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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 302 di martedì 30 marzo 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 10,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 marzo 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brancher, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Donadi, Fedriga, Fitto, Gregorio Fontana, Franceschini, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leo, Lombardo, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Milanato, Molgora, Mura, Angela Napoli, Nucara, Pescante, Prestigiacomo, Ravetto, Razzi, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Sardelli, Scajola, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas, Vietti, Vito, Volontè e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 10,10).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 26 marzo 2010, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive):
«Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti "caroselli" e "cartiere", di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori» (3350) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, V, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

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Su un lutto del deputato Marcello De Angelis.

PRESIDENTE. Comunico che il collega Marcello De Angelis è stato colpito da un grave lutto: la perdita del fratello.
La Presidenza della Camera ha fatto pervenire al collega le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidero ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Discussione del disegno di legge: S. 2007 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale (Approvato dal Senato) (3322) (ore 10,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3322)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Costa, ha facoltà di svolgere la relazione.

ENRICO COSTA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il provvedimento in esame, approvato all'unanimità dal Senato, è diretto a convertire in legge il decreto legge n. 10 del 2010, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale. Il primo dei quattro articoli che compongono il decreto-legge modifica, al comma 1, l'articolo 5 del codice di procedura penale. In particolare, interviene in materia di competenza per materia della Corte d'assise e incide conseguentemente sulla competenza residuale del tribunale, di cui all'articolo 6 del codice di procedura penale. Il Senato ha modificato tale comma, sostituendo sostanzialmente la lettera a) e la lettera b) in esso contenute. Vorrei precisare che queste modifiche derivano dall'approvazione dell'emendamento 1.100 del relatore, elaborato con il contributo dell'opposizione. Con questo emendamento, come è stato sottolineato al Senato, in occasione della sua approvazione, si è inteso assegnare alla Corte d'assise tre gruppi di reati. Si è inteso che il primo gruppo è quello dei delitti contro l'integrità della persona, comprendendo tutto ciò che aggredisce l'integrità della persona fisica e i suoi diritti a tale integrità. La seconda famiglia di reati è quella dei delitti che vanno a colpire la persona nel bene fondamentale della libertà.
A tale riguardo, si è inserito nelle competenze della Corte d'assise, mentre in precedenza non era previsto, il sequestro di persona a scopo di estorsione. In più, sono state affidate a tale Corte altre competenze inizialmente non previste, ossia i reati di recente istituzione di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, vale a dire quelli che attengono alla riduzione in schiavitù e alla tratta degli esseri umani: una famiglia di reati spregevoli che suscitano forte allarme sociale e che ineriscono al bene della libertà e dell'autodeterminazione della persona.
Un terzo gruppo di reati, peraltro già previsto dall'articolo 5 del codice di procedura penale, è quello dei delitti contro lo Stato, la sicurezza dello Stato, l'unità nazionale, i rapporti di alto lignaggio dello Stato anche con la comunità internazionale, Pag. 3nonché quelli che attengono alle minacce di tipo terroristico allo Stato e alla convivenza civile della comunità nazionale.
Per quanto attiene, più in particolare, alla sostituzione della lettera a), si osserva che da questa deriva: l'esclusione della competenza della Corte d'assise (da cui, conseguentemente, deriva la competenza del tribunale) per i delitti, comunque aggravati, di associazioni di tipo mafioso anche straniere (anche, quindi, se dall'applicazione di circostanze aggravanti deriva la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni); la competenza della Corte d'assise per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, punito con la reclusione da 25 a 30 anni.
La nuova lettera d-bis) dell'articolo 5 del codice di rito radica nella competenza della Corte d'assise i seguenti ulteriori delitti consumati o tentati: associazione a delinquere diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 601 (tratta di persone) e 602 (acquisto e alienazione di schiavi), nonché all'articolo 12, comma 3-bis, del testo unico sull'immigrazione (ipotesi aggravate di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina) (articolo 416, sesto comma, del codice penale); riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (articolo 600 del codice penale), tratta di persone (articolo 601 del codice penale) e acquisto e alienazione di schiavi (articolo 602 del codice penale); delitti con finalità di terrorismo, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.
L'articolo 1, comma 2, e l'articolo 2 dettano due disposizioni transitorie, la prima di portata generale, la seconda specificamente riferita ai procedimenti in corso relativi al delitto di associazioni di tipo mafioso anche straniere.
L'articolo 1, comma 2, prevede in particolare l'applicabilità dei nuovi criteri di ripartizione della competenza tra tribunale e corte d'appello anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge (ovvero, in base all'articolo 4, al 13 febbraio 2010, giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) limitatamente ai casi in cui, alla data del 30 giugno 2010, non sia stata esercitata l'azione penale.
L'articolo 2, derogando a tale regola generale per i procedimenti in corso relativi ai delitti, comunque aggravati, di cui all'articolo 416-bis del codice penale, prevede la competenza del tribunale anche nell'ipotesi in cui sia stata già esercitata l'azione penale, salvo che, prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, sia stato dichiarato aperto il dibattimento davanti alla Corte d'assise.
La relazione illustrativa giustifica tale ultima disposizione in relazione al rischio concreto dell'annullamento di dibattimenti importanti e complessi incardinati presso i tribunali nonché della scadenza di termini di custodia cautelare a seguito della sentenza n. 4964 dell'8 febbraio 2010.
Con tale sentenza, la Corte di Cassazione, risolvendo un conflitto negativo di competenza fra un tribunale e una corte di assise, ha affermato che l'aggravamento dei limiti edittali di pena operato dalla legge n. 251 del 2005 in relazione al delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale ha determinato un diverso riparto di competenza tra tribunale e Corte d'assise.
In particolare, l'aumento di pena per l'ipotesi aggravata di associazione armata nei confronti di promotori, direttori ed organizzatori di cui all'articolo 416-bis, quarto comma, del codice penale, fissata dall'articolo 1 della legge n. 251 del 2005 nella reclusione da 10 a 24 anni, determina la sopravvenuta competenza della Corte d'assise, qualora la consumazione del reato associativo, che ha carattere permanente, si sia protratta oltre la data di entrata in vigore della legge n. 251 del 2005.
La Cassazione ha aggiunto che le ipotesi, anche aggravate, di partecipazione all'associazione rimangono di competenza del tribunale, ma sussistendo una connessione tra i procedimenti a carico dei partecipi di rango primario e quelli nei confronti di partecipi di rango secondario, Pag. 4in base all'articolo 15 del codice di procedura penale, viene attratto nella competenza della Corte d'assise anche il procedimento per il delitto di partecipazione all'associazione mafiosa necessariamente connesso.
Gli articoli 3 e 4, infine, contengono rispettivamente la clausola di invarianza finanziaria e la norma di entrata in vigore.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il decreto-legge del 12 febbraio 2010, n 10, emanato dal Governo, ha cercato di porre rimedio alle conseguenze che si erano determinate in tema di competenza dei procedimenti per reati di associazione mafiosa a seguito delle modifiche apportate all'articolo 416-bis dalla legge n. 251 del 2005, dalla cosiddetta legge ex Cirielli. Quest'ultima infatti, innalzando le pene previste all'articolo 416-bis, in particolare quelle riservate ai promotori, ai capi e agli organizzatori dell'associazione armata, ha fissato il limite massimo edittale della pena a 24 anni di reclusione: limiti coincidenti con quelli fissati dall'articolo 5, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, prima della modifica del decreto-legge, per identificare il criterio quantitativo di appartenenza alla competenza della Corte di assise.
Per quattro anni, gli effetti indiretti della modifica legislativa sono rimasti sopiti, fino a che la questione non è stata portata di fronte alla Corte di Cassazione da un conflitto di competenza sollevato dalla Corte di assise di Catania, a seguito della trasmissione degli atti da parte del tribunale di Catania, dichiaratosi incompetente. La Corte, nella sentenza del gennaio 2010 che ha segnalato anche il relatore, la n. 4964, ha affermato che, qualora la consumazione del reato di cui sopra si fosse protratta oltre l'entrata in vigore della legge Cirielli, trattandosi di reato permanente associativo, doveva essere giudicato dal giudice di competenza superiore, cioè la Corte di assise; venendo così attratto anche il delitto di partecipazione, necessariamente connesso a quello commesso di rango primario.
La puntualizzazione di tale principio interpretativo da parte della Corte ha fatto emergere gli effetti devastanti a catena che potevano derivare con riferimento a procedimenti relativi ad associazione di tipo mafioso pendenti in dibattimento dinanzi al tribunale per reati la cui consumazione si era protratta dopo il dicembre 2005, con il rischio di dover interrompere la loro celebrazione per la dedotta incompetenza del giudice, peraltro rilevabile d'ufficio; con il rischio, anche per i processi pendenti in secondo grado di legittimità, di regressione processuale, tale da incidere anche sui termini custodiali ed il conseguente azzeramento di gravi processi per mafia.
Ma il decreto-legge, di cui stiamo discutendo in sede di conversione, non si è limitato, ricorrendone i presupposti di necessità ed urgenza, ad ovviare sul piano normativo alle conseguenze negative processuali che nei confronti della lotta alla criminalità organizzata si sarebbero realizzate, ma ha approfittato per introdurre in maniera assolutamente disorganica un'altra parte del disegno di legge n. 1440 che era in corso di esame al Senato: l'articolo 1, riguardante l'ampliamento della competenza della Corte di assise a tutti i reati la cui cognizione nella fase di indagine appartiene alla procura distrettuale. Ancora una volta, con il solito metodo di procedere ad interventi settoriali, non ragionati, non valutati e a costo zero, senza tener conto che un aumento della competenza per materia della Corte di assise significa aumentare il numero delle sezioni, e in assenza di correttivi degli organici non può che determinare un'ulteriore dilatazione dei tempi processuali, Pag. 5 per di più con riferimento a delitti di particolare gravità, e in palese violazione del tanto richiamato principio della durata ragionevole dei processi.
Inoltre, la natura specialistica dell'indagine preliminare delle risorse investigative, insieme alla complessa valutazione del materiale probatorio sottoposto al giudicante, e alla complessità tecnico-giuridica delle questioni processuali, privilegia la giurisdizione del giudice togato, ed è estranea al giudice popolare, indicato per la valutazione di fatto, per i giudizi di qualità del reato, del reo, sulla quantificazione della pena; con il rischio, per i giudici popolari, di essere di fatto emarginati dal circuito decisionale, affidato completamente ai due giudici professionali che compongono la Corte. Infine, le giurie popolari sono maggiormente esposte nelle regioni a più alta densità di criminalità organizzata, che non sono necessariamente quelle del sud, a condizionamenti e ad intimidazioni, ed uguale rischio deriva dalla proliferazione di procedimenti a carico di cellule terroristiche internazionali, i cui dati ufficiali pongono l'Italia al primo posto tra i Paesi occidentali per il numero dei processi celebrati contro il terrorismo al-qaedista, e ciò rafforza i profili di incolumità e sicurezza delle Corti, che sarebbe bene non trascurare.
Così come non è da trascurare che l'incremento delle pendenze dinanzi alla Corte di assise porterà ad uno sforzo anche economico, oltre che organizzativo, non previsto e non considerato dal Ministero della giustizia, anche perché l'articolo 65 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 ha determinato un aumento delle indennità spettanti ai giudici popolari. È il solito modo di concepire le riforme sulla giustizia come interventi estemporanei, provocatori, che dimostrano in realtà il disinteresse per la giustizia, quasi il gusto di provocarne il definitivo affossamento.
In ogni Paese in cui vi sono giurie e corti con giudici popolari vi è una ben precisa distinzione di ruoli: la giuria giudica il fatto circa la responsabilità o meno dell'imputato, il giudice decide il quantum della pena, risolve le questioni tecniche, fornisce il resoconto tecnico della decisione (e le sentenze di quei giudici sono immediatamente esecutive e non soggette all'appello dinanzi alle altre giurie popolari); in Italia la Corte di assise è un ibrido e, per sua natura, residuale, se si pensa - come ha sottolineato anche in Senato il senatore D'Ambrosio - che vi è ancora l'anacronistica distinzione tra il titolo di studio richiesto al giudice popolare di primo e a quello di secondo grado.
Tutte queste critiche sono state affrontate in maniera approfondita al Senato dal gruppo del Partito Democratico e dalle altre forze di opposizione e il testo licenziato dal Senato è stato sicuramente migliorato, ma non ha superato tutte le preoccupazioni di disarmonia con il sistema.
In particolare, l'articolo 1, comma 1, che ha modificato l'articolo 5 del codice di procedura penale, interviene in tema di competenza per la materia della Corte di assise ed incide conseguentemente sulla competenza residuale del tribunale. Il testo del comma 1 trasmesso dal Senato prevede la sostituzione integrale della lettera a) e l'inserimento di una lettera d-bis), esclude dalla competenza della Corte di assise i delitti comunque aggravati di associazione di tipo mafioso anche straniero ed inscrive poi tra le competenze della Corte di assise il sequestro di persona a scopo di estorsione.
In più, con la lettera d-bis) affidate a tale Corte altre competenze inizialmente non previste, ossia i reati di recente istituzione di cui agli articoli 600, 601, 602 del codice penale, vale a dire quelli che attengono alla riduzione in schiavitù e alla tratta di esseri umani, perché - si afferma - essi costituiscono reati spregevoli che suscitano forte allarme sociale ed ineriscono alla libertà della persona e all'autodeterminazione della stessa; in più, sono state affidate l'associazione a delinquere diretta a commettere taluno dei delitti di cui sopra (ovvero di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, e di cui all'articolo 12 comma, 3-bis, del testo unico dell'immigrazione riguardante appunto Pag. 6ipotesi aggravate di favoreggiamento della prostituzione) nonché i delitti con finalità di terrorismo, sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.
Ma andiamo a verificare che cosa cambia in realtà perché, mentre adesso per il profilo della pena (quei 24 anni di cui abbiamo parlato all'inizio) già rientrano nella competenza della Corte di assise gli articoli 600, comma 3 (riduzione in schiavitù aggravata), 601, comma 2 (tratta di persone) e 602, comma 2 (acquisto e alienazione di schiavi), in base a questa novella vi sarà la traslazione di una serie di procedimenti che, da una tabella che è stata allegata ad una relazione presentata dalla procura nazionale antimafia al Senato, prevedrà solo per quegli articoli una serie di ulteriori evenienze non considerate anche a livello organizzativo, come ho detto prima, di circa 400 procedimenti iscritti e di iscrizioni pendenti per oltre 2 mila procedimenti.
Così come a nostro avviso, ciò è stato anche segnalato nella discussione al Senato, è una misura irragionevole e meramente ad effetto propagandistico la trasmissione alla competenza della Corte di assise dell'associazione a delinquere semplice connessa all'immigrazione clandestina, laddove il provvedimento nasce e si qualifica per escludere la cognizione proprio del giudice popolare della Corte di assise per l'associazione mafiosa comunque aggravata ed anche straniera.
Senza contare gli effetti che possono derivare da quella vis attractiva verso il giudice popolare, prevista dall'articolo 15 del codice penale, dei delitti meno gravi: proprio l'associazione finalizzata all'immigrazione clandestina, rispetto ai delitti più gravi quali l'associazione mafiosa, potrà determinare quindi che la competenza trasmigri a quella Corte di assise cui si è voluto ovviare nelle finalità apparentemente dichiarate di questo provvedimento.
È ovvio che alla fine limando l'articolo 1, lettera b), con l'aggiunta della lettera d-bis, che inizialmente prevedeva la traslazione ai giudici popolari della Corte d'assise di tutti i provvedimenti di competenza della procura distrettuale, è rimasto come «contentino» che si è voluto dare proprio per una questione propagandistica e non da un punto di vista organizzativo e ponderato. Prima di fare delle riforme bisogna avere la visione di quello che si va a realizzare sul sistema per non sfasciarlo e per non produrre ulteriori effetti devastanti.
Si è detto anche al Senato da parte di tutti gli esponenti dell'opposizione che, se si doveva rivedere la competenza della Corte di assise (questo decreto doveva mirare ad eliminare soltanto gli effetti negativi conseguenti all'inasprimento della pena derivato dalla legge Cirielli, che aveva prodotto quegli effetti in corso d'opera), questa doveva essere rivista all'interno di un sistema complessivo organico che tenesse conto di tutti quegli aspetti che ho segnalato all'inizio del mio intervento, laddove si fa riferimento alla peculiarità della nostra Corte di assise che è un giudice ibrido, in cui i giudici popolari sono allo stesso livello di quelli togati e dove, peraltro, per questioni tecniche e giuridiche, il giudice togato avrà una preponderanza (saranno solo due i giudici togati).
Inoltre, la Corte d'assise sarà maggiormente esposta a tutti quei fattori di intimidazione che possono proprio derivare da una valutazione dei reati associativi. Si esclude dalla competenza della Corte di assise il reato di associazione mafiosa, anche straniera, e invece si reintroduce, soltanto per dare una visibilità popolare e propagandistica, l'associazione finalizzata all'immigrazione clandestina. Questa modifica apportata dal Senato è rimasta incongruente anche per il fatto che potremmo avere dei reati meno gravi che attraggono, poiché sono di competenza del giudice superiore in Corte d'assise, anche quei reati che sono stati invece individuati e che costituiscono la finalità primaria di questo provvedimento presso il tribunale. Avremmo, quindi, l'annullamento degli effetti di questo provvedimento.
Per questo motivo abbiamo presentato i nostri emendamenti (sono soltanto tre) che vanno nella direzione conforme a quella che era la ratio di questo decreto-legge. Pag. 7Cominciamo a varare i decreti-legge riferendoci ai presupposti della decretazione: la necessità e l'urgenza di intervenire in una materia. Lasciamo alle Commissioni referenti, e alle Aule parlamentari, di provvedere alle riforme e, quindi, anche alle modifiche di competenza legislativa, con la cognizione, con il tempo, e con gli approfondimenti necessari a realizzare riforme che abbiano un impatto sul sistema.
Voglio capire chi gestirà questi 400 procedimenti (pendenti alla data dell'audizione del viceprocuratore antimafia nel 2000), già iscritti in base agli articoli 600, 601, 602 del codice penale, considerato che le Corti di assise hanno un numero limitato di istituzioni. Corti di assise che, inoltre, come è stato sottolineato - credo che sia una cosa importante - richiedono come titolo di studio per l'accesso al primo grado la terza media inferiore (superiore soltanto per la Corte d'appello). Tutto ciò è anacronistico e, comunque, non può reggere l'impatto di valutazioni di particolare rilevanza.
Vi sono poi altre disposizioni che ci sembrano transitorie e che forse non sono state particolarmente meditate dal Governo.
Infatti l'articolo 1, comma 2, prevede l'applicabilità di nuovi criteri di ripartizione di competenza tra tribunale e Corte d'assise anche a procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge, ma non proprio alla data di entrata in vigore del decreto o con riferimento alla legge di conversione (come normalmente è previsto anche nelle disposizioni generali), bensì limitatamente ai casi in cui al 30 giugno 2010 (dopo ben oltre quattro mesi dall'entrata in vigore non solo del decreto ma anche della legge di conversione) non sia stata esercitata l'azione penale da parte del pubblico ministero. È una norma che contrasta con il principio del giudice naturale precostituito e che non è motivata.
Noi abbiamo anche cercato di valutare se nella relazione, nelle premesse da parte del Governo, vi fosse una motivazione di carattere generale che potesse in qualche modo giustificare tale individuazione dell'entrata in vigore, che crea un differimento e rimette l'individuazione del giudice naturale a qualcosa che avviene dopo l'entrata in vigore del provvedimento, mentre sappiamo tutti che il principio del giudice precostituito significa che l'organo giudicante deve essere individuato in base alle regole di competenza prima che il reato venga commesso.
Si tratta di un principio - che peraltro la stessa maggioranza ha più volte contestato e messo in discussione - che rimette alla discrezionalità del pubblico ministero, mediante la scelta del tempo di esercizio dell'azione penale, l'individuazione del giudice competente entro una data, priva di qualsiasi giustificazione logica, successiva all'entrata in vigore della legge di conversione.
A proposito di tale questione abbiamo presentato un emendamento, uno dei tre da noi proposti. Noi condividiamo la ratio originaria del provvedimento in esame, ma - come hanno sottolineato anche i colleghi del Senato, durante i lavori in Commissione, in Aula e fino alle dichiarazioni finali - rimangono dei punti critici, che non sono stati superati e che potevano benissimo esserlo.
L'articolo 2, che deroga alla regola generale per i procedimenti in corso e che rappresenta l'individuazione primaria dell'esistenza di questo decreto, eccepisce la regola generale prima citata (la data di entrata in vigore del decreto-legge) relativamente ai delitti comunque aggravati di cui all'articolo 416-bis del codice penale, prevedendo la competenza del tribunale anche nelle ipotesi in cui è stata esercitata l'azione penale, salvo che prima della suddetta data sia stato dichiarato aperto il dibattimento di fronte alla Corte d'assise.
Mi permetto di rappresentare che sicuramente - come giustifica la relazione illustrativa - tale disposizione è stata bene inserita in relazione al rischio concreto dell'annullamento di tanti dibattimenti complessi (quindi relativi a complesse indagini) incardinati presso i tribunali, e a quello della scadenza dei termini di custodia cautelare a seguito della sentenza della Cassazione dell'8 febbraio 2010. In Pag. 8realtà questa finalità andava presa in considerazione relativamente al momento in cui si instaura il dibattimento, perché sappiamo tutti che, dal punto di vista processuale, tra la dichiarazione di apertura del dibattimento e l'inizio della procedura dinanzi al giudice presso il quale si è incardinato il giudizio di primo grado possono esserci delle udienze, quindi delle attività preliminari che non sarebbero salvate.
L'articolo 492, cui fa riferimento nella relazione illustrativa il relatore, stabilisce infatti che la dichiarazione di apertura del dibattimento abbia luogo dopo la costituzione delle parti e la trattazione delle questioni preliminari. Chiunque frequenta un'aula di giustizia sa che nei processi più complessi questi adempimenti preliminari possono protrarsi anche per diverse udienze. Credo sia necessario un intervento correttivo e in questo senso deve andare un contributo ulteriore. Questo decreto-legge, posto in essere non per ampliare la competenza della Corte d'assise (come poi è stato utilizzato, ma in maniera ridotta grazie all'intervento dell'opposizione al Senato), è stato coniato proprio per evitare l'effetto devastante di annullamenti di processi già incardinati.
Pertanto, se questa è la ratio primaria, deve essere previsto che i procedimenti siano bene incardinati presso il tribunale, pur essendo variata la competenza; laddove, invece, siano stati incardinati presso la corte d'assise, a questo punto, sicuramente, si deve fare riferimento all'instaurazione.
Questo è il contributo che il Partito Democratico ha voluto esplicitare. Auspichiamo che il Governo tenga conto di queste indicazioni per poter condividere appieno un provvedimento di urgenza che è stato adottato con finalità, sicuramente, condivisibili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.

MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che le motivazioni che sono alla base del provvedimento di urgenza in oggetto siano largamente condivise, come è stato anche dimostrato durante il percorso e l'iter che il provvedimento ha svolto in Commissione. Del resto, dobbiamo anche registrare - lo faccio, spero, con l'usuale sincerità - che, quando si interviene con aggravamenti di pena, può accadere, come è accaduto nel caso che stiamo esaminando, di non rendersi conto di quali principi siano alla base dell'applicazione del codice di procedura penale e, quindi, di poter effettuare un errore.
Non vi è nulla di male: credo che vi siano altri episodi illustri nella storia del diritto penale e del diritto processuale, in cui, molto spesso, le Camere sono intervenute non coordinando i testi normativi o, addirittura, raggiungendo dei fini che erano all'opposto rispetto a quelli che ci si era prefissi.
Credo che anche il caso in oggetto rientri tranquillamente in un esempio come quelli che ho citato. L'intenzione del legislatore del 2005 era molto semplice e molto chiara: quella di irrogare pene più severe a chi faceva parte e, in particolare, organizzava, o era a capo, di associazioni di carattere mafioso. Anche in quel caso, nel dibattito parlamentare, vi fu una larghissima condivisione. Chi, del resto, si sarebbe schierato in senso contrario rispetto ad un aggravamento di pena riferito a reati così gravi?
La questione è giunta, poi - come è stato ben ricordato - all'esame della Corte di cassazione, dopo quattro anni passati con quella norma, che, ormai, è entrata in vigore. Anche questo, se mi è consentito, è un aspetto abbastanza curioso di questa vicenda. Infatti, durante questo lungo periodo, nessun magistrato, nessun procuratore della Repubblica, nessun giudice per le indagini preliminari, nessun tribunale si è reso conto che l'avere ampliato le sanzioni di carattere penale, portandole alla soglia in cui scatta la competenza della corte d'assise, aveva determinato la possibilità di sollevare un conflitto di competenza Pag. 9e, quindi, di porre la questione - come è avvenuto in queste ultime settimane - alla Corte di cassazione.
Anche con riferimento a questo profilo, vorrei aggiungere che il dibattito che si è svolto alla Camera mi è sembrato molto corretto e molto onesto; non ci siamo strappati i capelli per la sentenza della Corte di cassazione. Riteniamo - o, almeno, ritengo di poter dire - che anche i principi che sono enunciati in quella pronuncia sono condivisibili, perché le questioni che si trovavano di fronte erano relative all'applicazione di due norme processuali: quella dell'articolo 5 in materia di competenza per materia - mi si perdoni il gioco di parole - riferita alla corte d'assise, e quella dell'articolo 33-bis del codice di procedura penale, che disciplinava le attribuzioni all'interno del tribunale, tra tribunale a composizione collegiale e tribunale a composizione monocratica.
È evidente, quindi, che la Corte di cassazione, quando afferma che è all'articolo 5 che si deve guardare per quanto concerne la competenza per materia della corte d'assise, lo fa con un ragionamento che, a mio giudizio, è del tutto condivisibile. Per questo motivo, ritengo che il giudizio della Corte rappresenti la giustificazione più coerente per quanto riguarda il provvedimento in discussione.
Il relatore ha già evidenziato quali sono gli aspetti di carattere tecnico: lo ha fatto richiamando il dibattito al Senato e, in particolare, sottolineando il consenso che vi è stato su queste modifiche normative. Si tratta di un consenso che non è esclusivamente all'interno del recinto della maggioranza, ma che - penso di poter dire - ha coinvolto unanimemente l'altra Camera per quanto concerne le votazioni e la decisione sul contenuto di questo provvedimento.
Infatti, il Governo stesso - che era partito con un testo sostanzialmente differente, oserei dire addirittura più ampio, per quanto riguarda la competenza che sarebbe stata attribuita definitivamente alla corte d'assise - ha poi rivisto questo suo orientamento ed ha accettato, nel confronto parlamentare, di modificare, sulla base di quanto era emerso nel dibattito al Senato, il suo primo orientamento (a cui ho fatto riferimento). Ed è qui che nasce, probabilmente, anche questo mancato coordinamento su alcuni aspetti normativi, che sono stati anche alla base delle censure - chiamiamole così - della collega che mi ha preceduto.
Possiamo, comunque, tranquillamente affermare che la sostanza di questo provvedimento è rivolta ad evitare che, in funzione della sentenza della Corte di cassazione, importanti processi che sono riferiti alle associazioni mafiose, possano regredire sulla scorta di altre pronunce della Corte di cassazione in materia di competenza, annullando il lavoro fatto dalla polizia giudiziaria e dai magistrati, e, quindi, recando sostanzialmente una ferita anche nella lotta alla criminalità mafiosa.
Credo che, sotto questo profilo, come ho avuto già modo di dire in quest'Aula, il Governo e la maggioranza abbiano dimostrato con più provvedimenti che vi è assolutamente una linea di principio sulla quale non si intende transigere: ossia, la lotta senza quartiere alla criminalità organizzata e, quindi, in particolare a quella mafiosa.
Recenti provvedimenti sono già stati votati dal Parlamento in questo senso, altri stanno arrivando a conclusione: mi riferisco anche all'ultimo in materia di beni confiscati e di misure di prevenzione patrimoniale che la Camera ha approvato recentemente, nelle scorse settimane, e che ora è all'esame del Senato; mi riferisco, inoltre, anche al provvedimento che dovrebbe iniziare l'iter sul piano straordinario contro le mafie e la delega al Governo in materia di normativa antimafia, il quale si propone lo scopo, sostenuto da più parti, di riordinare completamente la materia in questo campo, per renderla più facilmente applicabile e - perché no? - anche più snella.
Pertanto, anche questo decreto-legge rientra perfettamente in quest'ottica e si propone di fornire un'immediata risposta a questa situazione, la quale, diversamente, avrebbe potuto causare danni ben Pag. 10peggiori. Al contrario, una volta che essa sarà stata circoscritta, soprattutto attraverso la conversione in legge di questo provvedimento, anche alla luce delle informazioni che abbiamo, riteniamo che non vi saranno danni per quanto concerne la lotta alla mafia.
L'intervento tempestivo porrà dunque rimedio, com'era doveroso, a questa situazione. In particolare, con l'articolo 1, viene data una risposta precisa alle esclusioni, ossia alle fattispecie che non debbono essere ricomprese nella competenza relativa alla corte d'assise e, soprattutto, con l'indicazione espressa delle associazioni di tipo mafioso anche straniero, si pone rimedio alla situazione denunciata e conseguente alla sentenza della Corte di cassazione.
Per quanto concerne gli aspetti critici del provvedimento, ritengo che, in realtà, la lettera d-bis) possa essere tranquillamente mantenuta per due ragioni sostanziali: in primo luogo perché, in realtà, fino al 2003 alcune competenze che sono state attribuite o che verranno riattribuite alla corte d'assise con la conversione in legge di questo provvedimento, erano già di competenza della medesima. Infatti, fu attraverso una modifica varata nel 2003 che vennero esclusi i reati previsti dagli articoli 600, 601 e 602 del codice penale. Quindi, sotto questo profilo, il legislatore e, soprattutto, il Senato hanno ritenuto di poter reintrodurre quelle disposizioni penali, attribuendole alla competenza della corte d'assise.
La novità - è vero - riguarda sostanzialmente l'articolo 416-bis, sesto comma, del codice penale, per quanto concerne l'associazione per delinquere finalizzata al compimento dei reati che sono stati appena richiamati e, attraverso il richiamo a questo sesto comma, anche le associazioni per delinquere riferite agli episodi delittuosi in materia di immigrazione clandestina. Non credo che questi aspetti possano sconvolgere l'attuale organizzazione delle corti d'assise. Si tratta, sostanzialmente, di materie sufficientemente limitate per quanto concerne le nuove attribuzioni e che quindi non dovrebbero dare problemi per quanto concerne, appunto, questo trasferimento di competenza.
Inoltre, non mi preoccuperei più di tanto delle attribuzioni riferite, sempre dall'articolo 5, comma 1, lettera d-bis), del codice di procedura penale, alle materie concernenti i delitti con finalità di terrorismo perché vi è già, nella normativa vigente, un riferimento al titolo specifico che comprende gran parte dei reati in materia di terrorismo - e mi viene in mente, per citarne uno, l'associazione sovversiva - e, quindi, già la corte di assise è investita direttamente da quei reati che sono contemplati dalle norme vigenti. L'aver precisato i delitti con finalità di terrorismo ovviamente non fa che specificare, da una parte, quei reati che già erano ricompresi in tale fattispecie e, d'altra parte, mirare alla finalità in tale materia con riferimento, naturalmente, alla pena della reclusione non inferiore nel massimo a 10 anni. Come si può notare, quindi, le nuove attribuzioni sono abbastanza limitate e, dunque, ritengo che questa censura possa essere affrontata e dare tranquillità anche in sede applicativa.
Trovo, invece, che una riflessione corretta sia stata avanzata anche dai colleghi dell'opposizione per quanto concerne, in particolare, il comma 2 dell'articolo 1 del provvedimento in esame. In questo caso rientriamo - e mi rivolgo, naturalmente, al rappresentante del Governo - in quella forse eccessiva facilità con cui molto spesso, anche all'interno degli uffici legislativi, si disegnano le norme processuali penali. Infatti, intervenire con una norma transitoria in materia di competenza rende tale norma estremamente delicata, perché deve fare i conti con il principio del giudice naturale. Quindi, si tratterà di valutare, da parte dei magistrati, se il termine del 30 giugno 2010, entro cui non deve essere esercitata l'azione penale per l'eventuale applicazione delle norme di cui al presente provvedimento, sia, in realtà, un termine che possa, sulla base del principio di ragionevolezza, consentire che l'applicazione sia graduata sulla base della conclusione del procedimento e, in particolare, Pag. 11dell'istruttoria di carattere penale o se possa, invece, collidere con il principio del giudice naturale.
Certo è che se questo decreto-legge fosse stato presentato alla Camera e non venisse dal Senato probabilmente avremmo spazio per riflettere approfonditamente sull'opportunità o meno di correggere questa disposizione normativa di carattere transitorio. Ritengo, però, che sia un po' più difficile quando l'intera discussione è stata svolta al Senato dove si è registrato, fra l'altro, un voto - come è stato ricordato bene dal relatore - sostanzialmente unanime. Inoltre, i giorni ancora mancanti perché questo decreto-legge possa essere convertito definitivamente in legge sono relativamente pochi e vi è il rischio che se non si riuscisse nell'operazione - a seguito della modifica - probabilmente non vi sarebbe una disposizione che lascia qualche perplessità in ordine alla coerenza costituzionale. Tuttavia, diversamente il pericolo maggiore sarebbe quello di non porre rimedio alla sentenza della Corte di Cassazione in materia di competenza che, come abbiamo detto fin dall'inizio, è il presupposto della lotta alla mafia su cui il decreto-legge è stato adottato.
Pertanto, anche qui ritengo che, pur prendendo atto dei rilievi che l'opposizione ha svolto in questo campo, si possa ragionare e ritenere che sia meglio avere la sicurezza della conversione di questo decreto-legge, per quanto concerne la competenza nei reati di associazione mafiosa, piuttosto che correre qualche rischio per aggiustare un testo che sicuramente qualche problema potrebbe presentarlo.
Ritengo, quindi, di poter concludere affrontando un altro tema di rilevanza politica non indifferente, il testo unico in materia di disposizioni riferite alla mafia. Questo testo immagino verrà discusso dalle Camere a breve, e forse un ulteriore ragionamento - mi rivolgo in particolare all'onorevole Ferranti che è intervenuta prima di me - potrebbe essere affrontato definitivamente e meglio anche in quella sede, oppure potrebbe trovare (naturalmente anche da parte del Governo) una valutazione più approfondita allorché ci arrivasse quel provvedimento che è in discussione al Senato sulle modifiche al codice di procedura penale.
Dico questo perché si potrebbe rivolgere un invito al Partito Democratico di ritirare i suoi emendamenti che potrebbero essere sostituiti da un ordine del giorno che impegni il Governo a valutare gli aspetti in essi affrontati senza farli quindi bocciare (sarebbe del tutto inutile), ma ponendo la questione dell'aggiornamento delle norme che si riferiscono alla competenza per quanto concerne la suddivisione dei reati tra tribunale e Corte d'assise, dando una disciplina organica e soprattutto funzionale alla richiesta di giustizia che viene da parte di larghissima parte del popolo italiano.
La questione che è stata posta, e concludo, relativa anche alla composizione dei giudici popolari delle Corte d'assise ritengo sia una questione che vada discussa. Non so se il fatto di valutare la capacità di un giudice popolare possa essere attinente al titolo di studio. Potrei limitarmi a dire che già oggi la Corte d'assise giudica di reati gravissimi, che anche sotto il profilo tecnico sono tutt'altro che di semplice valutazione, e questo lo fa ormai da moltissimo tempo e con quei riferimenti attualmente vigenti, che potremmo definire dei curricula personali di chi viene chiamato a far parte delle corti d'Assise come giudice popolare.
Non mi scandalizzerebbe, comunque, discutere di questo. Certo è che quello del giudice popolare è un elemento che in questo Paese potrebbe e secondo me dovrebbe essere rivalutato, magari con alcuni correttivi (non dico di no), però potrebbe essere comunque un riferimento rilevante come dovrebbe essere in ogni Paese che si avvale dei giudici popolari, proprio per conferire un ruolo di primo piano a chi viene chiamato a far parte di queste giurie.
Non mi scandalizzerei poi dei condizionamenti e questo è l'ultimo tema che mi permetto di toccare. Dobbiamo cominciare a chiederci se in alcune o in tutte le parti del territorio nazionale dobbiamo continuare a fare riferimento alla possibilità Pag. 12che questi condizionamenti ci siano. Si tratterebbe, quindi, di avere sostanzialmente un diritto processuale differenziato perché a seconda che alcuni reati, di gravità sicuramente rilevante, siano commessi in zone geografiche in cui vi è un condizionamento mafioso, questo dovrebbe comportare una particolare o eccezionale normativa, diversa rispetto al contesto nazionale, sulla base della quale verrebbero anche attribuiti i criteri di competenza.
In altre parole, se i giudici popolari possono essere oggetto di condizionamento, allora escludiamo i giudici popolari così abbiamo risolto il problema. Non credo che questo sia un elemento sul quale possiamo indugiare oltre. Se vogliamo restituire dignità alla giustizia dobbiamo cominciare a dire che la normalità, anche in quelle parti del territorio, vi sarà quando si avrà il coraggio di affrontare a viso aperto anche in quel campo, attraverso le giurie popolari, reati che possono essere sicuramente oggetto di inaudita gravità e che possono suscitare allarme sociale.
Fino a che non riusciremo in questo contrasto e quindi alla restituzione di una pari dignità all'intero territorio nazionale, ho l'impressione che anche da parte della lotta alla mafia o da chi la svolge vi sia comunque un pregiudizio di fondo, il fatto cioè che quei territori debbano essere lasciati sempre in mano alla mafia, perché più forte dello Stato. Non condivido questo ragionamento e ritengo che lo Stato debba e possa essere più forte della mafia (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Molteni. Ne ha facoltà.

NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, oggetto oggi di conversione, è stato approvato all'unanimità dal Senato grazie ad una fattiva e concreta collaborazione tra maggioranza e opposizione, che mi auguro si possa riproporre anche in questo ramo del Parlamento e non solo con riferimento a questo provvedimento. Tra l'altro, colgo anche l'occasione per condividere le considerazioni conclusive e l'invito rivolto dal collega Contento alla collega Ferranti con riferimento agli emendamenti proposti. La collega Ferranti ha sempre dimostrato grande saggezza quando in discussione vi erano provvedimenti che non avevano particolare connotazione politica, ma andavano ad incidere in maniera significativa su alcuni provvedimenti seri riguardanti il tema della giustizia e che hanno sempre trovato la collega Ferranti e l'opposizione particolarmente sensibili. Quindi, mi auguro che l'invito rivolto dal collega Contento possa essere oggetto di attenta valutazione ed eventualmente anche di recepimento da parte della collega Ferranti.
Come dicevo, con riferimento a questo provvedimento, al Senato vi è stata collaborazione tra maggioranza e opposizione, che - mi auguro - possa riproporsi anche in questo ramo del Parlamento per quanto riguarda un provvedimento emanato e fortemente voluto dal Governo al fine di porre rimedio ad un'esigenza contingente che ha suscitato fondate e vive preoccupazioni per il rischio dell'azzeramento e dell'annullamento di numerosi processi di mafia, ben 388, con la conseguente scarcerazione di boss mafiosi detenuti nelle nostre carceri.
Questo provvedimento, tempestivamente adottato dal Governo, cui va ovviamente il nostro plauso, definisce un equilibrio tra le competenze per materia del tribunale e della Corte d'assise, sul quale - siamo certi - la giurisprudenza non potrà ulteriormente intervenire con interpretazioni difformi. Infatti, con la nota sentenza n. 4964 dell'8 febbraio 2010 la Corte di cassazione, risolvendo un conflitto negativo di competenza su richiesta del tribunale di Catania, ha statuito che, ai sensi dell'articolo 5 del codice di procedura penale, la competenza per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, nel caso in cui vi fossero delle contestazioni di alcune aggravanti, apparteneva non più, come si è sempre verificato, al Pag. 13tribunale ordinario, ma alla Corte d'assise. A seguito di tale sentenza numerosi processi relativi a reati di associazione mafiosa in corso e in fase di dibattimento dinanzi al tribunale erano esposti al rischio di doversi interrompere in seguito alla possibile contestazione di incompetenza per materia del tribunale e di dover, quindi, iniziare nuovamente dinanzi alla Corte d'assise.
Erano inoltre a rischio di regressione anche processi in corso nei successivi gradi di giudizio sia in appello che in Cassazione, poiché l'incompetenza per materia del giudice può essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Ovviamente all'azzeramento dei processi poteva conseguire la scarcerazione di imputati cui venivano contestati gravi delitti di mafia. Il procuratore nazionale antimafia ha prontamente eccepito il rischio che sarebbe derivato da questa decisione della Corte di cassazione a numerosi processi e il Ministro Alfano ha riconosciuto la necessità politica di un intervento teso ad evitare l'azzeramento di tantissimi processi, ben 388, e la scarcerazione di tanti detenuti.
Le conseguenze di questa pronuncia senza un opportuno intervento del Governo sarebbero state gravissime e avrebbero sicuramente inferto un duro colpo al funzionamento e alla stabilità della giustizia nel nostro Paese e, soprattutto, avrebbero determinato un corto circuito giudiziario nella lotta alla criminalità organizzata e alle mafie altamente pericoloso e assolutamente dannoso con il rischio concreto di rimettere in libertà numerosi mafiosi. Il Governo e il Ministro, senza alcuna titubanza, si sono attivati immediatamente per rimediare a questa emergenza. Infatti, con l'articolo 2 del decreto-legge si è provveduto a salvare tutti i processi in corso. Si tratta di processi importanti, soprattutto a carico di organizzazioni di stampo mafioso o comunque di delinquenza organizzata.
Ciò anche al fine di evitare che la scadenza dei termini di custodia cautelare nei confronti di un rilevante numero di soggetti imputati di appartenere alla criminalità organizzata di stampo mafioso, certamente portatori di forte allarme sociale, potesse determinare la loro rimessione in libertà immediata, con un gravissimo colpo al sistema giustizia nel nostro Paese e alla sicurezza del medesimo.
Il presente decreto-legge quindi è quanto mai opportuno, necessario e urgente, e consente da un lato di risolvere da un punto di vista normativo il contrasto giurisprudenziale che rischiava di determinare l'annullamento di numerosissimi processi di mafia con possibili scarcerazioni di imputati per decorrenza dei termini di custodia cautelare; dall'altro lato attribuisce definitivamente e quindi chiarisce normativamente la competenza dei tribunali a giudicare sulle associazioni di tipo mafioso, comunque aggravate, e amplia le competenze della Corte d'assise su alcuni gravissimi reati, tra i quali il terrorismo, il sequestro di persona a scopo di estorsione, la riduzione in schiavitù e la tratta di esseri umani.
Signor Presidente, concludo esprimendo a nome del gruppo della Lega un vivo apprezzamento per questo provvedimento, per il merito dello stesso, per la finalità e la ratio a cui tende e per la tempestività con cui il Ministro è intervenuto. Ciò conferma oltre modo come questo sia il Governo che ha fatto della lotta alla mafia e alla criminalità organizzata - con risultati peraltro eccellenti di cui abbiamo già avuto modo di discutere in Parlamento - un elemento fondamentale e caratterizzante della propria azione politica e di Governo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Borghesi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3322)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Costa, rinuncia alla replica. Pag. 14
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, come è stato già ricordato in molti interventi le ragioni di questo provvedimento sono ormai note e trovano la loro ratio in un errore di interpretazione e di applicazione delle norme che si è verificato. Vorrei però richiamare l'attenzione in particolare del Partito Democratico sul fatto che il testo non è più quello del decreto-legge originario; il testo uscito dal Senato è frutto della collaborazione, della discussione e della reciproca condivisione da parte della maggioranza e dell'opposizione su una diversa formulazione del decreto-legge.
Questa diversa formulazione, proprio sulla base di un'indicazione pervenuta dall'opposizione, ha portato ad attribuire alla Corte d'assise tre gruppi di reati: un primo gruppo di reati riguarda l'integrità della persona, come l'omicidio ed altri; un secondo gruppo di reati riguarda la libertà della persona, tra cui quello della riduzione in schiavitù; un terzo gruppo di reati riguarda i delitti contro lo Stato e la sua sicurezza. Si tratta di un'individuazione di competenza, non proposta dal Governo; è pur vero che nel 1940 il Governo aveva riformulato la disciplina della competenza dell'articolo 5 ed è pur vero che in questo decreto-legge il Governo aveva presentato al Senato un diverso emendamento. Ma il testo che è stato approvato all'unanimità (l'onorevole Contento l'ha definita «sostanziale», ma l'unanimità è stata reale perché non c'è stato nemmeno un astenuto) è frutto di una valutazione bipartisan.
Oggi, avendo ciascuno di noi esperienza dei problemi, poiché le regole sulla competenza hanno anche una vigenza di una settimana ed essendo stato modificato il decreto-legge, proprio sotto il profilo della competenza, pur manifestando qualche disponibilità a considerare, come ho detto in Commissione, gli emendamenti che erano stati presentati dall'onorevole Ferranti, inviterei la collega e il Partito Democratico a trasformarli in ordini del giorno perché noi dobbiamo porci un problema serio.
Oggi vige un decreto-legge in materia di competenza che è stato sostanzialmente modificato dal Senato, sia pure all'unanimità, ed è per questa ragione che credo che faremmo un'opera di accelerazione dell'esame del provvedimento in virtù della necessità della sua applicazione nella stesura concordata tra maggioranza e opposizione, a tal punto da indurre il Governo a ritirare il proprio emendamento al Senato per aderire all'adempimento concordato dai gruppi parlamentari.
Per questa stessa ragione, quindi, inviterei a ritirare gli emendamenti e, in quel clima di collaborazione che si è creato, eventualmente a tradurre alcuni problemi che il Partito Democratico volesse ancora registrare in relazione a questo provvedimento con un ordine del giorno. Credo che faremmo un'opera positiva per un'accelerazione dell'applicazione delle nuove norme sulla competenza se anche la Camera potesse licenziare oggi stesso questo provvedimento.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.

