XVI LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 210 di martedì 28 luglio 2009
Pag. 1PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI
La seduta comincia alle 11,50.
RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brancher, Caparini, Casero, Cicchitto, Cota, Donadi, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Jannone, Martini, Migliavacca, Milanato, Mura, Saglia, Stucchi, Urso, Valducci e Vegas sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 11,58).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali (2561-A) (ore 12).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali.
Ricordo che nella seduta del 27 luglio 2009 si è concluso l'esame degli ordini del giorno.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 2561-A)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ricordo che è stata disposta la ripresa televisiva diretta delle dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà per tre minuti.
KARL ZELLER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, pur apprezzando lo sforzo del Governo di varare misure a sostegno delle imprese e delle famiglie, impegno certamente non facile per la ristrettezza dei fondi a disposizione, riteniamo che il decreto-legge in esame presenti misure inadeguate e poco incisive. Oltre a contenere incentivi insufficienti per le imprese piccole e medie, li grava di Pag. 2ulteriori spese e oneri burocratici invece di renderli più agevoli. Mi riferisco in particolare all'introduzione della stretta sulle compensazioni IVA e all'obbligo di certificazione da parte di un professionista.
L'innalzamento dell'età pensionabile per le donne andava inoltre accompagnato da concrete misure in favore delle lavoratrici madri, di cui, nel provvedimento, inspiegabilmente non si trova traccia.
Giudichiamo inoltre profondamente lesiva delle prerogative costituzionali delle autonomie speciali la costituzione di un fondo nazionale di almeno 300 milioni di euro per attività sociali di pertinenza regionale, decurtando con effetto retroattivo, a decorrere dal 2009, l'ammontare dei proventi spettanti alle regioni e alle province autonome. Tale misura è palesemente incostituzionale non solo dal punto di vista formale, ma anche nella sostanza. Il Governo non può non sapere che il sistema di finanziamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome è dettato da norme di rango costituzionale, alle quali non è possibile derogare con legge ordinaria.
Il ricorso a norme retroattive a bilanci fatti è intollerabile ed è un cattivissimo esempio del federalismo fiscale come concepito da questo Governo. Prendiamo atto che il collega Fugatti in extremis e dopo le nostre proteste in Commissione ha inserito l'inciso «compatibilmente con gli statuti di autonomia», ma ciò non toglie la palese contraddittorietà della norma che va certamente cassata dalla Corte costituzionale.
Lo stesso si può dire per la contribuzione forzata al Servizio sanitario nazionale da parte delle province autonome di Trento e di Bolzano e della Valle d'Aosta. È davvero assurdo obbligarci ad alimentare un fondo dal quale ormai da una decina di anni non prendiamo più neanche un centesimo, perché la sanità è completamente autofinanziata.
Il percorso scelto dall'Esecutivo con il ricorso alla questione di fiducia ha poi esautorato, per l'ennesima volta, questo Parlamento. Per queste ragioni, come Minoranze linguistiche, voteremo contro il provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Baccini. Ne ha facoltà per tre minuti.
MARIO BACCINI. Signor Presidente, volevo soprattutto sottolineare la lettura da parte dell'onorevole Lusetti del processo verbale, perché è la prima volta che abbiamo occasione di comprenderlo bene. Proprio per questa ragione, signor Presidente, vogliamo intervenire su un provvedimento che riteniamo importante e strategico per il nostro Paese, che ha bisogno di uscire da questa crisi economica con la chiarezza di un linguaggio politico che fino ad ora non c'era mai stata.
L'iniziativa delle Commissioni bilancio e finanze della Camera dei deputati ha dato un indirizzo preciso al Governo, un indirizzo che ha consentito al Governo del nostro Paese di avere una minore timidezza nel confronti di temi sensibili come il lavoro, lo sviluppo economico, il sostegno ad attività produttive ma, in particolare, alla microfinanza come soluzione di lotta alla povertà, che nel nostro Paese ha raggiunto livelli significativi.
Il Santo Padre e il Presidente Obama hanno richiamato nel G8, insieme alla regia del Governo del nostro Paese, i temi fondamentali dell'agenda politica non solo europea, ma internazionale. Ritroviamo in questo provvedimento non solo un'azione politica intelligente, ma anche un'azione che dà una risposta politica ai temi di cui abbiamo parlato e di cui stiamo parlando in questi ultimi mesi, nonostante che il nostro Paese viva da quindici anni in assenza di riforme strutturali e che le nostre imprese siano in competizione tra loro e nel mondo e che i Paesi siano in competizione tra loro sia in Europa sia nel mondo.
Questo è il primo provvedimento che traccia una strada affinché le famiglie italiane, i settori produttivi, ma soprattutto quelle fasce non bancabili escluse finanziariamente dal credito possano avere una Pag. 3speranza. In sostanza, dietro questo provvedimento, riteniamo vi sia una volontà politica e cioè quella che la persona possa diventare finalmente oggetto dell'attenzione politica dei Governi. Con questo sentimento, signor Presidente, annunciamo il nostro voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Repubblicani, Regionalisti, Popolari).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Commercio. Ne ha facoltà per sei minuti.
ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo già avuto occasione di rilevare come il provvedimento si sostanzi in una sommatoria di microinterventi sganciati da una strategia generale di contrasto alla crisi economica internazionale, che attanaglia anche il nostro Paese, e di quanto appaia di conseguenza inadeguato rispetto a ciò che avrebbe richiesto piuttosto la gravità della situazione.
Il nostro giudizio, già espresso in maniera più che eloquente attraverso la nostra decisione di non partecipare al voto di fiducia, era e rimane fortemente critico. Inoltre, questo provvedimento produrrà solo effetti redistributivi limitati, le cui ricadute territoriali comporteranno un aggravamento dell'enorme divario tra il nord e il sud del Paese.
Valga per tutti l'esempio dell'articolo 5 del provvedimento, che avvantaggia poche aziende, la maggior parte delle quali ubicate al nord e alle quali andrà circa 1 miliardo 800 milioni dei 2 miliardi stanziati in totale. Il ritardo del Mezzogiorno e la sua carenza di infrastrutture costituiscono il maggiore problema strutturale della nostra economia.
La situazione di grave crisi economica che investe il Paese avrebbe richiesto un'articolazione di interventi tale da consentire, soprattutto nelle aree depresse del Paese, una possibilità di ripresa.
In tale contesto, di contro, la nostra azione politica e parlamentare è stata orientata a dotare le regioni meridionali di un sistema creditizio e finanziario in grado di accompagnare e promuovere la crescita dimensionale delle imprese, la loro innovazione e l'internazionalizzazione, e a favorire lo sviluppo del tessuto produttivo meridionale attraverso forme di fiscalità di vantaggio. Tutte queste proposte non hanno avuto il necessario supporto politico del Governo e della maggioranza.
Abbiamo più volte coerentemente invocato un dialogo costruttivo che riportasse il sud al centro del dibattito politico nazionale e dell'azione di Governo. Oggi quel messaggio sembrerebbe finalmente essere arrivato a destinazione. Da giorni oramai campeggiano sulle prime pagine delle maggiori testate nazionali i roboanti programmi mediatici sui nuovi piani Marshall e piani straordinari per il rilancio del Mezzogiorno.
Ma non basta. Certamente non abbasseremo la guardia, perché sappiamo che a volte, dietro annunci sapientemente ammantati di dettagli economici, si cela il raggiro, come nel caso della recente notizia divulgata dal Governo che il decreto-legge che stiamo per votare libererebbe ingenti risorse per l'avvio dei lavori per la realizzazione del ponte sullo Stretto. Infatti, a guardare bene dentro le cifre, si scopre che nella realtà non si tratta di nuovi stanziamenti, ma di un rimpasto di fondi esistenti, una sorta di partita di giro nella quale i mille e 300 milioni di euro stanziati dall'articolo 4 del provvedimento (in conto impianti per la realizzazione dell'opera) altro non sono che le risorse già stornate dal CIPE in data 6 marzo 2009 dai fondi FAS.
Sempre i fondi FAS, utilizzati negli ultimi anni come bancomat improprio, si sono trasformati in uno strumento per il contenimento della spesa pubblica nazionale per gli investimenti. Più che promuovere lo sviluppo del sud, hanno aiutato il risanamento dei conti del Paese, liberando ingenti risorse finanziarie da distribuire su tutto il territorio nazionale. In futuro dovranno continuare ad essere lo strumento di finanziamento per le politiche di sviluppo per le aree sottoutilizzate del Pag. 4Paese, aree dove queste risorse vanno ad aggiungersi a quelle ordinarie, comunitarie e nazionali di cofinanziamento.
Oggi diciamo anche «basta» con la retorica sullo sperpero delle risorse pubbliche nelle regioni meridionali, servita come clava ideologica per realizzare quella radicale inversione delle politiche regionali delle regioni svantaggiate verso le regioni più forti del Paese.
Vogliamo ancora credere che tutte le nostre preoccupazioni fin qui espresse troveranno presto una risposta concreta ed adeguata attraverso il piano straordinario per il Mezzogiorno di lunga durata. L'emergenza sud, onorevoli colleghi, dovrà diventare un'emergenza nazionale. Dal sud sappiamo che può arrivare la spinta necessaria per dare competitività al sistema Italia. Il meridione non si può più accontentare di saldi o di mance, perché si aspetta che dal Mezzogiorno «parlato» si passi a quello dei fatti.
Registriamo, tuttavia, con favore i buoni intendimenti pronunciati dal capo del Governo che ci auguriamo essere seguiti dai fatti. D'ora in avanti manterremo, quindi, le mani libere e gli occhi sempre aperti.
Onorevoli colleghi, per le ragioni espresse e coerentemente con gli impegni assunti con le popolazioni del Mezzogiorno, il Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud non voterà il provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Pietro. Ne ha facoltà per dieci minuti.
ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, che non c'è, noi no: noi dell'Italia dei valori esprimiamo tutta la nostra contrarietà al decreto-legge che ci avete proposto, anzi imposto con il voto di fiducia. Le ragioni della nostra contrarietà sono molteplici, ma tutte unite dallo stesso filo logico: la nostra avversione al suo modo di governare, signor Presidente del Consiglio, fatto di furbizie, scorciatoie, doppi pesi e doppie misure, inconsistenza di contenuti, vendita di fumo, gioco delle tre carte con gli stessi fondi a disposizione. Si tratta di fondi che una volta vengono messi in un capitolo e un'altra in un capitolo diverso, solo per far credere che ci si occupa di tutto e, invece, non risolvete mai nulla.
Noi dell'Italia dei Valori denunciamo innanzitutto quello che manca nella manovra: il sostegno ai più deboli e alle aree sottosviluppate. Ci si attendeva un ampliamento delle misure a sostegno del reddito dei soggetti più deboli. Non è arrivato niente. Ci si attendeva l'individuazione di qualche misura di sostegno a favore dei lavoratori dipendenti, dei parasubordinati, dei precari, che non hanno diritto a nessun ammortizzatore sociale in caso di sospensione o cessazione del lavoro. Nulla.
La Banca d'Italia - si sa - stima in circa un milione e seicentomila i lavoratori precari e ci ricorda che nelle famiglie in cui sono presenti i lavoratori atipici l'incidenza della povertà è quasi del 50 per cento (esattamente del 47 per cento). Per questi non vi è nulla.
È evidente che il lavoro flessibile è una necessità delle imprese, ma tra un lavoro flessibile e un altro, un Governo che rispetti il Paese e i suoi cittadini deve prevedere il diritto per i lavoratori ad essere sostenuti, così come avviene per ogni altro tipo di lavoratore, anche se precario.
Ci si attendeva l'individuazione di nuove risorse ed invece sono sempre le stesse, che vengono usate come una partita di giro, tra un capitolo e l'altro, con l'aggravante che spesso sono state tolte risorse ai fondi per gli investimenti per darle a quelli per le spese correnti. Un esempio lampante - cominciamo con gli esempi - è lo sperpero, anzi la malversazione delle risorse FAS 2007-2013, che sono state spostate su altri obiettivi, diversi da quelli previsti dalla legge, quali il pagamento di debiti di Alitalia, faraoniche opere pubbliche inutili, come il ponte sullo Stretto di Messina, la cassa integrazione, lo smaltimento dei rifiuti, e così via. Un altro esempio è lo sbandierato piano casa: 550 milioni di euro di Pag. 5questi fondi sono stati messi a suo tempo a disposizione dal Governo Prodi; sono sempre e solo quelli, con la differenza che prima erano destinati all'edilizia pubblica, quella che serve per le persone più bisognose, ed ora per l'edilizia privata, quella degli speculatori e degli affaristi.
Un altro esempio ancora è la tuttora irrisolta questione meridionale che dimostra lo scarso interesse del Governo per il sud del Paese, non solo per quanto riguarda l'assegnazione e la distribuzione dei fondi, ma sopratutto per ciò che concerne il sistema dei controlli, che a noi dell'Italia dei Valori sta a cuore. Anche qui un esempio di controlli compiacenti e di connivenze: il mio Molise, signor Presidente del Consiglio, ove, a fronte di un buco finanziario vertiginoso ed insostenibile del sistema sanitario, buco provocato - lo denuncio pubblicamente qui in Aula - dal presidente della regione Michele Iorio, ebbene il Governo ne dichiara il dissesto, nomina un commissario, ma lo individua nello stesso Michele Iorio. Come a dire: affidare a un ladro la cassaforte della banca!
Queste sono solo alcune delle miriadi di manchevolezze che si possono elencare per delineare la prima ragione del nostro voto contrario al provvedimento anticrisi: un provvedimento monco, senza strategia, senza interventi di sostegno all'economia; un provvedimento senza anima, senza volontà di svolta per il Paese; un provvedimento che non risolve né il debito pubblico né l'evasione fiscale.
Altra ragione per cui noi diciamo «no» a questo provvedimento è il mancato sostegno alle imprese. Sì, signor Presidente, lei ogni giorno millanta che sta dalla parte delle imprese; sì, ma quali? O meglio, quali altre oltre a quelle di famiglia o della ristretta cerchia di imprenditori amici suoi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)? Solo così si spiega il continuo ricorso all'assegnazione - altro esempio - di commesse e lavori in deroga alla legge sugli appalti, come la vicenda TAV, ove ha eliminato la previsione di mettere i lavori in gara per evitare il raddoppio dei costi, come è avvenuto finora. E che dire, signor Presidente del Consiglio, che non c'è, della famigerata join venture RAI-Mediaset per eliminare un suo agguerrito concorrente sulla scena delle imprese addette all'informazione, come Sky di Murdoch? E che dire, infine, della fatwa dai lei lanciata per spingere gli imprenditori a non affidare la propria pubblicità aziendale a quegli organi di informazione che si permettono di criticarla?
Ma soprattutto, proprio per quel che riguarda il merito dell'attuale decreto anticrisi, lei, Berlusconi, adotta ancora una volta due pesi e due misure: la previsione dell'esenzione fiscale riservata solo alle grandi imprese, mentre sono totalmente escluse le piccole imprese, vale a dire il cuore dell'economia italiana. Ma tanto si sa: a lei stanno a cuore le saccocce delle aziende sue e degli amici e compari suoi, non quelle degli italiani! La sua politica del resto, signor Presidente del Consiglio, che non c'è, è ben nota e non si smentisce mai: è sempre quella di far pagare ai poveri e di far guadagnare i disonesti.
E a proposito di disonesti: che dire della politica dei condoni? L'unico strumento che lei, presidente Berlusconi, sa immaginare per affrontare le crisi economiche è la politica dei condoni. Anche questa volta ci riprova: con la scusa che allo Stato servono soldi, ne approfitta per aiutare i criminali a lavare il denaro sporco e ad assicurare loro l'impunità, anzi, ad assicurarsela anche per sé, visto che di fondi neri occultati nelle banche compiacenti e in Paesi offshore se ne intende benissimo, come dimostra la sentenza Mills ed il conto All Iberian a lei facente capo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Né si venga a dire che sono esclusi dal condono i proventi da reato: come si fanno a scoprire i reati se ogni volta che una persona viene presa con le mani nel sacco basta che fa una ricevutina bancaria in cui si dice che ha fatto il condono e che, quindi, nei suoi confronti non si può procedere?
I reati di riciclaggio vengono scoperti e provati dopo che vengono ritrovati i soldi Pag. 6illeciti, ma se li si passa prima nella lavatrice dello scudo fiscale non potranno mai essere scoperti. Insomma, lei ha introdotto un nuovo sistema, quello dell'autocertificato di buona condotta che uno si fa e in questo modo poi può delinquere come gli pare e piace. Lei sta facendo un'altra amnistia, un condono totale e tombale per molti, moltissimi contribuenti, il tutto mentre anche lei e molti amici e sodali suoi sono ancora sotto processo per reati simili.
Che dire dello scherzetto che lei, Presidente Berlusconi, ha riservato alla Corte dei conti? Nel decreto-legge viene stabilito che l'azione è esercitabile dal pubblico ministero contabile solo in presenza di specifiche e precise notizie di reato e solo qualora il danno sia stato cagionato da dolo o da colpa grave. Insomma, i comportamenti che non causano un danno erariale non possono essere perseguiti e se non sono commessi con dolo o colpa grave non possono essere perseguiti. Ma come si fa a sapere prima se ci sia o meno colpa grave o dolo? O come si fa a sapere prima di un'indagine se ci sia o meno danno erariale? La verità è una ed una sola: voi i controlli della Corte dei conti, organo di rilevanza costituzionale e terzo, non li volete, così come non volete quelli della magistratura ordinaria.
Ma soprattutto, perché permettete e prevedete che la norma dovrebbe valere anche per comportamenti passati e per processi contabili già in corso? Oddio, ho sbagliato, a questa domanda è più facile rispondere: per coprire, come al solito, con la solita leggina ad personam, qualche azienda di famiglia o qualche suo sodale di affari, signor Presidente del Consiglio.
Ebbene, ricordiamo che la Corte dei conti, come sancisce la nostra Costituzione, è un organo di «autogoverno» che non può e non deve in alcun modo subire un'interferenza dell'Esecutivo, lei invece, Presidente Berlusconi, vuole sottometterla ai suoi poteri e ai suoi bisogni, così come ha fatto e sta continuamente tentando di fare con la magistratura ordinaria. Ma questo è contro la Costituzione ed a noi dell'Italia dei Valori non resta che appellarci, ancora una volta, al Presidente della Repubblica. Sì, al Presidente della Repubblica, affinché fermi questo continuo scempio di legalità con un'azione forte e decisa e non solo più con un messaggio perché a lei, Presidente Berlusconi, i messaggi del Presidente della Repubblica, entrano da un orecchio ed escono dall'altro senza lasciare traccia.
E che dire ancora di un'altra nota dolente, la politica energetica, che in questo decreto-legge anticrisi mette totalmente a repentaglio la stabilità ambientale e la salute pubblica. Contestiamo il ritorno alle famigerate centrali nucleari che noi riteniamo pericolose per la salute e per l'ambiente, di tecnologia obsoleta, costose e di difficile realizzazione nel nostro sistema, nella nostra accidentata terra. Insomma, il gioco non vale la candela.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Di Pietro.
ANTONIO DI PIETRO. Mi avvio a concludere, Presidente. Consideriamo poi inaccettabile che il Ministro dell'ambiente venga del tutto esautorato dal suo ruolo di controllo e di prevenzione, così come consideriamo inaccettabili i problemi procedurali e costituzionali che lei pone non rispettando il Presidente della Repubblica che nel suo messaggio ha detto appunto che non bisognava stravolgere i decreti-legge.
PRESIDENTE. Onorevole, di Pietro deve concludere.
ANTONIO DI PIETRO. Concludo davvero, Presidente. Del pari, consideriamo inaccettabile che la sanatoria per le badanti possa essere fatta solo per i datori di lavoro con reddito non inferiore a 20 mila euro così come consideriamo inaccettabile che i terremotati d'Abruzzo....
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Di Pietro.
ANTONIO DI PIETRO. Infine, vengo alle conclusioni, votiamo contro per ribadire Pag. 7la nostra contrarietà al suo modo settario e piduista di governare, signor Presidente del Consiglio.... (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Onorevole Di Pietro, il suo tempo è terminato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vietti. Ne ha facoltà.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con il decreto-legge che giunge oggi al voto finale di quest'Aula si compie un circolo vizioso voluto dalla maggioranza e dal Governo, collezionando anomalia dopo anomalia. Siamo in presenza di una manovra economica che non è una manovra economica, ossia di una manovra economica non assistita dalle procedure e dalle garanzie proprie della sessione di bilancio; garanzie poste anzitutto a tutela del Governo e della maggioranza nel perseguimento dei propri legittimi obiettivi programmatici, ma poste anche a garanzia dell'opposizione, garanzie di tempi e di spazi per condividere o per dissentire. Ma tant'è.
Il Ministro dell'economia e delle finanze ha preferito annunciare lo scorso anno che la finanziaria non c'era più, ma siamo ancora in attesa di sapere quali sarebbero i nuovi strumenti, le nuove procedure e le nuove garanzie che dovrebbero rendere trasparente e responsabile l'indirizzo di politica economica e le decisioni di finanza pubblica. Inoltre, ciò che votiamo è un collegato che non è un collegato: seguito, anziché preceduto, dal DPEF che ha dovuto essere sollecitato dalla Presidenza della Camera per essere presentato ed i cui effetti si conosceranno soltanto nell'assestamento di bilancio di settembre.
Tuttavia, non sono soltanto queste le anomalie del decreto-legge anticrisi, in quanto è un provvedimento omnibus, in cui c'è dentro di tutto e che si è trasformato in corso d'opera, come ormai è abitudine, in un «decreto matrioska». All'inizio, vi erano tre scatoline, senza alcun rapporto l'una con l'altra: in una, la proroga dei termini, nell'altra, le missioni militari (a tal proposito, mi chiedo se continuerà ancora l'impegno internazionale dell'Italia o se, anche su tale aspetto, la spunterà il dominus leghista della maggioranza?), nella terza scatolina, invece, la defiscalizzazione degli utili reinvestiti.
Un ulteriore abuso consiste nella trasformazione in corso d'opera delle scatolette in matrioske, capaci di contenere al loro interno una serie di provvedimenti aggiunti l'uno all'altro in sede di conversione, impedendo al Parlamento di confrontarsi sul merito di un contenuto in continua evoluzione (perciò inevitabilmente abborracciato) e svuotando di significato il controllo che il Presidente della Repubblica può e deve effettuare sui decreti governativi. Tutto ciò proprio nel momento in cui il Presidente della Repubblica scriveva al Governo, richiamando l'attenzione sulla discutibile prassi della eterogeneità dei provvedimenti normativi.
Sorvoliamo sulla triste storia della fiducia sul maxiemendamento di cui già ha parlato in sede di dichiarazione di voto sulla richiesta di fiducia il presidente Casini. Si tratta di un maxiemendamento che doveva riprodurre integralmente e fedelmente i risultati del lavoro delle Commissioni ma non lo ha fatto per una scelta di meschino calcolo feriale. Si ricalca l'abuso del ricorso ai voti di fiducia che fu del Governo Prodi, ma di quel Governo si conosceva l'intrinseca debolezza numerica e politica.
Cosa c'è dietro un Governo che chiede ventitré volte la fiducia? Lo chiederei al Ministro dell'economia e delle finanze, se non stesse conferendo con il candidato del Partito Democratico, evidentemente anticipando possibili scenari futuri (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro). Ce lo auguriamo e speriamo che sia la grossa coalizione.
PRESIDENTE. Prosegua onorevole Vietti. Pregherei i colleghi di ascoltare.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Non vorrei fare il suo mestiere, signor Presidente, ma pregherei anche i componenti Pag. 8del Governo di stare ai propri banchi. Mi chiedevo cosa c'è dietro un Governo che chiede ventitré volte la fiducia in un anno con quasi cento deputati di maggioranza? Disprezzo del Parlamento, debolezza politica, incapacità di tenere insieme la maggioranza, o tutte queste cose insieme? Non sarà che dietro i fasti dei sondaggi personali si celano le crepe della improbabile alleanza tra il partito del Nord e il partito del predellino, di cui le recenti polemiche su partito del Sud sono una spia evidente?
In ordine al merito, in questo decreto-legge vi sono almeno quattro titoli che prefigurano quattro riforme di portata significativa che, da un esame parlamentare più libero e sereno, avrebbero avuto tutto da guadagnarci in termini di condivisione politica e di miglioramento tecnico. L'innalzamento dell'età pensionabile per le impiegate della pubblica amministrazione, la regolarizzazione delle badanti, lo scudo fiscale e la modifica al Patto di stabilità.
Norme sollecitate anche da noi, a cui si erano detti contrari fino a ieri proprio gli esponenti del Governo e della maggioranza: Sacconi aveva detto: «non si deve fare la riforma delle pensioni», Maroni: «no alla sanatoria delle badanti», Tremonti: «no alla modifica del Patto di stabilità».
Nonostante questo noi diciamo: nel decreto-legge vi sono cose condivisibili; lo hanno detto i nostri esponenti in Commissione ed in Aula, Galletti, Occhiuto, Ciccanti, Tabacci, Delfino. Ma quante incongruenze ed insufficienze! Perché non si è affrontato il nodo previdenziale a tutto tondo? Perché quel limite temporale così vicino per la detassazione, che peraltro esclude gli investimenti tecnologicamente avanzati per perfezionare gli investimenti soggetti a defiscalizzazione? Perché quell'offensivo limite di reddito per la regolarizzazione delle badanti? Ma vi pare possibile che un anziano solo investa quasi tutti i suoi denari nel sostegno di chi può aiutarlo a vivere serenamente i suoi ultimi anni e che i «badanti», come li ha chiamati il collega Tabacci, non possano essere regolarizzati? Non avrebbero potuto far emergere il lavoro nero, con qualche beneficio anche per le casse degli enti previdenziali?
E poi, se è di una manovra di cui stiamo parlando, andrebbe detto anche quello che non c'è: non ci sono le misure di sostegno alle famiglie, al Mezzogiorno, all'agricoltura, non c'è la liberalizzazione dei servizi pubblici (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro). E dov'è finito il tetto alle spese nei conti correnti, che il Governo si è dovuto rimangiare in un balletto di politica bancaria, che alterna il dirigismo con i tagli all'autonomia di mercato e un atteggiamento di pronta acquiescenza ai voleri del sistema, che alla fine colpisce soltanto l'istituzione della Banca d'Italia?
Ieri, il Presidente del Consiglio ha annunciato urbi et orbi la sua strategia sul Mezzogiorno. Ancora non sappiamo cosa è rimasto dei Fondi per le aree sottoutilizzate, in gran parte saccheggiati dall'asse Tremonti-Lega: lo dice non un esponente dell'opposizione, ma il sottosegretario Miccichè. E il Governo annuncia le nuove proposte: le proposte nuove sono quelle del secolo scorso, il Ministro per il Mezzogiorno e la Cassa per il Mezzogiorno; saremmo curiosi di sapere cosa ne pensano gli amici della Lega. Ma i soldi per far questo ci sono? Dove sono? Quanti sono? Chi decide di utilizzarli? Alla faccia del federalismo voi tagliate e poi distribuite i soldi residui dal centro in barba ad ogni criterio di autonomia e di responsabilizzazione dei governi locali. La verità è che il Mezzogiorno, famiglia, agricoltura, servizi pubblici locali, sono fuori dall'agenda di Governo.
Quello che allora manca, e che il Governo ha dimostrato in questi dieci mesi di dura crisi economica, è che non si sono viste né riforme, né risorse che abbiano lasciato un segno, e che delineino un'opportunità per il futuro. Il fatalismo, questa è la ricetta del Ministro dell'economia e delle finanze: il fatalismo di piegarsi; perché la tempesta passi, non tiene conto che le intemperie possono essere fatali per i più deboli, per i più fragili, per i più esposti, che siano famiglie o che siano Pag. 9imprese. E se non si provvede a porre al riparo queste categorie, si rischia di mettere a repentaglio non solo intere categorie produttive, ma il ruolo stesso di un grande Paese industrializzato. E questo non ce lo possiamo permettere, e questo non ve lo potete permettere. Per questo l'UdC voterà contro il provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.
ROBERTO COTA. Signor Presidente, colleghi, la differenza tra la politica con la «p» maiuscola e la politica con la «p» minuscola, quella che la gente oggi non può più sopportare, non riesce più a sopportare, è questa: la politica con la «p» maiuscola cerca di dare delle risposte concrete a delle esigenze reali, che emergono nella vita di tutti i giorni, mentre invece la politica con la «p» minuscola si parla addosso e non entra mai nel merito delle cose (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Oppure dice tutto e il contrario di tutto, a seconda della convenienza.
Durante la discussione di questo provvedimento abbiamo ascoltato qualcuno dai banchi della sinistra scagliarsi contro il sistema delle banche: quello stesso sistema che in realtà loro hanno sempre e sistematicamente foraggiato negli anni in cui sono stati al Governo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Però, dopo aver detto queste cose in Aula, si sono guardati bene dall'appoggiare le disposizioni contenute in questo decreto - e fatte inserire grazie alla Lega - che riducono le commissioni delle banche a vantaggio delle imprese e dei cittadini. Questo è un esempio di politica con la «p» minuscola (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
Ancora, noi abbiamo sentito l'onorevole Bersani fare questa considerazione, ossia che la maggioranza utilizzerebbe il Governo per produrre consenso. Ma noi diciamo questo: il Governo ha il consenso della gente se governa bene. E noi in questo momento abbiamo il consenso della gente (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Voi invece, dopo due anni di Governo, avete visto il vostro consenso scendere ai minimi termini!
Una cosa vorrei però dire: voi state usando il Parlamento in funzione del vostro congresso, che dovrete celebrare a ottobre. Giorno dopo giorno, state utilizzando le istituzioni. E allora, noi ci auguriamo che questo congresso avvenga al più presto, perché non è interesse di alcuno avere una opposizione che non entra nel merito delle cose. Il nostro interesse, come maggioranza, sarebbe invece quello di avere un'interlocuzione reale sui provvedimenti e proposte alternative.
Ma la politica con la «p» minuscola è anche quella di chi un giorno dice una cosa e un giorno ne dice un'altra. E allora, caro onorevole Casini: lo faremo sentire ai suoi elettori di Venezia, di Milano o di Torino il suo intervento, con il quale ha detto che questo Governo fa tutto per il nord e non fa nulla per il sud, quando invece in quelle zone in campagna elettorale per le amministrative voi fate discorsi completamente opposti!
Ma la verità qual è? La verità è che la gente si rende perfettamente conto delle cose. Se ne rende conto perfettamente al nord, ma se ne rende conto perfettamente anche al sud: perché sa che il federalismo è l'unica via d'uscita per poter avere una classe dirigente responsabile, che misura i servizi in funzione della loro qualità e dunque dell'interesse dei cittadini.
Questo è un provvedimento che certamente non può risolvere tutti i problemi, né dell'economia né della produzione, con una bacchetta magica. Però, esso introduce novità importanti e dà risposte concrete. Prima di tutto, si mette finalmente al centro delle politiche industriali ed economiche il sistema delle piccole e medie imprese: non il sistema delle grandi imprese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Si è capito che il Pag. 10sistema delle piccole e medie imprese è l'asse portante della nostra economia, e questa è veramente una cosa positiva.
Ancora, si affronta il nodo dei rapporti fra i cittadini, le imprese e le banche. Qui, vorrei ricordare soltanto due norme. Anzitutto, penso alla previsione di un tetto massimo sugli interessi pagati da chi prende i soldi a debito: da domani, dunque, le banche non potranno più fare quello che vogliono! Inoltre, si inserisce una norma che prevede per le banche una moratoria per i pagamenti delle imprese in difficoltà.
Questi sono fatti. E su questi fatti noi ci saremmo aspettati una partecipazione e un appoggio da coloro che sono all'opposizione.
Perché qui non si tratta di ideologia, si tratta di fatti concreti e di risposte concrete!
Inoltre, si è parlato tanto di scudo fiscale. A parte che questo tipo di misura è stata introdotta in quasi tutti gli altri Paesi europei, noi ci poniamo una semplice domanda: è meglio fare uscire i capitali, come è stato fatto in passato, o farli rientrare? Io penso che oggi sia meglio farli rientrare, perché quei capitali possono e devono servire per fare nuovi capannoni, per acquistare nuovi macchinari, per produrre lavoro; e il lavoro si produce con questo tipo di misure, non con le chiacchiere che voi fate nei salotti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Ancora, è stata inserita, grazie all'azione della Lega, una norma che introduce una detassazione per chi acquista macchinari ed attrezzature. Prima di tutto, questa norma è stata costruita in modo tale che serve a finanziare l'acquisto di macchinari e attrezzature prodotti qui, da noi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). In più, vi è scritto, nero su bianco, che chi ottiene gli incentivi non può più vendere questi macchinari al di fuori dell'Unione europea, ovvero non può prendere soldi qui per poi installare gli stabilimenti in Cina (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania); qui è scritto: stop agli incentivi a chi delocalizza!
Anche su questo ci saremmo aspettati una atteggiamento diverso, più costruttivo, perché queste norme servono per tutelare i posti di lavoro, mentre abbiamo visto una sinistra distante, che non vuole colpire i «furbetti», nell'interesse invece dei nostri lavoratori.
Nell'avviarmi alla conclusione, vorrei però anche ricordare un'altra misura molto concreta che è sfuggita al circuito mediatico. Visto che parliamo del sistema delle piccole e medie imprese, degli artigiani, dei commercianti, vorrei sottolineare che questa norma è stata pensata per una situazione che vivono sulla loro pelle migliaia e migliaia di ambulanti, che nei mercati si vedono sistematicamente scavalcati da quelli che arrivano da fuori, che aprono e chiudono, che non pagano le tasse, che vendono prodotti di bassa qualità, a basso costo, che come sappiamo arrivano dalla Cina e dintorni.
Ebbene, da oggi in poi, per avere il rinnovo della licenza, sarà necessario produrre un certificato di regolarità contributiva: chi non paga le tasse non avrà più diritto di mettere il banchetto nei mercati e di fare concorrenza sleale a chi dei nostri, magari, lavora da una vita, pagando sistematicamente le tasse (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Inoltre, abbiamo ancora una volta affrontato il tema del Patto di stabilità che diventa una camicia di forza per gli enti locali. Noi abbiamo previsto che vi sia una possibilità in più per gli enti locali, un ampliamento delle spese che si potranno fare per quanto riguarda i comuni virtuosi. Anche qui si tratta di fatti e non di parole. Vi dico che tanti amministratori locali, di quelli che voi ancora avete, ci chiedono questo e vedono in noi, ancora una volta, l'unico interlocutore.
Signor Ministro dell'economia e delle finanze, onorevoli colleghi, voteremo a favore di questo provvedimento convintamente, con la consapevolezza di aver dato una mano alle nostre imprese e alla nostra Pag. 11gente (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Franceschini. Ne ha facoltà.
DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, con questa ventitreesima fiducia, dall'inizio della legislatura, si consuma un'altra pagina nera del Parlamento.
Sono anni che discutiamo di riforme costituzionali e di riforma dei Regolamenti parlamentari per rendere più veloce, più efficiente e più moderno il nostro procedimento legislativo. Voi in questo anno lo avete brutalizzato. Il sistema ormai è sempre lo stesso: il Consiglio dei Ministri approva un decreto-legge in bianco, che non viene più pubblicato il giorno dopo, ma viene pubblicato sei, sette o otto giorni dopo, quando vi è stato il tempo di scrivere il testo che il Consiglio dei ministri ha approvato nella sua collegialità senza conoscerlo; quel testo viene mandato alle Camere e inizia stancamente un dibattito che - si sa già - finirà, al di là della scadenza dei sessanta giorni, con un maxiemendamento che raccoglie un po' di tutto e su cui si mette la fiducia. In tal modo si umilia il lavoro delle Commissioni, onorevole Cota - altro che entrare nel merito - e si buttano nel cestino gli emendamenti dell'opposizione in Commissione.
È un maxiemendamento in cui entra di tutto, alla faccia del requisito costituzionale dell'urgenza e alla faccia del requisito dell'omogeneità di materia, che è stato così rigidamente osservato in passato; per cui, entra di tutto, e almeno questo servisse per rendere più efficace e più veloce il modo di fare le leggi! Non è così. Nella fretta di utilizzare questa specie di contenitore onnicomprensivo che è diventato il decreto-legge con il maxiemendamento per la conversione, si butta dentro di tutto. Si fanno errori madornali, che costringono a marce indietro mentre si approva ancora il testo. È successo così per le badanti nel pacchetto sicurezza e oggi si fa una retromarcia, ma la norma che si scrive - dicono gli esperti - già oggi si capisce che non riguarderà circa l'80 per cento delle badanti. E poi perché solo le badanti? Qual è la distinzione da altre tipologie di lavoratori?
Per non parlare della norma sul terremoto. Mentre il Presidente del Consiglio annuncia a L'Aquila una cosa, si approva una norma vergognosa, che prevede che i terremotati di L'Aquila debbano rientrare del 100 per cento delle tasse cominciando da gennaio, data in cui viene anche interrotta la sospensione dei mutui; e poi, accorgendosi che quella norma non regge, mentre la approviamo si fa un comunicato per dire che quella norma verrà modificata e si approva un ordine del giorno. Noi vigileremo che questo avvenga, perché non sarebbe la prima volta - ricordiamo il Patto di stabilità - che il Parlamento assume un impegno che poi viene sostanzialmente e di fatto violato.
Poi ci mettete un bel titolo (provvedimenti anticrisi), che fa effetto, e lo si accompagna con qualche sorriso rassicurante in televisione e con qualche numero per occupare i titoli dei giornali. Lo ha detto benissimo venerdì l'onorevole Bersani: avete avuto una gestione surreale della crisi. Prima l'avete negata, dopo avete detto di essere stati i primi e gli unici a prevederla per tempo. Poi avete detto che la crisi è alle nostre spalle: tutto è come prima, tutto meglio prima (sono state le parole del Presidente del Consiglio); fino alla vergogna di trasformarla e di continuare a cercare di trasformarla in un fatto psicologico. Si tratta di un insulto in faccia a chi vive nella paura e nell'angoscia di perdere il posto di lavoro e di non avere più il reddito per vivere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), un insulto a chi sente sulla propria pelle cosa è questa crisi e sente quanto è dura questa crisi!
Ecco il fatto psicologico: uso i dati di Banca d'Italia, dell'ISAE, dell'ISTAT, del CNEL, del Fondo monetario, di Confindustria, di tutti quelli che attaccate senza pudore quando osano pronunciare la fredda verità dei numeri. La verità è che questa cosa è sempre più ostile e sempre Pag. 12più ingombrante e pericolosa per voi. Ecco il vostro anno di Governo: cala il PIL, meno 5,2 nel 2009; calano le entrate fiscali, meno 3,3 rispetto al 2008, meno 11,3 l'IVA; cala la produzione, sarebbe più corretto dire «crolla» la produzione, dato che è il crollo più grande dagli anni Settanta; calano i prestiti alle piccole e medie imprese, meno 3 per cento di credito (in particolare alle più piccole); calano i consumi, meno 2,2 nel 2009; cala la crescita del potere d'acquisto dei salari, meno 1,3 (il dato più basso dal 1970); calano gli investimenti pubblici, meno 4,4 per cento nel 2010. Ma c'è anche qualcosa che cresce: cresce il debito, al 115,3 per cento (89,6 miliardi dall'inizio dell'anno); cresce la spesa pubblica, la spesa primaria corrente dal 40,3 al 43,4; cresce la pressione fiscale; cresce la disoccupazione e vedremo quanti saranno stati, se i cinquecentomila che si dicono o più, i nuovi disoccupati nel 2009 (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Sono numeri, e non sono numeri dell'opposizione: sono numeri di Banca d'Italia e di tutti gli istituti e osservatori internazionali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), e non si protesta contro i numeri, si cerca di cambiarli!
La verità è che l'Italia è in recessione e che l'origine è la crisi globale, ma oggi è anche soprattutto colpa della vostra incapacità di affrontarla dall'inizio, della vostra incapacità di scegliere una linea dal settembre dello scorso anno.
Non è pessimismo. Nel prossimo settembre milioni di italiani e migliaia di imprese saranno nel momento di massima difficoltà: redditi troppo bassi; lavoratori che hanno perduto o rischiano di perdere il posto di lavoro e non hanno nessuna forma di ammortizzatore sociale che li accompagni nel momento più difficile della loro vita; piccole imprese che, dopo aver aspettato tanto la ripresa dei consumi, si trovano senza liquidità e senza credito.
Sono le categorie per le quali noi da mesi in quest'Aula e nel Paese presentiamo proposte per affrontare l'emergenza. Come continuiamo a dire, anche nei momenti di difficoltà e di crisi, bisogna avere la capacità di mettere mano alle riforme strutturali, ma bisogna anche mettere in campo - c'è il dovere politico e morale di farlo - misure per affrontare l'emergenza, per aiutare quelle categorie di persone ed imprese che non ce la possono fare ad arrangiarsi, a cavarsela da sole aspettando che la crisi finisca nel 2010-2011, perché non hanno le spalle sufficientemente robuste per farcela e chiedono di essere aiutate dalla politica, dallo Stato, dal Governo e dal Parlamento.
Eppure l'Italia, eppure le imprese italiane hanno energie positive, hanno sempre mostrato di dare il meglio nei momenti di difficoltà, chiedono soltanto che il Governo non giri la testa dall'altra parte.
Voi proseguite negli annunci, avete questa doppia verità: la verità degli annunci televisivi, delle promesse, dei numeri, dei titoli dei giornali e poi quello che c'è realmente negli atti parlamentari.
