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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di mercoledì 13 gennaio 2010

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 13 gennaio 2010.

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bongiorno, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Conte, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, De Biasi, Donadi, Renato Farina, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leo, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lupi, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Mazzocchi, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Molgora, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Pecorella, Pescante, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Scajola, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, De Biasi, Donadi, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leo, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lupi, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Mazzocchi, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Molgora, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Pecorella, Pescante, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Scajola, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Valducci, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

In data 12 gennaio 2010 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
GNECCHI: «Disposizioni concernenti l'erogazione di un indennizzo in favore dei titolari di imprese artigiane per la cessazione dell'attività» (3104);
TORRISI: «Modifiche al codice civile e al codice di procedura civile in materia di affidamento condiviso dei figli» (3105);
TORRISI: «Modifiche alla legge 22 dicembre 1999, n. 512, in materia di accesso al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso da parte delle vittime di sequestri di persona a scopo di estorsione» (3106);
MILANATO: «Disciplina dell'attività professionale nel settore delle scienze estetiche e bionaturali» (3107);
CASSINELLI: «Introduzione del titolo III-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, concernente la magistratura laica, e disposizioni per la soppressione del giudice di pace» (3108);
CASSINELLI: «Interpretazione autentica del comma 3 dell'articolo 3 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, in materia di perfezionamento della notificazione di atti eseguita dall'avvocato per mezzo del servizio postale» (3109);
PITTELLI: «Modifiche agli articoli 19 e 28-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di conferimento della qualifica di dirigente della prima fascia ai soggetti che hanno svolto corrispondenti incarichi per più di tre anni consecutivi» (3110);
VIOLA: «Disposizioni in materia di vigilanza sulle concessioni autostradali e sull'affidamento dei servizi di distribuzione di carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative nelle aree di servizio delle reti autostradali» (3111).

Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge GIULIO MARINI: «Modifica all'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni» (2462) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Aracri, Berardi, Calabria, Cazzola, Divella, Di Virgilio, Antonino Foti, Laffranco, Lo Presti, Lorenzin, Paglia, Palmieri, Pianetta, Luciano Rossi, Paolo Russo, Scalera, Scandroglio, Simeoni, Sisto, Taddei, Vella, Versace.

La proposta di legge costituzionale LA LOGGIA ed altri: «Modifiche agli articoli 68, 105 e 107 della Costituzione, in materia di garanzie per i membri del Parlamento e per i magistrati» (2931) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Divella e Giulio Marini.

Modifica del titolo di proposte di legge.

La proposta di legge n. 2841, d'iniziativa dei deputati LORENZIN ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Modifiche all'articolo 1 del decreto-legge 2 marzo 1987, n. 57, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 aprile 1987, n. 158, e all'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in materia di stato giuridico dei ricercatori universitari».

La proposta di legge n. 2940, d'iniziativa dei deputati RUBINATO ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni per favorire la qualità e la sostenibilità ambientale delle abitazioni, il recupero e la riqualificazione energetica dei quartieri degradati e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nonché estensione degli incentivi per il recupero del patrimonio edilizio alla manutenzione ordinaria di singole unità immobiliari».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

II Commissione (Giustizia):

PANIZ: «Modifiche all'articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di accesso dell'adottato alle informazioni sulla propria origine e sull'identità dei genitori biologici» (2919) Parere delle Commissioni I e XII.

VI Commissione (Finanze):

REGUZZONI ed altri: «Disposizioni concernenti la cessione alle banche dei crediti nei riguardi delle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici territoriali e delle società a totale o prevalente partecipazione pubblica» (2894) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X e XIV;
REGUZZONI ed altri: «Disposizioni fiscali in favore degli agenti di commercio» (2899) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V e X.

VIII Commissione (Ambiente):
RUBINATO ed altri: «Disposizioni per favorire la qualità e la sostenibilità ambientale delle abitazioni, il recupero e la riqualificazione energetica dei quartieri degradati e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nonché estensione degli incentivi per il recupero del patrimonio edilizio alla manutenzione ordinaria di singole unità immobiliari» (2940) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
NASTRI: «Norme per la razionalizzazione dell'uso delle acque» (2945) Parere delle Commissioni I, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

XI Commissione (Lavoro):

MOSCA ed altri: «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, concernenti l'indennità giornaliera durante il congedo di maternità e l'introduzione del congedo di paternità obbligatorio» (2618) Parere delle Commissioni I, II, V, X e XII.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 11 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Accademia nazionale dei Lincei, per l'esercizio 2008. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 163).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali.

Il ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, con lettera in data 21 dicembre 2009, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo 27 maggio 1999, n. 165, la relazione sull'attività svolta dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), riferita agli anni 2005 e 2006 (doc. CLXXXVI, n. 1).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 28 dicembre 2009, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n. 440, della concessione di assegni straordinari vitalizi, ciascuno dell'importo annuo di 24.000 euro, ai signori Tommaso Di Ciaula e Saverio Strati, scrittori, e alla signora Antonietta Baretto, artista.

Questa comunicazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

Il ministro per le politiche europee, con lettera in data 12 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Nell'ambito dei predetti documenti, il Governo ha richiamato l'attenzione sui seguenti atti e progetti di atti:
n. 17786/09 - Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l'applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell'inversione contabile alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi, che è assegnato in sede primaria alla VI Commissione (Finanze);
n. 17680/09 - Istruzione e formazione al centro della strategia «UE 2020», che è assegnato in sede primaria alla VII Commissione (Cultura).

La Commissione europea, il 12 gennaio 2010, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: Monitoraggio delle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture nuove nell'Unione europea: dati relativi al 2008 (COM(2009)713 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente).

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 17 dicembre 2009, integrata da successiva documentazione inviata in data 11 gennaio 2010, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6-quinquies, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, la richiesta di parere parlamentare sui seguenti schemi di delibere del CIPE:
n. 51/2009, concernente «Legge n. 443/2001. Interventi Fondo infrastrutture. Quadro di dettaglio delibera CIPE 6 marzo 2009» (180);
n. 52/2009, concernente «Legge n. 443/2001. Allegato opere infrastrutturali al Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) 2010-2013» (181).

Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla VIII Commissione (Ambiente) nonché alla V Commissione (Bilancio), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 2 febbraio 2010.

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI IANNACCONE ED ALTRI N. 1-00265, D'ANTONI ED ALTRI N. 1-00300, LEOLUCA ORLANDO ED ALTRI N. 1-00304, MOFFA ED ALTRI N. 1-00305, PEZZOTTA ED ALTRI N. 1-00307 E BARBATO ED ALTRI N. 1-00308 CONCERNENTI INIZIATIVE PER FAVORIRE L'OCCUPAZIONE NEL MEZZOGIORNO

Mozioni

MOZIONI

La Camera,
premesso che:
«il lavoro non è una merce», come sancisce il primo dei princìpi su cui si fonda l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL);
una Repubblica fondata sul lavoro, quale l'Italia, oltre a riconoscere il lavoro come diritto inalienabile dell'uomo, ha il compito di promuovere le condizioni, che rendano effettivo l'esercizio di tale diritto;
l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha stabilito come propria guideline quella in base alla quale una politica attiva del lavoro debba dedicare grande cura sia ad un'informazione tempestiva e significativa sulla struttura e dinamica della domanda e dell'offerta sia all'orientamento e alla formazione professionale dell'offerta medesima;
nell'attuale situazione di crisi economica è assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato;
la crisi attuale impone un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
i public employment services (servizi pubblici per l'impiego) hanno un ruolo di primaria importanza nell'ambito della Strategia europea per l'occupazione, che prevede esplicitamente la possibilità di un «affiancamento» ad altri intermediari pubblici e/o privati;
sul livello dei servizi offerti dai centri per l'impiego pubblici appare persistente un «dualismo territoriale, caratterizzato dallo costruzione di servizi altamente personalizzati ed in chiave »proattiva« al centro-nord e dalla prevalenza di servizi di natura più tradizionale e di un'attività prevalentemente incentrata sugli adempimenti amministrativi al sud», come sostenuto dal ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, segretariato generale, nella pubblicazione Welfare to work: un quadro della normativa comunitaria, nazionale e regionale in materia di offerta congrua;
a tale dualismo va sommata la complessità del sistema di competenze in materia di servizi per l'impiego che sovente aggrava il dualismo di cui si è detto;
in particolare, le competenze nazionali concernono essenzialmente indirizzo, promozione, coordinamento, conduzione dei servizi per il lavoro (SIL) e valutazione dell'efficacia delle politiche del lavoro; le competenze regionali concernono: funzioni di indirizzo relative al collocamento, concertazione regionale e relativo coordinamento; programmazione, promozione del lavoro autonomo e delle nuove imprese, promozione di iniziative di collocamento per le fasce deboli, affiancamento al ministero del lavoro e delle politiche sociali per iniziative in materia di gestione delle eccedenze, raccordo delle funzioni, politiche attive e monitoraggio del mercato del lavoro; le competenze provinciali concernono: gestione dei servizi di collocamento e preselezione attraverso i centri provinciali per l'impiego (CPI), promozione di iniziative e di interventi attivi, in relazione con la concertazione e la programmazione territoriale con particolare riferimento ad iniziative integrate di orientamento e formazione; sono competenze comunali: l'avvio e la gestione di servizi integrati in connessione con i centri provinciali per l'impiego nonché le iniziative di orientamento e promozione;
il ministero del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente preannunciato di voler costituire un tavolo di concertazione con le parti sociali, al fine di prevedere la possibilità di stabilire una deroga in pejus al trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva, tale regime derogatorio dovrebbe applicarsi alle nuove imprese, che assumono nel Mezzogiorno;
nonostante sia condivisibile il fine di aumentare l'occupazione nelle regioni meridionali, l'obiettivo de quo deve essere perseguito senza penalizzare le condizioni economico-giuridiche dei lavoratori che prestano la propria opera nelle regioni del sud e con la garanzia che la misura ipotizzata non si risolva in un mero vantaggio competitivo temporaneo per imprenditori poco affidabili. Ne consegue la necessità di approfondire la proposta e di adottare le necessarie garanzie in ordine alla sua temporaneità, alle sue concrete modalità applicative e ai meccanismi da adottare, al fine di rendere stabile la nuova occupazione così incentivata;
nelle regioni del Mezzogiorno la lotta al lavoro senza tutele, al lavoro nero, agli appalti cosiddetti «non genuini» deve rappresentare, ancora di più che in altre zone del Paese, un obiettivo imprescindibile dell'azione governativa, volta a combattere e, in prospettiva, ad eliminare forme di utilizzo della forza lavoro, che costituiscono sfruttamento del lavoro stesso e producono distorsione della concorrenza;
la diretta conseguenza di tali forme di utilizzo illegale delle prestazioni di lavoro è la penalizzazione delle imprese, che applicano correttamente la normativa e la difficoltà a mantenere e, vieppiù, a creare occupazione legale e stabile;
in svariate zone del Paese e principalmente nelle regioni del Mezzogiorno si sono formati dei cosiddetti «bacini di crisi», a seguito delle difficoltà di tipo industriale e, conseguentemente, occupazionale, che si sono venute a determinare a causa del recente default di alcuni grossi operatori finanziari internazionali;
tali «bacini di crisi» devono essere oggetto di una gestione legislativa e amministrativa, che, ottimizzando l'utilizzo della formazione professionale, consenta il reimpiego dei lavoratori espulsi dal ciclo produttivo;
quanto alla formazione professionale, essa, anche ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione costituisce il momento di raccordo tra l'istruzione ed il lavoro, tra il diritto allo studio e il diritto al lavoro, tra il significato culturale e l'aspetto produttivistico dell'istruzione;
in sintesi, la formazione professionale consente di adeguare la qualità dell'offerta di lavoro alle esigenze della domanda, sopperendo così alle carenze della normale dinamica di mercato,

impegna il Governo:

a riconoscere che l'aumento della disoccupazione nel Mezzogiorno costituisce un'emergenza nazionale e, conseguentemente, a porre in essere interventi che favoriscano e incentivino l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, con la previsione di misure specifiche rivolte al Mezzogiorno;
ad aumentare il livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego del Mezzogiorno, anche attraverso una più proficua collaborazione con soggetti privati, che si concretizzi nello scambio di informazioni, ai fini della messa a disposizione dei nominativi dei lavoratori svantaggiati da parte dell'Inps e dei centri per l'impiego, con l'obiettivo di aumentare le occasioni di lavoro da proporre a questi soggetti;
a prevedere nelle aree del Mezzogiorno, nelle quali si siano determinate crisi industriali e per ciò stesso, occupazionali, la gestione di comunicazioni specifiche da parte di soggetti pubblici (ivi compresa l'agenzia tecnica del ministero del lavoro e delle politiche sociali, Italia lavoro) contenenti l'indicazione dei nominativi dei lavoratori che possono essere assunti con l'erogazione di specifici incentivi, da inviare alle associazioni imprenditoriali, e sindacali;
a varare un piano di formazione professionale straordinario per il sud, erogato dai servizi pubblici per l'impiego in concorso con le agenzie per il lavoro legittimate all'esercizio di questa attività per espressa disposizione di legge (articolo 2, lettere b), c) e d), del decreto legislativo n. 276 del 2003), che preveda la «presa in carico» del lavoratore disoccupato o inoccupato da parte dell'agenzia, la quale, attraverso un percorso formativo concepito ad personam, dovrà condurlo ad una (nuova) occupazione;
a prevedere, a tal fine, meccanismi incentivanti e disincentivanti, correlati al numero di lavoratori che verranno effettivamente occupati al termine del percorso formativo e ciò in netta contrapposizione alle logiche assistenzialistiche utilizzate in passato.
(1-00265)
«Iannaccone, Lo Monte, Belcastro, Commercio, Latteri, Lombardo, Milo, Sardelli, Brugger».

La Camera,
premesso che:
«il lavoro non è una merce», come sancisce il primo dei princìpi su cui si fonda l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL);
una Repubblica fondata sul lavoro, quale l'Italia, oltre a riconoscere il lavoro come diritto inalienabile dell'uomo, ha il compito di promuovere le condizioni, che rendano effettivo l'esercizio di tale diritto;
l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha stabilito come propria guideline quella in base alla quale una politica attiva del lavoro debba dedicare grande cura sia ad un'informazione tempestiva e significativa sulla struttura e dinamica della domanda e dell'offerta sia all'orientamento e alla formazione professionale dell'offerta medesima;
nell'attuale situazione di crisi economica è assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato;
la crisi attuale impone un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
i public employment services (servizi pubblici per l'impiego) hanno un ruolo di primaria importanza nell'ambito della Strategia europea per l'occupazione, che prevede esplicitamente la possibilità di un «affiancamento» ad altri intermediari pubblici e/o privati;
sul livello dei servizi offerti dai centri per l'impiego pubblici appare persistente un «dualismo territoriale, caratterizzato dallo costruzione di servizi altamente personalizzati ed in chiave »proattiva« al centro-nord e dalla prevalenza di servizi di natura più tradizionale e di un'attività prevalentemente incentrata sugli adempimenti amministrativi al sud», come sostenuto dal ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, segretariato generale, nella pubblicazione Welfare to work: un quadro della normativa comunitaria, nazionale e regionale in materia di offerta congrua;
a tale dualismo va sommata la complessità del sistema di competenze in materia di servizi per l'impiego che sovente aggrava il dualismo di cui si è detto;
in particolare, le competenze nazionali concernono essenzialmente indirizzo, promozione, coordinamento, conduzione dei servizi per il lavoro (SIL) e valutazione dell'efficacia delle politiche del lavoro; le competenze regionali concernono: funzioni di indirizzo relative al collocamento, concertazione regionale e relativo coordinamento; programmazione, promozione del lavoro autonomo e delle nuove imprese, promozione di iniziative di collocamento per le fasce deboli, affiancamento al ministero del lavoro e delle politiche sociali per iniziative in materia di gestione delle eccedenze, raccordo delle funzioni, politiche attive e monitoraggio del mercato del lavoro; le competenze provinciali concernono: gestione dei servizi di collocamento e preselezione attraverso i centri provinciali per l'impiego (CPI), promozione di iniziative e di interventi attivi, in relazione con la concertazione e la programmazione territoriale con particolare riferimento ad iniziative integrate di orientamento e formazione; sono competenze comunali: l'avvio e la gestione di servizi integrati in connessione con i centri provinciali per l'impiego nonché le iniziative di orientamento e promozione;
il ministero del lavoro e delle politiche sociali ha recentemente preannunciato di voler costituire un tavolo di concertazione con le parti sociali, al fine di prevedere la possibilità di stabilire una deroga in pejus al trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva, tale regime derogatorio dovrebbe applicarsi alle nuove imprese, che assumono nel Mezzogiorno;
nonostante sia condivisibile il fine di aumentare l'occupazione nelle regioni meridionali, l'obiettivo de quo deve essere perseguito senza penalizzare le condizioni economico-giuridiche dei lavoratori che prestano la propria opera nelle regioni del sud e con la garanzia che la misura ipotizzata non si risolva in un mero vantaggio competitivo temporaneo per imprenditori poco affidabili. Ne consegue la necessità di approfondire la proposta e di adottare le necessarie garanzie in ordine alla sua temporaneità, alle sue concrete modalità applicative e ai meccanismi da adottare, al fine di rendere stabile la nuova occupazione così incentivata;
nelle regioni del Mezzogiorno la lotta al lavoro senza tutele, al lavoro nero, agli appalti cosiddetti «non genuini» deve rappresentare, ancora di più che in altre zone del Paese, un obiettivo imprescindibile dell'azione governativa, volta a combattere e, in prospettiva, ad eliminare forme di utilizzo della forza lavoro, che costituiscono sfruttamento del lavoro stesso e producono distorsione della concorrenza;
la diretta conseguenza di tali forme di utilizzo illegale delle prestazioni di lavoro è la penalizzazione delle imprese, che applicano correttamente la normativa e la difficoltà a mantenere e, vieppiù, a creare occupazione legale e stabile;
in svariate zone del Paese e principalmente nelle regioni del Mezzogiorno si sono formati dei cosiddetti «bacini di crisi», a seguito delle difficoltà di tipo industriale e, conseguentemente, occupazionale, che si sono venute a determinare a causa del recente default di alcuni grossi operatori finanziari internazionali;
tali «bacini di crisi» devono essere oggetto di una gestione legislativa e amministrativa, che, ottimizzando l'utilizzo della formazione professionale, consenta il reimpiego dei lavoratori espulsi dal ciclo produttivo;
quanto alla formazione professionale, essa, anche ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione costituisce il momento di raccordo tra l'istruzione ed il lavoro, tra il diritto allo studio e il diritto al lavoro, tra il significato culturale e l'aspetto produttivistico dell'istruzione;
in sintesi, la formazione professionale consente di adeguare la qualità dell'offerta di lavoro alle esigenze della domanda, sopperendo così alle carenze della normale dinamica di mercato,

