amministrative, delle cause ostative di cui all'articolo 58 Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, per garantire che le operazioni elettorali si svolgessero in un clima di massima trasparenza, scevro da qualsiasi forma di condizionamento o di inquinamento.
      Gli accertamenti, affidati alle Forze dell'ordine hanno portato alla cancellazione dalle liste di 5 candidati consiglieri per il comune capoluogo per i quali erano emersi elementi di controindicazione.
      La stessa prefettura ha impartito disposizioni, volte a richiamare l'attenzione di amministratori e presidenti di seggio sul rigoroso rispetto della normativa vigente in materia elettorale, in particolare sono state invitate le amministrazioni comunali al rispetto delle disposizioni relative alle modalità di aggiornamento e sostituzione della tessera elettorale.
      Inoltre, per evitare una possibile duplicazione del voto da parte dei rappresentanti di lista sono state diramate apposite disposizioni ai presidenti di seggio.
      Anche le vicende che investono l'amministrazione comunale di Quarto, seguite con grande attenzione da questo Ministero, sono state oggetto di approfondimento in diverse riunioni tecniche di coordinamento interforze presso la prefettura di Napoli.
      Il 9 luglio 2012, il nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Napoli ha dato esecuzione a un decreto di perquisizione nei confronti di venti persone e contestualmente ha notificato 4 informazioni di garanzia, emessi dalla Direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Napoli, nei confronti di affiliati e fiancheggiatori dei clan «Polverino», ritenuti responsabili di concorso esterno in associazione mafiosa, abuso d'ufficio, corruzione e falsità in atti pubblici con l'aggravante dei metodo mafioso.
      Tali perquisizioni hanno riguardato la casa comunale e le abitazioni private di alcuni amministratori, tra cui anche quella del sindaco.
      Nella riunione tecnica di coordinamento interforze del 17 luglio 2012 si è convenuto, sulla sussistenza di elementi sufficienti per chiedere l'esercizio dei poteri d'accesso ai sensi dell'articolo 1, comma 4 del decreto-legge n.  629 del 1982 presso il comune di Quarto.
      Il 31 luglio 2012 è stata nominata, quindi, una Commissione d'indagine per una verifica della sussistenza di eventuali fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata nell'ambito di quell'amministrazione.
      I lavori della Commissione sono tuttora in corso.
      Pochi giorni prima, il 10 luglio 2012, il sindaco del comune di Quarto aveva rassegnato le dimissioni dalla carica che hanno provocato lo scioglimento del consiglio comunale e la nomina del commissario straordinario.
      Per quanto attiene alla vicenda del neoeletto consigliere comunale sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, si osserva che il prefetto di Napoli, con decreto del 27 giugno 2011, aveva accertato la sussistenza della causa di sospensione di diritto alla carica.
      Il consiglio comunale di Quarto, nel prendere atto del provvedimento del prefetto, aveva provveduto alla surroga con il primo dei non eletti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      BOSSA, PICCOLO e ANDREA ORLANDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 3 maggio del 2011, a pochi giorni dalle amministrative per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di Quarto flegreo, in provincia di Napoli, una operazione anticamorra ha portato all'arresto di 39 persone e al sequestro di beni per oltre un miliardo di euro ai danni del clan Polverino;
          tra gli arrestati durante quel blitz figurava anche Armando Chiaro, capolista del Popolo della libertà alle elezioni e, nonostante l'arresto, eletto in consiglio comunale con ben 385 preferenze; successivamente, Chiaro è stato sospeso dal prefetto;
          tra gli arrestati anche un altro candidato al consiglio comunale. Salvatore Camerlingo, in lizza con «Noi Sud» con il centrodestra, ma non eletto;
          gli atti di quell'indagine portarono alla luce un complesso intreccio tra affari, imprese e criminalità organizzata, con un ruolo chiave per il sopra menzionato Chiaro, che appariva come il tratto di unione tra i vari interessi speculativi sul territorio e la casa comunale;
          il 23 dicembre 2011, le forze dell'ordine hanno portato a termine un nuovo sequestro di beni, riconducibili al clan camorristico dei Polverino, nelle zone di Quarto, Marano, Forio d'Ischia e Fuorigrotta, per un valore di oltre 27 milioni di euro;
          secondo notizie di stampa, il sequestro a carico di 27 soggetti presunti affiliati al clan Polverino con la materiale disponibilità di numerosi beni mobili e immobili, sarebbe avvenuto grazie anche alle determinanti rivelazioni di Roberto Perrone, un collaboratore di giustizia, che prima del suo pentimento controllava parte degli affari dei Polverino relativi a investimenti nel settore edile;
          sempre secondo la stampa quotidiana, Roberto Perrone, in un recentissimo interrogatorio, avrebbe fatto il nome di un attuale consigliere comunale, con il quale in passato avrebbe fatto investimenti immobiliari per i clan dei Polverino e la cui identità non sarebbe stata resa nota perché secretata dai magistrati della Direzione investigativa antimafia;
          da recenti notizie di stampa, pubblicate nei giorni scorsi, risulterebbe, altresì, il coinvolgimento nella vicenda anche di esponenti politici di rilievo provinciale e regionale;
          la maxi inchiesta condotta dai magistrati della Direzione investigativa antimafia e dai carabinieri del nucleo investigativo di Napoli ha svelato la potente e ramificata organizzazione del clan camorristico dei Polverino, capace di estendere le sue attività dall'importazione di droga, all'imprenditoria edile, al comparto alimentare fino agli investimenti nel settore turistico ed alberghiero sviluppato soprattutto in Spagna;
          pochi giorni fa, in Veneto, nel Padovano, è stato arrestato Nicola Imbriani, 56 anni, originario di Quarto, ritenuto il braccio destro del boss Giuseppe Polverino; si nascondeva in un appartamento di Brugine, in provincia di Padova. Era con il suo autista-guardaspalle, Giorgio Cecere, 36 anni, con precedenti penali, e con Salvatore Sciccone, 51 anni, residente a Brugine ma originario di Mugnano (Napoli); Imbriani era una figura di spicco, aveva il compito, secondo gli inquirenti, di reinvestire i soldi del clan nel settore dell'edilizia privata ed era il referente di fatto della lista Noi Sud entrata nella coalizione a sostegno del candidato sindaco Massimo Carandente Giarrusso;
          uno degli arrestati con Imbriani, Giorgio Cecere, è stato candidato alle ultime elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Quarto per la lista Noi Sud;
          secondo notizie di stampa, dopo l'arresto dell'imprenditore Nicola Imbriani, nell'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli ci sarebbe anche una informativa dei carabinieri di Napoli in cui si fa riferimento ad un consigliere comunale di Quarto attualmente in carica che era «intento a dialogare amichevolmente con il boss Roberto Perrone», prima che questi finisse in cella a maggio; strettissimo riserbo viene mantenuto sull'identità del politico  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti; se non ritenga che il quadro delineato sia tale da far temere una pesante infiltrazione della camorra nella vita sociale, economica e politica della città di Quarto flegreo, e quali iniziative intenda assumere per verificare se l'amministrazione comunale di Quarto sia a rischio di collusioni con la malavita organizzata e se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, disporre l'accesso agli atti al fine di tale verifica. (4-14758)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesto al Ministero dell'interno quali azioni siano state poste in essere per evitare possibili condizionamenti da parte della criminalità organizzata al libero esercizio del voto nelle scorse consultazioni elettorali dei 15 e 16 maggio 2011, nella provincia di Napoli.
      Inoltre, si chiede quali misure necessarie il Ministero dell'interno intende assumere nei confronti dell'amministrazione comunale di Quarto, sempre nella citata Provincia.
      Preliminarmente, assicuro che questo Ministero, per il tramite della prefettura di Napoli, segue con grande attenzione le citate vicende, e che la problematica è stata oggetto di specifico approfondimento in occasione di appositi comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica.
      In particolare nel corso dei vari comitati è stato deciso di intensificare le attività di monitoraggio ed info-investigative da parte delle forze dell'ordine in modo da prevenire il verificarsi di qualsiasi situazione che potesse incidere nella libera espressione del voto.
      Nei comuni della provincia di Napoli, interessati alla tornata elettorale per l'elezione del sindaco ed il rinnovo dei consiglio comunale, sono stati disposti mirati servizi volti sia alla prevenzione che alla repressione di eventuali turbative.
      Nell'ambito delle attività preparatorie connesse alle citate consultazioni amministrative, la prefettura di Napoli ha disposto un controllo circa l'insussistenza in capo ai candidati, ammessi alle elezioni amministrative, delle cause ostative di cui all'articolo 58 Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, per garantire che le operazioni elettorali si svolgessero in un clima di massima trasparenza, scevro da qualsiasi forma di condizionamento o di inquinamento.
      Gli accertamenti, affidati alle forze dell'ordine hanno portato alla cancellazione dalle liste di 5 candidati consiglieri per il comune capoluogo per i quali erano emersi elementi di controindicazione.
      La stessa prefettura ha impartito disposizioni, volte a richiamare l'attenzione di amministratori e presidenti di seggio sul rigoroso rispetto della normativa vigente in materia elettorale, in particolare sono state invitate le amministrazioni comunali al rispetto delle disposizioni relative alle modalità di aggiornamento e sostituzione della tessera elettorale.
      Inoltre, per evitare una possibile duplicazione del voto da parte dei rappresentanti di lista sono state diramate apposite disposizioni ai presidenti di seggio.
      Anche le vicende che investono l'amministrazione comunale di Quarto, seguite con grande attenzione da questo Ministero, sono state oggetto di approfondimento in diverse riunioni tecniche di coordinamento interforze presso la prefettura di Napoli.
      Il 9 luglio 2012, il nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Napoli ha dato esecuzione a un decreto di perquisizione nei confronti di venti persone e contestualmente ha notificato 4 informazioni di garanzia, emessi dalla direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Napoli, nei confronti di affiliati e fiancheggiatori del clan «Polverino», ritenuti responsabili di concorso esterno in associazione mafiosa, abuso d'ufficio, corruzione e falsità in atti pubblici con l'aggravante del metodo mafioso.
      Tali perquisizioni hanno riguardato la casa comunale e le abitazioni private di alcuni amministratori, tra cui anche quella del sindaco.
      Nella riunione tecnica di coordinamento interforze del 17 luglio 2012 si è convenuto, sulla sussistenza di elementi sufficienti per chiedere l'esercizio dei poteri d'accesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 4 del decreto-legge n.  629 del 1982 presso il comune di Quarto.
      Il 31 luglio 2012 è stata nominata, quindi, una commissione d'indagine per una verifica della sussistenza di eventuali fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata nell'ambito di quell'amministrazione.
      I lavori della commissione sono tuttora in corso.
      Pochi giorni prima, il 10 luglio 2012, il sindaco del comune di Quarto aveva rassegnato le dimissioni dalla carica che hanno provocato lo scioglimento del consiglio comunale e la nomina dei commissario straordinario.
      Per quanto attiene alla vicenda del neoeletto consigliere comunale sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, si osserva che il prefetto di Napoli, con decreto del 27 giugno 2011, aveva accertato la sussistenza della causa di sospensione di diritto alla carica.
      Il consiglio comunale di Quarto, nel prendere atto del provvedimento dei prefetto, aveva provveduto alla surroga con il primo dei non eletti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      CIMADORO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo l'articolo 39 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne;
          in materia di detenzione delle armi, la disciplina dettata dall'articolo 39 è diretta al presidio dell'ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione del danno che possa derivare a terzi dall'indebito uso e dall'inosservanza degli obblighi di custodia, nonché dalla commissione di reati che possano essere agevolati dall'utilizzo del mezzo di offesa;
          qualora a carico del detentore emergano un insieme di elementi che, valutati globalmente, integrano il venir meno del necessario affidamento per continuare a detenerle, ciò determina la legittimità del provvedimento di divieto di detenzione;
          stando a quanto stabilito dalla legge, dunque, nonostante il decreto legislativo n.  204 del 2011 abbia recentissimamente apportato rilevanti modifiche alle norme in materia di armi, l'unico titolare del divieto di detenzione di armi è, come si è già detto, il prefetto;
          la giurisprudenza ha costantemente affermato che la misura si ricollega ad un giudizio ampiamente discrezionale in ordine alla capacità personale di abuso da parte dei soggetti detentori, e trova giustificazione tutte le volte che, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, non vi è la certezza della completa affidabilità del soggetto (Tar Campania, Napoli, sez. III, 21 febbraio 2002, n.  1066; Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 11 ottobre 1999, n.  429);
          tuttavia la decisione del prefetto deve essere supportata da adeguata istruttoria a volte con comunicazione di avvio del procedimento, il che fa spesso sorgere la necessità di adottare soluzioni temporanee;
          secondo la giurisprudenza (Tar Puglia sent. n.  5361/04, TAR Lombardia, sent. 1250/2008) il pericolo di abuso delle armi richiede un adeguata valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio necessariamente prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità;
          secondo la giurisprudenza, dunque, la mera denuncia all'autorità giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare la revoca ovvero il diniego del porto d'armi;
          dette cautele, peraltro, sono ancor più necessarie quando l'interessato esercita determinati tipi di professione, come ad esempio la guardia giurata  –:
          se e quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa, al fine di evitare che una semplice denuncia presentata all'autorità giudiziaria possa determinare automaticamente l'adozione di un provvedimento cosiddetto «di ritiro cautelare» di un'arma, specie nelle ipotesi in cui non ricorrano motivazioni tali da giustificare detto ritiro e qualora il detentore dell'arma eserciti un tipo di attività professionale strettamente connesso all'utilizzo delle armi. (4-12378)

      Risposta. — Come è noto l'articolo 39 del regio decreto 18 giugno 1931, n.  773 Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps), attribuisce al prefetto la facoltà di vietare, alle persone ritenute capaci di abusarne, la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate secondo le norme di legge.
      Tale divieto si applica indistintamente a tutti i titolari di licenza di porto d'armi, nonché ai titolari di nulla osta alla detenzione di armi.
      La funzione della norma è quella di prevenire abusi da parte di soggetti che, sebbene non condannati per alcun reato, lascino supporre di non essere affidabili nell'uso delle armi.
      Il giudizio in ordine all'affidabilità assume, per giurisprudenza consolidata, un carattere spiccatamente discrezionale ed è basato su valutazioni circa la capacità di abuso fondate su considerazioni probabilistiche e su circostanze di fatto assistite da meri elementi di fumus.
      Ai fini dell'adozione del provvedimento di divieto, non occorre pertanto la sussistenza di un oggettivo e accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto, in base agli elementi conoscitivi acquisiti, non dia completo affidamento in merito alla possibilità di abusare delle armi in suo possesso.
      La giurisprudenza, inoltre, in relazione alla preminente esigenza di salvaguardia della pubblica incolumità, ha affermato la legittimità dell'atto contingente di ritiro cautelativo delle armi, in attesa delle valutazioni del prefetto ai sensi del citato articolo 39 del Tulps. In relazione all'esercizio di tale potere cautelativo appare utile richiamare anche l'articolo 38 del Tulps in virtù del quale, sempre con riferimento alle detenzione di armi, «l'autorità di pubblica sicurezza ha la facoltà di eseguire, qualora lo ritenga necessario, verifiche di controllo... e di prescrivere quelle misure cautelari che ritenga indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico».
      È altresì opportuno sottolineare come la stessa giurisprudenza ha comunque ritenuto che sia sempre necessaria la valutazione dell'amministrazione sull'affidabilità del soggetto, non essendo sufficiente una mera denuncia all'autorità giudiziaria per poter giustificare il diniego del porto d'armi.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      CONTENTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          i residenti di via Montereale, a Pordenone, lamentano la grave situazione di degrado in cui versa il così detto «Palazzo dei Generali», una struttura di proprietà dell'Esercito da qualche tempo abbandonata e preda di sbandati e tossicodipendenti;
          la palazzina, che potrebbe essere riqualificata a tutto vantaggio dell'area limitrofa e con buoni introiti per l'erario, è stata vandalizzata in ogni angolo, tanto che attualmente viene segnalata anche la presenza di persone che vi stazionano di notte  –:
          se non ritenga di dover intervenire per una rapida messa in sicurezza del sito;
          per quali ragioni l'immobile di cui in premessa non possa essere alienato, nell'ottica di un complessivo recupero della vasta area sulla quale lo stesso si affaccia.
(4-15317)

      Risposta. — L'immobile oggetto dell'interrogazione in esame cosiddetto «Palazzo dei Generali», sito in Pordenone, è un fabbricato ad uso alloggiativo, costituito da 11 appartamenti, già inseriti nel decreto direttoriale della Direzione generale dei lavori e del demanio n.  14/2/5/2010 (pubblicato sul supplemento ordinario n.  80 della Gazzetta Ufficiale n.  70 dei 26 marzo 2011), contenente l'elenco degli alloggi non più utili ai fini istituzionali della Difesa, da alienare ai sensi del decreto legislativo n.  66 del 2010.
      Tanto premesso, con riferimento agli aspetti connessi con la messa in sicurezza del sito, proprio al fine di scongiurare eventuali occupazioni abusive, sono state impartite le opportune disposizioni all'ente consegnatario del cespite, affinché siano adottate tutte le misure necessarie per contenere i fenomeni segnalati nell'interrogazione in esame nelle more della procedura di dismissione.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI VIZIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          le competenze di polizia di Stato ed Arma dei carabinieri nel mantenimento dell'ordine pubblico sono state a lungo divise seguendo un rigido criterio territoriale;
          in base a tale criterio territoriale, la polizia di Stato era responsabile dell'ordine pubblico nei centri urbani, mentre all'Arma dei carabinieri erano affidate le aree extraurbane;
          tale ripartizione territoriale delle competenze rifletteva la presenza delle questure nelle città e di una fitta rete di stazioni e presidi dell'Arma dei carabinieri nei piccoli comuni;
          in tempi più recenti, con l'ingresso dei carabinieri nei maggiori centri urbani tale ripartizione è tuttavia venuta meno;
          a tale novità non si è però accompagnata una nuova chiara ripartizione delle competenze, determinando localmente delle situazioni di confusione e, talvolta, ritardi nel fronteggiare le emergenze, compromettendo in alcune circostanze la sicurezza dei cittadini  –:
          se il Governo non ritenga opportuno considerare l'opportunità di tornare alla vecchia ripartizione territoriale delle competenze. (4-13988)

