Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 246 di venerdì 13 novembre 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 9,35.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Bosi è in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Soro ed altri n. 1-00260, Di Pietro ed altri n. 1-00230, Pezzotta ed altri n. 1-00266 e Cicchitto, Cota ed altri n. 1-00275 concernenti iniziative in materia di contrasto dell'immigrazione clandestina e per assicurare il rispetto delle norme costituzionali e internazionali, con particolare riferimento alle operazioni di respingimento (ore 9,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Soro ed altri n. 1-00260, Di Pietro ed altri n. 1-00230, Pezzotta ed altri n. 1-00266 e Cicchitto, Cota ed altri n. 1-00275 concernenti iniziative in materia di contrasto dell'immigrazione clandestina e per assicurare il rispetto delle norme costituzionali e internazionali, con particolare riferimento alle operazioni di respingimento (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 12 novembre 2009.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni all'ordine del giorno.
È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria, che illustrerà anche la mozione Soro n. 1-00260, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, il tema dei respingimento in mare, ossia quello posto dalle mozioni che stiamo discutendo, è uno dei più delicati del nostro dibattito politico. Quando diciamo uno dei più delicati evidentemente ci rendiamo conto che non c'è limite, perché poi se leggiamo i giornali di oggi rapidamente viene superato come tipo di gravità e di emergenza.
Comunque, è singolare il fatto che proprio sul tema dei respingimenti, così importante anche dal punto di vista della politica internazionale, non si sia svolto un adeguato dibattito in Parlamento. Sull'argomento l'attenzione è stata richiamata prevalentemente dai mezzi di informazione con alcuni reportage che naturalmente suscitano una maggiore attenzione nei momenti di maggiore emergenza. Pag. 2
C'è stata grande attenzione anche da parte delle agenzie internazionali, da parte dell'ONU e dell'Unione europea. Ci sono state autorevoli prese di posizione su questo argomento da parte di Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione europea con delega all'immigrazione ed Antonio Guterres, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. È stata presa posizione autorevole su questo argomento ed è intervenuta più volte anche la Chiesa cattolica ai suoi massimi livelli di responsabilità.
I dati dai quali dobbiamo partire sono estremamente significativi e stiamo solo parlando del periodo estivo, quando le condizioni del mare erano evidentemente molto migliori. Nel periodo compreso tra il 7 maggio e il 30 agosto 2009 sono state compiute 8 operazioni di respingimento nel corso delle quali 757 persone sono state ricondotte verso la Libia. Questo è quanto ha dichiarato il sottosegretario al Ministero dell'interno Alfredo Mantovano davanti al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen.
Il primo di tali respingimenti risale al 7 maggio 2009 quando 227 persone, tra cui 3 donne incinte, che viaggiavano su tre barconi nel canale di Sicilia, sono state fatte salire su navi militari italiane e sono state riportate in Libia e lì consegnate alle autorità libiche. Quindi, prima di tutto notiamo il fatto delle navi sulle quali salgono questi disperati del mare.
Il più recente caso di respingimento risale invece al 30 agosto 2009 e ha interessato 75 migranti raccolti in mare da una motovedetta italiana ed accompagnati nel porto libico nei pressi di Tripoli. Tra di essi vi erano 15 donne e tre minorenni. Certo, ci sono stati anche successivamente episodi di salvataggio in mare, come il barcone dei 200 di cui si è parlato recentemente e ci sono stati anche dei morti, ma in tutti quei casi non vi è stato respingimento, per quanto ne sappiamo.
Tra i dati di riflessione dai quali partiamo vogliamo aggiungere quello desunto dai dati ufficiali, secondo i quali nel 2008 circa il 75 per cento di coloro che hanno raggiunto l'Italia attraverso questi strumenti, cioè via mare, ha inoltrato formale richiesta di protezione internazionale e al 50 per cento di questi è stata concessa tale protezione o perlomeno un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Dal recente rapporto della Caritas si desume che oltre la metà degli stranieri arrivati sulle coste italiane in questo modo sono stati oggetto di protezione internazionale. I numeri assoluti dicono qualcosa di più: su un totale di 36.951, 17.880 sono stati rimpatriati. Parliamo di quelli che sono arrivati: naturalmente alcuni sono stati respinti, altri sono stati rimpatriati per altre vie.
Quindi, il problema del quale parliamo è molto rilevante. Dietro ciascuna di queste unità c'è una vita umana e noi sappiamo quali sono le condizioni quando vediamo quelle immagini raccapriccianti di quelle persone inginocchiate davanti a quei poliziotti che hanno le mani coperte da guanti di plastica per evitare il contatto e che naturalmente stanno lì implorando una possibilità di essere almeno identificati. Al centro della nostra attenzione è dunque questo indirizzo politico del Governo. La mozione ha proprio lo scopo di verificare questo indirizzo politico, maturato certamente in epoca recente, ma mai sottoposto al vaglio attento del Parlamento.
A proposito della ricerca dell'atto che ha in qualche modo esplicitato questo indirizzo politico ho citato le parole di Mantovano, ma debbo citare anche un comunicato stampa del Ministro Maroni del 7 maggio 2009, che si ricava dal sito web del Ministero dell'interno, dove - nel corso di una riunione tenutasi al Viminale - il Ministro, fornendo i dettagli dell'operazione cui ci stiamo riferendo, ha sottolineato il successo della diplomazia italiana e del Governo che, con la firma nei mesi scorsi del protocollo con la Libia, ha permesso per la prima volta l'attuazione del principio del respingimento verso il paese di provenienza dell'imbarcazione. Sottolineo le parole «con la firma del protocollo con Libia ha permesso per la prima volta l'attuazione del principio di Pag. 3respingimento verso il paese di provenienza dell'imbarcazione». Non consentendo l'arrivo, si impedisce a questi disperati di arrivare e, quindi, li si respingono in mare aperto in condizioni varie (se in acque territoriali o meno, questo lo vedremo). Questo è il modello - ha detto Maroni - che i Paesi europei debbono adottare verso i Paesi rivieraschi.
Se questo è il modello, vuol dire che il Parlamento avrà diritto e dovere di discutere questo tipo di linea politica, che non venga in qualche modo introdotta in maniera più o meno clandestina, soprattutto perché - questo credo di poterlo argomentare - l'aspetto più grave è costituito dal fatto che questo indirizzo appare in contrasto con alcuni principi della nostra Costituzione, con numerosi principi del diritto internazionale, con norme precise di natura comunitaria.
Quindi, vorrei dire subito che la nuova politica dei respingimenti in Libia delle persone intercettate nel canale di Sicilia è stata introdotta - come abbiamo visto - nel maggio del 2009 e inquadrata nelle misure volte a contrastare l'immigrazione clandestina. Risulta adottata - come abbiamo ricordato - a seguito di questo accordo bilaterale stipulato dal Governo italiano col governo della repubblica libica e fatto il 30 agosto 2008, legge di autorizzazione 6 febbraio 2009, n. 7.
Tra l'altro - qui c'è una prima riflessione da fare - nell'accordo bilaterale sopramenzionato non è possibile rinvenire alcun riferimento ai respingimenti. Quindi, vi è un indirizzo politico che nasce da un accordo che però non fa riferimento ai respingimenti, bensì esclusivamente alle operazioni di pattugliamento congiunto. Quindi, vi sarebbe un extra petitum: si è andati al di là dell'accordo stesso. Allo stesso modo, non è rinvenibile alcun riferimento alla possibilità di effettuare respingimenti di cittadini di Stati terzi nel protocollo firmato in precedenza a Tripoli il 29 dicembre 2007, né e neppure nel protocollo operativo seguito a tale accordo, né tanto meno all'interno del testo dell'accordo di cooperazione nel campo della lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e al traffico degli stupefacenti sottoscritto tra i due Paesi a Roma il 13 dicembre 2000, al quale pure si fa riferimento nei suddetti protocolli firmati a Tripoli.
Quindi la fonte non è certo questo accordo bilaterale che è uno strumento ai fini del pattugliamento congiunto.
Soffermiamoci un attimo sulle modalità di questi respingimenti e sul tema principale della non identificazione. Secondo quanto si apprende da informazioni giornalistiche e dalle segnalazioni di varie organizzazioni umanitarie internazionali non governative in tutti i casi, o almeno in molti dei casi di respingimento che hanno avuto luogo dal maggio del 2009 alla data odierna, bisogna sottolineare tre cose: non vi è stata da parte delle autorità italiane alcuna procedura di identificazione dei migranti, né un rilevamento delle loro condizioni di salute, né la verifica dei requisiti per la concessione della protezione internazionale. Inoltre, a seguito di un respingimento avvenuto il 1o luglio 2009 ad opera della Marina militare italiana, sono state ricondotte in Libia 82 persone, tra cui sono stati individuati dai rappresentanti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati 76 cittadini eritrei, un numero significativo dei quali risultava essere bisognoso di protezione internazionale, secondo quanto riportato nel corso del briefing per la stampa che l'UNHCR ha tenuto a Ginevra il 14 luglio 2009.
Tali dati e informazioni rendono molto plausibile l'ipotesi che tra i migranti riportati in Libia dal maggio 2009 alla data odierna, vi fossero anche numerosi individui che avrebbero avuto il diritto di usufruire di protezione internazionale nel nostro Paese e che probabilmente, se questi stessi avessero avuto la possibilità di chiedere asilo, un gran numero di essi avrebbe ottenuto la protezione internazionale nel nostro Paese. C'è un altro elemento di estrema gravità: oltre a non aver accertato la sussistenza dei requisiti per l'ottenimento della protezione internazionale, le autorità italiane dal maggio 2009 ad oggi hanno respinto i migranti verso un Pag. 4Paese dove i diritti dei rifugiati sanciti dalle norme internazionali non sono riconosciuti, dal momento che la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e non ha dato nessuna implementazione alla Convenzione dell'Organizzazione dell'Unione africana del 1969 sui problemi dei rifugiati in Africa.
Un rapporto dell'Human rights watch, dal titolo abbastanza significativo: «Scacciati e schiacciati», riferisce una serie di dati informativi. Questa nota organizzazione umanitaria non governativa con sede negli Stati Uniti d'America ha reso noto il 21 settembre 2009 che in Libia non esistono le strutture (e non lo sappiamo solo da questa organizzazione) per la verifica delle richieste d'asilo e i migranti, pur essendo cittadini di Stati terzi, sono imprigionati e sottoposti a trattamenti inumani e degradanti e detenuti presso strutture sovraffollate, in precarie condizioni igieniche e senza alcuna assistenza di tipo legale.
Il principio di non respingimento (non-refoulement) è uno dei principi fondamentali del diritto internazionale relativo ai diritti umani e si configura come il divieto per gli Stati di respingere o indirizzare una persona verso luoghi ove la sua libertà e la sua incolumità personale possano essere messe a repentaglio. L'articolo 33 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e ratificata dall'Italia con legge 24 luglio 1954, n. 722, stabilisce che: «nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.». L'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 su questo punto sancisce il diritto di chiedere asilo in caso di persecuzione.
La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974 (acronimo inglese SOLAS) nonché la Convenzione internazionale marittima sulla ricerca e il salvataggio marittimo del 1979 (acronimo inglese SAR) obbligano gli Stati a condurre le persone salvate in mare in un porto sicuro.
Allora bisogna domandarsi quale sia il valore di questo principio perché dal punto di vista del diritto internazionale ci sono due tipi di fonti: ci sono gli atti internazionali, alcuni di questi li ho citati e altri li citerò, e ci sono le prassi internazionali che sono talmente consolidate che diventano, anche per il nostro ordinamento, in base alla primo comma dell'articolo 10 della Costituzione, diritto costituzionale. È unanimemente ritenuto che il principio di non-refoulement si configuri quale diritto internazionale consuetudinario ovvero appartenga alle norme che vincolano ugualmente tutti gli Stati appartenenti alla comunità internazionale.
È inoltre possibile affermare che il principio di non-refoulement abbia assunto natura di carattere cogente (jus cogens) in quanto «norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati (...) in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere». Per intenderci, queste norme sono superiori ai trattati internazionali ed entrano nella nostra Costituzione a pieno titolo in base al principio che ho richiamato; infatti l'articolo 10, che ora cito testualmente, afferma: «L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute». L'articolo 10 della Costituzione enuncia poi, in un comma successivo, il diritto di asilo: è noto, infatti, che nel territorio della Repubblica è garantito il diritto d'asilo allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'esercizio delle libertà democratiche. Quindi, è molto importante ricordare quale valore ciò abbia nel nostro ordinamento: se questo principio ha una natura costituzionale, non ci può essere un indirizzo politico del Governo, o di chiunque, che si ponga in contrasto con un principio di tale natura.
Riguardo all'ambito applicativo, il principio del non respingimento non si applica, Pag. 5e questo è molto importante, non soltanto quando una persona si trova nel territorio di uno Stato (territorio, acque territoriali e spazio aereo), ma anche quando un individuo è sottoposto alla effettiva giurisdizione di uno Stato, come nel caso di pattugliamenti e respingimenti che avvengono ad opera di appartenenti alle forze armate italiane. Se taluno avesse dei dubbi al riguardo, basta che vada a leggere l'articolo 4 del codice della navigazione che stabilisce che una nave italiana, sia che essa si trovi in acque territoriali, zona contigua, alto mare o mare di altro Stato, è considerata territorio italiano, e quindi su di essa si applicano tutte le norme in vigore nella Repubblica italiana.
Dopo aver detto che questo è un principio costituzionale, che ha questo spessore, questa portata e che vincola, naturalmente, non soltanto nel territorio dello Stato italiano, ma anche nei luoghi ove lo Stato italiano esercita la sua giurisdizione, quindi anche in acque di altri Stati, se si tratta di navi italiane o se queste hanno partecipato all'operazione, vediamo cosa prevedono i documenti internazionali, che sono un gradino più sotto, ma certamente sopra gli indirizzi politici.
L'articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 vieta di respingere o estradare una persona verso un altro Stato, qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato essa rischia di essere sottoposta a tortura o a violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo. Questo è quanto prevede la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura.
Analogamente l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come interpretato dalla Corte europea di Strasburgo, stabilisce che nessun individuo possa essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti e che non possa essere allontanato verso uno Stato dove rischi di subire un tale trattamento e la giurisprudenza della stessa Corte di Strasburgo ha più volte sottolineato che tale divieto si applica anche nel contesto di espulsioni o respingimenti e qualora vi sia un rischio di espulsioni o respingimenti a catena.
L'articolo 4 del protocollo aggiuntivo n. 4 alla già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali vieta le espulsioni collettive dì stranieri e va ricordato che secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sono da considerarsi espulsioni collettive tutte quelle misure di allontanamento degli stranieri effettuate senza un esame individuale della situazione di ciascuna persona.
Scendiamo ancora un gradino, o comunque andiamo di lato, e consideriamo le regole europee, perché nella gerarchia delle fonti vi sono: consuetudini, Costituzione, regole internazionali e regole europee.
L'articolo 21 della direttiva 2004/83/CE richiede agli Stati membri di rispettare il principio di non-refoulement in conformità dei propri obblighi internazionali (siamo nel 2004). Nel 2005 l'articolo 6, comma 5, della direttiva 2005/85/CE stabilisce che allo straniero venga garantita la possibilità di accedere alla procedura volta all'ottenimento della protezione internazionale. Avviciniamoci: l'articolo 13 del regolamento della Comunità europea n. 562/2006 consente agli Stati di respingere gli stranieri che non soddisfino i requisiti per l'ingresso, ma prevede anche che tali respingimenti debbano sempre avvenire nel rispetto delle norme relative al diritto d'asilo ed esclusivamente attraverso un provvedimento motivato - il che vuol dire che deve essere individuale - che indichi le ragioni precise di tale respingimento.
Scendiamo ancora un gradino e veniamo alle norme italiane (mi sto avvicinando alla conclusione): ho già citato l'articolo 10 della Costituzione, ma vi è anche l'articolo 10 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, quello ben noto, che prevede che il respingimento non possa applicarsi nei casi previsti dalle disposizioni vigenti disciplinanti l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato o la Pag. 6concessione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari. Anche le nostre norme interne, quindi, dicono qualcosa di preciso.
All'articolo 19 di questo stesso testo unico si aggiunge che in nessun caso sia ammissibile il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere perseguitato per motivi di sesso, razza, religione, lingua, cittadinanza, orientamento politico, condizioni personali e sociali ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.
Come si vede, non si trova in alcun livello normativo, sovraordinato a un indirizzo politico del Governo, un qualsiasi appiglio o aggancio che possa giustificare un tale orientamento. Tra l'altro, vi sono alcune modalità attuative che non sono secondarie: l'articolo 3 del regolamento di attuazione del testo unico, parlo di quello nazionale, fa obbligo di comunicare allo straniero, mediante consegna a mani proprie, un provvedimento di respingimento scritto e motivato.
Non riesco a vedere come questa dinamica dei respingimenti in mare di persone in blocco possa prevedere da parte di un poliziotto con i guanti in mano la consegna di un provvedimento di respingimento scritto e motivato.
L'articolo 5, comma 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che per noi è legge addirittura sovraordinata a quella ordinaria, stabilisce che vi sia l'obbligo di informazione, in lingua comprensibile alla persona interessata, sui motivi alla base della privazione della libertà. Non riesco a immaginare facilmente neanche questa procedura in quelle particolari condizioni di mare.
Riassuntivamente, alla luce di tutte le precedenti affermazioni, si deduce che non possa essere invocato a fondamento giuridico degli atti di respingimento il fatto che essi vengano attuati in base a un accordo bilaterale di carattere internazionale con la Repubblica libica, dal momento che tutti questi principi, e in particolare il principio di non-refoulement, in quanto norma cogente, sono del tutto inderogabili, mentre noi li stiamo derogando e li abbiamo derogati in ripetute occasioni, naturalmente, con questo, acquistando anche delle responsabilità, che non credo quelle persone siano in grado di far valere, ma in sede politica dobbiamo porci questo problema.
Veniamo alle conclusioni, molto rapidamente: il primo impegno che attraverso questa mozione si chiede al Governo è di porre fine a questa persistente e consapevole - perché credo che le cose che ho citato non siano sconosciute a chi pratica questi comportamenti - violazione di norme internazionali consuetudinarie, disposizioni costituzionali, accordi internazionali, norme comunitarie e ordinarie del nostro Paese.
Si chiede, altresì, di rivedere, anche alla luce delle dichiarazioni che prima ho citato, le politiche di gestione dei flussi migratori nel Canale di Sicilia, nonché i contenuti attuativi dell'accordo con la Libia, chiarendo la sostanziale differenza tra il pattugliamento del tratto di mare tra Italia e Libia e un comportamento attivo contrario a tutti principi suddetti, quale quello del respingimento collettivo in blocco dei migranti intercettati.