Discussione delle mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00319 e Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292 concernenti il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese (ore 11,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00319 e Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292, concernenti il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Bersani ed altri n. 1-00348, Cicchitto ed altri n. 1-00349, Iannaccone Pag. 15ed altri n. 1-00350 e Romano ed altri n. 1-00351 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Latteri, che illustrerà anche la mozione Lo Monte ed altri n. 1-00319, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FERDINANDO LATTERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i deputati del Movimento per le Autonomie hanno presentato una mozione sulle questioni legate all'ipotesi di chiusura dello stabilimento FIAT di Termini Imerese e ne hanno chiesto il dibattito in Aula.
Questo dibattito nasce, quindi, dalla nostra richiesta e riteniamo che il tema rappresenti una vera e propria cartina di tornasole sull'effettiva disponibilità del Governo italiano a dispiegare un impegno concreto sulla difesa dell'occupazione in Sicilia e nel Mezzogiorno e sulla difesa degli investimenti che sono stati fatti in questi anni a favore dello sviluppo produttivo di quelle aree.
Il gruppo FIAT ha dichiarato, senza alcun reale preavviso, di voler interrompere la produzione di automobili a Termini Imerese a causa delle condizioni di svantaggio competitivo e delle difficoltà strutturali in cui il gruppo stesso si troverebbe ad operare. La chiusura dello stabilimento viene motivata dalle diseconomie che comporterebbe in quel sito la produzione di automobili nella misura quantificata in mille euro in più per unità di auto prodotta, costo determinato dall'assenza di infrastrutture idonee di un indotto adeguatamente sviluppato.
Occorre tenere conto del fatto che parliamo di un sito produttivo attivo dall'aprile 1970 che ha tagliato il traguardo dei 4 milioni di autovetture prodotte. La scelta annunziata dalla FIAT determinerebbe la perdita di oltre duemila posti di lavoro, ma soprattutto assesterebbe un duro colpo alle prospettive di sviluppo della regione, atteso che si tratta dell'abbandono di uno dei pochi grandi gruppi industriali operanti nell'isola. Le ragioni di tale abbandono appaiono peraltro pretestuose e non tengono conto del fiume di denaro pubblico del quale nel corso della sua storia ha beneficiato la FIAT in cambio dell'impegno a garantire investimenti ed occupazione, in particolare nel sud.
L'azienda torinese, infatti, più volte sull'orlo del disastro economico, è abilmente ricorsa alla strategia che da molti è stata definita della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. Soltanto tra il 1990 e il 2009 lo Stato italiano ha elargito alla FIAT circa 5 miliardi di euro sotto svariate forme: esenzioni decennali dalle imposte sul reddito, ammortizzatori sociali, prepensionamenti, mobilità lunghe, incentivi alla rottamazione, contributi in conto capitale e in conto interessi per gli investimenti nelle aree depresse grazie alla legge n. 488 del 1992 che dal 1996 al 2009 ha reso all'azienda automobilistica 208 milioni di euro, di cui 48 milioni di euro sono stati destinati ad agevolare un investimento verso Termini Imerese.
A tutto ciò va aggiunto che la cifra stanziata dalle istituzioni siciliane negli ultimi anni per sostenere il distretto industriale termitano ammonta a 425 milioni di euro approssimati per difetto.
Oggi che la situazione economica del gruppo industriale appare nettamente diversa, come d'altra parte confermano anche gli indicatori di fine anno relativi al volume di affari per il 2009, i quali registrano un incremento pari al 2,7 per cento rispetto all'anno precedente, la FIAT, immemore dell'enorme debito morale che ha con lo Stato italiano e con le popolazioni del Mezzogiorno, dichiara che la produzione presso lo stabilimento non è competitiva per giustificare il blocco della produzione di auto in una regione, la Pag. 16Sicilia, che sicuramente rappresenta la base logistica più grande del Mediterraneo.
La stessa FIAT, appena un anno e mezzo, fa aveva sottoscritto con il governo regionale un piano di rilancio dello stabilimento di Termini Imerese che prevedeva la produzione di tre nuovi modelli di auto. C'è da chiedersi quali sono le reali ragioni che spingono oggi la FIAT ad annunciare la chiusura di uno stabilimento che appena un anno e mezzo fa intendeva rilanciare, considerandolo evidentemente competitivo.
Il dibattito di questi mesi, sia in sede nazionale che regionale, ha riconfermato senza confini di parte politica che sussistono tutte le condizioni per continuare a garantire, per il futuro, il mantenimento produttivo del settore auto del polo di Termini Imerese, anche in ragione del varo, a partire dal 2010, dell'area di libero scambio dell'intero bacino del Mediterraneo destinato ad aprire nuovi scenari e significativi mercati.
La regione siciliana ha dichiarato di essere pronta ad investire nel sito 400 milioni di euro, di cui 200 milioni in infrastrutture e 200 milioni in innovazione tecnologica. La definitiva approvazione, il 26 giugno 2009, da parte del CIPE del progetto preliminare dell'interporto di Termini Imerese e il relativo stanziamento di 80 milioni di euro possono rappresentare un potente volano in grado di ridare fiato a tutta l'economia regionale e sostenere l'occupazione.
Nell'aprile 2009 è arrivata dalla Commissione europea l'autorizzazione per le autorità italiane a concedere alla FIAT, per un progetto che prevede la produzione di un nuovo modello di automobili in Sicilia, aiuti per 46 milioni di euro per investimenti volti ad ampliare lo stabilimento FIAT di Termini Imerese, a modificare i processi di produzione e a diversificare la produzione stessa, permettendo così di salvaguardare i posti di lavoro esistenti nella regione.
Di tutto questo la FIAT non ha tenuto nessun conto e adesso la parola passa al Governo e alle forze politiche. Occorre agire nei confronti della FIAT perché mantenga aperto lo stabilimento di Termini, garantendo la produzione nel settore auto e facendo comprendere con chiarezza che da questo dipende la disponibilità di qualsiasi natura da parte del Governo italiano nei confronti del gruppo industriale torinese. In questo è essenziale il massimo impegno del Governo nazionale, attesa la massima disponibilità già dichiarata da quello regionale con garanzie precise, investimenti e incentivi.
Il Governo operi, quindi, con determinazione e fermezza in un percorso di dialogo con la regione siciliana e le parti sociali al fine di garantire un futuro certo a un'area industriale come quella di Termini Imerese e del suo indotto che dispone di numerose e qualificate risorse umane.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00292. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, questa mozione, presentata nel mese di dicembre, mira a dare voce alle preoccupazioni che sono più che preoccupazioni rispetto alla prospettata chiusura dello stabilimento FIAT di Termini Imerese.
Questa prospettata chiusura sorprende, perché nel mese di aprile del 2008 era stato stipulato un accordo tra FIAT, Governo e associazioni sindacali che garantiva non soltanto il mantenimento in vita, ma anche lo sviluppo dello stabilimento automobilistico di Termini Imerese.
Successivamente la FIAT, invece, ha ritenuto di cambiare atteggiamento e, dopo alcune posizioni incerte, è apparso evidente che fosse volontà della FIAT chiudere lo stabilimento di Termini Imerese.
Il Governo, le organizzazioni sindacali e i lavoratori hanno con molta forza ribadito l'esigenza di non fare venir meno questo polo industriale dell'area siciliana di Termini Imerese: da questo punto di vista, abbiamo sollecitato e siamo qui per sollecitare il Governo affinché faccia fino in fondo la propria parte nei confronti Pag. 17della FIAT. Qualcuno ritiene che sia in atto una guerra contro la FIAT: il tema non è fare la guerra alla FIAT, ma chiedere ad un produttore italiano che sta affrontando ingenti investimenti, e che conta anche su ingenti finanziamenti pubblici, di avere a cuore la presenza industriale nel nostro Paese.
Ecco la ragione per la quale siamo qui a presentare l'atto parlamentare in esame, per chiedere di porre in essere tutte le iniziative possibili affinché venga mantenuta la vocazione industriale dello stabilimento e perché non si dia seguito a fantasiose ipotesi di trasformazione di questo stabilimento in altre finalità, che finiscono per essere sempre, in un modo o nell'altro, di tipo speculativo e tali da non produrre comunque crescita industriale.
Da questo punto di vista, abbiamo presentato la proposta di procedere con una forte iniziativa del Governo a sollecitare la FIAT a continuare ad investire a Termini Imerese.
Peraltro, mi permetto di suggerire al Governo che la FIAT risulta avere deciso di produrre negli Stati Uniti d'America la Cinquecento a trazione elettrica. Certamente, lo stabilimento di Termini Imerese potrebbe essere il luogo di produzione della Cinquecento a trazione elettrica per il mercato europeo e il Mediterraneo. Si tratta di un'ipotesi fra le possibili, che ovviamente spetta al Governo porre con forza alla FIAT, affinché possa inserirla nel proprio piano industriale.
Nel caso in cui la FIAT non decidesse di restare a produrre auto nell'area di Termini Imerese, non può certamente, da una parte, chiudere lo stabilimento e, dall'altra, impedire che lo stabilimento venga avocato per continuare la produzione industriale.
Per questo motivo avanziamo la proposta subordinata che si proceda da parte della FIAT alla cessione dello stabilimento, perché si possa svolgere una gara internazionale che consenta a chi abbia intenzione di produrre auto di farlo in quel sito industriale, non potendo certamente la FIAT, da una parte, chiudere uno stabilimento e, dall'altra, impedire che altri concorrenti internazionali possano produrre auto nel nostro Paese - che, come è noto, ha uno scarto notevolissimo tra le auto che vengono prodotte (circa sette-ottocentomila all'anno) e le auto che vengono vendute (due milioni centomila all'anno). Questo significa che si produce molto meno di quanto non si venda in termini automobilistici: ciò è segno dell'esistenza di un grande mercato e di altre società internazionali, diverse dalla FIAT, che potrebbero avere interesse a produrre a Termini Imerese le auto che vengono vendute nel mercato italiano, nel mercato mediterraneo o in quello europeo.
Da questo punto di vista, chiediamo che il Governo si impegni a sviluppare ulteriormente l'azione che ha già iniziato, ma che sembra essere condotta con eccessiva timidezza nei confronti della FIAT.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli, che illustrerà anche la mozione Bersani ed altri n. 1-00348, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, l'annuncio dell'intenzione della FIAT di chiudere lo stabilimento di Termini Imerese nel 2012 giunge in un momento di crisi dell'economia internazionale che ha colpito maggiormente il nostro Paese, il quale ha sofferto, negli ultimi due anni, della totale assenza di politiche di sviluppo da parte del Governo, non garantendo il futuro industriale e la continuità della vocazione manifatturiera del nostro Paese.
Molti settori che hanno contribuito a rendere famoso in tutto il mondo il made in Italy hanno ridotto o spostato altrove le produzioni, altri hanno ceduto asset importantissimi a società straniere (si pensi alla recente acquisizione da parte di Severstal delle acciaierie Lucchini).
Sono a rischio di chiusura, inoltre, moltissime imprese in diversi settori: si pensi ad Eutelia. È a rischio il settore della ricerca avanzata: basti pensare e ricordare i licenziamenti annunciati dalla Glaxo a Verona, per non parlare della crisi dei nostri distretti produttivi, per cui si annunciano solo briciole, mentre il decreto-legge Pag. 18incentivi prevede uno stanziamento di 300 milioni di euro, che è pari a quello che il Governo, che si autodefinisce a fianco dei produttori, ha concesso al comune di Catania.
C'è la sensazione che la chiusura di Termini Imerese si inserisca in un clima di disarmo dell'industria nazionale, che rende ancora più preoccupante la vicenda degli oltre duemila dipendenti del sito siciliano, destinati, se tale piano andrà avanti, a perdere il proprio posto di lavoro. I tre fatti più rilevanti degli ultimi giorni sono: le notizie sulla possibilità che il piano industriale della FIAT preveda tagli occupazionali ingenti, che si andrebbero ad aggiungere alla chiusura dello stabilimento di Termini Imerese; l'annuncio che la Cinquecento elettrica sarà prodotta negli Stati Uniti; le voci sulla decisione della proprietà di andare avanti velocemente sullo spin off delle auto.
Sulle indiscrezioni riguardanti il piano industriale FIAT, Marchionne ha risposto piccato che nel piano industriale FIAT auto non sarebbero previsti tagli occupazionali, forse dimenticando l'annunciata chiusura di Termini Imerese, in una delle zone del Paese a più basso livello di occupazione.
Inoltre, secondo indiscrezioni, sarebbero previsti tagli occupazionali notevoli, anche se controbilanciati da un aumento della produzione. A poco meno di un mese dall'illustrazione del piano industriale 2010-2014, si parla di tagli di cinquemila dipendenti, distribuiti tra gli stabilimenti di Cassino, Mirafiori e Termini Imerese. Altri cinquecento operai potrebbero perdere il posto a Pomigliano. I modelli prodotti in Italia calerebbero dagli attuali dodici ad otto.
La seconda notizia giunta nei giorni scorsi, come ho già detto, è anch'essa sconcertante: la FIAT 500 elettrica, ovvero l'auto del futuro, della mobilità sostenibile, l'automobile che in qualche modo più ci identifica come italiani con l'industria torinese, sarà prodotta negli Stati Uniti. Ovvero, la FIAT sembrerebbe considerare l'opportunità di lasciare al nostro Paese soltanto quelle produzioni che nel giro di pochi anni sono destinate a divenire obsolete.
Il quadro che emerge è quello di un'azienda che si deitalianizza, riducendo l'occupazione nel nostro Paese, portando altrove una parte della produzione dei motori e spostando le produzioni più innovative negli Stati Uniti. Se ciò dovesse realmente accadere, anche la ricerca nel campo della mobilità sostenibile, la ricerca sul futuro dell'auto, si sposterà altrove e noi avremo perso uno dei pezzi più rilevanti della nostra industria nazionale, come già accaduto con il comparto dell'acciaio, della chimica e così via.
Infine, il reiterato annuncio dello spin off dell'auto, se troverà conferma, rafforza il timore della tendenza della FIAT a migrare dall'Italia, indebolendo ulteriormente un settore che produce 7 miliardi, contro i 61 della Germania, i 19 della Francia e i 13 della Gran Bretagna.
Sulla questione del piano industriale si sono sollevate molte polemiche. È giusto e opportuno ricordare al dottor Marchionne che in altri Paesi europei l'internazionalizzazione delle imprese automobilistiche è avvenuta senza che ciò producesse danni ingenti all'assetto industriale del Paese d'origine.
È inoltre indispensabile ricordare sempre al dottor Marchionne, che pure ha preso nel 2004 il comando di un'azienda a rischio chiusura, che per quell'azienda gli italiani nel dopoguerra hanno speso lacrime e sangue e che quell'azienda è ancora oggi guardata con orgoglio dagli italiani, qui e all'estero.
La FIAT è sempre stata una sorta di cartina di tornasole della salute del sistema industriale nazionale. La sola ipotesi che nel nostro futuro possa verificarsi un graduale abbandono dell'industria torinese a favore di Paesi indubbiamente più reattivi sul piano dello sviluppo industriale ci fa dire che l'azienda FIAT deve ricordare le sue responsabilità, ma anche che il Governo deve muoversi senza indugi per scongiurare tale ipotesi.
Di recente, John Elkann ha ricordato che il cuore della FIAT rimarrà in Italia. Pag. 19Va bene il cuore, ma vogliamo qui anche la testa e le mani dei nostri operai, per continuare a lavorare e a produrre.
Vorrei soffermarmi, però, maggiormente sulla questione che considero centrale in questa vicenda: l'assenza, l'insipienza e l'atteggiamento confusionale del Governo. È un Governo che sta a guardare, mentre dovrebbe riconvocare le parti, perché si apra un vero negoziato per scongiurare la chiusura di Termini Imerese e per discutere del piano industriale della FIAT prima che esso venga annunciato il 21 aprile, avviando in quella sede una trattativa.
Se questa partita si fosse giocata meglio, forse FIAT non avrebbe assunto la decisione di abbandonare Termini Imerese. Sarebbe stato sufficiente portare avanti con convinzione il contratto di programma voluto dal Governo Prodi, sul quale FIAT, nel 2007, si era dichiarata favorevole, dicendosi pronta a raddoppiare gli occupati e a triplicare indotto e produzione a Termini Imerese.
L'atteggiamento del Governo è stato in certi momenti liquidatorio: si pensi alla vicenda degli incentivi per il settore auto, quando ha dato la netta sensazione di non essere interessato a spendersi veramente per cercare di tenere FIAT in Sicilia.
Si pensi all'annuncio del Ministro dello sviluppo economico Scajola, quando ha affermato che sul tavolo ci sono 100 milioni da parte dello Stato per migliorare le infrastrutture e per sostenere la ristrutturazione del polo produttivo: inezie rispetto alla gravità della situazione (basta pensare e ricordare che solo a Catania sono stati dati 300 milioni di euro).
Poi si è assistito alla vicenda delle cosiddette manifestazioni di interesse, i cui numeri sono stati e sono tuttora ballerini. Infine, si è provveduto a inficiare queste eventuali manifestazioni di interesse, annunciando un bando internazionale per mettere sul mercato lo stabilimento di Termini Imerese. Confusione, pressappochismo, superficialità ed anche arroganza!
Ciò che preoccupa è che il Governo non preveda in alcun modo di affrontare il tema del futuro dell'industria dell'automobile nel nostro Paese, quando si apre a livello mondiale una sfida sulle nuove tecnologie della mobilità sostenibile, sulla quale il solo Barack Obama ha promesso aiuti per 2,4 miliardi di dollari.
Come arriverà l'Italia al traguardo della competizione sulla green economy, se lasciamo andare via le produzioni più avanzate del settore automobilistico? Anche il Governo siciliano non è stato all'altezza della situazione: ha abbandonato l'impegno assunto con il Governo Prodi per migliorare il contesto infrastrutturale e per creare un indotto tale da aiutare la trasformazione del sito di Termini Imerese da stabilimento di solo assemblaggio a stabilimento di produzione.
Il gruppo del Partito Democratico, qualche mese fa, ha presentato una proposta di legge, di cui sono primo firmatario, con lo scopo di sostenere la ricerca e lo sviluppo produttivo dell'auto elettrica in Italia, con un occhio rivolto proprio alla FIAT, che in quel campo è rimasta indietro rispetto ad alcune concorrenti europee.
Ma è chiaro che, se si vuole esistere su questo terreno, è indispensabile impegnare risorse consistenti per l'avvio di questo settore trainante della green economy. Vogliamo discuterne? Vogliamo impegnare in questo grande settore di ricerca e sviluppo competitivo di rilevanza mondiale risorse sufficienti a far riflettere la FIAT? Perché il Governo non si impegna a presentare un disegno di legge sull'auto elettrica da discutere insieme a quello presentato dal Partito Democratico?
In poco tempo, potremmo dare un segnale importantissimo per il futuro dell'industria dell'automobile nel nostro Paese. Infatti, se non sarà così - possiamo girarci intorno finché vogliamo - fra pochi anni gli stabilimenti FIAT del nostro Paese rischiano di diventare gradatamente stabilimenti di puro assemblaggio, come è avvenuto a Termini Imerese, che per noi è e rimane una questione prioritaria e sulla quale chiediamo che il Governo: recuperi integralmente le linee del contratto di programma ideato dal Governo Prodi al fine di rilanciare la produzione automobilistica in Sicilia, e in particolare la Pag. 20presenza nell'isola di Fiat auto; garantisca la presenza costante e continuativa di FIAT al tavolo della trattativa, che deve essere convocato subito; metta in campo progetti tesi a creare sinergie tra la realtà industriale di Termini Imerese ed enti di ricerca pubblici e privati, per favorire la produzione di modelli a basso impatto ambientale e ad alto contenuto tecnologico; assicuri e garantisca, infine, in ogni caso e con ogni mezzo, il mantenimento degli attuali livelli occupazionali e l'alto livello professionale delle maestranze di Termini Imerese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Romano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00351. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Signor Presidente, secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato del gruppo FIAT, alla fine del 2011, dopo oltre quarant'anni di attività, chiuderà lo stabilimento del gruppo FIAT a Termini Imerese. Circa due anni fa, tuttavia, la FIAT aveva già definito un accordo con la regione siciliana per il rilancio dello stabilimento: non per il mantenimento, ma addirittura per il rilancio, attraverso il superamento delle principali diseconomie del territorio. Tale accordo prevedeva un importante intervento finanziario da parte della regione: circa 150 milioni di euro per finanziare la costruzione di nuovi capannoni nell'area industriale di Termini Imerese, che avrebbero dovuto essere ceduti in locazione alla FIAT o al suo indotto a prezzi di mercato.
Purtroppo, la conclusione traumatica della scorsa legislatura in Sicilia ha impedito al Parlamento siciliano di esaminare e varare il relativo provvedimento di legge, e la recente decisione di interrompere la produzione presso lo stabilimento di Termini Imerese dopo il 1o gennaio 2012 è conseguenza, così come afferma il management di FIAT, della scarsa integrazione della filiera produttiva e dell'indotto, degli elevati costi di produzione, soprattutto connessi al trasporto, oltre ad una sovrapproduzione rispetto al reale assorbimento del mercato. Secondo Marchionne, infatti, la FIAT ha la capacità di produrre circa 94 milioni di vetture, 30 milioni in più di quante se ne vendano. Il settore automobilistico è l'unico a non aver razionalizzato la produzione, nonostante un terzo di questo disavanzo arrivi dal vecchio continente: lo scorso anno l'Europa ha utilizzato circa il 75 per cento della propria capacità, e quest'anno potrebbe scendere al 65 per cento. Il motivo è semplice: i costruttori non chiudono gli impianti. L'ultimo impianto a chiudere in Europa ha smesso la produzione prima della Seconda guerra mondiale: a fronte di un aumento dell'offerta si è infatti verificata una contrazione della domanda a causa della crisi economica, e gli interventi di sostegno che sono stati messi in campo dai Governi nazionali, proprio per salvaguardare il livello occupazionale e le imprese, hanno aggravato l'eccesso strutturale di questo settore.
In quest'ottica la decisione del Governo di non prorogare gli incentivi per il settore dell'auto si pone per la verità in linea con le scelte adottate dalla maggioranza dei Paesi europei, a fronte di un mercato che obiettivamente oggi appare saturo. L'annunciata chiusura dello stabilimento ha destato preoccupazione, ha destato allarme nei lavoratori, nelle loro famiglie, negli abitanti di un territorio in cui non esistono molte alternative occupazionali, e che verrebbero improvvisamente a perdere circa 1.400 posti di lavoro, senza contare le conseguenze per l'indotto.
Il Governo, con l'obiettivo di individuare nuove imprese e soggetti produttivi che possano garantire la sopravvivenza e lo sviluppo produttivo dell'area, mantenendone i livelli occupazionali e la vocazione industriale, ha sollecitato l'acquisizione dello stabilimento da parte di nuovi investitori interessati a subentrare alla FIAT. Il Governo nazionale e la regione hanno stanziato un contributo di 450 milioni affinché quest'area rimanga destinata alla produzione di automobili e alla ricerca nel settore dei veicoli elettrici: questo è il tentativo per rendere lo stabilimento Pag. 21appetibile per eventuali futuri investitori. Le proposte arrivate da potenziali investitori, che hanno superato il vaglio delle richieste dell'advisor e giudicate concrete, sono in totale 9, di cui 4 operanti nel settore automobilistico. Il 13 aprile 2010 si svolgerà un nuovo incontro, e nelle due successive settimane potrebbe essere definitiva una prima short list, in attesa di eventuali nuove offerte.
Poiché l'area da riconvertire è occupata solo per un terzo dall'attuale stabilimento FIAT, verranno valutate anche combinazioni di più progetti. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vicende complesse richiedono però soluzioni complesse, invece per lo stabilimento FIAT di Termini si vedono prevalere ancora ipotesi semplicistiche.
I protagonisti di questa vicenda hanno infatti portato avanti una sola imperiosa richiesta: la FIAT non deve andare via da Termini Imerese. È un'ipotesi suggestiva, certo gratificante per i lavoratori di oggi, ma viene da chiedersi quanto realistica. Questa non è, sia chiaro, una rinuncia a combattere per i lavoratori termitani, ma è piuttosto l'ostinata volontà di ricercare soluzioni che risultino efficaci e durature in alternativa al semplice «no».
Il Governo in questa vicenda dovrebbe giocare di iniziativa: l'immobilismo rappresenta la migliore ricetta per il disastro. Soltanto dopo l'ultima crisi della FIAT a Termini, i sindacati ai massimi livelli della rappresentanza nazionale sembrano aver scoperto che dagli stabilimenti italiani esce appena il 30 per cento delle auto ogni anno vendute in Italia. Ma ci si è mai chiesto perché l'Italia, unico caso in Europa, non abbia mai avuto nel proprio territorio un solo stabilimento con marchio straniero? È possibile che il nostro sia un Paese inospitale per gli investitori stranieri? Se si traccia una graduatoria tra i Paesi europei in base alla capacità di attrarre investimenti dall'estero, si scopre che il nostro occupa l'ultimo posto nell'Europa a quindici; e se poi si compie un'ulteriore analisi sulla distribuzione degli investimenti stranieri in Italia, emerge subito la posizione di fanalino di coda del Mezzogiorno, per non parlare della Sicilia.
Per questa complessa e drammatica vicenda la politica dovrebbe trovare una soluzione facendosi realmente interprete dei bisogni del territorio con efficacia, senza ricercare demagogiche scorciatoie ed avendo il coraggio di individuare la soluzione in coscienza ritenuta migliore senza il condizionamento del facile consenso.
La parola d'ordine deve essere: sviluppo. In Sicilia lo sviluppo deve diventare la costante dell'azione politica a 360o gradi: è ingiusto che l'attenzione si concentri solo sui problemi dello stabilimento di Termini dove meno di 3 mila lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro (ma questo fra due anni), mentre intanto un velo di silenzio e di indifferenza avvolge oggi i 40 mila siciliani che il posto di lavoro l'hanno già perso negli ultimi dodici mesi!
La vicenda di Termini deve quindi essere inquadrata nel contesto di una grave crisi economico-finanziaria che è destinata a lasciare segni permanenti nei mercati mondiali, compreso ovviamente quello dell'auto.
Oggi il nodo gordiano del mercato automobilistico mondiale si chiama sovrapproduzione. La via d'uscita, l'unica realisticamente percorribile, sembra quella di produrre meno auto e a costi più bassi. Se i grandi marchi di Detroit che hanno fatto il sogno americano hanno deciso una drastica cura dimagrante ed hanno persino abdicato al proprio ruolo affidandosi a un marchio straniero, certo è successo qualcosa di nuovo; e questo qualcosa di nuovo non si può esorcizzare soltanto alzando la bandiera, sia pure legittima, della semplicità e della semplice difesa dell'esistente.
Piaccia o non piaccia, il manager di FIAT-Chrysler persegue senza condizionamenti esterni un solo obiettivo: vuole portare avanti il gruppo italo-americano anche se questo obiettivo dovesse comportare, come si suole dire, una rinuncia a parte di esso.
Ma mentre dibattiamo del rischio di chiusura di Termini, arriva più di un Pag. 22segnale circa la possibile scomparsa del marchio Lancia o il trasferimento oltre oceano della produzione Alfa Romeo: con queste prospettive davvero si può pensare di risolvere la bassa produttività di Termini con l'ennesimo finanziamento pubblico a fondo perduto, quando è ormai evidente che in un mercato globale ci si possa salvare soltanto con scelte compiute in nome dell'efficienza?
È molto facile portare avanti una battaglia di piazza che si limiti a chiedere che la FIAT resti a Termini Imerese. Più difficile, invece, è garantire un futuro sicuro alla famiglia degli operai e degli impiegati dello stabilimento, oltre che dell'indotto. Per senso di responsabilità, questa è la vera battaglia da fare, con o senza l'auto, con o senza la FIAT.
Qui non si vuole prefigurare una rinuncia acritica a un duro tavolo di trattativa con la FIAT. Al contrario, il Governo nazionale e quello regionale dovrebbero aprire una trattativa molto serrata, muovendo magari dal dato che lo stabilimento di Termini è stato realizzato con i soldi dei contribuenti siciliani e che solo nominalmente appartiene al gruppo FIAT, cui è stato troppo generosamente regalato. Ma la trattativa deve toccare tanti punti per verificare se sia ancora possibile garantire un futuro stabile allo stabilimento siciliano. Sì, questo stanziamento di 450 milioni è importante, ma vorremmo capire quanto dura e, se dovesse essere accettato, per quanto tempo le famiglie termitane degli operai possono stare tranquille. Allora, servono risposte a domande, forse, mai fatte: perché il gruppo FIAT non usa il porto di Termini, ad esempio, per far arrivare i semilavorati e spedire le auto finite, mentre, invece, si sobbarca oggi un costo di trasbordo a Catania? In realtà, che cosa impedisce di usare il porto di Termini che è a due chilometri dalla bocca della catena di montaggio? Il gruppo FIAT-Chrysler è disponibile a fare di Termini uno stabilimento di produzione non soltanto di pezzi prodotti altrove? Il gruppo FIAT-Chrysler è disponibile, come nel 2007, a portare a Termini le presse per lo stampaggio delle carrozzerie? Il gruppo FIAT-Chrysler è interessato a realizzare in Sicilia dei nuovi laboratori di ricerca, impiegando ricercatori siciliani e attingendo ai fondi strutturali europei? Il gruppo FIAT-Chrysler è realmente disponibile a consentire l'insediamento in Sicilia di qualche marchio automobilistico straniero, magari low cost, magari con un occhio al mercato mediterraneo? Credo che soltanto dopo queste risposte sarà possibile aprire una trattativa con pari dignità tra le parti. Solo allora sarà possibile capire se almeno una parte del problema di Termini possa essere risolta attraverso dei centri di ricerca come quello, ad esempio, che FIAT ha realizzato in Campania con 800 ricercatori, e dove beneficia soltanto dello sgravio del costo del lavoro (in Sicilia potrebbe, invece, in aggiunta, attingere a cospicui fondi europei).
Oggi la sfida mondiale non si gioca più sul costo del lavoro. Oggi la sfida si gioca sul terreno della ricerca dei nuovi carburanti, di nuovi materiali, dei nuovi modelli, con un «occhio» alla possibilità che un grande centro di ricerca nel mediterraneo e in Sicilia, con fondi finanziari aggiuntivi, possa alimentare il futuro industriale dell'intero gruppo FIAT-Chrysler. Si parla tanto di fuga dei cervelli, si parla tanto dei nostri giovani che hanno la testa per poter fare ricerca ad altissimo livello: ebbene, quello di realizzare un centro di ricerca sarebbe un grande esempio di come lo Stato e la grande industria si mettono insieme per fare degli italiani le menti della produzione del domani.
Tra le nuove iniziative potrebbe andare bene anche la possibilità di avviare a Termini un impianto industriale per smontare e riciclare le auto giunte a fine vita, come del resto stanno già facendo i principali marchi stranieri. Non dimentichiamo che l'Italia e il Mezzogiorno hanno un parco di mezzi circolanti con un'età media elevata e che un auto, anche vecchia, è una piccola miniera di materiali riciclabili come metalli, plastiche, vetri, gomme.
Con un impianto industriale del genere si potrebbero trattare le auto a fine vita Pag. 23dell'intero Mezzogiorno facendole arrivare a Termini Imerese via mare e non via terra (ci domandiamo sempre perché via terra e non via mare, visto che quest'ultima modalità costa di meno e ha un impatto ambientale sicuramente inferiore). Con i materiali così recuperati potrebbe nascere un indotto potente. Al di là delle alternative industriali per Termini Imerese rimangono due certezze: pensare che la Sicilia possa vivere soltanto di turismo è molto pericoloso; credere che Termini possa essere salvata soltanto con un «no» è pura illusione. Quindi, con questa mozione, oltre che chiedere al Governo cosa intende fare - come solitamente si fa - abbiamo voluto indicare una qualche via d'uscita. Aspettiamo qualche risposta seria da parte di questo Governo, perché abbiamo a cuore non soltanto il futuro di Termini, di quella fabbrica, di quegli operai, ma anche il futuro del lavoro di tutti i siciliani (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagano, che illustrerà la mozione Cicchitto n. 1-00349, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, siamo qui oggi a illustrare questa mozione che rappresenta una preoccupazione da parte del nostro partito e che vuole rappresentare un momento di disagio da parte delle nostre popolazioni, in particolare di quella siciliana. Il problema ovviamente non è soltanto lavorativo, per quanto riguardi una consistente popolazione lavorativa. Si tratta di 1.658 lavoratori e 300 dell'indotto che vedono ormai concretizzare la perdita del posto di lavoro. Si dice che l'industria automobilistica sia «l'industria di tutte le industrie», per la forte componente di tecnologia che la caratterizza. E un territorio (qualunque tipo di territorio possa essere, a maggior ragione quello meridionale) non può perdere questo tipo di industria. Non siamo, infatti, in presenza di un'industria qualsiasi. Con tutto il rispetto parlando, un'industria automobilistica non è paragonabile, per esempio, con quella che produce condizionatori d'aria o infissi. Dentro questo tipo di attività imprenditoriale e dietro questi processi industriali ci sono tecnologie, ricerca, know-how. Perdere questo tipo di competenze è drammatico per un territorio, perché non è più facile riacquisirlo. Quindi, il problema è ampio e vasto, come dicevo è lavorativo ma anche prospettico; è legato alle dinamiche dei lavoratori, ma anche alle possibilità concrete di rilancio che deve avere un territorio. Noi oggi dobbiamo prendere atto di una serie di situazioni che sono assolutamente complicate. La crisi dell'automative a livello mondiale è un fatto conclamato. Soltanto 45 anni fa i marchi presenti nel mondo erano cinquantotto. Sono passati poco meno di 50 anni e i marchi sono ridotti a 22, però in compenso i modelli di produzione sono passati da 72 a 200. C'è stata, in altre parole, a livello mondiale un'evoluzione o forse un'involuzione che deve essere studiata. Se oggi ci sono impianti produttivi nel mondo che producono in misura maggiore rispetto a quello che il mercato potrebbe assorbire, noi oggi dobbiamo prendere atto che c'è stata un'assenza di disegno strategico complessivo di lungo periodo. Anche la FIAT è stata carente nella strategia complessiva.
Questa prestigiosa industria ha «tirato a campare»: nel breve periodo, per raggiungere gli obiettivi di sopravvivenza, la FIAT raccoglie tutto ciò che veniva in termini di incentivi, di benefici e di provvidenze che lo Stato, di volta in volta, erogava. Alla fine, il risultato è stato quello che è sotto gli occhi di tutti.
Le difficoltà della FIAT di Termini Imerese - a giudicare dalle dichiarazioni del suo management - sono legate alla mancanza di produttività di questo stabilimento oggettivamente, un'auto prodotta nell'impianto di Termini Imerese costa mille euro in più rispetto ad un'auto prodotta in altri impianti. Ciò non a causa dei costi diretti, né per colpa della produttività dei lavoratori, bensì a causa della logistica e delle carenze dell'indotto. Così Pag. 24almeno si giustifica l'industria torinese, ma qualcosa in questo discorso non quadra.
Il nuovo approccio aziendale che tanto successo ha prodotto al colosso piemontese, è stato identificato nelle tematiche ambientali e sociali. È stato identificato il corporate social responsibility, cioè la responsabilità dell'azienda verso la propria comunità, uno dei cardini della società. In questa speciale classifica la FIAT è stata giudicata, a livello mondiale, tra le prime del pianeta. Mi chiedo: com'è possibile che il Dow Jones - che realizza ed identifica la qualità sociale e lavorativa e, se vogliamo, anche filantropica di questo tipo di industria nei confronti dei questi territori - abbia contribuito a dare un alto punteggio, uno dei più alti al mondo, anche allo stabilimento di Termini Imerese, che oggi, invece, non rientra più nei piani strategici?
Evidentemente troppe cose non quadrano. Non voglio riprendere argomenti che sono stati già trattati, ma mi sembra di poter dire che vi sono dei fatti assolutamente incontrovertibili. Ad esempio, perché non si utilizza il porto di Termini Imerese, che si trova a due minuti dallo stabilimento e, invece, si continua a spedire il prodotto attraverso altre dinamiche? L'indotto e la logistica, a cui è addebitata grande responsabilità, in verità, non sono stati gestiti bene.
Il sospetto chiaro è che siamo in presenza di una delocalizzazione scientificamente immaginata per portare ulteriori vantaggi all'industria stessa. Per fare ciò, ci si è dimenticati le esigenze complessive.
Le delocalizzazioni cosiddette difensive si hanno - lo dico a me stesso - quando l'obiettivo principale è lo sfruttamento ed il vantaggio di costo in Paesi che, evidentemente, sono più competitivi rispetto a quello in cui vi era l'impianto originario. Il vantaggio di costo è dato da salari, da energie e da servizi migliori: non mi sembra di poter cogliere, nell'esperienza italiana - parlo in modo complessivo - dei successi assoluti. Infatti, oggi, sempre più spesso, si sta tornando indietro. Quindi, se in ambito locale non ci si può permettere la perdita di professionalità, di competenze e di know-how, senza contare che altre industrie, certamente più piccole e meno prestigiose della FIAT, stanno tornando di nuovo in Italia, oggi abbiamo il dovere di ricordare queste cose e di fare pressioni al Governo per fare tutto il possibile, affinché la stessa FIAT non realizzi questo processo vizioso.
Per fortuna, il Governo è stato lungimirante e chiaro. Il Ministro Scajola ha dichiarato senza mezzi termini, non più tardi di qualche mese fa - leggo testualmente - la necessità di aumentare la produzione, perché - così si esprime il Ministro - sei stabilimenti FIAT in Italia sono troppi. Non è possibile che in Spagna si possa produrre il doppio delle auto che si producono in Italia, pur avendo un mercato nettamente inferiore. Se in Italia vi sono produzioni per 700-800 mila automobili e il mercato ne può assorbire più del doppio (quasi il triplo), è evidente che vi è qualcosa che non va. È evidente, che le strategie politiche di questa industria non sono state adeguate rispetto ai contesti complessivi.
Pertanto, giustamente, il Governo italiano ha preso atto di una situazione che non è stata positiva e ha deciso di abbandonare quell'interventismo statale e quella logica degli incentivi che sono serviti soltanto a mantenere un'industria decotta e non adeguata ai tempi. FIAT da tempo, da troppo tempo, è proiettata a continuare le speculazioni sociali, a massimizzare e lucrare i propri profitti e ad abbandonare le perdite allo Stato stesso, cioè a noi cittadini.
Dobbiamo dire basta a tutto questo e, quindi, condividiamo pienamente l'impostazione che è stata data dal Governo. Dobbiamo puntare su ricerca e innovazione: su questo siamo tutti d'accordo, tuttavia i fatti ci dicono che FIAT investe e porta tecnologia in altre aree del pianeta, addirittura in realtà più ricche tecnologicamente, come quella degli Stati Uniti d'America.
FIAT ha dichiarato che il piano industriale dei prossimi cinque anni, da parte propria, sarà di 8 miliardi di euro, 6 dei quali saranno destinati all'Italia. Tuttavia, Pag. 25lo stabilimento di Termini Imerese chiuderà entro il 1o gennaio 2012. Non è possibile che vi sia questa contraddizione in termini. Non è possibile che si continui a speculare, ancora una volta, rispetto ad un bisogno complessivo e ad una massimizzazione dei profitti che, certamente, non può e non deve rientrare nell'ambito delle attenzioni che un qualsiasi Paese civile deve prestare.
FIAT, che riesce ad essere nel novero delle imprese più prestigiose in termini di responsabilità sociale, in verità non si dimostra tale. Pertanto, per forza di cose, abbiamo il dovere di chiedere che gli interventi da parte del Governo siano forti. Sappiamo per certo che questo è già accaduto. Le dichiarazioni del Ministro Scajola vanno esattamente in questa direzione: questo ci conforta e ci consente di essere oggi forti in un dialogo che deve esserci, ma anche in una contrattazione che non può assolutamente mancare.
Dobbiamo chiedere espressamente, e raccontarlo in tutte le sedi quanto è costata la FIAT: sono state più di 200 mila miliardi di vecchie lire, le somme che negli anni, a vario titolo, sono state oserei dire «buttate» (investite, da un altro punto di vista) da parte dello Stato nei confronti della FIAT stessa.
Provo a ricordare dove sono stati indirizzati 220 mila miliardi di vecchie lire (mi riferisco ad un noto studio) aiuti finanziari di qualunque genere, protezioni, agevolazioni fiscali, incentivi, rottamazioni, ammortizzatori. Tutto questo cosa ha prodotto come risultato? Prestate attenzione a questo dato: la FIAT quarant'anni fa, aveva 250 mila dipendenti in Italia, più un indotto che forse era altrettanto, mentre oggi i dipendenti sono 30 mila. In altre parole, avere «buttato» 220 mila miliardi di vecchie lire ha comportato la perdita di 220 mila posti di lavoro. Il dato è drammatico.
La FIAT è riuscita in questi anni ad essere presente sul mercato, e a suo modo competitiva, soltanto perché vi è stato un sostegno, un aiuto vero e concreto da parte dello Stato italiano nei suoi confronti. Ma se lo Stato avesse investito quei soldi a favore della piccola e media impresa, vero asse nodale e vero centro motore della nostra economia, cosa sarebbe accaduto? Potremmo oggi parlare di crisi del contesto italiano. Si sarebbero investiti 220 mila miliardi rispetto a quelle attività produttive che sono tali? Penso proprio di no.
L'Italia, questi regali oggi non può più permetterseli. Fa bene il Governo a dichiararlo ad alta voce. Allo stesso tempo, chiediamo al Governo che gli impegni vengano presi: sentiamo dire che 8 miliardi di euro di investimenti devono essere realizzati nei prossimi anni da parte della FIAT e poi vediamo la chiusura di uno stabilimento, il quale, invece, probabilmente, se adeguatamente e ben gestito, potrebbe dare più risultanze. No, non possiamo che essere consequenziali nel nostro pensiero.
Per questo motivo, come Popolo della Libertà, chiediamo al Governo un impegno ad andare in questa direzione. Chiediamo concretamente quali iniziative esso intenda adottare per far sì che questo stabilimento venga salvato. Vogliamo, altresì, sapere concretamente come la FIAT debba rispondere ai propri impegni sociali. In particolare, chiediamo la realizzazione di iniziative che favoriscano l'innovazione tecnologica legata a questo settore strategico.
Abbiamo già visto i segnali di buona volontà, l'attenzione e la capacità che il Governo stesso ho avuto. Chiediamo ancora di più un impegno e una voce forte nei confronti di questa industria, che tanto ha avuto e che poco ha dato al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berretta. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE BERRETTA. Signor Presidente, a mio avviso oggi non discutiamo di una vicenda siciliana o, perlomeno, non solo siciliana. Spero che il Governo e la maggioranza tutta abbiano questa consapevolezza. Noi l'abbiamo certamente. Inoltre, spero che non si cada nel tranello di Pag. 26ritenere che si sta chiedendo di tenere aperto uno stabilimento non competitivo. Qui oggi discutiamo di altro. Discutiamo del tributo che il Paese sta pagando alle scelte sbagliate di politica industriale del Governo. L'italianità usata come clava, come arma di distrazione di massa durante la vertenza Alitalia, dove è finita?
Usando quell'arma si è compiuta una delle scelte che più di ogni altra ha influito e caratterizzato negativamente il modo di affrontare la crisi economica. Avere azzerato il Fondo di competitività di Industria 2015, erogando 450 milioni per l'Alitalia, è stato un errore grave. Così si sono sottratte risorse alla ricerca e all'innovazione industriale. Ma è anche il sintomo di quali siano le priorità del Governo, tutte orientate verso il nord e verso gli interessi industriali di quell'area. Oggi, anche oggi, in questa vicenda paghiamo il prezzo di quella scelta sbagliata e di quell'orientamento culturale che vede il Mezzogiorno come una palla al piede. Oggi, più che mai, sarebbe il caso di usare l'argomentazione dell'italianità di fronte alla più grande azienda manifatturiera del Paese in un settore strategico come quello dell'auto.
Quando, qualche mese fa, per primi lanciammo l'allarme di un possibile disimpegno nello stabilimento di Termini Imerese, nel tentativo di rassicurarci il Governo - anzi, per l'esattezza, il ministro Zaia - definì FIAT un'industria manifatturiera di importanza cruciale per il nostro Paese. Qualcosa nei rapporti con FIAT evidentemente è cambiato. La presenza strategica dell'azienda in Italia, per quanto riguarda stabilimenti, prodotti ed occupazione, non viene più considerata prioritaria. La FIAT è sempre meno italiana. Il principale mercato di produzione e vendita è il Brasile; la Polonia sta superando l'Italia come importanza e l'accordo con Chrysler sposterà inevitabilmente l'asse della FIAT dall'altra parte dell'Oceano. Le rassicurazioni, anche di questi giorni, dei vertici aziendali sembrano più rivolte agli azionisti italiani e non sono certo dirette alle organizzazioni sindacali, agli operai e agli italiani nel loro complesso. Questo dovrebbe allarmare molto il Governo, ma così non è.
Anche in questa vicenda si manifestano, per l'ennesima volta, i limiti dell'azione di governo del centrodestra, ostaggio della Lega, che ne determina pesantemente le scelte. La chiusura della FIAT di Termini Imerese sarebbe l'ennesima pesante sconfitta della politica del centrodestra e dei governi di Palermo e di Roma. Ma faccia attenzione il Governo, perché la chiusura di Termini Imerese rappresenterebbe il primo passo di una deitalianizzazione della FIAT, un processo che riguarda tutto il gruppo e non il solo impianto siciliano, una perdita e una sconfitta che il Paese non può permettersi. L'Italia non è più il mercato della FIAT, ma solo uno dei suoi mercati e i destini dell'una e dell'altra non sono più inestricabilmente legati come lo erano in passato. Questo Governo, inoltre, potrebbe vantare un record: l'unico stabilimento automobilistico chiuso. Infatti, Termini Imerese sarebbe l'unico stabilimento che chiuderà, l'unico in Italia, l'unico in Europa. Quando si dice il Governo del fare.
La difesa degli stabilimenti industriali italiani e dei livelli occupazionali non hanno rappresentato una priorità del Governo. Questo è evidente. A farne le spese, purtroppo, saranno gli operai di Termini Imerese di una multinazionale italiana che va a salvare decine di migliaia di posti di lavoro negli Stati Uniti, mentre decide di chiudere lo stabilimento siciliano, peraltro lautamente incentivato con finanziamenti pubblici diretti e indiretti. La FIAT pochi mesi fa dichiarava di non voler chiudere gli stabilimenti del sud, nonostante le criticità degli stessi. L'aver utilizzato gli incentivi come una pietra dello scandalo prima e come arma di ricatto dopo evidentemente ha prodotto i suoi frutti. È incredibile che nel cosiddetto decreto-legge «incentivi», di cui abbiamo sentito parlare per mesi, si sia inserito di tutto. Un rosario di contentini elettorali imbarazzanti, elargiti a grandi mani utilizzando, ancora una volta, fondi destinati al sud. Pag. 27
Prosegue una politica antimeridionalista disastrosa che ha avuto la sua degna conclusione nell'annuncio-beffa del Ministro Brambilla che presenterà un disegno di legge per incentivare lo sviluppo degli impianti da golf. Un aiuto non si nega a nessuno.
Su FIAT, invece, è proseguita la visione datata e sconsiderata che la considera solo un costo e non anche una grande opportunità per il nostro Paese. Tutti i grandi Paesi occidentali investono nell'auto elettrica e non lasciano sole le loro società automobilistiche. Il modo di affrontare la crisi dell'amministrazione statunitense avrebbe dovuto rappresentare un esempio su come uscire dalla crisi. E proprio l'idea di puntare su FIAT da parte degli Stati Uniti avrebbe potuto suggerire che in FIAT c'è il know-how, ci sono le conoscenze e le capacità per disegnare una politica industriale nuova e moderna basata su alti livelli di innovazione e sostenibilità ambientale per valorizzare gli stabilimenti esistenti e garantire i livelli occupazionali.
Sarebbe bastato seguire quell'esempio per non far danni, ma a determinare le scelte del Governo sono sempre spinte elettorali e ideologiche. In Italia vengono prodotti meno veicoli di quanti ne vengono venduti. Sarebbe necessario invertire questa tendenza. Il Governo dovrebbe incentivare l'arrivo nel nostro Paese di altri produttori di auto, ponendo la condizione però della creazione di modelli ad elevato livello di innovazione e sostenibilità ambientale come l'auto elettrica (lo ha già detto il collega Lulli).
Oggi siamo qui a discutere perché le risorse contro la crisi sono state poche e spese male. Non c'è stato un piano che aggredisse le criticità che si presentavano, ma piuttosto un piano di comunicazione che ha cercato di edulcorare, con una narrazione fatta di speranze e premesse, una crisi durissima che ha pesato per intero sui salariati e, in particolare, sui lavoratori precari. Troppa enfasi è stata data all'aumento delle risorse per gli ammortizzatori sociali che riguardano solo una parte dei lavoratori dai quali sono rimasti esclusi i precari, nonostante le promesse e gli impegni.
Scontiamo, infine, alcune delle scelte antimeridionaliste di questo Governo: l'aver scelto di utilizzare per le quote latte le risorse destinate al sud, aver dirottato sull'esenzione dell'ICI i fondi per le infrastrutture al sud, aver aumentato il deficit infrastrutturale della Sicilia che rappresenta una delle esternalità negative denunciate da FIAT come causa del disimpegno dello stabilimento di Termini e che probabilmente rappresenterà uno degli elementi che caratterizzerà negativamente le trattative con chi ha manifestato interesse per lo stabilimento.
In questa vicenda non c'è un solo atto di Governo, né un solo atteggiamento che abbia contribuito a una soluzione positiva di una vicenda dolorosa per migliaia di famiglie siciliane. Le sbandierate offerte ricevute alla prima superficiale verifica sono state drasticamente ridotte di numero, e si è evidenziato un interesse che riguarda lo stabilimento e non garantisce i livelli occupazionali.
Come intende il Governo tutelare socialmente quelle aree territoriali e i comuni vicini allo stabilimento, quei comprensori, cioè, che hanno strutturato la propria economia intorno all'industria dell'automobile? Chiediamo che il Governo si faccia carico delle preoccupazioni di chi rischia di perdere il lavoro, di chi vive il dramma di come pagare il mutuo o l'affitto, di chi teme di non avere più le risorse per poter garantire ai figli di studiare e quindi di sperare in un futuro dignitoso.
Il Governo deve davvero farsi carico del dramma di chi già oggi, fuori da ogni retorica, non ce la fa ad arrivare a fine mese. Gli operai, i tecnici e i lavoratori di Termini non chiedono assistenza, ma semplicemente ciò che dà dignità e senso a un uomo: chiedono di poter continuare a lavorare e contribuire a fare grande la FIAT, come hanno fatto in questi anni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Torazzi. Ne ha facoltà.