Ma il giudizio politico può essere soltanto su quello che c'è negli atti parlamentari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e questi sono pieni di misure negate, poi promesse e poi rilanciate. Si potrebbe fare un lungo elenco anche in questo provvedimento: i fondi per lo spettacolo tagliati completamente, dimenticando che l'industria culturale è un pezzo dell'identità e della vocazione italiana nel mondo, e tagliare lì è come tagliare le principali energie per un altro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Il Mezzogiorno: non c'è nulla in questo provvedimento. Eppure, cercate anche in questo caso di coprire con annunci, dopo un anno in cui avete utilizzato i fondi FAS per finanziare ogni cosa, compreso le multe delle quote latte degli allevatori del nord. Vi accorgerete che esiste il Mezzogiorno soltanto perché minacciano di farvi un partito in casa, altrimenti non sarebbe esistito, eppure avete preso tanti elettori nel Mezzogiorno due anni fa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
E poi vi è il condono fiscale, chiamiamolo con il suo nome e non scudo fiscale. In un Paese che sprofonda nell'evasione Pag. 13fiscale, voi, anziché combatterla, premiate chi ha violato la legge esportando illegalmente capitali. In un momento di crisi sbattete il condono e il rientro dei capitali in faccia a quegli italiani, a quei cittadini e a quelle imprese che hanno rispettato le regole, che hanno rispettato onestamente la legge e che si vedono passare davanti chi le regole e la legge le ha violate. Fate un condono senza avere il coraggio di chiamarlo con il suo nome: dite che state facendo come negli Stati Uniti.
L'ha detto bene l'onorevole Causi in Aula: andate a vedere che cos'è il rientro dei capitali nell'amministrazione Obama. È una dichiarazione non anonima in cui si accetta, dopo aver fatto rientrare i capitali, di sottoporsi al prelievo fiscale sui capitali esportati illegalmente. Voi fate un condono anonimo che preclude ogni accertamento fiscale. È un lavaggio di denaro di cui non si conosce e non si vuole nemmeno conoscere la provenienza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Franceschini.
DARIO FRANCESCHINI. È un'altra prova di come continuante ad operare ogni volta che siete al Governo: trasmettete il messaggio che chi rispetta le regole e la legge sarà penalizzato perché c'è sempre un'emergenza che giustifica un premio per chi ha violato le regole e la legge.
Per questo voteremo contro e per questo continueremo a denunciare le vostre omissioni. Presto, a settembre, arriverà la durezza della ripresa. Noi saremo nel pieno di un civile e vero confronto congressuale: una cosa che voi avete anche dimenticato che esista (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Ma qui saremo uniti e qui saremo tutti con la stessa voce, senza divisioni perché questo è quello che ci chiedono gli italiani e questo è quello che ci si aspetta dalla più grande forza di opposizione (Prolungati applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).
GIANLUCA BUONANNO. Franceschini, hai detto che non ti candidavi!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente e onorevoli colleghi, rispetto alle polemiche sviluppate dall'opposizione sul cosiddetto esproprio del Parlamento dobbiamo partire dalla consapevolezza che in parte ci si trova di fronte ad una contraddizione oggettiva: quella tra la rivendicazione delle prerogative del Parlamento e la necessità per il Governo di legiferare e di farlo in tempi rapidi, sul filo della velocità che caratterizza la società che ci circonda.
Che ci troviamo di fronte ad una questione non contingente è dimostrato dal fatto che essa si è riproposta con Governi di opposto segno. I gruppi di opposizione che accusano questo Governo di non rispettare il Parlamento dovrebbero almeno dare atto al Governo di una novità positiva, cioè della grande attenzione e del rispetto che esso ha nei confronti del lavoro svolto dalle Commissioni parlamentari, attraverso la presentazione di maxiemendamenti che mostrano una sostanziale aderenza al testo delle Commissioni stesse, salvo pochi aspetti sui quali è estremamente vigile il controllo di ammissibilità esercitato dalla Presidenza della Camera, laddove i precedenti Governi se ne discostavano frequentemente e fortemente.
Ricordo che vi è stato un intervento del Presidente Napolitano contro il metodo del Governo di ricorrere al maxiemendamento con fiducia, onorevole Franceschini. Ebbene, questo intervento del Presidente Napolitano è del 2006: esso si riferiva al maxiemendamento alla legge finanziaria presentato dal Governo Prodi, composto da oltre 1.600 commi, centinaia dei quali riproducevano il contenuto di altri provvedimenti e addirittura di altri decreti-legge che il Parlamento non aveva mai esaminato (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)! Pag. 14
L'unica via seria è quella della riforma dei Regolamenti: il gruppo del Popolo della Libertà lo ha affermato più volte, avendo presentato anche una precisa proposta di riforma. Finora, dall'opposizione su questo terreno non abbiamo avuto alcuna risposta costruttiva, ma solo polemiche demagogiche come quella che ha sviluppato poco fa l'onorevole Franceschini (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
È stato ricordato anche polemicamente dall'opposizione che finora sono stati presentati otto decreti in materia economica. Già questo fatto smentisce la vostra polemica sul fatto che questo Governo non ha fatto nulla di fronte alle difficoltà economiche. Voi potete evidentemente contestare le scelte fatte, ma non l'impegno.
Il nostro è appunto il metodo delle cosiddette pillole, contro il quale l'altra settimana ha esercitato il suo sarcasmo l'onorevole Bersani, al quale evidentemente i farmacisti non sono simpatici da molti punti di vista (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Potrei fare un elenco, pillola per pillola, di questi provvedimenti: ognuno di essi interviene su un problema economico significativo.
Voglio dire, per rimanere nella metafora, che vista la situazione preferiamo le pillole dei farmacisti ai bisturi dei chirurghi e dei dottor Stranamore alla Visco (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà), che possono fare tagli devastanti al corpo di una società insieme complessa e delicata qual è la nostra. Meglio le pillole che questo Governo sta dando ad un sistema economico insieme vitale e in difficoltà per un'infezione proveniente dall'esterno, che non l'intervento traumatico messo in atto nemmeno a colpi di bisturi, ma usando la sciabola, come avvenne con la legge finanziaria del 2007 (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Ne parlo perché l'onorevole Bersani l'ha incautamente esaltata. Con quelle sciabolate avete ottenuto il doppio risultato di infliggere ferite gravissime all'economia italiana e di provocare danni irreversibili allo stesso Governo, che infatti è deceduto dopo un anno.
A questo proposito, poiché lei, onorevole Bersani, è sempre prodigo nei confronti dell'attuale Governo di battute sarcastiche, certamente degne della migliore tradizione parlamentare, e poiché lei è stato anche uno dei Ministri, fra i più importanti, del precedente Governo, le devo dire che non abbiamo ancora capito se Prodi è caduto per non aver seguito i lungimiranti consigli che lei gli dava, oppure se è venuto meno proprio per aver seguito alla lettera i suoi suggerimenti (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)!
Come dicevo, le pillole presenti negli otto provvedimenti economici approvati sono servite a migliorare questo o quell'aspetto della realtà economica secondo una linea gradualista o moderata. La stessa logica è presente in questo provvedimento: premi per l'occupazione, ammortizzatori sociali, contenimento dei costi bancari, prime modifiche al sistema pensionistico, regolazione delle badanti, scudo fiscale (che si accompagna a provvedimenti contro i paradisi fiscali), intervento sui tempi di pagamento dello Stato alle imprese, detassazione degli investimenti, attenuazione del Patto di stabilità. Sono titoli di provvedimenti richiesti da molte forze sociali e anche da partiti dell'opposizione, come ha riconosciuto l'Unione di Centro.
Questa politica dei piccoli passi è ispirata ad una precisa filosofia, che è stata ottimamente sintetizzata, nel corso del dibattito, dal sottosegretario Giorgetti. Il nostro scopo - egli ha detto - è quello di ottenere il maggior risultato possibile, impegnando spesa in quantità ridotta e cercando di mantenere una proiezione di tenuta relativamente alla spesa pubblica e ai due parametri fondamentali che ci mantengono oggi all'interno dell'Europa, vale a dire il rapporto deficit-PIL e il debito pubblico.
È una linea di segno diverso da quella di chi, in tutti questi mesi, ha proposto la politica del bel gesto: uno o due punti di Pag. 15PIL da finanziare in deficit. Giustamente, il Ministro dell'economia - e insieme a lui il Governo - ha ritenuto che si trattasse di una proposta azzardata e avventurosa, piena di insidie e di rischi, in primo luogo sul terreno della tenuta dei titoli di Stato (già qualche scricchiolio in questo mese si è fatto sentire).
È evidente che questa linea può essere contestata e discussa, ma è una linea che ha una sua filosofia e una sua serietà, che non può essere liquidata con le battute sommarie e sprezzanti che abbiamo sentito negli interventi di Bersani di alcuni giorni fa e dell'onorevole Franceschini di oggi, secondo cui la maggioranza e il Governo sembrerebbero composti da scriteriati, da incolti e da una sorta di masochisti cultori della depressione economica.
Ci permettiamo di rilevare che se questa analisi del Governo e della maggioranza fosse vera, essa porrebbe un problema serio anche a voi, onorevoli Bersani e Franceschini. Infatti, su cinque elezioni svoltesi dal 1994 in poi, voi ne avete vinte due e perse ben tre, compresa l'ultima. Ma se voi venite sconfitti dall'accozzaglia di scriteriati e di incolti che saremmo noi, allora cosa siete voi? Come siete ridotti voi, visto che perdete così spesso e volentieri contro un avversario siffatto (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico)?
Un'ultima considerazione. Mi rivolgo al Governo, che il nostro gruppo sostiene con lealtà e con una piena identificazione con la sua azione e con la guida del Presidente del Consiglio. Ebbene, come gruppo parlamentare, chiediamo al Governo di impegnarsi, nei modi, nei tempi e con gli strumenti che riterrà opportuni, i seguenti fini. In primo luogo per un finanziamento del Fondo unico per lo spettacolo (FUS), che consenta al Ministro per i beni e le attività culturali di svolgere il proprio ruolo a favore dei musei, dei monumenti, delle grandi manifestazioni culturali e delle mostre, al netto del clientelismo che, finora, ha caratterizzato una parte significativa della spesa in questi settori, che va giustamente tagliata (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). In secondo luogo, per la soluzione del problema gestionale derivante dall'articolo 4 del decreto-legge in discussione, nel senso che il Ministero dell'ambiente, d'intesa con gli altri Ministeri citati, deve avere un ruolo da svolgere in coerenza con le sue competenze. In terzo luogo, la definizione di un progetto organico per il Mezzogiorno, così come affermato dal Presidente del Consiglio. In quarto luogo, chiediamo al Governo di insistere nel condizionamento nei confronti delle banche, perché esse diano credito a condizioni non esose alle piccole imprese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Infine, salutiamo con favore quello che ieri Giulio Tremonti ha affermato in Abruzzo sul rinvio della tassazione per i terremotati.
Sulla base di queste valutazioni, onorevole Presidente del Consiglio, confermiamo il voto favorevole al decreto-legge da parte del gruppo parlamentare del Popolo della Libertà (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
(Coordinamento formale - A.C. 2561-A)
PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
(Votazione finale ed approvazione - A.C. 2561-A)
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale. Pag. 16
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge n. 2561-A , di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Bernini Bovicelli, non riesce? Onorevole Di Pietro, ha votato? Onorevole Ronchi?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 79, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali» (2561-A):
Presenti e votanti 535
Maggioranza 268
Hanno votato sì 285
Hanno votato no 250
Prendo atto che i deputati Tenaglia, Iannarilli e Rampelli hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.
(La Camera approva - applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Vedi votazionia ).
Ricordo che alla ripresa della seduta alle ore 15 avrà luogo la discussione sulle linee generali del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013. Seguirà - orientativamente intorno alle ore 19 - lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sugli intendimenti in materia di partecipazione delle Forze armate italiane alle missioni internazionali.
Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 13,04).
ROBERTO ZACCARIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, so che non è facile parlare in questo momento, ma vorrei ricordare...
PRESIDENTE. La prego di attendere un momento, onorevole Zaccaria. Prego i colleghi che non sono interessati di uscire dall'Aula, grazie. Continui pure, onorevole Zaccaria.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, un attimo fa l'onorevole Cicchitto, concludendo la sua dichiarazione di voto, ha affermato una cosa che potrebbe essere sfuggita: ha espresso compiacimento per il fatto che ieri il Ministro Tremonti avesse firmato il provvedimento che dilaziona il pagamento delle imposte per i terremotati in Abruzzo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 13,05).
ROBERTO ZACCARIA. Mi dispiace che l'onorevole Cicchitto - ma forse anche qualcun altro qui in Aula - non abbia prestato attenzione ad un elemento che per un parlamentare è molto importante: con quale provvedimento è stata disposta questa proroga del pagamento delle imposte con riferimento all'Abruzzo? Noi lo avevamo proposto nel decreto-legge che ora abbiamo votato, ma se si legge più attentamente l'agenzia che ha riportato la notizia, si apprende: «Nuovo rinvio per il pagamento di tasse e contributi da parte dei cittadini delle zone terremotate dell'Abruzzo. È stato concordato - questo è il punto che vorrei sottolineare - fra il Ministro Tremonti e il sottosegretario Bertolaso - così è scritto nella nota - che con ordinanza della Protezione civile venga disposto questo provvedimento».
Colleghi parlamentari che sedete in quest'Aula, è noto che sostanzialmente abbiamo, con un decreto-legge testé votato e convertito, disposto qualcosa, ovvero che si dovevano pagare le imposte a partire da gennaio; con un'ordinanza della Protezione Pag. 17civile è stata disposta dal Ministro Tremonti e da Bertolaso la proroga della sospensione.
Non devo insegnare alla Presidenza quale sia il sistema delle fonti normative ma sarei preoccupato, nei panni di un collega parlamentare se, nello stesso momento in cui si vota una fonte primaria, una legge o un decreto-legge che dispone una cosa, con un'ordinanza si possa disporre una cosa diversa. Guardate, è un problema pericolosissimo. Non voglio dire - mi auguro di no - che qualcuno porterà questo provvedimento alla Corte costituzionale, perché essendo un provvedimento di favore non arriverà a quel livello, ma mi domando: possiamo accettare che, nello stesso momento in cui approviamo il decreto-legge che dispone in un modo, con ordinanza di necessità si disponga l'opposto? Guardate che le ordinanze in deroga alle leggi possono a volte essere favorevoli, e allora le lodiamo, ma potrebbero a volte disporre limiti ai diritti fondamentali, e allora le dovremmo attaccare.
Quindi mi rivolgo a lei, signor Presidente, e a chi avrà il tempo e il garbo di guardare queste cose, perché ciò è anche molto pericoloso dal punto di vista della copertura finanziaria. Infatti, dal momento che con ordinanza si possano derogare le leggi ma non si può certamente prevedere la copertura, la copertura di questo intervento graverà necessariamente sui fondi della Protezione civile e del terremoto, quindi sarà un'altra partita di giro. Voglio pertanto vivacemente denunciare questo strumento improprio di utilizzazione delle fonti, che naturalmente lede una prerogativa di questa Camera e del Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).
PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, posso prendere solo atto dei suoi rilievi e la ringrazio di averli fatti, ma il provvedimento è al Senato.
LAURA GARAVINI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LAURA GARAVINI. Signor Presidente, intervengo per denunciare un grave atto attraverso il quale, ancora una volta, si è preso a schiaffi, venerdì scorso, questo Parlamento. Infatti, nel contesto dei lavori del Consiglio dei ministri, ancora una volta, non si è proceduto allo scioglimento del consiglio comunale di Fondi e questo nonostante l'Esecutivo, una settimana prima, si fosse impegnato autorevolmente in quest'Aula a procedervi, attraverso le parole del sottosegretario Casero che, cito testualmente, in risposta ad un'interpellanza presentata da noi come gruppo del PD, ha detto: «Il Governo pertanto adotterà le proprie decisione nella prossima riunione del Consiglio dei ministri». Tale riunione è avvenuta venerdì scorso e in essa, nonostante la gravità della situazione, testimoniata anche da una serie di arresti avvenuti all'inizio di questo mese, ancora una volta non si è proceduto allo scioglimento del consiglio comunale di Fondi.
Signor Presidente, le chiedo: ma quanto vale la parola di questo Governo? Questo Esecutivo può esser serio se, all'interno di quest'autorevole Aula, si impegna, attraverso le parole di un suo sottosegretario, in rappresentanza dello stesso Consiglio dei ministri, ad adempiere ad un impegno e poi non lo mantiene?
Signor Presidente, questa è una vergogna, innanzitutto perché non si rispetta il Parlamento, ma anche perché è la dimostrazione ancora una volta del fatto che, evidentemente, dietro questi rinvii, c'è il tentativo molto bieco di nascondere esponenti della stessa maggioranza. Faccio allora appello a lei, signor Presidente, affinché richiami l'Esecutivo al rispetto delle regole che sono innanzitutto di normale correttezza ma che rispecchiano anche il dettato costituzionale.
Sottolineo ancora una volta che nel decreto-legge che siamo andati ad approvare con la fiducia abbiamo definito termini non superiori ai tre mesi tra la richiesta di scioglimento e l'intervento che ci deve essere da parte del Governo. Quindi, signor Presidente, nonostante lei non stia facendo attenzione, faccio ancora appello al suo ruolo istituzionale per il Pag. 18richiamo ufficiale al Governo, non soltanto da parte nostra come gruppo, ma anche nella sua funzione istituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
LUCIA CODURELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIA CODURELLI. Signor Presidente, spero che ascolti, non come ha fatto con la collega precedentemente. In data 10 giugno ho presentato un'interrogazione (la n. 4-03224) sul gravissimo episodio avvenuto durante una cerimonia ufficiale a Lecco da parte della Ministra onorevole Brambilla.
In data 25 giugno sono intervenuta in quest'Aula per chiedere alla Presidenza la sollecitazione alla risposta. Ad oggi, signor Presidente, sono nuovamente a rivolgermi a lei perché da quella data un altro mese è passato senza avere assolutamente risposta in merito. Ritengo grave questo atteggiamento di volersi sottrarre ad un preciso dovere verso il Parlamento italiano da parte del Presidente del Consiglio.
Ricordo brevemente che il 17 giugno un quotidiano riproduceva con grande evidenza una sequenza di fotografie che dava il senso preciso del saluto romano singolarmente effettuato in sincronia anche dal padre del Ministro, presente alla cerimonia. La dimostrazione inequivocabile del significato di quel saluto si poteva cogliere vedendo il breve filmato che lo stesso giornale inseriva sul sito on-line.
Per singolare coincidenza, proprio in quei giorni, esattamente proprio lo stesso giorno, ossia il 17 giugno, la Corte di cassazione, sezione I penale, pubblicava la sentenza con la quale ribadiva la condanna di un tifoso che aveva fatto proprio quel saluto. Il saluto romano, dice la Suprema Corte, costituisce una manifestazione esteriore che rimanda per comune nozione storica all'ideologia fascista e quindi ad un'ideologia politica sicuramente non portatrice dei valori paritari e di non violenza.
Ribadendo il proprio orientamento in tema alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso di un tifoso veronese troppo focoso (si legge in quell'articolo) che in un corteo di altri ultras fuori dallo stadio, prima di una partita, aveva ripetutamente fatto il saluto romano.
Per la Cassazione un simile gesto non rientra nella libertà di manifestazione del pensiero, ma sconfina in un'istigazione alla violenza. Signor Presidente, si tratta di un Ministro della Repubblica che oggi continua a fare il Ministro. Ecco perché mi appello nuovamente a lei e a questo Parlamento e sollecito il suo intervento affinché non venga procrastinata oltre la risposta del Presidente del Consiglio a questo atto di sindacato ispettivo n.4-03224 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
AUGUSTO DI STANISLAO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, sono veramente preoccupato. Ieri sera ci è stato comunicato dal collega De Angelis l'ennesimo annuncio del Governo in cui si diceva che vi era la disponibilità a rivedere il provvedimento che riguarda l'Abruzzo e la terra aquilana. Oggi mi trovo invece in grande difficoltà, perché forse questo rimedio è peggiore del male.
Ieri sera ho detto «venga tardi, ma venga bene», ma questa cosa è venuta malissimo, nel senso che mi chiedo e vi chiedo e come si possa declinare un'ennesima «annunciazione» all'interno di un provvedimento che non prevede un incardinamento in termini di impegno di spesa. Ho fatto anche il sindaco di Campagna e l'assessore regionale, ma non ho mai visto queste cose dentro a un Parlamento nel quale, ancora un volta, si continua a dare disponibilità, ma non si riesce mai a chiarire nero su bianco quali sono le risorse immediatamente disponibili. Pag. 19
Le popolazioni abruzzesi non possono certamente aspettare ennesime annunciazioni, anche alla luce di quello che è successo ieri con riferimento all'ordine del giorno dell'onorevole Tenaglia n. 9/2561-A/62 (che anch'io ho firmato) e agli emendamenti che ho proposto al decreto anticrisi per la modifica dell'articolo 25. Credo che qualcuno - in primis il Presidente Berlusconi e il Ministro Tremonti - ci debba dire in che modo, in che misura e con quali tempi questi provvedimenti avranno certezza di legge, perché credo che l'ordinanza non possa superare la legge, anche perché non la prevede, anzi prevede tutt'altro.
Chiedo se il Presidente se ne possa far carico, altrimenti evidentemente c'è un'ennesima beffa nei confronti degli aquilani, che invece hanno sperato per pochissime ore di avere in mano qualcosa di concreto che desse una risposta ai loro problemi, che sono ancora lì appesi e che ancora una volta dipendono dagli umori del Presente del Consiglio e del Ministro, ma che non hanno pratica attuazione in nessun modo. Credo che qualcuno si debba assumere la responsabilità morale rispetto alle cose che si dicono e che si mettono in mente alle popolazioni dell'Abruzzo.
PRESIDENTE. Nello specifico, penso che non le sfuggirà che la Presidenza non può che prendere atto delle riflessioni e dei rilievi fatti, per i quali comunque la ringrazio.
MARCO ZACCHERA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, tempo fa ho presentato un'interrogazione sulla situazione in Venezuela, a cui il Governo ha già dato risposta, ma purtroppo la situazione sta peggiorando anziché cambiando.
La nostra comunità è oggetto di notevoli vessazioni da parte del presidente Chavez, che in pratica ha nazionalizzato moltissime imprese, liquidando gli italiani con soldi locali e non potendoli poi cambiare con valuta estera (oltretutto ad un cambio ridicolo rispetto al mercato reale).
Ciò comporta che la comunità italiana in Venezuela è veramente in grosse difficoltà e purtroppo sembrerebbe che il Governo non stia facendo molto per tutelare queste cose. Nello specifico, a livello parlamentare, non risulta ancora che il Venezuela abbia ratificato un trattato di collaborazione economica sottoscritto con l'Italia, che ovviamente non viene minimamente considerato e, soprattutto, rispettato.
Pregavo la Presidenza di sollecitare il Governo, affinché abbia più attenzione verso queste problematiche di una comunità numerosa come quella italovenezuelana e che veramente si trova in gravissime difficoltà, lasciando perdere poi tutte le questioni relative alla democrazia venezuelana, che sta evaporando purtroppo come l'acqua in una pozza d'estate.
PRESIDENTE. Sospendo la seduta.
La seduta, sospesa alle 13,20, è ripresa alle 15.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brancher, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cota, Crimi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Mantovano, Martini, Mazzocchi, Meloni, Milanato, Molgora, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Pescante, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stucchi, Tremonti, Urso, Valducci, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta Pag. 20dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori (ore 15,01).
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, prima che inizi la discussione sul Documento di programmazione economico-finanziaria e che si avvii una fase ulteriore di esame in questo Parlamento, in quest'Aula, di provvedimenti che riguardano la crisi, nonché l'economia italiana, le imprese italiane, le famiglie e anche le condizioni dei conti pubblici (visto che, presumo, se la Conferenza dei presidenti di gruppo deciderà domani in tal senso, dovremo discutere anche il provvedimento che riguarda l'assestamento di bilancio), vorrei svolgere alcune considerazioni.
Signor Presidente, noi ci apprestiamo a questa discussione con una maggioranza che, a dir poco, è disattenta, o forse è già in ferie. Presidente, i numeri parlano chiaramente: nonostante la maggioranza abbia raschiato il fondo del barile (mancavano, infatti, solo due Ministri alla votazione finale del disegno di legge di conversione del decreto-legge sulla crisi economica), ebbene, nonostante la maggioranza abbia raschiato il fondo del barile, abbia fatto venire tutto il Governo a votare, la maggioranza non era in numero legale. Il 28 luglio, facendo venire a votare tutto il Governo, l'assenza dei deputati della maggioranza era tale per cui il numero legale, che era di 286, non è stato raggiunto; ci sono stati zero astenuti e i votanti a favore sono stati 285, uno in meno del numero legale. Quindi, si è potuto varare il provvedimento anticrisi naturalmente perché l'opposizione, che ha fatto la sua battaglia politica in quest'Assemblea, era in quest'Aula, ha votato contro il provvedimento ma, da questo punto di vista è bene che la maggioranza lo sappia, ha garantito che il provvedimento potesse andare al Senato.
Se il Senato si accinge a cambiare o a rivedere parte di questo provvedimento che abbiamo appena licenziato e se dunque lo stesso tornerà la prossima settimana, non credo che i deputati della maggioranza, la maggioranza e il Governo possano tenere il medesimo atteggiamento irresponsabile che hanno tenuto oggi verso le istituzioni e verso il Parlamento.
Hanno esattamente sessanta deputati in più dei numeri che oggi sono riusciti a portare in Parlamento. Capisco che vi siano alcune questioni di carattere politico all'interno della maggioranza, c'è stata una lotta politica interna che ha portato un gruppo politico, quello dell'MpA, ad abbandonare l'Aula (infatti non ha votato) e capisco che probabilmente altre parti della maggioranza sono in sofferenza, anche perché le prerogative non solo dell'opposizione, ma anche dei deputati di maggioranza sono state conculcate nel momento in cui si è dato vita alla ventitreesima questione di fiducia, quindi quest'Aula non ha potuto discutere neanche un emendamento.
Si è voluta forzare anche la procedura all'interno delle Commissioni di merito per cui quei pochi emendamenti su cui il Governo aveva espresso parere favorevole sono stati votati in blocco con una procedura inusuale. Nonostante tutte queste forzature, la maggioranza oggi si è presentata con il Governo (presente su tutti i suoi banchi), eppure non aveva il numero sufficiente per garantire da sola il varo del decreto-legge sul quale la stessa maggioranza aveva posto la questione di fiducia la settimana scorsa.
Signor Presidente, credo che lei debba riferire al Presidente della Camera perché la maggioranza osservi (non solo nel momento in cui ci si accinge a fare questa discussione) nei confronti del Parlamento un atteggiamento di maggiore rispetto verso le istituzioni e verso l'opposizione.
Signor Presidente, iniziamo la discussione sul Documento di programmazione economico-finanziaria e c'è un sottosegretario, Pag. 21non c'è ancora il presidente della Commissione bilancio o della Commissione finanze, ma c'è solo il relatore di minoranza.
MASSIMO BITONCI, Relatore per la maggioranza. Ci sono anch'io!
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. I deputati della maggioranza non sono presenti e tra tutti i suoi banchi ci sono dei vuoti in quest'Aula. Le pare che in una crisi economica che attanaglia il Paese e del livello conosciuto da tutti gli italiani, in questo Parlamento il centrodestra debba mantenere questo atteggiamento?
Signor Presidente, posso chiedere almeno a lei di farsi portatore verso il Presidente della Camera della nostra richiesta perché la maggioranza e il Governo siano richiamati alle proprie responsabilità e al rispetto di questo Parlamento e di quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Quartiani. Provvederò ad informare delle sue valutazioni politiche il Presidente. Devo, però, osservare che la Commissione è correttamente rappresentata in Aula ai termini del Regolamento.
Discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013 (Doc. LVII, n. 2) (ore 15,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Ricordo che, a norma dell'articolo 118-bis, comma 2, del Regolamento, le risoluzioni sul Documento di programmazione economico-finanziaria devono essere presentate nel corso della discussione.
(Discussione - Doc. LVII, n. 2)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Bitonci.
MASSIMO BITONCI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, anch'io mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. È come se fosse assente!
PRESIDENTE. Onorevole Quartiani, come più volte ho citato in quest'Aula i romani dicono: qui iure suo utitur neminem laedit. Il rappresentante del Governo e il relatore per la maggioranza fanno uso di facoltà loro date dal Regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Marchi.
MAINO MARCHI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, il Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013 rappresenta una prima complessiva verifica della politica economica del Governo, impostata per tutta la legislatura con il precedente DPEF dopo alcuni mesi dall'avvio della grave crisi economica e finanziaria mondiale.
Emerge con nettezza che nessuna delle previsioni contenute nel precedente DPEF si è realizzata. Siamo di fronte ad una situazione di estrema gravità per l'economia Pag. 22del Paese e per lo stato della finanza pubblica che per alcuni aspetti ci riporta agli inizi degli anni Novanta.
La proposta di politica economica per i prossimi anni presentata dal Governo con il DPEF non è assolutamente in grado di intervenire con efficacia per migliorare la situazione, oltre ad essere scarsamente attendibile riguardo alla sostenibilità delle diverse ipotesi formulate.
Oltre a ciò, l'analisi che il Governo fa nel DPEF è sviluppata con il chiaro intendimento di non far emergere la gravità della crisi e di cogliere anche questa occasione per uno spot propagandistico.
Nessuna delle previsioni contenute nel precedente DPEF si è realizzata, innanzitutto sul versante della crescita, prevista, seppure in misura contenuta, sia per il 2008 che per il 2009, non solo nel DPEF presentato in estate, ma anche nella nota di aggiornamento del 23 settembre. Per entrambi gli anni, assistiamo invece ad una decrescita molto consistente nel 2009.
Anche per la finanza pubblica siamo in condizioni non solo diverse ma opposte a quelle delineate lo scorso anno. Sul piano dell'indebitamento netto, invece di un suo continuo ridimensionamento fino al pareggio di bilancio, si verifica un suo innalzamento, mantenendosi ben oltre il 3 per cento per diversi anni. Il debito pubblico, invece di tendere a scendere sotto la soglia del 100 per cento, riprende la salita e si porta tra il 115 e il 120 per cento.
La crisi economica mondiale ha fatto rivedere tutte le precedenti previsioni in tutto il mondo e l'Italia non poteva esserne immune. Ciò non toglie che il Ministro dell'economia e delle finanze affermasse di aver previsto tutto ancor prima dell'esplosione della crisi e che non sia nuovo al discostarsi netto tra previsione e consuntivo. È già successo in tutta la legislatura 2001-2006.
Così come non si può non sottolineare un commento del relatore di minoranza al precedente DPEF, onorevole Baretta, che affermava: il Governo rileva che siamo di fronte ad una scarsa crescita, ad una crisi del potere d'acquisto e ad un deficit pubblico. Su questi tre punti di analisi non vi è un generale dissenso.
Il dissenso è presente, invece, sulla ricetta: si può essere d'accordo o meno, ma separare questi tre aspetti per affrontarne uno solo, ossia quello del deficit, che va affrontato, in assenza di interventi efficaci ed immediati sulla crescita e sul potere d'acquisto, produce una manovra depressiva ed inefficace. Infatti, se non ci sarà la crescita entro il 2011, non ci sarà il risanamento di bilancio previsto.
È esattamente quello che sta accadendo: la causa di ciò non sta solo nella crisi, parte del problema sono le politiche perseguite dal Governo. Infatti, al di là dello scostamento tra previsione e realtà, l'elemento più inquietante risiede nella condizione che viene rappresentata dal DPEF con più realismo rispetto alla recente Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, a partire dalla condizione dell'economia italiana.
Il PIL è sceso di un punto nel 2008 rispetto al 2007. Le stime del Governo, ora in linea con tutti i catastrofisti contro cui si era precedentemente scagliato, per l'anno in corso prevedono una diminuzione del 5,2 per cento, cui farebbe seguito una leggera ripresa dello 0,5 nel 2010.
Dalla lettura del DPEF non emerge la gravità di questo dato. Sembra sia del tutto normale, semplice conseguenza della crisi, un dato che ci si aspettava. Non si può non sottolineare che è una delle riduzioni più consistenti tra i maggiori Paesi europei.
Francia e Gran Bretagna vedono performance migliori sia nel 2008 che nel 2009. La Germania, come ha sottolineato il Ministro Tremonti nel corso della sua audizione, sta peggio nel rapporto 2009-2008, con meno 6,2 per cento, ma è cresciuta dell'1,3 nel 2008 sul 2007, facendo 100 al 2007, alla fine del 2009 la Germania registrerà 95,02. L'Italia è calata di un punto nel 2008 e, facendo 100 al 2007, alla fine del 2009 registrerà 93,85, quindi peggio.
Soprattutto, per l'Italia questo dato si registra dopo nove anni di bassa crescita, Pag. 23di cui tre (2003-2005) sostanzialmente di sviluppo zero e, come già ricordato, un 2008 che ha registrato per la prima volta il segno meno.
Né si può affermare che questo è un dato atteso dal Governo. A maggio, nella RUEF si prevedeva un meno 4,2 per cento, a febbraio, una riduzione di circa due punti, per non parlare dell'autunno, quando si profetizzava che le crisi finanziaria non avrebbe inciso sull'economia reale.
Quindi, è un risultato inaspettato, che mette in discussione tutta la politica economica del Governo. Né si può affermare che, comunque, oggi la crisi è alle nostre spalle. Non lo è nella fase congiunturale. Sul versante dell'occupazione è il CNEL a prevedere che si arrivi al 9 per cento di disoccupazione e ad una brusca riduzione dell'occupazione sino alla prima parte del 2010.
Registriamo che la produzione procede ancora ai minimi storici e perfino i consumi fondamentali hanno dimostrato, nelle ultime settimane, un segno di ulteriore non prevista caduta.
Il sistema delle imprese è in progressiva sofferenza: crollano i fatturati delle maggiori imprese, mentre le aziende minori non hanno più l'energia finanziaria per resistere a un calo della domanda senza precedenti.
I maggiori gruppi bancari operanti in Italia registrano un aumento del 125 per cento delle sofferenze e, guardando alla prospettiva oltre la crisi, nulla è scontato; dipenderà da come ne uscirà l'Italia in un contesto mondiale completamente diverso.
Un quadro così negativo dell'economia è dipeso anche dalle scelte del Governo: non si è voluta fare una politica espansiva di un punto di PIL insieme a provvedimenti che portassero al riequilibrio dei conti negli anni successivi, come il Partito Democratico aveva proposto.
Si è sostenuto che quella proposta avrebbe determinato condizioni peggiori: non poteva essere così per il PIL, che non registra solo l'evoluzione dell'economia, ma è anche il denominatore di alcuni parametri fondamentali di finanza pubblica.
Si è motivata l'impossibilità di agire in tal senso, come stanno facendo molti altri Paesi, essenzialmente per l'elevato debito pubblico che caratterizza il nostro Paese. Dopo un anno si registra puntualmente quanto già sostenuto dal Partito Democratico, come richiamato in precedenza, citando l'onorevole Baretta, e cioè che, senza politiche di sostegno all'economia, anche i conti pubblici peggiorano.
Dopo un biennio di progressivo miglioramento, la situazione dei conti pubblici è peggiorata marcatamente nel 2008: l'indebitamento netto è tornato a crescere, passando dall'1,5 per cento del PIL nel 2007 al 2,7 per cento. Il rapporto tra il debito e il PIL è aumentato di oltre due punti, raggiungendo il 105,7 per cento. Nel 2009, l'indebitamento netto dovrebbe aumentare di 2,6 punti percentuali, raggiungendo il 5,3 per cento; il debito pubblico aumenterebbe di quasi 10 punti percentuali, salendo al 115,3 per cento.
La nuova stima del saldo è superiore di 0,7 punti percentuali rispetto a quella riportata nella RUEF; un incremento che sconta una maggiore contrazione del PIL e l'incremento degli stanziamenti previsti con il provvedimento di assestamento del bilancio. Per la prima volta, dopo 18 anni, si dovrebbe registrare un disavanzo primario pari allo 0,4 per cento del PIL.
Secondo il DPEF, l'incidenza della spesa primaria corrente è in forte aumento e dovrebbe salire dal 40,4 al 43,4 per cento del PIL: un massimo storico, superiore di circa 6 punti percentuali ai valori registrati alla fine degli anni Novanta.
È possibile valutare che meno di un quarto dell'incremento atteso per l'anno in corso sia riconducibile all'espansione della spesa per ammortizzatori sociali e agli effetti delle misure di sostegno dell'economia, mentre il resto è attribuibile, nonostante la scellerata politica dei tagli lineari e la propagandata riorganizzazione e riqualificazione della pubblica amministrazione, ad un'incapacità di governare la Pag. 24spesa pubblica; queste somme si sarebbero, invece, potute utilizzare per investimenti produttivi, per un sostegno reale e per una reale politica di contrasto della crisi.
Il Documento prefigura un'ulteriore contrazione delle entrate, 1,2 per cento, particolarmente marcata nel caso di quelle tributarie, con le imposte indirette in diminuzione del 3,8 per cento e le dirette dell'1,5. Nei primi sei mesi dell'anno le entrate tributarie di cassa contabilizzate nel bilancio dello Stato sono diminuite del 3,3 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2008, soprattutto per effetto del forte calo del gettito dell'IVA, meno 11,3 per cento.
Nel 2008, il gettito dell'IVA era già inspiegabilmente diminuito dell'1,5 per cento, a fronte di una crescita del 2,3 per cento dei consumi delle famiglie, la variabile macroeconomica che meglio approssima la base imponibile del tributo.
Nel primo trimestre dell'anno in corso l'IVA è diminuita del 10,2 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2008, mentre i consumi sono scesi del 2,6 e solo una parte del divario sembra riconducibile ad una ricomposizione dei consumi verso beni essenziali, caratterizzati da aliquote più basse. La pressione fiscale è prevista aumentare per l'anno in corso di 0,6 punti percentuali, tanto da arrivare al 43,4 per cento del PIL. La gravità della crisi ha creato un vasto consenso a livello internazionale sulla necessità di affiancare agli stabilizzatori automatici e alla politica monetaria interventi discrezionali di bilancio a fini anticiclici.
Tuttavia, il Governo ha scelto una linea minimalista per intervenire sulla crisi: il rifiuto di adottare, già negli ultimi mesi del 2008 e per il 2009, una politica di bilancio anticiclica, secondo qualità e quantità della manovra corrispondenti alla gravità della condizione della nostra finanza pubblica, lasciando il corso delle cose andare naturalmente, senza correzioni rilevanti dal punto di vista delle tendenze che si stanno manifestando.
Il risultato è che il Governo non ha realizzato una vera politica anticiclica, anzi questa è spesso stata prociclica; né è stato in grado di governare la spesa, che nonostante i tagli introdotti sembra crescere più delle previsioni e senza controllo. Quello dei tagli lineari è il secondo esempio in pochi anni, dopo il tetto alla spesa, che dimostra che la spesa pubblica non si governa con provvedimenti aggregati, né con misure uguali per tutti, ma si governa con ciò che aveva avviato il Ministro dell'economia e delle finanze del precedente Governo, cioè con la spending review, individuando voce per voce quali sono i risparmi possibili, e si controlla passando i costi standard, come si è deciso con la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.
La tavola III.9 del DPEF dà conto del marcato carattere prociclico della politica fiscale del Governo, ciò che consente di prevedere che la manovra produrrà un grave deterioramento dei saldi di finanza pubblica, senza determinare apprezzabili effetti di sostegno dell'economia e di riduzione dell'impatto sociale della crisi. In questa tabella viene scomposto l'indebitamento netto fra componente strutturale e componente ciclica; nel 2008, la componente ciclica è stata pari a più 0,5 per cento. La politica economica è stata cioè prociclica: inerzialmente e strutturalmente ha determinato un deficit di 3,2 punti percentuali; gli interventi congiunturali infrannuali e discrezionali hanno ridotto quel 3,2 al 2,7. Proprio quando arrivava la più grande crisi economica degli ultimi cinquant'anni, la politica economica italiana, nella sua componente discrezionale, ha aggravato la crisi e ristretto la finanza pubblica. Nonostante le dichiarazioni del Ministro Tremonti, la politica è minimalista ma non prudenziale, perché altrimenti i fondamentali di finanza pubblica non sarebbero scesi ai livelli evidenziati in precedenza.
Abbiamo assistito in questi mesi alla presentazione e all'approvazione, senza possibilità di confronto con la maggioranza e il Governo, di ripetuti provvedimenti presunti anticrisi, contenenti misure parziali, inefficaci e prive di una visione coerente e di un'analisi seria di quanto Pag. 25stava e sta ancora avvenendo. Le misure espansive contenute nei decreti-legge hanno trovato tutte una copertura finanziaria all'interno dei rispettivi provvedimenti, o con aumenti di entrate o in misura minore con riduzioni di spese, più spesso con la distrazione di risorse già stanziate dal precedente Governo per altre finalità: si pensi al reiterato e distorto utilizzo delle risorse dal Fondo per le aree sottoutilizzate, con ciò distruggendo la programmazione 2007-2013.
Rifiutandosi di governare la crisi accompagnando l'azione degli stabilizzatori automatici con politiche discrezionali anticicliche, modeste per entità finanziarie ma capaci di agire sulle aspettative delle imprese e delle famiglie, il Governo si è fatto trascinare dagli eventi: lo prova il disegno di legge di assestamento del bilancio, che contiene una manovra espansiva di tipo discrezionale per circa un punto di PIL, con un marcato effetto peggiorativo del fabbisogno e dell'indebitamento netto, quando le regole fissate dalla legge di contabilità impediscono esplicitamente di usare l'assestamento di bilancio per modificare, attraverso scelte discrezionali di spesa che non derivino da maggiori entrate, la legislazione vigente, a partire dalla legge di bilancio in vigore. Senza dichiararlo, il Governo modifica in corso d'anno il suo orientamento, ma non programma contenuti, metodi e strumenti della manovra; i contenuti e i beneficiari della stessa non rispondono ad un preciso ordine di priorità, né ad un ordinato disegno di politica fiscale.