impegna il Governo:

ad intervenire con regioni e province per porre in essere interventi che favoriscano ed incentivino l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche con la previsione di specifiche misure rivolte al Mezzogiorno, tese ad aumentare il livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego attraverso una più proficua collaborazione con i soggetti privati;
a migliorare nelle aree del Mezzogiorno, nelle quali si siano determinate crisi industriali e per ciò stesso, occupazionali, la gestione di comunicazioni specifiche da parte di soggetti pubblici (ivi compresa l'agenzia tecnica del ministero del lavoro e delle politiche sociali, Italia lavoro) contenenti l'indicazione dei nominativi dei lavoratori che possono essere assunti con l'erogazione di specifici incentivi, da inviare alle associazioni imprenditoriali, e sindacali;
ad utilizzare il tavolo aperto con regioni e parti sociali per definire politiche condivise sulla formazione professionale come qualificata leva di politica attiva del lavoro, anche attraverso misure organizzative che favoriscano il decentramento verso le autonomie locali;
a prevedere, a tal fine, meccanismi incentivanti e disincentivanti, in netta contrapposizione alle logiche assistenzialistiche utilizzate in passato.
(1-00265)
(Testo modificato nel corso del la seduta) «Iannaccone, Lo Monte, Belcastro, Commercio, Latteri, Lombardo, Milo, Sardelli, Brugger».

La Camera,
premesso che:
la Costituzione italiana sancisce che «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (articolo 1), che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3), che la Repubblica «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (articolo 4), che lo Stato cura «la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori» (articolo 35), i quali hanno diritto ad una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» (articolo 36);
la più recente rilevazione dell'Istat sulle forze lavoro, diffusa il 17 dicembre 2009 e relativa al terzo trimestre del 2009, indica una condizione critica soprattutto nelle aree deboli del Mezzogiorno. Il rapporto mette in guardia dal nuovo e sensibile incremento dell'inattività lavorativa, fenomeno concentrato nelle regioni meridionali e dovuto principalmente a fenomeni di scoraggiamento, alla mancata ricerca del lavoro di molte donne per motivi familiari, al ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione registra un ulteriore e allarmante calo rispetto allo stesso periodo del 2008 (dal 46,5 per cento al 45 per cento). In particolare, il tasso di inattività femminile nelle regioni meridionali si attesta al 69,2 per cento, con un calo di un punto percentuale rispetto al terzo trimestre del 2008. Il tasso di disoccupazione, all'8,2 per cento su scala nazionale, raggiunge nelle regioni meridionali la preoccupante soglia del 12,4 per cento;
questi numeri naturalmente non tengono conto della quota del lavoro sommerso, che specialmente nel Mezzogiorno rappresenta una fetta assai importante dell'intera forza lavoro. Secondo recenti stime Svimez, il Sud presenta tassi di irregolarità particolarmente elevati, pari circa al doppio rispetto al resto del Paese. Nel 2008 - prima dello scatenarsi della crisi economica - risultava irregolare nel meridione circa una persona su cinque (con punte di una su due in alcune regioni e in alcuni settori come l'agricoltura e l'edilizia), vale a dire 1,3 milioni di persone. Va aggiunto che nel Mezzogiorno la quasi totalità delle famiglie vive con un solo reddito;
secondo il rapporto Censis 2009 sulla situazione sociale del Paese, in Italia, quasi una famiglia su tre ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma se la media nazionale si attesta sul 28,5 per cento, nelle regioni del Sud tale indice si alza fino al 36,5 per cento. A metà 2009, rileva ancora l'istituto, si sono persi 378 mila posti di lavoro di cui 271 mila al Sud. Ad essere colpite sono soprattutto le forme di lavoro a termine (-9,4 per cento) e le collaborazioni a progetto (-12,1 per cento). Tale effetto grava in particolare sui ragazzi: il 45,4 per cento di chi ha perso il lavoro nell'ultimo anno ha infatti meno di 34 anni. È stato rilevato che l'Italia è il paese europeo a più alto divario tra tasso medio di disoccupazione e tasso di disoccupazione giovanile. Questo fenomeno è più che mai acuto nei territori del Sud;
dalle analisi dei dati Ocse e Istat sul rapporto tra livello di istruzione e condizione lavorativa, risulta che il rendimento dell'investimento formativo è nel Mezzogiorno notevolmente più basso rispetto alle altre parti d'Italia a causa del ritardato o mancato ingresso nel mercato del lavoro una volta concluso il processo di formazione. Le difficoltà dei giovani diplomati e laureati del Sud a trovare una collocazione nel circuito del lavoro riflette sia inadeguatezze nella rete formativa, che presenta standard qualitativi inferiori agli altri Paesi europei e occidentali, sia criticità del sistema di transizione scuola-lavoro;
dal rapporto Svimez 2009 emerge che ogni anno 300 mila giovani meridionali abbandonano il Sud per cercare fortuna altrove. Di questi, quasi uno su due deciderà di non tornare più a casa. La fuga dal Mezzogiorno avviene in due tempi. La prima emorragia coincide con la scelta del corso di studi: al momento dell'iscrizione all'università un ragazzo su quattro decide di frequentare un ateneo del Centro-Nord. La fuga decisiva è connessa con la ricerca di un posto di lavoro: a tre anni dal conseguimento della laurea, oltre il 4 per cento dei giovani meridionali occupati lavora al Centro-Nord. L'aspetto più allarmante di questa nuova migrazione interna sta nel fatto che coinvolge i giovani culturalmente e professionalmente più attrezzati: il 40 per cento dei laureati meridionali che hanno trovato lavoro al Nord si è laureato infatti con il massimo dei voti;
le dinamiche relative all'emigrazione dal Sud al Nord sono l'effetto più evidente dello stallo del sistema sociale e produttivo del Mezzogiorno. Se i ragazzi vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro altamente qualificata. Un gap al quale si aggiunge uno squilibrio vertiginoso nei sistemi di transizione scuola-lavoro e nei livelli del servizio sociale. Questo quadro condanna oggi il Mezzogiorno ad essere il maggiore fornitore di risorse umane delle zone forti del Centro Nord;
il fenomeno dell'emigrazione interna si traduce anche in un'allarmante emorragia economica dalle fasce e dalle zone deboli a quelle forti del Paese. Tra tasse universitarie e integrazioni alle magre buste paga che i ragazzi percepiscono per molti anni dopo aver finito il corso di studi, ogni anno dal Sud al Nord si spostano non meno di 2 miliardi di euro. Così il Mezzogiorno si trova a dover pagare un dazio insieme economico e culturale, che inverte letteralmente la storica logica delle «rimesse». Per uscire da questa condizione occorre agire su due nodi fondamentali: lo sviluppo del comparto produttivo del Sud e l'implementazione di efficaci strumenti di raccordo tra le università e il mondo del lavoro;
dai dati appena illustrati appare evidente come nell'attuale fase di crisi è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti sia in termini economici che sociali. Ciò malgrado nelle passate fasi congiunturali il Sud abbia reagito meglio rispetto alle aree forti proprio a causa della sua scarsa apertura ai mercati internazionali. L'economia meridionale somma all'inversione ciclica debolezze strutturali che affondano le loro radici nel tempo e che si aggravano nell'attuale fase congiunturale. Come ha rilevato la Banca d'Italia in uno studio pubblicato nel luglio 2009, tutte le debolezze economiche e sociali del Paese - dall'occupazione alla povertà, dalla disuguaglianza sociale alla mancanza di competitività - si manifestano con maggior intensità nelle regioni deboli del Mezzogiorno. Questo fatto, unitamente alla rilevanza macroeconomica del Mezzogiorno, rende evidente l'importanza che riveste lo sviluppo del Sud per le prospettive di crescita nazionale. Senza abbattere il cronico sotto utilizzo delle risorse umane e materiali nelle regioni meridionali, ammonisce ancora la Banca d'Italia, l'obiettivo di uscire dal ristagno appare del tutto velleitario;
in contrasto con questa indicazione, l'attuale Governo ha assunto finora, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una strategia sostanzialmente antimeridionalista. I provvedimenti varati sin qui, non ultima la legge finanziaria per il 2010, hanno di fatto azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate che di strumenti specifici. Il continuo ricorso al Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) nazionale per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato nei fatti un'ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli. Questa sistematica distrazione di fondi, valutabile nella somma di 35 miliardi di euro, oltre a compromettere il rispetto dell'originario vincolo di ripartizione delle risorse del Fondo (si riconosceva alle regioni sottoutilizzate meridionali almeno l'85 per cento del complesso delle risorse) ha di fatto azzerato le politiche di sviluppo che le regioni del Sud realizzano solo grazie al trasferimento di fondi stanziati dal Governo centrale e dall'Unione europea;
a questa sistematica distrazione di fondi, si è aggiunta una miope politica di tagli per gli imprenditori meridionali. In una fase congiunturale così difficile, invece di supportare le imprese del Sud, il Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha di fatto annullato l'operatività del credito d'imposta per i nuovi investimenti, lasciando le aziende del Sud senza alcuna fiscalità di sviluppo e deprimendo ancora di più le prospettive di crescita delle zone sottosviluppate;
i tagli imposti dal Governo al sistema scolastico colpiscono quasi esclusivamente il Sud. Più di 14 mila supplenze sulle 19 mila che scompariranno quest'anno (il 71 per cento) sono localizzate nelle otto regioni meridionali;
il progresso nei livelli di scolarizzazione delle nuove generazioni meridionali è riconosciuto da tutti i più importanti osservatori. La Svimez rileva come, in media, non ci sia più una differenza apprezzabile tra i livelli qualitativi della didattica negli istituti meridionali e quelli del Centro-Nord. Il divario aumenta però in termini di opportunità di impiego. Occorre dunque dare risposte concrete attivando un confronto con le parti sociali e i rappresentanti istituzionali dei territori del Mezzogiorno, al fine di mettere in campo un programma di interventi anticiclici per favorire l'ingresso delle nuove generazioni meridionali nel mercato del lavoro meridionale;
come rilevato dalla Banca d'Italia nel rapporto di fine anno 2008 e ribadito recentemente dal governatore Mario Draghi, il sistema vigente di ammortizzatori sociali esclude una fascia molto ampia di lavoratori atipici e parasubordinati. L'analisi della Banca d'Italia mette in evidenza che 1,6 milioni di lavoratori non godono attualmente di alcuna forma di copertura e rischiano, dunque, di rimanere a zero euro in caso di licenziamento o scadenza dei termini di contratto;
intorno alla risorsa che rappresentano le giovani generazioni meridionali vanno costruiti progetti di intervento in grado di aumentare la qualità dell'istruzione e di accompagnare i ragazzi nella difficile fase di accesso al lavoro, di offrire loro adeguati sistemi di formazione fuori e dentro le aziende, anche per impedire che continui l'esodo verso il Nord dei giovani diplomati e laureati del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

a finanziare un piano volto a inserire nel mercato del lavoro almeno 100 mila giovani diplomati e laureati delle otto regioni del Mezzogiorno mediante stage presso imprese private, a tal fine prevedendo un compenso mensile a carico dello Stato per un periodo non inferiore a sei mesi, cui aggiungere un incentivo di 3.000 euro a favore dell'azienda in caso di assunzione a tempo indeterminato;
a reintegrare le risorse impegnate del Fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno, ripristinando a tal fine un meccanismo di fiscalità di sviluppo concreto ed efficace quale è l'automatismo del credito d'imposta per i nuovi investimenti nel Mezzogiorno;
a predisporre in tempi rapidi un piano organico di riforma degli ammortizzatori sociali, che includa lavoratori a progetto, parasubordinati, lavoratori atipici e le altre categorie contrattuali attualmente escluse da ogni copertura, garantendo almeno il 60 per cento del reddito percepito nell'ultimo anno.
(1-00300)
«D'Antoni, Boccia, Maran, Villecco Calipari, Baretta, Fluvi, Lulli, Damiano, Bellanova, Berretta, Boffa, Bonavitacola, Bordo, Bossa, Burtone, Calvisi, Capano, Capodicasa, Cardinale, Enzo Carra, Causi, Ciriello, Concia, Cuomo, D'Alema, D'Antona, D'Incecco, Fadda, Genovese, Ginefra, Ginoble, Grassi, Graziano, Iannuzzi, Laganà Fortugno, Laratta, Levi, Lo Moro, Lolli, Losacco, Luongo, Margiotta, Cesare Marini, Marrocu, Pierdomenico Martino, Mastromauro, Mazzarella, Melis, Minniti, Nicolais, Oliverio, Arturo Parisi, Pedoto, Mario Pepe (Pd), Pes, Piccolo, Picierno, Antonino Russo, Samperi, Santagata, Sarubbi, Schirru, Servodio, Siragusa, Tenaglia, Livia Turco, Vaccaro, Vico».