ALBERTO TORAZZI. Signor Presidente, intanto spiace notare l'assenza dell'onorevole D'Antoni, ma probabilmente aveva degli impegni più importanti. Per entrare nell'argomento in esame, dopo aver sentito tante frasi (a volte in libertà), è meglio invece cercare di farsi un'idea sul perché siamo arrivati qui.
La crisi strutturale dell'auto è dovuta, è vero, all'over capacity, ma anche alla delocalizzazione conseguenza della globalizzazione. Infatti, chi non è addentro deve sapere che per trasferire impianti in Cina o nel far East non occorrono soltanto moltissimi capitali, ma bisogna anche utilizzare tutto il management e le risorse umane. Infatti, non si porta in una regione sperduta della Cina una linea di assemblaggio che magari fa delle misurazioni con il laser in automatico ed ha bisogno di grandissima manutenzione e accuratezza nelle misure mettendola in mano a un contadino. Non funziona così; occorre mandare i propri tecnici a formare queste persone.
Chi conosce l'industria dell'auto sa che in occidente la storia dell'industria dell'auto si basa sulla produttività. Ma se alla produttività togliamo le risorse umane si ferma e noi in Europa occidentale per almeno 15 anni abbiamo mandato i migliori ingegneri, tecnici, nonché tutti gli investimenti del caso, nel far east. Questo ha danneggiato in partenza tutte le nostre imprese. Quindi, bisognerebbe chiedersi chi ci ha inserito in una globalizzazione senza regole dove si possono esportare lavoro e il capitale e si possono spostare gli impianti e il know-how e poi importare ancora magari i componenti di qui, quando non le autovetture come stiamo incominciando a fare. Queste persone sono responsabili e quando è stato fatto questo, quando la Cina è entrata nel WTO nel 2001 senza nessuna regola, nelle trattative precedenti c'era un Governo di sinistra e noi abbiamo ereditato una situazione drammaticamente compromessa, perché quando si firma un trattato internazionale come quello del WTO non si può cambiarlo ogni cinque minuti. Questo è un primo aspetto.
Poi c'è la situazione particolare di Termini Imerese. Sappiamo che la scelta di localizzare proprio là lo stabilimento della FIAT è fondamentalmente politica. Infatti, sempre parlando di industria dell'auto, bisognerebbe sapere che l'assemblaggio delle vetture è legatissimo al discorso di tutti i componenti che confluiscono in un sito, vengono assemblati e poi le vetture vanno sui mercati, ma se lo stabilimento ha la sfortuna di trovarsi in Sicilia non è per colpa del Governo, ma del Padreterno che naturalmente alla Sicilia ha dato tante altre qualità e risorse, ma non quella di essere vicina ai mercati dell'Europa occidentale. Chi produce là deve trasportare tutti i componenti dal centro Europa fino in Sicilia, assemblare le macchine e poi riportarle su.
È chiaro che è un non senso, che è quello che ha sottolineato giustamente il dottor Marchionne. Bisogna pensare ad una soluzione che non può essere quella di continuare a fare le auto in Sicilia. Si possono fare altre cose e la soluzione dovrebbe passare finalmente dalla filosofia dei massimi sistemi alla pratica e alla concretezza. Queste cose si risolvono misurando e favorendo la creazione del valore. Se vogliamo favorire la creazione del valore e che gli investimenti vengano in Sicilia, che le imprese investano in Sicilia, bisogna creare le condizioni favorevoli. Guardando il bilancio della regione Sicilia, alla voce del personale, vedo che purtroppo la Sicilia è il paradigma di tutti i difetti del Mezzogiorno.
Infatti, si spende moltissimo per posti di lavoro improduttivi nell'apparato pubblico (ci sono alcune province che hanno 5-6-7 volte i dipendenti delle province del centronord). Questi, in un'ottica preglobalizzazione di un mercato chiuso anche se in maniera distorta, hanno un senso perché creano un mercato che è consumato dalle aziende nazionali che stanno da un'altra parte (il che non è un gran bene Pag. 29per il Mezzogiorno, però bene o male sta in piedi). Ma, nel momento in cui si globalizza, è una follia.
Bisognerebbe invece - peraltro a tale riguardo ho presentato anche un progetto di legge - fare un patto di sviluppo per il sud e fare come alla Volkswagen quando manca il lavoro: dei bei contratti obbligatori di solidarietà all'interno dell'impiego pubblico, di modo che dove c'è un eccesso si fanno lavorare quattro giorni i dipendenti pubblici, si risparmiano soldi che debbono andare ad abbattere il costo del lavoro, cioè gli oneri sociali di chi in Sicilia lavora invece nelle imprese produttive, che siano agricole, di trasformazione agroalimentare o imprese meccaniche dell'auto.
Sicuramente non si possono con questa ricetta fare auto in Sicilia per via dei motivi logistici che abbiamo discusso prima, però sicuramente si potranno fare i componenti dell'auto abbassando il costo del lavoro: così si crea valore mettendo incentivi nel senso non vituperato dell'assistenzialismo, ma di abbassare gli oneri sul lavoro che permettono alla Sicilia di essere concorrenziale.
Chi vi parla ha partecipato allo sviluppo dell'industria della componentistica in Polonia. Lavoravo in una grande multinazionale e i tedeschi hanno delocalizzato là la produzione di tutti i motori.
Non c'era una strada che funzionasse e all'inizio andare ad assistere questi stabilimenti era una cosa pazzesca, però ha funzionato perché lì c'era gente che era sì disponibile a lavorare, ma aveva un costo molto contenuto. In Italia questo non è possibile perché per dare un euro a un lavoratore italiano un'impresa spende 2,3 euro; in Germania 1,8; in Polonia 1,25.
Il passaggio deve essere quello di un'assunzione di responsabilità da parte della classe politica del Mezzogiorno, delle classi sindacali e dei lavoratori del Mezzogiorno affinché le risorse - che nel Mezzogiorno ci sono e che potranno essere ancora meglio liberate con il federalismo - vengano indirizzate verso chi produce e lavora, non verso chi è mantenuto: quello dell'assistenzialismo è un modello superato e dannoso.
Veniamo al caso specifico della FIAT. La FIAT è stata aiutata dallo Stato? Certo, è stata molto aiutata dallo Stato, però ci siamo sempre lamentati del fatto che la FIAT non seguisse il mercato, ma indicazioni politiche e assistenziali, e adesso che sembra essersi finalmente messa in carreggiata, per un incidente di percorso che disturba tanto i politici vorremmo che facesse marcia indietro. Ma allora bisogna mettersi d'accordo: o continuiamo a dare un sacco di soldi alla FIAT e il suo business è incamerare gli aiuti di Stato, oppure il business della FIAT è fare le automobili e noi dobbiamo creare un Paese dove fare politica industriale sia attrattivo. Come si fa? L'ho appena detto.
Adesso il problema è capire se quello che sta facendo Marchionne ha senso o meno. Io credo che abbia senso e credo anche che questa nuova politica della FIAT sia iniziata quando il Governo Berlusconi, in cui Maroni era Ministro del welfare, per la prima volta negò gli aiuti di Stato à gogo e disse che bisognava confrontarsi con il mercato. Da quel momento la FIAT ha cambiato strategia, ha cambiato modo di essere ed è diventata un'azienda efficiente. Sicuramente però dobbiamo fare in modo che questa azienda efficiente si trovi bene nel nostro Paese, come tutte le altre aziende di questo mondo.
Vorrei ricordare soltanto due cose. Per anni abbiamo sovvenzionato la FIAT, in particolare lo hanno fatto i Governi di sinistra e in questo modo abbiamo portato l'azienda sull'orlo del baratro. Dal 2001 con il cambio di Governo questi aiuti sono stati negati e abbiamo visto che la FIAT si è messa sulla strada del mercato. Certo, abbiamo messo ancora la mano al portafoglio in questa crisi, ma in questa crisi la mano al portafoglio l'hanno messa tutti, perché è stata una crisi da sincope, un colpo di infarto e qualcosa andava fatto per impedire che ci fosse anche una catastrofe sociale. Però non c'è una politica continua degli aiuti e non deve tornare.
Ricordo a tutti che negli anni Sessanta l'Alfa Romeo di Milano, che era molto solida e in mani pubbliche, aveva già Pag. 30chiuso il contratto di acquisto della BMW con una grande scelta strategica: comprava un marchio tedesco e portava una fabbrica che faceva macchine di lusso, e che quindi in Italia aveva uno sviluppo limitato, nel grande mercato tedesco che era il più importante per questo tipo di vetture esistente al mondo o almeno in Europa. Ma è successo che è arrivata una telefonata da Roma con cui hanno detto: stracciate quel bel contratto e andate a fare la fabbrica a Napoli, fate le Alfa Romeo che costano poco, facendo concorrenza alla FIAT, e noi vi diamo i soldi dello Stato. Abbiamo visto come sono andate a finire questo tipo di scelte: in Lombardia non si fa più neanche una macchina e le macchine che si fanno a Pomigliano le fa la FIAT.
È ora di finirla con i politici che a corrente alternata cambiano parere. Bisogna avere una politica seria e le politiche serie vanno perseguite nel tempo con coerenza. Soltanto in questo modo questo Paese, e in particolare il Mezzogiorno, usciranno dalla crisi endemica che conoscono dai tempi dell'unità d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi, anche l'ultimo dell'onorevole Torazzi. Spero che l'onorevole non pensi che la globalizzazione sia stata inventata dal Governo Prodi, perché sarebbe eccessivo. Per quanto riguarda il trasferimento delle risorse aggiungerei un altro suggerimento.
Forse, se non si fossero dati miliardi per togliere l'ICI ai più ricchi e si fosse pensato di incentivare il lavoro produttivo, il Governo avrebbe fatto una cosa utile. Così come tutti sanno che è molto difficile produrre a Torino un'automobile per venderla a Shanghai: nella globalizzazione ci sono delle regole che hanno bisogno di essere comprese.
Ora, per quanto riguarda Termini Imerese, siamo di fronte ad una chiusura annunciata, che credo vada contestualizzata in una crisi molto importante che riguarda il tessuto produttivo del nostro Paese. Questo annuncio di chiusura è tanto più grave perché riguarda una terra, il Mezzogiorno, seriamente colpita dai problemi occupazionali, e soprattutto è grave perché siamo passati da un annuncio, nel 2008, di raddoppio dello stabilimento alla chiusura dello stesso il prossimo anno. Allora, credo che dobbiamo interrogarci su quale sia la strategia dell'azienda e del Governo, per quanto riguarda i temi della politica industriale; spero che l'incontro del 21 aprile nel quale l'azienda annuncerà il suo piano industriale sia chiarificatore.
In sostanza, si pone un tema essenziale: quello dell'equilibrio delle produzioni tra ciò che si produce in Italia e ciò che si produce all'estero; c'è una richiesta molto forte in tema di politica industriale che è quella di chiedere maggiore produzione FIAT in Italia e credo che questo sia il punto fondamentale. Se non c'è un riequilibrio, da questo punto di vista, noi non riusciremo nel lungo periodo a tutelare adeguatamente l'occupazione dei nostri stabilimenti; del resto, sappiamo che oggi in Italia produciamo meno auto di quanto non si producano in Brasile. Allora, quale equilibrio e, soprattutto, quale sarà la direzione strategica da seguire? Questa è la seconda domanda che va formulata dal Governo e dal sindacato all'azienda, ossia dove sarà la direzione strategica, la testa pensante dell'azienda: a Torino, in Italia, a Detroit, negli Stati Uniti? Qual è il punto?
Credo che tutto questo richiami non tanto il tema degli aiuti, degli aiuti a pioggia, degli aiuti indiscriminati di sostegno, ma un problema di politica industriale: qual è la scelta, qual è il catalogo delle priorità dei settori produttivi che ha in mente il nostro Governo? Altrimenti, colleghi, qualsiasi intervento è destinato a perire miseramente. Noi non possiamo non sapere che nella globalizzazione, nel momento in cui giustamente il dottor Marchionne ha pensato ad un'alleanza internazionale, l'obiettivo di sopravvivenza oggi, su scala mondiale, è la produzione di Pag. 31almeno cinque milioni di vetture per avere l'economia di scala necessaria per far fruttare adeguatamente gli impianti, la produttività e l'innovazione delle tecnologie che è molto costosa e sappiamo anche che il fallimento dell'operazione con Opel ha in qualche modo ridimensionato questo obiettivo.
In secondo luogo, sappiamo che se non c'è una politica industriale adeguata nei Paesi di antico insediamento ci sarà un'inevitabile tendenza dei produttori a spostare la produzione verso i nuovi mercati. Qui è presente il sottosegretario Saglia, con il quale ho avuto anche il piacere di lavorare in Commissione lavoro, al quale vorrei dire che gli analisti più attenti ci parlano di un esito nel prossimo secolo - so che un secolo è lungo, e noi certamente non vedremo la fine di questo nuovo secolo, però è stata fatta una previsione - di una produzione che passerà dagli attuali 700 milioni di auto nel mondo, ad una produzione di circa tre miliardi di auto a fine secolo che saranno prodotte e assorbite dai mercati nuovi ed emergenti.
In questa prospettiva è evidente che noi dobbiamo pensare ad una forte politica industriale, e la politica industriale sicuramente non consiste semplicemente in 160 tavoli di crisi che in una lunga catena di incontri in qualche modo cercano di rattoppare la situazione, ma in una previsione di investimenti strategici nei settori strategici, appunto, dell'economia, fra i quali sicuramente l'automobile. Così come la questione degli incentivi non può essere semplicemente il problema di dare o togliere gli incentivi all'auto per darli a sostegno dell'acquisto di frigoriferi o di cucine, perché gli incentivi tolti all'auto potevano essere destinati all'innovazione di prodotto nel settore automobilistico.
Qui si pone un problema di prodotto che riguarda anche Termini Imerese. Mi riferisco al problema dei motopropulsori ecocompatibili dell'auto elettrica che diventa la produzione strategica che può rafforzare la centralità di produzione per quanto riguarda insediamenti antichi in Europa, negli Stati Uniti e in Italia che possono essere competitivi sul piano della qualità del prodotto.
Vorrei anche ricordare che, per quanto riguarda l'Italia, nel settore automobilistico noi abbiamo relativamente all'auto elettrica anche la possibilità di importanti sinergie con produttori come Pininfarina che, da questo punto di vista, insieme alla FIAT hanno già sperimentato motori elettrici, bifuel ed ecocompatibili di nuova generazione.
Per quanto riguarda Termini Imerese e la sua vocazione, si pongono dei problemi di carattere drammatico in ordine all'occupazione nel caso di una chiusura di questo stabilimento. Ci sono molte manifestazioni di interesse, ma queste per noi non sono assolutamente rassicuranti.
Quando parliamo di Termini dobbiamo anche valutare questo stabilimento dal punto di vista del suo posizionamento geografico nella globalizzazione. Tra le aree emergenti di potenziali consumatori del prodotto automobilistico abbiamo anche l'area euromediterranea che non va assolutamente sottovalutata e, da questo punto di vista, la Sicilia e Termini Imerese possono rappresentare una piattaforma estremamente interessante. Non è un caso che tra gli annunci di una possibile venuta di produttori stranieri (tra cui produttori cinesi), si parli di una piattaforma di produttori cinesi in Sicilia che guarda con interesse alla crescita di potenziali mercati nell'area del nord Africa e dell'est Europa. A tal riguardo, logisticamente anche dal punto di vista dei collegamenti, la Sicilia non è sicuramente in una posizione di svantaggio.
Per quanto riguarda Termini Imerese, come Partito Democratico chiediamo con forza che ci sia un processo di responsabilizzazione della FIAT per nuove soluzioni produttive. Non vogliamo assistere semplicemente ad un cambio di passo e ad un abbandono da parte dell'azienda per le responsabilità che porta verso questo stabilimento. La FIAT deve essere al tavolo e deve dare una continuità produttiva che deve mantenere la sua vocazione nella filiera automobilistica. Pag. 32
Da questo punto di vista è molto importante, quindi, il tema dell'innovazione che si collega all'esigenza di non abbandonare una prospettiva che veda la definizione e la crescita di un indotto e di un miglioramento delle infrastrutture per quanto riguarda quel territorio, chiunque sia l'azienda che continuerà a produrre nel settore dell'auto questi prodotti.
C'è stata, purtroppo, una diminuzione di presenza di stabilimenti produttivi del settore dell'indotto dell'auto, quindi senza una presenza di un'adeguata rete di produzione nel settore dell'indotto automobilistico è chiaro che è più difficile la sopravvivenza delle produzioni dell'auto medesima.
Da questo punto di vista, quindi, credo che si tratti nell'attuale situazione di operare un cambio di passo da parte del Governo. Non semplicemente guardare, non semplicemente assistere da lontano alle situazioni, non semplicemente fare dei pronunciamenti a cui non dare seguito, ma pensare che per il futuro abbiamo bisogno di una politica industriale di indirizzo da parte del Governo, che sia capace di individuare un catalogo di settori produttivi di carattere strategico sui quali investire risorse non a fondo perduto, ma per l'innovazione della tecnologia, dei prodotti, dei processi produttivi e per aiutare i settori produttivi a crescere, altrimenti corriamo il rischio di uscire da questa crisi davvero con le ossa spezzate.
Non possiamo lasciar passare la nottata, ma con queste azioni dobbiamo preparare il futuro di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, onorevole Stefano Saglia.