La prima cosa che perciò proponiamo è che il Governo ritiri il disegno di legge di assestamento di bilancio: ciò consentirebbe di ottenere un miglioramento del fabbisogno e dell'indebitamento per l'anno in corso, pari ad almeno un punto di PIL; permetterebbe altresì di compiere un'operazione di trasparenza; e invece di dare per avvenuto nel DPEF l'uso delle risorse disposte dall'assestamento, si potrebbero reimpostare le scelte sia nella parte restante del 2009 che nel DPEF, discutendole e non considerandole già decise. Questa proposta può sembrare alquanto originale, ma è l'unica in grado di affrontare gli effetti della crisi con scelte consapevoli, efficaci ed immediate.
Vi sono due elementi poi del DPEF che producono rilevanti perplessità. Il primo è che il Governo decide di non fare nulla per correggere i tendenziali del 2010. Nessuna manovra: l'obiettivo di indebitamento netto programmatico è pari a quello tendenziale. È la dimostrazione che nonostante gli effetti sociali pesanti che si verificheranno nel 2010, la linea principale Governo è di lasciare passare la nottata (questo potrebbe essere il titolo del DPEF), come se le cose potessero aggiustarsi da sole.
Per il 2010 è prevista una riduzione della spesa per investimenti del 6,6 per cento, riportandola al livello del 2006: in una fase congiunturale che rimarrà prevedibilmente delicata, sarebbe necessario mantenere questo sostegno del settore pubblico alla domanda aggregata. Si prevede una crescita del PIL dello 0,5 per cento, senza chiarire la motivazione di tale previsione. Ricordo che nella RUEF si prevedeva meno 4,2 per cento per il 2009 e più 0,3 per cento per il 2010, quando il Fondo monetario internazionale, così come l'OCSE, prevedeva meno 0,4. Ora si rivede la previsione per il 2009 a meno 5,2 per cento ma si aumenta la crescita prevista per il 2010.
Vi è un problema di attendibilità delle previsioni di non poco conto, considerati gli effetti che essa può determinare sui fondamentali di finanza pubblica. Per il 2011 e gli anni seguenti l'attendibilità è ancora più scarsa: si prevede costantemente per tre anni consecutivi una crescita del 2 per cento. Ricordo che negli ultimi dieci anni il 2 per cento è stato raggiunto e superato solo nel 2000 e nel 2006. Non è pertanto obiettivo di poco conto: come si pensi di raggiungerlo, non è assolutamente indicato. Sottolineo che la riduzione dell'indebitamento netto e del debito pubblico derivano sostanzialmente da questa previsione di crescita del PIL.
Non vi è alcuna indicazione delle politiche fondamentali e delle riforme strutturali che possono permettere al Paese di Pag. 26essere in condizioni di cogliere pienamente le opportunità che si presenteranno dopo la crisi. Non è emerso questo nei provvedimenti dei mesi scorsi né nel recente decreto-legge n. 78, né emerge nel DPEF. Né è condivisibile individuare nel federalismo fiscale o nella scelta del nucleare elementi che corrispondano a queste esigenze: a prescindere dal merito, si tratta di provvedimenti che produrranno i loro effetti non prima di cinque anni ed è ipotizzabile che la crisi sia superata molto prima. Né va in questo senso quanto previsto dal decreto n. 78 sull'età pensionabile: in un decreto urgente si è infatti prevista una norma i cui effetti si producono dal 2015.
Il Partito Democratico avanza una serie di proposte che dovrebbero essere contenute nel DPEF, sia per il medio che per il breve periodo. Sono contenute nella risoluzione che presentiamo, e qui intendo richiamarle. Sul piano strutturale, riguardano: una manovra pluriennale per un effettivo rientro del volume globale del debito pubblico, anche attraverso la valorizzazione del patrimonio pubblico; la revisione della spesa pubblica per ridurre la spesa corrente primaria; le infrastrutture per il Paese con particolare riferimento al Mezzogiorno, ripristinando le risorse del FAS; misure fiscali e infrastrutturali per la crescita dell'occupazione, in particolare nel Mezzogiorno; la riforma in senso universalistico degli ammortizzatori sociali; una vera riforma della pubblica amministrazione, così come un'effettiva riforma dei servizi pubblici locali; le politiche fiscali e di bilancio per sostenere la green economy; l'avvio di una credibile politica per la casa; il riavvio degli interventi di liberalizzazione. Indichiamo inoltre una serie di interventi puntuali per il breve termine, a partire dalla modifica del Patto di stabilità interna, obiettivi a breve termine che non sto a richiamare.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MAINO MARCHI, Relatore di minoranza. Sostanzialmente, siamo dunque di fronte ad una situazione - lo ripeto - molto grave dell'economia e della finanza pubblica, che non trova riscontro nell'analisi del Governo. Analogamente, così come non vi è stata una vera politica anticrisi in questo primo anno di Governo di centrodestra, in questa legislatura non si intravede una politica economica del Governo all'altezza della situazione gravissima dei conti pubblici, oltre che per affrontare i problemi dell'occupazione e delle imprese nei prossimi mesi, così come manca una politica per posizionare il nostro Paese in una condizione competitiva nel sistema economico mondiale che uscirà dalla crisi. La politica economica che emerge dal DPEF non è all'altezza di questa sfida, e va cambiata sostanzialmente nella direzione che abbiamo indicato nella risoluzione presentata dal Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).
MICHELE VENTURA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MICHELE VENTURA. Signor Presidente, questa seduta si è aperta con l'egregia relazione di minoranza svolta dal collega Marchi, che ha fornito un quadro ed elementi utili per il dibattito in Aula. Il relatore di maggioranza ha invece rinunziato a presentare la propria relazione.
Vorrei sottolineare, signor Presidente, che viene a mancare una parte che costituisce integralmente, assieme al testo del DPEF, la base del confronto e della discussione in Aula. La relazione di maggioranza non è un fatto trascurabile: è possibile rinunziarvi, ma ciò è politicamente grave e non comprensibile. Non so se questo è un anticipo, come abbiamo avuto modo di dire più volte, dell'importanza che l'attuale Ministro dell'economia e delle finanze intende attribuire al Documento di programmazione economico-finanziaria; è del tutto evidente, infatti, che questo strumento, sulla base dell'importanza che riveste nella sessione di bilancio, non è aggirabile. D'altra parte la situazione - e l'onorevole Marchi con le Pag. 27cifre che ha fornito all'Aula lo dimostra - può essere l'occasione per un approfondimento anche sui dati strutturali dello stato della finanza pubblica e sulle politiche di sviluppo nel nostro Paese.
Ma più che ad un disegno preordinato voglio pensare ad un infortunio, e vorrei invitare i colleghi della maggioranza a porvi rimedio: la sensibilità che si deve avere verso l'Assemblea e la sensibilità che si deve avere verso l'opposizione non possono essere a corrente alternata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. In effetti è un po' strano cominciare la discussione senza la relazione di maggioranza. Lei lo ha sottolineato e mi rivolgo quindi al relatore, chiedendogli se non ritenga opportuno dire alcune parole.
MASSIMO BITONCI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, sinceramente si è trattato più di un mio zelo che di un infortunio. Ho presentato, infatti, la relazione in Commissione nella giornata di ieri, sono intervenuto anche oggi in sede di replica del relatore e quindi mi sembrava, forse anche per inesperienza, di dover lasciare spazio al relatore di minoranza, anche perché pensavo di avere poi l'opportunità di replicare.
È stato quindi più che altro un mio zelo, ma vista anche la battuta iniziale, che ho trovato infelice, dell'onorevole Quartiani, che non si è accorto della mia presenza quale relatore tra questi banchi, e considerate anche le indicazioni che sono emerse ed il fatto che forse sono stato troppo educato nel lasciare spazio agli altri visti anche i tempi ristretti, a questo punto preferisco svolgere la mia relazione.
PRESIDENTE. Onorevole relatore, non è così semplice, perché il tempo della relazione è passato. Ho inteso - chiedo conferma - l'invito che è venuto da un autorevole rappresentante dell'opposizione come un invito, effettivamente, a svolgere la relazione. Però su questo punto vorrei che non vi fossero opposizioni, perché l'ordine regolare dei lavori non prevede più lo svolgimento della relazione.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, la ringrazio. Mi rendo conto che siamo innanzi ad un atteggiamento che non può essere ascrivibile ad un problema di educazione per garantire che altri possano prendere la parola. Non era infatti un problema di tempi, perché i tempi per il relatore per la maggioranza sono dati e quei tempi potevano essere integralmente occupati e non avrebbero sottratto alcun minuto e alcun tempo agli altri interventi, né di maggioranza né di opposizione.
Ciò premesso, ed anche nell'ambito di una pratica innovativa, da parte del mio gruppo non vi è alcuna contrarietà a che il relatore per la maggioranza faccia ciò che avrebbe dovuto fare all'inizio della seduta in rapporto a questo punto dell'ordine del giorno che reca la discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria, nel rispetto degli altri colleghi e della prassi della discussione in questa Aula.
Naturalmente, non vi è alcuna contrarietà da parte del gruppo del Partito Democratico a che il relatore della maggioranza svolga la sua relazione, né, eventualmente, al fatto che vi rinunzi, ma almeno la depositi, altrimenti verrebbe da pensare che quella relazione non sia presente né in un testo scritto, né nella mente del collega che ha la responsabilità di relazionare per la maggioranza.
RENATO CAMBURSANO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, io credo alla buona fede del relatore di maggioranza, del collega Bitonci, dimostrata anche con i toni pacati usati in Commissione, nonché nel breve intervento che ha svolto, spiegando il perché Pag. 28di questa sua rinunzia iniziale. Ne capisco, ne comprendo le motivazioni, però, credo che sia ora - lo dico per primo a me stesso, ma anche a tutti i colleghi - che le regole, se ci sono, è bene che vengano sempre rispettate.
Data la buona fede del collega Bitonci, sono assolutamente d'accordo che gli sia concesso di svolgere la sua relazione a posteriori, dopo la relazione di minoranza, invertendo l'ordine dei fattori (in questo caso la proprietà commutativa non vale, perché il risultato, essendo politico, cambia).
GIANCARLO GIORGETTI. Presidente della V Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Presidente della V Commissione. Signor Presidente, mi voglio assumere una parte della responsabilità di quello che è accaduto. L'onorevole Bitonci mi ha chiesto il da farsi, e forse ingenuamente, ho pensato che, viste anche le modalità con cui si è svolta la discussione in Commissione, l'intervento di questa mattina dell'onorevole Bitonci poteva riassumere sinteticamente il suo pensiero a beneficio dei pochi colleghi presenti, tra l'altro quasi tutti membri della Commissione. Probabilmente, l'onorevole Bitonci ha pensato di riassumere il suo pensiero in sede di replica. Non credo che vi sia da attribuire a ciò alcun significato politico. Se il senso è quello di sentire la posizione della maggioranza, come l'abbiamo sentita questa mattina, possiamo farlo tranquillamente, l'onorevole Bigonci ha dato la sua disponibilità a farlo in questo momento in Aula. Francamente non credo si possa montare un caso su questo.
TERESIO DELFINO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, il clima feriale, quasi «preagostano», può indurre in qualche amnesia. Noi, come UdC, rileviamo certamente la singolarità di questa situazione che è stata ben descritta per tutti dall'intervento del collega Ventura, che sottoscriviamo nelle motivazioni. Però, riteniamo che la dignità del lavoro dell'Aula, al di là della consistenza numerica, e del rispetto delle proprie procedure, sia un elemento che non possa subire sconti, né lesioni, motivate da un buonismo o da un'ingenuità che francamente fatico a riconoscere al presidente della Commissione bilancio, di cui sono note l'autorevolezza, l'impegno e la conoscenza della prassi parlamentare.
Prendiamo atto, quindi, di un «ravvedimento operoso» intervenuto da parte del relatore. Prendiamo atto anche dell'intervento del presidente della Commissione bilancio. Non vogliamo certamente farne un caso, ma riteniamo che questo sia un episodio da attribuire più ad un clima preferiale, ed è da non condividere e da stigmatizzare.
Infatti il rispetto di questa Aula e del confronto tra maggioranza e opposizione mai aveva (sono tanti anni che sono in Parlamento) riscontrato un'analoga situazione. Prendiamo atto che è tutto bene quello che finisce bene, ma volevamo anche con queste brevi parole significare che è assolutamente necessario rispettare le procedure e le prassi parlamentari.
PRESIDENTE. Colleghi, la Presidenza a questo punto intende proseguire i lavori nel modo seguente: onorevole Bitonci, io le darò la parola, invitandola però a non svolgere per intero la relazione ma a farne una versione breve, eventualmente consegnando il testo integrale per la pubblicazione in calce al resoconto stenografico, dopo di che riprenderemo con l'ordine normale degli interventi. Conciliamo in questo modo il suo diritto, che è stato un po' compromesso da una decisione forse affrettata, a svolgere la relazione con il diritto dei colleghi a non vedere interrotto l'ordine già prestabilito degli interventi. Prego, ha facoltà di parlare.
MASSIMO BITONCI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, il Documento Pag. 29di programmazione economico-finanziaria al nostro esame interviene in una fase dell'economia, sia italiana sia internazionale, di assoluta straordinarietà. Già nel corso del 2008, ma soprattutto nell'anno corrente, l'impatto della crisi finanziaria sull'economia reale è risultato di particolare intensità, determinando nei prime tre mesi del 2009 una generalizzata e profonda contrazione di tutte le economie avanzate, accompagnata da una progressiva riduzione del numero degli occupati. La contrazione della crescita economica e il deterioramento del clima di fiducia dei consumatori e delle imprese si sono acuiti all'inizio del 2009 in concomitanza con la più profonda caduta del commercio internazionale registratasi dal secondo dopoguerra.
Nel 2009 la stima di riduzione del prodotto interno lordo dell'economia mondiale è pari all'1,7 per cento, mentre la contrazione del commercio internazionale è pari al 16 per cento. Per contrastare gli effetti della crisi le autorità politiche e monetarie dei principali Paesi industriali hanno adottato manovre di bilancio antirecessive e misure straordinarie dirette a stabilizzare i sistemi bancari e finanziari. Il DPEF sottolinea al riguardo come i rischi per l'economia mondiale provengano anzitutto da incertezze che sono presenti nel sistema finanziario internazionale. Permane, inoltre, l'esigenza di garantire i normali meccanismi di erogazione del credito al settore privato in un contesto nel quale il permanere di una elevata avversione al rischio potrebbe determinare fenomeni di contrazione del credito, con le relative conseguenze negative per quanto riguarda gli investimenti.
Lo scenario economico in Italia si inquadra in questa situazione, con un prodotto interno lordo che per il 2009 si riduce del 5,2 per cento. Preoccupa anche la situazione del mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione in aumento nel 2009 (dal 6,7 del 2008 passiamo all'8,8) e nel 2010 supereremo l'8 per cento arrivando quasi al 9 per cento, in un quadro di finanza pubblica in cui abbiamo un saldo estremamente negativo, la cui crescente criticità nel corso dell'anno ha comportato una revisione peggiorativa delle stime del DPEF. L'indebitamento netto viene fissato al 5,3 per cento del PIL per il 2009 e abbiamo anche un peggioramento del saldo primario, con un valore negativo dello 0,4 per cento del PIL. La spesa per interessi si mantiene pari al 5 per cento.
Per quanto riguarda le previsioni per il 2010 e per gli anni successivi, abbiamo un indebitamento netto pari al 5 per cento del PIL e un miglioramento dello 0,3 per cento rispetto al livello di deficit fissato per il 2009. È prevista anche una sostanziale diminuzione delle entrate tributarie e in particolare di quelle dirette.
Le spese risultano lievemente superiori alle stime riportate in considerazione di una previsione di crescita delle spese in conto capitale di circa 1,5 miliardi, parzialmente compensata dalla previsione di una minore spesa per interessi. Il livello di indebitamento netto del 5 per cento nel 2010 risulterebbe da una previsione di avanzo primario pari allo 0,2 per cento del PIL e ad una spesa per investimenti pari al 5,1 del PIL.
Considerando il quadro programmatico, per gli anni successivi gli obiettivi programmatici evidenziano una riduzione progressiva del deficit che dal 5 per cento del 2010 scenda al disotto della soglia del 3 per cento nel 2012. Per quanto riguarda l'avanzo primario il Governo si prefissa l'obiettivo di un suo graduale aumento dallo 0,2 del 2010 al 3,5 del 2013. Tenuto conto dell'andamento tendenziale, i nuovi obiettivi finanziari individuano, dunque, una manovra correttiva sul saldo primario pari, in termini cumulati, a circa l'1,2 per cento del PIL.
In tale situazione, rispetto alle strategie di contrasto adottate dagli altri Paesi industrializzati, il DPEF afferma che in Italia vi è stata una minore necessità di intervenire a sostegno del sistema finanziario. In ragione di ciò il piano anticrisi, attivato con una pluralità di strumenti e sviluppato in fasi successive, ha operato secondo più linee di indirizzo: normalizzazione delle condizioni operative del sistema Pag. 30finanziario; allargamento della copertura degli ammortizzatori sociali; rafforzamento degli investimenti pubblici; una manovra correttiva sull'innalzamento dell'età per la pensione delle donne nella pubblica amministrazione; misure di sostegno delle imprese e un incentivo agli investimenti con la Tremonti-ter.
Secondo quanto riportato dal DPEF in termini finanziari, escludendo gli interventi a favore del settore bancario ed il più recente decreto-legge n. 78 del 2009, il cosiddetto piano anticrisi ha reperito un ammontare di risorse lorde pari a 27,3 miliardi per il quadriennio 2008-2011, corrispondenti all'1,8 del PIL. Si è trattato, come precisato nel Documento, di una strategia che ha tenuto ben presente il peso del debito pubblico rispetto al PIL, considerando che il debito è comunque destinato ad accrescersi nell'anno in corso e nel successivo, per il peggioramento del disavanzo causato da un rallentamento delle entrate e dall'incremento della spesa. Pertanto intervenire con una massiccia iniezione di risorse, come da molte parti richiesto, in particolare dall'opposizione, avrebbe potuto causare un effetto negativo sui differenziali di rendimento dei titoli italiani rispetto a quelli dei Paesi finanziariamente più in equilibrio, con il conseguente incremento della spesa per interessi.
Al contrario, una linea di prudenza fiscale e del rigore nella gestione dei saldi di bilancio ha rassicurato gli investitori internazionali sulla sostenibilità della finanza pubblica italiana e i differenziali di rendimento che nei primi mesi dell'anno erano in crescita si sono ridotti in misura significativa. Tale linea è stata espressamente apprezzata dalle principali istituzioni internazionali. La risposta del Governo alla crisi, come finora attuata e come delineata per il quadriennio 2010-2013, si basa sull'esigenza di non accrescere il disavanzo e, nel contempo, di non aggravare il carico fiscale. Essa pertanto impone di reperire le risorse necessarie attraverso una riqualificazione della spesa pubblica, variandone parte delle allocazioni in modo da produrre effetti di stimolo sul sistema economico. Tali effetti possono derivare non solo, come finora ritenuto, da una politica di spesa a carico del bilancio pubblico - la cui efficacia espansiva è fortemente dubbia nella nostra situazione finanziaria - ma anche da una combinazione di norme procedurali, di estensione delle garanzie pubbliche in favore dell'operatore economico e di una riallocazione della spesa in favore delle infrastrutture materiali e immateriali. Tali interventi devono attuarsi con le manovre correttive che - può citarsi testualmente il Documento - dovranno privilegiare misure che non comportino un incremento della pressione fiscale a carico dei settori economici che operano nel pieno rispetto delle regole fiscali e che non riducano il livello dei servizi.
Vorrei chiudere questa mia sintetica relazione che, per quanto sinora illustrato, non può che valutare favorevolmente il contenuto degli obiettivi del Documento di programmazione, con un breve richiamo alla situazione degli enti locali per quanto riguarda il Patto di stabilità.
Obiettivo del Patto di stabilità consiste nel fatto che ciascun ente presenti, al raggiungimento degli anni 2009-2010-2011, un saldo finanziario almeno pari a quello del 2007, corretto di una determinata misura, del calcolata applicando al saldo del 2007 alcuni coefficienti. Questi ultimi sono differenziati per i comuni e le province secondo che l'ente locale sia un ente virtuoso o meno. Si tratta di un meccanismo che, sin dall'inizio, ha creato alcune problematiche applicative con riguardo all'effettuabilità di spese per investimento, in particolare per gli enti virtuosi (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.
RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, anch'io constato che questa maggioranza si tiene legata solo da interessi e quando questi vengono un po' meno si liquefa, non a causa del solleone di piena estate, ma proprio perché viene a mancare Pag. 31il collante degli interessi su alcune partite, che vengono messe in discussione e non si trovano neanche più con i numeri, nel momento in cui dovrebbe votare un provvedimento come quello cosiddetto anticrisi, com'è accaduto stamane.
Signor Presidente, mi rivolgo direttamente al sottosegretario Casero, che in occasione della sua replica in Commissione ha constatato e fotografato una situazione reale: questa è la settima manovra e la settima discussione di natura economica e finanziaria che svolge questo Parlamento. Attenzione al numero sette, che non è un numero perfetto come di solito viene identificato: è semplicemente una ripetizione di interventi uno sull'altro, perché questa maggioranza e questo Governo non hanno ancora preso il filo logico, quello che dovrebbe portare ad un provvedimento serio ed unico per dare risposte alla crisi economica e sociale che il Paese sta attraversando.
Il sottosegretario Casero ancora stamani diceva che, commentando i dati economici inseriti nel provvedimento in esame, negli interventi fatti in Commissione ci si era lasciati andare (noi minoranza) ad una «facile demagogia» (sono parole sue). Davvero? Ma facile demagogia da parte di chi? Se vi è demagogia, sottosegretario Casero, questa è stata portata alle estreme conseguenze dal Ministro Giulio Tremonti e lo dico convintamente, perché quanto è andato ad affermare al Senato della Repubblica è lì a confermarlo e a dimostrarlo. Infatti, quando dice che sono stati raggiunti i tre obiettivi che il Governo si era proposto nel precedente Documento di programmazione economico-finanziaria dice una falsità o meglio ancora vuole dire agli italiani cose che sono diverse dalla realtà. Poi, definite come volete e come preferite questo comportamento.
Qualcuno in Commissione stamani (mi riferisco ad un esponente della Lega peraltro presente anche in aula) ha parlato dell'elogio della flemma citando Quadrio Curzio e dicendo che questo Governo va lentamente, ma raggiunge gli obiettivi. Signor Presidente, io preferisco invece citare altre due fonti, con tutto il rispetto per Quadrio Curzio, da parte mia sicuramente più attendibili, intanto perché hanno un taglio economico di grande livello e sono più specificatamente quello dell'Economist e quello di un premio Nobel per l'economia. L'Economist diceva che il vero scandalo di questo Paese è quello di non aver capito quale fosse la gravità della crisi e, quindi, di non aver adottato i provvedimenti necessari. Per altri versi diceva cose analoghe - ma lo vedremo dopo - anche il premio Nobel Samuelson.
Quali erano gli obiettivi che si ponevano? Tre, dice il Ministro Tremonti, ripresi anche nella prima parte del Documento di programmazione economico-finanziaria. Per la finanza pubblica i conti sono in linea con i nostri impegni internazionali, dice lui, smentito categoricamente dal Governatore della Banca d'Italia, che invece afferma che i conti pubblici sono gravemente deteriorati. Infatti, questa è la situazione, se è vero come è vero - alcuni dati sono stati già citati - che il deficit in corso d'anno si spinge decisamente oltre il 5 per cento (lo riporta lo stesso documento), che le entrate tributarie sono in caduta libera e che il debito pubblico sta «veleggiando» in modo molto preoccupante verso il 120 per cento, obiettivo che probabilmente verrà raggiunto, - ma spero che non sia un obiettivo: meglio parlare di risultato - nel 2010.
Le spese correnti sono in forte ripresa, con la caduta delle spese in conto capitale. Questo da una parte, dall'altra vi è una caduta verticale della produzione industriale e un disavanzo. Come ricordava il collega Marchi nella sua relazione di minoranza, per la prima volta in diciotto, venti anni si parla non di avanzo ma di disavanzo: lo 0,4 per cento rispetto all'anno precedente, che vuol dire 35,6 miliardi di euro.
In compenso abbiamo un'evasione fiscale che ha ripreso a galoppare e ciò grazie ai provvedimenti adottati da questo Governo all'avvio della legislatura con il decreto n. 112, e non voglio più entrarvi nel merito perché li do per acquisiti. Il relatore per la maggioranza, onorevole Pag. 32Bitonci, oggi nella sua replica in Commissione citava un caso che gli è capitato in una regione italiana andando in un noto, ma non so se fosse tale, ristorante di quella regione, si parla della Puglia; egli ha constatato suo malgrado che, pur essendo le ore 22 inoltrate, era la seconda ricevuta fiscale che quel gestore di ristorante emetteva nella giornata. Esatto, perfetto, è esattamente così: c'è una serie di categorie di persone, di lavoratori in proprio - per fortuna non tutti i lavoratori autonomi sono di questa fattispecie - che hanno come primo obiettivo, come sport o hobby preferito, quello di evadere le tasse, perché tanto ci sono sempre quelle che ci pensano, i «pappagoni» che pagano per gli altri: i lavoratori dipendenti, i pensionati e anche i lavoratori autonomi onesti. Allora ecco perché i conti pubblici sono sfalsati, ecco perché gli obiettivi non sono stati raggiunti, ecco perché sono gravemente deteriorati.
Il secondo obiettivo è quello della tenuta sociale, garantita dice il Ministro Tremonti. Non è vero, o meglio lo è ma certamente non per i provvedimenti adottati da questo Governo, ma grazie all'alto senso di responsabilità dimostrato dai lavoratori che si trovavano e si trovano, purtroppo, tuttora in forte difficoltà occupazionale, se non addirittura già espulsi dal mondo produttivo o comunque dal lavoro, o che lo hanno, ma a scadenza, un lavoro precario, e grazie al grande ruolo svolto dai tanti amministratori locali e sindaci che hanno fatto fronte alle esigenze di prima istanza dei loro amministrati, salvo poi essere taglieggiati da questo Governo che ha tolto loro risorse.
Terzo obiettivo è la struttura produttiva che sarebbe stata sostenuta dal credito. Quale struttura produttiva? Quella delle grandi imprese che controllano le banche e che decidono da una parte quanto denaro chiedere alle banche, poi cambiano sedia e decidono quanto denaro dare a quelle imprese, cioè a se stessi che ne hanno fatto richiesta. Ma ciò non vale per le piccole industrie e le piccole imprese che sono con l'acqua alla gola. Questa è una fotografia distorta, ecco il vero scandalo.
D'altra parte gli organismi internazionali e anche nazionali lo hanno detto in tempi non sospetti, ma sono stati tacciati di voler descrivere un quadro più nero di quanto non fosse, e questo - sempre parole del Ministro - poteva indurre al pessimismo e quindi non rilanciare la ripresa. Ma non è così, perché gli italiani se ne sono accorti sulla loro pelle: i consumi sono caduti verticalmente, così come gli investimenti delle imprese sono caduti verticalmente. Ecco la ragione della citazione del premio Nobel Paul Samuelson che diceva, leggo testualmente: «quello che più serve ora è dare impulso alle spese di impatto immediato», che è proprio ciò che non si è visto nei sette interventi che già avete fatto e che non c'è stato nel provvedimento approvato stamane. Quindi avremo un autunno molto caldo, un autunno che ci preoccupa molto dal punto di vista economico e sociale, perché le aziende che sono in difficoltà sono tante e perché sulle aziende che non ce la fanno più ci sta mettendo la mano sopra la mafia, cioè l'unico vero soggetto che ha tante risorse a disposizione.
Lo ha detto Renato Cambursano nell'autunno dello scorso anno, ma non è stato creduto; lo ha detto anche il Governatore della Banca d'Italia, finalmente fotografando una situazione: c'è il controllo della mafia sulle aziende in difficoltà. Noi cosa facciamo? Ci giochiamo sopra e adottiamo dei provvedimenti che lasciano assolutamente il tempo che trovano.
Ecco allora il Documento di programmazione che si ripropone gli stessi obiettivi di quello precedente, sapendo bene, però, che alle condizioni date, cioè nella situazione in cui ci ha portato questo Governo, sicuramente non riuscirà a raggiungerli.
Dal Documento si evince, sostanzialmente, un dato, oltre a quello dell'evasione fiscale che ho già detto essere preoccupante, ma voi fate regali su regali agli evasori, compreso lo scudo o condono Pag. 33fiscale, tombale, anonimo e totale che fate nei confronti di chi ha portato clandestinamente all'estero miliardi. In compenso, si rileva una spesa primaria in forte aumento: dal 40,4 al 43,4 per cento, cioè un aumento di tre punti percentuali. Ecco cosa dice il Governatore Draghi durante l'audizione che si è svolta al Senato: meno di un quarto dell'incremento delle spese primarie atteso per l'anno in corso è riconducibile all'espansione della spesa per gli ammortizzatori sociali e per il sostegno all'economia.
Voi avete sempre sostenuto che c'è stato un aumento della spesa perché si è dovuti intervenire con gli ammortizzatori sociali per far fronte alle esigenze dei lavoratori e delle imprese, mentre la fotografia nitida della Banca d'Italia e del Governatore afferma che solo un quarto di tale maggiore spesa è dovuta a questo. La domanda che ho posto in Commissione senza ricevere risposta e che ripeto qui - sperando che il Governo, il sottosegretario, ma mi auguro anche il Ministro, se avrà la bontà e l'attenzione di dedicare un po' di tempo a questo Parlamento vogliano darci risposta - è quella di spiegarci come ciò sia stato possibile.
Avviandomi decisamente alla conclusione, afferma il Governatore che un altro dato da considerare è la necessità di agire attraverso modifiche alla composizione del bilancio pubblico. Dal Documento di programmazione al nostro esame non si evince assolutamente nulla che vada in questa direzione, cioè si ripetono in modo pedissequo e in modo quasi stancante quello che si è già visto in questi mesi. Aggiunge ancora il Governatore che, in prospettiva ci sono una serie di fattori che tenderanno ad accrescere il costo medio del debito pubblico. Qui mettiamo davvero il dito sulla piaga: il debito pubblico, che, come dicevamo all'inizio, sta veleggiando verso risultati raggiunti soltanto alla fine della prima Repubblica, che ricorderete. Quando la ripresa ci sarà - auspicabilmente molto presto, ma temo che non sarà così - questo provocherà una situazione di rischio nel collocamento dei titoli di debito della nostra Patria, della nostra Italia, nei confronti di altri Paesi che, invece, hanno i conti molto più a posto dei nostri. Quali sono queste prospettive o questi fattori? L'ingente ricorso dei Governi degli altri Paesi al mercato, la ripresa dell'attività economica e il rialzo del costo del denaro. Infatti, è auspicabile che rimanga a livelli bassi, ma, come sappiamo, appena ci sarà la ripresa le banche - e anche le Banche centrali - immagineranno di rimettervi mano e questo inciderà sulle rate dei mutui e dei prestiti delle famiglie e delle imprese, rimettendo in discussione alcune certezze - si fa per dire - che avevano raggiunto in questi ultimi mesi. Allo stesso modo, riprenderà a galoppare l'inflazione, anche qui riducendo il potere di acquisto delle famiglie e delle imprese.
Noi non ci siamo limitati ad avanzare osservazioni critiche; nella nostra risoluzione abbiamo proposto una serie di indicazioni, con la speranza che da questo dibattito, da questo Parlamento e - perché no? - anche dal Governo sia fatta una seria riflessione e che alcune di queste proposte vengono accolte, come quando parliamo di rimessa in discussione di una vera riforma della pubblica amministrazione...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
RENATO CAMBURSANO. Concludo, così come quando parliamo di una rimeditazione vera e profonda della riforma degli ammortizzatori sociali, in connubio con la riforma delle pensioni. Una vera spallata alla pressione fiscale passa solo attraverso la lotta seria all'evasione fiscale. Il collega Marchi concludeva...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
RENATO CAMBURSANO. Concludo anch'io invocando una trasparenza nella politica di questo Governo rispetto ai conti e al provvedimento che andremo ad adottare, cioè quello dell'assestamento di bilancio. Ce lo auguriamo ma certamente mi pare di poter dire che questo Governo e questa maggioranza non abbiano nel DNA Pag. 34questa trasparenza (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, più volte ci siamo chiesti in questa occasione quale sia il vero ruolo e il vero contributo che il DPEF può apportare alle discussioni economiche che facciamo in quest'Aula. Forse l'unico modo per dargli una dignità è quello di riportarlo alla sua funzione, che è quella di una programmazione triennale: si tratta di uno dei pochi documenti che abbiamo a disposizione che va oltre l'immediato e che prova a disegnare un percorso che dura almeno tre anni. Per fare questo, però, è indispensabile - questa, secondo me, è un'analisi che manca nel documento e che è forse mancata, faccio autocritica, in questi anni in quest'Aula - leggerlo insieme a quelli degli anni precedenti perché se il documento è triennale, non vi è dubbio che prima di tutto bisogna partire dalle premesse.
Il DPEF di quest'anno, che sicuramente è viziato dal momento economico che stiamo vivendo, non può prescindere da quello dell'anno precedente. Se andiamo a leggere il DPEF dell'anno scorso vediamo che le manovre economiche triennali ipotizzate da questo Governo si basavano soprattutto su un dato. La strategia era mirata a ridurre il costo complessivo dello Stato, invertendo la tendenza storica al suo aumento; riduzione che sarebbe stata sostenibile essendo prevista in ragione in una media del 3 per cento sul gran totale della spesa pubblica e che sarebbe stata operata restando all'interno dell'apparato pubblico. Si dava cioè alla riduzione della spesa pubblica del 3 per cento annuo, il compito di risistemare i conti dello Stato. Si diceva di non voler né creare nuovo debito né aumentare la pressione fiscale e giustamente l'unico modo che restava era quello di ridurre la spesa pubblica.
Andiamo a vedere nel DPEF dell'anno dopo, ovvero quello di quest'anno, anche alla luce del conto consuntivo e dall'assestamento che stiamo esaminando in questi giorni, se questo obiettivo è stato raggiunto. Le spese finali (non le guardo in rapporto al PIL, perché qualcuno potrebbe obiettare che se decresce il PIL è chiaro che l'incidenza della spesa pubblica aumenta, ma in valore assoluto) dello Stato passano da 535 miliardi di euro dell'anno scorso a 547 miliardi di euro di quest'anno. Sono aumentate sia in termini di incidenza sul PIL, sia - ciò è più preoccupante - in valore assoluto. Basterebbe solo questo per affermare che uno dei capisaldi della politica economica di questo Governo non è stato raggiunto. Proprio a questo concetto ovvero alla riduzione della spesa pubblica era stato dato mandato della tenuta dei conti pubblici. È un dato oggettivo: a un anno di distanza, la spesa pubblica non è diminuita del 3 per cento ma è aumentata in valore assoluto. Attenzione, non mi scandalizzo se la spesa pubblica aumenta ma se non raggiungo l'obiettivo che mi sono prefissato: questo è grave di per sé, ma il dato sostanziale di aumento della spesa pubblica può, in un momento di crisi, anche non essere negativo. Le cosiddette «politiche keynesiane» ci dicono che bisogna agire in maniera anticiclica e quindi, in un momento in cui le cose vanno male, lo Stato deve investire di più.
Mi preoccupano due cose della qualità della spesa: è cresciuta la spesa corrente ed è diminuita la spesa per investimenti, mentre le teorie keynesiane, se ci appoggiamo a quelle, ci dicono l'esatto contrario, e cioè che in un momento di difficoltà economica deve aumentare la spesa per investimenti, perché è quella che rimette in moto il ciclo virtuoso dell'economia. Le spese per investimenti passano da 63 miliardi di euro a 55 miliardi di euro, mentre invece quelle correnti passano da 472 miliardi a 492 miliardi.
Voglio fare un altro sforzo, voglio dire che può essere ancora un dato positivo se quella spesa corrente è andata a beneficio dei cittadini e delle famiglie, ma perché succeda questo occorre che io abbia aumentato determinate spese, quali quelle Pag. 35verso gli enti locali, perché sono gli enti locali che fanno la politica verso i cittadini, e anche quelle dell'istruzione perché le famiglie usufruiscono dell'istruzione: ad esempio, se diminuiscono le spese dell'istruzione, l'abbiamo detto più volte in quest'aula, è possibile che nel prossimo anno le famiglie non abbiano più il tempo pieno e questo può essere un problema.
Se andiamo a vedere la tipologia delle spese ci rendiamo conto che invece queste due tipologie di spese, trasferimenti agli enti locali e istruzione, sono quelle che hanno subito il taglio maggiore. Ciò vuol dire che noi in questo anno abbiamo speso meno per trasferimenti agli enti locali e che abbiamo speso meno per l'istruzione. Sono proprio queste due tipologie di spesa che mi fanno credere che non abbiamo aumentato i servizi ai cittadini, ma anzi in qualche maniera li abbiamo deteriorati.
Qual è il risultato? Il risultato è che aumenta la spesa pubblica e aumenta la spesa pubblica cattiva, cioè quella improduttiva. Questa è figlia, c'è poco da fare, della politica dei tagli lineari che noi avevamo già denunciato l'anno scorso. Noi dell'UdC l'avevamo detto chiaramente: guardate che se facciamo i tagli lineari noi avremo un aumento della spesa pubblica globale ma avremo, in particolare, un aumento della spesa pubblica improduttiva, e così è stato.
Nel documento di programmazione economico-finanziaria viene eliminata una parola che, secondo me, si trova in gran parte nei documenti economici dei Paesi industrializzati, è la parola inglese spending review, che vuol dire riqualificazione della spesa pubblica. Noi abbiamo abbandonato ogni speranza di riqualificare la spesa, cioè di renderla buona, per andare su una strada, quella dei tagli lineari, che ci può nel tempo portare solo male.
Si dice in questo DPEF che comunque la nostra politica prudente ci ha assicurato di mettere in sicurezza i conti pubblici. Ma io tutta questa sicurezza nei conti pubblici non la vedo, vedo una politica non tanto prudente quanto di paura. C'era una canzone degli anni Settanta che diceva che la prudenza spesso è la paura più stagnante, e questo mi sembra il caso. Qui si ha paura di fare le cose che servono perché sono impopolari. Quali sono le cose che servono? Sono le riforme, che servirebbero per diminuire la spesa pubblica. Invece si è affidato tutto a questa politica prudente di mantenimento dei conti pubblici che non li ha mantenuti.
È stato detto da chi mi ha preceduto e dall'eccellente relazione dell'onorevole Marchi, relatore di minoranza, che siamo in una situazione di deficit. Sapete cosa vuol dire deficit? Vuole dire che quel deficit si copre con un aumento del debito pubblico e l'aumento del debito pubblico è moralmente peggiore dell'aumento della pressione fiscale. Io preferisco un Governo che non faccia né l'uno né l'altro, ma preferisco un Governo che davanti ad una situazione come quella descritta nel DPEF arrivi ad ipotizzare un aumento di pressione fiscale piuttosto che di debito pubblico. Perché la pressione fiscale almeno la paghiamo noi, la paghiamo subito, la paga chi oggi lavora, mentre il debito pubblico lo lasciamo ai nostri figli.
Noi stiamo aumentando il debito pubblico e - attenzione - non solo in percentuale sul PIL, ma anche con riferimento a questo dato, in valore assoluto: da 1.750 miliardi siamo passati ormai a 1.900 miliardi. Stiamo aumentando il debito e lo stiamo lasciando ai nostri figli: questo non è moralmente giusto.
Quindi, non è vero che abbiamo messo in cassaforte i conti pubblici, abbiamo messo in cassaforte i conti pubblici lasciando il debito da pagare a chi verrà dopo. Allora è chiaro che c'è qualcosa nella politica del Governo da rivedere. Ritengo che questa sia l'occasione anche da parte del Governo di fare chiarezza e di dirci qual è la strategia per i prossimi anni perché così non c'è niente di buono (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.
MARCO CAUSI. Signor Presidente, nel mio intervento mi concentrò su quattro Pag. 36cose che il DPEF dice e su cinque cose che, invece, il DPEF non dice.
Espongo quello che il DPEF dice. La prima cosa: nella tabella a pagina 41 del documento si afferma che la politica economica in Italia è stata nel 2008 prociclica, cioè gli interventi discrezionali aggiuntivi durante il 2008 hanno prodotto un avanzo di bilancio di mezzo punto di PIL. Lo ha detto Marchi prima di me e non ritorno sull'argomento, questo è un aspetto importante perché aver avuto una politica economica prociclica, e che quindi ha aggravato la stretta finanziaria nel momento in cui arrivava la recessione, è la prima, e forse la principale, responsabilità del Governo e giustifica anche l'eccesso di recessione italiana al confronto con gli altri Paesi europei.
