XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 20 dicembre 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              è stato pubblicato il decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155, recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi da 2 a 6, della legge 14 settembre 2011, n.  148;
          il suddetto decreto legislativo non ha secondo i presentatori del presente atto tenuto adeguatamente conto del parere, approvato a larghissima maggioranza il agosto 2012, dalla Commissione giustizia della Camera dopo un'approfondita indagine conoscitiva che ha coinvolto anche i Consigli giudiziari delle corti di appello;
              il decreto legislativo, inoltre, sembra essere incoerente con i principi fissati nella legge delega (articolo 1, legge 14 settembre 2011, n.  148) e con i criteri espressi nella relazione ministeriale di accompagno, ulteriormente specificati dal Ministro nella audizione in Commissione giustizia del 13 settembre 2012;
              per quanto riguarda la soppressione degli uffici giudiziari del tribunale di Chiavari e di Bassano del Grappa, il parere della commissione giustizia aveva evidenziato che «a Chiavari è stato realizzato un nuovo palazzo di giustizia per 14 milioni di euro, di cui 8,7 a carico del Ministero della Giustizia, costituito da una superficie di 8.900 mq adiacente alla sede del commissariato di polizia e alla casa circondariale, che risulta connessa direttamente con il nuovo palazzo, dove la Cisia ha realizzato un progetto di cablaggio: a Bassano del Grappa, il palazzo di giustizia, costituito da una superficie di 3500 mq, l'Erario ha speso 12 milioni di euro destinati al completamento della città della giustizia»; il tribunale di Pinerolo, dal canto suo, ha avuto in consegna l'ampliamento degli uffici – con possibilità di ospitare altre 50 persone fra magistrati e personale – per il quale il Ministero della giustizia ha speso circa 800.000 euro: mentre per la ristrutturazione del tribunale di Tolmezzo sono stati spesi recentemente oltre 4 milioni di euro;
              quanto sopra esposto non solo contrasta con la affermazione contenuta nella relazione governativa per cui «la riduzione degli uffici derivante dagli interventi di riorganizzazione comporterà complessivi risparmi di spesa», prefigurati addirittura in euro 2.889.597 per l'anno 2012, euro 17.337.581 per l'anno 2013 e 31.358.999 per l'anno 2014, ma è incoerente e contraddice la scelta governativa operata per altri tribunali subprovinciali, quali ad esempio quello di Castrovillari, che dal punto di vista logistico – secondo quanto affermato dal Ministro – può vantare un nuovo palazzo di giustizia ed ha una complessiva situazione di edilizia giudiziaria in grado di assorbire senza ulteriori spese la struttura accorpata;
              la soppressione degli uffici giudiziari di Pinerolo, a differenza delle scelte operate in tutte le altre aree dei tribunali metropolitani ove si sono mantenuti e, in alcuni casi, anche ampliati gli uffici giudiziari submetropolitani, non solo contrasta con i principi dettati dalla legge delega con riguardo ai criteri previsti in relazione alle necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle «grandi aree metropolitane» (Pinerolo è tra l'altro il quarto ufficio giudiziario del Piemonte dopo Torino, Novara e Alessandria, 203.680 abitanti secondo COSMAG 2001 oltre 216.000 secondo il censimento 2011), ma è incoerente con tutti i parametri indicati dalia stessa relazione ministeriale che accompagna il provvedimento e afferma: «La necessità prioritaria in tutte le grandi aree metropolitane è senza dubbio quella di procedere ad un decongestionamento dei carichi. Tale obiettivo, in ottemperanza a quanto specificamente indicato dalla legge delega (articolo 1, comma 2, lettera b): “razionalizzare il servizio giustizia nelle aree metropolitane”), è stato perseguito attraverso tre fondamentali scelte operative: Impedire accorpamenti di tribunali subprovinciali alle 5 grandi aree metropolitane (Roma, Napoli, Milano, Torino e Palermo); Favorire, ove possibile e ragionevole, l'accorpamento di territori delle sezioni distaccate metropolitane ai tribunali limitrofi» in maniera del tutto irragionevole e contrariamente al parere espresso dalla commissione parlamentare. Tanto è vero che, a titolo di esempio, il Tribunale di Milano ha «ceduto» ai Tribunali limitrofi tutti i territori delle sue sezioni distaccate, con sgravio pari ad oltre 630,000 abitanti (più di sei volte di quello che verrebbe ad avere Torino) e nel distretto di Napoli si è dato vita al tribunale di Napoli Nord;
              la soppressione degli uffici giudiziari del tribunale di Rossano Calabro e Lucera, per i quali rispettivamente il parere della Commissione giustizia della Camera aveva evidenziato «la necessità di mantenere il Tribunale di Lucera, accorpandovi il territorio della sezione di San Severo, non solo per consentire un riequilibrio di risorse, ma soprattutto per garantire un'adeguata risposta alla criminalità organizzata, per cui – da una nota depositata in Commissione – risulta che il Procuratore della Repubblica di Lucera ha segnalato al Procuratore generale di Bari l'impatto eccezionale sul territorio di Lucera della mafia di san Nicandro Garganico, con chiari collegamenti con la mafia foggiana; la necessità di mantenere i Tribunali di Rossano (...), stante la particolare conformazione del territorio, che si sviluppa per 300 km e attraversa la dorsale appenninica che separa il versante ionico da quello tirrenico con a nord il massiccio del Pollino e al centro la Sila e rende estremamente difficili i collegamenti all'interno della Regione, nonché il grave impatto del fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso, come rappresentato dal Procuratore distrettuale Lombardo»;
              ciò non solo contrasta secondo i firmatari del presente atto di indirizzo con i criteri della delega, ma è incoerente con il contemperamento dei suddetti criteri generali che il Ministro, nella relazione di accompagno, afferma di aver attuato mediante l'adeguata valutazione della situazione infrastrutturale ed al tasso d'impatto della criminalità organizzata nei singoli territori interessati dall'intervento e oltre ad essere in contraddizione con le scelte governative che hanno consentito il «recupero» dei tribunali subprovinciali di Castrovillari, Paola, Sciacca e Caltagirone;
              la soppressione nella provincia di Cuneo (che si estende per 6.903 chilometri quadrati) di tutti e tre i tribunali subprovinciali, non solo contrasta con i criteri fissati dalla delega che aveva fatto riferimento espressamente alla estensione del territorio e alla specificità dei bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale ed economica (nella provincia di Cuneo si articola un tessuto produttivo costituito da 80.000 piccole e medie imprese) ma è incoerente con lo stesso parametro di riferimento ottimale, individuato nella relazione di accompagno, in 2.169 chilometri quadrati di estensione territoriale per ciascun ufficio giudiziario e contraddice le scelte operate su altri distretti, ad esempio quello Ligure, che complessivamente misura 5.402 chilometri quadrati e nel quale pur sono stati mantenuti quattro tribunali;
              incongruità riguardano anche alcuni accorpamenti territoriali che, comportando forti disagi organizzativi e funzionali, avranno incidenza negativa per l'efficienza del servizio giustizia, quali ad esempio: nel distretto della corte d'appello di Salerno, il tribunale di Sala Consilina assegnato addirittura al circondario del più piccolo tribunale di Lagonegro appartenente ad un diverso distretto (quello di Potenza) e ad un'altra regione (la regione Basilicata); nel distretto di Perugia la sezione distaccata di Todi è stata erroneamente accorpata Spoleto, mentre geograficamente e funzionalmente appartiene a Perugia, data la breve distanza e la facilità di comunicazione lungo la direttrice nord-sud (E45 e rinnovata Flaminia);
              la soppressione nel distretto di Ancona del tribunale di Urbino, accorpato al tribunale di Pesaro, pur trattandosi di capoluogo di provincia (Pesaro-Urbino), in base al regio decreto 22 dicembre 1860 n.  4495, è secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in palese violazione dell'articolo 1 lettera a) della legge delega, contraddice i parametri indicati nella relazione ministeriale con riferimento alla situazione infrastrutturale (che comprende i profili inerenti alla viabilità, alla presenza di adeguati collegamenti stradali e ferroviari e alla logistica), considerato che l'andamento orografico della provincia e la disposizione delle principali vie di comunicazioni che si collocano ad ovest ed est rendono complessa, se non problematica, la circolazione sia a nord, sia a sud, sia nelle zone appenniniche;
              l'attuazione della regola del mantenimento in ogni distretto di corte di appello di non meno di tre degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica (la cosiddetta regola del tre) crea irragionevoli discriminazioni, che non trovano nemmeno adeguata giustificazione sulla base dei criteri di efficienza e razionalità, come ha rilevato in senso critico nel parere reso dal Consiglio superiore della magistratura che ha evidenziato come «la previsione si ancora ad un principio aritmetico che mal si concilia con un'analisi delle specifiche esigenze dei distretti»;
              e che al riguardo la Camera dei deputati ha approvato il 3 luglio 2012 l'ordine del giorno n.  9/05273-A/063, sottoscritto da parlamentari di tutti gruppi, con cui impegnava il Governo ad adottare tutte le iniziative necessarie, comprese anche quelle normative eventualmente d'urgenza, affinché sia soppresso o, comunque, non trovi attuazione, il principio di cui alla lettera f) dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.  148 (la cosiddetta regola del tre);
              non possono essere trascurate le oggettive difficoltà organizzative connesse sia all'adeguamento, al completamento e all'effettiva operatività delle nuove piante organiche del personale amministrativo della magistratura che alle problematiche di edilizia giudiziaria – segnalate in tutta Italia soprattutto per quanto riguarda gli accorpamenti di uffici di tribunale e di procura – che pregiudicano le concrete possibilità di attuazione dell'intera riforma nel termine di un anno, come previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo n.  155 del 2012, con conseguente rischio di gravissime ripercussioni per i cittadini che accedono al servizio giustizia;
              è necessario a tal fine superare l'eccessiva discrezionalità insita nella disposizione transitoria di cui all'articolo 8 del decreto legislativo che prevede che «il Ministro della Giustizia può decidere di autorizzare per un massimo di 5 anni l'utilizzo degli edifici già sede dei tribunali e delle sezioni distaccate soppresse senza che lo Stato debba corrispondere ai comuni alcun rimborso spese»,

impegna il Governo:

          ad adottare un decreto legislativo correttivo (ai sensi dell'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011 n.  138, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 2011, n.  148), secondo tutte le indicazioni contenute in premessa, in maniera tale da rendere il provvedimento governativo più rispondente ai principi della legge-delega n.  148 del 2011 – ed in particolare a quelli di razionalizzazione del servizio giustizia, decongestionamento dei grandi tribunali metropolitani, necessità di tenere conto della specificità del bacino di utenza dimensione territoriale, della situazione infrastrutturale e della presenza di criminalità organizzata;
          ad escludere comunque dall'elenco degli uffici di tribunale e di procura della Repubblica soppressi quelli di Pinerolo, Bassano del Grappa, Chiavari, Lucera, Rossano Calabro e Urbino al fine di evitare i più rilevanti rischi di violazione dell'articolo 76 della Costituzione come già evidenziato nel parere motivato della Commissione giustizia della Camera dei deputati del 1o agosto 2012;
          a mantenere i tribunali subprovinciali soppressi, quali sezioni distaccate o «presidi territoriali di giustizia» dei tribunali accorpanti, per un periodo transitorio non superiore a cinque anni, in attesa dell'effettivo completamento della nuove piante organiche, della informatizzazione degli uffici giudiziari e della realizzazione degli «sportelli telematici della giustizia» in considerazione della necessità di armonizzare la revisione delle circoscrizioni giudiziarie al processo di razionalizzazione delle province italiane e quindi della geografia degli apparati amministrativi di riferimento;
          a mantenere, sempre per un periodo transitorio non superiore a cinque anni, quelle sole sezioni distaccate, attualmente esistenti, che per carico di lavoro riferito alle sopravvenienze, bacino di utenza, estensione territoriale (in alcuni casi più ampio della sede accorpante), caratteristiche specifiche della collocazione geografica, quale ad esempio l'insularità e le peculiarità delle zone montane o di confine, risultano oggettivamente necessarie per ovviare, soprattutto nella prima fase di attuazione, a disagi organizzativi per la popolazione e funzionali per il servizio giustizia;
          a porre in essere iniziative dirette a sopprimere il comma 4 dell'articolo 8 del decreto legislativo che pone a carico del comune, in deroga alla normativa vigente, le spese di gestione e manutenzione degli immobili degli uffici giudiziari che rimangono attivi come sezioni distaccate e/o presidi territoriali di legalità.
(1-01207) «Orlando, Ferranti, Rossomando, Capano, Samperi, Cavallaro, Giovanelli, Melis, Bressa, Picierno, Concia».

Risoluzioni in Commissione:


      La II Commissione,
          premesso che:
              è stato pubblicato il decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155, recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, in attuazione alla delega di cui all'articolo 1, commi da 2 a 6, della legge 14 settembre 2011, n.  148;
              la soppressione di tribunali ordinari, delle sezioni distaccate e di procure della Repubblica è ricondotta a due esigenze: maggiore efficienza e riduzione della spesa;
              la relazione illustrativa evidenzia che «tutti gli studi in materia guardano al recupero delle risorse umane scarsamente utilizzate negli uffici giudiziari di più modeste dimensioni come ad uno strumento strategico per restituire efficienza al sistema giudiziario. Se a ciò si aggiunge che, a regime, la diminuzione degli uffici giudiziari di primo grado è destinata a realizzare notevoli risparmi di spesa (...) uniti ad una più marcata specializzazione delle funzioni giudiziarie (per definizione non realizzabile nei piccoli uffici) si coglie appieno il rilievo determinante del riassetto della geografia giudiziaria italiana (...);
              l'amministrazione giudiziaria ha perseguito l'intento di garantire che ciascun tribunale potesse acquisire – anche mediante la ridefinizione dei suoi uffici territoriali e non necessariamente attraverso accorpamenti conseguenti a soppressione – una dimensione media quanto più vicina possibile al modello ideale di ufficio giudiziario individuato attraverso il ricorso a standard oggettivi, in grado di assicurare anche l'indispensabile specializzazione dei magistrati;
              nel distretto di corte di appello di Trieste il Governo ha soppresso solo il tribunale di Tolmezzo, che viene assorbito dal tribunale di Udine;
              gli altri tribunali del distretto hanno sede nel capoluogo di provincia e dunque non potevano essere soppressi; il Governo ha corretto l'ipotesi originale dello schema di decreto che, allo scopo di razionalizzare la distribuzione degli uffici in questo distretto per riequilibrare i carichi (a fronte di tribunali particolarmente piccoli come Gorizia e Trieste), stabiliva che il tribunale di Udine cedesse al tribunale di Gorizia i comuni della sezione distaccata di Palmanova, in modo tale che il bacino di utenza di Udine scendesse di 36.150 unità, mentre quello di Gorizia salisse a 255.451 residenti;
              rimane immutata la necessità di razionalizzare la distribuzione degli uffici in questo distretto proprio al fine di riequilibrare i carichi;
              nella provincia di Gorizia e nel mandamento di Cervignano (Udine) vige il sistema tavolare e l'esistenza di una precisa competenza dell'autorità giudiziaria, prevista dalla legge tavolare e ovviamente esistente nei soli territori dove vige la legge tavolare, rende addirittura ipotizzabile la previsione di un giudice specializzato e comunque opportuno assicurare la specializzazione dei magistrati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare un provvedimento normativo correttivo del decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155, che preveda l'accorpamento al circondario del tribunale di Gorizia del mandamento di Cervignano del Friuli.
(7-01081) «Tenaglia, Maran».


      La VI Commissione,
          premesso che:
              con sempre maggiore frequenza gli organi d'informazione danno notizia di spiacevoli casi di cronaca nei quali si segnala come, in alcuni casi, purtroppo non infrequenti, gli uffici dell'amministrazione finanziaria applicano la disciplina tributaria in modo eccessivamente rigoristico, se non addirittura distorto;
              tali atteggiamenti, oltre a violare lo spirito e la lettera dello statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge n.  212 del 2000, che sancisce il principio della buona fede e collaborazione tra il fisco ed i contribuenti, finiscono per esasperare i cittadini, determinando inutili conflitti con la pubblica amministrazione e ingenerando una condizione di sfiducia generalizzata nelle istituzioni;
              a titolo di esempio si può citare il caso della società Itemer Srl, con sede legale in San Cataldo (CL), la quale è stata coinvolta in un episodio che denota la scarsa sensibilità di alcuni uffici dell'Agenzia delle entrate;
              in particolare, il 3 maggio 2011 è stato notificato dall'Agenzia delle entrate alla predetta società un avviso bonario per un importo di euro 31.066,17 (comprensivo di sanzioni, applicate nella misura ridotta del 10 per cento, e di interessi), per mancati versamenti IVA relativi all'anno d'imposta 2008;
              dopo aver verificato che gli importi richiesti erano effettivamente dovuti, l'amministratore della società ha provveduto ad inviare, per il tramite di un intermediario abilitato, la richiesta di rateizzazione del citato importo in 10 rate, pari ciascuna a 3.106,68 euro, effettuando il primo versamento il 3 giugno 2011;
              l'11 settembre 2012 è stata notificata alla medesima società una cartella di pagamento, con la quale l'Agenzia delle entrate – direzione provinciale di Caltanissetta – ufficio controlli, ha iscritto a ruolo, nei confronti della società, la somma complessiva di 36.033,69 euro, di cui euro 19.427,16 euro a titolo di IVA per l'anno d'imposta 2008 e la restante parte a titolo di sanzioni, questa volta applicate nella misura del 30 per cento, e di interessi;
              a seguito delle verifiche effettuate dal contribuente è emerso che l'importo indicato nella cartella esattoriale era lo stesso iscritto nell'avviso bonario e che l'Agenzia delle entrate, motu proprio e senza alcuna notifica al contribuente, aveva emesso la cartella stessa in quanto il primo versamento era stato effettuato con un solo giorno di ritardo, e nonostante tutte le sette rate successivamente versate dal contribuente fossero state regolarmente effettuate alle scadenze previste;
              a seguito di istanza in autotutela presentata dall'amministratore della società il 2 novembre 2012, con cui si chiedeva all'Agenzia delle entrate, almeno, di riconoscere il pagamento delle sei rate già effettuate (di ammontare pari a 18.640,08 euro), l'8 novembre 2012 l'ufficio competente dell'Agenzia ha disposto lo sgravio per un importo pari solo a 12.745,80 euro, con una ingiustificata e incomprensibile differenza di 5.894,28 euro rispetto al totale versato dal contribuente;
              il caso appena richiamato, al di là dei profili specifici, solleva alcuni interrogativi e necessita di taluni interventi da parte del Governo;
              in primo luogo appare del tutto abnorme che l'amministrazione disponga la decadenza dalla rateizzazione delle somme indicate nell'avviso bonario per il semplice fatto che il contribuente ha provveduto al pagamento di una rata con un solo giorno di ritardo, soprattutto se le rate successive sono state versate puntualmente;
              inoltre, appare ingiustificato che l'Agenzia delle entrate non consideri le quote, riferibili alla sanzione ridotta del 10 per cento inizialmente comminata al contribuente, dell'importo versato dal contribuente stesso nell'ambito delle rate già pagate, ma che esse siano al contrario considerate acquisite dall'Agenzia senza alcuna giustificazione;
              nel complesso appare inaccettabile che, come nel caso richiamato, un contribuente, per un solo giorno di ritardo nel versamento di una rata, debba pagare le sanzioni nella misura del 30 per cento, perdendo per di più la somma già versata a titolo di sanzione ridotta del 10 per cento, oltre a dover pagare oltre 2.000 euro a titolo di spese di riscossione riconosciute a Equitalia;
              in tale contesto occorre ricordare come l'articolo 10, comma 3, dello Satuto dei diritti del contribuente, stabilisca chiaramente che le sanzioni per violazioni della disciplina tributaria «non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta»;
              inoltre merita richiamare che la Commissione tributaria provinciale di Lecce ha sottolineato, con riferimento al caso di specie, come, nell'ambito delle disposizioni in materia di chiusura di liti fiscali pendenti, l'articolo 16, comma 9, della legge n.  289 del 2002, riconosca espressamente il principio dell'errore scusabile, consentendo, qualora il pagamento risulti effettuato in misura inferiore a quella dovuta, e sia riconosciuta la scusabilità dell'errore, la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell'ufficio;
              i giudici tributari hanno infatti ritenuto che, alla luce dell'accavallarsi di continue proroghe in materia di condono, con particolare riferimento al citato articolo 12 della legge n.  289 del 2002, si sia determinato nella maggior parte dei contribuenti uno stato obiettivo di incertezza sulle varie scadenze, e che vi siano dunque sufficienti ragioni per ritenere che il versamento tardivo da parte della società sopra richiamata sia stato causato da un errore scusabile, ricorrendo appunto una situazione di obiettiva incertezza;
              anche l'amministrazione finanziaria, con la circolare n.  17 del 21 marzo 2003, ha chiarito che il principio dell'errore scusabile è da ritenersi applicabile a tutte le procedure di condono contenute nella legge n.  289 del 2002;
              in tale contesto si segnala l'esigenza che, in presenza di errori scusabili di lieve entità, che non abbiano posto a rischio in alcun modo gli interessi erariali, e di situazioni comunque facilmente sanabili, gli uffici dell'amministrazione finanziaria assumano, soprattutto in considerazione dell'attuale difficilissimo contesto economico, atteggiamenti più saggi ed equilibrati, sempre nel pieno rispetto dello spirito della disciplina tributaria;
              a tal fine appare opportuno adottare atti interpretativi volti a dare in merito indicazioni chiare agli uffici, al fine di evitare il ripetersi di casi analoghi a quello segnalato nel presente atto di indirizzo, che possono qualificarsi come fenomeni di vera e propria «mala fiscalità»,

impegna il Governo

a promuovere quanto prima iniziative, anche di carattere interpretativo, volte a ribadire i principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente in materia di errori formali e di lievi entità compiuti dal contribuente, richiamando in particolare gli uffici dell'amministrazione finanziaria all'esigenza di evitare di procedere automaticamente all'iscrizione a ruolo nel caso di minimi ritardi nel versamento delle rate, qualora per le stesse somme siano già stati emessi avvisi bonari oggetto di rateizzazione, ma a verificare caso per caso la gravità del ritardo, il comportamento complessivo del contribuente e la sussistenza o meno di rischi reali per la riscossione delle somme dovute, al fine di ristabilire un più sereno e collaborativo rapporto tra il fisco ed i cittadini, depotenziando inoltre il contenzioso tributario in materia, il quale, oltre a comportare notevoli disagi ed oneri per i contribuenti interessati, risulta dispendioso anche per lo Stato.
(7-01083) «Pagano».


      La VIII Commissione,
          premesso che:
              la bonifica delle aree inquinate costituisce uno strumento indispensabile per la tutela delle risorse ambientali e della salute dell'uomo e riveste un ruolo fondamentale ai fini della valorizzazione del territorio e dello sviluppo socio-economico dello stesso;
              la contaminazione del suolo è in grado di determinare una alterazione delle caratteristiche dello stesso, tale da comprometterne non solo le funzioni protettive ma anche quelle produttive ed ecologiche. Inoltre, gli impatti dovuti alla contaminazione del suolo riguardano anche le acque superficiali e sotterranee, l'atmosfera e la catena alimentare, con l'insorgere di rischi, anche gravi, per la salute umana. Le conseguenze economiche riguardano in particolare gli impegni finanziari necessari per la bonifica e il ripristino ambientale del suolo, la perdita di valore delle aree contaminate, la necessità di interventi sulle matrici ambientali;
              la dimensione del problema delle bonifiche è estremamente rilevante in Italia, specie in alcune sue regioni. Attualmente sul territorio nazionale sono presenti 57 siti contaminati di interesse nazionale (SIN), compresi nel programma nazionale di bonifica di cui al decreto ministeriale 18 settembre 2001, n.  468, definiti sulla base delle caratteristiche del sito, della quantità e pericolosità delle sostanze inquinanti, della rilevanza del rischio sanitario ed ecologico, nonché del pregiudizio per i beni culturali e ambientali. Per essi il procedimento di bonifica è sotto la responsabilità amministrativa del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
              nella regione Campania, in particolare, si trova uno dei siti contaminati di interesse nazionale particolarmente esteso e gravemente segnato dalle inchieste giudiziarie soprattutto degli ultimi anni, quelle nelle quali il disastro ambientale è contestato come reato. Si tratta del Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano (Caserta-Napoli), individuato dalla legge 9 dicembre 1998, n.  426, il cui ambito è stato perimetrato dapprima con decreto ministeriale del 10 gennaio 2000, e comprendeva il territorio di 59 comuni delle province di Napoli e Caserta, compresa la fascia costiera che si estende per 75 chilometri circa, poi integrato con il successivo decreto ministeriale dell'8 marzo 2001, che ha esteso gli ambiti interessati ad altri due comuni, quindi con il decreto ministeriale del 31 gennaio 2006, che ha disposto l'inserimento di ulteriori 16 comuni. Il numero totale dei Comuni interessati è pari a 77;
              l'area è caratterizzata dalla presenza diffusa di numerose discariche di rifiuti urbani e industriali, nonché di siti di smaltimento illegale e di combustione dei rifiuti urbani e pericolosi. Lo smaltimento abusivo dei rifiuti solidi e liquidi, la contaminazione da diossina legata all'illecita combustione dei rifiuti, la contaminazione da attività industriali legata alla migrazione di contaminanti da aree produttive, hanno comportato l'inquinamento diffuso del suolo e del sottosuolo, e la mancata tutela delle acque ha causato la contaminazione dei sedimenti e delle acque dei bacini lacustri. Anche le acque superficiali e di falda, per la presenza di discariche di rifiuti senza impermeabilizzazione di fondo, hanno subito fenomeni di compromissione della qualità delle acque;
              data la vastità dell'area del sito di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 4 del decreto ministeriale 10 gennaio 2000, si è proceduto a individuare, al suo interno, i siti potenzialmente inquinati ai sensi del decreto ministeriale 16 maggio 1989, procedendo alla sub-perimetrazione dell'intera area. Tali siti riguardano attività produttive con cicli di produzione che generano rifiuti pericolosi; attività produttive dismesse; attività minerarie dismesse; aree interessate dalla presenza di aziende a rischio di incidente rilevante; discariche di rifiuti; aree interessate da attività di adduzione e stoccaggio di idrocarburi; aree interessate da impianti di trattamento/recupero rifiuti; aree oggetto di sversamenti accidentali; aree interessate da presenza di rifiuti; aree anche a destinazione agricola interessate da spandimento non autorizzato di fanghi e residui speciali tossici o nocivi; siti oggetto di contaminazione passiva causata da ricaduta atmosferica di inquinanti, ruscellamento di acque contaminate. Complessivamente, nell'intera area sono stati censiti finora 1924 siti;
              nell'ambito del sito di interesse nazionale in parola, ad oggi, per i siti censiti e inseriti nel censimento dei siti potenzialmente contaminati, come previsti nell'allegato 4, Tabella 4.2, della proposta di piano regionale di bonifica dei siti inquinati della regione Campania, approvata con delibera di giunta regionale del 31 luglio 2012, n.  387, al momento in fase di consultazione pubblica, lo stato di avanzamento dell’iter procedurale registra notevoli e gravi ritardi: nessuna attività di bonifica vera e propria, solo progetti presentati, in versione definitiva per 3 siti e in versione preliminare per un solo sito. Il piano di caratterizzazione, nelle sue diverse fasi di presentazione, approvazione ed esecuzione, riguarda poco più del 20 per cento del totale dei siti. Le analisi di rischio sono state presentate per soli 5 siti, pari allo 0,3 per cento del totale. Del tutto carenti sono le informazioni circa le matrici interessate dalla contaminazione accertata e i principali contaminanti riscontrati;
              per quanto concerne il regime di proprietà, ove conosciuto, questo risulta essere nella maggior parte dei casi, pari al 94 per cento, di proprietà privata. La proprietà pubblica riguarda soltanto il 5 per cento dei siti. Lo 0,7 per cento dei siti registra una proprietà mista, pubblico/privata, ovvero non nota;
              la quantità e la qualità di informazioni sullo stato della qualità dell'aria, fornite dalle stazioni di monitoraggio che controllano i principali contaminanti sul territorio restano ancora notevolmente carenti nella regione Campania, essendoci parti del territorio scarsamente monitorate che necessitano di un potenziamento delle attività di misurazione;
              la diffusione dello smaltimento illegale di rifiuti, specie quelli pericolosi, in particolare nel territorio della Campania, ha indotto le autorità sanitarie a studiare il fenomeno in maniera approfondita. Nel 2004 il dipartimento della protezione civile ha commissionato all'OMS un'indagine sui possibili effetti sanitari del ciclo dei rifiuti nelle province di Napoli e Caserta. L'indagine, ponendosi come obiettivo l'analisi della mortalità per cause tumorali e della prevalenza alla nascita di malformazioni congenite nei comuni interessati, nonché la valutazione di un'eventuale loro relazione con l'esposizione ambientale ai rifiuti, avvalora l'ipotesi di una relazione fra la mortalità per cause tumorali specifiche e la prevalenza di malformazioni congenite con esposizioni ambientali legate alla presenza di siti di smaltimento incontrollato di rifiuti, correlazione compatibile con l'osservazione di un fenomeno reale legato alla compromissione ambientale dovuta alla presenza di siti illegali di smaltimento di rifiuti urbani e ambientali;
              il ripristino della legalità nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti e della bonifica delle aree contaminate è la premessa per un'efficace tutela della salute della popolazione;
              la gestione dei siti contaminati rappresenta uno dei maggiori problemi ambientali anche per i Paesi europei. Studi della European environmental agency (EEA), Agenzia europea dell'ambiente, mostrano come la contaminazione del suolo derivante da attività industriali, stoccaggio di rifiuti, attività minerarie, perdite da serbatoi e linee di trasporto degli idrocarburi, rappresenta una delle più importanti minacce. La presenza di sostanze potenzialmente pericolose nel suolo, sottosuolo, nei sedimenti e nelle acque sotterranee può portare ad effetti negativi sulla salute dell'uomo e sugli ecosistemi;
              recentemente, nello «Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento», redatto dal Progetto Sentieri, che analizza la mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di una serie di grandi centri industriali attivi o dismessi, o di aree oggetto di smaltimento di rifiuti industriali e/o pericolosi, che presentano un quadro di contaminazione ambientale e di rischio sanitario tale da avere determinato il riconoscimento di «siti di interesse nazionale per le bonifiche» (SIN), è possibile riscontrare come nel SIN «Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano» si registrino eccessi di mortalità in entrambi i generi per tutti i principali gruppi di cause di mortalità – tumori, malattie del sistema circolatorio, malattie dell'apparato respiratorio, dell'apparato digerente e genitourinario;
              la grave crisi ambientale tuttora in atto, che ha compromesso, minaccia e minaccerà ancora seriamente la salute dei cittadini, che ha realizzato condizioni favorevoli ad infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione dei rifiuti, trova conferma in alcuni recenti provvedimenti dell'autorità giudiziaria. Disastro ambientale per aver avvelenato le falde acquifere nella provincia di Napoli e in quella di Caserta è il reato contestato, senza dimenticare il grave inquinamento della falda acquifera sottostante le discariche. Le acque avvelenate dal percolato veicolato nel sottosuolo utilizzate per irrigare le colture e per scopi alimentari dalle popolazioni che hanno assunto sostanze cancerogene hanno dispiegato i propri effetti nocivi per oltre vent'anni e lo faranno ancora per molti altri, fino al 2080. Un disastro documentato da perizie, indagini, foto e filmati;
              sempre nello studio del Progetto Sentieri richiamato, alla luce dei risultati evidenziati e dell'insieme delle conoscenze epidemiologiche relative al sito in parola, si raccomandano studi per la valutazione dell'inquinamento ambientale presente nell'area, indagini epidemiologiche con una componente di analisi di biomonitoraggio della catena alimentare, percorsi di comunicazione con gli stakeholder, compreso l'associazionismo presente sul territorio;
              la gestione commissariale in materia di bonifiche dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati e di tutela delle acque superficiali della regione Campania è stata prorogata fino al 31 dicembre 2012, ai sensi dell'articolo 1 della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 settembre 2012, e alla scadenza, il capo del dipartimento della protezione civile provvederà ad adottare, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, apposita ordinanza per favorire e regolare il subentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi necessari;
              in generale, la gestione amministrativa dei procedimenti di bonifica dei siti di interesse nazionale, di competenza del Ministero interrogato, è particolarmente complessa in quanto in ciascuna delle aree perimetrate di interesse nazionale ricadono proprietà di diversi soggetti, pubblici e privati, e le attività hanno ricadute socio-economiche e politiche molto rilevanti che spesso ostacolano l'avvio degli interventi di bonifica. Sul punto non va sottaciuto il dato di fondo sottolineato da Confindustria nel rapporto bonifiche del 2009, che ad oggi in nessun SIN, inteso come intera area perimetrata, «si è arrivati alla certificazione di avvenuta bonifica e quindi al risanamento definitivo delle aree ed alla conseguente possibilità di riutilizzo delle stesse»;
              gli evidenti ritardi nell'attuazione dei necessari interventi di bonifica nei SIN investono non solo la responsabilità delle istituzioni nazionali e locali interessate, ma anche il ruolo dei privati. Fattori disincentivanti sono rappresentati anche dall'assenza di incentivi per le imprese virtuose che scelgono di intervenire sulle aree da bonificare in tempi brevi, dalla farraginosità delle procedure amministrative da adempiere per l'esecuzione delle attività, che è tale da non favorire lo sviluppo di un mercato sano delle bonifiche, dal mancato rafforzamento del sistema dei controlli ambientali e del regime sanzionatorio. Vi è quindi un prioritario problema di semplificazione e di riordino delle norme e delle procedure amministrative, ma esiste anche, altrettanto urgente, la necessità di garantire l'adeguatezza delle strutture preposte alle attività di vigilanza e di controllo sulle operazioni di bonifica dei siti inquinati;
              l'articolo 2 del decreto-legge n.  208 del 2008, convertito, con modificazioni, in legge n.  13 del 2009, ha introdotto una procedura alternativa di risoluzione stragiudiziale del contenzioso relativo alle procedure di rimborso delle spese di bonifica e ripristino di aree contaminate e al risarcimento del danno ambientale, attraverso la stipula di una o più transazioni con una o più imprese interessate, pubbliche o private, in ordine alla spettanza e alla quantificazione degli oneri di bonifica e di ripristino, nonché del danno ambientale e degli altri eventuali danni di cui lo Stato o altri enti pubblici territoriali possano richiedere il risarcimento. A riguardo, alcune criticità relative alla procedura, al mancato coinvolgimento del sistema degli enti territoriali interessati e alla mancata destinazione delle risorse finanziarie che provengono dalle transazioni a interventi di bonifica, legate a forme di investimento locale, impediscono la sua compiuta attuazione;
              le scarse risorse destinate in generale al tema delle bonifiche dei siti di interesse nazionale, non hanno consentito ai territori interessati di essere restituiti nelle condizioni iniziali o in condizioni tali da attivare dei processi di reindustrializzazione;
              inoltre, la disciplina, di cui all'articolo 252-bis del decreto legislativo n.  152 del 2006, concernente l'individuazione di siti di preminente interesse pubblico ai fini dell'attuazione di programmi ed interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico produttivo, contaminati da eventi antecedenti la data del 30 aprile 2006, anche non compresi nel menzionato Programma nazionale di bonifica, nei quali attuare progetti di riparazione dei terreni e delle acque contaminate, nonché interventi mirati allo sviluppo economico produttivo, è rimasta lettera morta;
              in particolare, per quanto concerne la regione Campania, la mancata adozione di un Piano integrato di gestione dei rifiuti, di cui il Piano bonifiche è parte integrante, ha comportato, tra l'altro, anche il congelamento dei fondi comunitari della programmazione unitaria 2007-13 per il settore rifiuti e bonifiche;
              nella seduta del 21 novembre 2012 delle commissioni riunite VIII ambiente e XIV politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati, nell'ambito dell'audizione del Ministro in indirizzo sulle procedure di infrazione in materia di discariche illegali, a seguito della decisione assunta il 24 ottobre 2012 dalla Commissione europea di deferire l'Italia alla Corte di giustizia europea per la mancata attuazione di una precedente sentenza del 2007 che imponeva all'Italia di bonificare centinaia di discariche illegali e incontrollate di rifiuti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha riferito di aver sottoposto al CIPE un programma di ulteriori finanziamenti per le bonifiche che sono ancora oggetto di procedura di infrazione;
              tra gli obiettivi prioritari di intervento nel Mezzogiorno richiamati anche dalle delibere CIPE numeri 8 e 60 del 2012 figura l'impiego delle risorse destinate all'ambiente, con particolare riguardo alle azioni di riduzione del dissesto idrogeologico, di efficientamento dei sistemi di raccolta e depurazione delle acque e di bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale. Tuttavia, nella delibera CIPE n.  87 del 2012, relativa alla programmazione regionale delle residue risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) a favore del settore ambiente per la manutenzione straordinaria del territorio, tra gli interventi ad alta priorità ambientale, nei settori delle bonifiche, rifiuti, sistema idrico integrato, della difesa del suolo e della forestazione, si osserva come la regione Campania abbia proposto e individuato interventi nel settore della sola forestazione, finanziati per un importo di 60 milioni di euro, di cui quasi 1 milione e 700 mila euro destinati al progetto di investimenti per il potenziamento, a fini multifunzionali, dell'infrastruttura forestale della provincia di Caserta,

impegna il Governo:

          a valutare di procedere, sia sul piano normativo che su quello organizzativo e delle risorse disponibili, ad una profonda revisione della strategia di intervento pubblico sul tema delle bonifiche in generale, con particolare riguardo al sistema dei controlli ambientali e al regime sanzionatorio;
          ad individuare un'efficace strategia in tema di siti contaminati di interesse nazionale, rivedendo la gestione amministrativa dei procedimenti di bonifica dei siti stessi;
          a garantire nella regione Campania, in particolare, in collaborazione con le istituzioni e gli enti interessati, la bonifica e la riqualificazione dei territori che hanno subito negli ultimi decenni le conseguenze di un equilibrio ambientale gravemente compromesso, a danno di una comunità che da troppo tempo sta attendendo una soluzione definitiva, attraverso un percorso certo che preveda anche una progettualità sull'utilizzo dei siti bonificati;
          a prevedere, in collaborazione con altri Ministeri competenti, incentivi economici a favore della riconversione agricola dei terreni interessati;
          a rivedere, in collaborazione con gli altri Ministeri competenti, il regime fiscale delle aree ricomprese all'interno dei siti di interesse nazionale, con particolare riferimento all'imposta municipale unica (IMU);
          a prevedere l'istituzione di un apposito fondo per la defiscalizzazione delle aree ricomprese all'interno dei siti di interesse nazionale.
(7-01082) «Mariani, Graziano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI STANISLAO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 13 dicembre 2012 è apparso sul quotidiano «Unione Sarda» un articolo dal titolo «Il segreto Nato su Quirra. Respinta la richiesta dei Pm di accesso agli atti»;
          nell'ambito del processo in corso sull'inquinamento del poligono di Quirra il Pubblico ministero ha dichiarato che la Nato gli ha negato l'accesso ai documenti sulle attività del poligono;
          non risulta all'interrogante che la base di Salto di Quirra sia da considerarsi come una base al di fuori della giurisdizione italiana, a differenza di altri basi come Sigonella, Camp Darby, Vicenza, Bagnoli ed altre. Non è stato reso noto se siano stati formalizzati degli atti che impediscano un controllo italiano su quanto avviene nella base di Salto di Quirra;
          per quanto a conoscenza dell'interrogante l'autorità che avrebbe dovuto rilasciare una dichiarazione di segretezza sull'impiego della base con riferimento a richieste Nato dovrebbe essere l'Autorità nazionale di sicurezza (ANS) ed in particolare l'ufficio centrale di sicurezza;
          si palesa il pericolo che l'apposizione del segreto Nato possa ostacolare le indagini della procura di Lanusei relative al poligono  –:
          se il Governo non ritenga di fornire maggiori informazioni sulla questione citata in premessa, spiegando, qualora risulti il vero, come la Nato possa apporre il segreto su una base a comando di un generale italiano, scavalcando le prerogative dell'apparato militare italiano;
          quali siano le norme che regolano la segretazione delle attività nei poligoni.
(4-19268)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Ospedale del mare sorge ad 8 chilometri dal Vesuvio di Napoli, costantemente sotto stretta osservazione da parte della comunità scientifica;
          nel 2004 fu pensato e progettato come il nuovo modello dell'edilizia ospedaliera. Una vera e propria città che si estende su una superficie di 145.800 metri quadrati;
          all'interno si prevedono anche un albergo ed un centro commerciale, 1300 posti auto, 18 sale operatorie e 451 posti letto;
          Astaldi e Osmar (il raggruppamento di imprese vincitrici dell'appalto) si erano impegnate a consegnare i lavori nel 2008-2009, in cambio avrebbero gestito per 25 anni tutti i servizi della mega-struttura; la Astaldi è capofila di un gruppo di imprese, investimento previsto nel 2004 187 milioni di euro, quota pubblica 57 per cento, quota privata 43 per cento;
          una inchiesta del pubblico ministero Giancarlo Novelli ha coinvolto 12 persone tra funzionari della regione e dell'Asl Napoli1, manager e responsabili delle aziende;
          l'ospedale del mare di Napoli è costato milioni di euro, poi vi sono stati l'inchiesta, il sequestro e l'abbandono;
          il presidente della Regione Campania Caldoro in un recente sopralluogo ha dichiarato che i lavori sono stati terminati al 57 per cento;
          Novelli ha indagato per mesi sul «miracolo» delle varianti che hanno provocato modifiche del progetto iniziale (sale operatorie costruite e poi abbattute) e una lievitazione strepitosa dei costi, e ha scoperto cose folli;
          si legge che servirebbero altri 48 milioni di euro per finire l'opera, secondo le stime del dottor Ciro Verdoliva, il commissario delegato dalla regione, altri sostengono invece non meno di 258 milioni di euro poiché occorre una variante che costerà 56 milioni; inoltre sono aperti contenziosi per gli espropri non inferiori ai 9 milioni; per la vertenza in corso tra imprese private e pubblico sono in ballo altri 74 milioni e 282 mila euro; si aggiungano il costo delle attrezzature biomedicali che dovranno essere acquistate, altri 48 milioni e il fatto che le imprese vogliono far scendere la loro quota di investimento da oltre 91 milioni a 20 (quindi i 70 milioni di differenza dovranno essere coperti dal pubblico) ed è presto fatto: servono altri 258 milioni di euro (Il Fatto Quotidiano, 12 aprile 2011)  –:
          di quali notizie disponga il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, sullo stato di avanzamento dei lavori e sui fondi che occorrono per completare l'opera, su come siano state impiegate le risorse ad oggi e come siano state gestite, se sia vero – come si legge da giorni – che tale ospedale nascerebbe privo del reparto di pediatria e del pronto soccorso pediatrico. (4-19271)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          ANMDO, CGIL-FP, CIMO-ASMD, CISL Napoli, CISL medici ed il noto tossicologo oncologo Antonio Marfella dell'Istituto «Pascale» di Napoli mediante una manifestazione tenutasi in data 20 dicembre 2012 presso l'antisala dei baroni del Maschio angioino, con il patrocinio del comune di Napoli, intendono sensibilizzare le istituzioni sulla «natalità negata»;
          nella regione Campania è penalizzata l'assistenza materno-infantile, nonostante i 60.000 nati all'anno, ma anche l'elevata mortalità neonatale;
          Paolo Gilimberti, presidente della Società italiana di neonatologia, ha dichiarato «La chiusura del reparto di ostetricia e ginecologia del presidio ospedaliero Ss. Annunziata, oggi inglobato nell'azienda ospedaliera Santobono-Pausilipon ed il suo trasferimento a lungo termine presso il presidio ospedaliero “San Gennaro” priva di fatto la città di Napoli di uno dei pochi modelli di medicina perinatale presenti nella città»    (agenzia Adnkronos, 6 luglio 2012);
          l'unità di maternità dell'ospedale SS. Annunziata era la più produttiva della ASL NSA-1 prima dell'aggregazione all'azienda Santobono-Pausilipon;
          è chiusa da oltre sei mesi per necessità di lavori per ripristinarne l'agibilità, senza che si intraveda ancora nessun effettivo impegno per l'inizio dei lavori stessi e la ripresa dell'attività, nonostante una precisa disposizione del sub commissario ad acta governativo dottor Morlacco del 24 luglio 2012 a ripristinare al più presto l'attività;
          un decreto commissariale di poco più di un anno fa ribadiva ancora una volta che erano da escludersi, «al fine di garantire la piena efficienza della rete materno-infantile, scenari che comportassero una separazione delle diverse funzioni erogate» dall'ospedale (cioè proprio quello in atto);
          attualmente si è così creata la colossale anomalia di avere, all'Annunziata, la terza terapia intensiva neonatale della città disgiunta da un reparto di maternità, contrariamente alle raccomandazioni delle società scientifiche di neonatologia, generando gravi disservizi e disagi per le gravide a rischio di partorire un neonato prematuro ed aumentando in tal modo il rischio di morte o danno permanente dei piccoli prematuri  –:
          se il Governo, per il tramite del commissario ad acta alla sanità in Campania, intenda acquisire le notizie necessarie in merito alla situazione descritta e quali iniziative di competenza si intendano assumere a salvaguardia dei piccoli e futuri nati e dei relativi livelli essenziali di assistenza. (4-19272)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Mauro Moretti, ingegnere, manager, è dal 2006 amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, dal 2008 presidente Grandi Stazioni, ex presidente di Rete ferroviaria italiana (2001-2006), ex segretario nazionale della Cgil Trasporti (1986-1991). È in Fs dal 1978;
          in data 20 dicembre 2012 il corriere.it informa che «La Procura di Lucca sta notificando le richieste di rinvio a giudizio per 32 persone e 9 società indagate nell'inchiesta sulla strage di Viareggio, avvenuta il 29 giugno del 2009, che provocò 32 vittime. Tra le persone per le quali i magistrati chiedono il rinvio a giudizio c’è anche l'ad di Fs Mauro Moretti»;
          fra le accuse, omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario colposo;
          per responsabilità amministrativa la richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche società del Gruppo Ferrovie dello Stato. Fra gli altri indagati e le altre società per cui la procura di Lucca chiede il rinvio a giudizio per la strage di Viareggio ci sono dipendenti e responsabili della Gatx, proprietaria del convoglio che deragliò alla stazione di Viareggio, la Jughental e la Cima, che sono le aziende tedesca e italiana che svolsero revisioni sull'asse che poi «criccò», provocando il deragliamento del convoglio;
          il treno stava trasportando gas: nell'incidente il gpl fuoriuscì ed esplose distruggendo un quartiere di Viareggio. Fra le questioni su cui c’è stata battaglia fra accusa e difesa, durante le indagini, quella sulla causa dello squarcio nella cisterna: secondo i magistrati a provocarlo fu un picchetto, secondo i difensori fu un componente dello scambio  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti ed intendano procedere al dimissionamento dell'amministratore delegato Moretti nonché quali misure intendano assumere per il futuro a fronte di simili disastri che hanno comportato la perdita di vite umane ed un dolore incolmabile per tante famiglie.
(4-19274)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


      CATANOSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          da quanto si apprende dai maggiori quotidiani nazionali e da diversi siti internet, è stato rapito in Siria un nostro connazionale;
          si tratta dell'ingegnere siciliano di San Gregorio di Catania Mario Belluomo;
          secondo quanto riportano le fonti di stampa, il nostro connazionale era in Siria per partecipare alla realizzazione di un impianto siderurgico nei territori delle cittadine siriane di Latakia e di Tartus per conto della Hmisho Steel S.A.;
          insieme all'ingegnere italiano sono stati rapiti due cittadini russi che, si presume, lavoravano allo stesso progetto governativo di collaborazione russo-siriana e co-finanziato dall'Unione europea;
          questo rapimento desta preoccupazione perché sembrerebbe opera di soggetti legati a vario modo alle forze straniere che stanno partecipando alla guerra in corso nella Repubblica araba di Siria;
          questo rapimento, nei fatti, vorrebbe bloccare la realizzazione dell'opera industriale siderurgica a danno dell'attuale Governo di Bashar al-Assad che grazie all'alleanza con la Russia ancora resiste alle operazioni militari nel suo paese;
          sempre dagli organi di stampa si apprende che la Farnesina ha già attivato un'unità di crisi e sta seguendo il caso avendo riguardo, in primo luogo, alla sua incolumità  –:
          quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, oltre a quelle già messe in atto, per sensibilizzare le parti in campo nella guerra siriana e far rilasciare il nostro connazionale in tempi brevi e farlo riabbracciare alla sua famiglia.
(4-19249)


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          le organizzazioni umanitarie hanno avvertito che più di 2 milioni di persone in Afghanistan, sono a rischio freddo, malattie e malnutrizione questo inverno, ed hanno invitato ad accrescere gli sforzi per aiutare le famiglie vulnerabili a prepararsi per il freddo nel corso dei prossimi mesi;
          le condizioni meteorologiche estreme in Afghanistan hanno un enorme impatto sulle persone e sui loro mezzi di sussistenza. Le comunità più povere, e donne e bambini, sono i più colpiti;
          quest'anno, i preparativi sono in corso per aiutare le famiglie afghane ad affrontare le dure condizioni invernali. All'inizio di questo mese, il Programma alimentare mondiale (PAM) e Agenzia rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) hanno lanciato un programma di fornitura di cibo e forniture invernali a più di 2.000 famiglie in Afghanistan nelle province di Kunduz, Baghlan, Badakhshan e Takhar;
          a Kabul, che ospita circa 30.000 sfollati che vivono nei campi e insediamenti informali, agenzie delle Nazioni Unite ed i partner stanno distribuendo cibo, carburante compresi legna da ardere e carbone, vestiti, teli impermeabili, coperte e medicine;
          centinaia di famiglie vivono per lo più in tende di fortuna, senza molta protezione contro il duro inverno. Senza alcuna fonte di reddito, la maggior parte delle persone dipendono dagli aiuti umanitari;
          è stato recentemente approvato un accordo di lungo partenariato con l'Afghanistan che mira a promuovere lo sviluppo di un partenariato di lungo periodo per il cui tramite realizzare il rafforzamento delle relazioni bilaterali, anche nel contesto delle future relazioni del Paese asiatico con le organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte e rappresenta una cornice unitaria atta a mettere a sistema i vari filoni di collaborazione già esistenti richiamando accordi firmati e ratificati  –:
          se il Governo intenda intervenire, in maniera maggiore e più incisiva, con le iniziative di cooperazione allo sviluppo in Afghanistan, aumentando le risorse e sottraendole dalle spese militari, sostenere le associazioni umanitarie che operano sul territorio e adoperarsi per aiutare concretamente migliaia di persone in condizioni disagiate e che rischiano la vita a causa delle gravi e pesanti condizioni meteorologiche previste da qui a breve. (4-19255)


      LAINATI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero degli affari esteri ha indetto un concorso per esami a sei posti di dirigente di seconda fascia dell'area della promozione culturale, con decreto ministeriale n.  154-bis del 27 marzo 2012 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale «Concorsi ed esami» n.  25 del 30 marzo 2012;
           i dirigenti di seconda fascia della promozione culturale verranno destinati, dopo un periodo di servizio alla Farnesina, a dirigere importanti istituti italiani di cultura all'estero;
          i criteri e le linee guida per la nomina dei direttori di istituto italiano di cultura sono chiaramente indicati nella legge 22 dicembre 1990, n.  401, nonché nel decreto 449-bis del 28 giugno 2007 a firma dell'ambasciatore Gherardo La Francesca. Criteri che si riassumono qui di seguito: «professionalità acquisita; specifiche competenze e attitudini professionali, desumibili anche da precedenti esperienze nella gestione di eventi culturali e dalla conoscenza di particolari lingue ed aree geografiche; esperienza maturata nella gestione di un Istituto, con particolare riguardo all'utilizzo delle risorse umane e finanziarie, rilevabile – in quest'ultimo caso – anche attraverso l'analisi dei bilanci relativi ai precorsi incarichi; capacità dimostrata nel reperimento di risorse finanziarie derivanti da servizi resi all'utenza ed eventuali sponsorizzazioni»;
          va ribadita inoltre l'importanza che la stessa amministrazione degli affari esteri attribuisce all'esperienza nella gestione diretta dei corsi di lingua e cultura italiana, finalità degli istituti di cultura nonché preziosa fonte di autofinanziamento per i medesimi;
          va ricordato altresì che il Ministro interrogato, in occasione dell'ultima tornata di nomine a direttore di istituto di cultura «per chiara fama», ha richiamato l'importanza dei suddetti criteri e linee guida, soffermandosi in particolare sulla capacità di attrarre le necessarie risorse finanziarie grazie alla collaborazione con il privato e a forti collegamenti con i diversi settori della società locale; e sulla capacità di gestire strutture complesse quali sono gli Istituti Italiani di Cultura;
          consta all'interrogante che:
              a) la graduatoria finale è formata da soli 8 nominativi, tra vincitori e idonei, mentre i concorrenti erano in numero di 150 circa;
              b) gran parte dei direttori e degli addetti culturali di ruolo del Ministero degli affari esteri – i più esperti e, si presume, i più preparati – non sono stati ammessi agli orali, benché il loro operato fosse stato valutato come eccellente dall'amministrazione stessa;
              c) alcuni fra i vincitori e gli idonei non hanno mai diretto un Istituto italiano di cultura, né hanno esperienza comprovata nella gestione dei corsi di lingua italiana;
          è evidente, ad avviso dell'interrogante, la discrasia tra criteri mediante i quali l'amministrazione degli affari esteri nomina, e successivamente valuta, i direttori di istituti italiani di cultura e i criteri scelti dalla commissione d'esame, benché quest'ultima, presieduta da un ambasciatore a riposo, fosse emanazione dell'amministrazione stessa  –:
          quali criteri abbia adottato la Commissione d'esame del concorso in questione nel valutare i candidati;
          quali siano state le modalità di nomina dei componenti della commissione d'esame e quali siano i loro titoli professionali e culturali, nonché le modalità di valutazione delle prove, in particolare quella di lingua inglese;
          quali approfondimenti il Ministro intenda promuovere per tutelare la professionalità dei direttori e addetti culturali di ruolo del Ministero degli affari esteri affinché non venga declassato il profilo professionale di molti istituti italiani di cultura all'estero. (4-19264)


      SBAI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'Europa ha ricevuto il Nobel per i diritti umani;
          l'Europa poco ha fatto, nella realtà, per contrastare le violazioni ai diritti umani dovunque esse si siano verificate;
          l'Europa ha in più occasioni ammonito l'Italia sul rispetto dei diritti umani;
          l'Europa non mette a disposizione degli Stati membri degli strumenti di politica comune in relazione alla tutela dei diritti umani;
          soprattutto le donne sono vittime delle più disparate violazioni dei diritti umani, in Europa e in Italia;
          in Italia non esiste una Commissione parlamentare per i diritti umani;
          in Italia non esiste un Osservatorio per i diritti umani;
          in Italia le politiche sui diritti umani sono sostanzialmente rivolte alla «non discriminazione» e mai alla tutela dei diritti umani «tout court»;
          l'Italia e l'Europa sono molto indietro rispetto alle politiche globali di tutela dei diritti umani;
          l'Italia e l'Europa non sono intervenute sulla condizione delle donne afghane, ormai ridotte alla prigionia in casa propria e al suicidio per sfuggire all'omicidio, considerato spesso reato d'onore;
          l'Italia e l'Europa non hanno finora effettuato alcun intervento relativamente a vicende drammatiche come quella del blogger e dissidente saudita Raif Badawi, ormai prossimo alla pena di morte per apostasia;
          apostasia mascherata come, pena per aver aperto un blog e criticato la polizia religiosa saudita (http://www.almaghrebiya.it);
          lo stesso giornale online ha promosso, solo e senza aiuti istituzionali né politici, una petizione per salvare la vita a Badawi, che sta raccogliendo in poche ore centinaia di firme (http://firmiamo.it);
          la mobilitazione sul web e sui social network è ormai galoppante e coinvolge migliaia di persone in tutto il mondo, come testimoniano le migliaia di tweet e likes sulle pagine della petizione  –:
          come intenda il Governo, operare in relazione ai fatti suddetti;
          se intenda il Governo, porre in essere le iniziative di competenza per la celere istituzione di un Osservatorio per i diritti umani;
          se intenda il Governo, sollecitare e fare pressione sulla comunità internazionale, affinché sia risparmiata la vita all'ennesimo dissidente che denuncia la repressione e la paura in Arabia Saudita, nel nuovo Egitto e in tutti i Paesi dove l'estremismo ha preso il potere. (4-19265)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il legno in pellet è un combustibile ricavato dalla segatura essiccata e poi compressa in forma di piccoli cilindri con un diametro di alcuni millimetri, tipicamente 6-8 millimetri (fonte Wikipedia);
          all'interrogante risulta che il pellet deve essere fatto solamente con legno nuovo, vergine, in pratica segatura pressata;
          quello di provenienza pare ricavato dalle traversine ferroviarie dismesse ed impregnate di numerose sostanze chimiche;
          tempo fa — si legge sul web — è stata ritirata un'ingente partita di pellet proveniente dai paesi dell'Est, poiché risultata radioattiva;
          nel periodo invernale gli italiani usano ampiamente tale materiale divenuto ordinario nelle famiglie  –:
          di quali notizie disponga il Governo, quali criteri o disposizioni regolino l'importazione della materia prima per ricavare questo combustibile e quali iniziative si intendano assumere a tutela della salute dei cittadini, che on line espongono da tempo dubbi e timori sulla sicurezza del pellet. (4-19273)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