Terzo punto, assicurare in ogni caso procedure d'asilo eque e garantite, compreso il diritto di eccepire il timore di trattamento contrario all'articolo 3 della CEDU per ciascuna persona sotto il controllo delle autorità italiane, compresi coloro che vengono intercettati in mare, nonché il rispetto dell'inviolabilità della libertà personale, così come stabilito, se non ci fosse bisogno di altri ricami costituzionali, dall'articolo 13 della nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la mozione Di Pietro ed altri n. 1-00230, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, l'Italia dei Valori, nel promuovere la mozione in esame, ne fa Pag. 7oggetto di ulteriore approfondimento, consegnando al Governo e alla maggioranza elementi di riflessione dai quali auspica possano determinarsi dei ravvedimenti e delle modifiche necessarie nelle linee di azione del Governo italiano (in questo caso, i respingimenti), nonché sulle politiche messe in campo dal Ministro Maroni.
Detto questo, passo ad illustrarvi la mozione, che contiene gli elementi che secondo me, al di là delle posizioni di maggioranza e opposizione, hanno necessità di essere veramente posseduti dall'intero Parlamento, affinché ognuno ne prenda contezza e poi se ne faccia elemento non solo di approfondimento, ma anche di orientamento diverso, anche nella misura e nella direzione che sono state prese dall'ONU e dall'Unione europea per quanto riguarda la materia dei respingimenti. Passo inoltre ad elencarvi alcuni elementi che riguardano la qualità e la quantità degli interventi prodotti attualmente dal Governo e dal Ministero.
Secondo i dati diffusi da Fortress Europe, osservatorio sulle vittime dell'emigrazione, nonché rassegna stampa che dal 1988 fa memoria delle vittime delle frontiere europee, dall'inizio di maggio 2009 i respingimenti di cui si ha notizia sono stati circa 1.216. È il 7 maggio 2009 quando le autorità italiane danno inizio ai primi respingimenti: 238 rifugiati e migranti, tra i quali anche 41 donne, di cui tre in stato di gravidanza, soccorsi in acque internazionali dalla guardia costiera e dalla guardia di finanza italiane, vengono ricondotti in Libia. Molti di questi migranti arrivati a bordo dei barconi non potevano essere respinti, perché provenivano da aree dove sono in atto guerre e persecuzioni; come ad esempio la Somalia, uno dei cinque Paesi meno sviluppati del mondo, nella cui capitale si stanno da tempo intensificando i combattimenti tra estremisti islamici di al-Shabab e le forze del Gun, la coalizione di unità nazionale: solo nella regione di Mogadiscio si registrano dal 7 maggio a oggi più di 100 morti e 46 mila profughi.
Altri episodi di respingimenti collettivi in Libia (lo ricordo, è Paese che non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951, e che quindi non dispone ancora di un sistema di protezione e non risulta ancora in grado di fornire alcuna garanzia che le persone, anche quelle bisognose di protezione internazionale, non vengano rimpatriate nei loro Paesi di origine) si sono succeduti in questi ultimi mesi senza che siano state accertate né l'identità né la nazionalità dei rifugiati, azione fondamentale per stabilire se potevano ottenere lo status di rifugiato politico o di richiedente asilo.
Tali decisioni urtano palesemente contro l'articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che recita: «Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti»; e contro le disposizioni della Convenzione di Ginevra che impongono, come ricordava il collega Zaccaria, il «non refoulement» degli aventi diritto all'asilo politico, che in pratica sono quasi il 30 per cento dei migranti che partono dalla Libia.
Risulta peraltro che tutti questi rifugiati e migranti provengono anche da vari Paesi dell'Africa subsahariana, ma nessuno dal Maghreb: la maggioranza dalla Nigeria, che nel 2008 ha rappresentato il gruppo più numeroso di richiedenti asilo in Italia; altri dalla Costa d'Avorio, dal Ghana e dal Mali. Risulta inoltre che tutti i naufraghi, a tutt'oggi, vengono trattenuti nel centro di Duisha, vicino Tripoli, che però non prevede la presenza di donne, per le quali è previsto il trasferimento al centro di Zawia, a 40 chilometri dalla capitale.
La portavoce della sezione italiana dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Laura Boldrini, ha ricordato che il principio di non respingimento vale anche in acque internazionali e non conosce limitazione geografica, ed è contenuto anche nella normativa europea e nell'ordinamento giuridico italiano. Tra i respinti in Libia lo scorso 7 maggio 2009 vi sono 24 persone, per la maggior parte somali ed eritrei, che hanno richiesto allo Pag. 8studio Lana Lagostena Bassi di Roma, di presentare ricorso contro il Governo italiano presso la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Il 15 maggio 2009, il rappresentante in Italia dell'UNHCR, Laurens Jolles, ha incontrato il Ministro dell'interno italiano per discutere delle implicazioni derivanti dalla politica dei respingimenti di migranti e richiedenti asilo verso la Libia attuata recentemente dal nostro Governo, con la richiesta di riammettere queste persone sul territorio italiano sottolineando che «dal punto di vista del diritto internazionale, l'Italia è responsabile per le conseguenze del respingimento». Il Ministro dell'interno ha poi confermato la propria intenzione di mantenere questa linea affermando: «Andiamo avanti con i respingimenti, del problema si faccia carico l'Unione europea».
L'UNHCR ha inoltre sottolineato che «il 75 per cento circa dei 36 mila migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2008 - quindi due su tre - ha presentato domanda d'asilo, sul posto o successivamente, mentre il tasso di riconoscimento di una qualche forma di protezione (status di rifugiato o protezione sussidiaria o umanitaria) delle persone arrivate via mare è stato di circa il 50 per cento. Nel 2008, la maggior parte delle persone arrivate via mare che ha ottenuto protezione internazionale proviene da Somalia, Eritrea, Iraq, Afghanistan e Costa d'Avorio».
L'Unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo ha ricordato che basterebbe organizzare le navi italiane per poter accogliere le domande d'asilo, nel solco della proposta del CIR per una legge organica sul diritto di asilo e la protezione sussidiaria avanzata nel 2006. L'ultimo respingimento del Governo italiano nei confronti di un gruppo di migranti somali, intercettati alla fine d'agosto, su un gommone al largo delle coste siciliane, si è lasciato alle spalle una scia di polemiche e proteste, a cominciare da una lettera inviata dalla Commissione dell'Unione europea tanto all'Italia quanto a Malta, con la quale si chiedono «chiarimenti» sulla vicenda che ha visto coinvolti i due Paesi. L'articolo 4 del IV protocollo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali vieta espressamente le espulsioni collettive. I respingimenti, ancorché occorsi in acque internazionali, riguardano migranti fatti salire a bordo di unità marittime italiane, che in base all'articolo 4 del codice di navigazione sono sotto la giurisdizione dello Stato italiano e quindi sotto il testo unico sull'immigrazione (all'articolo 10, comma 4) come modificato dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, che vieta il respingimento in frontiera «nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari».
L'Alto commissario ONU per i diritti umani, Navi Pillay, ha in questi giorni denunciato le politiche nei confronti degli immigrati, adottate anche dall'Italia, «abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale».
Risalgono al 21 settembre 2009 alcune dichiarazioni che fanno capo all'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Antonio Guterres, il quale, durante una conferenza stampa a Bruxelles, con il Commissario europeo con delega all'immigrazione, Jacques Barrot, ha ribadito - si tratta di fatti non di forma - le forti riserve sui respingimenti dei migranti verso la Libia effettuati dalle autorità italiane. «La nostra posizione è molto chiara», dice Guterres, «non pensiamo che in Libia esistano le condizioni necessarie per garantire la protezione dei richiedenti asilo». L'Alto Commissario dell'UNHCR ha parlato di condizioni di detenzione terribili e di un grave rischio che i richiedenti asilo vengano rinviati nei paesi di origine. «Dobbiamo dimostrare ai libici che la situazione attuale è inaccettabile e non può perdurare», questo ha detto dal canto suo Barrot, che ha oggi presentato al Consiglio dell'Unione europea dei ministri degli interni il suo programma di ripartizione degli immigrati che hanno diritto all'asilo. Pag. 9
Barrot ha quindi auspicato l'aiuto dell'Alto commissariato per far sì che la situazione dei richiedenti asilo in Libia cambi al più presto. L'Italia intercetta migranti e richiedenti asilo africani su barconi, senza valutare se possano considerarsi rifugiati o se siano bisognosi di protezione, e li respinge con la forza in Libia, dove in molti sono detenuti in condizioni inumane e degradanti e vengono sottoposti ad abusi, dice dal canto suo Human Rights Watch nel rapporto «Scacciati e schiacciati» che ricordava il collega Zaccaria. «La realtà è che l'Italia sta rimandando questi individui incontro ad abusi», ha detto Bill Frelick, direttore delle politiche per i rifugiati ad Human Rights Watch ed autore del rapporto. «I migranti che sono stati detenuti in Libia riferiscono, categoricamente, di trattamenti brutali, condizioni di sovraffollamento ed igiene precaria». Gli italiani usano la forza nel trasferire i migranti dai barconi su imbarcazioni libiche o li riportano direttamente in Libia, dove le autorità li imprigionano immediatamente. Alcune delle operazioni sono coordinate da Frontex, l'agenzia dell'Unione europea per il controllo delle frontiere esterne. La politica dell'Italia costituisce un'aperta violazione dell'obbligo di non commettere refoulement, ossia il rinvio di individui con la forza verso luoghi dove la loro vita o libertà è minacciata o dove si rischierebbe la tortura o un trattamento inumano o degradante.
«L'Italia viola i propri doveri legali» - ha detto Frelick - «e l'Unione europea dovrebbe esigere che l'Italia rispetti i propri doveri ponendo termine a tali rinvii verso la Libia. Altri Stati membri dell'Unione europea dovrebbero rifiutare di prendere parte ad operazioni di Frontex che sfociano in rinvii di migranti ed abusi».
«Scacciati e schiacciati» si basa su 91 interviste con migranti, richiedenti asilo e rifugiati in Italia e a Malta, condotte nel maggio 2009, e su un'intervista telefonica con un migrante detenuto in Libia. Human Rights Watch ha visitato la Libia in aprile ed ha incontrato funzionari governativi, ma le autorità libiche non hanno permesso all'organizzazione di intervistare i migranti in condizioni di riservatezza né di visitare alcun centro di detenzione per migranti.
Comunque, tra le interviste citate vi è anche quella di Daniel, un eritreo di 26 anni ascoltato a maggio in Sicilia, che ha denunciato di essere stato picchiato dai libici che avevano riportato in Libia il suo gruppo intercettato e respinto dalle autorità maltesi.
«La clausola sui diritti umani nel prossimo accordo quadro tra Unione europea e Libia, così come qualunque altro accordo da esso derivante, dovrebbe includere un riferimento esplicito ai diritti dei richiedenti asilo e dei migranti come requisito per qualsiasi cooperazione nei piani di controllo sulla migrazione», ha detto Frelick. Human Rights Watch non ha prove tali per fare una stima di quanti migranti, che si trovano in Libia, o che cercano di entrare nell'Unione Europea attraverso l'Italia o Malta, possano riconoscersi come rifugiati.
Ma secondo dati forniti dall'organizzazione per i diritti umani, il tasso di accoglimento delle domande di asilo nel 2008 è stato, per tutte le nazionalità, del 49 per cento in Italia e del 52,5 per cento a Malta. Trapani, che ha competenza anche per Lampedusa (il punto d'entrata per la maggior parte degli arrivi di barconi dalla Libia), ha accolto, dal gennaio all'agosto del 2008, il 78 per cento delle domande d'asilo.
Per tutte queste ragioni, l'Italia dei Valori con questa mozione impegna il Governo affinché si appresti ad attuare una rigorosa politica di contrasto all'immigrazione clandestina colpendo soprattutto le organizzazioni criminali che gestiscono questa inaccettabile tratta di esseri umani; impegna ancora il Governo a non proseguire la pratica dei respingimenti indiscriminati e collettivi degli emigranti più volte compiuti dalla guardia di finanza, che si è trovata a soccorrere in mare e, successivamente trasferire in Libia, oltre un migliaio di extracomunitari negli ultimi mesi; infine, ma non ultimo, Pag. 10impegna il Governo a rispettare le normative internazionali relative al diritto di quanti si trovano nella condizione di chiedere asilo politico perché provenienti da Paesi in guerra, come è stato abbondantemente accertato per quanti fuggono sopratutto dalla guerra civile in Somalia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pezzotta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00266. Ne ha facoltà.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho molto apprezzato l'intervento del collega Zaccaria, e mi congratulo con lui, anche perché evita di prolungarmi. Si è trattato di un intervento molto documentato, idealmente motivato, che mi consente, prima di entrare nel merito, di svolgere alcune riflessioni per inquadrare il tema. Parto da una semplice domanda: cosa fa un Paese civile se arriva una barca piena di persone inermi, spesso donne e bambini, che fuggono dalla fame e dalla miseria, e magari dalle guerre e dalle persecuzioni? La risposta dovrebbe essere alquanto esplicita e abbastanza ovvia, mentre, invece, in questi ultimi tempi, non lo è più, perché tra i meriti che questo Governo rivendica vi è anche la politica dei respingimenti che si attua anche nonostante che la Convenzione di Ginevra del 1951 li dichiari illegittimi. In questi mesi abbiamo visto (ormai i mezzi televisivi ci mettono sempre in presa diretta) persone - non cose! - che per ore, per giorni, sono state ferme su dei barconi, mentre si discuteva se era compito nostro o di altri portargli soccorso. Sappiamo - lo abbiamo visto - che delle persone erano in mare mentre si discuteva se toccava all'Italia o all'Europa aiutarle. Non sono gli immigrati il problema dell'Italia e dell'Europa. Il problema su cui dovremo riflettere con maggiore attenzione sono i poveri di tutto il pianeta che forzano le frontiere.
Voglio vedere se nella legge finanziaria, per quanto riguarda gli aiuti ai Paesi deboli, e la cooperazione internazionale, vi sono delle risorse sufficienti; se non vi fossero, ci troveremo a respingere e a non aiutare. Siccome, per quel che si sa, grandi risorse non ve ne sono, credo che siamo in una situazione veramente delicata.
Non li chiamiamo barbari, ma li riteniamo tali, e pensiamo di respingerli perché temiamo l'invasione. Ma perché sono così non tollerati i loro volti e le loro storie? Perché li criminalizziamo quando sappiamo, e lo diciamo tutti, che sono altri i loro aguzzini, gli organizzatori criminali della loro disperazione? Con la crisi che morde veramente - altro che se ne sta uscendo! - sono aumentate le preoccupazioni, i timori, le paure, ma anche le lacrime di persone residenti in Italia da anni con tutta la famiglia che lavorano nelle nostre fabbriche, nei cantieri, nelle campagne. Lacrime dovute alla perdita di lavoro e alle preoccupazioni su quale sarà il loro futuro. Basta vedere come sono diminuite le rimesse dal nostro Paese verso i Paesi di provenienza per capire qual è la situazione. Si tratta di persone che si trovano nell'impossibilità di pagare l'affitto, di usufruire di servizi. Mi risuonano ancora nelle orecchie le parole di un marinaio di una motovedetta della guardia di finanza che diceva: ci urlavano fratelli, fratelli, aiutateci, ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano di riportarli indietro, di accompagnarli in Libia.
Abbiamo più volte ascoltato la Chiesa cattolica, le sue gerarchie, intervenire sullo stesso problema. Anche recentemente il Papa ha ripreso la questione e ci ha detto di aprire all'accoglienza e all'attenzione. Parliamo molto, in questi tempi, di radici cristiane, ci si fa portatori e difensori della cultura cristiana. Giustamente ci indigniamo per il crocifisso che si vuole togliere dagli edifici pubblici, ma, nello stesso tempo, ci si dimentica che il cristianesimo è, innanzitutto, attenzione, amore verso il prossimo, è accogliere le esigenze dei poveri, dei più deboli, tra cui rientrano i disperati del mare.
Io sono pertanto per rispettare i nuovi crocifissi che sono queste persone, non solo il crocifisso come simbolo, ma il crocifisso come persone, fatte di carni sofferenti. Il nostro è un Paese di operai, contadini, artigiani, piccoli commercianti, Pag. 11di gente non ricca, dove fin da piccoli si imparava ad accogliere i più poveri. Nelle nostre campagne lombarde - almeno nelle mie - si riservava sempre un posto a tavola per il più povero, ed erano poveri. Ricordo che nella casa di mio nonno c'era un posto perché magari arrivava qualcuno. Queste sono le nostre radici cristiane, che ormai stiamo perdendo, e stiamo perdendo il senso profondo della nostra storia di migranti.
Per difendere la politica dei respingimenti si ricorre alle solite argomentazioni che si basano su dati non corrispondenti alla realtà, in base ai quali l'Italia sarebbe il porto di mare dove arrivano tutti i profughi dal mondo. Ma non è così. Nel mondo ci sono 42 milioni di profughi, la maggioranza - l'80 per cento - di essi si trova nei Paesi in via di sviluppo (Asia, Africa, eccetera), solo 4 milioni e mezzo in Europa. Quanto all'Europa, attualmente in Italia ci sono 47 mila rifugiati (lo 0,7 ogni mille abitanti), in Germania 580 mila (più di sette ogni mille abitanti), nel Regno Unito 990 (quasi cinque ogni mille abitanti), in Francia 160 mila, e così via. In un recente articolo de Il Sole 24 Ore, che non è - mi sembra - un giornale eversivo, è stato spiegato quanto siano false le argomentazioni dell'invasione, e attraverso una recente indagine ci hanno anche dimostrato che un quarto delle persone che si rivolgono, in Italia, per avere delle cure e delle assistenze è in Italia da più di quattro anni. Si tratta di persone che arrivano non necessariamente da irregolari nel nostro Paese e poi vi rimangono. Sono certamente, forse, tante volte irregolari, ma perfettamente inserite, se è vero che il 70,4 per cento di loro ha un lavoro (ovviamente in nero) e il tasso di occupazione però è del 76 per cento, dunque maggiore a quello della popolazione italiana (fermo al 59 per cento). Insomma l'unica politica sensata, moderata, sarebbe quella di regolarizzare tutte queste persone. Non vale l'ideologia: non possiamo fare entrare chiunque. Perché di fatto rispetto al nostro sistema economico queste persone sono già dentro, anche se non sono state accolte a braccia aperte. È una questione appunto di civiltà, di rispetto del diritto internazionale. Le persone che chiedono aiuto, che fuggono dalla repressione, che fuggono dalla guerra, che fuggono dalla fame, chiedono di essere accolte, identificate per verificare se hanno il diritto ad essere accolte e ad entrare nella dimensione dell'asilo politico o della protezione umanitaria, non rigettate in mare e rimandate in Libia. Ovviamente per quelli che eventualmente non avessero questo diritto si ha la possibilità di rimpatriarli nel loro Paese di origine, solo se questo non comporta elementi negativi sulla loro dignità, sulla loro integrità; se non è possibile, occorre trovare un Paese terzo, dove non sono a rischio di vessazione. Questi sono i ragionamenti che noi dovremmo fare.