La Camera,
premesso che:
la Costituzione italiana sancisce che «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (articolo 1), che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3), che la Repubblica «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (articolo 4), che lo Stato cura «la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori» (articolo 35), i quali hanno diritto ad una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» (articolo 36);
la più recente rilevazione dell'Istat sulle forze lavoro, diffusa il 17 dicembre 2009 e relativa al terzo trimestre del 2009, indica una condizione critica soprattutto nelle aree deboli del Mezzogiorno. Il rapporto mette in guardia dal nuovo e sensibile incremento dell'inattività lavorativa, fenomeno concentrato nelle regioni meridionali e dovuto principalmente a fenomeni di scoraggiamento, alla mancata ricerca del lavoro di molte donne per motivi familiari, al ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione registra un ulteriore e allarmante calo rispetto allo stesso periodo del 2008 (dal 46,5 per cento al 45 per cento). In particolare, il tasso di inattività femminile nelle regioni meridionali si attesta al 69,2 per cento, con un calo di un punto percentuale rispetto al terzo trimestre del 2008. Il tasso di disoccupazione, all'8,2 per cento su scala nazionale, raggiunge nelle regioni meridionali la preoccupante soglia del 12,4 per cento;
questi numeri naturalmente non tengono conto della quota del lavoro sommerso, che specialmente nel Mezzogiorno rappresenta una fetta assai importante dell'intera forza lavoro. Secondo recenti stime Svimez, il Sud presenta tassi di irregolarità particolarmente elevati, pari circa al doppio rispetto al resto del Paese. Nel 2008 - prima dello scatenarsi della crisi economica - risultava irregolare nel meridione circa una persona su cinque (con punte di una su due in alcune regioni e in alcuni settori come l'agricoltura e l'edilizia), vale a dire 1,3 milioni di persone. Va aggiunto che nel Mezzogiorno la quasi totalità delle famiglie vive con un solo reddito;
secondo il rapporto Censis 2009 sulla situazione sociale del Paese, in Italia, quasi una famiglia su tre ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma se la media nazionale si attesta sul 28,5 per cento, nelle regioni del Sud tale indice si alza fino al 36,5 per cento. A metà 2009, rileva ancora l'istituto, si sono persi 378 mila posti di lavoro di cui 271 mila al Sud. Ad essere colpite sono soprattutto le forme di lavoro a termine (-9,4 per cento) e le collaborazioni a progetto (-12,1 per cento). Tale effetto grava in particolare sui ragazzi: il 45,4 per cento di chi ha perso il lavoro nell'ultimo anno ha infatti meno di 34 anni. È stato rilevato che l'Italia è il paese europeo a più alto divario tra tasso medio di disoccupazione e tasso di disoccupazione giovanile. Questo fenomeno è più che mai acuto nei territori del Sud;
dalle analisi dei dati Ocse e Istat sul rapporto tra livello di istruzione e condizione lavorativa, risulta che il rendimento dell'investimento formativo è nel Mezzogiorno notevolmente più basso rispetto alle altre parti d'Italia a causa del ritardato o mancato ingresso nel mercato del lavoro una volta concluso il processo di formazione. Le difficoltà dei giovani diplomati e laureati del Sud a trovare una collocazione nel circuito del lavoro riflette sia inadeguatezze nella rete formativa, che presenta standard qualitativi inferiori agli altri Paesi europei e occidentali, sia criticità del sistema di transizione scuola-lavoro;
dal rapporto Svimez 2009 emerge che ogni anno 300 mila giovani meridionali abbandonano il Sud per cercare fortuna altrove. Di questi, quasi uno su due deciderà di non tornare più a casa. La fuga dal Mezzogiorno avviene in due tempi. La prima emorragia coincide con la scelta del corso di studi: al momento dell'iscrizione all'università un ragazzo su quattro decide di frequentare un ateneo del Centro-Nord. La fuga decisiva è connessa con la ricerca di un posto di lavoro: a tre anni dal conseguimento della laurea, oltre il 4 per cento dei giovani meridionali occupati lavora al Centro-Nord. L'aspetto più allarmante di questa nuova migrazione interna sta nel fatto che coinvolge i giovani culturalmente e professionalmente più attrezzati: il 40 per cento dei laureati meridionali che hanno trovato lavoro al Nord si è laureato infatti con il massimo dei voti;
le dinamiche relative all'emigrazione dal Sud al Nord sono l'effetto più evidente dello stallo del sistema sociale e produttivo del Mezzogiorno. Se i ragazzi vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro altamente qualificata. Un gap al quale si aggiunge uno squilibrio vertiginoso nei sistemi di transizione scuola-lavoro e nei livelli del servizio sociale. Questo quadro condanna oggi il Mezzogiorno ad essere il maggiore fornitore di risorse umane delle zone forti del Centro Nord;
il fenomeno dell'emigrazione interna si traduce anche in un'allarmante emorragia economica dalle fasce e dalle zone deboli a quelle forti del Paese. Tra tasse universitarie e integrazioni alle magre buste paga che i ragazzi percepiscono per molti anni dopo aver finito il corso di studi, ogni anno dal Sud al Nord si spostano non meno di 2 miliardi di euro. Così il Mezzogiorno si trova a dover pagare un dazio insieme economico e culturale, che inverte letteralmente la storica logica delle «rimesse». Per uscire da questa condizione occorre agire su due nodi fondamentali: lo sviluppo del comparto produttivo del Sud e l'implementazione di efficaci strumenti di raccordo tra le università e il mondo del lavoro;
dai dati appena illustrati appare evidente come nell'attuale fase di crisi è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti sia in termini economici che sociali. Ciò malgrado nelle passate fasi congiunturali il Sud abbia reagito meglio rispetto alle aree forti proprio a causa della sua scarsa apertura ai mercati internazionali. L'economia meridionale somma all'inversione ciclica debolezze strutturali che affondano le loro radici nel tempo e che si aggravano nell'attuale fase congiunturale. Come ha rilevato la Banca d'Italia in uno studio pubblicato nel luglio 2009, tutte le debolezze economiche e sociali del Paese - dall'occupazione alla povertà, dalla disuguaglianza sociale alla mancanza di competitività - si manifestano con maggior intensità nelle regioni deboli del Mezzogiorno. Questo fatto, unitamente alla rilevanza macroeconomica del Mezzogiorno, rende evidente l'importanza che riveste lo sviluppo del Sud per le prospettive di crescita nazionale. Senza abbattere il cronico sotto utilizzo delle risorse umane e materiali nelle regioni meridionali, ammonisce ancora la Banca d'Italia, l'obiettivo di uscire dal ristagno appare del tutto velleitario;
in contrasto con questa indicazione, l'attuale Governo ha assunto finora, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una strategia sostanzialmente antimeridionalista. I provvedimenti varati sin qui, non ultima la legge finanziaria per il 2010, hanno di fatto azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate che di strumenti specifici. Il continuo ricorso al Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) nazionale per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato nei fatti un'ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli. Questa sistematica distrazione di fondi, valutabile nella somma di 35 miliardi di euro, oltre a compromettere il rispetto dell'originario vincolo di ripartizione delle risorse del Fondo (si riconosceva alle regioni sottoutilizzate meridionali almeno l'85 per cento del complesso delle risorse) ha di fatto azzerato le politiche di sviluppo che le regioni del Sud realizzano solo grazie al trasferimento di fondi stanziati dal Governo centrale e dall'Unione europea;
a questa sistematica distrazione di fondi, si è aggiunta una miope politica di tagli per gli imprenditori meridionali. In una fase congiunturale così difficile, invece di supportare le imprese del Sud, il Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha di fatto annullato l'operatività del credito d'imposta per i nuovi investimenti, lasciando le aziende del Sud senza alcuna fiscalità di sviluppo e deprimendo ancora di più le prospettive di crescita delle zone sottosviluppate;
i tagli imposti dal Governo al sistema scolastico colpiscono quasi esclusivamente il Sud. Più di 14 mila supplenze sulle 19 mila che scompariranno quest'anno (il 71 per cento) sono localizzate nelle otto regioni meridionali;
il progresso nei livelli di scolarizzazione delle nuove generazioni meridionali è riconosciuto da tutti i più importanti osservatori. La Svimez rileva come, in media, non ci sia più una differenza apprezzabile tra i livelli qualitativi della didattica negli istituti meridionali e quelli del Centro-Nord. Il divario aumenta però in termini di opportunità di impiego. Occorre dunque dare risposte concrete attivando un confronto con le parti sociali e i rappresentanti istituzionali dei territori del Mezzogiorno, al fine di mettere in campo un programma di interventi anticiclici per favorire l'ingresso delle nuove generazioni meridionali nel mercato del lavoro meridionale;
come rilevato dalla Banca d'Italia nel rapporto di fine anno 2008 e ribadito recentemente dal governatore Mario Draghi, il sistema vigente di ammortizzatori sociali esclude una fascia molto ampia di lavoratori atipici e parasubordinati. L'analisi della Banca d'Italia mette in evidenza che 1,6 milioni di lavoratori non godono attualmente di alcuna forma di copertura e rischiano, dunque, di rimanere a zero euro in caso di licenziamento o scadenza dei termini di contratto;
intorno alla risorsa che rappresentano le giovani generazioni meridionali vanno costruiti progetti di intervento in grado di aumentare la qualità dell'istruzione e di accompagnare i ragazzi nella difficile fase di accesso al lavoro, di offrire loro adeguati sistemi di formazione fuori e dentro le aziende, anche per impedire che continui l'esodo verso il Nord dei giovani diplomati e laureati del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

nel tavolo aperto con le regioni e le parti sociali, a monitorare e coordinare le iniziative relative a stage e tirocini formativi in essere per definire con le stesse regioni e le parti sociali ulteriori misure ed iniziative di inserimento al lavoro;
a reintegrare le risorse impegnate del Fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno, ripristinando a tal fine un meccanismo di fiscalità di sviluppo concreto ed efficace quale è l'automatismo del credito d'imposta per i nuovi investimenti nel Mezzogiorno;
a predisporre in tempi rapidi un piano organico di riforma degli ammortizzatori sociali.
(1-00300)
(Testo modificato nel corso della seduta) «D'Antoni, Boccia, Maran, Villecco Calipari, Baretta, Fluvi, Lulli, Damiano, Bellanova, Berretta, Boffa, Bonavitacola, Bordo, Bossa, Burtone, Calvisi, Capano, Capodicasa, Cardinale, Enzo Carra, Causi, Ciriello, Concia, Cuomo, D'Alema, D'Antona, D'Incecco, Fadda, Genovese, Ginefra, Ginoble, Grassi, Graziano, Iannuzzi, Laganà Fortugno, Laratta, Levi, Lo Moro, Lolli, Losacco, Luongo, Margiotta, Cesare Marini, Marrocu, Pierdomenico Martino, Mastromauro, Mazzarella, Melis, Minniti, Nicolais, Oliverio, Arturo Parisi, Pedoto, Mario Pepe (Pd), Pes, Piccolo, Picierno, Antonino Russo, Samperi, Santagata, Sarubbi, Schirru, Servodio, Siragusa, Tenaglia, Livia Turco, Vaccaro, Vico».

La Camera,
premesso che:
l'ultimo rapporto Svimez, presentato nel luglio 2009, ha fotografato un Mezzogiorno in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, che da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord;
le prospettive per i prossimi mesi, nonostante qualche segnale di miglioramento soprattutto nel clima di fiducia di imprese e cittadini, appaiono particolarmente gravi per zone deboli del Paese. La diffusa percezione di una crisi che avrebbe riguardato soprattutto le aree più industrializzate del Paese, perché più aperte alla competizione internazionale, è purtroppo smentita dai dati relativi sia alla seconda metà del 2008 che ai primi tre trimestri del 2009;
l'impatto della crisi internazionale, infatti, si sta riflettendo con particolare intensità sul mercato del lavoro meridionale, con brusche riduzioni dell'occupazione e contemporanei incrementi del tasso di disoccupazione e conseguente contrazione dei redditi da lavoro delle famiglie. Tali dinamiche si riflettono in un'ulteriore contrazione della domanda interna che va ad aggravare la tendenza recessiva;
la disoccupazione preoccupa come non mai: nel 2008 i disoccupati al Sud sono aumentati del 9,8 per cento. Crescono in particolare, sempre secondo il rapporto Svimez del 2009, i disoccupati di lunga durata che sono il 6,4 per cento del totale, mentre erano il 5,9 per cento nel 2007 e cresce la 'zona grigia' della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati e lavoratori potenziali: 95 mila persone in più dell'anno precedente. Dal 2004 al 2008 i cosiddetti disoccupati impliciti e gli scoraggiati sono aumentati di 424 mila unità. Considerando anche questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo del Sud salirebbe a oltre il 22 per cento. Secondo dati Istat l'occupazione nel Mezzogiorno nel terzo trimestre 2009 è diminuita dell'0,8 per cento rispetto al primo trimestre del 2009 (dato destagionalizzato);
all'Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17 per cento dei giovani meridionali in età 15-24 anni lavora, contro il 30 per cento del Centro-Nord. Nella stessa classe di età la disoccupazione è invece del 14,5 per cento al Centro-Nord mentre al Sud arriva al triste primato del 33,6 per cento;
nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari, in valori assoluti, a 1 milione 300 mila persone, con tassi di irregolarità del 12,8 per cento nell'industria e del 19 per cento nelle costruzioni. A livello territoriale la regione più «nera» è la Calabria, con il 26 per cento di manodopera irregolare, che sale a quasi il 50 per cento in agricoltura e al 40 per cento nelle costruzioni. A seguire, la Basilicata (20,3 per cento), con un forte peso del settore industriale, Sicilia (19,8 per cento), Sardegna (19,5 per cento) e Puglia (17,4 per cento). Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania (329 mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4 per cento (79 mila unità);
caso unico in Europa, l'Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione;
tra il 1997 e il 2008 circa 700 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo alla provenienza, oltre l'87 per cento delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia è più forte in Campania (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12 mila e duecento e 11 mila e seicento unità in meno;
nel 2008 sono stati 173 mila gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, 23 mila in più del 2007 (+15,3 per cento). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel week-end o un paio di volte al mese. Giovani e con un livello di studio medio-alto: l'80 per cento ha meno di 45 anni e quasi il 50 per cento svolge professioni di livello elevato. Il 24 per cento è laureato. Non lasciano la residenza generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo;
la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti il movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l'aggravarsi del quadro economico 20 mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne;
in vistosa crescita le partenze dei laureati «eccellenti»: nel 2004 partiva il 25 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38 per cento. La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50 per cento dei giovani che restano al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63 per cento di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16 per cento più di 1500 euro;
molte importanti aziende del Mezzogiorno sono a rischio di chiusura, tra le altre, il calzaturificio Adelchi di Tricase in Puglia, lo stabilimento di Termini Imerese della Fiat da cui dipende l'economia di una vasta area della Sicilia e quello di Pomigliano d'Arco della stessa Fiat in relazione al quale va segnalata la drammatica situazione in cui versano i lavoratori, molti dei quali in cassa integrazione ed altri con il contratto di lavoro di prossima scadenza;
l'eventuale chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, in particolare, avrebbe pesanti e gravissime ricadute sull'occupazione, non solo nell'ambito del comprensorio cittadino ma anche in tutto il territorio delle Madonie. L'incertezza delle notizie circa la sorte dello stabilimento sta provocando gravi preoccupazioni in tutto il tessuto sociale e grande apprensione nelle famiglie, dal momento che non è dato conoscere soluzioni che in prospettiva garantiscano il futuro dei lavoratori;
le difficoltà in cui versa l'agricoltura nel Mezzogiorno, sono ben note e si potrebbero sintetizzare nel dato, da cui si rileva che si è arrivati, addirittura, a registrare aumenti nella produzione con una, obiettiva, riduzione dei ricavi. Ciò, prevalentemente, a causa della scarsa competitività dovuta alla carenza di infrastrutture, agli alti costi energetici, all'alto costo del denaro. Urgono, dunque, politiche, a sostegno dell'agricoltura di livello nazionale ad integrazione di quelle comunitarie che, si prevede, diminuiranno costantemente entro il 2013;
l'agricoltura e l'agroalimentare legate al territorio possono essere una delle carte vincenti per un vero sviluppo del Mezzogiorno;
la spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 pari a 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord. Per di più, nel Mezzogiorno, c'è una tendenza all'incremento delle spese correnti che invece si riducono nel Centro Nord e a una diminuzione di quelle per investimenti, che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese. La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2008 al 34,9 per cento, una percentuale ben più bassa del 41,1 per cento del 2001 e lontanissima dall'obiettivo del 45 per cento, che ormai appare come una chimera. Ha inciso su tale riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per agevolazioni alle imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un maggior impegno per la dotazione di infrastrutture;
dall'analisi Svimez pubblicata su il Sole 24 Ore Sud del 28 ottobre 2009, sul monitoraggio degli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010, emerge la fotografia di un Sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà;
confrontando l'andamento dei dati 2001-2005, le ultime rilevazioni dei principali indicatori (situazione economica generale, occupazione, innovazione, riforma economica, coesione sociale, sostenibilità ambientale) e i target programmati, spicca in generale un gap impossibile da recuperare entro la scadenza prevista. Per molti indicatori addirittura si profila un ulteriore allontanamento dall'obiettivo;
in particolare, rispetto alla situazione economica generale, fatto pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il Sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006;
situazione peggiore per l'occupazione: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Ma il Sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento, nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo le stime dello Svimez, per raggiungere, come da obiettivo, il tasso di occupazione del 70 per cento, servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro. Al contrario, dal 2001, se ne sono persi 74mila. Problema specifico del Mezzogiorno, che va guardato come un tutt'uno con la difficile situazione dell'occupazione, resta la povertà, che riguarda una quota superiore di tre volte e mezza quella indicata dall'obiettivo di Lisbona, con il caso limite della Sicilia che raggiunge il 42 per cento;
quello che appare dai dati e dalle statistiche sul mezzogiorno è che le cause principali dell'andamento recessivo sono il rallentamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Gli investimenti industriali sono scesi del 2,1 per cento annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto al Centro-Nord (-0,6 per cento), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune agevolazioni (credito d'imposta, legge 488), che fa il pari con la riduzione al Sud della spesa delle famiglie dell' 1,4 per cento contro il calo dello 0,9 per cento del Centro-Nord;
le differenze tra lo sviluppo del Mezzogiorno e quello del resto del paese non si sono ridotte nel corso dell'ultimo decennio. La quota di prodotto interno lordo del Mezzogiorno rispetto all'intero Paese è scesa dal 24,2 per cento nel 2002 al 23,6 nel 2007. Dal 2007 la crescita del prodotto meridionale è stata più debole di quella del Centro Nord ed il divario è ulteriormente aumentato;
il Mezzogiorno può invece rappresentare la grande opportunità italiana, per ragioni diverse: quelle, in primo luogo, legate alla sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata; al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia. Il Meridione è l'area in cui il potenziale di crescita è maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio in quei settori, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
è anche sulla proiezione internazionale del Mezzogiorno che occorre lavorare, sul rafforzamento dei legami con il Mediterraneo. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
ad avviso dei firmatari del presente atto d'indirizzo, il Mezzogiorno è, nella sostanza, dimenticato dall'azione di Governo. Ma sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo agisca sul contesto;
lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità, quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti; le poche risorse disponibili destinate ad opere che, ai firmatari del presente atto d'indirizzo appaiono non prioritarie, come il ponte sullo Stretto di Messina. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
sono stati disposti finanziamenti pubblici per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina dirottando risorse da altre opere più utili per lo sviluppo del Mezzogiorno e concedendo al general contractor, ovvero alla società Impregilo, non solo la possibilità di firmare un contratto senza un progetto esecutivo (progetto per la realizzazione del quale occorrono circa 36 mesi), ma anche di riaprire la questione delle penali, a suo tempo congelata senza costi per la collettività dal Governo Prodi. Dietro la vicenda di un ponte che probabilmente non verrà mai costruito si attua, secondo i firmatari del presente atto d'indirizzo, un vero e proprio spreco di denaro pubblico: lo stesso progetto dello «stralcio binario» della variante Cannitello della linea ferroviaria del nodo di Villa San Giovanni manca della procedura di valutazione d'impatto ambientale come tutte le opere connesse al ponte. Quindi, non solo il ponte è lontanissimo ma anche l'avvio dei «precantieri» non è possibile a breve;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve dunque promuovere la qualità delle risorse umane attraverso una offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali,