      Risposta. — L'esigenza di realizzare una razionalizzazione delle risorse costituisce una delle priorità che ispirano l'azione del Ministro dell'interno.
      La materia è, pertanto, seguita con attenzione da questa Amministrazione che sulla base della normativa vigente disciplina e modula le articolazioni territoriali delle Forze dell'ordine sul territorio nazionale, al fine di evitare sovrapposizioni delle Forze di polizia ed assicurare un servizio alla collettività sempre più efficace ed efficiente.
      I piani coordinati di controllo del territorio, inoltre, prevedono la ripartizione dei capoluoghi di provincia in settori presidiati a rotazione dalle Forze di polizia a competenza generale, al fine di rendere sempre più incisiva e capillare l'azione di prevenzione e controllo dei territori.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      DI VIZIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel 1991 una decisione del consiglio delle comunità europee introdusse il 112 quale numero unico di emergenza a livello europeo, al fine di rendere più agevole la fruizione del servizio ai numerosi cittadini stranieri presenti all'estero per ragioni turistiche, di studio o di lavoro;
          ciò nonostante è stato mantenuto nel nostro Paese anche il 113, seppure gestito congiuntamente al 112, come stabilito dal decreto ministeriale del 22 gennaio 2008, emanato dal Ministro delle comunicazioni e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  59 del 10 marzo 2008;
          lo strumento tecnico che permette il mantenimento del doppio numero di emergenza comporterebbe maggiori oneri per lo Stato pari a non meno di sei milioni di euro all'anno;
          la situazione generale della finanza pubblica suggerisce di risparmiare risorse ovunque possibile  –:
          se il Governo non ritenga opportuno realizzare dei risparmi nel settore di cui in premessa, eliminando definitivamente la possibilità di servirsi del numero 113 e dando concreta attuazione alle disposizioni europee in materia. (4-13989)

      Risposta. — In relazione al quesito posto dell'interrogante, va premesso che nessuna disposizione normativa nazionale contempla la soppressione dei numeri di emergenza vigenti diversi dall'utenza «112» (ossia i numeri «113», «115» e «118»).
      Al contrario – sebbene nel 1991 sia stata emanata la Direttiva europea n.  91/396/CEE sull'introduzione di un numero unico europeo per chiamate d'emergenza – varie fonti normative prevedono il mantenimento delle citate utenze telefoniche.

      In ogni caso, si evidenzia che sono già in atto prototipi sperimentali relativi al numero unico europeo (nue). Al riguardo, si segnala che la sperimentazione del «nue 112» in provincia di Salerno, finanziata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, è stata avviata il 10 luglio 2008 ed è tuttora in corso. Essa è volta a far confluire in una unica centrale telefonica della «Telecom» le chiamate rivolte alle numerazioni «112» e «113» per ripartirle tra le sale e le centrali operative della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri. La ripartizione avviene sulla base del criterio della prossimità e, ove coesistenti le due Forze di polizia, con il criterio della ripartizione al 50 per cento. La Forza di polizia ricevente (cui il sistema fornisce i dati di identificazione e localizzazione del chiamante) provvede a gestire operativamente la comunicazione, se di sua pertinenza, oppure a trasferirla all'altra Forza di polizia sulla base della ripartizione prevista dal piano coordinato di controllo del territorio. Nel caso di richieste di intervento tecnico urgente o sanitario, l'operatore attiva il «115» o il «118» e, ove tecnicamente possibile, trasferisce la chiamata a quella centrale operativa.
      Altro esempio è quello del «call center laico» in provincia di Varese. Questo call center – sorto nel giugno 2010 a seguito di un accordo di programma quadro tra Ministero dello sviluppo economico e regione Lombardia – si occupa della ricezione delle chiamate rivolte ai quattro numeri di emergenza («112», «113», «115», «118»), della gestione del primo contatto e dello smistamento verso le centrali operative di secondo livello, cioè l'insieme delle attività operative necessarie alla risoluzione della specifica emergenza.
      La sperimentazione – effettuata in attuazione della normativa dell'Unione europea – è stata positivamente valutata, talché si è deciso di prolungarne l'applicazione.
      Dopo aver monitorato l'operatività della struttura di Varese, è in corso l'estensione del modello all'intera Lombardia. I lavori per la predisposizione del disciplinare tecnico operativo, sono stati conclusi nel mese di aprile 2011 con la previsione di costituire tre call center, aventi competenza su tre macroaree interprovinciali con sede a Milano, Brescia e Varese. La progettualità è stata recepita nel protocollo d'intesa tra Ministero dell'interno e regione, sottoscritto il 4 luglio 2011.
      Con l'estensione di tale modello a tutto il territorio nazionale, potrà essere attivato il solo numero «112».
      Peraltro, il progetto del «112 nue», dove è attualmente operativo e nelle aree dove è in corso l'estensione, contempla la permanenza dei «113», sia come punto di risposta di secondo livello presso il quale inoltrare le chiamate di emergenza di competenza della Polizia di Stato, sia quale numero di disaster recovery e business continuity, in caso di default dell'utenza unica, da chiunque gestita.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      DONADI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          risulta all'interrogante che si susseguono telefonate all'ufficio parchi naturali di cittadini che lamentano la situazione in atto nei dintorni di Ponticello, nel parco naturale Fanes-Senes-Braies, dove insistono esercitazioni militari;
          a Ponticello, è accaduto, ai tanti che vi si dirigono per godere delle bellezze naturali, di imbattersi in alcuni militari che non consentivano di proseguire, dichiarando che la zona era off-limits poiché vi si stavano effettuando esercitazioni di tiro;
          in zona Prato Pizza – tutelata come parco e come sito d'importanza comunitaria (SIC) e anche inserita nella rete Natura 2000 dell'Unione europea e meta frequentata dai turisti per lo spettacolare altopiano incorniciato tra i monti – capita spesso di ritrovare anche tende e mezzi pesanti parcheggiati sui prati;
          queste aree, istituite per consentire ai cittadini di poterne godere grazie alla forte attrazione dei paesaggi e la interessante biodiversità presente, risultano dunque essere utilizzate anche per lo svolgimento di attività militari. In alcuni casi queste hanno previsto prove di tiro, come a Malga Landa, nelle Vedrette di Ries-Aurina o Ponticello nel Fanes-Senes-Braies. Se però a Malga Landa le manovre risulterebbero cessate, ciò non risulterebbe essersi verificato a Ponticello, dove invece risultano intensificate;
          in occasione di tali manovre, l'area tra Ponticello, Cocodain, la Croda Rossa e il Rio Stolla, per circa 1.000 ettari è risultata interdetta al pubblico. Nel solo 2003 si sono registrate oltre 77 giornate in cui sono state programmate prove di tiro;      
          tali manovre, cui non partecipano esclusivamente truppe di stanza in provincia, ma spesso anche corpi provenienti da altre regioni, causano disturbo all'area e ai suoi obiettivi di conservazione. Nel corso delle manovre sono utilizzate armi leggere, pesanti e sparate granate. Le manovre vedono l'impiego di numerosi automezzi, spesso lasciati a motore acceso anche nelle ore notturne, determinando inquinamento, erosione dei prati e abbandono di rifiuti (in particolar modo i bossoli);
          gli enti locali hanno evidenziato la non facile collaborazione con le autorità militari pur garantendo un forte impegno per giungere a una soluzione del problema poiché l'intensificarsi delle manovre, oltre a creare difficoltà nella conservazione e gestione dell'area, genera anche malcontento tra la popolazione, che le percepisce come un ostacolo per le proprie attività produttive, in primo luogo quelle agricolo-forestali; il loro perdurare, tra l'altro, riduce anche l'attrattiva turistica  –:
          di quali notizie disponga circa l'effettuazione delle esercitazioni di cui alla premessa e se sia a conoscenza delle lagnanze della popolazione e delle sollecitazioni degli enti locali per trovare una soluzione al problema;      
          quali azioni di tutela paesaggistica si intendano adottare in considerazione di quanto citato in premessa con particolare riferimento alle zone di interesse comunitario direttamente coinvolte nelle esercitazioni. (4-12783)

      Risposta. — Si premette, a carattere generale, che le attività addestrative e sperimentali sono sempre effettuate nel pieno rispetto di precise norme di legge e di sicurezza, volte a garantire l'incolumità dei militari impegnati nelle esercitazioni, la salvaguardia della popolazione e la tutela dell'ambiente.
      In particolare, tali norme prevedono che il Reparto/Ente utilizzatore della struttura debba:
          comunicare alla Direzione del poligono il tipo di armi e munizioni che intende impiegare, prima di ottenere l'autorizzazione a condurre l'attività;
          presentare, al termine della stessa, un rapporto che conferma l'avvenuta bonifica delle aree utilizzate e il numero e il tipo di munizionamento effettivamente impiegato.

      Ciò posto, il poligono di tiro di Ponticello, ubicato nella valle di Braies Vecchia, in zona dolomitica, è un poligono aperto – permanente, dove si addestrano unità non motorizzate, a livello massimo di plotone, con munizionamento di calibro non superiore a 7,62 millimetri, con lancio di bombe a mano.
      L'area su cui insiste il poligono rappresenta una risorsa di fondamentale importanza per l'addestramento dei reparti alpini dislocati in Trentino Alto Adige, in quanto per la particolare conformazione morfologica e per la collocazione geografica si configura particolarmente adatta alle condizioni d'impiego della specialità alpina, oltre ad essere l'unico sito, nell'ambito di tutto il territorio regionale, nel quale sia possibile condurre esercitazioni a fuoco di plotone.
      Fermo restando che – come già detto – dopo ogni esercitazione viene effettuata la bonifica dell'area e compilato un apposito modulo, denominato «rapporto di bonifica» – dove viene specificata la tipologia e la quantità sia di materiale impiegato che quello recuperato per il successivo smaltimento – nel caso specifico, viene anche organizzata a primavera, dopo lo scioglimento delle nevi, una bonifica straordinaria allo scopo di recuperare eventuale bossolame residuo, eventualmente sfuggito alle precedenti e regolari attività di bonifica.
      L'impiego dei mezzi è limitato alle esigenze di trasporto in loco del personale partecipante all'esercitazione e all'organizzazione logistica connessa all'attività di trasporto, su strada parzialmente asfaltata, delle vedette in vicinanza dei punti da presidiare o alla movimentazione di materiale per il posizionamento delle sagome.
      Nel periodo di elevato flusso turistico nella zona (dalla seconda decade di giugno alla prima decade di settembre), il poligono non viene utilizzato, così come previsto nel disciplinare d'uso.
      Proprio per dare soluzione alle problematiche di natura turistico-economica rappresentate dalle Autorità locali, è stato concordato, in sede di comitato misto paritetico (co.mi.pa.), il blocco di tutta l'attività addestrativa a fuoco nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, così da minimizzare anche il disagio per gli operatori agricoli che in questo periodo, notoriamente, hanno maggiori necessità di transito nella zona.
      Il disciplinare d'uso prevede che gli Enti fruitori dell'infrastruttura siano le unità dipendenti dal Comando truppe alpine, non precludendo per l'Autorità militare la possibilità, in caso di comprovata necessità e urgenza, di concedere l'utilizzo dell'area addestrativa anche ad altre Unità nazionali ed estere, purché autorizzate a svolgere attività addestrative in Italia.
      Considerata la particolare delicatezza che la problematica riveste (trattandosi di un poligono di tiro all'interno di un parco naturale) e tenuto conto, altresì, della necessità di contemperare le esigenze della Difesa con la tutela dell'ambiente, a seguito di attenta valutazione, di concerto con l'Ente militare gestore del poligono, è stato proposto (e condiviso dalle Autorità provinciali) che dal 21 ottobre 2010, il sindaco del comune di Braies partecipi alle riunioni semestrali del co.mi.pa..
      Si ritiene opportuno evidenziare che, nel corso delle riunioni semestrali di tale comitato, il rappresentante della comunità locale non ha mai evidenziato problematiche d'inquinamento acustico e/o ambientale dovute all'impiego di automezzi, né tantomeno l'abbandono di rifiuti di diversificata natura e/o scavi nel terreno.
      Peraltro, la cancellazione delle attività a fuoco nel periodo estivo (1o giugno-30 settembre), individuata quale soluzione alternativa percorribile, testimonia l'attenzione dell'amministrazione della difesa per ridurre al massimo possibile l'impatto sul territorio, specie in relazione agli aspetti di natura socio-economica correlati; tale approccio è stato ampiamente apprezzato dai rappresentanti locali e provinciali.
      Preme sottolineare, infine, che in ogni riunione del co.mi.pa. il presidente, in qualità di rappresentante della difesa, ha sempre assicurato e continuerà in tal senso, la massima disponibilità da parte dell'Amministrazione militare a valutare eventuali proposte di siti alternativi a quello in questione, idonei allo svolgimento di analoghe attività.
      Alla data attuale, tuttavia, nessuna proposta alternativa, sul territorio della provincia autonoma di Bolzano, è stata ancora sottoposta all'esame della difesa.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      EVANGELISTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da tempo si registra, nella provincia di Massa Carrara l'assottigliarsi ormai sistematico dell'organico della polizia di Stato;
          inoltre, a seguito delle defezioni verificatesi in questi ultimi anni per collocamento in quiescenza di numerosi dipendenti, non è seguito, per contro, alcun avvicendamento;
          allo stato, l'organico della polizia di Stato in questo comprensorio risulta aver subito un decremento pari a circa il 12 per cento rispetto all'anno 2008, a fronte dell'aumento dei servizi erogati all'utenza, dei servizi di ordine pubblico (in un ambito territoriale pesantemente colpito dalla congiuntura economica e dalle vertenze aziendali), delle aggregazioni in altri comprensori per esigenze emergenziali, e dell'età media degli operatori stimata, a livello nazionale, in 43 anni;
          rispetto a tali risultanze, non si è registrato, almeno negli ultimi anni, alcun significativo intervento da parte ministeriale, anche in occasione della recente assegnazione di agenti di prima nomina alle varie questure; infatti, la provincia di Massa Carrara non appare tra i destinatari, fatta eccezione, per un'esigua assegnazione, peraltro non ancora materialmente concretizzatasi, di 2 dipendenti, nel ruolo di sovrintendenti;
          tale situazione ha provocato una blindatura dei movimenti interni, con forte penalizzazione specie per il personale in forza alla sezione volanti (da svariati anni impiegato in usuranti turni di servizio 24/24) che vede quotidianamente vanificata l'auspicata collocazione in settori diversi della questura (anch'essi oramai ridotti ai minimi storici in quanto a organico), sicuramente più confacenti all'anzianità e alla professionalità maturate;
          nel 2011 sono stati assegnati alla Questura di Massa Carrara soltanto 3 agenti, a fronte dell'aumento esponenziale della popolazione in quel periodo, specie nella frazione Marina di Massa  –:
          se sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa;
          se non ritenga di sollecitare l'incorporamento nella polizia di Stato dei già vincitori di concorso per migliorare i servizi alla cittadinanza e per rispondere alle esigenze dei residenti in Lunigiana in considerazione anche dell'avvicinarsi della prossima stagione estiva. (4-15783)