Venendo alle nostre questioni, l'articolo 19 del Trattato di amicizia, sul quale noi dell'Unione di Centro abbiamo espresso voto contrario, concernente il partenariato e la cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto del 2008, prevede l'intensificazione della collaborazione e la definizione di iniziative volte a prevenire il fenomeno dell'immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori. I pattugliamenti misti delle coste rientrano in tale iniziativa.
Tuttavia, tra il maggio e l'agosto scorso, le unità militari italiane sono state attivamente coinvolte in procedure di respingimento diretto verso le coste africane di natanti carichi di persone, di migranti, senza aver proceduto ad alcuna loro identificazione, aver rilevato le loro condizioni di salute, verificati i requisiti per la concessione della protezione internazionale.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Pezzotta.

SAVINO PEZZOTTA. Ricordo qui quanto dice l'articolo 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, che prevede il divieto di espellere e di respingere; l'articolo 3 della Convenzione ONU sulla tortura e l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Pag. 12diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che dispone un analogo divieto; l'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, che sancisce il diritto di chiedere asilo in caso di persecuzione. Ricordiamo che dinanzi alla Corte dei diritti umani di Strasburgo è stato presentato un ricorso contro l'Italia da parte di 24 rifugiati somali ed eritrei respinti dall'Italia il 7 maggio 2009 per violazione dell'articolo 3 di altri articoli della Convenzione europea dei diritti umani.
Ritengo che da un punto di vista normativo, da un punto di vista delle Convenzioni internazionali, quanto stiamo facendo sia oltre, sia fuori, non sia contemplato. Non è contemplato nemmeno l'avviso della Commissione europea di cui alla direttiva sulle diverse procedure. Potrei andare avanti ad elencare tutti questi fatti per dimostrare come stiamo compiendo atti che si pongono al di là delle regole e delle norme internazionali, dei trattati e delle Convenzioni di cui noi siamo firmatari.
Per questo motivo chiediamo al Governo una maggiore attenzione e osservanza delle leggi nazionali vigenti e delle normative comunitarie ed internazionali in materia di diritto di asilo al fine di evitare il riproporsi in futuro di analoghi episodi di respingimento collettivi di migranti. Tocca allo Stato, in particolare al Governo, dimostrare il rispetto delle leggi. È una questione di legalità: com'è una questione di legalità quella sulla quale ci adoperiamo per quanto riguarda la sicurezza, anche questa è una questione di legalità che fa capo soprattutto al Governo. Impegniamo il Governo a predisporre sulle unità navali addette al pattugliamento delle coste maggiormente soggette a fenomeni di immigrazione clandestina le strutture idonee ad espletare tutte le procedure per consentire l'accoglimento delle domande di asilo, per capire chi ha diritto di asilo e chi non lo ha. Non possiamo fare di ogni erba un fascio. Vi sono questioni umane, questioni che attengono alla dignità e ai diritti universali delle persone che noi non possiamo non vedere.
Impegniamo il Governo ad attuare una politica di allontanamento e di rimpatrio efficace nel rispetto della legalità e della dignità umana, ad adottare ogni utile iniziativa volta a fornire un maggior sostegno ai Paesi terzi perché potenzino le capacità di sviluppare i sistemi propri di asilo e protezione, controllando che tali sistemi funzionino nel rispetto della dignità della persona, a favorire l'approvazione e la realizzazione del Programma «Stoccolma» promosso dalla presidenza svedese, nel turno di presidenza dell'Unione europea che ha fatto della cooperazione europea in materia di giustizia, affari interni e immigrazione una delle sue priorità. Questo è quanto chiediamo, tenendo conto che si tratta di ragionare su una questione che è essenzialmente di civiltà e di rispetto delle persone (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli, che illustrerà anche la mozione Cicchitto, Cota ed altri n. 1-00275, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione a firma dei presidenti dei gruppi del Popolo della libertà e della Lega Nord Padania impegna il Governo, al contrario di quelle illustrate in precedenza dai colleghi, a continuare nella politica che questo Governo sta conducendo in materia di immigrazione. L'immigrazione è un tema divenuto, per la mancanza forse di gestione a livello europeo negli ultimi venti anni, uno dei problemi di oggi e di domani.
Il flusso migratorio è sempre più pesante. L'Italia, come confine meridionale dell'Europa, si ritrova nella strana posizione di essere, da un lato, accusata in qualche modo di non essere in grado di gestire esattamente i propri confini (di non essere, cioè, in grado di controllare l'ingresso in Europa dei migranti clandestini e di farli, quindi, entrare in Europa), e, dall'altro lato, viene condannata dalle varie organizzazioni umanitarie o anche da altri in sede europea, per essere eccessivamente dura nel respingere. Pag. 13
Noi siamo esattamente come gli altri Paesi d'Europa. Devo dire che mi stupisce sempre come l'Italia sia sotto l'occhio attento di molte organizzazioni internazionali, cosa che non accade nei confronti di altri Paesi; cito, ad esempio, la Spagna, la quale ha sicuramente una politica decisamente più rigorosa e più dura di quella del Governo italiano, ma che, molto spesso, per voce delle sue autorità soprattutto politiche, si permette di criticare la rigidità del sistema italiano: capisco bene che è meglio che gli immigrati clandestini arrivino in Italia, piuttosto che invadere le coste spagnole!
In quanto confine dell'Europa meridionale, chiaramente, la problematica massima che l'Italia si trova ad osservare è nei confronti della Libia: non come Paese effettivo di emigrazione, ma come Paese in cui si concentra, di fatto, tutto il flusso migratorio. Questo ormai è un dato di fatto accertato, tanto che i Governi che si sono succeduti hanno lavorato su questo punto. Non a caso stiamo parlando della negoziazione di un Trattato iniziata sotto il Governo Berlusconi nel 2001-2006, proseguita sotto il Governo Prodi con il Ministro Amato e con colloqui con la Libia, e conclusa sotto il Governo Berlusconi. Prova ne è che, in sede di ratifica, tale Trattato (dove si è parlato ovviamente anche di come trattare le navi, in quanto, onestamente, non riesco a capire cosa siano i pattugliamenti in mare, non credo che si parli di «crociere» in giro per il mare, credo che dovranno svolgere qualche funzione di vigilanza), a parte l'Unione di Centro, è stato approvato da tutti gli altri partiti, compreso il Partito Democratico, in questa Aula.
Credo inoltre che su questo tema, al di là delle critiche e delle polemiche legittime che si possono fare tra maggioranza e opposizione in ciascun Paese, sia arrivato il momento in cui ciascuno si assuma le proprie responsabilità: l'Italia si assuma le proprie, l'Europa si assuma le proprie, l'ONU si assuma le proprie. A questo proposito, ovviamente, si prendono in considerazione le critiche da parte dell'ONU nei confronti dell'Italia, ma credo che dovremmo anche noi chiedere conto all'ONU di quanto scritto da uno dei principali quotidiani bengalesi nell'ottobre 2008, dove si dice che dei 12,3 miliardi di dollari previsti dall'ONU per combattere la crisi alimentare - quindi, la fame nel mondo dei nuovi poveri - si sono perse le tracce. Pertanto, critiche ai Paesi, ma, forse, l'ONU cominci anche a fare il proprio mestiere, proprio per evitare che i flussi migratori siano così dirompenti e che vi siano tanti disperati alle nostre porte.
Aggiungo che l'impegno maggiore che questo Governo deve affrontare è quello nei confronti dell'Europa, ossia della responsabilizzazione sempre maggiore dell'Europa sulle politiche di immigrazione e sulle politiche di riferimento, tanto nel rafforzamento di Frontex e delle agenzie relative, quanto e soprattutto in una linea comune di tutti quelli che sono gli strumenti per esempio di asilo politico e di rifugio, quanto anche in programmi effettivi tra i Paesi europei e di eventuale «distribuzione» di coloro i quali hanno realmente diritto all'asilo politico tra i Paesi europei. Questa si chiama - credo - solidarietà tra Stati comuni europei.
In conclusione, credo che la cosa principale in questo momento, proprio per salvaguardare l'importanza di un istituto storico quale l'asilo politico, che ha le sue basi nella storia contemporanea, come ricordava il collega Pezzotta, sia una maggiore rigidità nel suo esame per non consentire ad alcuno di utilizzare gli strumenti che hanno carattere eccezionale e che mirano a difendere i più deboli esclusivamente come strumenti derogatori della legge ordinaria per l'ingresso nel Paese. Ciò soprattutto perché il dato che, purtroppo, è ormai acquisito è che non stiamo discutendo esclusivamente di poveri disperati sulle navi della speranza, ma stiamo discutendo soprattutto di chi quei poveri disperati sfrutta e utilizza: si parla di criminalità organizzata al di là e al di qua delle coste del Mediterraneo, quindi anche di criminalità organizzata italiana (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

Pag. 14

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Dal Lago. Ne ha facoltà.

MANUELA DAL LAGO. Signor Presidente, nel momento in cui l'Assemblea della Camera torna ad affrontare il tema del contrasto all'immigrazione clandestina e, più in generale, degli indirizzi in merito al controllo delle nostre frontiere, credo che occorra ricordare il grande impegno che l'attuale Governo, e in particolare il ministro Maroni, hanno profuso in questo ambito.
Ricordo a questo proposito i provvedimenti finora adottati in materia di immigrazione: il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica; il decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, recante misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento dei reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina; i decreti-legge 3 ottobre 2008, n. 159, sui rifugiati politici e n. 160, sui ricongiungimenti familiari; infine, la già ricordata ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare. Vorrei ricordare anche l'adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra Regno del Belgio, Repubblica federale di Germania, Paesi Bassi, Repubblica francese, Granducato di Lussemburgo e via di seguito, relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e l'immigrazione illecita (il Trattato di Prüm).
Alcuni di questi provvedimenti hanno già potuto, secondo noi, dispiegare efficacemente i loro effetti, mentre per altri occorre del tempo per potere compiere una valutazione obiettiva sulla concreta attuazione.
Purtroppo non posso sottacere che molti ostacoli alla piena attuazione di alcuni interventi contenuti nelle citate leggi provengono dalla magistratura, che non ha mancato di sollevare diverse questioni di costituzionalità su alcune delle più importanti misure adottate dal Governo e approvate dal Parlamento. Se tali iniziative sono pienamente legittime, meno condivisibili appaiono, secondo noi, quelle prese di posizione che sono state espresse da alcuni procuratori della Repubblica che hanno dichiarato che non perseguiranno con priorità il reato di immigrazione clandestina, in quanto l'esiguità di mezzi a disposizione delle procure impone di dar seguito ad altre priorità. Prese di posizione come queste ci fanno seriamente interrogare sulla perdurante vigenza nel nostro ordinamento della obbligatorietà dell'azione penale.
Peraltro, credo che giovi ricordare che le molte polemiche sull'introduzione nel nostro ordinamento del reato di immigrazione clandestina trascurano di considerare che tale innovazione è stata richiesta dall'Unione europea che ha statuito che, perché si possa procedere all'espulsione dei clandestini - e questa è la volontà della maggioranza di questo Parlamento -, occorre la previsione di una norma penale incriminatrice.
Venendo a considerare più da vicino il tema dei respingimenti, che sono l'oggetto principale delle mozioni, prima di fare alcune considerazioni, mi preme, anche su tale argomento, sottolineare che i successi raggiunti dal nostro Governo sono veramente incoraggianti. Il Ministro Maroni lo ha ricordato non molto tempo fa rispondendo, proprio in quest'Aula, a un'interrogazione a risposta immediata. Da quanto abbiamo potuto apprendere dallo stesso Ministro, da quando l'accordo con la Libia è entrato effettivamente in vigore, cioè dall'inizio del mese di maggio di quest'anno, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno si è registrata una riduzione di oltre il 90 per cento degli sbarchi. Lo scorso anno ne abbiamo contati 18.761, mentre dal 1o maggio di quest'anno a ieri ne abbiamo registrati 1.833. Sono stati effettuati, in poco più di quattro mesi, nove operazioni di riaccompagnamento in Libia di extracomunitari recuperati in mezzo al mare, pari a 834 che, però, sommati ai 1.833 comportano, rispetto Pag. 15agli sbarchi dell'anno scorso, una differenza di circa 17 mila persone che non sono partite dalla Libia.
Credo che questo sia un grandissimo risultato se è vero come è vero che tutti siamo rimasti rattristati per i fatti accaduti in agosto e per le povere persone morte. Ma è altrettanto vero che la diminuzione delle partenze dalla Libia ha fatto sì che quest'anno vi fossero molti meno morti rispetto agli anni precedenti. Se permettete, chiamo anche queste misure di respingimento misure di prevenzione.
Come poi ha ricordato il Ministro, ciò ha comportato ovviamente anche un vantaggio per l'isola di Lampedusa. Avevamo lanciato una sfida: nel 2009 avremmo liberato l'isola. Credo che possiamo con soddisfazione affermare che finalmente abbiamo restituito l'isola di Lampedusa all'economia, al turismo e ai suoi abitanti, perché oggi la presenza degli extracomunitari è pari a zero.
La politica dei respingimenti, come abbiamo sentito anche questa mattina, viene spesso attaccata sul fronte del rispetto dei diritti dei richiedenti asilo e, in particolar modo, per quanto riguarda la situazione che si registra presso il Paese dal quale principalmente partono i clandestini che approdano sulle nostre coste, cioè la Libia. A tale proposito, la nostra mozione è molto chiara nel ricordare che il Trattato di amicizia stipulato tra il nostro Paese e la Libia ha il pregio, secondo noi, di coinvolgere sempre più la Libia su un percorso virtuoso in tema di diritti umani. È vero che il Paese africano non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo status dei rifugiati, ma è altrettanto vero che ha firmato e ratificato la Convenzione dell'Unione africana del 1969, relativa a specifici aspetti delle problematiche dei rifugiati in Africa, che è complementare alla convenzione di Ginevra e impegna Tripoli a garantire protezione non solo ai perseguitati ma anche alle vittime di invasioni, di guerre civili e di altri eventi di più ampia portata rispetto addirittura a quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra.
Inoltre, vorrei ricordare che attualmente la Presidenza dell'Assemblea generale dell'ONU è ricoperta da un rappresentante della Libia. Dunque, credo sia troppo facile attaccare le Libia e dichiarare che è un Paese che non ha democrazia e con il quale non si possono stipulare accordi e, nel contempo, dargli la Presidenza dell'Assemblea generale dell'ONU. Qualcosa non torna. Ma, come correttamente prima ci ricordava l'onorevole Santelli, non torna neanche il discorso con l'ONU sugli aiuti a tutti i diseredati del mondo, visto che poi non si sa dove vanno a finire questi soldi che vengono dati anche dal nostro Paese all'ONU.
Per quanto poi attiene alla disciplina dell'asilo politico, l'attuale Governo, secondo noi, ha adottato alcune misure pienamente condivisibili, contenute nel decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 159. Si è attribuito direttamente al Ministro dell'interno il potere di nominare le commissioni territoriali con cui si riconosce la protezione internazionale che lo Stato concede in determinate situazione socio-politiche.
Il decreto concede al prefetto il compito di stabilire il luogo di residenza e un'area in cui il richiedente asilo possa circolare. Inoltre, se chi presenta domanda di protezione internazionale risulta già destinatario di un decreto di espulsione, deve rimanere nel centro di permanenza temporanea dove si trova. In caso di rigetto della richiesta di asilo da parte della commissione l'eventuale ricorso presentato dal richiedente non ha più effetto sospensivo.
Sul tema dell'asilo politico ci sentiamo, inoltre, con le carte in regola se solo ricordiamo, sempre per citare dati forniti dal Ministro dell'interno, che tra i principali Paesi europei l'Italia ha la più alta percentuale di accettazione delle domande che vengono presentate. Nel 2007, a fronte di 3509 domande, ne sono state accolte oltre il 59 per cento, rispetto al 36 per cento della Germania, al 48 per cento dell'Inghilterra, al 22 per cento della Francia Pag. 16e, guarda caso, come sempre, all'8,5 per cento della socialista Repubblica spagnola.
Già un anno fa il Ministro Maroni ci riferiva, altresì, un impegno forte del Governo affinché venissero garantite risorse adeguate alla gestione del flusso dei richiedenti asilo, facendo in particolare riferimento, nel corso di un'audizione, al Fondo europeo per i rifugiati, istituito con decisione della Comunità europea, che consentirà di fruire per il periodo 2008-2013 di circa complessivi 19 miliardi di euro.
Alla luce di queste premesse, devo dire che riteniamo pretestuose le iniziative dell'opposizione e che non ci sia bisogno, come diceva l'onorevole Zaccaria, di andare a rivedere la posizione politica di questo Governo e di questa maggioranza. Riteniamo, invece, di esserci comportati bene e di dover continuare su questa strada - questo scriviamo nella nostra mozione - ed anzi chiediamo un maggiore impegno al nostro Governo perché prosegua su questa strada. Eventualmente riteniamo che debbano essere maggiormente coinvolti e responsabilizzati la Comunità europea, da una parte, e l'ONU dall'altra, che troppo spesso «sparlano», ma fanno poco rispetto a quelli che sono i loro doveri nei riguardi di questo problema, che è di tutti e non solo dell'Italia.
Per questi motivi, signor Presidente, appoggiamo in pieno la politica del Governo e chiediamo a quest'ultimo di proseguire nella sua azione, anche in quella di riconsegna alla Libia degli immigrati irregolari, eventualmente chiedendo all'Europa che vengano poste in territorio libico strutture adeguate competenti per fare verifiche corrette sulle domande di asilo politico che devono poi essere smistate, se accettate, in tutti i Paesi europei e non solamente nel nostro.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel proseguo del dibattito. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Ciocchetti ed altri n. 1-00222 e Zazzera ed altri n. 1-00274 concernenti iniziative a favore delle associazioni sportive che promuovono le formazioni giovanili e per la tutela dei cosiddetti vivai nazionali (ore 10,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Ciocchetti ed altri n. 1-00222 e Zazzera ed altri n. 1-00274 concernenti iniziative a favore delle associazioni sportive che promuovono le formazioni giovanili e per la tutela dei cosiddetti vivai nazionali (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 12 novembre 2009.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni all'ordine del giorno.