impegna il Governo:

a riconoscere che l'aumento della disoccupazione, in particolare nel Mezzogiorno, costituisce un'emergenza nazionale e, conseguentemente, a porre in essere interventi che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, prevedendo anche l'introduzione di un credito d'imposta, in particolare nelle regioni obiettivo-convergenza, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono;
a predisporre misure per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa regionale per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo, e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
ad assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio nazionale, ed in particolare nel Mezzogiorno;
ad assumere, in particolare per quanto concerne gli stabilimenti della Fiat di Pomigliano d'Arco e di Termini Imerese, iniziative a tutela dei livelli occupazionali al fine di salvaguardare migliaia di posti di lavoro e realtà economiche importanti la cui scomparsa, in un momento di grave crisi quale quello in corso, avrebbe pesanti ripercussioni sul piano sociale;
ad assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
ad operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei nostri prodotti di qualità.
(1-00304)
«Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Aniello Formisano, Paladini, Messina, Scilipoti, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».

La Camera,
premesso che:
l'ultimo rapporto Svimez, presentato nel luglio 2009, ha fotografato un Mezzogiorno in recessione, colpito particolarmente dalla crisi nel settore industriale, che da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord;
le prospettive per i prossimi mesi, nonostante qualche segnale di miglioramento soprattutto nel clima di fiducia di imprese e cittadini, appaiono particolarmente gravi per zone deboli del Paese. La diffusa percezione di una crisi che avrebbe riguardato soprattutto le aree più industrializzate del Paese, perché più aperte alla competizione internazionale, è purtroppo smentita dai dati relativi sia alla seconda metà del 2008 che ai primi tre trimestri del 2009;
l'impatto della crisi internazionale, infatti, si sta riflettendo con particolare intensità sul mercato del lavoro meridionale, con brusche riduzioni dell'occupazione e contemporanei incrementi del tasso di disoccupazione e conseguente contrazione dei redditi da lavoro delle famiglie. Tali dinamiche si riflettono in un'ulteriore contrazione della domanda interna che va ad aggravare la tendenza recessiva;
la disoccupazione preoccupa come non mai: nel 2008 i disoccupati al Sud sono aumentati del 9,8 per cento. Crescono in particolare, sempre secondo il rapporto Svimez del 2009, i disoccupati di lunga durata che sono il 6,4 per cento del totale, mentre erano il 5,9 per cento nel 2007 e cresce la 'zona grigia' della disoccupazione, che raggruppa scoraggiati e lavoratori potenziali: 95 mila persone in più dell'anno precedente. Dal 2004 al 2008 i cosiddetti disoccupati impliciti e gli scoraggiati sono aumentati di 424 mila unità. Considerando anche questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo del Sud salirebbe a oltre il 22 per cento. Secondo dati Istat l'occupazione nel Mezzogiorno nel terzo trimestre 2009 è diminuita dell'0,8 per cento rispetto al primo trimestre del 2009 (dato destagionalizzato);
all'Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17 per cento dei giovani meridionali in età 15-24 anni lavora, contro il 30 per cento del Centro-Nord. Nella stessa classe di età la disoccupazione è invece del 14,5 per cento al Centro-Nord mentre al Sud arriva al triste primato del 33,6 per cento;
nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari, in valori assoluti, a 1 milione 300 mila persone, con tassi di irregolarità del 12,8 per cento nell'industria e del 19 per cento nelle costruzioni. A livello territoriale la regione più «nera» è la Calabria, con il 26 per cento di manodopera irregolare, che sale a quasi il 50 per cento in agricoltura e al 40 per cento nelle costruzioni. A seguire, la Basilicata (20,3 per cento), con un forte peso del settore industriale, Sicilia (19,8 per cento), Sardegna (19,5 per cento) e Puglia (17,4 per cento). Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania (329 mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4 per cento (79 mila unità);
caso unico in Europa, l'Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all'emigrazione;
tra il 1997 e il 2008 circa 700 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo alla provenienza, oltre l'87 per cento delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L'emorragia è più forte in Campania (-25 mila), a seguire Puglia e Sicilia rispettivamente con 12 mila e duecento e 11 mila e seicento unità in meno;
nel 2008 sono stati 173 mila gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all'estero, 23 mila in più del 2007 (+15,3 per cento). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel week-end o un paio di volte al mese. Giovani e con un livello di studio medio-alto: l'80 per cento ha meno di 45 anni e quasi il 50 per cento svolge professioni di livello elevato. Il 24 per cento è laureato. Non lasciano la residenza generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo;
la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti il movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l'aggravarsi del quadro economico 20 mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne;
in vistosa crescita le partenze dei laureati «eccellenti»: nel 2004 partiva il 25 per cento dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38 per cento. La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50 per cento dei giovani che restano al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63 per cento di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16 per cento più di 1500 euro;
molte importanti aziende del Mezzogiorno sono a rischio di chiusura, tra le altre, il calzaturificio Adelchi di Tricase in Puglia, lo stabilimento di Termini Imerese della Fiat da cui dipende l'economia di una vasta area della Sicilia e quello di Pomigliano d'Arco della stessa Fiat in relazione al quale va segnalata la drammatica situazione in cui versano i lavoratori, molti dei quali in cassa integrazione ed altri con il contratto di lavoro di prossima scadenza;
l'eventuale chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, in particolare, avrebbe pesanti e gravissime ricadute sull'occupazione, non solo nell'ambito del comprensorio cittadino ma anche in tutto il territorio delle Madonie. L'incertezza delle notizie circa la sorte dello stabilimento sta provocando gravi preoccupazioni in tutto il tessuto sociale e grande apprensione nelle famiglie, dal momento che non è dato conoscere soluzioni che in prospettiva garantiscano il futuro dei lavoratori;
le difficoltà in cui versa l'agricoltura nel Mezzogiorno, sono ben note e si potrebbero sintetizzare nel dato, da cui si rileva che si è arrivati, addirittura, a registrare aumenti nella produzione con una, obiettiva, riduzione dei ricavi. Ciò, prevalentemente, a causa della scarsa competitività dovuta alla carenza di infrastrutture, agli alti costi energetici, all'alto costo del denaro. Urgono, dunque, politiche, a sostegno dell'agricoltura di livello nazionale ad integrazione di quelle comunitarie che, si prevede, diminuiranno costantemente entro il 2013;
l'agricoltura e l'agroalimentare legate al territorio possono essere una delle carte vincenti per un vero sviluppo del Mezzogiorno;
la spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 pari a 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord. Per di più, nel Mezzogiorno, c'è una tendenza all'incremento delle spese correnti che invece si riducono nel Centro Nord e a una diminuzione di quelle per investimenti, che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese. La quota del Mezzogiorno sulla spesa in conto capitale è stimata nel 2008 al 34,9 per cento, una percentuale ben più bassa del 41,1 per cento del 2001 e lontanissima dall'obiettivo del 45 per cento, che ormai appare come una chimera. Ha inciso su tale riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per agevolazioni alle imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un maggior impegno per la dotazione di infrastrutture;
dall'analisi Svimez pubblicata su il Sole 24 Ore Sud del 28 ottobre 2009, sul monitoraggio degli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010, emerge la fotografia di un Sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà;
confrontando l'andamento dei dati 2001-2005, le ultime rilevazioni dei principali indicatori (situazione economica generale, occupazione, innovazione, riforma economica, coesione sociale, sostenibilità ambientale) e i target programmati, spicca in generale un gap impossibile da recuperare entro la scadenza prevista. Per molti indicatori addirittura si profila un ulteriore allontanamento dall'obiettivo;
in particolare, rispetto alla situazione economica generale, fatto pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il Sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006;
situazione peggiore per l'occupazione: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Ma il Sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento, nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo le stime dello Svimez, per raggiungere, come da obiettivo, il tasso di occupazione del 70 per cento, servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro. Al contrario, dal 2001, se ne sono persi 74mila. Problema specifico del Mezzogiorno, che va guardato come un tutt'uno con la difficile situazione dell'occupazione, resta la povertà, che riguarda una quota superiore di tre volte e mezza quella indicata dall'obiettivo di Lisbona, con il caso limite della Sicilia che raggiunge il 42 per cento;
quello che appare dai dati e dalle statistiche sul mezzogiorno è che le cause principali dell'andamento recessivo sono il rallentamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie. Gli investimenti industriali sono scesi del 2,1 per cento annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto al Centro-Nord (-0,6 per cento), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune agevolazioni (credito d'imposta, legge 488), che fa il pari con la riduzione al Sud della spesa delle famiglie dell' 1,4 per cento contro il calo dello 0,9 per cento del Centro-Nord;
le differenze tra lo sviluppo del Mezzogiorno e quello del resto del paese non si sono ridotte nel corso dell'ultimo decennio. La quota di prodotto interno lordo del Mezzogiorno rispetto all'intero Paese è scesa dal 24,2 per cento nel 2002 al 23,6 nel 2007. Dal 2007 la crescita del prodotto meridionale è stata più debole di quella del Centro Nord ed il divario è ulteriormente aumentato;
il Mezzogiorno può invece rappresentare la grande opportunità italiana, per ragioni diverse: quelle, in primo luogo, legate alla sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata; al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia. Il Meridione è l'area in cui il potenziale di crescita è maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio in quei settori, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
è anche sulla proiezione internazionale del Mezzogiorno che occorre lavorare, sul rafforzamento dei legami con il Mediterraneo. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
ad avviso dei firmatari del presente atto d'indirizzo, il Mezzogiorno è, nella sostanza, dimenticato dall'azione di Governo. Ma sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo agisca sul contesto;
lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità, quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti; le poche risorse disponibili destinate ad opere che, ai firmatari del presente atto d'indirizzo appaiono non prioritarie, come il ponte sullo Stretto di Messina. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
sono stati disposti finanziamenti pubblici per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina dirottando risorse da altre opere più utili per lo sviluppo del Mezzogiorno e concedendo al general contractor, ovvero alla società Impregilo, non solo la possibilità di firmare un contratto senza un progetto esecutivo (progetto per la realizzazione del quale occorrono circa 36 mesi), ma anche di riaprire la questione delle penali, a suo tempo congelata senza costi per la collettività dal Governo Prodi. Dietro la vicenda di un ponte che probabilmente non verrà mai costruito si attua, secondo i firmatari del presente atto d'indirizzo, un vero e proprio spreco di denaro pubblico: lo stesso progetto dello «stralcio binario» della variante Cannitello della linea ferroviaria del nodo di Villa San Giovanni manca della procedura di valutazione d'impatto ambientale come tutte le opere connesse al ponte. Quindi, non solo il ponte è lontanissimo ma anche l'avvio dei «precantieri» non è possibile a breve;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve dunque promuovere la qualità delle risorse umane attraverso una offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali,

impegna il Governo:

ad intervenire con regioni e province per porre in essere interventi che favoriscano ed incentivino l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche con la previsione di specifiche misure rivolte al Mezzogiorno, tese ad aumentare il livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego attraverso una più proficua collaborazione con i soggetti privati;
a migliorare nelle aree del Mezzogiorno, nelle quali si siano determinate crisi industriali e per ciò stesso, occupazionali, la gestione di comunicazioni specifiche da parte di soggetti pubblici (ivi compresa l'agenzia tecnica del ministero del lavoro e delle politiche sociali, Italia lavoro) contenenti l'indicazione dei nominativi dei lavoratori che possono essere assunti con l'erogazione di specifici incentivi, da inviare alle associazioni imprenditoriali, e sindacali;
ad utilizzare il tavolo aperto con regioni e parti sociali per definire politiche condivise sulla formazione professionale come qualificata leva di politica attiva del lavoro, anche attraverso misure organizzative che favoriscano il decentramento verso le autonomie locali;
a ribadire una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio nazionale, ed in particolare nel Mezzogiorno;
ad assumere, in particolare per quanto concerne gli stabilimenti della Fiat di Pomigliano d'Arco e di Termini Imerese, ogni iniziativa utile al fine di salvaguardare migliaia di posti di lavoro e realtà economiche importanti la cui scomparsa, in un momento di grave crisi quale quello in corso, avrebbe pesanti ripercussioni sul piano sociale;
a rafforzare le iniziative già assunte per valorizzare la filiera agricola e la qualità dei prodotti tipici.
(1-00304)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Aniello Formisano, Paladini, Messina, Scilipoti, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».