      Risposta. — Gli uffici e i reparti della polizia di Stato operanti sul territorio della provincia di Massa Carrara presentano, complessivamente, una forza effettiva di 320 unità rispetto ad una previsione organica di 391 appartenenti ai ruoli della polizia di Stato che espletano funzioni di polizia, nonché 19 appartenenti ai ruoli della polizia di Stato che svolgono attività tecnico-scientifica.
      Nonostante la grave carenza che affligge gli organici del personale della polizia di Stato, nel corso del primo semestre del corrente anno sono state assegnate 3 unità alla questura di Massa Carrara.
      Il dispositivo delle forze di polizia impiegato nel controllo dei territorio è costituito anche da 304 militari dell'Arma dei carabinieri e da 148 militari della Guardia di finanza.
      AI riguardo si precisa che, verosimilmente, non risulterà agevole procedere al potenziamento o al ripianamento delle vacanze organiche, atteso che la vigente normativa in materia consente alle forze di polizia di assumere personale unicamente in misura pari alle cessazioni dal servizio.
      Per rendere più efficace l'azione di prevenzione e repressione dei reati nei periodi che presentano maggiori criticità, è stato adottato il piano di potenziamento dei servizi di vigilanza estiva che quest'anno ha previsto l'assegnazione di diverse unità di rinforzo (5 della Polizia di Stato, 11 dell'Arma dei carabinieri e 10 della Guardia di finanza).
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      GARAVINI, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna il 5 maggio 2011 ha approvato la legge recante «Misure per l'attuazione coordinata delle politiche regionali a favore della prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile»;
          detta legge individua una cornice di cooperazione e collaborazione istituzionale che deve essere immediatamente attivata per impedire che si realizzino pericolose infiltrazioni mafiose nei lavori conseguenti ai gravi eventi sismici che hanno colpito quella regione;
          a seguito di quell'iniziativa, il Ministero dell'interno ha provveduto, nei giorni scorsi, a rendere operativa in Bologna una sezione del centro DIA di Firenze, in modo da assicurare un punto di collegamento informativo ed investigativo in una regione che da tempo viene segnalata dagli organi competenti come a rischio di infiltrazione mafiosa;
          a seguito degli accennati gravi eventi sismici, aree cospicue dell'Emilia Romagna saranno interessate da imponenti lavori nel settore delle costruzioni e dell'edilizia industriale e per civile abitazione;
          proprio questi settori costituiscono, da sempre, i campi d'azione delle più agguerrite consorterie della ’ndrangheta e della camorra, non solo in quella regione, ma nell'intero Centro-nord, come hanno dimostrato anche le indagini svolte dalla procura della Repubblica de L'Aquila per la ricostruzione successiva al sisma del 2009;
          la necessità di avviare immediatamente i lavori di ricostruzione delle abitazioni e degli stabilimenti danneggiati o distrutti dal sisma del mese di maggio 2012 sconsiglia di adottare soluzioni, come le white list, che varrebbero solo a ritardare le procedure amministrative, senza alcun reale beneficio per il controllo di legalità  –:
          se non ritenga assumere iniziative per assicurare – fin da questa fase e per coloro i quali vorranno accedere alle sovvenzioni pubbliche, statali o locali erogate per la ricostruzione – l'immediata tracciabilità dei pagamenti verso le imprese private interessate a tutti i lavori nell'area del sisma, secondo quanto già previsto per la ricostruzione «privata» in Abruzzo in ossequio alle ultime linee guida del comitato di alta sorveglianza sulle grandi opere (CASGO) e secondo quanto regolato dal decreto legislativo n.  159 del 2011 e successive modificazioni. (4-16649)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede al Ministro dell'interno di assumere iniziative per assicurare l'immediata tracciabilità dei pagamenti effettuati in favore di imprese private dai soggetti beneficiari di sovvenzioni pubbliche erogate per la ricostruzione delle zone terremotate dell'Emilia Romagna.
      Occorre precisare, in premessa, che le «terze linee guida» diramate dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere – pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 31 dicembre 2010 – hanno esteso anche alla cosiddetta «ricostruzione privata» il regime della tracciabilità finanziaria.
      Dette linee guida muovono dall'esigenza di omogeneità dei controlli antimafia da perseguirsi e realizzarsi nell'ambito degli interventi affidati alle pubbliche amministrazioni e tendono, conseguentemente, ad armonizzare ed ottimizzare le procedure di tracciabilità finanziaria.
      In questo quadro, appare necessario che il destinatario del contributo, al momento della presentazione della domanda di richiesta di aiuto economico, indichi all'amministrazione concedente il conto corrente bancario o postale dedicato anche in via non esclusiva.
      L'assegnazione, poi, di un cup (codice unico di progetto), che segue un progetto dalla nascita fino alla sua realizzazione, permette l'intercettazione del denaro pubblico attraverso tutti i suoi passaggi, in riferimento al progetto che lo ha originato.
      Si sottolinea, inoltre, che il Ministro dell'interno ha istituito il gruppo interforze per la ricostruzione dell'Emilia Romagna (girer) quale apposito organismo con il compito di monitorare e analizzare le informazioni sulle verifiche antimafia ed i risultati dei controlli svolti presso i cantieri interessati alla ricostruzione delle opere pubbliche nelle zone interessate dal sisma e di tutte le situazioni o anomalie suscettibili di interesse per la prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nelle attività di ricostruzione.
      Il girer, che è composto da rappresentanti delle Forze di polizia e della Direzione investigativa antimafia, è istituito presso il Dipartimento della pubblica sicurezza e opera in stretto accordo con il Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere (Ccasgo).
      Da ultimo, si rappresenta che gli uffici investigativi delle Forze dell'ordine dell'Emilia Romagna assicurano un'attenta azione di monitoraggio dalle possibili infiltrazioni delle organizzazioni criminali di tipo mafioso in quel territorio, anche con riguardo all'opera di ricostruzione conseguente ai gravi eventi sismici.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      GRANATA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          l'amministrazione comunale delle isole Tremiti, attualmente retta dal commissario prefettizio Carmela Palumbo, ha deliberato di vendere all'asta sette ettari di terreni edificabili delle isole Tremiti;
          l'area rientra nel piano di edilizia economica e popolare ed in vendita ci sono 31.585 metri quadrati a San Domino, con una base d'asta di 370.536 euro, e 37.046 a San Nicola; in questo caso si parte da 363.825 euro;
          l'asta si sarebbe dovuta svolgere con «il criterio – come è scritto nella delibera – dell'offerta economicamente più vantaggiosa rispetto all'importo di base per l'alienazione degli immobili»;
          la commissione esaminatrice delle domande – si legge ancora nella delibera – si riunirà il giorno 28 aprile 2012, alle ore 9, in seduta pubblica per l'apertura delle buste contenenti le offerte;
          alla data del 26 aprile però, termine ultimo per la presentazione delle offerte, non ne è stata presentata nessuna;
          i terreni in vendita sono «terreni edificabili di proprietà comunale» che ricadono nei Piani di edilizia economica popolare approvati dalla regione, ma proprio la regione si è fortemente opposta all'operazione;
          l'assessore al territorio della regione Puglia, l'urbanista Angela Barbanente, ha infatti spiegato come su quei suoli dovevano sorgere case popolari, e quindi, a rigore di legge, una volta che siano stati venduti, il Comune dovrebbe poi espropriare i terreni;
          è di tutta evidenza che tale operazione mette in serio pericolo di edificazione selvaggia un ambiente unico, una riserva marina di pregio, area a forte vincolo e bandiera blu per la bellezza del mare, perennemente minacciato da trivellazioni petrolifere o speculazioni edilizie;
          tra l'altro l'area è sottoposta a vincoli ben definiti, perché rientra in una zona di interesse pubblico  –:
          se il bando di gara con cui il terreno suindicato delle isole Tremiti è stato messo all'asta sia conforme alla legge ed, in ogni caso, quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per evitare che tale bando venga riproposto e che quindi un territorio che fa parte del patrimonio naturale e paesaggistico dell'Italia venga venduto all'asta con il rischio di consegnare le isole nelle mani dei costruttori. (4-15847)

      Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante chiede notizie in merito al bando di asta pubblica per l'alienazione di suoli rientranti nel piano di edilizia economica e popolare del comune di isole Tremiti.
      Premetto che il Commissario straordinario del citato comune non ha assunto alcuna decisione in merito alla edificabilità di quel territorio. Infatti, le aree individuate nel piano di alienazione erano già fabbricabili in quanto rientranti nel piano di zona a suo tempo approvato dal comune e dalla regione Puglia. Peraltro, per tali aree non è stata cambiata la finalità sociale di edilizia economica e popolare.
      L'alienazione di tali cespiti, mediante il metodo dell'asta pubblica, si è resa necessaria allo scopo di evitare il dissesto finanziario causato da debiti pregressi dell'ente.
      La situazione di disequilibrio è stata evidenziata dalle relazioni del 30 settembre 2011, rispettivamente dal responsabile del settore economico e finanziario e dall'organo di revisione economico finanziario di quel comune. In tale occasione l'organo di revisione economico finanziarie ha segnalato la necessità di alienare beni patrimoniali.
      A tale proposito, l'articolo 193 del decreto legislativo n.  267 del 18 agosto 2000 impone l'obbligo per i comuni di effettuare, almeno una volta l'anno entro il 30 settembre, la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi prevedendo, laddove necessario, l'adozione dei provvedimenti necessari ad assicurare il rispetto del pareggio finanziario e di tutti gli equilibri stabiliti in bilancio per la copertura delle spese correnti e per il finanziamento delle spese di investimento.
      Il Commissario straordinario, pertanto, con propria delibera ha dato atto dell'esigenza di un intervento finalizzato alla gestione dei residui mediante l'alienazione del patrimonio disponibile, incaricando il responsabile del settore urbanistica e patrimonio del comune di procedere alla alienazione mediante procedura ad evidenza pubblica.
      Con il piano di dismissioni sono state individuate due aree fabbricabili rientranti nel piano di zona destinato all'edilizia economica e popolare. Il piano di zona, in ordine al quale risulta acquisito il parere favorevole dell'Ente parco nazionale del Gargano, è stato approvato dalla regione Puglia nel 2010 e dal consiglio comunale delle isole Tremiti nell'agosto dello stesso anno.
      Il responsabile del settore urbanistica e patrimonio nel febbraio 2012 ha approvato e pubblicato il bando di gara per la vendita dei menzionati terreni nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano.
      Il procedimento di gara si è concluso 28 aprile 2012 con la presa d'atto da parte della competente Commissione della mancanza di offerte.
      Il Commissario straordinario, sin dall'inizio della procedura di gara, si è oltremodo preoccupato delle osservazioni provenienti dalle istituzioni regionali, dalle organizzazioni ambientalistiche e dalla comunità tremitese, tese ad allontanare lo spettro della cementificazione.
      Peraltro, lo stesso Commissario ha impartito precise direttive al responsabile del settore urbanistica e patrimonio affinché il bando di gara contenesse ogni giuridica tutela proprio per conformare le attività future su quelle aree alla predetta destinazione urbanistica.
      Per tutto ciò, il Commissario straordinario ha ritenuto di non aderire alla richiesta di annullamento in autotutela del bando (che peraltro non risulta impugnato innanzi alla competente autorità giudiziaria amministrativa), formulata dalla regione con nota pervenuta solo il giorno prima della scadenza del bando.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      MARAN. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'efferatezza dell'omicidio di Lignano Sabbiadoro (Udine) dei coniugi Burgato per mano di Lisandra Aguila Rico, rea confessa dopo il fermo da parte delle forze dell'ordine, e del fratellastro Reiver Laborde Rico, rifugiatosi a Cuba prima del fermo, ha sconvolto l'intera comunità regionale del Friuli-Venezia Giulia, non avvezza a fatti di cronaca nera tanto rilevanti;
          i rapporti tra i due Paesi sono sempre stati improntati sulla solidarietà e sulla collaborazione tanto che anche la vicenda dei quattro giornalisti italiani, espulsi dal Paese caraibico dopo il sequestro e la distruzione dell'intervista a Reiver Laborde Rico, raggiunto dalla troupe televisiva per un servizio nell'abitazione dove si era rifugiato, per violazione delle norme cubane sulle motivazioni d'ingresso nel Paese, non hanno inficiato le relazioni tra Italia e Cuba;
          nei giorni scorsi, per mano del proprio legale, il figlio della coppia uccisa ha inviato una lettera-appello al Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, affinché questi profonda il massimo impegno nel raggiungere l'obiettivo dell'estradizione di Reiver Laborde Rico nel nostro Paese perché la giustizia faccia il suo giusto corso;
          l'evoluzione della vicenda ha portato, come ha dichiarato il sottosegretario agli affari esteri Marta Dassù, al fermo dell'indiziato da parte delle autorità cubane in attesa della formalizzazione del mandato di cattura internazionale gestito dall'Interpol, attivata dal nucleo investigativo dei carabinieri di Udine  –:
          quali azioni abbia intrapreso e intenda ancora intraprendere il Governo italiano affinché l’iter per l'estradizione trovi compimento nel più breve tempo possibile alla luce della gravità dei fatti, auspicando anche il solerte impegno da parte della rappresentanza diplomatica italiana a Cuba nel prosieguo della vicenda. (4-17958)

      Risposta. — La nostra Ambasciata a L'Avana, sin da quando si è avuta notizia della presenza del signor Reiver Laborde Rico a Cuba, ha immediatamente sensibilizzato le competenti autorità cubane, le quali hanno confermato la disponibilità a collaborare per la migliore soluzione del caso e hanno, altresì, manifestato la loro volontà a procedere all'arresto del signor Laborde Rico, previa trasmissione di tutta la documentazione necessaria.
      Il signor Laborde Rico è attualmente detenuto, a dimostrazione dei rapporti di collaborazione bilaterali esistenti in materia di polizia.
      Il Ministero della giustizia ha avviato le procedure di trasmissione dell'istanza di estradizione del cittadino cubano all'Ambasciata a L'Avana, che ne curerà il, tempestivo inoltro alle autorità di quel Paese.
      Seguiranno tutti i passi formali del caso.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      NASTRI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 5 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.  35, recante: «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», prevede norme in materia di cambio di residenza in tempo reale, con il duplice obiettivo di consentire l'effettuazione del cambio di residenza con modalità telematica e di produrre immediatamente, al momento della dichiarazione, gli effetti giuridici del cambio di residenza, in modo da evitare i gravi disagi e gli inconvenienti determinati dalla lunghezza degli eventuali tempi di attesa;
          le suesposte finalità sono illustrate all'interno di un opuscolo pubblicato dal dipartimento della funzione pubblica in cui si legge testualmente: «cambio di residenza in tempo reale»;
          risulterebbe condivisibile, a giudizio dell'interrogante l'introduzione del predetto principio, se fosse effettivamente attuata in linea con quanto previsto dall'articolo 5 nonché con quanto riportato dal predetto opuscolo informativo, ma in concreto l'applicazione della norma appare differente e più complessa rispetto ai propositi iniziali;
          la circolare del 27 aprile 2012 emanata dal dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, riporta infatti che: a partire dal 9 maggio i cittadini potranno presentare le dichiarazioni anagrafiche, di residenza e di trasferimento all'estero, senza recarsi necessariamente allo sportello del comune, ma inviandole per posta o in alternativa, a mezzo fax o per posta elettronica;
          in quest'ultimo caso, riporta la circolare, è necessario sottoscrivere la dichiarazione attraverso la firma digitale, essere identificati dal sistema informatico, ad esempio tramite la carta d'identità elettronica o la carta nazionale dei servizi, inviare la dichiarazione dalla casella di posta elettronica certificata dal dichiarante e trasmettere per posta elettronica «semplice» copia della dichiarazione con firma autografa e del documento d'identità del dichiarante;
          per effettuare il cambio di residenza on line, in conseguenza di quanto prevede la suddetta circolare, è necessario pertanto possedere: casella di posta certificata (Pec), firma digitale, carta d'identità elettronica, (Cie) e/o carta nazionale dei servizi (Cns), casella di posta elettronica «semplice», scanner per effettuare copia della dichiarazione autografa e del documento d'identità del dichiarante;
          a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto esposto, appare evidente come le norme introdotte e precedentemente riportate, sulle intenzioni di semplificare le procedure volte ad ottenere attraverso facili passaggi per via telematica il cambio di residenza, come affermato, tra l'altro, anche dal Presidente del Consiglio dei ministri in più occasioni, risultino in realtà alquanto complesse e difficili se si considera, inoltre, improbabile che i cittadini (oltre 1 milione e 400 mila fonte Istat) che annualmente richiedono il cambio di residenza, si sobbarchino la trafila della richiesta degli strumenti informatici suddetti, senza che, con ogni probabilità, riescano a trovare adeguate risposte;
          risulta altrettanto evidente, a giudizio dell'interrogante, una sorta di falla di interoperabilità e cooperazione tra gli strumenti innovativi e quelli tradizionali, la cui incrinatura si accentua maggiormente se si considera il numero ridotto di cittadini che in Italia, possiedono la carta d'identità elettronica (cie), la carta nazionale dei servizi (csn), la posta elettronica certificata (pec), rispetto all'effettiva domanda;
          il suesposto decreto-legge n.  5 del 2012 in materia di semplificazione e di sviluppo, avrebbe dovuto individuare, a giudizio dell'interrogante, uno strumento normativo idoneo, volto a garantire l'identità dei cittadini sia nell'ambito della sfera reale che in quella attraverso interventi di semplificazione e unificazione tra la carta d'identità elettronica, e carta nazionale dei servizi e tessera sanitaria e solo successivamente si sarebbe potuto ipotizzare di consentire il trasferimento di residenza on line previa standardizzazione delle procedure elettroniche comunali, che presiedono alle suesposte operazioni  –:
          quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intendano intraprendere al fine di rendere effettivamente più agevole, sul piano concreto, il cambio di residenza attraverso l'utilizzo del sistema telematico, rispetto a quanto esposto in premessa, posto che si evidenziano complicati passaggi e adempimenti informatici tutt'altro che accessibili ed in netta controtendenza rispetto a quanto prevede la finalità stessa dell'intero impianto normativo del decreto-legge cosiddetto «semplifica-Italia»;
          se non intendano assumere un'iniziativa normativa ad hoc volta a semplificare gli adempimenti telematici, necessari per il cambio di residenza sulla base di quanto proposto dall'interrogante in premessa.
(4-16114)

      Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede se il Ministero dell'interno intenda assumere iniziative normative volte a semplificare gli adempimenti telematici necessari per effettuare il cambio di residenza.
      La disciplina regolamentare in materia di servizi anagrafici è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n.  223, del 30 maggio 1989 recante: «Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente».
      Con l'articolo 5, del decreto-legge del 9 febbraio 2012, n.  5, convertito nella legge n.  35 del 4 aprile 2012, sono state introdotte nuove regole che disciplinano il cambio di residenza in tempo reale.
      Il citato articolo 5 prevede di effettuare le dichiarazioni anagrafiche (articolo 13, comma 1, lettera a), b) e c), del decreto del Presidente della Repubblica n.  223, del 30 maggio 1989) attraverso la compilazione di moduli conformi a quelli pubblicati sul sito internet del Ministero dell'interno.
      I citati moduli, una volta compilati devono essere inoltrati al competente comune con le modalità previste dall'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n.  445 del 2000.
      L'articolo 38 di cui sopra prevede che i cittadini possono presentare le dichiarazioni anagrafiche direttamente allo sportello comunale, per raccomandata, per fax o per via telematica, con le modalità definite dall'articolo 65 del decreto legislativo n.  82 del 2005, recante il «Codice dell'amministrazione digitale (Cad)».
      L'invio telematico può avvenire, come specificato nella circolare del Ministero dell'interno, n.  9 del 27 aprile 2012, ad alcune condizioni.
      In particolare, che la dichiarazione sia sottoscritta con firma digitale; che l'autore sia identificato dal sistema informatico con l'uso della carta di identità elettronica, della carta nazionale dei servizi, o comunque con strumenti che consentano l'individuazione del soggetto che effettua la dichiarazione; che la dichiarazione sia trasmessa attraverso la casella di posta elettronica certificata del dichiarante; che la copia della dichiarazione recante la firma autografa e la copia del documento d'identità del dichiarante siano acquisite mediante scanner e trasmesse tramite posta elettronica semplice.
      Tali indicazioni sono necessarie al fine di garantire l'identità del dichiarante, nonché la provenienza e l'integrità dei dati trasmessi.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      PALADINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 30 settembre 2009 numerosi ufficiali di marina e capitanerie di porto manifestavano in Roma volendo richiamare l'attenzione sul loro stato di precarietà nel lavoro altresì richiedendo la loro stabilizzazione anche alla luce delle carenze di organico in seno alla Marina militare;
          il Ministero della difesa ha bandito il 9° concorso per ufficiali in forma prefissata (quindi precari a tempo determinato) non tenendo dunque in considerazione la possibilità di stabilizzare gli Ufficiali già formati, motivati e per di più richiamati nel maggio scorso per un periodo di 6/7 mesi onde supplire alle urgenti carenze di organico;
          dovrebbe costituire priorità dell'amministrazione dello Stato quella di garantire tanto la stabilità del lavoro quanto la economicità nelle scelte da operarsi;
          la formazione di nuovi ufficiali comporterebbe secondo l'interrogante un vero e proprio sperpero di denaro pubblico, a maggior ragione, quando in presenza di altro personale già formato ed in attesa da tempo di stabilizzazione  –:
          se il Ministro preso atto della descritta situazione intenda assumere ogni determinazione che vada nella direzione della stabilizzazione degli Ufficiali precari della Marina Militare. (4-05715)

