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Temi dell'attività Parlamentare

Occupazione, lavoro e professioni

In materia di lavoro il legislatore è intervenuto a più riprese e, in alcuni casi, con provvedimenti ad ampio spettro (come nel caso del c.d. collegato lavoro ) e con finalità di riforma strutturale di importanti istituti  (come con la legge di riforma del mercato del lavoro , che ha rivisto le forme contrattuali flessibili, la flessibilità in uscita e il sistema degli ammortizzatori sociali).

Nella prima parte della legislatura gli interventi sono in buona misura riconducibili all’esigenza di affrontare le conseguenze occupazionali della crisi economica internazionale.

Per quanto concerne le misure di sostegno al reddito, il Governo, dopo aver accantonato l’ipotesi di una riforma complessiva del sistema degli ammortizzatori sociali (che avrebbe potuto utilizzare un’ampia delega ereditata dalla precedente legislatura, i cui termini erano stati nel frattempo riaperti) è intervenuto con una serie di decreti-legge incidenti su istituti di sostegno al reddito vigenti, con l’obiettivo di prorogarne la fruibilità oltre i limiti temporali previsti e di estenderne il campo di applicazione a settore esclusi (ammortizzatori “in deroga”).

Un grande sforzo è stato rivolto, quindi, al reperimento delle ingenti risorse necessarie a dare copertura finanziaria ai nuovi interventi, cui si è provveduto attraverso un’attività di intensa collaborazione tra livelli istituzionali, che ha consentito di convogliare sull’ “emergenza” degli ammortizzatori sociali in deroga risorse di competenza comunitaria, statale e regionale.

In tale contesto particolare rilevanza assumono l'Accordo Stato-Regioni del 12 febbraio 2009 , con il quale sono stati reperiti 8 miliardi di euro e l'Accordo Stato-Regioni del 20 aprile 2011, che ha prorogato gli interventi al biennio 2011-2012.

 

Per quanto attiene alla contrattazione collettiva e al sistema delle relazioni industriali (oggetto di un’ampia ed articolata indagine conoscitiva della XI Commissione della Camera dei deputati, conclusasi con un documento ove si delineano le possibili linee evolutive dello storico Protocollo tra Governo e parti sociali del luglio 1993), partendo dall’esigenza di superare la tradizionale configurazione centralistica del sistema (ritenuto non più idoneo alle esigenze di un’economia aperta e in rapida evoluzione), le politiche legislative sono state indirizzate a una complessiva ridefinizione del sistema dei rapporti tra legge e fonti contrattuali, valorizzando il ruolo delle fonti pattizie (in molti casi peraltro facendo salvo l’intervento suppletivo della fonte pubblica) e, in particolare, della contrattazione di secondo livello (c.d. contrattazione di prossimità).

Tale indirizzo ha trovato attuazione attraverso l’importante filone normativo della tassazione agevolata dei contratti di produttivita' , introdotta nel 2008 (originariamente in via transitoria e con carattere sperimentale) con l’obiettivo di legare crescenti componenti dei redditi da lavoro dipendente (nel solo settore privato) all’andamento economico delle imprese e agli incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa realizzati a livello aziendale (o territoriale). Il beneficio fiscale, consistente nell’applicazione sulle remunerazioni oggetto di agevolazione di una imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali in misura pari al 10%, è stato prorogato, di anno in anno (sebbene secondo parametri e soglie di reddito diverse, che ne hanno in alcuni anni depotenziato gli effetti) fino al 2014.

In tale contesto l'intervento normativo di maggiore portata è tuttavia  rappresentato dall'articolo 8 del D.L. 138/2011 che (andando per certi versi oltre quanto definito in materia, poco prima dell’entrata in vigore della norma, dalle parti sociali con l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 ) ha posto le basi per un mutamento strutturale del sistema di relazioni sindacali nel nostro Paese. Ribaltando il tradizionale rapporto tra fonti in ambito lavoristico (legge - contratto collettivo nazionale - contratti aziendali), tale norma ha infatti configurato la possibilità di stipulare intese a livello aziendale (o territoriale), sottoscritte dai sindacati più rappresentativi o dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, anche in deroga ai contratti collettivi nazionali e a norme di legge.