STEFANO SAGLIA, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, le chiedo pochi minuti per svolgere alcune considerazioni che possono essere utili all'economia dei nostri lavori. Innanzitutto, le nostre considerazioni come Governo partono dalla constatazione che molte delle riflessioni fatte dai colleghi della Lega e del PD (quindi sia di maggioranza che di opposizione) sono assolutamente fondate.
Le mozioni in esame riguardano Termini Imerese, ma, ovviamente, occupandoci di questo stabilimento, dobbiamo pensare al mercato dell'auto e alla produzione industriale di questo settore. Sappiamo che nei primi mesi del 2009 c'è stata una contrazione della domanda di oltre il 30 per cento e che già in quel momento eravamo in una situazione globale di eccesso di capacità produttiva.
In questa situazione globale si inserisce la crisi di Termini Imerese, sulla quale il Governo ha da subito cercato risposte immediate da parte della FIAT, per le considerazioni che sono conosciute e per l'impegno che lo Stato ha sempre profuso nei confronti dell'industria dell'automobile (del resto, tutti gli Stati delle società occidentali industrializzate hanno impegnato risorse importanti nel settore dell'automotive).
La prima richiesta che è stata avanzata da parte del Governo ed è stata accolta da parte della FIAT era quella di incrementare la capacità produttiva del nostro Paese, perché, a fronte di oltre due milioni di vetture vendute nel nostro Paese, solo 650 mila di queste erano realizzate sul territorio nazionale.
L'impegno che il Governo ha «strappato» alla FIAT è quello di realizzare, nel suo piano industriale, 900 mila vetture nel nostro territorio. Credo che questo non sia un fatto di poco conto, perché significa che la FIAT mantiene radici importanti nel territorio.
Bisogna anche essere onesti e dire che le 650 mila vetture che venivano e vengono attualmente realizzate non impegnano tutte le piattaforme produttive che la FIAT ha sul territorio nazionale, a cominciare Pag. 33dal fatto che, senza creare allarmismi di sorta, accanto al problema di Termini Imerese vi sono anche problemi di altri stabilimenti, che, per poter lavorare a pieno regime, hanno bisogno di un volume di produzione superiore rispetto a quello che è stato effettuato fino ad oggi.
È chiaro, quindi, che il disegno FIAT può essere non condivisibile. Il Governo incalza la FIAT in continuazione, perché ritiene che la produzione sul nostro territorio sia fondamentale anche per la ricerca e lo sviluppo. Non dimentichiamo che è nel settore dell'automotive che si effettuano i maggiori investimenti in ricerca e sviluppo. C'è da dire, però, che gli stessi stabilimenti che oggi riteniamo in qualche misura non toccati dalla crisi devono essere saturati perché abbiano un'efficacia nella loro azione e, soprattutto, un futuro nella produzione delle attività italiane.
Oggi ci sono sedici progetti sul tavolo che riguardano Termini Imerese. Il Governo, nell'esaminarli, ha dato priorità ai progetti che riguardano il settore dell'automotive: insieme alla regione, sono stati messi a disposizione 450 milioni di euro (non è poco) e si è lavorato soprattutto sul tema delle infrastrutture.
In particolare, con il Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione oggi siamo nella condizione di realizzare una rete infrastrutturale adeguata nel territorio che afferisce allo stabilimento di Termini Imerese. Due milioni e mezzo di euro sono già stati spesi per i lavori di urbanizzazione, poco più di 20 milioni sono stati spesi per attuare la fase di progettazione del porto di Termini Imerese, sono state finanziate opere ferroviarie per 944 milioni su tutta l'isola della Sicilia e sono state individuate risorse per 78 milioni di euro per il trasporto merci, la logistica e l'interporto di Termini Imerese.
Lo Stato e la regione stanno cogliendo anche questa crisi - che è certamente drammatica per coloro che lavorano alla FIAT di Termini Imerese e hanno tutta la solidarietà e l'attenzione del Governo - anche per rimettere in piedi le infrastrutture, perché, se oggi non hanno dato risposte positive al gruppo FIAT, domani non daranno risposte positive a qualsiasi altro investitore.
Anche con riferimento al tema dell'auto elettrica, inoltre, dobbiamo intenderci. Nel piano del Consiglio europeo 2010-2014 l'auto elettrica è una priorità: è stato approvato da tutti i Ministri dell'industria dell'Europa a ventisette e vi saranno risorse ingenti per quanto riguarda la ricerca.
La Danimarca, che è il Paese che più di tutti ha un programma sull'auto elettrica ed è il più ottimista per quanto riguarda la sua realizzazione, dichiara che, entro il 2020, il 10 per cento delle vetture saranno auto elettriche. Questo ci dice che anche il Paese più ottimista nei confronti di questa tecnologia sa perfettamente che la prospettiva dell'utilizzo su larga scala dell'auto elettrica è ancora a medio e lungo termine. La FIAT, del resto, non fa mistero di ritenere che i propri investimenti siano più indirizzati sull'auto a metano, perché la ritiene una tecnologia di transizione. Questo non è assolutamente per dire che non dobbiamo produrre l'auto elettrica; anzi l'ENEA in particolare sta compiendo dei passi da gigante sotto il profilo della ricerca nel settore dell'auto elettrica. Però, temo che la prospettiva dell'auto elettrica non sia soddisfacente a breve per lo stabilimento di Termini Imerese. In Italia, nelle città di Milano, di Brescia, di Pisa e di Roma, si stanno avviando sperimentazioni per l'auto elettrica come city car, ma la prospettiva è ancora a medio e lungo termine.
Crediamo che per Termini Imerese le risorse siano significative. Può esservi sicuramente una prospettiva di investimento per l'auto elettrica, ma ci vuole anche qualcos'altro per superare la transizione che ci porta verso questa tecnologia. Naturalmente, occorre cercare almeno su questo argomento la massima condivisione e il consenso di tutti i partiti e dei sindacati, per far sì che Termini Imerese abbia una vocazione produttiva e la possa mantenere possibilmente nel settore dell'automotive.