La Camera,
premesso che:
il Governo ha dovuto affrontare le ripercussioni di una gravissima crisi internazionale che ha inevitabilmente prodotto delle conseguenze molto serie sul terreno dell'occupazione, che avrebbero potuto essere ben più gravi se l'Esecutivo non avesse accompagnato i processi con provvedimenti di volta in volta adeguati, pur in un quadro di complessa attenzione alla stabilità dei conti pubblici, a fronteggiare l'emergenza: si è trattato di interventi volti non solo a rilanciare la struttura produttiva e dei servizi, ma anche a sostenere i livelli occupazionali, mediante l'estensione dello strumento degli ammortizzatori sociali a beneficio dei lavoratori sospesi dal lavoro a causa delle improvvise ed acute difficoltà di mercato, in cui sono incorse nei mesi scorsi numerose imprese;
anche grazie all'accordo con le regioni, è stato possibile stanziare un ingente ammontare di risorse (8 miliardi in un biennio) per ampliare la cassa integrazione in deroga ed estenderne l'intervento anche nei settori del lavoro dipendente, fino a quel momento sprovvisti;
nell'ambito di tali misure a sostegno delle imprese e dei lavoratori, vanno segnalati taluni interventi di carattere particolarmente innovativo in materia di riqualificazione dei lavoratori, volti a sostenere progetti di autoimprenditorialità, il cui finanziamento è in parte sostenuto dalla possibilità di capitalizzare le risorse derivanti dagli ammortizzatori sociali riconosciuti ai singoli cassintegrati o disoccupati interessati ad intraprendere un lavoro autonomo;
i dati diffusi dall'Istat in data 17 dicembre 2009 a seguito della rilevazione continua sulle forze di lavoro condotta dall'istituto nel terzo trimestre 2009, mostrano una prosecuzione della riduzione delle forze di lavoro anche in tale trimestre: al Nord si è registrata una riduzione marcata dell'occupazione (-274.000 unità rispetto ad un anno prima) e di una crescita della disoccupazione (+218.000 unità), al Sud il tasso di disoccupazione registra una crescita maggiore rispetto alla riduzione del tasso di occupazione (7,3 per cento in termini grezzi e 7,8 in termini destagionalizzati) con una forbice tra le due aree territoriali sempre ampia ma in riduzione (il tasso del Nord passa dal 3,4 per cento al 5,1 per cento, quello del Mezzogiorno dall'11,1 per cento all'11,7 per cento);
i dati sull'occupazione evidenziano quindi le criticità in cui si è trovato ad operare il sistema Paese nel suo complesso e rilevano la condizione economica e sociale svantaggiata che il Governo sta affrontando, anche tenendo conto delle proposte avanzate dai gruppi parlamentari;
i dati del rapporto elaborato dall'Isfol sull'occupazione relativamente al 2009 indicano che rispetto alla media europea l'occupazione in Italia è diminuita ma in misura inferiore ad altri Paesi - nel secondo trimestre 2009 si registra una contrazione dello 0,9 per cento, contro una media in Europa dell'1,9 per cento - e che la crescita del numero di disoccupati e la contrazione dell'orario medio di lavoro appare in Italia più contenuta rispetto all'incremento registrato in molti Paesi comunitari: ciò è imputabile alle scelte del Governo di fronteggiare la crisi attraverso un robusto potenziamento delle risorse degli ammortizzatori sociali e un consistente ampliamento della platea dei beneficiari, sino a coinvolgere anche lavoratori per i quali non era precedentemente prevista alcuna tutela; tuttavia, si evidenzia che la crisi acutizza i divari territoriali: il tasso di occupazione nel Mezzogiorno si è ridotto in modo più accentuato che nel Centro-Nord: è calato del 2 per cento, passando dal 47 per cento del secondo trimestre 2008 al 45 per cento del secondo trimestre 2009; mentre non supera il punto percentuale nel resto del Paese;
tra la forza lavoro del Mezzogiorno un individuo su due è inattivo, contro il 33 per cento del Centro e valori intorno al 30 per cento nel Nord: nessun Paese europeo ha al suo interno divari territoriali cosi ampi come il nostro;
nel Mezzogiorno, inoltre, risulta più diffuso il lavoro atipico, mentre è meno utilizzato lo strumento dell'apprendistato, si fa meno formazione continua e si riscontrano maggiori difficoltà nell'ambito dell'istruzione tecnica e professionale, cioè in quel segmento educativo particolarmente volto a favorire processi più rapidi di ingresso nel mercato del lavoro;
la crisi economica e finanziaria su scala internazionale ha colpito quindi anche il Mezzogiorno che presenta problemi strutturali ancora irrisolti e una realtà produttiva dalla configurazione assai diversa dal Nord del Paese: in tale ambito, pertanto, la cassa integrazione non può essere l'unica modalità attraverso la quale leggere l'impatto della crisi attraversata dal sistema produttivo nazionale, dal momento che il Mezzogiorno è caratterizzato da una forte presenza di lavoro precario, sommerso e da una disoccupazione rilevante, soprattutto per quanto concerne l'occupazione femminile;
occorre considerare, dunque, le peculiarità delle diverse aree del Paese per fornire risposte flessibili ed adattabili a modelli e caratteristiche assolutamente particolari da territorio a territorio;
l'economia del Mezzogiorno ad esempio, attraverso la concatenazione fra problemi irrisolti e minacce derivanti dalla globalizzazione, è ancora fragile con gravi problemi strutturali, non attraendo investimenti ed esportando in maniera largamente insufficiente;
nell'attuale situazione di crisi economica è pertanto assolutamente necessario continuare ed accrescere le azioni di contrasto al lavoro nero, favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso specifici percorsi di formazione, facilitare le prime esperienze dei giovani e le opportunità di reimpiego per gli «over» espulsi dal mercato, proseguire nel processo già positivamente intrapreso con una serie di strumenti diversi ma convergenti verso l'unico obiettivo di favorire l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese;
si impone quindi la realizzazione di un potenziamento delle politiche attive del lavoro, chiamate ad agevolare i processi di transizione sul mercato del lavoro, garantendo l'equità, ma anche l'efficienza e la selettività degli interventi, mantenendo e sviluppando l'occupabilità delle persone, favorendo il ritorno al lavoro da parte dei percettori dei sussidi;
appare urgente dare attuazione a un vero e proprio piano per favorire l'occupazione, che preveda, anche attraverso un coordinamento dei soggetti pubblici e privati competenti in materia, la promozione di tirocini formativi e il miglioramento del funzionamento dei servizi per l'impiego;
la valorizzazione di strumenti di integrazione tra sistema educativo e mercato del lavoro - come il contratto di apprendistato e i voucher per le attività di assistenza e formazione - unitamente all'implementazione del livello di efficienza dei servizi pubblici per l'impiego del Mezzogiorno, potrebbe rendere più trasparente il mercato del lavoro, attraverso l'incentivazione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, consentendo di svolgere un effettivo contrasto al lavoro sommerso;
il disegno di riforma in senso federale dello Stato avviato dal Parlamento nella XVI legislatura appare in tal senso significativo in vista di una valorizzazione delle autonomie locali;
Stato, regioni e parti sociali sono chiamati a condividere le fondamentali linee guida per orientare la spesa dedicata alla formazione degli inoccupati, dei disoccupati e dei cassaintegrati nel prossimo anno, in relazione ai caratteri discontinui e selettivi della ripresa che indurranno l'allungamento del periodo di inattività o transizione verso altra occupazione di molti lavoratori. La formazione deve quindi risultare quanto più tarata sui fabbisogni professionali dei settori e delle imprese e sulle concrete esigenze delle persone interessate in funzione della loro occupabilità,

impegna il Governo:

a proseguire nelle iniziative intraprese, coniugando, in un quadro di strategia organica, misure a favore delle imprese, provvedimenti di sostegno dell'occupazione e di salvaguardia del reddito, garantendo la necessaria copertura finanziaria, e in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, in un'ottica di rilancio del sistema produttivo e occupazionale del Sud del Paese;
a dare attuazione, anche al fine di attenuare il divario tra le diverse zone del Paese, al Piano di azione per l'occupabilità dei giovani attraverso l'integrazione tra apprendimento e lavoro (Italia 2020), facilitando la transizione dalla scuola al lavoro, rilanciando l'istruzione tecnico-professionale ed il contratto di apprendistato, ripensando il ruolo della formazione universitaria e aprendo i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a salvaguardare la corretta applicazione delle norme della cosiddetta legge Biagi, che prevedono, in via presuntiva, la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato nei casi in cui sia riconosciuta l'irregolarità del rapporto di collaborazione, favorendo lo sviluppo e l'ampliamento dei centri preposti alla certificazione, in prospettiva di una sostanziale azione di contrasto nei confronti del lavoro sommerso, particolarmente diffuso nelle zone del Sud del Paese, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo, e proseguendo nell'opera di adeguamento degli organici delle amministrazioni pubbliche alle effettive esigenze, senza appesantimenti non funzionali di strutture e orpelli burocratici, frutto di prassi deleterie dell'immediato passato fondate sulla diffusione del precariato nelle pubbliche amministrazioni, anche locali, e sulla conseguente stabilizzazione di personale non sempre corrispondente alle effettive necessità istituzionali delle amministrazioni e in violazione di principi costituzionali;
a procedere, in un'ottica di strategia federalista, nella valorizzazione del ruolo delle autonomie regionali per l'attuazione delle politiche attive di lavoro e di sostegno al reddito, per meglio rispondere, anche utilizzando di comune intesa le risorse regionali, alle differenti esigenze territoriali dei lavoratori e dei datori di lavoro;
a dare piena attuazione alle misure volte a favorire iniziative autonome imprenditoriali dei giovani meridionali attraverso il meccanismo del finanziamento della microimpresa, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di stabilità finanziaria previsti a livello internazionale ed europeo;
a proseguire l'azione di contrasto al lavoro nero, la cui presenza in alcune zone del Mezzogiorno, è particolarmente rilevante, anche attraverso l'adozione di misure che puntino più alla prevenzione e alla sensibilizzazione che alla repressione, dando priorità alla semplificazione degli adempimenti fiscali e burocratici a carico delle imprese;
a promuovere, anche alla luce delle situazioni emerse nelle regioni meridionali, una migliore corrispondenza degli interventi di formazione professionale alle esigenze del sistema produttivo valorizzando il ruolo delle imprese e sviluppando sinergie con il sistema dell'istruzione, adottando una nuova strategia che sottolinei la valenza formativa del lavoro, la centralità dell'impresa come luogo di formazione e l'importanza della certificazione delle conoscenze e delle competenze possedute, comunque acquisite dal lavoratore;
ad assicurare in tutte le regioni del Paese e tra queste a quelle del Mezzogiorno un'informazione esauriente e tempestiva sull'offerta e sulla domanda di lavoro insieme al monitoraggio degli interventi in vista dell'allestimento delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, anche avviando quanto prima l'applicazione del «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro» (Italia 2020), un piano strategico di azione per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura della famiglia e per la promozione delle pari opportunità nell'accesso al lavoro.
(1-00305)
(Nuova formulazione) «Moffa, Cazzola, Baldelli, Antonino Foti, Briguglio, Ceccacci Rubino, Di Biagio, Vincenzo Antonio Fontana, Formichella, Giacomoni, Giammanco, Mannucci, Minardo, Mottola, Pelino, Mariarosaria Rossi, Saltamartini, Scandroglio, Taglialatela, Cosenza».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle piccole e medio imprese soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia, mettendo a grave rischio per il 2010 l'occupazione;
la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione in particolare per il sud ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi, dell'impresa. Ultimamente una serie di rapporti hanno concentrato l'attenzione sul Mezzogiorno: il rapporto Svimez, quello del Centro studi di Confindustria, quello del Governatore della Banca d'Italia in occasione della giornata di studio dedicata dalla Banca d'Italia alla questione meridionale e alle organizzazioni sindacali;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia indirizzata al miglioramento e all'innovazione del contesto (rispetto alle urgenze il piano del sud annunciato dal Governo è in grande ritardo). Ciò crea un vuoto d'iniziativa grave di fronte a una crisi che colpisce particolarmente l'economia meridionale con effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale e del peso dell'economia a-legale, sospesa tra sommerso e illegalità; sarebbe quindi urgente un rilancio degli investimenti produttivi - specie nei settori ad alto contenuto innovativo - e delle loro modalità attuative;
recenti studi hanno stimato che le misure di incentivazione determinerebbero investimenti addizionali non superiori al 6 per cento del valore degli incentivi;
gli interventi prioritari in termini di infrastrutture moderne, qualità dei servizi, efficentizzazione della pubblica amministrazione, sicurezza ambientale, lotta alla criminalità organizzata, valorizzazione del capitale umano, processi di innovazione per avere efficacia devono necessariamente coesistere e accompagnarsi con strumenti di sostegno che migliorino le capacità innovative e competitive delle piccole e medie imprese meridionali: il fisco (crediti d'imposta, forme di fiscalità differenziata), la ricerca, l'internazionalizzazione e il risparmio energetico;
occorre considerare che allo stato attuale non esistono strumenti che possano promuovere e sostenere nuovi investimenti produttivi nel Mezzogiorno. L'esaurimento della legge n. 488 del 1992, l'assegnazione della disponibilità finanziaria del credito d'imposta per gli investimenti, il superamento dei contratti di programma, hanno fatto venire meno i riferimenti di accompagnamento delle iniziative delle imprese che intendono investire nel territorio meridionale; è quindi urgente intervenire per dare certezze agli operatori;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo c'è l'esigenza di adottare provvedimenti per rilanciare l'economia e uscire dall'attendismo che sta rendendo sempre più dura la vita a chi nel sud si batte per cambiare le cose;
l'intervento si mostra sempre più necessario e urgente se si tiene presente che per circa il 75 per cento delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno la crisi ha inciso o sta incidendo in misura significativa sulla propria attività. Da una ricerca effettuata a fine novembre 2009 da Confcommercio in collaborazione con Format - Ricerche di mercato, risulta che soltanto il 13,6 per cento di piccole e medie imprese del Meridione ha effettuato investimenti nel 2009, mentre il 41,6 per cento delle imprese ha intenzione di investire nel 2010. Il 37,9 per cento delle imprese ha difficoltà ad effettuare investimenti per i prossimi due anni a causa della mancanza di risorse. Quasi un terzo delle imprese segnala una diminuzione del livello di occupazione nel secondo semestre del 2009 e il 12,9 per cento delle piccole e medie imprese prevede un taglio di personale nel primo semestre del 2010;
il problema occupazionale in generale e nello specifico nel Mezzogiorno si fa più evidente proprio nei primi giorni del 2010 perché le previsioni positive di fine anno hanno ceduto il passo ai dati non incoraggianti delle recenti statistiche sul territorio;
non è un caso che il diritto al lavoro, ampiamente tutelato dalla nostra Costituzione, (l'articolo 1, comma 1, afferma che «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» e, nella parte dedicata ai principi fondamentali, l'articolo 4 sancisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», mentre gli articoli 35-40 disciplinano le condizioni di lavoro al fine di garantire l'integrità fisica dei lavoratori ed il rispetto della loro dignità) è uno dei diritti maggiormente richiamati nelle Costituzioni di quasi tutti gli Stati al mondo e nelle varie convenzioni e dichiarazioni universali che garantiscono i diritti umani, dal momento che rappresenta per l'individuo una necessità vitale, da cui egli trae la possibilità del proprio sostentamento e di quello della propria famiglia;
le ultime rilevazioni dell'Istat mostrano che in Italia, il numero di occupati a novembre 2009 è pari a 22 milioni 876 mila unità (dati destagionalizzati), in diminuzione rispetto a ottobre dello 0,2 per cento (pari a -44 mila unità) e inferiore dell'1,7 per cento, 389 mila unità in meno, rispetto a novembre 2008. È quanto rileva l'Istat, che segnala come il tasso di disoccupazione, sempre a novembre 2009, raggiunge l'8,3 per cento (+0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1,3 punti percentuali rispetto a novembre 2008): è il dato più alto dal 2004;
nel Meridione aumentano mediamente l'inattività femminile e gli abbandoni scolastici e permane l'intrappolamento dei giovani sotto 25 anni in percorsi formativi che portano inevitabilmente all'inoccupazione o al trasferimento in aree del centro-nord e all'estero che offrono occasioni di lavoro. Nel grande dramma dell'assenza di lavoro c'è una sofferenza specifica che riguarda i giovani e che nel nostro Paese rappresenta una duplice variabile di differenziazione: esterna nei confronti dell'Europa, interna nel confronto nord-sud, e il divario tende ad allargarsi sempre più. A fronte del calo dell'occupazione al sud anche il tasso di disoccupazione diminuisce, indice della tendenza di un sempre maggior numero di persone, soprattutto senza esperienza, che smette di cercare un lavoro. Non è da sottovalutare che detta misura sia distorta anche dai crescenti dati sul lavoro nero;
se la crisi ha investito principalmente l'apparato produttivo, al sud le conseguenze si sono riverberate soprattutto sul tessuto sociale aggravando problemi già esistenti, aumentando la disoccupazione, il lavoro nero e sommerso, il precariato, l'emigrazione giovanile e il disagio sociale;
nel corso dell'ultimo anno si è passati dall'emergenza dello stipendio che finisce alla terza settimana del mese allo spettro del reddito zero, da affrontare ormai con scarsi paracadute da aprire. La propensione al risparmio diminuisce e con essa la capacità delle famiglie a mantenere gli attuali standard di vita con quanto messo da parte;
i dati elencati esprimono come le debolezze dell'economia italiana si manifestano soprattutto nel sud dove, nel suo complesso, la partecipazione al mercato del lavoro è in grave ritardo rispetto alle altre economie avanzate. Tuttavia nel Mezzogiorno - in cui si concentra un terzo della popolazione e un quarto del prodotto interno lordo dell'Italia, come evidenziato anche dal rapporto del Governatore di Bankitalia Mario Draghi - sono racchiuse le potenzialità di crescita del Paese e di azione della politica economica per lo sviluppo;
purtroppo a distanza di dieci anni i problemi del Mezzogiorno rimangono in buona parte irrisolti e causati sia dalle politiche pubbliche specificatamente dedicate allo sviluppo del sud sia da quelle nazionali con effetti differenziati sul territorio;
resta all'ordine del giorno una domanda: per quale motivo un intervento pubblico consistente, che non ha uguali in altri Paesi, non è riuscito a innescare uno sviluppo autonomo. Negli scorsi decenni i trasferimenti netti di risorse al Sud hanno oscillato tra il 20 per cento e il 15 per cento del prodotto interno lordo annuo del Mezzogiorno. Eppure, dai primi anni '70 il divario in termini di reddito pro capite è rimasto pressoché invariato (nel Mezzogiorno il reddito pro capite oscilla intorno al 60 per cento del centro-nord). Lo Stato non spende del sud più che nel centro-nord in rapporto agli abitanti (anzi spende un po' meno), ma la spesa pubblica incide molto di più sul prodotto interno lordo (oltre 20 punti percentuali). Tutto questo implica che l'economia e la società meridionali sono molto più dipendenti - direttamente e indirettamente - dal pubblico e che lo spazio per le attività di mercato aperte alla concorrenza resta molto ridotto (gli addetti a tali attività in rapporto alla popolazione con più di 15 anni sono circa il 7 per cento contro il 23 per cento del centro-nord);
bisogna riconoscere che l'intervento pubblico da soluzione si è trasformato in problema e ha generato effetti perversi. Naturalmente, un'immagine tutta negativa del Mezzogiorno sarebbe sbagliata: ci sono segni anche innovativi nell'economia e nella società, alcune imprese e alcune aree sono cresciute, ma nel complesso il salto non c'è stato, un solido sviluppo autonomo non si è ancora affermato. L'espansione del settore pubblico ha finito per ostacolare la crescita delle attività di mercato più aperte alla concorrenza (in particolare l'industria manifatturiera e i servizi alle imprese) per tre motivi principali. Anzitutto, perché ha attratto verso il pubblico e para-pubblico (sanità, formazione) manodopera e energie imprenditoriali. In secondo luogo, perché ha privilegiato i trasferimenti rispetto agli investimenti pubblici e quindi ha comportato una carenza di infrastrutture e servizi che ostacola la crescita delle attività di mercato. Infine, perché la permeabilità della politica alle infiltrazioni criminali ha costituito un potente volano per la crescita della criminalità organizzata, che in alcune aree condiziona a sua volta lo sviluppo;
una recente analisi Svimez condotta monitorando gli indicatori europei regione per regione, denuncia un sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà, fornendo una fotografia del Mezzogiorno ancora lontano dagli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010;
nello specifico, i dati Svimez evidenziano come rispetto alla situazione economica generale, considerato pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006, le aree deboli in Europa sono cresciute del 3 per cento annuo mentre il Mezzogiorno dello 0,3 per cento. Una situazione peggiore caratterizza il sistema occupazionale: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Il sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo dette stime, per raggiungere, come da obiettivo Lisbona 2010, il tasso di occupazione del 70 per cento servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro, ma dal 2001, c'è stata una contrazione di 74 mila;
il problema del sommerso nelle regioni meridionali continua ad essere un problema primario che contribuisce, tra l'altro a penalizzare gli esercenti di piccole-medie imprese che applicano correttamente la normativa e si trovano sul mercato ad essere meno competitivi di altri a causa degli effetti distorsivi della concorrenza;
i dati suesposti manifestano come, senza una svolta politica radicale basata su una nuova strategia in grado di misurarsi efficacemente con i nodi politico-istituzionali e con quelli economici che gravano sullo sviluppo, il sud vedrà una feroce accentuazione delle disuguaglianze, l'estensione della precarietà e della disoccupazione, soprattutto per le donne e i giovani, che si ripercuoterà su un sistema produttivo ancora più debole,