Per quanto concerne la sicurezza sui luoghi di lavoro , la materia ha trovato compiuta sistemazione attraverso l’esercizio di un’ampia delega ereditata dalla precedente (XV) legislatura. L’esigenza di riformare e razionalizzare la normativa di settore, anche al fine di tradurre nell’ordinamento interno una disciplina comunitaria in continua evoluzione, ha tratto spinta dal crescente allarme sociale generato dal fenomeno degli infortuni sul lavoro. Il nuovo quadro normativo definisce un innovativo sistema di prevenzione e sicurezza a livello aziendale, basato sulla partecipazione attiva, con ruoli e responsabilità diverse, di una serie di soggetti chiamati a collaborare con l’obiettivo comune di pervenire alla definizione di un ambiente di lavoro sicuro e salubre. Dopo l’attuazione della delega in avvio di legislatura, l’impianto normativo che ne è scaturito è stato oggetto di successive messe a punto (anche alla luce dell’esperienza applicativa nel frattempo emersa) con appositi e circoscritti interventi correttivi, principalmente volti ad alleggerire il carico burocratico per le imprese (soprattutto di minori dimensioni), contrastare la pratica dei ribassi d’asta nell’ambito delle gare di appalto realizzati attraverso una riduzione delle spese per la sicurezza, adeguare l’apparato sanzionatorio, prevenire i rischi derivanti dal rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri interessati da attività di scavo. Nell’ambito del processo di accorpamento e razionalizzazione del sistema degli enti pubblici nazionali si è provveduto, invece, all’accorpamento di ISPESL e IPSEMA all’interno dell’INAIL, configurando un polo amministrativo unitario della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Un momento centrale dell’azione politica del Governo (Berlusconi) in materia di lavoro è costituito dall’esame parlamentare del collegato lavoro (disegno di legge governativo collegato alla manovra di finanza pubblica 2009-2013). Nel più generale quadro delle politiche volte a deflazionare il contenzioso giudiziale, il provvedimento reca una disposizione che consente l’apposizione di clausole compromissorie all’interno dei contratti individuali di lavoro, con le quali le parti si impegnano a devolvere ad un arbitro, chiamato a decidere secondo equità, le future controversie aventi ad oggetto il rapporto di lavoro. L’ampiezza dell’ambito applicativo della norma, che nel suo testo originario si estendeva fino alle controversie relative al recesso dal contratto, suscitava un ampio (e, in alcune circostanze, aspro) dibattito tra le forze politiche e sociali, alcune delle quali vedevano in tale misura il tentativo di aggirare le tutele apprestate dalla legge a favore del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo . Dopo un lungo esame parlamentare e il rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, la portata innovativa della norma è stata significativamente circoscritta, escludendo in particolare che possano essere devolute ad arbitri le controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro.

L’importanza del provvedimento si collega, poi, al conferimento al Governo di alcune ampie deleghe (in materia di ammortizzatori sociali, lavori usuranti, apprendistato, occupazione femminile, enti vigilati), alcune delle quali peraltro non esercitate. In particolare, l’attuazione della delega sull’ apprendistato (e il successivo intervento della legge di riforma del mercato del lavoro) ha portato ad un ampia riforma dell’istituto (al quale entrambi i Governi succedutisi nell’ambito della legislatura hanno guardato come a un fondamentale volano di ripresa occupazionale, che tuttavia non sembra ancora esprimere appieno le proprie potenzialità), che ruota attorno alla semplificazione e all'unificazione della regolamentazione normativa, economica e previdenziale del contratto (applicabile a tutti i settori pubblici e privati), a un più sostanziale coinvolgimento delle parti sociali (attraverso il rinvio, per molti profili, alla disciplina di derivazione contrattuale) e all’incremento numerico degli apprendisti occupabili da uno stesso datore di lavoro.