      VATINNO e BARBATO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          presso l'Onu, Organizzazione delle nazioni unite sarebbe sorto l'Unoosa, Ministero degli affari spaziali e Mazlan Othman, l'astrofisica malese sarebbe stata messa a capo della struttura con il fine di accogliere gli extraterrestri (lastampa.it, 29 settembre 2010);
          la nomina sarebbe avvenuta in occasione della conferenza della Royal Society Kavli foundation nel Buckinghamshire, in cui la Othman avrebbe anche presentato il proprio «piano». La divulgazione dei progetti seguiti dall'astrofisica, che è stata a capo dell'agenzia spaziale malesiana con cui ha organizzato la preparazione al lancio del primo astronauta del suo Paese, si sarebbe resa necessaria data la scoperta di centinaia di nuovi pianeti che, secondo la stessa scienziata, «aumenterà le possibilità di rilevare la presenza di vita extraterrestre nel cosmo». E questo significa che l'Onu deve essere pronto a coordinare la risposta dell'umanità a un eventuale «primo contatto», come riportato dal Telegraph;
          Dimitri Medvedev, premier della Federazione russa, – un lancio agenzia Ansa 9 dicembre 2012 riferisce che nel corso di un fuori onda televisivo – avrebbe detto ad un giornalista che insieme alla valigetta con i codici nucleari, gli sarebbe consegnato una speciale cartella «top secret». «Questa cartella contiene solo informazioni sugli alieni che hanno visitato il nostro pianeta». «Inoltre, gli viene consegnato un rapporto del servizio segretissimo che esercita il controlla sugli alieni sul nostro territorio nazionale», aggiunge Medvedev, secondo cui «informazioni più dettagliate su questo argomento potete ricavarle dal noto film “Men in Black”», «però non vi dirò quanti di loro sono fra noi perché questo creerebbe panico», ha aggiunto il premier;
          Ronald Reagan, 40° Presidente degli Stati Uniti d'America, ad otto anni dalla scomparsa, l'ex collega Shirley MacLaine ha rivelato che: «Reagan lasciò la carriera di attore per gettarsi nell'arena politica proprio dopo un incontro ravvicinato con un entità aliena che lo impressionò molto. Erano i primi anni ’50, lui e la moglie Nancy erano attesi ad un party organizzato dall'attore William Holden.  Arrivarono in ritardo, molto eccitati. All'amica Lucilie Ball (star della serie tv “I love Lucy”, in Italia “Lucy ed io”) raccontarono la loro incredibile avventura: si erano fermati sulla superstrada che porta a Los Angeles per osservare un disco volante in fase di atterraggio. Nella versione riferita dalla Ball, l'evento già abbastanza eccezionale si concludeva così. Invece, ora la 78enne MacLaine ricorda di aver sentito dalla collega quel dettaglio in più, sconvolgente. Dall'astronave sarebbe uscito un E.T. che rivolgendosi all'attore lo avrebbe invitato ad abbandonare Hollywood per concentrarsi sulla politica, probabilmente profetizzandogli un luminoso futuro. In effetti, da lì a poco Reagan smise di recitare. Come si sa, dal 1967 fino al 1975 ricoprì la carica di Governatore della California e poi, dal 1981 al 1989, venne eletto per due mandati consecutivi alla Casa Bianca. Bè, l'alieno aveva visto bene. Non fu quello però l'unico avvistamento straordinario che Ronald Reagan avrebbe fatto. Quando era ancora governatore, nel 1974, stava volando a bordo di un Cessna Citation diretto a Baskersfiled. A bordo, oltre al pilota Bill Paynter, c'erano anche due guardie del corpo. Tutti e quattro gli uomini ad un certo punto notarono una strana luce bianca nel cielo che sembrava seguirli. «Appariva lontana alcune miglia – riferì il pilota – ma poi all'improvviso accelerò, sembrò allungarsi e poi sparì di colpo. Tutti sull'aereo rimanemmo sorpresi... Quell'Ufo era passato in un istante da una normale velocità di crociera ad una velocità straordinaria»;
          il 23 giugno 2006 nel corso della conferenza stampa della prima giornata del seminario internazionale intitolato Media between Citizens and Power («I media fra i cittadini ed il potere») tenutosi all'Isola di San Servolo presso il polivalente centro congressi di proprietà della provincia di Venezia, l'ex premier sovietico Michail Sergeevich Gorbaciov ha risposto alle domande di una quarantina d'inviati di testate nazionali e locali, e di radio e televisioni. Il seminario internazionale (durato due giorni, dal 23 al 24 giugno 2006) è stato patrocinato dalla provincia di Venezia e dal World Political Forum fondato dallo stesso Gorbaciov. La penultima domanda (precedente a quella dell'inviato di Rainews24) è stata posta da Luca Scantamburlo, inviato del Gruppo Editoriale Olimpia per le riviste Tecnologia&Difesa ed UFO Notiziario. Il quesito rivolto al grande statista russo concerneva alcune dichiarazioni pubbliche di Ronald Reagan in merito alla possibilità di una «minaccia aliena» alla Terra proveniente «da un altro pianeta», eventualità che avrebbe aiutato gli uomini a riconoscere il legame che li affratella (discorso ad un liceo nel Maryland il 4 dicembre 1985, e speech a New York alla 42ma Assemblea Generale dell'ONU il 21 settembre 1987);
          durante il quesito in conferenza stampa l'ex premier Gorbaciov è intervenuto interrompendo il giornalista e, riferendosi a Reagan, ha affermato: «Fra le altre cose ne ha parlato una volta anche con me»; l'inviato ha replicato: «A Ginevra nel 1985», senza essere smentito dall'ex premier al quale ha infine chiesto un commento alle sconcertanti dichiarazioni rilasciate l'anno scorso all'Università di Toronto da Paul Hellyer, ex ministro della difesa canadese (vedasi il servizio di Maurizio Molinari per La Stampa di Torino, 26 novembre 2005, Esteri, pagina 10), il quale ha parlato della possibilità di un'imminente «guerra intergalattica» alla quale gli Stati Uniti si starebbero segretamente preparando;
          Winston Churchill, primo ministro del Regno Unito dal 1940 al 1945 e successivamente dal 1951 al 1955, noto statista e stratega, Churchill, ex ufficiale dell'esercito britannico – il 6 agosto 2012 il corriere.it informa i lettori che – «Ai dischi volanti, Churchill fu iniziato nel 1912: nel cielo di Sheerness, in Essex, sopra la base-scuola della Royal Navy qualcuno osservò un oggetto strano che luccicava e rimase stordito. Forse era un velivolo ma non avendo mai visto cose del genere quel testimone lanciò l'allarme e la faccenda finì persino alla Camera dei Comuni. Fu tale lo spavento che il Parlamento ordinò al primo Lord dell'Ammiragliato, il trentottenne Winston Churchill, di venire a capo della inquietante intrusione. Se ne occuparono i servizi segreti della flotta di sua Maestà che però non riuscirono a dare una spiegazione esauriente del fatto. E, così, si preferì soprassedere. Allucinazioni visive ? Invasione dallo spazio ? Un bel po’ di anni dopo, ci raccontano i documenti storici resi pubblici ieri dall'Archivio Nazionale di Stato, Winston Churchill fu costretto di nuovo, e in diverse occasioni, a occuparsi di Ufo. Se nel 1912 non vi aveva prestato più di tanta attenzione e probabilmente non se ne era nemmeno preoccupato, questa volta il leader conservatore, divenuto nel frattempo capo del governo, pensò di andarci cauto e di non sottovalutare gli avvistamenti segnalati.»;
          Jimmy Carter, il 39° presidente degli Stati Uniti d'America, in carica dal 1977 al 1981, durante la campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti, promise di aprire al pubblico e svelare i segreti della cosiddetta «Camera D» del Pentagono: l'archivio sugli ufo del governo americano. Carter, subito dopo la laurea in fisica si era occupato del fenomeno ufo affermando di essere stato protagonista di un incontro ravvicinato. Gli studiosi gli credettero. Eletto alla carica di Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter non mantenne la promessa;
          con Area 51 si intende – riferisce il corriere.it a firma Antonio Carioti datato 8 luglio 2011 – una base militare segreta nel Nevada, che sorge presso il letto di un antico lago salato, Groom Lake, distante 150 km da Las Vegas. Si dice che là siano stati trasportati i resti di un disco volante, comprese le salme dei suoi passeggeri alieni, precipitato a Roswell (New Mexico) nel luglio 1947. In effetti le versioni ufficiali delle autorità americane sulla vicenda non sono mai apparse del tutto convincenti. E sulle attività di Area 51 grava ancora una cappa di mistero. Ma non è detto che dietro ci sia una vicenda di contatti con gli extraterrestri. Il documentario «Inside Area 51», in onda su National Geographic Channel (canale 403 di Sky, ore 21.10), punta piuttosto i riflettori sul lato nascosto della guerra fredda. Per la prima volta si confessano davanti alle telecamere piloti, tecnici, ufficiali e agenti segreti operanti nella base, tra cui l'ex comandante di Area 51, Hugh Slater, e l'ex vicedirettore della Cia, Albert Wheelon.  Si parla di test atomici, voli sperimentali, collaudi di nuovi prototipi (dal famoso U2 al misterioso Oxcart) per lo spionaggio ad alta quota sull'Unione Sovietica. Venne sperimentato a Groom Lake anche un mezzo a quattro ruote poi usato dagli astronauti sulla luna. Realizzata con la consulenza di Annie Jacobsen, autrice del saggio investigativo «Area 51», uscito in maggio negli Stati Uniti e recensito dal New York Times, la trasmissione fornisce molte informazioni interessanti. Ma non pretende di dire una parola definitiva sugli enigmi di Groom Lake. Anzi termina con le dichiarazioni di due protagonisti che ammettono di aver rivelato «solo una parte della storia». Viene da pensare che abbiano taciuto proprio gli aspetti più intriganti. Che magari potrebbe davvero riguardare gli alieni  –:
          se i Ministri interrogati sono informati dei fatti esposti in premessa che, ad avviso degli interroganti meritano un approfondimento e, se dispongano notizie in merito, nonché se il Governo intenda reperire elementi anche sul piano internazionale sull'argomento esposto, come ad esempio l'esistenza dell'Area 51, se l'Italia disponga e dove di eventuali strutture delle Forze armate o di altri Corpi dello Stato dediti allo studio del fenomeno ufologico, se siano stati prodotti documenti e relazioni riservati in ambito nazionale o Nato, se infine in Italia si possa prevedere la creazione di una struttura dedicata munita dei requisiti di trasparenza pubblica. (4-19252)


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          un recente rapporto delle Nazioni Unite dice che le vittime civili in Afghanistan sono aumentate del 28 per cento tra il 1o agosto e il 31 ottobre del 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011;
          la missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha pubblicato un nuovo rapporto nel quale si parla di almeno 967 civili uccisi e 1.590 feriti nel corso del terzo trimestre dell'anno;
          secondo il rapporto, gli insorti sono responsabili dell'80 per cento delle vittime civili, mentre solo il 6 per cento è il risultato di operazioni di forze di sicurezza afghane. Rimane poco chiara la causa di morte per il 10 per cento di loro;
          «scontri armati e ordigni esplosivi improvvisati hanno causato la maggior parte degli incidenti», dice il rapporto. Circa 13.431 civili sono stati segnalati come uccisi in Afghanistan dal 2007 sino ad agosto 2012;
          l'ISAF (NATO International Security Assistance Force) dovrebbe ritirare la maggior parte dei suoi 130.000 militari dall'Afghanistan entro la fine del 2014. Circa 2.000 militari statunitensi e 1.190 truppe della coalizione sono morti in Afghanistan dall'inizio della guerra nel 2001, secondo iCasualties.org, un'organizzazione indipendente che traccia le morti;
          è di qualche giorno fa, inoltre, la notizia relative a dieci bambine, di età comprese tra i nove e gli 11 anni, che sono morte nell'esplosione di una mina antiuomo urtata accidentalmente mentre stavano raccogliendo legna nell'est dell'Afghanistan;
          l'incidente è avvenuto nella provincia orientale di Nanagahar, quando una delle bambine ha colpito per sbaglio una vecchia mina con un'accetta. «L'esplosione della mina ha ucciso dieci bambine e ne ha ferite altre due», spiega il governatore del distretto di Chaparhar, Mohammad Sediq Dawlatzai;
          una fortissima esplosione, le cui cause sono ancora da accertare, è stata udita nel centro di Kabul. Secondo residenti e testimoni, l'esplosione sembra provenire da una zona di Kabul dove è presente una grande base dell'Isaf, la forza internazionale a guida Nato, che ha confermato l'esplosione, precisando che non si tratta della base di Camp Phoenix, nell'est della capitale afghana;
          recentemente il Pentagono ha consegnato l'ultimo «Rapporto sui progressi verso la sicurezza e la stabilità in Afghanistan» che riguarda il periodo tra il primo aprile e la fine di settembre. Nel rapporto i militari sottolineano che attualmente solo 1 delle 23 brigate dell'esercito afghano (Ana) è in grado di operare in modo indipendente, senza l'assistenza delle truppe Usa e Nato. Inoltre, il livello di violenza nel Paese è superiore rispetto a due anni fa, quando gli Stati Uniti rafforzarono la loro presenza nel Paese con il «surge» statunitense voluto dal presidente Barack Obama. Allo stesso tempo, l'incremento delle truppe straniere non sembra aver intaccato sensibilmente l'insorgenza talibana, che, scrive il rapporto, «resta determinata e conserva la capacità di piazzare un numero consistente di led (ordigni esplosivi improvvisati) e condurre attacchi isolati di alto profilo». Oltre a mantenere «una notevole capacità di rigenerarsi». Secondo il Pentagono, continuerebbe in maniera pressoché invariata anche il supporto del Pakistan agli insorti. A questo si aggiunge un continuo indebolimento del Governo centrale in tutto il Paese, dovuto soprattutto alla «corruzione diffusa», unita all'impossibilità di accesso delle forze governative «nelle zone rurali a causa della mancanza di sicurezza», alla «carenza di coordinamento tra governo centrale, province e distretti» e agli squilibri nella «distribuzione del potere tra potere giudiziario, legislativo ed esecutivo»;
          gli insorti, sottolinea il rapporto del Pentagono, ricorrono sempre più spesso a «omicidi, sequestri, tattiche intimidatorie, incoraggiamento degli “insider attack”». Apparentemente con successo, dato che gli attacchi di soldati o agenti afghani contro gli «alleati» stranieri sono passati dai due del 2007 agli almeno 37 di quest'anno;
          si deve tener conto degli ultimi rapporti citati della Nato e del Pentagono circa l'attuale situazione in Afghanistan;
          l'Italia ha ribadito la sua presenza anche oltre il 2014 con una missione post-Isaf  –:
          se il Governo non ritenga di dover rivedere la posizione dell'Italia circa la presenza sul territorio afghano, considerando i pessimi risultati raggiunti in termini politici, economici, culturali, sociali evidenziati dai rapporti di Nato e USA in relazione ai 12 anni di occupazione e considerando, in particolar modo, quella che all'interrogante appare l'assoluta incapacità delle Ansf di gestire la propria sicurezza e di avere una propria autonomia operativa. (4-19267)


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la riforma dei vertici approvata nel lontano 1997 ed attuata con il decreto del Presidente della Repubblica 556 del 25 ottobre 1999, prevede la nomina con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della difesa, delle cariche di vertice militari con rango di capo di stato maggiore della difesa, di capo di stato maggiore di Forza armata, segretario generale della Difesa, comandanti generali di carabinieri e Guardia di finanza;
          in tutti i casi, il requisito indispensabile è il grado di generale di Corpo d'armata e gradi corrispondenti in servizio permanente;
          in particolare, nelle Forze armate e Corpi armati ad ordinamento militare, la carriera è garantita democraticamente da criteri di meritocrazia dalle varie commissioni di avanzamento fin dai ruoli più bassi. Infatti, l'articolo 8 del decreto legislativo n.  490 del 1997 recita, al comma 1: «per l'avanzamento al grado superiore l'ufficiale deve possedere i requisiti fisici, morali, di carattere, intellettuale, di cultura, professionali, necessari per bene adempiere le funzioni del nuovo grado. Aver disimpegnato bene le funzioni del proprio grado è condizione indispensabile, ma non sufficiente, per l'avanzamento al grado superiore». Prosegue al comma 2 «per l'avanzamento ai vari gradi di generale o di ammiraglio i requisiti di cui al comma 1 debbono essere posseduti in modo eminente, in relazione alle funzioni di alto comando o di alta direzione da esercitare nel nuovo grado»;
          pochi giorni or sono il Consiglio dei ministri ha deliberato le nomine dei capi di Stato Maggiore dell'Aeronautica, della Marina e della Difesa nelle persone rispettivamente del generale di squadra aerea Preziosa, ammiraglio di squadra Giuseppe de Giorgi e l'ammiraglio di squadra Luigi Binelli Mantelli;
          riguardo alle caratteristiche personali e professionali dell'ammiraglio Binelli sono da rilevare in particolare alcuni aspetti critici del suo agire nell'ultimo anno: il Ministro Terzi il 13 marzo 2012 riferiva al Senato riguardo alla nota vicenda del trattenimento dei nostri marò in India, che in seguito alla richiesta «del Centro di coordinamento per la sicurezza in mare di Bombay, (...) il Comandante della Lexie, acquisita l'autorizzazione dell'armatore, decideva di dirigere in porto e il Comandante della squadra navale (...) non avanzava obiezioni (...) non avendo nessun motivo di sospetto». All'epoca dei fatti il comandante della squadra navale era proprio l'ammiraglio Binelli che dopo una decina di giorni circa, assumeva l'incarico di capo di stato maggiore della Marina; al simposio della Marina militare svoltosi a Venezia il 17 ottobre 2012 lo stesso Binelli annunciava, ad avviso dell'interrogante sempre ingenuamente, il prossimo rientro dei due militari per Natale, cosa che probabilmente non avverrà prima di tre mesi. Lo stesso Binelli è inoltre colui che si è distinto, nonostante la sua carica istituzionale di capo di stato maggiore della Marina, per aver dato gli onori alla X MAS, così come si evince dall'articolo apparso sull'Unità in data 26 ottobre 2012;
          per quanto sopra evidenziato, risultano, quindi, comportamenti a giudizio dell'interrogante quantomeno ingenui e superficiali durante la recente carriera dell'ammiraglio Binelli. In quanto comandante in capo della squadra navale, nel mese di febbraio non ha, quindi, dimostrato, secondo l'interrogante, di essere all'altezza di valutare la possibilità di un raggiro da parte di uno Stato indiano come il Kerala. In quanto primo responsabile, degli interventi militari di anti-pirateria (in quanto i nuclei militari di protezione mantengono una dipendenza della difesa facente capo a CINCNAV, ubicata a Santa Rosa – Roma), avrebbe dovuto almeno conoscere la nota conflittualità fra i pescatori del Kerala con lo Stato dello Sri Lanka, oltre che le allora imminenti votazioni politiche. Ingenuità e superficialità ancor più dimostrate, nel momento in cui non risultano ci fossero, e ci siano ancora, accordi bilaterali con l'India per l'attività anti-pirateria dei nostri militari sulle navi mercantili. Tutto ciò nonostante avesse avuto qualche ora per riflettere e nonostante nell'area a circa ottanta miglia risulterebbe ci fosse la presenza di una fregata della Marina militare dotata di elicotteri. Ingenuità e superficialità riconfermate, come sopra scritto, nell'accogliere con onore presso i suoi uffici la X MAS. L'ammiraglio Binelli, che appare all'interrogante dai comportamenti oggettivamente ingenui e superficiali, presto sarà al comando operativo di tutte le Forze armate italiane;
          riguardo all'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, comandante in capo della squadra navale, l'interrogante con atto n.  4-17954 evidenziava che il comando di nave Mimbelli aveva dato direttive scritte che, quando l'ammiraglio De Giorgi era in sede a Taranto, bisognava essere pronti in qualsiasi momento per rendergli gli onori e, tra l'altro era necessario «in tenuta di rappresentanza servire mandorle tostate e spumante/champagne». Ciò oltre ad altre discutibili puntualizzazioni che facevano chiaramente dedurre che non era un fatto estemporaneo e di spontanea iniziativa del comandante in II della nave, ma quello che all'interrogante appare un «modus vivendi» del De Giorgi. Alle richieste di annullare tali ordini, oltre che semplicemente trasferire l'ammiraglio De Giorgi ad altra destinazione non operativa, il Ministro di Paola rispondeva in data 23 novembre 2012 (a giudizio dell'interrogante in maniera insoddisfacente), che l'iniziativa era esclusivamente del Comando di bordo che ha interpretato in motu proprio i dettagli di ospitalità a bordo della propria nave;
          lo stesso interrogante con l'atto 4-18812 sottolineava l'atteggiamento evasivo da parte del Ministro nella suddetta risposta. In quest'ultima interrogazione si evidenziava, infatti, che già dal 25 ottobre 2012, su siti internet è stata pubblicata una foto che riprendeva il De Giorgi sull'aletta di plancia, in un contesto operativo e con mare mosso. Nonostante l'indubbia e delicata attività operativa di navi militari armate, che era in atto al momento della foto, l'ammiraglio, vestito alla «top gun», era intento a sorseggiare champagne e ad assaggiare tartine e pizzette che gli venivano portate con vassoi da due probabili militari in abbigliamento da cameriere. Per non parlare della mancanza di sicurezza sul lavoro, che tale sfarzoso servizio comportasse;
          l'ammiraglio De Giorgi, quindi, è stato comunque nominato capo di stato maggiore della Marina militare, nonostante i suoi atteggiamenti, che appaiono all'interrogante, sfarzosi ed imprudenti, siano stati confermati addirittura con una foto che dimostra secondo l'interrogante un'abitudine di vita effimera e un oggettivo mancato ascendente nei confronti degli equipaggi, ampiamente deducibili dai blog e siti internet  –:
          quali siano le ragioni ed i criteri che hanno ispirato la nomina a capo di stato maggiore della difesa dell'ammiraglio Binelli;
          quali siano le ragioni e i criteri per i quali, l'ammiraglio De Giorgi è stato nominato capo di stato maggiore di una Forza armata, nonostante quello che all'interrogante appare il carattere sfarzoso ed imprudente espresso, atteggiamenti tra l'altro che sono contrari ai requisiti predominanti di morale e di cultura che i generali devono avere per avanzare di grado;
          se non si intendano assumere iniziative volte a un ripensamento alle nomine effettuate, prorogando l'attuale Capo di Stato maggiore della Difesa e della Marina, anche in considerazione del fatto che l'attuale Governo è prossimo alle dimissioni in modo da lasciare tali decisioni al nuovo Governo che avrà la fiducia del nuovo Parlamento. (4-19269)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


      DIVELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante è venuto a conoscenza del caso di una ragazza che partecipa a un tirocinio formativo organizzato dalla regione Lazio e che vede i previsti 350 euro netti di rimborso spese in realtà decurtati a causa delle trattenute cui questa somma, all'origine, è sottoposta;
          tale situazione sembra prefigurare una situazione per la quale il rimborso spese erogato ad un tirocinante nel corso di uno stage viene di fatto assimilato a quello da lavoro dipendente;
          pare necessario, come peraltro invocato da tempo da chi segue questa materia, un intervento chiarificatore in merito sia all'interpretazione che va data in merito all'identificazione tra rimborsi spesi nei tirocini e lavoro dipendente, sia alla conformità o meno dei comportamenti dei soggetti (come per esempio le regioni) che applicano trattenute alla fonte  –:
          quale sia, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, la giusta interpretazione da dare al regime delle deduzioni relative ai rimborsi spese per i tirocini formativi;
          dove confluiscano attualmente, alla luce delle norme vigenti, queste risorse trattenute;
          se, nell'ambito delle proprie competenze, si ritenga opportuno un intervento volto all'impiego di parte delle deduzioni effettuate in favore di politiche per l'occupazione e la trasformazione dei tirocini, che molte volte si concludono senza un seguito, in veri posti di lavoro. (4-19251)


      TORAZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13-ter, del decreto legge 22 giugno 2012, n.  83, sostituendo integralmente il comma 28, dell'articolo 35, del decreto legge 4 luglio 2006, n.  223, ha modificato la disciplina in materia di responsabilità fiscale nell'ambito dei contratti d'appalto e subappalto di opere e servizi;
          la norma, entrata in vigore il 12 agosto 2012 prevede la responsabilità solidale dell'appaltatore e del committente per il versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto;
          tale responsabilità è esclusa se l'appaltatore/committente acquisisce la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore;
          l'incertezza sull'ambito applicativo della norma ha generato parecchie difficoltà, rendendo necessaria l'emanazione da parte dell'Agenzia delle entrate della circolare numero 40/E dell'8 ottobre 2012;
          nonostante i chiarimenti forniti dall'Agenzia delle entrate, ad oggi, permangono ancora parecchi dubbi circa l'individuazione del tipo di appalto a cui si applica la disciplina in materia di responsabilità solidale dell'appaltatore;
          in particolare, qualsiasi rapporto posto in essere tra imprese che non sia riconducibile a compravendita o cessione con posa in opera, sembrerebbe possa rientrare nel contratto di appalto, con tutti gli obblighi di legge che derivano da una siffatta interpretazione;
          tale approccio appare contrario agli indirizzi di sburocratizzazione e accelerazione dei termini di pagamenti intrapresi dall'Italia per perseguire il rilancio dell'economia  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire sull'Agenzia delle entrate affinché la stessa fornisca un ulteriore chiarimento su quali siano i contratti di appalto da assoggettare alla disciplina di cui all'articolo 13-ter, del decreto legge 22 giugno 2012, n.  83.
(4-19258)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


      MONTAGNOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa locali (L'arena di Verona) riportavano la notizia, nei scorsi mesi, secondo cui nei primi mesi del 2012, la polizia municipale del capoluogo scaligero avrebbe già sequestrato 210 patenti fasulle;
          nella maggioranza dei casi, si tratta di documenti utilizzati principalmente da conducenti stranieri che non sono abituati a guidare in Italia, in quanto non hanno mai ottenuto la regolare patente o hanno conseguito patenti non convertibili con quella italiana;
          il fenomeno, in rapida espansione, sta destando estrema preoccupazione, in quanto i rischi potenziali del suo diffondersi sono estremamente pericolosi alla luce del fatto che le conseguenze sulla sicurezza stradale che possono innescarsi sono imprevedibili  –:
          se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di potenziare i controlli sul fenomeno descritto e di rafforzare altresì le sanzioni per chi commette il reato di falsificazione della patente di guida. (4-19256)


      ALESSANDRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 2 del nuovo codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992 n.  285 e successive modificazioni, è stabilito che le strade sono classificate, riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi:
              A - Autostrade;
              B - Strade extraurbane principali;
              C - Strade extraurbane secondarie;
              D - Strade urbane di scorrimento;
              E - Strade urbane di quartiere;
              F - Strade locali;
              F-bis. Itinerari ciclopedonali;
          la tangenziale del comune di Reggio Emilia, in variante alla strada statale n.  9- via Emilia, risulterebbe essere una strada extraurbana secondaria, ossia di tipologia «C» e la cui competenza è del concessionario ANAS;
          il soggetto competente all'installazione della segnaletica verticale e alla manutenzione di quella orizzontale, sulla tangenziale nord di Reggio Emilia è ANAS dal chilometro 170+070 al chilometro 179+100;
          l'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto legge 26 giugno 2002, n.  121 convertito con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2002, n.  168, dispone che: «1. Sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali di cui all'articolo 2, comma 2, lettere A e B, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.  285, gli organi di polizia stradale di cui all'articolo 12, comma 1, del medesimo decreto legislativo, secondo le direttive fornite dal Ministero dell'interno, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, possono utilizzare o installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico, di cui viene data informazione agli automobilisti, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli articoli 142, 148 e 176 dello stesso decreto legislativo, e successive modificazioni. I predetti dispositivi o mezzi tecnici di controllo possono essere altresì utilizzati o installati sulle strade di cui all'articolo 2, comma 2, lettere C e D, del citato decreto legislativo, ovvero su singoli tratti di esse, individuati con apposito decreto del prefetto ai sensi del comma 2.
      2. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il prefetto, sentiti gli organi di polizia stradale competenti per territorio e su conforme parere degli enti proprietari, individua le strade, diverse dalle autostrade o dalle strade extraurbane principali, di cui al comma 1, ovvero singoli tratti di esse, tenendo conto del tasso di incidentalità, delle condizioni strutturali, plano-altimetriche e di traffico per le quali non è possibile il fermo di un veicolo senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico o all'incolumità degli agenti operanti e dei soggetti controllati. La medesima procedura si applica anche per le successive integrazioni o modifiche dell'elenco delle strade di cui al precedente periodo»;
          riguardo agli organi di polizia stradale di cui all'articolo 12, comma 1, del nuovo codice della strada, risulta che l'espletamento dei servizi di polizia stradale previsti dal codice spetta:
              a) in via principale alla specialità di polizia stradale della polizia di Stato;
              b) alla polizia di Stato;
              c) all'Arma dei carabinieri;
              d) al Corpo della guardia di finanza;
              d-bis) ai Corpi e ai servizi di polizia provinciale, nell'ambito del territorio di competenza;
              e) ai Corpi e ai servizi di polizia municipale, nell'ambito del territorio di competenza;
              f) ai funzionari del Ministero dell'interno addetti al servizio di polizia stradale;
              f-bis) al Corpo di polizia penitenziaria e al Corpo forestale dello Stato, in relazione ai compiti di istituto;
          va segnalato che l'articolo 37 del codice, ai commi 2 e 3, ha indicato tutte le possibili ipotesi di apposizione di segnaletica da parte degli enti proprietari, così da impedire in generale ogni possibile situazione di incompetenza o sovrapposizione di competenza tra i vari enti proprietari e l'articolo 38 del codice, al comma 10, precisa che il campo di applicazione obbligatorio della segnaletica è costituito dalle strade ad uso pubblico, ivi comprese quelle di proprietà privata aperte all'uso pubblico;
          in particolare, l'articolo 37 comma 1, stabilisce che l'apposizione e la manutenzione della segnaletica, ad eccezione dei casi previsti nel regolamento per singoli segnali, fanno carico:
              a) agli enti proprietari delle strade, fuori dei centri abitati;
              b) ai comuni, nei centri abitati, compresi i segnali di inizio e fine del centro abitato, anche se collocati su strade non comunali;
              c) al comune, sulle strade private aperte all'uso pubblico e sulle strade locali;
          nel mese di luglio 2007 il comune di Reggio Emilia, in conformità al decreto legge n.  117 del 2007, ha installato due cartelli verticali relativi al controllo elettronico della velocità su detta tangenziale, un primo nella carreggiata sud (direzione Modena) al chilometro 172+600 ed un secondo nella carreggiata nord (direzione Parma) al chilometro 170+750;
          in tale tratto di strada il limite di velocità è di 90 chilometri orari ed inoltre detti segnali fissi sono di piccole dimensioni con scritte nere su fondo bianco;
          il posizionamento dei controlli della velocità, da parte della locale polizia municipale, avviene con strumenti mobili ed in un'area esterna alla strada in questione;
          in data 25 ottobre 2011, su precisa richiesta di un consigliere comunale, il dirigente del servizio politiche per la mobilità del comune di Reggio Emilia avrebbe comunicato che per l'installazione dei cartelli stradali in novella «non è stata formulata alcuna domanda di autorizzazione ad ANAS»  –:
          se in considerazione delle norme citate in premessa, l'installazione dei predetti cartelli verticali relativi al controllo elettronico della velocità sulla tangenziale del comune di Reggio Emilia rispetti il riparto di competenze previsto dalla legge, essendo l'ANAS il soggetto competente all'installazione della segnaletica verticale e alla manutenzione di quella orizzontale sulla tangenziale nord di Reggio Emilia, in particolare lungo il tratto dal chilometro 170+070 al chilometro 179+100 sopra citato;
          quali siano i singoli tratti dalla tangenziale nord di Reggio Emilia in variante alla strada statale n.  9, individuati con apposito decreto del prefetto, su cui si possono utilizzare o installare i dispositivi o i mezzi tecnici di controllo del traffico, di cui deve essere data informazione agli automobilisti, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli articoli 142, 148 e 176 del codice della strada;
          se, ove la segnaletica stradale in questione risultasse installata in maniera difforme alle preordinanti norme che ne prevedono la disciplina, non si intenda assumere ogni iniziativa di competenza per far provvedere alla loro rimozione. (4-19259)


      MORASSUT e META. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          RFI ha avviato studi e progetti per realizzare un nuovo tratto ferroviario tra la stazione di Roma-Casilina e il tratto della linea Roma-Formia che traccia il confine tra il IX ed il X Municipio del comune di Roma;
          tale opera si renderebbe necessaria ai fini di un migliore smistamento del traffico merci e passeggeri che per il tratto suddetto si svolge oggi su unico binario imponendo sempre più complesse azioni di gestione e segnalamento con inevitabili conseguenze sulla sicurezza dei convogli e sui tempi delle percorrenze; il progetto dell'opera ha messo in luce un forte impatto sui preziosi sistemi ambientali e sulle preesistenze archeologiche site nella zone di Tor Fiscale e del Mandrione e ricomprese nel sistema archeologico-naturalistico del Parco dell'Appia e del Parco degli Acquedotti;
          le aree interessate dai nuovi tracciati appartengono in larga parte ad RFI ed alla proprietà comunale per quelle porzioni di parco pubblico già citate di larga fruizione da parte di migliaia di cittadini dei municipi romani interessati, gestite da strutture cooperative sociali o direttamente da associazioni di cittadini che da anni si battono per la loro valorizzazione e che solo da poco tempo dopo anni di mobilitazione hanno ottenuto preziosi risultati recuperando aree agricole, di verde pubblico, casali antichi e percorsi archeologici che rappresentano un patrimonio assoluto di valore inestimabile;
          il progetto suddetto produce un impatto notevole anche sull'abitato avvicinando tracciati ferroviari nazionali al limite dell'abitato lungo tutto il tratto Mandrione-Tor Fiscale ed imponendo in alcuni casi espropri e abbattimenti di unità immobiliari private abitate da svariate famiglie;
          il Ministero per i beni e le attività culturali ha dato via libera alle sopraintendenze di Stato per autorizzare i primi sondaggi archeologici per realizzare i tracciati aggiuntivi e paralleli al tratto suddetto della Roma-Formia;
          le popolazioni locali chiedono una piena conoscenza preliminare e partecipativa alle scelte finali tali da salvaguardare il patrimonio di aree, di beni, di insediamenti civili e di paesaggio di una delle zone archeologiche più importanti dell'intero pianeta;
          l'ente regionale parco dell'Appia Antica ha nettamente e formalmente respinto tale progetto adducendo motivazioni sostenute da autorevoli esperti (professor Tamburrino) incaricati di esaminare cause ed impatto di tale opera che viene considerata di enorme danno ambientale non risanabile neanche con tutte le prescrizioni immaginabili dal momento che la linea di divisione esistente sul territorio già segnata dall'attuale ferrovia verrebbe rafforzata da questa nuova bretella a doppio binario che viaggiando in quota (circa 6 metri) per innestarsi sulla Roma-Formia altezza Tor Fiscale), annienta tutte le aspettative da anni e sino ad oggi auspicate dai cittadini, circa l'interramento dell'esistente tratto ferroviario;
          il Parco degli Acquedotti è il parco archeologico urbano più grande d'Europa con i suoi 240 ettari ricompresi integralmente nel più vasto Parco dell'Appia riconosciuto – quest'ultimo – per larghe porzioni patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO  –:
          quali siano i tempi e lo stato di avanzamento delle procedure approvative del progetto di realizzazione della nuova tratta ferroviaria tra la stazione ferroviaria Roma-Casilina e il tracciato della Roma-Formia in premessa identificato;
          se intenda assumere iniziative presso Rete ferroviaria italiana per interrompere il percorso di definizione ed approvazione dei progetti e di avviare una fase di concertazione con il territorio e con i municipi VI, IX e X del comune di Roma per studiare una soluzione non invasiva e rispettosa dei beni comuni e delle popolazioni locali;
          se intenda assumere iniziative presso Rete ferroviaria italiana perché sia riconsiderato il progetto tenendo conto delle indicazioni del nuovo piano regolatore generale vigente di Roma e in modo particolare della necessità – da quest'ultimo evidenziata nei suoi documenti cartografici e allegati di mobilità – di risolvere il problema, cui risponderebbe il progetto RFI, nel quadro complessivo del progetto urbano San Lorenzo-Tuscolano e print di Tor Fiscale preservando le risorse ed i beni comuni sopra menzionati. (4-19260)


      VIOLA, VELO, RUBINATO e MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          sin dai primi anni novanta la Comunità europea ha individuato nell'aumento della mobilità in ambito continentale una delle principali strategie per il raggiungimento delle politiche di unificazione sociale ed economica. L'attuazione pratica di tali strategie ha individuato nella realizzazione e potenziamento delle reti di trasporto ferroviario (passeggeri e merci) lo strumento principe di attuazione, fissando sulla carta alcune direttrici denominate «Corridoi»;
          in questo senso l'Italia è fortemente coinvolta nell'infrastrutturazione dei sistemi trasportistici individuati da corridoi verticali e orizzontali che connettono il nostro Paese con l'intera Europa;
          questo processo è stato approvato dagli organismi comunitari e nazionali e rappresenta un fondamentale elemento di sviluppo delle relazioni sociali e economiche dell'Europa allargata;
          a seguito di tali decisioni si sono avviate anche nel nostro Paese le procedure per la realizzazione di tali sistemi identificati prevalentemente (ma non solo) nel sistema AV/AC;
          in molte aree del Paese i lavori sono già stati realizzati e alcune tratte sono già in funzione con soddisfazione dei cittadini e benefìci del sistema produttivo (si pensi all'asse del corridoio 1 tra Milano e Napoli ormai completato e al suo utilizzo da parte dell'utenza);
          non sfugge a nessuno che la realizzazione di queste infrastrutture in alcune parti del Paese ha creato e sta creando forti e accese contrapposizioni con i cittadini e con le amministrazioni locali attraversate, con effetti devastanti sia sull'ordine pubblico che sulla credibilità delle istituzioni;
          all'origine di queste contrapposizioni c’è da un lato la legittima tutela degli interessi sociali, economici ed ambientali delle popolazioni interessate e dall'altro, spesso, la mancanza di chiarezza e di condivisione dei progetti e della loro utilità al sistema Paese;
          nell'ambito del corridoio V è stato definito il progetto prioritario 6, compreso fra Lione e Kiev, appartenente al sistema di rete TEN-T (Trans-European Network – Traspari), in cui ricade la nuova linea AV/AC Venezia-Trieste. L'obiettivo dichiarato della linea in oggetto è quello di dare risposta alla crescente domanda di trasporto merci da e per i paesi dell'est europeo, mediante le seguenti strategie:
              a) trasferire sui nuovi binari parte del traffico merci attualmente circolante sulla linea storica;
              b) assorbire una quota significativa del traffico merci su gomma attualmente circolante sui corridoi autostradali con benefici effetti sulla logistica e sull'ambiente;
          su questo corridoio sono in corso di costruzione i sistemi di infrastrutturazione della linea Ferroviaria alta velocità/alta capacità con tratti già realizzati (Padova-Venezia, Milano-Torino), altri all'inizio dei lavori (Torino-Lione) altri in fase di finanziamento e/o progettazione definitiva);
          la definizione del tracciato spetta alle regioni interessate dall'attraversamento di tale opera;
          fino ad oggi le proposte presentate per la valutazione di impatto ambientale senza un adeguato coinvolgimento in fase preventiva degli enti locali e delle popolazioni interessate hanno provocato opposizioni molto forti per le scelte fatte e per il met recentemente la regione Veneto ha nominato commissario alla TAV l'architetto Bortolo Mainardi con l'obiettivo di rivedere il progetto depositato e di studiare soluzioni alternative;
          il commissario Mainardi ha presentato in un progetto di affiancamento all'attuale linea ferroviaria in data 23 aprile 2012 e, pur in assenza di elementi di approfondimento da fornire ha chiesto un parere di massima alle amministrazioni coinvolte;
          con lettera datata 13 luglio 2012 commissario Mainardi ha scritto ai sindaci dei Comuni interessati che «in questa prima fase semestrale di utile confronto ho registrato la conferma quasi unanime del dissenso dei Vs. Comuni al Tracciato “Litoraneo” del Progetto Preliminare DIC. 2010 mentre, rispetto all'ipotesi alternativa delineata dallo Studio di Fattibilità illustrato/consegnatovi in aprile u.s. che prevede il futuro CORRIDOIO “AV/AC” lungo l'attuale Linea Ferroviaria nella Tratta da Mestre/Carpenedo a Portogruaro, pur con tutte le Vostre comprensibili/legittime richieste di ulteriori chiarimenti/approfondimenti, ho registrato la Vostra essenziale preferenza e condivisione. Solo i Comuni di MEOLO e FOSSALTA DI PIAVE hanno ufficializzato la loro contrarietà al corridoio lungo l'attuale linea ferroviaria....»;
          la soluzione prospettata inoltre avrebbe costi minori e prevederebbe prioritariamente l'ammodernamento e potenziamento della linea esistente garantendo in prospettiva con il quadruplicamento al sistema economico nazionale la realizzazione di una fondamentale opera infrastrutturale per il collegamento rapido con l'Europa dell'Est;
          in data 18 settembre 2012 lo stesso commissario Mainardi ha comunicato ai sindaci interessati di aver recapitato lo scorso mese di agosto al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al Presidente della regione Veneto un Rapporto sulla situazione dei tracciati a confronto nel territorio del Veneto  –:
          quale sia il contenuto di tale rapporto e se intenda metterlo a disposizione delle amministrazioni coinvolte ed avviare un confronto concreto con le popolazioni interessate sulle possibili soluzioni progettuali immediate e future dando così concretezza agli impegni assunti dal Governo in fase di approvazione della risoluzione Viola ed altri n.  8-00173 approvata dalla Commissione ambiente e lavori pubblici della Camera dei deputati in data 24 aprile 2012. (4-19261)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Tregnago di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Tregnago (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Tregnago (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Tregnago (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19235)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di San Pietro in Cariano di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a San Pietro in Cariano (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di San Pietro in Cariano (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di San Pietro in Cariano (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19236)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Cavaion di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Cavaion (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Cavaion (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Cavaion (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19237)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Rivoli Veronese di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Rivoli Veronese (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Rivoli Veronese (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Rivoli Veronese (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19238)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Sona di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Sona (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Sona (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Sona (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19239)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Monteforte D'Alpone di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Monteforte D'Alpone (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Monteforte D'Alpone (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Monteforte D'Alpone (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19240)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Zimella di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Zimella (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Zimella (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Zimella (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19241)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Bussolengo di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Bussolengo (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Bussolengo (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Bussolengo (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19242)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di S. Martino Buon Albergo di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a S. Martino Buon Albergo (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di S. Martino Buon Albergo (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di S. Martino Buon Albergo (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19243)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di San Giovanni Lupatoto di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a San Giovanni Lupatoto (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di San Giovanni Lupatoto (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di San Giovanni Lupatoto (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19244)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di Peschiera del Garda di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a Peschiera del Garda (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di Peschiera del Garda (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di Peschiera del Garda (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19245)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di San Mauro di Saline di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a San Mauro di Saline (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di San Mauro di Saline (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di San Mauro di Saline (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19246)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le recenti normative finalizzate dall'attuale Governo si sono indirizzate principalmente sugli enti locali, e sui comuni in particolare, prevedendo riduzioni di trasferimenti secondo un approccio lineare, ovvero non considerando gli enti che nel corso degli anni hanno adottato politiche di gestione finanziaria efficienti;
          la situazione della finanza locale è particolarmente grave, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, sia per il fatto che numerose amministrazioni, proprio per sopperire a tali deficit, sono dovute ricorrere all'aumento delle imposte locali, a partire dall'IMU, e che la difficoltà degli enti è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente incerto ed instabile, soprattutto in ragione della revisione della tesoreria unica, dell'introduzione della TARES e dell'applicazione del patto di stabilità, a partire dal 1o gennaio 2013, anche nei comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti;
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato infatti al 2012 l'entrata in vigore della imposta municipale propria (IMU), imposta che introduce il fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla abitazione diversa dalla prima abitazione e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale venga destinato allo Stato e riconoscendo altresì la possibilità per il comune di San Giovanni Ilarione di poter modificare le aliquote standard fissate dal decreto;
          la medesima norma prevede anche come il fondo sperimentale di riequilibrio (FSR), così come definito dall'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23, subisca modifiche alla luce delle differenze di gettito IMU ad aliquota di base (gettito convenzionale) rispetto al gettito incassato dai comuni ICI del 2010 e desunto dal rendiconto al bilancio degli enti;
          in numerosissimi casi, la cifra stimata convenzionalmente dal Ministero ed inserita nel bilancio preventivo comunale, è nettamente maggiore rispetto a quanto effettivamente incassato dai comuni, come a San Giovanni Ilarione (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al 50 per cento dell'aliquota standard;
          analizzando nel dettaglio le nuove stime governative di spettanza ai singoli comuni, si evidenziano diverse voci su cui persistono elevate perplessità circa l'esatto ammontare, tra cui il gettito atteso per i pagamenti ritardati di giugno e, soprattutto, il gettito derivante dalla quota di imposta che i comuni dovrebbero considerare per gli immobili comunali;
          in altrettanti casi, è stato altresì rivisto anche il valore dell'ICI 2010, come nel comune di San Giovanni Ilarione (Verona), così che la combinazione dei fattori sopra descritti ha comportato per i medesimi comuni una riduzione, così come previsto dall'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011, delle risorse al Fondo sperimentale di riequilibrio;
          il comma 8 dell'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» modifica la precedente gestione delle tesorerie degli enti locali prevedendo, in luogo della sospensione dell'efficacia delle vigenti disposizioni, il ripristino, fino al 2014, della tesoreria unica statale e disponendo l'obbligo per gli enti di riversare le proprie disponibilità liquide esigibili e depositate presso le proprie tesorerie alla data di entrata in vigore del decreto, presso la tesoreria statale;
          il ripristino del regime di tesoreria unica supera pertanto il sistema di tesoreria mista, disciplinato dal decreto legislativo n.  279 del 1997 con il quale veniva stabilito che mentre le entrate degli enti locali derivanti da assegnazioni e contributi proveniente da trasferimenti dallo Stato dovessero essere versate nelle contabilità speciali infruttifere dello Stato e gestite dalla Banca d'Italia, le altre entrate potevano rimanere presso i tesorieri dei singoli enti, stabilendo altresì come le disponibilità che non derivavano dallo Stato, ovvero le somme escluse dal versamento nella tesoreria statale e depositate presso il proprio tesoriere, dovessero essere prioritariamente utilizzate per i pagamenti effettuati dagli enti;
          con il ripristino della tesoreria unica, il tesoriere dell'ente locale verrà privato della possibilità di poter gestire pienamente la liquidità dell'ente e l'unico compito che egli dovrà assolvere sarà quello di determinare i pagamenti, privando così, di fatto, gli enti di quell'autonomia finanziaria che negli anni aveva apportato numerosi benefici e costringendo gli enti stessi a rinunciare a quelle maggiori entrate che i comuni erano riusciti, grazie alle vantaggiose procedure di gara instaurate con i diversi istituti di credito per l'affidamento del servizio di tesoreria il quale, ora, dovrà obbligatoriamente essere gestito a livello centrale con un tasso fisso dell'1 per cento previsto per il conto fruttifero aperto presso la Banca d'Italia per ciascun ente;
          la revisione della norma è stata fortemente criticata da numerosi sindaci, dai presidenti di provincia e dai presidenti di regione, due dei quali, ovvero quelli di Veneto e di Piemonte, hanno presentato ricorso contro la norma in discussione e relativamente alla legittimità costituzionale della stessa, nello specifico sull'articolo 35, commi 8, 9 e 10, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1;
          l'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 istituisce, a decorrere dal 1o gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni senza indicare, tuttavia, quali essi siano;
          la TARES si pone altresì lo scopo di definire in modo chiaro ed univoco la lunga questione relativa alla natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti e l'assoggettamento delle somme all'imposta sul valore aggiunto (IVA), oggetto di numerose interpretazioni giuridiche senza di fatto proporre una soluzione univoca sia per il futuro che per il passato;
          secondo quanto disposto dall'articolo 14, comma 13, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, inoltre, a decorrere dal 2013 il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) e il Fondo perequativo degli enti locali sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard di 0,30 euro per metro quadro, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni i quali possono, peraltro, attraverso delibera di consiglio comunale, aumentare l'importo del tributo fino a 0,40 euro, così che in sede di predisposizione dei bilanci preventivi 2013, i comuni dovranno considerare l'entrata in vigore di questa nuova imposta e che, secondo un sistema analogo a quello definito dall'IMU, ridurrà notevolmente le risorse degli enti locali;
          oltre alla mancanza di risorse, i comuni devono altresì far fronte alle difficoltà legate al rispetto dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno e che impone agli enti medesimi, fatti salvi le amministrazioni che, così come individuate ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n.  98 del 2011 e successive modifiche, rientrano nella classe degli enti virtuosi, il raggiungimento di un obbiettivo di saldo finanziario per il concorso dell'ente stesso al contenimento dei saldi di finanza pubblica;
          le attuali modalità di applicazione del patto di stabilità interno hanno negative ricadute anche e soprattutto sulle spese di investimento, dal momento che queste subiscono, a causa dei limiti oggi imposti, gravi ritardi nei tempi di finalizzazione, in quanto l'utilizzo del principio di competenza mista obbliga gli enti a posticipare queste spese così da riuscire a garantire il saldo prefissato, con l'ovvia conseguenza di una drastica riduzione delle medesime spese di investimento, tanto che gli stessi comuni sono stati costretti a ridurre negli ultimi anni, per una media del 30 per cento, dette voci di spesa, sebbene queste rappresentino voci tra le più importanti per il rilancio dell'economia locale (pro-ciclicità);
          dal 1o gennaio 2013, così come stabilito dal comma 1 dell'articolo 31 della Legge di stabilità 2012, l'applicazione dei vincoli di finanza pubblica verrà allargata anche ai comuni con una popolazione tra i 1.000 e i 5.000 abitanti, così che agli attuali 2.300 enti circa soggetti al patto di stabilità interno si aggiungeranno almeno altri 3.800 enti di dimensioni ridotte dove gli stringenti vincoli del Patto potrebbero diventare velocemente una restrizione ancora più serrata per lo sviluppo e gli investimenti all'interno delle amministrazioni;
          le minori risorse a favore dei comuni, avranno certamente pesanti ripercussioni sugli equilibri finanziari degli enti i quali potrebbero vedersi costretti ad aumentare i tributi locali, ovvero diminuire il livello di spesa corrente, per fronteggiare all'ammanco il cui importo dovrà peraltro considerare anche i tagli imposti dal recente decreto sulla Spending Review –:
          se, in ragione della grave situazione economica e finanziaria nella quale si trovano oggi gli enti locali, così come determinata dalle modifiche normative riportate, ed in virtù dell'attuale scadenza per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013, non ritengano opportuno quantificare precisamente le risorse che nel 2013 saranno a disposizione del comune di San Giovanni Ilarione (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi Ministri, anche in virtù dell'articolo 120 della Costituzione, qualora le risorse in possesso di tali enti fossero insufficienti per garantire i livelli essenziali dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. (4-19247)


      ANGELA NAPOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nell'intero territorio della provincia di Vibo Valentia è davvero preoccupante la pervasività della ’ndrangheta ed è, pertanto, necessaria la costante presenza delle forze di polizia, sia a livello investigativo che di controllo;
          in particolare si registrano notevoli difficoltà presso il commissariato della polizia di Stato di Serra San Bruno che ha competenza su ben 20 comuni del territorio delle Serre Vibonesi, confinante con le province di Catanzaro e di Reggio Calabria; le difficoltà sono anche state evidenziate dal segretario provinciale del COISP di Vibo Valentia;
          il territorio delle Serre Vibonesi è funestato da sanguinose guerre tra le varie consorterie criminali;
          il commissariato della polizia di Stato di Serra San Bruno gode di soli 36 poliziotti e due impiegati civili, il che comporta solo due turni di «volante»;
          va dato atto al questore di Vibo Valentia di aver cercato di attuare gli interventi necessari, segnalando il tutto anche all'amministrazione centrale, ma senza ricevere i riscontri adeguati  –:
          quali urgenti iniziative intenda attuare per potenziare il commissariato di Serra San Bruno per poter garantire la sicurezza sul territorio. (4-19253)


      SBAI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in Italia esistono un'infinità di luoghi definiti «moschee fai da te», ovvero garage o scantinati adibiti luoghi di culto;
          non esiste un censimento ufficiale di tali luoghi;
          non esiste un controllo sulle attività ivi praticate;
          spesso in questi luoghi alberga l'insegnamento e la propaganda di un Islam radicale ed estremista, primo focolaio del terrorismo;
          una delle tante è quella di Cinisello Balsamo denominata IQRAA e gestita da Usama El Santawy;
          questo personaggio ha ripetutamente minacciato online e di persona non solo semplici cittadini ma anche esponenti politici e del giornalismo, come testimoniano i giornali e le cronache giudiziarie;
          tale centro islamico, o «moschea fai da te», non è soggetta a controllo alcuno sui contenuti dei sermoni e delle lezioni che al suo interno si tengono;
          frequentano tale centro anche ragazzi giovani delle seconde generazioni che rischiano di finire in una trappola di stampo estremistico-terrorista  –:
          come il Governo intenda procedere in relazione a questa vicenda;
          se intenda il Governo, per quanto di competenza, porre in essere verifiche relativamente a questa e ad altre «moschee fai da te»;
          se intenda il Governo porre in essere azioni di controllo sui rischi di proselitismo jihadista che in esse si presentano. (4-19266)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il centro scolastico superiore di Vimercate, in provincia di Monza Brianza, ospita quattro istituti per complessive 4.000 persone, di cui 3.600 studenti e 400 tra insegnanti e personale ATA;
          il predetto «centro scolastico onnicomprensivo» occupa una vasta area che necessiterebbe di ampliamento delle aule scolastiche, dell'agibilità dell’auditorium, nonché di servizi e sistemi di sicurezza, atti a garantire l'incolumità degli studenti;
          il problema della sicurezza è particolarmente importante per il centro scolastico superiore di Vimercate, poiché a differenza delle altre istituzioni scolastiche, contenendo quattro diversi istituti scolastici, presenta la caratteristica di avere «molteplici ingressi»;
          come rilevato da tutti i soggetti interessati, nonché comunicato ai rappresentanti istituzionali territoriali competenti, il centro scolastico in parola risulta privo di custodia e di guardiania sia diurna che notturna, salva la capacità dei «collaboratori scolastici», posti all'ingresso dei singoli istituti, di intercettare eventuali intrusi;
          le famiglie degli studenti denunciano una situazione di sottovalutazione della predetta situazione da parte della provincia interessata, che avrebbe dovuto garantire il servizio di sorveglianza, precedentemente appaltato dalla provincia di Milano ad una società specializzata, incaricando della sicurezza serale dell'area un custode, che abitava all'interno del centro;
          le famiglie degli studenti avrebbero proposto l'installazione di telecamere a circuito chiuso con registrazione e monitor, la presenza di una guardia giurata diurna e notturna, un controllo efficace da parte di un custode in guardiola (mediante registrazione e identificazioni accessi);
          tale situazione di precarietà sarebbe determinata dalla riduzione delle risorse attribuite all'amministrazione provinciale di Monza e Brianza, che, nonostante la diretta responsabilità, non si trova attualmente nelle condizioni ideali per investire nel settore della sicurezza scolastica;
          il comune di Vimercate che avrebbe dovuto stanziare una quota delle risorse del bilancio 2013 a favore della sicurezza della scuole del territorio comunale, si sarebbe fatto carico esclusivamente di oneri corrispondenti a 1.500.000 euro, ai fini della realizzazione del piano di viabilità del «nuovo ospedale»;
          l'assenza di idonee condizioni di sicurezza e la carenza delle aule necessita, come da anni richiesto dai comuni del territorio, dell'urgenza di realizzare il nuovo istituto ad Arcore per dare spazi adeguati alla popolazione scolastica di Vimercate e dei comuni limitrofi  –:
          alla luce di quanto espresso in premessa, se non ritenga opportuno intervenire presso le competenti gerarchie periferiche affinché promuovano, per quanto di competenza, un tavolo sovraterritoriale, anche al fine di contribuire al reperimento delle risorse necessarie a garantire al centro scolastico superiore di Vimercate: un idoneo servizio di guardiania notturna e diurna, nonché di custodia, per offrire i necessari standard di sicurezza, la corretta agibilità e la regolare funzionalità dell’auditorium, l'avvio della realizzazione del nuovo istituto di Arcore per fornire le aule necessarie alla didattica. (5-08706)


      GRIMOLDI, GOISIS, RIVOLTA e CAVALLOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          lo «Schema di regolamento per la modifica degli articoli 5 e 15 del decreto ministeriale n.  249 del 2010» prevede l'istituzione di un percorso abilitante riservato a docenti con almeno 36 mesi di servizio;
          il decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  206, redatto in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 (CE), relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali fra diversi Paesi comunitari, fa discendere il riconoscimento dell'abilitazione nel paese di arrivo anche all'effettivo svolgimento dell'attività professionale per almeno tre anni sul territorio dello Stato membro di partenza in cui è stato conseguito o riconosciuto il titolo di laurea, esclusivamente nei casi in cui non sia già prevista una regolamentazione della professione nello Stato di provenienza;
          il decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n.  249, agli articoli 5 e 15 stabilisce che il «numero complessivo dei posti annualmente disponibili per l'accesso ai percorsi sia determinato sulla base della programmazione regionale degli organici e del conseguente fabbisogno di personale docente nelle scuole statali; gli accessi al tirocinio formativo attivo, a numero programmato, sono determinati secondo specifiche indicazioni annuali adottate con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; la prova, che mira a verificare le conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento della classe di abilitazione, si articola in un test preliminare, in una prova scritta e in una prova orale. Ai fini dell'attribuzione del punteggio si tiene altresì conto dei titoli di studio, di servizio, nonché delle pubblicazioni»;
          ai sensi del comma 13 dell'articolo 15, il punteggio riservato al servizio prestato, ai titoli di studio e alle pubblicazioni sono così suddivisi: servizio prestato nelle istituzioni del sistema nazionale dell'istruzione nella specifica classe di concorso o in altra classe di concorso che comprenda gli insegnamenti previsti nella classe di concorso per cui si concorre entro la data in cui è bandita la selezione: 360 giorni: 4 punti; da 361 a 540 giorni: 6 punti; da 541 a 720 giorni: 8 punti; da 721 giorni, 2 punti ogni ulteriori 180 giorni. Il servizio prestato per almeno 360 giorni vale a coprire 10 dei crediti formativi relativi all'articolo 10, comma 3, lettera b) e 9 dei crediti formativi relativi all'articolo 10, comma 3, lettere c) e d). Nel caso in cui i soggetti di cui al presente comma svolgano attività di insegnamento nelle istituzioni scolastiche del sistema nazionale dell'istruzione, le convenzioni di cui all'articolo 12, comma 1, sono stipulate con le istituzioni scolastiche ove essi prestano servizio, anche se non accreditate ai sensi del medesimo articolo, in modo da consentire l'effettivo svolgimento del tirocinio senza interrompere la predetta attività;
           il decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  206, e la direttiva comunitaria 2005/36(CE) consentono a tutti i professionisti comunitari di esercitare la relativa professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le qualifiche professionali;
          il decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  206, esplicita all'articolo 21, comma 2, che l'accesso alla professione è consentita solo a coloro che abbiano esercitato a tempo pieno la professione, intendendo l'articolo 28 del contratto collettivo nazionale dei lavoratori del 29 novembre 2007 «cattedra completa un posto ad orario intero e precisamente di 25 ore settimanali per la scuola dell'infanzia, 24 ore settimanali (22 di insegnamento + 2 ore di programmazione) per la scuola primaria e 18 ore settimanali per la scuola secondaria di 1° e 2° grado»;
          il decreto legislativo 9 novembre 2007 n.  206 sancisce l'applicazione della norma per il conseguimento dell'abilitazione sopra menzionata solo negli Stati membri che presentino «assenza di regolamentazione», escludendo quindi lo Stato italiano in cui tale regolamentazione è stata effettuata dal legislatore attraverso l'istituzione di scienze della formazione primaria e delle scuole di specializzazione per l'insegnamento nella scuola secondaria, poi sostituite dai tirocini formativi attivi;
          alla luce delle citate normative italiana ed europea i presunti aventi diritto all'abilitazione riservata sono «i cittadini italiani in territorio italiano»;
          non si è mai verificata l'assenza di regolamentazione in materia di ottenimento del titolo abilitante, né della norma concernente le modalità di accesso alla pubblica amministrazione, bensì la sola sospensione dell'avvio di nuovi cicli dei percorsi abilitanti riferiti agli anni 2008, 2009 e 2010, limitatamente alla scuola secondaria;
          i sistemi generali di riconoscimento dei diplomi introdotti dalle direttive 89/48 e 92/51 si limitano ad imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro, di conseguenza un richiedente non può avvalersi della direttiva comunitaria 2005/36 CE per ottenere di essere esonerato da una procedura di selezione, come peraltro confermato dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, C-586/08, del 17 dicembre 2009, punti 27 e 28, che trova applicazione per analogia;
          l'accoglimento della richiesta tesa ad ottenere l'istituzione di un percorso abilitante autonomo e separato dall'ordinario per i candidati vantanti i requisiti di servizio previsti dalla modifica al decreto ministeriale del 10 settembre 2010 n.  249 appare giuridicamente discriminante per i candidati privi di tale requisito, poiché l'esperienza accumulata per almeno 360 giorni è già abbondantemente riconosciuta con un punteggio aggiuntivo nel test d'accesso e nello svolgimento del tirocinio formativo attivo, come riduzione dell'impegno e come agevolazioni nello svolgimento del servizio, in modo tale da differenziare nettamente i docenti con esperienza dai neolaureati, dal momento dell'ingresso all'intera durata del percorso abilitante;
          inoltre la predetta richiesta vanificherebbe il percorso degli abilitati regolari in possesso di un punteggio di servizio inferiore, benché regolarmente selezionati, a differenza degli stessi;
          la modifica del decreto ministeriale del 10 settembre 2010 n.  249 finalizzata all'istituzione di un percorso senza test d'accesso per i docenti non abilitati con 36 mesi di servizio appare inoltre «inefficace» relativamente alla soluzione dell'annoso problema del precariato, nonché addirittura incompatibile col concetto di programmazione degli accessi;
          non essendo in grado di fornire una quantificazione degli aventi diritto al tirocinio formativo attivo speciale, come peraltro esplicitamente ammesso dal Sottosegretario Rossi Doria nella risposta all'interrogazione a risposta in Commissione VII n.  5/08038, si ritiene che il Ministro interrogato non possa procedere al riconoscimento illimitato dell'abilitazione per un numero di docenti imprevedibile, calcolato sull'ultimo triennio, senza tener conto dei servizi prestati negli ultimi dieci anni, dell'organico precedente alla riduzione del personale e dei servizi prestati dai docenti delle scuole paritarie;
          sarebbe quanto mai opportuno prevedere, anche attraverso una modifica legislativa del decreto ministeriale 10 settembre 2010 n.  249, le seguenti condizioni:
              a) il contenimento della platea degli aventi diritto al tirocinio formativo attivo speciale riducendo la durata del servizio utile, escludendo dalla valutazione il servizio «aspecifico», in modo tale da non creare ulteriori sacche di privilegio, richiedendo 36 mesi effettivi di servizio a cattedra completa, con contratti di almeno 180 giorni continuativi, nella classe di concorso specifica per la quale s'intenda acquisire l'abilitazione, limitatamente agli anni in cui vi sia stata la sospensione dell'avvio di nuovi cicli del percorso regolare di abilitazione;
          b) la predisposizione di una «partenza scaglionata» in più anni, fino al 2015, dei tirocini formativo attivi speciali, dando priorità ai candidati aventi un'anzianità maggiore, in modo da assecondare la disponibilità delle università, in osservanza del parere del CUN del 12 settembre 2012 sullo «Schema di regolamento recante modifiche agli articoli 5 e 15 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n.  249»;
              c) la predisposizione di un test d'ingresso sulle competenze dei candidati aventi determinati requisiti di servizio, senza numero chiuso;
              d) l'istituzione di una prova finale abilitante con soglia di sufficienza, atta a verificare anche la preparazione disciplinare dei candidati, comprensiva di una prova nazionale, di una prova scritta e di una prova orale;
              e) la richiesta del livello B2 di inglese e conoscenze informatiche adeguate all'uso didattico, come già previsto dal decreto ministeriale del 10 settembre 2010 n.  249;
              f) l'istituzione di un sistema di reclutamento anche per le supplenze davvero meritocratico, atto a evitare il paradosso per il quale persone sottopostesi a un triplice test d'ingresso e a un numero chiuso debbano trovarsi in coda, in virtù del punteggio, a persone che abbiano potuto evitare o che abbiano fallito tale selezione;
              g) in alternativa a quanto precisato nella lettera f) differenziare nettamente il punteggio dell'abilitazione derivante dal tirocinio formativo attivo ordinario rispetto al tirocinio formativo attivo speciale, come già avvenuto in passato con il sistema delle SSIS rispetto ai corsi abilitanti riservati e alle idoneità da concorso, oppure la «non valutazione» nelle graduatorie di istituto di seconda fascia del «punteggio dei tre anni di servizio» utili al conseguimento dell'abilitazione attraverso il tirocinio formativo attivo speciale, detraendolo dal computo del punteggio totale  –:
          alla luce di quanto espresso in premessa, se intenda valutare l'opportunità di recedere dalla decisione di istituire il tirocinio formativo attivo «parallelo-riservato»;
          nel rispetto del principio d'uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione italiana, se non ritenga altresì doveroso tutelare i docenti che rispondono ai criteri previsti dalla citate normative, seppure in possesso di 36 mesi di servizio, valutando l'opportunità di attuare una modifica del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n.  249, secondo i criteri indicati in premessa. (5-08708)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      DI STANISLAO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          i cittadini di Taranto, com’è noto, vivono una forte sofferenza per un disastro sanitario, oltre che ambientale, che imperversa su di loro e sulla città;
          da circa quattro mesi ai dirigenti dell'Ilva, l'industria più «ingombrante» presente nel comune, è stato notificato il sequestro di parchi minerali, cokerie, agglomerato, acciaieria, altiforni, perché comprovato il nesso di causa ed effetto per ciò che concerne i numerosi decessi e malattie conseguenti all'inquinamento prodotto dalla stessa industria;
          la magistratura ha deciso in questi giorni di sequestrare definitivamente gli impianti, in quanto non ci sono le garanzie di rispetto ambientale e sanitario nei confronti della città di Taranto e dei suoi abitanti;
          la stessa azienda sta dimostrando di non trovare più convenienza nell'essere insediata nella città, prospettando addirittura di chiudere tutto lo stabilimento, comprese le aree a freddo (non sequestrate), se dovesse proseguire l'azione giudiziaria dei magistrati;
          si è da poco approvato in via definitiva il decreto di «revisione dello strumento militare». Tale provvedimento metterà a carico dei contribuenti circa 30.000 militari che saranno avviati, con forme non chiare, in pre-pensionamento nell'arco di 10 anni, lasciando nel contempo invariato il bilancio della Difesa;
          riguardo a tale legge ci sarà una rivisitazione del bilancio da 70 per cento sul personale, 12 per cento sull'esercizio e 18 per cento sugli investimenti (cioè le armi) a rispettivamente 50 per cento, 25 per cento, 25 per cento. Considerando che il bilancio della difesa è di 14 miliardi di euro annui, è facilmente deducibile che ci sarà un esborso ulteriore per l'acquisto di armi di circa 980.000.000 di euro annui, a carico dei contribuenti anche se in modo indiretto  –:
          se il Governo abbia in programma progetti per la riconversione del territorio di Taranto, e alternative occupazionali, come ad esempio, per le bonifiche, riconversione industriale, green economy ed altro ed in caso affermativo quali siano;
          se il Governo abbia valutato e considerato l'impatto occupazionale sul territorio in caso di chiusura, anche parziale, dello stabilimento, tenendo conto dei dipendenti dell'Ilva residenti e non nella città di Taranto, e se intenda con urgenza valutare soluzioni alternative per intervenire prontamente, qualora si giunga a tale situazione tra l'altro molto probabile, ad una ricollocazione degli operai tenendo conto anche della cassa integrazione;
          se il Governo, intenda, in sede di attuazione della riforma dello strumento militare, considerare la possibilità di assumere iniziative per allocare, almeno i previsti 980.000.000 annui, a regime, per l'acquisto di armi, alla città di Taranto, affinché si proceda con le bonifiche e la riconversione del territorio, assumendo gli operai che sarebbero licenziati dall'azienda. (3-02661)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BITONCI e MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa nazionali (Italia Oggi di mercoledì 19 dicembre 2012) riportano la notizia secondo la quale quasi 2.000 aziende veneziane potrebbero ritrovarsi nella situazione di dover restituire oltre 100 milioni di euro di sgravi contributivi fruiti negli anni passati e dichiarati solo successivamente aiuti illegittimi dall'Unione europea;
          tali sgravi sono stati introdotti dal decreto-legge n.  96 del 1995 a favore delle imprese dei comuni di Venezia e di Chioggia e dal decreto-legge n.  669 del 1996 per le imprese del territorio di Venezia insulare ed isole della laguna e, successivamente, la Commissione europea ha decretato come aiuti incompatibili con il mercato comune  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno, in ragione del fatto che la Commissione europea si è espressa solo successivamente agli sgravi fiscali ed anche alla luce della difficile situazione economica nella quale si ritrovano numerose aziende venete, adottare ogni iniziativa di competenza al fine di impedire che dette imprese debbano provvedere a risarcire, in toto o solo in parte, gli incentivi ricevuti. (4-19254)