È iscritto a parlare l'onorevole Ciocchetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00222. Ne ha facoltà.

LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, l'esigenza di questa mozione nasce da alcune considerazioni legate al difficile rapporto tra i vivai delle nostre squadre professionistiche e non soltanto di quelle del calcio, lo voglio precisare. Vorrei ricordare anche l'intervista che il presidente del CONI ha rilasciato, soltanto ventiquattr'ore fa, al Corriere dello Sport in cui ha detto che, finché continueremo a vedere squadre che in campo mandano cinque giocatori stranieri, la pallacanestro non farà un solo passo avanti e gli spettatori cominciano a diminuire.
La squadra italiana di calcio più importante, quella che ha vinto il campio Pag. 17nato negli ultimi quattro anni, nella sua rosa, o almeno negli undici giocatori che scendono in campo, nel 99 per cento delle partite che si sono giocate, ha avuto soltanto giocatori stranieri e, ogni tanto, saltuariamente, soltanto due italiani vengono utilizzati durante lo svolgimento del campionato di calcio.
Sono due esempi di una situazione difficile, che sta mettendo in grande difficoltà la possibilità per i nostri giovani italiani di avere l'opportunità di essere utilizzati e, quindi, di poter servire come serbatoio per le nazionali che svolgono i campionati internazionali, che vanno alle Olimpiadi, con le quali, visto che esistono, in qualche modo possono costruire anche un rapporto. Infatti, se non esistessero ed esistesse soltanto la nazionale europea sarebbe sicuramente giusto fare in questo modo. Ma le nazionali di calcio, di pallavolo, di pallacanestro, esistono di pallanuoto e ci sono alcuni dati, che probabilmente è interesse da parte di qualcuno nascondere, pubblicati sul Sole 24 Ore il 28 aprile 2008, quindi non troppo tempo fa, che dimostrano questo.
In pratica nelle dieci federazioni che hanno la maggior quota annuale di permessi di soggiorno concessi nella stagione 2007-2008, la pallacanestro è a 218 permessi, la pallavolo a 160, l'atletica leggera a 130, la palla a mano e la pallanuoto sono rispettivamente a 110, il ciclismo è a 102, il baseball e il softball sono a 100, il rugby a 98, l'hockey a 95, il tennis da tavolo a 70. Significa che spazi per i giovani del nostro Paese e anche dei cosiddetti naturalizzati diventano sempre di meno nelle nostre squadre che svolgono i campionati di vertice di tutte queste discipline.
Non parliamo solo del calcio, quindi, ma di un sistema complessivo dello sport. È chiaro che il calcio è la vetrina più importante anche dal punto di vista della comunicazione e che, quindi, può essere l'esempio più eclatante, ma noi abbiamo un grande problema da questo punto di vista e alcuni insuccessi in importanti discipline olimpiche, come il basket negli ultimi anni alle Olimpiadi dimostra. Infatti, se non gioca nessun giocatore italiano nel quintetto base della maggior parte delle squadre che giocano il campionato italiano di basket, sarà difficile poter fare una nazionale competitiva che va alle Olimpiadi, ai campionati europei e mondiali, mentre soltanto pochi anni fa la nostra nazionale era tra le due, tre squadre più importanti del mondo.
Credo che questo sia dimostrabile chiaramente, anche affrontando il livello di un altro sport in cui l'Italia eccelleva, la pallanuoto, in cui abbiamo vinto Olimpiadi, campionati mondiali ed europei. Negli ultimi campionati svolti in Italia, qui a Roma, certo non abbiamo fatto una grande figura e anche in questo caso il motivo è proprio il poco utilizzo di giocatori provenienti dai vivai italiani e indigeni.
Insomma, questa è una questione importante, se ne dibatte da tempo, sicuramente ci sono stati impegni significativi. Riconosco il lavoro anche a livello internazionale che ha fatto l'onorevole Pescante, membro del CIO. Oggi siamo anche tutti soddisfatti e contenti per la sua nomina di rappresentante del CIO all'ONU, perché onora il nostro Paese e lo sport italiano. Credo che però bisogna fare qualcosa di più.
Non bastano le iniziative delle federazioni, non basta la decisione assunta in sede di congresso della FIFA, il 29-30 maggio 2008, in cui è stata approvata a larghissima maggioranza (con 155 voti favorevoli e solo 5 voti contrari) la risoluzione sulla ormai nota regola del 6+5 partorita dal vulcanico presidente della FIFA Joseph Blatter. In base al richiamato precetto si intenderebbe limitato a cinque il numero di giocatori stranieri impiegabili in gara da parte di ciascun club, mentre gli altri sei dovrebbero essere annoverati tra quelli indigeni, per così dire, quindi aventi titolo in ragione della nazionalità ad essere convocati per le squadre rappresentative del Paese di appartenenza. Questa sarebbe una regola seria da portare non solo nel calcio, ma chiaramente con numeri diversi in proporzione ai giocatori in campo e non nel numero complessivo della partita, nella pallacanestro, nella pallavolo, Pag. 18nella pallamano, nella pallanuoto, nel baseball e nel softball, nel rugby e nell'hockey. Credo che questo sarebbe l'unico modo per poter dare una nuova opportunità alle nostre squadre nazionali per poter tornare ad essere complessivamente competitive ad alti livelli, come sono state fino a poco tempo fa.
Il problema è che tutto ciò è fortemente contrastato, nonostante l'approvazione del Trattato di Lisbona con il riconoscimento della specificità dello sport, ma l'interpretazione che a livello europeo viene data a questa specificità non consentirebbe al 100 per cento la possibilità di non riaprire un conflitto intorno a questo problema. Per questo c'è bisogno di un impegno ulteriore. La mia mozione non è contro qualcuno, ma è propositiva: è una mozione che serve ad impegnare e a chiedere al Governo di fare un ulteriore sforzo a livello internazionale, e in particolare a livello europeo, perché venga riconosciuto questo diritto importante e fondamentale che può salvare molte attività.
Lo sport di vertice senza un grande vivaio, senza una grande base che nasce su centinaia di migliaia di società sportive e di attività che si svolgono nei nostri quartieri e nei nostri paesi, non potrà avere un futuro. Potrà avere un futuro se si ricostruirà questo rapporto corretto tra la base e il vertice e se si darà la possibilità a tanti giocatori cosiddetti indigeni di avere delle importanti opportunità. Questo è il senso di questa mozione, spero che possa essere accolta dalla Camera con un impegno totale e corale nel portare avanti questa battaglia (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà la mozione Zazzera ed altri n. 1-00274, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, con questa mozione l'Italia dei Valori vuole rimettere al centro del dibattito parlamentare lo sport inteso non come mera espressione di protagonisti ormai segnalati e designati dai mass media, ma rimettendo al centro quello sport che spesso viene praticato in solitudine e nel non riconoscimento della gran parte dell'informazione massmediatica nazionale, che invece è la struttura forte e portante di tutto quello che rappresenta la nostra società e di tutti quegli impegni che vengono messi in campo da persone straordinarie che nell'anonimato fanno sì che questo movimento si alimenti quotidianamente e resista nel tempo nonostante le insidie dello sport che ormai si è mercificato a tutti i livelli.
La nostra mozione esprime la volontà che il Parlamento si possa fare oggetto di un dato unitario che rappresenti tutte le istanze e le riconduca a sintesi affinché possano esistere con pari dignità quelle espressioni di sport dilettantistico e agonistico e che venga premiato questo sport che viene praticato spesso utilizzando pochissime risorse, io dico irrisorie, ma che ha una validità fondamentale in termini educativi e sociali.
Vi segnalo che alcuni studi condotti dall'UEFA mostrano come ormai, da una quindicina d'anni, le competizioni UEFA per le squadre di club calcistiche e i campionati nazionali siano caratterizzati da una minore competitività in molti Paesi, perché sono sempre le stesse squadre a lottare per il titolo. Ciò sta a significare che chi ha più risorse da mettere in campo, chi ha più sponsor, riesce ad arrivare al traguardo nel quale poi tutti si riconoscono, a discapito delle premesse che facevo prima.
Vi ricordo anche che a seguito della sentenza Bosman, emanata dalla Corte di giustizia europea nel 1995, le tendenze ormai sono chiare: rispetto al 1995-1996, il numero di giocatori di una federazione nazionale cresciuto nei vivai della stessa federcalcio è diminuito del 35 per cento; i club più ricchi, quindi, hanno la possibilità di assicurarsi i migliori giocatori e sono meno incentivati ad allenare giocatori in casa e ad offrire loro una possibilità concreta di realizzazione. La sentenza Bosman, valida tuttora, proibisce, inoltre, all'UEFA e alle leghe calcistiche nazionali Pag. 19degli Stati dell'Unione europea di porre un tetto al numero di calciatori stranieri in prima squadra, qualora ciò discriminasse cittadini dell'Unione europea. All'epoca, molte leghe ponevano, infatti, dei limiti al numero dei non nazionali che potessero far parte delle squadre.
In Italia dal 1980 (anno della riapertura delle frontiere) poteva essere tesserato massimo uno straniero per squadra. Attualmente, in serie A di calcio, il numero degli stranieri tesserati si aggira intorno a 240, ai quali vanno aggiunti, però, i 60 delle formazioni che partecipano al campionato primavera. Si tratta di numeri considerevoli che vanno necessariamente collegati alla scarsa fiducia nei vivai. Il sostanzioso utilizzo di calciatori stranieri non è la causa, ma solo la logica conseguenza di questo male. I club italiani, piuttosto che investire su giovani prodotti nostrani, preferiscono prendere all'estero un atleta già formato, meglio ancora se con esperienze internazionali già alle spalle.
Tuttavia, norme per promuovere giocatori del vivaio sono in vigore in Uefa Champions league, Coppa Uefa e diversi campionati nazionali in Europa; i club impegnati nei suddetti tornei devono inserire nel loro organico un numero minimo di giocatori cresciuti nelle giovanili.
Il Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, intervenendo nel dibattito sull'identità dello sport italiano, apertosi dopo i risultati ottenuti dalle squadre nazionali ai giochi olimpici di Pechino, ha dichiarato che «lo sport italiano continua a perdere la sua identità. Il numero degli atleti stranieri nei nostri campionati va costantemente aumentando e l'identità delle nostre compagini sportive resta legata quasi esclusivamente al legame storico e affettivo che queste hanno con una città o una tifoseria piuttosto che alla presenza di giocatori simbolo, cresciuti nei vivai. Non si tratta di voler far la guerra allo straniero, né tanto meno si vuol mettere in gioco principi quali l'integrazione o la libera circolazione dei lavoratori, ma lo sport è un settore particolare dove l'identità nazionale deve essere tutelata. E lo stesso Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia, stabilisce la «specifica natura dello sport».
La tutela dei vivai, la possibilità per i nostri atleti di trovare spazio nei club, la competitività delle nostre nazionali sono temi che stanno a cuore a tutti gli sportivi italiani. Negli ultimi anni lo sport dilettantistico è cresciuto in Italia in maniera consistente: oggi i praticanti sono oltre 11 milioni e gli iscritti alle diverse federazioni sono oltre 3 milioni e mezzo.
L'11 luglio 2007 è stato presentato dalla Commissione europea il Libro bianco sullo sport, prima iniziativa globale nel campo dello sport, che fornisce un orientamento strategico sul ruolo dello sport nell'Unione europea e sulla sua importanza sociale ed economica. Lo sport in tutte le sue forme, praticato a livello agonistico e dilettantistico, rappresenta, quindi, un importante strumento formativo d'integrazione sociale e di dialogo culturale, nonché uno strumento prezioso per la diffusione di valori fondamentali, quali, l'impegno, lo spirito di squadra, la lealtà e il sacrificio.
Il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) ente legislativamente delegato dallo Stato alla promozione ed alla diffusione dello sport italiano, adempie ai suoi compiti istituzionali tramite le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva e le discipline sportive associate, organismi ai quali sono affiliate oltre 95.000 società e associazioni sportive dilettantistiche e per i quali sono tesserati e praticano assiduamente attività sportiva oltre 30 milioni di soggetti di qualsiasi età.
La realtà dello sport dilettantistico non è, però, affidata soltanto a coloro che praticano attività sportiva: va considerata, infatti, l'elevata platea dei cosiddetti «volontari», di coloro, cioè, che prestano la loro attività di volontariato sportivo senza percepire alcuna sorta di remunerazione e che sono, però, necessari, anzi, direi indispensabili alla realizzazione delle attività poste in essere dall'intero movimento dilettantistico.
Si tratta di medici, paramedici, fisioterapisti, giudici, cronometristi, che, senza il clamore dei grandi eventi, svolgono una Pag. 20primaria funzione educatrice, ancor prima che allo sport, al rispetto dei valori civici e alla libertà dell'aggregazione sociale, favorendo la sana crescita fisica e educativa di migliaia di ragazzi e giovani.
In un desolato panorama in cui ingenti somme di denaro ruotano attorno allo sport dei professionisti, del calcio, della formula 1 e delle scommesse, non si trovano, però, le risorse per lo sport dilettantistico e giovanile.
Pertanto, l'Italia dei Valori, con questa mozione, vuole impegnare il Governo su due direttrici: innanzitutto, a predisporre iniziative volte a valorizzare i vivai nazionali, al fine di motivare i giovani atleti con progetti concreti e a salvaguardare così l'identità nazionale dello sport italiano; secondariamente, a prevedere, al fine di favorire l'accesso e la diffusione collettiva della pratica sportiva, forme di agevolazioni fiscali e tributarie a sostegno di tutto lo sport dilettantistico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, sul sito de La Gazzetta dello sport c'è la formazione dell'Inter per la partita della prossima giornata di campionato contro il Bologna. Non è quella ufficiale di Mourinho, ma tanto non è l'aspetto tecnico che ci interessa qui in Aula.
La vado a leggere: in porta Julio Cesar; in difesa Maicon, Samuel, Lucio e Chivu; a centrocampo Javier Zanetti, Cambiasso e Stankovic; trequartista Snejder; in attacco Eto'o e Milito. La squadra campione d'Italia in carica manda in campo, sabato prossimo, tre brasiliani, quattro argentini, un rumeno, un olandese, un serbo ed un camerunense. Neppure un italiano (lo diceva anche l'onorevole Ciocchetti poco fa)!
Uno si potrebbe chiedere: li avranno messi tutti in panchina gli italiani? Macché: in panchina ci sono solo due italiani su sette (Toldo e Balotelli); gli altri (Cordoba, Thiago Motta, Muntari, Mancini, Vieira) sono un colombiano, due brasiliani, un ghanese ed un francese. E stiamo parlando di una squadra che, in Europa, difende i colori dell'Italia. Ma non si può dire certo che difenda il made in Italy, visto che pure il tecnico è di importazione: l'allenatore campione d'Italia, José Mourinho, è infatti portoghese.
La situazione migliora un po' - non di molto, per la verità - se si passa dalla capolista nel calcio alla capolista nella pallavolo: in cima alla classifica della serie A di volley c'è attualmente l'Itas Diatec Trentino, che nella rosa dei titolari ha cinque giocatori italiani. Ma, anche qui, la maggioranza (sette su dodici) è costituita da stranieri: due brasiliani, due bulgari, un francese, un cubano, un polacco.
Se poi andiamo a vedere nel basket, basta dare un'occhiata alla squadra più forte del campionato - la Montepaschi Siena - per vedere che pure in questo caso, fra i titolari, sono gli stranieri a farla da padroni: ben 9 giocatori su 13 sono nati e sportivamente cresciuti all'estero, anche se poi, grazie al sistema delle naturalizzazioni, tre di loro (un georgiano, uno statunitense ed un nigeriano) figurano italiani.
Sulle naturalizzazioni ho un punto di vista un po' diverso, meno benevolo di quello dell'onorevole Ciocchetti, perché, secondo me, le naturalizzazioni, che alterano le statistiche, ma non la natura del problema, rappresentano una scorciatoia ormai comune a parecchi sport: potrei citare il caso del brasiliano Amauri nella nazionale italiana di calcio, dove, tra l'altro, gioca già l'argentino Camoranesi.
Che entrambi possano fare comodo a Marcello Lippi è indubbio, ma qui il discorso è un altro: stiamo parlando di talenti nati e sportivamente cresciuti altrove, arrivati in Italia quando ormai erano già campioni. E i nostri giovani? Che fine hanno fatto? Possibile che non siano all'altezza? Possibile che, per fare bella figura in campo internazionale, dobbiamo ricorrere ai naturalizzati? L'esempio della nazionale italiana di calcio a 5, da questo punto di vista, è un caso di scuola: i 14 calciatori portati agli ultimi mondiali nella spedizione azzurra erano tutti brasiliani! Possibile che fra i giovani italiani - fra i giovani, cioè, di un Paese di Pag. 2160 milioni di abitanti - non ce ne sia uno che meriti di vestire la maglia della propria nazionale? E se così fosse, vale ancora la pena chiamare italiana una squadra i cui giocatori si chiedono la palla in portoghese? Una squadra, soprattutto, in cui non ci sia neppure un giocatore che ha fatto la gavetta dal basso, cominciando magari da piccolo su un campo di periferia romana o milanese, per poi finire in nazionale?
Tra un paradosso e l'altro, signor Presidente, siamo arrivati al contenuto della mozione di oggi, che ha il merito di porre all'attenzione del Parlamento il problema dei nostri vivai. Il problema, cioè, della crescita sportiva dei nostri giovani, che spesso arrivano alle porte della prima squadra, ma poi rimangono sulla soglia, perché nella maggior parte dei casi i club preferiscono puntare su atleti stranieri già affermati. Anche le società che storicamente producevano talenti - penso all'Atalanta di Scirea, Donadoni e Vieri, ma anche al Milan di Baresi, Tassotti, Albertini e Maldini - oggi sembrano aver abbandonato quella pista: l'unica eccezione fra le grandi società è forse la Juve, che ha cominciato a puntare sul proprio vivaio per necessità, con un bilancio da salvare dopo la retrocessione in serie B, e si è ritrovata in casa dei giovani campioni (su tutti Marchisio, Giovinco e De Ceglie) che magari, in condizioni normali, non sarebbero mai esplosi. Il giovane di talento, in Italia, fatica ad emergere: non è raro, infatti, assistere ad una fuga all'estero, dove ci sono contratti milionari e possibilità di un posto in prima squadra. In alcuni casi, poi, c'è anche una legislazione sportiva differente, che meriterebbe a mio parere di essere armonizzata, almeno a livello europeo: penso all'ultima promessa italiana, un ragazzo romano, Federico Macheda, che il Manchester United strappò alle giovanili della Lazio perché nel Regno Unito si possono fare contratti di lavoro professionistico anche ai minori di 16 anni; un ragazzo che, cresciuto calcisticamente in Italia, nelle giovanili della Lazio (la Lazio ha quindi puntato su di lui fin da quand'era piccolo), è poi arrivato a 16 anni e adesso è titolare nel Manchester United, e chissà quando rivedrà il campionato italiano. Ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe lontano.