impegna il Governo:

a promuovere una nuova strategia per il sud fondata su un piano di intervento integrato, organico e di struttura, con logica di medio periodo, in grado di spostare risorse in tempi rapidi da impieghi improduttivi e da aree di rendita protette dalla politica, verso attività capaci di stare sul mercato, con ciò riducendo le esternalità negative (infrastrutture carenti, servizi economici e socio-sanitari malfunzionanti, pubblica amministrazione inefficiente, scuola e formazione inadeguate, criminalità che spadroneggia) e concentrando su questi beni collettivi la spesa;
a sostenere un consistente e coordinato intervento Stato-regioni per la realizzazione di grandi infrastrutture, specie nel Mezzogiorno, con la funzione di rilancio dell'occupazione, facendo si che uno specifico e fondamentale ruolo sia assunto dalle Ferrovie dello Stato. nell'ammodernamento/potenziamento della rete ferroviaria;
a operare sulla semplificazione delle procedure burocratiche, in particolar modo per le imprese del Mezzogiorno, per la realizzazione di moderne infrastrutture, la valorizzazione delle risorse locali - da quella umana ai valori della cultura, dell'arte, del paesaggio e dell'ambiente, dell'agroalimentare - e puntare a una migliore qualità dei prodotti e dei servizi rispondendo a una domanda di mercato che sempre più punta sulla qualità;
a valorizzare processi di infrastrutturazione sociale che stimolino - in particolare nel Mezzogiorno - il protagonismo dei soggetti locali, forme di cooperazione tra soggetti privati e pubblici, la mutualità, il microcredito, prestiti d'onore ai giovani, la realizzazione di imprese no profit, di cooperative di produzione e lavoro, l'espansione delle forme di economia civile, anche sostenendo la realizzazione di fondazioni di comunità o istituendo fondi di distretto;
a prevedere finanziamenti rivolti al sostegno dei budget famigliari e delle piccole imprese, che sono il vero motore delle nostre economie, in particolare nelle aree del Mezzogiorno;
a produrre un riordino degli incentivi alle imprese (cosiddetta legge sviluppo n. 99 del 2009 e piano per il sud) puntando sull'innovazione centrata su produzioni con maggior contenuto di conoscenza, riordino da attuare in un confronto con le rappresentanze sociali ed istituzionali e facendo in modo che esso sia assunto come momento per un'attenta ricognizione delle risorse effettivamente disponibili e per un loro rifinanziamento;
a garantire una reale integrazione nel mercato del lavoro, sostenendo le persone svantaggiate con risorse sufficienti e servizi sociali e occupazionali che siano personalizzati e indirizzati soprattutto al Meridione d'Italia, in modo da assicurare una più completa partecipazione sociale e la possibilità di svolgere un'attività lavorativa per le frange di popolazione che maggiormente soffrono la crisi economica;
a incrementare le risorse umane e finanziare a sostegno della lotta alla criminalità organizzata, che, specie ne Mezzogiorno, va considerata fattore di condizionamento e depressivo dello sviluppo, e ciò non solo attraverso le forze dell'ordine ma intensificando l'attività di intelligence e di contrasto;
a promuovere interventi urgenti di contrasto al lavoro nero attraverso controlli stratificati sul territorio e, nello specifico, nelle aree meridionali;
a predisporre un piano che sostenga la permanenza nel mercato del lavoro dei giovani e promuova azioni di contrasto al lavoro precario, irregolare, marginale, particolarmente presente nel Mezzogiorno, garantendo che il precariato non si trasformi in un assetto di lavoro permanente soprattutto per i lavoratori giovani o per chi ha famiglia a carico;
a varare piani di investimenti per le piccole imprese e le cooperative, con particolare attenzione alle realtà produttive meridionali, che, promuovendo lo sviluppo economico specifico delle aree ove sono ubicate, mettono a profitto le produzioni locali;
a prevedere che nelle aree del sud i contributi pagati dalle aziende per i lavoratori siano adeguati attraverso un coefficiente riduttivo proporzionale al numero di addetti tale così da incentivare le assunzioni nelle aree più bisognose;
ad attuare piani di sviluppo per le regioni del sud che tengano conto di pari opportunità nella produzione del reddito attraverso una libera iniziativa controllata da premi sui risultati di sviluppo in un'ottica di sana concorrenza;
a promuovere, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno, processi di cooperazione e d'integrazione che tengano conto soprattutto dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, dei giovani, dei precari, di quanti sono costretti a rinunciare alla formazione e al lavoro, vale a dire di tutti coloro sulle cui spalle grava il peso della crisi;
a definire un piano nazionale di contrasto alla povertà che presti una particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
(1-00307)
«Pezzotta, Delfino, Poli, Occhiuto, Tassone, Compagnon, Ruvolo, Cera, Nunzio Francesco Testa, Pisacane, Ruggeri, Zinzi, Romano, Mannino, Naro, Drago».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi, sull'attività delle piccole e medio imprese soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia, mettendo a grave rischio per il 2010 l'occupazione;
la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione in particolare per il sud ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi, dell'impresa. Ultimamente una serie di rapporti hanno concentrato l'attenzione sul Mezzogiorno: il rapporto Svimez, quello del Centro studi di Confindustria, quello del Governatore della Banca d'Italia in occasione della giornata di studio dedicata dalla Banca d'Italia alla questione meridionale e alle organizzazioni sindacali;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia indirizzata al miglioramento e all'innovazione del contesto (rispetto alle urgenze il piano del sud annunciato dal Governo è in grande ritardo). Ciò crea un vuoto d'iniziativa grave di fronte a una crisi che colpisce particolarmente l'economia meridionale con effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale e del peso dell'economia a-legale, sospesa tra sommerso e illegalità; sarebbe quindi urgente un rilancio degli investimenti produttivi - specie nei settori ad alto contenuto innovativo - e delle loro modalità attuative;
recenti studi hanno stimato che le misure di incentivazione determinerebbero investimenti addizionali non superiori al 6 per cento del valore degli incentivi;
gli interventi prioritari in termini di infrastrutture moderne, qualità dei servizi, efficentizzazione della pubblica amministrazione, sicurezza ambientale, lotta alla criminalità organizzata, valorizzazione del capitale umano, processi di innovazione per avere efficacia devono necessariamente coesistere e accompagnarsi con strumenti di sostegno che migliorino le capacità innovative e competitive delle piccole e medie imprese meridionali: il fisco (crediti d'imposta, forme di fiscalità differenziata), la ricerca, l'internazionalizzazione e il risparmio energetico;
occorre considerare che allo stato attuale non esistono strumenti che possano promuovere e sostenere nuovi investimenti produttivi nel Mezzogiorno. L'esaurimento della legge n. 488 del 1992, l'assegnazione della disponibilità finanziaria del credito d'imposta per gli investimenti, il superamento dei contratti di programma, hanno fatto venire meno i riferimenti di accompagnamento delle iniziative delle imprese che intendono investire nel territorio meridionale; è quindi urgente intervenire per dare certezze agli operatori;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo c'è l'esigenza di adottare provvedimenti per rilanciare l'economia e uscire dall'attendismo che sta rendendo sempre più dura la vita a chi nel sud si batte per cambiare le cose;
l'intervento si mostra sempre più necessario e urgente se si tiene presente che per circa il 75 per cento delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno la crisi ha inciso o sta incidendo in misura significativa sulla propria attività. Da una ricerca effettuata a fine novembre 2009 da Confcommercio in collaborazione con Format - Ricerche di mercato, risulta che soltanto il 13,6 per cento di piccole e medie imprese del Meridione ha effettuato investimenti nel 2009, mentre il 41,6 per cento delle imprese ha intenzione di investire nel 2010. Il 37,9 per cento delle imprese ha difficoltà ad effettuare investimenti per i prossimi due anni a causa della mancanza di risorse. Quasi un terzo delle imprese segnala una diminuzione del livello di occupazione nel secondo semestre del 2009 e il 12,9 per cento delle piccole e medie imprese prevede un taglio di personale nel primo semestre del 2010;
il problema occupazionale in generale e nello specifico nel Mezzogiorno si fa più evidente proprio nei primi giorni del 2010 perché le previsioni positive di fine anno hanno ceduto il passo ai dati non incoraggianti delle recenti statistiche sul territorio;
non è un caso che il diritto al lavoro, ampiamente tutelato dalla nostra Costituzione, (l'articolo 1, comma 1, afferma che «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro» e, nella parte dedicata ai principi fondamentali, l'articolo 4 sancisce che «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto», mentre gli articoli 35-40 disciplinano le condizioni di lavoro al fine di garantire l'integrità fisica dei lavoratori ed il rispetto della loro dignità) è uno dei diritti maggiormente richiamati nelle Costituzioni di quasi tutti gli Stati al mondo e nelle varie convenzioni e dichiarazioni universali che garantiscono i diritti umani, dal momento che rappresenta per l'individuo una necessità vitale, da cui egli trae la possibilità del proprio sostentamento e di quello della propria famiglia;
le ultime rilevazioni dell'Istat mostrano che in Italia, il numero di occupati a novembre 2009 è pari a 22 milioni 876 mila unità (dati destagionalizzati), in diminuzione rispetto a ottobre dello 0,2 per cento (pari a -44 mila unità) e inferiore dell'1,7 per cento, 389 mila unità in meno, rispetto a novembre 2008. È quanto rileva l'Istat, che segnala come il tasso di disoccupazione, sempre a novembre 2009, raggiunge l'8,3 per cento (+0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e +1,3 punti percentuali rispetto a novembre 2008): è il dato più alto dal 2004;
nel Meridione aumentano mediamente l'inattività femminile e gli abbandoni scolastici e permane l'intrappolamento dei giovani sotto 25 anni in percorsi formativi che portano inevitabilmente all'inoccupazione o al trasferimento in aree del centro-nord e all'estero che offrono occasioni di lavoro. Nel grande dramma dell'assenza di lavoro c'è una sofferenza specifica che riguarda i giovani e che nel nostro Paese rappresenta una duplice variabile di differenziazione: esterna nei confronti dell'Europa, interna nel confronto nord-sud, e il divario tende ad allargarsi sempre più. A fronte del calo dell'occupazione al sud anche il tasso di disoccupazione diminuisce, indice della tendenza di un sempre maggior numero di persone, soprattutto senza esperienza, che smette di cercare un lavoro. Non è da sottovalutare che detta misura sia distorta anche dai crescenti dati sul lavoro nero;
se la crisi ha investito principalmente l'apparato produttivo, al sud le conseguenze si sono riverberate soprattutto sul tessuto sociale aggravando problemi già esistenti, aumentando la disoccupazione, il lavoro nero e sommerso, il precariato, l'emigrazione giovanile e il disagio sociale;
nel corso dell'ultimo anno si è passati dall'emergenza dello stipendio che finisce alla terza settimana del mese allo spettro del reddito zero, da affrontare ormai con scarsi paracadute da aprire. La propensione al risparmio diminuisce e con essa la capacità delle famiglie a mantenere gli attuali standard di vita con quanto messo da parte;
i dati elencati esprimono come le debolezze dell'economia italiana si manifestano soprattutto nel sud dove, nel suo complesso, la partecipazione al mercato del lavoro è in grave ritardo rispetto alle altre economie avanzate. Tuttavia nel Mezzogiorno - in cui si concentra un terzo della popolazione e un quarto del prodotto interno lordo dell'Italia, come evidenziato anche dal rapporto del Governatore di Bankitalia Mario Draghi - sono racchiuse le potenzialità di crescita del Paese e di azione della politica economica per lo sviluppo;
purtroppo a distanza di dieci anni i problemi del Mezzogiorno rimangono in buona parte irrisolti e causati sia dalle politiche pubbliche specificatamente dedicate allo sviluppo del sud sia da quelle nazionali con effetti differenziati sul territorio;
resta all'ordine del giorno una domanda: per quale motivo un intervento pubblico consistente, che non ha uguali in altri Paesi, non è riuscito a innescare uno sviluppo autonomo. Negli scorsi decenni i trasferimenti netti di risorse al Sud hanno oscillato tra il 20 per cento e il 15 per cento del prodotto interno lordo annuo del Mezzogiorno. Eppure, dai primi anni '70 il divario in termini di reddito pro capite è rimasto pressoché invariato (nel Mezzogiorno il reddito pro capite oscilla intorno al 60 per cento del centro-nord). Lo Stato non spende del sud più che nel centro-nord in rapporto agli abitanti (anzi spende un po' meno), ma la spesa pubblica incide molto di più sul prodotto interno lordo (oltre 20 punti percentuali). Tutto questo implica che l'economia e la società meridionali sono molto più dipendenti - direttamente e indirettamente - dal pubblico e che lo spazio per le attività di mercato aperte alla concorrenza resta molto ridotto (gli addetti a tali attività in rapporto alla popolazione con più di 15 anni sono circa il 7 per cento contro il 23 per cento del centro-nord);
bisogna riconoscere che l'intervento pubblico da soluzione si è trasformato in problema e ha generato effetti perversi. Naturalmente, un'immagine tutta negativa del Mezzogiorno sarebbe sbagliata: ci sono segni anche innovativi nell'economia e nella società, alcune imprese e alcune aree sono cresciute, ma nel complesso il salto non c'è stato, un solido sviluppo autonomo non si è ancora affermato. L'espansione del settore pubblico ha finito per ostacolare la crescita delle attività di mercato più aperte alla concorrenza (in particolare l'industria manifatturiera e i servizi alle imprese) per tre motivi principali. Anzitutto, perché ha attratto verso il pubblico e para-pubblico (sanità, formazione) manodopera e energie imprenditoriali. In secondo luogo, perché ha privilegiato i trasferimenti rispetto agli investimenti pubblici e quindi ha comportato una carenza di infrastrutture e servizi che ostacola la crescita delle attività di mercato. Infine, perché la permeabilità della politica alle infiltrazioni criminali ha costituito un potente volano per la crescita della criminalità organizzata, che in alcune aree condiziona a sua volta lo sviluppo;
una recente analisi Svimez condotta monitorando gli indicatori europei regione per regione, denuncia un sud sempre più periferico, che si allontana dall'Europa soprattutto per il basso tasso di attività, la scarsa spesa per l'innovazione e la diffusa povertà, fornendo una fotografia del Mezzogiorno ancora lontano dagli indicatori previsti dagli obiettivi di Lisbona 2010;
nello specifico, i dati Svimez evidenziano come rispetto alla situazione economica generale, considerato pari a 100 il prodotto interno lordo pro capite medio dell'Unione europea, il sud è passato dal 78 per cento del valore medio europeo del 2001 al 69 per cento del 2006, le aree deboli in Europa sono cresciute del 3 per cento annuo mentre il Mezzogiorno dello 0,3 per cento. Una situazione peggiore caratterizza il sistema occupazionale: la strategia di Lisbona prevedeva un tasso di occupazione nella classe di età 15-64 anni del 70 per cento entro il 2010. Il sud, fermo nel 2001 al 45,5 per cento nel 2009 ha subito un ulteriore ribasso, arrivando al 44,7 per cento. Riguardo al tasso di occupazione degli adulti in età compresa tra 55 e 64 anni c'è da segnalare un recupero (da circa il 30 per cento del 2001 al 34 per cento del 2009), comunque distante dal 50 per cento previsto per il 2010;
secondo dette stime, per raggiungere, come da obiettivo Lisbona 2010, il tasso di occupazione del 70 per cento servirebbero 3,5 milioni di posti di lavoro, ma dal 2001, c'è stata una contrazione di 74 mila;
il problema del sommerso nelle regioni meridionali continua ad essere un problema primario che contribuisce, tra l'altro a penalizzare gli esercenti di piccole-medie imprese che applicano correttamente la normativa e si trovano sul mercato ad essere meno competitivi di altri a causa degli effetti distorsivi della concorrenza;
i dati suesposti manifestano come, senza una svolta politica radicale basata su una nuova strategia in grado di misurarsi efficacemente con i nodi politico-istituzionali e con quelli economici che gravano sullo sviluppo, il sud vedrà una feroce accentuazione delle disuguaglianze, l'estensione della precarietà e della disoccupazione, soprattutto per le donne e i giovani, che si ripercuoterà su un sistema produttivo ancora più debole,