      Risposta. — La ratio sottesa alla creazione della categoria degli Ufficiali ausiliari, ed in particolare degli Ufficiali ausiliari in ferma prefissata (Uafp), è stata quella di poter consentire alle Forze Armate di avvalersi di personale allo specifico fine di soddisfare esigenze contingenti e di limitata durata temporale.
      Tali Ufficiali ausiliari in ferma prefissata, sono reclutati ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 8 maggio 2001, n.  215 (ora confluito nell'articolo 937 del decreto legislativo n.  66 del 2010), «al fine di soddisfare specifiche e mirate esigenze delle singole Forze armate connesse alla carenza di professionalità tecniche nei rispettivi ruoli ovvero alla necessità di fronteggiare particolari esigenze operative», prestando servizio per 30 mesi al termine dei quali possono chiedere di essere raffermati per ulteriori 12 mesi a seguito di regolare concorso.
      Tale personale pertanto, fin dall'emanazione dei bandi di concorso, è a conoscenza della disponibilità del potenziale sbocco occupazionale nelle Forze Armate che si concretizza mediante i concorsi per Ufficiali a nomina diretta e dei ruoli speciali.
      L'articolo 26 del menzionato decreto legislativo n.  215 del 2001 (ora confluito nell'articolo 678 del decreto legislativo n.  66 del 2010) ha previsto, in tal senso, per gli Uafp in servizio e in congedo che abbiano svolto il servizio senza demerito, riserve di posti fino all'80 per cento per l'immissione nei ruoli normale a nomina diretta e titoli per i concorsi dei ruoli speciali.
      Tale articolato contesto normativo ha inevitabilmente dato origine ad un consistente contenzioso da parte degli Uafp che rivendicavano il diritto alla stabilizzazione del proprio rapporto lavorativo.
      Per una migliore comprensione della complessità della vicenda, si riassumono, in breve, le tappe principali di come è evoluta, in sede giurisdizionale, la problematica della stabilizzazione:
          1) il Tar per il Lazio ha «accolto» favorevolmente alcuni ricorsi presentati da Uafp del Corpo delle Capitanerie di porto (CP), ritenuti in possesso dei requisiti di legge, mentre ha respinto quelli avanzati dagli Uafp dei rimanenti Corpi della Marina;
          2) avverso le citate sentenze di accoglimento lo Stato Maggiore della Marina, in accordo con il Comando generale delle CP, ha, tempestivamente, interessato la Direzione generale per il personale militare per impugnare innanzi al Consiglio di Stato, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, le sentenze in argomento, in quanto l'eventuale ottemperanza avrebbe prodotto effetti ritenuti non sostenibili per la Forza armata;
          3) l'Avvocatura generale dello Stato ha, quindi, proposto appello avverso le citate sentenze;
          4) allo stato, il Consiglio di Stato si è espresso rigettando i ricorsi proposti dagli Uafp CP che inizialmente avevano trovato favorevole accoglimento innanzi al Tar Lazio (decisione tipo n.  5978/2008 del 4 novembre 2008).

      Il reclutamento degli Aufp negli anni ha risentito sempre più delle disponibilità economiche previste dalle leggi di bilancio, tanto che dal 2006 al 2009 la Forza armata non ha proceduto a tale forma di reclutamento.
      Per potersi avvalere di specifiche professionalità per periodi limitati di tempo si è fatto anche ricorso al richiamo di Ufficiali delle Forze di completamento, di cui fanno parte anche Uafp congedati che abbiano espresso il proprio consenso al richiamo.
      Tanto premesso, relativamente al 2010, lo Stato Maggiore della Marina ha previsto il reclutamento di 8 Aufp (allievi ufficiali in ferma prefissata) per il Corpo del Genio navale, 4 Uafp per il Corpo sanitario e 70 Uafp per il Corpo delle Capitanerie di Porto.
      Relativamente all'anno 2011, lo Stato Maggiore della Marina ha reclutato 6 Aufp per il Corpo di Stato Maggiore, 6 Aufp per il Corpo del Genio navale, 6 Aufp per il Corpo sanitario e 70 Aufp per il Corpo delle Capitanerie di Porto, i quali frequenteranno il corso presso l'Accademia navale da settembre a dicembre 2012.
      Per l'anno 2012, invece, il concorso inizialmente previsto per 58 Aufp (4 per il Corpo di Stato Maggiore, 8 per il Corpo del Genio navale, 6 per il Corpo sanitario e 40 per il Corpo delle Capitanerie di Porto), è stato revocato a causa del noto processo di revisione della spesa che sta riguardando il comparto pubblico.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      PEDOTO, DE TORRE, GHIZZONI e SARUBBI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          per effetto del regolamento di cui decreto del Presidente della Repubblica in vigore dal 10 marzo 2012, il cittadino straniero che entra per la prima volta in Italia e presenta istanza di rilascio di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno, stipula con lo Stato un accordo di integrazione, articolato per crediti, con l'impiego a sottoscrivere gli obiettivi di integrazione, mentre lo Stato sostiene a sua volta il processo di integrazione attraverso l'assunzione di idonee iniziative. Tali iniziative trovano indirizzo organizzativo nella nota ministeriale n.  1542 del 2 marzo 2012;
          gli aspetti propositivi della nuova normativa ed il loro alto valore umano e democratico sono espressi chiaramente nelle richiamate norme, ma emergono criticità invece in senso generale nell'attuazione del decreto stesso, e in particolare per la struttura e l'erogazione del primo corso di educazione civica, cinque sessioni di ascolto, in modalità multimediale, da erogare ai cittadini stranieri entro 3 mesi dalla firma dell'accordo integrazione;
          le linee di indirizzo ministeriali denominano tale corso «sessione di formazione civica», mentre a quanto consta agli interroganti sarebbe più corretto definirlo semplicemente «sessione di informazione civica». Il cittadino straniero viene semplicemente posto davanti ad un computer per cinque ore ad ascoltare concetti che potrebbe anche non riuscire a recepire, perché spesso molto distanti dalla sua esperienza e assimilazione dell'organizzazione sociale e politica di uno Stato. Manca completamente la necessaria interazione, dal momento che non è prevista l'acquisizione di un feedback sull'avvenuta comprensione dei contenuti, la possibilità di approfondimento o di richiedere e ricevere spiegazioni su quanto non recepito;
          le strutture scolastiche del territorio vengono identificate quali principali partner delle prefetture per la realizzazione di tali «sessioni di formazione civica»: viene richiesto alle scuole, in primis ai CTP/CPIA, l'uso di locali e attrezzature (laboratori dotati di personal computer o aule LIM) e la presenza di personale docente e ATA per l'identificazione dei candidati, la raccolta delle firme di presenza e la trasmissione delle stesse alle prefetture, la sorveglianza, l'installazione del programma sui computer e altro. Si richiedono ore straordinarie non retribuite, perché non è stato contestualmente previsto alcuno stanziamento di fondi aggiuntivi. L'unica alternativa possibile sembra quella di utilizzare il personale in orario di servizio (sottraendo ore preziose alle attività educative e formative dei docenti o al lavoro del personale ATA), o ricorrere alle prestazioni volontarie del personale stesso o ancora avvalersi della collaborazione di volontari esterni alla scuola, senza le adeguate garanzie assicurative né una gestione continuativa dell'attività;
          risulta inoltre alla firmataria del presente atto che gli strumenti multimediali (file su «chiavette») forniti dalle istituzioni, contenenti il corso di «formazione civica», tradotti in diciannove lingue, presentano spesso una bassa qualità audio, letture stentate dei testi, immagini statiche che non sempre corrispondono a quanto viene contemporaneamente letto. Nessun supporto grafico, nessun filmato o immagine, nessun accorgimento che possa rendere più motivante o stimolante l'ascolto;
          gli strumenti a disposizione delle prefetture per assicurare al cittadino straniero di nuovo ingresso là corretta comprensione del testo di accordo integrazione che andrà a firmare, sono evidentemente poco efficaci. Le scuole riferiscono che le numerose assenze di candidati alle sessioni «di formazione civica» non sono dovute a motivazioni personali o scarsa volontà: semplicemente i cittadini stranieri, spesso assolutamente privi di nozioni di lingua italiana o anche analfabeti totali in lingua madre, non capiscono ciò che viene loro richiesto, per quanto firmino l'accordo. Per il mondo arabo il problema è sovente connesso anche alle diverse interpretazioni della lingua scritta a seconda della regione di provenienza;
          il requisito della conoscenza della lingua italiana a livello A2, altro credito richiesto secondo le linee d'indirizzo ministeriali, dovrebbe essere interamente gestito dall'organizzazione di corsi propedeutici su fondi FEI. Va comunque tenuto presente che il flusso dei nuovi ingressi è assai corposo e continuo e i corsi finanziati coprirebbero comunque solo una parte delle richieste di corsi, lasciando ai CTP una maggiorazione d'utenza che non potrebbero sopportare con le forze di organico (personale docente e ATA) attualmente disponibili  –:
          quali iniziative intenda porre in atto il Ministero per sostenere economicamente i centri territoriali e le scuole nell'attuazione del decreto del Presidente della Repubblica a fronte delle spese che queste strutture dovranno necessariamente affrontare per la vigilanza e l'utilizzo delle proprie dotazioni informatiche nella realizzazione degli interventi previsti;
          se il materiale audiovisivo prodotto per i corsi di educazione alla cittadinanza rivolti ai cittadini stranieri sia adeguato a rendere un'immagine del nostro Paese esaustiva e facilmente comprensibile;
          quali soggetti siano coinvolti o si intendano coinvolgere ufficialmente da parte del Ministero dell'interno nelle fasi di organizzazione e realizzazione degli interventi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica e con quale modalità verrà formalizzato e pubblicizzato tale coinvolgimento, nonché se sia prevista una qualche forma di monitoraggio e informativa sull'andamento degli interventi previsti. (4-16225)

      Risposta. — Le sessioni di formazione civica e di informazione, previste dall'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n.  179, sono finalizzate a fornire allo straniero un'iniziale preparazione di base.
      Per consentire agli sportelli unici per l'immigrazione di attivare le sessioni subito dopo l'entrata in vigore del citato decreto, è stato reso disponibile, su rete Intranet del Ministero dell'interno, un portale di formazione e-learning, dal quale le prefetture possono far visionare direttamente agli interessati, oppure scaricare per la successiva visione, un pacchetto multimediale di formazione civica, strutturato in cinque moduli di apprendimento di un'ora ciascuno, tradotti nelle medesime 19 lingue in cui è stato tradotto l'accordo di integrazione.
      Nel caso in cui i filmati vengano scaricati dalla prefettura per la successiva visione da parte degli interessati presso sedi diverse (quali ad esempio gli istituti di istruzione), è stato predisposto un apposito software applicativo, al fine di permettere una visualizzazione ottimale degli stessi filmati.
      Per quanto riguarda il soddisfacimento delle esigenze formative degli stranieri evidenziate dall'interrogante, sono in via di predisposizione ulteriori strumenti (ivi comprese lezioni frontali interattive con feedback sui contenuti).
      Inoltre, sulla base delle linee di indirizzo emanate congiuntamente il 2 marzo 2012 dal Ministro dell'interno e dal Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, è stato sottoscritto, in data 7 agosto 2012, un accordo quadro tra il Ministero dell'interno e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, riguardante lo svolgimento delle sessioni di formazione civica ed il test di verifica previsti dall'accordo di integrazione.
      Tale Accordo quadro prevede, in particolare, una serie di progetti pilota per la realizzazione di corsi di integrazione linguistica e sociale, la cui frequenza vale quale partecipazione alla sessione di formazione civica e di informazione di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n.  179 del 2011, mentre il titolo, rilasciato all'esito di tali corsi, costituisce attestazione del raggiungimento del livello «A2» della lingua italiana.
      Si rappresenta, infine, che, con circolare n.  1583 del 5 marzo 2012, è stato richiesto ai Prefetti, anche con l'ausilio dei consigli territoriali per l'immigrazione, di monitorare l'impatto dell'accordo di integrazione nelle realtà locali, di segnalare le eventuali criticità e problematiche rilevate, nonché di fornire ogni utile indicazione per adottare misure migliorative del nuovo istituto. Gli esiti dell'attività di monitoraggio svolta dalle prefetture sono attualmente in corso di valutazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      PORCU e MURGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a Osidda, provincia di Nuoro, il 30 e 31 maggio 2010, si sono svolte le elezioni comunali. Il risultato ha premiato la lista «Cuncoldia – Tribagliu», capeggiata dal sindaco uscente, con cinque soli voti di scarto, rispetto alla lista «Cuncoldos», in un contesto di 16 voti di sospetta importazione;
          esiste, infatti, una articolata indagine dei carabinieri nella quale si legge «Il Comune di Osidda, ha concesso nella totalità dei casi considerati, la residenza nel proprio territorio, senza compiere gli accertamenti previsti, attestando quindi il falso» (pag. 197 del rapporto). Violazioni per le quali hanno indagato 8 persone, e di cui tre interne all'amministrazione;
          gli atti sono stati trasmessi all'autorità giudiziaria di Nuoro per l'esercizio dell'azione penale;
          da tali atti risulta che sedici persone, in gran parte di origine straniera, (romena e marocchina) e 3 italiani, sono state iscritte in anagrafe e ammesse al voto, nel periodo immediatamente precedente le elezioni ma senza che ci fosse una puntuale verifica dei requisiti necessari per l'iscrizione anagrafica come previsto dall'articolo 4 della legge n.  128 del 1954, recante ordinamento delle anagrafi della popolazione residente nonché dagli articoli 3 e 19 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n.  223, sul nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente e dall'articolo 43 codice civile;
          ben 6 persone di origine romena sono state iscritte in anagrafe il 27 maggio 2010, a soli 3 giorni dalle elezioni;
          gli accertamenti condotti dalla polizia giudiziaria, pare abbiano evidenziato inoltre che diverse persone, in possesso di moduli di residenza, andavano in giro per le campagne e gli ovili di altri paesi limitrofi, cercando maggiorenni e facendo loro firmare richieste di residenza e, addirittura nel contempo, istruendole sul modo di votare alle comunali di Osidda, e che tali moduli, così sottoscritti, abbiano reso possibile le iscrizioni anagrafiche e l'ammissione al voto escludendo le previste forme di accertamento ai sensi dell'articolo 4 della legge 24 dicembre 1984, n.  1228, nonché dell'articolo 3, comma 1, e articolo 19 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  223 del 1989;
          avrebbero dovuto essere cancellati dall'anagrafe dei residenti e invece sono stati ammessi al voto anche 3 cittadini originari del Marocco;
          non è stata ammessa al voto la signor V.S. nonostante abbia presentato dichiarazione di residenza 4 mesi prima senza avere alcun riscontro;
          tutti i consiglieri di minoranza si sono dimessi dalla carica segno di protesta  –:
          alla luce dei fatti sia pur sommariamente descritti, che delineano però un quadro assai inquietante, quali urgenti iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per porre rimedio alla inaccettabile situazione in essere ad Osidda. (4-16185)

      Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante lamenta che alle elezioni per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale svoltesi a Osidda il 30 e 31 maggio 2010, avrebbero partecipato persone la cui residenza non sarebbe stata accertata secondo le forme previste dalla disciplina anagrafica.
      Al riguardo si osserva che le elezioni si sono svolte regolarmente e non risulta che sia stato presentato ricorso all'autorità giudiziaria.
      La prefettura di Nuoro ha pure disposto un'ispezione presso gli uffici d'anagrafe ed elettorale del comune, che comunque non ha fatto emergere irregolarità.
      Va evidenziato, infine, che l'iscrizione e la cancellazione dalle liste elettorali conseguono alle corrispondenti operazioni registrate nell'anagrafe della popolazione residente.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      PORTA, FRONER, GIANNI FARINA, BUCCHINO, GARAVINI, FEDI e NARDUCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il riassorbimento delle pratiche di richiesta di cittadinanza nei Paesi dell'America meridionale presenta un andamento fortemente differenziato a seconda dei Paesi in cui le istanze sono state presentate, nel senso che il carico delle pratiche giacenti in Argentina, Uruguay e Venezuela è stato quasi interamente riassorbito, mentre quello accumulatosi in Brasile sfiora ancora le duecentomila unità;
          non sono state risolutive, relativamente ai consolati presenti in Brasile, le misure finanziarie e organizzative adottate, il che dovrebbe portare a considerare la necessità di ragionevoli interventi straordinari, sia pure in un quadro di compatibilità con le difficoltà finanziarie che l'Amministrazione sta conoscendo da alcuni anni;
          nel più complesso problema del reale riconoscimento del diritto alla cittadinanza previsto dalle leggi in vigore, un campo di particolare sensibilità è quello riguardante i cospicui arretrati relativi alle richieste degli abitanti, e loro discendenti, delle terre appartenute all'ex Impero austro-ungarico, per le quali la legge n.  379 del 14 dicembre 2000, prorogata dopo 5 anni e scaduta il 20 dicembre dello scorso anno, prevede un'istruttoria da svolgere presso il Ministero degli interni, ad opera di una speciale commissione interministeriale;
          negli ultimi mesi dello scorso anno risultavano presentate dai beneficiari della legge 379 del 2000 circa 45.000 domande, di cui nemmeno la metà (19.054) erano state esaminate, con ritmi di smaltimento, dunque, che giustificano il timore di un andamento pluriennale delle attività istruttorie, nonostante gli accorgimenti procedurali già adottati;
          una diluizione tanto prolungata nel tempo, non solo delude i legittimi aspiranti alla cittadinanza italiana, ma spesso vanifica lo stesso diritto di questi potenziali cittadini, molti dei quali hanno un'età già matura, e comunque mette in discussione un fondamentale diritto di cittadinanza previsto dal nostro ordinamento  –:
          quale sia lo stato dei lavori di istruttoria e di definizione delle domande di cittadinanza presentate dagli abitanti dell'ex impero austro-ungarico e, in particolare, quale sia la parabola temporale che si può ipotizzare per l'integrale smaltimento delle pratiche;
          quali misure i Ministri interrogati intendano adottare per rafforzare le capacità operative della Commissione interministeriale e migliorarne la produttività, soprattutto con l'integrazione di unità amministrative in aggiunta a quelle già impegnate. (4-15972)

      Risposta. — Il Ministero dell'interno segue con attenzione le problematiche relative agli italiani residenti all'estero, con particolare riferimento alla disciplina della cittadinanza e al riacquisto della medesima, nonché all'iscrizione al sistema anagrafico.
      Al momento, ai sensi della legge 14 dicembre 2000, n.  379, sono pervenute circa 49 mila istanze, la maggior parte delle quali sono state presentate presso i Consolati del Brasile e dell'Argentina. Le istanze definite sono 22 mila circa.
      Come è noto, con decreto del Ministro dell'interno del 13 gennaio 2009 è stato stabilito che per le domande munite di documentazione completa, per le quali le autorità riceventi abbiano espresso parere favorevole, il nulla osta al riconoscimento della cittadinanza italiana venga rilasciato direttamente dal direttore centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze senza il preventivo avviso della Commissione interministeriale, alla quale resta rimessa, pertanto, solo la definizione dei casi più complessi.
      La composizione di questa Commissione è stata rideterminata nel corso di quest'anno per garantire la continuità dei lavori, in quanto alcuni componenti erano stati destinati ad altri incarichi nell'ambito delle amministrazioni di appartenenza.
      Infine, sono state individuate modalità semplificative, anche in relazione alla comunicazione con gli uffici consolari all'estero, al fine di acquisire in tempi brevi le integrazioni documentali necessarie per la conclusione delle singole istanze.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dal dossier promosso da Legambiente «Armi chimiche: un'eredità pericolosa» risulta che oltre 30 mila ordigni sono stati inabissati nelle acque territoriali italiane in occasione dell'ultimo conflitto mondiale e della più recente guerra nell'ex-Jugoslavia;
          molte sono le zone in cui la presenza di ordigni chimici sono censite: nel sud del mare Adriatico, di cui 10 mila solo nel porto di Molfetta, di fronte a Torre Gavetone, a nord di Bari. A questi vanno ad aggiungersi oltre 13 mila proiettili e 438 barili contenenti iprite, un pericoloso liquido irritante e diversi ordigni chimici contenenti lewisite e fosgene, sostante tossiche e letali nel golfo di Napoli oltre ad altre 4300 bombe all'iprite e 84 tonnellate di testate all'arsenico nel mare antistante Pesaro;
          già nell'atto di sindacato ispettivo n.  4/07057 l'interrogante presentava poi la questione dell'inquinamento del lago Vico: «la provincia di Viterbo ha attivato nell'autunno del 2009, in collaborazione con ARPA Lazio, Istituto superiore di sanità e dipartimento DECOS dell'università degli studi della Tuscia un approfondimento sullo stato ambientale del lago di Vico; nell'ambito delle attività di monitoraggio di ARPA Lazio è stata effettuata l'analisi dei sedimenti lacustri da cui è emerso un grave superamento della soglia di contaminazione per i parametri di arsenico, nichel e cadmio: elementi chimici cancerogeni e particolarmente nocivi per la salute umana; un rapporto del Centro tecnico logistico interforze dell'Esercito italiano del 25 marzo 2010, protocollo n.  38, riporta i risultati di una indagine geofisica commissionata dal Ministero della difesa ed eseguita all'interno del sito militare situato sulle rive del lago, in località Renari, nel comune di Ronciglione (Viterbo); il suddetto centro chimico militare fu sede durante l'ultimo conflitto mondiale di «un impianto per la produzione e il deposito di ordigni a caricamento speciale», presumibilmente atto alla produzione di armi chimiche; nel corso della recente indagine dell'Esercito sono stati effettuati carotaggi e analisi chimiche su campioni di terreno prelevati in superficie e in profondità, evidenziando, così come nel lago, concentrazioni di arsenico superiori ai limiti di legge»;
          il Ministro della difesa pro tempore, Ignazio La Russa, manifestava nella relativa risposta al sopraccitato atto l'interessamento del Ministero della difesa ad approfondire, di concerto con l'Ispra e l'Arpa Lazio, il tema e prendeva di fatto l'impegno di «provvedere (da parte della Difesa, ndr) sia alla rimozione delle masse ferrose interrate che alla successiva caratterizzazione e bonifica dell'area»  –:
          quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati predisporre un aggiornamento delle attività di bonifica per i siti individuati dal dicastero della difesa, indicandone stato dell'arte, e se la lista dei siti già nota sia definitiva; se inoltre non ritenga opportuno rimuovere il vincolo di area militare dai siti di bonifica, coinvolgendo nelle attività di bonifica che gli istituti specializzati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del mare; se il Ministro della salute, di concerto con quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non intenda condurre un'indagine epidemiologica per analizzare le conseguenze della contaminazione proveniente dagli ordigni chimici e valutare possibili impatti sull'ambiente e sulla fauna, a partire da quanto già fatto dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale nel basso adriatico. (4-15092)

      Risposta. — La bonifica di ordigni esplosivi/residuati bellici è regolata dall'articolo 22 del Codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 24 febbraio 2012, n.  20.
      Per quanto riguarda la «bonifica sistematica» (ricerca e individuazione di ordigni esplosivi/residuati bellici interrati) la Difesa, attraverso la Direzione generale dei lavori e del demanio:
          provvede all'organizzazione del servizio e alla formazione del personale specializzato;
          esercita le funzioni di vigilanza sull'attività di ricerca e scoprimento di ordigni che possono essere eseguite su iniziativa e a spese dei soggetti interessati, mediante ditte che impiegano personale specializzato, e, a tal fine, emana le prescrizioni tecniche e sorveglia l'esecuzione delle attività.

      La Difesa, inoltre, su richiesta delle Prefetture, può fornire concorso per attività di ricerca con reparti specializzati.
      In caso di rinvenimento di ordigni bellici, invece, rientrano nelle competenze della Difesa le operazioni di disinnesco/brillamento, dette anche di «bonifica occasionale», condotte da personale militare specializzato che opera, anche in questi casi, in forma concorsuale, sotto il coordinamento delle Prefetture competenti.
      In particolare, la Difesa provvede tramite il centro tecnico logistico interforze (ce.t.l.i.) alla distruzione degli ordigni a caricamento chimico eventualmente rinvenuti.
      Più in generale il ce.t.l.i. opera per dare attuazione agli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia sulla distruzione delle armi chimiche; il centro può contare fino al 2023 su un finanziamento annuale di circa 1,5 milioni di euro (legge n.  99 del 23 luglio 2009) e, in relazione alle sue potenzialità tecniche, è in grado di distruggere circa 1.500 ordigni l'anno.
      Passando ora alla situazione del lago di Vico, tengo a sottolineare che la Difesa si era attivata fin dal 1994, avviando un'indagine di superficie, in linea con le norme vigenti in materia ambientale, ben in anticipo rispetto alle sollecitazioni delle Amministrazioni locali.
      Alla fine del 2010 l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) del Lazio si è aggiudicata il contratto per la redazione e l'esecuzione operativa del piano di caratterizzazione del sito dell’ex magazzino materiali per la difesa nucleare, batteriologica, chimica di Ronciglione.
      Il piano approntato dall'Arpa è stato approvato il 19 ottobre 2011, in sede di Conferenza dei servizi, con l'intervento di rappresentanti della Regione Lazio, della provincia e della prefettura di Viterbo, dei comuni di Ronciglione e di Caprarola, nonché dell'Arpa del Lazio. A seguire sono già state avviate sia le attività della prima fase – tuttora in corso – che quelle tecnico-amministrative connesse con la seconda fase dell'intervento.
      È il caso di precisare, tuttavia, che il superamento del valore soglia per l'arsenico, di poche parti per milione, riscontrato presso l’ex sito militare non può giustificare l'alta concentrazione rinvenuta nel sedime a centro lago, dove sono state rinvenute anche alte concentrazioni di nickel e cadmio che, sicuramente, non hanno alcuna relazione con le attività militari. Pertanto, la fonte di contaminazione deve essere ricercata altrove.
      Per quanto concerne le aree marittime, la Difesa ha sempre avuto riguardo per la salvaguardia del relativo ecosistema, anche con riferimento alla bonifica dall'eventuale presenza di ordigni.
      Si tratta di un'attività che ha impegnato le Forze amate fin dal primo dopoguerra e che, tra il 1945 e il 1950, ha portato al recupero e alla neutralizzazione di 9.345 tra «fusti e bombe ad aggressivi chimici», come riportato dalla documentazione concernente l’«Attività di dragaggio e sminamento eseguita dalla Marina militare».
      A questa documentazione sono accluse alcune rappresentazioni grafiche che individuano le aree marittime antistanti la città di Pesaro interessate dall'attività.
      Non risulta, invece, alcuna testimonianza di rinvenimenti, in epoca recente, di ordigni bellici con caricamento all'iprite nelle acque antistanti il litorale marchigiano-romagnolo.
      Oggi la Marina militare continua a svolgere attività concorsuale per la bonifica del porto di Molfetta nell'ambito dell’«Accordo di programma per la caratterizzazione e la bonifica da ordigni bellici... del Basso Adriatico» (sottoscritto tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Puglia, comune di Molfetta ed altri enti interessati e in base al quale sono stati stanziati i fondi necessari), al quale fanno riferimento il «Protocollo d'intesa» del settembre 2008 e la «Convenzione di permuta» del settembre 2009 che regolano i rapporti fra le parti.
      Quanto alla bonifica di Torre Gavetone (sul litorale tra Molfetta e Giovinazzo), tra il 1996 e il 2001 la Forza armata, su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della protezione civile, ha recuperato e distrutto 89.167 ordigni, di cui 324 a caricamento speciale.
      Per quanto riguarda il golfo di Napoli, la Marina militare ha effettuato la bonifica di numerosi ordigni bellici, inclusi quelli caricati ad ordigni bellici, negli anni immediatamente successivi alla fine del 2° conflitto mondiale; nell'ambito dell'operazione denominata «Baccoli 04», svoltasi nel periodo dal 5 al 17 giugno 2004, assetti della Marina hanno operato proprio nel Golfo di Napoli, in località Bocca Piccola, tra Punta Baccoli e l'isola di Capri, rinvenendo numerosi ordigni bellici.
      Quanto, poi, ai tratti di mare monitorati, si ribadisce che la competenza a disporre monitoraggi e bonifiche sistematiche non rientra nei compiti istituzionali della Difesa.
      Con riferimento all'opportunità di «rimuovere il vincolo di area militare dai siti di bonifica», l'eventuale appartenenza di aree da bonificare al demanio militare, in presenza di idonee risorse finanziarie, non è motivo di allungamento dei tempi necessari al loro recupero (mentre, peraltro, potrebbe esserlo una cessione di tali aree al patrimonio degli Enti locali territoriali, al di fuori del processo di valorizzazione già avviato).
      Si soggiunge, in ultimo, che l'istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale (Ispra) ha chiarito che la bonifica delle cosiddette «aree di affondamento» di ordigni costituisce una problematica di difficile soluzione per motivi di carattere sia tecnico che economico, in quanto:
          l'affondamento di residuati bellici, dopo il secondo conflitto mondiale – così come in altre parti del mondo – è spesso avvenuto, per minimizzare i costi, in fondali non ufficialmente segnalati e non in quelli prescritti;
          l'attività della pesca a strascico, protrattasi nei decenni, ha determinato una consistente estensione delle aree «a rischio», poiché, a seguito di eventi di raccolta accidentale, i residuati bellici sono stati successivamente riaffondati in aree prima sgombre;
          i residuati bellici a caricamento chimico si trovano in uno stato di conservazione pessimo, a seguito della prolungata azione della corrosione marina; ciò determina ulteriori difficoltà di rimozione ed elevati rischi per gli operatori, oltre a richiedere l'impiego di mezzi tecnologicamente avanzati, con conseguente aumento dei costi.

      L'ISPRA ha, inoltre, specificato che, fra le iniziative volte a minimizzare il rischio per gli ambienti marini e per chi opera in mare, potrebbe essere presa in considerazione la costituzione di un gruppo di esperti ad hoc, con il compito di stabilire priorità e modalità di intervento (prospezione, indagini ambientali e bonifica necessarie) per affrontare la complessa problematica.
      In conclusione, nel ribadire che la ricerca e la neutralizzazione su terra e in mare di ordigni esplosivi rientrano nelle attività di tipo concorsuale – che esulano dai compiti prioritari delle Forze armate e sono condotte su richiesta dei Dicasteri/Autorità competenti (sui quali ricadono gli oneri di spesa) – si conferma la disponibilità della Difesa a valutare con la massima attenzione le richieste di intervento.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      SARDELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 16 marzo 2009, su disposizione Prefettizia, i 194 ospiti del Centro di prima accoglienza di Brindisi-contrada Restinco sono stati trasferiti presso il centro di Foggia-Borgo Mezz'anone, al fine di trasformare il centro di accoglienza sito in Brindisi-contrada Restinco in Centro di identificazione ed espulsione;
          il Centro di Brindisi non è assolutamente idoneo a svolgere funzioni di Centro di identificazione ed espulsione;
          circa 60 lavoratori impiegati nel centro non possono essere impegnati nelle mansioni finora espletate  –:
          quale intendimento abbia codesto Ministero rispetto alla funzione che dovrà svolgere il Centro di accoglienza di Brindisi;
          se non si intenda prevedere al più presto un intervento di ristrutturazione del centro stesso in vista di un diverso impiego;
          in quale maniera si vogliano utilizzare le competenze e le professionalità operanti nei Centro di Brindisi alla luce della recente aggiudicazione di una gara per la gestione triennale del Centro stesso;
          se non si ritenga utile riaffidare al Centro di Brindisi una funzione di accoglienza e formazione dei migranti considerando che gli altri Centri di accoglienza sono, da questo punto di vista, assolutamente insufficienti. (4-02596)

      Risposta. — La struttura sita in località Restinco nei pressi di Brindisi, con decreto del 26 maggio 2009 del Ministero dell'interno, è stata individuata in parte come centro di accoglienza per i richiedenti asilo (Cara), e in parte come centro di identificazione ed espulsione (Cie).
      Nel corso del 2011 il Cie è stato oggetto di frequenti disordini, e tentativi di fuga, che hanno provocato ingenti danni, per i quali sono stati necessari immediati ed onerosi interventi di ripristino.
      In tale contesto, per far fronte in modo più efficace alle esigenze logistiche e alle criticità strutturali del centro, di recente sono iniziati importanti lavori di ristrutturazione, previa temporanea chiusura della struttura che risulta vuota dal 29 maggio 2012.
      I lavori consentiranno di poter disporre di un centro completamente riammodernato, presumibilmente entro l'inizio del 2013.
      La condizione di vivibilità in tali strutture costituisce un aspetto al quale viene dedicata una particolare considerazione dal parte del Ministero dell'interno. Gli
standard dei servizi qualitativi e quantitativi da erogare devono, infatti, corrispondere a un capitolato unico d'appalto e tendere a garantire, secondo il principio di uguaglianza, l'assoluto rispetto delle diverse appartenenze culturali, etniche e linguistiche, e delle credenze religiose.
      Inoltre, per salvaguardare i livelli essenziali delle prestazioni e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri, le Prefetture svolgono una costante attività di monitoraggio e controllo sulla corretta gestione dei centri e sulla conformità dei servizi offerti dall'ente gestore ai parametri prescritti.
      Il progetto Praesidium, attuato in collaborazione con le principali organizzazioni internazionali che si occupano dei problemi dell'immigrazione, consente di svolgere attività di supporto agli ospiti dei centri e di monitorare le condizioni di accoglienza. La gestione dei centri continuerà ad essere seguita con la massima attenzione, affinché sia garantita una dignitosa permanenza nelle strutture, nel rispetto delle condizioni di particolare fragilità in cui si trovano gli stranieri ospitati.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      SBROLLINI e ZAMPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          le adozioni sono uno strumento utile a garantire in primo luogo una vita serena e positiva ai troppi bambini che si trovano nella condizione di affido per i motivi più diversi;
          le adozioni internazionali sono uno strumento importante che va tutelato, incentivato e controllato;
          troppe volte si sentono notizie terribili che coinvolgono minori che purtroppo cadono in «giri pericolosi» gestiti da organizzazione senza scrupoli;
          da alcune settimane si sono perse le tracce di 3 bambini di nome: Teferech, Yemareshet, Alemu;
          si tratta di 3 bambini, già affidati a famiglie adottive italiane che stavano concludendo il percorso di adozione;
          sembrerebbe che questi bambini siano stati riportati nei luoghi di nascita in Etiopia;
          da quel momento si sono persi i contatti e le tracce; assieme a questi 3 bimbi altri 23 hanno subito lo stesso trattamento, bambini che erano nei fatti già affidati a famiglie di diversi Paesi;
          questi bambini, erano seguiti dall'AIAU, associazione con sede a Firenze, ma non è stato possibile, per quanto consta all'interrogante, acquisire dalla stessa, spiegazioni e addirittura risulta difficilissimo contattarne i referenti;
          si esprime la più totale preoccupazione per la sorte di questi piccoli, di cui nessuno sembra aver più traccia o contatto. Le famiglie assegnatarie vivono momenti di angoscia per la sorte dei piccoli bambini  –:
          se si intendano attivare tutti i canali possibili per poter recuperare informazioni utili al ritrovamento dei piccoli e per capire l'anomala interruzione del processo di adozione;
          se si intendano attivare le strutture diplomatiche al fine di giungere in tempi rapidi alla soluzione di un dramma che non può continuare oltre. (4-14187)