Un problema di legislazione, comunque, sussiste. Come argutamente nota il testo di questa mozione, «i Trattati dell'Unione europea sono stati fatti per l'economia e non per lo sport». Ciò significa che una norma sacrosanta in altri settori, come quella della libera circolazione dei lavoratori in Europa, si traduce in uno stop a tutti i tentativi di proteggere i propri settori giovanili: la FIFA ci provò, chiedendo l'introduzione di un numero minimo di giocatori autoctoni nelle rose, ma l'Unione europea disse di no per il motivo di cui sopra. Parallelamente, saltarono tutti i tetti al numero di calciatori stranieri, posti da molte leghe: era il 1995, l'anno della sentenza Bosman. E forse non è un caso che, proprio da allora, l'Italia abbia smesso di produrre giovani talenti ed abbia cominciato ad importarli: citavo prima il Milan dei Baresi, Tassotti, Albertini e Maldini, se andiamo a guardare è tutta gente di prima del 1995, non dopo.
La mozione in esame afferma, in sostanza, che è finito il tempo di stare a guardare, e che il Governo può porre un freno a questo fenomeno attraverso un paio di provvedimenti: uno sul fronte interno, uno su quello esterno. Il primo intervento potrebbe essere un incentivo, anche di tipo fiscale, ad investire sui giovani: abbiamo qualche dubbio che il Ministero dell'economia e delle finanze lo vari da solo, e per questo crediamo che la mozione possa essere uno strumento utile. Il secondo intervento sarebbe invece una pressione sui partner europei affinché venga varato presto un protocollo che riconosca la specificità dello sport, rispetto agli altri settori lavorativi. Due misure di buonsenso, che ci auguriamo il Governo faccia proprie; prima ancora, però, c'è bisogno che la maggioranza voti la mozione, insieme a noi ed insieme all'UdC che ha avuto il merito di proporla (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).

Pag. 22

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pescante. Ne ha facoltà.

MARIO PESCANTE. Signor Presidente, mi intrometto in questo dibattito con un po' di disappunto, anche di imbarazzo. Il disappunto deriva dal fatto che le conclusioni sono sicuramente condivisibili; certo non le conclusioni della mozione, perché il difetto della mozione in esame, a mio modesto avviso, è che parte del linguaggio è incomprensibile, almeno da parte del mondo dello sport, e le conclusioni lo sono altrettanto. Le cito: «attivarsi presso le istituzioni europee affinché vengano accelerate le procedure per l'adozione di un protocollo che tuteli le peculiarità nello sport». Che vuol dire? Vi è un articolo nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il 165, che parla di specificità, voluto dal Governo italiano quando esercitammo il turno di presidenza europea, in una lunga battaglia, prima nella Costituzione e poi nel Trattato. Di questo si sta discutendo in questi giorni, vi sono già contatti in corso tra la mia Commissione e quella spagnola per stabilire, durante il semestre di presidenza spagnola, come definire il concetto di specificità; perché il problema è proprio questo: il mondo dello sport sostiene una cosa, e purtroppo la Commissione un'altra.
Evidentemente si voleva riferire a ciò quando si è voluto esprimere con questa formulazione. L'ho capito dagli interventi molto precisi e puntuali che sono stati fatti.
Il secondo discorso, condivisibile, ma non con queste parole, riguarda la tutela dei vivai. Pensate veramente di risolvere il problema dei vivai con aspetti fiscali? Qui c'è sempre l'arrière pensée di pensare sempre al calcio. Ci sono 90 mila società sportive di atletica, di nuoto, di scherma che fanno forte e ricco lo sport italiano o i 600 mila dirigenti di cui si parlava, il cui problema principale non è di carattere fiscale. Ciò riguarda i grandi club professionistici, ai quali si può fare qualche regalo di carattere fiscale con la scusa di impegnarsi nei vivai, ma il problema sono i piccoli impianti di esercizio, lo sport nella scuola.
Tuttavia, il fatto che più mi crea imbarazzo, è soprattutto il seguente: il primo firmatario della mozione in esame è una persona che stimo moltissimo, l'onorevole Ciocchetti, tanto è vero che avevo mormorato se avesse letto il testo ma egli ha confermato di averlo redatto. Allora ogni imbarazzo viene superato perché ci sono taluni aspetti nelle premesse che non possiamo condividere. Si tratta anche di scaramanzia. Si parla di uno «sport italiano che ha inanellato una serie di insuccessi nello sport di squadra». Insomma, tre anni e mezzo fa eravamo campioni mondiali di calcio, qualche settimana fa la squadra di pallavolo femminile ha vinto il titolo europeo non perdendo una partita. Ci sono problemi relativi alla pallavolo e ad altre discipline che condivido, come condivido a pieno la diagnosi fatta che tutto questo dipenda dall'invasione selvaggia di stranieri. In una stagione nella quale, le squadre fra l'altro stanno per partire per Vancouver (siamo alla vigilia di un mondiale di calcio, di un mondiale di pallavolo), il nuoto ha vinto, è stata vinta dalla squadra femminile qualche ora fa la Fed Cup, la scherma ha vinto: piuttosto che parlare di insuccessi inanellati ritengo che come premessa si potesse forse trovare qualche altra argomentazione.
Inoltre non capisco altri riferimenti. «Sono delusi migliaia di tifosi che spendono»: è sempre la logica del calcio. Non sono delusi migliaia di tifosi ma milioni di praticanti di certe discipline - cito l'atletica che, non per problemi legati agli stranieri, non ha vinto una medaglia agli ultimi mondiali - e milioni di appassionati. È il linguaggio che è sempre di tipo calciofilo.
Non capisco neanche i riferimenti ai piccoli Paesi che riescono ad ottenere vittorie. Ormai un terzo dei piccoli Paesi ottiene vittorie a livello olimpico. Intendo dire che condividiamo la preoccupazione del problema degli stranieri che non è così facile aggredire. Qui si fa un esempio assolutamente inidoneo ed impreciso sulla Pag. 23Romania del calcio che non ha avuto problemi di stranieri e comunque, quando ha disposto dei limiti, non era ancora entrata nell'Unione europea. Ora dovrà attenersi alle norme europee.
Allora, ci sono due interventi da realizzare, sicuramente quello nelle sedi internazionali, per far sì che l'interpretazione del concetto di specificità dello sport consenta alle federazioni sportive internazionali di fissare dei limiti tipo quello del 5+6. Ma stiamo attenti: qui stiamo affrontando il problema con gli atleti europei, mentre nelle nostre squadre ci sono cubani, argentini, brasiliani, extracomunitari in genere, per cui questo problema non sarà risolto perché circoscriveremo l'utilizzazione di atleti comunitari e poi avremo un'invasione di brasiliani e argentini.
Un altro problema del quale non si parla è la strapotenza e arroganza delle Leghe, mi riferisco a quelle sportive, signor Presidente, non si preoccupi, non c'è nessuna polemica. Ormai le Leghe sportive sono in contrasto con le Federazioni e addirittura con il CONI, dedite a spettacolo puro, interessi economici e, se guardiamo al basket, i dati forniti sono esatti. L'Inter non ha italiani, si chiama Internazionale ed è comprensibile, ma per la verità si tratta di un processo mondiale. Nella finale di Coppa dei campioni tra due squadre inglesi c'erano solo quattro inglesi in campo. Si tratta di un problema internazionale. Occorre dare maggiore forza al CONI per intervenire, se necessario anche con un provvedimento legislativo, nei confronti delle Leghe che stanno, purtroppo, in taluni sport di squadra - cito pallavolo e pallacanestro - facendo e disfacendo, danneggiando i nostri vivai.
Signor Presidente, e concludo, non ho titolo per farlo ma ovviamente non possiamo approvare questa mozione nei termini in cui è stata illustrata, con quelle premesse di cui ho citato alcuni passi e con le conclusioni vagamente incomprensibili anche per uno che di sport un po' se ne intende.
E di questo me ne dispiaccio, perché su questa strada e su questa base si può trovare sicuramente un'intesa bipartisan o tripartisan fra tutti per cercare di vedere ciò che bisogna fare sul piano della utilizzazione degli atleti stranieri con i vari problemi presenti a livello europeo, di leghe e di cittadinanza.
Può dar fastidio - capisco - Amaurì o Amàuri (come lo ha chiamato il mio collega), ma la nazionale francese che ha partecipato ai Mondiali era composta da nove elementi su undici provenienti da altri Paesi (e di questo dunque non mi accalorerei). Signor Presidente, concludo preannunciando quindi che non esprimeremo un voto favorevole per i motivi che ho qui accennato, ma ci faremo anche noi promotori di una mozione, che guarda caso, era già pronta ieri ma che ho fatto ritirare, in quanto era anch'essa largamente intrisa di parole inappropriate ed inadeguate (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Donadi ed altri n. 1-00271 concernente iniziative per il sostegno dei redditi da lavoro e da pensione (ore 11,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Donadi ed altri n. 1-00271 concernente iniziative per il sostegno dei redditi da lavoro e da pensione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 12 novembre 2009.

Pag. 24

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione all'ordine del giorno.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la mozione Donadi ed altri n. 1-00271, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor presidente, colleghi, lei riferiva bene quando diceva che la mozione introduce elementi di riflessione sulle iniziative per il sostegno dei redditi da lavoro e da pensione. Con la mozione intendiamo approfondire alcuni argomenti, cercando di fissare alcuni interventi da parte del Governo che vadano a cogliere di più e meglio il senso di questa crisi per attrezzarsi rispetto ad alcune esigenze che stanno emergendo in maniera così forte e profonda nei riguardi dei lavoratori, delle famiglie e dei pensionati.
Ricordo anche che in presenza dell'aggravarsi dei segnali di crisi economica negli ultimi mesi del 2008, il Governo effettuava interventi d'urgenza (attraverso i decreti-legge n. 185 del 2008, n. 5 e n. 78 del 2009), che recavano una serie di interventi di sostegno all'economia. L'azione di sostegno alla domanda è stata indubbiamente limitata dal debito pubblico del passato. Gli interventi attuati finora per attenuare i costi sociali della recessione hanno, soprattutto, utilizzato risorse già stanziate per altri impieghi. Nel 2009 gli interventi anticrisi del Governo hanno avuto un impatto praticamente nullo in termini di manovra netta (effetto sull'indebitamento netto) e pertanto non segnano alcuna inversione di rotta rispetto all'impostazione fortemente restrittiva del decreto-legge n. 112 del 2008.
Sotto il profilo quantitativo, secondo l'OCSE, il Governo italiano ha stanziato in funzione anticrisi risorse nette pari praticamente a zero nel triennio 2008-2010, contro una media ponderata dei Paesi OCSE pari al 3,9 per cento del PIL (al 4,2 per cento per i soli Paesi che hanno adottato una politica fiscale espansiva).
Nel complesso, le risorse stanziate in funzione anticrisi dai decreti-legge citati sono dunque pari a 85 milioni nel 2009, 2.102 milioni nel 2010 e 2.469 milioni nel 2011.
In termini di PIL, sono numeri assai limitati: zero nel 2009, meno 0,14 per cento nel 2010 e 0,15 per cento nel 2011.
Confindustria e Confcommercio sono preoccupate e le organizzazioni sindacali mobilitano i loro iscritti, la disoccupazione aumenta, i livelli di povertà anche, le sperequazioni dei redditi pure e le prospettive sono per ulteriori chiusure di fabbriche e perdita di posti di lavoro.
La crisi pesa ora, soprattutto, sul mondo del lavoro: nel nostro Paese il tasso di disoccupazione da gennaio a settembre 2009 è salito dal 6,8 per cento al 7,4 per cento ed esso continuerà a salire nei prossimi mesi, perché la reazione del mercato del lavoro si muove con ritardo rispetto al ciclo economico.
Dall'inizio dell'anno ad ottobre 2009 sono state richieste 716 milioni di ore di cassa integrazione, più che quadruplicate rispetto al 2008. Ad ottobre 2009, il dato di crescita della cassa integrazione, rispetto all'anno precedente, è del 322 per cento e del 419 per cento per la sola cassa integrazione ordinaria. Le domande di disoccupazione supereranno nell'anno in corso, secondo le previsioni dei sindacati, il numero di un milione per la prima volta in Italia. La domanda non potrà che restare sotto tono: l'andamento del PIL non basta a definire se la crisi è finita e non può rappresentare una guida per le politiche economiche. Il presidente del Fondo monetario internazionale, Strauss-Kahn, lo ha sottolineato in una sua recente dichiarazione: «Ci sono alcuni dati incoraggianti, questo, però, non significa che la crisi è terminata: non sarà finita fino a quando la disoccupazione non inizierà a ridursi e questo potrebbe accadere tra molti mesi. Se vogliamo evitare i rischi di una doppia recessione, è assolutamente troppo presto per ritirare le politiche di stimolo». Politiche, peraltro, quasi del tutto assenti per quanto concerne il nostro Paese. Pag. 25
Ma la crisi colpisce anche i redditi delle famiglie: secondo l'ISTAT, fra aprile e giugno 2009, rispetto al trimestre precedente, il reddito lordo è sceso di quasi 11 miliardi di euro. Di conseguenza, i consumi finali sono scesi dello 0,5 per cento. La crisi che colpisce i consumi e i risparmi continua a manifestare i suoi effetti e rende irrinunciabile una politica che metta al centro la tutela dei diritti dei più indifesi.
Questi dati si inseriscono in una tendenza di lungo periodo che penalizza nel nostro Paese i redditi della stragrande maggioranza delle classi medie, i lavoratori dipendenti, e quanti ad essi assimilabili per condizione di lavoro. La Banca d'Italia ha calcolato che dal 1993 al 2006 la percentuale di operai in condizioni economiche difficili (reddito inferiore al 60 per cento della media italiana) è aumentata dal 27 al 31 per cento, quelle di impiegati e dirigenti è salita del 2 per cento, mentre per le altre categorie attive è diminuita dal 25 al 14 per cento. La distribuzione del reddito si muove, dunque, a svantaggio del lavoro dipendente, sia nel mercato del lavoro, sia sul terreno fiscale e della spesa sociale, diventando una delle cause principali della crisi attuale.
È dello stesso parere è anche l'International labour organization (ILO) dell'ONU, che nel suo «Rapporto sul salario mondiale: aggiornamento 2009» sostiene che: «il continuo peggioramento dei salari reali nel mondo fa seriamente aumentare le domande sull'effettiva estensione della crescita economica, specie se i Governi interromperanno troppo presto le misure di stimolo. La deflazione salariale, infatti, priva le economie nazionali della necessaria domanda e incide negativamente sulla fiducia». Infatti, l'attuale recessione dimostra che povertà e diseguaglianze non sono state, e non sono, né un incidente, né un'appendice dei processi economici in corso, ma un elemento strutturale. La competizione sui costi per tentare di attrarre o di mantenere una parte della domanda su scala internazionale, attualmente depressa, è una politica illusoria, perché le produzioni labour intensive sono ormai trasferite in altre parti del mondo. In attesa di una politica europea comune di rilancio dell'economia, il sostegno alla domanda deve partire a livello nazionale.
Pertanto la nostra mozione impegna il Governo a prevedere tra le priorità su cui concentrare le poche risorse finanziarie disponibili, anche al fine di rilanciare la domanda e dare uno stimolo alla ripresa economica, la riduzione dell'imposta sulle tredicesime per alleggerire il carico IRPEF sui redditi bassi e medi da lavoro e da pensione, e, per ultimo, il sostegno dei redditi dei lavoratori, anche per facilitare il mantenimento in azienda di preziose professionalità in attesa del superamento della crisi attuale, con il raddoppio dei tempi della cassa integrazione ordinaria, passando da 52 a 104 settimane almeno per i prossimi due anni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, il gruppo del Partito Democratico aderisce a questa mozione e ne condivide in pieno sia le premesse, sia i contenuti finali. Riteniamo, e penso che non siamo i soli a ritenerlo, che resta ancora aperto il tema del sostegno ai consumi e ai redditi nel nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda i redditi da lavoro e da pensione di livello medio-basso. Tutti sappiamo di dover guardare, in questa fase, all'andamento della domanda mondiale e, quindi, all'andamento del nostre esportazioni, ma dobbiamo renderci conto che non potremo contare, per il rilancio della nostra economia, soltanto sulle esportazioni.
Anzi nel nuovo modello di sviluppo che dovremo costruire dopo la crisi ci vorrà più domanda interna, più domanda non soltanto a livello nazionale, ma anche a livello europeo. Abbiamo una delusione, da questo punto di vista, sulle politiche europee, ritengo però che il Governo italiano debba insistere in tutte le sedi affinché la politica economica europea manifesti un impulso estensivo ed espansivo tramite gli eurobond, tramite un maggior Pag. 26coordinamento della vigilanza bancaria e finanziaria per avere istituti di credito più capaci di dare credito.
Ma qualcosa in più possiamo fare sulla domanda interna - come dice questa mozione - affrontando il tema degli ammortizzatori sociali, sia per prolungarne l'estensione ma poi anche per varare una vera riforma e - come dice sempre questa mozione - anche per utilizzare il momento dell'erogazione delle tredicesime (il momento di dicembre) per dare un impulso alla domanda interna.
Quello che chiedo e domando ai presentatori della mozione è di integrare quest'ultimo punto, poiché l'intervento sulle sole tredicesime va a beneficio soltanto dei lavoratori dipendenti che hanno la tredicesima e noi riteniamo che sarebbe utile, nell'ambito di un intervento anticongiunturale, ampliare la platea dei beneficiari anche a tutti i lavoratori che non hanno la tredicesima, attraverso un meccanismo di detrazione per carichi familiari e per lavoro che possa essere quindi usufruito anche da tutti i lavoratori cosiddetti parasubordinati e assimilati che non hanno il diritto alla tredicesima.
In prospettiva, è chiaro che questi interventi di carattere anti-congiunturale si collocano nell'obiettivo di medio termine di riformare l'IRPEF e l'IRE, l'imposta sui redditi personali, e di andare ad una graduale e sostenibile riduzione del ruolo dell'imposta personale sui redditi nell'ambito del sistema fiscale italiano. Negli ultimi dieci anni, per effetto di vari fattori, è cresciuto troppo il peso relativo dell'imposta personale rispetto ad altre imposte. Il sistema fiscale italiano è, da questo punto di vista, davvero squilibrato a confronto con gli altri sistemi europei, e per primo con quello francese. Questo squilibrio guardato dal lato dell'IRE è uno squilibrio relativo soprattutto alla questione dei carichi familiari e della numerosità della famiglia, guardato dal punto di vista dell'intero sistema fiscale è uno squilibrio che vede in Italia troppe imposte dirette, soprattutto sul lavoro, e poche altre imposte indirette sul patrimonio e sulle rendite.