La seconda cosa che il DPEF dice è che la manovra 2009, quindi la manovra anticiclica del 2009, è di 11 miliardi. In realtà, le stime di altri specialisti indipendenti sono più basse, per esempio il Centro di analisi delle politiche pubbliche dell'università di Modena e Reggio Emilia cifra l'effettiva manovra aggiuntiva in 0,4 punti di PIL, ma dando per buono il dato del Governo, siamo di fronte ad una manovra 2009 pari a 0,7-0,8 punti di PIL contro una media degli altri Paesi dell'1,6. Secondo le stime del Fondo monetario, infatti, è di 1,6 punti di PIL l'importo medio delle manovre nei Paesi OCSE; quindi, adesso, nel 2009, abbiamo un intervento anticongiunturale che è pari alla metà di quello messo in campo dagli altri Paesi e che arriva con un anno di ritardo.
La terza cosa che il DPEF dice è che quando programma il valore dell'indebitamento netto al 2010 lo mantiene al livello del tendenziale, quindi il DPEF ci dice che il Governo non intende nel corso del 2010 correggere un tendenziale di indebitamento del 5 per cento. Voglio dirle, Presidente, e mi rivolgo anche al relatore e al Governo per dimostrare che non diciamo sempre di «no», che ritengo che questa sia una scelta giusta (mi riferisco alla tabella di pagina 33) perché il riaggiustamento dei conti pubblici che dovrà esserci a medio termine non può partire subito, ma deve aspettare la fine della crisi. Anzi, vorrei che il Governo e la maggioranza ci garantissero che comunque ci sia un margine di flessibilità per l'azione eventualmente, e forse probabilmente, necessaria, degli stabilizzatori automatici anche nel 2010 e penso soprattutto agli ammortizzatori sociali.
La quarta cosa: il DPEF ci dice che il Governo non ha una strategia a medio termine. Lo si è già detto prima di me, i quadri tendenziali e programmatici non differiscono molto, questa scarsa differenza è un'assenza voluta, lo sappiamo. Sappiamo quanto sia scettico il Ministro dell'economia rispetto alle previsioni a medio termine, ma ritengo che questo stia diventando un limite per l'azione del Governo, perché quando poi diciamo che il nostro obiettivo è di avere una crescita del PIL italiano del 2 per cento nel 2011-2012 come raggiungeremo questo tasso di crescita: con la domanda interna europea, con le esportazioni, con una ricomposizione della spesa interna, con quali strategie per le tecnologie del futuro? Di questo bisogna parlare, altrimenti di cos'altro dovremmo parlare?
L'incertezza e la sfiducia si sconfiggono con l'intelligenza collettiva e il Paese chiede questo alla sua classe dirigente. Non consideriamo, quindi, le discussioni di strategia a medio termine una perdita di tempo, invitiamo pressantemente il Ministro Tremonti a superare il suo scetticismo per tutto ciò che è previsione a medio termine perché qui non si tratta di prevedere, ma di costruire con intelligenza una strategia di uscita dalla crisi.
Passo adesso alle cinque cose che il DPEF non dice. Primo: non ci dice perché le imposte indirette si siano ridotte così tanto.
Nel 2008 sono scese da 227 miliardi di euro a 216 miliardi di euro; nel 2009 da 216 miliardi di euro sono previste scendere a 207 miliardi di euro, quindi hanno perso 20 miliardi di euro in due anni, quasi il 10 per cento, soprattutto a carico dell'IVA. Probabilmente se il DPEF si facesse questa domanda dovrebbe rispondere che c'è un aumento dell'evasione ed Pag. 37elusione perché si tratta di una discesa ampiamente superiore a quanto giustificabile in base all'andamento dei consumi.
In secondo luogo, il DPEF non ci dice perché le spese correnti continuano a crescere: 4 miliardi di euro in più per i redditi dei dipendenti pubblici; 4 miliardi di euro in più per i consumi intermedi; 4 miliardi di euro in più per la sanità; quasi 10 miliardi di euro in più per le pensioni. Ho valutato come gli uffici del MEF hanno fatto questa stima ma vorrei essere sicuro, quindi domando al relatore per la maggioranza e al Governo se sono sicuri di questa stima. Non mi risulta, infatti, che esistano elementi strutturali che la possano prevedere in tale misura.
Le altre spese correnti salgono di 4 miliardi di euro e gli investimenti pubblici di 3 miliardi di euro nel 2010, ma sono previste riduzioni negli anni successivi. Anche i contributi in conto capitale salgono di 4 miliardi di euro, forse a causa di ciò che abbiamo dovuto sborsare per l'eccellente soluzione di Alitalia? Non vorrei che alcuni di questi impegni di spesa cifrati nel 2009 si spalmassero un po' nei prossimi anni. Penso in particolare agli investimenti, ma anche sulle pensioni chiedo chiarimenti al relatore e al Governo. Si è già detto che non funzionano i tagli lineari, ma le spending review e i costi standard.
In terzo luogo, il DPEF non dice come intende applicare i costi standard. Leggiamo sui giornali che c'è una discussione in corso importante sulla sanità, ma attenzione: la vera questione della sanità sono i costi standard, non soltanto riallineare previsioni di spesa e stanziamenti anno per anno. Da questo punto di vista, gli studi esistenti ci dicono che il problema dei costi standard interessa tutto il Paese: tramite l'arrivo dei costi standard nella sanità pubblica ci sono consistenti margini di risparmio anche per la Lombardia, per il Veneto, per il Trentino-Alto Adige e non solo per le regioni del Sud. Ci sono solo due regioni che allo stato delle conoscenze attuali sui costi standard stanno in equilibrio rispetto ad essi e le voglio ricordare - in quanto ricordiamo sempre le regioni che fanno male - e sono la Toscana e la Liguria. La seconda, tra l'altro, è aggravata da un indice demografico negativo, però Liguria e Toscana sono le uniche due regioni in cui la sanità pubblica rispetta già da oggi i costi standard.
Infine, il DPEF non dice nulla sulle riforme che sono assenti, soprattutto in ordine agli ammortizzatori sociali. Da questo DPEF è assente il Mezzogiorno, che è il grande assente dalle politiche economiche del Governo. Non penso soltanto ai tagli quantitativi apportati al FAS, ridotto da 64 miliardi e 400 milioni di euro a 52 miliardi e 800 milioni di euro e usato come bancomat per tanti interventi importanti e urgenti, ma che non hanno la territorialità tra i loro elementi.
Il vero punto è che al di là e oltre i tagli quantitativi la discussione pubblica concentra tantissima attenzione sulle risorse aggiuntive e straordinarie per le politiche di sviluppo, dimenticandosi che queste risorse (9-10 miliardi di euro l'anno) sono appena un decimo dell'insieme dell'intero intervento pubblico sul Sud. Mi riferisco all'intera spesa pubblica sul Sud: quella ordinaria è di 100 miliardi di euro e quella aggiuntiva è di meno di 10 miliardi di euro. Noi dobbiamo fare più attenzione a come si intrecciano le politiche ordinarie con quelle aggiuntive e gli interventi ordinari con quelli aggiuntivi.
Quello che il DPEF non dice - e invece il Partito Democratico e le opposizioni vorrebbero che dicesse - sono cinque aspetti. Il primo è la ripristinazione del FAS e il metodo di una corretta programmazione pluriennale; il secondo è incentivare i concessionari di servizi pubblici ad aumentare gli investimenti pubblici nel Sud (penso alle Ferrovie dello Stato, all'ANAS, a Telecom, a ENEL e alle grandi reti); il terzo aspetto è sbloccare gli interventi per le regioni (quindi per i piani regionali); il quarto è il ripristino gli incentivi alle attività produttive e il credito di imposta; il quinto è aiutare con assistenza tecnica e premialità le amministrazioni che si impegnano nell'ordinario e nel quotidiano nei servizi essenziali a migliorare quantità e qualità di servizio e a Pag. 38raggiungere i costi standard (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Corsaro. Ne ha facoltà.
MASSIMO ENRICO CORSARO. Signor Presidente, il Documento di programmazione economico-finanziaria 2010-2013 riporta una fotografia del percorso della crisi che sta vivendo la comunità internazionale, la comunità economica e finanziaria e la comunità sociale internazionale. Evidentemente, non può che partire dall'evidenza che gli effetti di questa crisi hanno prodotto sui conti pubblici dello Stato, sugli equilibri degli stessi e sulla necessità di riformulare, nel prossimo periodo, le previsioni sulle quali ci si era basati. È curioso rilevare innanzitutto, mi consenta signor Presidente, come da principio le argomentazioni dei colleghi di minoranza tendano ad evidenziare, quasi con sorpresa, se non con scandalo, l'allargamento dell'indebitamento, a fronte di una fotografia dell'economia internazionale che difficilmente avrebbe potuto produrre un risultato diverso, ma soprattutto a fronte di una scelta di questa amministrazione, di questo Governo e di questa maggioranza, per fortuna, di non dare ascolto al tipo di ricetta che la minoranza ha da sempre controproposto come risposta alla crisi, ossia quella di aumentare la spesa e determinare conseguentemente un peggioramento dei conti pubblici assai superiore a quello che abbiamo potuto registrare in termini consuntivi. Quindi, i dati riprodotti in questo Documento di programmazione economico-finanziaria fotografano un percorso di crisi che è in rallentamento rispetto alla fase più virulenta della crisi stessa, ma che certamente continua a persistere nella quotidianità della vita delle nostre famiglie, nella quotidianità dell'attività delle nostre imprese e del nostro sistema economico. I dati - se vogliamo leggerli tutti - dicono che nel panorama internazionale, nell'area euro, nell'area occidentale, l'Italia è peraltro, per molti versi, proprio in ragione delle attività che questo Governo, sin dall'avvio della legislatura, ha messo in campo, uno dei Paesi che ha sofferto meno degli altri, in termini di chiusura del sistema imprenditoriale, nel subire gli effetti del mercato finanziario, nella perdita dei posti di lavoro, e ha sofferto molto meno degli altri - questo è un aspetto che si protrarrà progressivamente anche nel corso dei prossimi anni - nel peggioramento dell'indebitamento netto, nel rapporto attuale e previsionale dei conti della pubblica amministrazione. Dispiace che non se ne siano accorti i colleghi di minoranza nel leggere questo Documento e nel confrontare i dati nazionali con i dati dei nostri principali competitori. Dispiace che non se ne sia accorto il leader del maggior partito di minoranza, che questa mattina citava a riferimento l'Italia come uno dei Paesi che usciva più massacrato dalla crisi, quando i dati, non nostri ma della comunità internazionale, danno forte e consistente evidenza del contrario. Dispiace, peraltro, che, nella sua avventurosa volontà di attribuire all'azione di Governo le peggiori responsabilità, il segretario del Partito Democratico, questa mattina, abbia addirittura fatto uno scivolone di eleganza, quando - cito le sue testuali parole - ha detto che il suo partito sta vivendo una fase di civile e sereno confronto congressuale, cosa che a noi non capita di fare e che non siamo abituati a fare. Voglio rispondere - ironia per ironia - che è proprio vero, che il segretario Franceschini ha proprio ragione: noi non siamo abituati ad usare i cavilli notarili per cercare di impedire scalate dall'interno di comici che abbiano avuto più o meno successo in un lontano passato (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Credo che l'effetto di morfologia del nostro sistema economico, quello di essere costituito da imprese di piccole dimensioni, di avere una maggiore capillarizzazione del sistema bancario che, quindi, conosce di più e meglio il sistema cui deve fare da supporto, nonché la circostanza di avere sì un grande debito pubblico, ma di una ridottissima percentuale di indebitamento delle persone e delle famiglie, se Pag. 39parametrato ai nostri maggiori competitori, abbiano aiutato l'Italia ad affrontare la fase più virulenta di questa crisi con risultati meno insoddisfacenti degli altri.
Ma credo che sia giusto, quanto meno riteniamo che sia sacrosanto da parte nostra, rivendicare come questo risultato di minore impatto devastante della crisi sia dovuto anche, se non soprattutto, a talune scelte che questa amministrazione, questo Governo e questa maggioranza hanno voluto sostenere, sia in termini di riallineamento delle politiche di spesa pubblica, con il primo provvedimento della manovra triennale con la quale si è aperta questa legislatura, sia in termini di misure a sostegno del lavoro e delle famiglie quanto al sostegno delle imprese.
Voglio ricordarle, perché anche l'oramai noioso refrain, con il quale, provvedimento per provvedimento, la minoranza sostiene che gli interventi del Governo non debbano essere considerati soddisfacenti, fanno perdere il quadro d'insieme di quello che il Governo, viceversa, sta facendo, accompagnando l'evoluzione della crisi e intervenendo volta a volta che si rende necessario.
Parlavo di misure a sostegno del lavoro e delle famiglie, signor Presidente. Mi riferisco, nel corso di questa legislatura ancora breve, all'abolizione della tassa sulla prima casa, alla detassazione degli straordinari, alla possibilità di cumulare i redditi di lavoro con quelli di pensione, alla portabilità dei mutui a costo zero, alla cosiddetta social card, all'innalzamento degli assegni familiari per le famiglie più numerose, alla costituzione di un Fondo per le locazioni a favore dei bisognosi, alla costituzione di un Fondo per il credito ai nuovi nati, all'estensione in termini di misura, di durata e di platea di riferimento degli utenti degli ammortizzatori sociali, per impedire che le famiglie rimangano senza reddito nel pieno della crisi, agli incentivi e alle defiscalizzazioni alle imprese (ragione, questa, portante del provvedimento che abbiamo votato questa mattina e che consentono alle imprese di riassumere il personale posto in cassa integrazione o di rinunciare a porvelo), agli interventi, più in generale, in termini di sostegno al sistema economico, a cominciare dalla garanzia totale alle banche per le loro esposizioni, per metterle in sicurezza e perché possano continuare ad assistere le imprese e l'economia reale, alle manovre di sburocratizzazione nei rapporti con la pubblica amministrazione, al finanziamento all'internazionalizzazione delle nostre imprese e al supporto alla loro competizione internazionale, alla modernizzazione della politica energetica, alla deducibilità dell'IVA per cassa, alla cedibilità e alla compensazione dei crediti con lo Stato, alla dotazione finanziaria per avviare le infrastrutture, anche e soprattutto nel sud (spiace che alcuni componenti di questo Parlamento, anche vicini e partecipi al lavoro di questa maggioranza, non se ne siano resi conto), alla detassazione degli utili reinvestiti, al congelamento dei debiti verso il sistema creditizio, alla possibilità di ridare agli investitori e agli imprenditori la possibilità di trovare anche delle convenienze fiscali nella ricapitalizzazione e nella ripatrimonializzazione delle loro imprese, che, rispetto ad un'incapacità patrimoniale, pagano il primo dei loro deficit in termini di confronto e di concorrenza con il sistema dell'impresa internazionale.
Signor Presidente, siamo convinti che le azioni che si sono susseguite e che gli strumenti che questo Governo ha messo in campo dall'inizio della legislatura abbiano consentito, in una fase di congiuntura che dire sfavorevole è certamente dire poco, se non altro di limitare i danni, se è vero come è vero che, per i dati che sono conosciuti dalla comunità internazionale, l'Italia ha pagato meno dazio agli effetti di questa crisi rispetto agli altri Paesi dell'area occidentale.
Riteniamo che questa azione debba proseguire con la stessa puntualità e con la stessa attenzione. Stiamo per dare vita ad una proposta di documento, che verrà sottoposto nella giornata di domani al lavoro parlamentare; in tale risoluzione, indichiamo taluni degli impegni che ci aspettiamo che il Governo voglia assumere e mantenere nella continua supervisione Pag. 40allo svolgimento di questa crisi e nel continuo accompagnamento verso una fase che, per i dati che ci sono dati di conoscere, potranno far rivedere la luce in fondo al tunnel nella seconda metà del prossimo anno, nel 2010, a partire dalla necessità di proseguire l'azione di stimolo sulle imprese e sul lavoro, che nei vari provvedimenti che si sono susseguiti, per quanto ho voluto velocemente ricordare, questo Governo ha messo in atto.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MASSIMO ENRICO CORSARO. Signor Presidente, concludo ricordando la necessità di impegnare il Governo per accelerare il percorso delle riforme, a partire dalla riforma del federalismo fiscale, che comporta una responsabilizzazione degli amministratori e una riduzione degli sprechi e delle duplicazioni dei costi, l'efficientamento della pubblica amministrazione e la sburocratizzazione del premio a chi merita, che passa anche dalla possibilità e dalla necessità, che rivolgiamo come auspicio al Governo, di incentivare l'opera delle amministrazioni virtuose, e concludo davvero, signor Presidente, anche a mezzo di interventi di parziale svincolo dal Patto di stabilità, da mettere a disposizione di quelle amministrazioni che riescono a dimostrare di saper impegnare con profitto e con efficienza le risorse pubbliche (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, certamente bilanci e numeri si possono interpretare in vario modo: il collega che mi ha preceduto ne ha dato sua interpretazione. A me pare che in qualche caso la crudezza del dato non ammetta fasce di interpretabilità, anche sui rilievi internazionali ai quali egli ha fatto riferimento per cui magari ci tornerò più tardi.
A me pare però, per prima cosa, di dover rilevare un altro elemento: è ben sì vero che è pendente un progetto di legge per la modifica della legge di bilancio, che porterà a far venir meno in futuro il Documento di programmazione economico-finanziaria del quale stiamo qui discutendo. È anche vero, però, che fintanto che la legge lo prevede, la regola vorrebbe, e anche la ragionevolezza vorrebbe, che fossero rispettati i contenuti che a questo Documento attribuisce oggi la norma. Invece così non è, perché, oltre ad essere molto reticente sui reali impegni e sugli interventi previsti, come vedremo più avanti, appare assolutamente carente anche per quanto riguarda alcuni degli elementi essenziali che la legge n. 468 del 1978 prevede: ad esempio, manca totalmente l'articolazione degli interventi anche di settore collegati alla manovra di finanza pubblica per il periodo preso in considerazione; ed inoltre, non vengono indicati i disegni di legge collegati, se non con riferimento - ohimè, un riferimento sbagliato - al decreto-legge n. 78 del 2009, quello che abbiamo già approvato oggi, e che evidentemente, essendo già stato approvato prima ancora che discutessimo il Documento in esame, non avrebbe senso inserito all'interno del Documento medesimo.
Quello che il Documento registra sono alcuni dati incontrovertibili ed indiscutibili: per esempio, il calo verticale delle entrate tributarie. Certamente l'andamento dell'economia ne è alla base, ma da solo non lo spiega: non spiega in particolare come ad una riduzione dei consumi di una certa percentuale, il 2,2 per cento previsto per il prossimo anno...chiederei però, signor Presidente, che il Governo sia presente, sia al banco, come è corretto che sia, perché altrimenti...
Dicevo, come ad una contrazione prevista nei consumi del 2,2 per cento faccia in realtà riscontro nel giro di due anni una perdita di gettito dell'IVA dell'11 per cento, assolutamente non spiegabile con la contrazione dei consumi: è evidente che in ciò è presente una componente molto forte dovuta ad un atteggiamento lassista da parte del Governo nei confronti dell'evasione fiscale, che ha ripreso ed ha ripreso Pag. 41alla grande; anche aiutata dai primi interventi che questo Governo ha effettuato, che hanno cancellato alcune delle norme del Governo Prodi, che avevano invece permesso un forte recupero. Si può discutere se quel recupero sia stato di 20 miliardi o se sia stato di 12, ma comunque vi era stato un forte recupero di base imponibile.
Non sono scandalizzato dal fatto che sia aumentato l'indebitamento, perché, pur avendo noi detto, quando è iniziata questa crisi, che dovevamo avere il coraggio di metterci risorse nuove per almeno 20 miliardi, e pur avendo noi indicato punto per punto dove andarle a prendere senza intervenire sulla situazione esistente, e quindi senza procurare ulteriore indebitamento al bilancio dello Stato, noi accettiamo, avevamo accettato anche l'idea che si potesse sforare il Patto di stabilità europeo, come è avvenuto del resto anche in altri Paesi. Questo di per sé non mi scandalizza: non mi scandalizza la crescita dell'indebitamento, ma il fatto che non è avvenuta grazie a risorse nuove, immesse per fronteggiare la crisi.
E allora, per andare alla situazione internazionale, è bensì vero - come diceva il collega che mi ha preceduto - che l'indebitamento netto sarà assai più forte per altri Paesi: ad esempio, rispetto al nostro 4,5-4,8 per cento, la Francia prevede 6,6 nel 2009 e 7 nel 2010, la Spagna veleggia fra il 9 e il 10, la Germania fra il 4 e il 6, il Regno Unito fra l'11 e il 14. Ma non possiamo leggere questi numeri senza evidenziare le risorse che questi Paesi hanno destinato a nuovi investimenti. Lo afferma proprio il DPEF, dove a pagina 19 leggiamo che la Francia ha investito 20 miliardi, la Germania 22,2, il Regno Unito 81, la Spagna 22. È evidente che questo ha generato e genererà un maggior indebitamento, ma esso è giustificato dall'avere investito le risorse in maniera rilevante. Non come noi, che abbiamo investito in tutto solo 3 miliardi di nuove risorse per fronteggiare la crisi!
È insomma evidente che viene smentito quello che ci raccontò un anno fa il Governo quando discutemmo il decreto-legge n. 112, quello che avrebbe dovuto sistemare i conti pubblici italiani bloccando la spesa con tagli di tipo lineare assolutamente inimmaginabili: noi in quell'occasione dicemmo che ciò sarebbe stato impossibile, ed in effetti è stato impossibile. Ecco perché andiamo incontro a questo indebitamento e a un debito pubblico che arriverà al 120 per cento del PIL, pesando così in termini di oneri finanziari sugli anni futuri in modo enormemente rilevante: non perché abbiamo investito per fronteggiare la crisi, ma perché il Governo non è stato capace di ridurre la spesa pubblica così come si era ripromesso di fare. Non solo: esso ha perfino trasferito i fondi dal conto capitale alle spese correnti, aumentando ancora di più questa situazione gravissima che dovremo fronteggiare in futuro.
Dunque non raccontiamo cose non vere! Tutto ciò è verificabile e documentato: il collega non può dire che si tratta di numeri da interpretare. La verità è che, dopo un breve periodo quest'anno in cui le spese in conto capitale aumenteranno, si prevede che vi sarà un crollo.
D'altronde, quello che sto dicendo sarà assai più chiaro nel momento in cui andremo a discutere l'assestamento dei conti del 2009. In quella sede, un aspetto emergerà chiaramente: che vi è un solo Ministero per il quale i tagli sono stati rilevanti e fortissimi, pari cioè a 2,5 miliardi di euro. Immaginate qual è? È il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca! Proprio là dove bisognava avere il coraggio di investire di più per uscire dalla crisi, insomma, nell'assestato per il 2009 si prevede una contrazione di 2,5 miliardi di euro! Così come vi è una contrazione di quasi un miliardo di euro per il Ministero dell'ambiente: un altro settore nel quale si sarebbe dovuto investire per uscire dalla crisi, attraverso la green economy, che è stata la base degli interventi...
Il sottosegretario ride, ma è così: io ho in mano documenti ufficiali che riguardano l'assestamento per l'anno 2009 nel quale si afferma che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare passa da 2.056 milioni di euro nel Pag. 42consuntivo 2008 a 1.284 milioni di euro nell'assestamento 2009: insomma, quasi un miliardo di euro in meno! La stessa cosa avviene alla difesa, anche se qui possiamo anche convenire. Ma l'aspetto più rilevante è quello relativo all'istruzione.
Peraltro, dell'istruzione non si parla affatto in questo DPEF. Poiché un altro elemento è che mancano variabili estremamente rilevanti. Sulla ricerca non si dice nulla. E non si dice nulla sull'impegno che per indicazione dell'Unione europea bisognerebbe avere nel favorire il rapporto ad esempio fra l'università e le piccole e medie imprese.
Ma qui che cosa abbiamo fatto? Abbiamo tolto l'unico strumento esistente, il credito d'imposta per la ricerca canalizzata attraverso le università, trasformandolo in un meccanismo che funziona con un click che poi, come è ovvio, lascia insoddisfatte moltissime domande. Ma qui non si dice e non si fa nulla, né si fa alcun riferimento. Come ho detto, l'altro dato certo è quello dei consumi privati, che sono previsti in calo del 2,2 per cento, e ciò è indicativo del fatto che le famiglie hanno perso il potere d'acquisto. Certamente hanno sopperito in parte con i risparmi (che il popolo italiano, rispetto a quelli di altri Paesi, ha sempre fatto), però anche quelli - attenzione - stanno per esaurirsi: alla fine del 2008 secondo la Banca d'Italia la ricchezza delle famiglie è risultata in calo del 13,5 per cento rispetto al 2007.
È evidente che si raggiungerà un punto oltre il quale neanche con i risparmi si potrà sopperire a tali bisogni e questo verrà presto, nel momento in cui cesseranno o verranno meno le correnti di reddito legate al prolungamento della cassa integrazione; per molti lavoratori quel momento significherà la perdita del posto del lavoro, così come accade già per tutti coloro che hanno contratti a tempo determinato oppure per la cosiddetta area del precariato, che non ha visto il rinnovo dei contratti e che si trova già a soffrire, in modo diretto ed immediato, la crisi.
Ma ciò capiterà in autunno anche per molti altri lavoratori. D'altronde, come è stato già rilevato, lo stesso Governo indica la necessità di una manovra correttiva sul saldo primario pari a circa 1,2 per cento del PIL; il fatto interessante, però, è che essa viene affermata ma poi si sceglie di non fare nulla né si dice minimamente attraverso quale meccanismo tale manovra correttiva avrà luogo.
La pressione fiscale resta la più alta che sia mai stata registrata, e naturalmente a carico di chi paga le tasse: quelli che non le pagano, infatti, della pressione fiscale non se ne preoccupano.
Lo scandalo che viene fuori dall'elaborazione delle dichiarazioni dei redditi fatte nel 2008 per l'anno 2007 dovrebbe rendere chiaro e palese che qui a pagare le tasse sono soltanto i lavoratori dipendenti e che sarebbe ora di intervenire in modo adeguato e forte per colpire l'area dell'evasione! Ma certamente non costituisce invece un modo forte quello di «regalare» a chi ha esportato illegalmente i capitali all'estero la loro reintroduzione praticamente ad un costo che non esiste in alcun Paese. A tale riguardo viene continuamente detta un'altra «baggianata»: gli altri Paesi, se decidono operazioni di rientro dei capitali, le tasse le fanno pagare e le fanno pagare care (negli Stati Uniti, ad esempio, è prevista semplicemente una riduzione della sanzione, ma l'intero importo stabilito dalla tassazione deve essere pagato).
Come dicevo, siamo di fronte anche ad un'altra faccenda, quella del calo della spesa in conto capitale, che scende del 6,6 per cento riportandosi a valori che sono indietro nel tempo di addirittura di tre anni (ossia a quelli relativi al 2006).
Come abbiamo visto, tutti gli interventi finora adottati sono stati realizzati semplicemente spostando fondi da un capitolo all'altro. Un altro tema del quale non si dice nulla riguarda il fatto che, pur dedicando un intero capitolo alla tendenza della spesa pensionistica, nulla viene detto su come questo Governo intenderebbe operare riguardo alla riforma delle pensioni (non vi è nessuna segnalazione di Pag. 43politiche strutturali volte a favorire, ad esempio, una maggiore conciliazione tra lavoro e famiglia).
PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, deve concludere.
ANTONIO BORGHESI. Inoltre, nel DPEF sono contenute gravi inesattezze su una serie di disegni di legge all'esame del Parlamento che si trovano in uno stato che è assolutamente indietro rispetto a quello che viene dichiarato dal Governo (mi riferisco alla delega in materia di lavori usuranti o alla riforma del processo del lavoro collegata alla manovra di finanza pubblica).
In altri termini, per non parlare del Mezzogiorno, che è totalmente assente da questa manovra, credo che il Governo farebbe bene a ritirare questo documento di programmazione economico-finanziaria, presentandone uno più adeguato e realista, contenente anche l'elencazione di tutti gli interventi che il Governo intende realizzare per far sì che i conti pubblici siano realmente sotto controllo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruvolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE RUVOLO. Signor Presidente, dopo che il collega Galletti ha già esposto in maniera puntuale le previsioni generali del documento di programmazione economico-finanziaria (intervento apprezzabilissimo perché ha sottolineato alcune linee guida previste nel documento presentato dal Governo), mi soffermerò esclusivamente su due argomenti: l'agricoltura e il Mezzogiorno. In questo documento, così come era avvenuto già nel documento di programmazione economico-finanziaria precedente, il tema dell'agricoltura viene richiamato soltanto due volte. Al di là degli intenti del Ministro Zaia (persona verso cui nutro il massimo rispetto anche per l'autorevole esercizio delle sue funzioni), tra gli slogan, gli annunci e le cose concrete vi è un abisso, un oceano. Vorrei sottolineare che il Ministro ha integrato questo documento con una paginetta che, come ho già detto in Commissione, come gruppo dell'UdC sottoscriviamo totalmente senza togliere alcuna parola. Si tratta di un documento integrativo contenente delle misure che, però, rimangono solamente degli intendimenti. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali parla in questo documento della competitività delle imprese sia sul fronte della qualità che dei fattori produttivi, della stabilizzazione del sistema previdenziale anche nelle aree svantaggiate, della prospettiva triennale di finanziamento degli strumenti assicurativi, del rilancio degli investimenti, del potenziamento del sistema cooperativistico (misura che condividiamo, mentre non abbiamo condiviso la scelta della maggioranza della fiscalità di vantaggio ai consorzi agrari), del rilancio del made in Italy e del potenziamento delle infrastrutture logistiche, a cominciare da quelle irrigue. Ribadiamo che sono tutti argomenti condivisibili e che siamo pronti a sottoscriverli. Tuttavia, signor Presidente, signor sottosegretario, siamo consapevoli che per realizzare queste misure occorrono alla fine 800 milioni di euro, ripartiti tra 250 milioni di euro per il Fondo di solidarietà nazionale per le calamità, 200 milioni di euro per quanto riguarda il sistema previdenziale, 100 milioni di euro per il piano irriguo nazionale (che è un'integrazione di somme già tolte al piano irriguo nazionale), altre risorse per il rafforzamento delle strutture agricole, 20 milioni di euro per rilancio dell'internalizzazione e altri 100 milioni a sostegno di fondi di investimento.
Il totale di queste risorse ammonta a 800 milioni. Allora mi chiedo se è possibile concepire il fatto che per le quote latte il Governo abbia trovato un miliardo di euro e abbia sanato qualcosa di illecito - e lo ribadiamo ancora qui in questa Aula - visto che sono state date solo garanzie a coloro i quali non hanno rispettato la legge (cioè gli splafonatori), considerato che si regalano delle risorse finanziarie immense, mentre per poter dar vita a condivise proposte e richieste del Ministro occorrono 800 milioni e non si trovano. Nel Fondo di solidarietà nazionale mancano Pag. 44ancora per il 2008 sessanta milioni di euro (per chiudere quell'anno), e ne mancano chiaramente duecentocinquanta per il 2009 (tenete conto che la stagione si già è conclusa, siamo nel mese di luglio, quindi mancano quattro mesi alla conclusione dell'anno solare). Allora come facciamo a condividere questo documento quando mancano in effetti i presupposti per rilanciare il sistema agricolo italiano, in un momento nel quale vi è il crollo dei prezzi al produttore e ovviamente a volte si ha il prezzo al consumatore che sfiora il 200 per cento, con costi di produzione enormi (pari al 60-70 per cento), e con oneri previdenziali che sono i più alti in Europa. Noi facciamo veramente fatica a comprendere come mai non si trovano le somme, le risorse finanziarie, per dare una risposta concreta finalmente a un comparto che è l'unico comparto ad aver portato quest'anno, nel 2008, il 2,4 positivo del PIL nazionale. Allora non si crede ancora nell'agricoltura; ci hanno creduto gli americani, ci hanno creduto francesi, e l'unica idea importante che Obama ha avuto immediatamente dopo il crollo del sistema è stata quella di rilanciare l'economia reale, cioè l'agricoltura. Di questo Governo non abbiamo traccia per quanto riguarda l'agricoltura, salvo ora sentire un'organizzazione storica e straordinariamente importante di questo Paese, la Coldiretti, che riferisce esattamente questo (è agenzia di qualche ora fa): dal Governo nessun aiuto; impegni di Berlusconi e Zaia nulli (sul Fondo di solidarietà e su tante altre questioni che ho citato).
Sul Fondo di solidarietà personalmente ho presentato undici ordini del giorno, tutti regolarmente accolti nell'arco di questa legislatura, regolarmente accolti dal Governo. Non gli manca la buona volontà, gli manca la concentrazione per fare delle cose buone e concrete, salvo poi vedere il Ministro Zaia in soccorso degli scioperanti, di coloro i quali sono andati dentro le dogane, alle frontiere, per tentare di mettere in risalto tale situazione (va un plauso alla Coldiretti per aver organizzato questo momento). Posso anche comprendere che un Ministro possa esprimere la solidarietà, ma a questa deve seguire il fatto concreto. Se il Ministro stesso va a scioperare con chi devono parlare coloro i quali scioperano?. Ma è veramente una contraddizione! È fuori dalla logica, fuori da qualunque ragionamento politico! Allora bisognava essere consequenziali e cioè dire: ebbene, questo avviene, entra del prodotto di qualsiasi genere, non controllato né alle frontiere né alle dogane, né da nessuna altra parte; l'Italia è invasa da prodotti di cui non si sa l'origine e la provenienza, e rispetto a tale invasione il Governo non trova gli strumenti per poter frenare questa emorragia, ma si muove solo per protestare e per esprimere la propria solidarietà.
Speriamo che qualche volta il Governo compia qualche fatto e atto concreto. Vorrei anche parlare del Mezzogiorno, signor Presidente. È tema attualissimo per tanti.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ruvolo.
GIUSEPPE RUVOLO. Il Mezzogiorno è diventato qualcosa dell'ultima ora. L'hanno scoperto in molti questo Mezzogiorno. Adesso è forse arrivato il tempo di dire «basta». Basta soprattutto a coloro i quali vogliono strumentalizzare oggi la parola «Mezzogiorno» con partiti del sud, con leghe del sud o con tutto quello che ha, dal mio punto di vista, un solo obiettivo primario: mettere ancora una volta le mani per distruggere questo Mezzogiorno. Dobbiamo ricreare condizioni diverse per il Mezzogiorno. Dobbiamo fare un'autocritica profonda. Hanno sbagliato i Governi di destra, di sinistra e di centro nella storia. È il caso di rivedere quanto è stato fatto sino ad oggi.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Ruvolo.
GIUSEPPE RUVOLO. Signor Presidente, mi lasci ancora qualche momento. Oggi l'ospedale di Agrigento è stato chiuso perché la struttura rischia di crollare. Anche questo è un aspetto del Mezzogiorno Pag. 45che vogliamo evitare che ancora una volta persista. Il Governo promani provvedimenti specifici sul Mezzogiorno. Sono d'accordo quando si dice «sì» agli investimenti e «no» alla spesa corrente. Siamo d'accordissimo, perché vogliamo dare un nuovo impulso, qualcosa di diverso da quanto purtroppo è avvenuto fino ad oggi: opere incomplete, sistemi idrici fatiscenti, reti idriche che non funzionano.
PRESIDENTE. Onorevole Ruvolo, è tempo di chiudere.
GIUSEPPE RUVOLO. Tutto questo oggi deve sollecitare in noi una grande riflessione: il Mezzogiorno non deve diventare strumento di lotta politica all'interno di questa maggioranza, ma deve essere un momento di rilancio, perché il Mezzogiorno ha bisogno di atti concreti e non di lupi famelici che vogliono ancora aggredirlo (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi sarò molto breve ma spero anche molto sobrio perché vorrei ricondurre la nostra discussione - lo dico soprattutto all'indirizzo del Governo - a quella che è, se così posso dire, la crudezza dei dati a nostra disposizione relativamente a questo Documento di programmazione economico-finanziaria per il periodo 2010-2013.
Abbiamo un indebitamento netto per il 2009 che sale al 5,3 per cento; un avanzo primario negativo pari a meno 0,4 per cento; un debito pubblico che vola al 115,3 per cento; un servizio del debito del 5 per cento; la pressione fiscale - ricordo quanto è stato detto sull'aumento della pressione fiscale nella legislatura scorsa - che raggiunge il 43,4 per cento. Peraltro, al di là di quanto adesso affermavo sui dati, si registrano indici che sono negativi nella loro performance ma soprattutto scostamenti significativi in peggio rispetto a previsioni peraltro molto ravvicinate.
Ricordo, tanto per citare un documento, la Nota informativa - che costituisce una nota integrativa - sulle nuove previsioni degli indicatori macroeconomici e dei saldi di finanza pubblica, presentata nel febbraio scorso e con la quale si rivedevano in peggio previsioni di pochi mesi prima. Adesso, pochi mesi dopo, siamo di nuovo a rivedere in peggio le previsioni di febbraio.
Oltre ai dati di finanza pubblica appena citati, l'incremento del PIL in termini algebrici è stimato a meno 5,2 per cento. Quindi diminuisce nel 2009 e vola verso il basso oltre cinque punti percentuali. È previsto che torni ai livelli del 2007 solamente nel 2013. Per dirla con le parole pronunciate dal Governatore della Banca d'Italia recentemente in sede di audizione al Senato: «La politica economica sta affrontando la più grave recessione del dopoguerra».
Verrebbe da dire una battuta - qualche collega lo ha già detto oggi o nei giorni scorsi - se ricordiamo la «messa in sicurezza» di cui si è parlato con il decreto-legge n. 112 del luglio 2008 e potremmo fare addirittura un po' di ironia, se non si trattasse di cose molto serie: altro che messa in sicurezza.
Peraltro di recente abbiamo anche appreso una cosa molto preoccupante: la spesa primaria corrente nel 2009 passa dal 40,4 al 43,4, cioè sale di tre punti percentuali, con una cifra complessiva di circa 35 miliardi di euro, che non si capisce bene a cosa siano serviti e dove siano andati.
Sempre utilizzando le parole del Governatore, vi è un massimo storico - si riferisce alla spesa primaria corrente - superiore di circa 6 punti ai valori di fine anni Novanta. All'interno di questa cifra si registra meno di un quarto dell'incremento atteso per l'anno in corso, che è riconducibile alla spesa per gli ammortizzatori sociali e agli effetti delle misure di sostegno all'economia, che tenderanno a riassorbirsi nei prossimi anni.
A fronte di tale aumento della spesa - mi rivolgo al sottosegretario impegnato in una conversazione telefonica, solo affinché lo sappiano coloro che ascoltano - le Pag. 46entrate diminuiscono: abbiamo una diminuzione delle entrate, in particolare di quelle tributarie, dell'1,5 per cento nelle imposte dirette e del 3,8 per cento nelle imposte indirette, con un incremento - come ho già detto - della pressione fiscale (l'IVA nel primo trimestre cala del 10 per cento e nel secondo trimestre del 12,1 per cento).
PRESIDENTE. La prego...
LINO DUILIO. Tra l'altro, sempre il Governatore ha affermato che questa performance non è dovuta ai consumi più poveri, il che significa, detto in altre parole, che vi è una recrudescenza del fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale.
In estrema sintesi abbiamo questo fenomeno sotto i nostri occhi: aumentano le spese e diminuiscono le entrate, mentre dovrebbe accadere esattamente il contrario, cioè dovrebbero aumentare le entrate e diminuire le spese, perché ovviamente in relazione a questa situazione andiamo con certezza verso il precipitazione.
PRESIDENTE. La prego...
LINO DUILIO. Certo che vi è la crisi internazionale, però la crisi internazionale non può spiegare tutto: ormai sta diventando il velo che spiega ogni situazione, non si fa più cenno alcuno ai fattori endogeni, che pure spiegano le performance negative della nostra economia.
Dunque, dovendomi avviare alla conclusione perché mancano tre o quattro minuti alla fine del mio intervento, credo che innanzitutto dobbiamo ripristinare alcune regole che definirei etiche della politica e delle sedi istituzionali. Intanto, dobbiamo cominciare a dire la verità, anche sui nostri conti, saldando il discorso con l'esigenza di eliminare la differenza e la distanza che vi è tra la realtà e la fantasia. Potremmo dire che noi oggi, dopo la stagione della finanza creativa, siamo nella stagione delle previsioni creative. Nel giro di un anno, se andiamo a mettere a confronto le previsioni dal DPEF dell'anno scorso a quello di quest'anno (va bene che l'economia è una scienza triste e quindi non si possono nemmeno più fare le previsioni, per dirla con le parole del Ministro dell'economia, ma solo le congetture), notiamo che vi sono scostamenti di due o tre punti percentuali sulle grandezze macroeconomiche della nostra finanza pubblica nel giro di due mesi: evidentemente vi è qualcosa che non funziona.
Abbiamo le «previsioni creative», che peraltro ci viene il dubbio siano fatte per finalità strumentali, magari dirette ad indirizzare un messaggio rivolto ai cittadini, che dovrebbero essere invece convinti del fatto che la crisi non è poi così grave come si può immaginare. Il Ministro dell'economia in più occasioni, anche nella nota informativa che citavo prima, ha detto che siamo in «terra incognita», per usare le sue parole, e che a questa «altezza di tempo» non si possono fare previsioni, ma si possono fare solo congetture, quindi le stime si danno solo perché bisogna darle.