      Risposta. — L'interrogazione in esame richiama l'attenzione del Governo su alcune delicate situazioni che, purtroppo, in taluni casi si possono verificare nel corso delle procedure di adozione internazionale e che necessitano di scrupolosa vigilanza da parte degli organismi coinvolti.
      La vicenda segnalata dall'interrogante riguardava la sorte di tre bambini etiopi affidati in adozione in Italia e seguiti dall'associazione Aiau, con sede a Firenze, dei quali sarebbero state perse le tracce e per la cui sorte l'interrogante aveva espresso, a suo tempo, preoccupazione.
      L'interrogazione si riferiva alle conseguenze della chiusura, avvenuta nell'agosto 2011, di alcune succursali in Addis Abeba di orfanotrofi aventi base negli Stati dell'Etiopia del Sud.
      Tale chiusura, sulle cui effettive cause non si hanno notizie certe, ha comportato lo spostamento dei minori ospitati nelle sedi principali degli orfanotrofi, nel sud del Paese.
      La vicenda segnalata ha pregiudicato soprattutto un numero consistente di famiglie americane e, per quanto concerne l'Italia, tre bambini (Terfech Aster, Yemarshet Asefach e Alemu Mekonnen), per i quali erano in corso le procedure di adozione internazionale promosse, rispettivamente, dalle famiglie italiane Galli-Bianchi, Pilon-Adami e Guraggi-Orlando.
      Dalle notizie ora ricevute dal Ministero degli affari esteri, risulta che il responsabile dell'ente Aiau aveva, a suo tempo, riferito alla nostra ambasciata che i tre minori sarebbero stati trasferiti dall'orfanotrofio di Addis Abeba all'orfanotrofio
«Children Cross Connection» di Awassa, dove sarebbero rimasti in condizioni di buona salute.
      Tale trasferimento sarebbe avvenuto nei giorni precedenti alle udienze per il rilascio del consenso necessario al completamento dell’
iter di adozione ma, alla luce del predetto trasferimento, la corte federale di Addis Abeba avrebbe deciso il rinvio di tali udienze. La nostra ambasciata, tuttavia, aveva formalmente sollecitato le competenti autorità locali ai fini di una tempestiva ripresa degli iter di adozione relativi ai tre minori in questione.
      In merito alla vicenda risulta, inoltre, che la Commissione per le adozioni internazionali ha tenuto costanti contatti con autorità americane che gestivano analoga situazione che coinvolgeva, tuttavia, un numero di minori di gran lunga superiore. Assiduo, come detto, è stato anche l'interessamento dell'Ambasciata d'Italia ad Addis Abeba che si è attivata direttamente presso il Ministero degli affari esteri etiope e il Ministero delle donne (Mowa) che ha competenze in materia di adozioni internazionali.
      Per diversi mesi le autorità etiopi competenti, sia nella capitale che negli Stati del Sud, hanno rinviato le decisioni, finché, nel febbraio 2012, è stata comunicata direttamente ai collaboratori locali dell'ente Aiau la determinazione finale di revocare l'adottabilità dei tre bambini abbinati alle coppie italiane.
      L'ente ha comunque posto immediatamente in essere tutte le attività necessarie per riattivare le procedure di adozione delle tre coppie, proponendo nuovi abbinamenti e, dalle informazioni acquisite dalla Commissione per le adozioni internazionali, risulta che tali nuove procedure di adozione si sono, di recente, positivamente concluse.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      TASSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da tempo è insorta una controversia tra il comune di Cittanova (Reggio Calabria) e il Ministero dell'interno, dipartimento affari interni, a causa del diniego del dipartimento ministeriale alla richiesta del comune di rideterminazione degli oneri sostenuti per il personale A.T.A. (a seguito del passaggio allo Stato) da portare in riduzione dei trasferimenti erariali;
          l'istanza avanzata dall'ente comunale era intesa ad ottenere la rettifica della certificazione prodotta, in applicazione della legge 3 maggio 1999, n.  124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), e dei decreti attuativi in materia di personale ATA;
          al fine di ottenere l'annullamento dell'istanza di rigetto ministeriale, il comune si è visto costretto a presentare ricorso al TAR del Lazio, imputando all'atto in questione un'illegittimità tale da renderlo nullo;
          pur nel riconoscimento, da parte del Ministero, della giustezza e fondatezza della richiesta avanzata dal comune di Cittanova, esso ha tuttavia ritenuto opportuno respingerla, adducendo l'intervenuta prescrizione del diritto, in quanto l'istanza sarebbe stata depositata oltre il termine del 31 marzo 2010;
          il comune di Cittanova ritiene però che il rigetto dell'istanza debba ritenersi del tutto infondato, in quanto le norme in materia, pur avendo indicato i termini per la trasmissione della documentazione, non precludono successive rettifiche, né pongono dei termini a dette rettifiche;
          peraltro, si esprimono forti dubbi sulla possibilità che una amministrazione statale possa opporre ad altra amministrazione pubblica la prescrizione di una richiesta fondata e legittima, senza incorrere a una violazione dei principi costituzionali;
          appare quindi notevolmente dubbia la tesi sostenuta nell'atto impugnato, anche considerato che, se fosse vero che il diritto si prescrive con il decorso del termine decennale, questo potrebbe valere solo per l'anno 2000 e non per gli anni successivi, per i quali le somme richieste dovrebbero comunque continuare ad essere corrisposte  –:
          quali iniziative ritenga di assumere per agevolare il raggiungimento di una rapida soluzione anche in vista del giudizio avviato dal comune, per cui, comunque, non è ancora stata fissata l'udienza per la trattazione del ricorso. (4-15027)

      Risposta. — La legge n.  124 del 1999 ha stabilito che il personale Ata (amministrativo tecnico e ausiliario), già dipendente degli enti locali ed in servizio presso le istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della predetta legge, venisse inquadrato nei corrispondenti profili professionali presso il Ministero della pubblica istruzione.
      A tale nuovo inquadramento conseguiva la riduzione dei trasferimenti erariali nella misura pari alle spese del personale in questione comunque sostenute dagli enti locali nell'anno finanziario precedente a quello dell'effettivo trasferimento.
      Con i successivi regolamenti di attuazione della predetta legge sono state stabilite le modalità applicative relative alle caratteristiche ed alla tempistica della certificazione da produrre al Ministero dell'interno circa gli emolumenti spettanti al predetto personale.
      In particolare il termine per la presentazione della certificazione è stato fissato al 31 marzo 2000, in applicazione della già citata legge n.  124 del 1999 e del relativo decreto ministeriale 16 ottobre 1999. Per quanto riguarda, invece, la presentazione di eventuali istanze di rettifica alla certificazione prodotta, il Ministero dell'interno ha ritenuto applicabile il termine di prescrizione decennale, considerando dunque acquisibili solo le istanze di rettifica prodotte entro la data del 31 marzo 2010.
      In virtù di tale quadro normativo e regolamentare, il 21 marzo 2011 la Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno ha rigettato l'istanza del comune di Cittanova di rettifica della certificazione precedentemente prodotta, perché presentata solo in data 1o giugno 2010.
      Peraltro, stante il ripetuto verificarsi della presentazione ultradecennale della prescritta documentazione da parte di diversi comuni, il Ministero dell'interno ha ritenuto opportuno richiedere un parere all'Avvocatura generale dello Stato, circa la effettiva sussistenza di un termine di prescrizione entro cui acquisire la documentazione in questione.
      Con parere del 27 dicembre 2010, l'Avvocatura generale dello Stato, nel confermare che «In base alla normativa sopra richiamata tale certificazione andava presentata entro il termine (di decadenza) di cui al decreto attuativo (31 marzo 2000)», ha affermato che «Codesta Amministrazione ha correttamente ritenute prescritte le istanze pervenute oltre il termine (cautelativo), decennale di prescrizione (31 marzo 2010) non sembrando individuabile, nella fattispecie, un termine prescrizionale breve».
      Tale interpretazione, peraltro, appare pienamente conforme con il principio generale secondo il quale ogni previsione di legge che assegna benefìci finanziari agli enti locali è sempre vincolata ad un termine, sia esso di decadenza o di prescrizione.
      Alla luce delle suesposte considerazioni il Ministero dell'interno continua a ritenere inammissibili tutte le istanze presentate oltre il termine del 31 marzo 2010.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio centrale di rappresentanza, sezione carabinieri, con un comunicato del 26 ottobre 2011, ore 10:00, pubblicato sul sito web dell'Arma, in cui, tra le altre, si legge «[...] Al Ministro La Russa (sindacalista) il Co.Ce.R. chiede di fondare assieme il primo sindacato dei carabinieri e, forse questo potrà essergli d'aiuto per avere maggiore ascolto anche in sede governativa.[...]»;
          è evidente che l'organismo di rappresentanza abbia finalmente deciso di fare proprie le richieste di sindacalizzazione che il Partito per la tutela dei diritti di militari e Forze di polizia (Pdm), fin dalla sua costituzione avvenuta il 15 luglio del 2009, ha fermamente rappresentato pubblicamente, e nelle sedi parlamentari tramite gli interroganti con numerosi ordini del giorno accolti dal Governo;
          il Cocer dell'Arma ha finalmente fortemente criticato l'azione politica attuata dal Governo sui temi della difesa e della sicurezza, unendosi all'ampio coro degli altri Consigli centrali, intermedi e di base della rappresentanza militare, giungendo ad affermare che «Alle parole devono seguire i fatti e, se dobbiamo affrontare il problema del contenimento delle spese allora si deve iniziare dai comandi che non hanno un ruolo operativo (strutture di vertice) e non dai reparti territoriali ovvero da chi diuturnamente è impegnato nel “fare sicurezza”»;
          è noto che il Ministro della difesa è sempre stato particolarmente vicino alle posizioni espresse dal Cocer dei carabinieri e in particolare alle necessità e alle richieste di alcuni delegati anche, ad avviso degli interroganti, in modo inopportuno quando queste hanno meritato le diverse attenzioni delle autorità giudiziarie;
          rispondendo a giudizio degli interroganti in modo solamente parziale all'interrogazione n. 4-03377, ha dichiarato che le rappresentanze militari hanno avuto un costo di 5.257.925 euro, per quanto concerne i soli oneri di missione nell'ultimo esercizio finanziario  –:
          se non ritenga di dover accogliere immediatamente la richiesta del Cocer dei carabinieri al fine di soddisfare le legittime aspettative del personale dell'Arma e nel contempo recuperare importanti risorse economiche da destinare al bilancio dello Stato. (4-13759)

      Risposta. — Con riferimento ai quesiti relativi al contenimento delle spese della rappresentanza militare, si precisa che il Dicastero ha risposto in modo esaustivo ed integrale non solo all'interrogazione n.  4-03377, citata nell'atto, ma anche alle interrogazioni n.  4-03712 e n.  4-04614, a firma dello stesso interrogante, a cui si è fornito riscontro, rispettivamente, in data 12 settembre 2011, 16 febbraio 2010 e 10 gennaio 2012.
      Con quelle risposte, infatti, proprio con riferimento ai costi relativi al funzionamento della rappresentanza militare, era stato sottolineato come il Dicastero fosse impegnato, da tempo, nella ricerca di soluzioni che potessero garantire, da un lato, la sostenibilità delle spese di missione dei delegati del Consiglio centrale di rappresentanza e, dall'altro, il pieno funzionamento dell'istituto.
      Era anche stato osservato come, in un clima generale di contenimento della spesa pubblica, il Dicastero non potesse prescindere dal mantenere un atteggiamento prudente improntato a ricondurre, entro limiti sostenibili, anche le spese relative al funzionamento della rappresentanza militare.
      Con riferimento, invece, all'altra questione evidenziata nell'interrogazione in esame e relativa alla possibilità «di accogliere immediatamente la richiesta del Cocer dei Carabinieri al fine di soddisfare le legittime aspettative del personale dell'Arma», circa l'estensione ai militari del pieno godimento dei diritti associativi e sindacali, si osserva, come già affermato in risposta a numerosi atti di sindacato ispettivo, che le restrizioni per il personale militare sono previste dall'articolo 1475 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, oltre ad essere costituzionalmente legittime.
      Infatti, la Corte Costituzionale, con sentenza n.  449 del 1999, ha sancito la legittimità di tali restrizioni, sostenendo con peculiari osservazioni che: «Se è fuori discussione, infatti, il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, che loro competono al pari degli altri cittadini della Repubblica, è pur vero che in questa materia non si deve considerare soltanto il rapporto di impiego del militare con la sua amministrazione e, quindi, l'insieme dei diritti e dei doveri che lo contraddistinguono e delle garanzie (anche di ordine giurisdizionale) apprestate dall'ordinamento. Qui rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (articolo 52, primo e secondo comma, della Costituzione)».
      Quindi, il giudice costituzionale ha ritenuto che l'assoluta specialità della funzione svolta dalle Forze armate, la tipicità di tale organizzazione, la coesione interna, la massima operatività e neutralità della stessa, potessero garantire il rispetto delle prescrizioni contenute nell'articolo 52 della Costituzione in tema di dovere del cittadino di difesa della Patria.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con l'entrata in vigore del decreto ministeriale 22 giugno 2011, attuativo del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2010, n.  270, riguardante il riordino della struttura del segretariato generale della difesa, dal 31 dicembre 2011 presso il Ministero della difesa è stata resa operativa la soppressione della direzione generale della sanità militare. Conseguentemente, sono state soppresse tutte le posizioni dirigenziali civili attestate presso la citata direzione generale, ivi compreso quella concernente l'incarico di vice direttore generale ivi attribuita dal 27 aprile 2009 al dottor Cataldo Bongermino, dirigente di spicco del ruolo dei dirigenti civili della difesa;
          il decreto ministeriale del 12 aprile 2011 con il quale il Ministro della difesa ha inteso emanare i criteri per il conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale non generale, afferma testualmente al punto 3 dell'articolo 7, che «[...] tenuto conto del diritto dei dirigenti ad un incarico, il Direttore Generale per il Personale Civile, d'intesa con il Segretario Generale, provvede alla designazione dei dirigenti privi di incarico fra i posti di funzione rimasti vacanti, tenendo conto, ove possibile, di eventuali preferenze espresse dal dirigente interessate»;
          nonostante la disponibilità a ricoprire un nuovo incarico manifestata dal predetto dirigente con numerose richieste inoltrate già a cominciare dall'aprile 2011, inspiegabilmente la direzione generale per il personale civile, con tutte le relative procedure di interpello (n.  3) esperite nel corso dell'anno passato, ha ritenuto di non assegnare allo stesso nessuno degli ottantotto posti di funzione dirigenziale non generale vacanti, in corso di ricopertura presso il Ministero della difesa, disattendendo la fondamentale disposizione recata dal citato decreto ministeriale 12 aprile 2011;

          agli interroganti la vicenda — sotto il profilo dell'interesse pubblico — appare assurda e sconcertante ove si consideri, non solo per i numerosi incarichi dirigenziali vacanti come sopradetto, ma anche per la grave carenza di personale dirigenziale esistente presso l'Amministrazione Difesa che determina, fra l'altro, il temporaneo conferimento di incarichi dirigenziali a personale non dirigente, anche esterno, ai sensi dell'articolo 19 comma 6 del decreto legislativo n.  165 del 2001;
          la mancata attribuzione di nuovo incarico al dirigente Bongermino, attualmente privo di posto ed inoperoso, oltre a determinare danni all'erario, potrebbe configurare, secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, anche ipotesi di demansionamento professionale suscettibile di risarcimento di danno patrimoniale, e non, a carico dell'amministrazione;
          è indispensabile ripristinare, nell'ambito del Ministero della difesa, le condizioni di assoluta correttezza e legalità che consentano di prevenire sicuri contenziosi con concrete possibilità di soccombenza per l'amministrazione  –:
          quali siano i criteri in base ai quali sono conferiti gli incarichi dirigenziali non generali vacanti presso il Ministero della difesa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di evitare che si verifichino episodi come quello di cui in premessa. (4-14510)