      CODURELLI, CORSINI, SCHIRRU, ALBONETTI, ARGENTIN, BINDI, BURTONE, CAPANO, COSCIA, DE TORRE, DUILIO, ESPOSITO, FEDI, FERRARI, FONTANELLI, LO MORO, MADIA, MARIANI, GIORGIO MERLO, MIGLIAVACCA, MIOTTO, MOTTA, PIZZETTI, ROSATO, ROSSOMANDO, SANTAGATA, SCARPETTI, TEMPESTINI, TOUADI, VELO, VERINI, ZACCARIA, ZAMPA, BELLANOVA e DAMIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
          l'articolo 22 del decreto-legge n.  95 del 2012 («spending review»), convertito con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012, ha disposto l'ampliamento di 55 mila unità della platea di lavoratori salvaguardati dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico introdotto dalla riforma previdenziale attuata nel dicembre 2011 mediante l'emanazione del decreto «SalvaItalia»;
          il comma 2 del suddetto articolo prevedeva un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (15 agosto 2012), al fine di definire le modalità di attuazione della disposizione;
          nonostante le reiterate rassicurazioni provenienti da parte di autorevoli esponenti governativi, a distanza di quasi 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n.  135 del 2012 non si ha ancora alcuna notizia ufficiale relativa all’iter del decreto attuativo, dalla cui adozione dipende il futuro di 55 mila famiglie;
          nella giornata del 6 dicembre 2012, l'ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti, in risposta alle sollecitazioni pervenute dal rappresentante di uno dei comitati degli «esodati», ha comunicato che «il decreto in oggetto, pervenuto alla Corte dei conti in data 7 novembre 2012, non è stato ancora registrato. Si è in attesa, al momento, di chiarimenti da parte del Ministero del lavoro»;
          gli interpellanti, consci delle gravi ripercussioni economiche e psicologiche che il ritardo della pubblicazione del decreto attuativo comporta nelle vite di decine di migliaia di famiglie, ritengono non più procrastinabile il compimento di tale atto  –:
          alla luce della comunicazione rilasciata dall'ufficio per le relazioni con il pubblico della Corte dei conti citata in premessa, quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di fornire i chiarimenti ritenuti necessari per la registrazione e per la conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto attuativo dell'articolo 22 del decreto-legge n.  95 del 2012. (4-19262)


      BERRETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di agosto 2012 il tribunale di Catania, con propria ordinanza, condannava la Decco Italia s.r.l. di Belpasso (CT) alla reintegrazione della lavoratrice Alessandra Albanese, in quanto il licenziamento era discriminatorio per ragioni di handicap;
          nell'ordinanza il tribunale evidenziava come i motivi organizzativi paventati dall'azienda nella lettera di recesso fossero del tutto insussistenti e pretestuosi, avendo il licenziamento indubbiamente carattere discriminatorio, a causa dell'handicap della lavoratrice;
          a circa due mesi dal reintegro, eseguito peraltro con modalità difformi da quelle imposte dalla legge, quando la lavoratrice aveva regolarmente ripreso l'attività lavorativa, coltivando legittime aspettative di proseguire serenamente tale esperienza lavorativa, è stata nuovamente licenziata dalla Decco Italia s.r.l., che adduce cogenti esigenze organizzative;
          la succitata vicenda è stata pubblicamente denunciata, da numerose associazioni a tutela delle persone con disabilità, agli enti preposti ed all'autorità giudiziaria, per accertare anche eventuali ipotesi di reato, in quanto le motivazioni proposte dall'azienda sarebbero infondate e pretestuose quanto quelle del primo provvedimento di licenziamento  –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
          quali iniziative di sorveglianza intenda assumere al fine di garantire il rispetto delle decisioni giudiziali in tema di reintegrazioni nel posto di lavoro che tanto più come nel caso esposto in premessa a mero titolo esemplificativo, vengono vanificate dalle aziende con quelli che all'interrogante appaiono semplici pratiche elusorie. (4-19263)


      MONTAGNOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          con l'entrata in vigore del decreto-legge n.  57 del 2012, è stata prorogata la scadenza delle autocertificazioni della valutazione dei rischi per le piccole e medie imprese fino a 10 dipendenti, al terzo mese successivo all'emanazione, peraltro non ancora avvenuta, delle procedure standardizzate per la redazione della valutazione dei rischi la quale, comunque, deve avvenire entro e non oltre il 31 dicembre 2012;
          l'attuale formulazione del provvedimento fissa altresì l'entità delle sanzioni penali per il mancato adempimento, così che artigiani e commercianti, ovvero i titolari di piccole e medie imprese che occupano fino a 10 dipendenti, sollecitano una proroga in quanto è di fatto impossibile dotarsi del documento di valutazione del rischio in azienda entro il 31 dicembre;
          le imprese quindi, salvo chiarimenti o proroghe, restano nel limbo interpretativo, con il dubbio di non essere in regola e di incorrere in pesanti sanzioni, che per l'imprenditore inadempiente si traducono nell'arresto da tre a sei mesi o il pagamento di un'ammenda da 2.500 a 6.400 euro;
          in passato le imprese potevano autocertificare, ora, invece, è richiesto il formato documentale, che per una corretta compilazione necessita dell'intervento di esperti e ha dunque un costo a seconda che le imprese siano ad alto rischio (per edilizia, trasporti, meccanica, autoriparazione, legno o arredo, e altro il documento di valutazione dei rischi può costare oltre 600 euro) o a rischio poco significativo (servizi, benessere, comunicazione per i quali il documento può costare oltre 400 euro); il tempo concesso agli imprenditori per effettuare l'adempimento è di soli 20 giorni, festività natalizie comprese  –:
          se non si ritenga opportuno, anche alla luce della grave crisi economica e del complesso quadro burocratico nel quale si ritrovano ad operare oggi le imprese, adottare le opportune iniziative normative per prorogare l'attuale disposizione per la redazione della valutazione dei rischi.
(4-19270)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CENNI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Federconsorzi (Federazione italiana consorzi agrari) fu fondata a Piacenza nel 1892. Ente, prima di natura privatistica e successivamente organo fondamentale della politica agricola statale, Federconsorzi fu commissariata nel 1991 dall'allora Ministro dell'agricoltura, Giovanni Goria;
          nel mese di marzo del 1993 il tribunale fallimentare di Roma ha approvato la vendita di tutti i beni della Federconsorzi, accogliendo di fatto la proposta della Srg Spa, società costituita da un gruppo di creditori, fissando un prezzo di vendita complessivo, non riferito ai singoli beni;
          nel mese di agosto del 1993 è stato firmato l'atto quadro di cessione di tutti i beni in favore di Sgr. Nel 1995 il Commissario governativo della Federconsorzi pose il problema di una equa corrispondenza tra i valori pagati da Sgr ed i beni acquisiti, evidenziando come questi beni fossero di valore superiore al prezzo pagato. Per superare questa problematica Sgr e la Liquidazione giudiziaria, senza l'accordo e la presenza del Commissario governativo, definirono nel 1998 un accordo transattivo nel quale Sgr trasferì alcuni crediti;
          è in corso da oltre otto anni una vertenza aperta da circa 800 ex lavoratori della Federconsorzi con il Ministero delle politiche agricole;
          il Ministero delle politiche agricole aveva infatti assunto come obbligo di fronte al tribunale fallimentare (accordo sindacale del 17 novembre 1992 confermato dall'accordo sindacale del 28 aprile 1994) che sarebbero stati assunti, nella neo costituita società Agrisviluppo Spa, almeno 250 dipendenti della Federconsorzi. La mancata attuazione dell'accordo ha determinato il licenziamento di gran parte del personale della Federconsorzi (e delle società interamente controllate) o l'assunzione presso altri uffici della pubblica amministrazione con qualifica e remunerazione base inferiore rispetto alla precedente;
          il verificarsi di tale situazione, difforme da quella risultante dagli impegni assunti da Sgr, ha determinato l'accertamento del danno da parte del tribunale di Perugia;
          il giudizio avviato dagli ex dipendenti della Federconsorzi, presso il tribunale civile di Roma contro il Ministero delle politiche agricole per «culpa in vigilando» è ancora pendente, mentre il danno subito è stato quantificato in circa 240 milioni di euro;
          per quanto riguarda la quantificazione dei beni di Federconsorzi rimane tutt'ora irrisolta anche la valutazione degli ammassi di titolarità rilevati dai consorzi agrari per i quali, fin dal 1992, il commissario governativo aveva chiesto la loro liquidazione in favore della stessa Federconsorzi;
          nel 2004, dopo una lunga vertenza giudiziaria, una sentenza della Corte di cassazione (numero 26159/07) ha condannato il Ministero della politiche agricole a pagare i debiti, per i servizi relativi all'ammasso di grano resi dai consorzi agrari, quantificati in circa 600 milioni di euro. Nella stessa sentenza viene rinviata la quantificazione degli interessi dovuti alla corte d'appello. Nel 2007 la corte di appello di Roma (sentenza numero 4699/2012) si è espressa sugli interessi decretando che oltre agli interessi pari al tasso di sconto, aumentato del 4,4 per cento, e capitalizzato semestralmente, si applicasse una maggiorazione dei danni;
          la sentenza numero 4699/2010 della corte di appello di Roma è stata impugnata nuovamente dinanzi alla Corte di cassazione da parte dell'Avvocatura dello Stato in riferimento «unicamente al riconoscimento della spettanza a Federconsorzi della capitalizzazione semestrale, in quanto violativa dei principi in tema di anatocismo»;
          con il decreto n.  0011109 del 9 dicembre 2010, a firma dell'allora Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Giancarlo Galan, è stato nominato commissario governativo della Federazione italiana dei consorzi agrari in concordato preventivo il magistrato della Corte dei conti Andrea Baldanza. Tale decreto prevede nello specifico, all'articolo 1 comma 3, che il Commissario possa procedere «alla ricognizione del contenzioso pendente ed in particolare di quello nei confronti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in ordine ai crediti derivanti dalla rendicontazione della gestione degli ammassi dei prodotti agricoli, nonché il contenzioso promosso dagli ex dipendenti della Federazione italiana dei consorzi agrari e di alcune società da essa controllate, con il compito di definire, anche in via transattiva, i predetti contenziosi, ferme restando le attribuzioni assegnate dalla legge all'Avvocatura Generale dello Stato»;
          rispetto al contenzioso sugli ammassi agricoli la Corte di cassazione ha ribadito che la Federconsorzi sia la titolare di tali beni: con sentenza del 15 luglio 2009 numero 16504 ha affermato infatti «indubitabile, che la società Federconsorzi investita del compito di gestire determinati beni per conto dello Stato in regime di separazione contabile e pur se legalmente rappresentata dal commissario governativo sia e resti l'unica titolare di quei beni, così come degli altri facenti pare del suo rimanente patrimonio». Inoltre la Corte di cassazione ha inoltre ritenuto che di tale situazione si sia tenuto conto anche in sede di omologazione del concordato in quanto «la cessione dei beni non riguardava le attività relative alla gestione degli ammassi per conto dello Stato, la quale rimase affidata alla Federconsorzi in persona del Commissario Governativo»;
          dal 22 giugno del 2011 Luigi Farenga è stato nominato, dalla sezione fallimentare del tribunale di Roma, commissario liquidatore di Federconsorzi;
          la legge n.  44 del 2012, all'articolo 12, comma 6, prevede che «I crediti derivanti dalle gestioni di ammasso obbligatorio e di commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali, svolte dai consorzi agrari per conto e nell'interesse dello Stato, diversi da quelli estinti ai sensi dell'articolo 8, comma 1, della legge 28 ottobre 1999, n.  410, come modificato dall'articolo 130 della legge 23 dicembre 2000, n.  388, quali risultanti dai rendiconti approvati con decreti definitivi ed esecutivi del Ministro dell'agricoltura e delle foreste e registrati dalla Corte dei conti, che saranno estinti nei riguardi di coloro che risulteranno averne diritto, nonché le spese e gli interessi maturati a decorrere dalla data di chiusura delle relative contabilità, indicata nei decreti medesimi, producono interessi calcolati: fino al 31 dicembre 1995 sulla base del tasso ufficiale di sconto maggiorato di 4,40 punti, con capitalizzazione annuale; per il periodo successivo sulla base dei soli interessi legali»;
          ad oggi il commissario governativo Andrea Baldanza ha manifestato la volontà di arrivare ad una soluzione transattiva della vertenza intrapresa dagli ex dipendenti di Federconsorzi;
          la ricerca di un accordo, disposto dalla legge n.  44 del 2012, verrebbe reso di fatto impossibile da due fattori principali:
              la mancata erogazione da parte dello Stato (ed in particolare del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) di circa un miliardo di euro a Federconsorzi. Erogazione attualmente sospesa in attesa del ricorso presentato, per mezzo dell'Avvocatura dello Stato, dai Ministeri delle politiche agricole e dell'economia e delle finanze contro la sentenza numero 4699/2012 della corte di appello di Roma (come si evince dalla risposta del Sottosegretario di Stato alle politiche agricole, alimentari e forestali, Franco Braga, alla interrogazione a risposta immediata in Commissione numero 5/06333, in data 7 marzo 2012);
              la presa di posizione del comitato dei creditori che, per voce del commissario liquidatore Luigi Farenga, si ritiene unico titolare di quanto lo Stato (ed in particolare il Ministero delle politiche agricole) deve alla Federconsorzi. Una posizione che appare all'interrogante in violazione di quanto espresso nella sentenza della Corte di cassazione sopracitata del 15 luglio 2009 numero 16504  –:
          se non ritenga opportuno intraprendere ogni iniziativa urgente affinché gli ex dipendenti della Federconsorzi rientrino pienamente tra i beneficiari della legge n.  44 del 2012, all'articolo 12, comma 6;
          quale tempistica, quale strumento normativo e quali criteri di quantificazione e di ripartizione verranno utilizzati per attuare l'articolo 12 comma, 6 della legge n.  44 del 2012. (5-08709)

Interrogazione a risposta scritta:


      MARINELLO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 12 commi da 1 a 6 del decreto-legge n.  95 recante: «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» convertito con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n.  135, prevede la soppressione dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione-Inran stabilendo che la destinazione delle funzioni e del personale già dell’ex Inran, avvenga attraverso la suddivisione di più soggetti, in contraddizione con quanto era stato fatto in precedenza attraverso il decreto-legge n.  78 del 2010, convertito con modificazioni della legge n.  122 del 2010, che aveva soppresso l'Ense (Ente nazionale sementi elette) e l'Inca (Istituto nazionale conserve alimentari) accorpandoli nel nuovo Inran;
          la suesposta disposizione che l'interrogante giudica inusuale rispetto ad altre situazioni analoghe e complessa dal punto di vista giuridico, non stabilisce contestualmente alla soppressione l'accorpamento in un unico ente subentrante, come ad esempio per il Cra (Centro di ricerche in agricoltura), ente vigilato dal ministero, ma rimanda ad una soluzione a giudizio dell'interrogante difficile, inconciliabile con le altre decisioni simili e senza alcuna logica scientifica o organizzativa né tantomeno condivisibile in termini di risparmi finanziari e di revisione della spesa pubblica;
          il provvedimento di soppressione prevede infatti, attraverso l'introduzione di decreti non regolamentari tuttora non emanati, una nuova tripartizione del personale e delle funzioni, riassegnando quanto era stato in capo dell'Ense, all'ente risi (ente pubblico economico) e in capo dell'Inran al Cra, mettendo contestualmente in mobilità il personale in precedenza dell'Inca, determinando di conseguenza evidenti problemi organizzativi con pesanti ricadute negative nell'ambito dell'attività di ricerca e della programmazione;
          l'interrogante rileva che in considerazione dei profili di criticità suesposti occorre prevedere un intervento volto a stabilire, sia pure nell'ambito della soppressione, l'accorpamento dell'intero ex Inran, nei confronti del Cra, in un ottica di valorizzazione della rete scientifica in campo agricolo, per una migliore organizzazione territoriale;
          quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non ritenga opportuno assumere iniziative normative ad hoc volte a modificare le disposizioni contenute all'interno dell'articolo 12 del decreto-legge n.  95 convertito, con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n.  135, nel senso di quanto riportato in premessa. (4-19250)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


      CATANOSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportano in questi giorni i maggiori quotidiani e agenzie di stampa, riportando la denuncia della Federazione Emo, la Federazione delle associazioni emofilici, il Ministero della salute non pagherà alcun risarcimento a quelle 7.000 persone (tra loro circa 600 emofilici) che, a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, contrassero epatite ed HIV a causa di trasfusioni da plasma infetto;
          sempre secondo la Federazione Emo il motivo sarebbe la mancanza di copertura finanziaria;
          l'associazione che rappresenta gli emofilici italiani si è rivolta, in precedenza, al Ministro interrogato ed in questi giorni al Presidente del Consiglio dei ministri per avere contezza di questa denuncia;
          la Federazione delle associazioni emofilici è convinta che si debba fare giustizia nei confronti di molti di quanti furono danneggiati in conseguenza di omessi controlli da parte di chi aveva il dovere di vigilare sulla salute pubblica;
          negli anni ottanta e novanta circa 600 emofilici hanno contratto il virus HIV (metà dei quali nel frattempo deceduti) e almeno 1.500 i virus dell'epatite (C, B, e altro) e altre forme di epatiti. Gli ultimi decreti che si sono succeduti introducevano un termine di prescrizione prima di dieci anni e poi di cinque. Questo significa che il 70 per cento delle persone che hanno contratto HIV e epatite C a seguito dell'utilizzo di prodotti plasmaderivati infetti, tra loro emofilici, talassemici, politrasfusi, vaccinati e altri, è escluso dal diritto ad un giusto risarcimento;
          per la Federazione Emo, è dunque più che mai necessario quel provvedimento normativo ad hoc da parte del Ministero della salute, promesso alle associazioni dei pazienti nel corso di un incontro lo scorso 2 febbraio 2012;
          da 9843 giorni 500 pazienti emofilici hanno contratto il virus dell'HIV e più di 1500 quelli dell'epatite, secondo molte sentenze a causa di omessi controlli da parte del Ministero della salute sui medicinali plasmaderivati, considerati «salvavita». Da 1840 giorni costoro aspettano un intervento da parte dello stesso Ministero, così come legiferato dal Parlamento. Da 308 giorni attendono che il Governo e il Ministro rispettino l'impegno a emanare un provvedimento improrogabile a loro favore. Da 158 giorni, al contrario, molti di loro, quasi 600, assieme ad altri danneggiati, ricevono dal Ministero delle comunicazioni che li informano che il loro diritto a vedere riconosciuto il danno è prescritto  –:
          quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per sanare questa evidente ingiustizia e garantire il diritto al giusto risarcimento a queste migliaia di malati per colpe che non sono loro.
(4-19248)


      DE NICHILO RIZZOLI e BARANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la UOC di ematologia dell'ospedale Sandro Pertini di Roma, costituita nel periodo 2002-2003, è attualmente inserita nel dipartimento medico e delle specialità mediche della ASL Roma B;
          l'organico medico è attualmente costituito da tre dirigenti medici;
          i pazienti ematologi seguiti presso la struttura non hanno posti letto di degenza sanitaria ordinaria dedicati al loro ricovero, ma, con grandissime difficoltà e rischio clinico, quando necessario, non sempre trovano posto letto nel dipartimento medico ed a volte vengono trasferiti presso strutture accreditate presenti sul territorio;
          il day hospital di ematologia ha una copertura 7 giorni su 7 ed ha nove posti letto di ricovero;
          l'ambulatorio di ematologia è aperto per tre mattine e mezza di ogni settimana e spesso viene proseguito per necessità di affluenza presso una stanza del microscopio del day hospital di ematologia, poiché non ci sono spazi né personale medico per svolgerlo per almeno cinque giorni a settimana;
          viene svolta anche l'attività per prestazioni ambulatoriali complesse (PAC) per la diagnosi di «anemia» con l'ausilio del day service ospedaliero;
          la struttura complessa di ematologia partecipa, inoltre, all'attività clinico organizzativa del dipartimento medico e collabora con tutte le strutture ed i servizi presenti sia in Ospedale che sul territorio;
          risulterebbe auspicabile per gli interroganti che venga migliorata l'attività della UOC di ematologia per un'area e una zona molto popolosa della città di Roma  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali di assumere ogni iniziativa di competenza affinché le esigenze di razionalizzazione della spesa non comportino la mancanza di sviluppo, come è accaduto negli ultimi sei anni, e la riduzione dei posti letto pregiudicando il rispetto dell'universale diritto alla salute e dei livelli essenziali di assistenza. (4-19257)


      D'INCECCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la programmazione sanitaria italiana da sempre si è posta l'obiettivo di potenziare l'insieme dei servizi sanitari e socio-sanitari territoriali;
          gli accordi stipulati tra Stato e regioni hanno individuato la riorganizzazione delle cure primarie come una delle 5 «priorità di rilievo nazionale» sostenute da finanziamenti ministeriali specifici;
          l'ultima intesa tra il Ministero della salute e le regioni sulla necessità di potenziare le cure territoriali, ed in particolare sulla revisione dell'articolo 8 del decreto legislativo n.  502 del 1992, prevede, tra le altre cose, che:
              le aziende sanitarie possono provvedere alla dotazione strutturale, strumentale e di servizi delle forme organizzative multi professionali fornendoli in forma diretta oppure tramite l'erogazione delle risorse finanziarie necessarie alla acquisizione degli stessi beni e servizi. In tale caso i medici garantiscono un impegno orario di almeno 38 ore settimanali;
              per le forme organizzative multiprofessionali le aziende sanitarie possano adottare forme di finanziamento a budget per garantire l'attività assistenziale per l'intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana attraverso il coordinamento operativo e l'integrazione professionale, nel rispetto degli obblighi individuali derivanti dalle specifiche convenzioni, fra l'attività dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, della continuità assistenziale, della medicina dei servizi e della specialistica ambulatoriale, attraverso le forme organizzative multiprofessionali di cui alla lettera c);
              le aziende sanitarie possono stabilire specifici accordi con i medici operanti nelle forme organizzative multiprofessionali, secondo modalità e in funzione di specifici obiettivi definiti in ambito regionale, anche per l'erogazione di specifiche attività assistenziali, con particolare riguardo ai pazienti affetti da patologia cronica;
          a Penne, provincia di Pescara, opera l'Utap Vestina, nell'ambito dell'Asl di Pescara, nata con l'obiettivo di dare risposte integrate socio-sanitarie previste nell'accordo Stato-regioni del 2004;
          l'intesa Stato-regioni 2004 forniva indicazioni sulla costituzione di Utap, definite come «presidi integrati, formati dall'associazione di più medici convenzionati (medici di medicina generale; medici di continuità assistenziale; pediatri di libera scelta; specialisti convenzionati) che operino in una sede unica garantendo un elevato livello di integrazione tra la medicina di base e la specialistica e consentendo il soddisfacimento della più comune domanda specialistica di elezione»;
          oltre ai medici, nella Utap Vestina operano infermieri, personale di studio, amministrativo e di collaborazione in numero adeguato alle attività previste. La stessa intesa chiariva che il processo di integrazione dei diversi attori poteva avere carattere di gradualità, fino a modelli con partecipazione aggiuntiva di specialisti di varie specialità di base, di medici della dirigenza medica territoriale e personale socio-sanitario per la risposta integrata al bisogno sociale a elevata rilevanza sanitaria;
          la ASL di Pescara con delibera n.  399 del 27 aprile 2010 impegnava nel progetto obiettivo Utap 1 milione di euro, per finanziare le Utap esistenti e al contempo realizzarne di nuove; a tutt'oggi, tale finanziamento, soprattutto per la parte riguardante la Utap Vestina di cui sopra, non è stato erogato, mettendo seriamente a rischio le attività;
          la situazione dell'Utap Vestina non è isolata ma riguarderebbe molte unità di pari valore sul territorio regionale abruzzese è sul territorio nazionale, che sono a rischio –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra riportato e se non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze di assumere ogni iniziativa, anche promuovendo ulteriori forme di raccordo tra Stato e regioni, al fine di garantire la funzionalità e la prosecuzione delle attività di cure territoriali, come quelle della Utap Vestina di Pescara, che assicurano prestazioni indispensabili per garantire il diritto costituzionale alla salute. (4-19275)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PELUFFO, MARANTELLI e FARINONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          da notizie apparse sui giornali e rassegna stampa, si apprende che in data 17 dicembre 2012, veniva interrotto il segnale RAI nella zone del Milanese, basso Varesino, basso Comasco, Pavia tutta e parte di Cremona, per un complessivo di circa Tre milioni di persone che a tutt'ora sono senza ricezione del servizio pubblico;
          consultato il sito del servizio stampa RAI, si riscontra che la causa della mancata ricezione del segnale sia dovuta all'accensione di alcuni trasmettitori di Telecupole, che interferiscono con il segnale RAI irradiato dal trasmettitore di Monte Penice;
          Telecupole è una Tv privata con sede a Cavallermaggiore, in provincia di Cuneo, a cui è stata assegnata dal Ministero dello sviluppo economico la frequenza UHF 23, già occupata dal servizio pubblico in Lombardia;
          la Rai trasmette da Monte Penice, mentre la Tv piemontese dal Monte Giarolo, nell'Alessandrino; a quanto si apprende le due antenne risultano vicine e quindi si sovrappongono, annullando a vicenda i segnali trasmessi; da quanto sembra, nessun impianto citato sta funzionando in modalità non conforme, almeno per quanto concerne le caratteristiche di sintesi: coordinate geografiche, fisiche e parametri radioelettrici fondamentali, come la frequenza di utilizzo (nella fattispecie: canale 23UHF, che si traduce in MHz 490);
          a quanto consta all'interrogante Telecupole, oltre agli impianti in Piemonte, ha attivato anche un locale impianto a Vercelli ed uno più invasivo nella postazione di Oropa per Biella, sempre sul canale 23, causando possibili interferenze soprattutto anche per il bacino Piemontese e la vicina area lombarda in zona parco del Ticino  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, affinché sia ripristinato e salvaguardato, anche per il futuro, il servizio pubblico in questi ed altri territori. (5-08707)


      LANZARIN. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          i ritardi dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione o dalle imprese partecipate dalla pubblica amministrazione mette in crisi le aziende, specialmente nel periodo di crisi economica cui attraversa il Paese;
          gli imprenditori piccoli e grandi che si rapportano con le istituzioni, spesso devono fare i conti con difficoltà insormontabili per vedere riconosciuti i propri diritti e con ritardi o mancanza totale dei pagamenti a loro dovuti, anche se adempiono puntualmente alle obbligazioni assunte;
          tale situazione mette in crisi non solo le famiglie degli imprenditori ma anche le famiglie dei loro dipendenti e collaboratori;
          un caso concreto rappresenta la vicenda della società Elbi, un'azienda padovana che lavora sul mercato da quasi 50 anni, opera nel campo della termoidraulica e si è costruita una solida reputazione ed immagine nei maggiori mercati mondiali;
          tale azienda dopo aver vinto nel 2000 regolarmente la gara d'appalto indetta da Amia s.p.a., società partecipata dal comune di Palermo, per l'acquisto di 4 mila cassonetti per i rifiuti solidi urbani unitamente al servizio di manutenzione dei cassonetti medesimi, ha avviato una vera e propria odissea burocratico-giudiziaria per veder riconosciute le proprie spettanze; da allora è iniziata una lunga ed estenuante vicenda processuale fatta di un turbinoso susseguirsi di ricorsi, citazioni, esecuzioni forzate, ordinanze e sentenze, tuttora in corso;
          tali vicende hanno reso se possibile ancor più difficoltoso il riconoscimento dei diritti dell'azienda Elbi nei confronti di Amia s.p.a. che vanta crediti per oltre 2.000.000 di euro derivanti da corrispettivi per manutenzioni già eseguite, spese di certificazioni e fornitura di ulteriori 1000 cassonetti;
          tale situazione, anche per l'entità del credito in ballo, ha creato negli anni e sta creando gravissimi problemi all'azienda  –:
          quali iniziative intenda assumere al fine di aiutare e sostenere le imprese in crisi per i mancati pagamenti, come nel caso descritto di Elbi s.p.a. e ridare serenità e fiducia nel rapporto con le istituzioni alle imprese e alle famiglie dei dipendenti e collabori ad esse collegate.
(5-08710)

Apposizione firma ad una interrogazione e cambio presentatore.

      L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Siragusa n.  5-08705, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2012, è da intendersi sottoscritta dal deputato Coscia che ne diventa il primo firmatario.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Bratti e altri n.  5-07016, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Froner.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Ghiglia n.  5-08120, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 ottobre 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Froner.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Codurelli n.  2-01786 del 18 dicembre 2012.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta in Commissione Alessandri n. 5-05651 del 2 novembre 2011, in interrogazione a risposta scritta n. 4-19259.
          interrogazione a risposta in Commissione Morassut e Meta n. 5-07619 dell'8 agosto 2012, in interrogazione a risposta scritta n. 4-19260.
          interrogazione a risposta in Commissione Viola e altri n. 5-08011 del 27 settembre 2012, in interrogazione a risposta scritta n. 4-19261.

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta scritta Gibiino e altri n.  4-19161 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  735 del 18 dicembre 2012. Alla pagina 37495, seconda colonna, dalla riga trentaduesima alla riga trentatreesima, deve leggersi: «FONTANA, FORMICHELLA, FUCCI, GARAGNANI, GAROFALO» e non «FONTANA, FORMICHELLA, FUCCI, GARAGNANI, GAROFALO, GERMANÀ», come stampato.

      Interrogazione a risposta scritta Montagnoli n.  4-19233 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  736 del 19 dicembre 2012. Alla pagina 37633, seconda colonna, alla riga quarantatreesima deve leggersi: «la possibilità per il comune di Negrar di», e non come stampato;
      alla pagina 37634, prima colonna, dalla riga tredicesima alla riga quattordicesima deve leggersi: «a Negrar (Verona) a giugno, con il pagamento della prima rata dell'imposta al», e non come stampato;
      alla pagina 37634, prima colonna, alla riga ventisettesima deve leggersi: «nel comune di Negrar (Verona), così che», e non come stampato;
      alla pagina 37635, seconda colonna, dalla riga quarantottesima alla riga quarantanovesima deve leggersi: «Negrar (Verona) e quali siano gli intendimenti degli stessi ministri, anche in virtù», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      ALESSANDRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in Parlamento sono già presenti determinati atti di sindacato ispettivo (ad esempio l'atto Camera 4-00242 e l'atto Camera 4-01519), volti a sottolineare alcune criticità dell'attuale sistema di funzionamento dell'istituto del CTU (consulente tecnico d'ufficio), ossia la figura professionale, di particolare competenza tecnica, al quale si affida il giudice durante il processo civile, mentre nel processo penale, tale professionista assume il nome perito d'ufficio;
          anche la Corte di cassazione è spesso intervenuta su specifiche problematicità rilevate nell'applicazione della disciplina dei consulente tecnico d'ufficio. Al riguardo si cita da ultimo la sentenza n.  12686 del 2011, che in particolare recita: «...ancora una volta, va richiamato il principio, più volte affermato da questa Corte, per il quale se è vero che il giudice di merito si può avvalere delle conclusioni raggiunte dal proprio consulente, mediante un richiamo dei contenuti salienti della relazione, è pure da ribadire che allorché ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (cfr. Cass 24 aprile 2008 n.  10688; 11 marzo 2002 n.  3492; 20 maggio 2005 n.  10668; 13 dicembre 2006 n.  26694);
          vicende del tipo di quella di cui al presente atto di sindacato, ripropongono la gravità delle problematiche sottese all'esito delle consulenze e delle perizie di ufficio (CTU) che spesso possono corrispondere a seri errori giudiziari con danni gravi alle persone fisiche, giuridiche ed all'erario;
          occorre sottolineare che la delicatezza degli errori nelle sentenze di primo grado che possono essere causati dai consulenti tecnici d'ufficio sono spesso irreversibili, ciò anche a causa del fatto che l'attuale ordinamento nel prevedere l'inibitoria dell'esecutività delle sentenze di primo grado, non considera poi il fatto oggettivo della difficoltà dell'accesso all'appello, dei tempi legati a questa ipotesi, delle legittime operazioni attuabili dalla controparte che essendo consapevole che è altamente probabile che in appello la sentenza potrà essere ribaltata, si avvantaggia della circostanza che la sentenza di primo grado si sostanzia per la vittima in una condanna definitiva;
          un caso che si desidera porre in evidenza è il procedimento civile R.G. 4593/04 e penale n.  R.G.N.R. 4206/11 incardinati presso il tribunale di Velletri, scaturiti, secondo la proprietà allo scopo interessata, dai lavori edili eseguiti da una ditta di Genzano di Roma per il miglioramento sismico dell'edificio (sito in Rieti in via San Francesco n.  62), cofinanziati dallo Stato. Tali lavori, principalmente da parte delle istituzioni locali competenti (genio civile, comune di Rieti e vigili del fuoco), sono stati valutati come male eseguiti e pericolosi per la pubblica incolumità;
          nel caso specifico il relativo consulente tecnico d'ufficio sembrerebbe, per quanto consta all'interrogante, aver sconfessato le risultanze del genio civile di Rieti, prodotte in data 8 marzo 2011 e nelle quali si sanciva che per i lavori di realizzazione della copertura dell'edificio in via San Francesco n.  62, in Rieti, tutte le difformità segnalate dai vari enti erano contro legge (ordinanza n.  2741/98) e che «per ricondurre l'intervento al disposto della norma al fine del suo completamento, con necessarie riparazioni delle opere eseguite in difformità, era indispensabile l'approvazione da parte dell'area del progetto di variante dall'interessato allo scopo presentato, allo stato in corso di istruttoria». Su tali espressioni di merito il consulente tecnico d'ufficio non avrebbe posto in essere alcuna disamina tecnica in contraddittorio con i CTP per i vizi occulti denunciai dagli enti terzi riguardanti addirittura la Pubblica incolumità. Gli enti terzi per un edificio da riparare con al 75 per cento con fondi dello Stato non sembrano essere stati per nulla considerati nel processo, né indirettamente dal consulente tecnico d'ufficio tramite una rappresentazione del loro parere, né direttamente come testimonianza;
          nel suo elaborato peritale il consulente tecnico d'ufficio non avrebbe espresso alcuna preoccupazione in merito alla potenziale pericolosità paventata dai tecnici di tali enti pubblici, riguardo al tetto dell'edificio realizzato in maniera strutturalmente labile e pericolosamente gravante, con tutte le sue venti tonnellate di peso, su via S. Francesco (aperta a pedoni e auto) in Rieti;
          in questa vicenda si giunge al paradosso che il cittadino che chiede giustizia per un'opera mal eseguita, e per questo classificata pericolosa per l'incolumità pubblica, è stato valutato non conforme alla legge dagli enti terzi per i lavori della ditta realizzatrice mentre è stata condannata dal giudice per lavori ritenuti a norma e non pericolosi quindi da pagare  –:
          se non intenda assumere iniziative normative urgenti volte ad attuare concretamente i richiami da ultimo riproposti dalla Corte di cassazione nella sentenza n.  12686 del 2011, in ordine all'obbligo del giudice di motivare le ragioni per cui, ove decidesse di farlo, non intendesse tener conto delle eventuali critiche puntuali e dettagliate poste da un consulente di parte alle consulenze tecniche d'ufficio dallo stesso richiese ed in tale circostanza quali soluzioni alternative di maggior efficienza ritenga si possano perseguire in sostituzione dell'attuale istituto dei consulenti tecnici d'ufficio soprattutto in materia di contenziosi riguardanti la sicurezza del cittadino qualora come soggetto competente nei relativi processi siano preposti obbligatoriamente lo Stato e gli enti istituzionali territoriali allo scopo interessati.
(4-14637)

      Risposta. — Nell'interrogazione in esame l'interrogante chiede, in primo luogo, di sapere se il Ministro della giustizia abbia intenzione di assumere delle iniziative normative volte ad attuare concretamente i richiami, da ultimo ribaditi nella sentenza della Cassazione n.  12686 del 2011, al principio secondo cui il giudice, in sentenza, dovrebbe evitare un accoglimento acritico delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, in presenza di puntuali e dettagliate critiche mosse alle stesse dal consulente di parte e dare, invece, compiuta indicazione delle ragioni per cui le abbia disattese. Secondariamente, l'interrogante vuole sapere se esistono soluzioni alternative di maggiore efficacia in sostituzione dell'istituto della consulenza tecnica.
      L'interrogante cita in proposito un caso specifico, nel quale il tribunale Velletri aveva motivato la decisione di una causa civile esclusivamente sulle base delle conclusioni cui era pervenuto il consulente nominato dall'ufficio, nonostante risultassero espressi dai competenti pubblici uffici, autorevoli pareri contrastanti rispetto alla dette conclusioni.
      La nomina e le modalità di svolgimento delle indagini del consulente tecnico di ufficio sono disciplinate nella terza sezione, del Capo II, Titolo I, Libro secondo del Codice di procedura penale (articoli 191 e successivi), da ultimo modificata dall'articolo 46 della legge n.  69 del 2009.
      Per quello che più direttamente riguarda i quesiti oggetto dell'interrogazione, il codice di procedura civile, all'articolo 195, prevede che, quando le operazioni sono compiute senza la presenza del giudice, il consulente deve farne relazione nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti. La relazione (ed è questa la parte introdotta dalla novella del 2009) deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite, le quali, entro il termine fissato dal giudice, possono trasmettere al consulente le proprie osservazioni. Al deposito dell'elaborato il consulente dovrà dare conto delle osservazioni delle parti ed esprimere una sintetica valutazione sulle stesse.
      È quindi già previsto che il consulente tecnico d'ufficio, oltre a dover dare conto delle osservazioni delle parti, debba anche valutarne il contenuto e spiegare i motivi per cui ritiene di disattenderle o farle proprie.
      Del resto, il principio affermato in giurisprudenza e riportato dal l'interrogante, e che obbliga il giudice a motivare le ragioni che lo hanno indotto a sposare le conclusioni del proprio consulente anche in presenza di puntuali e circostanziate critiche mosse dal consulente di parte, si riferisce all'ipotesi in cui il primo non si sia già fatto carico di esaminare e confutare nel proprio elaborato i rilievi di parte.
      Con riferimento al caso specifico menzionato nella interrogazione, si rappresenta che il tribunale di Velletri, in ordine alla causa civile, definita con sentenza di primo grado n.  41 del 29 dicembre 2011, ha precisato che il giudice ha effettivamente recepito le conclusioni del CTU, perché ritenute esaurienti e completamente motivate. Sulla vicenda, peraltro pende presso la procura della Repubblica del tribunale di Velletri anche un procedimento penale, nella fase delle indagini preliminari.
      In ultimo va segnalato che l'istituto della consulenza tecnica di ufficio consente l'ingresso nell'attività processuale di saperi e competenze tecniche, specialistiche e scientifiche, assolutamente indispensabili ed insostituibili, in considerazione della complessità e del tecnicismo di questioni sovente implicate nell'attività giudiziaria.
Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la costruenda sede monumentale della BCE – Banca centrale europea a Francoforte dovrebbe diventare operativa nel 2014, lo apprendiamo dal Corriere della Sera del 30 settembre 2012 che riprende un articolo del Sunday Telegraph;
          il nuovo edificio è costituito da tre unità fondamentali: la Grossmarkthalle, a sviluppo orizzontale e due torri gemelle poligonali alte rispettivamente 185 e 165 metri;
          inizialmente la spesa totale dell'opera doveva essere: 850 milioni di euro;
          un preventivo lievitato di ulteriori 350 milioni fino a raggiungere 1,2 miliardi di euro di spesa, destinata forse a crescere ancora;
          i ritardi di sei mesi hanno interessato particolarmente le opere edili nella Grossmarkthalle, un imponente edificio storico a carattere industriale del 1928 che fungerà da entrata principale;
          secondo la Banca centrale europea i tempi previsti non sono stati rispettati a causa delle «complessità degli interventi di restauro necessari nella struttura originaria del monumento storico tutelato» e i lavori straordinari su questa struttura da soli hanno fatto crescere il budget di circa 100-150 milioni di euro. Altri 200 milioni di rincari sono stati prodotti dall'aumento del costo dei materiali e delle attività nel settore delle costruzioni;
          Richard Ashworth, leader del gruppo degli eurodeputati conservatori britannici ha dichiarato che «usare tutti questi soldi per un unico complesso è davvero uno spreco spettacolare. Fortunatamente per il Regno Unito i costi graveranno solo sulle 17 nazioni dell'eurozona e non su tutti i membri dell'Unione»;
          da circa un anno e mezzo, gli europei ed in particolare gli italiani sono stati chiamati ad enormi sacrifici con gravi ripercussioni sul sistema pensionistico e dell'assistenza alle fasce deboli e pertanto tale spesa suscita, in questo particolare momento storico sfavorevole, indignazioni nell'interrogante  –:
          in quale misura l'Italia starebbe contribuendo alla costruzione di questa «avveniristica» e «faraonica» opera destinata ad essere la prestigiosa sede della BCE;
          se intenda ottenere una rendicontazione di spesa dei soldi ricevuti ed impiegati o impegnati dalla BCE negli ultimi anni in special modo per quelli provenienti dall'Italia. (4-18084)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale vengono posti quesiti in ordine alla nuova sede della Banca centrale europea.
      Al riguardo, sentita anche la Banca d'Italia, tramite la segreteria del comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, si fa presente che attualmente gli uffici della BCE sono dislocati in tre diversi stabili siti nel centro della città di Francoforte, con evidenti problemi di efficienza, sicurezza e produttività.
      Al fine di superare le citate difficoltà, nel periodo 1998-2000, il Governing council della BCE ha valutato la possibilità di trasferire le attività in una sede unica e ha, pertanto, considerato tre opzioni alternative:
          reperire uffici in locazione;
          acquistare un edificio esistente;
          realizzare un nuovo stabile.

      La terza opzione è risultata essere la più conveniente in termini di rapporto costi-benefici ed, inoltre, è coerente con la raccomandazione rivolta a tutte le istituzioni dell'Unione europea dalla Corte dei conti europea, che ha evidenziato quanto sia più vantaggioso sotto il profilo economico nel lungo termine occupare immobili di proprietà, piuttosto che immobili in locazione.
      Il progetto, prescelto a seguito di un concorso internazionale, prevede:
          uffici (operativi, direzionali e per le delegazioni delle banche centrali nazionali) idonei ad ospitare un numero elevato di persone;
          spazi per funzioni comuni e di servizio (riunioni, conferenze, CED);
          spazi di interfaccia con i visitatori e verso l'esterno (rapporti con la stampa, biblioteca, controllo degli accessi);
          adeguate dotazioni di servizi ed impianti.

      In proposito, occorre considerare che la sede di una banca centrale deve necessariamente rispondere a stringenti requisiti, in merito, ad esempio, alla protezione delle persone, dei dati e dei valori, nonché all'affidabilità e alla indispensabile continuità operativa, sia delle strutture che degli impianti.
      Pertanto, le caratteristiche richieste alla sede in questione può comportare costi anche superiori a quelli statisticamente rilevabili per costruzioni di uguale dimensione, ma destinate a diverse finalità. Tali peculiarità riguardano naturalmente sia la fase di progettazione, che quella di realizzazione, nonché successivamente i costi di manutenzione della struttura.
      Si soggiunge che maggiori informazioni sulle fasi di realizzazione del progetto «Nuova sede della BCE» sono disponibili anche nel sito internet istituzionale della Banca centrale europea.
      Con riferimento, infine, agli oneri connessi con la costruzione della nuova sede, di cui è cenno nell'interrogazione, si fa presente che essi sono sostenuti direttamente dalla Banca centrale europea e confluiscono nel bilancio della stessa.
      Finché l'immobile non sarà ultimato, i costi sostenuti sono capitalizzati e iscritti tra le «immobilizzazioni» nello stato patrimoniale della Banca centrale europea. Allorché la sede sarà disponibile per l'utilizzo, i costi capitalizzati confluiranno nel conto economico attraverso le quote di ammortamento annuali.
      Ai sensi degli articoli 28 e 33 dello Statuto del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), le banche centrali nazionali (e quindi anche la Banca d'Italia) sono le sole sottoscrittrici e detentrici del capitale della Banca centrale europea e l'utile, che residua dopo la copertura dei costi e dopo gli accantonamenti ai fondi patrimoniali, viene distribuito alle banche centrali nazionali in proporzione alle quote sottoscritte.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Gianfranco Polillo.


      BARBIERI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          risulta all'interrogante che il collegio nazionale degli agrotecnici, ed altri collegi locali della medesima categoria, tutti enti di diritto pubblico non economico, siano soci sovventori (finanziatori) delle cooperative private Agrifuturo SCARL ed Agrifuturo II SCARL, ove il presidente del collegio nazionale è socio fondatore e delle quali è stato ininterrottamente amministratore dalla loro fondazione sino al 2006;
          avendo cognizione che gli enti di diritto pubblico non economico non possano disporre di risorse diverse dalle quote versate degli iscritti, e che le stesse devono, per legge, essere determinate nella misura «... strettamente necessaria ...» al funzionamento del collegio medesimo, non si comprende come tale forma di finanziamento a strutture private possa essere consentito;
          tali cooperative hanno accesso ai cospicui finanziamenti comunitari attraverso l'Agea per lo svolgimento dei controlli in agricoltura (PAC e altre misure a sostegno del comparto);
          proprio tale attività sarebbe al centro delle intricate vicende che avrebbero generato il conflitto tra il presidente nazionale Orlandi, nella sua duplice veste di presidente nazionale della categoria e di amministratore socio delle società beneficiarie degli appalti di Agea, con quegli agrotecnici rodigini impanati in attività analoghe e adesso concorrenti, che si sono visti perseguire e che tutt'oggi sono al centro delle denunce che l'Orlandi continua presentare, nonostante le continue archiviazioni subite dall'Autorità giudiziaria adita;
          il ministero della giustizia è autorità preposta alla sorveglianza ed al controllo degli ordini professionali, per cui dispone di apposito ufficio «III libere professioni» appartenente al Dipartimento «affari di giustizia civile»;
          l'intera vicenda, seppur intricata e complessa, è stata più volte segnalata, dal Ministero della giustizia, sia verbalmente che formalmente, incrementando così la già cospicua documentazione formatasi nel frattempo nei preposti uffici Ministeriali;
          ad oggi, essendo trascorsi già alcuni anni la questione rimane sospesa  –:
          se il Ministro indirizzo non ritenga opportuno che vengano attivate le necessarie verifiche nella gestione amministrativa e contabile della categoria professionale degli Agrotecnici;
          se intenda assumere iniziative affinché venga opportunamente valutato l'operato del collegio nazionale nel confronti del collegio rodigino e dei componenti il consiglio provinciale nel 2004-2005, in relazione alle misure disciplinari adottate che, ad avviso dell'interrogante, destano dubbi sul piano della leggittimità;
          se intenda assumere iniziative affinché vengano attivate adeguate misure di controllo sull'operato del collegio nazionale degli agrotecnici finalizzate a ricondurre la gestione della categoria a quei principi deontologici di imparzialità, dignità e decoro che le si addicono.
(4-07208)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si fa presente che la verifica della regolarità gestionale amministrativa e contabile della categoria professionale degli agrotecnici ha comportato, nei termini di cui alle doglianze prospettate dall'interrogante, l'esercizio del potere di controllo da parte della competente direzione generale del dipartimento per gli affari di giustizia, la quale si è attivata per far chiarezza anche in merito al denunciato conflitto tra il presidente del collegio nazionale degli agrotecnici dottor Orlandi ed i componenti del disciolto collegio di Rovigo.
      L'articolazione ministeriale, su sollecitazione del collegio nazionale, sin dall'anno 2005 ha verificato l'uso privato della sede e dei beni strumentali del consiglio di Rovigo, accertando che i predetti beni erano stati concessi in uso gratuito ad un consigliere del collegio rodigino e da questi adibiti a studio personale. All'esito della verifica amministrativa è stata, quindi, accolta la richiesta avanzata dal collegio nazionale degli agrotecnici di sciogliere e commissariare l'intero consiglio di Rovigo e, con decreto ministeriale 13 gennaio 2005 è stato disposto il commissariamento del predetto collegio, stante la gravità del comportamento dei suoi consiglieri e dei revisori dei conti.
      Il provvedimento di commissariamento e la situazione posta a fondamento dello stesso sono stati impugnati dinanzi al Tar Lazio il quale, con sentenza n.  6841 del 2006, ha respinto nel merito l'istanza con la quale i membri del collegio di Rovigo avevano chiesto l'annullamento del decreto ministeriale di commissariamento.
      Nel frattempo, poiché i sette consiglieri e i tre revisori dei Conti del disciolto collegio rodigino erano stati segnalati al competente collegio di Milano per violazioni deontologiche, in data 19 novembre 2005 sono stati adottati i ritenuti provvedimenti disciplinari (cinque radiazioni e cinque sospensioni, per periodi compresi fra i sei ed i dodici mesi).
      Tutti i provvedimenti disciplinari sono stati impugnati dai soggetti radiati e da quelli sospesi, sia dinanzi al giudice civile (dove i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili per difetto di giurisdizione), sia dinanzi al collegio nazionale ed in tale sede è stata contestualmente richiesta la ricusazione dell'intero consiglio nazionale, sulla scorta di una ritenuta presunta inimicizia con gli ex componenti del disciolto collegio.
      In dati 2 ottobre 2006 è stato, pertanto, nominato un consiglio nazionale ad acta per decidere su tali ricorsi. La nomina è avvenuta tramite sorteggio pubblico ed è stata compiuta da un notaio, presso il Ministero della giustizia.
      Il consiglio nazionale ad acta – composto dai presidenti di collegi provinciali, che non avevano mai avuto parte nella vicenda in questione – ha confermato nel giugno 2007 le decisioni disciplinari comminate in prima istanza.
      Nelle more degli accertamenti, sono state presentate dai membri del disciolto collegio di Rovigo numerose denunce penali nei confronti del presidente del collegio nazionale degli agrotecnici.
      Con tali denunce veniva segnalato un abuso d'ufficio del presidente del collegio nazionale dottor Orlandi, il quale – così come prospettato anche nel presente atto di sindacato ispettivo – avrebbe richiesto lo scioglimento del collegio rodigino non a causa del grave comportamento tenuto dagli ex componenti del collegio, bensì per perseguire interessi personali, nella veste di socio fondatore ed amministratore sino all'anno 2006, delle cooperative private denominate «Agrifuturo SCARL e Agrifuturo II SCARL».
      Ciò detto, si specifica che le denunce penali presentate presso le procure di Rovigo e di Roma dai componenti del disciolto consiglio di Rovigo nei confronti del presidente del consiglio nazionale degli agrotecnici dottor Orlandi sono state tutte archiviate.
      Del pari archiviato è stato, altresì, l'esposto (di contenuto analogo alle citate denunce) presentato nei confronti del presidente Orlandi dalla segretaria del consiglio dottoressa Modenese. Quest'ultima, piuttosto, in seguito alla querela presentata nei suoi confronti del presidente dottor Orlandi, è stata rinviata a giudizio dalla procura di Roma per il reato di calunnia ed è stata, in seguito, sottoposta a provvedimenti disciplinari da parte del competente collegio di Milano, unitamente agli altri componenti consiliari.
      Per quanto concerne, infine, la richiesta di iniziative ministeriali, si significa che il Ministero della giustizia ha un potere di vigilanza nei confronti dei 20 ordini professionali posti nell'ambito della propria competenza. Tale potere, che nell'ipotesi di non funzionamento degli stessi può esplicarsi nell'adozione di misure quali il commissariamento dei consigli nazionali e/o locali, non si estende, tuttavia, a verifiche che riguardino le dinamiche interne degli ordini.
      Per siffatti aspetti, i diversi ordini professionali esercitano nei confronti dei propri iscritti una giurisdizione di tipo «domestico», che si esplica eventualmente anche a livello disciplinare.
Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.