impegna il Governo:

ad adottare misure che, nel promuovere lo sviluppo del mercato, superino e contrastino ogni forma di assistenzialismo clientelare;
a rafforzare una nuova strategia per il sud fondata su un piano di intervento integrato, organico e di struttura, con logica di medio periodo, in grado di spostare risorse in tempi rapidi da impieghi improduttivi e da aree di rendita protette dalla politica, verso attività capaci di stare sul mercato, con ciò riducendo le esternalità negative (infrastrutture carenti, servizi economici e socio-sanitari malfunzionanti, pubblica amministrazione inefficiente, scuola e formazione inadeguate, criminalità che spadroneggia) e concentrando su questi beni collettivi la spesa;
a sostenere un consistente e coordinato intervento Stato-regioni per la realizzazione di grandi infrastrutture, specie nel Mezzogiorno, con la funzione di rilancio dell'occupazione, facendo si che uno specifico e fondamentale ruolo sia assunto dalle Ferrovie dello Stato. nell'ammodernamento/potenziamento della rete ferroviaria;
a operare sulla semplificazione delle procedure burocratiche, in particolar modo per le imprese del Mezzogiorno, per la realizzazione di moderne infrastrutture, la valorizzazione delle risorse locali - da quella umana ai valori della cultura, dell'arte, del paesaggio e dell'ambiente, dell'agroalimentare - e puntare a una migliore qualità dei prodotti e dei servizi rispondendo a una domanda di mercato che sempre più punta sulla qualità;
a valorizzare, d'intesa con le regioni, processi di infrastrutturazione sociale che stimolino - in particolare nel Mezzogiorno - il protagonismo dei soggetti locali, forme di cooperazione tra soggetti privati e pubblici, la mutualità, il microcredito, prestiti d'onore ai giovani, la realizzazione di imprese no profit, di cooperative di produzione e lavoro, l'espansione delle forme di economia civile, anche sostenendo la realizzazione di fondazioni di comunità o istituendo fondi di distretto, con una particolare attenzione alla piccola e media impresa;
a produrre un riordino degli incentivi alle imprese;
a promuovere interventi urgenti di contrasto al lavoro nero attraverso controlli stratificati sul territorio e, nello specifico, nelle aree meridionali;
ad utilizzare, nell'ambito delle politiche nazionali, la leva fiscale e contributiva in favore delle piccole imprese e della famiglia;
a definire un piano nazionale di contrasto alla povertà che presti una particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
(1-00307)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Pezzotta, Delfino, Poli, Occhiuto, Tassone, Compagnon, Ruvolo, Cera, Nunzio Francesco Testa, Pisacane, Ruggeri, Zinzi, Romano, Mannino, Naro, Drago».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica e finanziaria internazionale, che ha interessato inevitabilmente anche il tessuto produttivo italiano, ha determinato gravi conseguenze sul piano occupazionale a causa della contrazione delle attività in tutti i comparti e le aree geografiche del Paese, cui sono seguiti peraltro cospicui tagli di personale non solo da parte di piccole imprese, ma anche nell'ambito di realtà produttive di medie e grandi dimensioni;
tale situazione, pur riguardando l'intero territorio nazionale, desta ancora più preoccupazione nel Mezzogiorno ed, in particolare, in Campania, dove la contemporanea crisi di numerose aziende locali - quali, a solo titolo esemplificativo, la Melpem srl del gruppo IPM di Arzano, la Peroni di Miano a Napoli, la ICMI di San Giovanni a Teduccio, la Cablauto di Mariglianella, la Bitron di Morra de Santis la Scai Sud di Oliveto Citra, i pastifici Russo di Cicciano e di Pomigliano d'Arco - produce effetti devastanti sul piano sociale e occupazionale;
uno dei segnali più allarmanti dell'emergenza in atto giunge dallo stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, da anni polo cruciale per l'industria campana e nazionale, dove molti dipendenti sono in cassa integrazione guadagni ed altri hanno un contratto di lavoro in scadenza;
in particolare, per 37 lavoratori del citato stabilimento il contratto è scaduto il 31 dicembre 2009, mentre per altri 55 il contratto scadrà il 31 marzo del 2010. Da ben 4 anni questi lavoratori si vedono rinnovare contratti a termine. Nel protocollo sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 18 giugno 2009, la Fiat si impegnava a garantire una «piattaforma» in grado di saturare tutti gli organici e di evitare ulteriori esuberi. Secondo quanto è stato comunicato agli interessati, l'azienda non è intenzionata a rinnovare i contratti in scadenza: tale decisione, che provoca pesanti conseguenze sui lavoratori interessati, richiede ogni attenzione anche per il rischio che essa possa inserirsi in un disegno di ridimensionamento strutturale degli organici e di complessivo depotenziamento dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, in linea con quanto sta accadendo, anche lì con gravi conseguenze sociali, a Termini Imerese,

impegna il Governo:

a rafforzare il monitoraggio delle situazioni di crisi aziendale, con specifico riferimento alle imprese che hanno effettuato o si apprestano ad effettuare riduzioni di personale, con particolare attenzione a quelle che operano nelle aree del Mezzogiorno, al fine di assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali e di scongiurare ulteriori ripercussioni sul piano sociale;
ad assumere, per quanto di competenza, ogni utile iniziativa - anche attraverso un utilizzo oculato degli strumenti di incentivazione per il settore, ivi compresi quelli di natura fiscale - al fine di favorire una positiva soluzione della vertenza concernente il personale dello stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, nel rispetto dei diritti acquisiti dai lavoratori e nella prospettiva di un rilancio delle attività produttive.
(1-00308)
«Barbato, Mazzocchi, Mazzarella, Misiti, Cesario, Polidori, Nicolais, Aniello Formisano, Ciriello, Pugliese, Razzi, Leoluca Orlando, Scilipoti, Palagiano».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica e finanziaria internazionale, che ha interessato inevitabilmente anche il tessuto produttivo italiano, ha determinato gravi conseguenze sul piano occupazionale a causa della contrazione delle attività in tutti i comparti e le aree geografiche del Paese, cui sono seguiti peraltro cospicui tagli di personale non solo da parte di piccole imprese, ma anche nell'ambito di realtà produttive di medie e grandi dimensioni;
tale situazione, pur riguardando l'intero territorio nazionale, desta ancora più preoccupazione nel Mezzogiorno ed, in particolare, in Campania, dove la contemporanea crisi di numerose aziende locali - quali, a solo titolo esemplificativo, la Melpem srl del gruppo IPM di Arzano, la Peroni di Miano a Napoli, la ICMI di San Giovanni a Teduccio, la Cablauto di Mariglianella, la Bitron di Morra de Santis la Scai Sud di Oliveto Citra, i pastifici Russo di Cicciano e di Pomigliano d'Arco - produce effetti devastanti sul piano sociale e occupazionale;
uno dei segnali più allarmanti dell'emergenza in atto giunge dallo stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, da anni polo cruciale per l'industria campana e nazionale, dove molti dipendenti sono in cassa integrazione guadagni ed altri hanno un contratto di lavoro in scadenza;
in particolare, per 37 lavoratori del citato stabilimento il contratto è scaduto il 31 dicembre 2009, mentre per altri 55 il contratto scadrà il 31 marzo del 2010. Da ben 4 anni questi lavoratori si vedono rinnovare contratti a termine. Nel protocollo sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 18 giugno 2009, la Fiat si impegnava a garantire una «piattaforma» in grado di saturare tutti gli organici e di evitare ulteriori esuberi. Secondo quanto è stato comunicato agli interessati, l'azienda non è intenzionata a rinnovare i contratti in scadenza: tale decisione, che provoca pesanti conseguenze sui lavoratori interessati, richiede ogni attenzione anche per il rischio che essa possa inserirsi in un disegno di ridimensionamento strutturale degli organici e di complessivo depotenziamento dello stabilimento di Pomigliano d'Arco, in linea con quanto sta accadendo, anche lì con gravi conseguenze sociali, a Termini Imerese,

impegna il Governo:

a rafforzare il monitoraggio delle situazioni di crisi aziendale, con specifico riferimento alle imprese che hanno effettuato o si apprestano ad effettuare riduzioni di personale, con particolare attenzione a quelle che operano nelle aree del Mezzogiorno, al fine di assicurare la tutela dei lavoratori e di scongiurare ulteriori ripercussioni sul piano sociale;
a rafforzare, per quanto di competenza, ogni utile iniziativa al fine di favorire una positiva soluzione della vertenza concernente il personale dello stabilimento della Fiat di Pomigliano d'Arco, nel rispetto dei diritti acquisiti dai lavoratori e nella prospettiva di un rilancio delle attività produttive.
(1-00308)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Barbato, Mazzocchi, Mazzarella, Misiti, Cesario, Polidori, Nicolais, Aniello Formisano, Ciriello, Pugliese, Razzi, Leoluca Orlando, Scilipoti, Palagiano».

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative relative alla situazione della spesa sanitaria nelle regioni del centro-sud interessate da disavanzi strutturali - 3-00829

COTA, LUCIANO DUSSIN, DAL LAGO, REGUZZONI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BRIGANDÌ, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DESIDERATI, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOGLIATO, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIBELLI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, LANZARIN, LUSSANA, MACCANTI, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MONTAGNOLI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il risanamento delle gestioni sanitarie regionali rappresenta, ormai da alcuni anni, una vera e propria priorità politica sia a livello nazionale che regionale;
la procedura di risanamento del disavanzo sanitario, disciplinata dall'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ha determinato prima la stipula di un piano di rientro e poi il commissariamento di quattro regioni, il Lazio, l'Abruzzo, la Campania e il Molise;
la regione Calabria, attraverso la stipula, il 17 dicembre 2009 di un piano di rientro dal disavanzo sanitario con i Ministri della salute e dell'economia e delle finanze, ha evitato il commissariamento ad acta e l'applicazione, dal 1o gennaio 2010, degli automatismi introdotti dalla legge finanziaria per il 2010 per il ripristino dell'equilibrio economico-finanziario regionale;
l'allora Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha dichiarato, nel luglio 2009, che la decisione di commissariamento non è un'attività meramente finanziaria, ma un processo di riorganizzazione che deve consentire la produzione di servizi territoriali socio-sanitari assistenziali più diffusi e qualificati, di ricoveri ospedalieri appropriati in strutture pubbliche e private, dotate di adeguate tecnologie e professionalità, e di una più generale razionalizzazione dei costi in un contesto di contabilità affidabile;
il nuovo patto per la salute definito con intesa del 3 dicembre 2009 in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ha introdotto nuove e più rigorose procedure di monitoraggio dell'equilibrio delle gestioni sanitarie, accompagnate da rigorosi automatismi economico-finanziari e da tre distinte ipotesi di commissariamento ad acta delle regioni inadempienti;
dalla relazione sulla gestione finanziaria delle regioni a statuto ordinario - esercizi 2006-2007, pubblicata il 28 luglio 2008 dalla Corte dei conti, è emerso come nel settore sanitario si attesti un disavanzo strutturale di circa 4 miliardi di euro, che per l'83,39 per cento è determinato dai disavanzi delle regioni del centro-sud (Lazio, Campania, Abruzzo, Molise e Sicilia), le quali continuano a soffrire per l'eccessivo tasso di ospedalizzazione, l'insufficienza dell'assistenza domiciliare, la scarsa diffusione di meccanismi di controllo della qualità dell'assistenza;
le regioni interessate da queste difficoltà strutturali, pur avendo ricevuto dallo Stato finanziamenti integrativi per oltre 6.400 milioni di euro, hanno sperimentato una consistente difficoltà nell'accedervi a causa del sistema sanzionatorio previsto per i riscontrati inadempimenti agli accordi -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, considerato l'andamento della spesa sanitaria nelle regioni del centro-sud interessate da disavanzi strutturali e l'esito delle verifiche svolte sul rispetto degli adempimenti dei rispettivi piani di rientro, al fine di garantire il risanamento delle relative gestioni economico-finanziarie ed evitare nuovi finanziamenti aggiuntivi statali. (3-00829)
(12 gennaio 2010)

Efficacia, costi ed eventuali rischi del vaccino contro il virus A/H1N1 ed intendimenti del Governo con riguardo alle dosi di vaccino in eccesso - n. 3-00830

PALAGIANO e MURA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'epidemia da virus H1N1, secondo quanto dichiarato dal Ministro Fazio, presenta un tasso di mortalità dello 0,03 per mille, mentre quello dell'influenza stagionale si attesta intorno all'1 per mille;
esiste un'evidente contraddizione tra il basso tasso di mortalità dell'attuale pandemia e l'esigenza di vaccinare gran parte della popolazione acquistando, inizialmente, 24 milioni di dosi di vaccino dalla Novartis al costo di circa 184 milioni di euro;
la spesa sanitaria totale relativa ai vaccini è tutt'oggi non sufficientemente chiara;
è stata attuata in questi mesi una campagna mediatica di resistenza alla vaccinazione collettiva, che interessa per la prima volta anche la classe medica per una presunta tossicità derivante da composti mercuriali presenti nel vaccino;
negli Stati Uniti non sono state liberalizzate e commercializzate dosi di vaccino contenenti adiuvanti ed è stato appena dato il via libera ad un siero privo di tali sostanze;
la vaccinazione di massa, comporta, inevitabilmente, notevoli interessi economici internazionali da parte delle multinazionali del farmaco produttrici di vaccini e farmaci antivirali;
esiste un alto livello di attenzione sul fenomeno e sul rischio di contagio dal quale qualcuno può trarre vantaggio;
esistono dei precedenti negli Stati Uniti in cui cariche istituzionali, ricoprenti ruoli di responsabilità, o comunque vicine ad aziende biofarmaceutiche, hanno contribuito al loro balzo in borsa, attraverso vaccinazioni di massa contro presunte infezioni, che hanno cagionato il decesso di poche centinaia di individui;
al di là della portata dell'epidemia, le case farmaceutiche hanno la necessità di fare circolare le confezioni già prodotte;
prima di procedere alla vaccinazione è insolitamente necessario firmare un atto di consenso, per tutti i rischi connessi agli effetti della somministrazione del vaccino;
proprio per la necessità di tale consenso informato, il vaccino non è acquistabile in farmacia e quindi non è accessibile a chiunque senta l'esigenza di utilizzarlo;
è inoltre possibile un concreto rischio di mutazione virale, con il conseguente aumento della virulenza, che renderebbe vana, nonché superflua, la vaccinazione - considerando che gli anticorpi iniziano a formarsi negli individui che si vaccinano non prima di 30/40 giorni dopo la somministrazione;
nel 1976 la vaccinazione di massa contro la cosiddetta influenza suina, si è rivelata inutile;
i vaccini attualmente somministrati stanno portando ad un'attenuazione della sintomatologia ed alla riduzione del contagio, in un'epoca presumibilmente successiva all'acme dell'epidemia;
esistono precedenti di diffuso panico planetario, come è accaduto nei confronti dell'antrace, dell'aviaria e della Sars, in cui a fronte di tanto clamore mediatico e di una elevata spesa sanitaria, i rischi di mortalità si sono rivelati inesistenti o comunque trascurabili;
la situazione attuale vede meno di un milione di italiani vaccinati. Il nostro Paese ha ordinato 48 milioni di dosi, con l'obiettivo di vaccinare il 40 per cento della popolazione, a partire dalle categorie a rischio e quelle di pubblica utilità, ma ad oggi sono state somministrate circa 840 mila dosi. Rispetto alla possibilità di rivendere parte dello stock ordinato, nessuna decisione è stata ancora assunta;
i dati aggiornati indicano che il personale a rischio e lo stesso personale sanitario si sono vaccinati pochissimo (15 per cento), e la pandemia sta facendo il «suo corso» con una mortalità inferiore alle influenze stagionali; 193 sono le vittime correlate alla nuova influenza A al 27 dicembre 2009, ossia lo 0,0048 per cento in rapporto al totale dei malati di nuova influenza;
seppure l'influenza A è ancora presente, e potrebbe essercene un picco tra fine gennaio inizio febbraio 2010, sembra ormai evidente che ci si attesterà ad un dato di vaccinati ben lontano dallo sperato;
la Francia ha cominciato a rivendere all'estero una parte del proprio stock di vaccini, ordinati in eccedenza, contro il virus A/H1N1 dell'influenza A, e il risultato finale è stato analogo in molti Paesi europei: meno del previsto i cittadini che si sono vaccinati e scorte di vaccino sono rimaste inutilizzate nei magazzini. Così, vari Governi hanno deciso di rivendere le dosi in eccesso ad altri Paesi -:
quali garanzie intenda fornire sulla reale efficacia e soprattutto innocuità del vaccino o meglio dei vaccini proposti - i cui effetti collaterali non sembrano, al momento, essere prevedibili - quali siano gli effettivi costi della vaccinazione di massa e dell'impiego dei farmaci antivirali, la cui spesa sembra sproporzionata rispetto ai dati tranquillizzanti trasmessi dallo stesso ministero e cosa intenda fare con le dosi di vaccino in eccesso, considerata la bassa percentuale della popolazione che vi ha fatto ricorso sino ad oggi.(3-00830)
(12 gennaio 2010)