      Risposta. — Si evidenzia, in premessa, che la procedura di interpello – contenente la disponibilità di posti dirigenziali in ambito Difesa segnalata dall'interrogante (88 posti) – è stata avviata dalla Direzione generale per il personale civile sin dall'agosto 2011, quando il dirigente menzionato nell'atto era comunque incardinato nelle proprie funzioni di Vice Direttore generale della Direzione generale della sanità militare (5a fascia retributiva) che, peraltro, ha continuato a esercitare fino a tutto il 31 gennaio 2012, data di cessazione dell'operatività della soppressa Direzione generale.
      Si precisa, inoltre, che la quasi totalità della predetta disponibilità di posti messi a interpello, alla pari peraltro di quelli oggetto di successive procedure di interpello bandite nella restante parte del 2011 e nella prima metà del 2012, fa riferimento a posizioni dirigenziali di 3a e di 4a fascia retributiva.
      Peraltro, a carattere generale, si rappresenta che il conferimento degli incarichi dirigenziali non generali, avviene tenendo conto delle vigenti disposizioni normative e contrattuali, nonché del decreto ministeriale 12 aprile 2011, recante criteri per il conferimento, mutamento e revoca degli incarichi stessi.
      Avuto riguardo, poi, all'asserzione dell'interrogante circa la grave carenza di personale dirigenziale esistente presso la Difesa, si osserva che non corrisponde all'attuale situazione, ed a quella che si verrà a creare nell'ambito del Dicastero.
      Ciò in quanto, l'organico dei dirigenti civili, a seguito delle varie manovre finanziarie, ha subito costanti e sensibili riduzioni.
      Da ultimo, in attuazione del decreto legge n.  138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  148 del 2011, la dotazione organica dei dirigenti di seconda fascia è stata rideterminata in sole 133 unità complessive, cui si dovrà applicare la riduzione del 20 per cento ai sensi del decreto-legge n.  95 del 2012 (cosiddetta
spending review).
      È ragionevole ritenere, a conclusione di siffatti interventi, che difficilmente potranno sussistere carenze di una qualche entità.
      Parimenti, il lamentato ricorso a personale non dirigenziale per ripianare, sulla base di quanto previsto dall'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n.  165 del 2001, posizioni dirigenziali vacanti, non riveste assolutamente, né tanto meno lo rivestirà nel prossimo futuro, il carattere di strumento normale per fronteggiare le carenze come lascia intendere l'interrogante.
      Al contrario, tale strumento presenta consistenza del tutto marginale rispetto al numero complessivo dei posti di funzione dirigenziali non generali previsti in ambito Difesa, anche in ragione dell'aliquota – normativamente prefissata e puntualmente rispettata – di posti conferibili ai sensi della citata norma.
      Si rende noto, infine, che il Dicastero, sulla base delle vigenti disposizioni in materia, ha poi conferito all'interessato adeguato incarico dirigenziale di 5a fascia presso l'Ufficio generale della Sanità militare.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si rinvengono iniziative di competenza da porre in essere.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          al riordino della normativa sull'ordinamento militare il legislatore ha proceduto ai sensi dell'articolo 14 della legge n.  246 del 2005 che ha previsto una complessa procedura di semplificazione e riordino della normativa previgente;
          il comma 14 del citato articolo 14 ha previsto l'adozione, entro il 16 dicembre 2009, di decreti legislativi volti ad individuare le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, con la conseguente abrogazione generalizzata della restante legislazione a decorrere dal 16 dicembre 2010;
          il preambolo del decreto legislativo n.  66 richiama l'articolo 14, commi 14, 15 e 22. Il comma 22 prevede un meccanismo di scorrimento della delega, qualora il termine di trenta giorni previsto per il parere della Commissione cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal medesimo articolo 14, cioè nei trenta giorni precedenti il 16 dicembre 2009. Nel caso di specie, il termine per l'espressione del parere scadeva il 14 gennaio 2010 in quanto lo schema è stato assegnato alla Commissione parlamentare per la semplificazione il 15 dicembre;
          l'articolo 76 della Costituzione afferma che «l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti»;
          occorre osservare che la legge 23 agosto 1988, n.  400, articolo 14 recita che:
              a) i decreti legislativi adottati dal Governo ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione sono emanati dal Presidente della Repubblica con la denominazione di «decreto legislativo» e con l'indicazione, nel preambolo, della legge di delegazione, della deliberazione del Consiglio dei ministri e degli altri adempimenti del procedimento prescritti dalla legge di delegazione;
              b) l'emanazione del decreto legislativo deve avvenire entro il termine fissato dalla legge di delegazione; il testo del decreto legislativo adottato dal Governo è trasmesso al Presidente della Repubblica, per la emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza;
          la legge 28 novembre 2005, n.  246, articolo 14, comma 22, ultimo periodo, stabilisce che «Se il termine previsto per il parere della Commissione cade nei trenta giorni che precedono la scadenza di uno dei termini previsti dai commi 14, 14-quater, 15, 18 e 18-bis, la scadenza medesima è prorogata di novanta giorni»;
          il Governo, quindi, investito della funzione legislativa, dovrà sempre rispettare il dettato dell'articolo 76 della Costituzione e le indicazioni contenute nella legge delega;
          nel caso specifico della legge n.  246 del 2005, il Governo avrebbe dovuto adottare i decreti legislativi di cui alla delega nel termine di ventiquattro mesi, a far data dal 16 dicembre 2007;
          nel testo di legge, come detto, è però fatta salva la possibilità di una proroga, laddove «il termine previsto per il parere della Commissione cade nei trenta giorni che precedono la scadenza di uno dei termini previsti dai commi 14, 14-quater, 15, 18 e 18-bis, [...]». Termine coincidente – per quanto sopra – con il giorno 16 dicembre 2009;
          a norma di legge, per aversi la proroga, lo schema di decreto avrebbe dovuto essere trasmesso alla Commissione, per il richiesto parere, entro la data ultima del 17 novembre 2009. In tal modo il termine di trenta giorni a disposizione della Commissione per l'espressione del richiesto parere sarebbe venuto a scadere il 16 dicembre 2009, data ultima per l'adozione del decreto legislativo. In tale caso il Governo avrebbe avuto diritto alla proroga di ulteriori tre mesi (legge n.  246 del 2005, articolo 14, comma 22, ultimo periodo);
          in tema di limiti temporali concessi al Governo per l'emanazione dei decreti legislativi, la Corte Costituzionale, con sentenza n.  184 del 10 dicembre 1981, ha avuto modo di osservare che «tale esercizio deve ritenersi completato con la emanazione del provvedimento legislativo, rispetto alla quale la successiva pubblicazione rappresenta condizione di efficacia e non di requisito di validità» con ciò affermando senza possibilità di equivoci che, in ogni caso, affinché il termine previsto nella legge delega sia rispettato, il decreto legislativo deve, in ogni caso, essere emanato nel medesimo termine;
          la questione è stata affrontata, dal giudice delle leggi, in altra risalente pronuncia (sentenza 6 dicembre 1963, n.  163, cui si rimanda per l'integrale lettura) laddove il supremo consesso, nel ritenere non necessaria l'indicazione, nella legge delega, di una data specifica per l'emanazione dei decreti legislativi, al fine del rispetto dell'articolo 76 della Costituzione, ha comunque ritenuto che «valida prefissione vi sia quando, come nella specie, il dies a quo sia fatto coincidere con la data di entrata in vigore della legge di delegazione». Ugualmente certo è però che, allorquando si adotti un tale criterio di determinazione, debba esigersi un rigoroso adempimento dell'obbligo, imposto al potere esecutivo dall'articolo 73 della Costituzione, di procedere alle operazioni necessarie a rendere efficace la legge medesima subito dopo che sia intervenuta la promulgazione, senza altro indugio oltre quello richiesto dall'espletamento delle attività materiali necessarie per la pubblicazione. Se altrimenti si ritenesse l'esercizio della funzione delegata non risulterebbe più limitata al tempo stabilito dal legislatore, come prescrive il citato articolo 76, ma prolungabile ad arbitrio dell'organo cui è affidato l'esercizio stesso.»;
          in particolare, circa le sanzioni conseguenti all'inosservanza dei termini stabiliti con legge delega, seppure circa un caso diverso, si legge il seguente principio di diritto, ad avviso di chi scrive valido per la presente fattispecie: «l'arbitrario ritardo interposto per la pubblicazione della legge delegante, quando abbia per effetto l'emanazione del decreto legislativo al di là dei limiti temporali stabiliti dalla legge delegante con riferimento alla data della propria entrata in vigore, non può non importare l'invalidità del decreto medesimo»;
          in conclusione il Governo ha inviato lo schema di decreto legislativo ben oltre la data ultima del 17 novembre 2009, il cui rispetto avrebbe consentito di godere della proroga di ulteriori 90 giorni per l'adozione del provvedimento finale. In tal caso, infatti (si torna a ripetere) il termine di giorni trenta sarebbe scaduto nei trenta giorni precedenti la scadenza del termine per l'adozione del decreto legislativo in argomento. Ma così non è stato e, peraltro, per quanto noto agli interroganti, il legislatore, perito il termine originario, non ha concesso al Governo ulteriori proroghe;
          il ritardo, pertanto, ha comportato lo spirare del termine originario di ventiquattro mesi, per l'emanazione del decreto legislativo, decorrente dallo spirare del termine di pari durata stabilito dal comma 12 del medesimo articolo 14 della legge n.  246 del 2005, entrata in vigore il 16 dicembre 2005;
          conseguentemente, ad avviso degli interroganti, il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, sarebbe affetto da vizio di incostituzionalità perché adottato oltre il termine per l'esercizio della delega disposta con il cosiddetto taglia leggi (legge n.  246 del 2005);
          consta agli interroganti che nei giorni scorsi, presso un ente del Ministero della difesa sia stato presentato un ricorso avverso una sanzione disciplinare comminata ai sensi del citato codice. Nell'ipotesi di una eventuale prosecuzione del contenzioso amministrativo nella sede giurisdizionale non potrebbe – per quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale – escludersi dichiarazione di illegittimità costituzionale del codice dell'ordinamento militare, con l'effetto che la cessazione dell'efficacia della norma opererebbe ex tunc, travolgendo quindi tutti gli effetti giuridici sorti nel vigore della norma dichiarata incostituzionale, con la sola esclusione di quelli stabilizzati in via definitiva  –:
          quali orientamenti il Governo intenda esprimere in relazione a quanto riportato in premessa e se e quali immediate iniziative intenderà adottare in merito. (4-14670)

      Risposta. — Con l'atto in esame l'interrogante, dopo aver asserito che «il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, sarebbe affetto da vizio di incostituzionalità», chiede «quali orientamenti il Governo intenda esprimere» e «quali immediate iniziative intenda adottare in merito».
      In disparte le pertinenti e alternative conclusioni cui si ritiene di poter pervenire nel merito della interpretazione proposta, attraverso una differente disamina ermeneutica della citata norma, da fondarsi soprattutto su princìpi universalmente riconosciuti di ragionevolezza, economicità e salvaguardia di interessi pubblicistici, si evidenzia che in ogni caso una siffatta problematica è riconducibile ad un contesto procedimentale teso ad un eventuale pronunciamento della Corte costituzionale, per il quale sono legittimati ad agire soggetti portatori di interessi diversi dal Governo.
      In ragione di quanto precede, questo Dicastero, delegato a fornire la presente risposta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ritiene non doversi adottare alcuna iniziativa in merito, essendo allo stato pacificamente «fatto obbligo a chiunque spetti di osservare e fare osservare» il decreto legislativo di cui si tratta.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 11 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n.  1302 convertito con la legge 4 aprile 1935, n.  808 prevede al comma 1 che «Agli ufficiali, ai sottufficiali e primi avieri appartenenti all'Arma aeronautica, ruolo specialisti, nonché agli ufficiali appartenenti al Corpo del genio aeronautico, ruolo assistenti tecnici, è dovuta, qualora abbiano obbligo continuativo di volo, l'indennità di volo di lire 240 mensili», al comma 2 che «Agli avieri scelti appartenenti all'Arma aeronautica, ruolo specialisti, è dovuta, qualora abbiano l'obbligo continuativo, l'indennità di volo di lire 180 mensili», al comma 3 che «Per la corresponsione delle suddette indennità è necessario che il personale indicato nel presente articolo si mantenga in attività di volo ai sensi dell'articolo 3 del presente decreto (...)» e al comma 4 che «Le indennità suddette sono conservate nei casi di inidoneità al volo per infermità e nei limiti previsti dagli articoli 7 ed 8; sono soppresse nei casi di sospensione o di riduzione di assegni di cui all'articolo 5 (...)»;
          l'articolo 7 della legge 17 dicembre 1953, n.  953 ha apportato le seguenti modificazioni «Il primo, secondo e terzo comma dell'articolo 11 delle norme approvate con il regio decreto-legge 20 luglio 1934, n.  1302, convertito, con modificazioni, nella legge 4 aprile 1935, n.  808, quale risulta successivamente modificato, sono abrogati e sostituiti dal seguente: «Ai sottufficiali e graduati di truppa specializzati dell'Aeronautica indicati nell'annessa tabella C è dovuta l'indennità mensile di volo stabilita dalla tabella medesima»;
          l'articolo 9 della legge 27 maggio 1970, n.  365 dispone al comma 1 che «L'indennità mensile di volo spettante, ai sensi dell'articolo 11 delle norme approvate con decreto-legge 20 luglio 1934, n.  1302, e successive modificazioni, ai sottufficiali, primi avieri e avieri scelti a ferma speciale dell'Arma aeronautica, ruolo specialisti, è stabilita nelle misure indicate nell'annessa Tabella III» e al comma 3 che «L'indennità di cui al primo comma del presente articolo è corrisposta, ricorrendo analoga posizione di impiego e con l'osservanza, in quanto applicabili, delle norme approvate con decreto-legge 20 luglio 1934, n.  1302, e successive modificazioni, ai sottufficiali ed ai militari di truppa dell'Esercito e della Marina in possesso del brevetto di specialista aeronautico o di specialista di elicottero e assegnati, per l'attività di volo o ad essa connessa, ai reparti di volo dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, nonché agli organi di comando, addestrativi e logistici preposti all'attività aerea delle singole forze armate e interforze»;
          la legge 23 marzo 1983, n.  78 reca «l'aggiornamento la legge 5 maggio 1976, n.  187, relativa alle indennità operative del personale militare» e all'articolo 6 prevede l'indennità di volo al personale in possesso del brevetto militare di specialista – facente, o non facente, parte degli equipaggi fissi di volo – e all'articolo 13 prevede l'indennità supplementare per pronto intervento aereo ai destinatari degli equipaggi fissi di volo, se impiegati in particolari condizioni operative;
          il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66 all'articolo 2270, comma 1, ha stabilito che «(...) restano in vigore i seguenti atti normativi primari, e le relative successive modificazioni» e individua nell'elenco al punto 4) il «regio decreto legge 20 luglio 1934, n.  1302 e la legge di conversione 4 aprile 1935, n.  808: articoli 3, 7, 9 e 10»;
          l'evoluzione legislativa del citato articolo 11 del regio decreto-legge, ha abrogato l'indennità di volo cosiddetta «generica» e con la richiamata tabella C sin dal 1953, reiterata successivamente con la citata tabella III dal 1970, ha introdotto le dizioni di «facenti parte degli equipaggi fissi di volo» e di «non facenti parte degli equipaggi fissi di volo» ma vi è molto di più del lessico, infatti ha abrogato espressamente per gli ufficiali, per i sottufficiali, per i graduati e per i militari di truppa – facenti, o non facenti, parte degli equipaggi fissi di volo – l'obbligo continuativo di volo e il minimo dei voli. In altri termini la legislazione è stata collimata con la situazione sostanziale, si pensi ad esempio agli «specialisti di aeromobili monoposto» ove il pilota può effettuare regolarmente i voli mentre gli equipaggi di volo sono impossibilitati;
          la circolare del sesto reparto dello Stato maggiore della Marina militare (protocollo n.  6/9537/F/4° del 10 febbraio 2012 ha disposto che «in applicazione dell'articolo 18 della legge 187 del 1976 sono stati determinati i contingenti massimi del personale destinatario dell'indennità di volo e dell'indennità supplementare di pronto intervento aereo per l'anno corrente» in funzione della destinazione ma non dell'impiego effettivo;
          con tale atto amministrativo il personale non incluso nell'elenco dei percettori è solo formalmente escluso dalle attività di volo in quanto, in effetti, lo stesso è impiegato sempre nelle medesime condizioni nell'arco dell'anno, svolgendo la medesima attività di volo e/o l'attività connessa al volo in funzione degli ordini giornalieri di volo e/o di servizio impartiti dai reparti di volo;
          il tenore della citata circolare appare evidentemente elusivo dell'applicazione dell'articolo 17, comma 7, della legge 23 marzo 1983, n.  78, laddove è esplicitata la modalità legale per sospendere o ridurre il trattamento spettante;
          l'interrogazione a risposta scritta 4-14667, ancora priva di risposta nonostante sollecitata, ha già messo in risalto la disamina  –:
          quali immediate azioni intenda porre in essere per dare compiuta attuazione alle norme di legge citate in premessa. (4-15574)

      Risposta. — Rendo noto, in premessa, che in merito all'erogazione dell'indennità mensile di volo e dell'indennità supplementare di pronto intervento aereo, anche per i mesi in cui il personale è formalmente escluso dagli equipaggi fissi di volo, ma sostanzialmente impiegato sempre nelle medesime condizioni nell'arco dell'anno, sono stati proposti alcuni ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, da parte di numerosi specialisti di elicottero della Marina militare, che risultano già conclusi con la ormai definitiva soccombenza dei ricorrenti.
      In ragione di ciò, avendo le dibattute questioni trovato compiuta definizione nell'ambito dei menzionati ricorsi straordinari, intendo richiamare brevemente i pareri espressi dal Consiglio di Stato che, nel respingere le istanze dei ricorrenti, ha sottolineato la differente condizione della partecipazione ad equipaggi fissi di volo rispetto «all'inquadramento in reparti che possono effettuare attività di volo o attività ad essa connesse, ma che non comporta gli oneri ed i vincoli dello
status degli equipaggi fissi di volo e di pronto intervento aereo, anche per esigenze di turno di allarme e di campagna antincendio».
      Il supremo organo di Giustizia amministrativa ha, altresì, evidenziato che «si tratta in altri termini di mansioni analoghe attinenti, però, a due differenti posizioni di impiego».
      Il Consiglio di Stato, in buona sostanza, si è pronunciato nel merito delle questioni oggetto dell'interrogazione in argomento confermando, da un lato, la correttezza dell'operato dell'amministrazione militare e dichiarando, dall'altro, inammissibili le pretese avanzate dai ricorrenti in merito all'accertamento del diritto all'indennità di volo e all'indennità di pronto intervento aereo nonché le richieste di condanna dell'Amministrazione al pagamento di quanto preteso, trattandosi di questioni vertenti su diritti soggettivi e non di mero annullamento di atti amministrativi.
      Sulla base di tali fondati presupposti, è lecito sostenere la legittimità della circolare dello Stato Maggiore della Marina citata nell'interrogazione in esame che non appare elusiva delle norme di legge relative alla materia in argomento.
      Avuto riguardo, invece, all'interrogazione a risposta scritta n.  4-14667 richiamata nell'atto, si partecipa che alla stessa è già stato fornito riscontro in data 21 maggio 2012.
      Per quanto sopra esposto, non si ritiene di dover porre in essere le azioni invocate dall'onorevole interrogante «per dare compiuta attuazione alle norme di legge».