      BOBBA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con proprio decreto del 24 aprile 1992 ha messo ad ordinamento un corso triennale d'istruzione professionale di Stato per l'acquisizione della qualifica di «Operatore dei servizi sociali» e che tale qualifica è stata successivamente confermata con decreto ministeriale 14 aprile 1997, n.  250;
          lo stesso Ministero con proprio decreto del 15 aprile 1994 ha messo ad ordinamento un corso biennale di post-qualifica d'istruzione professionale di Stato per il conseguimento del titolo di «tecnico dei servizi sociali», corso quest'ultimo il cui accesso è riservato a coloro che in precedenza hanno acquisito la qualifica corrispondente di operatore;
          nel profilo professionale, descritto nei decreti ministeriali, relativo alla qualifica di «operatore dei servizi sociali» si legge che «(...) con una specifica formazione professionale di carattere teorico e tecnico-pratico e nell'ambito dei servizi socio-educativo-culturali, svolge la propria attività a sostegno di persone di diversa età, per favorire le loro potenzialità individuali e il loro inserimento e partecipazione sociale. (...) Alla conclusione del ciclo di studi l'Operatore dei Servizi Sociali può lavorare nelle strutture pubbliche e private del territorio a sostegno delle comunità, per salvaguardare l'autonomia personale e sociale dei cittadini con lo scopo di salvaguardare l'autonomia personale e sociale dei cittadini con lo scopo di evitare o ridurre i rischi di isolamento o di emarginazione. (...)»;
          nel profilo professionale, descritto nel decreto ministeriale del 15 aprile 1994, si legge che «Il Tecnico dei servizi sociali possiede competenze e capacità per adeguarsi alle necessità e ai bisogni delle persone con le quali deve operare. È in grado di programmare interventi precisi e mirati secondo le esigenze fondamentali della vita quotidiana e di svago, curandone l'organizzazione e valutandone l'efficacia. Con l'esperienza anche pratica (attraverso stage e tirocini) il tecnico dei servizi sociali è capace di cogliere i problemi e di risolverli efficacemente e tempestivamente tenendo conto dell'aspetto giuridico, organizzativo, psicologico e igienico sanitario»;
          negli anni la presenza dei corsi di istruzione professionale di Stato negli indirizzi di operatore e tecnico dei servizi sociali si è andata diffondendo sul territorio nazionale, avviando verso tali qualifiche e titoli di studio migliaia di giovani motivati all'impegno e al lavoro nel settore sociale;
          il recente riordino dell'istruzione secondaria superiore ha rideterminato i diplomi da conseguirsi al termine del percorso di studi prevedendo che nell'ambito degli Istituti professionali di Stato fosse presente l'indirizzo socio-sanitario al termine del quale viene rilasciato il diploma di «Tecnico socio-sanitario», giusto decreto del Presidente della Repubblica n.  87 del 15 marzo 2010, delineando un curriculum di studi non sostanzialmente diverso da quello del «Tecnico dei servizi sociali»;
          in base alla descrizione del profilo professionale del tecnico dei servizi socio-sanitario, riportato in predetto decreto, tale figura: «(...) possiede le competenze necessarie per organizzare ed attuare interventi adeguati alle esigenze socio-sanitarie di persone e comunità, per la promozione della salute e del benessere bio-psico-sociale. È in grado di:
              partecipare alla rilevazione dei bisogni socio-sanitari del territorio attraverso l'interazione con soggetti istituzionali e professionali;
              rapportarsi ai competenti Enti pubblici e privati anche per orientare l'utenza verso idonee strutture;
              intervenire nella gestione dell'impresa sociosanitaria e nella promozione di reti di servizio per attività di assistenza e di animazione sociale;
              applicare la normativa vigente relativa alla privacy e alla sicurezza sociale e sanitaria;
              organizzare interventi a sostegno dell'inclusione sociale di persone, comunità e fasce deboli;
              interagire con gli utenti del servizio e predisporre piani individualizzati di intervento;
              individuare soluzioni corrette ai problemi organizzativi, psicologici e igienico-sanitari della vita quotidiana;
              utilizzare metodi e strumenti di valutazione e monitoraggio della qualità del servizio erogato nell'ottica del miglioramento e della valorizzazione delle risorse (...)»;
          l'introduzione dell'indirizzo socio-sanitario nell'ambito del riordino dell'istruzione superiore ha determinato un incremento dei corsi su tutto il territorio nazionale; la normativa vigente relativa al rilascio di qualifiche professionali assegna alle regioni tale compito;
%
          è tuttora aperto il problema della definizione delle figure professionali in ambito sociale, tant’è che l'ISFOL nel maggio 2008 ha reso noto un progetto per realizzare un «Osservatorio per il governo del sistema delle professioni sociali e lo sviluppo dei servizi alla persona», per rispondere all'esigenza di normare le diverse professioni sia in ambito sociale, dove il processo è ancora in una fase di forte evoluzione, sia in ambito sanitario, dove il processo risulta essere più avanzato;
          le regioni rispetto al riconoscimento della qualifica di «Operatore dei servizi sociali» e del diploma di «Tecnico dei servizi sociali» hanno avuto comportamenti difformi. Alcune non riconoscono in alcun modo tali titoli come utili all'accesso al lavoro in strutture sociali e socio-sanitarie, determinando confusione e delusione nei giovani e nelle loro famiglie che al termine di un percorso di studi, prevalentemente mirato al lavoro in relazioni di aiuto alle persone, si trovano con un titolo di studio non riconosciuto a tale scopo;
          il comportamento di alcune regioni è stato talmente rigido che in seguito ad ispezioni è stato richiesto l'allontanamento dalle mansioni ricoperte nel lavoro in strutture residenziali sociali e socio sanitarie accreditate, di giovani con tale diploma, che ivi erano utilmente impiegati con soddisfazione delle strutture che li avevano assunti, dei loro utenti e dei giovani lavoratori stessi. Un fatto di questo tipo è nuovamente accaduto recentemente in Piemonte;
          nell'intesa raggiunta in Conferenza Unificata Stato-Regioni il 29 aprile 2010 relativa alle 21 figure professionali dei percorsi di istruzione e formazione professionale nessuna di queste è riconducibile ai percorsi degli istituti professionali nell'indirizzo socio-sanitario, pertanto l'intesa raggiunta in Conferenza unificata Stato-Regioni il 16 dicembre 2010 «riguardante l'adozione delle linee-guida per realizzare organici raccordi tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale», non è applicabile all'indirizzo socio-sanitario, facendo in tal modo permanere il problema della spendibilità nel mondo del lavoro del nuovo titolo di studi di «Tecnico-socio-sanitario»;
          in molte regioni l'accesso a mansioni lavorative che prevedono relazioni di aiuto nei servizi sociali e socio-sanitari, è previsto esclusivamente o con diploma di laurea o con la qualifica di operatore socio-sanitario, qualifica che si consegue attraverso corsi di formazione professionale generalmente annuali, il cui requisito d'accesso è dato dall'adempimento dell'obbligo scolastico;
          alcune regioni, tra cui la regione Piemonte, riconoscono la figura del tecnico dei servizi sociali quanto riguarda l'educazione nel settore dell'assistenza all'infanzia, ma non riconoscono il titolo come idoneo a formare una figura professionale specifica inserita nei servizi sociali e socio-sanitari in quanto «Tecnico dei servizi sociali»;
          vi sono regioni che riconoscono agli studenti con diploma di tecnico dei servizi sociali o di operatore dei servizi sociali solo alcuni limitati crediti formativi spendibili nell'ambito dei percorsi di formazione professionale di «Operatore socio-sanitario». Per accedere in alcuni casi è richiesta la partecipazione a prove di selezione (che spesso prevedono esplicitamente una precedenza a favore di persone disoccupate con più di 26 anni, mentre in altri casi sono i contenuti e le modalità dei test che favoriscono le persone disoccupate non più giovani), in altre regioni si richiede il pagamento del corso di formazione;
          in particolare nella regione Piemonte in base alle determine dirigenziali 172 del 28 marzo 2011 e 588 del 21 ottobre 2011, coloro che hanno già un diploma di istruzione superiore come tecnico dei servizi sociali, coerente con il percorso dell'operatore socio-sanitario, per vedersi riconoscere una qualifica spendibile nei servizi e nelle strutture sociali e socio-sanitarie è richiesta la frequenza ad un intero corso (pur ridotto nelle ore ma non nella durata temporale), occupando posti nei corsi della formazione professionale che altrimenti sarebbero disponibili per altri soggetti che mai hanno affrontato quelle tematiche formative e determinando uno spreco di risorse finanziarie e formative;
          sentita l'esperienza di diplomati nei corsi di tecnico dei servizi sociali che hanno successivamente frequentato i corsi di «Operatore socio-sanitario», si riscontra un parere diffuso circa la prevalente inutilità della ripetizione di gran parte delle lezioni teoriche, mentre alcuni rilevano l'utilità di un'integrazione della formazione con attività di tirocinio in ambiti differenziati;
          a parere dell'interrogante la mancanza del riconoscimento di cui in premessa pone in essere una condizione ingannevole nei confronti dei giovani e delle loro famiglie, convinti, in base alle descrizioni dei profili professionali forniti dal Ministero, di seguire corsi dell'istruzione professionale di Stato utili all'inserimento nel mondo del lavoro, per poi ritrovarsi o a dover accedere a corsi professionali a pagamento o soggetti a test selettivi, oppure a dover proseguire gli studi in ambito universitario;
          sempre a parere dell'interrogante si potrebbe prevedere un modulo specifico per il conseguimento della qualifica di «operatore dei servizi socio-sanitari», modulo il cui accesso sia riservato a persone con i titoli rilasciati dall'istruzione professionale di Stato e, al fine di un contenimento dei costi, l'eventuale realizzazione di tale modulo specifico, oltre che agli enti di formazione professionale, potrebbe essere affidata a istituti scolastici accreditati per la formazione  –:
          se non si ritenga urgente e doveroso affrontare il problema del riconoscimento nel settore sociale e socio-sanitario dei titoli conseguiti nell'istruzione professionale di stato, quale «operatore dei servizi sociali» e quale «tecnico dei servizi sociali» previsti nell'ordinamento previgente e in prospettiva quello di «Tecnico dei servizi socio-sanitari», previsto nel decreto del Presidente della Repubblica n.  87 del 15 marzo 2010;
          se non si ritenga doveroso procedere in tempi rapidi nel realizzare un accordo con le regioni, affinché i giovani con titolo di «Operatore dei servizi sociali» e «Tecnico dei servizi sociali» che intendano svolgere la professione di «operatore socio-sanitario», vedano riconosciuto il titolo di «tecnico dei servizi sociali» come valido per ricoprire la mansione di operatore socio-sanitario, fatto salvo un necessario periodo di prova da realizzare all'interno dell'ente che procede all'assunzione, prendendo in considerazione quanto esposto in premessa per il contenimento dei costi;
          se non si ritenga urgente procedere ad un accordo con le regioni, sulla base degli studi effettuati dall'ISFOL o da altri soggetti e delle esperienze fatte da alcune regioni, quale la Toscana, prevedendo ambiti professionali specifici per il cui accesso sia spendibile il titolo di «tecnico dei servizi sociali» e di «tecnico socio-sanitario» introducendo, eventualmente, una revisione del curriculum del «tecnico sociosanitario», se necessario, o l'uso delle quote di flessibilità e autonomia, previste dal citato decreto del Presidente della Repubblica n.  87 del 2010, per realizzare nell'istruzione professionale di Stato una preparazione coerente ai fabbisogni del settore sociale e socio-sanitario.
(4-18936)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante sollecita l'assunzione di iniziative finalizzate al riconoscimento, su base nazionale, dei titoli di qualifica di «operatore dei servizi sociali» e di quello post-qualifica di «tecnico dei servizi sociali», di cui al previgente ordinamento dell'istruzione professionale, nonché del diploma di «tecnico dei servizi socio-sanitari» previsto dal nuovo ordinamento attuato con decreto del Presidente della Repubblica n.  87 del 2010.
      Si rappresenta al riguardo che l'esercizio della professione di operatore sociosanitario rientra in via prioritaria nella competenza delle regioni e del Ministero della salute.
      L'accordo in conferenza Stato-regioni del 22 febbraio 2001 per l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'operatore socio-sanitario e per la definizione dell'ordinamento didattico dei relativi corsi di formazione, infatti, è stato stipulato dal citato Ministero su proposta del coordinamento degli assessori regionali alla sanità e ai servizi sociali.
      Anche la successiva legge 1 febbraio 2006, n.  43, ha confermato che tale materia rientra nella competenza delle regioni.
      Ciò posto, si sottolinea che questo Ministero condivide, comunque, la necessità che venga avviato un confronto interistituzionale per verificare l'opportunità e la fattibilità di aggiornare l'attuale quadro ordinamentale anche alla luce delle intervenute modifiche alle normative relative al diritto-dovere all'istruzione e alla formazione.
      In tale contesto potrebbe essere valutata anche la possibilità di inserire i percorsi per operatore socio-sanitario nell'ambito dell'offerta formativa di istruzione e formazione professionale.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      CAPARINI e VOLPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 3 agosto una circolare del dipartimento del Viminale ha disposto la partenza, per il 10 settembre, dei 32 capisquadra giunti in aprile alla caserma di via scuole per sopperire all'endemica mancanza di uomini. Brescia tornerà ai livelli di organico di quattro anni fa;
          «È una situazione frustrante per noi vigili del fuoco di Brescia. Non si può reggere a lungo in queste condizioni. Siamo in pochi. Chi ha scarsa esperienza è gettato sul campo. Siamo amareggiati e preoccupati» così Matteo Angeletti portavoce dell'Unione sindacale di base dei vigili del fuoco di Brescia «Abbiamo lottato, manifestato, organizzato scioperi e atteso 4 anni e ora si è al punto di partenza. Ci vorranno 4, se non 5 mesi, per avere rimpiazzi. Intanto si faranno salti mortali per garantire le emergenze. La partenza dei 32 capisquadra preclude per ora l'apertura del distaccamento nella Bassa dopo l'accordo con l'Amministrazione di Leno». Si resta sotto organico con mole di lavoro raddoppiata per i pompieri di Brescia. «Siamo costretti a sobbarcarci turni massacranti. A ricoprire ruoli non nostri e con lo stesso stipendio dato che gli straordinari non vengono pagati per via dei tagli e della spending review. Nonostante le carenze garantiamo il massimo dell'efficienza e sicurezza ai cittadini. È giusto che si sappia in che condizioni ci hanno messo» aggiunge Angeletti che snocciola alcuni numeri. «A Brescia i vigili del fuoco dovrebbero essere 300 e siamo in 260. I capisquadra dovrebbero essere 60 e sono la metà. I capoturno 20 e ne abbiamo solo uno a disposizione. E concludo con gli ispettori. Dovrebbero essere 19 e non ce ne è neppure uno. Così diventa difficile insegnare il mestiere ai più giovani» conclude Angeletti rammaricato «potrebbero esserci altre partenze». Presto verranno messe in campo iniziative di sensibilizzazione anche dalle altre organizzazioni sindacali (Bresciaoggi 6 agosto 2012);
          il vicesindaco e assessore alla sicurezza del comune di Brescia Fabio Rolfi alla notizia del mancato trasferimento di personale a Brescia ha dichiarato: «È veramente paradossale quanto accaduto. Dopo aver aspettato per 4 anni l'attuazione di un accordo difficilmente raggiunto con il ministero dell'interno, che prevedeva l'invio a Brescia di 32 capisquadra a corso concluso, per far fronte alle croniche e gravi carenze del comando bresciano, all'improvviso il nostro territorio viene ancora una volta scarificato dalle logiche romane. Oltre al danno la beffa, – prosegue il vicesindaco –. Un danno che si perpetua nel tempo e si fa sempre più grave, perché la carenza di personale con il tempo accresce e rende il nostro territorio particolarmente esposto in considerazione della sua estensione e della presenze di evidenti criticità ambientali e industriali che rendono una presenza adeguata dei vigili del fuoco non solo necessaria, ma direi vitale. Per di più i tagli lineari e ingiusti del Governo Monti, uniti all'effetto distorto del patto di stabilità, ci hanno imposto di chiudere il presidio di via Borgosatollo finanziato, di fronte all'insensibilità dello Stato, unicamente dal comune di Brescia. Oggi non è più rinviabile il tema di adeguare, in termini di professionalità previste dalla pianta organica, il comando di via Tirandi; l'impegno, la dedizione e la buona volontà degli agenti non possono colmare in eterno lacune evidenti e oggettive la cui responsabilità è solamente ascrivibile alle assurde scelte romane» (dichiarazioni pubblicate su il giornale di Brescia del 6 agosto 2012);
          il vicesindaco Fabio Rolfi ha tempestivamente informato il Prefetto di Brescia evidenziando chiedendo il massimo impegno dello Stato affinché questa situazione venga al più presto sanata, facendosi portavoce delle istanze bresciane  –:
          quali iniziative intenda assumere con riferimento a quanto descritto in premessa. (4-17356)

      Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame l'interrogante chiede quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno in merito alla asserita carenza di personale operativo con la qualifica di capo squadra del comando provinciale dei vigili del fuoco di Brescia.
      Al riguardo, l'ultimo contingente di capo squadra, vincitori di un concorso bandito nel 2008, è stato assegnato al comando provinciale dei vigili del fuoco di Brescia il 20 giugno 2012.
      Si precisa altresì che 32 capi squadra assegnati a Brescia sono stati trasferiti in altre sedi per le esigenze conseguenti l'emergenza sismica che ha investito l'Emilia Romagna, la Lombardia ed il Veneto lo scorso mese di maggio. Sedi che, in buona parte, presentano un organico operativo complessivo più carente, in percentuale, rispetto a Brescia, compreso il comando provinciale di Ferrara fortemente impegnato a causa dell'evento sismico.
      Tale movimento rientra nell'ambito di una complessa operazione che persegue un duplice obiettivo: da un lato venire incontro alle esigenze del personale direttamente interessato, destinandolo a sedi maggiormente vicine ai luoghi di residenza, e dall'altro colmare le lacune di organico in sedi particolarmente carenti.
      La sostenibilità di tali interventi è stata attentamente valutata, tenendo conto, anche, della situazione complessiva delle presenze operative nei vari comandi provinciali.
      Tale movimento non determina, comunque, nel comando provinciale di Brescia un decremento di unità rispetto alla situazione iniziale esistente a giugno prima dell'ultima assegnazione.
      Prossimamente si potrà comunque contare anche sulle nuove risorse che saranno acquisite a seguito dei concorsi interni a capi squadra che si svolgeranno con le procedure semplificate previste dal decreto legge n.  79 del 20 giugno 2012 e che determineranno, a livello nazionale, un aumento di oltre 3.000 unità nella qualifica.
      Tali procedure avranno termine presumibilmente in tempi brevi, considerato che le quattro commissioni di esame stanno lavorando contemporaneamente.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Giovanni Ferrara.


      CASTIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la commissione per le petizioni del Parlamento europeo nella riunione del 20 dicembre 2011 ha discusso le petizioni n.  133112010, n.  162112010, n.  110512011, n.  110612011 e n.  079912011 riguardanti i costi delle assicurazioni per responsabilità civile auto (RCA) nelle regioni del Sud Italia;
          nell'ambito del dibattito svoltosi in seno alla Commissione sono stati sollevati molti interrogativi circa:
              la discriminazione tariffaria applicata ai cittadini residenti nelle regioni meridionali (Campania, in particolare), obbligati a pagare – a parità di requisiti – tariffe particolarmente alte, rispetto ai cittadini residenti nelle regioni settentrionali; tale discriminazione sembra basata solo sui criteri della residenza anagrafica;
              l'abbandono di intere aree del Sud Italia da parte delle compagnie assicurative che sembrano proporre premi eccessivamente alti tali da concretizzare una sorta di dissimulato rifiuto a contrarre;
                  l'esistenza di un cartello di compagnie assicurative teso a mantenere elevato il costo delle polizze in determinate regioni italiane;
          questa politica commerciale ha come risultato principale quello di penalizzare ingiustamente i cittadini virtuosi del Sud Italia che rispettano le regole ed i neo-assicurati  –:
          se il Governo non ritenga di fornire ogni elemento a disposizioni in merito ai criteri determinazione dei premi delle assicurazioni per responsabilità civile auto (RCA) e sulla disparità che essi producono tra le diverse aree regionali soprattutto alla luce del recente decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», il quale contiene varie disposizioni riguardanti il settore delle assicurazioni per la responsabilità civile e, in particolare, la repressione delle frodi assicurative, affinché cessino le discriminazioni tariffarie basate sulla residenza dei cittadini e non su altri criteri oggettivamente più qualificanti.
(4-16017)

      Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda profili relativi al dettato dell'articolo 32, comma 3-quinquies della legge n.  27 del 2012 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n.  1 del 2012, cosiddetto «Decreto liberalizzazioni»), norma concernente la disciplina del profilo tariffario in materia di RC auto e nella quale è stabilito, fra l'altro, che, per le classi di massimo sconto, a parità di condizioni soggettive ed oggettive, ciascuna delle compagnie di assicurazione deve praticare identiche offerte.
      Nel dettaglio la questione sottesa all'atto di sindacato concerne la possibilità di annoverare, fra le condizioni oggettive di cui alla norma citata, le differenti condizioni di rischio rilevabili nelle diverse aree del territorio nazionale.
      Al riguardo si rappresenta che l'interpretazione della norma citata, così come quella di altre norme del cosiddetto «decreto liberalizzazioni» suscettibili di avere un impatto nel settore RC auto, è stata oggetto di una lettera inviata in data 19 aprile 2012 dall'autorità di vigilanza al mercato, allo scopo di fornire indicazioni e chiarimenti applicativi ai vigilati.
      Con particolare riferimento alle questioni interpretative, l'ISVAP, nel rilevare la non agevole decifrabilità della portata della norma e della sua rilevanza, ha ritenuto opportuno acquisire preliminarmente il punto di vista di questo Ministero, che, interrogato al riguardo, si era già espresso con nota del 18 aprile 2012.
      In particolare il Ministero dello sviluppo economico, nell'evidenziare i problemi di legittimità comunitaria connessi ad un'eventuale interpretazione che fosse diretta a concludere che la disposizione in questione avesse introdotto la tariffa unica nazionale nel territorio italiano, non ha mancato di rimarcare come la norma stessa implichi da un lato un maggior onere di trasparenza e di analiticità, da parte delle imprese, nell'enucleazione delle differenze tariffarie legate a fattori territoriali e, dall'altro lato, l'implementazione, ad opera delle imprese stesse, di un regime di maggior favore tariffario verso gli automobilisti più virtuosi nelle aree territoriali a rischio più elevato.
      Con riferimento alle iniziative che ha intrapreso l'autorità di vigilanza in merito, la stessa ha più volte evidenziato e stigmatizzato, anche di recente, il non tollerabile andamento dei prezzi della copertura obbligatoria RC auto soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno, evidenziando con chiarezza la necessità e l'intenzione di intervenire concretamente per porre rimedio a tale fenomeno.
      Sulla base delle informazioni trasmesse dall'ISVAP, si evidenzia come la stessa autorità abbia di fatto intensificato le iniziative di vigilanza ed avviato, allo stesso tempo, un processo diretto ad una riforma organica del settore in modo da aggredire le criticità di natura sia esterna che interna al sistema, così da ridurre i costi e, per tale via, incidere positivamente sul prezzo finale per i consumatori.
      Per quanto riguarda le criticità interne in relazione ai comportamenti delle imprese assicuratrici nelle zone del meridione, gli interventi di vigilanza dell'ISVAP, hanno interessato sia la fase di assunzione dei contratti sia quella di liquidazione dei sinistri.
      Tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011, l'ISVAP ha avviato quattordici istruttorie nei confronti di altrettante compagnie – e degli attuari incaricati dalle stesse – per sospetta elusione, attraverso la leva tariffaria e in alcune aree del Mezzogiorno, dell'obbligo a contrarre previsto dalla legge a carico delle imprese, procedimenti che si sono conclusi con l'irrogazione di pesanti sanzioni, molte delle quali oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale.
      Sempre dal lato dell'assunzione dei contratti, l'autorità è intervenuta sia nell'esercizio dei poteri di vigilanza individuale, aprendo indagini sul fenomeno delle disdette massive dei contratti RC auto, attuate da alcune imprese per determinate categorie di assicurati e per alcune zone del Sud, sia, nell'esercizio delle funzioni di regolazione generale, inviando, in data 4 novembre 2010, una comunicazione al mercato volta a ribadire le regole di comportamento da adottare in fase di assunzione dei contratti.
      Nella medesima prospettiva di salvaguardare gli assicurati virtuosi specialmente in alcune aree del Paese, va collocata anche la serie di iniziative, iniziate dal 2010, di confronto, impulso e monitoraggio dell'azione dei principali gruppi assicurativi italiani allo scopo di provocare miglioramenti del processo di liquidazione dei sinistri, con riguardo all'adeguatezza dei relativi assetti organizzativi e alla presenza sul territorio.
      In merito alle criticità di natura esterna, l'ISVAP, dopo una fase di confronto costruttivo con il mercato e con le associazioni dei consumatori, ha elaborato un organico pacchetto di proposte, sottoposto, già nel dicembre 2010, all'attenzione del Parlamento e del Governo, in relazione ad alcuni interventi normativi nel settore dell'assicurazione RC auto che potessero contribuire al risanamento strutturale del sistema, con vantaggi, in particolare, per i cittadini onesti. Anche in esito a tali proposte, il Governo ha introdotto una serie di importanti misure in materia di RC auto del decreto-legge n.  1 del 2012.
      Con specifico riferimento alle norme ritenute particolarmente idonee a contribuire, specialmente nelle regioni meridionali del Paese, al ripristino delle condizioni necessarie per il pieno esplicarsi degli effetti positivi attesi dal sistema stesso, si evidenziano quelle volte ad ottenere: a) un più efficace funzionamento del sistema di risarcimento diretto, attraverso incentivi al recupero di efficienza da parte delle compagnie); b) la prevenzione e il contrasto dei fenomeni fraudolenti nell'assicurazione RC auto; c) l'ampliamento dell'offerta di prodotti personalizzati in base alle esigenze dei consumatori.
      Nella medesima prospettiva di rafforzare e rendere effettiva la ratio promozionale della competitività e della concorrenzialità del mercato RC auto a vantaggio degli automobilisti onesti e virtuosi – ed in riscontro anche alle considerazioni espresse dall'interrogante –, l'ISVAP ha evidenziato: a) la necessità da parte delle imprese di offrire, a richiesta del contraente, l'installazione di meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo, quali la scatola nera o dispositivi similari, con riduzione significativa del premio assicurativo (articolo 32 decreto-legge n.  1 del 2012); b) l'operatività della riduzione automatica del premio in assenza di sinistri (articolo 34-bis del decreto-legge citato).
      Le predette indicazioni interpretative sono state contestate e rese oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale da parte dell'ANIA e di alcune fra le principali imprese del settore: le censure dedotte sono state recentemente, seppur in sede cautelare, disattese da parte del giudice adito che ha avuto modo di confermare, fra l'altro, la coerenza dei chiarimenti forniti rispetto al dettato legislativo ed agli obbiettivi indicati dalla normativa di settore.
      Il Governo intende monitorare con attenzione l'andamento del settore per verificare che a fronte dell'attuazione del complesso delle misure adottate, ed in particolare di quelle antifrode, le imprese assicurative traducano effettivamente le riduzioni di costi in diminuzioni dei premi assicurativi, in particolare nelle aree territoriali dove i livelli tariffari sono attualmente più elevati.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      CIRIELLI e MARIO PEPE (Misto-R-A). — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da quanto si evince da articoli di stampa, ANAS ed autostrade meridionali starebbero vagliando l'ipotesi della chiusura dello svincolo autostradale di Angri, in provincia di Salerno;
          il suddetto svincolo, sito lungo il tracciato dell'autostrada A3 Napoli-Salerno-Reggio Calabria e utilizzato da numerosi cittadini, serve una vasta area urbana comprendente non solo la città di Angri, ma anche altri comuni limitrofi appartenenti alla provincia di Napoli, come Sant'Antonio Abate, Santa Maria la Carità, Casola e Lettere;
          la soppressione del varco di Angri sarebbe stata preventivata in concomitanza della prossima apertura di un nuovo varco autostradale nel territorio della vicina cittadina di Sant'Egidio del Monte Albino, in località «Pagliarone», destinato a canalizzare i flussi dei veicoli provenienti dalla Costiera amalfitana attraverso il Valico di Chiunzi;
          la paventata chiusura del casello angrese costringerebbe moltissimi automobilisti ad attraversare le città di Angri e di Scafati per raggiungere rispettivamente il nuovo casello o quello di Scafati-Pompei, situazione che rischia di generare notevoli disagi alla viabilità e di incrementare ulteriormente il già intenso traffico veicolare lungo le arterie urbane in una zona ad elevata densità abitativa, oltre che a peggiorare la qualità dell'aria in un'area in cui le patologie tumorali già impattano notevolmente proprio a causa delle polveri sottili;
          il territorio interessato risulta piuttosto carente di infrastrutture e, per tale motivo, i cittadini e gli operatori commerciali hanno sollevato proteste contro una decisione che, a loro parere, rischia di incidere negativamente anche sulle già precarie condizioni economiche della città  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
          quali provvedimenti il Governo intenda assumere al fine di scongiurare la chiusura del casello autostradale di Angri;
          quali criteri il Governo intenda adottare per assicurare un elevato livello delle opere infrastrutturali presenti nella provincia di Salerno, anche in relazione alle esigenze socioeconomiche delle comunità territoriali interessate. (4-17793)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      La chiusura dello svincolo di Angri era originariamente prevista in concomitanza con l'apertura del nuovo svincolo presso Sant'Egidio del Monte Albino, in località Paraglione.
      Elemento propedeutico a tale apertura, proprio perché idoneo ad evitare qualsiasi impatto negativo sui flussi di traffico, è il completamento della strada statale 268 Est.
      Poiché, ad oggi, il completamento della suddetta strada è in ritardo, il sindaco del comune di Angri ha chiesto che lo svincolo ricadente nel suo comune sia mantenuto aperto anche dopo l'apertura di quello di Sant'Egidio del Monte Albino, almeno sino al completamento della statale 268 Est; lo stesso sindaco, a tal fine, ha depositato uno studio trasportistico che, ad oggi, è all'esame di questo dicastero e della società concessionaria autostrade meridionali per la valutazione degli aspetti economici e finanziari.
      Allo stato, non sembrano comunque emergere elementi ostativi all'accoglimento di detta richiesta.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      DI PIETRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 16, comma 25, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, ha previsto che a decorrere dal primo rinnovo dell'organo di revisione successivo alla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge, i revisori dei conti degli enti locali – appartenenti alle regioni a statuto ordinario, speciale e alle province autonome – sono scelti mediante estrazione da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel registro dei revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n.  39, nonché gli iscritti all'ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
          in sostanza, i revisori gli enti locali non sono più scelti dai consigli comunali o provinciali, ma sorteggiati tra quanti ascritti in un apposito elenco e possessori di determinati requisiti, individuati con regolamento adottato dal Ministro dell'interno nel mese di febbraio 2012;
          tra i requisiti necessari ai fini dell'iscrizione dell'elenco figura il possesso di crediti formativi, conseguiti nel triennio 2009-2011;
          ad avviso dell'interrogante – considerando che l'introduzione delle nuove regole di nomina dei revisori degli enti locali si deve ad una disposizione della scorsa estate, subordinata all'emanazione del successivo regolamento – il combinato disposto configura una incongruente «tagliola»: crediti formativi validi al fine di acquisire il diritto all'iscrizione, in prima battuta, nel costituendo elenco, è cosa possibile a pochi professionisti;
          oltre il 90 per cento dei commercialisti – tra l'altro, i soli ad aver esercitato la revisione degli enti locali, poiché la normativa previgente disponeva espressamente la loro partecipazione nei collegi di revisione – potrebbe non aver accesso all'iscrizione, poiché privo di ufficiali crediti da esibire conseguiti entro il termine utile, il 31 dicembre 2011: ciò rende possibile che professionisti che sono revisori da anni, con grande esperienza acquisita, siano fuori e altri, con crediti acquisiti nel dicembre 2011, e poca esperienza, vi rientrino  –:
          se non intenda adottare iniziative normative finalizzate ad estendere il limite di riconoscibilità dei crediti formativi fino alla data di presentazione della domanda di iscrizione nell'elenco indicato o a quella di adozione del regolamento ministeriale. (4-17338)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono chiarimenti in merito all'applicazione del nuovo sistema di nomina dei revisori dei conti degli enti locali, previsto dall'articolo 16 del decreto-legge n.  138 del 2011, convertito nella legge n.  148 del 2011.
      In particolare, si chiede al Ministero dell'interno se non intenda adottare iniziative normative finalizzate a consentire che il requisito relativo al possesso dei crediti formativi possa essere maturato entro la data di presentazione della domanda di iscrizione nell'elenco o di adozione del regolamento ministeriale, e non già entro al data del 31 dicembre 2011.
      Voglio innanzitutto assicurare che la questione non è stata sottovalutata dal Ministero dell'interno.
      La relativa disciplina, peraltro, è stata rivista con il decreto-legge n.  174 dello scorso 10 ottobre che ha dettato nuove disposizioni in materia di composizione dell'organo e di compiti dei revisori negli enti locali.
      Per quanto riguarda, in particolare, l'elenco dei revisori dei conti è stato emanato il decreto ministeriale n.  23 del 15 febbraio 2012 che, in ossequio ai principi e ai criteri contenuti nel predetto articolo 16 del decreto legge n.  138 del 2011, prevede nuove modalità per la nomina dei revisori dei conti degli enti locali.
      Il provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 20 marzo 2012, prescrive, comunque, un periodo transitorio nel corso del quale continua ad essere applicata la previgente normativa in attesa della piena operatività del nuovo sistema.
      Sulla base delle nuove disposizioni i revisori sono scelti mediante estrazione a sorte da un elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti, a livello regionale, nel registro dei revisori legali, nonché gli iscritti all'ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
      L'attivazione del nuovo sistema di nomina richiede anche la relativa procedura attuativa, preordinata alla formazione dell'elenco e alle successive operazioni di estrazione a sorte dei nominativi ivi iscritti.
      A tal fine è stata predisposta una apposita procedura informatica che consente l'acquisizione on line delle richieste, la formazione e la pubblicazione dell'elenco e le operazioni di sorteggio da parte delle prefetture.
      Il Ministro dell'interno ha risposto a quesiti pervenuti in merito a talune incertezze applicative sulla nomina dei revisori dei conti.
      Il 5 aprile 2012, inoltre, il dipartimento affari interni e territoriali del Ministero dell'interno ha diramato ai prefetti una circolare sulle modalità di applicazione delle nuove disposizioni, al fine di uniformare le procedure.
      La direttiva offre un quadro dettagliato degli adempimenti, indicando tempi e modalità sia per la formazione dell'elenco dei revisori che per la scelta degli stessi, soffermandosi anche su specifici aspetti che interessano la fase successiva all'entrata in vigore del sistema.
      La circolare, tra l'altro, ha fornito indicazioni in merito al nuovo sistema di scelta per estrazione a sorte dall'elenco dei revisori, stabilendo che la sua piena operatività sarà resa nota con avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
      Quanto al citato requisito relativo al possesso dei crediti formativi occorre precisare che gli adempimenti necessari a dare piena applicazione alla nuova disciplina sulla scelta dei revisori dei conti degli enti locali è in fase di completamento, atteso che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 2012 (serie concorsi) l'avviso per la presentazione delle domande d'iscrizione nell'elenco.
      Numerosi soggetti, non solo commercialisti ma anche iscritti nel registro dei revisori legali, hanno presentato la domanda per l'iscrizione nell'elenco, attualmente in corso di formazione, dal quale verranno estratti a sorte i nominativi per la fase di prima applicazione della nuova procedura che si concluderà il 28 febbraio 2013.
      Dal 1o marzo 2013 l'elenco dei revisori dei conti verrà aggiornato sulla base dei crediti riconosciuti dal 1o gennaio al 30 novembre 2012, e, quindi, la partecipazione potrà essere estesa ad un numero maggiore di soggetti, anche considerata la quantità di eventi formativi in corso in materia di gestione economico-finanziaria degli enti locali.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      DI PIETRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          con delibera del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012 il Governo ha impugnato la legge della regione Marche n.  3 del 26 marzo 2012 (BUR n.  33 del 5 aprile 2012) «Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale» in quanto contenente una serie di disposizioni che nel disciplinare la valutazione di impatto ambientali contrastano con la normativa comunitaria e statale e, pertanto, violano l'articolo 117, comma 1, della Costituzione e gli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), della stessa, norme che riservano allo Stato la materia della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;
          nella regione Marche sono state recentemente rilasciate numerosissime autorizzazioni per la realizzazione di impianti a biogas e, nell'ambito dei processi amministrativi che hanno portato al rilascio di dette autorizzazioni, i relativi progetti non sono stati sottoposti a procedura di verifica di assoggettabilità a VIA e/o di VIA in ragione della potenza inferiore a 3 MW termici e 1 MW elettrico, ai sensi dell'articolo 3 della legge regionale 3 del 2012;
          le autorizzazioni rilasciate, fortemente contestate dai cittadini e dagli enti locali, sono state impugnate – o si accingono a esserlo – davanti al competente tribunale amministrativo, anche per la presunta incostituzionalità della legge regionale n.  3 del 2012 in base alla quale gli uffici regionali hanno disposto l'esclusione dei progetti dalle procedure di VIA;
          l'articolo 35 della legge 11 marzo 1953, n.  87 «Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale, prevede che quando è promossa una questione di legittimità costituzionale ai sensi degli articoli 31, 32 e 33, la Corte costituzionale fissa l'udienza di discussione del ricorso entro novanta giorni dal deposito dello stesso. Qualora la Corte ritenga che l'esecuzione dell'atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini, trascorso il termine di cui all'articolo 25, d'ufficio può adottare i provvedimenti di cui all'articolo 40. In tal caso l'udienza di discussione è fissata entro i successivi trenta giorni e il dispositivo della sentenza è depositato entro quindici giorni dall'udienza di discussione;
          l'articolo 40 della citata legge, invece, recita: «L'esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero fra Regioni può essere in pendenza del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte»  –:
          se, per il rischio reale di provocare danni all'incolumità dei cittadini, si intenda rappresentare alla Corte costituzionale l'opportunità di una sospensione, per gravi ragioni, degli effetti della legge 3 del 2012 della regione Marche, in pendenza del giudizio. (4-17744)

      Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
      La legge della regione Marche n.  3 del 26 marzo 2012, recante «Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale» è stata impugnata dal Governo con delibera del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012, in quanto contenente disposizioni contrastanti con la normativa comunitaria e con la normativa statale, in violazione dell'articolo 117, comma 1, della Costituzione e degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
      L'impugnativa concerne, in particolare, l'articolo 2, comma 1, lettera c), articolo 3, comma 4, articolo 8, comma 4 ed articolo 13, nonché gli allegati A1, A2 e B1, B2 che, divergendo rispetto a quanto stabilito nella direttiva comunitaria 2011/92/Unione europea in materia di Via, potrebbero esporre l'Italia al rischio di ulteriori sanzioni nell'ambito della procedura di infrazione 2086/2009. Inoltre, riguarda l'articolo 5, comma 1, lettera c), l'articolo 9, comma 2, lettera d), articolo 12, comma 1, lettera c) ed e), e comma 6; il punto n) dell'allegato A1; il punto h) dell'allegato A2; il punto 2.h) dell'allegato B1; i punti 7.p) e 7.q) dell'allegato B2, per violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, in seguito a contrasto con le norme interposte del decreto legislativo 152/2006. Infine, la medesima impugnativa concerne l'articolo 5, comma 10, per violazione del combinato disposto degli articoli 9 e 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, in quanto ritenuto in contrasto con le norme di cui all'articolo 146 del decreto legislativo 42/2006 e agli articoli 25, comma 3, e 26, comma 4, del decreto legislativo 152/2006.
      Passando ora al merito dell'atto di sindacato ispettivo, si rileva che l'istanza di sospensiva dell'efficacia delle norme impugnate non è stata presentata all'atto dell'instaurazione del giudizio poiché, oltre a non essere stata formulata richiesta in tal senso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, competente in questa materia, si è ritenuto che dall'esecuzione dell'atto impugnato non potesse scaturire «il rischio di un irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico o all'ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed irreparabile per i diritti dei cittadini» che, ai sensi dell'articolo 35 della legge n.  87 del 1953, legittimerebbe la sospensione. Da un'attenta analisi della giurisprudenza costituzionale, d'altronde, emerge che la misura cautelare in esame si differenza dalla tutela in via d'urgenza presso le altre giurisdizioni per essere subordinata al verificarsi di casi eccezionali di straordinaria gravità. La Corte Costituzionale, in conformità ai principi generali che disciplinano la tutela in via d'urgenza, richiede la contestuale sussistenza di due requisiti: il fumus boni iuris ed il periculum in mora. Il giudizio sulla sussistenza di tali presupposti, tuttavia, è particolarmente stringente, in quanto la Consulta non considera soltanto il pregiudizio che potrebbe derivare dall'applicazione del provvedimento impugnato, laddove in seguito ne fosse dichiarata l'incostituzionalità, ma anche l'opposto caso in cui, concessa la sospensione, la questione di legittimità costituzionale venisse dichiarata inammissibile o non fondata. La Corte Costituzionale, dunque, effettua un bilanciamento tra il danno derivante dalla perdurante efficacia del provvedimento impugnato, da un lato, e quello che potrebbe derivare dalla sospensiva. Soltanto quando il primo eccede senza dubbio il secondo, la misura cautelare può essere concessa (confronta ordinanza n.  107/2010).
      In proposito si ricorda che il dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport ravvisando, anche su segnalazione delle competenti amministrazioni, i presupposti per la concessione della misura cautelare, negli ultimi dieci anni, ha proposto in almeno undici casi l'inserimento della richiesta di sospensiva nella delibera del Consiglio dei Ministri di impugnativa del provvedimento. La Corte Costituzionale, tuttavia, non ha mai concesso la sospensione (in particolare, con riferimento alle leggi regionali Abruzzo nn.  42/2004 e 17/2008; Calabria n.  27/2007; Emilia Romagna n.  1/2004; Friuli Venezia-Giulia, n.  22/2003; Lombardia nn.  16/2010 e 16/2011; Marche nn.  29/2003, 27/2004 e 16/2010; Toscana n.  50/2010), talvolta senza che il diniego abbia costituito oggetto di specifica motivazione. Né, peraltro, risulta che la Corte Costituzionale abbia mai esercitato, d'ufficio, il potere di sospensione previsto dall'articolo 40, che sembra essere stato concepito come un potere da esercitarsi in casi eccezionali o in relazione a sopravvenienze di straordinaria gravità.
      Per le ragioni suesposte, il dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport, non avendo ricevuto una richiesta in tal senso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non ha ritenuto di rappresentare alla Corte Costituzionale, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, l'opportunità di disporre d'ufficio la sospensiva della legge della regione Marche.
Il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport: Piero Gnudi.


      DI PIETRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante in data 31 luglio 2012 ha presentato il question time n.  3-02428 concernente chiarimenti e iniziative in ordine a lamentate irregolarità relative allo svolgimento delle elezioni per il rinnovo del consiglio dell'Ordine e del Consiglio nazionale dei biologi;
          nella sua risposta, il Ministro ha affermato che la nomina del commissario straordinario dottor Giampaolo Leccisi – del quale l'interrogante ha chiesto la revoca – era fortemente voluta «perché la situazione dell'ordine era diventata assolutamente ingovernabile» (...) e «occorreva arrivare a nuove elezioni»;
          ancora dalla risposta si viene a sapere che «le attività elettorali sono iniziate, infatti, normalmente il 21 giugno scorso e sono attualmente in fase di ultimazione, nonostante la presenza di grande agitazione rispetto alla quale ho dovuto chiedere che il seggio venisse comunque presidiato in qualche modo, naturalmente dall'esterno, per garantire lo svolgimento di votazioni indispensabili al seggio per il rinnovo delle cariche ordinistiche. Le attività elettorali sono normalmente iniziate il 21 giugno scorso e sono in fase di ultimazione, dopo l'avvenuta consegna delle schede elettorali al presidente del seggio incaricato dello spoglio»;
          il capo del dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia dottor Eugenio Selvaggi, come da nota prot. m–dg.DAG.06/08/2012.0108651.U, ha sottolineato la necessità di «rendere disponibile al seggio l'elenco degli elettori ammessi al voto a mezzo posta nonché l'elenco che registra i nominativi di coloro che hanno votato a mezzo posta. Ciò al fine di mettere il Seggio elettorale in condizione di procedere allo spoglio dei voti verificandone la regolarità». La nota prosegue precisando che: «Come nella prima fase della votazione diretta, infatti, il seggio elettorale ha proceduto all'identificazione di coloro che hanno espresso personalmente il voto, analogamente è necessario, nella fase del voto per corrispondenza, procedere agli adempimenti utili a verificare regolarità ed autenticità dell'espressione del voto avvenuto mediante l'invio delle schede, nel rispetto delle modalità stabilite dalla legge. Resta, naturalmente, ferma la responsabilità del seggio e del suo Presidente di garantire il rispetto delle procedure elettorali, tra le quali, ovviamente, sono comprese l'annullamento delle schede irregolari, l'accantonamento delle schede dubbie e la denuncia all'autorità giudiziaria nel caso vi sia il sospetto di ipotesi di reato»;
          il dottor Selvaggi, in data 8 agosto 2012, preso atto delle dimissioni irrevocabili dei presidente del seggio e della necessità di nominarne uno nuovo, della presunta ius resistentiae allo svolgimento degli adempimenti necessari allo scrutinio dei voti espressi a mezzo posta nonché dalla crescente tensione nell'elettorato dei biologi alimentata da dubbi sulla regolarità del procedimento elettorale, ha disposto «la temporanea sospensione delle operazioni di scrutinio dei voti espressi per il rinnovo degli organi collegiali dell'Ordine Nazionale dei Biologi nelle elezioni indette dal Commissario Straordinario che dovranno essere riprese entro e non oltre il 5 settembre 2012»;
          con lettera indirizzata al commissario straordinario Leccisi, prot. 9392 dell'11 settembre 2012, il dottor Selvaggi ha dichiarato che «al fine di riprendere e concludere al più presto il procedimento elettorale sospeso e consentire il ripristino dell'ordinaria gestione delle attività istituzionali dell'Ordine dei Biologi, si rende necessario, in sede di autotutela, provvedere con carattere di urgenza alla revoca della richiamata Determinazione 1L/2012 emanata dal Commissario Straordinario il 6 giugno 2012 e alla contestuale costituzione di un nuovo seggio elettorale» e ha aggiunto che «per scongiurare il riproporsi di effetti paralizzanti, la nomina di presidente e vice presidente, di almeno tre scrutatori e di un segretario verbalizzante, dovrà avvenire non attraverso il criterio della rappresentatività delle liste ma applicando criteri in grado di assicurare la massima indipendenza e terzietà dei componenti del seggio, sia nella fase di completamento delle operazioni preliminari allo scrutinio, sia nelle fasi di apertura delle schede e di conteggio dei voti formulati personalmente o a mezzo posta, incluso l'eventuale svolgimento, prima della proclamazione degli eletti, di ”prove di resistenza” in presenza di schede di dubbia validità debitamente accantonate»;
          il 21 settembre 2012 sul sito Biologi per il rinnovamento è stato sottolineato il fatto che il commissario, straordinario Leccisi avrebbe «pensato di blindare l'accesso all'Ordine Nazionale dei Biologi e di procedere alle operazioni del Seggio elettorale a porte chiuse»;
          nella stessa data il dottor Selvaggi, con lettera indirizzata al dottor Leccisi, ha ritenuto «del tutto inesatte le notizie riportate sul sito sopra menzionato, rilevando che le operazioni elettorali non si trovano ancora nella fase dello scrutinio dei voti, bensì in quella preliminare». «Al riguardo» continua Selvaggi «risulta che il Presidente del Seggio garantirà la pubblicità dello scrutinio agli elettori, compatibilmente con le esigenze di sicurezza che il luogo richiede» e che «le questioni evidenziate nel suddetto sito relative alla mancata effettuazione dei controlli e verifiche circa il voto per corrispondenza, attengono a fase che è stata ormai ultimata e che era di pertinenza del Commissario Straordinario, il quale l'ha svolta alla presenza dei componenti del Seggio precedente; quindi in maniera del tutto trasparente»  –:
          se non ritenga opportuno bloccare le operazioni di scrutinio per fare chiarezza una volta per tutte su una vicenda che appare all'interrogante a dir poco nebulosa così da garantire la trasparenza, il rispetto dei principi di legalità e il contenimento delle spese per operazioni elettorali che si protraggono dal 2011;
          se non ritenga indispensabile, visto il perdurare della situazione di ingovernabilità dell'ordine, sostituire il commissario straordinario così come già richiesto nel sopracitato atto di sindacato ispettivo presentato dall'interrogante. (4-17924)

      Risposta. — L'interrogazione in esame – nel fare riferimento alla nota vicenda elettorale che ha riguardato il consiglio nazionale dell'Ordine dei biologi ed il consiglio dell'Ordine dei biologi – pone in modo esplicito il quesito riguardante l'opportunità di «bloccare le operazioni di scrutinio nonché sostituire il Commissario Straordinario».
      Al riguardo, si rappresenta che il Ministero della giustizia – nell'assolvimento dei suoi compiti di vigilanza – ha profuso un significativo impegno affinché fosse consentito il corretto svolgimento di un fondamentale momento di democrazia, cioè l'elezione di organi di autogoverno.
      L'attività che ne è conseguita è stata positivamente portata a conclusione, sia pure tra consistenti difficoltà dovute all'accesa conflittualità tra iscritti all'ordine e gruppi di rappresentanza.
      Il 5 ottobre 2012, infatti, sono terminate le operazioni elettorali con la proclamazione degli eletti e in data 11 ottobre 2012 si sono insediati i due nuovi consigli usciti dalla competizione elettorale.
      Con tale insediamento e con il relativo passaggio di consegne sono venute a cessare le funzioni del commissario straordinario.
Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 31 ottobre 2012 8 prigionieri sono stati giustiziati in una sola volta nella prigione di Evin a Tehran.  Prima di questi, 16 prigionieri erano stati impiccati il 22 e il 24 ottobre rispettivamente nelle prigioni di Ghazvin e Gohardasht;
          quindi, il numero delle esecuzioni solo negli ultimi 10 giorni ha raggiunto quota 24;
          Sadegh Koohi, 27 anni, prigioniero nella prigione di Gohardasht, è stato giustiziato il 24 ottobre dopo essere stato otto anni dietro le sbarre. È stato mandato al patibolo unicamente per aver protestato contro le torture fisiche e gli insulti alla sua famiglia e per aver picchiato Ali Khadem, una guardia carceraria della prigione di Gohardasht;
          il torturatore Ali Khadem ha personalmente giustiziato questo prigioniero;
          il segretario del Consiglio nazionale della resistenza iraniana ha dichiarato che il numero delle esecuzioni in tutto l'Iran è aumentato in un modo senza precedenti. Il numero delle esecuzioni nei 20 mesi passati a Ghazvin ,è pari a quello degli ultimi 20 anni, ha detto il vice procuratore della città;
          la Resistenza iraniana ha denunciato, inoltre, che sempre nella giornata del 31 ottobre 2012 le forze irachene, su ordine di Sadeq Mohammad Kazem, hanno proibito l'ingresso a Camp Liberty di uno specialista in protesi. Questo specialista si era recato a Liberty, secondo quanto precedentemente concordato, per fornire i suoi servizi ai residenti feriti;
          in questo modo, i feriti e i disabili sono stati privati, ancora una volta, della possibilità di ricevere i servizi specialistici necessari;
          giovedì 1° novembre 2012 le forze irachene hanno impedito l'ingresso del camion che portava cibo e verdura. Dato che il veicolo è rimasto bloccato all'ingresso di Liberty per molte ore, la maggior parte del cibo è andata a male  –:
          se il Governo non ritenga di intervenire, anche nell'ambito degli interventi di cooperazione allo sviluppo, in difesa dei diritti umani per chiedere misure urgenti per fermare lo spaventoso trend della violazione dei diritti umani in Iran, in particolare l'aumento delle esecuzioni collettive;
          se il Governo non ritenga di farsi portavoce della richiesta della Resistenza iraniana che chiede che venga inviata una missione investigativa nelle prigioni dei mullah per indagare sull'applicazione di pene brutali e disumane. (4-18495)

      Risposta. — L'abuso nel ricorso alla pena di morte e la sistematica violazione dei diritti umani in Iran si sono progressivamente aggravati dopo i moti post-elettorali dell'estate del 2009. Insieme agli oppositori, agli attivisti per i diritti civili e agli artisti, la repressione violenta del regime ha preso di mira anche le minoranze religiose ed etniche.
      A tale riguardo il Governo condivide le apprensioni manifestate dalla comunità internazionale e non manca, di concerto con i propri partner europei, di invitare il Governo iraniano a rispettare gli obblighi derivanti dalle vigenti invenzioni in materia di tutela dei diritti umani. L'Unione europea, attraverso l'alto rappresentante Catherine Ashton, ha di recente manifestato, a più riprese, la forte preoccupazione per l'evidente peggioramento della situazione nel Paese. Il Ministro Terzi ha attivamente sostenuto le decisioni del Consiglio UE del 12 aprile e del 10 ottobre 2011 nei confronti degli esponenti del regime accusati di gravi violazioni, ulteriormente rafforzate lo scorso 23 marzo.
      In particolare, si segnalano le dichiarazioni con cui l'Unione europea ha esortato il Governo iraniano a bloccare le esecuzioni capitali in sospeso e introdurre una moratoria e, recentemente, di fermare la repressione di blogger ed attivisti su internet, a seguito della notizia della morte, in circostanze da chiarire, del blogger Sattar Beheshti. Inoltre, in occasione del rilascio del pastore protestante Nadarkhani, fortemente sollecitato dall'Unione europea, è stato espresso a livello europeo l'auspicio che ciò possa essere un esempio per altri casi simili, in linea con gli obblighi internazionali dell'Iran per il rispetto della libertà religiosa.
      La situazione dei diritti umani nel Paese è oggetto di particolare attenzione anche, da parte delle Nazioni unite. Con la risoluzione dell'Assemblea generale n.  66/175 del dicembre 2011 è stata, tra i vari punti, manifestata la profonda preoccupazione per il crescente numero di esecuzioni capitali e per i trattamenti degradanti che avvengono all'interno delle prigioni. Particolare apprensione viene espressa per il numero di condanne a morte eseguite tramite lapidazione, nonostante le autorità iraniane abbiano introdotto una moratoria su tale tipo di esecuzione. Anche per quest'anno si auspica l'adozione di una risoluzione ad hoc da parte dell'Assemblea generale: attualmente è in discussione un testo, presentato dal Canada e co-sponsorizzato dal nostro Paese assieme agli altri partner europei.
      Per far fronte al continuo deterioramento della situazione, inoltre, il Consiglio dei diritti umani, con la risoluzione 19 del 2012, ha deciso di rinnovare di un ulteriore anno il mandato del Relatore speciale sui diritti umani in Iran, a cui non è stato tuttavia sinora permesso l'ingresso nel Paese.
      Nell'ambito della strategia del «doppio binario», le condanne nei confronti del Paese iraniano hanno lo scopo di manifestare concretamente l'indignazione della comunità internazionale, ma non escludono la disponibilità a riprendere con il regime un dialogo al riguardo, presupposto indispensabile affinché le autorità di Teheran accettino missioni investigative come quella auspicata dall'interrogante.
      Per quanto attiene ai profughi iraniani residenti in Iraq presso Camp Liberty, si ribadisce l'impegno del Governo per raggiungere una soluzione umanitaria della questione, d'intesa con le Nazioni unite e il Governo iracheno.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      DIMA, SANTELLI, GOLFO, ANTONINO FOTI, GALATI, TRAVERSA, BIAVA, PISO, SALTAMARTINI, MURGIA, DI CATERINA, CASTIELLO, NASTRI, FAENZI, MINASSO, MARTINELLI, DELL'ELCE, ROSSO, FRASSINETTI, LABOCCETTA, NOLA, GHIGLIA, CICCIOLI, GOTTARDO, CANNELLA, COSTA, FORMICHELLA, FUCCI, PICCHI, NICOLUCCI, BELLOTTI, CATANOSO, PELINO, ABRIGNANI, ASCIERTO, CALDERISI, CAZZOLA, CICU, CIRIELLI, CONTENTO, GARAGNANI, LAFFRANCO, MISEROTTI, PETRENGA, ROCCELLA, MARIAROSARIA ROSSI, SBAI, TESTONI, CESARIO, D'ANNA, LEHNER, MOTTOLA, ORSINI, STASI, PITTELLI, MARIO PEPE (MISTO-R-A), ROMELE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con l'operazione «Terminator 4» della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, che ha portato nel mese di dicembre 2011 all'esecuzione di 18 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti e gregari della cosca Lanzino/Ruà di Cosenza, è emersa la capacità della ’ndrangheta di controllare il voto in occasione delle competizioni elettorali;
          a seguito di questa operazione antimafia, sono stati iscritti nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e voto di scambio l'ex sindaco del comune di Rende (Cosenza), attuale consigliere provinciale del partito democratico, e l'ex assessore dello stesso comune, già assessore provinciale in quota al partito democratico e successivamente autosospesosi dall'incarico pubblico perché rinviato a giudizio in un'altra inchiesta della DDA di Catanzaro con l'accusa di usura aggravata dalle modalità mafiose;
          secondo quanto emerso dagli atti d'indagine, i due esponenti politici in questione, nelle vesti di sindaco ed assessore comunale del comune di Rende, avrebbero affidato alla cooperativa «Rende 2000» l'esecuzione di alcuni lavori in cambio di voti e sostegno elettorale in occasione della competizione per il rinnovo del Consiglio provinciale di Cosenza del 2009 che si è conclusa con l'elezione di entrambi;
          la cooperativa in questione, che si è occupata, per conto del comune di Rende, dello svolgimento di servizi di competenza comunale come la manutenzione delle fognature, la nettezza urbana, la cura del verde, i servizi cimiteriali, la manutenzione e la sorveglianza dei beni municipali, sarebbe stata gestita, secondo gli inquirenti, da esponenti di primo piano della criminalità organizzata locale destinatari dei provvedimenti giudiziari legati a questa operazione antimafia;
          gli accertamenti della polizia giudiziaria hanno evidenziato come in occasione delle elezioni provinciali del 2009 la cosca locale si sia attivamente impegnata nell'elezione dei due amministratori comunali attraverso un capillare controllo del voto condotto anche al di fuori delle sezioni elettorali;
          già in data 31 maggio 2012, sullo stesso argomento, è stata presentata un'interrogazione parlamentare a risposta scritta a cui il Ministro dell'interno, nonostante la serietà dei fatti denunciati, non ha ancora dato alcuna risposta  –:
          se non ritenga necessario e non più differibile, visto il notevole lasso di tempo trascorso dall'emersione dei gravi fatti contestati dalla magistratura inquirente ai due ex amministratori comunali, promuovere l'accesso presso il comune di Rende al fine di chiarire un quadro che, per come emerge dagli atti dell'inchiesta, sarebbe di un'evidente serietà. (4-18793)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di sapere se si intende nominare la Commissione d'indagine ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali presso il comune di Rende.
      Al riguardo sono stati acquisiti elementi di risposta per il tramite della prefettura di Cosenza e del dipartimento della pubblica sicurezza.
      Nell'ambito di un'operazione di polizia giudiziaria, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, il 5 dicembre 2011 è stata data esecuzione ad un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 18 persone, tra le quali alcuni esponenti di rilievo della cosca «Lanzino-Patitucci», ritenuti responsabili di «associazione di tipo mafioso, omicidio, usura, estorsione, detenzione e porto illegale di armi».
      A seguito di risultanze investigative emerse nel contesto di tale operazione, è stata notificata un'informazione di garanzia per «concorso esterno in associazione mafiosa» nei confronti dell'ex sindaco del comune di Rende, attualmente consigliere provinciale di Cosenza, e di un ex assessore dello stesso ente, nominato assessore provinciale che si è prima «autosospeso» a seguito di ulteriori vicende giudiziarie e, successivamente, il 20 novembre 2012, si è dimesso dalla carica.
      Secondo l'ipotesi investigativa, le persone indagate avrebbero finanziato, con risorse pubbliche comunali, la società cooperativa a responsabilità limitata denominata Rende 2000, riconducibile a soggetti «di primo piano della cosca LANZINO-PRESTA-DI PUPPO, ricevendo quale corrispettivo l'impegno elettorale consistito nel procacciamento di voti con metodo mafioso in occasione delle elezioni provinciali avvenute nel giugno 2009».
      Alla luce delle segnalazioni acquisite, la prefettura di Cosenza ha avviato una mirata azione di monitoraggio sugli organi comunali.
      Sono noti, infatti, gli interessi delle ’ndrine nei confronti delle attività degli enti locali e, in particolare, del settore di appalti di opere, servizi e forniture. In questo modo le organizzazioni criminali tentano di riciclare gli ingenti proventi delle attività illecite.
      Lo scorso 14 novembre è stata eseguita l'ordinanza di custodia cautelare degli arresti domiciliari emessa dal GIP del tribunale di Catanzaro nei confronti dei due citati amministratori, ai quali è stato contestato il reato di corruzione, senza l'aggravante per i reati connessi ad attività mafiose.
      La situazione locale è stata costantemente seguita dalla prefettura che, alla luce degli elementi acquisiti dall'autorità giudiziaria e dalle forze di Polizia, ha chiesto al Ministero dell'interno la delega per l'invio della commissione d'accesso presso il comune. Ottenuta la delega, il prefetto ha nominato la commissione, che si è insediata il 22 novembre 2012.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      DIVELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 19, comma 5-bis, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, prevede che, a decorrere dall'anno scolastico 2012/2013, alle istituzioni con numero di alunni inferiore a 600 o 400 non possa essere assegnato in via esclusiva un posto di direttore dei servizi generali e amministrativi e che, con decreto del direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale competente, il posto sarà assegnato in comune con altre istituzioni scolastiche;
          l'applicazione concreta della richiamata norma nelle singole realtà regionali rischia però di produrre, a parere dell'interrogante, situazioni che fanno riflettere sulla sua effettiva portata;
          si può portare ad esempio il caso della regione Puglia e dell'Istituto tecnico-commerciale «E. Montale» di Rutigliano (Bari), del quale è già stato previsto l'accorpamento, a far data dal prossimo anno scolastico, con l'Istituto tecnico-commerciale «S. Pertini» di Turi, in virtù di quanto contenuto nella delibera di giunta regionale n.  125 del 25 gennaio 2012 in cui è contenuto il «Piano regionale di dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche e di programmazione dell'offerta formativa per l'anno scolastico 2012/13», predisposto sulla base delle «linee di indirizzo per il dimensionamento della rete scolastica e la programmazione dell'offerta formativa per l'anno scolastico 2012/2013», individuate dalla regione Puglia con deliberazione n.  2410 del 2 novembre 2011;
          la vicenda dell'istituto di Rutigliano è, ad avviso dell'interrogante, paradossale poiché esso è destinato a perdere l'autonomia amministrativa, benché a livello locale vi fosse accordo sull'alternativa di procedere a un accorpamento con il liceo scientifico «Ilaria Alpi» di Rutigliano che sarebbe stato certo più razionale (in ordine alla consistenza della popolazione scolastica nell'ambito territoriale di appartenenza, alla consistenza del patrimonio edilizio e di laboratori, alla valutazione del patrimonio edilizio relativamente alla localizzazione, dimensione, organizzazione e stato di conservazione degli edifici scolastici, all'adeguatezza della rete dei trasporti, all'efficacia/efficienza della distribuzione territoriale dell'offerta formativa, alla compatibilità con le risorse strutturali e strumentali disponibili, come messo in evidenza dalla stessa dirigente scolastica dell'Istituto tecnico-commerciale «E. Montale»);
          inoltre vi sono altre situazioni del tutto contraddittorie come, ancora in Puglia, quella dell'Istituto tecnico industriale statale «Panetti» di Bari, che aveva chiesto l'accorpamento ad altro istituto e al quale invece non solo è stata lasciata l'autonomia amministrativa per il prossimo anno scolastico, ma è stato assegnato anche un nuovo indirizzo di studi peraltro non richiesto. Oppure quelle del liceo scientifico di Noci e del liceo classico «Oriani» di Corato ai quali è stato concesso il rinvio della perdita dell'autonomia scolastica, benché essi registrino rispettivamente meno di 500 alunni e meno dei 600 alunni previsti dalla norma;
          questi episodi dimostrano come ad avviso dell'interrogante, sia opportuno che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pur nel rispetto dell'autonomia delle regioni, avvii un monitoraggio sul modo in cui nelle varie parti del Paese si sta interpretando e applicando la richiamata norma di carattere nazionale contenuta nel decreto-legge n.  98 del 2011  –:
          in generale quali siano le evidenze finora emerse, presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle modalità di attuazione della norma di cui all'articolo 19, comma 5-bis, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011. (4-15097)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al piano di dimensionamento della rete scolastica approvato dalla regione Puglia per l'anno scolastico 2012/2013, si precisa preliminarmente che la programmazione dell'offerta formativa è una specifica competenza delle regioni, che la esercitano tenendo conto dei piani redatti dai comuni e dalle province, rispettivamente per il 1o ed il 2o ciclo di istruzione, come previsto dagli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n.  112 del 1998. L'intervento dell'ufficio scolastico regionale nella procedura si sostanzia nella formalizzazione di un parere non vincolante sui singoli piani provinciali e comunali.
      Ciò detto, sulle situazioni rappresentate dall'interrogante sono state richieste informazioni al competente direttore scolastico per la Puglia, il quale ha fornito gli elementi che di seguito si espongono.
      Riguardo all'Istituto tecnico commerciale «Montale» Rutigliano (477 alunni), la provincia di Bari ne proponeva l'accorpamento con il liceo scientifico «I. Alpi» di Rutigliano (633 alunni), proposta in merito alla quale l'ufficio esprimeva parere favorevole. La regione Puglia, viceversa, ne disponeva l'accorpamento con l'Istituto tecnico commerciale «Pertini» di Turi (561 alunni) con delibera n.  125 del 25 gennaio 2012. Per quest'ultimo, la provincia di Bari aveva, invece, proposto l'accorpamento con l'Istituto d'istruzione superiore «Caramia-Gigante» di Locorotondo (612 alunni), proposta in merito alla quale la direzione scolastica esprimeva parere favorevole.
      Per il liceo scientifico «Da Vinci» di Noci (493 alunni), la provincia di Bari ne proponeva l'accorpamento con l'Istituto tecnico commerciale «Galilei» di Gioia del Colle (505 alunni), proposta condivisa dall'ufficio scolastico. La regione Puglia, che con la citata delibera n.  125 del 2012 non autorizzava l'ipotizzato accorpamento, successivamente (delibera n.  221 del 7 febbraio 2012) mutava la propria determinazione, disponendo l'accorpamento tra il citato liceo «Da Vinci» di Noci e l'I.T.I.S. «Galilei» di Gioia del Colle.
      Per quanto concerne l'I.T.I.S. «Panetti» di Bari (570 alunni), la provincia di Bari ne proponeva l'accorpamento, condiviso dalla direzione scolastica regionale, con l'istituto d'istruzione superiore «Majorana» di Bari, istituto normodimensionato, limitatamente agli indirizzi chimico-biologico e agroalimentare funzionanti nella sede associata di Bari Palese. La regione Puglia, viceversa, non autorizzava l'ipotizzato accorpamento, ma autorizzava presso detto istituto il funzionamento dell'indirizzo chimica, materiali e biotecnologie – articolazione chimica e materiali, indirizzo di studi peraltro già presente nell'istituto in base alla confluenza operata nell'anno scolastico 2010/2011 in sede di prima applicazione della riforma di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  88 del 2010.
      Infine, per il liceo classico «Oriani» di Corato (596 alunni), la provincia di Bari ne proponeva l'accorpamento con l'I.P.C. «Tandoi» di Corato (519 alunni). L'ufficio scolastico regionale esprimeva parere negativo, in considerazione della notevole difformità tra gli indirizzi di studio presenti nei due istituti, parere che veniva condiviso anche dalla regione Puglia.
      Tanto premesso, giova porre in evidenza come il piano regionale di programmazione dell'offerta formativa per l'anno scolastico 2012/2013 sia stato elaborato dalla regione Puglia con il fattivo contributo di tutte le parti interessate (enti locali, ufficio scolastico regionale, comunità scolastiche interessate, organizzazioni sindacali di categoria, eccetera), nell'intento di conciliare le esigenze formative espresse dal territorio con le disposizioni introdotte dall'articolo 19, commi 4, 5 e 5-bis, della legge n.  111 del 2011. Una particolare attenzione, in proposito, è stata riservata, specie per gli istituti superiori, all'esigenza di salvaguardare la presenza in ciascun istituto autonomo delle fondamentali figure apicali del dirigente scolastico e del direttore dei servizi generali e amministrativi stante le limitazioni di carattere quantitativo di cui ai commi 5 e 5-bis della citata legge n.  111 del 2011.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il processo di integrazione europeo tra gli Stati dell'Europa e quello della globalizzazione non hanno spinto gli Stati ad uniformare la legislazione sulla cittadinanza. In tutti i Paesi sono stati apportati numerosi correttivi su singoli aspetti e ad estendere il principio della doppia cittadinanza, senza realizzare tuttavia reali processi di convergenza, anzi determinando una vera babele di leggi;
          grazie al lavoro svolto dall'Osservatorio sulla cittadinanza dell'istituto europeo di Fiesole, si ha un quadro sull'evoluzione dei sistemi legislativi in oltre 40 Paesi, dal quale si ricava che gli Stati europei in modo crescente accettano o tollerano la doppia cittadinanza e diminuisce il numero dei Paesi che chiedono di rinunciare alla nazionalità precedente;
          la legislazione sulla cittadinanza nella la maggior parte dei Paesi si basa su una combinazione di ius sanguinis e ius soli, e sono 13 gli Stati che conservano la cittadinanza unica legata al principio ius sanguinis, pur con alcune eccezioni: Spagna, Austria, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia;
          per quanto riguarda i cittadini residenti all'estero, l'applicazione dello ius sanguinis varia tra numerosi Stati. L'Italia ha preferito la trasmissione automatica iure sanguinis all'estero senza limiti generazionali in assenza di rinuncia esplicita. Ciò ha comportato a dare la cittadinanza italiana ad un milione di cittadini tra il 1998 e il 2010. Altri Stati, come Spagna, Germania Regno Unito, Portogallo hanno posto un limite generazionale;
          lo ius soli invece è lo strumento che permette a chi nasce in un determinato Paese di acquisire il diritto di cittadinanza. Sono pochi gli Stati che non contemplano norme simili: Danimarca, Estonia, Lettonia, Polonia e altri ancora. La Svezia, per esempio, consente la naturalizzazione, per semplice dichiarazione, ai minori che abbiano vissuto nel Paese per 5 anni. Questa è una forma che combina ius soli e ius domicilii, che molti Paesi utilizzano (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Portogallo, Regno Unito) per facilitare il processo di integrazione delle nuove generazioni di figli degli immigrati. Lo ius soli nell'Unione europea esisteva solo in Irlanda, che lo ha abolito 2004. In tutta l'Unione europea si applica lo ius soli automaticamente o per dichiarazione dipendente dalle condizioni dei genitori (periodo di residenza). Questo criterio è previsto da Belgio, Germania, Irlanda, Portogallo, Regno Unito con profonde differenze: tre anni in Irlanda, 8 in Germania, 10 in Belgio);
          in alcuni casi gli Stati sono intervenuti in maniera restrittiva, come l'Italia nel 1992, e in altri 13 paesi lo ius soli è stato introdotto per la prima volta nella legislazione (Austria, Germania, Lussemburgo, Svezia), in altri ancora (Danimarca e Malta) è stato rimosso;
          inoltre è da annoverare il principio dello ius domicilii, cioè la naturalizzazione per residenza stabile, per gli stranieri minori e adulti. Anche qui le norme variano sensibilmente da Paese a Paese. Si va dai 3 anni in Belgio ai 10 dell'Austria, Italia e Spagna. Il requisito più diffuso è di 5 anni. Qui le procedure di naturalizzazione sono materia esclusiva nella maggioranza degli Stati. Solo Germania, Olanda, Portogallo e Spagna, diviene un diritto acquisito una volta maturati i requisiti necessari. I tempi di attesa variano dai 3 mesi della Germania ai 18-24 mesi di Francia e Italia. Una tendenza diffusa è l'introduzione di testi linguistici e di conoscenze civiche del Paese ospitante: tra i 16 Paesi che li ha introdotti, non figura l'Italia, che però lo ha introdotto per l'ottenimento del soggiorno di lungo periodo;
          la cittadinanza italiana ai sensi dell'articolo 9, della legge n.  91 del 5 febbraio 1992 e successive modifiche e integrazioni, è concessa agli stranieri attraverso la naturalizzazione dopo dieci anni di residenza legale in Italia, a condizione di assenza di precedenti penali, secondo il principio dello ius domicilii. Per i residenti in Italia la domanda deve essere inoltrata alla prefettura competente insieme alla documentazione necessaria, per il successivo esame del Ministero dell'interno. Emesso il decreto da parte del Ministero dell'interno, l'interessato deve prestare davanti al sindaco giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza delle leggi dello Stato. Non sono previsti costi per richiedere la cittadinanza, tranne il caso di acquisto per matrimonio (euro 200), in tutti gli altri casi il riconoscimento della cittadinanza è gratuito, ad esclusione dei costi relativi al rilascio di certificati di stato civile, di cittadinanza e naturalizzazione e/o le relative traduzioni o legalizzazione; il termine per la definizione del procedimento è di 730 giorni dalla data di presentazione della domanda:
              un Paese europeo pur non aderente all'Unione europea ma che ha accolto gli accordi bilaterali con l'Unione europea, è la Svizzera, che applica unicamente il principio dello ius domicilii per gli stranieri che aspirano alla naturalizzazione elvetica ed ha introdotto il test linguistico oltre a quello già in vigore, delle conoscenze civiche;
              è la legge federale del 29 settembre 1952 a regolare l'acquisto e la perdita della cittadinanza svizzera, denominata, legge sulla cittadinanza, LCit. La procedura di naturalizzazione prevede tre tappe: la richiesta va inoltrata alle autorità federali (Confederazione), cantonali e comunali;
              la LCit, che è cambiata in tutti questi anni solo su un punto dal 1992 (una donna svizzera che sposa uno straniero non perde più la sua cittadinanza), prevede tre forme per accedere alla cittadinanza svizzera da parte del candidato straniero: naturalizzazione ordinaria, che prescrive 12 anni di residenza in Svizzera (tra i 10 e i 20 anni d'età valgono il doppio), buona conoscenza della realtà del territorio e buona reputazione; naturalizzazione agevolata, che riguarda persone di nazionalità straniera sposate con una cittadina svizzera o un cittadino svizzero o bambini con un genitore svizzero che non hanno acquistato la cittadinanza elvetica; reintegrazione, per quelle persone che hanno perso la cittadinanza svizzera e possono recuperarla;
              la procedura di naturalizzazione, la cui durata si aggira tra i 18 e i 36 mesi, comporta, indipendente dall'esito finale, il prelievo di tasse da parte di ognuno dei tre livelli istituzionali coinvolti, ossia il comune, il cantone e la Confederazione (articolo 38 LCit), i cui importi devono essere commisurati all'effettivo dispendio causato dalla trattazione dell'incarto (principio di corresponsione);
              per quanto riguarda invece la procedura di naturalizzazione ordinaria, le tasse cantonali e federali sono sempre determinate dalle spese amministrative previste dal Regolamento cantonale e dall'ordinanza federale, per quanto riguarda le tasse comunali, alle autorità locali è conferita la facoltà di decidere autonomamente la tassa da prelevare, fino a 10 mila franchi commisurate alle condizioni economiche del richiedente;
              l'ultima iniziativa politica tesa ad estendere la formula della naturalizzazione agevolata è stata respinta dalla votazione popolare il 26 settembre 2004, si tratta del decreto federale del 3 ottobre 2003 circa la naturalizzazione agevolata per i figli di immigrati di seconda generazione e la naturalizzazione automatica per i figli di terza generazione;
          le misure restrittive della legislazione elvetica per l'ottenimento della cittadinanza stanno portando ad una lieve diminuzione della richiesta di naturalizzazione: dalle 40 mila del 2010 la Svizzera è passata alle 37 mila del 2011, con un calo del 6 per cento e una stabilità attorno alle 4 mila dei cittadini italiani e tedeschi;
          una ricerca condotta dall'Istituto di studi demografici dell'università di Ginevra, giunta alla conclusione che la revisione totale della legge sulla cittadinanza provocherebbe un calo complessivo di 3.500 naturalizzazioni l'anno, ha spinto il presidente della Commissione federale delle migrazioni, Walter Leimgruber, a chiedere al Governo svizzero che la procedura di naturalizzazione debba svolgersi su un unico livello e sostituire i tre livelli attuali (comune, cantone e confederazione) per diventare semplice, unica e trasparente  –:
          se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza affinché nell'ambito delle trattative fiscali bilaterali che si sono aperte tra l'Italia e la Svizzera, si possano porre nei termini previsti dalle rispettive autonomie e sovranità, il diritto alla reciprocità in materia di cittadinanza per quanto riguarda l'importo relativo alla tassa;
          se, il Governo non intenda adoperarsi, affinché nell'ambito degli Accordi bilaterali Unione europea-Svizzera, l'Unione europea solleciti il Governo elvetico a un maggiore impegno per l'estensione della procedura della naturalizzazione agevolata per i cittadini dell'Unione europea circa la tassa per la procedura di naturalizzazione legata al principio di ius domicilii allo scopo di considerare unicamente le spese amministrative come avviene in tutti i Paesi dell'Unione europea. (4-17723)