Quindi noi condividiamo l'obiettivo e l'idea (e non solo in teoria), ma pensiamo che sia possibile, urgente e necessario - e quando la legge finanziaria approderà in questa Camera certamente non mancheranno le nostre proposte emendative in merito - prevedere nell'immediato una vera manovra di almeno mezzo punto di PIL che vada a sostegno dei redditi, della domanda, e delle piccole imprese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Moffa. Ne ha facoltà.

SILVANO MOFFA. Signor Presidente, annuncio subito che il gruppo del Popolo della Libertà presenterà una mozione articolata su questa questione, nel tentativo di individuare possibili ulteriori interventi di risposta alla crisi in atto.
Nella mozione presentata dall'Italia dei Valori e condivisa anche dal Partito Democratico, a mio avviso, manca una premessa di ordine generale che consenta di situare meglio l'approfondimento e il ragionamento rispetto ad una fase, che è la terza fase della crisi finanziaria che un anno e mezzo fa si è abbattuta sul mondo industrializzato. Come tutte le crisi di questo tipo, di questo livello, una crisi finanziaria di queste dimensioni non poteva che portare ricadute innanzitutto sul mercato finanziario, in una seconda fase sulla produzione (quindi intervenendo sull'economia reale) e nella terza e ultima fase sul livello occupazionale che è esattamente la criticità che stiamo attraversando in questo momento e che, secondo alcuni osservatori e secondo centri di studio anche di livello internazionale, sarà la fase più acuta nei prossimi mesi. Noi avremo da qui ai primi mesi del 2010 il picco più alto in termini di negative ricadute occupazionali.
Questo ci porta a dire che gli interventi compiuti sinora dal Governo sono stati utili e necessari per contenere la crisi, per attenuare il suo impatto sulle famiglie e sull'economia reale; sono stati interventi che hanno risposto ad una logica plurima, come era necessario fare, incidendo su diversi fattori, cercando di intervenire sul lato Pag. 27delle imprese per sostenerle in un momento di congiuntura estremamente sfavorevole, di caduta della domanda a livello interno e internazionale e, quindi, sulla struttura produttiva e dei servizi.
Vi sono stati interventi a sostegno del reddito e delle famiglie con particolare riguardo a quelle più indigenti e vi sono stati interventi importanti nel campo degli ammortizzatori sociali. Da ultimo, voglio ricordare anche il provvedimento cosiddetto «anticrisi» di giugno, che non si è limitato soltanto a rafforzare adeguatamente il livello della spesa per sostenere gli ammortizzatori sociali e per aumentarne la loro capacità di intervento, ma ha cercato anche di introdurre correttivi sulla stessa filosofia che sin qui ha caratterizzato l'ammortizzatore sociale. Dovremmo iniziare a ragionare su come trasformare l'ammortizzatore sociale da elemento statico di sussidio rispetto alla criticità di un'impresa a elemento dinamico. All'interno del Libro bianco del Ministro Sacconi vi sono indirizzi di questa natura, che hanno portato anche la mia Commissione - debbo dirlo - a lavorare intorno ad un testo tra l'altro bipartisan sottoscritto da molti parlamentari, per introdurre meccanismi che trasformino anche l'ammortizzatore sociale e, quindi, la cassa integrazione in una leva per creare nuova imprenditorialità e, quindi, per far sì che da un elemento statico possa venir fuori una dinamicità di creazione sopratutto di piccola e media impresa. Il riferimento alla piccola e media impresa non è improprio perché, come ci dicono alcuni osservatori e come sottolinea da ultimo anche lo stesso CNEL, è quella che oggi maggiormente soffre la crisi per diversi fattori tra i quali anche per la difficoltà di accesso al credito.
Vorrei anche sottolineare l'importanza di interventi compiuti dal Governo per mettere le economie delle imprese in condizione di reggere alla crisi e, forse, è opportuno e necessario intervenire con ulteriori elementi per far sì che la liquidità che oggi le banche hanno possa essere messa a disposizione della piccola e media impresa per riuscire a superare le difficoltà che oggi si registrano. Questo implica evidentemente da parte del Parlamento - per tale ragione è necessario da parte nostra presentare una mozione articolata - la riflessione sui dati sui quali dobbiamo misurarci nei prossimi mesi, sapendo che da questa crisi si esce anche se si colgono le opportunità che una crisi di queste dimensioni oggi mette a disposizione del sistema nella sua globalità. Penso alla capacità di innovare soprattutto sotto il profilo tecnologico, alla capacità di recuperare una presenza di domanda effettiva, di un intreccio tra domanda e offerta di lavoro con meccanismi e con strumenti anche assolutamente nuovi.
Siamo molto preoccupati - lo diciamo con assoluta franchezza - rispetto ad alcuni dati che riguardano in particolare i pensionati e le fasce più deboli della popolazione. Si è fatto prima riferimento ai dati ISTAT: i soggetti che vivono al di sotto della soglia di povertà relativa, fissata circa a mille euro mensili per una famiglia di due persone, sono nel nostro Paese circa il 13 per cento. Ad essi si aggiungono circa altri due milioni di famiglie a rischio di indigenza. La spesa per la protezione sociale è in linea con la media europea, ma molto inferiore a quella di Francia, Germania, Danimarca e Svezia. Circa la metà è destinata alle pensioni, un quarto alla sanità e meno del 12 per cento è destinato alla voce assistenza sociale. Secondo il rapporto annuale ISTAT 2008, oltre il 15 per cento delle famiglie italiane non arriva alla quarta settimana e circa il 7 per cento ritiene di non potersi permettere un'alimentazione adeguata. Sono dati rispetto ai quali il Governo è intervenuto attivando la social card, introducendo misure di sostegno economico per il pagamento dei servizi di primaria necessità quali luce e gas.
Il Governo ha, altresì, stipulato con la grande distribuzione e con le principali categorie rappresentative degli esercenti commerciali, accordi di contenimento e stabilizzazione dei prezzi dei generi di prima necessità; ha prestato la propria garanzia per la rinegoziazione dei mutui immobiliari. Quindi, non si è fatto Pag. 28«nulla», ma si è fatto quanto era necessario, sempre tenendo presente la condizione dei nostri conti pubblici per intervenire nel momento di emergenza.
Tuttavia, credo che oggi sia opportuno e necessario valutare se siano possibili ulteriori sforzi per individuare risorse aggiuntive. Noi riteniamo - e lo diremo nella nostra mozione - che, per esempio, possano essere ridefiniti i parametri a cui riferire il recupero del potere d'acquisto delle retribuzioni e delle pensioni, ferme restando, ovviamente, le indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria. Credo che sia necessario valutare la possibilità di procedere alla restituzione del fiscal drag. Credo che sia opportuno definire misure di rafforzamento e di ampliamento del sistema degli ammortizzatori sociali, come dicevamo poc'anzi; che sia necessario stabilizzare e rendere strutturali le misure di detassazione dei salari di produttività degli straordinari; che sia, altresì, necessario individuare e predisporre forme di monitoraggio e di controllo per verificare la qualità e la quantità dei servizi resi alla persona dagli enti locali; che sia opportuno elaborare politiche attive e mirate per favorire chi ha redditi di lavoro discontinui ed introdurre, quindi, nuove forme di sostegno per i lavori cosiddetti atipici; come pure è opportuno che si arrivi ad affrontare il tema della detassazione del reddito d'impresa e del lavoro autonomo reinvestito. Credo che un confronto in Parlamento su questi temi possa essere utile soprattutto per le ulteriori fasi che ci aspettano in questo travagliato momento della vita economica del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pezzotta. Ne ha facoltà.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, premetto che su un tema di questo genere, che i colleghi dell'Italia dei Valori hanno posto, vi è da parte nostra una grande attenzione, anche perché riteniamo utile che la questione del lavoro, la questione dei redditi, soprattutto dei lavoratori e delle lavoratrici, debba tornare ad essere discussa e che la questione del lavoro e dell'occupazione debba tornare al centro del dibattito politico, in questa Aula e nel Paese.
Stiamo discutendo di tutto e di tutti in modo abbastanza estemporaneo oppure per inseguire alcuni interessi particolari, mentre su una questione che attanaglia migliaia di persone, di lavoratori, che fanno fatica, da un lato, a far quadrare il proprio bilancio e, dall'altro, ad avere una prospettiva occupazionale, si discute poco, si discute male e non si affrontano di petto le questioni.
È vero che all'interno dell'economia vi sono segnali di movimento: il Bollettino mensile del mese di novembre della Banca centrale europea evidenzia una graduale ripresa nell'area euro per il 2010, pur consolidandosi un'elevata incertezza sulle prospettive economiche. Le previsioni della Banca centrale europea indicano un'inflazione a livello internazionale lievemente negativa per gli effetti base connessi ai prezzi delle materie prime e l'ampio margine di capacità inutilizzata. Non abbiamo ancora una ripresa significativa del fatturato delle imprese. E se le imprese si attestano sui dati del fatturato attuale, credo che la questione occupazionale diventerà più pesante, non meno pesante, perché poi lentamente e progressivamente lo stesso effetto degli ammortizzatori sociali tenderà a ridursi. Credo che abbiamo di fronte una drammaticità: non voglio sottovalutare i problemi come quelli della giustizia o altri problemi, per carità, ma credo che questo sia il problema principale sul quale le famiglie, le persone, le lavoratrici e i lavoratori attenderebbero da parte nostra, da parte della politica e da parte del Governo una risposta.
A settembre l'inflazione generale al consumo, calcolata su 12 mesi, nell'insieme dei Paesi OCSE è stata pari allo 0,3 per cento ed è rimasta invariata ad agosto, mentre quella calcolata al netto dei beni alimentari ed energetici si è collocata all'1,5 per cento. Pag. 29
Le condizioni nei mercati del lavoro dell'area euro hanno continuato a deteriorarsi nei mesi recenti in modo pesante, ma anche il livello occupazionale degli Stati Uniti non mostra grandi movimenti, anzi, la disoccupazione negli Stati Uniti sta andando lentamente, ma progressivamente verso il 10 per cento e ciò vuol dire che anche lì la ripresa si vede, ma con il cannocchiale, cioè è ancora abbastanza lontana.
Le condizioni sono veramente pesanti. La seconda stima dell'EUROSTAT ha confermato una diminuzione dell'occupazione nell'area euro, nel secondo trimestre del 2009, pari allo 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente, a fronte del calo dello 0,7 per cento del primo trimestre. Tale andamento suggerisce il ritmo della contrazione dell'occupazione. Potrebbe forse cominciare a muoversi, ma il tasso della disoccupazione nell'area euro è salito al 9,7 per cento, un decimo di percentuale in più rispetto al mese precedente, e ci riporta a situazioni che avevamo quasi dimenticato; stiamo tornando indietro di oltre dieci anni.
Nonostante gli ultimi trimestri di contrazione, va sottolineato che l'occupazione dell'area euro, per effetto degli ammortizzatori sociali del sistema sociale europeo, ha tenuto, con tutti problemi che stiamo illustrando. In tale contesto, la produttività del lavoro, in termini di prodotto per occupato, ha continuato a diminuire nel secondo trimestre, scendendo al 3,1 per cento sul periodo corrispondente. In prospettiva esso dovrebbe mostrare un graduale recupero nell'ultima parte dell'anno, almeno così speriamo.
Dobbiamo, inoltre, guardare gli ultimi dati ISTAT sulla produzione industriale, da cui emerge un quadro sicuramente non entusiasmante e non forte, un quadro che desta preoccupazioni e una serie di inquietudini sociali che potrebbero anche dare vita a qualcosa in più.
La turbolenza finanziaria ha accresciuto l'incertezza delle famiglie circa gli andamenti finanziari ed economici del futuro, spingendo potenzialmente la loro domanda di moneta oltre il livello giustificato degli andamenti del reddito e dei tassi di interesse. Anche il risparmio familiare, che è sempre stato un elemento di forza dell'economia del nostro Paese, si sta riducendo rispetto alle questioni che oggi si presentano alle famiglie italiane.
Il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nel corso del suo intervento alla Giornata mondiale del risparmio, ha dichiarato che tra la fine del 2008 e l'inizio di quest'anno «la caduta in cui le nostre economie si stavano avvitando (...) si è fermata. Siamo meno sicuri che si stia avviando una ripresa duratura» dice sempre il Governatore «che non poggi solo sul sostegno straordinario alle politiche economiche».
Il Governatore diffonde anche cifre poco incoraggianti sul fronte dell'occupazione. In un anno, dal settembre 2008 al settembre 2009, sono stati persi 650 mila posti di lavoro, con elevate possibilità che negli ultimi mesi del 2009 tale cifra aumenta. Credo che ci siano alcuni argomenti da considerare e che siamo di fronte ad una situazione veramente pesante e che richiede una serie di interventi.
Quello che chiediamo - e lo presentiamo in un modo molto più articolato nella mozione - è che occorre impegnare il Governo a realizzare un costante monitoraggio, con le regioni e le parti sociali e a livello dei settori territoriali, in modo da finalizzarlo a verificare quali siano le situazioni più critiche per evitare il ricorso ai licenziamenti, attivando tutti gli strumenti, a partire da un utilizzo più intenso dei contratti di solidarietà; a costruire dei percorsi di intervento che vadano oltre l'emergenza occupazionale e, soprattutto, per quanto riguarda il sud e le donne, che in questa vicenda sono le più colpite, andando anche a dare efficacia alla funzionalità dell'apprendistato all'interno di una logica di transizione dalla scuola al lavoro; avviare una spinta riformatrice che tenda ad estendere gli ammortizzatori sociali in chiave universalistica, favorendo e sostenendo la bilateralità; parificare i costi contrattuali e i contributi previdenziali per le diverse tipologie di lavoro; dotare ogni lavoratrice e ogni lavoratore di una serie Pag. 30di tutele di politiche attive per il reimpiego; mettere in sicurezza le risorse necessarie con lo stanziamento, per il 2010, di 4 miliardi di euro aggiuntivi, come nel 2009.
Infine, crediamo che si debba puntare a una riduzione della pressione fiscale delle tasse sul lavoro, soprattutto per quanto riguarda gli aumenti salariali ottenuti attraverso la contrattazione decentrata e a disporre misure urgenti finalizzate ad ampliare il grado di copertura degli ammortizzatori sociali, prolungando il sistema di cassa integrazione, cassa integrazione speciale e ammortizzatori in deroga, nonché a prorogare l'indennità di disoccupazione nelle situazioni in cui si sia già pervenuti a 8-12 mesi di usufrutto.
Credo che queste siano alcune delle manovre che possono essere implementate e che non hanno costi eccessivi, ma che consentirebbero ai lavoratori di avere una disponibilità economica, una sicurezza e una prospettiva in una situazione che è veramente difficile e delicata.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00264, Ghiglia, Alessandri, Iannaccone ed altri n. 1-00270, Realacci ed altri n. 1-00272 e Piffari ed altri n. 1-00273 sui cambiamenti climatici e sulle connesse politiche pubbliche (ore 11,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00264, Ghiglia, Alessandri, Iannaccone ed altri n. 1-00270, Realacci ed altri n. 1-00272 e Piffari ed altri n. 1-00273 sui cambiamenti climatici e sulle connesse politiche pubbliche (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 12 novembre 2009.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto, che illustrerà anche la mozione Casini ed altri n. 1-00264, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, intervengo per illustrare la mozione Casini ed altri n. 1-00264, di cui sono cofirmatario insieme ad altri colleghi, tra cui gli onorevoli Libè, Vietti ed altri ancora e che abbiamo proposto in vista dell'importante vertice internazionale sul clima di Copenhagen. Lo abbiamo fatto perché questo vertice, che si svolgerà a dicembre, rappresenta una tappa importante dopo Kyoto e riteniamo sia utile sensibilizzare e orientare l'attività del Governo affinché si intraprendano iniziative che facciano del nostro Paese quello che promuove, anche presso i Governi degli Stati dell'Unione europea e quelli internazionali, politiche per l'appunto di sensibilizzazione di cultura ecosostenibile.
Dicevo che dal protocollo di Kyoto - il famoso venti, venti, venti - fino a Copenhagen sono stati numerosi i passaggi e le decisioni prese. Molte volte si è trattato anche di vertici sofferti, con decisioni faticosamente assunte in seguito anche a lunghe mediazioni, in funzione di un accordo globale per lo sviluppo di politiche di tutela dell'ecosistema. Riteniamo, però, che il vertice di Copenhagen non debba essere l'ennesima tappa intermedia di questo percorso. A Copenhagen dovranno essere assunte decisioni fondamentali per il futuro dell'ambiente del pianeta.
Dovranno essere definiti, in particolare, i criteri e le misure per l'abbattimento delle emissioni di gas inquinanti, dovranno Pag. 31essere individuate le risorse che permettano, in particolare, il sostegno agli Stati in via di sviluppo e alle economie emergenti per procedere in questo percorso, cioè per procedere affinché ci siano anche lì politiche green, ossia delle politiche verdi per operare il miglioramento generale delle condizioni ambientali del pianeta.
Copenhagen, quindi, è il vertice nel quale debbono essere raccolti i frutti dei lavori svolti negli ultimi anni e degli impegni assunti. Deve essere l'occasione anche per fissare un nuovo piano di salvaguardia dell'ambiente e un accordo chiaro per abbattere ancora di più le emissioni degli agenti inquinanti.
È un appuntamento importantissimo e credo che la sensibilità del nostro Paese e del nostro Governo si misurerà dalla capacità che avranno di svolgere un ruolo propositivo e attivo nel vertice di Copenhagen, un ruolo da protagonista, facendosi promotori di ogni iniziativa che permetta una concertazione vera tra i vari attori internazionali e un'azione chiara verso l'assunzione di responsabilità importanti in funzione di politiche ecosostenibili, partendo chiaramente anche dall'impegno primario di metterle in atto con senso di responsabilità anche nel nostro Paese.
Ebbene il rischio è che, siccome il vertice di Copenhagen si svolge mentre c'è una crisi economica che forse ha già toccato il punto più difficile, ma non c'è ancora una ripresa, la crisi diventi in qualche modo l'occasione per rallentare questo percorso. Invece, nella nostra mozione vogliamo stimolare il Governo affinché ci siano impegni, proposti dal nostro Governo e realizzati intanto in sede nazionale, ma proposti con forza in sede internazionale, per costruire un sistema (quello dopo la crisi) che deve reggersi non solo sull'equilibrio tra finanza e produzione, ma anche sull'equilibrio tra sviluppo economico e sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale.