Ma io credo che si debba fare uno sforzo in più per uscire da questa «terra incognita» perché ho l'impressione - vorrei chiudere così con questa immagine un po' metaforica che riprende tradizioni culturali locali - che il Governo si stia ispirando ad una strategia che nella cultura siciliana, lo dico agli amici siciliani in particolare, è quella del cosiddetto annacamento, dalla naca cioè la culla: si fa il massimo dello spostamento con il minimo movimento, tanto spostamento senza nessun movimento verso alcuna direzione perché non si sa bene quale sia la direzione verso la quale bisogna andare, si è quasi impietriti, si aspetti che passi la nottata. Per altro verso, all'opposto, sembra che si assista alla strategia - in questo caso cito la tradizione culturale partenopea - del facite ammuina, come quelli che sulla nave da poppa vanno a prua e da prua vanno a poppa, con tutti questi miliardi che girano a saldi peraltro invariati o addirittura migliorati, come abbiamo visto nel caso del decreto. C'è una girandola di miliardi ma non si capisce bene da dove saltino fuori, con coperture che mi permetto di dire sono abbastanza Pag. 47improbabili in alcuni casi; vedremo anche sul decreto anticrisi come si farà a recuperare le coperture per quanto riguarda ciò che si è previsto come entrate sul cosiddetto oro, visto che secondo me da quella parte non verranno le entrate stimate.
Insomma da questo caos sembra che si sia in attesa della stella danzante. Secondo noi queste linee di politica non portano ad intravedere nessuna stella, anzi temiamo, come è accaduto per la spesa corrente primaria, che quando si dovessero diradare le nubi noi ci troveremo di fronte a scoperte molto più negative di quanto oggi non si immagini. Certo che la situazione è difficile, sarebbe disonesto intellettualmente non riconoscerlo, però noi vi diamo qualche modesto suggerimento con cui vorrei chiudere. Intanto suggerirei di andare a rileggere il contenuto della relazione unificata del 2007, laddove con molta sobrietà e anche con lungimiranza si mettevano in campo dei concetti sia per quanto riguarda le misure che dovevano contrastare le situazioni di crisi di cui si coglievano le avvisaglie, sia per quanto riguarda la spending review, sia per quanto riguarda il contrasto all'evasione fiscale. Su questo noi non possiamo che ripristinare un clima di lealtà nei riguardi dello Stato.
Mi consenta di dire, signor sottosegretario, che il lupo perde il pelo ma non il vizio: non è possibile prendere misure come quelle sullo scudo fiscale con cui, come ha detto il Governatore, consentiamo il rientro di capitali pagando sostanzialmente una mancia e con l'anonimato, quando in altri Paesi si sono fatte pagare tutte le tasse, peraltro senza alcun anonimato. Al di là degli effetti immediati si continua ad alimentare un clima di non correttezza nei riguardi dello Stato, un clima che non favorisce la lotta all'evasione e all'elusione fiscale.
PRESIDENTE. Onorevole Duilio, io la ho richiamata due volte cinque minuti fa, in aderenza alle indicazioni del suo gruppo. Lei non ne ha tenuto conto ed è suo diritto non tenerne conto, quindi non ho ulteriormente disturbato il suo intervento che per me può durare anche trenta minuti, perché questo è il tempo che il Regolamento le concede. Tuttavia, tenga presente che il suo gruppo le aveva assegnato cinque minuti e che ha già tolto cinque minuti agli altri oratori del suo gruppo.
LINO DUILIO. Signor Presidente, evidentemente il mio gruppo è organizzato male perché mi aveva comunicato che avevo dieci minuti. Pensavo che lei stesse richiamando il sottosegretario che era al telefono mentre io parlavo ed è questa la ragione per cui io non ho tenuto conto dei suoi richiami.
PRESIDENTE. Un qui pro quo. A me sono stati segnalati i tempi che le ho detto.
Testo sostituito con errata corrige volante LINO DUILIO. Siccome adesso mi ha informato sull'«organizzazione disorganizzata» del mio gruppo chiudo il mio intervento. Voglio citare l'esigenza di uscire da questa situazione impegnandoci tutti in quello che è il problema più rilevante del nostro Paese da sempre, e non è certo addebitabile al Governo, quello della crescita. In questo senso suggerisco di cogliere questa occasione come un'opportunità: venga il Ministro dell'economia in Parlamento, organizziamo una breve sessione parlamentare per discutere di come la possiamo fronteggiare, tenendo conto dei vincoli esterni di un'economia come la nostra votata all'export; ognuno metta in campo le sue idee e cerchiamo di far fronte alla crisi. Infatti, se noi ne usciremo in una condizione peggiore rispetto a quella in cui eravamo quando ne siamo entrati, non potremo affrontare le tante questioni che esistono nel nostro Paese. Spero che voi vi assumiate questa responsabilità perché avete l'onore e l'onere di guidare il nostro Paese; noi faremo la nostra parte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). LINO DUILIO. Siccome adesso mi ha informato sull'«organizzazione disorganizzata» del mio gruppo chiudo il mio intervento. Voglio citare l'esigenza di uscire da questa situazione impegnandoci tutti in quello che è il problema più rilevante del nostro Paese da sempre, e non è certo addebitabile al Governo, quello della crescita. In questo senso suggerisco di cogliere questa occasione come un'opportunità: venga il Ministro dell'economia in Parlamento, organizziamo una breve sessione parlamentare per discutere di come la possiamo fronteggiare, tenendo conto dei vincoli esterni di un'economia come la nostra vocata all'export; ognuno metta in campo le sue idee e cerchiamo di far fronte alla crisi. Infatti, se noi ne usciremo in una condizione peggiore rispetto a quella in cui eravamo quando ne siamo entrati, non potremo affrontare le tante questioni che esistono nel nostro Paese. Spero che voi vi assumiate questa responsabilità perché avete l'onore e l'onere di guidare il nostro Paese; noi faremo la nostra parte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.
Pag. 48
MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, abbiamo sentito, nel corso della discussione di questo Documento di programmazione economico-finanziaria, sia nell'esame in Commissione, sia in quest'Aula, evidenziare una serie di numeri. Non ritengo che tutti siano stati citati a proposito e, in particolare, devo far rilevare che non se ne possono estrapolare solo alcuni per costruire una teoria, perché i numeri che fanno la contabilità devono essere analizzati nella loro interezza.
È comunque evidente che emerge un dato di crisi della nostra economia che accomuna il nostro Paese a tutta l'Europa. Nelle situazioni di difficoltà diventa difficile stabilire una politica economica, perché esaltare gli aspetti della crisi può addirittura ingenerare sfiducia nel mondo produttivo che, al contrario, deve essere animato da uno spirito propositivo.
Credo che l'altro dato per il quale si debba essere d'accordo con questo DPEF sia l'indicazione chiara che ne viene per la quale tutti i provvedimenti devono essere adottati senza aggravare la situazione della finanza pubblica o, come diciamo più usualmente, a saldi invariati. Questo giustifica il DPEF contro quelle molteplici richieste di voci di spesa che vengono, a fronte di pretese sicuramente legittime, ma oggi non affrontabili con lo stato dei conti che abbiamo. Questo Documento dice a tutti che la politica della spesa necessaria a coprire tutte le esigenze che vengono rappresentate non può più essere adottata.
Se un difetto devo trovare in questo DPEF è, dal mio punto di vista, il contrario: lo trovo un DPEF poco coraggioso sotto il profilo della riduzione delle spese. Abbiamo assistito - come vediamo anche nel Documento al nostro esame - ad un aumento della spesa pubblica che è cresciuta costantemente negli ultimi dodici anni e che ha fatto sì - a prescindere dal colore del Governo che vi era in quel momento - che i sacrifici, e sono stati svariati, fatti dagli italiani per il risanamento dei conti pubblici siano andati a vuoto, perché non hanno conseguito l'effetto al quale erano preordinati.
Credo, allora, che la scelta che questo forte Governo ha di fronte debba essere la scelta coraggiosa di andare ad agire sulle voci di spesa che sicuramente non creano popolarità, riducendole. Si tratta innanzitutto dell'aumento dell'età pensionabile, argomento che non può essere eluso. Certamente sono stati fatti - in adeguamento alla sentenza della Corte europea - dei passi avanti per quanto concerne l'equiparazione dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego e certamente questo Documento contiene qualcosa che forse il Governo dovrebbe spiegarci, laddove si legge che, per quanto concerne l'andamento della spesa pensionistica, esso si farà con riferimento alle esigenze e all'evoluzione della medesima.
Se questa affermazione troverà applicazione concreta e quindi se questa è la riforma pensionistica, ben venga l'iniziativa del Governo, perché saremmo riusciti con il DPEF ad affermare che alzeremo progressivamente l'età pensionabile in relazione alle esigenze di riduzione delle spese - in questo caso pensionistiche - di cui l'economia di questo Paese ha bisogno.
Se resterà invece sul piano delle mere enunciazioni ebbene questa è un'assenza di coraggio che lascia perplessi e anche un po' delusi. Vorrei fare ancora due rilievi. Il primo concerne la situazione degli enti locali.
È stata introdotta nel provvedimento anticrisi una norma che consente agli enti locali di liberare delle risorse ovvero quel famoso 4 per cento di non assoggettamento al Patto di stabilità delle spese fatte per investimenti nel 2007, a condizione che nel 2008 i medesimi enti, comuni e province, abbiano rispettato il Patto di stabilità. Si è parlato qui, in sede di discussione del decreto anticrisi, molto e con grande foga di questo provvedimento. Ebbene, voglio segnalare al Governo che esso è atteso, era atteso, tuttavia non conseguirà l'effetto per il quale è stato emanato, perché mentre è vero che consente un miglioramento sotto il profilo del Patto di stabilità ancora nulla è stato fatto per quanto riguarda i problemi della competenza. Siamo in un momento in cui gli Pag. 49enti locali, in particolare la province, hanno visto e continuano a vedere ridursi gli introiti derivanti dalle due fonti di finanziamento proprie che sono quella l'imposta di trascrizione degli autoveicoli e quella sulla responsabilità civile da circolazione di autoveicoli. Se da un lato allentiamo il vincolo del Patto di stabilità ma dall'altro non abbiamo analogo ingresso di risorse, non avremo quell'effetto di nuova attività che vogliamo realizzare attraverso gli enti locali per dare corso e rigore all'economia facendo investimenti.
L'altro dato che voglio sollecitare al Governo per un'attenta analisi, è l'esame di come, essendo crollate l'imposta di trascrizione e quella sull'assicurazione della responsabilità civile, la seconda decresca in misura più che proporzionale al decremento della prima. Occorre allora andare ad analizzare quali sono i fenomeni che fanno sì che vi siano ancor meno assicurazioni per la circolazione dei veicoli rispetto alla diminuzione delle immatricolazioni.
Credo che il Governo si dovrà impegnare non solo per rivedere il Patto di stabilità ma anche per capire quali siano le cause di questo fenomeno, individuando degli interventi correttivi, altrimenti il rigore che correttamente viene chiesto agli enti locali sotto il profilo delle spese non potrà essere attuato o meglio gli enti locali resteranno in piedi per pagare gli stipendi. Sollevo il terzo problema, quello di attuare immediatamente una politica...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MARIA TERESA ARMOSINO....di mobilità dei dipendenti in esubero. L'invito è quello, proprio oggi che si parla di federalismo e di codice delle autonomie, laddove vi siano enti locali, che abbiano trovato o abbiano dipendenti in esubero, nell'attribuire o riattribuire funzioni a questi enti, a non trasferire anche personale perché, viceversa, gli enti locali saranno solo e sempre degli ammortizzatori sociali di esigenze non diversamente realizzate.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MARIA TERESA ARMOSINO. Ritengo che la crisi finanziaria - è un'opinione ovviamente personale - si stia attenuando ma sono invece tristemente convinta che la crisi economica debba ancora venire e che si attuerà nei nostri territori del nord a partire dall'autunno, con una sofferenza ancora superiore delle imprese e del mondo economico.
Quindi l'invito a trattare con la Banca d'Italia un provvedimento che non può essere imposto ma deve essere trattato, governato e sorretto, che faccia sì che le aziende possano per un anno sospendere il rimborso dei capitali ottenuti a prestito per almeno un anno rimborsando invece la quota di interessi (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Devo dare un avviso all'Assemblea. Voi sapete che talvolta sbaglia anche il prete a dir messa, questa volta non gli uffici del gruppo del Partito Democratico ma i nostri uffici hanno sbagliato nel distribuire i tempi, attribuendo all'onorevole Duilio cinque minuti invece di dieci. Ce ne scusiamo con l'onorevole Duilio.
È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.
TERESIO DELFINO. Il documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame è stato presentato, lo voglio richiamare, all'esame del Parlamento il 15 luglio 2009 rispetto al termine ultimo previsto dalla normativa vigente del 30 giugno, stabilito dalla legge n. 468 del 1978 in materia di contabilità e di bilancio. È evidente che tale ritardo nella disponibilità materiale del documento e dei relativi allegati costringe le Camere ad un esame affrettato a ridosso della chiusura estiva e quindi con una possibilità minore rispetto a quello che doveva essere l'iter normale. Noi riteniamo che questo sia un dato da richiamare, perché indubbiamente anche il rispetto delle procedure diventa un elemento non secondario per dare ruolo e partecipazione al Parlamento.
Abbiamo visto con quanta enfasi e anche con quante certezze la maggioranza, Pag. 50sia in Commissione sia in Aula, ha indicato nel DPEF un documento capace di affrontare i temi forti che noi abbiamo davanti. Richiamandoci a quelli che sono gli elementi sostanziali previsti dalla indicazione del documento, noi riteniamo che questo DPEF ha un carattere di genericità elevato, ha un carattere di documentazione, però, di un'azione inadeguata del Governo. Rispetto alla manovra che doveva, nella triennalizzazione della stessa, così come era stato indicato nel luglio 2008, blindare i dati dei saldi pubblici, della finanza pubblica, noi vediamo che tutti questi dati sono stati travolti dalla crisi e quindi le valutazioni che il Governo aveva fatto allora e che fa anche oggi appaiono a nostro giudizio molto più ottimistiche di quella che è la realtà, che non è solo quella che noi constatiamo ma anche quella che viene documentata dai principali organismi internazionali.
Non richiamo qui tutti i dati macroeconomici di questo DPEF, perché già l'ha fatto bene il collega Galletti, però, proprio rispetto alla questione dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione, ma più in generale del quadro programmatico per l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, voglio dire che quanto prevede il DPEF è una proposta, un aggiustamento che viene fatto in assenza di manovra correttiva per il 2010 e, quindi, praticamente, nella fiducia che vi sia un aggiustamento spontaneo dei nostri conti. Credo che questo approccio non corrisponda all'esigenza di intervenire in termini più incisivi per quanto riguarda la gestione dei saldi di finanza pubblica e del bilancio e che, invece, ci debba essere una manovra correttiva che vada ad indicare in termini puntuali, come tante volte è stato in passato, quali sono le misure di contenimento della spesa primaria, della spesa corrente.
Infatti, nel Documento leggiamo genericamente che questa azione di contenimento si realizzerà con misure che non comportino un incremento della pressione fiscale a carico di settori economici che operano nel pieno rispetto delle regole fiscali e che non riducono il livello dei servizi alla collettività, ma che puntino all'ottimizzazione dell'impiego delle risorse. Così detto sarebbe un ottimo proponimento, ma guardiamo all'azione, anche recente, che il Governo ha condotto rispetto ai settori economici che operano nella legalità.
Signor Presidente, richiamo, a tal proposito, la questione delle quote latte, in cui abbiamo visto che il comportamento concreto del Governo va nella direzione totalmente diversa, opposta, a quella che qui è stata indicata, così come lo stesso decreto-legge anticrisi, che abbiamo esaminato in questi giorni, con la sanatoria, o meglio, con l'ulteriore azione prevista dallo strumento dello scudo fiscale, che certamente non va a premiare settori economici e finanziari che hanno operato, come afferma il Documento, nel pieno rispetto delle regole fiscali: direi che si predica bene, ma si razzola male.
Tra gli interventi previsti per il contenimento della spesa, il DPEF cita una serie di misure da attuare, si dice, anche in via amministrativa, che possono generare economie di spesa, quali il completamento del risanamento delle regioni che presentino un disavanzo sanitario, una rigorosa attività di individuazione dei costi standard dei servizi, una possibilità di contenimento della spesa pensionistica. Ma questo va proprio a toccare quel tema che l'UdC, da sempre, ha sostenuto, che è il tema delle riforme strutturali: riforma strutturale del welfare, riforma strutturale degli ammortizzatori sociali, riforma strutturale previdenziale.
Anche con riferimento a questo aspetto non si procede con un disegno strategico, bensì con una politica che strumentalmente utilizza anche indicazioni e misure, come l'avvio di pratiche di contestazione da parte dell'Unione europea, invece di realizzare quel confronto reale e forte con le parti sociali che è l'elemento sul quale, in questo ampio campo di spesa pubblica, si potrebbe trovare una concertazione forte e una capacità, da un lato, di garantire risorse adeguate alla tutela, quella tutela che non lascerebbe veramente alcuno indietro (così come invece non è Pag. 51stato realizzato in questa fase dal Governo) e, dall'altro lato, di ottimizzare l'utilizzo delle risorse in una prospettiva di intesa intergenerazionale.
Questo è assolutamente fondamentale. Altro elemento che mi pare noi dobbiamo sottolineare è l'esigenza e l'importanza (indicata anche qui in modo generico) di un grande piano di infrastrutture materiali e di investimento in capitale umano. Ma a cosa abbiamo assistito in quest'anno di Governo? Alla riduzione nella spesa dell'istruzione, alla riduzione nella spesa dell'università, alla riduzione nella spesa della formazione professionale. Sono elementi e indicazioni di carattere generale che, a nostro avviso, non trovano in questo DPEF le risposte che, invece, sarebbe assolutamente necessario dare. Si tratta di risposte che noi vorremmo con una proposta organica a partire dalla centralità della famiglia. Credo che questo dato (che noi dell'UdC ogni volta mettiamo in campo) sia assolutamente prioritario come intervento nel campo fiscale (e richiamo il quoziente familiare), come intervento nel campo dell'intenso sostegno alla famiglia per recuperare veramente tutte le grandi risorse ed energie che ci sono nel grande soggetto familiare.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TERESIO DELFINO. Signor Presidente, obbedendo al suo richiamo concludo dicendo che evidentemente questo DPEF non svolge la politica attiva di intervento che noi, invece, riteniamo necessaria in questa difficile fase per uscire da una situazione veramente critica e difficile (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, il mio intervento sarà sintetico perché sintetico è il DPEF. Penso che non abbia alcun senso aggiungere altre parole rispetto a quelle già dette in Commissione e che seguono, nostro malgrado, quelle che nella Commissione bilancio e nella Commissione finanze abbiamo dovuto dire a proposito del decreto-legge anticrisi.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 17,30)
FRANCESCO BOCCIA. Probabilmente la scelta del Ministro Tremonti di scrivere la parola fine sul Documento di programmazione economico-finanziaria è l'intenzione più trasparente di questo Governo su un documento che in qualche modo, negli anni che abbiamo le spalle, è sempre stato considerato come il punto di riferimento delle valutazioni sullo stato di salute del Paese e, soprattutto, sulla valutazione preventiva delle politiche pubbliche degli esercizi successivi.
Non ripeterò nulla delle cose dette dai miei colleghi, perché penso che sia sotto gli occhi di tutti quest'ultimo Documento di programmazione economico-finanziaria e, stando a quanto dichiara Tremonti, dall'anno prossimo dovremmo avere addirittura una sorta di documento chiamato DFP che significherebbe, sottosegretario Casero, decisione di finanza pubblica. La domanda sorge spontanea: chi prenderà le decisioni di finanza pubblica? Le prenderà il Governo, o nella sua ormai consolidata solitudine il Ministro dell'economia e delle finanze? O vi degnerete in qualche modo di notificare al Parlamento che il quadro generale della situazione economica del Paese è in qualche modo legato anche alle politiche economiche che intendete fare?
Non ripeterò le cose dette dai miei collegi, ma è bene scolpire in questa discussione sulle linee generali i numeri che non lasciano spazio ad altre interpretazioni. L'avanzo primario è peggiorato; il servizio del debito è peggiorato (siamo oltre il 5 per cento); la pressione fiscale è peggiorata rispetto all'anno scorso (siamo al 44 per cento).
Il debito pubblico ha addirittura aumentato le sue dimensioni, tanto quanto eravamo riusciti, con i sacrifici di tutti noi, di tutti gli italiani, a farlo tornare in una dimensione che era leggermente sopportabile. Pag. 52Abbiamo annullato tredici anni di sacrifici in un anno solo - siamo tornati al 115 per cento - e la spesa primaria, come ricordava l'onorevole Duilio poco fa, è addirittura aumentata del 3 per cento. La scelta fatta dal Governo in questo DPEF è stata quella di non scegliere, una scelta in linea con tutti i provvedimenti economici di questi ultimi quattordici mesi, che però a questo punto ha una strategia ben precisa. La strategia che ne emerge, dopo questi quattordici mesi, è quella che noi avremmo potuto prevedere, già quando ci siamo insediati, ossia la medesima strategia che ha caratterizzato la politica economica del Governo Berlusconi nel periodo 2001-2006, con l'aggravante che abbiamo vissuto il ritorno di Tremonti e del suo modo di concepire l'economia nell'anno peggiore degli ultimi cinquanta sul piano economico generale.
I conti pubblici, quindi, sono peggiorati e noi non ci consoliamo, come fanno alcuni colleghi di maggioranza, che tentano ancora disperatamente di trovare alibi ai loro «sì» a prescindere a questo Governo. Io non mi consolo, come fa Corsaro, che ci ricorda che, siccome stanno tutti male, noi, pur stando peggio di alcuni, ma un pochino meglio degli altri, possiamo tirare a campare. Non possiamo permetterci di tirare a campare e non possiamo neanche assistere alla farsa che porta alcuni a dire che, in qualche modo, sono aumentati gli ammortizzatori sociali, perché non sono aumentati. Sono aumentate le ore di cassa integrazione, che segnano un pericolo evidente (502 per cento), ma dimenticate che quegli ammortizzatori sociali non vengono utilizzati dalle piccole imprese. Il Partito Democratico è da almeno sei mesi che vi propone - e puntualmente ignorate le nostre proposte - l'estensione di quei diritti alle piccole imprese ed a tutte le imprese che non ne hanno titolo per effetto del sistema che oggi in qualche modo continuate a sorreggere.
Abbiamo chiesto l'estensione di quei diritti e ci avete detto «no». Sono aumentate le ore di cassa integrazione e le avete finanziate con il FAS, dimenticando il Mezzogiorno per quattordici mesi, salvo recuperarlo come tema da prima pagina dei giornali. Immagino che resisterà altri due o tre giorni e poi, come sempre accade nelle priorità che definite sulla stampa, scomparirà.
Vorrei ricordare al sottosegretario Casero che non c'è nulla da sbloccare. Il Presidente del Consiglio l'altro giorno ci ha annunciato, anche con il supporto di molti parlamentari meridionali del Popolo della Libertà, che sbloccherà i fondi per le aree sottoutilizzate. Vorrei ricordare al Governo che non c'è nulla da sbloccare, perché i fondi sono finiti. È necessario rimetterli dove erano. Il bancomat FAS, conto corrente dello Stato (perché quello delle regioni per il momento non potete toccarlo), per il fondo di competenza dello Stato, è esaurito.
Quindi, noi vi chiediamo di rimettere lì le risorse e il giorno dopo riavrete titolo per discutere di Mezzogiorno. Ma non potete prendere in giro gli italiani parlando dello sblocco di risorse che, in realtà, non possono essere sbloccate, perché non ci sono più. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, il DPEF ci dice con grande chiarezza che, in realtà, è aumentato il fabbisogno del settore pubblico (vi consiglio di dare un'occhiata a pagina 60), che è aumentato l'indebitamento netto della pubblica amministrazione e che la differenza è peggiorata ed è sotto gli occhi di tutti.
Vi avevamo proposto un sistema molto semplice per accelerare i pagamenti delle amministrazioni pubbliche, in realtà avete avuto grande timidezza anche in questo, nonostante l'accelerazione dei tempi di pagamento dei debiti che hanno le amministrazioni pubbliche.
Pensiamo soprattutto alle ASL, ma anche agli enti locali. In realtà, avete bocciato il nostro emendamento, che consentiva di obbligare i ministeri, in particolar modo quello competente, alla produzione del DURC, che è il documento unico che consente ai funzionari delle amministrazioni locali di pagare i piccoli e i grandi crediti verso le amministrazioni pubbliche. Pag. 53
Immaginiamo che questo meccanismo non sia scattato semplicemente per il diniego del Ministero dell'economia e delle finanze, che, da un lato, continua a consentire al Governo di raccontare che velocizzerà i tempi di pagamento, dall'altro, costringe i creditori delle amministrazioni pubbliche alla produzione di documenti che attestino che, in realtà, essi non hanno debiti nei confronti delle amministrazioni pubbliche.
Se siete il Governo della semplificazione - avete addirittura un Ministero che si occupa a tempo pieno di semplificazione - perché la certificazione sui debiti presunti che gli italiani o le imprese italiane hanno nei confronti del Governo non la fate produrre direttamente alle amministrazioni pubbliche? Perché chiedete agli stessi creditori di produrre quella certificazione? Per non parlare delle banche! Nel cosiddetto decreto anticrisi l'unica operazione...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FRANCESCO BOCCIA. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, deve concludere, non avviarsi alla conclusione.
FRANCESCO BOCCIA. Ancora trenta secondi, signor Presidente, e concludo.
PRESIDENTE. Ne ha quindici. Sa che la stima nei suoi riguardi è fortissima, ma il tempo è tiranno.
FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, concludo parlando delle banche, ricordandovi che l'altro giorno, in sede di discussione sul cosiddetto decreto anticrisi, l'unico punto che, in qualche modo, è stato oggetto di attenzione da parte del Governo è stato quello che riguardava le banche.
Si era raggiunto con grande fatica un accordo nelle Commissioni; quell'accordo è stato violato e, alla fine, nell'anno di maggior crisi, nell'anno che ha portato un'attenzione senza precedenti verso il sistema bancario, avete eliminato le uniche norme che, in qualche modo, consentivano in maniera molto chiara ai correntisti e ai risparmiatori di ottenere alcuni benefici, e avete fatto tutto questo in cambio di nulla.
Nell'anno di maggior crisi, le principali banche otterranno dividendi e voi, anche in questo caso, non siete stati in grado di opporre alcuno stop a questa impostazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, abbiamo ascoltato l'individuazione di un progetto, di una programmazione, e abbiamo anche sentito gli approfondimenti rispetto ai numeri, alla contabilità, alla programmazione, che vede, logicamente, diverse posizioni.
Intervengo in maniera particolare per realizzare le condizioni e le indicazioni di un progetto che attiene, invece, alla mia isola, alla Sardegna. Mi scuso, innanzitutto, se il mio sarà un intervento mirato a parlare di un territorio, di un'isola che è ancora enormemente svantaggiata rispetto al resto del territorio italiano, perché ancora non ha avuto un riscontro in ordine ad attese storiche. Abbiamo vissuto e viviamo, purtroppo, dei momenti drammatici e abbiamo una percentuale elevatissima di inoccupazione; realizziamo in questi giorni e ci siamo confrontati con sistemi importantissimi di questo Paese (vedi l'ENI sul tema della chimica), con l'ulteriore prosecuzione di timore e di pericolo per migliaia e migliaia di famiglie, che ancora vivono l'incertezza della speranza di un loro progetto di vita, e cioè dell'occupazione.
Oggi abbiamo verificato, e abbiamo anche valutato che cosa nel Documento di programmazione economico-finanziaria fosse contenuto con riferimento ad un sistema debole, ad un sistema che ancora ricerca la possibilità della continuità territoriale, ad un sistema che è carente di infrastrutture, e che ancora non ha forse realizzato il ruolo e la scelta economica Pag. 54che meglio può essere appropriata, come idoneità ed efficacia, per un rilancio occupazionale ed economico.
In tutto ciò, il DPEF in esame non contiene nulla, neanche una parola sulla Sardegna. E in maniera vergognosa, si rileva nelle tabelle un'elemosina che è inaccettabile, che è intollerabile, che non può essere in alcun modo esaustiva di un insieme minimo di richieste. Abbiamo però realizzato un percorso di proposta, abbiamo realizzato un percorso di confronto, e in ciò abbiamo ricevuto non solo un ascolto teorico, ma una declinazione concreta ed una valutazione di come agire e di come realizzare condizioni che superassero tale situazione. L'evoluzione è stata fortemente positiva, il confronto ha realizzato la condizione che non solo la sensibilità del gruppo PdL, ma anche la capacità del gruppo PdL di raccogliere istanze giuste e legittime di un territorio può concretamente determinare l'introduzione, all'interno della risoluzione, di un percorso di adeguamento e di modulazione di risorse che tendono a raccogliere una sfida, quella di rilanciare finalmente con forza e determinazione un progetto sociale, culturale, economico ed occupazionale che riguarda un intero popolo e un intero territorio.
Tutto ciò si traduce naturalmente attraverso la concretezza della proposta, ed essa guarda alle opere infrastrutturali: la Sardegna vive ancora il forte disagio della scelta che noi abbiamo poi alla fine capito, abbiamo condiviso, abbiamo sostenuto, dell'indicazione del G8 a L'Aquila, e non abbiamo avuto nulla da eccepire. Quel G8, però, rappresentava per il territorio sardo anche un momento di grande opportunità di riscatto, di opportunità di proiezione economico-sociale. Credo quindi che una compensazione rispetto a tale situazione possa arrivare, così come arriverà, attraverso la proposta dei gruppi sia alla Camera che al Senato in maniera unitaria.
Ho avuto modo di confrontarmi sia ieri che oggi su tali aspetti in maniera approfondita, e sono state individuate quattro grandi opere infrastrutturali. Una riguarda l'asse centrale, nodale del percorso della Carlo Felice, della cosiddetta 131, un'opera incompiuta che noi abbiamo necessità che venga realizzata, sia per quanto riguarda il trasporto delle merci, per quanto riguarda il trasporto dei cittadini, che per quanto riguarda finalmente la possibilità che la continuità territoriale anche all'interno della Sardegna non sia per essa un'utopia. Noi viviamo infatti questa condizione: non una continuità territoriale che guardi a trasferirci in un sistema globale di confronto con pari dignità e con pari condizioni e prerequisiti, noi inseguiamo ancora una continuità territoriale interna. Ed ecco il perché dell'altra grande opera, che guarda alla dorsale, che riguarda anche un percorso che oggi è il più avvilito, il più debole, quello del nuorese, che vive condizioni di arretratezza che non possono essere più tollerate. Accanto a queste vi è un'altra opera che era stata garantita e promessa, quella della Sassari-Olbia, che può realizzare per il nord Sardegna finalmente un'opportunità fondamentale; e Cagliari, con la necessità dell'opera sotterranea, che può realizzare la condizione finalmente di una possibilità di sviluppo che un capoluogo non può in alcun modo non avere.
Credo che il Governo abbia già condiviso in maniera forte e importante questi passaggi e abbia recepito l'idea di una proiezione in termini politici e soprattutto tecnici per la immediata ripresa dei lavori in sede di sessione finanziaria, e dunque con l'individuazione delle risorse e dei flussi finanziari da canalizzare rispetto alla fattibilità e alla realizzazione di tali opere. Non voglio dilungarmi oltre, ma mi rivolgo al Governo perché faccia propria questa istanza e la tenga presente in sede di rimodulazione delle tabelle.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà, per nove minuti.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, basteranno certamente i minuti a me assegnati, poiché i miei colleghi di gruppo Galletti, Ruvolo e Delfino hanno svolto le nostre valutazioni su questo provvedimento, Pag. 55e dunque io debbo affrontare aspetti e temi già evidenziati da loro con grande capacità e puntualità.
Certo, devo fare una valutazione di insieme: quando ci si trova a discutere sulle linee generali del DPEF sembra che si faccia un dibattito senza sussulti e senza storia. Se invece il Governo fosse stato un po' più attento a raccogliere le valutazioni pervenute da quest'Aula, esso troverebbe certamente elementi assai utili per una considerazione complessiva. Al di là delle cose dette dai relatori e in particolare dal relatore di minoranza Marchi, infatti, vi sono stati esponenti della maggioranza che hanno sottolineato in termini molto critici gli elementi del DPEF. Abbiamo ascoltato poco fa l'onorevole Armosino e ora l'onorevole Cicu. Mi sembra che l'onorevole Armosino non sia ottimista rispetto alla crisi economica che è dietro alle porte e che non si è ancora consumata (dobbiamo invece attenderci tempi sempre più pesanti e preoccupanti); dal canto suo, l'onorevole Cicu ha lamentato la disattenzione nei confronti della Sardegna, cioè verso una regione importante e strategica nella quale qualche tempo fa il Popolo della Libertà ha festeggiato la propria vittoria.
Anche noi dobbiamo però lamentare talune disattenzioni. Quando infatti parliamo di dati e numeri, non vi è dubbio che dobbiamo rapportare ad essi le politiche: i numeri, infatti, per come si presentano, compongono e registrano, possono fornire una risposta o un'altra. In effetti, il DPEF è stato storicamente il provvedimento che prefigura taluni obiettivi politici. E quello che manca in questo Documento è proprio un supporto delle politiche che dia loro credibilità rispetto agli obiettivi che si intendono raggiungere e mettere in atto. Ci troviamo di fronte a previsioni costruite sulla base di supposizioni e di una serie di ipotesi non suffragate da alcun ragionamento di politica economica, come invece sarebbe necessario per lasciare a tutti noi valutazioni più serene e più stringenti.
Non so se questo è l'ultimo DPEF che facciamo: il DPEF storicamente, come ricordava poc'anzi il signor Presidente, è stato sempre un documento propedeutico alla manovra economica e finanziaria. Mi si dice che vi saranno altri strumenti, altri mezzi o altri tipi di articolazione anche normativa per quanto riguarda la manovra economico-finanziaria (ancora non ci è dato sapere), ma certamente il DPEF è stato sempre un documento di accompagno o preliminare, una prefazione a quella che doveva poi essere l'azione di Governo.
L'errore continuamente presente - e che ho voluto anche ravvisare - è questo affidamento alle normative che sono state approvate da parte dell'Aula. Non faccio riferimento alle norme anticrisi che hanno avuto qualche strascico polemico anche in queste ore nella fase di approvazione (soprattutto, ne sono stati evidenziati alcuni limiti); ma come diceva Galletti, vi è una filosofia di fondo che certamente rende gracile e asfittico questo documento, nel momento in cui vi sono un'espansione della spesa corrente e meno investimenti. Vi sono ovviamente meno investimenti per quanto riguarda i servizi fondamentali (si faceva riferimento alla scuola e ai servizi comunali).
Questo documento, come dicevo, fa riferimento ad una serie di normative che non tengono il passo rispetto ad una previsione di sviluppo economico. Non faccio riferimento alle misure anti-recessione, quelle che si richiamano ovviamente ad una situazione di crisi presente a livello internazionale, ma ad un'ipotesi, ad una serie di ipotesi, come dicevo poc'anzi, che si riferiscono al federalismo, alle stime di risparmio e di economicità legate alla riforma della pubblica amministrazione. Se parliamo del federalismo, ritengo che non abbiamo certezze neanche sul piano economico: si tratta certamente di costruzioni di fantasia e di pura approssimazione, di valutazioni ed ipotesi che non fanno onore al Parlamento.
Abbiamo detto più volte che se pensiamo di costruire una prospettiva di sviluppo economico nel Paese puntando sul federalismo, certamente ci ritroveremmo su un percorso sbagliato che non ci darebbe sicurezza rispetto alle tappe ed agli obiettivi che intendiamo raggiungere. Pag. 56
Abbiamo sempre detto che il problema è quello dell'assenza della politica: ciò che è stato sempre presente nel DPEF sono state le politiche, le linee politiche da portare avanti anche all'interno del nostro Paese.
PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la invito a concludere.
MARIO TASSONE. Se si fa riferimento alla pubblica amministrazione, alla serie di risparmi ipotizzati dall'onorevole Brunetta o al federalismo - e concludo, signor Presidente - ritengo che siamo fuori strada. Soprattutto, per quanto riguarda il Mezzogiorno ci troviamo certamente in una fase importante per cui sarebbe anche molto utile pensare e immaginare se, ad esempio, l'ipotesi di un Ministro per il Mezzogiorno possa essere utile o meno, oppure se serva semplicemente a qualche altro schema.
Concludo con una semplice battuta: i governi molte volte hanno credibilità non sulla composizione dei numeri, ma anche sugli impegni che dovrebbero assumere per risolvere i problemi del proprio territorio. Vogliamo che vi sia una visione unitaria del nostro territorio, perché i problemi del Mezzogiorno o si risolvono unitariamente in un quadro anche di politica internazionale ed europea oppure non si risolvono.
Vi è un aspetto ed un riferimento che richiamo e che riguardano anche la mia terra, Catanzaro: da tempo si parla di una scuola della magistratura che fu «sottratta» allora dal Governo Prodi e sulla quale oggi vi è un responso positivo da parte della magistratura amministrativa, ma mancano la conseguente azione, attività e quindi il conseguente impegno da parte del Governo.
La credibilità dei numeri è riposta anche sulla credibilità degli atteggiamenti e delle azioni politiche per cui, signor Presidente, ritengo che il nostro giudizio e la nostra valutazione siano molto serrate e forti. Non intendo fare critiche o polemiche, ma valutazioni molto attente rispetto ai percorsi e alla situazione complessiva sul piano economico e politico: non c'è un'economia senza politica, non c'è un'economia senza una credibilità forte e ritengo che questo sia l'approdo e l'impegno che dobbiamo portare avanti.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cardinale. Ne ha facoltà.
DANIELA CARDINALE. Signor Presidente, onorevole colleghi, nel corso della discussione sul Documento di programmazione economico-finanziaria 2009-2013, che annunciava la politica economica del Governo per la legislatura, il gruppo del Partito Democratico ne denunciava la grave insufficienza per l'insostenibilità delle linee tracciate. L'onorevole Baretta, relatore di minoranza, rilevava che la mancanza di interventi efficaci ed immediati sulla crescita e sul potere di acquisto avrebbe prodotto una manovra depressiva ed inefficace. In particolare, il collega sottolineava che, in mancanza di crescita entro il 2011, non vi sarebbe stato il previsto risanamento di bilancio. Nessuna delle previsione di quel DPEF si è avverata e ciò è dovuto, prevalentemente, alle politiche del Governo. Tutto questo emerge con chiarezza dal documento in esame, che evidenzia la condizione di estrema gravità per l'economia del Paese e per lo stato della finanza pubblica. L'indebitamento netto non viene ridimensionato, ma si innalza oltre il 3 per cento; il debito pubblico non scende al di sotto del 100 per cento, ma riprende la salita e si attesta tra 115 e il 120 per cento; il PIL, secondo le stime dello stesso Governo, nel 2009 scenderà del 5,2 per cento. Nonostante questo quadro, il Governo minimizza e indica come catastrofisti coloro che analizzano con grande rigore questi dati e consigliano una cura più energica ed efficace per la nostra economia.
Lo stesso DPEF in esame presenta questi dati come normali e previsti in conseguenza della crisi; una crisi, tuttavia, che la maggioranza assicura essere ormai alle nostre spalle. Bisognerebbe chiedere, a questo proposito, l'opinione delle famiglie italiane che diventano sempre più povere, dei disoccupati che crescono sempre di più Pag. 57con un ritmo esponenziale, delle imprese che vedono crollare i loro fatturati e restringersi le loro possibilità di credito bancario. Il Governo continua a rappresentare le sue «operette» per accreditarsi come dinamico, efficace, capace di assicurare benessere, sicurezza e tranquillità a tutti i cittadini del Paese. In verità nel documento in esame manca una precisa linea di impegno sulle riforme strutturali e sulle politiche da seguire per far cogliere al Paese tutte le opportunità che si potranno presentare quando avremo superato la crisi. Manca una politica per lo sviluppo del Mezzogiorno a cui vengono persino negate le risorse del FAS. A nulla sono valse le proteste di alcuni deputati della maggioranza, bollate dal Presidente del Consiglio come frutto di risentimenti personali. A questi colleghi mi permetto di consigliare comportamenti lineari e conseguenziali, per evitare che si possa pensare che sostengono due parti in commedia.
Sulla politica dei trasporti, infine, va evidenziata la carenza delle risorse disponibili. A fronte di una spesa di 16 miliardi di euro prevista per il Mezzogiorno, si riscontra una disponibilità di appena 2,4 miliardi. Al trasporto ferroviario, inoltre, vengono negate le risorse sufficienti per il completamento dell'alta velocità e dell'alta capacità.
Anzi, signor Presidente, colgo questa occasione, per sollecitare il Governo a dare risposta alle mie interrogazioni presentate per sottolineare la precarietà delle reti di comunicazione presenti in Sicilia, in particolar modo nella provincia di Caltanissetta.
In conclusione, esprimo tutte le mie perplessità sull'efficacia del DPEF 2010-2013 e mi riporto alla risoluzione presentata dal Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Germanà. Ne ha facoltà.
ANTONINO SALVATORE GERMANÀ. Signor Presidente, i lavori della scorsa settimana, che hanno preceduto l'approdo del DPEF in Aula, hanno dato certamente un'accelerazione, o meglio una spinta, alla definizione - ce lo auguriamo - di una questione che va avanti da mesi: la questione della nascita o meno del partito del sud.