      Risposta. — A seguito dell'incontro, avvenuto il 21 aprile 2012 a Washington a margine del Consiglio del fondo monetario internazionale, tra l'allora Viceministro dell'economia Grilli e la consigliera federale alle finanze, Eveline Widmer-Schlumpf, si è convenuto sulla necessità di riprendere il dialogo bilaterale sui temi fiscali. In occasione di un successivo colloquio del 9 maggio tra alti funzionari dei due Ministeri economici, si è decisa l'istituzione di un «gruppo di pilotaggio» incaricato di risolvere tutte le questioni pendenti, riunitosi poi per la prima volta a Roma il 24 maggio 2012.
      Nel corso degli incontri dello scorso 13 giugno e del 17 agosto il Presidente Monti e il Presidente Widmer-Schlumpf hanno principalmente discusso del negoziato fiscale. In particolare nel corso dei colloqui è stato riaffermato l'impegno a riprendere i contatti ed affrontare in uno spirito di apertura i punti in sospeso. Grande rilievo hanno anche avuto gli incontri del 22 febbraio e del 13 settembre che il Ministro Terzi ha avuto con il consigliere federale per gli affari esteri elvetico Burkhalter.
      Il 28 settembre, il 5 ed il 26 novembre 2012 si sono tenute a Berna e a Roma le riunioni del gruppo di lavoro italo-svizzero. Il negoziato tra Italia e Svizzera, condotto dal Ministero dell'economia e delle finanze, è quindi in corso e comprende tutti gli aspetti legati alla fiscalità.
      Per quanto concerne i rapporti fra Unione europea e Svizzera, sono in corso i negoziati sulla base di un nuovo documento presentateci recente dalla commissione e in discussione anche al consiglio. Nonostante il tema della cittadinanza, e di conseguenza le procedure di naturalizzazione collegate, non rientri strettamente fra le materie di competenza comunitaria, da parte italiana si avrà cura di avviare una sensibilizzazione sulla questione sollevata dall'interrogante in sede di consiglio UE, oltre che, naturalmente, nel contesto delle consultazioni bilaterali con la Svizzera.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1985, n.  751, che reca esecuzione dell'intesa tra l'autorità scolastica italiana e la Conferenza, episcopale italiana l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, così come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 23 giugno 1990, n.  202, stabilisce al punto 2.7 che:
              «Gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell'insegnamento della religione cattolica, fermo quanto previsto dalla normativa statale in ordine al profitto e alla valutazione per tale insegnamento. Nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall'insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale»;
          per quanto riguarda la normativa statale il decreto legislativo n.  296 del 1994, all'articolo 309, stabilisce che: «Per l'insegnamento della religione cattolica, in luogo di voti e di esami, viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l'interesse con il quale l'alunno segue l'insegnamento e il profitto che ne ritrae»;
          a quanto consta all'interrogante nel presente anno scolastico in alcune scuole statali e paritarie non viene rispettata la suddetta normativa  –:
          se intenda segnalare agli uffici scolastici regionali l'opportunità di richiamare le scuole, che non li adempiano al rispetto degli accordi concordatari e delle leggi dello Stato. (4-15318)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di segnalare agli uffici scolastici regionali la necessità di richiamare le istituzioni scolastiche al rispetto della normativa vigente sulle modalità di valutazione degli alunni che frequentano l'insegnamento della religione cattolica.
      Al riguardo, in linea generale si ricorda il disposto dell'articolo 309, comma 4, del decreto legislativo n.  297 del 1994: «Per l'insegnamento della religione cattolica, in luogo di voti e di esami, viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l'interesse con il quale l'alunno segue l'insegnamento e il profitto che ne ritrae».
      Questa disciplina non ha subito alcuna modificazione a seguito dell'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica del 22 giugno 2009, n.  122, recante norme di coordinamento delle disposizioni vigenti in materia di valutazione degli alunni ed ulteriori modalità applicative in materia.
      In particolare, il decreto richiamato specifica, all'articolo 2, comma 4, per gli alunni del primo ciclo, e all'articolo 4, comma 3, per gli studenti del secondo ciclo, che la valutazione dell'insegnamento della religione cattolica resta disciplinata dall'articolo 309 del decreto legislativo numero 297 del 1994 «ed è comunque espressa senza attribuzione di voto numerico».
      In linea con tali prescrizioni, la circolare della direzione generale per gli ordinamenti scolastici e per l'autonomia scolastica del 18 ottobre 2011, n.  94, recante indicazioni agli istituti di istruzione secondaria di secondo grado al fine di assicurare l'ordinato svolgimento delle operazioni relative alle valutazioni periodiche del corrente anno scolastico, non ha previsto indicazioni applicative sull'insegnamento in questione differenti da quelle precedentemente vigenti.
      Sarà pertanto cura di questo dicastero intervenire tempestivamente non appena venga a conoscenza di specifici casi non aderenti al dettato normativo sopra richiamato.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      GIBIINO, VINCENZO ANTONIO FONTANA, GIAMMANCO, GAROFALO, PRESTIGIACOMO, LA LOGGIA, GERMANÀ, MINARDO e TORRISI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          RFI, società cui è attribuito il ruolo pubblico di gestore dell'infrastruttura del gruppo Ferrovie dello Stato, ha presentato il nuovo piano di modernizzazione della linea ferroviaria Catania-Palermo che, contrariamente al passato, accluderà un'interconnessione bidirezionale con le città di Enna e Caltanissetta;
          nello specifico, il nuovo collegamento muovendo dalla stazione di Bicocca in provincia di Catania, si snoderà tramite un tracciato a doppio binario fino ad Enna sud, sito da cui successivamente si diramerà un tunnel attraverso i Nebrodi che giungerà a Pollina-Castelbuono in provincia di Palermo;
          l'itinerario è realizzabile in due macrofasi funzionali distinte: la prima consiste nel raddoppio dei tracciati Catania-Bivio Enna Sud e Catania-Enna sud, compresa la velocizzazione della linea Roccapalumba-Marianopoli; la seconda, invece, si riferisce al completamento dell'intero itinerario con la realizzazione del tunnel tra Enna Bivio Sud e Pollina-Castelbuono;
          il financial plannig presentato da RFI anticipa costi elevatissimi che non trovano riscontro in una copertura finanziaria adeguata. Allo stato attuale risulta fattibile unicamente la realizzazione dei tracciati Bicocca-Catenanuova e Roccapalumba-Marianopoli per i quali il piano Sud ha stanziato segnatamente 480 e 62 milioni di euro; al contrario, la tratta Catenanuova-Enna, a fronte di una previsione di spesa pari a 1.446 milioni di euro può contare sulla disponibilità di 6 milioni di euro destinati alla progettazione preliminare; discorso analogo vale per il collegamento Enna-Castelbuono il cui investimento si aggira attorno a 3.749 milioni di euro di cui disponibili solo 2 milioni;
          la discrasia, ad avviso degli interroganti palese, tra le decisioni adottate da RFI e la concreta possibilità di dar loro un seguito non è affatto una novità se si considera che da oltre 30 anni la Sicilia attende l'ultimazione del raddoppio della Palermo-Messina e della Siracusa-Messina;
          il progetto siglato da RFI presenta un ulteriore aggravio per l'intero sistema di trasporto ferroviario: il fattore tempo; raddoppiare la Bicocca-Enna e costruire una galleria di 74 chilometri attraverso i Nebrodi significa per la Sicilia attendere almeno 20 anni (tempi previsti da RFI), un arco temporale che verosimilmente potrebbe dilatarsi in ragione dei numerosi espropri da eseguire e delle connesse lungaggini burocratiche di carattere procedurale;
          la soluzione alle criticità del sistema ferroviario siciliano non risiede nell'attuazione di un'opera tanto dispendiosa e dai tempi di realizzazione così lunghi, bensì, nella velocizzazione dei tracciati esistenti, ottimizzando, ad esempio, curve e rettifili. Un simile intervento costerebbe 200 milioni di euro, consentirebbe di percorrere la distanza del tratto Catania-Palermo in 2 ore e 20 minuti e potrebbe essere ultimato nel corso di un anno  –:
          se il Ministro intenda rivedere il progetto per rendere più veloci i tracciati esistenti anche in virtù delle considerazioni espresse in VIII Commissione il 19 giugno 2012;
          se ritenga ragionevole fornire ai siciliani, in tempi brevi, una ferrovia efficiente assumendo iniziative per una rimodulazione dell'attuale piano di RFI sulle indicazioni da ultimo delineate. (4-18479)

      Risposta. — Il collegamento ferroviario tra Palermo e Catania fa parte del corridoio n.  5 «Helsinki-La Valletta» della rete trans-europea di trasporto.
      Tale corridoio oltre ad estendersi a sud-est con la diramazione Napoli-Bari si sviluppa nel territorio siciliano secondo la direttrice Messina-Catania-Enna-Palermo, per consentire di servire i principali nodi urbani dell'isola e di migliorare i collegamenti ferroviari con i porti e gli aeroporti dell'isola.
      Sulla base delle notizie assunte presso Ferrovie dello Stato si fa presente che il progetto di investimento «Nuovo collegamento Palermo-Catania» è stato sviluppato da Rete ferroviaria italiana (RFI) non solo come un intervento di velocizzazione della linea ferroviaria esistente – a semplice binario – che non potrebbe in nessun modo rispondere agli standard europei, ma come un intervento che tenga conto della necessità di garantire le caratteristiche tecniche essenziali ad una rete trans-europea di trasporto.
      La realizzazione del nuovo collegamento ferroviario consentirà un significativo recupero dei tempi di percorrenza ed inoltre migliorerà gli standard di sicurezza e regolarità della circolazione mediante la soppressione di oltre 40 passaggi a livello oggi esistenti tra Bicocca e Fiumetorto.
      Attualmente il collegamento ferroviario tra Palermo e Catania è garantito dalla linea Palermo-Caltanissetta-Enna-Catania, a sua volta facente parte delle linee storiche Agrigento-Catania e Palermo-Caltanissetta, per una estesa complessiva di circa 240 chilometri di cui circa 43 chilometri a doppio binario nella tratta Palermo e Fiumetorto e circa 4 chilometri nel nodo di Catania. La rimanente tratta è a semplice binario con oltre 40 passaggi a livello, con pendenze fino al 30 per cento e ridotti raggi di curvatura.
      Un eventuale intervento di velocizzazione dei tracciati esistenti sull'attuale linea storica, non accompagnato dal raddoppio del binario, pur producendo una riduzione, sia pur marginale dei tempi di percorrenza, tuttavia non consentirebbe alcun aumento dell'offerta attuale, né un effettivo recupero dei tempi di percorrenza.
      Il doppio binario produce, infatti, la possibilità di aumentare significativamente l'offerta, ossia il numero di treni che possono circolare sulla linea, e garantisce la possibilità di ridurre gli eventuali disagi legati alle criticità di circolazione attraverso l'uso promiscuo dei binari di corsa in caso di guasti, manutenzioni straordinarie, eccetera.
      Lo studio preliminare di Rete ferroviaria italiana ha individuato il corridoio ottimale dell'itinerario, che prevede l'intero raddoppio, con un'interconnessione bidirezionale con la linea storica in prossimità di Enna (relazioni migliorate sia per Palermo sia per Catania) e la possibilità di una nuova fermata nella zona bassa di Enna in forte espansione urbana.
      Inoltre, Rete ferroviaria italiana ha fatto presente che le caratteristiche geometriche (raggi di curvatura, pendenze, eccetera) della linea storica in oggetto non si conciliano con la realizzazione di una linea a velocità di progetto, né con l'eventuale raddoppio in sede. Soltanto nella tratta compresa tra Catenanuova e Bicocca è possibile progettare il raddoppio in affiancamento alla linea esistente, mentre da Catenanuova a Castelbuono è necessario procedere totalmente in variante rispetto all'attuale tracciato.
      Ad ogni modo, considerati sia il costo piuttosto elevato dell'intervento in esame sia i tempi di realizzazione necessari, come è già noto all'interrogante, sono state previste due macrofasi funzionali al fine di poter anticipare i benefici derivanti dalla riduzione dei tempi di percorrenza. La macrofase 1, infatti, riduce i tempi di percorrenza di circa il 30 per cento (da 3 a 2 ore e 11 minuti per Palermo-Catania collegamento no-stop) e con la macrofase 2 i tempi di percorrenza si ridurranno ulteriormente a 1 ora e 23 minuti (per Palermo-Catania collegamento no-stop).
      In merito, poi, a quanto segnalato dall'interrogante circa la possibilità di velocizzare l'attuale linea storica, la società Rete ferroviaria italiana ha fatto presente di avere già in fase di realizzazione alcune varianti di tracciato e di interventi diffusi sulla linea Fiumetorto-Agrigento, nel tratto Fiumetorto-Bivio Lercara, nonché, nell'ambito del progetto «Nuovo collegamento Palermo-Catania», di aver previsto la velocizzazione della tratta Marianopoli-Roccapalumba mediante la rettifica di curve di tracciato.
      Infine, con riferimento a quanto evidenziato dall'interrogante circa la possibilità di velocizzare i tracciati esistenti con un intervento che costerebbe 200 milioni di euro, che consentirebbe di percorrere la Catania-Palermo in 2 ore e 20 minuti e che potrebbe essere ultimato nel corso di un anno, Rete ferroviaria italiana ha fatto presente che, a seguito di indagini, non ha individuato alcun progetto nel senso indicato mentre esistono altri studi, condotti non solo da Rete ferroviaria italiana, che confermano la possibilità di realizzare velocizzazioni sulla linea a semplice binario ma con costi e tempi realizzativi notevolmente superiori a quelli riportati dall'interrogante.
      Infine, come si è avuto modo di ricordare nel corso di un question time in Aula alla Camera, cui ha partecipato il sottoscritto, sull'asse Palermo Catania, proprio allo scopo di velocizzare l'attuale linea, sono state previste ingenti risorse nel piano per il Sud.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      GIRLANDA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la legge 27 luglio 2011, n.  128, ha introdotto una nuova disciplina sul prezzo dei libri che introduce la possibilità di applicare uno sconto massimo del 15 per cento al prezzo di listino, escludendo il mese di dicembre tra i periodi durante i quali è possibile applicare tali sconti;
          da un punto di vista culturale e formativo libri e giocattoli possono essere sicuramente accostati e, anche se hanno peculiarità diverse, rappresentano gli strumenti che si danno a un bambino per farlo crescere e diventare adulto, tanto che, come sostiene l'organizzazione internazionale del settore del giocattolo (ICTI) in un decalogo sull'importanza vitale dei giocattoli, riportato dal sito www.assogiocattoli.it, associazione che riunisce i produttori ed importatori dei giocattoli, si sottolinea come il giocattolo rivesta un ruolo centrale nella socializzazione dei bambini;
          il giocattolo, inoltre, sostiene il diritto all'educazione perché incoraggia all'apprendimento ed è uno strumento fondamentale che consente lo sviluppo mentale, emotivo e creativo dei fanciulli;
          proprio come i titolari di librerie, anche i venditori di giocattoli subiscono delle politiche di vendita devastanti da parte della grande distribuzione, con frequenti operazioni di sottocosto, che mettono i venditori al dettaglio in difficoltà, innalzando i rischi di chiusura di circa cinquemila piccole aziende non per incapacità o per mancanza di professionalità, ma solo per una concorrenza estrema sul prezzo di vendita praticata da organizzazioni finanziarie con disponibilità superiori, con il rischio che la grande distribuzione organizzata, una volta rimasta da sola e senza concorrenza, potrebbe applicare politiche di rialzo dei prezzi a discapito del consumatore;
          quanto sopra riportato potrebbe palesare l'esigenza di una formulazione in tempi rapidi di una proposta di legge o un decreto sul prezzo dei giocattoli, al fine di tutelare un settore occupazionale che tra imprese e dipendenti conta oltre 7 mila occupati, con relative famiglie a carico, sparse sull'intero territorio nazionale e già colpite dalla riduzione della domanda a causa della crisi  –:
          se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative normative che tutelino il prezzo di vendita dei giocattoli. (4-16668)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
      L'interrogante, premesse alcune considerazioni in merito all'introduzione della nuova disciplina di vendita sul prezzo dei libri, volta a determinare la possibilità di applicare uno sconto massimo del 15 per cento al prezzo di listino, nonché considerando la finalità sociale dei medesimi, chiede, ove possibile, iniziative normative analoghe anche per la vendita dei giocattoli, ritenendo peraltro, che anche gli stessi abbiano ugualmente un ruolo nella funzione formativa dell'individuo.
      Al riguardo, si evidenzia che la normativa in materia di vendita di libri, richiamata dall'interrogante, è la legge 27 luglio 2011, n.  128 che, all'articolo 1, comma 2, stabilisce l'oggetto e le finalità generali della nuova disciplina del prezzo dei libri, volta a contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura, alla tutela del pluralismo dell'informazione.
      Gli obiettivi di ricerca di un equilibrio tra i differenti interessi in gioco, ovvero quelli dell'editore (e la libertà di quest'ultimo di promuovere campagne promozionali, anche attraverso la scontistica, differenziata per alcuni periodi dell'anno), del dettagliante (a cui è data la possibilità di non aderire ad alcune campagne promozionali) e del consumatore (diffusione della cultura e garanzia del pluralismo dell'informazione), passano anche attraverso la fissazione di sconti massimi possibili nelle indicate campagne promozionali (del 15 per cento in via generale, del 20 per cento in alcune circostanze, e fino ad un quarto del valore in alcuni periodi), nel rispetto ed a garanzia delle regole generali della concorrenza, nazionali ed europee.
      Diversamente dal settore libri, con riferimento specifico alla disciplina concernente la vendita di giocattoli, il legislatore comunitario (e nazionale), nell'ambito delle regole ordinarie di libera concorrenza e libera fissazione dei prezzi, si è ormai da tempo orientato a promuovere l'armonizzazione a livello europeo della maggior tutela sulla sicurezza e conformità dei giocattoli, in considerazione proprio delle esigenze evidenziate dall'interrogante, quali prodotti intesi come strumento di crescita e socializzazione del fanciullo, volti a garantire lo sviluppo mentale, emotivo e creativo del ragazzo.
      In particolare, quindi, è stato ritenuto meritevole di maggior tutela non tanto l'esigenza di garantire limiti massimi (o minimi) in merito alla fissazione dei prezzi (o di eventuali sconti), quanto la garanzia della sicurezza dei giocattoli destinati alla fascia di piccoli consumatori particolarmente fragili, attraverso la direttiva 2009/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 luglio 2009, sulla sicurezza dei giocattoli, attuata in Italia con decreto legislativo 11 aprile 2011, n.  54.
      La specifica disciplina europea è volta, pertanto, a determinare i criteri di sicurezza e le esigenze essenziali per i prodotti destinati ad essere utilizzati ai fini di gioco da parte dei bambini di età inferiore ai quattordici. Essa determina le condizioni a cui giocattoli devono rispondere al momento della loro fabbricazione e prima dell'immissione sul mercato.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      GOLFO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 15 dicembre 2011 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione nella quale invita gli Stati membri a stanziare idonee risorse alla ristrutturazione e all'ammodernamento delle carceri. Il Parlamento europeo ha inoltre invitato la Commissione e le istituzioni dell'Unione europea ad avanzare una proposta legislativa sui diritti delle persone private della libertà, e a sviluppare ed applicare regole minime per le condizioni carcerarie e di detenzione nonché standard uniformi per il risarcimento delle persone ingiustamente detenute o condannate;
          in Italia l'adeguamento, il potenziamento e la messa a norma delle infrastrutture penitenziarie costituiscono misure indispensabili per ridurre lo stato di tensione detentiva derivante dal sovraffollamento degli istituti penitenziari;
          in Calabria, in particolare, i tredici istituti penitenziari presentano un indice medio di sovraffollamento del 71,2 per cento;
          l'interrogante ha potuto constatare personalmente, visitando la sezione femminile del penitenziario reggino di San Pietro, la sussistenza di condizioni lesive della dignità personale di una struttura che ospita 370 detenuti su una capienza strutturale di 170;
          in tale contesto emergenziale si pone la questione del carcere di massima sicurezza di Arghillà: una struttura all'avanguardia costata 90 milioni di euro, con una capienza di trecento posti, laboratori per le attività lavorative interne, campi da calcio, aree verdi;
          l'istituto di Arghillà, di fatto completato, non è mai entrato in funzione perché mancano gli alloggi di servizio, la caserma per la polizia penitenziaria, l'edificio servizi, ma soprattutto manca l'allacciamento stradale per collegare il plesso demaniale alla carreggiata del centro abitato ed i relativi impianti fognari, idrici e di illuminazione;
          il 26 agosto 2011 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha reso noto che «era già stato redatto il crono programma che prevede l'ultimazione della struttura in circa 180 giorni a partire dall'inizio dei lavori»;
          nel mese di settembre 2011, nella sua prima visita ufficiale il Ministro della giustizia, pro tempore senatore Nitto Palma, in accoglimento delle ripetute sollecitazioni ammise che per il carcere di Arghillà non necessitavano interventi di tipo straordinario, annunciando che entro il 2012 sarebbe stato aperto;
          rispetto ai fondi necessari al completamento, nel 2004 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti assegnava al servizio integrato delle infrastrutture e dei trasporti (S.I.I.T.) per la Sicilia e la Calabria un finanziamento di 16 milioni di euro da destinare proprio alla casa di reclusione di Reggio Calabria;
          la legge 17 febbraio 2012, n.  9, recante «Interventi urgenti per il sovraffollamento delle carceri» autorizza la spesa di 57 milioni 277 mila euro per far fronte alle necessità di edilizia carceraria;
          il completamento del carcere di Arghillà ha una serie di implicazioni positive non solo dal punto di vista del sovraffollamento carcerario della regione, ma anche in relazione all'affermazione di una forte presenza dello Stato nel territorio simbolo per la lotta alla ’ndrangheta  –:
          quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano assumere, per le parti di competenza, per il completamento di questa importante e necessaria struttura carceraria;
          quale sia la tempistica prevista per il completamento e la messa in funzione della struttura. (4-15497)

      Risposta. — Nella seduta del 27 marzo 2012 l'interrogante proponeva l'interrogazione parlamentare in esame rivolta al Ministro della giustizia ed al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, concernente i lavori di completamento della casa di reclusione di Arghillà.
      L'interrogante, dopo avere ricordato che il Parlamento europeo aveva invitato gli stati membri a stanziare idonee risorse per la ristrutturazione e l'ammodernamento delle carceri e dopo avere citato lo stato di tensione detentiva di quasi tutti gli istituti penitenziari italiani, riferiva di avere rilevato uno stato di particolare emergenza negli istituti penitenziari calabresi.
      Segnalava inoltre l'interrogante che il completamento del carcere di Arghillà avrebbe di certo allentato la tensione detentiva della regione ed avrebbe dato un segnale positivo per il contrasto alle forme organizzate di criminalità. Peraltro il detto istituto si presentava di fatto completato, mancando solo alcune opere accessorie, tanto che, in più occasioni, ne era stata annunciata la imminente apertura.
      Sulla scorta di tali emergenze, l'interrogante chiedeva quali fossero le iniziative per il completamento della struttura carceraria e per la sua messa in funzione.
      Il nuovo complesso della casa di reclusione di Arghillà è oggetto di previsione di completamento con interventi inseriti nel Piano carceri di competenza del commissario delegato per l'emergenza carceri.
      I lavori di completamento comprenderanno la rifunzionalizzazione delle opere già costruite e la realizzazione di quelle mancanti.
      In proposito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha segnalato che con la delibera cipe n.  58 del 31 luglio 2009 è stato previsto un finanziamento di 200 milioni di euro destinati al completamento del programma straordinario di edilizia penitenziaria, e che è stato disposto, per il completamento e la rifunzionalizzazione di Reggio Calabria-Arghillà, uno stanziamento di 21,5 milioni di euro.
      Nel corso del 2011, i fondi previsti per il completamento dell'istituto in questione sono stati impegnati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a favore del predetto commissario delegato per l'emergenza carceri, il quale ha designato, quale stazione appaltante per i lavori di completamento e rifunzionalizzazione dell'opera, il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Sicilia e la Calabria che immediatamente si è adoperato per l'avvio delle attività istruttorie attualmente in corso di svolgimento.
      Peraltro, la capienza originaria dell'istituto penitenziario in questione, prevedeva 150 posti detentivi; con la esecuzione dei lavori di completamento si avrà invece una maggiore capienza di 208 posti detentivi.
      Il completamento e la messa in funzione della struttura dipendono, evidentemente, dai tempi tecnici necessari allo sviluppo delle varie fasi procedurali ed operative. Non mancherà da parte del Ministero una costante vigilanza per evitare stasi temporali non giustificate.
Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.


      LABOCCETTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il prezzo medio dell'assicurazione auto diventa sempre più difficile da sostenere per le famiglie italiane anche a causa della crisi economica che sta erodendo in maniera eccessiva il loro potere di acquisto;
          sarebbero necessari interventi a sostegno del potere di acquisto che puntino a ridurre la pressione fiscale ed a rilanciare i consumi al fine di non allontanare i tanto auspicati segnali di ripresa;
          l'eccessiva pressione fiscale, per quanto concerne l'uso dell'auto, minaccia il nostro diritto alla mobilità costringendo ogni singolo cittadino a ridurne l'utilizzo;
          appare ben chiaro che l'evidente crescita dei premi assicurativi incide notevolmente sul bilancio di ogni singola famiglia che si trova costretta a sostenere costi eccessivi e non sempre equiparabili al valore del servizio offerto;
          nemmeno i numerosi provvedimenti legislativi sono serviti ad abbattere la crescita smisurata dei premi assicurativi;
          la stessa azione del Governo, che mirava ad arginare il fenomeno suddetto, non ha prodotto benefici poiché né l'introduzione dell'indennizzo diretto, né le numerose liberalizzazioni attuate in materia, hanno prodotto risultati concreti tanto che in due anni il costo delle polizze per la RCA è cresciuto in media del 25 per cento;
          per il mercato assicurativo nel nostro Paese, la responsabilità civile auto rappresenta una questione ancora aperta e dinanzi alla quale non si possono più chiudere gli occhi tenuto conto che in Italia il costo per assicurare un'auto è aumentato in media ben cinque volte di più rispetto agli altri Paesi europei;
          l'anno corrente ha mostrato dati piuttosto chiari sui rinnovi delle polizze Rc auto a causa dell'aumento delle tariffe, tanto che sono stati in molti a non rinnovare la copertura obbligatoria;
          bisognerebbe tutelare la posizione dei consumatori e garantire a tutti una copertura assicurativa dai costi congrui e che soddisfi le aspettative;
          quotidianamente i media danno risalto a comportamenti delle compagnie di assicurazione operanti in Italia che destano profonda preoccupazione perché contravvengono in maniera sconcertante a logiche anche economiche che in diverso modo il legislatore ha inteso regolamentare per la tutela del contraente debole;
          in particolare si è segnalato il comportamento della Nationale Suisse spa con sede in San Donato Milanese (Milano) ed autorizzata all'esercizio delle assicurazioni con decreto ministeriale del 6 ottobre 1972 la quale ha proposto al suo assicurato signora Nicola Jane Hugo di poter rinnovare la propria polizza assicurativa indicando un premio di rinnovo che comporta un aumento del 193,67 per cento, praticamente triplo rispetto a quello pagato per la scorsa annualità;
          la stessa compagnia di assicurazione ha giustificato tale abnorme aumento di premio con l'adozione di una nuova tariffa per la RC auto, a della compagnia in vigore dal 1° ottobre 2012;
          la stessa compagnia riterrebbe giustificato tale aumento, pari ad oltre settanta volte il tasso di inflazione programmata, perché rinveniente da basi attuariali che terrebbero conto della sinistralità estremamente negativa evidenziatasi nella specifica zona territoriale;
          la posizione assicurativa della signora Hugo, non è per nulla mutata avendo anzi la stessa maturato ulteriormente un invidiabile status assicurativo non avendo provocato incidenti da un numero considerevole di anni tanto da trovarsi ormai da oltre un quinquennio nella classe di massimo sconto;
          il comportamento della Nationale Suisse Spa nel caso di specie appare ingiustificato;
          l'interrogante giudica abnorme il premio richiesto e sostanzialmente illegittima la condotta della compagnia nonché necessario un intervento dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni;
          comportamenti simili dovrebbero essere adeguatamente sanzionati  –:
          se ritenga adottare d'urgenza iniziative normative volte a contrastare fenomeni simili a quello segnalato e che prevedono meccanismi celeri per sanzionare condotte del tipo di quelle evidenziate fino alla revoca dell'autorizzazione. (4-18182)

      Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda profili relativi al dettato dell'articolo 32, comma 3-quinquies della legge (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n.  27 del 2012, cosiddetto «Decreto liberalizzazioni»), norma concernente la disciplina del profilo tariffario in materia di RC auto.
      Al riguardo si rappresenta che l'interpretazione della norma citata, così come quella di altre norme del cosiddetto «decreto liberalizzazioni» suscettibili di avere un impatto nel settore RC auto, è stata oggetto di una lettera inviata in data 19 aprile 2012 dall'autorità di vigilanza al mercato, allo scopo di fornire indicazioni e chiarimenti applicativi ai vigilati.
      Con particolare riferimento alle questioni interpretative, nel rilevare la non agevole decifrabilità della portata della norma e della sua rilevanza, l'ISVAP ha inoltre ritenuto opportuno acquisire preliminarmente il punto di vista di questo Ministero che, interrogato al riguardo, si era già espresso con nota del 18 aprile 2012.
      In particolare il Ministero dello sviluppo economico, nell'evidenziare i problemi di legittimità comunitaria connessi ad un'eventuale interpretazione che fosse diretta a concludere che la disposizione in questione avesse introdotto la tariffa unica nazionale nel territorio italiano, non ha mancato di rimarcare come la norma stessa implichi da un lato, un maggior onere di trasparenza e di analiticità, da parte delle imprese, nell'enucleazione delle differenze tariffarie legate a fattori territoriali e, dall'altro lato, l'implementazione, ad opera delle imprese stesse, di un regime di maggior favore tariffario verso gli automobilisti più virtuosi nelle aree territoriali a rischio più elevato.
      Con riferimento alle iniziative che ha intrapreso l'autorità di vigilanza in merito, la stessa ha più volte evidenziato e stigmatizzato, anche di recente, il non tollerabile andamento dei prezzi della copertura obbligatoria RC auto soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno, evidenziando con chiarezza la necessità e l'intenzione di intervenire concretamente per porre rimedio a tale fenomeno.
      Sulla base delle informazioni trasmesse dall'ISVAP, si evidenzia come la stessa autorità abbia di fatto intensificato le iniziative di vigilanza ed avviato, allo stesso tempo, un processo diretto ad una riforma organica del settore in modo da aggredire le criticità di natura sia esterna che interna al sistema, così da ridurre i costi e, per tale via, incidere positivamente sul prezzo finale per i consumatori.
      Per quanto riguarda le criticità interne in relazione ai comportamenti delle imprese assicuratrici nelle zone del meridione, gli interventi di vigilanza dell'ISVAP, hanno interessato sia la fase di assunzione dei contratti sia quella di liquidazione dei sinistri.
      Tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011, l'ISVAP ha avviato quattordici istruttorie nei confronti di altrettante compagnie – e degli attuari incaricati dalle stesse – per sospetta elusione, attraverso la leva tariffaria e in alcune aree del Mezzogiorno, dell'obbligo a contrarre previsto dalla legge a carico delle imprese, procedimenti che si sono conclusi con l'irrogazione di pesanti sanzioni, molte delle quali oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale.
      Sempre dal lato dell'assunzione dei contratti, l'autorità è intervenuta sia nell'esercizio dei poteri di vigilanza individuale, aprendo indagini sul fenomeno delle disdette massive dei contratti RC auto, attuate da alcune imprese per determinate categorie di assicurati e per alcune zone del Sud, sia, nell'esercizio delle funzioni di regolazione generale, inviando, in data 4 novembre 2010, una comunicazione al mercato volta a ribadire le regole di comportamento da adottare in fase di assunzione dei contratti.
      Nella medesima prospettiva di salvaguardare gli assicurati virtuosi specialmente in alcune aree del Paese, va collocata anche la serie di iniziative, iniziate dal 2010, di confronto, impulso e monitoraggio dell'azione dei principali gruppi assicurativi italiani allo scopo di provocare miglioramenti del processo di liquidazione dei sinistri, con riguardo all'adeguatezza dei relativi assetti organizzativi e alla presenza sul territorio.
      In merito alle criticità di natura esterna, l'ISVAP, dopo una fase di confronto costruttivo con il mercato e con le associazioni dei consumatori, ha elaborato un organico pacchetto di proposte, sottoposto, già nel dicembre 2010, all'attenzione del Parlamento e del Governo, in relazione ad alcuni interventi normativi nel settore dell'assicurazione RC auto che potessero contribuire al risanamento strutturale del sistema, con vantaggi, in particolare, per i cittadini onesti. Anche in esito a tali proposte, il Governo ha introdotto una serie di importanti misure in materia di RC auto nel citato decreto-legge n.  1 del 2012.
      Con specifico riferimento alle norme ritenute particolarmente idonee a contribuire, specialmente nelle regioni meridionali del Paese, al ripristino delle condizioni necessarie per il pieno esplicarsi degli effetti positivi attesi dal sistema stesso, si evidenziano quelle volte ad ottenere: a) un più efficace funzionamento del sistema di risarcimento diretto, attraverso incentivi al recupero di efficienza da parte delle compagnie); b) la prevenzione e il contrasto dei fenomeni fraudolenti nell'assicurazione RC auto; c) l'ampliamento dell'offerta di prodotti personalizzati in base alle esigenze dei consumatori.
      Nella medesima prospettiva di rafforzare e rendere effettiva la ratio promozionale della competitività e della concorrenzialità del mercato RC auto a vantaggio degli automobilisti onesti e virtuosi – ed in riscontro anche alle considerazioni espresse dall'interrogante –, l'ISVAP ha evidenziato: a) la necessità da parte delle imprese di offrire, a richiesta del contraente, l'installazione di meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo, quali la scatola nera o dispositivi similari, con riduzione significativa del premio assicurativo (articolo 32 decreto-legge n.  1 del 2012); b) l'operatività della riduzione automatica del premio in assenza di sinistri (articolo 34-bis del decreto-legge citato).
      Da ultimo preme evidenziare che le predette indicazioni interpretative di questo Ministero sono state contestate e rese oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale da parte dell'ANIA e di alcune fra le principali imprese del settore: le censure dedotte sono state recentemente, seppur in sede cautelare, disattese da parte del giudice adito che ha avuto modo di confermare, fra l'altro, la coerenza dei chiarimenti forniti rispetto al dettato legislativo ed agli obbiettivi indicati dalla normativa di settore.
      Il Governo intende monitorare con attenzione l'andamento del settore per verificare che, a fronte dell'attuazione del complesso delle misure adottate ed in particolare di quelle antifrode, le imprese assicurative traducano effettivamente le riduzioni di costi in diminuzioni dei premi assicurativi, in particolare nelle aree territoriali dove i livelli tariffari sono attualmente più elevati.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      MAGGIONI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  5 del 2012 ha introdotto disposizioni di semplificazione per i cittadini e le imprese, in particolare prevedendo con l'articolo 5 anche modifiche alla tempistica e alle modalità per l'effettuazione dei cambi di residenza;
          la norma citata ha previsto la decorrenza delle iscrizioni relative ad alcune dichiarazioni anagrafiche, tra cui i trasferimenti di residenza da altro comune o dall'estero o all'estero, in due giorni lavorativi dalla data delle stesse dichiarazioni;
          con la modifica introdotta si è cioè stabilito che l'ufficiale d'anagrafe, nei due giorni lavorativi successivi alla presentazione delle dichiarazioni, deve effettuare le iscrizioni, previa comunicazione al comune di provenienza;
          la nuova tempistica introdotta appare insostenibile, soprattutto in molte realtà comunali, se si pensa ai necessari adempimenti cui debbono provvedere gli uffici comunali nei tempi attualmente previsti nei casi di richiesta di iscrizione anagrafica da parte di soggetti senza fissa dimora o di cittadini stranieri, comunitari o extracomunitari, per i quali è necessario raccogliere informazioni di pubblica sicurezza da parte della polizia locale e relative anche ai requisiti di alloggio;
          gli uffici d'anagrafe di molti comuni stanno già incontrando notevoli difficoltà pratiche nell'assolvere a tali adempimenti;
          poiché gli effetti giuridici delle iscrizioni anagrafiche decorrono dalla data della dichiarazione resa dal soggetto, la previsione di un'istruttoria così accelerata rende ancor più difficile il controllo nei casi di dichiarazioni mendaci o false;
          si pongono notevoli problemi pratici anche con riferimento alla previsione del ripristino della posizione anagrafica precedente in caso di accertamenti negativi o di verificata assenza dei requisiti per l'accoglimento della richiesta;
          la norma introdotta ha stabilito espressamente che, se l'amministrazione non effettua la comunicazione nei tempi previsti, con l'indicazione degli eventuali motivi ostativi, quanto dichiarato dal richiedente si considera conforme alla situazione di fatto in essere alla data della dichiarazione;
          questa novità prevista per il cambio di residenza pone dunque termini irrealistici al procedimento, ad avviso degli interroganti avvantaggiando probabilmente chi richiede iscrizioni fittizie, piuttosto che coloro che intendano fissare la propria dimora effettiva  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di rivedere la tempistica introdotta dalle disposizioni citate per la decorrenza delle iscrizioni relative alle dichiarazioni anagrafiche e di stabilire l'obbligo per l'ufficiale d'anagrafe di provvedere all'iscrizione nei trenta giorni successivi alla presentazione delle dichiarazioni di cambio di residenza, anziché nel termine a giudizio degli interroganti irrealistico dei soli due giorni lavorativi successivi alla presentazione della domanda, che di fatto rende impossibile per gli uffici comunali e la polizia locale effettuare i necessari controlli di pubblica sicurezza. (4-17283)

      Risposta. — La recente modifica della disciplina anagrafica sulla corretta tenuta delle anagrafi comunali introdotta dall'articolo 5 del decreto-legge n.  5 del 2012, convertito nella successiva legge n.  35, introduce significative modifiche alle modalità di registrazione e di successivo controllo delle dichiarazioni rese dal cittadino al fine dell'iscrizione anagrafica, della cancellazione o della registrazione del cambio di abitazione.
      Le nuove disposizioni hanno reso necessario procedere ad una revisione del regolamento anagrafico, effettuata con decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 2012, n.  154, nonché alla diramazione di puntuali indirizzi applicativi agli uffici demografici.
      Inoltre, allo scopo di semplificare le nuove procedure d'iscrizione anagrafica, si è provveduto ad adeguare ed aggiornare il software del sistema informatico INA-SAIA, preposto alla circolarità delle informazioni anagrafiche, prevedendone, tra l'atro, l'integrazione con nuove funzionalità in grado di agevolare l'attività degli operatori anagrafici.
      Per far fronte alle difficoltà di ordine procedurale riscontrate in alcune realtà comunali, soprattutto nella fase di prima applicazione, sono state diramate – come sopra ricordato – tempestive istruzioni applicative. È stato inoltre chiesto a prefetti di monitorare le eventuali problematiche derivanti dalla nuova disciplina, al fine di integrare, ove necessario, istruzioni più dettagliate.
      In ordine al paventato rischio di facilitare le iscrizioni fittizie, si evidenzia che la normativa ha previsto il termine di 45 giorni per procedere agli accertamenti dei requisiti richiesti per l'iscrizione anagrafica, confermando quindi l'obbligatorietà dei relativi controlli.
      Inoltre, la stessa norma ha disciplinato gli effetti derivanti dagli eventuali esiti negativi di tali accertamenti, prevedendo, in caso di dichiarazioni anagrafiche non corrispondenti al vero, la decadenza dai benefici acquisiti per effetto delle stesse, nonché il rilievo penale delle dichiarazioni mendaci.
      Alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene che il quadro normativo di riferimento non necessiti, al momento, di correttivi. La normativa vigente appare costituire parte integrante di un complessivo processo riformatore, anche confermato dai più recenti orientamenti legislativi espressi dal Governo in materia di semplificazione e digitalizzazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      MANCUSO, BARANI, CICCIOLI, GIRLANDA, DE LUCA e CROLLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          alcune facoltà, in particolare quelle scientifiche, sono a ingresso chiuso;
          gli studenti devono superare una prova selettiva per potervi accedere;
          i posti disponibili per ogni facoltà vengono decisi per decreto ministeriale;
          quest'anno sono state presentate 77 mila domande per 1.578 posti a medicina e chirurgia;
          sarebbe naturalmente auspicabile che i test d'ammissione fossero ispirati a principi meritocratici e che le domande indagassero sulla conoscenza dei candidati sulle materie specifiche del corso prescelto;
          questi test non tengono in alcun conto la valutazione il percorso scolastico antecedente e il voto della maturità;
          i test si riducono a domande meramente nozionistiche, senza riuscire a far emergere la vocazione del candidato;
          le domande del test d'ammissione di medicina erano di questo genere: «Quando è stato costruito il muro di Berlino ?», «Ordinare dal più antico al più recente i premi Nobel italiani», da Fo a Pirandello, «Quali sono le vaccinazioni non più obbligatorie ?», «Se si tirano i dadi cinque volte, quante probabilità ci sono che escano numeri pari ?», «Quale tra questi stati era indipendente negli anni Ottanta ?», «Cos’è lo spread ?», «Come si calcola l'IMU ?»;
          le domande sopracitate non appaiono agli interroganti in alcun modo adatte a indagare la cultura medico scientifica dei candidati  –:
          se il Governo intenda promuovere iniziative per una riformulazione dei contenuti dei test d'ammissione dei prossimi anni accademici alle facoltà scientifiche, prevedendoli maggiormente attinenti alle materie scientifiche;
          se il Governo intenda assumere iniziative per provvedere l'indicazione ai candidati di appositi libri di testo su cui poter preparare la prova di ammissione.
(4-17717)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede che vengano assunte iniziative finalizzate alla revisione dei contenuti dei test di ammissione alle facoltà a numero chiuso e a fornire indicazioni sui testi utili per la preparazione a tale prova.
      Al riguardo si ricorda che in applicazione della legge 2 agosto 1999, n.  264 «Norme in materia di accesso ai corsi universitari», l'ammissione ai corsi di laurea magistrale a numero programmato a livello nazionale è disposta previo superamento di apposite prove di cultura generale, predisposte sulla base dei programmi della scuola superiore.
      Quanto ai contenuti delle domande a risposta si assicura che la commissione incaricata della relativa predisposizione è stata sensibilizzata in merito alla necessità di evitare domande di puro nozionismo.
      Si fa presente inoltre che la composizione dei quesiti viene verificata e confermata di anno in anno.
      Quanto ai dati relativi all'accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia, si precisa che per l'anno accademico 2012/2013 sono stati resi disponibili 10.441 posti e hanno partecipato alle prove di ammissione 68.426 candidati.
      Per quanto attiene infine alle indicazioni di appositi testi per la preparazione dell'esame di ammissione, si precisa che nel sito internet deputato (http://accessoprogrammato.miur.it) è reperibile una simulazione delle prove di ammissione, sulla base dei test svolti nei precedenti anni accademici.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      MARTINELLI e BIANCONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          su impulso del Ministero degli affari esteri, è stato recentemente avviato il procedimento per la designazione di un dirigente o un funzionario per l'incarico di esperto presso la rappresentanza permanente d'Italia in Bruxelles in sostituzione del dottor Aldo Doria;
          il giorno 20 luglio 2012 (nota del 18 luglio 2012, protocollo 160729) il Capo di dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione, dottor Giuseppe Tripoli, adottava la seguente determinazione: «...conformemente con il parere espresso per le vie brevi dal Direttore generale per la politica industriale e la competitività, si esprime parere favorevole al conferimento del predetto incarico all'architetto Gioacchino Catanzaro, funzionario di questa amministrazione incaricato ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, che risulta il più idoneo in relazione all'incarico da ricoprire. Si prega, pertanto, di avviare le procedure necessarie per l'inoltro della designazione al Ministero degli affari esteri»;
          ciò esposto, si formulano due ordini di considerazioni che denotano, secondo gli interroganti, una grave carenza di legittimità dell'atto di designazione, stante il prossimo turno di Presidenza italiana dell'Unione europea e della difficile situazione di coordinamento delle politiche europee. La prima riguarda la mancanza di un giusto procedimento amministrativo per la assenza di procedura selettiva trasparente: come noto, la procedura in esame è volta alla individuazione di una figura di particolare professionalità per ricoprire specifici incarichi di collegamento ed adeguamento delle politiche nazionali alle politiche europee nelle materie di competenza dell'amministrazione presso la rappresentanza permanente diplomatica italiana a Bruxelles da individuarsi all'interno delle professionalità del Ministero dello sviluppo economico e non con un funzionario esterno all'amministrazione pubblica ed in quanto tale incaricato ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165;
          al riguardo è significativo riportare le raccomandazioni formulate nel mese di aprile 2012 dalla Commissione incaricata dal Ministro degli affari esteri di operare la revisione della spesa del dicastero degli Affari Esteri in relazione agli esperti ex articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967 per i quali si suggerisce di: «evitare duplicazioni o sovrapposizioni nelle sedi all'estero (in particolare bilaterali), rafforzando nel contempo un meccanismo di selezione basato sulla trasparenza delle candidature e la comparazione dei curricula anche al fine di eliminare eccessi di discrezionalità»;
          già in passato nel corso del 2011, pur in assenza di una procedura trasparente il dipartimento imprese ed internazionalizzazione ha operato scelte discutibili riguardo alle candidature per la selezione dell'incarico di esperto presso la rappresentanza italiana presso l'Unione europea di Bruxelles;
          vi è da aggiungere che, per l'analogo incarico di esperto ex articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967 presso l'ambasciata di Abu Dhabi, è stata esperita, proprio dal dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione, in un'ottica di trasparenza, una procedura comparativa di selezione interna «mirata ad individuare la professionalità più idonea a ricoprire l'incarico di esperto» (Risposta interrogazione Senato della Repubblica 3-01994 del 5 maggio 2011);
          si può dunque affermare che non risultano apprezzabili ragioni del fatto che, nel caso in esame, non sia stata avviata e gestita una procedura selettiva trasparente, in difformità ad una prassi già adottata dal dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione;
          il secondo elemento che sempre ad avviso degli interroganti evidenzia una carenza di legittimità è la mancanza della motivazione dell'atto di designazione. Infatti, pur non rientrando nell'ambito delle procedure di concorso pubblico, la procedura in esame e gli atti ad essa preposti, sono tuttavia soggetti ai princìpi generali di buon andamento ed imparzialità;
          sebbene definibile come atto discrezionale, la designazione è comunque soggetta «all'obbligo di motivazione che si impone con maggiore rigore, dovendo la motivazione di assolvere all'obbligo di rendere trasparente ed imparziale la scelta posta in essere dalla Pubblica Amministrazione, trattandosi di una nomina non preceduta da una qualche procedura selettiva introdotta da un bando di partecipazione che provvedesse a specificare criteri e requisiti astrattamente predeterminati dalla legge (TAR Lazio sentenza 2223 del 5 marzo 2012)»;
          la medesima giurisprudenza – pronunciata nel caso di un'impugnazione di un atto di nomina ascrivibile al rango di alta amministrazione, categoria cui l'atto di designazione appartiene potrebbe porsi in posizione minore e quindi con un contenuto meno discrezionale – ha affermato che: «Se pure, in linea generale, le designazioni degli organi di vertice delle amministrazioni si configurano come provvedimenti da adottare in base a criteri eminentemente fiduciari, riconducibili nell'ambito degli atti di ”alta amministrazione”, in quanto sono espressione della potestà di indirizzo e di governo delle autorità preposte alle amministrazioni stesse;
          la motivazione della scelta – sia pure effettuata latamente «intuitu personae» – deve comunque ancorarsi all'esito di un apprezzamento complessivo del candidato, in modo che possa dimostrarsi la ragionevolezza della scelta effettuata che non può logicamente esaurirsi nel mero riscontro da parte dei singoli candidati dei requisiti prescritti dalla legge ma che importa articolate, delicate e talvolta addirittura sfumate valutazioni sulla stessa personalità dei candidati, sulle loro capacità organizzative, sul loro prestigio personale, e sul prestigio che eventualmente hanno già conferito agli uffici precedentemente ricoperti e che astrattamente sono in grado di assicurare a quello da ricoprire. L'obbligo di motivazione a carico della pubblica amministrazione deriva inoltre dalla sussistenza, a fronte della potestà esercitata, di posizioni soggettive direttamente tutelate dall'ordinamento; pertanto, anche tale atto deve essere emanato sulla base di una conoscenza adeguata dello stato dei fatti, di un'esatta interpretazione della volontà della legge e di un soppesamento delle situazioni soggettive rilevanti (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 20 dicembre 1996, n.  1304)» (così Tar Lazio, Roma, III-quater, 22 gennaio 2009, n.  517);
          alla stregua dei pronunciamenti sopra riportati, l'atto di designazione del 18 luglio 2012 a giudizio degli interroganti si rileva carente per assoluta mancanza della motivazione che ha condotto ad individuare il funzionario «più idoneo» in relazione all'incarico da ricoprire, e non consente di comprendere se, con tale formulazione, vi sia implicito riferimento a formazione, capacità ed esperienze professionali di carattere più elevato rispetto ad altra;
          l'atto di designazione del 18 luglio 2012, apparentemente dotato della natura di parere vincolante e quindi immediatamente lesivo della sfera giuridica di potenziali interessati all'incarico, risulterebbe, allo stato, ancora non estrinsecato nell'ambito dell’iter indicato dall'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967, e pertanto suscettibile di riesame in applicazione del generale istituto di diritto amministrativo dell'autotutela amministrativa  –:
          se, alla luce delle ragioni esposte in premessa, non si intenda procedere al riesame, in sede di autotutela amministrativa, del provvedimento di designazione di un dirigente od un funzionario per l'indico di esperto presso la Rappresentanza permanente d'Italia in Bruxelles in sostituzione del dottor Aldo Doria adottato con la nota del capo di dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione del 18 luglio 2012 prot. n.  160729. (4-17193)