Per cui nella nostra mozione, e concludo, abbiamo rivolto al Governo una serie di inviti. Nella parte dispositiva sono molteplici le iniziative che chiediamo il Governo assuma sotto forma di impegno a realizzarle, ma appartengono sostanzialmente a tre ordini di priorità: vorremmo che il Governo assumesse un complesso di iniziative importanti per la diminuzione della dipendenza dalle fonti fossili tradizionali e per il conseguente sostegno alle forme alternative, al nucleare pulito; vorremmo che si proseguisse con maggiore decisione nella direzione dell'efficientamento energetico in funzione dell'abbattimento dei gas nocivi e inquinanti e all'arresto della deforestazione; vorremmo ancora che ci fossero iniziative, anche infrastrutturali, importanti nella direzione dell'ammodernamento delle reti di distribuzione e del miglioramento delle reti idriche.
Vorremmo, da ultimo, che ci fosse un contributo in termini di ricerca e finanziamenti ai Paesi che si trovano indietro rispetto agli standard internazionali. Ci riferiamo soprattutto proprio alle economie dei Paesi emergenti e alle economie dei Paesi in ritardo di sviluppo. Vorremmo che si aprisse, da qui a dicembre, quando si svolgerà questo vertice, una seria discussione nella politica del nostro Paese affinché davvero il Governo possa sedersi a Copenhagen deciso a svolgere una funzione da vero protagonista su questa questione che credo sia assai importante e che non va valutata, come spesso si è tentati di fare, in un momento nel quale le ragioni della crisi economica tentano di prevalere sulle ragioni dello sviluppo ecosostenibile (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tortoli, che illustrerà anche la mozione Ghiglia, Alessandri, Iannaccone e altri, n. 1-00270, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, non nascondo che quando mi sono trovato di fronte alla necessità di chiedere al Governo un impegno preciso sull'adattamento ai cambiamenti climatici in vista di Copenhagen, ho avuto un attimo di forte perplessità pensando al terremoto de L'Aquila e agli smottamenti di Messina, tragedie Pag. 32recenti e dolorose di una realtà tutta italiana che ad orologeria colpisce il nostro territorio con conseguenze sempre drammatiche.
Siamo il terzo Paese in Europa per efficienza energetica e sempre il terzo per consumo finale di energia per unità di PIL; siamo il settimo Paese al mondo per le energie rinnovabili e questo non lo dice nessuno; incidiamo in maniera ridicola nell'emissione globale di CO2 rispetto agli altri Paesi, ma anche noi dobbiamo impegnarci sempre di più a sostegno delle produzioni a minore impatto di CO2, al risparmio delle risorse, all'efficienza energetica, al minore impatto nella produzione di rifiuti.
Mi auguro che questo sforzo che l'Italia dovrà sostenere non finisca per ridurre il nostro impegno per la difesa del suolo e per l'adattamento e la messa in sicurezza del nostro Paese da un punto di vista sismico. L'ambiente è diventata una delle priorità globali non solo per l'interesse che suscita nell'opinione pubblica e per i riflessi che ha nella qualità della vita, ma anche per il ruolo che riveste nelle sfide che la globalizzazione impone a tutti i Paesi, da quelli industrializzati a quelli emergenti fino ai Paesi in via di sviluppo.
Un tema centrale è quello dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale del pianeta che, pur non essendoci stato alcun aumento di temperatura negli ultimi 11 anni, nessuno vuole disconoscere. Più controversa è, invece, la teoria che vuole che esso dipenda per il 92,5 per cento dai gas serra prodotti dall'uomo e per il 7,5 dal sole.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati studi che mettono in discussione questa tesi, che usa più il metro della cronaca che quello della storia ed utilizza modelli di calcolo previsionale facilmente confutabili o, per meglio dire, che non vanno necessariamente dati per certi. Comunque, se il riscaldamento globale c'è, occorre attuare politiche di adattamento ed occorre che tutti le attuino. Le posizioni dei vari Paesi su come gestire i rischi associati al cambiamento climatico non sono però uniformi, anzi continuano ad emergere notevoli divergenze sia in termini di impegni di riduzione delle emissioni, sia in termini degli strumenti da adottare. L'Europa da anni ha assunto la leadership mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici adottando obiettivi ambiziosi in materia di riduzione delle emissioni dei gas serra, promozione delle energie rinnovabili ed efficienza energetica.
Con il pacchetto clima l'Unione europea ha sottoscritto un obiettivo unilaterale di riduzione delle emissioni di CO2 del 20 per cento da raggiungere entro il 2020, un obiettivo del 20 per cento di energie rinnovabili e un obiettivo di risparmio energetico sempre del 20 per cento. È vero che la strada della sostenibilità ambientale e dello sviluppo delle tecnologie pulite intrapresa dall'Europa sarà sicuramente uno dei pilastri dell'evoluzione dei mercati in tutto il mondo e potrà dare anche al nostro paese vantaggi competitivi importanti in futuro, ma è altresì evidente che imporre severi limiti alle emissioni di CO2 e rigidi criteri ambientali in un periodo recessivo può essere controproducente.
L'obiettivo deve essere quello di coniugare le misure idonee a sostenere lo sviluppo ambientale con quelle attuate per favorire la ripresa economica. Pur nella difficile congiuntura economica, lo sviluppo delle tecnologie ambientali alla base della green economy è un fattore di crescita fondamentale per il nostro Paese. La green economy è senza dubbio la nuova frontiera della crescita economica del XXI secolo. Si apre una fase in cui la conservazione della natura e delle sue bellezze e risorse non sarà un freno allo sviluppo della società umana. Nella nuova epoca della green economy la tutela dell'equilibrio ecosistemico avverrà nel nostro Paese percorrendo una strada improntata al realismo e alla concretezza, un concreto governo dell'ambiente.
Si tratta di un'impostazione che sarà possibile grazie alle tecnologie a disposizione e ad un approccio più pragmatico. Il «dogmatismo verde» ha danneggiato la società senza preservare l'ambiente. Il nostro Governo dovrà usare ed userà tutti gli strumenti per favorire lo sviluppo della green economyPag. 33evitando distorsioni derivanti da visioni ideologiche; lo dovrà fare e lo farà evitando che le trattative internazionali finiscano per avere pesanti impatti sull'economia nazionale con la penalizzazione dei nostri distretti manifatturieri. Non si tratta di colpire e deprimere le attività imprenditoriali con astratti obiettivi di contenimento dei consumi; è molto più utile favorire la riconversione dei processi produttivi, sostenere la ricerca tecnologica e incentivare gli investimenti. Senza un pieno e completo coinvolgimento del tessuto produttivo non può essere attuata nessuna politica di salvaguardia ambientale. Il comparto della green economy è di gran lunga quello che in questa fase di congiuntura economica negativa può offrire le migliori opportunità di investimento. Di più, è il settore che garantirà nel futuro in concreto la salvaguardia dell'ambiente.
A questo punto è centrale la necessità che il prossimo accordo sul clima coinvolga tutti i Paesi che contribuiscono maggiormente alle emissioni di CO2 a livello globale. Nell'emissione di CO2 l'Europa oggi incide per il 14 per cento, l'America 20 per cento, la Cina e l'India per il 25 per cento e gli altri Paesi per il 41 per cento. Si prevede che nel 2030, mentre l'Europa inciderà solo per il 9 per cento, India e Cina incideranno per il 37 per cento e gli altri Paesi in via di sviluppo per il 40 per cento. Da qui emerge in maniera significativa la marginalità dell'Europa in termini di incidenza sulle emissioni globali di CO2. Basti pensare, a titolo di esempio, che solo in Cina negli ultimi due anni sono entrate in produzione 205 mila megawatt di nuove centrali, per lo più a carbone, e che le stesse emettono nell'atmosfera 1,3 miliardi di tonnellate di CO2 l'anno, pari al totale delle emissioni di tutte le centrali termoelettriche dell'Europa dei 25. Se pertanto l'Europa decidesse di continuare da sola, non sono non ci sarà per il pianeta nessun beneficio ambientale, ma metteremo a rischio tutto il nostro comparto produttivo, generando una fortissima ulteriore perdita di competitività delle imprese europee e italiane.
Ai fini di una politica globale per il reale contrasto ai cambiamenti climatici occorre primariamente che tutti i Paesi riconoscano e si assumano le proprie responsabilità e adottino misure concrete e uniformi per la riduzione delle emissioni tenendo conto delle specificità nazionali. Per il nostro Paese uno strumento centrale è l'efficienza energetica, sia attraverso cambiamenti nelle abitudini di tutti, sia attraverso tecnologie efficienti in termini di costi e benefici. L'Agenzia internazionale per l'energia stima che, fatto 100 il totale della riduzione delle emissioni, una percentuale molto alta, il 36 per cento, sarebbe ottenibile proprio grazie ad un forte aumento dell'efficienza energetica negli usi finali.
Quindi, occorre che nel breve periodo vada definito un quadro di interventi di sensibilizzazione della popolazione sulla natura strategica delle politiche ambientali e sulla essenziale importanza dei comportamenti virtuosi individuali. Occorre definire un quadro di interventi in materia di educazione ambientale che miri a far diventare l'ambiente una materia di studio nelle scuole primarie, anche attraverso il coinvolgimento delle imprese e del mondo ambientalista. Di contro occorre adottare misure per il sostegno degli investimenti diretti al risparmio energetico, alla ricerca, al suo sviluppo e allo sviluppo delle tecnologie pulite nel settore delle costruzioni, in particolare con misure dirette a ridurre i consumi energetici degli edifici privati e pubblici.
Concludo facendo riferimento direttamente alla mozione della maggioranza, sottoscritta anche da me, che suddivide gli impegni richiesti al Governo nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Voglio dare particolare risalto, come ho già accennato, al settore del risparmio energetico soprattutto in edilizia, al rilancio del nucleare come energia in grado di affrontare il problema delle emissioni di CO2 e soprattutto al grande impegno verso la ricerca nelle tecnologie pulite.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta, che illustrerà anche Pag. 34la mozione Realacci ed altri n. 1-00272, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, la mozione a prima firma dell'onorevole Realacci ha lo scopo di indirizzare il Governo verso la Conferenza internazionale di Copenhagen. Si tratta di un ulteriore atto parlamentare promosso dal Partito Democratico; ricordo, da ultimo, la mozione sullo sviluppo sostenibile, presentata anche in quel caso a prima firma Realacci, all'inizio di febbraio, che poi è stata assorbita in una mozione unitaria a prima firma Alessandri, approvata in Assemblea il 24 febbraio di quest'anno. Faccio riferimento a quella mozione perché in quel caso si trovò un'intesa tra maggioranza e opposizione e fu possibile approvare all'unanimità con l'apporto di tutti i gruppi un documento fondamentale dal punto di vista mio e del Partito Democratico.
Anche la mozione oggi in discussione vorrebbe poter promuovere un dibattito auspicabilmente unitario, non è intrisa di pregiudizi ideologici, mira ad ottenere il parere favorevole del Governo e a poter essere unitariamente votata. Ogni generazione politica ha un compito fondamentale da porsi; questa generazione, questo Parlamento deve guardare al problema dei cambiamenti climatici come alla vera emergenza straordinaria di questi tempi. È qui ed ora che bisogna porre attenzione e determinare misure in grado di fronteggiare una così grave emergenza. La Conferenza di Copenhagen non può essere un'occasione perduta, deve essere assolutamente un momento importante, fondamentale nella strategia dell'adattamento ai cambiamenti climatici, della mitigazione, della sfida di tali cambiamenti, del planet challenge.
La temperatura media si è innalzata di oltre 0,7 gradi nel secolo scorso e crescerà tra 1,8 e 4 gradi entro il 2100; l'innalzamento del livello del mare è di circa 20 centimetri negli ultimi 120 anni; gli eventi alluvionali negli ultimi anni, si pensi a Katrina nel 2005 o alle alluvioni del Bangladesh, sono sempre più frequenti ed hanno effetti disastrosi. Gli otto anni più caldi dell'ultimo secolo - sono dati del CNR - si sono verificati tutti dopo il 1998; le temperature globali delle ultime decadi sono state quasi sicuramente più alte che in ogni altro periodo di durata analoga degli ultimi quattrocento anni e probabilmente anche degli ultimi mille anni.
Nelle regioni polari l'aumento di temperatura è stato anche più del doppio della media globale, il riscaldamento globale comporta effetti già parzialmente in atto quali l'aumento del livello del mare, alluvioni, incendi più estesi, siccità, desertificazione, fusione e possibile collasso di ghiacciai terrestri, riduzione del ghiaccio marino, diffusione di malattie, collasso di ecosistemi, migrazioni di massa.
Nel 2005 l'Unione europea ha formalizzato la proposta di limitare la quantità totale di gas serra in atmosfera ad un livello per cui la temperatura media globale della superficie della terra non aumenti più di due gradi centigradi rispetto ai livelli precedenti l'era industriale. La scelta di un limite di due gradi centigradi è indicativa: un aumento della temperatura maggiore di questo valore viene infatti considerato eccessivo per i rischi e per i costi associati.
Affrontiamo, dunque, una straordinaria emergenza climatica, mentre con picchi impressionanti dallo scorso anno siamo anche interessati da una crisi economica. C'è un pensiero pericoloso che sembra diffondersi, quello secondo cui dovendo fronteggiare i problemi economici non possiamo occuparci di quelli climatici; è vero esattamente il contrario: è esattamente attraverso misure che possano fronteggiare i primi che si riuscirà a fronteggiare anche i secondi.
Lo hanno detto in tanti, ma meglio di tutti lo ha spiegato Al Gore, premio Nobel, che su The New York Times del 9 novembre 2008 ha tracciato sinteticamente la filosofia del new deal ecologico, cui ci dovremmo tutti ispirare. Dice infatti: le iniziative temerarie e di grossa portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre Pag. 35intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica.
La conversione dei nostri sistemi produttivi e delle nostre abitudini di vita, dalle tecniche costruttive dell'edilizia alle modalità di trasporto in chiave ecocompatibile non discende esclusivamente da esigenze di salvaguardia dell'ambiente. Essa, in realtà, è il prodotto della stessa evoluzione dei sistemi produttivi.
Già in numerose precedenti occasioni, come ampiamente dimostrato dalla storia economica, l'evoluzione dei sistemi economici ha vissuto alcuni passaggi fondamentali legati all'adozione di nuove tecniche e di nuove modalità di organizzazione dei processi produttivi.
Oggi la parte più avanzata e innovativa del sistema produttivo si sta attrezzando per adottare nuove tecniche di produzione a minore impatto ambientale e chiede, conseguentemente, alla politica l'adozione di misure in grado di promuovere questo passaggio.
La Conferenza di Copenhagen sarà dunque un appuntamento cruciale. Di recente lo stesso Ministro Prestigiacomo, nel corso di un'audizione presso la VIII Commissione della Camera dei deputati, ha ricordato che nel corso di quest'anno le posizioni inizialmente molto rigide dei cosiddetti Paesi emergenti (Cina, Brasile e India) si sono andate per fortuna ammorbidendo, tanto che durante il G8 a L'Aquila i capi di Stato e di Governo hanno potuto concordare sulla necessità di contenere l'aumento di temperatura entro i 2 gradi centigradi entro il 2050 e, a tal fine, ridurre le emissioni dell'80 per cento, se i Paesi in via di sviluppo assumono analogo impegno.
Si tratta di un appuntamento importante, che ha avuto poi un seguito nell'Assemblea generale dell'ONU del mese di settembre. Ciò fa ben sperare, anche se le contraddizioni che sono emerse e vanno emergendo in sede negoziale ovviamente rimangono problematiche. L'Europa ha assunto da parecchio la leadership su questi argomenti: l'elemento fondante è stata l'approvazione lo scorso anno del cosiddetto «pacchetto clima 20-20-20», che prevede la riduzione del 20 per cento di emissioni di anidride carbonica entro il 2020, persino ampliabile al 30 per cento, nel caso in cui altri Paesi si impegnino in analogo modo, il 20 per cento di efficienza energetica in più e una percentuale del 20 per cento di energia prodotta attraverso energie rinnovabili. Questi sono gli impegni dell'Europa.
I grandi Paesi europei da tempo si muovono lungo questa direttrice: di recente, il Governo inglese ha istituito il Ministero per le energie e i cambiamenti climatici, adottando l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra dell'80 per cento entro il 2050; investirà l'1 per cento del PIL entro il 2020 per l'efficienza energetica nell'edilizia e la decarbonizzazione dei trasporti, dell'industria e delle centrali elettriche; ha avviato un piano strategico di sviluppo delle energie rinnovabili.
Il Governo francese ha presentato una legge quadro per l'ambiente che prevede, tra l'altro, misure per la certificazione e l'efficienza energetica degli edifici e semplificazione per le energie rinnovabili. Ogni regione dovrà, con propria legge, varare un piano per contribuire alla riduzione nazionale del 75 per cento delle emissioni di anidride carbonica entro il 2050 e misure per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per l'adeguamento della rete elettrica.
Il Governo tedesco, nel gennaio 2009, ha annunciato che gli occupati in Germania nei settori delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica e dei prodotti per la protezione ambientale sono 1,8 milioni. Ha varato un secondo pacchetto integrato, formato da 7 leggi, per il clima e l'energia; ha investito 3,3 miliardi di euro nel 2008 per politiche e misure tese a ridurre le emissioni di gas serra in vari settori. Barack Obama ha dato su questi temi una svolta alla politica economica e ambientale degli Stati Uniti e, di conseguenza, del mondo.
Ricordiamo l'impegno di affrancare entro dieci anni l'America dal petrolio arabo, il piano di investimenti di 150 miliardi di dollari per risparmio energetico e fonti Pag. 36rinnovabili e la conseguente creazione nella green economy di 5 milioni di posti di lavoro.
Insomma, non vi è differenza di colore da parte dei grandi leader mondiali nell'affrontare questo problema. Ai politici progressisti (Obama, Gordon Brown, Zapatero) corrispondono leader moderati e conservatori (Sarkozy, Merkel, Barroso).
L'Italia deve fare la sua parte, con più decisione, più impegno, credendo di più: non deve farlo solo la politica, ma l'intero sistema-Paese. Questa emergenza può essere infatti una straordinaria prospettiva di progresso, in cui sarà possibile trovare nuovo slancio economico industriale, tecnologico e soprattutto creare nuova occupazione e nuovi posti di lavoro.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SALVATORE MARGIOTTA. Abbiamo accumulato ritardi sui target fissati dagli accordi internazionali: in particolare rispetto agli impegni di Kyoto siamo in controtendenza, registrando un aumento di emissioni anziché una diminuzione.