Iniziative per favorire la prevenzione e la cura delle patologie oncologiche - n. 3-00831

BARANI e BALDELLI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
ogni anno, in Italia, circa 270 mila cittadini risultano affetti da cancro e nel 2010 arriveranno a 400 mila;
il cancro va affrontato non solo in termini di miglioramento di diagnosi, ma anche agendo per ridurre i fattori di rischio;
l'Italia, in campo oncologico, ha raggiunto risultati dì grande rilievo in termini di diagnosi e terapia, come testimoniato dal tasso di sopravvivenza in costante crescita -:
quali iniziative, nell'ambito di sua competenza, intenda attivare per favorire la prevenzione e la cura di questa malattia. (3-00831)
(12 gennaio 2010)

Misure per favorire il rientro nel mercato del lavoro dei lavoratori interessati dai tagli di personale effettuati dalla imprese in crisi - n. 3-00832

BACCINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'attuale contesto di crisi economica e finanziaria, dalla quale è bene ricordare non si è ancora usciti, richiede il rilancio degli istituti di sostegno alla persona, soprattutto nelle situazioni di difficoltà economica determinatesi o peggiorate a causa della crisi stessa;
l'economia italiana continua a evidenziare elementi contrastanti: una maggiore debolezza strutturale rispetto ai Paesi industrializzati, determinata dall'inadeguatezza di alcuni importanti fattori produttivi (innovazione tecnologica, competenze umane, carenza di servizi e infrastrutture) e dalla persistenza di forti vincoli di bilancio a causa della dimensione del debito pubblico; un'evoluzione ancora sfavorevole per le regioni meridionali che continuano a risentire della fragilità del loro tessuto produttivo e della debolezza della domanda di consumi; una minore incidenza dei fattori che hanno originato o aggravato la recessione internazionale (insufficiente patrimonializzazione delle banche, elevato indebitamento delle famiglie, bolla immobiliare); una ripercussione sostanzialmente contenuta in relazione agli altri Stati membri dell'Unione europea degli effetti della crisi sulla forza lavoro, in particolare per l'ampliamento, per dimensione e tipologia, della tutela assicurata dagli ammortizzatori sociali;
nel corso del 2009, a partire dall'accordo Governo-regioni del 19 febbraio 2009 di attuazione di quanto previsto dall'articolo 19 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.185, l'impegno del Governo per il mantenimento dei livelli occupazionali si è, infatti, concretizzato in un piano di contrasto alla crisi fondato sull'azione stabilizzatrice degli ammortizzatori sociali, che hanno ottenuto risultati promettenti sulla tenuta dei livelli occupazionali dei lavoratori dipendenti;
ciò nonostante il tasso di occupazione (rilevazione mensile Istat - novembre 2009) è sceso di 1,7 punti percentuali nel corso dell'ultimo anno e si attesta al 57,1 per cento. La percentuale delle persone disoccupate è pari all'8,3 per cento ed è aumentata in un anno di 1,3 punti percentuali. Desta preoccupazione il tasso di inattività pari al 37,7 per cento poiché si riferisce a soggetti che hanno perso o non hanno mai avuto un lavoro e hanno smesso di cercarlo;
si ritiene sia pertanto opportuno prevedere un'azione integrata di interventi volta a ridurre l'impatto della crisi sul capitale umano, salvaguardando la capacità di azione e la professionalità delle persone e assicurando l'inclusione sociale e lavorativa di coloro che si trovano in situazione di svantaggio sociale ed economico;
sembrano mirare a questi obiettivi generali i vari provvedimenti anticrisi varati dall'Esecutivo nel 2009 fino al cosiddetto «pacchetto lavoro» inserito nella legge finanziaria per il 2010 (legge 23 dicembre 2009, n. 191 articolo 2 commi 130-160);
nel «pacchetto lavoro» della legge finanziaria 2010, infatti, si ripropongono e attualizzano l'insieme delle misure di politica passiva del lavoro già sperimentate nel 2009. Sono inoltre presenti diversi strumenti di politica attiva del lavoro che sembrerebbero disegnati per favorire il reingresso nel mercato del lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici espulsi a causa della crisi;
sembrano inoltre di particolare interesse, le misure di carattere sperimentale promosse dal decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78 (convertito dalla legge 2 agosto 2009, n. 102), che dovrebbero sostenere e favorire il passaggio - volontario - dei lavoratori dipendenti di aziende in crisi, dall'area della subordinazione a quella del lavoro autonomo tramite il contributo finanziario alla creazione di attività autonome, anche in forma di microimpresa e autoimpresa;
tale recente normativa sembrerebbe confermare la visione del Governo rivolta a considerare la microfinanza quale strumento di welfare, che può collocarsi sia nell'ambito delle politiche del lavoro che in quelle per l'inclusione sociale;
si ritiene che tra gli interventi per affrontare la recessione e trasformarla in un'opportunità di crescita dell'economia del Paese, alla stregua di quanto si sta realizzando a livello di Unione europea, sia necessario realizzare un contesto economico aperto e inclusivo che permetta di creare una società più solidale ed equa, che riconosca e sostenga lo spirito imprenditoriale anche dei soggetti più deboli;
in proposito si rammenta che la Commissione europea progetta di avviare nel 2010 uno strumento europeo, cofinanziato dal programma Progress, finalizzato all'occupazione e all'integrazione sociale di soggetti altrimenti non bancabili (Progress microfinance facility);
tra gli istituti promossi dal Governo italiano per contrastare gli effetti della crisi economica sui lavoratori cassintegrati rientrano gli incentivi previsti dall'articolo 1, commi 7 e 8, del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito dalla legge 2 agosto 2009, n. 102, e sono previste forme di integrazione tra quanto previsto dal richiamato decreto legge n. 78 del 2009 in merito all'utilizzo degli strumenti di tutela e sostegno del reddito per la creazione di attività autonome e microimprese e gli incentivi diretti a favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità e la diffusione di forme di autoimpiego -:
come si intenda favorire il rientro nel mercato del lavoro dei lavoratori espulsi dalle imprese in crisi e quali misure di politica attiva siano previste, secondo quali modalità saranno implementate e da chi. (3-00832)
(12 gennaio 2010)

Orientamenti del Governo sull'individuazione dei siti degli impianti per la produzione di energia nucleare - n. 3-00833

REALACCI, FRANCESCHINI, MARAN, VENTURA, VILLECCO CALIPARI, MARIANI, LULLI, AMICI, BELLANOVA, BOBBA, BOCCI, BRAGA, BRATTI, CAPODICASA, CARELLA, MARCO CARRA, CAUSI, CIRIELLO, CODURELLI, CONCIA, DE PASQUALE, ESPOSITO, GATTI, GENTILONI SILVERI, GIACHETTI, GINOBLE, IANNUZZI, LOSACCO, LARATTA, MADIA, MARANTELLI, MARCHI, MARGIOTTA, MARTELLA, MASTROMAURO, MOGHERINI REBESANI, MORASSUT, MOTTA, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PEDOTO, PES, PIZZETTI, SAMPERI, SCHIRRU, SERVODIO, SIRAGUSA, STRIZZOLO, VELO e VIOLA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il Governo attualmente in carica nelle strategie energetiche dell'Italia assegna un ruolo centrale al rilancio della fonte nucleare sulla base delle tecnologie attualmente disponibili. Tale scelta viene presentata come in grado di fornire significative quantità di energia elettrica a prezzi molto più bassi degli attuali;
il Partito Democratico ritiene che la soluzione non sia un ritorno al nucleare che, a questo stato di tecnologia comporta costi elevati, tempi molto lunghi e problemi legati allo smaltimento delle scorie radioattive;
è invece necessario puntare in via prioritaria su efficienza, risparmio energetico, innovazione tecnologica, fonti rinnovabili per affrontare le sfide che abbiamo davanti a cominciare dalla necessità, ribadita nel summit mondiale sul clima di Copenaghen, di ridurre drasticamente le emissioni di CO2. Che a tal fine sia necessario accompagnare, aiutare, sostenere le scelte di imprese, istituzioni, cittadini che consentono di migliorare la qualità della nostra vita e la competitività della nostra economia, cogliendo le opportunità offerte dalla green economy;
la struttura dei costi del nucleare è particolare rispetto a quella delle altre fonti energetiche: incide molto la costruzione degli impianti, relativamente poco la gestione e il costo del combustibile, tantissimo lo smantellamento e la chiusura del ciclo, con la messa in sicurezza delle scorie (il solo impianto non definitivo per le scorie ad alta attività in costruzione in Francia a Bure ha un costo base di circa 15 miliardi di euro);
se in un'economia di mercato si tiene conto di tutti questi costi, il ritorno al nucleare non è competitivo, mentre diverso è ovviamente il caso delle centrali già esistenti. È questo il motivo per cui attualmente in tutto l'occidente sono in costruzione due soli impianti nucleari, uno in Francia a Flamanville e uno in Finlandia a Oikiluoto, entrambi con tecnologia francese Areva, la stessa privilegiata dall'Enel e dal Governo italiano;
l'impianto di Oikiluoto avrebbe dovuto essere consegnato lo scorso anno, si parla ora del 2012 e i costi di costruzione sono già aumentati del 60 per cento, un vero e proprio disastro industriale;
il 22 ottobre 2009 c'è stata una pesante e irrituale messa in mora dei sistemi di questi impianti con tecnologie Areva espressa con un comunicato congiunto delle tre agenzie per la sicurezza nucleare: la francese ASN, la britannica HSÈsND e la finlandese Stuk. La qual cosa produrrà perlomeno un ulteriore allungamento dei tempi e un ulteriore innalzamento dei costi;
per tutti questi motivi negli Stati Uniti, dove la produzione di energia elettrica è totalmente privatizzata, dagli anni settanta non viene avviata la costruzione di un nuovo impianto nucleare. E recentemente (giugno 2009) il Massachussets Institute of Technology (MIT) ha sottolineato come il costo del chilowattora nucleare sia significativamente superiore a quello delle altre fonti tradizionali;
la scelta nucleare fu a suo tempo bocciata dai cittadini italiani con il referendum del 1987, quindi una sua riproposizione richiede grande cautela anche dal punto di vista democratico. Il Governo ha invece varato una norma che, caso unico nei paesi occidentali, prevede la possibilità di avviare la costruzione di una centrale nucleare o di un impianto di trattamento di scorie anche in presenza di un parere contrario delle istituzioni locali e delle regioni interessate, militarizzando inoltre i siti scelti. Undici regioni (Lazio, Marche, Umbria, Basilicata, Puglia, Calabria, Toscana, Liguria, Emilia Romagna, Piemonte e Campania) hanno avanzato ricorso alla Corte costituzionale nei confronti di questa norma;
l'Agenzia per la sicurezza nucleare (peraltro neanche prevista inizialmente e inserita solo successivamente dopo un increscioso «balletto» tra ministeri sull'attribuzione dei posti e le cui delicate funzioni meglio sarebbero state svolte da un'Autorità indipendente) risulta finanziata nei prossimi tre anni con un importo ad avviso degli interroganti ridicolo che ne compromettono la reale operatività;
i tempi per l'individuazione dei siti da parte dei soggetti interessati alla costruzione di impianti sono tali da non rendere possibile un confronto trasparente e democratico su tale tema in occasione delle prossime elezioni regionali. Pur, ovviamente, in presenza di orientamenti già consolidati da parte dei soggetti proponenti l'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti, ha ad esempio recentemente dichiarato in una trasmissione televisiva (Effetto Domino del 6 dicembre del 2009 in onda su La7): «ho idea di quali siano i possibili siti ma non li rivelerò nemmeno sotto tortura»;
non sono cambiati nel corso degli ultimi anni i criteri fondamentali per rendere un sito idoneo alla realizzazione di un impianto nucleare a cominciare dalla bassa sismicità, da una relativamente bassa densità abitativa, dalla disponibilità di grandi quantitativi di acqua. Né sono cambiate le caratteristiche geofisiche del nostro Paese -:
se il Governo ritenga che la mappa dei siti per la realizzazione degli impianti per la produzione di energia nucleare che l'istituenda Agenzia per la sicurezza nucleare dovrà realizzare possa essere significativamente diversa da quella redatta dal Comitato nazionale per l'energia nucleare ai sensi della legge n. 23 del 1975. (3-00833)
(12 gennaio 2010)

Iniziative del Governo presso le istituzioni europee ed internazionali per tutelare la libertà di culto ed i diritti dei cristiani nel mondo - n. 3-00834

VIETTI, BUTTIGLIONE, VOLONTÈ, CAPITANIO SANTOLINI, PEZZOTTA, CICCANTI, COMPAGNON e NARO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
sono sempre più numerose le aree del mondo, dall'Iraq al Pakistan, dall'India alla Nigeria, dal Vietnam alle Filippine, in cui si registrano casi di violenze contro i cristiani, anche se i motivi religiosi si intrecciano spesso con altri, legati a rapporti personali, politici o semplici intenti criminali;
in Malaysia negli ultimi giorni sono state attaccate ben nove chiese e la situazione si va facendo ogni giorno sempre più preoccupante;
nella notte tra il 6 ed il 7 gennaio 2010, in Egitto, è stata compiuta una strage di cristiani copti che uscivano dalla messa di Natale, senza dimenticare le violenze avvenute in Iraq, il 15 dicembre 2009, poco prima del Natale gregoriano, con alcune autobomba esplose fuori dalle chiese di Mossul;
nella stessa zona, nel 2008, oltre 40 cristiani sono stati vittime delle violenze degli estremisti sunniti e circa 12 mila di loro hanno abbandonato la regione per trasferirsi altrove;
nel giorno di Natale, sono stati processati, con molte assoluzioni o pene piuttosto lievi i responsabili delle stragi compiute nell'agosto del 2008 nello Stato indiano dell'Orissa, quando furono bruciate case, assaltati conventi, orfanotrofi e ospedali, violentate e bruciate vive suore;
ancora, nel luglio 2009 in Nigeria, si sono verificati scontri sanguinosi durante una rivolta fomentata da un gruppo integralista che chiedeva l'applicazione rigida della sharia anche ai cristiani;
occorre ricordare le tragiche conseguenze delle leggi antiblasfemia in Pakistan, costate la vita a molti esponenti di fede diversa da quella islamica e che hanno indotto, secondo l'agenzia Zenit, quasi la metà dei credenti a disertare le celebrazioni natalizie, nonostante le severe misure di sicurezza;
secondo la Radio vaticana, il 7 gennaio 2010 la polizia vietnamita ha abbattuto con gli esplosivi il crocifisso nel cimitero cattolico di Hanoi e i fedeli, richiamati sul posto dal boato, sono stati caricati e picchiati dalla polizia;
sempre secondo la Radio vaticana, perfino negli Stati Uniti sarebbe aumentato il numero dei crimini commessi contro le organizzazioni cristiane (dodici omicidi e oltre 1.200 atti di violenza nel 2009, documentati in un rapporto del Cristian Security Network) -:
se non ritenga di promuovere una forte iniziativa presso le istituzioni europee ed internazionali al fine di adottare ogni azione utile a salvaguardare la libertà di culto in generale ed i diritti dei cristiani nel mondo in particolare. (3-00834)
(12 gennaio 2010)