      Risposta. — Come noto, il Ministero degli esteri a seguito della comunicazione del 9 maggio 2012 del rappresentante d'Italia presso l'Unione europea, il 14 giugno 2012 ha comunicato al Ministero dello sviluppo economico la cessazione anticipata dall'incarico di esperto alla rappresentanza permanente presso l'Unione europea del dottor Aldo Doria e la richiesta della sua sostituzione.
      Per poter avviare le procedure di competenza riguardo la designazione di un sostituto, ha richiesto di individuare, in tempi quanto più possibile brevi – anche alla luce delle pressanti esigenze derivanti dalla preparazione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea – un funzionario di livello e profilo adeguati, che fosse in possesso delle necessarie e comprovate conoscenze linguistiche.
      L'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967 prevede che il Ministero degli affari esteri può designare esperti in grado di svolgere specifici incarichi che richiedano particolare competenza tecnica e ai quali non si possa sopperire con funzionari diplomatici.
      Tali esperti devono possedere una qualifica almeno direttiva o equivalente, funzionari amministrativi oppure dirigenti, e devono provenire da amministrazioni o enti pubblici.
      Gli incarichi di durata biennale, rinnovabili per un massimo di otto anni, sono conferiti con decreto del Ministero per gli affari esteri, di concerto con il Ministero per l'economia e finanze, e per il personale di altre amministrazioni o di enti pubblici, anche con il Ministero competente o vigilante.
      Ciò premesso, sulla scorta di quanto comunicato dal capo dipartimento dell'impresa del Ministero dello sviluppo economico si riscontra quanto segue.
      Nel corso delle settimane precedenti e successive alla citata richiesta del Ministero degli esteri, erano già pervenute all'ufficio del capo dipartimento, stante la ben nota caratteristica di periodicità dell'incarico in oggetto, le manifestazioni di interesse (con relativi curricula) dei dottori Pietro Paolucci, Gioacchino Catanzaro, Andrea Felici e Massimo Cipolletti.
      Le professionalità e le attitudini dei candidati, tutti attualmente incaricati di funzioni dirigenziali presso le direzioni del dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione (con incarichi ex articolo 19, comma 5 (dottori Felici e Cipolletti), 5-bis (dottor Paolucci, proveniente dai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri) e 6 (dottor Catanzaro, funzionario area terza dei ruoli del Ministero dello sviluppo economico) del decreto legislativo n.  165 del 2001, sono note allo stesso capo dipartimento direttamente per conoscenza personale e in relazione ai numerosi dossier trattati dal dipartimento stesso e da essi seguiti sia indirettamente, mediante colloqui avuti con i direttori generali delle direzioni nelle quali gli stessi prestano servizio, nonché per candidature pregresse di taluni di essi in occasione della designazione della figura di esperto all'estero.
      Il capo dipartimento, ha quindi indicato in data 18 luglio 2012 all'ufficio di gabinetto per la nomina, il dottor Gioacchino Catanzaro tenendo conto – nella proposta avanzata – dei profili di idoneità complessiva all'incarico oltre che organizzativo – gestionali che ne hanno motivato la scelta come maggiormente competente, tra i soggetti dei quali si era a conoscenza di un interesse alla designazione e, nel caso del dottor Catanzaro, all'esplicito nulla osta del direttore generale per la politica industriale e la competitività, struttura nella quale lo stesso presta servizio.
      Da quanto precede si può ritenere che l'aver proceduto ad una selezione informale dei candidati all'incarico non viola un interesse partecipativo degli interessati in quanto l'indicazione richiesta di un nominativo per l'incarico in questione è stata effettuata sulla base dei dati e delle informazioni in possesso del capo dipartimento, non occorrendo una preventiva procedura di selezione da inquadrare in una tipologia prestabilita.
      Secondo una prassi amministrativa consolidata infatti, la scelta per siffatti incarichi in cui è data una periodicità e che comunque si estrinseca in una proposta di nomina all'amministrazione competente degli affari esteri, viene operata sulla base di una attenta valutazione, di concerto con i direttori generali interessati, dei risvolti organizzativi delle scelte e delle caratteristiche dei curricula dei candidati che hanno, a giudizio del dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione del Ministero dello sviluppo economico, ritenuti più idonei per l'incarico di esperto presso la rappresentanza permanente d'Italia presso la Unione europea.
      Resta, comunque, prerogativa del Ministero degli affari esteri la nomina dell'esperto che valuterà anch'esso attentamente, le qualità professionali, le capacità organizzative e le competenze tecniche e linguistiche possedute dal candidato.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      MAZZONI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          gli ufficiali del ruolo speciale (RS) dell'Arma dei carabinieri lamentano la palese disparità di trattamento loro riservato rispetto agli omologhi del ruolo normale, in base alla normativa vigente e sin dalla differenziazione dei ruoli di cui al decreto legislativo n.  171 del 1993 (adottato sulla base della legge delega n.  217 del 1992). Una disparità di trattamento che per certi versi determina una vera e propria discriminazione tra gli appartenenti al ruolo speciale e gli appartenenti al ruolo normale;
          il citato decreto legislativo n.  117 del 1993 aveva distinto i due ruoli (normale e speciale) prevedendo a giudizio dell'interrogante varie e del tutto ingiustificate differenze, sulla premessa che mentre gli ufficiali del ruolo normale provengono dall'Accademia militare (articolo 2), i colleghi del ruolo speciale sono assunti a seguito di un concorso pubblico (articolo 9);
          il grado di colonnello veniva conseguito dai primi normalmente con 27 anni di servizio, mentre per i secondi erano necessari ben 32 anni;
          le dotazioni dirigenziali contemplate erano notevolmente diverse, dal momento che nel ruolo normale erano previsti ben 162 alti ufficiali con grado di colonnello o generale, a fronte di appena 20 colonnelli nel ruolo speciale;
          gli appartenenti al ruolo speciale potevano raggiungere quale grado apicale quello di colonnello (ultimo grado di ufficiale superiore), mentre coloro che erano nel ruolo normale potevano ambire al grado di generale di divisione, potendo così aspirare ai gradi di ufficiale generale;
          veniva previsto il riempimento del ruolo speciale a mezzo concorso pubblico riservato agli ufficiali subalterni di complemento e ai marescialli, spinti a transitare nel ruolo in parola per via del riconoscimento del periodo del complemento, come si desumeva dall'articolo 12, comma 1, n.  2 del citato decreto legislativo;
          la successiva circolare n.  545/228-1991 del 16 settembre 1995 del comando generale dell'Arma dei carabinieri, intitolata «Problematiche applicative del decreto legislativo n.  177 del 1999», ha previsto, per gli ufficiali del ruolo speciale, lo svolgimento esclusivamente di incarichi meno prestigiosi, quali lo svolgimento di attività di insegnamento o impieghi burocratici nelle amministrazioni regionali o dell'Arma, a differenza degli ufficiali del ruolo normale, per i quali sono riservati i comandi di battaglione, provinciali e di scuola;
          il successivo decreto legislativo n.  298 del 2000 (adottato sulla base della delega di cui alla legge n.  78 del 2000) ha abrogato il precedente decreto legislativo n.  117 del 1993, accentuando le differenze tra i due ruoli, determinando pertanto una vera e propria discriminazione fortemente lesiva dei diritti e della dignità degli appartenenti al ruolo speciale;
          l'articolo 7 del decreto legislativo n.  298 del 2000 ha infatti previsto che gli ufficiali del ruolo speciale dell'arma dei carabinieri siano tratti con il grado di sottotenente, mediante concorso per titoli ed esami:
              a) prevalentemente dai marescialli aiutanti, marescialli capi e marescialli ordinari in servizio permanente dell'Arma dei carabinieri, muniti di uno dei titoli di studio richiesti per l'ammissione ai corsi dell'Accademia che abbiano riportato nell'ultimo biennio la qualifica finale non inferiore a «superiore alla media» e che alla data indicata nel bando di concorso abbiano una età compresa tra i 26 e i 40 anni;
              b) dagli ufficiali subalterni di complemento dell'Arma dei carabinieri che abbiano compiuto il servizio di prima nomina e non abbiano superato alla data indicata nel bando di concorso i 32 anni;
          in base all'articolo 20 del decreto legislativo da ultimo citato nel ruolo speciale vengono inseriti altresì i sottotenenti del ruolo normale che non superino il corso di applicazione, anche in eccedenza alla consistenza organica del grado, a domanda e previo parere favorevole della commissione ordinaria di avanzamento, mantenendo il grado, l'anzianità e la ferma precedentemente contratta, dopo i pari grado in possesso della stessa anzianità assoluta;
          peraltro, estremamente diverse sono le condizioni e le modalità di transito, da una parte, dal ruolo speciale al ruolo normale (articolo 21) e, dall'altra, dal ruolo normale al ruolo speciale (articolo 29). Nel secondo caso, infatti, molteplici sono i vantaggi in termini economici e di carriera che vengono previsti, a differenza di un trattamento di fatto deteriore nella prima ipotesi;
          in ordine alla progressione di carriera, la tabella 2 allegata al decreto legislativo in parola (richiamata dagli articoli 4 e 31, comma 11) prevede per gli ufficiali del ruolo speciale, rispetto a quanto previsto per gli omologhi del ruolo normale, una permanenza superiore di un anno nel grado di tenente, tre anni in quello di capitano e due anni nel grado di tenente colonnello;
          per gli appartenenti al ruolo normale, poi, è adesso prevista la possibilità di conseguire il grado di generale di corpo di armata (cioè, del più elevato grado previsto dall'ordinamento militare), così determinando sostanzialmente un ampliamento delle dotazioni dirigenziali, per effetto della maggiore progressione di carriera introdotta. Invero, l'incremento delle dotazioni dirigenziali nel ruolo normale derivanti dalle innovazioni legislative è pari a quasi il doppio di quello del ruolo speciale. Gli appartenenti al ruolo speciale, invece, continuano a non poter aspirare al conseguimento di un grado superiore a quello di colonnello, rimanendo ad essi preclusi i gradi di ufficiali generali;
          i soli ufficiali del ruolo normale, frequentando i corsi in Accademia, conseguono il titolo connesso con la partecipazione a un master di II livello, dato che contribuisce a favorire i loro avanzamenti di carriera;
          sussistono plurime differenze sul lato economico, che si evidenziano nel diverso trattamento fondamentale, dal momento che solo gli ufficiali del ruolo normale possono conseguire la indennità perequativa riservata ai generali di brigata o l'indennità di posizione dei generali di corpo d'armata, a fronte della mera indennità di valorizzazione dirigenziale per gli appartenenti al ruolo speciale, peraltro limitata ai soli maggiori e tenenti colonnelli. Per di più, vari aspetti del trattamento accessorio sono di fatto limitati a coloro che si trovano nel ruolo normale, come le indennità relative al lavoro straordinario dei comandanti provinciali. Le richiamata differenze sono tutte dovute alle normative di settore vigenti, che determinano secondo l'interrogante una palese discriminazione a danno degli appartenenti al ruolo speciale dell'Arma dei carabinieri, in contrasto con i principi costituzionali, di diritto comunitario ed internazionale, i quali insistono nella richiesta di totale equiparazione formale e sostanziale agli omologhi del ruolo normale, con tutti i conseguenti riconoscimenti contemplati dall'ordinamento;
          il decreto legislativo n.  298 del 2000 appare all'interrogante palesemente in contrasto con gli articoli 3, 52 e 97 della Costituzione, oltre che, relativamente ai profili economici, con il principio di perequazione retributiva, di cui al combinato disposto degli articoli 3 e 36 Costituzione. Nel contempo, il contrasto è ravvisabile anche con varie disposizioni di derivazione comunitaria, quali l'articolo 8 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (già articolo 3, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunità europea), e gli articoli 20 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cosiddetto Carta di Nizza), diventate disposizioni vincolanti in virtù dell'articolo 6, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ratificato con la legge 2 agosto 2008 n.  130;
          la disciplina del ruolo speciale dell'Arma dei carabinieri, infatti, lede palesemente il principio di uguaglianza dei cittadini, determinando un grave trattamento deteriore per gli ufficiali di tale ruolo rispetto agli omologhi del ruolo normale. Come sopra indicato, vi sono delle differenze di trattamento che si risolvono in vere e proprie discriminazioni tra soggetti tutti appartenenti alla medesima Arma per il solo fatto che taluni provengono dall'Accademia ed altri (i discriminati) hanno partecipato e superato un pubblico concorso;
          si tratta di ufficiali il cui impiego non è difforme sia che appartengano al ruolo normale, sia che facciano parte di quello speciale;
          gli ufficiali del ruolo speciale hanno gli stessi compiti istituzionali di quelli del ruolo normale;
          vengono, infatti, normalmente impiegati in ruoli di comando di nuclei, sezioni, compagnie e reparti (addestrativi, territoriali, mobili e speciali) equipollenti dell'Arma. Tale impiego è pertanto identico per tutti gli ufficiali indipendentemente dal ruolo ricoperto, sino però al grado di maggiore; dopo di esso si diversificano ingiustificatamente, venendo notevolmente ridimensionati gli impieghi di prestigio per gli appartenenti al ruolo speciale, i quali come detto sopra non possono aspirare inspiegabilmente a gradi superiori a quello di colonnello;
          si tratta quest'ultima di una scelta normativa che danneggia fortemente gli ufficiali del ruolo speciale. Come è noto, il grado di colonnello è, nell'ordinamento militare, l'ultimo grado di ufficiale superiore, dopo il quale hanno inizio, nel quadro della normale progressione di carriera, i gradi generali (generale di brigata, generale di divisione e generale di corpo d'armata). Ebbene, tali gradi non possono essere raggiunti dagli ufficiali del ruolo speciale con una evidente discriminazione, assolutamente arbitraria;
          peraltro la lesione del principio di uguaglianza non è giustificabile nemmeno invocando argomenti di carattere storico. I titoli per partecipare al concorso per l'inserimento nel ruolo speciale, al pari delle prove concorsuali e al corso applicativo cui sono ammessi i vincitori, non differiscono da quelli previsti dalla normativa previgente al decreto legislativo n.  117 del 1993, che consentiva agli ufficiali subalterni di complemento ed ai sottufficiali di transitare nel ruolo degli ufficiali dell'Arma, senza distinzione rispetto agli ufficiali provenienti dai corsi dell'Accademia, relativamente alla disciplina del loro impiego ed alla progressione di carriera:
              sino alla istituzione del ruolo speciale, pertanto, non vi erano sostanziali differenze tra gli ufficiali dell'Arma. Questi ultimi, quindi, erano tutti trattati in maniera eguale, indipendentemente dal percorso professionale sin a quel momento seguito;
              gli ufficiali del ruolo speciale sempre più spesso sono gravati da maggiori responsabilità rispetto ai colleghi del ruolo normale: se è vero che hanno le medesime funzioni ed attribuzioni dei colleghi del ruolo normale, tuttavia spesso vengono impiegati per ricoprire gli incarichi più delicati. Questo per la loro formazione (sul territorio) e la loro preparazione  –:
          se e in che tempi il Ministro intenda assumere iniziative per sanare questa ingiustificata discriminazione subita dagli ufficiali del ruolo speciale dell'Arma dei carabinieri. (4-18024)

      Risposta. — Fin dal decreto legislativo n.  117 del 1993 è stata prevista la suddivisione degli ufficiali in servizio permanente dell'Arma dei carabinieri in tre ruoli (all'epoca, normale, speciale e tecnico), confermata dal decreto legislativo 298 del 2000 (che tuttavia ha sostituito il ruolo tecnico con il ruolo tecnico-logistico, riformando altresì l'intera materia del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli ufficiali stessi), ora riassettato agli articoli 663 e seguenti del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66.
      In particolare, i ruoli normale e speciale hanno connotazioni differenti per quanto concerne modalità di reclutamento, iter formativi e profili professionali, nell'ottica dell'ottimale svolgimento del servizio istituzionale.
      In particolare, il ruolo normale è contraddistinto da una proiezione verso le responsabilità di vertice, attraverso un profilo di carriera caratterizzato da accentuata mobilità e diversificazione delle esperienze, segnatamente nell'assunzione delle responsabilità di comando ai vari livelli.
      Diversamente per il ruolo speciale è previsto un profilo di carriera sostanzialmente più operativo, legato al territorio, con una connotazione di maggiore stanzialità al fine di valorizzare meglio lo spessore professionale derivante dalle pregresse esperienze.
      In tale quadro, la Corte costituzionale, adita a seguito di ricorso innanzi a un tribunale regionale, con sentenza n.  531 del 1995, in ordine all'articolo 11 del decreto legislativo n.  117 del 1993, ha sancito la piena legittimità del ruolo speciale, ritenuto correttamente inserito in un'ottica di differenziazione di professionalità e non di discriminazione tra categorie omogenee, argomentando che ciò vale «soprattutto per l'Arma dei carabinieri dove la formazione dei quadri ufficiali e lo sviluppo di carriera è un problema di particolare importanza».
      La stessa Suprema corte ha, altresì, affermato che «l'esame del testo dell'articolo 2 della legge 28 febbraio 1992, n.  217 fa emergere in modo assai chiaro che il legislatore delegante – disponendo che la disciplina delle dotazioni organiche degli Ufficiali dei carabinieri dovesse avvenire mediante l'istituzione, per gli Ufficiali in servizio permanente dei ruoli normale, speciale e tecnico – non ha affatto inteso innovare i principi che presiedono al reclutamento e all'avanzamento degli Ufficiali... Ne consegue che il legislatore delegante si è limitato a prevedere – in concomitanza con l'aumento considerevole delle dotazioni organiche degli Ufficiali dei carabinieri stabilite con decreto-legge 18 gennaio 1992, n.  9 – la necessità di una regolamentazione attraverso la razionalizzazione del vecchio ruolo unico, scindendolo in tre ruoli, avuto riguardo particolare alle specializzazioni ed alle connesse potenzialità dei singoli ruoli».
      In primo luogo, sussistono elementi di differenziazione già per quanto riguarda l'iter per giungere alla nomina di ufficiale nei rispettivi ruoli normale e speciale.
      Per la nomina ufficiale del ruolo normale è necessario:
          vincere un concorso pubblico aperto a tutti i cittadini tra i 17/22 anni d'età, nonché ai marescialli ed ai brigadieri dell'Arma aventi non più di 28 anni (una parte dei posti sono riservati ai frequentatori delle scuole militari delle Forze armate);
          superare, presso l'accademia di Modena, un tirocinio pratico al termine del quale devono ottenere un giudizio di idoneità in ordine a: capacità e resistenza fisica, comportamento, rendimento nelle istruzioni pratiche, idoneità ad affrontare le attività scolastiche;
          frequentare e superare due anni di accademia militare;
          frequentare e superare un corso di tre anni presso la scuola ufficiali carabinieri. All'atto della nomina, gli ufficiali del ruolo normale devono sottoscrivere una ferma di 9 anni e, per mantenere il diritto a rimanere nel ruolo normale, devono conseguire il diploma di laurea entro l'anno di promozione a capitano (obbligo che non sussiste per il ruolo spedale).

      Gli aspiranti alla nomina a ufficiale del ruolo speciale devono, più semplicemente:
          superare un concorso riservato ai soli:
              ufficiali di complemento/ferma prefissata dell'Arma con età non superiore a 32 anni;
              marescialli dei carabinieri che abbiano compiuto il 26o anno di età e non superato il 40o;
              frequentare e superare un corso di un anno presso la scuola ufficiali carabinieri.

      Alla nomina, gli ufficiali del ruolo speciale devono sottoscrivere una ferma di 5 anni.
      Gli ufficiali del ruolo normale, inoltre, devono frequentare il «Corso d'istituto» previsto dal decreto ministeriale n.  235 del 2005 (ora articolo 755 del decreto legislativo n.  66 del 2010 – codice dell'ordinamento militare), in cui il profitto viene accertato con «prove scritte ed interrogazioni orali nelle fasi di frequenza nonché mediante un esame finale che consiste in una prova orale su materie che sono state oggetto di studio durante il corso».
      Un'ulteriore differenziazione professionale è rinvenibile anche nell'impiego.
      Basti pensare che gli ufficiali del ruolo normale, per poter essere valutati per la promozione a colonnello, hanno l'obbligo di compiere 4 anni di comando territoriale, diversamente dal ruolo speciale per il quale tale obbligo è limitato a 2 anni, con la possibilità di svolgere – in alternativa – un incarico equipollente.
      Tale opportunità, non concessa al ruolo normale, consente agli ufficiali del ruolo speciale di poter adempiere gli obblighi di comando in altri 16 incarichi, vedendosi assicurata maggiore stanzialità, di cui invece gli ufficiali del ruolo normale non possono fruire nella stessa misura in ragione della loro maggiore mobilità.
      I colonnelli del ruolo normale, inoltre, devono svolgere due anni di comando provinciale o equipollente mentre i parigrado del ruolo speciale non hanno tale obbligo.
      Ne consegue che quando il decreto legislativo 298 del 2000 (articolo 33, riassettato dall'articolo 855 del decreto legislativo n.  66 del 2010 – codice dell'ordinamento militare) ha voluto stabilire che «gli ufficiali del ruolo normale hanno la precedenza al comando sugli ufficiali di tutti gli altri ruoli di grado eguale allorquando ricoprono incarichi validi ai fini dell'avanzamento», in realtà ha inteso far carico agli ufficiali del ruolo normale dei più gravosi obblighi di comando per essi stabiliti (quattro anni anziché due, senza possibilità di equipollenze, per l'avanzamento a colonnello; due anni per l'avanzamento a generale).
      Coerentemente, il comando generale dell'Arma, con apposita circolare interna, citata dallo stesso interrogante, ha previsto, quanto all'impiego degli ufficiali del ruolo speciale:
          l'assegnazione di incarichi analoghi a quelli previsti per il ruolo normale per tenenti e i capitani;
          l'impiego in incarichi operativi, d'ufficio o di insegnamento per gli ufficiali superiori;
          l'impiego in posizioni fiduciarie, di insegnamento, di ufficio e all'interno di ministeri per i colonnelli, in considerazione del ridotto numero di incarichi di comando disponibili e degli obblighi di comando dei colleghi del ruolo normale.

      Tale documento, nell'ancorare la diversità di impiego del ruolo speciale alla differente previsione degli obblighi di comando, convalida anche il principio secondo cui, a differenza degli ufficiali del ruolo normale, «per gli ufficiali del ruolo speciale è configurabile una politica di impiego che possa consentire agli stessi una maggiore stabilità nelle sedi e negli incarichi», così come effettivamente avviene.
      I due ruoli si differenziano in modo significativo anche per la soglia anagrafica di accesso (in media 22 anni per il ruolo normale e 32/33 per quello speciale), con la conseguente diversa permanenza nei gradi.
      Pertanto, l'attuale strutturazione risponde all'esigenza di normalizzare la dinamica delle carriere della categoria e consente un equilibrato bilanciamento tra gradi dirigenziali e quelli del personale direttivo/esecutivo.
      Ciò posto, non si è in presenza, come ipotizzato dall'interrogante, di una disparità di trattamento, ma piuttosto di legittime differenziazioni di professionalità, nell'ottica di perseguire un adeguato funzionamento istituzionale, tra l'altro, in un contesto disciplinato normativamente in modo chiaro ed esaustivo.
      A riprova di ciò, basti considerare che, all'entrata in vigore del decreto legislativo n.  298 del 2000, è stata prevista per i gradi da capitano a tenente colonnello del ruolo normale, la possibilità, una tantum, di essere immessi, a domanda, nel ruolo speciale.
      In virtù di tale possibilità, ben 180 ufficiali hanno deciso il transito, a dimostrazione che la permanenza nel ruolo speciale non viene percepita discriminante o penalizzante, ma verosimilmente considerata come concreta opportunità di realizzare un diverso profilo professionale con limitati obblighi di comando e, soprattutto, una maggiore ed apprezzata stabilità.
      Allo stesso modo, è prevista (articolo 835 del decreto legislativo n.66 del 2010 – codice dell'ordinamento militare) la possibilità di transito nel ruolo normale dei capitani del ruolo speciale, ad iniziativa dell'amministrazione Difesa, qualora:
          nel grado di capitano del ruolo normale, si registri un consistente numero di cessazioni dal servizio che non consenta di soddisfare le esigenze istituzionali;
          l'Arma ritenga opportuno attivare la procedura sia per immettere nel ruolo normale altri ufficiali da impiegare secondo il profilo di tale ruolo, sia per garantire un diverso sviluppo di carriera a coloro che nel ruolo speciale si sono distinti per rendimento in servizio.

      Infine, la previsione del grado apicale di generale di divisione per il ruolo tecnico-logistico dell'Arma (la Guardia di finanza per l'omologo ruolo tecnico-logistico amministrativo ha quale grado apicale generale di brigata), è dovuta al diverso profilo necessario per l'accesso a ciascun ruolo.
      Infatti per la partecipazione al concorso del ruolo tecnico-logistico occorre essere in possesso di laurea magistrale o titolo equipollente a fronte del titolo di studio di scuola media secondaria richiesto per il ruolo speciale.
      Inoltre, in considerazione che il ruolo tecnico-logistico, istituito al fine di consentire «la riorganizzazione del sostegno tecnico, logistico ed amministrativo» dell'Arma (articolo 1 decreto legislativo 297 del 2000), deve poter rispondere alle particolari esigenze di elevata specializzazione necessarie per far fronte agli specifici compiti assegnatigli, la carriera degli ufficiali di tale ruolo è stata adeguata alle funzioni da assolvere (articolo 1, comma 2, lettera c), n.  2 della legge n.  78 del 2000).
      Alla luce del quadro delineato, si ritiene che l'attuale struttura della categoria degli ufficiali in servizio permanente dell'Arma nei tre ruoli in questione sia congrua con le precipue esigenze istituzionali, razionale e non sperequativa.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MURER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          le adozioni internazionali in Sri Lanka sono ferme da circa un anno, da quando cioè un increscioso episodio ha visto coinvolte la locale comunità di Missionarie della Carità (Suore di Madre Teresa di Calcutta);
          secondo quanto riportato dagli organi di informazione, su denuncia anonima, il 23 novembre 2011, un gruppo di persone guidato da Anoma Dissanayake, presidente della Ncpa (National Child Protection Authority), ha circondato e fatto irruzione nell'orfanotrofio delle Missionarie della Carità Prem Nivasa di Moratuwa, accusando suor Mary Eliza, di adozioni illegali;
          il 25 novembre è scattato l'arresto per Suor Eliza, rilasciata poi su cauzione il 29 novembre; il 5 dicembre 2011 il magistrato Yvonne Fernando ha scagionato suor Mary Eliza dall'accusa di adozioni illegali; il procuratore Nevil Abeyratne ha dichiarato che la Ncpa ha agito «in modo irresponsabile» e ha offuscato l'immagine limpida delle Suore di Madre Teresa, che da anni servono la società srilankese;
          nonostante le accuse si siano dimostrate palesemente infondate, il Paese, però, continua la sua chiusura alle adozioni internazionali;
          le ultime notizie giunte alle associazioni italiane che si occupano del tema sono che una Commissione di otto membri avrebbe dovuto rivedere le procedure adottive internazionali e che, in seguito a questa operazione, dal maggio 2012, sarebbero riprese anche le partenze; purtroppo, però nulla è ancora successo;
          gli enti italiani impegnati in Sri Lanka sono in attesa di notizie ufficiali da quasi un anno; le richieste di informazioni al Department of Probation and Child Care Services of Sri Lanka (organismo preposto alle adozioni) non hanno risposta;
          la situazione genera grande incertezza e amarezza in molte famiglie italiane, in attesa rispetto a pratiche di adozione in parte accolte e non concluse, depositate, approvate ma di fatto congelate, e sottrae al tempo stesso a tanti orfani dello Sri Lanka la possibilità di collocazione in ambienti familiari  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra riportato, e se intenda assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità, per acquisire informazioni rispetto alla complessa situazione delle adozione di orfani dello Sri Lanka da parte di famiglie italiane.
(4-18651)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Governo in merito ad alcune delicate questioni concernenti le adozioni internazionali, con particolare riferimento a quelle provenienti dallo Sri Lanka.
      L'interrogante in particolare, richiamando un increscioso episodio che ha visto coinvolte le suore missionarie della carità in Sri Lanka, sottolinea le difficoltà che si trovano ad affrontare numerose coppie che intendono adottare un bambino in tale Paese.
      Al riguardo, posso assicurare che il Governo è a conoscenza della vicenda specificamente segnalata e, più in generale, della difficoltà delle procedure per le adozioni internazionali di bambini provenienti dallo Sri Lanka.
      In proposito, mi pare importante sottolineare che, per quanto concerne la materia della adozioni, la normativa dello Sri Lanka prevede una competenza ripartita fra organismi a livello locale e centrale.
      In particolare, vi sono le commissioni provinciali le quali sono competenti, in prima battuta, per l'individuazione dei minori da destinare a coppie srilankesi, mentre l'autorità nazionale (Department of probativo and child care services) ha competenza per le residuali assegnazioni alle coppie straniere.
      Le commissioni provinciali forniscono, quindi, all'autorità nazionale l'elenco dei minori che non sono stati adottati da famiglie srilankesi e che sono pertanto a disposizione delle coppie straniere.
      Secondo i dati in possesso della commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale per la Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, nel periodo dal 2001 al 2007, si è registrata una media annuale di 6 adozioni di minori srilankesi da parte di coppie italiane.
      Nel successivo quadriennio, vi è stato un incremento dei procedimenti adottivi (12 nel 2008, 14 nel 2009, 17 nel 2010 e 18 nel 2011), fino alla sospensione degli iter d'adozione internazionale, stabilita dalle autorità locali a seguito di un presunto fenomeno di compravendita di minori.
      La sospensione delle procedure adottive, richiamata anche dall'interrogante risale al novembre 2011. In quel periodo, infatti, le autorità srilankesi (National child protection authority) decisero di intervenire nei confronti dell'orfanotrofio Prem Nivasa di Moratuwa (20 chilometri a sud di Colombo), gestito dalle suore missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta, che era stato accusato di favorire la compravendita di minori a favore di coppie straniere.
      Nell'arco di poche settimane, le accuse all'istituto si rivelarono infondate e il provvedimento sospensivo fu revocato.
      A partire dall'increscioso episodio descritto, tuttavia, anche per effetto dell'incremento del livello di benessere socio-economico che rende sempre più concreta la possibilità di procedere alle adozioni nazionali, le dinamiche interne in tale settore sono in evoluzione, con conseguente limitazione della possibilità di adozione internazionale.
      Dalla documentazione trasmessa dagli uffici, risulta che da gennaio 2012 ad oggi sono state autorizzate 2 adozioni di minori srilankesi a favore di una coppia italiana. Al momento, sono disponibili solamente 4 o 5 minori per le adozioni internazionali, a fronte di un contingente massimo per il 2012, stabilito in Gazzetta Ufficiale, di 75 bambini. Inoltre, sono circa 400 le famiglie straniere in lista di attesa, nonostante il ridotto numero di minori adottabili.
      Come riferito uffici, le autorità srilankesi seguono – come prassi non scritta – un ordine di priorità per cui un bambino da adottare viene prima proposto a famiglie srilankesi, poi a genitori di cui almeno uno abbia la doppia cittadinanza (srilankese e straniera), successivamente a cittadini stranieri precedentemente srilankesi e, infine e solo in subordine, alle coppie straniere.
      L'attuale politica srilankese in materia è quella di invitare le nuove coppie straniere interessate ad un'adozione in Sri Lanka, a ponderare attentamente le difficoltà presenti ed a considerare eventualmente ipotesi alternative.
      Sono consapevole della delicata situazione in cui si vengono a trovare molte coppie italiane, che intendono adottare un bambino nello Sri Lanka, situazione in merito alla quale è stata richiamata l'attenzione del Governo da parte dell'interrogante.
      Tuttavia, posso assicurare che il Ministero degli affari esteri, tramite la nostra ambasciata a Colombo e in stretto raccordo con la competente commissione per le adozioni internazionali, segue con estrema attenzione la situazione delle adozioni internazionali nello Sri Lanka, nell'interesse dei minori e delle coppie adottanti.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel nostro Paese attualmente, oltre 3 milioni di automobili circolano senza assicurazione e il fenomeno secondo le informazioni più recenti dettate dagli organi di stampa, è destinato ad aumentare rapidamente in tutta la penisola;
          la circolazione di automobili sprovviste di responsabilità civile auto, ovvero la polizza assicurativa obbligatoria di responsabilità civile per veicoli a motore in circolazione nel territorio italiano, al fine di risarcire eventuali danni cagionati a terzi, rappresenta solo una delle diverse tipologie di frodi ai danni delle compagnie assicurative, oltre ai falsi sinistri e alle assicurazioni intestate a persone decedute, inesistenti per l'anagrafe o a pensionati (oltre 160 mila casi in Italia), come accaduto nel mese di ottobre 2011 a Roma, quando un'organizzazione criminale aveva messo in circolazione su tutto il territorio nazionale, una truffa con tali caratteristiche;
          la costituzione dell'Agenzia antifrode per il settore assicurativo, al vaglio della Commissione finanze della Camera dei deputati, a giudizio dell'interrogante, non sembra costituire una valida soluzione per fronteggiare il suesposto fenomeno, che sta assumendo contorni gravi a pericolosi in particolare sotto il profilo della sicurezza degli automobili;
          secondo il giudizio dell'ANIA – l'associazione nazionale delle imprese assicuratrici, inoltre, l'istituzione della suesposta Agenzia, non darebbe luogo a un vero organismo antifrode, ma soltanto un'organizzazione con compiti prevalentemente amministrativi, senza competenze di polizia giudiziaria;
          a giudizio dell'interrogante, occorre prevedere l'introduzione di nuove norme con l'obbligo di comunicare l'eventuale sospensione dalla circolazione per i veicoli che non sono utilizzati, anche solo temporaneamente;
          quanto detto consentirebbe di incrociare i dati delle immatricolazioni e le targhe non in circolazione con quelle assicurate e ricavare una panoramica attuale del reale flusso di auto, in base al quale pianificare azioni più incisive ed estese;
          un intervento con il quale si possa procedere attraverso l'individuazione dei veicoli non a norma, ai cui proprietari potrebbe essere recapitata una lettera per ricordare i provvedimenti presi verso chi circola senza assicurazione, ad esempio il sequestro del veicolo, a giudizio dell'interrogante, potrebbe inoltre costituire una soluzione se non definitiva, per lo meno condivisibile per ridimensionare il suesposto fenomeno causato anche dalla crisi economica in corso  –:
          quali siano gli orientamenti del Governo, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se ritenga di assumere iniziative normative per una rapida introduzione di disposizioni in linea con quanto proposto dall'interrogante, al fine di diminuire il fenomeno della circolazione di automobili sprovviste di assicurazione obbligatoria, che, come esposto in premessa, è in continuo aumento in tutto il Paese. (4-15893)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
      L'interrogante, premesse le considerazioni circa l'esistenza in Italia di oltre 3 milioni di automobili senza assicurazione e fatto riferimento alle numerose altre modalità di frodi assicurative, riprende le considerazioni dell'ANIA circa l'insufficienza, rispetto alle predette esigenze, delle previsioni relative all'istituzione di un'Agenzia antifrode, come prevista dalle iniziative parlamentari in corso in materia, e chiede le valutazioni del Governo in particolare, in merito ad uno dei possibili interventi antifrode da poter effettuare, attraverso comunicazioni da inoltrare ai proprietari dei veicoli privi di assicurazione.

      Al riguardo si premette che, dai recenti interventi dal Governo già approvati dal Parlamento, il Governo condivide l'esigenza sostanziale descritta dall'interrogante sulla lotta alle frodi assicurative, non solo con riferimento a quella che costituisce una delle pratiche più diffuse, rappresentata dalla circolazione di automobili sprovviste di assicurazione per la responsabilità civile auto, ma anche su altri gravi pratiche quali quelle dei falsi sinistri, delle polizze assicurative RCA auto intestate a persone decedute, inesistenti per l'anagrafe o pensionati, come descritte nelle premesse dell'atto di sindacato ispettivo in oggetto.
      Il contrasto delle frodi assicurative, infatti, oltre che ineludibile esigenza di legalità e di civiltà, riducendo costi d'impropri risarcimenti gravanti sulle imprese assicurative o sul Fondo di garanzia vittime della strada, costituisce uno dei principali strumenti utilizzabili per pervenire a una riduzione degli oneri dell'assicurazione obbligatoria RC auto a favore di tutti i cittadini, obiettivo particolarmente importante per contenere i costi per le famiglie nell'attuale fase economica.
      Il decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, proprio a tal fine, ha trasformato in legge parte delle proposte antifrode contenute nell'iniziativa parlamentare, cui fa riferimento anche l'interrogante (ma non l'istituzione dell'Agenzia antifrode nella formulazione ivi utilizzata che anche per il Governo che richiede ulteriori approfondimenti), inserendole in un più ampio contesto di misure pro concorrenziali e a favore dei consumatori per il settore assicurativo e in particolare, per quello dell'assicurazione RC Auto.
      Nello specifico il provvedimento citato, con l'articolo 30, rubricato Repressione delle frodi, evidenzia il ruolo fondamentale che le imprese di assicurazione devono svolgere in materia, introducendo, un sistema di verifica e monitoraggio ex post (sistema di reporting annuale) – sulla base delle comunicazioni trasmesse dalle imprese di assicurazioni direttamente all'ISVAP e contenenti informazioni dettagliate circa il numero di sinistri per i quali si è ritenuto di svolgere approfondimenti in relazione al rischio frodi, il numero di querele e di denunce presentate e l'esito dei conseguenti procedimenti penali, nonché, l'insieme delle misure organizzativo aziendali, adottate o promosse per contrastare le frodi –, volto a far emergere eventuali criticità del sistema e messe in campo, anche, al fine di assicurare l'adeguatezza dell'organizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione dei sinistri, rispetto all'obiettivo di contrastare le frodi nel settore assicurativo.
      Con l'articolo 32, si prevede una riduzione degli oneri assicurativi per gli assicurati che si assoggettino volontariamente alla preventiva ispezione del veicolo e per quelli che consentano l'istallazione sulla loro autovettura sistemi di rilevazione automatica delle dinamiche dei sinistri (cosiddetta scatola nera), l'obbligo di consultazione e il potenziamento delle procedure di consultazione e utilizzo delle informazioni contenute nella banca dati sinistri di cui all'articolo 135 del codice delle assicurazioni (dando la facoltà all'impresa di non presentare offerta di risarcimento, con comunicazione adeguatamente motivata con la necessità di condurre ulteriori approfondimenti in relazione al sinistro e al possibile comportamento fraudolento), nonché disposizioni più rigorose relative alla li liquidazione dell'anno, con specifico riferimento alle cosiddette lesioni di lieve entità (che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo).
      Con l'articolo 33 si sono disposte ulteriori sanzioni per frodi nell'attestazione delle invalidità derivanti da incidenti.
      Riguardo al numero dei veicoli non assicurati, questione centrale posta dall'interrogante, si evidenzia preliminarmente – senza con ciò voler in alcun modo sminuire il fenomeno, certamente grave e crescente –, che non può ricavarsi un'automatica coincidenza fra tale dato e quello delle autovetture illegittimamente circolanti prive di assicurazione, poiché nel numero predetto sono compresi anche quei veicoli che, ad esempio, poiché guasti e detenuti in garage, non sono tuttavia veicoli circolanti e sono, pertanto, legittimamente privi di assicurazione.
      È proprio per individuare e sanzionare in tale più ampio ambito le effettive violazioni dell'obbligo assicurativo che l'articolo 31 del predetto decreto-legge prevede un complesso articolato di misure in materia, in linea con quelle suggerite anche dall'interrogante.
      Nel predetto articolo 31 sono individuate le condizioni per la progressiva dematerializzazione dei contrassegni assicurativi, prevedendo la loro sostituzione con sistemi elettronici o telematici, anche in collegamento con banche dati, e prevedendo l'utilizzo, ai fini dei relativi controlli, dei dispositivi o mezzi tecnici di verifica e rilevamento a distanza delle violazioni delle norme del codice della strada.
      Con specifico riferimento all'individuazione dei veicoli non a norma, inoltre, lo stesso articolo rimette al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sulla base dei dati comunicati direttamente dalle compagnie di assicurazione, la definizione e l'aggiornamento di un elenco di veicoli a motore che non risultino coperti dall'assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi, con esclusione dei periodi di sospensiva dell'assicurazione regolarmente contrattualizzati. Il citato Ministero, come proposto anche dall'interrogante, è tenuto a comunicare ai proprietari di detti veicoli il loro inserimento nell'elenco, informandoli circa le conseguenze previste a loro carico nel caso in cui i veicoli stessi siano messi in circolazione: trascorso il termine di giorni 15 per l'eventuale regolarizzazione, i nominativi di coloro i quali non avranno adempiuto gli obblighi di legge saranno messi a disposizione delle forze di polizia e delle prefetture per avviare le eventuali procedure sanzionatorie.
      La violazione dell'obbligo di assicurazione della responsabilità civile auto potrà essere rilevata anche attraverso i dispositivi, le apparecchiature e i mezzi tecnici per il controllo del traffico e per il rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di circolazione, dell'accesso nelle zone a traffico limitato, nonché altri sistemi di registrazione del transito su strade e autostrade.
      L'attuazione delle predette norme, con riferimento in primo luogo alle disposizioni di utilizzo dei predetti strumenti tecnologici, anche nel rispetto della privacy degli automobilisti, è rimessa in particolare all'iniziativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il coinvolgimento del Ministero dello sviluppo economico, dell'autorità di vigilanza del settore assicurativo e del garante per la protezione dei dati personali.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      NICOLUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni, come rilevato anche dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dall'Isvap, in Italia le tariffe assicurative per la responsabilità civile dei veicoli a motore sono aumentate con una media sei volte superiore a quelle della Germania, cinque volte a quelle della Francia e, nel complesso, più del doppio rispetto ai Paesi dell'area euro;
          tale situazione è penalizzante soprattutto per i residenti nel Sud Italia e, in particolare, in province come quella di Napoli, dove il costo delle polizze raggiunge livelli tanto proibitivi che vi sono stati casi in cui l'Isvap ha sanzionato le compagnie interessate per elusione dell'obbligo a contrarre  –:
          quali iniziative di competenza i Ministri interrogati alla luce della posizione espressa dall'Isvap e delle considerazioni esposte in premessa, intendano assumere in merito al tema dell'equità delle tariffe assicurative per la responsabilità civile Auto nel Sud Italia. (4-15737)

      Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda profili relativi al dettato dell'articolo 32, comma 3-quinquies della legge n.  27 del 2012 (conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge n.  1 del 2012 cosiddetto «Decreto liberalizzazioni»), norma concernente la disciplina del profilo tariffario in materia di RC Auto e nella quale è stabilito, fra l'altro, che, per le classi di massimo sconto, a parità di condizioni soggettive ed oggettive, ciascuna delle compagnie di assicurazione deve praticare identiche offerte.
      Nel dettaglio la questione sottesa all'atto di sindacato concerne la possibilità di annoverare, fra le condizioni oggettive di cui alla norma citata, le differenti condizioni di rischio rilevabili nelle diverse aree del territorio nazionale.
      Al riguardo si rappresenta che l'interpretazione della norma citata, così come quella di altre norme del cosiddetto «decreto liberalizzazioni» suscettibili di avere un impatto nel settore RC Auto, è stata oggetto di una lettera inviata in data 19 aprile 2012 dall'autorità di vigilanza al mercato, allo scopo di fornire indicazioni e chiarimenti applicativi ai vigilati.
      Con particolare riferimento alle questioni interpretative, l'ISVAP, nel rilevare la non agevole decifrabilità della portata della norma e della sua rilevanza, ha ritenuto opportuno acquisire preliminarmente il punto di vista di questo Ministero, che, interrogato al riguardo, si era già espresso con nota del 18 aprile 2012.
      In particolare il Ministero dello sviluppo economico, nell'evidenziare i problemi di legittimità comunitaria connessi ad un'eventuale interpretazione che fosse diretta a concludere che la disposizione in questione avesse introdotto la tariffa unica nazionale nel territorio italiano, non ha mancato di rimarcare come la norma stessa implichi da un lato un maggior onere di trasparenza e di analiticità, da parte delle imprese, nell'enucleazione delle differenze tariffarie legate a fattori territoriali e, dall'altro lato, l'implementazione, ad opera delle imprese stesse, di un regime di maggior favore tariffario verso gli automobilisti più virtuosi nelle aree territoriali a rischio più elevato.
      Con riferimento alle iniziative che ha intrapreso l'autorità di vigilanza in merito, la stessa ha più volte evidenziato e stigmatizzato, anche di recente, il non tollerabile andamento dei prezzi della copertura obbligatoria RC Auto soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno, evidenziando con chiarezza la necessità e l'intenzione di intervenire concretamente per porre rimedio a tale fenomeno.
      Sulla base delle informazioni trasmesse dall'ISVAP, si evidenzia come la stessa autorità abbia di fatto intensificato le iniziative di vigilanza ed avviato, allo stesso tempo, un processo diretto ad una riforma organica del settore in modo da aggredire le criticità di natura sia esterna che interna al sistema, così da ridurre i costi e, per tale via, incidere positivamente sul prezzo finale per i consumatori.
      Per quanto riguarda le criticità interne in relazione ai comportamenti delle imprese assicuratrici nelle zone del meridione, gli interventi di vigilanza dell'ISVAP, hanno interessato sia la fase di assunzione dei contratti sia quella di liquidazione dei sinistri.
      Tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011, l'ISVAP ha avviato quattordici istruttorie nei confronti di altrettante compagnie – e degli attuari incaricati dalle stesse – per sospetta elusione, attraverso la leva tariffaria e in alcune aree del Mezzogiorno, dell'obbligo a contrarre previsto dalla legge a carico delle imprese, procedimenti che si sono conclusi con l'irrogazione di pesanti sanzioni, molte delle quali oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale.
      Sempre dal lato dell'assunzione dei contratti, l'autorità è intervenuta sia nell'esercizio dei poteri di vigilanza individuale, aprendo indagini sul fenomeno delle disdette massive dei contratti RC Auto, attuate da alcune imprese per determinate categorie di assicurati e per alcune zone del Sud, sia, nell'esercizio delle funzioni di regolazione generale, inviando, in data 4 novembre 2010, una comunicazione al mercato volta a ribadire le regole di comportamento da adottare in fase di assunzione dei contratti.
      Nella medesima prospettiva di salvaguardare gli assicurati virtuosi specialmente in alcune aree del Paese, va collocata anche la serie di iniziative, iniziate dal 2010, di confronto, impulso e monitoraggio dell'azione dei principali gruppi assicurativi italiani allo scopo di provocare miglioramenti del processo di liquidazione dei sinistri, con riguardo all'adeguatezza dei relativi assetti organizzativi e alla presenza sul territorio.
      In merito alle criticità di natura esterna, l'ISVAP, dopo una fase di confronto costruttivo con il mercato e con le associazioni dei consumatori, ha elaborato un organico pacchetto di proposte, sottoposto, già nel dicembre 2010, all'attenzione del Parlamento e del Governo, in relazione ad alcuni interventi normativi nel settore dell'assicurazione RC Auto che potessero contribuire al risanamento strutturale del sistema, con vantaggi, in particolare, per i cittadini onesti. Anche in esito a tali proposte, il Governo ha introdotto una serie di importanti misure in materia di RC Auto nel citato decreto-legge n.  1 del 2012.
      Con specifico riferimento alle norme ritenute particolarmente idonee a contribuire, specialmente nelle regioni meridionali del Paese, al ripristino delle condizioni necessarie per il pieno esplicarsi degli effetti positivi attesi dal sistema stesso, si evidenziano quelle volte ad ottenere: a) un più efficace funzionamento del sistema di risarcimento diretto, attraverso incentivi al recupero di efficienza da parte delle compagnie); b) la prevenzione e il contrasto dei fenomeni fraudolenti nell'assicurazione RC Auto; c) l'ampliamento dell'offerta di prodotti personalizzati in base alle esigenze dei consumatori.
      Nella medesima prospettiva di rafforzare e rendere effettiva la ratio promozionale della competitività e della concorrenzialità del mercato RC Auto a vantaggio degli automobilisti onesti e virtuosi – ed in riscontro anche alle considerazioni espresse dall'interrogante –, l'ISVAP ha evidenziato: a) la necessità da parte delle imprese di offrire, a richiesta del contraente, l'installazione di meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo, quali la scatola nera o dispositivi similari, con riduzione significativa del premio assicurativo (articolo 32 decreto-legge n.  1 2012) b) l'operatività della riduzione automatica del premio in assenza di sinistri (articolo 34-bis del decreto-legge citato).
      Da ultimo preme evidenziare che le predette indicazioni interpretative sono state contestate e rese oggetto di impugnativa in sede giurisdizionale da parte dell'ANIA e di alcune fra le principali imprese del settore: le censure dedotte sono state recentemente, seppur in sede cautelare, disattese da parte del giudice adito che ha avuto modo di confermare, fra l'altro, la coerenza dei chiarimenti forniti rispetto al dettato legislativo ed agli obbiettivi indicati dalla normativa di settore.
      Il Governo intende monitorare con attenzione l'andamento del settore per verificare che a fronte dell'attuazione del complesso delle misure adottate, ed in particolare di quelle antifrode; le imprese assicurative traducano effettivamente le riduzioni di costi in diminuzioni dei premi assicurativi, in particolare nelle aree territoriali dove i livelli tariffari sono attualmente più elevati.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      PALADINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il grave, ennesimo episodio di omicidio-suicidio verificatosi all'interno di una caserma dell'Arma, ripropone intensamente interrogativi e perplessità circa le dinamiche dei rapporti all'interno delle caserme nonché l'azione di comando gerarchico;
          nelle Forze armate sono molto carenti gli organismi che possano sostenere il personale che si trova in difficoltà mentre l'ufficio istituito a suo tempo dal Ministro Spadolini presso lo Stato Maggiore Difesa che doveva curarsi delle vittime in ambito militare è stato a chiuso;
           mancano periodici controlli psichiatrici ai nostri corpi armati che vivono quotidianamente condizioni di stress e forti condizionamenti dovuti alla particolare professione svolta;
          si deve intraprendere un percorso di civile e adeguata introspezione non sottovalutando il più piccolo segnale di disagio, indice a volte di malessere che in particolari situazioni erompe in forma drammatica  –:
          se, il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga urgente istituire un osservatorio permanente nelle caserme programmando pure una seria, approfondita attività di controllo al fine di scongiurare il ripetersi di analoghi episodi. (4-18087)

      Risposta. — Gli episodi di suicidio tra gli appartenenti all'Arma dei Carabinieri, maturati prevalentemente al di fuori dell'ambiente lavorativo, presentano caratteri non difformi da quelli riscontrati nella popolazione generale (età media pari a 35,5 anni, maggiore incidenza nella fascia d'età tra 36 e 45 anni e maggior numero di casi tra coniugati).
      Le difficoltà nelle relazioni interpersonali, in particolare quelle afferenti la sfera sentimentale e familiare, rappresentano il movente di oltre il 50 per cento dei casi di suicidio e, a seguire, i motivi di salute propri e dei familiari.
      Dadi studi condotti è emerso che nell'Arma dei Carabinieri sono presenti specifici fattori di rischio che possono incidere sull'evento, quali la disponibilità di un'arma individuale, le ricorrenti situazioni di stress psico-fisico e il carico di responsabilità che discende dalle elevate aspettative che la società ripone nel ruolo istituzionale riscoperto.
      Ai fini di prevenire il fenomeno in questione, l'istituzione si avvale della responsabile azione svolta dai comandanti a ogni livello, basata sulla conoscenza diretta e consapevole dei propri militari e, inoltre:
          contribuisce, dai 1992, all'attività dell'Osservatorio permanente sul fenomeno del suicidio in ambito militare;
          ha reso operativo, dal 2001, il servizio di psicologia medica, con il compito di prevenire e curare il disagio psicologico dei militari in servizio, in quiescenza e dei loro familiari, di svolgere attività di prevenzione primaria (attività divulgativa/informativa e monitoraggio nel tempo), di prevenzione secondaria (controllo e supporto in situazioni acute) e di terapia (farmacoterapia, counseling e psicoterapia). L'accesso al servizio è volontario e risponde a severi requisiti di riservatezza, di rispetto del segreto professionale e dell'assoluta tutela della privacy. Le prestazioni erogate, a titolo gratuito, hanno una connotazione esclusivamente medico-assistenziale e non rivestono finalità medico-legali e, comunque, attinenti al servizio d'Istituto;
          ha istituito, dal 2002, la «Commissione di supporto della condizione generate del personale dell'Arma dei Carabinieri», diretta da un Ufficiale Generale, con compiti di monitoraggio nello specifico settore, allo scopo di isolare fattori di criticità e d'individuare adeguate soluzioni migliorative dei livelli di benessere dei militari;
          ha implementato ogni forma di attività volta all'analisi/prevenzione di tali eventi, sia tramite il servizio di psicologia medica, che attraverso l'istituzione della «Commissione centrale, sul fenomeno dei suicidi», presieduta dal Sottocapo di Stato Maggiore della stessa Arma dei Carabinieri: tale «Commissione» ha svolto un'attenta analisi degli episodi, verificando l'estraneità al servizio delle motivazioni a base del gesto, constatando l'assoluta genericità del profilo del militare a rischio (anagrafico, familiare, psicologico, culturale, economico, operativo) e infine, accertando la correttezza dei competenti interventi (di gestione del personale, amministrativi, d'impiego), prima e dopo l'evento, così da escludere, con certezza, sentimenti di rivalsa nei confronti dell'Amministrazione.

      Al momento, si ritiene che le misure adottate forniscano uno strumento efficace di prevenzione, fermo restando che la problematica continuerà a essere oggetto di massima e scrupolosa attenzione e nulla verrà trascurato in futuro per attivare ulteriori iniziative, qualora consentito dall'evoluzione delle conoscenze scientifiche e metodologiche.
      Per completezza d'informazione, si osserva, in ultimo, che dal progetto «Studio relativo all'analisi osservazionale dei casi di suicidio nei militari dell'arma» e dall'analogo «Studio per la conoscenza e prevenzione del fenomeno suicidario in ambito militare», è emerso che il fenomeno dei suicidi nelle Forze armate e nell'Arma dei Carabinieri, nel periodo successivo alla sospensione del servizio di leva obbligatorio, si è sostanzialmente ridotto: nell'anno in corso si sono registrati, fra gli appartenenti all'Arma dei Carabinieri, 16 casi di suicidio.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      PALAGIANO, DI GIUSEPPE e ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il comma 622 della legge n.  296 del 2006 (finanziaria 2007), relativamente all'obbligatorietà dell'istruzione scolastica, stabilisce il regime di gratuità della stessa «ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n.  226»;
          di conseguenza sul portale istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si legge che «in ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità, non è dunque consentito imporre tasse o richiedere contributi obbligatori alle famiglie di qualsiasi genere o natura per l'espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro) fatti salvi i rimborsi delle spese sostenute per conto delle famiglie medesime (quali ad esempio assicurazione individuale degli studenti per RC e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche, ecc...). Eventuali contributi per l'arricchimento dell'offerta culturale e formativa degli alunni possono dunque essere versati dalle famiglie solo ed esclusivamente su base volontaria»;
          negli ultimi anni, a causa dei drastici tagli all'istruzione pubblica messi in atto dal Governo centrale, molti istituti non riescono a garantire un servizio scolastico efficiente e si fa sempre maggiore ricorso ai contributi economici delle famiglie;
          molte, però, sono le irregolarità segnalate sulle modalità di richiesta di tali contributi che sembrano minacciare, più o meno velatamente, ritorsioni sul voto degli studenti e sulla promozione in caso di mancato pagamento;
          la denuncia è arrivata dal portale Skuola.net che, per il secondo anno consecutivo, ha segnalato, con tanto di dettagliato dossier, al Ministro interrogato diversi episodi di singolari richieste di contributi scolastici;
          in particolare dall'inchiesta di Skuola.net – ripresa da diversi organi di stampa nazionali – è emerso che, ad esempio, all'istituto tecnico Fazzini Mercantini di Grottammare (Ascoli Piceno), si richiede un contributo di 80 euro per l'iscrizione e nella stessa domanda si legge che «la mancata presentazione sarà considerata un'infrazione disciplinare a tutti gli effetti, con ripercussioni sulla valutazione del comportamento e quindi, sulla media dei voti e sull'ammissione alla classe successiva»;
          la dirigente scolastica del suddetto istituto ha smentito tale pericolo di infrazione disciplinare, ma l'avviso arrivato alle famiglie non era evidentemente troppo chiaro in proposito;
          in altre scuole il contributo richiesto arriva a cifre molto più alte, fino a picchi di 300 euro come – sempre secondo l'indagine di Skuola.net – all'Ipsar Tor Carbone di Roma, che prevede addirittura una doppia tariffazione: 240 euro per tutti, che diventano 300 euro per i ripetenti;
          all'istituto alberghiero Stringher di Udine si richiedono 250 euro, nei quali non sono comprese le divise, che si pagano a parte e costano altri 160 euro;
          quelli segnalati non sembrano essere gli unici tre casi e già lo scorso anno il Ministero interrogato, per voce del capo dipartimento per le risorse umane e finanziarie, Giovanni Biondi, aveva affermato con forza che le scuole non hanno alcun diritto di chiedere denaro in forma obbligatoria alle famiglie. Chi lo farà verrà segnalato dal Ministero agli uffici scolastici regionale perché si prendano i provvedimenti necessari per eliminare la richiesta;
          è evidente che tale monito non è stato ascoltato da tutti gli istituti italiani e che la richiesta di contributo – che sembra, a tutti gli effetti, un'imposizione – specie in un momento di grave crisi economica come quella che si sta attraversando, rischia di mettere in difficoltà numerose famiglie e soprattutto di compromettere il diritto allo studio sancito dalla nostra Costituzione;
          pur comprendendo la difficoltà degli istituti scolastici a garantire un servizio adeguato a causa del taglio dei fondi messo in opera dal precedente Governo, agli occhi degli interroganti, appare quanto mai illegittima, nonché potenzialmente discriminatoria, la richiesta di contributi economici obbligatori alle famiglie  –:
          se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative intenda disporre, in base alle proprie competenze, per mettere fine a questa spiacevole ed imbarazzante situazione, che lede il diritto allo studio dei cittadini italiani. (4-15439)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative intende intraprendere il ministero in merito alla questione dei contributi richiesti alle famiglie da alcune istituzioni scolastiche.
      Al riguardo, si fa presente che il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sempre sostenuto il carattere di volontarietà dei contributi delle famiglie.
      Tale assunto è stato ribadito con la nota del Capo del dipartimento per l'istruzione n.  312 del 20 marzo 2012, trasmessa agli uffici scolastici regionali, con l'invito a vigilare sulla corretta applicazione dei criteri che le istituzioni scolastiche sono tenute a rispettare.
      Con la suddetta nota è stato in particolare chiarito che, in ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità dell'istruzione inferiore, confermati anche dalla legge n.  296 del 2006 (finanziaria 2007), i versamenti in questione, a differenza delle tasse scolastiche di natura obbligatoria, sono assolutamente volontari. Non è dunque consentito imporre tasse o richiedere contributi obbligatori alle famiglie di qualsiasi genere o natura per l'espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro), fatti salvi i rimborsi delle spese sostenute per conto delle famiglie medesime (quali, ad esempio, assicurazione individuale degli studenti per responsabilità civile e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche).
      Gli eventuali contributi devono essere indirizzati a interventi di. Ampliamento dell'offerta formativa. All'atto del versamento, le famiglie devono essere sempre informate in ordine alla possibilità di avvalersi della detrazione fiscale in base all'articolo 13 della legge n.  40 del 2007.
      Le istituzioni scolastiche dovranno improntare l'intera gestione delle somme in questione a criteri di trasparenza ed efficienza. In particolare, le famiglie dovranno preventivamente essere informate sulla destinazione dei contributi, in modo da poter conoscere in anticipo le attività che saranno finanziate con gli stessi ed eventualmente decidere, in maniera consapevole, di contribuire soltanto ad alcune specifiche azioni.
      Ciò premesso, sui casi specifici segnalati dall'interrogante, sono stati interessati i competenti direttori generali degli uffici scolastici regionali interessati i quali hanno comunicato quanto segue.
      L'Ufficio scolastico regionale per il Lazio ha acquisito una relazione del dirigente scolastico dell'istituto I.p.s.a.r. «Tor Carbone» di Roma, il quale riferisce che le quote di pagamento di contributi scolastici volontari sono state deliberate dal Consiglio di istituto nella seduta del 26 ottobre 2007, e da allora sono rimaste invariate. Il dirigente scolastico ha aggiunto, inoltre, che nessun alunno è mai stato respinto e che non è mai stata rifiutata l'iscrizione senza il versamento del contributo.
      L'Ufficio scolastico regionale per il Friuli-Venezia Giulia ha comunicato di avere fornito tramite circolari indirizzate ai dirigenti scolastici delle scuole della Regione, diverse direttive al fine di evitare la richiesta di contributi irregolari alle famiglie e, a seguito della presente interrogazione, di avere provveduto all'invio di una nuova circolare in data 2 maggio 2012 per fornire ulteriori informazioni in merito al pagamento delle tasse scolastiche da parte degli alunni e alla facoltà riconosciuta alle scuole di richiedere alle famiglie il versamento di contributi volontari.
      Per quanto riguarda il caso relativo all'istituto tecnico «Fazzini Mercantini» di Grottamare (Ascoli Piceno), il dirigente scolastico ha comunicato che con circolare n.  100 del 17 gennaio 2012 aveva chiesto ai genitori degli alunni iscritti e frequentanti un contributo scolastico nei termini riportati nell'interrogazione in esame.
      A seguito di richiesta da parte del Direttore dell'ufficio scolastico regionale delle Marche, «ad emendare con immediatezza la circolare n.  100 del 17 gennaio 2012 espungendo dalla stessa, le espressioni foriere di, equivoci circa l'obbligatorietà del contributo», in data 31 marzo 2012, il dirigente scolastico dell'istituto ha emanato una nuova circolare emendata nella quale sono stati espunti i riferimenti all'obbligatorietà del contributo.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      PATARINO e PAGLIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nella nota ufficiale del Consiglio supremo di difesa riunito al Quirinale il 6 luglio 2011 si afferma che: «con riferimento alla crisi libica, che riveste particolare interesse per l'Italia, è stato effettuato un bilancio sull'andamento delle operazioni in corso e sulle loro prospettive. Al riguardo, è stata sottolineata l'opportunità di valutare, insieme agli alleati, le possibili azioni da intraprendere nella situazione post-conflittuale che tende a delinearsi a conclusione della missione in corso su mandato dell'ONU»;
          il 7 luglio 2011, dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri del decreto per il rifinanziamento delle missioni internazionali, il Ministro della difesa Ignazio La Russa ha annunciato di aver ridotto soprattutto il costo relativo alle spese per la Libia (da 142 milioni a meno di 60 milioni di euro), ritenendo «non necessaria la presenza della portaerei Garibaldi con i suoi tre aerei» e liquidando come inutile il lavoro della nostra nave;
          sempre il Ministro della difesa, il 13 luglio 2011 in audizione davanti alle Commissioni riunite esteri e difesa di Camera e Senato, parlando del conflitto libico ha affermato che «L'impegno della Nato ha come scadenza il 30 settembre 2011 e noi a quella data abbiamo commisurato le risorse necessarie»;
          il 9 giugno il Cocer della Marina militare ha chiesto che «il Governo dica apertamente se intende considerare i nostri marinai, in attività presso le coste libiche, alla stessa stregua di coloro che rischiano negli altri teatri fuori area o considerare le nostre navi in navigazione per crociere di piacere». «Il personale della Marina Militare – spiega l'organismo di rappresentanza – ha sempre interpretato la vita militare come servizio alla Nazione, anche in circostanze di rischi per la propria incolumità e al limite della sopportazione fisica. Tale si sta dimostrando l'attività in Libia». E questo impegno sottolinea, «dopo mesi di navigazione, non trova ancora un minimo riconoscimento dal Governo neanche sotto l'aspetto economico»  –:
          se non intenda assicurare il pieno riconoscimento per il lavoro di tutti i nostri uomini e donne in uniforme impegnati nella difesa della pace nel mondo, senza delegittimare il compito parte di essi per convenienze politiche del momento;
          se non intenda inoltre ristabilire il giusto riconoscimento anche dal punto di vista economico. (4-12716)

      Risposta. — Gli impegni complessivi connessi con la soluzione della crisi libica, unitamente all'esigenza di contenere gli oneri associati alle missioni internazionali in cui l'Italia è presente, hanno imposto un riesame generale delle stesse per valutarne il ritorna nazionale in termini di costo/efficacia e sostenibilità nel tempo.
      Tanto premesso, per affrontare nel metto i quesiti posti con l'interrogazione in esame si rappresenta che la normativa vigente prevede che il personale impegnato nelle missioni internazionali di pace percepisca l'indennità di missione estera «con decorrenza dalla data di entrata nel territorio, nelle acque territoriali e nello spazio aereo dei Paesi interessati e fino all'uscita dagli stessi per il rientro nel territorio nazionale per fine missione».
      In particolare, il personale impegnato nelle operazioni navali nell'ambito della crisi libica è destinataria del trattamento economico che prevede la corresponsione delle indennità precipue per il personale imbarcato (indennità d'imbarco e indennità supplementare di fuori sede).
      Aggiungo, infine, che il predetto personale, qualora impegnato oltre il normale orario di servizio, prescindendo dall'eventuale ingresso nelle acque territoriali o nello spazio aereo libica, percepisce, se:
          personale dirigente, retribuzione per lavoro straordinario (articolo 10, comma 3, della legge n.  231 del 1990);
          personale non dirigente, compenso forfettario d'impiego (articolo 9, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n.  171 del 2007.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  75 del 25 settembre 2012 il bando del concorso per assumere 11.542 docenti nel biennio 2013-2014;
          a seguito del concorso il prossimo anno scolastico entreranno in ruolo 7.351 neo professori; i restanti 4.191 docenti saliranno definitivamente in cattedra nell'anno scolastico 2014-2015;
          i reclutamenti serviranno a coprire il 50 per cento del fabbisogno, mentre l'altra metà sarà soddisfatto attraverso le graduatorie a esaurimento dei precari;
          il bando metterà a concorso, su base regionale, 11.542 cattedre di personale docente a partire dagli anni scolastici 2013-2014 e 2014-2015 a seconda della disponibilità dei posti vacanti e disponibili;
          al concorso sono ammessi a partecipare i candidati in possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento nella scuola dell'infanzia o primaria o secondaria di I e II grado, conseguito entro la data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, ivi compresi i titoli di abilitazione conseguiti all'estero purché riconosciuti con apposito decreto del Ministero; oppure che abbiano conseguito la laurea alla data del 22 giugno 1999;
          inoltre possono partecipare, ma solo per le scuole primarie e dell'infanzia, «i candidati in possesso del titolo di studio comunque conseguito entro l'anno scolastico 2001-2002, ovvero al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell'istituto magistrale, iniziati entro l'anno scolastico 1997-1998»;
          l'iscrizione avverrà online, a partire dal 6 ottobre 2012 e fino alle ore 14.00 del 7 novembre 2012;
          la direttiva europea 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, pubblicata su Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 30 settembre 2005 detta le condizioni per poter esercitare determinate professioni in Paesi europei diversi da quelli in cui la persona ha la cittadinanza e ha svolto i propri studi o la propria esperienza professionale;
          la direttiva comunitaria 2005/36 recepita dal decreto legislativo n.  206 del 6 novembre 2007, permette di accedere alla professione corrispondente per la quale gli interessati sono qualificati nello Stato membro d'origine e di esercitarla alle stesse condizioni previste dall'ordinamento italiano;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca riconosce l'abilitazione all'esercizio della professione di insegnante di scuola dell'infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di primo e secondo grado ai cittadini comunitari abilitati nella corrispondente professione in Paesi diversi dall'Italia;
          coloro che hanno il decreto di riconoscimento professionale rilasciato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca possiedono, conseguentemente, il titolo utile per l'accesso alle graduatorie d'istituto di seconda fascia, così come, peraltro, espressamente previsto dall'articolo 2 del decreto ministeriale n.  62 del 13 luglio 2011;
          il rilascio del decreto di riconoscimento della professione di docente è successivo a un complesso iter procedurale che comporta la verifica dell'autenticità dei titoli, la valutazione della formazione posseduta, comparata per contenuti e durata con quella italiana;
          risulta all'interrogante che i tempi del rilascio del decreto di riconoscimento della professione di docente siano lunghi e che pertanto i docenti interessati a partecipare al concorso non riescano ad ottenerlo prima della scadenza del concorso stesso  –:
          se non ritenga necessario intervenire per sollecitare il rilascio del decreto di riconoscimento della professione di docente per fare in modo che gli stessi possano partecipare al concorso. (4-18169)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante richiede interventi finalizzati a un sollecito rilascio dei decreti di riconoscimento della professione di docente ai cittadini che hanno conseguito una formazione professionale in Paesi diversi dall'Italia, onde consentire loro la partecipazione al concorso per l'assunzione di 11.542 docenti indetto con decreto direttoriale n.  82 del 24 settembre 2012.
      Al riguardo si osserva che, ai sensi della direttiva comunitaria 2005/36/CE, il riconoscimento della professione di docente non appartiene al sistema dei «riconoscimenti automatici» ma al «sistema generale» dei riconoscimenti e, in quanto tale, è soggetto a valutazione della formazione conseguita.
      Come rileva anche l'interrogante l’iter procedurale del riconoscimento si presenta alquanto complesso. Inoltre, occorre sottolineare che spesso le richieste di riconoscimento non pervengono corredate da tutta la documentazione necessaria per l'avvio dell’iter procedurale e, in tali casi, il termine previsto dalla direttiva viene sospeso e ricomincia a decorrere dal momento in cui avviene l'integrazione della documentazione mancante.
      Si tratta di tempi tecnici concretamente occorrenti, in quanto dopo la fase istruttoria, necessita acquisire un parere tecnico sulla formazione professionale posseduta dal richiedente. La valutazione finale dei titoli professionali compete poi alla Conferenza di servizi indetta ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  206, con cui è stata data attuazione alla direttiva 2005/36/CE.
      Non sempre, peraltro, il riconoscimento professionale avviene in maniera incondizionata; la differenza di durata nella formazione o la carenza dei contenuti formativi possono, infatti, comportare spesso l'adozione del riconoscimento sub condicione, con il ricorso al superamento di misure compensative.
      Tutto ciò premesso, si fa presente che il competente ufficio del ministero, in considerazione delle necessità del momento, pur se con gravi carenze di personale, ha responsabilmente organizzato la propria attività in modo tale che, alla data di scadenza della presentazione delle domande di partecipazione al concorso, sono state trattate tutte le pratiche pervenute o integrate entro il mese di luglio 2012.
      Inoltre, là dove la domanda di riconoscimento aveva per oggetto titoli identici a quelli su cui era stato provveduto con precedente decreto, in applicazione dell'articolo 16, comma 5, del citato decreto legislativo n.  206 del 2007, sono stati adottati provvedimenti di riconoscimento senza il ricorso alla valutazione della Conferenza di servizi anche per pratiche pervenute più recentemente, nei mesi da agosto a ottobre 2012.
      Le misure adottate hanno, così, permesso la partecipazione al concorso a tutti coloro che avevano maturato le condizioni utili per il riconoscimento professionale.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      REALACCI, FONTANELLI e GATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          i ripetuti allarmi lanciati dall'amministrazione comunale di Pisa, con ripetute sollecitazioni e richieste di incontro da parte del sindaco Filippeschi alle più alte autorità regionali e nazionali, e anche secondo quanto riportato negli ultimi mesi dalla stampa locale descrivono la grave recrudescenza di fenomeni criminali nella città di Pisa;
          negli ultimi tempi, come lamentato anche da spontanei gruppi di cittadini, si contano infatti numerosi reati dovuti ad episodi di microcriminalità tra cui furti e commercio illegale di stupefacenti ed episodi legati alla criminalità organizzata. Una criminalità diffusa un tempo sconosciuta per Pisa ma che sta trovando terreno fertile anche in zone centrali della città, ad esempio si pensi: a Piazza delle Vettovaglie o all'abusivismo commerciale e ai vigili malmenati in zone nevralgiche della città come piazza del Duomo, piazza Manin, largo Cocco Griffi;
          a fronte di un aggravarsi della situazione di sicurezza urbana della città si registra paradossalmente una carenza di effettivi nel personale delle forze dell'ordine assegnate alla questura di Pisa, peraltro già riconosciuta dal Ministro dell'interno in un precedente atto di sindacato ispettivo, che, sebbene esse siano fortemente impegnate nel contrasto del crimine, risultano essere nettamente insufficienti per far fronte alla situazione dell'ordine pubblico a Pisa, che desta sempre più preoccupazione;
          la ragione principale del sopraccitato squilibrio di agenti di pubblica sicurezza, più volte segnalata, è connessa al fatto che la città di Pisa in realtà ha una quantità di presenze quotidiane superiore di almeno un terzo rispetto ai cittadini residenti  –:
          se, anche in seguito ai numerosi appelli fatti dal prefetto di Pisa e dai sindacati di polizia della città, il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e del livello di criminalità raggiunto in città e quali iniziative urgenti intenda prendere il Ministro interrogato per fronteggiare tale situazione;
          se il Ministro interrogato non intenda poi da subito assegnare nuovi mezzi e nuovo personale per la Polizia di Stato sia nel capoluogo provinciale che nella provincia di Pisa, visto che anche da notizie sindacali risulta che Pisa sia stata esclusa dall'assegnazione di nuovi agenti usciti dai recenti concorsi di arruolamento della Polizia di Stato. (4-15355)