Bisogna imprimere un nuovo impulso. Sin qui molte cose non hanno funzionato: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha presentato, benché sollecitato a tal fine anche dalla risoluzione di approvazione del DPEF in Aula e a seguito di un impegno esplicito del Governo in tale circostanza, l'allegato previsto dall'articolo 26 del decreto-legge n. 159 del 2007 sugli indirizzi e sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, in coerenza con gli obblighi derivanti dall'attuazione del Protocollo di Kyoto. Nulla è stato fatto in questa legislatura per sostenere la produzione di energie rinnovabili, dal solare al geotermico, dall'eolico alle biomasse, dal riciclo dei rifiuti all'idroelettrico, neppure sulle nuove tecnologie per la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica. Nessun provvedimento è stato adottato per uno spostamento della tassazione dei redditi dei cittadini alle condotte dannose per l'ambiente, nell'invarianza della pressione fiscale complessiva; né vi è traccia, anche nella legge finanziaria in discussione, di incentivi per il risparmio energetico (vedi il credito d'imposta del 55 per cento per la ristrutturazione nel segno dell'efficienza energetica), o di incentivi per la mobilità sostenibile.
Le risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la riduzione dell'inquinamento sono passate dagli oltre 800 milioni di euro dell'ultima legge finanziaria Prodi a 150 milioni di euro per il 2010; quelli per lo sviluppo sostenibile da oltre 300 nel 2008 a 66 nel 2010. Il Fondo rotativo di Kyoto, stanziato dal Governo Prodi nella legge finanziaria del 2007, con 600 milioni di euro per tre anni, è rimasto sin qui inutilizzato, nonostante possa mobilitare, secondo quanto affermato dallo stesso Ministro Prestigiacomo, investimenti nelle fonti rinnovabili e nell'efficienza energetica per oltre 3 miliardi di euro.
Ancora (e concludo): l'Italia è il Paese con il maggior numero di infrazioni in materia ambientale ed il minor numero di investimenti per combattere i cambiamenti climatici e sostenere le energie pulite. Il primo atto del Governo Berlusconi è stato l'abrogazione dell'obbligo di allegare la certificazione energetica negli atti di compravendita degli immobili. Abbiamo dato ingenti incentivi CIP6 per termovalorizzatori, che non hanno niente a che fare con energie rinnovabili o pulite, a carico dei cittadini e con importanti deroghe alla normativa europea. Bisognerebbe incentivare gli acquisti verdi della pubblica amministrazione e tutti i settori che lavorano nel ciclo produttivo in grave difficoltà a seguito della crisi mondiale, invece di adottare misure come il rinvio dell'eliminazione delle lampadine ad incandescenza o delle buste di plastica. Il Governo inoltre ha annullato i 3 miliardi di euro stanziati dal Governo Prodi per la bonifica dei siti inquinati.
Insomma, c'è bisogno di un cambio di passo: alle misure sin qui citate vanno aggiunte misure nel settore dei trasporti e della mobilità sostenibile, misure nel settore del risparmio e della tutela delle Pag. 37risorse idriche, maggiore diffusione dei motori elettrici anche in settori diversi da quello industriale, misure per la cogenerazione, per l'efficienza energetica nell'illuminazione e il riscaldamento civile.
Concludo, signor Presidente. Dicembre, Copenhagen: data e luogo cruciali per l'umanità. L'Italia non può essere retroguardia dell'Europa: questo Parlamento impegna il Governo, al contrario, a porsi all'avanguardia del vecchio continente, di quel vecchio continente che, secondo il preambolo della Costituzione, è spazio privilegiato della speranza umana. L'Italia dev'essere all'altezza di questa definizione, ha tutte le potenzialità per farlo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la mozione Piffari ed altri n. 1-00273, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, la mozione dell'Italia dei Valori intende incentivare, stimolare e anche operare una serie di iniziative di controllo su quanto il Governo vorrà mettere in campo, ritengo concretamente, a partire dal 7 dicembre a Copenhagen. È una data importante, una data nella quale credo il Governo debba mostrare con atti, fatti e comportamenti se veramente, nell'ambito delle politiche dei cambiamenti climatici e della messa in opera di una serie di iniziative pubbliche, si voglia contraddistinguere. E non chiedo al Governo di rappresentare l'avanguardia delle avanguardie: chiedo al Governo di essere concretamente presente per dire che cosa intende fare, come intende farlo, e soprattutto con quale mezzi e con quali tempi.
Credo che a Copenhagen i circa 200 Stati firmatari dovranno sviluppare ulteriormente la Convenzione dell'ONU sul clima e stipulare un accordo successivo al protocollo di Kyoto, con il quale i Paesi industrializzati - fra questi l'Italia - e quelli emergenti dovranno impegnarsi a raggiungere determinati obiettivi di riduzione dei gas serra. Il presupposto fondamentale su cui si baserà il nuovo trattato di Copenhagen è l'attuazione dell'articolo 2 della Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, che mira alla stabilizzazione della concentrazione di gas ad effetto serra in atmosfera, in modo da ridurre le pericolose interferenze antropogeniche al sistema climatico. L'attuazione di questo obiettivo dovrà avvenire nel rispetto di tre principi, che io condivido unitamente al gruppo dell'Italia dei Valori: il principio di precauzione (secondo il quale l'incertezza delle conoscenze scientifiche non può essere usata come scusa per posticipare un intervento, quando esiste comunque il rischio di un danno irreversibile), il principio della responsabilità comune ma differenziata (per il quale tutti i Paesi della terra sono responsabili dei cambiamenti climatici generati dalle attività umane ma tale responsabilità è, però, chiaramente differente fra i vari Paesi a seconda delle condizioni di sviluppo socio-economico ed industriale) e quello di equità (per la suddivisione dei costi e dei benefici delle decisioni adottate per prevenire e per adattarsi ai cambiamenti climatici e per tenere nel debito conto gli effetti delle decisioni sulle future generazioni).
Copenhagen sostituirà il Protocollo di Kyoto (che scade nel 2012), il trattato adottato dalla comunità internazionale nel dicembre 1997 e sottoscritto da oltre 160 Paesi partecipanti nel corso della terza sessione della Conferenza delle parti sul clima, istituita nell'ambito della Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite.
Si ricorda che l'oggetto del Protocollo di Kyoto - ancora in vigore - è la riduzione, attraverso un'azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra. Più precisamente si prevede che le parti (i Paesi industrializzati che hanno aderito alla Convenzione quadro) dovranno, individualmente o congiuntamente, assicurare che le emissioni derivanti dalle attività umane globali vengano ridotte di almeno il 5 per cento entro il 2008-2012, rispetto ai livelli del 1990, con impegni di riduzione differenziati da Paese a Paese. Pag. 38
Per quanto riguarda l'Italia, la ratifica del Protocollo di Kyoto è avvenuta con la legge 1o giugno 2002, n. 120. Per il nostro Paese i dati della Commissione europea evidenziano che nel 2006 si sarebbe registrato un aumento delle emissioni di circa il 10 per cento e si preventiva, con il ricorso a tutte le misure attualmente disponibili, una riduzione del 5 per cento rispetto al 1990, che sarebbe comunque insufficiente a raggiungere l'obiettivo di Kyoto, che ha assegnato al nostro Paese una riduzione del 6,5 per cento.
I cambiamenti climatici sono forse la più grande minaccia ambientale che l'umanità si trova a dover affrontare. L'aumento della temperatura terrestre, oggi pari a +0,8o C, è stato causato per la maggior parte dalle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati e la maggior parte della comunità scientifica è molto chiara su cosa occorre fare per evitare impatti climatici catastrofici: le emissioni di anidride carbonica devono essere stabilizzate al più presto, nei prossimi sei anni, per poi essere portate il più possibile vicino allo zero entro il 2050. Si stima che i cambiamenti del clima causeranno l'estinzione del 20-30 per cento delle specie oggi conosciute. La perdita di ghiaccio nell'Artico e nell'Antartico ha superato gli scenari più negativi disegnati dagli scienziati e molti atolli e isole rischiano di sparire, costringendo intere popolazioni a spostarsi. Quando i terreni fertili verranno colpiti da siccità e alluvioni, la sicurezza alimentare di miliardi di persone sarà a rischio. Il Quarto rapporto di valutazione della maggiore autorità in fatto di cambiamenti climatici, l'Ipcc, diffuso nel 2007, è stato categorico nell'indicare le prove dirette della crescita delle temperature: dall'aumento medio del livello del mare su scala globale, al ritiro dei ghiacciai, dall'estremizzarsi delle precipitazioni in alcune aree, alla desertificazione di altre aree del pianeta. Il Mediterraneo è un'area a rischio desertificazione e così il 30 per cento del territorio italiano. L'obiettivo di mantenere entro 2 gradi celcius l'aumento della temperatura terrestre (rispetto all'era preindustriale) causato dall'effetto serra costituisce ancora oggi il punto di riferimento delle analisi e dei documenti ufficiali che trattano delle conseguenze, dei costi e dei benefici delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. Gli scienziati hanno, infatti, indicato proprio nel 2 per cento di aumento la soglia limite da non superare, affinché il fenomeno non diventi irreversibile.
Da qui la necessità che i maggiori Paesi emettitori di gas serra raggiungano un accordo globale forte, equo e legalmente vincolante a Copenhagen per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra di almeno il 40 per cento entro il 2020 e contenere entro il 2100 il riscaldamento climatico al di sotto dei due gradi rispetto all'epoca preindustriale. Le assemblee e le conferenze dell'ONU, i vertici nazionali e regionali, i G8 degli ultimi due anni si sono tutti conclusi con l'impegno a votare un patto globale di mitigazione e adattamento entro il 2009.
Per quanto riguarda il nostro continente, il Consiglio europeo nel marzo 2007 ha definito quale obiettivo strategico della politica energetica europea la riduzione almeno del 20 per cento, entro il 2020, delle emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell'Unione europea rispetto ai livelli del 1990 e addirittura del 30 per cento in presenza di analoghi impegni da parte di altri Paesi.
Tale obiettivo si è tradotto nell'adozione del cosiddetto «pacchetto energia-clima», in base al quale, oltre all'abbattimento delle emissioni di gas serra fino al 20 per cento rispetto ai livelli del 1990, va aumentata al 20 per cento la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020 e va migliorata del 20 per cento l'efficienza energetica.
Il 28 gennaio 2009 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione «Verso un accordo organico sui cambiamenti climatici a Copenhagen», che costituisce la prima concreta proposta di accordo da parte di un grande blocco nell'ambito del negoziato internazionale post-Kyoto.
Successivamente, in data 1o aprile 2009, sempre la Commissione europea ha Pag. 39adottato il libro bianco «L'adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d'azione europeo», che illustra gli interventi necessari ad aumentare la resistenza dell'Unione europea nell'adattarsi ai mutamenti del clima.
Il 21 ottobre scorso in Lussemburgo è stato quindi approvato dai Ministri dell'ambiente dell'Unione europea il documento sul clima che contiene il target di riduzione della CO2 dell'Unione europea dell'80-95 per cento al 2050 rispetto ai livelli del 1990, che è la base negoziale per la prossima conferenza ONU a Copenhagen.
L'Europa conferma positivamente, quindi, la sua leadership in questo ambito: si è mossa per prima e con più convinzione e ancora adesso è quella ad avere una strategia più chiara e delle proposte concrete.
Gli obiettivi europei sono sicuramente importanti, ma è chiaro che sono del tutto insufficienti. Lo sforzo da parte dei Paesi europei e di quelli industrializzati, a cominciare dagli Stati Uniti, dovrà trovare infatti corrispondente impegno anche da parte del BRIC, ossia dei quattro colossi emergenti (Brasile, Russia, India e Cina), Paesi che hanno responsabilità minime per i guasti del passato ma che corrono a grandi passi verso un alto indice di industrializzazione, rischiando di causare nel futuro prossimo gli stessi danni all'atmosfera apportati dalle politiche del vecchio G7. Già oggi la Cina è il maggior emettitore di gas serra al mondo e se il 75 per cento delle emissioni è storicamente imputabile ai Paesi sviluppati, lo scenario di domani indica che il 90 per cento verrà dai Paesi emergenti.
È necessario quindi che l'Europa tutta continui ad avere un ruolo da protagonista per raggiungere gli obiettivi che saranno concordati e si dovrà, conseguentemente, rendere disponibile a prendere impegni vincolanti.
Dopo Copenhagen ciascuno degli Stati dovrà tradurre la conclusione del negoziato in nuove modalità di comportamento, nazionale e comunitario, e il negoziato climatico globale potrà costringere il nostro Paese e l'Europa a posizioni più coraggiose.
Peraltro, le evidenti difficoltà per un successo della conferenza di Copenhagen risiedono proprio nella complessità delle negoziazioni. Si tratta di due percorsi paralleli: uno riguarda i Paesi che hanno ratificato il protocollo di Kyoto, l'altro raccoglie tutti gli altri Paesi, tra cui Cina e Stati Uniti.
Il sostanziale stallo a livello mondiale, che affligge i dibattiti internazionali e le decisioni concrete nella lotta ai cambiamenti climatici, dovrà essere superato con impegni concreti sul taglio delle emissioni nocive e, soprattutto, sul piano finanziario, cogliendo l'opportunità di stimolare la ripresa economica e l'occupazione, anche attraverso scelte energetiche pulite.
Sotto quest'ultimo aspetto, un passaggio ineludibile dovrà perciò essere quello di una riconversione ecologica dei modelli di produzione per impedire e ridurre i disastri ambientali, sociali e finanziari connessi ai cambiamenti climatici in atto.
La totale incertezza della politica sul che fare viene fortunatamente compensata dal dinamismo del mercato globale, dove negli ultimi cinque anni gli investimenti privati nelle fonti rinnovabili e nell'efficienza energetica si sono moltiplicati per dieci.
Secondo l'ultimo rapporto di Greenpeace, il mercato delle energie pulite creerà infatti otto milioni di posti di lavoro nel mondo e 100 mila in Italia. Solo dal 2007 il volume di investimento mondiale nelle fonti di energie rinnovabili è raddoppiato annualmente, passando da 30 a 60 miliardi di euro l'anno e gli esperti si aspettano che entro il 2020 l'investimento complessivo raggiungerà i 400 miliardi di euro l'anno.
È evidente la funzione anticiclica degli investimenti pubblici nella lotta ai cambiamenti climatici e, in particolare, degli investimenti in tecnologie per la riduzione di emissioni di anidride carbonica e per l'aumento dell'efficienza e dell'indipendenza energetica. Nei Paesi industrializzati si va, quindi, sempre più affermando la Pag. 40convinzione che un «new deal ecologico», per la promozione degli investimenti nel campo dell'efficienza energetica, delle fonti energetiche rinnovabili e della mobilità sostenibile, possa produrre rilevanti vantaggi, sia nell'impegno primario per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra, sia nello sforzo contingente per sostenere i consumi e l'occupazione.
La promozione delle energie rinnovabili (energia eolica, solare termodinamica e fotovoltaica, idraulica, mareomotrice, geotermica e da biomassa) costituisce, da tempo, uno degli obiettivi principali della politica, soprattutto dell'Unione europea, nel settore energetico.
L'Agenzia internazionale dell'energia ha di recente indicato che fino al 60 per cento la soluzione del problema clima-gas serra al 2020 può venire dall'efficienza energetica, sia negli usi finali che nella generazione elettrica. In questo senso, il successo della Conferenza dipenderà, inoltre, dall'impegno finanziario che i Paesi industrializzati decideranno di sostenere per facilitare il trasferimento di tecnologie pulite. È evidente che la Conferenza di Copenhagen dovrà segnare un passaggio storico se ci sarà convergenza su misure e regole da adottare, gettando le basi per una nuova economia globale sempre meno dipendente dal carbone e dai combustibili fossili e in grado di sostenere la crescita, favorendo le energie alternative e riducendo drasticamente le emissioni inquinanti.
Dato questo quadro, l'Italia dei Valori, con questa mozione, vuole impegnare il Governo ad adoperarsi, nell'ambito della quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Copenhagen nel dicembre 2009, al fine di ottenere un impegno - come premessa ineludibile per il buon esito della Conferenza sul clima - che garantisca adeguati investimenti e consistenti risorse finanziarie pluriennali (con impegni differenziati tra i vari Paesi), indispensabili per efficaci politiche globali di riduzione delle emissioni di gas «climalteranti»; a proseguire ed intensificare la politica per il risparmio energetico e l'uso più efficiente dell'energia convenzionale in tutti i settori di applicazione (primo fra tutti, quello dei trasporti dove si compiono i maggiori sprechi); ad incentivare l'uso diffuso delle nuove fonti energetiche rinnovabili, gli investimenti in tecnologie per la riduzione di emissioni di anidride carbonica e l'aumento dell'indipendenza energetica; a prevedere per i Paesi più industrializzati un impegno a ridurre le proprie emissioni di gas serra di almeno il 40 per cento entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990; a non far rientrare l'energia nucleare tra le opzioni finanziabili per ridurre le emissioni nocive e «climalteranti»; ad incrementare le risorse per la cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile; ad impegnare i Paesi più sviluppati a contribuire sensibilmente al finanziamento - da più parti quantificato in 100 miliardi di dollari all'anno fino al 2020 - dell'indispensabile trasferimento di tecnologie per l'energia pulita e di un adeguato sostegno economico verso le nazioni più povere, che sono, peraltro, anche le prime a sopportare gli attuali e futuri rovesci del clima, favorendo in questo senso l'attuazione delle necessarie misure di adattamento agli inevitabili impatti del cambiamento climatico; a favorire iniziative per il contrasto alla deforestazione in atto - e le emissioni ad essa associate - con l'obiettivo di portarla a livelli prossimi allo zero entro il 2020, con particolare riguardo alle foreste tropicali e alle aree maggiormente interessate, quali Amazzonia, Congo e Indonesia; infine, a promuovere lo sviluppo di una mobilità sostenibile, favorendo il trasporto pubblico e su rotaia, riducendo contestualmente il trasporto privato su gomma, quale responsabile della maggior parte delle emissioni di anidride carbonica delle aree urbane.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Pag. 41
Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 16 novembre 2009, alle 14:

1. - Discussione del disegno di legge:
S. 1784 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee (Approvato dal Senato) (2897).
- Relatore: Bernini Bovicelli.

2. - Discussione del disegno di legge:
Nuova disciplina del commercio interno del riso (1991-A).
- Relatore: Rosso.

La seduta termina alle 12,45.