 Altre misure di rilievo contenute nel “collegato” lavoro riguardano la conciliazione nell’ambito delle controversie di lavoro (non più obbligatoria), il contrasto del lavoro sommerso (con un inasprimento delle sanzioni), la certificazione dei contratti di lavoro (che viene rafforzata ed estesa, anche al fine di circoscrivere la discrezionalità giudiziale), i termini di impugnazione dei licenziamenti (notevolmente ridotti), la mobilità del personale pubblico.

 

Con l’aggravarsi della crisi occupazionale e l’entrata in carica del nuovo Governo (Monti), riprende slancio (anche a seguito dei solleciti di autorevoli istituzioni internazionali) il dibattito sull’esigenza di un intervento di modernizzazione del mercato del lavoro, che da un lato contrasti fenomeni di precarizzazione (soprattutto giovanile), dall’altro garantisca la flessibilità (anche in uscita) richiesta dai processi produttivi di una economia aperta alla globalizzazione, il tutto all’interno di un rinnovato e più inclusivo quadro di strumenti di sostegno del reddito in caso di disoccupazione.

La parte terminale della legislatura è quindi contrassegnata dalla discussione e dalla approvazione (nonché dalla successiva manutenzione, attraverso puntuali e circoscritti interventi normativi) della L. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro , che interviene sulle forme contrattuali flessibili, sulle conseguenze del licenziamento illegittimo (con la modifica dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori) e sugli ammortizzatori sociali(con l'introduzione dell'ASpI).

Nell’ambito di una razionalizzazione delle tipologie contrattuali esistenti, la legge configura il contratto a tempo indeterminato quale contratto prevalente, disincentivando il ricorso ai contratti a tempo determinato. Si delinea l’apprendistato quale contratto tipico per l’accesso al mercato del lavoro (nonché per l’instaurazione di rapporti a tempo indeterminato), ampliandone le possibilità di utilizzo (si innalza il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2) e valorizzandone il ruolo formativo. Si procede verso una redistribuzione delle tutele dell’impiego, da un lato contrastando l’uso improprio degli elementi di flessibilità relativi a talune tipologie contrattuali, dall’altro adeguando la disciplina dei licenziamenti ,collettivi ed individuali). Con riferimento ai licenziamenti individuali, in particolare, si interviene operando importanti modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che reca la cd. tutela reale, consistente nella reintegrazione nel posto di lavoro). Più specificamente, lasciando inalterata la disciplina dei licenziamenti discriminatori (ove si applica sempre la reintegrazione), si modifica il regime dei licenziamenti disciplinari (mancanza di giustificato motivo soggettivo) e dei licenziamenti economici (mancanza di giustificato motivo oggettivo): queste ultime due fattispecie presentano un regime sanzionatorio differenziato a seconda della gravità dei casi in cui sia accertata l’illegittimità del licenziamento, il quale si concretizza nella reintegrazione (casi più gravi) o nel pagamento di un’indennità risarcitoria (casi meno gravi). Infine, si introduce uno specifico rito per le controversie giudiziali aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti.

La legge opera, poi, un’ampia revisione degli strumenti di tutela del reddito, attraverso la creazione di un unico ammortizzatore sociale (Aspi – Assicurazione sociale per l’impiego) in cui confluiscono l’indennità di mobilità e l’indennità di disoccupazione.

Infine, la legge introduce strumenti volti al rafforzamento delle politiche attive del lavoro e del ruolo dei servizi per l’impiego, nonché  incentivi per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per il sostegno dei lavoratori anziani.

Per quanto riguarda le professioni, si ricorda, in primo luogo, che le professioni ordinistiche sono state interessate da un’organica opera di delegificazione, nel segno della liberalizzazione del settore. Sul punto si rinvia all’area tematica Diritto e Giustizia . Inoltre, per la prima volta, il Parlamento ha dettato una disciplina organica delle professioni non regolamentate , diffuse in particolare nel settore dei servizi, che non necessitano di alcuna iscrizione ad un ordine o collegio professionale per poter essere esercitate.

Informazioni aggiornate a mercoledì, 20 febbraio 2013