Pag. 34

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta, dopo il seguito della discussione del decreto-legge in materia di competenza per taluni procedimenti penali.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15.

La seduta, sospesa alle 12,35, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bocci, Buttiglione, Caparini, Jannone e Lucà sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

LUDOVICO VICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, intervengo per segnalare a lei e al Parlamento il caso di Andrea Regio, un operaio di 35 anni della Natuzzi, stabilimento di Ginosa, in provincia di Taranto, che giovedì scorso, 25 marzo, si è suicidato annegandosi.
I suoi compagni del lavoro e i familiari ci hanno raccontato, il giorno dopo, di Andrea, che aveva l'incubo della cassa integrazione, e dello stress dei moduli produttivi scanditi in minuti, così come accade nelle fabbriche dei divani.
Questa è la tragedia, una delle tante, che sancisce il ritorno - me lo consenta, signor Presidente - del Medioevo per la dignità delle persone e di chi lavora. È un segno di inciviltà, che sarà possibile fino a quando, tutti insieme, non torneremo a liberare i diritti, chiedendo di sapere cosa accadrà dei nostri insediamenti industriali in tutta Italia e nel nostro territorio. Andrea lavorava in una fabbrica dove sono 1.500 i lavoratori in cassa integrazione su 3.500 di organico. Si tratta del gruppo Natuzzi, il cui piano industriale ancora non è determinato e il ritardo della convocazione del tavolo da parte del Ministero dello sviluppo economico continua a creare problemi.
Signor Presidente, chiedo a lei di intervenire nei confronti del Ministro per sollecitare la convocazione del tavolo e mi rivolgo all'intero Parlamento perché si dimostri ai familiari di Andrea la vicinanza al loro dolore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 2007 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale (Approvato dal Senato) (A.C. 3322) (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali e ha avuto luogo la replica del rappresentante del Governo, mentre il relatore vi ha rinunciato.

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Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,10).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,30.

La seduta, sospesa alle 15,10, è ripresa alle 15,30.

Si riprende la discussione del disegno di legge di conversione n. 3322.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 3322)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 3322), nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 3322).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate al Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 3322).
Avverto altresì che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri, che sono distribuiti in fotocopia (Vedi l'allegato A - A.C. 3322).
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, vorrei segnalare alcune delle riserve per le quali noi non abbiamo presentato emendamenti, che ha presentato opportunamente il Partito Democratico, relative al provvedimento in esame. Esso, com'è noto, serve per evitare un effetto paradossale, e cioè che l'inasprimento dei reati per il 416-bis possa portare in realtà poi a dei vantaggi a favore dei boss mafiosi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 15,37)

ANTONIO BORGHESI. In pratica, il decreto-legge serve per ovviare a questo tipo di inconveniente. L'intento è non solo anche di restituire al tribunale ordinario i reati in materia di associazione mafiosa, ma di ottenere il risultato attraverso il trasferimento alla Corte di assise della competenza per tutti i delitti tentati o consumati, cioè tutti i reati di competenza della Direzione distrettuale antimafia in materia di criminalità organizzata e terrorismo. In sostanza, dopo l'approvazione, il testo trasmesso dal Senato prevede una sostituzione integrale della lettera a) e l'inserimento... con l'approvazione in sostanza dell'emendamento 1.100 della Commissione al Senato, ne esce, come si legge nell'illustrazione del relatore, l'idea di assegnare... secondo me, è impossibile parlare, signor Presidente.
L'idea è quella di assegnare alla corte di assise tre famiglie di reati. La prima è quella dei delitti contro l'integrità della persona, dall'omicidio in giù; la seconda, quella dei delitti che vanno a colpire la persona... signor Presidente, è impossibile parlare! Cerco di andare avanti, ma è una cosa... signor Presidente, praticamente è impossibile parlare.

PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Borghesi. Colleghi, per cortesia, prendete posto e consentite all'onorevole Borghesi di svolgere il suo intervento. Prego, onorevole.

ANTONIO BORGHESI. Dicevo allora, l'assegnazione alla corte di assise di tre gruppi di reati, quelli contro l'integrità della persona, quelli che colpiscono un bene fondamentale come la libertà (pensiamo al sequestro di persona a scopo di estorsione, e altri di più recente istituzione, Pag. 36come la riduzione in schiavitù e la tratta di esseri umani): un gruppo di reati che suscitano forte allarme sociale. Infine, una famiglia di reati, che è quella dei delitti contro lo Stato, la sicurezza dello Stato e l'unità nazionale.
Diciamo che complessivamente, pur essendovi stato un notevole miglioramento in materia di spostamento di reati alla corte di assise, rimangono tuttavia una serie di problemi, che sono stati anche sollevati dagli avvocati penalisti: ad esempio, il fatto che anche questa volta andiamo ad intervenire nella materia in modo casuale, in modo episodico, in modo sostanzialmente non organico. Vi è inoltre un altro problema: il passaggio alla corte di assise, di cui si va ad ampliare l'area di competenza, dovrebbe tener conto anche di questioni pratiche, come la frequenza statistica del crimine, la maggiore professionalità richiesta nel giudicarla e la maggiore speditezza nel reprimerla.
Ma questo non è accettabile, perché nel caso del rilevante allarme sociale il reato che lo determina dovrebbe essere giudicato e punito dal più alto numero possibile di giudici che il sistema consente (ciò determina un vulnus nel sistema stesso e non è ragionevole).
Inoltre, dovrebbe esser censurato anche l'inserimento dei delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale, mentre un secondo problema è rappresentato dal meccanismo di individuazione del giudice superiore per i procedimenti connessi di competenza del tribunale perché, associato alla proposta di modifica dell'articolo 5 del codice di procedura penale, ne determina la vis attractiva dei delitti meno gravi rispetto ai delitti più gravi.
Per tutti questi motivi, il nostro gruppo è favorevole agli emendamenti che sono stati presentati dal Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Garavini. Ne ha facoltà.

LAURA GARAVINI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Garavini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Nessuno chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

ENRICO COSTA, Relatore. Signor Presidente, la Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario, sugli emendamenti Ferranti 1.1, 1.3 e 2.1.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, già questa mattina in sede di discussione sulle linee generali avevo invitato al ritiro degli emendamenti, ma vorrei ulteriormente invitare i presentatori a ritirare gli emendamenti e a trasformarli in ordini del giorno. Condivido infatti la preoccupazione che ispira gli emendamenti, nel senso che la normativa - così come è stata licenziata dal Senato, con un accordo di tutti i gruppi politici - può suscitare qualche preoccupazione sulla sufficienza del numero delle sezioni delle corti di assise e sull'incidenza della nuova competenza sui tempi di celebrazione del processo.
Nonostante il responsabile dell'organizzazione giudiziaria del Ministero della giustizia abbia dato garanzie in Senato, credo che una corretta dialettica tra Parlamento e Governo debba portare alla necessità di monitorare questa nuova competenza in un tempo ragionevole, in modo tale da apportare eventualmente correttivi, ove fossero necessari.
Credo che questa esigenza possa essere rappresentata ed accolta dal Governo attraverso la presentazione di un ordine del giorno, e per tale ragione insisto sull'invito al ritiro di tutti gli emendamenti presentati.

PRESIDENTE. Passiamo dunque all'emendamento Ferranti 1.1. Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro formulato dal relatore.

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DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, abbiamo apprezzato l'intervento del Governo che sostanzialmente ha esplicitato in maniera più diretta la volontà e l'impegno a verificare poi gli effetti di questo ampliamento della competenza della corte di assise, che è diventata residuale rispetto al testo originario che era stato presentato al Senato e che è stato modificato anche grazie all'intervento dell'opposizione, ma che ha mantenuto alcuni reati che possono arrecare problematiche anche a livello di connessione con reati più gravi, come quelli della criminalità organizzata.
Per noi del Partito Democratico è importante non chi alla fine giudica i reati (se è un giudice popolare o un giudice togato), ma che la giustizia, soprattutto con riferimento ai reati della criminalità organizzata e a quelli associativi di particolare difficoltà di accertamento, tanto nella fase delle indagini quanto in quella del processo, sia efficace, compiuta entro una durata ragionevole e da organi che siano in grado anche di funzionare.
Proprio prendendo spunto da questa ulteriore estrinsecazione di impegno, abbiamo presentato un ordine del giorno in questo senso e dunque ritiriamo i nostri emendamenti, fiduciosi che tale ordine del giorno possa essere accettato.

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, intervengo solo per aggiungere la mia firma, idealmente a nome di tutto il nostro gruppo, all'ordine del giorno di cui ha testé parlato la collega.

PRESIDENTE. Prendo atto che gli emendamenti sono stati ritirati. Consistendo, quindi, il disegno di legge in un solo articolo, si procederà, a norma dell'articolo 87, comma 5 del Regolamento, direttamente alla votazione finale.

(Esame di un ordine del giorno - A.C. 3322)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'unico ordine del giorno presentato (Vedi l'allegato A - A.C. 3322).
Prendo atto che l'onorevole Ferranti non intende illustrare il suo ordine del giorno n. 9/3322/1. Invito, quindi, il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sull'ordine del giorno Ferranti n. 9/3322/1, a cui si è aggiunta la firma dell'onorevole Borghesi.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo accetta l'ordine del giorno Ferranti n. 9/3322/1.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Ferranti n. 9/3322/1, accettato dal Governo.
È così esaurito l'esame dell'unico ordine del giorno presentato.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3322)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, intervengo solo per confermare il voto favorevole del nostro gruppo, anche alla luce dell'accoglimento dell'ordine del giorno Ferranti n. 9/3322/1.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, svolgerò un breve intervento, non solo per motivare il voto favorevole del gruppo dell'Unione di Centro, ma anche per cogliere il senso politico del provvedimento che stiamo per approvare, perché non è successo molte volte in questa legislatura Pag. 38di occuparsi di questioni giudiziarie, e di farlo guardando più alla funzionalità degli uffici giudiziari. Anzi, una volta tanto, parliamo di questioni riguardanti la giustizia, avendo avuto anche la possibilità di affrontarle come questioni di carattere tecnico, sulle quali possiamo essere d'accordo, parzialmente d'accordo, o anche in disaccordo, ma comunque in una dimensione di fisiologia del dibattito politico. Non siamo intervenuti nella discussione sulle linee generali, ma vogliamo sottolineare che a questo provvedimento arriviamo perché la Corte di cassazione, pronunziandosi su un conflitto di competenza, sollevato dalla corte d'assise di Catania, ha stabilito che il delitto di promozione di associazione e di organizzazioni di tipo mafioso appartiene alla competenza della corte d'assise e non del tribunale. Sulla base di questo principio stabilito dalla Corte di cassazione, numerosi processi relativi ad associazioni di tipo mafioso in corso, e in fase di dibattimento dinanzi ai tribunali, sarebbero stati esposti al rischio di doversi interrompere in seguito alla deduzione di incompetenza per materia del tribunale e di dover, quindi, nuovamente iniziare dinanzi alla corte di assise. Ovviamente, all'azzeramento dei processi, poteva conseguire la scarcerazione di imputati cui venivano contestati gravi delitti di mafia. C'era stata anche una sollecitazione del procuratore nazionale antimafia, e si è trattato di un allarme che il Governo aveva colto, riconoscendo, quindi, la necessità politica di intervenire. Per la verità, come è stato ribadito anche negli interventi di chi mi ha preceduto, il Governo non era partito con il piede giusto, in maniera particolarmente corretta, ma con una modalità del testo normativo poco chiara anche nelle finalità del suo intervento: il provvedimento aveva giustamente escluso il reato di associazione mafiosa, ampliando però contestualmente la competenza delle corti di assise ai delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale.
Insomma c'è stato - come sappiamo - al Senato un diverso atteggiamento della maggioranza parlamentare, con il relatore che aveva proposto già in quella sede una modifica della norma principale, ossia quella che fissa le generali competenze delle corti d'assise in maniera tale da escludere chiaramente la competenza per fatti di mafia a fronte di un allargamento che non incide in maniera rilevante sulla funzionalità dell'istituto. Questo emendamento è stato accolto con favore e, quindi, la nostra posizione già al Senato era favorevole, come pure avevamo colto la sostanza di un ordine del giorno approvato in quel ramo del Parlamento che riguarda le risorse sia finanziarie sia umane necessarie per far funzionare la macchina della giustizia.
Naturalmente, indipendentemente da questo provvedimento, che è molto specifico e molto settoriale, serve ben altro per mettere in moto complessivamente tale macchina. Noi abbiamo accolto favorevolmente l'ordine del giorno che come Unione di Centro avevamo sottoscritto insieme alle altre opposizioni, e abbiamo accolto con favore il parere positivo del Governo.
Per tutte queste ragioni ci accingiamo a dare il nostro voto favorevole sul provvedimento in esame, che valutiamo come un intervento apprezzabile sul piano dei possibili risultati pratici, e che pone rimedio ad un corto circuito giurisprudenziale registratosi negli ultimi anni.
L'Unione di Centro - concludo - auspica che questo clima collaborativo, registratosi su questo disegno di legge, possa instaurarsi anche su provvedimenti ben più importanti e significativi, finalizzati alla soluzione delle emergenze che riguardano - come dicevo prima - l'amministrazione della giustizia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Follegot. Ne ha facoltà.

FULVIO FOLLEGOT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nonostante le gravi difficoltà in cui si trova l'amministrazione della giustizia, grandi risultati si sono ottenuti nei confronti della malavita Pag. 39organizzata e delle varie mafie che a tutt'oggi estendono le loro ramificazioni in tutto il Paese.
Nessuna regione è indenne da tale fenomeno ma è devastante la presenza pervasiva in alcune regioni del sud. La grande fermezza con cui ha operato il Ministro Maroni, sostenuto da tutto il Governo, l'efficienza e l'efficacia con cui agiscono le forze dell'ordine e l'azione di magistrati motivati a reprimere il sistema mafioso hanno permesso di raggiungere risultati eclatanti. Molti latitanti, tra i più pericolosi in circolazione, sono stati catturati e assegnati nelle mani nella giustizia. Molti beni di proprietà di cosche e di prestanome sono stati sequestrati per un importo di oltre sette miliardi di euro (risultati impensabili fino a qualche anno fa). Evidentemente l'azione congiunta e condivisa (politica, forze dell'ordine e magistrati) ha fatto la differenza.
Va dato atto al Ministro Maroni dei risultati ottenuti, e un ringraziamento va in particolare a chi si trova ogni giorno a battersi per garantire sicurezza ai cittadini e rispetto delle regole. Dopo questi risultati sarebbe davvero una beffa se stessimo a guardare senza far niente le conseguenze della sentenza della Corte di cassazione del febbraio 2010, secondo la quale l'aggravamento dei limiti di pena previsti dalla legge n. 251 del 2005 (All'ingresso in Aula del deputato Cota, prolungati applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà)... È arrivato il presidente, salutiamo il presidente Cota (I deputati del gruppo Lega Nord Padania sventolano fazzoletti verdi).

PRESIDENTE. Colleghi, penso che avrete anche altre occasioni per festeggiare il vostro capogruppo (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Onorevole Follegot, continui, la prego.

FULVIO FOLLEGOT. Grazie, signor Presidente. Dopo questi risultati, sarebbe davvero una beffa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania che scandiscono il nome del deputato Cota)...

PRESIDENTE. Onorevole Follegot, continui, la prego. Colleghi, per cortesia!

FULVIO FOLLEGOT. Grazie, signor Presidente. Dopo questi risultati, sarebbe davvero una beffa se stessimo a guardare, senza far niente, le conseguenze della sentenza della Corte di cassazione del febbraio 2010, secondo cui l'aggravamento dei limiti di pena previsti dalla legge n. 251 del 2005, relativamente a delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale, ha portato la competenza in capo alla corte d'assise. Da ciò deriverebbe l'annullamento dei processi celebrati nei tribunali e la scarcerazione di centinaia di mafiosi per scadenza dei termini di custodia cautelare.
Il problema è sorto in seguito ad un'erronea interpretazione da parte della magistratura delle norme riguardanti la competenza a giudicare, affidando a tribunali casi che sarebbero di competenza della corte d'assise. Sussistendo i requisiti di necessità e di urgenza, il Governo è intervenuto immediatamente con un decreto-legge, attribuendo al tribunale ordinario la competenza a giudicare sui delitti, comunque, aggravati, di associazioni di tipo mafioso, anche straniere, impedendo, così, l'azzeramento di oltre 380 processi (sono fatti salvi, quindi, i procedimenti in corso).
Pertanto, con il provvedimento in oggetto, da un lato, si è data risposta all'assoluta necessità di salvaguardare numerosi processi penali riguardanti i reati di mafia e di impedire la scarcerazione di pericolosi criminali; dall'altro lato, si è voluto attribuire alla competenza della corte d'assise reati che costituiscono allarme sociale.
Il segnale che emerge è chiaro: lotta alla criminalità mafiosa, senza tregua, con fermezza, adottando provvedimenti che mirano ad eliminare le condizioni di esistenza di questo grave fenomeno che ha inquinato il sistema economico e non solo.
In tema di giustizia resta ancora molto da fare. Serve un sano pragmatismo, abbandonando posizioni preconcette e l'idea che la minoranza debba essere per forza contraria ad ogni proposta innovativa che modifichi lo status quo. Dobbiamo eliminare Pag. 40posizioni di privilegio e di autoreferenzialità, che sono la tomba del cambiamento. Responsabilità è la parola chiave per uscire da una situazione pesante che penalizza i cittadini; essa deve essere presente in tutti i settori e a tutti i livelli.
Per questi motivi, signor Presidente, preannuncio il voto favorevole della Lega Nord.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Samperi. Ne ha facoltà.