      Risposta. — La città di Pisa, che conta circa 90 mila residenti ai quali si devono aggiungere diverse decine di migliaia di studenti universitari fuori sede, negli ultimi anni ha registrato un forte afflusso di immigrati, con una consistente presenza di soggetti clandestini. Particolarmente rilevante risulta, in rapporto alla popolazione, la presenza nelle periferie di insediamenti di cittadini rom, per lo più rumeni ed ex-jugoslavi.
      Le criticità si concentrano prevalentemente in alcune aree del centro storico, quali piazza della Stazione e piazza delle Vettovaglie, in cui sono presenti da tempo presidi fissi della Questura e dell'Arma dei Carabinieri.
      Nelle aree urbane, i fatti delittuosi sono legati soprattutto allo spaccio di sostanze stupefacenti, che genera una situazione di degrado con inevitabili ripercussioni sulla sicurezza e sull'opinione pubblica, mentre in altre zone, quali piazza del Duomo e piazza Belvedere nella frazione di Tirrenia, i reati sono legati essenzialmente al fenomeno dell'abusivismo commerciale.
      Nel territorio, non si riscontrano insediamenti stabili di consorterie mafiose, ma risultano comunque presenti persone legate a tali sodalizi, soprattutto calabresi, siciliani e campani, dedite al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti e al riciclaggio dei relativi proventi, anche mediante l'acquisizione di esercizi commerciali. Tali attività sono favorite da diversi fattori, quali la vicinanza a zone ad alta incidenza turistica e allo scalo portuale di Livorno, nonché la centralità rispetto a vie di comunicazione aeree ed autostradali.
      Le competenti Autorità provinciali di pubblica sicurezza e le Forze di polizia dedicano costante attenzione alle attività di prevenzione e repressione; tra i risultati ottenuti, si ricorda il sequestro da parte della Guardia di Finanza a Pisa, nel febbraio del 2011, nel contesto di un'attività estesa anche ad altre province, di beni per un valore complessivo di oltre 940 mila euro riconducibili a soggetti appartenenti al clan camorristico dei «Maliardo», contiguo ai «Contini», e, il 2 febbraio 2012, sempre nella città toscana, il deferimento, da parte della Polizia di Stato, di due soggetti di origine campana, affiliati al clan camorristico «Fabrocini», ritenuti responsabili di rapina aggravata e usura, ai danni del titolare di una piccola impresa di trasporti.
      Su tutto il territorio l'impegno costante e continuo delle Forze dell'ordine ha permesso di raggiungere notevoli risultati.
      Gli indicatori della banca dati interforze delle Forze di Polizia evidenziano, infatti, nel periodo gennaio-luglio del 2012, la riduzione, pari al 7,8 per cento, del numero dei delitti denunciati rispetto al corrispondente arco temporale del 2011.
      Più nel dettaglio, i furti sono risultati in calo del 3,2 per cento, con flessioni ancora più significative per quelli perpetrati all'interno di abitazioni (-10,2 per cento) e per i furti di autovetture (-27,0 per cento) i reati in materia di sostanze stupefacenti sono invece lievemente incrementati, passando da 176 casi a 183.
      Tra le fattispecie in calo nei primi sette mesi del 2012 rispetto all'analogo periodo del 2011 si segnalano, inoltre, le lesioni personali dolose (-22,4 per cento), i danneggiamenti (-19,8 per cento), le rapine in banca (da 11 a 5) e le violenze sessuali (da 25 a 20); le estorsioni sono 22 in entrambi gli archi temporali considerati.
      L'attività di controllo della criminalità condotta dalle Forze di Polizia nella provincia è stata particolarmente intensa e ha consentito di deferire all'Autorità giudiziaria, sempre nei primi sette mesi del 2012, 4.259 persone, di cui 686 in stato di arresto.
      La Questura di Pisa ha ulteriormente e sensibilmente potenziato i servizi preventivi e investigativi, rafforzando altresì l'apparato di prevenzione generale e controllo del territorio mediante l'impiego di equipaggi automontati delle forze territoriali per servizi dedicati e di operatori dei reparti prevenzione crimine della Polizia di Stato. Da molti anni viene assicurato anche un servizio interforze di vigilanza «antiterrorismo» a tutela dei principali monumenti dei patrimonio artistico.
      In sede di coordinamento tecnico interforze, vengono periodicamente riviste le strategie per l'ottimale impiego degli operatori di pubblica sicurezza nei servizi di prevenzione generale secondo strategie volte a privilegiare una più efficace presenza dinamica sul territorio, anche al fine di soddisfare la domanda di sicurezza dei cittadini.
      Relativamente alla presenza delle Forze di Polizia, si rappresenta che la Polizia di Stato, al 1° settembre 2012, dispone, nella provincia di Pisa, di 446 appartenenti ai ruoli operativi, oltre a 29 appartenenti ai ruoli tecnico-scientifici che contribuiscono alla funzionalità degli Uffici.
      Oltre alla Questura, nell'area sono dislocati i Commissariati di Pubblica sicurezza di Pontedera e Volterra, le sezioni della Polizia stradale, della Polizia ferroviaria e della Polizia postale, nonché l'ufficio di Polizia di frontiera aerea.
      Nel biennio 2011/2012, sono state complessivamente assegnate agli uffici della Polizia di Stato della provincia 12 unità del ruolo degli agenti ed assistenti, di cui 8 alla Questura e 4 all'ufficio Polizia di frontiera aerea.
      Ulteriori esigenze di potenziamento potranno essere valutate contestualmente alle nuove immissioni in servizio, compatibilmente con le esigenze a livello nazionale.
      Quanto al parco veicolare, la Questura di Pisa dispone, per le esigenze dei suoi uffici e dei dipendenti Commissariati di pubblica sicurezza, di:
          16 autovetture per il controllo del territorio;
          13 autovetture con colori d'istituto per attività ordinarie;
          22 autovetture in colore di serie per servizi info-investigativi.

      Tra la fine del 2012 e i primi mesi del 2013, verrà assegnato un adeguato numero di autovetture per il controllo del territorio, attualmente in corso di acquisizione, tale da poter sostituire quelle più vetuste; entro quest'anno, inoltre, è prevista l'assegnazione di un'autovettura con colori d'istituto per attività ordinarie, ripianando l'attuale carenza.
      Si soggiunge, inoltre, che, nell'esercizio finanziario 2011, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha potuto soddisfare interamente le esigenze segnalate dalla Questura di Pisa sotto il profilo della manutenzione del parco veicolare.
      Si può, quindi, concludere che le Forze dell'ordine fronteggiano con efficacia i vari problemi di ordine pubblico, accentuati dall'intensa mobilità notturna dei giovani che frequentano le piazze cittadine, limitando grazie alla professionalità degli operatori conseguenze più gravi per la sicurezza generale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia, dopo la Spagna, è il secondo produttore ed esportatore in Europa e nel mondo di olio di oliva, con una produzione nazionale media di oltre 464000 tonnellate, due terzi dei quali extravergine e con oltre 40 denominazioni d'origine protetta riconosciute dall'Unione europea;
          nel nostro Paese, l'olivo è diffuso su circa un milione di ettari in coltura principale e su di una superficie di poco inferiore in coltura secondaria, tanto che in alcune regioni italiane, l'olivicoltura è di gran lunga la principale attività agricola, sia in termini di occupati che di percentuale di superficie coltivata;
          l'olivicoltura italiana è una risorsa importante per la maggior parte delle regioni, svolgendo anche una pregevole funzione paesaggistica oltre a garantire la produzione di oli di oliva vergini di elevata qualità, tanto da rappresentare un settore produttivo strategico per il made in Italy agroalimentare e per l'economia locale;
          la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari e, nello specifico, degli oli di oliva vergini prodotti da olive nazionali, è uno strumento fondamentale per le imprese agricole italiane al fine di battere la concorrenza sul mercato di olio proveniente da altri Paesi mediterranei;
          tuttavia, l'olio extravergine di oliva è uno dei prodotti agroalimentari italiani più esposto a rischio di frode e contraffazione a danno dei consumatori, con la frequente immissione sul mercato, tra l'altro, di oli di oliva deodorati, di bassa qualità, aventi un valore di mercato molto inferiore a quelli di reale provenienza nazionale;
          le azioni fino ad oggi intraprese nella lotta alle frodi e alle contraffazioni necessitano di essere ulteriormente rafforzate per risultare più efficaci a contenere tali fenomeni di illegalità. Le risultanze delle attività di controllo fanno registrare un'ampia diffusione di illeciti nel settore oleario, consistenti nello spacciare oli stranieri e di bassa qualità come oli di oliva vergini di provenienza italiana o, comunque, di categoria superiore;
          le recenti disposizioni concernenti l'indicazione della designazione dell'origine dell'olio extravergine di oliva, approvate, con le modifiche al regolamento (CE) 1019/2002 e, sul piano interno, con il decreto ministeriale 10 novembre 2009, non sono state in grado di contrastare in modo efficace tale fenomeno;
          la legislazione, infatti, pur stabilendo quali debbano essere le diciture obbligatorie previste nell'etichettatura dei prodotti commercializzati, non indica esattamente le modalità grafiche con cui l'obbligo deve essere attuato e ciò permette alle imprese di stampare in etichetta indicazioni con modalità o caratteri che ne rendono difficile la corretta interpretazione da parte dei consumatori;
          dal rapporto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali 2011 sulle attività del Corpo forestale dello stato nel settore della sicurezza agroambientale e agroalimentare, emerge che il personale del nucleo agroalimentare forestale, a seguito di una complessa inchiesta iniziata a settembre 2010 e finalizzata a verificare la filiera di qualità dell'olio extravergine di oliva, ha rilevato, presso diverse ditte di confezionamento a Firenze, Reggio Emilia, Genova e Pavia, documenti di trasporto falsificati utilizzati per regolarizzare una partita di 450 mila chilogrammi di olio extravergine di oliva destinata ad essere commercializzata per un valore di circa 4 milioni di euro;
          il rapporto evidenzia che la misura della presenza di alchil esteri nell'olio è uno strumento d'indagine importante per verificare l'avvenuta deodorazione del prodotto, operazione di rettifica dell'olio di oliva che consente di trasformare oli di oliva non commestibili e di scarsa qualità in oli di oliva senza difetti, ma che, una volta sottoposti a tale trattamento, non possono più essere venduti come oli extravergini di oliva;
          la presenza di metil esteri nell'olio di oliva è legata all'azione di un enzima nell'ambito del normale processo di lavorazione delle olive e non costituisce un indizio di cattiva qualità dell'olio. Invece, un valore elevato di etil esteri indica fermentazione e cattiva conservazione delle olive (nell'ambito di una produzione a regola d'arte, posta in essere rispettando le buone pratiche di raccolta e di estrazione dell'olio, la sommatoria degli alchil esteri non dovrebbe superare i 25/30 milligrammi per chilogrammo);
          con riferimento all'applicazione della disciplina comunitaria (Regolamento CE n.  61/2011 del 24 gennaio 2011) che stabilisce i requisiti fisici e chimici degli oli d'oliva, nonché i relativi metodi di valutazione sono emersi tuttavia, notevoli problemi sotto il profilo delle caratteristiche e della qualità degli oli, visto che i limiti fissati a livello comunitario per la presenza di alchil esteri negli olii extravergini sono troppo elevati e rischiano di incentivare la messa in commercio di oli di scarsa qualità, magari miscelati ad oli di migliore fattura, o di «legalizzare» vere e proprie frodi ai danni dei consumatori, che vengono poste in essere adottando pratiche finalizzate a «deodorare» gli oli con caratteristiche organolettiche non adeguate;
          a fronte delle motivazioni indicate, l'articolo 43, comma 1-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, recante Misure urgenti per la crescita del Paese ha disposto che «al fine di prevenire frodi nel settore degli oli di oliva e di assicurare la corretta informazione dei consumatori, in fase di controllo gli oli di oliva extravergini che sono etichettati con la dicitura “Italia” o “italiano”, o che comunque evocano un'origine italiana, sono considerati conformi alla categoria dichiarata quando presentano un contenuto in metil esteri degli acidi grassi ed etil esteri degli acidi grassi minore o uguale a 30 mg/kg. Il superamento dei valori, salve le disposizioni penali vigenti, comporta l'avvio automatico di un piano straordinario di sorveglianza dell'impresa da parte delle Autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del regolamento (CE) n.  882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004»;
          in data 22 settembre 2012, l'avvocato Mario Monopoli, funzionario dell'Ispettorato per la tutela della qualità e repressione frodi della Puglia, durante un incontro svoltosi a Ostuni, alla presenza dell'onorevole Ministro interrogato e dell'onorevole Paolo De Castro, ha dichiarato che «i parametri fissati dalla norma per stabilire se un olio può essere classificato extravergine di oliva, a causa delle pratiche colturali attuate nelle nostre zone tra cui la raccolta e delle varietà secolari sono superati naturalmente e, pertanto, si corre il rischio che l'olio prodotto nelle nostre zone non venga classificato extravergine», con ciò esprimendo valutazioni negative sul contenuto delle norme vigenti e, di fatto, giustificandone l'eventuale disapplicazione;
          a settembre 2012, come si evince da alcune agenzie di stampa nazionale e locale, la Guardia di finanza di Siena, nell'ambito dell'inchiesta «Arbequino» su olio «extravergine» tagliato con quello straniero, ha proceduto all'arresto di un funzionario della sede fiorentina dell'Ispettorato per la tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari che avvertiva preventivamente le imprese soggette a controlli delle ispezioni disposte  –:
          quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per assicurare l'uniforme applicazione sul territorio delle norme vigenti a parte dei propri funzionari, delle amministrazioni e degli organi di controllo; quali iniziative intenda poi adottare nei confronti dei propri funzionari che si siano resi responsabili di condotte illecite o, comunque, sconvenienti, a discapito della tutela della salute e dei consumatori ed ai danni delle imprese nazionali e del made in Italy; quali misure intenda avviare il Ministro per garantire l'effettiva applicazione della legge e l'avvio di un sistema adeguato ed efficiente di controlli. (4-18109)

      Risposta. — In merito a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame evidenzio che l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), in qualità di organo tecnico di controllo del mio Dicastero, ha il compito di prevenire e reprimere gli illeciti nei vari settori del comparto agroalimentare per tutelare i consumatori ed i produttori nazionali.
      Nell'attività ispettiva di controllo particolare attenzione è assicurata alle produzioni di qualità più rappresentative del «Made in Italy», tra cui anche l'olio d'oliva, al fine di garantire l'immagine dello stesso sui mercati nazionali ed internazionali. Per questo motivo sono state anche intraprese misure di collaborazione con l'Agenzia delle dogane e le Capitanerie di Porto, sia per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi che per evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani».
      Sulla base dei criteri dell'analisi del rischio, così come previsti dal Reg. (CE) n.  882/2004, vengono scelti tutti gli operatori della filiera che l'Ispettorato sottopone a verifica, ovvero frantoi, commercianti di olio sfuso, confezionatori, esercizi commerciali ivi compresi gli esercizi di ristorazione.
      In particolare, detti accertamenti sono orientati alla verifica della congruità tra le olive lavorate e l'olio prodotto in relazione all'origine dichiarata; della regolarità dei processi produttivi adottati; delle caratteristiche merceologiche; della corrispondenza delle tipologie merceologiche degli oli detenuti con la relativa documentazione contabile; della congruità del prodotto in entrata ed in uscita in relazione all'origine della categoria merceologica dichiarata; degli adempimenti previsti dal decreto ministeriale 10 novembre 2009 ed in particolare la corretta tenuta del registro degli oli d'oliva di cui all'articolo 7 dello stesso decreto; della regolarità degli imballaggi in relazione alla capacità e al sistema di chiusura, nonché della conformità dei dispositivi di etichettatura adottati alle indicazioni obbligatorie e facoltative.
      Inoltre, per assicurare lo svolgimento di azioni congiunte fra le diverse strutture operanti in campo alimentare, presso l'Ispettorato è operativo il Comitato tecnico ispettorato – altri organi di controllo, che riunisce i rappresentanti del Comando Carabinieri salute (Nas), dei Nuclei di polizia tributaria della Guardia di Finanza, del Corpo Forestale dello Stato, della Polizia di Stato, del Comando Carabinieri politiche agricole, del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, dell'Agenzia delle dogane e dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura.
      Tale Comitato è stato istituito proprio allo scopo di potenziare e rendere più efficaci, nei diversi settori agroalimentari, ivi compreso il settore oleario, le sinergie d'intervento delle diverse Amministrazioni interessate ed evitare, al contempo, inutili sovrapposizioni di controlli a carico degli stessi operatori.
      In tale ambito, vengono programmate azioni mirate di controllo a carattere straordinario, che si aggiungono all'attività istituzionale annuale dell'ispettorato; queste particolari azioni si orientano verso alcuni segmenti della filiera oleicola che, per situazioni contingenti di mercato, possono essere a maggior rischio di frode.
      L'attività di controllo dell'Icqrf prevede anche accertamenti analitici su campioni prelevati al commercio e alla distribuzione. Questi vengono effettuati dall'ispettorato avvalendosi di una propria rete qualificata di laboratori e comitati di assaggio che, nel caso degli oli d'oliva, procede al controllo di tutti i parametri relativi alla genuinità ed alla qualità dei prodotti previsti dalla regolamentazione comunitaria.
      Per quanto concerne il controllo dei flussi di oli di oliva movimentati dai singoli operatori, in base al richiamato decreto ministeriale 10 novembre 2009, i frantoi, le imprese di condizionamento e i commercianti di olio sfuso sono obbligati alla tenuta di un registro per ogni stabilimento e deposito, nel quale sono annotati le produzioni, i movimenti e le lavorazioni dell'olio extra vergine di oliva e dell'olio di oliva vergine, indipendentemente se destinati al mercato nazionale od estero.
      Tale registro, per una tempestiva fruizione dei dati ivi contenuti da parte degli organismi di controllo è tenuto secondo modalità telematiche messe a disposizione sul portale del Sistema informativo agricolo nazionale (Sian). Il registro di cui trattasi, costituendo un sistema di tracciabilità omogeneo e puntuale della «filiera olio d'oliva», consente di monitorare le singole movimentazioni di ogni singolo stabilimento e di conoscere i nominativi con i relativi indirizzi dei soggetti, nazionali o esteri, che hanno fornito o acquistato una specifica partita di olio.
      La filiera «olio d'oliva», quindi, risulta essere oggetto di costante monitoraggio da parte dell'Icqrf senza che vengano operati criteri discriminatori tra il prodotto destinato al mercato nazionale e quello destinato al mercato comunitario che extra comunitario.
      In merito alle iniziative di natura legislativa vorrei, anzitutto, evidenziare il mio pieno sostegno alla recente, definitiva approvazione del testo di «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, recante misure urgenti per la crescita del Paese» ove, fra gli altri, sono state introdotte due importanti disposizioni per tutelare ulteriormente la qualità dell'olio extra vergine di oliva italiano.
      La prima, riguarda l'introduzione del limite del contenuto in metil esteri degli acidi grassi ed etil esteri degli acidi grassi fissato in 30 mg/Kg per gli oli extra vergini di oliva etichettati con la dicitura «Italia» o «italiano» o che comunque evocano un'origine italiana. Il superamento di tale limite comporta l'avvio di un piano straordinario di sorveglianza dell'impresa da parte Autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del Reg. (CE) n.  882/2004. La seconda disposizione, invece, prevede la verifica obbligatoria delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini (panel test), da utilizzare a fini probatori nei procedimenti giurisdizionali nell'ambito dei quali debba essere verificata la corrispondenza delle caratteristiche del prodotto alla categoria di oli di oliva dichiarati.
      Riguardo alla corretta e trasparente informazione al consumatore, abbiamo predisposto un decreto in materia di etichettatura che stabilisce le dimensioni minime obbligatorie dei caratteri in etichetta, così che le informazioni sull'origine del prodotto siano chiaramente leggibili e facilmente individuabili.
      Infatti, nonostante le normative europee sull'etichettatura dell'olio impongano l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli oli di oliva vergini ed extravergini, tale importante informazione, con alcuni espedienti grafici e tipografici, a volte viene resa poco riconoscibile ai consumatori, aggirando così di fatto le finalità del legislatore.
      Nelle more dell'esame da parte di Bruxelles del provvedimento ministeriale suddetto l'Icqrf, con apposita circolare inviata, tra gli altri, a tutti gli organi di controllo e a tutte le organizzazioni di categoria, oltre a richiamare l'attenzione delle imprese produttrici affinché predispongano etichette ove l'origine del prodotto sia facilmente individuabile, fornisce indicazioni sul potenziamento e coordinamento dei controlli, tramite la promozione di specifici programmi straordinari di lotta alle frodi e alle contraffazioni dell'olio di oliva lungo tutte le fasi della filiera, ma con particolare riguardo a quelle delicate dell'imbottigliamento e del commercio all'ingrosso.
      Al riguardo faccio presente che, per uniformare l'applicazione delle norme su tutto il territorio nazionale, le circolari dispositive predisposte dall'Icqrf sono divulgate a tutti gli organi di controllo del Dicastero da me rappresentato e alle altre Autorità nazionali competenti per i controlli operanti ai sensi del Reg. (CE) n.  882/2004.
      In merito alle vicende che hanno coinvolto due funzionari dell'Icqrf, rispettivamente dell'ufficio territoriale di Firenze e di quello di Bari, faccio presente che per il primo, in attesa che si definiscano compiutamente le responsabilità in ordine ai gravi fatti verificatisi, è stata sollecitamente disposta la sospensione dal servizio mentre, per l'altro, siamo in attesa di ricevere specifiche informazioni sull'accaduto dal Direttore dell'ufficio di Bari.
      In ogni caso, tengo a evidenziare che tutto il personale dell'Icqrf opera nel rispetto degli indirizzi di coordinamento dettati dall'Amministrazione centrale, applicando uniformemente sul territorio nazionale le norme vigenti.
      Al fine di salvaguardare e di difendere sia la produzione nazionale che i consumatori, assicuro, anche per l'imminente campagna olearia, la massima attenzione da parte degli organi di controllo del Mipaaf.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del Regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009 n.  2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con il Bielorussia, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore  –:
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare al fine di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18004)

      Risposta. — A seguito dell'entrata in vigore della legge n.  2 del 2009 (decreto «salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Ente nazionale aviazione civile, ha messo a punto una road map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi Paesi extra Unione europea strategicamente individuati, ad oggi 64, tra cui la Bielorussia.
      A tale Paese, sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali, è stata inviata una proposta di rinegoziazione delle intese aeronautiche. Si è tuttora in attesa di un riscontro da parte bielorussa.
      Nelle more della conclusione delle nuove intese, sono state peraltro concesse autorizzazioni provvisorie, ex legge n.  2 del 2009, extra-accordi che hanno consentito di ampliare i diritti di traffico sugli hubs italiani, in particolare su Malpensa.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la Tunisia è stata interessata negli ultimi mesi da vicende politiche interne che potrebbero aver prodotto cambiamenti nella volontà politica legata alle liberalizzazioni e ai rapporti con i Paesi occidentali in genere, ed al trasporto aereo in particolare;
          in attuazione del Regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009 n.  2 prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con la Tunisia, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore –:
          se e come sia evoluto il quadro politico interno;
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quale siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          in caso di positiva conclusione, se vi siano ulteriori elementi migliorativi che il nostro Paese intende ulteriormente richiedere;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18145)

      Risposta. — A seguito dell'entrata in vigore della legge n.  2 del 2009 (decreto «salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con il Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e l'ente nazionale aviazione civile, ha messo a punto una road map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi Paesi extra Unione europea strategicamente individuati, ad oggi 64, tra cui la Tunisia.
      A tale Paese, nel giugno 2009, è stata inviata, in aggiunta alla richiesta di carattere generale di rinegoziare l'Accordo aereo del 1973 e del Memorandum di intesa del 1978 con successive modifiche, una proposta ad hoc sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali.
      A fronte della indisponibilità delle autorità tunisine ad accettare le «clausole comunitarie» ex Reg. UE 847/2004 – condizione necessaria per la revisione delle suddette intese – il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel settembre 2010, ha sottoposto alla controparte una intesa semplificata riguardante gli aspetti dichiarati accettabili dalle autorità tunisine, subordinata, tuttavia, alla definizione dell'accordo aereo che la Tunisia sta negoziando con l'Unione europea.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del regolamento (CE) 847/2004, la legge 28 gennaio 2009, n.  2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con l'Argentina, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore  –:
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quale siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18234)

      Risposta. — A seguito dell'entrata in vigore della legge n.  2 del 2009 (decreto «salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con i Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'ente nazionale aviazione civile, ha messo a punto una road map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi Paesi extra Unione europea strategicamente individuati, ad oggi 64, tra cui l'Argentina.
      A tale Paese è stata inviata nel luglio 2009, in aggiunta alla richiesta di carattere generale di rinegoziare l'accordo aereo, una proposta ad hoc sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali.
      Nelle more della conclusione delle nuove intese, è stata data la disponibilità a concedere alle compagnie argentine che ne avessero fatto richiesta, autorizzazioni provvisorie ex legge n.  2 del 2009.
      Si è tuttora in attesa delle valutazioni argentine sulle proposte avanzate. Nessuna richiesta di autorizzazione provvisoria extra-accordo è stata fatta pervenire alle autorità aeronautiche italiane.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      REGUZZONI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione del Regolamento (CE) n.  847 del 2004, la legge 28 gennaio 2009, n.  2, prevede una sostanziale liberalizzazione del trasporto aereo da attuarsi anche mediante revisione degli accordi bilaterali che ne disciplinano i vari aspetti;
          il nostro Paese ha intrapreso la procedura di revisione di detti accordi bilaterali con la Georgia, inviando una nota verbale di carattere generale che prospetta l'apertura di negoziati per una maggiore liberalizzazione degli accordi aerei attualmente in vigore  –:
          se sia pervenuta una conclusione dei negoziati ovvero quale sia lo stato della trattativa;
          quali siano i contenuti dell'intesa o le problematiche che ne impediscono la conclusione;
          se e quali iniziative il Governo intenda attuare ai fini di migliorare le condizioni di concorrenza e liberalizzazione del trasporto aereo. (4-18432)

      Risposta. — A seguito dell'entrata in vigore della legge n.  2 del 2009 (decreto «salva Malpensa») il Ministero degli affari esteri, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'ente nazionale aviazione civile, ha messo a punto una road map operativa, periodicamente aggiornata, che ha dato il via alla rinegoziazione degli accordi aerei con numerosi Paesi extra Unione europea strategicamente individuati, ad oggi 64, tra cui la Georgia.
      A tale Paese è stata inviata, nel marzo 2009, in aggiunta alla richiesta di carattere generale di rinegoziare l'accordo aereo, una proposta ad hoc sulla base dello specifico interesse per lo sviluppo delle relazioni aeree bilaterali.
      La successiva azione diplomatica e negoziale ha portato alla definizione di una intesa tecnica, entrata in vigore il 13 ottobre 2009, che ha permesso la multi-designazione dei vettori, la liberalizzazione dei punti intermedi ed oltre, la disponibilità di diritti di III e IV libertà per ambo le parti, uno scalo a scelta libera in territorio italiano in aggiunta a quelli di Roma e Milano per i vettori georgiani e due scali a scelta libera in territorio georgiano oltre a Tbilisi per quelli italiani, accordi di code-sharing con vettori del proprio Paese, dell'altro Paese contraente e di Paesi terzi.
      L'intesa del 2009 ha permesso un potenziamento del traffico aereo sugli scali italiani, grazie all'incremento delle rotte e dei diritti di traffico fruibili.
      In particolare, il 5 maggio 2012 Alitalia ha avviato un collegamento diretto Roma-Tbilisi con cadenza bisettimanale che sarà potenziato a tre frequenze settimanali a partire dal 7 marzo 2013.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      RIVOLTA e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 16 luglio 2012, n.  109, recante «Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare», permette la regolarizzazione di lavoratori extracomunitari senza permesso di soggiorno;
          l'interrogante ha rintracciato in internet il sito www.sanatoria2012.com che già dalla home page dichiara di poter trovare «la soluzione ad ogni problema», affermando tra l'altro : «ti mancano i requisiti per la sanatoria ? Se la risposta a questa domanda è sì, allora possiamo aiutarti»;
          il sito in questione sta pubblicando numerosi inserti pubblicitari sul social network «Facebook»;
          nel sito si afferma che si tratta di servizi a pagamento, come del resto specificato nella pagina «condizioni di servizio». Infatti, non vi è un numero telefonico di riferimento, né un indirizzo. Esiste solo un indirizzo di posta elettronica cui segnalare l'interesse di accedere a «servizi». Si afferma inoltre «Non chiedeteci un incontro di persona perché non ne concediamo. La nostra e la vostra sicurezza prima di tutto»;
          per poter parlare telefonicamente con questi «prestatori di servizi» l'interessato deve sborsare 100 euro, ovviamente tramite WesternUnion o Money Gram;
          esistono ovviamente «onorari» anche per «il rilascio di documenti (prova di presenza sul territorio)» ed addirittura per la «ricerca del datore di lavoro». Una pratica completa pare poter arrivare ad un costo complessivo di 8.500 euro, di cui almeno il 60 per cento versato anticipatamente;
          quanto riportato nelle righe precedenti è addirittura pubblicato sul sito all'indirizzo http://www.sanatoria2012.com/index.php? option=com–content&view=article&id=3&I temid=104&lang=it;
          sempre nel sito questi «consulenti» dichiarano «Sei irregolare e non hai la prova di presenza sul territorio italiano prima del 31 dicembre 2012 ? Possiamo fornirti tramite il nostro servizio la prova originale che necessiti, completamente verificabile» oppure «Sono irregolare ma il mio datore di lavoro non ha i requisiti per farmi la sanatoria, oppure non ho il datore di lavoro. Come posso fare ? Siamo in grado di offrirti un datore di lavoro con i requisiti, disposto ad assumerti. Non pagherai nulla al datore di lavoro (questo è illegale). Pagherai solo il nostro onorario comprensivo di ogni spesa ed onere e ci incaricheremo di redattare la pratica per il datore di lavoro ed inoltrarla. Il giorno della convocazione il datore di lavoro designato si presenterà insieme a te per la firma del contratto di lavoro. Ogni prosieguo successivo del rapporto lavorativo sarà di libera gestione tra te ed il datore di lavoro una volta che è stato rilasciato il permesso di soggiorno»;
          quanto pubblicato nel sito in oggetto appare agli interroganti in pieno contrasto con la normativa in essere e sembra prefigurare a tutti gli effetti la volontà di commettere atti delittuosi, quali ad esempio la ricerca di falsi datori di lavoro compiacenti ovvero la fabbricazione di documentazione falsa atta a dimostrare la presenza dell'extracomunitario irregolare sul territorio italiano  –:
          se siano state avviate indagini rispetto ai fatti descritti in premessa;
          se siano state assunte iniziative ove se ne rilevino i presupposti, perché si giunga all'immediato oscuramento del sito descritto in premessa. (4-17528)

      Risposta. — Come ricordato dall'interrogante la legislazione comunitaria, con la cosiddetta direttiva «sanzioni» (direttiva 2009/52/CE), ha introdotto norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
      La direttiva è stata recepita a livello nazionale con il decreto legislativo n.  109 del 2012, che ha previsto una disciplina transitoria per consentire ai datori di lavoro, famiglie ed imprese, di far emergere il rapporto di lavoro illegale, evitando così di incorrere in severe sanzioni anche di carattere penale. La presentazione della dichiarazione di emersione, che è stata estesa a tutti i settori di occupazione, ha comportato, infatti, la sospensione dei procedimenti penali ed amministrativi per la violazione delle norme relative all'impiego di lavoratori.
      Dal 15 settembre al 15 ottobre i datori di lavoro hanno avuto la possibilità di regolarizzare i dipendenti impiegati irregolarmente, presenti in Italia almeno dal 31 dicembre 2011, adempiendo a tutti gli obblighi previsti sul fronte retributivo, contributivo e fiscale.
      Il rigore nella definizione delle condizioni per poter beneficiare della procedura di emersione testimonia la volontà non di favorire un accesso indiscriminato, bensì di offrire una opportunità per riportare nell'alveo della legalità – con benefici sia individuali che di sistema – i rapporti di lavoro già consolidati.
      Per garantire l'efficiente gestione del procedimento sono stati sensibilizzati gli sportelli unici per l'immigrazione presso le prefetture che provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.
      La presentazione delle domande d'emersione è avvenuta esclusivamente tramite modalità informatiche, appositamente potenziate.
      Per quanto riguarda lo specifico quesito contenuto nell'interrogazione, si informa che il sito www.sanatoria2012.com, con provider all'estero, è già stato oggetto di accertamenti disposti dall'autorità giudiziaria.
      Il titolare dello spazio web è stato identificato dalla polizia postale e delle comunicazioni. Si è, pertanto, in attesa che l'autorità giudiziaria emetta provvedimenti istruttori da eseguire in regime di commissione rogatoria internazionale.
      La polizia postale ha, inoltre, verificato che il sito non è più on-line.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      ROMELE e MARINELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di marzo si è dimessa – a poco più di un mese dalla nomina – il capo del dipartimento della giustizia minorile, Manuela Romei Pasetti;
          la Uil penitenziari in quell'occasione ha rivolto al Ministro «fervida preghiera di rivolgere la massima attenzione al mondo della giustizia minorile che è, e resta, un caposaldo della nostra civiltà giuridica e del sistema penale»;
          il Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe ha ricordato, sempre in quell'occasione, la necessità «di una rifondazione complessiva che deve interessare il mondo della giustizia minorile»;
          la legislazione italiana del settore è all'avanguardia prevedendo il coinvolgimento dei minori in attività scolastiche, di formazione professionale, attività artigianali, sportive, lavorative al fine di allontanarli dal tunnel del crimine;
          alle previsioni legislative non corrisponde adeguata a attenzione da parte del Governo che poco o niente ha fatto per rimediare, ad esempio, alla cronica carenza di organico del personale, in un settore – ricordiamolo – estremamente delicato come questo, che ha in carico soggetti particolarmente vulnerabili, per lo più privi di concreti punti di riferimento affettivi, familiari, educativi;
          scarse sono rimaste le risorse, oltre che umane anche di mezzi, per garantire dignità delle condizioni di lavoro per chi opera in questo settore;
          scarsamente valorizzate e utilizzate rimangono le risorse umane interne, ove si pensi che anche esperienze e professionalità interne, come quelle della dottoressa Pesarin, dirigente generale del DGM, sono ancora in attesa di rinnovo dell'incarico;
          come pensa il Ministro di rispondere all'appello lanciato dallo stesso personale del settore e dai sindacati allarmati per una non adeguata attenzione del Governo alla giustizia minorile  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere per dimostrare la giusta considerazione della giustizia minorile da parte del Governo e atte a dare attuazione alle puntuali previsioni normative che rimangono sulla carta se non supportate da risorse adeguate;
          quali provvedimenti urgenti intende prendere per assicurare dunque tutte le risorse necessarie, in termini di personale e mezzi, per garantire dignità delle condizioni di lavoro per chi opera nel settore della giustizia minorile, in quanto, se è vero che una giustizia veloce ed efficiente dovrebbe essere garantita a tutti i cittadini, questa appare ancora più necessaria quando essa è rivolta ai minori, dato che l'incertezza derivante da una situazione giudiziaria indefinita rischia di turbare permanentemente la loro crescita e il loro sviluppo psichico;
          se, apprezzata la criticità del momento, non intenda avvalersi, per ricoprire le diverse posizioni dirigenziali, delle risorse e delle esperienze già presenti all'interno del dipartimento. (4-15784)

      Risposta. — Nella seduta del 19 aprile 2012 gli interroganti proponevano l'interrogazione parlamentare in esame, concernente la situazione, ritenuta critica, dell'amministrazione della giustizia minorile.
      Riferivano gli interroganti che alla adeguata e moderna legislazione per la giustizia minorile, non corrisponde un'appropriata attenzione da parte del Governo che avrebbe assunto solo timide iniziative per rimediare alla cronica carenza di organico del personale e alle scarse risorse finanziarie del settore. Secondo i parlamentari interroganti, sono stati diffusi accorati appelli per una adeguata attenzione del Governo alla giustizia minorile, dallo stesso personale operante e dai sindacati di categoria.
      I parlamentari chiedevano dunque quali provvedimenti urgenti si intendesse assumere per assicurare le risorse necessarie a garantire dignità delle condizioni di lavoro agli operatori del settore e se, a tal fine, potessero essere valorizzate risorse e figure professionali già presenti all'interno del dipartimento.
      Prima di affrontare il merito della interrogazione va doverosamente rammentato che a norma dell'articolo 74, lettere a) ed e), decreto-legge n.  112 del 25 giugno 2008 convertito con modificazioni dalla legge n.  133 del 6 agosto 2008, tutte le amministrazioni dello Stato devono provvedere, sulla base dei principi contenuti nello stesso articolo 74, alla rideterminazione delle proprie dotazioni organiche, attraverso un ridimensionamento degli assetti organizzativi esistenti operando, altresì, una riduzione degli uffici dirigenziali con corrispondente riduzione del personale.
      Inoltre l'articolo 2, comma 8-bis della legge n.  25 del 26 febbraio 2010 e l'articolo 1 comma 3 della legge n.  148 del 14 settembre 2011, hanno disposto rispettivamente un'ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale e delle relative dotazioni organiche dei dirigenti di seconda fascia.
      Il dipartimento della giustizia minorile, al fine di dare attuazione alle citate norme, ha presentato una proposta di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di rideterminazione delle dotazioni organiche del personale delle aree funzionali e del personale dirigenziale di livello non generale. Tanto premesso, si condivide la necessità di accordare la «giusta considerazione della giustizia minorile»: proprio per tale ragione al dipartimento per la giustizia minorile è stata da sempre riservata particolare attenzione, tenuto conto della delicatezza del settore di intervento, che incide in maniera significativa sul percorso di crescita del minore che entra nel circuito penale. Del resto, la storia del detto dipartimento testimonia l'impegno profuso nella concreta attuazione del dettato costituzionale e della normativa di settore, impegno che è valso, tra l'altro, anche il riconoscimento da parte di organismi internazionali.
      Tali finalità hanno ispirato i progetti di rideterminazione delle piante organiche e di ridimensionamento degli assetti organizzativi, con particolare attenzione a non vanificare o disperdere il contributo professionale delle specifiche figure, valorizzando gli obiettivi raggiunti sia a livello centrale che nelle articolazioni periferiche.
      Si comunica da ultimo, che è attualmente all'esame la definizione della posizione dirigenziale della dottoressa Serenella Pesarin, citata dagli interroganti.
Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.


      ROSSA, LARATTA, LO MORO e OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio dei ministri, nella seduta del 3 agosto 2011, ha approvato il decreto legislativo recante: «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n.  136»;
          il codice antimafia, delle misure di prevenzione e della documentazione antimafia, stando a quanto comunicato dal Ministero interrogato aggiorna la normativa per diventare il punto di riferimento completo, semplificare l'attività dell'interprete, migliorare l'efficienza delle procedure di gestione, destinazione ed assegnazione dei beni confiscati;
          il testo raccoglie – da quanto si legge dal comunicato stampa del Consiglio dei ministri – «tutta la normativa vigente in tema di misure di prevenzione»;
          il decreto approvato contiene – come il Ministro interrogato ha dichiarato «anche nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia – e l'attuazione di due deleghe del Piano straordinario contro la criminalità organizzata approvato un anno fa dal Parlamento dopo un lungo lavoro di concerto tra Ministero dell'interno e Ministero della giustizia»;
          il decreto legislativo è suddiviso in cinque libri: 1) la criminalità organizzata di tipo mafioso; 2) le misure di prevenzione; 3) la documentazione antimafia; 4) le attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. L'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; 5) modifiche al codice penale e alla legislazione penale complementare. Abrogazioni. Disposizioni transitorie e di coordinamento;
          il nuovo codice, che passerà ora al vaglio del Parlamento, punta a riordinare e razionalizzare la legislazione antimafia, con l'obiettivo di rendere più incisiva la lotta alla criminalità organizzata;
          in data 27 ottobre 2010 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 252 la legge n.  175 «Disposizioni concernenti il divieto di svolgimento di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misure di prevenzione»;
          la proposta di legge era stata approvata dalla Camera in data 24 febbraio 2010 con 354 voti favorevoli, 35 astensioni e 7 voti contrari e votata all'unanimità al Senato il 6 ottobre 2010 con 252 voti favorevoli e uno solo astenuto;
          la proposta di legge, sottoscritta da oltre 100 deputati di tutti gli schieramenti, ha avuto il sostegno di importanti cariche politiche ed istituzionali;
          scopo della legge è «incidere su uno dei nodi cruciali nei delicati rapporti tra politica e malaffare che, in diverse regioni d'Italia, proiettano la loro ombra nefasta sulle istituzioni democratiche introducendo nella disciplina della misura di prevenzione della sorveglianza speciale anche il divieto di svolgere propaganda elettorale in favore o in pregiudizio di candidati o di simboli, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente»;
          risulta che la legge n.  175 del 2010 non sia stata trasfusa nel decreto legislativo;
          ad oggi il decreto legislativo in questione non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale  –:
          se corrisponda a verità che la legge n.  175 del 2010 non è stata interamente richiamata nel decreto legislativo recante: «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n.  136» e, in tal caso quali siano i motivi che hanno portato a non richiamare parti rilevanti della legge. (4-13320)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si comunica che nella formulazione del testo definitivo del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159 (cosiddetto codice antimafia) è stata inglobata anche la disciplina prevista dalla legge n.  175 del 2010, in tema di propaganda elettorale.
      In particolare, l'articolo 67, comma 7, del Codice riproduce il divieto di propaganda elettorale già contenuto nell'articolo 10, comma 5-bis 1 della legge n.  575 del 1965 (così come introdotto dalla legge n.  175 del 2010), mentre l'articolo 76, commi 8 e 9, riproduce quanto già in precedenza disposto dall'articolo 10, comma 5-bis 2 legge n.  575 del 1965 e dall'articolo della medesima legge n.  175 del 2010.
      Nel dettaglio, il comma 5-bis 1 dell'articolo 10 della legge n.  575 del 1965 (introdotto dall'articolo 1 della legge n.  175 del 2010) è stato trasfuso nel comma 7 dell'articolo 67 del decreto legislativo n.  159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia), che sancisce: «dal termine stabilito per la presentazione delle liste e dei candidati e fino alla chiusura delle operazioni di voto, alle persone sottoposte, in forza di provvedimenti definitivi, alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è fatto divieto di svolgere le attività di propaganda elettorale previste dalla legge 4 aprile 1956, n.  212, in favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di competizione elettorale».
      Il comma 5-bis 2 della legge n.  575 del 1965, parimenti introdotto dall'articolo 1 della legge n.  175 del 2010, è stato, invece, trasfuso nel comma 8 dell'articolo 76 del codice antimafia, secondo cui «salvo che il fatto costituisca più grave reato, il contravventore al divieto di cui all'articolo 67, comma 7 è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica al candidato che, avendo diretta conoscenza della condizione di sottoposto in via definitiva alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, richiede al medesimo di svolgere le attività di propaganda elettorale previste all'articolo 67, comma 7 e se ne avvale concretamente. L'esistenza del fatto deve risultare anche da prove diverse dalle dichiarazioni del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione».
      Infine, l'articolo 2 della legge n.  175 del 2010 è stato trasfuso nel comma 9 del citato articolo 76 del decreto legislativo n.  159 del 2011, in base al quale «la condanna alla pena della reclusione, anche se conseguente all'applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per il delitto previsto dal comma 8, comporta l'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena detentiva. A tal fine la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza trasmette copia dell'estratto esecutivo, chiusa in piego sigillato, all'organo o all'ente di appartenenza per l'adozione degli atti di competenza. Nel caso in cui il condannato sia un membro del Parlamento, la Camera di appartenenza adotta le conseguenti determinazioni secondo le norme del proprio regolamento. Dall'interdizione dai pubblici uffici consegue l'ineleggibilità del condannato per la stessa durata della pena detentiva. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini dell'interdizione dai pubblici uffici».
Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.


      PAOLO RUSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          numerose famiglie, che si sono rivolte a diversi enti autorizzati alle adozioni internazionali (Ai.Bi, Airone, Cifa, eccetera), segnalano che le procedure per le adozioni che interessano la Repubblica dello Sri Lanka sono ferme dal novembre 2011;
          in particolare, risulterebbero bloccate tutte le procedure, compresi gli abbinamenti già formalizzati, con la conseguenza che alcune coppie in lista d'attesa, con abbinamento formalizzato, si ritrovano ancora oggi, dopo un anno, con i documenti preliminari già firmati e foto relative al bambino già ricevute, ma senza speranza di partire;
          questa situazione si sarebbe determinata a seguito di una vicenda che avrebbe coinvolto una suora cattolica, accusata di adozioni illegali e successivamente del tutto scagionata;
          nonostante le accuse si siano dimostrate palesemente infondate, le procedure adottive risultano ancora sospese; risulterebbe in particolare che sarebbe stata avviata una revisione di tali procedure, con la nomina di apposita commissione, che avrebbe tuttavia concluso i suoi lavori da mesi;
          gli enti italiani autorizzati segnalano inoltre di non aver ricevuto risposte alle richieste di informazioni avanzate alle autorità competenti e alle ambasciate della Repubblica dello Sri Lanka nonché all'ambasciata d'Italia a Colombo;
          le famiglie italiane restano così in un'interminabile attesa, senza alcuna notizia affidabile sui possibili sviluppi della situazione  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito alla situazione illustrata e alla posizione del Paese interessato;
          se non si ritenga di assumere iniziative per favorire la ripresa delle procedure di adozione internazionale con la Repubblica dello Sri Lanka, venendo incontro alle legittime speranze delle tante famiglie interessate. (4-18670)

      Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in oggetto l'interrogante richiama l'attenzione del Governo in merito ad alcune delicate questioni concernenti le adozioni internazionali, con particolare riferimento a quelle provenienti dallo Sri Lanka.
      L'interrogante, in particolare, partendo dalle segnalazioni ricevute dalle varie associazioni che operano nel settore, che denunciano un pressoché totale blocco delle adozioni nello Sri Lanka, sottolinea le difficoltà che si trovano ad affrontare numerose coppie che intendono adottare un bambino in tale Paese.
      Da quanto mi riferiscono gli uffici competenti e, in particolare, la Commissione per le adozioni internazionali, Autorità centrale per la convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, la normativa dello Sri Lanka in materia di adozioni prevede una competenza ripartita fra organismi a livello locale e centrale.
      In particolare, vi sono le commissioni provinciali le quali sono competenti, in prima battuta, per l'individuazione dei minori da destinare a coppie srilankesi, mentre l'autorità nazionale (Department of Probation and Child Care Services) ha competenza per le residuali assegnazioni alle coppie straniere.
      Le commissioni provinciali forniscono, quindi, all'autorità nazionale l'elenco dei minori che non sono stati adottati da famiglie srilankesi e che sono pertanto a disposizione delle coppie straniere.
      Secondo i dati in possesso della Commissione per le adozioni internazionali, nel periodo dal 2001 al 2007, si è registrata una media annuale di 6 adozioni di minori srilankesi da parte di coppie italiane.
      Nel successivo quadriennio, vi è stato un incremento dei procedimenti adottivi (12 nel 2008, 14 nel 2009, 17 nel 2010 e 18 nel 2011), fino alla sospensione degli iter d'adozione internazionale, stabilita dalle autorità locali a seguito di un presunto fenomeno di compravendita di minori.
      La sospensione delle procedure adottive, richiamata anche dall'interrogante, risale al novembre 2011. In quel periodo, infatti, le autorità srilankesi (National Child Protection Authority) decisero di intervenire nei confronti dell'orfanotrofio Prem Nivasa di Moratuwa (20 km a sud di Colombo), gestito dalle Suore missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, che era stato accusato di favorire la compravendita di minori a favore di coppie straniere.
      Nell'arco di poche settimane, le accuse all'istituto si rivelarono infondate e il provvedimento sospensivo fu revocato. Tuttavia, a partire da tale episodio, anche per effetto dell'incremento del livello di benessere socio-economico che rende sempre più concreta la possibilità di procedere alle adozioni nazionali, le dinamiche interne in tale settore sono in evoluzione, con conseguente limitazione della possibilità di adozione internazionale.
      Dalla documentazione trasmessa dagli uffici risulta che, da gennaio 2012 ad oggi, sono state autorizzate 2 adozioni di minori srilankesi a favore di una coppia italiana. Al momento, sono disponibili solamente 4 o 5 minori per le adozioni internazionali, a fronte di un contingente massimo per il 2012, stabilito in Gazzetta Ufficiale, di 75 bambini. Inoltre, sono circa 400 le famiglie straniere in lista di attesa, nonostante il ridotto numero di minori adottabili.
      Come riferito dagli uffici, le autorità srilankesi seguono – come prassi non scritta – un ordine di priorità per cui un bambino da adottare viene prima proposto a famiglie srilankesi, poi a genitori di cui almeno uno abbia la doppia cittadinanza (srilankese e straniera), successivamente a cittadini stranieri precedentemente srilankesi e, infine e solo in subordine, alle coppie straniere.
      L'attuale politica srilankese in materia è quella di invitare le nuove coppie straniere interessate ad un'adozione in Sri Lanka, a ponderare attentamente le difficoltà presenti ed a considerare eventualmente ipotesi alternative.
      Da quanto riferito dagli uffici, non vi sono accordi bilaterali vigenti con lo Sri Lanka. Tuttavia, posso assicurare che il Ministero degli affari esteri, tramite la nostra ambasciata a Colombo, in stretto raccordo con la competente Commissione per le adozioni internazionali, segue con estrema attenzione la situazione delle adozioni internazionali nello Sri Lanka, nell'interesse dei minori e delle coppie adottanti.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      SAMPERI. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. — Per sapere – premesso che:
          dal 1993 ad oggi, a seguito dell'emanazione di varie leggi che hanno riguardato l'Arma dei carabinieri, gli ufficiali in servizio permanente a cui sono demandati compiti operativi sono stati distinti in ufficiali del «ruolo normale» ed ufficiali del «ruolo speciale», malgrado svolgano gli stessi compiti e rivestano le medesime funzioni, e ciò, per gli ufficiali del ruolo speciale, comporta una marcata disuguaglianza rispetto agli ufficiali del ruolo normale relativamente ad un peggiore trattamento per la permanenza nei vari gradi, per l'impossibilità di ricoprire i gradi apicali e la possibilità davvero esigua di usufruire dei corsi di aggiornamento e di elevazione professionale;
          per quanto riguarda l'avanzamento e la progressione in carriera per gli ufficiali del ruolo speciale è prevista una più lunga permanenza nei gradi rispetto a quanto previsto per i loro colleghi del ruolo normale. In sostanza si tratta di un 1 anno nel grado di tenente, 3 anni nel grado di capitano, 2 anni nel grado di tenente colonnello. Riguardo alle promozioni al grado superiore nei gradi di sottotenente, tenente e capitano, in linea di massima, le percentuali di promozione nei due ruoli sono analoghe, anche in considerazione della consistenza organica dei vari gradi, ma poi solo il 2,3 per cento di ufficiali del ruolo speciale è promosso colonnello, mentre nel ruolo tecnico logistico il 7,3 per cento e nel ruolo normale il 17,1 per cento. Inoltre, il grado apicale previsto per il ruolo speciale è quello di colonnello, mentre per gli ufficiali del ruolo normale sono previsti 61 generali di brigata, 20 generali di divisione e 10 generali di corpo d'armata. Il ruolo speciale risulta perdente anche nel confronto con il ruolo tecnico-logistico dell'Arma dei carabinieri, per il quale il grado apicale è quello di generale di divisione, e con l'omologo ruolo speciale della Guardia di finanza;
          riguardo all'attribuzione degli incarichi di comando per i tenenti colonnelli e per i colonnelli del ruolo speciale sono state stabilite delle limitazioni che di fatto penalizzano ancora di più la categoria degli ufficiali del ruolo speciale e ciò risulta ancora più umiliante atteso che tali limitazioni sono state statuite con un atto amministrativo e, segnatamente con la circolare 545/228 del 1991 di protocollo emanata il 16 settembre 1995 dal comando generale dell'Arma dei carabinieri e non con un provvedimento di legge, malgrado sia del tutto evidente che la limitazione dei diritti, al di là di ogni considerazione di merito, non possa che avvenire per legge, come si conviene e si addice ad un Paese democratico e rispettoso dei diritti;
          la normativa vigente, ad avviso dell'interrogante, determina nei confronti degli ufficiali del ruolo speciale dell'Arma dei carabinieri una vera e propria discriminazione in merito ad opportunità di carriera e di trattamento economico e tale disparità risulta del tutto ingiustificata in relazione al fatto che gli ufficiali del ruolo speciale rispetto ai colleghi del ruolo normale non si differenziano in nessun modo, anzi hanno le medesime attribuzioni, funzioni e responsabilità;
          circa trecento ufficiali del ruolo speciale hanno incaricato un legale di predisporre un ricorso amministrativo in relazione a quella che appare una evidente violazione dei diritti riconosciuti dalla Carta costituzionale, dalle convenzioni firmate e ratificate dallo Stato italiano e dall'Unione europea;
          attualmente all'interno dell'Arma dei carabinieri si rileva una fortissima mobilitazione degli ufficiali del ruolo speciale che ha l'obiettivo dell'abolizione del ruolo speciale, attraverso la via giurisdizionale, la sensibilizzazione della classe politica e delle istituzioni nazionali e dell'Unione europea, e della creazione di un ruolo unico degli ufficiali che metterebbe fine alle proteste, alle tensioni ed alle disuguaglianze presenti nell'Arma dei carabinieri  –:
          se il Governo intenda, e in che modo, procedere ad affrontare la problematica segnalata, al fine di eliminare ogni forma di discriminazione e di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena equiparazione dei diritti in ordine allo status degli ufficiali dell'Arma dei carabinieri interessati dalla questione esposta. (4-10939)

      Risposta. — Fin dal decreto legislativo n.  117 del 1993 è stata prevista la suddivisione degli ufficiali in servizio permanente dell'Arma dei carabinieri in tre ruoli (all'epoca normale, speciale e tecnico), confermata dal decreto legislativo n.  298 del 2000 (che tuttavia ha sostituito il ruolo tecnico con il ruolo tecnico-logistico, riformando altresì l'intera materia del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento degli ufficiali stessi), ora riassettato agli articoli 663 e seguenti del Codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n.  15 marzo 2010, n.  66.
      In particolare, i ruoli normale e speciale hanno connotazioni differenti per quanto concerne modalità di reclutamento, iter formativi e profili professionali, nell'ottica dell'ottimale svolgimento del servizio istituzionale.
      In particolare, il ruolo normale è contraddistinto da una proiezione verso le responsabilità di vertice, attraverso un profilo di carriera caratterizzato da accentuata mobilità e diversificazione delle esperienze, segnatamente nell'assunzione delle responsabilità di comando ai vari livelli.
      Diversamente per il ruolo speciale è previsto un profilo di carriera sostanzialmente più operativo, legato al territorio, con una connotazione di maggiore stanzialità al fine di valorizzare meglio lo spessore professionale derivante dalle pregresse esperienze.
      In tale quadro, la Corte Costituzionale, adita a seguito di ricorso innanzi a un tribunale regionale, con sentenza n.  531 del 1995, in ordine all'articolo 11 del decreto legislativo n.  117 del 1993, ha sancito la piena legittimità del ruolo speciale, ritenuto correttamente inserito in un'ottica di differenziazione di professionalità e non di discriminazione tra categorie omogenee, argomentando che ciò vale «soprattutto per l'Arma dei carabinieri dove la formazione dei quadri ufficiali e lo sviluppo di carriera e un problema di particolare importanza».
      La stessa Suprema Corte ha, altresì, affermato che «l'esame del testo dell'articolo 2 della legge 28 febbraio 1992. n.  217 fa emergere in modo assai chiaro che il legislatore delegante – disponendo che la disciplina delle dotazioni organiche degli Ufficiali dei carabinieri dovesse avvenire mediante l'istituzione, per gli Ufficiali in servizio permanente dei ruoli normale, speciale e tecnico – non ha affatto inteso innovare i principi che presiedono al reclutamento e all'avanzamento degli Ufficiali... . Ne consegue che il legislatore delegante si è limitato a prevedere – in concomitanza con l'aumento considerevole delle dotazioni organiche degli Ufficiali dei carabinieri stabilite con decreto legge 18 gennaio 1992, n.  9 – la necessità di una regolamentazione attraverso la razionalizzazione del vecchio ruolo unico, scindendolo in tre ruoli, avuto riguardo particolare alle specializzazioni ed alle connesse potenzialità dei singoli ruoli».

      In primo luogo, sussistono elementi di differenziazione già per quanto riguarda l’iter per giungere alla nomina di ufficiale nei rispettivi ruoli normale e speciale.
      Per la nomina a ufficiale del ruolo normale è necessario:
          vincere un concorso pubblico aperto a tutti i cittadini tra i 17/22 anni d'età, nonché ai marescialli ed ai brigadieri dell'Arma aventi non più di 28 anni (una parte dei posti sono riservati ai frequentatori delle scuole militari delle Forze armate);
          superare, presso l'Accademia di Modena, un tirocinio pratico al termine del quale devono ottenere un giudizio di idoneità in ordine a: capacità e resistenza fisica, comportamento, rendimento nelle istruzioni pratiche, idoneità ad affrontare le attività scolastiche;
          frequentare e superare due anni di Accademia militare;
          frequentare e superare un corso di tre anni presso la Scuola ufficiali carabinieri. All'atto della nomina, gli ufficiali del ruolo normale devono sottoscrivere una ferma di 9 anni e, per mantenere il diritto a rimanere nel ruolo normale, devono conseguire il diploma di laurea entro l'anno di promozione a capitano (obbligo che non sussiste per il ruolo speciale).

      Gli aspiranti alla nomina a ufficiale del ruolo speciale devono, più semplicemente:
          superare un concorso riservato ai soli:
              ufficiali di complemento/ferma prefissata dell'Arma con età non superiore a 32 anni;
              marescialli dei carabinieri che abbiano compiuto il 26° anno di età e non superato il 40°;
              frequentare e superare un corso di un anno presso la Scuola ufficiali Carabinieri.