Credo che sia l'approvazione del decreto anticrisi (vi è stato il voto finale oggi qui alla Camera) sia il DPEF testimoniano, al di là delle polemiche pretestuose venute alla ribalta negli ultimi giorni, l'attenzione del Governo e di questa maggioranza alle problematiche del Mezzogiorno. A testimoniare ciò che dico sono proprio le parole di ieri del Presidente Berlusconi riportate su tutti i quotidiani tese a smascherare chi vuole sovvertire la verità. Cito testualmente: «Non mi preoccupano le uscite e i comportamenti che sono con evidenza riconducibili a recriminazioni e a richieste di potere di tipo personale, e che si è invano cercato di coprire come se fossero attenzioni verso il destino del Mezzogiorno». Tornando ai contenuti del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2010-2013, nella parte relativa all'analisi degli scenari dell'economia italiana, si legge che sebbene il tasso di disoccupazione rimanga più elevato nel Mezzogiorno che al centro-nord il suo aumento nel primo trimestre 2009 rispetto allo stesso trimestre del 2008 è stato assai più contenuto al sud che in altre aree del Paese. Sempre nel documento si legge inoltre che per l'anno in corso le previsioni di crescita del PIL vedrebbero un sostanziale allineamento tra le varie aree del Paese. Se all'infuori dei dati relativi alla congiuntura internazionale non vi è nel documento al nostro esame una parte specificamente riferita agli interventi previsti per il Mezzogiorno, nell'allegato relativo al programma delle infrastrutture strategiche particolare attenzione è stata dedicata a tale area geografica. In particolare voglio ricordare che in sede di attuazione della legge obiettivo vi è stata un'attenzione particolare nei confronti del Mezzogiorno sin dalla delibera n. 121 del 2001, e si conferma l'impegno assunto lo scorso anno volto a dare compiutezza ad una serie di interventi Pag. 58entro il 2012. Tuttavia i fatti hanno dimostrato che accanto alle risorse finanziarie è necessario prevedere anche nuovi piani di intervento che non si limitino a riproporre le domande presentate negli ultimi anni precedenti, ma che si caratterizzino per un più forte contenuto innovativo. In particolare è necessario rivedere - il Governo si è già mosso in tale direzione - le procedure per l'erogazione dei fondi FAS, anche essi in questi mesi oggetto di scontro o meglio oggetti strumentali di protesta, tutto ciò al fine di assicurare che con le relative risorse si effettuino in tempi brevi interventi di importanza strategica per il Mezzogiorno. Dovrà inoltre essere fatto il punto sulle modalità di utilizzo dei fondi FAS in questa prima parte della legislatura, tenendo conto dei vincoli percentuali relativi all'impegno di tali risorse, in virtù dei quali l'85 per cento delle stesse va destinata al Mezzogiorno e il 15 per cento alle regioni del centro-nord.
Nonostante nel corso dell'anno siano stati diversi i provvedimenti che hanno previsto l'utilizzo delle risorse stanziate a valere su tale Fondo per le aree sottoutilizzate per finalità diverse - questo non lo possiamo negare - da quelle originariamente assegnate al Fondo stesso, l'allegato in esame chiarisce perfettamente che la manovra triennale che il CIPE ha approvato in seduta 26 giugno 2009, e che vale oltre 28 miliardi di euro, è stata adottata nel pieno rispetto della destinazione di quel 85 per cento delle risorse complessive al Mezzogiorno. Apprendiamo proprio oggi, con immenso piacere, l'annuncio del Premier che parla dei famosi quattro miliardi del FAS tanto attesi e motivo di scontro anche in Sicilia, e di tre miliardi per la Puglia. Nell'allegato sono anche individuate le finalità alle quali destinare prioritariamente le risorse. In particolare voglio ricordare: il riassetto della rete metropolitana campana, le metropolitane di Palermo e di Catania; i nodi urbani di Bari e di Palermo; il sistema viario sardo e quello calabrese e lucano; il collegamento autostradale Termoli-San Vittore, il sistema viario siciliano, asse Agrigento-Caltanissetta-Catania- Siracusa e ragusano; le piastre logistiche di Augusta, Cagliari, Gioia Tauro, Taranto e Brindisi. Dobbiamo comunque affrontare la questione meridionale e non quella di qualche meridionale in cerca di collocazione. Quindi restiamo in attesa di quel piano innovativo per il sud al quale il Presidente del Consiglio sta lavorando insieme con i Ministri delle infrastrutture, dello sviluppo economico, dell'economia, e con le regioni, annunciato negli ultimi giorni e definito un piano concreto di opere, infrastrutture e servizi (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.
LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, per il secondo anno consecutivo del Governo Berlusconi nel DPEF manca il Mezzogiorno d'Italia. Eppure le regioni del Mezzogiorno hanno le risorse, che però sono utilizzate per affrontare la crisi dell'intero Paese, e non hanno gli strumenti per erogarle direttamente.
È proprio un paradosso che è utile sciogliere quanto prima possibile. Onorevoli colleghi, il sud è un'area vasta ed articolata composta da 8 regioni, 41 province, con 21 milioni di abitanti (il 35,6 per cento del nostro Paese), con una superficie di 124 mila chilometri quadri (il 46 per cento del nostro Paese) ma con un PIL più debole (solo il 26,9 di quello del Paese), con una poco articolata struttura industriale ed occupazionale nelle manifatture e con un PIL pro capite del 23,7 per cento.
Ora mi piacerebbe che il Governo in carica e i colleghi di quest'Aula condividessero con tutti noi, preoccupati per il futuro del Mezzogiorno, il dato sostanziale e incontrovertibile che dimostra come sia stata smantellata una quota importante delle politiche di sviluppo per il sud con una pratica rapida ed intensa davvero impareggiabile. Sono state cancellate una parte rilevante delle politiche di sviluppo territoriale del nostro Paese. Il Governo ha Pag. 59finanziato tutti i suoi interventi di politica economica attraverso l'utilizzo di risorse finanziarie assegnate agli interventi in conto capitale principalmente nel Mezzogiorno. Questo Governo, onorevole rappresentante del Governo, con i decreti-legge anticrisi ha spostato una parte consistente delle risorse finanziarie FAS del Mezzogiorno nelle aree a più alto tasso di sviluppo, inaugurando così un modello redistributivo delle risorse funzionale alla ristrutturazione di una sola parte del Paese.
Il Governo nei decreti-legge anticrisi ha dirottato verso il settore del credito le risorse disponibili precedentemente programmate per la politica industriale aiutando la ricapitalizzazione delle banche - vedi Tremonti bond e Confidi - e cancellando le agevolazioni nel sud. Con le revoche della legge n. 488 si finanzia la spesa ordinaria mentre i crediti di imposta per investimenti non sono stati rifinanziati e i contratti di programma non sono più limitati alle aree sottoutilizzate; nel Mezzogiorno le agevolazioni sono passate da 6 miliardi e mezzo a un miliardo e mezzo. Si sono ridotte dell'86 per cento al sud, mentre al centro-nord del 27 per cento. Persino le zone franche urbane non riescono a decollare in attesa dei decreti attuativi da un lato e dell'autorizzazione finale da parte dell'Unione europea.
Voglio segnalarvi, inoltre, che la spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 di 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del centro-nord. La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2008 al 34,9 per cento; una percentuale ben più bassa del 41,1 per cento del 2001 e lontanissima dall'obiettivo del 45 per cento come stabilito per legge. La legge di cui parlo è la legge 5 maggio 2009, n. 42, più nota come federalismo fiscale. Ora, colleghi, tra il 2008 e il 2009 il Governo Berlusconi ha accentuato enormemente la pratica di utilizzare le disponibilità del FAS come bancomat. Gli stanziamenti FAS del bilancio dello Stato hanno perciò subito decurtazioni pari a 16,4 miliardi nel periodo 2008-2011; ad essi si sono aggiunti i 4 miliardi per gli ammortizzatori e, infine, si stanno aggiungendo i 4 miliardi per il terremoto in Abruzzo.
Ora, il Governo, anzi il Presidente del Consiglio annuncia attraverso la stampa un piano per il Mezzogiorno. Leggiamo di un solenne impegno non verso il Parlamento ma assunto nei confronti dell'onorevole Miccichè e del presidente Lombardo. Trattasi - dice il piano sulla stampa - di destinazione di 18 miliardi di euro di FAS regionale e interregionale per il Mezzogiorno. Si aggiunge 7-8 miliardi di euro per le infrastrutture e, forse, un Ministero per il Mezzogiorno.
Onorevole Berlusconi, direbbe ella: mi consenta. Quei 18 miliardi sono un'assegnazione intoccabile delle regioni meridionali, pena la revoca da parte dell'Unione europea.
Ma la cosa abbastanza grave è il fatto che regioni come la Puglia e la Sicilia hanno presentato già da maggio scorso i piani attuativi regionali e gli stessi non sono stati ancora autorizzati e Dio sa quanto era ed è urgente mettere in circolazione quelle risorse finanziarie trattenute e le opere pubbliche per attenuare i crampi della crisi nel Paese e nel Mezzogiorno.
Signor Presidente del Consiglio, in ordine all'annuncio di 7 o 8 miliardi per le infrastrutture, anche qui mi consenta: siamo ancora agli spot? Dal ponte dello stretto di Messina al corridoio numero 1 Berlino-Palermo, dal corridoio numero 8 all'alta velocità Napoli-Bari, dall'adeguamento della statale ionica al trasporto urbano meridionale, fino ad ora non abbiamo rilevato traccia in nessun atto parlamentare e di Governo, a partire dagli atti del CIPE (vedi l'ultimo del 26 giugno), in questo DPEF e neanche, per dirne uno fra i tanti, sul piano strategico delle infrastrutture.
Che dire, signor Presidente Berlusconi, della spesa in conto capitale destinata al sud, se gli investimenti pluriennali dei concessionari ANAS, Ferrovie dello Stato e Telecom sono solo numeri scritti nei programmi senza un euro di coperture finanziarie? Pag. 60
Infine, sul ventilato Ministero del Mezzogiorno un consiglio o se vuole un suggerimento: lasci perdere, il passato può essere solo storicizzato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pili. Ne ha facoltà.
MAURO PILI. Signor Presidente, la ritualità della finanza pubblica ci impone anche oggi, così come capita da tempo, di mettere al primo posto della programmazione finanziaria del nostro Paese il Documento di programmazione economico-finanziaria. La domanda è lecita: a cosa serve il DPEF? Mi permetto sommessamente di rispondere: a niente. La risposta non è presuntuosamente la mia, ma quella del Ministro Tremonti, che richiamando una dotta discussione sulle percentuali di modificazione dei parametri interni al DPEF disse che questa è forse l'unica utilità che il DPEF ha, cioè quella di aprire contenziosi politici sulle percentuali che di volta in volta devono argomentare l'economia del momento.
La complessità, le variabili e gli eventi rendono invece l'economia non pianificabile in tutte le sue possibili evoluzioni. L'economia moderna e quella che stiamo vivendo in questi mesi hanno necessità di Governo: un'economia che si governa e che ha bisogno di una classe dirigente in grado di fare una politica equilibrata, capace di rivolgere lo sguardo al futuro da una parte, ma di interpretare in maniera concreta ed efficace le esigenze del presente.
Questo DPEF - e mi rivolgo al rappresentante del Governo - ha un merito, che è quello di fare una fotografia impietosa della finanza pubblica del nostro Paese, dal deficit al rapporto con il PIL, ma mette anche in evidenza un dato che è assolutamente emblematico di come è avvenuta la gestione delle risorse pubbliche nel nostro Paese negli anni passati.
È evidente che occorre mettere subito in luce alcune questioni fondamentali e voglio soltanto elencarne alcune. La prima: è indispensabile perseguire non il contingente, ma rivolgere lo sguardo a questioni strutturali, che sono fondamentali per affrontare davvero le gravi crisi economiche che si sono abbattute e ancora incidono sull'economia del nostro Paese. Parlo di azioni strutturali, che vanno dalle infrastrutture alla creazione di strumenti di pubblica amministrazione che siano efficaci ed efficienti e non più tardivi, come capita ancora oggi. Dobbiamo insomma avere fondazioni salde, ben angolate, per sviluppare con certezza e far crescere il nostro Paese su fondazioni che possano elevare la crescita del nostro Paese, a partire dall'individuazione di quelle strumentazione anacronistiche, come il DPEF, che appartengono davvero al passato.
Questo DPEF ripone le lancette della pianificazione e della programmazione economica e infrastrutturale del nostro Paese al dicembre del 2001, quando nacque la legge obiettivo che era una grande legge di infrastrutturazione strategica del nostro Paese e che metteva alcuni punti saldi che davano la possibilità al nostro Paese di riprendere, di non essere più inseguitore ma apripista, mettendoci nelle condizioni di guardare alle connessioni nazionali e internazionali, guardando anche alla capacità delle nostre regioni di essere artefici di questo progetto integrato di infrastrutturazione del nostro Paese.
Colleghi, tutto questo però si scontra con alcuni elementi che io voglio molto sommessamente richiamare in questo mio breve intervento, a partire dall'articolazione fondamentale in una programmazione economica come quella che abbiamo il dovere di fare in termini equilibrati, misurando non più soltanto la forza politica delle singole regioni in base alla rappresentanza o all'occupazione dei singoli centri di potere, ma mettendo parametrazioni certe che possano misurare il gap e il divario infrastrutturale e conseguentemente colmarlo con azioni di riallineamento infrastrutturale per il nostro Paese e per le nostre singole regioni.
Se ci fosse un metodo, nessuno in quest'Aula sarebbe portato a chiedere di sollecitare un'opera al Governo, quella o quell'altra. Se ci fossero parametri certi Pag. 61capaci di recuperare il divario infrastrutturale, forse la schiena dritta di ognuno di noi potrebbe portarci a dire: quelle risorse spettano a quella regione piuttosto che a un'altra. Guardiamo invece cosa capita nel DPEF e nella fotografia fatta delle risorse finanziarie riguardo ad esempio a due regioni insulari, le due uniche regioni insulari, la Sardegna e la Sicilia. La Sicilia ha iscritto risorse negli accordi di programma del DPEF per 5 miliardi e mezzo di euro; la Sardegna nella stessa colonna ha appena 18 milioni di euro. Questo dato non è rappresentativo di un Paese equo che rispetta e sa rispettare le prerogative delle nostre regioni.
Mi ricollego a quello che ha detto qualche collega: ciò mi lascia percepire che molto spesso si utilizza il sud per strumentalizzazioni che non appartengono alla ripartizione reale delle risorse nazionali, ma forse per qualche scalata di troppo. La realtà è che bisogna riequilibrare queste risorse. Nel mio non voto ieri in Commissione ambiente e infrastrutture volevo proprio significare questo aspetto fondamentale della nostra azione di Governo: dobbiamo stare attenti a non interrompere quel filo rosso che lega l'unità del nostro Paese. Aggiungo che sarebbe importante che nel documento finale venissero recepite proprio quelle opere che sono state richiamate da un altro collega e che abbiamo citato in un'interrogazione già dieci giorni fa, richiamando puntualmente le connessioni interne alla nostra regione, con atti non di pietismo o di regalia ma di riconoscimento di reali diritti che in un documento di programmazione economica dovrebbero essere fondamento di rispetto delle prerogative di ognuno di noi.
Per questo motivo, signor Presidente, credo che sia assolutamente indispensabile rivedere da qui a settembre, nella prossima programmazione del CIPE, logiche di equilibrio, di equità che sappiano mettere i diritti di ognuno nella propria posizione. Bisogna dare priorità alle aree del Paese dove maggiori sono le carenze infrastrutturali. Certo, occorre proseguire l'azione infrastrutturale avviata in questi anni; la legge obiettivo fu davvero un traguardo fondamentale, anche nei rapporti con la Commissione europea, e lo è ancora: vi sono opere che devono essere cantierate e che possono essere finanziate solo se progettate in termini anche esecutivi. Credo che sia fondamentale non l'accaparrarsi risorse finanziarie, ma metterci nelle condizioni di gestire le risorse nel miglior modo possibile.
Se nella risoluzione finale dei gruppi di maggioranza, verrà un impegno in tal senso credo che sarà il Paese a guadagnarci, non il nord o il sud, ma l'integrità di una comunità nazionale che non si divide ma si unisce grazie ad un progetto economico capace di dare risposte serie al nostro Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Reguzzoni. Ne ha facoltà.
MARCO GIOVANNI REGUZZONI. Signor Presidente, mi associo al collega Pili che definisce questo Documento non come uno strumento operativo, perché il DPEF non vuole essere uno strumento pratico; esso vuole essere - lo ha ben delineato il sottosegretario Casero nel suo intervento di questa mattina in Commissione - uno strumento a nostra disposizione attraverso un metodo che qui non voglio ripetere, ma che assolutamente condivido. Abbiamo, quindi, non effetti pratici, ma ragionamenti.
Alcuni effetti pratici, peraltro, si ritrovano negli allegati, che rappresentano una fotografia dell'impegno del Governo nei confronti delle principali situazioni presenti nel Paese. Ad esempio, in merito al secondo allegato, relativo alla programmazione delle infrastrutture strategiche, devo fare veramente un plauso, perché riusciamo a vedere, finalmente, in questo Documento il rispetto di tutti gli impegni che il Governo si era assunto in termini di opere concrete che hanno visto l'avvio in questi giorni. Mi riferisco, ad esempio, alla linea ferroviaria Arcisate-Stabio: ne abbiamo discusso per decenni con gli svizzeri e finalmente abbiamo aperto il cantiere. Mi riferisco anche alla Brebemi, al finanziamento Pag. 62importante per la Pedemontana lombarda e la Saronno-Seregno. Certo, c'è altro da fare, e desidero richiamare l'attenzione sul terzo binario della linea Gallarate-Rho, un'altra struttura molto importante soprattutto per la filiera, per l'export e per l'area che gravita intorno a Malpensa.
Sempre nel secondo allegato, in tema di infrastrutture, c'è un'enunciazione di volontà da parte del Governo, che è quella di rivedere la normativa del trasporto aereo, soprattutto in relazione alle vicende degli aeroporti e alle dotazioni infrastrutturali di cui gli aeroporti hanno necessità: Fiumicino, perché probabilmente è congestionato e gestito al limite della sopportazione - questo noi lo affermiamo da tanto tempo - e Malpensa, perché ha bisogno di infrastrutture di collegamento.
Faccio allora appello soprattutto alla fantasia e alla capacità tecnica del sottosegretario Casero, affinché questa revisione normativa venga vista anche dal Ministero dell'economia come una grande opportunità per estendere la capacità di project financing delle società aeroportuali anche al tema delle infrastrutture di collegamento, non solo in senso allargato alle aree immediatamente attigue al sedime aeroportuale, ma in senso più esteso. Potrebbe trattarsi davvero di un altro metodo per ottenere dei risultati senza impegnare le casse dello Stato. Anche a questo va il nostro plauso, perché nel settore abbiamo bisogno di una nuova normativa e una riconferma del ruolo di hub di Malpensa, detto a chiare lettere anche nel DPEF, non può che far piacere a noi della Lega.
Mi permetto poi un'ultima considerazione. Il mio non vuole essere un intervento lungo, perché il collega Polledri interverrà domani per rappresentare bene la posizione della Lega su tutti gli aspetti, però ci tengo a fare un'osservazione sulla crisi economica che stiamo attraversando. Signor sottosegretario, colleghi, quando leggiamo il DPEF partiamo da un dato, che è quello attinente alla liquidità del sistema. Non disponiamo della leva che ci consente di interferire direttamente sulla liquidità del sistema, quindi il costo del denaro viene assunto come un dato di partenza. Ebbene, questo è vero, ma fino a un certo punto. Credo che la politica abbia la necessità, anzi il dovere, di intervenire anche con gli strumenti di persuasione e di segnalazione alle autorità monetarie competenti del grave stato di difficoltà in cui versiamo.
Vengo dalla presentazione al pubblico di un progetto di legge che ha visto firmatari numerosi colleghi parlamentari di quasi tutti gli schieramenti politici qui presenti - dal capogruppo della lega Cota, ai colleghi Versace, Calearo e Lulli e ancora altri - e che riguarda il settore tessile. Non si chiede niente, solo un intervento di sostegno alla nostra industria manifatturiera. Quello che è emerso è che si tratta di un momento grave per la nostra industria e per il nostro sistema, come testimoniano i dati. Tale momento di grave crisi deriva però, principalmente, da una crisi di liquidità. Se un anno fa la risposta che ci è stata data era che non fosse necessario adottare procedure di allentamento dei cordoni - per usare un termine non tecnico -, quindi di maggiore accesso al credito e un minor costo del credito, come ci è stato detto sia dalla Banca d'Italia in sede di audizione in Commissione bilancio, sia dalle autorità monetarie europee, quest'anno ciò non è più vero e ormai nessuno sostiene più una posizione di questo tipo.
Quello che dobbiamo però far presente è che la politica deve tornare a dire la sua anche in questi argomenti e quindi l'auspicio è che si agisca in tanti modi - lo abbiamo fatto noi della Lega proponendo una serie di misure che riguardano il sistema bancario, ma lo faccia anche il Governo con l'autorevolezza che ha nelle sedi competenti dell'Unione europea - perché il costo del denaro scenda e perché aumenti la capacità di accesso al credito del nostro sistema imprenditoriale. È una delle chiavi di volta perché l'impressione che si ha, vivendo il mondo dell'industria da vicino e anche dall'interno, è proprio che ci sia una crisi di ossigeno. Pag. 63
Quindi il Governo si faccia carico - anche se non è uno strumento legislativo o normativo nelle nostre mani - con gli strumenti opportuni che può mettere in campo, di sottolineare, alle autorità preposte, la necessità di liquidità assoluta che ci sta davvero dando fastidio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mattesini. Ne ha facoltà.
DONELLA MATTESINI. Signor Presidente, sin dall'inizio di questa legislatura l'azione del Governo si è caratterizzata per aver affrontato i bisogni ed i temi economici del Paese, introducendo norme disorganiche e frammentate. Anche il DPEF rappresenta, in perfetta continuità con tale scelta, l'ennesimo provvedimento di natura economica che viene affrontato senza delineare un quadro effettivo e veritiero dei dati economici e della crisi stessa.
Sottolineo come non solo non ci sia un quadro di insieme ma ci sia anche la totale assenza di qualunque trasparente e rigoroso collegamento tra i vari provvedimenti economici. Mi riferisco all'assestamento di bilancio. Ad esempio, il saldo netto da finanziare previsto dalla legge di bilancio in vigore, è di 32,7 miliardi di euro mentre con l'assestamento di bilancio il saldo netto da finanziare passa a 69,6 miliardi di euro e cioè raddoppia. Cosa dire dell'avanzo primario che passa da 48,5 miliardi di euro a 8,5 miliardi, con un peggioramento secco di 40 miliardi? Ma soprattutto mi chiedo, le chiedo, Signor Presidente, e chiedo al Governo, come mai di tale questione non si dia minimamente conto nel DPEF. Stigmatizzo fortemente tale fatto che è di una gravità senza precedenti.
Il Governo, insomma, ancora una volta, invece di agire con trasparenza e chiarezza, segue una linea di politica economica confusa e contraddittoria, dietro la quale leggiamo la volontà di nascondere all'opinione pubblica la reale misura degli interventi posti in essere ma anche la loro inefficacia. Faccio degli esempi: al capitolo I del DPEF intitolato «Sintesi e conclusioni» si legge che il Governo, durante la crisi, avrebbe agito in modo mirato per garantire condizioni di stabilità per la finanza pubblica, per dare supporto all'economia e per assicurare la coesione sociale. Ma vi domando: la sottovalutazione che avete fatto, a partire dall'anno scorso, della crisi occupazionale, ed anche il suo non governo, vista la mancanza di forme serie al di là di risposte in pillole, produce quella richiamata coesione sociale o invece non è foriera di nuovi conflitti e nuovi disagi?
Eppure tutti i dati ufficiali - gli ultimi, quelli del CNEL - ci parlano di una forte crisi di occupazione, ci dicono che si perderanno, nel 2009, altri 500 mila posti di lavoro, cui devono aggiungersi i 400 mila già persi, in gran parte lavoro precario delle giovani generazioni. A tali dati si devono aggiungere i numeri del lavoro nero e l'aumento del bacino delle inattività. Tra parentesi, non vi venga in mente di scambiare la regolarizzazione del lavoro già esistente, badanti e colf, per nuovo lavoro. Sappiamo altresì che i dati relativi alla cassa integrazione sono più alti di quelli ufficialmente dichiarati, perché mancano i dati della cassa integrazione in deroga e inoltre le indennità di disoccupazione, che a maggio erano circa 500 mila, potrebbero prevedere alla scadenza degli otto mesi, la scopertura totale di una parte importante di lavoratori. Eppure avete lasciato scadere la delega sulla riforma degli ammortizzatori sociali e nel DPEF non c'è traccia di questo tema, di come si intende affrontarlo.
Il Partito Democratico ritiene invece che al tema della riforma complessiva e rapida degli ammortizzatori sociali, insieme all'accesso al credito per le aziende, andrebbe data maggior risposta. Invece, anche su questo, «silenzio tombale». La maggioranza, nelle settimane scorse, si è spesso riempita la bocca e ha tenuto conferenze stampa per sbandierare che aveva esteso anche ad altri soggetti la famosa una tantum ai precari, con un'estensione a soggetti finora non garantiti. Pag. 64A fronte invece di una norma farraginosa, che tra l'altro ha prodotto pochissime richieste, che cosa avete fatto?
Al contrario di quanto ci saremmo aspettati e come dovrebbe essere, non avete semplificato e corretto la norma, bensì, con il decreto-legge n. 78 del 2009 appena approvato, avete tolto il finanziamento di 100 milioni di euro per tale misura trasferendoli nel capitolo generale per l'occupazione, tagliando ai precari, ai soggetti più deboli del mercato del lavoro quell'unica misura esistente.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Mattesini.
DONELLA MATTESINI. Mi avvio a concludere, Presidente, eventualmente chiederò di poter consegnare il testo.
Avete negato la strategicità delle riforme; illustri Ministri ci hanno spiegato che nelle fasi di crisi non si può affrontare il percorso delle riforme strutturali, salvo poi contraddirsi, come quando, sempre con il decreto-legge n. 78 e il maxiemendamento, avete fatto la riforma, o meglio, lo stravolgimento del sistema pensionistico al di fuori di qualunque confronto sia con il Parlamento sia con le parti sociali. Avete sbattuto la porta in faccia ad un Partito Democratico che su questo aveva presentato proposte concrete.
Concludo dicendo che c'è una parte importante che nel DPEF viene segnalata per la riforma della pubblica amministrazione a cui viene riconosciuto un impatto sulla crescita economica stimato intorno a un margine d'incremento di circa il 50 per cento: ma di quale riforma si parla? Della legge n. 15 del 2009 il cui regolamento attuativo è fermo all'esame della Conferenza Stato-regioni e che per il suo centralismo è tuttora contestato dalla maggioranza e soprattutto dalla Lega? Ma come si fa a dire che quella è una riforma quando sappiamo bene che attraverso il processo di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego si è ridato spazio alla politica e si è messa una pietra tombale sull'effettivo ammodernamento della stessa?
Signor Presidente, come preannunciato, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Mattesini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole De Pasquale. Ne ha facoltà.
ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, vorrei iniziare citando alcune considerazioni tratte dall'articolo di oggi di Carofiglio dal titolo: «Lo stato di salute della democrazia e l'incapacità di provare vergogna» che inizia dicendo: «Un sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica, si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare, dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro Paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante. Stiamo assistendo ad un processo patologico di conversione del linguaggio ad un'ideologia dominante attraverso l'occupazione della lingua».
Trovo molto pertinente questa analisi perché tocca, di fatto, una verità negativa sempre più tangibile nel comportamento di questo Governo, come di questa maggioranza, e che viene ribadita anche in occasione dell'esame di questo DPEF. Infatti, nella sua stesura il Governo non ha tenuto presente l'articolo 81 della Costituzione, secondo il quale il Parlamento riveste un ruolo di indirizzo nell'individuazione degli obiettivi economici, mortificando così, nuovamente, il ruolo istituzionale e politico di questo Parlamento ed evidenziando ulteriormente la gravità delle scelte sin qui effettuate dal Governo.
La riduzione del PIL, pari ad un 5 per cento, da un lato, la manovra governativa della spesa pubblica che non ha generato prospettive di miglioramento, dall'altro, e la considerazione che il debito pubblico si è innalzato e la pressione fiscale è aumentata, altro non attestano che il fallimento Pag. 65dell'intera manovra di risanamento per la quale sono stati chiesti, tra l'altro, enormi sacrifici anche al settore dell'istruzione.
Per quanto riguarda il settore scolastico, il fabbisogno finanziario ipotizzato dal DPEF risulta del tutto inadeguato a superare le problematiche che metteranno a serio rischio il corretto avvio dell'ormai imminente prossimo anno scolastico e, al contempo, insufficiente a prospettare qualsiasi intervento di valorizzazione e potenziamento del comparto scuola. I tagli definiti dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, relativo a disposizioni in materia di organizzazione scolastica, prevedono un piano programmatico di riduzione di spesa pari a 7 miliardi 832 milioni di euro entro il 2012, miliardi prelevati all'istruzione al fine di conseguire la «razionalizzazione del personale», razionalizzazione di fatto, che altro non è che un taglio lineare ed indiscriminato del personale stesso pari a ben 87.341 posti di docenti e 44.500 posti di personale ATA.
L'insostenibile aumento del numero degli alunni per classe, la riduzione del tempo scuola nella scuola primaria e secondaria di primo grado, l'indebitamento delle istituzioni scolastiche che non sono messe nelle condizioni di pagare le supplenze effettuate, la riduzione degli orari scolastici e di insegnamento di alcune discipline, un grave impoverimento della scuola pubblica alla quale sono venute a mancare le risorse indispensabili per il suo funzionamento quotidiano e per lo sviluppo dell'azione didattica, educativa, di istruzione e di ricerca, smantellandone punti essenziali di qualità: che altro sono se non parole malate? Tali interventi colpiscono duramente la scuola pubblica e sono destinati a produrre effetti devastanti. La soppressione della programmata immissione in ruolo dei precari della scuola, già avviata dal precedente Governo, che avrebbe portato a termine entro il 2010 il programma di assunzione di 150 mila docenti e di 30 mila unità di personale ausiliario tecnico amministrativo. I tagli avviati determineranno già dal prossimo 1o settembre l'impossibilità a più di 225 mila dipendenti della scuola (docenti e non) di rientrare in servizio senza che il DPEF prospetti nessun utile intervento più volte da noi ipotizzato a tutela dei tanti dipendenti che resteranno senza lavoro, come ad esempio l'indennità di disoccupazione.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
ROSA DE PASQUALE. Concludo signor Presidente, ma chiedo di poter consegnare il mio intervento. Sono piccoli e grandi esempi, colleghi, di come le parole malate vanno ad impattare sul corpo sociale. Voi, pur avendo avuto sollecitazioni da tutta l'opposizione per rivedere queste scelte e tante altre scelte scellerate, come il caso dei bambini invisibili che già a Prato, come viene oggi denunciato alla prefettura, manifesta la vostra assurda politica di parole malate.
Voi che vantate di essere garanti dei minori e della famiglia in questo DPEF, che poteva rappresentare l'opportunità giusta, non avete cercato responsabilmente di ritornare sui vostri passi, aprendovi ad una discussione seria, costruttiva e necessaria in questi tempi di grande crisi, al fine di limitare le numerose problematiche che a partire da settembre ci troveremo a dover affrontare. Voi, carissimi colleghi, con un ulteriore atto indecoroso avete zittito tutti e avete continuato il vostro pronunciamento di parole malate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole De Pasquale, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, signor sottosegretario Casero, penso che vi sia un limite alla decenza in Pag. 66quanto, quando si definisce un Documento di programmazione economico-finanziaria, si fa la programmazione e si danno le linee di indirizzo per il periodo definito. Qui non ci siamo perché se io guardo alle cose scritte nel capitolo relativo al Ministro per i beni e le attività culturali, io mi sento vagamente presa in giro e come me penso tutte le persone che hanno a cuore la cultura nel nostro Paese. Non mi soffermerò per mancanza di tempo sugli elementi generali di sistema di questo DPEF. Noi non ne condividiamo le linee ma questo mi sembra nella normale logica tra maggioranza e opposizione, se non fosse che a pagare questa vostra linea sarà il Paese.
Vi è un problema relativo al merito. L'anno scorso in occasione della finanziaria sono stati delineati alcuni settori di intervento, in particolare la fruizione del patrimonio a restauro, i nuovi modelli di gestione integrata dei beni culturali e la valorizzazione dei musei delle aree archeologiche, il sostegno all'arte contemporanea, la tutela e la fruizione del patrimonio archeologico, la lettura e la fruizione del patrimonio documentario e bibliografico, il sostegno alla produzione cinematografica, la tutela, il recupero e la riqualificazione del paesaggio e il turismo culturale di qualità all'estero. Di tutto questo non è stato fatto nulla - lo dico sinceramente - sia perché vi sono stati tagli, sia perché si è deciso di non intervenire, evidentemente. I tagli sono stati una parte molto consistente della difficoltà, ma sarebbe stato molto semplice arrivare ad una definizione di poche cose chiare da mettere a posto.
Gli indirizzi programmatici saranno invece volti quest'anno, in particolare, a potenziare i rapporti con i governi territoriali in materia di federalismo fiscale. Le ricordo che nel federalismo fiscale la cultura non è presente come livello essenziale di prestazione, quindi è surreale questo rapporto con gli enti territoriali.
Valutare l'impatto delle agevolazioni fiscali nel settore dei beni culturali: io mi aspetto di vedere un progetto perché queste sono parole vuote a fronte di un patrimonio che viene depauperato e si decide un nuovo direttore generale che va in giro per i musei d'Europa a capire come si fa questo mestiere. Si informi, sottosegretario, lei è persona colta e sa di cosa stiamo parlando.
Si dice, riguardo alla fondazione Maxxi, sebbene non vi sia da nessuna parte, in nessuna carta, una missione di questo museo di arte contemporanea, ma sappiamo già che si farà la privatizzazione, non si sa con quali partner, con quali soldi, con quale missione e con quale consiglio di amministrazione. Il turismo e il mercato si sostituiscono allo sviluppo dei beni culturali e della tutela territoriale. Sul Fondo unico per lo spettacolo non mi dilungo, perché penso di averne parlato a sufficienza in questi lunghi quindici giorni. Fatto è, però, che si dice di voler riformare il settore delle fondazioni lirico-sinfoniche. Sottosegretario Casero, è un anno esatto che, ogni volta in Commissione, chiedo al Ministro Bondi la riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche. Ha istituito un tavolo, ma questo tavolo non è stato più convocato. Ma chi vuole prendere in giro il Ministro Bondi? Questa è carta straccia, in questo DPEF vi è solo carta straccia. Io voglio sapere quali sono i criteri, i soldi e i finanziamenti. Inoltre, i contributi e il sistema del finanziamento dello spettacolo naturalmente sono fondati sostanzialmente solo sull'incidenza della «sbigliettatura», cioè della presenza del pubblico. Ora, come lei sa, in Commissione stiamo approvando una legge quadro; abbiano almeno la cortesia di dire che questa non può essere la riforma dello spettacolo dal vivo.
PRESIDENTE. Onorevole De Biasi, la prego di concludere.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Lo dico perché siamo ad un punto di non ritorno per quanto riguarda il futuro della cultura di questo Paese. Penso che vi sia una responsabilità di Tremonti, del Ministro Bondi e del Governo. Il Ministro Bondi, che ormai fa il giornalista e non il Pag. 67Ministro - sarà il decimo articolo in due giorni che scrive sui giornali - finisce dicendo: il rischio che ha paventato Baudelaire è di scendere ogni giorno di un passo verso l'inferno, senza provare l'orrore. Ebbene, Governo e Ministro Tremonti, noi l'orrore lo proviamo e con noi tutto il mondo della cultura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiani. Ne ha facoltà.
ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, il collega Marchi, giustamente, nel suo intervento ha detto che questo DPEF meriterebbe un sottotitolo. Personalmente, userei come sottotitolo: manuale per tirare a campare. Il Paese sta soffrendo la peggiore recessione dal dopoguerra e anche i dati del Governo lo riconoscono - meglio tardi che mai - perché le pessime cifre di questo DPEF sono esattamente identiche a quelle dei corvi di cui parlava qualche tempo fa il Ministro Scajola.
Paesi avanzati hanno investito e stanno investendo enormi risorse aggiuntive per fronteggiare la crisi. L'Italia, secondo l'ultimo economic outlook dell'OCSE, è invece a zero risorse aggiuntive, se circoscriviamo l'analisi ai decreti-legge anticrisi. È una politica restrittiva, se consideriamo anche l'impatto prociclico del decreto-legge n. 112 del 2008 e della legge finanziaria 2009. Questa è la verità, al di là dei numeri che il Governo ha inserito nel DPEF per arrampicarsi sui vetri.
Il punto critico, in realtà, non sta solo nella quantità delle risorse stanziate, ma anche nella qualità delle politiche anticrisi che il Governo ha messo in campo in questi mesi. Il Governo ha inventato i Tremonti bonds per far ripartire il credito alle imprese. Peccato che basti parlare con piccoli e medi imprenditori per capire quanto rimangano cattivi i rapporti tra le aziende e le banche, che sono le stesse banche, mi permetta signor Presidente, che in queste ore hanno trovato mezzo miliardo di euro per salvare l'immobiliarista Zunino e che in queste stesse ore continuano a strangolare migliaia e migliaia di artigiani e commercianti, al di là dei Tremonti bonds.
Il Governo ha annunciato aiuti ai più poveri con la social card e il bonus famiglie, in realtà, a consuntivo, la social card e il bonus, che erano già insufficienti in partenza, sono andati a meno della metà di chi ne aveva diritto e niente di niente hanno avuto i lavoratori dipendenti, che anche nel 2009 continueranno a pagare più tasse per effetto di un fiscal drag che non è mai stato restituito.
Il Governo ha esteso gli ammortizzatori sociali e ha fatto bene, ma lo ha fatto a macchia di leopardo, con la cassa in deroga, e in modo temporaneo. Dalle mie parti si dice: piuttosto che niente è meglio piuttosto, ma l'Italia aveva e ha bisogno di ammortizzatori sociali universali. In questo Paese, è necessario aiutare tutti quelli che non trovano lavoro e tutti quelli che lo perdono, autonomo o dipendente che sia. Questo obiettivo rimane lontanissimo, nonostante gli interventi del Governo. Il Governo è intervenuto con la Tremonti-ter per sostenere gli investimenti in macchinari. Ha fatto bene, ma quasi nulla è stato messo in campo in questi mesi per sostenere i consumi delle famiglie, che stanno crollando come mai era avvenuto in questo Paese.
Il Governo, che si dice federalista, ha imposto sui comuni e sulle province un Patto di stabilità soffocante, salvo accorgersi, adesso, a mesi e mesi di distanza, che gli investimenti degli enti locali stanno crollando; solo adesso il Governo ha allargato i cordoni della borsa con l'assestamento che discuteremo nelle prossime ore.
Il Governo, infine, ma non è certo l'aspetto meno importante, dice di aver fatto le riforme che servivano al Paese: il federalismo fiscale, la scuola, la sicurezza, la pubblica amministrazione. Badate, se entriamo nel merito di ognuna di queste riforme, ci accorgiamo che in molti casi si tratta di tagli spacciati per riforme, in altri di buone intenzioni in attesa di attuazione e in altri ancora di annunci roboanti privi di effetti concreti. Pag. 68
Gli altri Paesi, signor Presidente, stanno investendo massicciamente nella green economy, stanno orientando al futuro i loro sistemi economici in una fase di crisi, approfittando della crisi economica. Da noi, il Ministro dell'ambiente, in queste ore, è costretta a difendere con le unghie e con i denti le prerogative che le sono state tolte di soppiatto dal Consiglio dei ministri.
Insomma, questo è un Governo che ha messo in campo un riformismo debole; questo è il bilancio di questi mesi: un riformismo contraddittorio, molto al di sotto di quanto era necessario per uscire più forti dalla crisi economica e sociale.
La beffa che si aggiunge al danno è che questa politica attendista e iperprudente non ha impedito il disastroso peggioramento dei conti pubblici, che sta scritto anche nelle cifre del DPEF. Nel 2009, infatti, il deficit andrà al 5,4 per cento, il debito al 115,3 e, per la prima volta da 18 anni, questo Paese registrerà un saldo primario negativo.
Ora, non c'è solo la crisi economica dietro questo disastro della finanza pubblica: innanzitutto, perché è ripresa l'evasione fiscale. Come ha evidenziato il Governatore Draghi nella sua audizione, quando le entrate IVA crollano dell'11,3 per cento nei primi sei mesi dell'anno, quando i consumi diminuiscono del 2,6 per cento, 11,3 contro il 2,6, lì non vi è solo la crisi economica o il riposizionamento dei consumi su beni e servizi a più bassa aliquota; lì vi è la ripresa dell'evasione per miliardi e miliardi di euro.
Quando la spesa primaria corrente cresce in misura doppia rispetto a quanto il Governo aveva programmato a settembre del 2008 con la relazione previsionale, e quindi abbiamo più 26 miliardi invece del più 14 miliardi che si prevedeva pochi mesi fa, in quei 12 miliardi in più, meno di un quarto dei quali è spiegabile con gli ammortizzatori sociali e le misure anticrisi, è certificato il fallimento delle misure di contenimento della spesa del decreto-legge n. 112 del 2008.
Il Governo, insomma, ha buttato via dalla finestra quasi un punto di prodotto interno lordo tra maggiore evasione fiscale e spesa primaria corrente non prevista e non programmata. Quelle sono risorse che avrebbero tranquillamente permesso di mettere in campo quella manovra anticrisi che il Partito Democratico da mesi e mesi chiede invano al Governo. Questa è la nostra condizione attuale, questo ci dicono i numeri stessi del DPEF.
In questo quadro, il futuro rischia di essere molto difficile; più difficile di quanto è scritto nelle intenzioni programmatiche del Documento, per quattro motivi.