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica n.  4635/2010, 4636/2010, 4642/2010, 4453/2010, 5172/2010, 4790/2010 e 5791/2010 proposti da numerosi specialisti di elicottero della Marina militare, invocano l'erogazione dell'indennità mensile di volo e dell'indennità supplementare di pronto intervento aereo anche per i mesi formalmente esclusi dagli equipaggi fissi di volo ma sostanzialmente impiegati sempre nelle medesime condizioni nell'arco dell'anno;
          tutti i capolista hanno avanzato similari istanze per «partecipare al procedimento amministrativo», con atto notificato a mezzo posta tramite l'ufficiale giudiziario (cronologici nella sequenza su esposta: 81/A Ter, 79/A Ter, 78/A Ter, 63/A Ter e 80/A Ter al Ministero della difesa e 45/A Ter e 46/A Ter al sesto reparto dello Stato Maggiore Marina);
          nelle prime tre istanze si legge «la notifica della relazione ministeriale è avvenuta in data 26 luglio 2011, quindi dopo l'espressione del Parere dell'alto Consesso (ritardo da imputabile non certo alla parte ricorrente)», «è stato accordato il periodo di 15 giorni dalla notifica della relazione ministeriale per inviare eventuale replica» e «la replica alla relazione ministeriale è stata inviata con atto notificato a mezzo posta tramite Ufficiale Giudiziario (...) del 29 luglio 2011)», quindi l'atto di replica è stato inviato al sesto reparto dello Stato Maggiore Marina in appena tre giorni;
          nelle successive istanze si legge «la notifica della relazione ministeriale è avvenuta in data 11 novembre 2011», «è stato accordato il periodo di 15 giorni dalla notifica della relazione ministeriale per inviare eventuale replica» e «la replica alla relazione ministeriale è stata inviata con atto notificato a mezzo posta tramite Ufficiale Giudiziario (...) del 14 novembre 2011)», quindi l'atto di replica è stato inviato al sesto reparto dello Stato Maggiore Marina in appena tre giorni;
          in tutte le istanze si invoca esplicitamente «in virtù dei principi del giusto procedimento e contraddittorio, di poter conoscere se la replica alla relazione ministeriale sia stata trasmessa o se intenda farla valutare al Consiglio di Stato come dispone il combinato disposto dell'articolo 49 del regio decreto 21 aprile 1942, n.  444 e l'articolo 10 della legge 7 agosto 1990, n.  241»;
          le considerazioni espresse dal Ministro della difesa in risposta all'interrogazione a risposta scritta 4-14667, presentata dagli interroganti, lasciano sgomenti, poiché i ricorrenti hanno manifestato la volontà di partecipare al procedimento sin dalla proposizione dei ricorsi e gli eventuali ritardi sono quindi da imputare all'amministrazione;
          l'interrogazione a risposta scritta 4-15574, ancora priva di risposta, ha già prospettato la soluzione alla disamina  –:
          se il Ministro interrogato intenda adottare le opportune iniziative volte a sanare il vulnus inferto non solo ai ricorrenti ma anche alle norme di legge e quali eventuali iniziative intenda avviare nei confronti dei responsabili che hanno indotto l'inerzia nei sette procedimenti amministrativi. (4-16303)

      Risposta. — Con l'interrogazione n.  4-14667, citata nelle premesse dell'atto, l'interrogante poneva in evidenza come un ricorrente, nell'ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avente ad oggetto l'erogazione dell'indennità mensile di volo, avesse avanzato all'amministrazione di appartenenza istanza per partecipare al procedimento amministrativo ed avesse chiesto, altresì, in virtù del principio del giusto procedimento, «di poter conoscere se la replica alla relazione ministeriale sia stata trasmessa o se intenda farla valutare al Consiglio di Stato».
      Con la presente interrogazione viene riproposta la medesima questione, chiedendo al Ministro interrogato se «intenda adottare le opportune iniziative volte a sanare il
vulnus inferto non solo ai ricorrenti ma anche alle norme di legge».
      Al riguardo, ritengo di aver già fornito, sulla specifica questione, puntuale e motivato riscontro, proprio con la risposta all'interrogazione scritta n.  4-14667.
      Risultando la correttezza procedurale e sostanziale degli atti posti in essere dall'ufficio che aveva curato l'istruttoria del ricorso straordinario, ho spiegato in quella risposta, dandone congrua motivazione, che la replica alla relazione ministeriale era pervenuta in data successiva all'emanazione del parere definitivo del Consiglio di Stato e, quindi, in una fase in cui si era stato concluso, da parte del supremo organo di giustizia amministrativa, il relativo
iter procedimentale e, dunque, la decisione era sostanzialmente avvenuta.
      Nel sottolineare come in tale circostanza non sussistesse, a termini di legge, alcun obbligo di trasmissione in capo all'amministrazione, deve rilevarsi, invece, che, ai sensi dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1199 del 1971 (parere su ricorso straordinario), l'organo decidente «se riconosce che l'istruttoria è incompleta ... può richiedere al Ministero competente nuovi chiarimenti autorizzando le parti a produrre nuovi documenti. ... Se l'istruttoria è completa e il contraddittorio è regolare, esprime parere».
      Risulta in modo incontrovertibile che il Consiglio di Stato abbia espresso i pareri nel merito senza chiedere preliminari ulteriori integrazioni né al Ministero, né alle altre parti interessate, sebbene fosse stato posto nella condizione di conoscere l'esistenza di possibili repliche da parte dei ricorrenti.
      Operando in tal modo, quindi, il Consiglio di Stato ha considerato l'istruttoria chiusa e il contraddittorio regolarmente costituitosi.
      Ad ulteriore conferma di quanto sopra, appare opportuno aggiungere che, a seguito di specifica richiesta degli interessati, le repliche di cui trattasi sono state comunque inviate al Consiglio di Stato, il quale le ha però restituite all'Amministrazione, non ritenendo di dover intervenire sui pareri già resi.
      Da quanto sopra emerge inequivocabilmente che i ricorrenti sono stati tempestivamente messi in grado di partecipare compiutamente al procedimento e che l'emissione di alcuni pareri del Consiglio di Stato, prima della ricezione delle repliche o memorie aggiuntive dei ricorrenti, non deriva affatto da un mancato rispetto del principio del contraddittorio da parte dell'Amministrazione, ma deve essere riferito esclusivamente alla tardività della loro istanza istruttoria.
      In ragione delle cennate ulteriori considerazioni, per il Dicastero, la questione su tali controversi aspetti deve intendersi definitivamente risolta.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in essere quanto richiesto dall'interrogante.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 11 luglio 2012 si sono svolte le operazioni di voto per l'elezione dei membri del Consiglio centrale della rappresentanza militare. Sezione Esercito;
          al punto n.  4 del verbale redatto ai sensi dell'articolo 888 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90, si legge che per la categoria «B» sono state utilizzate 12 schede elettorali a fronte di soli 11 elettori;
          al punto 5 del medesimo verbale «PROSPETTO DEI VOTI RIPORTATI DA CIASCUN CANDIDATO», sempre relativamente alla Categoria «B», non risultano esservi state «schede bianche» e «voti nulli», mentre nella colonna «Totale schede utilizzate» è posta l'annotazione «12 DI CUI 1 (UNA) DETERIORATA»;
          il giorno 17 luglio il maresciallo ordinario Alessandro Mosti presentava ricorso gerarchico avverso le operazioni di votazione dei delegati del CoCeR, cat. «B» Esercito XI espletate in data 11 luglio 2012, chiedendone la riforma o l'annullamento. Il successivo giorno 18 luglio anche il primo maresciallo luogotenente Donato Gallina ricorreva gerarchicamente avverso le medesime operazioni di voto;
          i militari ricorrenti hanno lamentato: «Che verso le ore 11.30 circa del giorno suindicato il ricorrente nel mentre attendeva il proprio turno per esprimere il suo personale voto notava che il delegato del CoIR, cat. “B”, Mar. Ca. Pesciaioli Giuseppe, appartenente al CoIR del Comando Capitale, alla presenza dei designati scrutatori, procedeva al ritiro della matita e della scheda di voto, consegnate pro minibus dal Presidente del seggio, Gen.  D. Gerometta Paolo, e dopo essersi accertato dell'integrità e regolarità della scheda si recava all'interno della cabina, adeguatamente predisposta, al fine di esprimere la propria volontà elettorale; [...] lo stesso Mar. Ca. Pesciaioli usciva dalla cabina e, con una motivazione sommaria e alquanto generica, chiedeva la sostituzione della sua scheda affermando a gran voce che, per una mera svista materiale, aveva scritto il nome del candidato “Librizi” invece di “Librizzi”; Che conseguentemente la scheda veniva sostituita e il delegato CoiR Mar. Ca. Pesciaioli rientrava nella cabina elettorale per esprimere il suo voto [...] L'articolo 887, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 90/2012 così recita: “Le schede sono nulle se sprovviste di autentica, oppure se presentano scritture o segni estranei alla votazione stessa”. Nella fattispecie in oggetto, non possono dirsi rispettate le prescrizioni anzidette dal momento che il Mar, Ca. Pesciaioli ha riconosciuto l'integrità della prima scheda e alcuna irregolarità è stata lamentata al Presidente del seggio elettorale al momento della consegna. A riprova di ciò, lo stesso Presidente del seggio non ha palesato alcun deterioramento o presenza di cattivo stato della scheda sostituita al momento della riconsegna da parte del Mar. Ca. Pesciaioli.[...]»;
          entrambi i ricorsi venivano rigettati dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Graziano, con la seguente motivazione: «Al riguardo, rilevo, preliminarmente, che il termine temporale previsto per la presentazione di eventuali ricorsi concernenti i procedimenti per l'elezione dei delegati della Rappresentanza Militare è stabilito in 48 ore dalla conclusione delle operazioni di voto (11 luglio 2012), così come previsto dalle disposizioni diramate dallo Stato Maggiore dell'Esercito con la Direttiva “Rappresentanza Militare. Attività elettorale per l'anno 2012” (Lettera n.  509/TEC3/1.10.04/01 in data 5 aprile 2012). 3. Per quanto sopra, pertanto, nella considerazione che il ricorso in argomento è stato presentato oltre i termini previsti, lo stesso è rigettato. 4. Quanto al merito delle doglianze sollevate, evidenzio, peraltro, l'infondatezza delle motivazioni addotte, tenuto conto della correttezza della procedura adottata durante lo svolgimento delle suddette operazioni di voto, perfettamente aderente alle già citate disposizioni (e, in particolare, per quanto riguarda la sostituzione delle schede deteriorate “per negligenza o per ignoranza”, a quanto previsto dal paragrafo 8, sottoparagrafo b, comma 2, sottocomma f, dell'annesso 7 all'allegato C della succitata direttiva) [...]»;
          il maresciallo capo Pesciaioli in data 16 luglio aveva rilasciato ai due ricorrenti una dichiarazione in forma scritta nella quale si legge «Il sottoscritto Pesciaioli Giuseppe, [...] Maresciallo dell'Esercito in servizio presso il Centro di Selezione Nazionale dell'Esercito, delegato della Rappresentanza Militare della categoria “B” nel “COIR Roma Capitale”, [...] in qualità di partecipante alle votazioni per l'elezione del COCER Esercito, [...] in data 11 luglio 2012 alle ore 11.30 circa, entravo nel posto di votazione sito in Palazzo Esercito in Roma, via Napoli, 5° piano, corridoio n.  4 stanza 14, per partecipare alle operazioni di voto per le Elezioni Cocer EI anno 2012. Ricevevo l'occorrente per votare (matita e scheda) dalle mani del Pres. del seggio Generale Paolo Gerometta, Presidente del seggio nonché Candidato a Presidente del Cocer Esercito, ne constatavo l'integrità e mi accingevo alla cabina elettorale per votare. Nella cabina non erano presenti gli elenchi dei candidati quindi sono dovuto entrare ed uscire più volte per recarmi a leggere i nomi dei candidati affissi all'esterno della cabina. Malgrado avessi letto più volte i nomi dei candidati, realizzavo di aver sbagliato a votare. Uscivo e lo dichiaravo a voce alta, dichiarando di aver sbagliato a scrivere il nome di un candidato, (avvero avevo scritto Librizzi con una sola “Z” zeta). La scheda, dopo una consultazione tra il Presidente e un Tenente colonnello all'uopo convocato per una opportuna valutazione, mi veniva sostituita e rivotavo dopo aver consegnato la scheda già votata al Presidente del Seggio Generale Paolo Gerometta. La seconda scheda veniva inserita nell'urna elettorale, mentre la prima restava agli atti. La prima scheda, quella dove ho sbagliato a scrivere, non presentava segni di deterioramento o difetti di alcun genere, conteneva esclusivamente l'espressione errata del mio voto»  –:
          la disposizione citata dal generale Graziano al paragrafo 1, lettera h, dell'annesso 7 all'allegato C, stabilisce unicamente che «Eventuali ricorsi dovranno essere definiti in tempo utile (48 ore) per dar modo agli elettori di potersi candidare al Consiglio di ordine superiore» e non stabilisce quindi alcun termine per la presentazione del ricorso gerarchico che, ad avviso degli interroganti, resta quello previsto per l'impugnazione degli atti amministrativi stabilito in 30 giorni dalla conoscenza dell'atto o del fatto lesivo;
          l'annotazione «12 DI CUI 1 (UNA) DETERIORATA» posta nella colonna relativa alla Categoria «B», «Totale schede utilizzate», è palesemente contrastante con la dichiarazione del maresciallo Pesciaioli «La prima scheda, quella dove ho sbagliato a scrivere, non presentava segni di deterioramento o difetti di alcun genere, conteneva esclusivamente l'espressione errata del mio voto»;
          se consti al Ministro che l'irregolarità citata non sia stata l'unica avvenuta nel corso delle operazioni di voto per l'elezione dei Consigli della rappresentanza militare e che anche altri militari abbiano presentato ricorsi avverso i procedimenti elettorali e gli atti di proclamazione degli eletti;
          se i fatti in premessa corrispondano al vero e in tale caso quale immediate azioni intenda intraprendere per ripristinare la legalità e conseguentemente quali siano i tempi per la ripetizione delle operazioni di voto e quali le azioni nei confronti del presidente del posto di votazione generale Paolo Gerometta;
          se non ritenga opportuno segnalare i fatti in premessa alla competente autorità giudiziaria. (4-17463)

      Risposta. — Dagli atti in possesso non risulta che ci sia stata alcuna irregolarità nel corso delle operazioni di voto per l'elezione dei Consigli della rappresentanza militare.
      Invero, la procedura adottata dal Presidente del posto di votazione, durante le operazioni di voto per l'elezione dei delegati della categoria «B» (ruolo marescialli) della sezione Esercito del Cocer, dell'11 luglio 2012, risulta perfettamente aderente a quanto previsto dalle specifiche disposizioni in materia emanate dallo Stato Maggiore dell'Esercito.
      Sulla presunta irregolarità, di cui è cenno nell'interrogazione in titolo, si fa presente che il Presidente ha provveduto a sostituire la scheda per l'oggettivo deterioramento della stessa, a prescindere, cioè, da eventuali affermazioni di parte, come puntualmente prescritto dalle menzionate disposizioni in materia che prevedono che il Presidente «dopo aver apposto sulla scheda restituita la dicitura deteriorata ... consegna all'elettore una nuova scheda che fa annotare, sulla lista ... la consegna della seconda scheda».
      Si fa presente, al riguardo, che il Consiglio di Stato, proprio sul concetto di scheda elettorale deteriorata per mero errore materiale dell'elettore, si è espresso confermando la necessità di sostituzione della stessa.
      Per quanto riguarda, invece, la questione del termine temporale di 48 ore previsto per la presentazione di contenziosi relativi ai procedimenti elettorali, si osserva che tale limite, contemplato nelle citate disposizioni dello Stato Maggiore dell'Esercito, è del tutto coerente con la successione e la tempistica delle attività elettorali che, per un elementare principio di certezza del diritto, devono essere concluse entro termini perentori.
      Un diverso termine, in altre parole, non avrebbe consentito il rispetto della scadenza elettorale (fissata al 13 luglio 2012), prevista dal calendario, da me approvato, per la proclamazione degli eletti al Cocer.
      Oltre ai ricorsi menzionati dall'interrogante, si ha notizia di altri due contenziosi, relativi alle operazioni elettorali svolte per l'elezione del Coir (Consigli intermedi di rappresentanza) del Comando operativo delle Forze terrestri, già definiti dalle competenti autorità gerarchiche.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.