      Alla nomina, gli ufficiali del molo speciale devono sottoscrivere una ferma di 5 anni.
      Gli ufficiali del ruolo normale, inoltre, devono frequentare il «Corso d'istituto» previsto dal decreto ministeriale n.  235 del 2005 (ora articolo 755 del decreto legislativo n.  66 del 2010 – Codice dell'ordinamento militare), in cui il profitto viene accertato con «prove scritte ed interrogazioni orali nelle fasi di frequenza nonché mediante un esame finale che consiste in una prova orale su materie che sono state oggetto di studio durante il corso».
      Un'ulteriore differenziazione professionale è rinvenibile anche nell'impiego.
      Basti pensare che gli ufficiali del ruolo normale, per poter essere valutati per la promozione a colonnello, hanno l'obbligo di compiere 4 anni di comando territoriale, diversamente dal ruolo speciale per il quale tale obbligo è limitato a 2 anni, con la possibilità di svolgere – in alternativa – un incarico equipollente.
Tale opportunità, non concessa al ruolo normale, consente agli ufficiali del ruolo speciale di poter adempiere gli obblighi di comando in altri 16 incarichi, vedendosi assicurata maggiore stanzialità, di cui invece gli ufficiali del ruolo normale non possono fruire nella stessa misura in ragione della loro maggiore mobilità.
      I colonnelli del ruolo normale, inoltre, devono svolgere due anni di comando provinciale o equipollente mentre i parigrado del ruolo speciale non hanno tale obbligo.
      Ne consegue che quando il decreto legislativo n.  298 del 2000 (articolo 33, riassettato dall'articolo 855 del decreto legislativo n.  66 del 2010 – Codice dell'ordinamento militare) ha voluto stabilire che «gli Ufficiali del ruolo normale hanno la precedenza al comando sugli Ufficiali di tutti gli altri ruoli di grado eguale allorquando ricoprono incarichi validi ai fini dell'avanzamento», in realtà ha inteso far carico agli ufficiali del ruolo normale dei più gravosi obblighi di comando per essi stabiliti (quattro anni anziché due, senza possibilità di equipollenze, per l'avanzamento a colonnello; due anni per l'avanzamento a generale).
      Coerentemente, il comando generale dell'Arma, con apposita circolare interna, citata dallo stesso interrogante, ha previsto, quanto all'impiego degli ufficiali del ruolo speciale:
          l'assegnazione di incarichi analoghi a quelli previsti per il ruolo normale per tenenti e i capitani;
          l'impiego in incarichi operativi, d'ufficio o di insegnamento per gli ufficiali superiori;
          l'impiego in posizioni fiduciarie, di insegnamento, di ufficio e all'interno di ministeri per i colonnelli, in considerazione del ridotto numero di incarichi di comando disponibili e degli obblighi di comando dei colleghi del ruolo normale.

      Tale documento, nell'ancorare la diversità di impiego del ruolo speciale alla differente previsione degli obblighi di comando, convalida anche il principio secondo cui, a differenza degli ufficiali del ruolo normale, «per gli ufficiali del ruolo speciale è configurabile una politica di impiego che possa consentire agli stessi una maggiore stabilità nelle sedi e negli incarichi», così come effettivamente avviene.
      due ruoli si differenziano in modo significativo anche per la soglia anagrafica di accesso (in media 22 anni per il ruolo normale e 32/33 per quello speciale), con la conseguente diversa permanenza nei gradi.

      Pertanto, l'attuale strutturazione risponde all'esigenza di normalizzare la dinamica delle carriere della categoria e consente un equilibrato bilanciamento tra gradi dirigenziali e quelli del personale direttivo/esecutivo.
      Ciò posto, non si è in presenza, come ipotizzato dall'interrogante, di una disparità di trattamento, ma piuttosto di legittime differenziazioni di professionalità, nell'ottica di perseguire un adeguato funzionamento istituzionale, tra l'altro, in un contesto disciplinato normativamente in modo chiaro ed esaustivo.
      A riprova di ciò, basti considerare che, all'entrata in vigore del decreto legislativo n.  298 del 2000, è stata prevista per i gradi da capitano a tenente colonnello del ruolo normale, la possibilità, una tantum, di essere immessi, a domanda, nel ruolo speciale.
      In virtù di tale possibilità, ben 180 ufficiali hanno deciso il transito, a dimostrazione che la permanenza nel ruolo speciale non viene percepita discriminante o penalizzante, ma verosimilmente considerata come concreta opportunità di realizzare un diverso profilo professionale con limitati obblighi di comando e, soprattutto, una maggiore ed apprezzata stabilità.
      Allo stesso modo, è prevista (articolo 835 del decreto legislativo n.  66 del 2010 – Codice dell'ordinamento militare) la possibilità di transito nel ruolo normale dei capitani del ruolo speciale, ad iniziativa dell'amministrazione Difesa, qualora:
          nel grado di capitano del ruolo normale, si registri un consistente numero di cessazioni dal servizio che non consenta di soddisfare le esigenze istituzionali;
          l'Arma ritenga opportuno attivare la procedura sia per immettere nel ruolo normale altri ufficiali da impiegare secondo il profilo di tale ruolo, sia per garantire un diverso sviluppo di carriera a coloro che nel ruolo speciale si sono distinti per rendimento in servizio.

      Infine, la previsione del grado apicale di generale di divisione per il ruolo tecnico-logistico dell'Arma (la Guardia di finanza per l'omologo ruolo tecnico-logistico amministrativo ha quale grado apicale il generale di brigata), è dovuta al diverso profilo necessario per l'accesso a ciascun ruolo.
      Infatti per la partecipazione al concorso del ruolo tecnico-logistico occorre essere in possesso di laurea magistrale o titolo equipollente a fronte del titolo di studio di scuola media secondaria richiesto per il ruolo speciale.
      Inoltre, in considerazione che il ruolo tecnico-logistico, istituito al fine di consentire «la riorganizzazione del sostegno tecnico, logistico ed amministrativo» dell'Arma (articolo 1 decreto legislativo n.  297 del 2000), deve poter rispondere alle particolari esigenze di elevata specializzazione necessarie per far fronte agli specifici compiti assegnatigli, la carriera degli ufficiali di tale ruolo è stata adeguata alle funzioni da assolvere (articolo. 1, comma 2, lettera c, n.  2 della legge n.  78 del 2000).
      Alla luce del quadro delineato, si ritiene che l'attuale struttura della categoria degli ufficiali in servizio permanente dell'Arma nei tre ruoli in questione sia congrua con le precipue esigenze istituzionali, razionale e non sperequativa.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      SIRAGUSA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          con decreto ministeriale n.  97320 del 9 aprile 2001 è stato riconosciuto a La Società Di Giovanna srl, con sede in Sambuca di Sicilia, un contributo ai sensi della legge n.  488 del 1992 e di cui al progetto n.  22915/11 8° bando;
          con nota del 28 ottobre 2010, prot. n.  0032342, il Ministero dello sviluppo economico ha poi accolto la richiesta di differimento della data di entrata a regime presentata dalla suddetta società ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto ministeriale 3 dicembre 2008;
          i commi 36, 37, 38 e 39 dell'articolo 3 della legge n.  244 del 24 dicembre 2007 (legge finanziaria 2008), hanno ridefinito i termini e la relativa applicazione della perenzione amministrativa ovvero la prescrizione grazie all'atto interruttivo previsto per legge del diritto ad ottenere i fondi dovuti dallo Stato alle imprese a titolo di contributo in conto capitale nell'ambito della legge n.  488 del 1992;
          quanto sopra citato ha prodotto un abbassamento da 7 a 3 anni del periodo di iscrizione nel bilancio delle pubbliche amministrazioni dei residui delle spese in conto capitale relativi sia al pagamento di corrispettivi per appalti, forniture di beni e servizi, che di stanziamenti a favore delle imprese (legge n.  488 del 1992, patti territoriali, programmazione negoziata e altro) e la rassegnazione dei fondi destinati alle imprese che erano risultate aggiudicatarie dei fondi entro il 2004;
          in concreto, a seguito di tale modifica sono stati cancellati dal bilancio dello Stato i fondi iscritti per le competenze del 2004 e dei precedenti anni delle imprese beneficiarie degli incentivi della legge n.  488 del 1992 divenendo «perento», ossia sospeso, il loro credito all'erogazione delle agevolazioni stanziate;
          pertanto tutte le richieste di erogazione dei fondi avanzate dalla Di Giovanna srl sono rimaste inevase;
          risulta infatti all'interrogante che la banca concessionaria ha provveduto ad interrompere la trasmissione della richiesta di erogazione della pratica poiché rientrante nella perenzione amministrativa;
          ciò ha comportato, inevitabilmente, una stangata per il bilancio dell'impresa che, anteriormente al 2004, aveva presentato domanda di aiuto per il progetto di cui sopra diventando beneficiaria del decreto in questione;
          tale aiuto ha contribuito a far sì che l'impresa diventasse una azienda vinicola di primissimo valore per il territorio di Sambuca;
          il pagamento del rimanente 10 per cento dell'aiuto concesso, pari a circa 47.000 euro, in condizioni di mercato svantaggiate, e nel periodo in cui versa l'economia, rappresenterebbe per l'azienda una iniezione di fiducia che sicuramente consentirebbe alla medesima di superare senza ulteriori difficoltà la gravità delle condizioni anzi dette  –:
          se il Ministro interrogato non intenda attivare, per i motivi sopra esposti, le procedure necessarie affinché le somme residue spettanti all'azienda di cui in premessa, a titolo di contributo in conto capitale, vengano reiscritte nel capitolo di spesa di provenienza e coperte con somme stornate dal fondo speciale per la rassegnazione dei residui perenti. (4-17641)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      L'interrogante fa riferimento all'erogazione del 10 per cento del contributo, trattenuto a titolo di saldo, per l'investimento agevolato in oggetto.
      La valutazione critica in merito alla disciplina normativa della perenzione amministrativa delle spese in conto capitale rientra tra le determinazioni del legislatore.
      Le reiterate modifiche dell'articolo 36 del regio decreto n.  2440 del 18 novembre 1923 («Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato») hanno condotto all'equiparazione del termine di perenzione per le spese in conto capitale rispetto alle spese correnti, determinando talora ritardi nell'erogazione delle somme dovute in relazione a programmi pluriennali.
      Non può dirsi, peraltro, che «tutte le richieste di erogazione dei fondi avanzate dalla Di Giovanna srl sono rimaste inevase».
      Il Ministero dello sviluppo economico, infatti, oltre alla prima e alla seconda quota, ciascuna di euro 159.827,92 ed erogate rispettivamente nel 2002 e nel 2004, ha liquidato la terza quota di contributo – al netto della ritenuta del 10 per cento – nel dicembre 2005, per ulteriori euro 97.176,53.
      Residuano, quindi, euro 47.947,85 da erogare. Per tali somme la competente direzione generale del Ministero ha emesso l'ordinativo n.  110 del 9 maggio 2012 e l'Ufficio centrale di bilancio ha conseguentemente effettuato il pagamento in data 26 giugno 2012, con mandato n.  122, in favore della banca concessionaria Banco di Napoli – Gruppo Intesa San Paolo.
      L'effettivo accredito in favore dell'impresa non è a oggi ancora avvenuto essendo in corso l'acquisizione obbligatoria della documentazione antimafia.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      TOCCAFONDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito dei servizi scolastici rivolti alle nuove necessità da alcuni anni sono state realizzate le cosiddette «sezioni primavera». Si tratta di servizi rivolti a bambini dai 24 ai 36 mesi di età, avviate nel 2007 ed attive fino all'anno 2012, istituite soprattutto per venire incontro alle esigenze delle madri lavoratrici;
          attualmente questo servizio rischia di non poter più proseguire l'attività a causa del mancato finanziamento da parte del Governo: un finanziamento peraltro parziale rispetto al costo del servizi;
          ad oggi i fondi 2012-2013 finalizzati al funzionamento di oltre 1.600 sezioni primavera — che accolgono 25.000 bambini e in cui operano 5.000 educatori — contrariamente alle ripetute assicurazioni dei mesi scorsi, non sono messi a disposizione né dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, né dal dipartimento della famiglia, nonostante ci fossero state autorevolissime indicazioni a voler potenziare il servizio;
          l'andamento del cofinanziamento statale dal 2007, anno di avvio delle sezioni primavera, ad oggi ha fatto registrare una progressivi e costante diminuzione delle risorse, con un dimezzamento dei finanziamenti previsti a livello centrale, passando dagli iniziali 34 milioni di euro del 2007 ai 16 milioni di euro per l'anno 2011, fino all'azzeramento previsto per l'anno scolastico 2012-2013;
          l'attivazione delle sezioni primavera — che sul territorio nazionale, hanno visto, negli scorsi anni, la virtuosa partecipazione sia di servizi gestiti da enti locali e da scuole statali, che di servizi attivati presso scuole paritarie — ha consentito una irrinunciabile risposta socio-educativa alle esigenze di molte famiglie italiane e di molte madri lavoratrici. La loro chiusura costituirebbe, oggettivamente, un danno rilevantissimo che colpirebbe soprattutto le giovani famiglie: i servizi per la prima infanzia sono fondamentali  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative per provvedere per l'anno scolastico 2012-2013 al finanziamento del fondo per la realizzazione delle «sezioni primavera». (4-17795)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante sollecita iniziative al fine del reperimento di risorse destinate al funzionamento, per l'anno scolastico 2012/2013, delle sezioni sperimentali aggregate alle scuole per l'infanzia, cosiddette «sezioni primavera», attivate in applicazione dell'articolo 1, comma 630, della legge n.  296 del 2006 (finanziaria 2007).
      Si rappresenta preliminarmente che il Ministero condivide le considerazioni dell'interrogante sulla validità dei progetti fin qui attivati che rappresentano un efficace percorso formativo dedicato alle bambine e ai bambini in età compresa tra zero e sei anni.
      Come è noto, la situazione economica generale ha determinato negli anni una progressiva riduzione delle risorse destinate a questa finalità.
      Per quanto di competenza di questo Ministero, si informa che il contributo per l'attivazione delle «sezioni primavera» è inserito nel disegno di legge di bilancio per il triennio 2013/2015, in corso di approvazione al Parlamento, nella missione 22, programma 8, sul capitolo 1466, pagina 1, per la somma di 12 milioni per ciascun anno del triennio.
      Si precisa che, l'assegnazione per le sezioni primavera è stata effettuata al termine del 2011 per l'anno scolastico 2011/2012, e sarà effettuata per la predetta somma di 12 milioni di euro all'inizio del prossimo esercizio finanziario per l'anno scolastico 2012/2013.
      Emerge dunque come, per un verso, non si verifica soluzione di continuità nei finanziamenti, per altro verso questi assumono carattere di stabilità per il futuro.
      Per quanto attiene ai fondi non di competenza di questo Ministero, il Dipartimento per le politiche della famiglia ha comunicato sono in corso le verifiche con i competenti uffici del Ministero dell'economia e delle finanze per valutare la possibilità di destinare tre milioni di euro alle «sezioni primavera», a valere sul fondo per le politiche della famiglia.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          un comunicato stampa dell’Ansa del giorno 16 giugno 2011 ha diffuso la notizia secondo cui «[...] la procura della Repubblica di Lanusei ha disposto il sequestro probatorio per sei mesi di una dozzina di postazioni radar militari fisse e di una mobile nel poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra [...] Il sequestro dei radar è stato deciso per consentire accurate analisi, affidate a un consulente della procura, sui livelli di onde elettromagnetiche prodotte dalle postazioni, comprese quelle a mare di Capo San Lorenzo e a capo Bellavista, poco al di fuori del poligono. Le verifiche seguono la denuncia, raccolta dalla procura, di almeno cinque casi di abitanti della zona morti dopo essersi ammalati di linfomi e altre forme di tumore. Il nuovo provvedimento di sequestro, che non impedirà comunque le attività già autorizzate dalla Difesa nel poligono, rientra nell'inchiesta aperta a gennaio dalla procura di Lanusei per omicidio plurimo e gravi danni ambientali dopo l'abnorme numero di casi di tumore fra gli abitanti di Quirra e dintorni e di malformazioni negli animali nati negli ovili del posto. [...] I dodici radar dell'aeronautica sequestrati sono utilizzati per le attività del poligono, compreso quello di capo Bellavista, che è sotto la direzione della base di Perdasdefogu. Negli accertamenti dei giorni scorsi nelle postazioni, un ispettore di polizia incaricato dalla procura ha riferito che, durante controlli tecnici effettuati per rilevare il livello di emissione di onde elettromagnetiche, i militari addetti avevano abbassato la potenza dei radar. In questo modo, la prova era risultata negativa [...]»;
          la 3° Divisione del comando logistico dell'Aeronautica militare assicura i servizi di supporto operativo, tecnico e logistico nei settori di esercizio e di manutenzione dei sistemi della difesa aerea, dell'assistenza al volo, delle telecomunicazioni e della meteorologia. Sovraintende alle attività di esercizio e di manutenzione dei sistemi automatizzati, curando l'addestramento del personale tecnico al fine di mantenere costantemente elevata l'operatività della Forza armata. Concorre poi a definire la politica manutentiva dell'Aeronautica militare nel settore di competenza, ed emana le normative tecnico-operative relative all'impiego e alla manutenzione dei sistemi di cui detiene la supervisione. Sempre la 3° Divisione definisce, inoltre, gli obiettivi per i reparti dipendenti ed emana le normative tecniche per l'esecuzione degli interventi manutentivi e di revisione, da effettuarsi sui singoli sistemi e apparati in uso in Forza armata, nonché quelle per l'immagazzinamento, la conservazione, la distribuzione, la dismissione e l'alienazione di tutti i materiali di competenza. Promuove l'attività di studio, di sviluppo e sperimentazione dei programmi sia a livello nazionale sia internazionale. Attualmente la 3° divisione e articolata sul 1° reparto sistemi difesa aerea, assistenza al volo, telecomunicazioni e sul 2° reparto sistemi automatizzati;
          in particolare il 1° reparto assolve i compiti della 3° divisione nel campo del supporto tecnico-operativo e logistico-operativo ai sistemi della difesa aerea, dell'assistenza al volo e delle telecomunicazioni infrastrutturali, radio e satellitari  –:
          chi e per quale motivo abbia ordinato ai militari di abbassare la potenza dei radar durante i controlli tecnici effettuati per rilevare il livello di emissione di onde elettromagnetiche, quale sia la tipologia dei sistemi radar, quale sia il loro impiego, quale sia la banda di frequenza di ogni sistema e la sua potenza massima di picco, quali siano i diagrammi di irradiazione in relazione alla posizione di ogni singolo sistema radar oggetto dell'ordinanza di sequestro;
          chi, per quale motivo e come, gestisca i radar posti sotto sequestro, chi ne curi la manutenzione e quali siano le attività manutentive di routine e quelle programmate e a quale livello di intervento tecnico;
          chi conservi stabilmente la documentazione tecnica dei sistemi radar interessati dal provvedimento di sequestro e se le attività di misurazione delle emissioni elettromagnetiche effettuate siano state annotate sui registri di servizio;
          se il Ministro interrogato non ritenga di dover riferire sulla situazione dei poligoni sardi e in particolare se l'attività di alterazione delle misurazioni in premessa sia connessa e conseguente alla emanazione del documento con cui lo Stato maggiore della difesa ha impartito le disposizioni relative al linguaggio della comunicazione che i militari devono adottare nei confronti dei media e richiamato nell'interrogazione n.  4-12303. (4-12383)

      Risposta. — In premessa, si precisa, a carattere generale, che i poligoni si attengono, nello svolgimento dei propri compiti istituzionali, alle regole di tutela e di sicurezza dell'ambiente, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152 (testo unico delle norme in materia di tutela ambientale), nonché al pieno rispetto della normativa e delle procedure volte a garantire la sicurezza del personale e, ovviamente, delle comunità locali in cui si trovano ad operare e di cui i militari fanno parte.
      Nel merito, invece, dei singoli quesiti posti, con riferimento a «chi e per quale motivo abbia ordinato ai militari di abbassare la potenza dei radar durante i controlli tecnici», tali circostanze sono al vaglio dell'Autorità Giudiziaria procedente nell'ambito dell'inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanusei – tuttora in corso – cui la Difesa ha garantito la più ampia disponibilità.
      Riguardo alla tipologia dei radar, ai loro impiego e agli ulteriori dettagli di natura tecnica richiesti dall'interrogante, si sottolinea che i radar installati presso il poligono interforze di Salto di Quirra (Pisq) sono inseriti in un sistema utilizzato ai fini addestrativi/operativi e di sperimentazione e vengono spesso impiegati nello sviluppo/elaborazione di test di sistemi di autoprotezione nel settore della guerra elettronica; inoltre, alcuni dei radar in questione, fanno parte della rete di difesa aerea nazionale.
      Ne consegue che i dati tecnici richiesti, peculiari di ogni radar, rivestono carattere classificato.
      Per quanto concerne la gestione dei radar – nel frattempo, dissequestrati dall'Autorità Giudiziaria con la prescrizione di rendere noto alla medesima eventuali interventi di variazione di configurazione delle apparecchiature – si rende noto che:
          la direzione tecnica del Pisq è responsabile del carico amministrativo e della gestione tecnica;
          il gruppo impiego operativo del Pisq è responsabile della gestione operativa;
          la ditta Vitrociset è competente per la conduzione tecnico/operativa e per la manutenzione tecnica nell'ambito del contratto operante;
          le manutenzioni di routine possono essere mensili, trimestrali, semestrali, annuali e poliennali, sino al 3° livello tecnico di intervento; nei casi di eventuali imprevedibili necessità, si procede aperiodicamente in relazione alla segnalazione di intervento.

      Relativamente a «chi conservi stabilmente la documentazione tecnica...», si precisa che la documentazione tecnica dei sistemi radar interessati dal provvedimento di sequestro è conservata presso la direzione tecnica del Pisq mentre non risulta, agli organi tecnici del Pisq, l'esistenza di alcuna direttiva dove sia previsto che le attività di misurazione delle emissioni elettromagnetiche effettuate debbano essere annotate sui registri di servizio.
      Riguardo, poi, all'opportunità di «riferire nulla situazione dei poligoni sardi», si fa presente che, nel merito, la Difesa – il cui atteggiamento è stato sempre improntato alla trasparenza e alla fattiva collaborazione – riferisce periodicamente alla Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dal senatore Costa; peraltro, la medesima relazione è stata anche trasmessa alla Presidenza del Consiglio dei ministri, per il successivo inoltro ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
      Con riferimento, in ultimo, alla presunta «alterazione delle misurazioni» e all'ipotesi che tale attività sia riconducibile al «documento con cui lo Stato maggiore della difesa ha impartito le disposizioni relative al linguaggio della comunicazione», nel ribadire quanto già rappresentato nell'interrogazione richiamata dall'interrogante, si osserva che il «piano di comunicazione» ha lo scopo, tra l'altro, di contribuire al definitivo accertamento della verità in merito alla sostenibilità ambientale delle attività svolte presso il Pisq e di adottare tutte le necessarie misure per una attività di comunicazione sempre più efficace.
      Si aggiunge, ancora, che prima di dichiarare funzionante e operativo ogni apparato radar, l'Amministrazione effettua una mappatura dei livelli di energia elettromagnetica emessi dal sistema, escludendo dal servizio sistemi che dimostrano livelli incompatibili con le attività umane.
      Le misure di sicurezza adottate variano in funzione dell'attività svolta nel Pisq e sono di volta in volta sottoposte al Comando della struttura che ne verifica la qualità per l'applicazione; ove tali misure non siano ritenute sufficienti, il Comando non concede l'autorizzazione all'effettuazione dell'attività.
      La Difesa – il cui atteggiamento è stato sempre improntato all'assoluta trasparenza – attende, comunque, con fiducia gli esiti dell'indagine in corso, con l'auspicio che si possano dare risposte precise, sulla base di dati scientificamente attendibili, nell'interesse prioritario e legittimo di quanti sono coinvolti.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 28 agosto 2011 il comandante delle forze operative terrestri, generale di Corpo d'armata Francesco Tarricone ha disposto lo svolgimento di una inchiesta formale disciplinare per l'eventuale comminazione di una sanzione di stato nei confronti del maresciallo capo Maurizio Veneri, al quale il successivo 5 settembre veniva notificato l'atto di avvio della predetta inchiesta a firma dell'ufficiale inquirente appositamente nominato;
          l'inchiesta a carico del militare citato è stata disposta per verificare se sussistono responsabilità tali da dover essere sanzionate con provvedimenti disciplinari di stato relativi all'addebito contestato, che, come si legge nell'atto di avvio del procedimento, consiste in ciò: «Nel periodo compreso tra marzo e ottobre 2010 un soggetto, presumibilmente identificabile con il Mar. Ca. VENERI, partecipando ai forum sul sito www.forzearmate.eu col nickname «Maurizio», rilasciava una serie di commenti, riportati nella richiesta di archiviazione, diffamatori rappresentando fatti e situazioni lesivi per l'immagine della Forza Armata. Sottoposto a provvedimento penale per il reato di «diffamazione militare pluriaggravata e continuata (artt. 81 c.p., 47 n.  2 e 227 c.p.m.p.)», la Procura della Repubblica presso il Tribunale Militare di Roma, con decreto di archiviazione 373/10 emesso e depositato in cancelleria il 15 marzo 2011 ed acquisito dall'A.D. il 17 giugno 2011, ha archiviato per infondatezza della notizia di reato. La condotta tenuta nell'occasione, seppure penalmente non rilevante, evidenzia responsabilità sotto il profilo disciplinare che ledono il prestigio dell'istituzione, della categoria di appartenenza e la dignità del grado rivestito»;
          agli interroganti, come hanno più volte avuto modo di segnalare al Ministro interrogato, appare ormai chiaro che il codice dell'ordinamento militare trovi scrupolosa applicazione solo ed esclusivamente nei confronti dei gradi più bassi della scala gerarchica. Infatti, non risulta che siano mai stati adottate simili procedure nei confronti del generale Ganzer, condannato alla pena di anni 14 nel giudizio penale di primo grado, o di altri ufficiali sottoposti alla medesima disciplina né, tantomeno, nei confronti di quei delegati della rappresentanza militare sottoposti a procedimento penale, ancorché assolti;
          appare agli interroganti anche che l'azione disciplinare disposta dal generale Tarricone finisca per sostituirsi a quella legittimamente svolta dalla competente autorità giudiziaria che certamente ha agito su impulso della medesima amministrazione militare;
          apprendere dell'esistenza di simili comportamenti discutibili sul piano della legalità e della funzione di comando che dovrebbe caratterizzare ogni ufficiale delle Forze armate, ancor più se trattasi di generale di vertice, lascia profondamente sconcertati gli interroganti  –:
          quali immediate iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per far cessare simili disparità di trattamento tra militari e se non ritenga doveroso far sì che sia disposta l'immediata archiviazione dell'inchiesta a carico del maresciallo Veneri;
          se non ritenga di dover assumere iniziative, e quali, nei confronti del generale Tarricone che a giudizio degli interroganti, ha posto in essere un atto ed esercitato la potestà disciplinare per fini diversi da quelli per i quali la legge gli ha in astratto attribuito tale potere. (4-13167)

      Risposta. — Il Comandante delle forze operative terrestri ha legittimamente avviato le procedure volte all'esperimento dell'inchiesta formale a carico del militare indicato nell'atto (articolo 1377 e 1378 lettera f) del Codice dell'Ordinamento Militare), in quanto la citata Autorità, titolare, in virtù di norma primaria, della potestà di disporre l'esperimento di tali inchieste, ha ritenuto, prescindendo dagli esiti del procedimento penale, che i fatti, attribuiti al Sottufficiale stesso fossero potenzialmente lesivi di precipui interessi la cui tutela è essenziale,
      L'amministrazione ha giudicato, pertanto, necessario accertare se, in relazione ai fatti medesimi, sussistessero, a carico del militare, specifiche responsabilità sanzionabili con provvedimenti disciplinari di stato, la cui applicazione non può prescindere dall'esecuzione dell'inchiesta formale. In tale quadro deve essere correttamente inquadrato l'avvio dell'inchiesta in parola.
      Per quanto riguarda, invece, l'asserzione in base alla quale « appare ormai chiaro che il codice dell'ordinamento militare trovi scrupolosa applicazione solo ed esclusivamente nei confronti dei gradì più bassi della scala gerarchica», si osserva che i dati in possesso non suffragano quanto affermato dagli interroganti tenuto conto che l'azione disciplinare coinvolge indistintamente tutte le categorie di personale militare.
      In termini, più generali, si osserva, che sussiste un obbligo derivante da legge che impone all'amministrazione di avviare, nei confronti di tutto il personale rimasto coinvolto in vicende penali, il previsto vaglio disciplinare, secondo la tempistica prevista dalle norme vigenti (articolo 1392 del Codice dell'Ordinamento Militare) nei momento in cui la stessa acquisisce la notizia dell'intervenuta irrevocabilità del giudicato penale.
      Peraltro, l'attività che il Dicastero svolge in sede disciplinare non si sostituisce né si sovrappone a quella dell'autorità giudiziaria; la disciplina militare, infatti, esplica la propria azione in ambiti completamente diversi, essendo a presidio della tutela di specifici interessi giuridici (coesione ed efficienza) la cui salvaguardia è imprescindibile per l'assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate.
      Nel caso in esame, il magistrato competente ha certamente agito su impulso dell'amministrazione militare, in quanto l'informativa è stata inoltrata dal Direttore del polo di mantenimento delle armi leggere di Terni, Comandante di Corpo del Sottufficiale in argomento. Il Comandante di Corpo, infatti, in qualità di ufficiale di polizia, giudiziaria militare – per quanto concerne i reati militari – e pubblico ufficiale per quelli comuni – ha il dovere di relazionarsi con le competenti autorità giudiziarie. Tuttavia, nell'azione posta in essere dal Comandante delle forze operative terrestri, non sembrano ravvisarsi quei profili di «sviamento di potere» evidenziati nell'atto.
      Per quanto concerne, infine, gli asseriti effetti negativi che si rifletterebbero sulla funzione di comando, si rappresenta che è onere di ogni, comandante, a tutti i livelli, vigilare affinché i principi fondanti la disciplina militare trovino sempre e puntuale osservanza ed esercitare, anche, qualora ritenuto opportuno, la potestà sanzionatoria per porre rimedio al vulnus arrecato all'ordinamento giuridico disciplinare.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in essere quanto richiesto dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          consta all'interrogante che il 28 giugno 2011 la signora Aurora Stabile, moglie dell'appuntato scelto Fabio Prosperi, già in servizio presso la stazione carabinieri «Torrimpietra», a seguito dell'aggressione subita il 22 giugno, abbia presentato formale denuncia/querela presso il Comando della legione Carabinieri Lazio, compagnia di Roma Ostia, nei confronti del comandante p.t. della predetta stazione e della di lui moglie;
          per tali fatti il nucleo cure primarie di Fregene (ASL RM D) in data 23 giugno 2011 aveva diagnosticato alla signora Stabile una prognosi di giorni cinque;
          l'aggressione denunciata dalla signora Stabile sarebbe, in ordine di tempo, solo l'ultimo episodio di una serie di fatti avvenuti – a detta di quest'ultima – a causa della conflittualità che in ambito lavorativo avrebbe coinvolto il di lei coniuge e il comandante della predetta stazione carabinieri «Torrimpietra»;
          l'appuntato scelto Prosperi e la signora Stabile hanno in locazione da terzi un appartamento sito nello stesso stabile, e allo stesso piano, dove è ubicato l'alloggio di servizio assegnato per l'incarico al comandante della stazione Torrimpietra;
          nei primi mesi del corrente anno l'appuntato scelto Prosperi, a causa di dette conflittualità, è stato trasferito, a domanda, presso la stazione carabinieri di Ponte Galeria  –:
          se i fatti in premessa corrispondano al vero e in caso affermativo quali siano stati i provvedimenti che il Ministro interrogato abbia intrapreso nei confronti del comandante della stazione carabinieri «Torrimpietra». (4-13843)

      Risposta. — In merito alla vicenda oggetto dell'atto in esame, si rappresenta che, il 10 novembre 2010, la moglie dell'Appuntato scelto F.P., già effettivo alla stazione Carabinieri di Torrimpietra, ha sporto una querela nei confronti del Maresciallo Aiutante sostituto Ufficiale di Pubblica Sicurezza (Mar.A.s.UPS) M.S., all'epoca Comandante del medesimo reparto, responsabile, a suo dire, di averla aggredita verbalmente e di aver pronunciato frasi offensive contro il marito, in quel momento assente.
      Il relativo procedimento penale è stato archiviato dall'Autorità Giudiziaria di Civitavecchia il 18 febbraio 2012.
      Il 25 febbraio 2011, l'Appuntato Scelto F.P. è stato trasferito, a domanda, alla stazione Carabinieri di Ponte Galeria, continuando a risiedere in un appartamento, preso in locazione da un privato, sito nello stesso stabile dove si trova l'alloggio di servizio del Comandante della stazione di Torrimpietra.
      Il 28 giugno 2011, la moglie dell'Appuntato ha presentato un'ulteriore querela per «lesioni» e «ingiuria», poiché in data 22 giugno 2011, mentre percorreva il porticato degli alloggi, sarebbe stata aggredita dalla moglie del Maresciallo M.S., provocandole una lesione alla gamba giudicata guaribile in 5 giorni.
      Nella circostanza, il Maresciallo si sarebbe affacciato dall'uscio dell'abitazione e avrebbe ingiuriato la denunciante.
      Nell'ambito del conseguente procedimento penale, la Procura della Repubblica di Civitavecchia ha emesso un decreto di citazione a giudizio nei confronti del Maresciallo M.S. e della sua consorte; l'udienza, tenutasi lo scorso 20 novembre presso il Giudice di Pace di Civitavecchia, è stata rinviata a data da destinarsi.
      Il 10 marzo 2012, il Comandante della stazione Carabinieri Torrimpietra è stato trasferito, a domanda, alla stazione di Passoscuro, mentre la sua posizione disciplinare sarà valutata all'esito della definizione del procedimento penale tuttora pendente.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 18 luglio 2005 il brigadiere dell'Arma dei carabinieri Carmelo Vincenzo Guido, presentava una denuncia-querela presso la regione carabinieri Calabria – stazione di Catanzaro Principale, indirizzata alla procura della Repubblica di Catanzaro;
          nell'atto il brigadiere rappresentava fatti avvenuti durante il servizio che avevano dato luogo a provvedimenti assunti dall'amministrazione militare lesivi dei suoi interessi;
          in data 26 maggio 2006 il pubblico ministero dottor Federico Sergi chiedeva al giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Catanzaro di voler disporre l'archiviazione del procedimento n.  10471/05, dandone avviso, in data 27 settembre 2006, alla parte offesa, brigadiere Guido, che proponeva rituale opposizione nei termini di legge;
          il comandante pro tempore della compagnia carabinieri di Soveria Mannelli, in data 6 novembre 2006, chiedeva alla procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro – polizia giudiziaria – sezione carabinieri, informazioni circa lo stato della denuncia-querela sporta dal brigadiere Carmelo Vincenzo Guido, «al fine di espletare urgenti incombenze di carattere disciplinare/amministrativo»;
          consta all'interrogante che successivamente alla data dell'opposizione alla richiesta di archiviazione non siano seguite ulteriori comunicazioni indirizzate al querelante brigadiere Guido  –:
          se risulti quale sia l'attuale stato del procedimento in premessa;
          quali siano state le ragioni della richiesta avanzata dal comandante pro tempore della compagnia carabinieri;
          se e quali immediate iniziative che i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, intendano intraprendere in merito. (4-14902)

      Risposta. — In relazione alla vicenda esposta dall'interrogante, si rappresenta che, il 19 luglio 2005, il brigadiere dell'Arma dei Carabinieri C.V.G., all'epoca addetto alla sezione di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica del tribunale di Catanzaro, ha presentato alla stazione carabinieri di Catanzaro principale una «denuncia-querela» contro ignoti.
      Nella stessa, ha asserito che il suo trasferimento d'ufficio alla stazione carabinieri di Soveria Mannelli sarebbe stato determinato da un'erronea comunicazione della Compagnia Carabinieri di Catanzaro.
      Conseguentemente, la richiamata procura della Repubblica ha instaurato un procedimento penale contro ignoti, in merito al quale il pubblico ministero (PM) ha formulato al giudice per le indagini preliminari (Gip) richiesta di archiviazione «per infondatezza della notizia di reato».
      Il 22 luglio 2008, a seguito di opposizione del querelante, il Gip ha restituito l'incarto processuale al PM per ulteriori indagini, nel corso delle quali è stato indagato, per violazione dell'articolo 323 del Codice penale (abuso d'ufficio), il capo ufficio personale della Legione «Calabria» pro tempore.
      Il 16 aprile 2012, il pubblico ministero ha rinnovato al Gip la propria richiesta di archiviazione per «infondatezza della notizia di reato» e, il 19 giugno 2012, il querelante ha ulteriormente formulato opposizione, dichiarata inammissibile dal Gip, che ha emesso decreto di archiviazione.
      Quanto alle «ragioni della richiesta avanzata dal comandante pro tempore della compagnia carabinieri», si precisa che la Compagnia Carabinieri di Soveria Mannelli, reparto ove è stato successivamente trasferito il Brigadiere C.V.G., ha avanzato richieste all'Autorità Giudiziaria, circa lo stato del procedimento di cui si è trattato, su indicazione della scala gerarchica, in ossequio a quanto sancito dalla pubblicazione «Guida tecnica – Norme e procedure disciplinari» della direzione generale per il personale militare.
      In particolare, la stessa prevede che l'attività di monitoraggio dei procedimenti penali a carico dei propri dipendenti – e, segnatamente, a carico del capo ufficio personale della Legione «Calabria» pro tempore – «costituisce diretta incombenza dei Comandanti di Corpo», rispondendo «a diverse esigenze prioritarie dell'amministrazione, in ambito cautelare, di avanzamento e disciplinare» e che, in tali casi, devono essere apprestati «mezzi idonei a seguire gli sviluppi del procedimento penale», inoltrando con cadenza periodica, «al massimo ogni 4 mesi», «le richieste in questione all'ufficio giudiziario competente».
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il 24 maggio sul quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno è apparso un articolo dal titolo «Protesta aspiranti presidi “Chiederemo il sequestro di tutti gli atti del concorso«» nel quale è scritto: «Abbiamo dei dubbi sulla imparzialità della commissione esaminatrice che ha corretto gli elaborati. Se nel verbale non c’è traccia del candidato espulso, significa che qualcuno ha fatto finta di non vedere. A questo punto sarà la magistratura, sia penale che amministrativa, a fare chiarezza sulla correttezza delle procedure». I docenti che ambiscono a fare il grande passo per concludere la carriera nella veste di presidi non mollano. Ieri una rappresentanza dei professori che non ha superato gli scritti del maxiconcorso ha protestato davanti all'Ufficio scolastico regionale;
          «Ci viene negata la possibilità – spiega il portavoce degli esclusi Gerardo Troiano – di esercitare il diritto di accesso informale alle nostre prove. Per questo, ad integrazione dell'esposto già presentato alla Procura, chiederemo il sequestro di tutti gli atti del concorso»;
          sono passati cinque mesi da quel 14 dicembre, quando nell'aula 4 dell'istituto Elena Di Savoia, vengono mandati via due candidati sorpresi a copiare. Nessuno dei 23 colleghi della medesima classe, il giorno seguente avrebbe immaginato di ritrovare sui banchi uno dei due docenti espulsi. Ma la rabbia collettiva esplode il 4 maggio scorso, con la pubblicazione dell'elenco degli ammessi a sostenere l'orale: su 895 partecipanti, passano il turno in 228, compreso il professore allontanato dalla classe al primo scritto, ma risultato idoneo per affrontare il secondo;
          Antonia Sallustio, fra le promotrici dell'azione legale, racconta: «Il direttore generale pro tempore dell'Usr, Ruggiero Francavilla, ci ha detto che nei verbali questo episodio non è menzionato. Mi chiedo perché nessuno abbia deciso di convocare i testimoni». È il caso di specificare che i segretari della medesima commissione si sono dimessi qualche giorno fa e che comunque gli orali si terranno mercoledì 30 maggio;
          gli insegnanti «bocciati» e che ieri hanno potuto conoscere soltanto il punteggio che ha messo fine, salvo novità, al sogno di lasciare la cattedra per vestire i panni del dirigente scolastico, sono intenzionati a fare ricorso al Tar per chiedere la sospensiva e essere riammessi al concorso;
          i candidati esclusi, il 75 per cento del totale, avanzano perplessità sulla validità delle prove. E aspettano di essere convocati dai giudici per riferire la «loro» verità. Nell'aula 4, nei due giorni degli scritti, tre candidati sono stati invitati a interrompere le prove, perché pizzicati a copiare, e a consegnare i compiti. Soltanto uno però figura nella graduatoria dei docenti meritevoli di sostenere gli orali  –:
          se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, diversamente se intenda aprire una inchiesta e comunque sospendere la nomina dei dirigenti nell'attesa di chiarire l'accaduto. (4-16307)

      Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede notizie riguardo a presunte irregolarità svoltesi durante l'espletamento delle prove scritte del concorso a dirigente scolastico, bandito con decreto direzione generale 13 luglio 2011 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale – 4a Serie Speciale – «Concorsi» n.  56 del 15 luglio 2011) presso Istituto tecnico Elena di Savoia di Bari.
      L'ufficio scolastico regionale per la Puglia, interpellato sulla questione, ha comunicato che un gruppo di aspiranti esclusi dalle prove orali del suddetto concorso ha presentato un esposto al medesimo Ufficio regionale e all'autorità giudiziaria, lamentando che un candidato espulso durante la prima prova scritta perché sorpreso a consultare materiale non consentito, si sarebbe presentato a sostenere la seconda prova il giorno successivo e sarebbe stato poi ammesso alla prova orale. Alla presentazione di tale esposto sono seguite una serie di diffide dirette a ottenere la sospensione della procedura concorsuale.
      A seguito dell'esposto, presentato peraltro molto tempo dopo lo svolgimento delle prove, il predetto ufficio scolastico regionale riferisce di avere esperito tutti gli opportuni accertamenti e ha rilevato che nessun provvedimento di espulsione era stato applicato nei confronti del candidato dal competente comitato di vigilanza.
      Per tale ragione lo stesso ufficio scolastico ha ritenuto di non dover assumere alcun provvedimento di sospensione della procedura concorsuale, che sarebbe risultato ingiustamente pregiudizievole per tutti i candidati valutati positivamente nelle prove scritte i quali hanno fatto affidamento sulla regolare prosecuzione della stessa.
      Gli esiti di tali accertamenti sono stati comunque comunicati dall'ufficio scolastico di cui sopra all'autorità giudiziaria, che ad oggi non risulta avere adottato alcun provvedimento.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul sito web «Tiscali notizie» il giorno 3 settembre 2012 è stato pubblicato un articolo a firma Paolo Salvatore Orrù dal titolo «Al mare in Sardegna tra proiettili e bombe in spiaggia: l'immondezzaio bellico nel paradiso di Capo Frasca»  –:
          quali immediate iniziative si intendano assumere per bonificare le aree interessate dalle attività militari e industriali che si svolgono nei poligoni della regione Sardegna;
          se a fronte della documentata presenza di ordigni di vario tipo, disseminati sul terreno e nelle acque marine del poligono militare, non si ritenga di dover accertare, per quanto di competenza, la responsabilità della mancata esecuzione delle bonifiche ambientali al termine delle attività e delle esercitazioni militari ed eventualmente segnalare i fatti e i responsabili alla procura competente per territorio per l'ulteriore valutazione dei profili e dei rilievi penali. (4-17541)

      Risposta. — Vorrei, innanzitutto, chiarire – con riferimento al titolo dell'articolo richiamato in premessa all'interrogazione in esame – che le caratteristiche morfologiche (pareti rocciose scoscese e assenza di spiagge praticabili) del poligono di Capo Frasca, associate ai percorsi obbligati dei velivoli per lo sgancio di armamento da esercitazione, sono tali da escludere dalla traiettoria di tiro, per motivi di sicurezza, eventuali interferenze con spiagge site nei pressi del poligono stesso.
      Pertanto quanto rappresentato nel titolo dell'articolo non riflette la realtà delle cose.
      Fatta questa precisazione, per quanto riguarda la bonifica delle aree della regione Sardegna interessate dalla presenza di poligoni, il Governo si era già attivato, rispettando gli impegni assunti, mediante l'inserimento nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2013, di una disposizione che prevedeva un finanziamento pari a 25 milioni di euro annui (nel triennio 2013-2015) per le opere di bonifica dei poligoni militari.
      Pur tuttavia, come noto, la V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha stralciato tale previsione normativa.
      Nell'evidenziare la sensibilità del Governo e, in particolare, della Difesa, alle problematiche di tutela ambientale e della salute della popolazione residente nelle aree circostanti i poligoni, rappresento che l'iniziativa di bonifica sarà, comunque, finanziata, a decorrere dal 2013, per gli stessi importi (25 milioni di euro annui nel triennio 2013-2015) attraverso gli ordinari stanziamenti di bilancio del Dicastero.
      Nel merito, invece, della «mancata esecuzione delle bonifiche» dell'area del poligono di Capo Frasca, si ribadisce che presso tale struttura viene usalo solo materiale inerte che non produce esplosioni di alcun tipo: si tratta, infatti, di artifizi da esercitazione – spesso riempiti di cemento – che, essendo inerti, frammentano dopo l'impatto.
      L'attività di bonifica viene effettuata periodicamente, in concomitanza della chiusura del Poligono, sulla base delle quantità di materiale impiegato che, dopo la raccolta, viene alienato come materiale speciale.
      Nel periodo settembre/ottobre 2011 è stata effettuata un'operazione di rimozione e di smaltimento del materiale ferroso rinvenuto nell'area, mentre è imminente il ciclo di bonifica dell'autunno 2012, anche se, a seguito della ridotta attività addestrativa svoltasi negli ultimi mesi, le quantità di materiale ferroso inattesa di raccolta sono ridotte.
      Si sta anche provvedendo, su richiesta del Comitato misto paritetico (COMIPA) della Sardegna, a redigere un disciplinare d'uso del poligono, allo scopo di regolamentare le procedure per autorizzare le attività che vi si svolgono all'interno.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      ZAMPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          numerose famiglie, che si sono rivolte a diversi enti autorizzati alle adozioni internazionali (Ai.Bi, Airone, Cifa, eccetera), segnalano che le procedure per le adozioni che interessano la Repubblica dello Sri Lanka sono ferme dal novembre 2011;
          in particolare, risulterebbero bloccate tutte le procedure, compresi gli abbinamenti già formalizzati, con la conseguenza che alcune coppie in lista d'attesa, con abbinamento formalizzato, si ritrovano ancora oggi, dopo un anno, con i documenti preliminari già firmati e foto relative al bambino già ricevute, ma senza speranza di partire;
          questa situazione si sarebbe determinata a seguito di una vicenda che avrebbe coinvolto una suora cattolica, (dell'ordine Suore di Madre Teresa di Calcutta), accusata di adozioni illegali e successivamente del tutto scagionata;
          nonostante le accuse si siano dimostrate palesemente infondate, le procedure adottive risultano ancora sospese; risulterebbe, in particolare, che sarebbe stata avviata una revisione di tali procedure, con la nomina di apposita commissione, che avrebbe tuttavia concluso i suoi lavori da mesi;
          gli enti italiani autorizzati segnalano inoltre di non aver ricevuto risposte alle richieste di informazioni avanzate al Department of Probation and Child Care Services of Sri Lanka (organismo preposto alle adozioni) e alle ambasciate della Repubblica dello Sri Lanka nonché all'ambasciata d'Italia a Colombo;
          le famiglie italiane restano così in un'interminabile attesa, senza alcuna notizia affidabile sui possibili sviluppi della situazione  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito alla situazione illustrata e alla posizione del Paese interessato;
          se non si ritenga di assumere iniziative per favorire la ripresa delle procedure di adozione internazionale con la Repubblica dello Sri Lanka, venendo incontro alle legittime speranze delle tante famiglie interessate. (4-18771)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Governo in merito ad alcune delicate questioni concernenti le adozioni internazionali, con particolare riferimento a quelle provenienti dallo Sri Lanka.
      L'interrogante, in particolare, partendo dalle segnalazioni ricevute dalle varie associazioni che operano nel settore, che denunciano un pressoché totale blocco delle adozioni nello Sri Lanka, sottolinea le difficoltà che si trovano ad affrontare numerose coppie che intendono adottare un bambino in tale Paese.
      Al riguardo, posso assicurare che il Governo è a conoscenza della vicenda specificamente segnalata e, più in generale, della difficoltà delle procedure per le adozioni internazionali di bambini provenienti dallo Sri Lanka.
      In proposito, mi pare importante sottolineare che, per quanto concerne la materia della adozioni, la normativa dello Sri Lanka prevede una competenza ripartita fra organismi a livello locale e centrale.
      In particolare, vi sono le Commissioni provinciali le quali sono competenti, in prima battuta, per l'individuazione dei minori da destinare a coppie srilankesi, mentre l'Autorità nazionale (
Department of probation and child care services) ha competenza per le residuali assegnazioni alle coppie straniere.
      Le Commissioni provinciali forniscono, quindi, all'Autorità nazionale l'elenco dei minori che non sono stati adottati da famiglie srilankesi e che sono pertanto a disposizione delle coppie straniere.
      Secondo i dati in possesso della Commissione per le adozioni internazionali, Autorità centrale per la Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, nel periodo dal 2001 al 2007, si è registrata una media annuale di 6 adozioni di minori srilankesi da parte di coppie italiane.
      Nel successivo quadriennio, vi è stato un incremento dei procedimenti adottivi (12 nel 2008, 14 nel 2009, 17 nel 2010 e 18 nel 2011), fino alla sospensione degli
iter d'adozione internazionale, stabilita dalle autorità locali a seguito di un presunto fenomeno di compravendita di minori.
      La sospensione delle procedure adottive, richiamata anche dall'interrogante, risale al novembre 2011. In quel periodo, infatti, le Autorità srilankesi (
National child protection authority) decisero di intervenire nei confronti dell'orfanotrofio Prem Nivasa di Moratuwa (20 chilometri a sud di Colombo), gestito dalle suore missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, che era stato accusato di favorire la compravendita di minori a favore di coppie straniere.
      Nell'arco di poche settimane, le accuse all'istituto si rivelarono infondate e il provvedimento sospensivo fu revocato. Tuttavia, a partire da tale episodio, anche per effetto dell'incremento del livello di benessere socio-economico che rende sempre più concreta la possibilità di procedere alle adozioni nazionali, le dinamiche interne in tale settore sono in evoluzione, con conseguente limitazione della possibilità di adozione internazionale.
      Dalla documentazione trasmessa dagli uffici risulta che, da gennaio 2012 ad oggi, sono state autorizzate 2 adozioni di minori srilankesi a favore di una coppia italiana. Al momento, sono disponibili solamente 4 o 5 minori per le adozioni internazionali, a fronte di un contingente massimo per il 2012, stabilito in
Gazzetta Ufficiale, di 75 bambini. Inoltre, sono circa 400 le famiglie straniere in lista di attesa, nonostante il ridotto numero di minori adottabili.
      Come riferito dagli uffici, le autorità srilankesi seguono – come prassi non scritta – un ordine di priorità per cui un bambino da adottare viene prima proposto a famiglie srilankesi, poi a genitori di cui almeno uno abbia la doppia cittadinanza (srilankese e straniera), successivamente a cittadini stranieri precedentemente srilankesi e, infine e solo in subordine, alle coppie straniere.
      L'attuale politica srilankese in materia è quella di invitare le nuove coppie straniere interessate ad un'adozione in Sri Lanka, a ponderare attentamente le difficoltà presenti ed a considerare eventualmente ipotesi alternative.
      Sono consapevole della delicata situazione in cui si vengono a trovare molte coppie italiane, che intendono adottare un bambino nello Sri Lanka, situazione in merito alla quale è stata richiamata l'attenzione del Governo da parte dall'interrogante.
      Sebbene non vi siano accordi bilaterali vigenti con lo Sri Lanka, posso tuttavia assicurare che il Ministero degli affari esteri, tramite la nostra Ambasciata a Colombo e in stretto raccordo con la competente Commissione per le adozioni internazionali, segue con estrema attenzione la situazione delle adozioni internazionali nello Sri Lanka, nell'interesse dei minori e delle coppie adottanti.

Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          Diego Lombardo, 52 anni, attualmente detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per una condanna definitiva per truffa risalente ad oltre quindici fa, è affetto da un carcinoma al polmone, come è stato certificato dalle due strutture sanitarie presso le quali sono stati eseguiti esami approfonditi;
          il signor Lombardo ha beneficiato della misura della detenzione domiciliare fino al 25 novembre 2011, quando la stessa gli è stata revocata per un cumulo di pena che superava i tre anni di condanna ed è stato immediatamente accompagnato in carcere per l'espiazione della pena residua;
          durante la detenzione domiciliare il signor Lombardo è stato autorizzato a recarsi senza scorta presso la struttura Neuromed di Pozzilli al fine di effettuare esami obbiettivi (PET) strumentali all'accertamento e alla corretta definizione di una massa tumorale, rilevata in un precedente accertamento clinico effettuato presso la clinica Pineta Grande di Castel Volturno;
          detti esami, avvenuti in data 24 novembre 2011 e 25 novembre 2011, hanno determinato che Diego Lombardo è affetto da «carcinoma polmonare dx con sospetti secondarismi a livello del lobo superiore bilateralmente», una patologia che per la sua gravità avrebbe richiesto un urgente ricovero presso una struttura oncologica specializzata, al fine di ottimizzare un approccio plurispecialistico, non escluso un intervento chirurgico;
          considerata la potenziale aggressività del tumore diagnosticato e la prognosi vitae incerta, lo specialista privato, sempre il 24 novembre 2011, ha rigorosamente ammonito che derogare a un ricovero immediato presso struttura ospedaliera idonea potrebbe compromettere la vita del signor Lombardo;
          in data 1° dicembre 2011, la direzione sanitaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere comunicava in una nota che la diagnosi presentata da Diego Lombardo al momento dell'arrivo, dopo ulteriori esami, era confermata, ribadiva che in data 28 novembre era stato richiesto un ricovero presso l'istituto tumori Pascale di Napoli (senza provvedere al ricovero pur richiesto e senza comunicare l'esito della richiesta di ricovero medesima) per la conferma della diagnosi e, infine, che la situazione era compatibile con il regime carcerario;
          in data 12 dicembre 2011, la difesa ha proposto formale sollecito alla direzione del carcere, affinché si provvedesse con massima urgenza a ricoverare il detenuto presso un centro oncologico, atteso che il decorso del tempo, senza le cure e gli approfondimenti diagnostici di rito, potrebbero essere causa di morte;
          solo di recente il signor Lombardo veniva ricoverato in ospedale (prima al Monaldi e poi al Cardarelli di Napoli) dove di fatto gli venivano effettuate solo una TAC e una radiografia e all'esito degli accertamenti è risultato un ingrandimento (rispetto all'esame effettuato presso la Neuromed di Pozzilli) della massa tumorale di circa 3 centimetri oltre che la manifestazione di una nuova massa tumorale, esiti causati dalla inerzia e dall'assenza di cure, nonostante i numerosi solleciti, formalizzati nelle dovute sedi dalla difesa;
          in data 26 gennaio 2012, per ridimensionare la massa tumorale era stato disposto nuovamente un trasferimento in ospedale per l'inizio di un primo ciclo di chemioterapia, alla fine del quale il signor Lombardo sarebbe stato in giornata – così gli era stato comunicato al detenuto – ritradotto in carcere; comunque, neanche questo ricovero temporaneo è stato possibile, perché il detenuto, arrivato all'ospedale Pascale per la prima chemioterapia, non è stato accettato per mancanza di posti;
          la difesa di Diego Lombardo ha reiterato la richiesta di sospensione della esecuzione della pena per gravi motivi di salute con contestuale applicazione della misura provvisoria della detenzione domiciliare o in qualsiasi struttura specializzata oncologica, rilevando che dall'ulteriore ritardo nel disporre l'invocato ricovero o la concessione della detenzione domiciliare potrebbero derivare delle conseguenze mortali e, in ogni caso, irreversibilità dannose, tanto più se si considera che dalla prima istanza datata 28 novembre 2011, il signor Lombardo non è stato ancora ricoverato presso un centro oncologico specializzato, adeguato in termini di permanenza e complessità di interventi alla gravità della patologia;
          l'articolo 1 del decreto legislativo n.  230 del 1999 afferma che «I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci e appropriate»;
          l'articolo 11 della legge n.  354 del 1975, al comma 2, recita «Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura (...); al comma 5 «All'atto dell'ingresso nell'istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L'assistenza sanitaria è prestata, nel corso della permanenza nell'istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati»; al comma 6 «Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche»;
          con la recentissima sentenza n.  46479 del 14 dicembre 2011, la quarta sezione penale della Cassazione ha fatto notare che «il diritto alla salute va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture»  –:
          se disponga di elementi con riferimento a quanto esposto in premessa circa la gravità dell'attuale stato di salute del signor Diego Lombardo;
          se corrisponda al vero, in particolare, che il 26 gennaio scorso, arrivato all'ospedale Pascale per il primo ciclo di chemioterapia, il detenuto non è stato accettato per mancanza di posti e che, dopo la chemioterapia, il signor Lombardo sarebbe dovuto comunque ritornare in carcere e affrontare in una cella tutte le conseguenze fisiche e psicologiche di una terapia del genere;
          come mai non sia stato disposto, come chiedevano da almeno due mesi i famigliari e i difensori di Diego Lombardo, un ricovero immediato presso una struttura oncologica specializzata per poter intervenire subito a causa dell'estrema aggressività del tumore, che nel frattempo ha continuato a crescere, al punto che si sarebbe poi reso necessario il ciclo di chemio per ridimensionare la massa tumorale in particolare se sussistessero i presupposti di urgenza in base ai quali il ricovero può essere disposto anche dal direttore del carcere;
          se non si ritenga di precisare, anche attraverso apposite iniziative normative, in maniera inequivoca che situazioni nosologiche quali quelle descritte in premessa, una volta certificate dalle strutture sanitarie pubbliche, producano effetti giuridici certi ed automatici sancendo, ipso iure, l'incompatibilità delle medesime con il regime di detenzione in carcere. (4-14675)

      Risposta. — Nell'allegato B al resoconto della seduta del 30 gennaio 2012 l'interrogante proponeva l'interrogazione in esame concernente le condizioni di salute di Diego Lombardo detenuto presso la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere.
      Segnalava l'interrogante che il Lombardo era affetto da una aggressiva forma di carcinoma polmonare con prognosi di vita incerta e che necessitava di ricovero immediato presso strutture ospedaliere idonee. Nonostante il compromesso quadro clinico e le sollecitazioni del difensore del Lombardo, non era stata accolta la richiesta di sospensione della esecuzione della pena, né era stata applicata provvisoriamente la detenzione domiciliare anche presso struttura oncologica specializzata.
      Sulla scorta di tali emergenze, i parlamentari, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento e l'orientamento espresso anche di recente dal Giudice di legittimità, che pone il diritto alla salute al di sopra delle esigenze di sicurezza e impone, in presenza di gravi patologie, la concessione al condannato della detenzione domiciliare o del ricovero in idonea struttura, chiedevano i motivi che avevano impedito il tempestivo ricovero del Lombardo in struttura oncologica specializzata e quali iniziative di modifica legislativa si intendesse intraprendere per rendere il ricovero in strutture sanitarie idonee, una conseguenza immediata e diretta dell'accertata incompatibilità con il regime carcerario.
      Su tale ultimo punto si segnala che non sono all'esame dell'Ufficio legislativo del Ministero ipotesi di modifica del quadro normativo richiamato nella interrogazione.
      Nel merito va precisato che il Lombardo giungeva nell'istituto di Santa Maria Capua Vetere, provenendo dagli arresti domiciliari, in data 25 novembre 2011; il medico di guardia vista la patologia dichiarata all'anamnesi e valutata la documentazione agli atti, ne richiedeva il ricovero, in tempi brevi, presso l'istituto dei tumori Pascale di Napoli. La predetta richiesta, per vero, veniva reiterata il 28 novembre 2011 dal medico di reparto.
      Il 28 novembre 2011 il medico referente dell'istituto (d'ora in avanti m.r.i.) comunicava al direttore le condizioni cliniche del Lombardo specificando che in tempi brevi avrebbe provveduto sulla richiesta di ricovero.
      In data 1o dicembre 2011 su richiesta del Magistrato di sorveglianza, il m.r.i. relazionava nuovamente sulle condizioni di salute del Lombardo, esprimendo, in attesa del ricovero presso l'istituto dei tumori Pascale, parere di compatibilità con il regime carcerario; precisava tuttavia che il detenuto per la sua patologia, richiedeva costanti contatti con i presidi sanitari territoriali.
      Il 20 dicembre 2011 il Lombardo praticava la consulenza oncologica presso l'istituto dei tumori Pascale, tuttavia per ragioni tecniche l'istituto predetto segnalava l'impossibilità ad intervenire in tempi brevi. Il m.r.i riferiva al direttore gli inconvenienti riscontrati e richiedeva l'intervento dell'autorità giudiziaria per sollecitare i tempi di ricovero.
      Attese le difficoltà segnalate dall'istituto Pascale, il medico di reparto richiedeva ulteriore consulenza oncologica in tempi brevi presso l'ospedale Monaldi di Napoli, quindi il 23 dicembre 2011, il direttore richiedeva all'istituto Pascale, e per conoscenza al Magistrato di sorveglianza, il ricovero a vista per il trattamento della patologia refertata.
      In data 3 gennaio 2012 il Lombardo praticava esame tac presso l'ospedale Moscati di Aversa; il giorno seguente, veniva ricoverato presso l'ospedale Monaldi di Napoli e successivamente veniva trasferito presso la sezione detenuti dell'Ospedale Cardarelli di Napoli ove restava ricoverato fino al 17 gennaio 2012. All'atto della dimissione veniva formulata richiesta di esami ematici ed appuntamento per il giorno 26 gennaio 2012 per ciclo di chemioterapia.
      In data 24 gennaio 2012, su richiesta del Tribunale di sorveglianza di Napoli, il medico del reparto riferiva che le condizioni di salute del detenuto erano tali da richiedere costanti ed improcrastinabili contatti con i presidi sanitari territoriali; quindi, il 26 gennaio 2012, come da appuntamento, il Lombardo veniva inviato in
day hospital presso l'ospedale Cardarelli di Napoli. Nell'occasione veniva prenotato il ricovero per il successivo 31 gennaio 2012 per ciclo di chemioterapia.
      In data 31 gennaio 2012, su richiesta dell'ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, il m.r.i. esprimeva parere di incompatibilità con il regime ordinario di detenzione; quindi in data 1o febbraio 2012 il detenuto veniva scarcerato.
      In conclusione, quanto sopra riportato, manifesta la assoluta insussistenza di condotte negligenti o non curanti delle condizioni di salute del Lombardo, il quale ha ricevuto tutte le cure necessarie e, non appena accertata la incompatibilità delle sue condizioni con il regime detentivo, è stato immediatamente scarcerato.

Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.