Primo, si prevede una crescita dell'economia del 2 per cento dal 2011 in avanti. Sono numeri scritti sulla sabbia: l'Italia, prima di andare in recessione, era un Paese che cresceva meno dell'1 per cento all'anno. Secondo, le entrate che voi programmate a legislazione vigente comprendono miliardi e miliardi di euro derivanti dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Sono cifre campate per aria, perché con lo scudo fiscale avete lanciato un segnale fortissimo nei confronti dei contribuenti che va nella direzione esattamente opposta.
Terzo, prevedete una crescita della spesa primaria corrente limitata allo 0,8 per cento nel 2010 e all'1,8 nel 2011, quando sono dieci anni che la spesa primaria corrente cresce del 4 per cento in media all'anno, compreso quel 2009 che doveva segnare un grande contenimento della spesa pubblica italiana.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 18,55)
ANTONIO MISIANI. Quarto, nel vostro tendenziale del DPEF crollano gli investimenti pubblici: meno 10,8 per cento nel 2010 e meno 6,7 nel 2011. Con questi numeri non si rilancia l'economia, con questi numeri i vostri piani per le infrastrutture rimangono pezzi di carta; è quindi evidente che dovrete trovare risorse aggiuntive, ma non è chiaro come riuscirete a farlo.
Signor Presidente, e ho terminato, la crisi più dura del dopoguerra non è ancora Pag. 69alle nostre spalle. Quando finirà, lascerà al Paese un'eredità pesantissima, fatta di fabbriche chiuse, di disoccupati in più e di un enorme debito pubblico, che graverà sulle spalle delle future generazioni.
Per affrontare questa situazione non serve a tirare a campare, come è stato fatto in questi mesi: serviva e serve coraggio e determinazione. Non basta dire, come sta scritto nel DPEF, che nel 2010 non ci sarà una manovra di riequilibrio dei conti: sono necessarie misure incisive per contenere la spesa primaria e corrente, per riqualificare e riequilibrare il welfare, per ridurre l'evasione e l'elusione fiscale. Serve un federalismo responsabile e solidale, non l'umiliazione delle autonomie locali che abbiamo visto in questi mesi. Serve una nuova politica per il sud, non la riedizione della vecchia Cassa per il Mezzogiorno, quando si sono tolti miliardi e miliardi di euro agli stanziamenti del FAS.
L'autunno sarà un passaggio cruciale. Il Paese può essere anestetizzato per due mesi, tre mesi, sei mesi, ma quando le fabbriche chiudono, la cassa integrazione finisce, quando tante famiglie non ce la fanno più, gli annunci e la propaganda dei telegiornali di regime servono a poco, perché i cittadini pretendono risposte concrete dal Governo. Nel DPEF in esame vi sono tanti numeri e tante parole, ma non vi sono le risposte che gli italiani si aspettano da questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
(Annunzio di risoluzioni - Doc. LVII, n. 2)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Donadi ed altri n. 6-00023, Lo Monte ed altri n. 6-00024 e Galletti n. 6-00025 (Vedi l'allegato A - Doc. LVII, n. 2 - Risoluzioni).
Essendo previsto all'ordine del giorno lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sugli intendimenti in materia di partecipazione delle Forze armate italiane alle missioni internazionali, che si era convenuto avesse luogo intorno alle ore 19, secondo le intese intercorse tra i gruppi, interrompiamo a questo punto la discussione sulle linee generali sul Documento di programmazione economico-finanziaria che proseguirà nella seduta di domani, a partire dalle ore 9,30. Al termine di tale discussione, dopo lo svolgimento delle eventuali repliche, si procederà alle dichiarazioni di voto e alla votazione della risoluzione accettata dal Governo.
Informativa urgente del Governo sugli intendimenti in materia di partecipazione delle Forze armate italiane alle missioni internazionali (ore 19).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sugli intendimenti in materia di partecipazione delle Forze armate italiane alle missioni internazionali.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Tempi specifici sono attribuiti alle componenti politiche del gruppo Misto.
(Intervento del Ministro della difesa)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della difesa, Ignazio La Russa.
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rispondo, credo con prontezza, alla richiesta che è venuta da parte di rappresentanti di più gruppi del Parlamento, a partire dall'onorevole Pier Ferdinando Casini, ma anche Furio Colombo, Marina Sereni, Bruno Tabacci, che hanno chiesto di avere informazione immediata in relazione a dichiarazioni rese da autorevole esponente della Lega Nord facente parte della compagine governativa (leggo testualmente), e di sapere quindi qual è l'intendimento sul prosieguo delle missioni internazionali Pag. 70a cui partecipano le Forze armate italiane alla luce anche di queste dichiarazioni.
Ricordo che nei mesi scorsi, cari colleghi, e anche recentemente ho avuto modo a più riprese di aggiornare puntualmente il Parlamento in merito agli avvenimenti di maggiore rilevanza che si sono verificati nei teatri operativi, così come in merito agli intendimenti del Governo circa l'impiego delle Forze armate, anche in relazione alle decisioni assunte nell'ambito delle organizzazioni internazionali di riferimento per la sicurezza e difesa. Anche recentemente, esattamente lo scorso 8 luglio, quindi pochi giorni fa, ho avuto modo di illustrare la strategia e gli sviluppi della nostra partecipazione a missioni internazionali di fronte alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato, a premessa dell'esame del provvedimento di proroga per i primi quattro mesi del secondo semestre dell'anno in corso.
Anche più recentemente, dopo la tragica scomparsa di un militare, ho avuto modo di riferire in Aula, e posso tranquillamente affermarvi, e affermare, e chiarire che nulla è cambiato rispetto a quanto riferito in quell'occasione a nome dell'intero Governo. Si tratta di linee strategiche definite in pieno accordo nell'ambito del Consiglio dei ministri, che - mi corre l'obbligo sottolineare - non hanno trovato sostanziali obiezioni di merito nemmeno da parte dei membri delle Commissioni, e non solo tra quelli della maggioranza.
Queste stesse linee strategiche sottendono alle decisioni relative alle singole missioni oggetto del provvedimento approvato giovedì scorso dalle Commissioni esteri e difesa della Camera in sede legislativa con ampia condivisione. Dunque, nulla è cambiato - dai Balcani al Corno d'Africa all'Iraq - nelle nostre strategie.
Credo che possa essere opportuno ribadire che il Dicastero della difesa, coerentemente con gli indirizzi del Governo, in armonia con gli altri Dicasteri, e secondo il mandato conferito dal Parlamento, continuerà a sviluppare la propria azione secondo le due principali linee di indirizzo strategico, che sono: da un lato, quella di assicurare un contributo alle missioni internazionali in continuità e coerenza con le decisioni assunte dal Paese nell'ambito dell'organizzazione internazionale, a sostegno della sicurezza, degli interessi nazionali e del ruolo dell'Italia nell'ambito della comunità internazionale; dall'altro, quella di valutare ogni singolo impegno internazionale delle Forze armate alla luce di una costante verifica delle effettive necessità operative che, di concerto con i nostri partner internazionali, verranno di volta in volta evidenziate nei vari teatri.
È in base a questa singola valutazione che abbiamo registrato le evoluzioni che vi erano in Ciad e in Albania e che hanno portato a concludere il nostro intervento. È sempre in base a tale valutazione che nel Kossovo abbiamo potuto registrare miglioramenti notevoli e così, nella riunione dell'11 giugno scorso, è stato deciso dalla Kfor il passaggio della missione alla fase della cosiddetta deterrence presence, cioè una presenza di pura deterrenza, con un progressivo e graduale ridimensionamento dell'impegno militare, il che vuol dire in sostanza meno soldati e miglior coordinamento. Ciò ha consentito di prevedere una riconfigurazione diversa e meno onerosa di quella missione. Lo stesso poi - e anzi maggiormente - si è verificato per quanto attiene la Bosnia, ove l'operazione Althea, guidata dall'Unione europea, ha ormai esaurito i propri compiti. Invece, il teatro operativo libanese è un teatro che certamente riveste ancora una grande importanza e dove si registra una non ancora piena normalizzazione. In questa situazione, l'UNIFIL sta comunque creando le condizioni per una progressiva stabilizzazione che non potrà vedere nel brevissimo termine il completo rientro dell'impegno militare italiano e internazionale, ma che vedrà sicuramente il mantenimento della nostra attuale configurazione quantomeno fino all'inizio del 2010, data in cui il generale Graziano, comandante dell'UNIFIL, rimarrà in tale ruolo. Ho peraltro già annunziato da tempo in Parlamento - e lo ho detto, mi pare, Pag. 71anche in Aula oltre che in Commissione - che all'esito del cambio del comando, se vi sarà un cambio di comando non italiano, potremo sicuramente immaginare una sensibile riduzione del numero dei nostri militari, magari parallelamente all'aumento del numero di operatori di altri contingenti.
Ho voluto fare questa premessa che riguarda le missioni più importanti, escluso l'Afghanistan, per poi venire puntualmente al dettaglio della missione afghana, che rappresenta oggi e nel futuro a breve e medio termine la priorità operativa assoluta dell'Alleanza atlantica. Tutti i partner - e in primis la nuova amministrazione del Presidente Obama - si sono assunti l'impegno di compiere un ulteriore sforzo per la stabilità e la ricostruzione dell'Afghanistan. Se capisco le ragioni per cui avete ritenuto opportuno che il Governo ed io venissimo a riferire in Aula - e credo, anche se in maniera modesta, di avere la capacità politica per intenderle - potrei sostanzialmente esaurire il mio intervento affermando che anche per l'Afghanistan vale quello che ho dichiarato alla stampa rispondendo immediatamente alle dichiarazioni che avevo letto sulle agenzie (dovevo farlo puntualmente e non credo di aver mancato di rispetto al Parlamento: avrei anzi mancato di rispetto ai militari se non avessi risposto prontamente).
Ho detto che la missione è per noi irrinunciabile, imprescindibile e che i nostri militari in Afghanistan stanno facendo qualcosa di importante, di concerto con le altre forze internazionali e in ossequio agli impegni presi dall'Italia, ma da tutto il Parlamento.
Ho detto in quella occasione che le dichiarazioni non mi preoccupavano perché erano dichiarazioni e non erano atti parlamentari, che - quelli sì - sarebbero stati gravi (come se, quando nei giorni scorsi abbiamo votato in Commissione il provvedimento di rifinanziamento del prossimo quadrimestre, vi fosse stata lì un'obiezione o un'astensione, non dico un voto contrario); ma alle dichiarazioni si può rispondere anche con le dichiarazioni.
Se volessi quindi potrei chiudere la parte importante per cui doverosamente mi avete chiesto di riferire, ribadendo cioè che non cambia niente. E non cambia niente non perché lo dice una parte del Governo, ma perché lo hanno affermato, dopo le dichiarazioni di Bossi, lo stesso Bossi e gli altri rappresentanti della Lega che, semmai, hanno detto che dopo le elezioni che vi saranno fino ad ottobre si potrà, come ha fatto Obama, parallelamente anche noi interrogarci su quale è l'exit strategy.
Ma non credo che sarebbe corretto, da parte mia, limitarmi a questa risposta tranchant; ritengo, al contrario, che si possa e si debba ripartire nel nostro ragionamento comune dall'affermazione comunque importante in Parlamento che il nostro Paese sta facendo e intende continuare a fare la sua parte.
A tale riguardo voglio sottolineare di nuovo - l'ho già fatto una volta qui in Aula - le parole illuminate del Presidente Napolitano, che ha messo in evidenza la necessità di portare avanti insieme e nell'interesse della comunità internazionale l'impegno in Afghanistan, che continua ad essere esposto ai colpi del terrorismo internazionale e lo sarà finché non saremo riusciti a stabilizzare il tessuto sociale di questo Paese, sradicando le cause e i fattori degeneranti. Perché ho voluto riassumere le parole del Presidente Napolitano? Perché lì vi è la risposta all'interrogativo, che possiamo chiamare exit strategy o come vogliamo, e che è: fino a quando? Quando potranno tornare i nostri ragazzi? Quando la missione avrà raggiunto l'obiettivo, che è esattamente quello indicato dal Presidente Napolitano.
In particolare, credo che l'obiettivo non debba e non possa essere quello di vedere l'affermazione completa della democrazia in Afghanistan, l'assoluta serenità e tranquillità di quello che avviene in Afghanistan, altrimenti dovremmo restare lì chissà per quanto e quanto tempo.
Non sappiamo per quanto tempo ancora dovremo invece restare, ma l'obiettivo da conseguire è certo: determinare le condizioni che consentano al Governo afgano Pag. 72di potere autonomamente gestire la situazione di quello sfortunato Paese, dare alle Forze armate afgane la professionalità e la capacità di rispondere autonomamente alle difficoltà che potranno continuare a incontrare in quel Paese, dare alle forze di polizia afgane la preparazione e la capacità di svolgere un lavoro senza l'ausilio di soggetti esterni. Questo è l'obiettivo, l'afganizzazione della questione.
Ne potremo parlare e ne riparleremo, ma credo che su questo con gli amici dell'opposizione, con gli amici della maggioranza - con gli amici di tutta la maggioranza, Lega compresa - ne abbiamo parlato e siamo pienamente d'accordo; poi riflessioni e approfondimenti sono doverosi, man man che la situazione si evolve, ma non mutano i termini della questione. D'altronde, non possiamo avere atteggiamenti, non dico schizofrenici, ma contrastanti. Pochissimo tempo fa abbiamo deciso di rafforzare la nostra presenza in Afghanistan, e perché abbiamo deciso di rafforzarla? Perché sapevamo che occorreva una maggiore presenza in concomitanza con un aumento di pericolosità della situazione in quel Paese.
Quello che si sta verificando, quindi, è esattamente ciò che avevamo previsto, e a fronte del quale abbiamo già deciso un intervento maggiore, non minore, anche se certo non sarà un intervento maggiore di quello degli Stati Uniti (ricordo che prima vi era un soldato statunitense ogni tre componenti della missione internazionale, adesso vi è un soldato degli Stati Uniti ogni due).
Anche noi abbiamo fatto la nostra parte e, come sapete grazie ad un'informativa precisa svolta in Parlamento, con l'accordo di maggioranza e dell'opposizione, abbiamo deciso di incrementare il nostro impegno in più direzioni: abbiamo deciso l'invio di un contingente di 400 unità, di due aerei da trasporto, di tre elicotteri con attrezzature medico-sanitarie (con il relativo personale di guida di aerei ed elicotteri, per oltre 100 persone); abbiamo deciso di inviare altri 100 carabinieri per rafforzare il contributo per l'addestramento delle forze di polizia; abbiamo previsto un ulteriore futuro sforzo di circa altre 100 unità di carabinieri nell'ambito della costituenda NATO training mission destinata ad assumere la guida e il coordinamento delle attività formative e addestrative nel teatro delle operazioni. Allora, il senso di questo rafforzamento nasce dal nostro convincimento della necessità della nostra presenza in Afghanistan, dal convincimento di dover sostenere con un nostro apporto la missione ISAF. Oggi non potremmo, in nessun caso, e nessuno lo fa, pensare di fare anche solo una dialettica marcia indietro.
Sono stato in Afghanistan nei giorni scorsi. Ho voluto verificare nel modo più vicino possibile quali fossero le condizioni dei nostri soldati, anche raffrontandole con quelle degli altri contingenti della missione internazionale. Ho notato una motivazione fortissima dei nostri soldati, una preparazione riconosciuta come eccellente da tutti, e una dotazione di mezzi assolutamente adeguata e rafforzata negli ultimi mesi. Ricordo che l'utilizzo del mezzo Lince rappresenta un'evoluzione del mezzo usato precedentemente e che l'utilizzo di questo mezzo è stato da altri copiato proprio perché ha rappresentato un mezzo idoneo a cui affidare l'incolumità dei nostri soldati in maniera più adeguata di quanto avvenuto in precedenza. Pur tuttavia, come ho avuto modo di dire in altre occasioni, la sicurezza al cento per cento non può esistere in quelle condizioni. Anche se mi era stato preparato nella traccia dell'intervento che non sto seguendo, non utilizzerò un raffronto, una contabilità dei lutti, delle perdite italiane rispetto a quelle degli inglesi, degli americani, o anche solo tra quelle italiane e quelle del contingente tedesco che opera nelle condizioni più simili alle nostre. Si tratta di una contabilità di lutti che non mi piace fare. Voglio, invece, affermare che la dolorosissima perdita di vite umane e di feriti, nelle condizioni difficili in cui siamo chiamati ad operare, ci ha riempito di dolore, ma non costituisce, rispetto alla possibilità di lutti di questo genere, un dato che esce dalla drammatica, ma inevitabile Pag. 73prevedibilità. Noi dobbiamo puntare a ridurre ancora di più le occasioni di pericolo.
È per questo che oggi - pur non sapendo che ci sarebbe stata la vostra richiesta, perché ho fissato l'impegno alcuni giorni fa - ho voluto riunire il Capo di stato maggiore della difesa (il generale Valotto e altri alti ufficiali) per capire insieme e per avere un punto chiaro su come possiamo ulteriormente rafforzare le condizioni di sicurezza dei nostri soldati. Posso farvi un'illustrazione sintetica e veloce al riguardo. Se fosse possibile, quello che occorrerebbe, secondo me, sarebbe un aumento a dismisura degli elicotteri, che sono il supporto più sicuro e più adeguato per garantire condizioni di migliore sicurezza. Da questo punto di vista noi abbiamo già fatto molto. Abbiamo già inviato e adesso stiamo inviando tre elicotteri da evacuazione, ma abbiamo nel teatro sei elicotteri Mangusta. Ho dato disposizione oggi (senza aumentare le risorse necessarie, perché ho detto che faremo risparmi in altre parti) intanto di inviare nei prossimi giorni altri due elicotteri Mangusta, e di prevedere la possibilità, prima che si esaurisca la fase di maggiore pericolo preventivata da adesso a ottobre, di incrementare ulteriormente e notevolmente il numero di elicotteri italiani presenti in teatro. Credo che la copertura e la prevenzione aerea siano fondamentali per offrire maggiori condizioni di sicurezza, ed è per questo che sia pure superando qualche difficoltà - qualcuno infatti ha detto che c'era ancora bisogno (e sono tutte cose giustissime) di un periodo ulteriore di preparazione delle squadre - ho insistito perché (si può fare) venga raddoppiato il numero dei Predator, gli aerei senza pilota in grado di verificare, giorno e notte con voli che durano fino a dodici ore di autonomia, le condizione dei percorsi che i soldati dovranno fare poi sul terreno.
Non c'è motivo di scandalo, me lo auguro almeno, ma mi riferisco (ferma restando la nostra disposizione - non è un caveat - simile a quella tedesca e diversa da quella inglese e americana) alla decisione di non inviare insieme ai Tornado l'armamento (quindi non è che possono usarlo o non usarlo, non dispongono proprio dell'armamento) costituito da bombe guidate via laser; quindi non le abbiamo sul teatro perché non sono state inviate su nostra disposizione. Invece i Tornado dispongono - perché già fa parte della struttura dell'aereo - addirittura di due cannoncini di 27 millimetri molto simili al cannoncino in dotazione dell'elicottero Mangusta. Questo per evitare che si verifichino situazioni abnormi quale è quella di un aereo in volo che sta sorvolando una zona dove si svolge una nostra missione che viene attaccata, e che dispone del cannoncino ma oggi come oggi non è autorizzato ad usarlo e deve chiamare il Mangusta che arriva per usare lo stesso cannoncino dopo cinque minuti. E voi sapete che due, tre, un minuto in quelle condizioni rappresentano la differenza tra la vita e la morte. Quindi mi permetto di informare il Parlamento - ma voglio sentire anche la vostra opinione - di essere in procinto di prendere la decisione di autorizzare non l'utilizzo di un armamento bombe, ma il cannoncino in dotazione simile a quello già in uso con gli elicotteri. D'altronde perché noi non abbiamo voluto che si potessero usare le bombe, sia pure solo a sostegno e non come bombardamento preventivo? Perché con le bombe vi è un rischio, minimo mi dicono, ma vi è un rischio di colpire soggetti estranei all'attacco. Si tratta di un rischio minimo ma è un rischio che non vogliamo correre. Invece l'utilizzo del cannoncino offre le stesse caratteristiche di utilizzo dell'elicottero. Mi hanno detto i militari che non è usuale riferire al Parlamento questi dettagli tecnici. Io voglio farlo, non credo ci sia niente di male e non c'è questa difficoltà da parte di un parlamentare di capire, di seguire, di conoscere e di valutare anche questi dettagli tecnici.
Un'altra novità che non può essere messa in campo immediatamente è quella di sostituire gli attuali Lince con Freccia, un mezzo più lento, più grosso e, quindi, con un uso tattico un po' diverso ma in qualche modo più sicuro (più sicuro in Pag. 74nove casi su dieci). Infatti ci hanno già consegnato questi mezzi ma manca ancora una fase di addestramento specifico e non possiamo rischiare - solo per fare una bella figura, come maggioranza, di fronte al Parlamento - di mandare un mezzo di cui ancora non vi è la completa assuefazione nell'uso da parte dei nostri soldati che devono essere preparati in Italia. Non possiamo mandare i mezzi lì e fare l'addestramento sul posto. Sul posto si fanno altre cose. Quindi è già in fase avanzata la strada dell'addestramento del contingente che sostituirà la Folgore da qui a pochi mesi. Cadrà nel mese di settembre, ottobre o novembre: vedremo quando saranno in grado di farlo.
Lo stesso vale, a maggior ragione, per i mezzi Lince che pure mi sono premurato già da tempo di chiedere venissero dotati di una possibilità di guida della mitragliatrice dall'interno, in sostanza. Oggi, come sapete, c'è un soldato che sta fuori dalla torretta. Anche questo mezzo è in corso di consegna, ma non verranno consegnati prima del mese di ottobre. Ciò non significa che non debbano essere approntati e lo stiamo facendo.
Ma il pericolo maggiore - lo sapete - viene dagli ordigni che esplodono spesso e volentieri, come è accaduto nell'ultima occasione con un comando non materiale ma elettronico. Per questo esistono dei dissuasori e abbiamo già munito tutti i Lince di un dissuasore di 10 watt. Stiamo approntando la possibilità di adottare tutti i Lince di un nuovo dissuasore di 50 watt che non solo allarga il raggio di frequenza ma copre più frequenze anche quelle che oggi sfuggivano al dissuasore attualmente in uso. Ho appena concluso una riunione anche con i responsabili dell'industria militare italiana e mi è stato assicurato che i tempi potranno essere ragionevolmente brevi.
Mi pare di avervi indicato da ogni punto di vista il tentativo di offrire condizioni di maggior sicurezza ma si sa che la vera condizione prima di sicurezza è quella di offrire ai nostri soldati l'immagine di un Parlamento e di un Paese unito nel sostenere il loro sforzo. Niente può eguagliare la consapevolezza che dobbiamo dare ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze di un Paese che è conscio del grande lavoro che stanno svolgendo, del grande impegno che stanno mettendo in campo e della grande solidarietà nazionale che non trova differenze sostanziali per il colore del partito e, men che meno, per occasioni di strumentale divisione. Dico agli amici del Partito Democratico e a Franceschini, al quale credo veramente che abbiano riferito male i giornalisti, come accade talvolta quando facciamo le dichiarazioni: non ho polemizzato quando ha detto «lo spettacolo indecoroso di Ministri che litigano non va offerto». Grazie a Dio questo spettacolo non c'è proprio stato. C'è stata una dichiarazione di Bossi, una risposta molto serena, molto chiara e rispettosa e tutto il Governo e la stessa Lega ha immediatamente precisato che non vi è alcuna divisione al riguardo. Questo è un punto fondamentale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà) e sono certo che questo farà piacere anche agli amici dell'opposizione, partita dall'onorevole Casini che per primo ha sentito la necessità di avere la presenza del Ministro in queste sede, che per questo ringrazio cordialmente.
Vi posso in conclusione, quindi, ribadire che non soltanto non è cambiata la natura della missione come detto più volte: la natura della missione è identica persino nei costi. Il momento più costoso per il nostro bilancio delle missioni internazionali è stato l'anno 2006, con un miliardo e 300 milioni di euro - mi pare che fosse - superiore a quello di adesso perché era in svolgimento anche la missione in Iraq.
Noi abbiamo certamente ottenuto come dato importante il fatto che non venisse sottratta alcuna risorsa utile alla sicurezza dei soldati, tant'è che quest'anno vi è stato un aumento rispetto all'anno precedente. Possiamo tranquillamente affermare che non solo la missione non è cambiata nella sua natura, ma nemmeno nei suoi costi e nei suoi obiettivi: è cambiato soltanto il grado di pericolosità, in diretta relazione al numero di maggiori contatti che derivano Pag. 75non necessariamente da un'avanzata - anzi è esattamente il contrario - delle insorgenze, ma al contrario derivano dal fatto che l'obiettivo dell'«afghanizzazione» è sempre più vicino: le elezioni sono un punto importante ed il controllo di varie fasce del territorio, prima in mano solo alle insorgenze, è finalmente stato messo seriamente in discussione o addirittura raggiunto dalle truppe e dai soldati del contingente internazionale.
È quindi serena la mia finale dichiarazione di darvi l'assoluta certezza che non solo non vi è un motivo di divisione nella maggioranza e in Parlamento, ma non vi è nemmeno alcuna ragione per immaginare di venire meno a quella che non è una decisione del Parlamento italiano o del Governo italiano soltanto, ma è un impegno di tutta la NATO e che ha come obiettivo - e termino veramente - non solo la ricostruzione dell'Afghanistan, non solo il raggiungimento di istituzioni libere e democratiche nei tempi che ci vorranno in Afghanistan, ma anche l'obiettivo di determinare le precondizioni di sicurezza nel mondo che vuole sconfiggere il terrorismo. Noi sappiamo che quello che sta avvenendo in Afghanistan è per la NATO un banco di prova serio dell'effettiva volontà del mondo di contrastare e bloccare, lontano dalle nostre case e lontano dai nostri confini, il più grave pericolo di questo secolo, il più infido: il pericolo che deriva da chi non ha una bandiera, non ha una divisa e non ha un territorio preciso, ma ha minacciato, minaccia e può continuare a minacciare la nostra convivenza.
È con l'animo grato verso i soldati e con l'affetto verso i feriti di questa ultima settimana e le loro famiglie che vi prego quindi di accogliere i segni da parte del Governo della massima considerazione per le vostre preoccupazioni e di potervi in maniera totale rassicurare (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
(Interventi)
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi. Ha chiesto di parlare l'onorevole Holzmann. Ne ha facoltà, per non più di cinque minuti.
GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro per l'informativa puntuale ed esaustiva con la quale ha chiarito anche alcuni punti, come ad esempio l'impiego della nostra forza aerea e soprattutto il relativo armamento per il supporto delle nostre Forze armate.
Il Popolo della Libertà sostiene con grande convinzione la politica del Governo sulle missioni internazionali con la partecipazione delle nostre Forze armate, la cui presenza garantisce il processo di creazione di una pace stabile nei vari teatri di impiego. Tali missioni hanno assunto nel tempo un'ampia articolazione, con notevole dispendio di uomini e di mezzi: siamo passati da missioni che prevedevano il semplice invio di osservatori internazionali alle missioni di peace keeping, cioè di mantenimento della pace, a missioni di peace building, cioè di costruzione della pace e alle missioni di peace enforcement, cioè le missioni di imposizione della pace.
Dal dopoguerra ad oggi l'Italia ha partecipato a circa 120 missioni militari internazionali e di queste 35 sono ancora in corso. Attualmente siamo impegnati con il maggior numero di uomini nel teatro dei Balcani, del Libano e dell'Afghanistan, che è evidentemente la situazione che dà maggiori problemi in questo momento. Vi sono circa 9.000 uomini attualmente impegnati nelle varie missioni all'estero. La partecipazione italiana però è stata molto apprezzata dai Paesi alleati, per quanto riguarda le missioni NATO e UE, e dall'ONU, rispetto alla quale abbiamo collaborato per 34 missioni.
Le nostre Forze armate hanno operato ed operano tuttora in territori difficili, ostili e pericolosi, come in Afghanistan, fornendo un indispensabile apporto alla stabilità e alla realizzazione della pace che è il passaggio indispensabile verso la democrazia, il progresso e il benessere che le popolazioni potranno costruire e consolidare soltanto con il nostro intervento.
Coloro che chiedono il ritiro delle truppe italiane nei vari teatri non hanno a Pag. 76cuore i destini delle popolazioni che per la prima volta guardano con speranza al loro futuro. Censuriamo la superficialità con la quale si accompagna il sacrificio quotidiano dei nostri soldati che la loro vita la mettono in gioco davvero e allo stesso modo sappiamo apprezzare coloro che anche dai banchi dell'opposizione si adoperano per sostenere il Governo e le truppe italiane. Lo facemmo anche noi in occasione di altre missioni internazionali, soccorrendo Governi di ben altro colore che non avrebbero avuto neppure la maggioranza parlamentare per intraprendere azioni all'estero, tenendo fede ad accordi internazionali. Anche questo è un punto che non va sottovalutato: con il proprio impegno l'Italia ha saputo riconquistarsi fiducia e rispetto all'estero, dimostrando serietà nel mantenere fede a decisioni a volte difficili guadagnandosi stima e riconoscenza.
Un'altra considerazione riguarda il rischio che tutto l'Occidente correrebbe se un Governo di un Paese sostenesse il terrorismo internazionale. Altri Paesi europei, come la Spagna e la Gran Bretagna oltre agli Stati Uniti, sanno molto bene purtroppo cosa possa significare avere terroristi addestrati e finanziati in grado di colpire improvvisamente e drammaticamente affollati obiettivi civili delle nostre città. Siamo consapevoli dei rischi ai quali i nostri militari sono esposti, tuttavia l'intelligenza dei nostri comandanti, la preparazione dei nostri soldati e soprattutto l'eccellenza dei mezzi in dotazione alle nostre truppe hanno limitato al minimo le perdite in vite umane.
Tutta l'Italia si commuove e si addolora quando un soldato cade nell'assolvimento del proprio dovere compiuto in situazioni difficilissime come in Afghanistan, dove la morfologia del territorio e le difficoltà di prevedere e neutralizzare le minacce rendono pericolosa l'attività di pattugliamento e di controllo del territorio. Ma non dobbiamo dimenticare che accanto ai nostri militari operano le organizzazioni internazionali, governative e non, con volontari che si dedicano all'assistenza: sorgono scuole, asili, ospedali, strade ed opere pubbliche per consentire alla popolazione civile di affrancarsi da una condizione di povertà e miseria che fino a poco tempo fa era accompagnata anche dalla privazione della libertà e, per quanto riguarda l'Afghanistan, anche dalle esecuzioni sommarie.
Non possiamo fare finta di non sapere che i nostri soldati rendono possibile che questo non avvenga più. Abbiamo avuto la fortuna di nascere e vivere in un Paese libero, abbiamo anche il dovere morale di aiutare altri popoli e altre nazioni a diventare libere come noi e a progredire nella pace (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Parisi. Ne ha facoltà.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Signor Presidente, mentre la ringraziamo per la prontezza della sua risposta, mi consenta signor Ministro di dire che non è di fatti militari accaduti fuori d'Italia che siamo qui a discutere, ma di parole dette in Italia; non di fatti che chiamano in causa la sua immediata competenza di Ministro della difesa, ma di dichiarazioni che evocano la responsabilità collegiale del Governo. Per questo motivo le confesso che è innanzitutto dal Presidente del Consiglio che avremmo atteso questo chiarimento, da chi ha cioè la responsabilità della sintesi politica della maggioranza e dell'azione di Governo. Ora sappiamo perché il Presidente Berlusconi non è qui tra noi: al Presidente Berlusconi tutto questo appare infatti «aria fritta», ce lo ha detto qui in Transatlantico appena qualche ora fa.
Parole, abbiamo detto, pronunciate in Italia, ma come tutte le parole dette a proposito delle missioni militari quelle più vicine ai fatti, parole che annunciano e minacciano fatti. «Visti i risultati e i costi io li riporterei tutti a casa» ha esordito Umberto Bossi. Le sembra aria fritta? Provi a ripetere queste parole e ad ascoltarle da Washington, da Londra, da Parigi, da Bonn, dal Canada; provi a leggerle a Kabul negli uffici del Governo o via Internet tra i talebani. Pag. 77
Provi, infine, a leggerle sull'ottima rassegna stampa del suo gabinetto, insieme ai nostri militari a Herat, mentre si apprestano ad andare in pattuglia, rischiando la vita.
So che, come altre volte, lei ha provato a leggere le dichiarazioni di Umberto Bossi con le lenti dell'amicizia e a ridimensionarle con il metro del sentimento. Parole fuggite dal cuore, parole di un padre, di un padre qualunque, di un uomo qualunque. No, signor Ministro, mi consenta di dirlo: Umberto Bossi non è un padre qualunque. Umberto Bossi è il segretario politico, il leader riconosciuto del secondo partito della maggioranza, la guida e il responsabile della nuova architettura istituzionale della Repubblica e la sua dichiarazione non è una risposta occasionale alla domanda che ognuno di noi si pone ogni giorno, un segno di scoraggiamento momentaneo di fronte alla difficoltà di un'impresa, ma l'indicatore di una linea alternativa a quella sostenuta dal Governo, a quella da noi stessi lealmente appoggiata dall'opposizione, una linea che, giustamente, è stata definita isolazionista, una linea che mette tra parentesi la prima e la seconda parte dell'articolo 11 della Costituzione ed è indifferente alla collocazione e al sistema di alleanze internazionali del nostro Paese.
Lo ha spiegato, tra l'altro, subito il Ministro Calderoli. non è solo dall'Afghanistan che dobbiamo ritirarci. Certo, non prima delle elezioni - bontà sua - ma prima ancora dobbiamo ritirarci dal Libano e dai Balcani. Lo ha ripetuto oggi, dopo tre giorni, lo stesso Bossi, qualche ora fa in «Transatlantico». Non è solo il costo dei mezzi, ma gli stessi fini che Bossi non condivide. «Non cambio idea» - ha detto - «la missione costa moltissimo, mi sembra che portare le donne al voto in Afghanistan sia un'illusione, un'illusione che costa moltissimo».
Noi quell'illusione non l'abbiamo persa. Se l'avessimo perduta e quando dovessimo perderla, il nostro dovere sarebbe da subito quello di convincere i nostri alleati a lasciare insieme al più presto il Paese. Senza quella illusione, ogni morto, ogni ferito è un morto e un ferito del quale non riusciremmo a sopportare la responsabilità. Anche noi siamo padri e madri; anche noi seguiamo con apprensione la nostra missione in Afghanistan; anche noi lavoriamo affinché essa abbia un termine; anche noi ci poniamo e poniamo le domande che si pone Bossi. Anche se ci troviamo all'opposizione, non abbiamo tuttavia cambiato la linea che ci ha guidati quando eravamo al Governo. Non siamo sicuri che la maggioranza possa garantire al Governo quella linea con la quale ci ha incalzati dall'opposizione. Solo una severa autocritica di chi quelle parole ha pronunciato, solo una inequivoca critica di chi quelle parole nel Governo non condivide ci avrebbe potuto rassicurare. Quelle parole, finora, non le abbiamo sentite (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro e di deputati del gruppo Italia dei Valori - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dal Lago. Ne ha facoltà.
MANUELA DAL LAGO. Signor Presidente, chiedo scusa per l'esiguità della rappresentanza, non dovuta alla non condivisione di quello che dirò, ma semplicemente al fatto che era già preordinata una riunione.
Ho ascoltato con interesse le nuove comunicazioni rese dal Ministro della difesa e approfitto della circostanza - d'altra parte, è quello che richiede anche l'Assemblea - per ribadire il punto di vista che il Ministro Umberto Bossi ha espresso negli ultimi giorni con riguardo al futuro della missione italiana in Afghanistan e, più in generale, degli impegni che i nostri soldati onorano in molti Paesi stranieri.
È evidente che il Ministro Bossi ha inteso soprattutto aprire un dibattito sul significato e le prospettive del nostro intervento militare in Afghanistan, quanto mai incerti, a quasi otto anni dall'11 settembre. La sua ci pare un'iniziativa di alto spessore politico, perché di Afghanistan, cari onorevoli, nel nostro Paese si parla molto poco, troppo poco, praticamente soltanto quando si tratta di commemorare Pag. 78qualche nostro ragazzo caduto vittima della guerriglia locale, al contrario di quello che si verifica negli altri Stati, che pure con le loro truppe stanno cercando di restituire agli afghani una speranza e un futuro migliore.
Signor Ministro, se alziamo un attimo lo sguardo al di sopra della polemica contingente ed osserviamo cosa accade all'estero, si scopre molto rapidamente che dilemmi simili a quelli sollevati dal Ministro Bossi riempiono le prime pagine dei grandi giornali americani e movimentano il dibattito politico in Gran Bretagna, Olanda, Canada, Danimarca e nella stessa Germania.
Alcuni di questi Paesi, primo tra tutti proprio il Canada, hanno già deciso di non restare in Afghanistan oltre il 2011. Perché invece noi dovremo assistere passivamente a quanto accade sul terreno, rinunciando a pensare, a riflettere, a porci e a fare delle domande e non a minacciare, onorevole Parisi. Ritengo che il Ministro Bossi abbia agito proprio come si conviene ad un Ministro autorevole di un'autorevole compagine di Governo, quale quello che ci auguriamo di sostenere e con la quale tante riforme stiamo attuando. È chiaro che la riflessione cui vogliamo invitare l'intero mondo politico italiano non ha implicazioni immediate.
L'onorevole Stefano Stefani, nella sua qualità di presidente della III Commissione (Affari esteri), è stato uno dei due proponenti il disegno di legge di proroga delle missioni, che è stato approvato qui alla Camera dalle Commissioni in sede legislativa ed è stato oggi esaminato in sede deliberante a Palazzo Madama. La Lega, quindi, non si defila e continua a garantire il suo voto su questo delicato aspetto della politica del Governo, ma lo fa cercando di esprimere un suo punto di vista e di aprire, perché lo ritiene corretto, un dibattito. La riflessione, secondo noi, dovrà riguardare i risultati che saranno ottenuti al termine di questo ciclo di operazioni che è finalizzato a permettere lo svolgimento, in condizioni di sicurezza, delle elezioni presidenziali afgane del prossimo 20 agosto e non è detto che sfocino in una conclusione necessariamente negativa. Dipenderà dai fatti, dalle realizzazioni o dagli eventuali insuccessi. Vedremo e verificheremo se è veramente possibile e facile esportare democrazia. Sarebbe miope non far discendere, secondo noi, alcuna conclusione politica dalle valutazioni dai risultati concretamente ottenuti. Si è detto - e riteniamo con intenti fortemente riduttivi - che il Ministro Bossi abbia parlato più da padre che da ministro. Noi invece riteniamo che abbia parlato tanto da ministro, esprimendo una visione politica che è propria della Lega, quanto da padre di famiglia, cioè da persona cosciente dei costi umani che certe scelte possono comportare e che sono giustificabili alla luce degli obiettivi concretamente ottenuti o comunque sicuramente raggiungibili. Ciò non ci sembra disdicevole, affatto: dopotutto, anche il nostro diritto fa riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia come ad una qualità positiva. La riflessione dovrebbe, poi, secondo noi...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MANUELA DAL LAGO. ...concludo subito, signor Presidente ...riguardare anche le altre missioni: il Libano, sul quale la Lega ha sempre espresso perplessità che continuano per noi a permanere e il Kosovo. Concludo invitandola, signor Ministro, a riflettere sulle parole del Ministro Bossi e, dopo il 20 agosto, non a pensare di ipotizzare, ma a prevedere un'apertura di un grande confronto politico sulla nostra presenza e sulle nostre missioni all'estero (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Casini. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, onorevole Ministro, se c'era ragione per dubitare dell'utilità di questo dibattito, le parole dell'onorevole Dal Lago hanno adesso provveduto a spazzare via ogni valutazione critica in ordine all'opportunità del medesimo perché, con molta Pag. 79chiarezza, ha ribadito le perplessità della Lega su missioni fondamentali per noi, per la Repubblica italiana, per le Forze armate, per la pace nel mondo, Libano e Kosovo e ha riaffermato sostanzialmente tutto il suo scetticismo dicendo testualmente: vedremo se sarà così facile esportare democrazia.
Onorevoli colleghi, siamo venuti in quest'Aula convinti che fosse necessario ristabilire la centralità del Parlamento. Ne siamo lieti e ringraziamo il Presidente della Camera per la sollecitudine con cui ha investito il Governo di questo problema.
In secondo ordine, abbiamo ascoltato le parole del Ministro La Russa. Ministro, non mi soffermo - le devo dire la verità: non ne sarei neanche in grado - sui particolari tecnici in ordine alle dotazioni militari di cui lei ha parlato, mi soffermo sui chiarimenti politici che lei ha dato. Cito le sue parole: «Per noi la missione dell'Afghanistan è irrinunciabile e imprescindibile. Il nostro Paese» - ha detto il Ministro della difesa - «sta facendo il suo dovere e intende continuare a farlo». Io sono totalmente d'accordo con lei, mi sento rassicurato dalle sue parole su un punto fondamentale e ritengo che, come me, si debba sentire rassicurato tutto il Parlamento.
Il Ministro La Russa ha aggiunto: «Ho chiarito subito gli intendimenti del Governo dopo le parole di Bossi per rispetto ai nostri militari, l'ho fatto prima dello stesso dibattito in Aula». Queste parole di La Russa sono, da parte mia, sottoscrivibili, ma dimostrano, ancora una volta, che se lo stesso Ministro La Russa ha sentito il bisogno, prima del nostro dibattito, di rassicurare i militari, c'era stato qualcosa che aveva creato una situazione di evidente disinvoltura istituzionale con parole inaccettabili da parte non di un cittadino normale, ma del Ministro Bossi, che è il detentore evidente della golden share del Governo in Parlamento, alla Camera e al Senato.
Devo dire la verità: in quanto ha detto l'ex Ministro della difesa, l'onorevole Parisi, ho ritrovato una totale condivisione. Condivido l'approccio che ha voluto dare al suo discorso, un discorso di grande significato e caratura istituzionale, ma direi che nelle parole di Parisi e anche in tante parole che lei, Ministro, ha riportato in quest'Aula parlando di missione imprescindibile ed irrinunciabile trovo un filo comune. Sapete qual è il filo comune? È la continuità della Repubblica. Le maggioranze passano, ma i principi fondamentali, i principi che hanno portato l'onorevole Parisi a vincere sui veti della sinistra, di Rifondazione comunista sono gli stessi principi che portano lei, oggi, a rassicurare i nostri militari (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Partito Democratico).
Non voglio continuare questo mio intervento, però, voglio terminare rivolgendomi all'onorevole Dal Lago, dicendo alla collega che stimo, pur nella diversa visione politica, una cosa semplice e chiara. Io credo che il Ministro Bossi non abbia parlato né da Ministro né da padre: non ho parlato da Ministro, perché un Ministro deve calcolare gli effetti politici e istituzionali delle sue parole, a meno che, cinicamente, sulle spalle dei militari, non scelga di fare il partito di lotta e di Governo, ma non ha parlato nemmeno da padre, perché come padre avrebbe dovuto avere più rispetto per i padri dei nostri militari, in apprensione dalla mattina alla sera (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico, Italia dei Valori e di deputati del gruppo Popolo della Libertà - Congratulazioni - Commenti della deputata Dal Lago).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Donadi. Ne ha facoltà.
MASSIMO DONADI. Signor Presidente, signor Ministro, credo che le parole pronunciate pochi minuti fa dall'onorevole Dal Lago abbiano riconfermato a pieno i timori, le preoccupazioni e le ragioni che hanno portato l'opposizione a chiedere questo chiarimento oggi, qui, da parte del Governo. Dubbi e timori che, devo dire, se possibile, risultano non solo riconfermati, ma addirittura aggravati. Pag. 80
Io ho colto, alla fine, nelle parole dell'onorevole Dal Lago qualcosa che suona come aver dato i novanta giorni al Governo; ha detto: arriviamo fino ad ottobre, poi sarà il caso di ripensare il tutto. Non è possibile non rilevare in questo una frattura, una divaricazione profonda tra le parole che ha pronunciato lei, signor Ministro, e le parole che pronuncia il principale alleato del partito che lei rappresenta.
In questa situazione di grande, profonda divaricazione, obiettivamente, chi ne fa le spese è la credibilità dello Stato, è la serenità e lo stato d'animo con il quale i nostri militari in Afghanistan continuano, meno sicuri di prima, meno certi di prima, sicuramente meno tutelati di prima, a fare il loro difficile dovere.
Signor Ministro, voglio rassicurarla di una cosa. L'Italia dei Valori per parte propria ha sostenuto fino adesso e continuerà a sostenere la missione italiana in Afghanistan e le altre missioni nelle quali l'Italia con grande coerenza e con grande serietà ha fino ad ora ben ricoperto il proprio ruolo sia all'interno della NATO, sia nel consesso internazionale dell'ONU.
Non solo le riconfermiamo, quindi, il pieno sostegno alla riconferma delle missioni, ma le diciamo anche con chiarezza che siamo assolutamente favorevoli a che i nostri soldati siano muniti dal punto di vista della dotazione dei mezzi (anche aerei), dal punto di vista della strumentazione logistica e dal punto di vista economico di tutto ciò che li possa mettere nelle migliori e più efficienti condizioni di sicurezza. Questo è qualcosa che noi crediamo doveroso nell'interesse del Paese, dei nostri militari e delle loro famiglie.
Crediamo che non sia giusto, corretto e serio da parte di chi ricopre ruoli di Governo e da parte di un partito che - rubo le parole del presidente Casini - ha una sorta di golden share obiettiva sulla vita di questo Governo, chiedere unilateralmente la fuoriuscita dell'Italia da queste missioni internazionali. Credo che, invece, l'Italia non al proprio interno, ma nei luoghi internazionali, in sede Nato e in sede ONU, debba cominciare a fare una cosa su cui si debba cominciare a riflettere.
Credo che non possa sfuggire a nessuno come (sicuramente in buona parte per le condizioni contingenti legate alle imminenti elezioni afgane) vi sia da un po' di tempo una sempre maggiore recrudescenza di azioni belliche sul territorio. Vi è oggi più che mai l'evidenza di un conflitto tra due diverse iniziative internazionali: quella ONU delegata poi alla NATO e rappresentata dalla missione ISAF e quella americana e di alcuni Paesi che sostengono l'America rappresentata da Enduring Freedom. La prima è sicuramente, al di là di ogni dubbio, una missione di pace e di ricostruzione, ed è quella missione alla quale l'Italia con convinzione, determinazione e dignità partecipa. L'altra missione è inequivocabilmente sempre più un'azione di guerra. Proprio oggi, quando il Presidente Obama comincia a parlare delle necessità di immaginare per gli Stati Uniti una exit strategy, questa si trasforma in una recrudescenza militare come convinzione che vi siano le condizioni e i mezzi per debellare oggi in pochi mesi le resistenze talebane e poter così procedere ad un rapido disimpegno.
Le due cose, Ministro, non stanno più insieme. Questa contraddizione è sempre più palese e noi chiediamo al Governo di verificare in sede ONU, dove il ruolo dell'Italia è importante e decisivo come quello di ogni altro partner, se possono ristabilirsi al più presto le condizioni affinché la missione ISAF possa svolgere a pieno il suo ruolo di pace. Ovviamente è solo così che potrebbe continuare ad avere senso l'impegno italiano (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.
ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor Ministro, a nome del gruppo del Movimento per l'Autonomia-Alleati per il Sud le voglio esprimere la piena adesione alla relazione da lei sviluppata questa sera. A noi interessa molto di più la Pag. 81parte della sua relazione che ha fatto riferimento alla sua personale azione e a quella del Governo per garantire maggiore sicurezza ed efficacia all'azione dei nostri militari in tutti i teatri delle operazioni, ma soprattutto in Afghanistan.
È veramente strano e può apparire strano sentire che per fare intervenire i Tornado bisognava assumere una decisione. È evidente che le condizioni sono cambiate e in Afghanistan bisogna garantire più sicurezza e nuovi e più efficaci mezzi ai nostri militari.
Bisogna soprattutto, signor Ministro, potenziare quell'azione di dialogo con le popolazioni e di sostegno alle popolazioni civili di quei Paesi martoriati dalla guerra, che può consentire un risultato positivo della nostra presenza. Voglio ribadire qui la nostra solidarietà e la nostra vicinanza ai nostri militari, dei quali apprezziamo la preparazione e l'efficacia. Ci interessa meno soffermarci sulla polemica politica, perché, anche a volere spaccare il capello, questa sera non sono emerse posizioni distanti e contrastanti all'interno della maggioranza. Un conto sono gli atti parlamentari, come è avvenuto per il passato, quando pezzi della maggioranza votavano contro decisioni dei Governi di centrosinistra, e un altro conto sono le riflessioni che si possono fare, come sta avvenendo anche in altri Paesi, sul futuro della presenza militare in quei teatri. Quindi, signor Ministro, il Governo e i nostri militari possono contare sulla piena solidarietà e sul pieno appoggio del Movimento per l'Autonomia (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).
PRESIDENTE. È così esaurito...
FURIO COLOMBO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo?
FURIO COLOMBO. Per ragioni personali.
PRESIDENTE. Per ragioni personali? Intende dire sull'ordine dei lavori? Ne ha facoltà.
FURIO COLOMBO. Signor Presidente, mi premeva fare una raccomandazione al Ministro della difesa, che ho ascoltato con estrema attenzione. Signor Ministro, non ho capito - lei avrà occasione di spiegarlo, non ora ma quando vorrà - perché in Libano dovrebbe esserci un rapporto fra la presenza dei soldati italiani, che è risultata di un'importanza grandissima, e il fatto che il comando sia italiano, a meno che sia richiesto - lei potrà spiegare che è richiesto - da condizioni internazionali. Questo è un altro discorso...
IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Certo, per le funzioni di comando servono trecento uomini.
PRESIDENTE. Onorevole Colombo, la prego, l'ordine dei lavori prevede un altro genere di interventi. La invito a presentare un atto di sindacato ispettivo sul tema che lei ha testé sottoposto.
È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Sull'ordine dei lavori (ore 19,59).
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
EMILIA GRAZIA DE BIASI.Signor Presidente, sarò molto breve, anche se l'argomento penso che andrà avanti a lungo nel nostro dibattito. Signor Presidente, risulta che nel Comitato ristretto in ordine alla proposta di legge Aprea recante le nuove norme della governance, la Lega abbia chiesto un quiz di ammissione per gli insegnanti, non accontentandosi della graduatoria. Il dibattito verte su cosa ci sia in questo quiz, in questo esame di ammissione, in questo test. In questo test si dice - non ho ancora avuto il piacere di leggerlo - che sarebbe una sorta di esame di ammissione basato sulla conoscenza delle tradizioni, delle abitudini e del dialetto della regione in cui si dovrebbe insegnare. La presidente Aprea, relatrice del provvedimento, mi risulta abbia chiesto di portare il problema nella Conferenza dei presidenti di gruppo assieme all'intera proposta. Io Pag. 82ritengo che sia palesemente incostituzionale e che, al di là delle opinioni, sarebbe anche ora di finirla, perché prima si poteva dire che era folklore, oggi è un po' più complicato. Oggi davvero si tratta della violazione della Costituzione, perché tutti i cittadini sono uguali in questo Paese. Vorrei capire cosa sia lo studio e l'esame delle tradizioni, degli usi, dei costumi e addirittura del dialetto. Quale dialetto: quello di Bergamo, di Brescia, di Cremona, di Mantova, di Milano? Quello di Milano, peraltro, è molto difficile da apprendere. È davvero complicato. Io penso che neanche una persona che vive a Milano conosca il dialetto milanese, per non parlare naturalmente di tutte quante le altre regioni, come ad esempio il Veneto. Io ho moltissimi amici e faccio fatica ancora adesso a capire cosa dicono quando parlano in dialetto.
Il secondo è che questi insegnanti insegnano nello Stato italiano, nella Repubblica italiana, non nella Repubblica delle venti regioni-Stato, perché è un altro ordinamento; può essere bello o brutto, ma non è il nostro. Vi è l'incostituzionalità, vi è anche lo svilimento della professionalità, del mestiere e della professione dell'insegnante.
Signor Presidente, faccio appello a lei e alla sua sensibilità, ben nota, di persona che salvaguarda le prerogative della nostra Costituzione: le chiedo di salvaguardare, ancora una volta, anche le prerogative di questo Parlamento, che non può continuare ad essere umiliato nell'immagine pubblica dalla costante e permanente tensione ad una forma di separatezza e di razzismo che rasenta persino l'apartheid. Signor Presidente, la pregherei davvero di intervenire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Onorevole De Biasi, sarà certamente cura della Presidenza garantire che nel prosieguo dell'iter parlamentare del disegno di legge cui lei ha fatto riferimento la I Commissione e successivamente l'Aula valutino il pieno e totale rispetto dei principi fondamentali della nostra Carta costituzionale. Si tratta, infatti, di questione che non può essere opinabile, ma che deve essere soltanto riferita a quello che vi è scritto nella Carta.
Avverto che, come già anticipato ai gruppi per le vie brevi, all'ordine del giorno della seduta di domani sarà iscritta, dopo la discussione delle mozioni concernenti iniziative per l'estensione degli strumenti di tutela previdenziale e pensionistica al personale volontario dei Vigili del fuoco, la discussione dei seguenti ulteriori progetti di legge di ratifica: Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri e la Repubblica di Montenegro (atto Camera 2539); Accordo di cooperazione relativo a un Sistema globale di navigazione satellitare (GNSS) ad uso civile tra la Comunità europea e i suoi Stati membri e il Regno del Marocco (atto Camera 2541); Accordo Euromediterraneo sul trasporto aereo fra la Comunità europea e i suoi Stati membri e il Regno del Marocco (atto Camera 2542); Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo (atto Camera 2411-A); Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione (atto Camera 2551 ed abbinati) (ove concluso dalla Commissione).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempia
riservati all'esame dei suddetti progetti di legge sarà pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il termine per la presentazione degli emendamenti ai suddetti progetti di legge è fissato per domani, mercoledì 29 luglio, alle ore 10,30.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Mercoledì 29 luglio 2009, alle 9,30:
(ore 9,30 e ore 16)
1. - Seguito della discussione del documento:
Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra Pag. 83di finanza pubblica per gli anni 2010-2013 (Doc. LVII, n. 2).
- Relatori: Bitonci, per la maggioranza; Marchi, di minoranza.
2. - Discussione dei disegni di legge:
S. 1555 - Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo tra gli Stati membri dell'Unione europea relativo allo statuto dei militari e del personale civile distaccati presso le istituzioni dell'Unione europea, dei Quartieri generali, e delle Forze che potrebbero essere messi a disposizione dell'Unione europea nell'ambito della preparazione e dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 17, paragrafo 2 del Trattato sull'Unione europea, comprese le esercitazioni, nonché dei militari e del personale civile degli Stati membri messi a disposizione dell'Unione europea per essere impiegati in tale ambito (SOFA UE), fatto a Bruxelles il 17 novembre 2003; b) Accordo tra gli Stati membri della Unione europea relativo alle richieste di indennizzo presentate da uno Stato membro nei confronti di un altro Stato membro per danni causati ai beni di sua proprietà o da esso utilizzati o gestiti o nel caso in cui un militare o un membro del personale civile dei suoi servizi abbia subito ferite o sia deceduto nell'ambito di un'operazione dell'UE di gestione delle crisi, firmato a Bruxelles il 28 aprile 2004 (Approvato dal Senato) (2553).
- Relatore: Renato Farina.
S. 1559 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione in materia di lotta alla criminalità tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno dell'Arabia Saudita, fatto a Roma il 6 novembre 2007 (Approvato dal Senato) (2554).
- Relatore: Zacchera.
3. - Discussione delle mozioni Benamati ed altri n. 1-00189, Vietti ed altri n. 1-00226 e Cazzola, Caparini, Lo Monte ed altri n. 1-00228 concernenti iniziative per l'estensione degli strumenti di tutela previdenziale e pensionistica al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
4. - Discussione dei progetti di legge:
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Montenegro, dall'altra, con Allegati, Protocolli e Atto finale con dichiarazioni allegate, fatto a Lussemburgo il 15 ottobre 2007 (2539).
- Relatore: Stefani.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione relativo a un Sistema globale di navigazione satellitare (GNSS) ad uso civile tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, e il Regno del Marocco, fatto a Bruxelles il 12 dicembre 2006 (2541).
- Relatore: Tempestini.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo Euromediterraneo sul trasporto aereo, fra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Regno del Marocco, dall'altro, fatto a Bruxelles il 12 dicembre 2006 (2542).
- Relatore: Tempestini.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, con Allegato, adottata a Parigi il 2 novembre 2001, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno (2411-A).
- Relatori: Biancofiore, per la III Commissione; Centemero, per la VII Commissione.
S. 816-848-1594 - d'iniziativa dei senatori: CASSON ed altri; LI GOTTI ed altri; d'iniziativa del Governo: Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la Pag. 84corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, nonché norme di adeguamento interno e modifiche al codice penale e al codice di procedura penale (Approvati, in un testo unificato, dal Senato della Repubblica) (ove concluso dalla Commissione) (2551).
e dell'abbinata proposta di legge: DI PIETRO ed altri (1788).
(ore 13)
5. - Informativa urgente del Governo sull'emergenza incendi.
(ore 15)
6. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
La seduta termina alle 20,05.
TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI DONELLA MATTESINI E ROSA DE PASQUALE IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOC. LVII, N. 2
DONELLA MATTESINI. Sin dall'inizio della legislatura, l'azione del Governo si è caratterizzata per aver affrontato i bisogni ed i temi economici del Paese, non in modo organico, ma introducendo norme disorganiche e frammentate.
Anche il DPEF rappresenta, in perfetta continuità, l'ennesimo provvedimento di natura economica che il Governo affronta senza delineare un quadro effettivo e veritiero della crisi.
D'altra parte avete fatto polemica con tutti coloro che si sono permessi di dire che qualcosa non va: con il Fondo monetario internazionale, l'OCSE, la Commissione europea. Per non parlare dell'aggressione relativa ai dati ed ai ragionamenti della Banca di Italia.
In una parola avete cercato continuamente di nascondere i dati della crisi.
Ma non solo non c'è un quadro di insieme, ma sottolineo la totale assenza di qualunque trasparente e rigoroso collegamento tra i vari provvedimenti economici. Mi riferisco all'assestamento di bilancio.
Il saldo netto da finanziare previsto nella legge di bilancio in vigore è di 32,7 miliardi, mentre con l'assestamento di bilancio il saldo netto da finanziare passa a 69,6 miliardi di euro. Cioè il raddoppio.
Così come l'avanzo primario passa da 48,5 miliardi ad 8,5 miliardi, con un peggioramento secco di 40 miliardi.
Ora, a parte il problema di forma, per cui chiedo al Presidente se stante il nostro ordinamento contabile, la legge di assestamento può disporre di scelte discrezionali di spesa di questa quantità (di fatto un nuovo provvedimento). Ma soprattutto mi chiedo come mai di tale questione, non si dia minimamente conto nel DPEF.
Stigmatizzo tale fatto che ritengo di una gravità senza precedenti.
Il Governo ancora una volta, invece di agire con trasparenza e chiarezza, segue una linea di politica economica confusa e contraddittoria, caratterizzata dalla frammentazione e dalla diluzione in provvedimenti di urgenza dal carattere eterogeneo, dietro i quali vi è la volontà di nascondere all'opinione pubblica la reale misura degli interventi posti in essere e la loro inefficacia.
Nello specifico: al capitolo I del DPEF, nella sintesi e conclusioni, si legge che il «Governo durante la crisi ha agito in modo mirato per garantire condizioni di stabilità per la finanza pubblica, per dare supporto all'economia, per assicurare la coesione sociale.
Vedete, la storiella della messa in sicurezza, già sbandierata l' anno corso con il decreto n. 112, è già smentita dai fatti, ma voglio dire una cosa in merito al calo delle entrate, il 3,8 per cento, calo che non è dovuto solo alla crisi economica, ma anche e soprattutto all'abbandono della lotta alla evasione fiscale, di cui lo scudo fiscale è l'ultima vergogna. Pag. 85
Tale scelta costituisce un vero e proprio elogio alla evasione fiscale, mina le basi di un sano rapporto tra cittadini, e tra cittadini ed istituzioni e rappresenta un grave danno alla coesione sociale.
Infatti con lo scudo fiscale si allarga e si legittima l'area dei comportamenti illegali: tanto poi arrivano le sanatorie ed i condoni.
È uno stimolo al fai da te, al pensare al tuo; si producono e si alimentano atteggiamenti di irresponsabilità verso la collettività, verso l'interesse comune.
La legalità e la responsabilità individuale e collettiva sono fattori ineludibili e determinanti per la coesione sociale, ed allora approvando provvedimenti che sanciscono trattamenti di privilegio assoluto, che premiano comportamenti illeciti, si alimenta la sfiducia nelle Istituzioni e nella politica, rispetto alla loro funzione primaria di regolazione dei diritti e doveri, rispetto all'obbiettivo dell'interesse generale e non di quello di alcuni favoriti.
Ma forse è proprio questo che volete. È proprio per questo e cioè il vostro lavorare per una Italia dei furbetti e dell'alleanza riconoscente con i loro protettori, che il Governo non ha mai affrontato seriamente il tema del lavoro nero e dell'economia sommersa, che è uno dei principali problemi della debolezza del sistema Italia.
Ed ancora. Avete negato la strategicità delle riforme. Illustri ministri ci hanno spiegato che nelle fasi di crisi non si può affrontare il percorso delle riforme strutturali, salvo poi contraddirsi, come quando con il maxiemendamento al decreto n. 78, avete fatto la riforma (o meglio lo stravolgimento) del sistema pensionistico, al di fuori di qualunque confronto sia con il Parlamento, sia con le parti sociali.
Il PD ha proposto una età pensionabile inserita in un range compreso tra i 60 ed i 70 anni, all'interno del quale esercitare una scelta individuale e volontaria.
Abbiamo chiesto di utilizzare i risparmi derivanti da tale nuovo regime, per disegnare un nuovo sistema di welfare, basato sull'effettiva parità tra uomini e donne, che concili il lavoro familiare e la vita professionale.
Ma il maxiemendamento e la fiducia sono porte sbattute in faccia alle buone proposte ed al dialogo, in una parola una porta sbattuta in faccia alla democrazia ed alle sue regole, con buona pace della tanto declamata coesione sociale!
Ed a proposito di conciliazione, nel DPEF si fa riferimento a provvedimenti adottati che vanno in tal senso. Ma di cosa si parla? Cito un esempio: vi ricordate ad esempio che con l'atto Camera n. 1441 avete modificato l'articolo 9 della legge n. 53, pressoché azzerando le risorse ad essa necessarie?
E che dire dei tagli di bilancio alle politiche sociali, che stanno inchiodando ad esempio gli enti locali, nella impossibilità di rispondere ai bisogni pressanti di nuove fasce di popolazione?
Eppure dovrebbe essere senso comune che la tenuta della coesione sociale è uno dei presupposti per affrontare la crisi economica, che alimenta invece di per sé paure e divisioni. L'alternativa è il conflitto sociale!
Vi domando, ma la sottovalutazione della crisi occupazionale ed il suo non governo, produce coesione od è invece foriera di nuovi conflitti?
Eppure tutti i dati ufficiali, ultimi i dati del CNEL, ci parlano di una forte crisi occupazionale, ci dicono che nel 2009 si perderanno altri cinquecentomila posti di lavoro, a cui devono aggiungersi i quattrocentomila posti già persi (in gran parte lavoro precario delle giovani generazioni, ma anche di chi più giovane non è e si trova a lavorare in mood precario).
A tali dati si aggiungano i numeri del lavoro nero e l'aumento del bacino delle inattività (e non vi venga in mente di scambiare la regolarizzazione del lavoro già esistente - badanti e colf - per nuovo lavoro).
Sappiamo che i dati relativi alla cassa integrazione sono più alti di quelli dichiarati, poiché mancano i dati della cassa integrazione in deroga. Pag. 86
Ed inoltre le indennità di disoccupazione, che a maggio erano circa cinquecentomila, potrebbero prevedere alla scadenza la scopertura totale di una parte importante di lavoratori.
Eppure avete lasciato scadere la delega sulla riforma degli ammortizzatori sociali e nel DPEF non c'è traccia di questo tema, di come si intenda affrontarlo. Noi riteniamo che questo, insieme all'accesso al credito per le aziende, sia il tema a cui andrebbe data maggiore risposta ed invece silenzio tombale.
Vi siete riempiti nei mesi scorsi, la bocca per l'una tantum ai precari, sbandierando che avevate esteso anche ad altri soggetti, fino ad allora non garantiti, tutele. Ed invece a fronte di una norma farraginosa, che ha prodotto pochissime richieste, cosa avete fatto? Non avete semplificato e corretto la norma, avete bensì con il decreto n. 78 tolto il finanziamento di centomila per tale misura trasferendoli nel capitolo generale per l'occupazione, tagliando ai precari, i più deboli del mercato del lavoro, quell'unica misura esistente.
Ancora un esempio. Con quella norma contenuta nel decreto n. 78, con cui avete annullato l' assunzione di circa quindicimila persone, dipendenti delle Poste, che avevano rinunciato all'azione legale a fronte di un accordo sindacale. E tutto ciò riguarda anche Ferrovie, RAI, eccetera.
Altro che coesione sociale e come è scritto nel DPEF «centralità del lavoro e moderno quadro regolatorio delle relazioni di lavoro, attento alla centralità della persona».
Il DPEF contiene anche il capitolo relativo agli effetti della riforma della Pubblica Amministrazione sulla crescita economica, stimata intorno a margini di incremento del 50 per cento circa.
Ma di quale riforma si parla? Della legge n. 15 il cui regolamento attuativo è fermo alla conferenza Stato-regioni e che è contestato per il suo centralismo anche dalla sua maggioranza, ed in modo particolare dalla Lega?
È opinione diffusa che la legge n. 15 annullando il processo di privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e ridando centralità alla legge ed alla politica, ha di fatto messo una pietra tombale sull'effettivo ammodernamento della pubblica amministrazione.
Infatti trattare la pubblica amministrazione come un tutt'uno, non riconoscerne le diversità (sanità, forze dell'ordine, scuola, enti locali, eccetera), pensare che con regole uniche e centralizzate si persegua il cambiamento, è illusorio.
Alcuni esempi. Affidare a norme di legge la decisione che in ogni Amministrazione ci sia un 25 per cento di dipendenti e di dirigenti fannulloni e quindi persone a cui non si distribuisce il salario accessorio, aiuta od invece non ostacola l'efficacia e l'efficienza? È una norma di modernità od invece porta con sé conflitto e chiusura?
Ad esempio i dirigenti, accresceranno la collaborazione od ognuno di loro si chiuderà nel proprio orticello, cercando di fare il meglio possibile nel settore di cui è responsabile?
E noi sappiamo che uno dei problemi legati alla non efficienza/efficacia della Pubblica Amministrazione è costituito dall'esistenza di compartimenti stagni dentro l'amministrazione e tra amministrazioni.
Nella legge n. 15 e nei vari provvedimenti approvati, così come nel DPEF non c'è traccia di tutti quei provvedimenti che sono invece necessari per una effettiva modernità ed efficacia della pubblica amministrazione, a partire dalla delegificazione e semplificazione delle procedure entro e tra enti, del superamento delle competenze duplicate tra enti, eccetera.
Ed inoltre, come fate ad essere credibili quando parlate di innovazione e di efficacia della pubblica amministrazione, quando vi rifiutate di adottare provvedimenti seri che allentino seriamente il patto di stabilità che permetterebbero agli enti locali di investire risorse importanti nei territori e quindi creando lavoro e sviluppo in tempi brevi e nel contempo liquidare il dovuto ai creditori?
D'altra parte i dati del DPEF che riguardano l'aumento della spesa pubblica, Pag. 87segnano chiaramente la vostra incapacità di perseguire una reale riforma della pubblica amministrazione.
L'Italia ha bisogno di un governo serio e rigoroso, che dice la verità agli italiani, che dialoga con l'opposizione per cercare le migliori soluzioni per affrontare la crisi ed individuare le vie di uscita e non di un governo che ad esempio nella conferenza stampa di presentazione del DPEF, dice che le entrate tengono e la caduta rallenta, tranne poi essere clamorosamente smentito dai dati.
Testo sostituito con errata corrige volante
ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, vorrei iniziare citando alcune considerazioni tratte dall'articolo di oggi di Caroglio dal titolo: «Lo stato di salute della democrazia e l'incapacità di provare vergogna» che inizia dicendo: «Un sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica, si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare.
Dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante.
Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un'ideologia dominante attraverso l'occupazione della lingua».
Trovo molto pertinente questa analisi, perché tocca di fatto, una verità negativa sempre più tangibile nel comportamento di questo Governo, come di questa maggioranza e che viene ribadita anche in occasione di questo DPEF.
Infatti nella sua stesura il Governo non ha tenuto presente l'articolo 81 della Costituzione, secondo il quale il Parlamento riveste un ruolo di indirizzo nella individuazione degli obiettivi economici, mortificando così, nuovamente, il ruolo istituzionale e politico di questo Parlamento ed evidenziando ulteriormente la gravità delle scelte sin qui effettuate dal Governo.
La riduzione del PIL pari ad un 5 per cento da un lato, la manovra governativa della spesa pubblica che non ha generato prospettive di miglioramento, dall'altro, e la considerazione che il debito pubblico si è innalzato e la pressione fiscale è aumentata, altro non attestano che il fallimento dell'intera manovra di risanamento, per la quale sono stati chiesti, tra l'altro, enormi sacrifici anche al settore dell'istruzione.
Per quanto riguarda il settore scolastico il fabbisogno finanziario ipotizzato dal DPEF risulta del tutto inadeguato a superare le problematiche che metteranno a serio rischio il corretto avvio dell'ormai imminente prossimo anno scolastico e, al contempo, insufficienti a prospettare qualsiasi intervento di valorizzazione e potenziamento del comparto scuola.
I tagli definiti dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, relativo a disposizioni in materia di organizzazione scolastica, prevedono un piano programmatico di riduzione di spesa pari a 7 miliardi 832 milioni di euro entro il 2012, miliardi prelevati all'istruzione al fine di conseguire la «razionalizzazione del personale», razionalizzazione di fatto che altro non è che un taglio lineare ed indiscriminato del personale stesso, pari a ben 87.341 posti di docenti e di 44.500 posti di personale ATA.
L'insostenibile aumento del numero degli alunni per classe; la riduzione del tempo scuola nella scuola primaria e secondaria di primo grado; l'indebitamento delle istituzioni scolastiche che non sono messe nelle condizioni di pagare le supplenze effettuate; la riduzione degli orari scolastici e di insegnamento di alcune discipline; un grave impoverimento della scuola pubblica, alla quale sono venute a mancare le risorse indispensabili per il suo funzionamento quotidiano e per lo sviluppo dell'azione didattica, educativa, di istruzione e ricerca, smantellandone punti essenziali di qualità; che altro non sono se non parole malate?
Tali interventi colpiscono duramente la scuola pubblica e sono destinati a produrre effetti devastanti con un immediato impoverimento dell'offerta formativa e didattica, acuendo così le diseguaglianze sociali e territoriali esistenti, colpendo i Pag. 88soggetti e le realtà più deboli, limitando la possibilità di successo scolastico per i bambini e i ragazzi in condizioni di disagio e disattendendo le istanze delle famiglie anche relativamente al tempo scuola.
La soppressione della programmata immissione in ruolo dei precari della scuola, già avviata dal precedente Governo, che avrebbe portato a termine, entro il 2010, il programma di assunzione di 150 mila docenti e di 30 mila unità di personale ausiliario tecnico amministrativo (ATA) ed i tagli avviati, determinano già dal prossimo lo settembre l'impossibilità a più di 225 mila dipendenti della scuola, docenti e non, di rientrare in servizio senza che il DPEF prospetti nessun utile intervento, più volte da noi ipotizzato, a tutela dei tanti dipendenti che resteranno senza lavoro, come ad esempio l'indennità di disoccupazione.
Per quanto riguarda il settore dell'università e della ricerca gli impegni finanziari che il Governo prospetta nel DPEF, anche alla luce dei tagli già avviati dalla finanziaria 2009, risultano inadeguati.
Anche a questo proposito si ricorda che le misure previste dal Governo, aldilà delle intenzioni annunciate nel DPEF sul settore universitario, si sono tradotte nel suddetto decreto-legge n. 112 del 2008, che ha previsto un ingiustificato e irrazionale blocco del turn over (poi stemperato con il decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1); in una iniqua rimodulazione degli scatti stipendiali che penalizza soprattutto coloro che assolvono al proprio dovere con professionalità e competenza, contraddicendo palesemente il principio di valorizzazione del merito tanto auspicato dall'attuale Governo; in una insostenibile decurtazione del Fondo di finanziamento ordinario già in atto dal 2009 e per un quinquennio, fino all'anno 2013; in una riduzione progressiva di oltre un miliardo e 400 milioni di euro e altresì in un taglio, approvato con il decreto-legge che ha previsto l'abolizione dell'ICI per i ricchi, di 16 milioni di euro a partire dal 2008 (stanziamenti introdotti ad incremento del medesimo Fondo, dal cosiddetto «Milleproroghe», approvato dal Governo Prodi) e di ben 467 milioni di euro permanenti a partire dal 2010; tali scelte, unite alla possibile trasformazione delle università in fondazioni, avranno come effetto certo un insostenibile aumento delle tasse per gli studenti e un prevedibile dissesto delle finanze di quasi tutti gli atenei, come peraltro paventato sia dagli organi di rappresentanza studenteschi che dagli organi di governo delle università.
Piccoli/grandi esempi, colleghi, di come le parole malate vanno ad impattare sul corpo sociale e voi pur avendo avuto sollecitazioni da tutta l'opposizione per rivedere queste scelte e tante altre scelte scellerate come il caso dei bambini invisibili che già a Prato, come viene oggi denunciato alla prefettura, manifesta la vostra assurda politica di parole malate, voi che vantate di essere garanti dei minori e della famiglia, in questo DPEF, che poteva rappresentare l'opportunità
giusta, non avete cercato responsabilmente di ritornare sui vostri passi, aprendovi ad una discussione seria, costruttiva, necessaria in questi tempi di grande crisi, al fine di limitare le numerose problematiche che a partire da settembre ci troveremo a dover affrontare, voi carissimi colleghi con un ulteriore atto indecoroso avete zittito tutti e avete continuato il vostro pronunciamento di parole malate.
Che dire, siamo molto amareggiati per quanto ci costringete a vivere ed a subire ma continueremo, utilizzo ancora l'articolo di Caroglio, se le parole non funzionano - per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati - a perseguire la nostra autentica cultura civile che ci invita a ripararle, così come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura, attraverso una puntuale denuncia e proposta che sempre abbiamo portato perché questa è la democrazia alla quale crediamo.
Pronte per essere usate di nuovo. In modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo e vedrete che vi riusciremo, non sono io a dirlo, è e sarà la storia.
ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, vorrei iniziare citando alcune considerazioni tratte dall'articolo di oggi di Carofiglio dal titolo: «Lo stato di salute della democrazia e l'incapacità di provare vergogna» che inizia dicendo: «Un sintomo del grado di sviluppo della democrazia e in generale della qualità della vita pubblica, si può desumere dallo stato di salute delle parole, da come sono utilizzate, da quello che riescono a significare.
Dal senso che riescono a generare. Oggi, nel nostro paese, lo stato di salute delle parole è preoccupante.
Stiamo assistendo a un processo patologico di conversione del linguaggio a un'ideologia dominante attraverso l'occupazione della lingua».
Trovo molto pertinente questa analisi, perché tocca di fatto, una verità negativa sempre più tangibile nel comportamento di questo Governo, come di questa maggioranza e che viene ribadita anche in occasione di questo DPEF.
Infatti nella sua stesura il Governo non ha tenuto presente l'articolo 81 della Costituzione, secondo il quale il Parlamento riveste un ruolo di indirizzo nella individuazione degli obiettivi economici, mortificando così, nuovamente, il ruolo istituzionale e politico di questo Parlamento ed evidenziando ulteriormente la gravità delle scelte sin qui effettuate dal Governo.
La riduzione del PIL pari ad un 5 per cento da un lato, la manovra governativa della spesa pubblica che non ha generato prospettive di miglioramento, dall'altro, e la considerazione che il debito pubblico si è innalzato e la pressione fiscale è aumentata, altro non attestano che il fallimento dell'intera manovra di risanamento, per la quale sono stati chiesti, tra l'altro, enormi sacrifici anche al settore dell'istruzione.
Per quanto riguarda il settore scolastico il fabbisogno finanziario ipotizzato dal DPEF risulta del tutto inadeguato a superare le problematiche che metteranno a serio rischio il corretto avvio dell'ormai imminente prossimo anno scolastico e, al contempo, insufficienti a prospettare qualsiasi intervento di valorizzazione e potenziamento del comparto scuola.
I tagli definiti dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, relativo a disposizioni in materia di organizzazione scolastica, prevedono un piano programmatico di riduzione di spesa pari a 7 miliardi 832 milioni di euro entro il 2012, miliardi prelevati all'istruzione al fine di conseguire la «razionalizzazione del personale», razionalizzazione di fatto che altro non è che un taglio lineare ed indiscriminato del personale stesso, pari a ben 87.341 posti di docenti e di 44.500 posti di personale ATA.
L'insostenibile aumento del numero degli alunni per classe; la riduzione del tempo scuola nella scuola primaria e secondaria di primo grado; l'indebitamento delle istituzioni scolastiche che non sono messe nelle condizioni di pagare le supplenze effettuate; la riduzione degli orari scolastici e di insegnamento di alcune discipline; un grave impoverimento della scuola pubblica, alla quale sono venute a mancare le risorse indispensabili per il suo funzionamento quotidiano e per lo sviluppo dell'azione didattica, educativa, di istruzione e ricerca, smantellandone punti essenziali di qualità; che altro non sono se non parole malate?
Tali interventi colpiscono duramente la scuola pubblica e sono destinati a produrre effetti devastanti con un immediato impoverimento dell'offerta formativa e didattica, acuendo così le diseguaglianze sociali e territoriali esistenti, colpendo i Pag. 88soggetti e le realtà più deboli, limitando la possibilità di successo scolastico per i bambini e i ragazzi in condizioni di disagio e disattendendo le istanze delle famiglie anche relativamente al tempo scuola.
La soppressione della programmata immissione in ruolo dei precari della scuola, già avviata dal precedente Governo, che avrebbe portato a termine, entro il 2010, il programma di assunzione di 150 mila docenti e di 30 mila unità di personale ausiliario tecnico amministrativo (ATA) ed i tagli avviati, determinano già dal prossimo lo settembre l'impossibilità a più di 225 mila dipendenti della scuola, docenti e non, di rientrare in servizio senza che il DPEF prospetti nessun utile intervento, più volte da noi ipotizzato, a tutela dei tanti dipendenti che resteranno senza lavoro, come ad esempio l'indennità di disoccupazione.
Per quanto riguarda il settore dell'università e della ricerca gli impegni finanziari che il Governo prospetta nel DPEF, anche alla luce dei tagli già avviati dalla finanziaria 2009, risultano inadeguati.
Anche a questo proposito si ricorda che le misure previste dal Governo, aldilà delle intenzioni annunciate nel DPEF sul settore universitario, si sono tradotte nel suddetto decreto-legge n. 112 del 2008, che ha previsto un ingiustificato e irrazionale blocco del turn over (poi stemperato con il decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1); in una iniqua rimodulazione degli scatti stipendiali che penalizza soprattutto coloro che assolvono al proprio dovere con professionalità e competenza, contraddicendo palesemente il principio di valorizzazione del merito tanto auspicato dall'attuale Governo; in una insostenibile decurtazione del Fondo di finanziamento ordinario già in atto dal 2009 e per un quinquennio, fino all'anno 2013; in una riduzione progressiva di oltre un miliardo e 400 milioni di euro e altresì in un taglio, approvato con il decreto-legge che ha previsto l'abolizione dell'ICI per i ricchi, di 16 milioni di euro a partire dal 2008 (stanziamenti introdotti ad incremento del medesimo Fondo, dal cosiddetto «Milleproroghe», approvato dal Governo Prodi) e di ben 467 milioni di euro permanenti a partire dal 2010; tali scelte, unite alla possibile trasformazione delle università in fondazioni, avranno come effetto certo un insostenibile aumento delle tasse per gli studenti e un prevedibile dissesto delle finanze di quasi tutti gli atenei, come peraltro paventato sia dagli organi di rappresentanza studenteschi che dagli organi di governo delle università.
Piccoli/grandi esempi, colleghi, di come le parole malate vanno ad impattare sul corpo sociale e voi pur avendo avuto sollecitazioni da tutta l'opposizione per rivedere queste scelte e tante altre scelte scellerate come il caso dei bambini invisibili che già a Prato, come viene oggi denunciato alla prefettura, manifesta la vostra assurda politica di parole malate, voi che vantate di essere garanti dei minori e della famiglia, in questo DPEF, che poteva rappresentare l'opportunità
giusta, non avete cercato responsabilmente di ritornare sui vostri passi, aprendovi ad una discussione seria, costruttiva, necessaria in questi tempi di grande crisi, al fine di limitare le numerose problematiche che a partire da settembre ci troveremo a dover affrontare, voi carissimi colleghi con un ulteriore atto indecoroso avete zittito tutti e avete continuato il vostro pronunciamento di parole malate.
Che dire, siamo molto amareggiati per quanto ci costringete a vivere ed a subire ma continueremo, utilizzo ancora l'articolo di Caroglio, se le parole non funzionano - per cattivo uso o per sabotaggi più o meno deliberati - a perseguire la nostra autentica cultura civile che ci invita a ripararle, così come si riparano meccanismi complessi e ingegnosi: smontandole, capendo quello che non va e poi rimontandole con cura, attraverso una puntuale denuncia e proposta che sempre abbiamo portato perché questa è la democrazia alla quale crediamo.
Pronte per essere usate di nuovo. In modo nuovo, come congegni delicati, precisi e potenti. Capaci di cambiare il mondo e vedrete che vi riusciremo, non sono io a dirlo, è e sarà la storia.
ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE DI RATIFICA NN. 2539, 2541, 2542, 2411 E 2551
Tempo complessivo: 2 ore per ciascun progetto di legge di ratifica.
Relatori | 5 minuti |
---|---|
Governo | 5 minuti |
Richiami al Regolamento | 5 minuti |
Tempi tecnici | 5 minuti |
Interventi a titolo personale | 17 minuti (con il limite massimo di 4 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato) |
Gruppi | 1 ora e 23 minuti |
Popolo della Libertà | 22 minuti |
Partito Democratico | 23 minuti |
Lega Nord Padania | 11 minuti |
Unione di Centro | 10 minuti |
Italia dei Valori | 9 minuti |
Misto: | 8 minuti |
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud | 2 minuti |
Liberal Democratici-MAIE | 2 minuti |
Minoranze linguistiche | 2 minuti |
Repubblicani, Regionalisti, Popolari | 2 minuti |
VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1) | ||||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nom. | Ddl 2561-A - voto finale | 535 | 535 | 268 | 285 | 250 | 24 | Appr. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.