MARILENA SAMPERI. Signor Presidente, preannuncio l'intenzione di consegnare il mio intervento. Vorrei sottolineare soltanto come questa nuova disciplina, dettata dall'esigenza di scongiurare il rischio dell'annullamento di tanti dibattimenti importanti e complessi, nonché il rischio della scadenza dei termini per la custodia cautelare, è condivisibile in quanto interviene su una materia estremamente delicata e pericolosa. Il Governo, però, non fa questo: non si limita ad intervenire solo per arginare il danno, va oltre ed amplia a dismisura la competenza della corte d'assise.
Capiamo e ci siamo resi conto dei miglioramenti che sono intervenuti al Senato, tuttavia, restano alcune disfunzioni. Avevamo presentato degli emendamenti che, per senso di responsabilità, per non far decadere il decreto-legge in oggetto, abbiamo ritirato, visto che il Governo ha accettato l'ordine del giorno presentato.
Tuttavia, non possiamo non sottolineare che intervenire in materie così delicate come il diritto sostanziale penale e la procedura penale attraverso decreti-legge, ed in modo estemporaneo, senza una visione organica e complessiva, sia estremamente pericoloso. Altre volte abbiamo richiamato il Governo a ragionare in modo sistematico sulle riforme da realizzare nel settore della giustizia, perché si rischia di aggravare la situazione già di malessere profondo che esiste in questo settore.
Abbiamo riversato tutte queste perplessità nell'ordine del giorno che è stato accolto dal Governo: speriamo veramente che il Governo faccia un monitoraggio attento di tutte le possibili disfunzioni e riferisca poi al Parlamento.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Samperi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.

GAETANO PECORELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è certamente un esempio illuminante di quanto la magistratura sia attenta nell'applicazione delle norme perché, per ben cinque anni, non si è resa conto di quale fosse il magistrato competente in materia di mafia aggravata. Credo che questo significhi anche che, per cinque anni, dei cittadini sono stati giudicati da magistrati incompetenti.
Ciò premesso, non si può non riconoscere al Governo di essere intervenuto tempestivamente e con una buona legge, la quale, in questo momento, ha soprattutto l'effetto di evitare che - come è già stato detto - numerosi procedimenti finiscano nel nulla e si debba ricominciare da capo con la scadenza dei termini per quello che riguarda i mafiosi.
Tuttavia, ritengo anche che sia estremamente opportuno che questa occasione abbia determinato la volontà di riesaminare il ruolo della corte d'assise. Quest'ultima è espressione diretta del popolo, della volontà della gente: vi è una sensibilità particolare, collegata a quel senso di giustizia che hanno le persone che non svolgono professionalmente questa attività. Pertanto, è stata un'occasione urgente, ma nello stesso tempo anche un'occasione per tornare a meditare sul ruolo della corte d'assise.
Per questo motivo, il Popolo della Libertà voterà a favore di questo disegno di legge, convinto che si debba al Governo il riconoscimento di tempestività e di avere Pag. 41fatto un buon testo normativo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori: desidero congratularmi anch'io con il collega Cota per lo splendido risultato che ha conseguito nelle elezioni regionali in Piemonte. Tuttavia, vorrei anche chiederle se ha notizie del Ministro Brunetta e del sottosegretario Castelli: vorrei sapere se verranno, in quanto desidero complimentarmi anche con loro per il buon risultato ottenuto a Lecco e a Venezia (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)!

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, tutti noi siamo collegati con i mezzi di informazione e abbiamo notizie, come lei sa. Anche io colgo l'occasione per congratularmi con il presidente Cota (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Unione di Centro), così almeno ci sarà - mi auguro - un po' più di tranquillità.
Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3322)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione n. 3322, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

C'è un intero settore spento: rilevo un guasto sul tabellone alla mia destra. Onorevole Mondello, onorevole Follegot, onorevole Vico, onorevole Raisi, i colleghi hanno votato tutti?

MATTEO BRIGANDÌ. Tutti verde, signor Presidente!

PRESIDENTE. Sì, sì, hanno votato tutti verde: è tutto verde oggi... con qualche eccezione!
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva all'unanimità (Vedi votazionia ).

(S. 2007 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 febbraio 2010, n. 10, recante disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti penali a carico di autori di reati di grave allarme sociale) (Approvato dal Senato) (3322):

(Presenti e votanti 456
Maggioranza 229
Hanno votato
456).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è convenuto che lo svolgimento di interpellanze urgenti abbia luogo nella seduta di domani, mercoledì 31 marzo, dopo il question time.
Si è altresì convenuto che giovedì 8 aprile (antimeridiana e pomeridiana, con votazioni a partire dalle ore 12) avrà luogo l'esame dei seguenti argomenti:
disegno di legge n. 3226 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo di modifica della Convenzione del 29 gennaio 1951 tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese relativa alle stazioni internazionali di Modane e Ventimiglia ed ai tratti di ferrovia compresi tra le stazioni e le frontiere d'Italia e di Francia (Approvato dal Senato); Pag. 42
disegno di legge n. 3227 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo all'Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica di Malta per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali (Approvato dal Senato);
disegno di legge n. 3228 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione tra Italia e Cipro per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito (Approvato dal Senato);
mozione Livia Turco ed altri n. 1-00326 concernente iniziative in materia di politiche migratorie e di integrazione, nonché per il contrasto al lavoro irregolare.

La prossima settimana lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata (question time) avrà dunque luogo, in via eccezionale, nella giornata di giovedì 8 aprile, alle ore 15.
La Conferenza dei presidenti di gruppo sarà nuovamente convocata la prossima settimana, per definire il calendario del restante periodo del mese di aprile ed il programma relativo al periodo aprile-giugno.
L'organizzazione dei tempia per la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 3226, 3227 e 3228 e della mozione n. 1-00326 sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

Su un lutto del deputato Benedetto Fabio Granata.

PRESIDENTE. Comunico che il collega Benedetto Fabio Granata è stato colpito da un grave lutto: la perdita del padre.
La Presidenza della Camera ha fatto già pervenire al collega le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidero ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Seguito della discussione delle mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00319, Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292, Bersani ed altri n. 1-00348, Cicchitto ed altri n. 1-00349, Iannaccone ed altri n. 1-00350 e Romano ed altri n. 1-00351 concernenti il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Lo Monte ed altri n. 1-00319, Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292, Bersani ed altri n. 1-00348, Cicchitto ed altri n. 1-00349, Iannaccone ed altri n. 1-00350 e Romano ed altri n. 1-00351, concernenti il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali delle mozioni ed è intervenuto il rappresentante del Governo.

(Parere del Governo)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.

STEFANO SAGLIA, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, non so se i pareri sulle mozioni saranno nello stesso ordine che lei ha indicato, citerò comunque il presentatore.
Il Governo esprime parere favorevole sulla mozione Cicchitto ed altri n. 1-00349.
Il Governo esprime parere favorevole anche sulla mozione Iannaccone ed altri n. 1-00350, tranne che sul primo e sul quarto capoverso del dispositivo. Per quanto concerne il quarto capoverso del dispositivo, che chiede di «confermare la volontà del Governo a non prevedere incentivazioni statali a filiere produttive, in questo caso alla Fiat, in assenza di una volontà di mantenimento dei livelli occupazionali», il vincolo che chiedono i proponenti la mozione è già inserito nell'attuale legislazione sugli incentivi. Il parere, quindi, è contrario semplicemente perché Pag. 43tutto ciò è già previsto dalla legislazione vigente; suggerisco, pertanto, una riformulazione che elimini tale capoverso.
Circa la mozione Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292, il Governo esprime parere favorevole, a condizione che sia riformulata.
Il Governo chiede che il terzo capoverso del dispositivo sia riformulato nel modo seguente: «ad assumere iniziative per garantire il mantenimento presso lo stabilimento di Termini Imerese di qualsiasi attività industriale in grado di garantire la vocazione dell'area, privilegiando i progetti del settore automotive con particolare riguardo ai veicoli elettrici ed eco-compatibili». Il Governo esprime parere favorevole sul quarto capoverso del dispositivo della mozione Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292.
Il Governo esprime parere contrario sul quinto capoverso del dispositivo della mozione Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292 per le stesse ragioni prima indicate, poiché il contenuto di questo capoverso è già previsto in un provvedimento dello Stato, il cosiddetto decreto-legge «incentivi».
Il Governo esprime parere favorevole su tutti i capoversi del dispositivo della mozione Lo Monte ed altri n. 1-00319, ad eccezione del secondo capoverso del dispositivo e sempre per la stessa ragione, in quanto il legame delle eventuali incentivazioni con l'occupazione è già contenuto nei decreti-legge vigenti.
Infine, il Governo esprime parere favorevole sulla mozione Bersani ed altri n. 1-00348 a condizione che il primo capoverso del dispositivo sia riformulato nel seguente modo: «a recuperare risorse adeguate per eliminare le diseconomie infrastrutturali» e così via, espungendo il riferimento al contratto di programma.

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, signor sottosegretario, non abbiamo capito il parere espresso dal Governo sulla mozione Romano ed altri n. 1-00351.

PRESIDENTE. È vero, onorevole Compagnon. Il Governo non ha espresso il parere sulla mozione Romano ed altri n. 1-00351.
Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulla mozione Romano ed altri n. 1-00351.

STEFANO SAGLIA, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, il parere sulla mozione Romano ed altri n. 1-00351 non è stato compreso perché ancora non è stato espresso.
Il Governo esprime parere favorevole sul primo, secondo e quinto capoverso del dispositivo. Il Governo esprime parere favorevole sul quarto capoverso del dispositivo a condizione che sia riformulato nel modo seguente: «a valutare la possibilità di inserire, nel rispetto della normativa comunitaria, anche l'area di Termini Imerese come zona franca urbana».
Il Governo esprime parere favorevole sul sesto capoverso del dispositivo a condizione che sia riformulato nel modo seguente: «a valutare la possibilità di promuovere, per quanto di competenza, nel rispetto delle norme comunitarie, sperimentalmente un contratto di lavoro regionale valido per l'intero territorio della Sicilia, d'intesa con le organizzazioni sindacali e finalizzato a precostituire condizioni più favorevoli all'insediamento nella regione di attività produttive».

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Commercio. Ne ha facoltà.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, consideriamo estremamente positivo aver attivato questo dibattito attraverso la presentazione Pag. 44della nostra mozione. Non si tratta, come è evidente, di un dibattito ordinario che verte sulla semplice chiusura di uno stabilimento che produce autovetture, né soltanto delle scelte di politica industriale di un grande gruppo italiano. Stiamo discutendo della politica industriale nel nostro Paese ed anche dell'investimento politico che il nostro Governo intende fare nel Mezzogiorno.
Se un gruppo come la FIAT abbandona la Sicilia non si ha solo l'effetto di perdere alcune migliaia di posti di lavoro. In realtà, ciò che si determina è un clima complessivo che trasmette un messaggio di rinuncia e di fuga a chiunque voglia investire in quella parte del nostro Paese. Credo sia evidente che a fronte di questa scelta - nel senso di una reazione forte del nostro Governo - ogni gruppo industriale, che avesse in ipotesi un intervento imprenditoriale nell'isola, sarebbe costretto ad avviare una riflessione sulle scelte e sulle motivazioni che inducono la FIAT a disinvestire.
Il rischio reale è quello di un effetto a spirale, che coinvolga altra occupazione e che si estenda, soprattutto, a ogni prospettiva di sviluppo.
La FIAT ha usufruito, negli anni, di interventi statali a sostegno come nessun altro gruppo industriale. La stessa FIAT, poco più di un anno e mezzo fa, aveva firmato un accordo con la regione siciliana finalizzato a un piano di rilancio dello stabilimento di Termini Imerese prevedendo in quel sito addirittura la produzione di tre nuovi modelli di auto. A poco tempo da quell'accordo tutto viene stracciato e la FIAT dichiara che la produzione di auto in Sicilia non è più competitiva. Nel frattempo, sono stati stanziati finanziamenti per il porto, è stato avviato il raddoppio della linea ferroviaria, sono stati stanziati i fondi per la costruzione della stazione ferroviaria di Fiumetorto (che dista appena un chilometro dallo stabilimento) ed altri investimenti e incentivazioni sono stati programmati per gli anni a venire.
La regione siciliana ha dichiarato la propria disponibilità ad investire 400 milioni di euro di cui 200 milioni di euro in infrastrutture e 200 in innovazione tecnologica. A fronte di tutto ciò, la scelta della FIAT appare assolutamente incomprensibile, persino alla luce di ipotesi di delocalizzazione che richiederebbero comunque enormi investimenti sul piano materiale e su quello della formazione.
Come deputati della componente politica Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud crediamo che il Governo debba fare ogni sforzo per convincere il gruppo torinese a cambiare rotta, assumendo e comunicando la decisione che nessun incentivo può essere concesso per il futuro ad un gruppo che disinveste e licenza nel Mezzogiorno. Se tutto questo non avesse successo, crediamo che occorra comunque assumere l'impegno a che nel sito siciliano si continui comunque una produzione nel settore dell'auto. Il tavolo aperto al Ministero per lo sviluppo economico vagli tutte le offerte che assicurano serietà e solidità in questa direzione ed offra le necessarie garanzie affinché i gruppi interessati nel settore possano concretamente esaminare l'ipotesi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Concludo, signor Presidente. L'obiettivo principale è che la FIAT non smobiliti, ma è innegabile che, se questo dovesse malauguratamente accadere, occorre mandare contemporaneamente un messaggio al mondo dell'economia e dell'impresa che comunque il Governo italiano investe sulla Sicilia e che vi sono altri imprenditori del settore disponibili a scommettere con l'aiuto di Stato e regione. Occorre, signor Presidente e onorevoli colleghi, difendere i posti di lavoro e, prima di tutto, le prospettive future di sviluppo della Sicilia e del sud (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti dell'istituto comprensivo Pian del Bruscolo in provincia di Pesaro e Pag. 45Urbino, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune accompagnati anche dai loro sindaci (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Iannaccone, il quale non è presente in Aula, pertanto si intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, abbiamo avuto notizia dal suo intervento della posizione che lei ha assunto in riferimento a queste mozioni e, in particolare, con riferimento alla mozione che vede me come primo firmatario. Con riferimento a quest'ultima lei ha proposto una riformulazione chiedendo due correzioni che comunque rientrano nello spirito dell'intervento che ho sviluppato. L'Italia dei Valori voterà a favore di tutte le mozioni che fanno riferimento alla situazione di Termini Imerese perché vuole che appaia chiaro che c'è bisogno di un impegno unanime per salvare un polo industriale e le infrastrutture ad esso collegate.
Speriamo sia un voto unanime su tutte le mozioni e da esso evidentemente discenderà un controllo sulle concrete azioni del Governo che, devo dire, fino ad ora non ha manifestato - speriamo che lo manifesti a seguito di questa votazione in Aula, così come preannunciato dal signor sottosegretario - una forte capacità di interlocuzione con la FIAT per salvare la vocazione industriale di quest'area dedicata alla produzione di auto, da realizzarsi anche con sistemi innovativi come le auto elettriche.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fava. Ne ha facoltà.

GIOVANNI FAVA. Signor Presidente, la Lega Nord Padania voterà le mozioni presentate dai colleghi di maggioranza sulla questione di Termini Imerese, ma ci teniamo a precisare le ragioni dell'articolata discussione e del dibattito che c'è stato in queste settimane e che ci ha portato a raggiungere questa conclusione. Ci teniamo a ribadire in quest'Aula che condividiamo le finalità delle mozioni e la necessità di far sì che nell'ambito di determinati territori lo Stato non abbandoni le imprese, i distretti industriali e i territori, ma ci teniamo anche a ricordare in quest'Aula che purtroppo ormai il problema non è confinato a Termini Imerese.
Nella nostra Lombardia, nel nostro Veneto, nelle nostre regioni del nord ci sono situazioni che, per gravità e importanza territoriale rivestita, se venissero sostanzialmente prese in esame con la stessa attenzione ed interesse con i quali oggi ci stiamo dedicando alla vicenda di Termini Imerese con ogni probabilità non siamo in grado di stabilire da subito che si avrebbe lo stesso atteggiamento. Quindi, noi voteremo a favore di queste mozioni perché (All'ingresso in Aula del deputato Caldoro applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)...

PRESIDENTE. Anche all'onorevole Caldoro i nostri complimenti, ma consentiamo all'onorevole Fava di proseguire nel suo intervento...

GIOVANNI FAVA. Ovviamente mi associo al tributo al collega Caldoro. Vorrei proseguire dicendo che noi crediamo che oggi si compia un gesto importante all'interno del Parlamento perché il fatto che si discuta di tali questioni nell'ambito di questo Parlamento è quasi un elemento di novità, stante il fatto che da qualche mese a questa parte il dibattito politico troppe volte è scivolato su questioni che poco interessavano i cittadini e proprio in questi giorni abbiamo visto la dimostrazione di quale sia il livello di affezione rispetto al ceto politico italiano.
Noi però ribadiamo che consideriamo questo come un primo gesto e ci auguriamo che il Governo abbia analoga capacità di prendersi impegni anche nei confronti di quei molti distretti industriali...

PRESIDENTE. Prego, onorevole Fava, se lei prosegue è meglio...

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GIOVANNI FAVA. Signor Presidente, vorrei solo l'attenzione del Governo che vedo affaccendato in questo momento...

PRESIDENTE. Nessuno disturbi il sottosegretario...

GIOVANNI FAVA. Ci terrei sottosegretario Saglia e lo ripeto, vista la sua provenienza e la sua sensibilità, che analoga capacità di mettere in campo disponibilità e impegni da parte del Governo nei confronti di quella che oggi noi tutti consideriamo un'emergenza, cioè Termini Imerese, venga posta in essere comunque in futuro anche nei confronti di quelle tante aziende che nei distretti industriali del nord stanno soffrendo più o meno allo stesso modo e del depauperamento inevitabile che ci potrebbe essere negli stessi territori. Quindi, noi sosterremo sicuramente le mozioni presentate chiedendo al Governo di cominciare a valutare a 360 gradi il grave stato di crisi industriale e produttivo del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Beltrandi. Ne ha facoltà.

MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signore e signori rappresentanti del Governo, la delegazione radicale eletta nelle liste del Partito Democratico si asterrà sui testi di tutte queste mozioni. Il voto di astensione è dovuto alla gravità del tema che qui siamo chiamati a discutere e sul quale siamo chiamati a decidere. C'è a Termini Imprese una questione sociale molto seria. Noi non intendiamo in alcun modo sottovalutarla. Tuttavia, anzi proprio per questo, dopo averle lette, ritengo che queste mozioni abbiano rappresentato un'occasione mancata.
Mi riferisco al fatto che è prevalsa in questo Paese - e sta continuando a prevalere con consenso in gran parte bipartisan - una logica per la quale quando una grande azienda si trova in una situazione di crisi, di ristrutturazione o comunque annuncia di dismettere uno stabilimento, accade che si ricorre a mani basse alla cassa integrazione ordinaria e a quella straordinaria, spesso anche quando non ci sono i requisiti e anche in violazione delle norme comunitarie. La FIAT per anni e anni ha avuto dei contributi elevatissimi, anche per quanto riguarda Termini Imerese nel corso dello scorso anno: per quasi tutto l'anno c'è stata la cassa integrazione. Poi non parliamo di tutte le sovvenzioni che sono state date al gruppo FIAT in tanti anni.
Secondo noi questa logica è sbagliata, anche perché produce l'effetto per il quale poiché la politica dà i contributi poi pretende di poter decidere e di fare le scelte industriali dell'azienda. Questo non è possibile, credo che da questa logica si debba uscire, tutelando i lavoratori e non i posti di lavoro: questa è la ricetta. In che modo? Riformando il welfare state, vale a dire passando da una sistema particolaristico che garantisce la remunerazione a ciascuna categoria in parti diverse, a un sistema che invece garantisce tutti indistintamente rispetto alle categoria di appartenenza, sul modello dei Paesi nordici. In questo modo si eliminano le disuguaglianze che sono sempre più inaccettabili su questo punto.
Invece no, si prosegue con questo tipo di politica: da una parte sussidi a fondo perduto, dall'altra pretesa di decidere al posto delle imprese. Perché dico pretesa di decidere al posto delle imprese? Perché un po' tutti i testi, anche se con una gradazione fortunatamente diversa, si rifanno all'accordo del 2008. La FIAT nel 2008 aveva siglato con la regione Sicilia e anche con lo Stato un accordo in base al quale si prevedeva il rilancio di Termini Imerese; si prevedevano non solo nuove assunzioni, ma anche la produzione di uno o più modelli nuovi. Oggi si dice: la FIAT dopo aver incassato ha mandato a monte questo impegno. Io non sono d'accordo, perché limitarsi ad osservare questo e chiedere il rispetto di quell'impegno è oggi un compito che la politica non può assumersi, per una ragione sola: dall'aprile 2008 è cambiato tutto, a causa della crisi Pag. 47economica il mercato dell'auto è mutato; è emersa in tutta la gravita una sovraccapacità produttiva di almeno 25-30 per cento in tutto il mondo. Il panorama dei costruttori è mutato: la General Motors è stata nazionalizzata di fatto, la Chrysler è stata rilevata dalla FIAT, la Ford è rimasta indipendente ma ha dovuto rinunciare a tutte le attività europee. È cambiato il mondo in maniera irreversibile, quindi richiamare gli impegni del 2008 è assurdo e sbagliato. L'azienda, per forza di cose e per fortuna, ha dovuto rivedere quegli impegni.
Detto questo il problema sociale, come dicevo prima, lo si affronta rivedendo gli ammortizzatori sociali e non tramite politiche che hanno già dimostrato il loro fallimento. Per questo, in considerazione della gravità del problema sociale di Termini Imerese, ci asterremo su tutte le mozioni (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Romano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SAVERIO ROMANO. Signor Presidente, noi voteremo a favore di tutte le mozioni e questo nostro voto, oltre a rafforzare l'iniziativa parlamentare sul problema relativo al rilancio dello stabilimento FIAT di Termini Imerese, rafforza l'azione del Governo.
Il fatto che il rappresentante del Governo abbia espresso parere favorevole, con alcune riformulazioni, che peraltro dal canto nostro accettiamo, non soltanto rafforza l'iniziativa parlamentare, ma dà più forza al rappresentante del Governo a porre alcune questioni sul tema. Però, signor sottosegretario, questo atto di fiducia da parte del Parlamento nei suoi confronti e nei confronti del Governo è un atto di fiducia a tempo, perché lei sa bene che può godere di tutto il sostegno parlamentare, ma sa anche bene che dovrà portare in questo Parlamento il risultato di una vicenda che non può concludersi con il licenziamento di 1.400 operai, con la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese.
Signor sottosegretario, lei al tavolo della trattativa dovrà dire alcune cose molto chiare, perché ha espresso un parere favorevole sulle nostre mozioni che prevedono un confronto serrato con il gruppo FIAT-Chrysler. Le nostre mozioni prevedono che venga chiesto alla FIAT, ad esempio, il motivo per cui fino ad oggi non ha utilizzato il porto di Termini Imerese per far arrivare i semilavorati e continua ancora ad utilizzare il trasporto via terra facendo sì che lievitino i costi; è il fattore trasporto, lei sa bene, che viene denunciato da parte del management di FIAT-Chrysler come elemento ostativo al mantenimento dello stabilimento a Termini Imerese.
Nelle mozioni sosteniamo che bisognerà chiedere al gruppo Chrysler-FIAT, ad esempio, se è disponibile non soltanto a tenere lo stabilimento, ma a trasformarlo da stabilimento di montaggio a stabilimento di produzione, ciò semplicemente dando corso ad un impegno che il gruppo FIAT aveva assunto nel 2007, ossia l'impegno di trasferire le presse a Termini Imerese. Dovremmo chiedere anche se il gruppo FIAT è interessato a realizzare un laboratorio di ricerca a Termini Imerese, così come ha fatto in Campania dando occupazione a 800 ricercatori, trattenendo le intelligenze nel nostro Paese e facendo sì che quella realtà potesse diventare produttiva, considerando che, tra le altre cose, in Sicilia potrebbe anche godere, oltre che degli sgravi, degli incentivi previsti dalle normative comunitarie. Inoltre, chiederemo anche se l'azienda è realmente disponibile a consentire l'insediamento in Sicilia di qualche marchio automobilistico straniero, infatti sappiamo che tante trattative non sono andate in porto perché FIAT abbandona Termini Imerese, ma vuole mantenere una sorta di monopolio in quell'area per cui nessuno deve venire a produrre autovetture nel mercato del Mediterraneo.
Allora, con molta chiarezza, signor sottosegretario, lei oggi porta via un consenso, dopo aver espresso, a sua volta, un consenso sulle nostre mozioni, che lo ingravida di responsabilità che sono quelle Pag. 48di portare un risultato che non è relativo soltanto ai 3 mila posti di lavoro che si perderebbero nei prossimi due anni, vale a dire il licenziamento degli operai oltre l'indotto, ma è relativo a quello che sta accadendo e del quale nessuno parla. Soltanto negli ultimi dodici mesi in Sicilia si sono persi ben 40 mila posti di lavoro e questi 40 mila posti di lavoro si sono persi nel settore delle piccole e medie imprese, che per la Sicilia significa il 98 per cento delle imprese presenti. Se adesso il 2 per cento delle imprese presenti, delle grandi imprese, e mi riferisco all'ENI, all'ENEL, alla FIAT, che hanno avuto forte sostegno da parte dello Stato per realizzare i loro impianti produttivi, abbandona quella terra non soltanto è un'ingiustizia nei confronti dei siciliani, ma è un vero e proprio latrocinio a danno dei contribuenti italiani (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sardelli. Ne ha facoltà.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo Noi Sud-Libertà e Autonomia ha presentato una propria mozione concernente il rilancio dello stabilimento FIAT di Termini Imerese per sottolineare la gravità della situazione nella quale versano migliaia di lavoratori, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia.
Occorre che maturi nelle classi dirigenti la consapevolezza che in questo momento la FIAT sta assumendo atteggiamenti antimeridionali, diventando un pericoloso fattore di destabilizzazione della nostra economia e della nostra pace sociale. Il Governo, inoltre, deve conseguentemente assumere iniziative forti, decisive e concrete per evitare che vi siano chiusure di stabilimenti localizzati soprattutto al sud. D'altronde, da notizie riportate dalla stampa, si evince che il gruppo FIAT avrebbe intenzione di presentare un piano industriale che prevede una riduzione di minimo 5 mila dipendenti. In modo particolare, gli stabilimenti che subirebbero riduzioni maggiori di personale sarebbero Termini Imerese, Pomigliano d'Arco e Cassino. A questi dati andrebbero aggiunti quelli ancora sconosciuti che riguarderebbero il futuro dei due principali produttori di motori FIAT: la Fma di Pratola Serra e il sito produttivo di Termoli.
Appare chiaro, pertanto che, stante anche la reticenza a tutt'oggi da parte della FIAT a sciogliere questi interrogativi, l'opzione di produrre la maggioranza dei motori presso lo stabilimento di Bielsko Biala in Polonia sia ormai la scelta prioritaria dei vertici del gruppo. Nei ripetuti incontri portati avanti dal Governo con i vertici FIAT a dimostrazione della sensibilità e dell'attenzione dell'attuale maggioranza a sfruttare le delicate questioni, si è teso a salvaguardare i livelli occupazionali, ma a tutt'oggi sono ancora molte le questioni aperte. È indispensabile che i vertici FIAT si pronuncino in maniera definitiva sugli assetti industriali di ogni singolo stabilimento al fine di aprire una serie di confronti sulle specifiche realtà produttive. Allo stabilimento Fma di Pratola Serra, ad esempio, si è registrato un forte calo della produzione che ha determinato una massiccia riduzione delle maestranze occupate, con una crescente preoccupazione tra i lavoratori e le famiglie. Inoltre, in un recente incontro l'azienda ha affermato che l'impianto di Pratola Serra dovrebbe essere inserito in un ampio contesto di ristrutturazione di tutto il comparto, senza però entrare nel merito delle competenze e delle produzioni che spetterebbero allo stabilimento stesso. Questa situazione, come quella di Termini Imerese e Termoli, desta enorme preoccupazione poiché, se si dovesse registrare una crisi irreversibile di tali stabilimenti con gli effetti a catena su tutto l'indotto, avremmo dal punto di vista occupazionale una crisi profonda che colpirebbe l'economia meridionale in territori dove già sussiste uno storico problema. A questo si deve aggiungere il danno legato alla mancanza di sviluppo, data l'enorme influenza che il polo industriale FIAT ricopre in tutto il Mezzogiorno.
Pertanto, chiediamo al Governo di rivolgersi alla FIAT affinché ottenga l'impegno Pag. 49a non chiudere Termini Imerese; chiediamo di conoscere quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dello stabilimento FIAT di Termini e per evitare che l'eventuale decisione da parte del gruppo torinese di chiudere lo stabilimento stesso possa determinare la crisi dell'attività industriale della stessa zona e dell'indotto. Invitiamo ancora il Governo a proseguire, con ancora più forte determinazione, il confronto con il gruppo FIAT al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la possibilità di sviluppo che gli impianti FIAT, soprattutto nel Mezzogiorno, rappresentano; a verificare, con il concorso di tutte le parti sociali e istituzionali coinvolte nel confronto aperto con il gruppo FIAT, la possibilità di arrivare ad un'innovazione, soprattutto negli stabilimenti siti nel Mezzogiorno che sono a rischio di chiusura definitiva. Tutto ciò al fine di rendere competitivi gli stessi stabilimenti meridionali nel mercato globale della produzione del settore automobilistico, dando un nuovo vigore alla produzione e rilanciando in tal modo anche un più ampio piano di sviluppo del territorio. Invitiamo, inoltre, il Governo a studiare tutte le norme possibili per salvaguardare il futuro e la sicurezza del reddito per tutti i lavoratori che dovessero in qualche modo essere colpiti dai processi di ristrutturazione produttiva del gruppo FIAT.

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Sardelli. Se ho ben compreso dal suo intervento e secondo quanto lei aveva già comunicato alla Presidenza, accetta la riformulazione del Governo, consistente nella soppressione dei capoversi 1 e 4 dell'impegno contenuti nella mozione Iannaccone ed altri n. 1-00350, di cui è cofirmatario.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Sì, accetto la riformulazione del Governo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, le due mozioni hanno sicuramente il merito di porre all'attenzione del Parlamento una questione assolutamente rilevante, riguardante lo stabilimento industriale di Termini Imerese. Evidentemente, non posso fare altro che condividere pienamente la mozione presentata dal gruppo al quale appartengo e da me sottoscritta. Le mozioni, a mio avviso, hanno anche un altro merito, quello di discutere complessivamente della situazione della politica industriale di un grandissimo gruppo industriale nel nostro Paese, cioè la FIAT, che a mio avviso è caratterizzato da una serie di dati che è giusto riportare all'attenzione del Parlamento anche in questo momento.
Il gruppo FIAT produce in Italia soltanto 600 mila auto, a fronte di circa due milioni di autoveicoli venduti. Basta citare ad esempio i dati della Francia, dove la produzione industriale di automobili e di autovetture è di ben tre milioni di auto, mentre la produzione in Germania è di ben sei milioni di auto. È evidente che il gruppo FIAT ha scelto da diversi decenni di diventare qualcos'altro, spostando il centro dei propri interessi al di fuori dell'Italia. Oggi probabilmente il centro degli interessi della FIAT è su una triangolazione diversa, che guarda in maniera particolare agli interessi negli Stati Uniti d'America, nel Brasile o addirittura in Russia. È chiaro che questo ci deve preoccupare, perché oggi si tratta del grido d'allarme su Termini Imerese, ma probabilmente tutto questo può avere anche un effetto di trascinamento negli stabilimenti industriali che si trovano nelle altre regioni d'Italia. Complessivamente, ci fa anche preoccupare il destino e il futuro del settore dell'automobile, settore strategico in tutto il resto del nostro Paese. Un'altra riflessione: quello che non ci ha mai convinto delle dichiarazioni dell'amministratore delegato Marchionne è la considerazione della Sicilia come regione assolutamente marginale dal punto di vista della possibilità di realizzare uno sviluppo industriale sia dell'auto che di altri prodotti. È evidente che questo è un convincimento Pag. 50che non possiamo assolutamente condividere, proprio perché la nostra regione, la Sicilia, ha una funzione assolutamente centrale e quindi baricentrica nel Mediterraneo, specie considerando proprio la possibilità che con i liberi scambi nel Mediterraneo si possono attivare nuove politiche commerciali ed economiche e quindi nuove strategie. È proprio per questo motivo che questo dibattito e l'approvazione delle mozioni non rappresentano altro che un primo passo, perché su queste tematiche dovremo nuovamente incontrarci nel Paese, ma soprattutto nelle Aule parlamentari, per dibattere del destino di questo grandissimo settore strategico per l'economia italiana ed anche quindi delle politiche industriali di questo grande gruppo, della FIAT, non soltanto nella regione Sicilia e nel resto del Paese. Per il resto, evidentemente non possiamo fare altro che ringraziare il Governo per la sensibilità dimostrata e per avere accolto interamente gli impegni da noi descritti nella nostra mozione.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'istituto comprensivo Michelini Tocci di Cagli, in provincia di Pesaro e Urbino, accompagnati anche dal sindaco, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Antoni. Ne ha facoltà.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Signor Presidente, nelle analisi svolte da parte di tutte le forze politiche, da osservatori e studiosi circa il recupero delle aree deboli del Paese, circa la possibilità di unire il nostro Paese, è comune la valutazione che solo partendo da uno sviluppo produttivo, solo mettendo fine all'assistenza e ad ogni forma di clientelismo, solo valorizzando il lavoro produttivo, la produzione e l'impresa, è possibile recuperare il ritardo che le aree deboli hanno accumulato ed anche mettere fine ad una concezione sbagliata, sicuramente penalizzante, quale è quella dell'assistenza in tutte le sue forme.
Proprio per questo è importante sottolineare che dobbiamo muoverci tutti quanti per fare in modo che questa impostazione dell'impresa, del lavoro produttivo e dello sviluppo diffuso sia la caratteristica del nostro Paese, se vogliamo uscire in positivo dalla crisi e se vogliamo dare tutti un contributo alla soluzione del problema del lavoro in tutta la sua drammaticità.
Come dicevamo durante il dibattito svoltosi in quest'Aula sulla crisi, gli effetti di quest'ultima si ripercuotono questa volta, al contrario delle volte precedenti, in maniera molto pesante sulle aree deboli del Paese, perché, al contrario delle volte precedenti, in cui le aree deboli venivano sfiorate per la loro composizione produttiva e sociale, questa volta, invece, si colpisce proprio l'anello debole della catena produttiva, e questo finisce per determinare un effetto pesante sull'occupazione e sulla chiusura di piccole e medie imprese.
Abbiamo calcolato che, nell'ultimo anno, si sono persi ben 93 mila posti di lavoro solo nel settore industriale nel Mezzogiorno, vale a dire il 10 per cento della forza lavoro, che è un effetto devastante, enorme, incredibile.
Ecco perché la questione di Termini Imerese assume un valore simbolico: non è una questione sociale, ma è una questione produttiva; non è una questione che riguarda una parte debole del Paese e, in quanto tale, dobbiamo tutti mobilitarci per solidarietà. No, è una questione produttiva, se il principale gruppo privato italiano, nel momento in cui passiamo questa crisi, che colpisce così pesantemente le aree deboli, finisce anche lui per colpire le aree deboli attraverso la chiusura di uno stabilimento e la dispersione di migliaia di persone, di professionalità e di impegno. Dobbiamo ricordarci tutti - forse non si sa - che lo stabilimento di Termini Imerese, nel suo rapporto interno, è tra i più produttivi d'Italia: il suo problema è la diseconomicità esterna; il suo problema è che è uno stabilimento di montaggio, per cui i pezzi devono arrivare e poi il prodotto finito deve ripartire. Questo determina una diseconomia; è evidente, sin dall'inizio è stato così! Pag. 51
Il problema allora non è sociale, ma produttivo; il problema è prendere atto che c'è una questione seria, che riguarda proprio un'area debole, e che l'alternativa a tutto questo non può essere l'assistenza. Bisogna trovare soluzioni produttive ad una crisi produttiva. Questo è il cuore del nostro problema!
Il Governo questa mattina, chiudendo la discussione sulle linee generali, ha detto che la FIAT si è impegnata con l'Esecutivo a portare la propria produzione da 600 mila automobili prodotte in Italia a 900 mila, e questo il Governo lo ritiene un risultato importante perché l'industria automobilistica italiana possa riprendersi; è un segnale sicuramente importante e significativo di uno spostamento in avanti nella produzione automobilistica italiana.
Non si capisce, allora, perché una parte di queste 300 mila automobili in più che bisogna produrre in Italia, 100-150 mila vetture, non possano essere prodotte negli stabilimenti delle aree deboli del Paese, a partire da Termini Imerese.
Se il problema è la diseconomicità di uno stabilimento di montaggio, bisogna risolvere questa criticità, cioè fare in modo che si realizzi uno stabilimento completo, così come la FIAT aveva detto e così com'è possibile fare. Bisogna evitare le diseconomie; in questo modo, con uno stabilimento completo, che abbia le presse, si eviterebbe questo doppio trasporto.
A quel punto, recuperando le diseconomie, si avvierebbe una fase produttiva, e si produrrebbe in un'area debole del Paese.
Per fare ciò la FIAT vuol essere aiutata? Dobbiamo allora chiarirci, colleghi: tutti gli Stati d'Europa hanno aiutato il settore automobilistico, e non si capisce perché l'Italia abbia questo scandalo, perché il problema riguarda un'area debole. La Germania ha aiutato in maniera pesante il suo settore automobilistico, e si vede il risultato! La Francia lo ha fatto in maniera formidabile, rifinanziando, ricapitalizzando Renault! E allora perché l'Italia non lo deve fare? Perché non deve trovare lo strumento, attraverso il quale possa essere possibile la creazione di uno stabilimento produttivo completo, e così sconfiggere l'assistenza, e così sconfiggere tale mentalità? Si può fare avviando produzioni ecocompatibili, determinando una nuova condizione anche nel settore della ricerca e dello sviluppo: si può determinare tutto questo.
Il Governo stamattina ha detto che è disposto, tra Governo e regione, a mettere in campo 450 milioni di euro. Bene! Penso che può fare qualcosa di più, che può arrivare un po' più su, perché l'Europa l'ha consentito alla Germania e alla Francia, e può consentirlo all'Italia. Se mette qualcosa di più, come è possibile fare, se usa le risorse destinate alle aree deboli per le aree deboli del Paese, questo si può fare. Se si fa, è possibile - non dico che sia sicuro, è possibile - convincere la FIAT che la strada per aumentare la produzione in Italia non è smantellare gli stabilimenti esistenti, non è chiudere gli stabilimenti esistenti, ma invece provare a fare stabilimenti produttivi ed economici.
Questa è la scommessa! Su questo il Governo deve scommettere! Per questo, a mio giudizio, il Governo sbaglia quando fa gli annunci che ha fatto in queste settimane, quando dice che ha 16 manifestazioni di interesse: quando si hanno 16 manifestazioni di interesse, vuol dire che non se ne ha nessuna! Quando poi si aggiunge, come ha fatto il Ministro Scajola, che si fa un bando internazionale per vedere se ve ne sono altre, è come annullare le 16 già pervenute! Allora perché tutto questo? Perché assolvere la FIAT? Perché tenerla fuori dalla politica industriale dell'automobile nel nostro Paese? La FIAT deve stare lì, inchiodata, deve assumersi la responsabilità di quello che fa: dobbiamo offrirgli un'ipotesi di sviluppo e di politica industriale nel settore automobilistico come fanno gli altri Paesi europei. E comunque, la FIAT deve stare al tavolo per cercare insieme al Governo la soluzione produttiva per lo stabilimento di Termini Imerese. Niente assistenza, niente cassa integrazione: questa è la logica che tutti invochiamo a parole, ma che poi non facciamo corrispondere ai fatti conseguenti. Pag. 52
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato che comunque si sta occupando anche lui di Termini Imerese, e sarà trovata una soluzione in cui saranno incrementati i livelli occupazionali: l'ho sentito con le mie orecchie, in una trasmissione televisiva. Prendo atto di questo impegno, lo dico con grande serietà. Dico che nel momento in cui il Governo ha dato parere favorevole alla nostra mozione, con la riformulazione che il sottosegretario ha precisato, noi la accettiamo, proprio perché apriamo un credito, una fiducia.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. La partita è troppo importante per essere giocata di rimessa: la partita va giocata interamente, perché non vi è solo - insisto - in discussione il futuro dello stabilimento; vi è in discussione una concezione di Italia produttiva, vi è in discussione un futuro di Paese unito, vi è in discussione una capacità vera di politica industriale in questo Paese.
Noi esprimeremo voto favorevole su tutte le mozioni presentate, perché vogliamo dare un segnale serio: il Parlamento intero, in maniera unanime, deve pronunciarsi su questa impostazione e su questo futuro; e verificheremo nei comportamenti del Governo la corrispondenza tra le cose dichiarate in Aula e i fatti che metterà in moto. Questo è il compito di una seria opposizione, che faremo senza sconti e senza risparmi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fallica. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FALLICA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, come sappiamo nel corso degli ultimi anni il settore della produzione automobilistica ha subito profondi cambiamenti, e l'offerta di automobili nel mondo da anni oramai risulta essere superiore alla capacità di assorbimento del mercato.
La globalizzazione ha prodotto effetti particolarmente evidenti proprio sul mercato automobilistico, che ne è diventato quasi un simbolo essendo stato il settore che per primo ha mostrato i suoi effetti. Molti dei nuovi protagonisti dei mercati internazionali hanno puntato con forza proprio sul comparto automobilistico: è il caso della Cina e dell'India e, come sappiamo, stiamo parlando di realtà produttive gigantesche, con immense risorse naturali a disposizione e costi di produzione bassissimi.
Rispetto a tali antagonisti reggere il confronto per i vecchi protagonisti del mercato delle automobili appare particolarmente complicato; non a caso negli ultimi anni abbiamo assistito ad una serie di continue fusioni che hanno coinvolto ed interessato tutte le storiche case automobilistiche, tanto europee quanto americane.
Dobbiamo tenere presente inoltre che in Europa proprio il comparto automobilistico ha sempre avuto e continua ad avere un ruolo strategico, fondamentale per molti Stati, in chiave occupazionale: Mercedes o BMW, Opel, Renault e Citroën in Francia, come la FIAT in Italia, non sono semplici aziende ma rivestono ed hanno rivestito il ruolo di realtà che si potrebbero definire parastatali, quasi aziende di Stato (realtà capaci cioè di incidere sulla storia del proprio Paese, sul suo PIL nazionale come sui suoi tassi di occupazione).
Le fusioni e le evoluzioni da cui sono stati interessati tutti questi soggetti in un tempo relativamente molto breve, negli ultimi dieci o quindici anni, hanno per sempre cambiato la loro storia e il loro ruolo; tutti questi soggetti hanno beneficiato a vario titolo e in varie forme di finanziamenti pubblici elargiti direttamente dai propri Governi nazionali ed anche dall'Europa nel suo complesso.
In Italia la FIAT ne ha potuto sempre beneficiare, anche mentre si costituiva nel nostro Paese un vero e proprio monopolio nel mercato delle automobili; tale situazione di monopolio nella produzione ed i costanti aiuti di Stato hanno determinato Pag. 53una realtà forse unica al mondo, che ha illuso per troppo tempo sulla possibile autosufficienza dell'azienda di Torino.
Oggi si paga il prezzo di quella illusione: a pagarlo è stato chiamato lo Stato, la collettività e soprattutto i lavoratori. Non è - come detto - la prima volta che si pubblicizzano le perdite di un'azienda che ha però sempre privatizzato i profitti, beneficiando sempre dei contributi pubblici. La storia della FIAT è anche una storia di aiuti pubblici, di rottamazioni e di casse integrazioni costanti e ripetute nel tempo; ciò è dovuto in parte al fatto che la FIAT, per quasi cinquanta anni, ha ricoperto in Italia il ruolo di unica vera grande impresa privata, in un'economia sostanzialmente controllata dallo Stato.
Purtroppo l'afflusso costante di sussidi e sostegni economici, così come la decisione di imporre quote e dazi sulle automobili di importazione, ha reso la FIAT meno efficiente, le ha consentito di ritardare i tempi dell'adattamento alle condizioni di mercato, le ha reso meno urgente ristrutturarsi in diverse fasi della sua storia. Chi si illudeva che la fusione con la Chrysler sarebbe stata la panacea di tutti i mali, oggi scopre una realtà diversa. Oggi Governo, sindacati e management FIAT si trovano a giocare una delle partite più difficili del momento: uno stabilimento strategico come quello di Termini Imerese si prepara a cessare la propria attività, eppure senza andare troppo indietro nel tempo vi è stato un momento in cui per lo stabilimento FIAT di Termini pareva aprirsi una nuova prospettiva capace di alimentare fondate speranze.
Non ci riferiamo, sia chiaro, all'esito della lotta condotta dai sindacati dei metalmeccanici a partire dall'ottobre del 2002 per difendere lo stabilimento auto, sito in provincia di Palermo (lotta la cui asprezza, e il cui risultato parzialmente positivo, sono rimasti non solo nella memoria dei lavoratori interessati, ma anche in quella dell'opinione pubblica). Nell'ambito di questo progetto espansivo, la FIAT dichiarò di essersi impegnata per restituire produttività e redditività allo stabilimento di Termini. La produzione annua doveva salire a 200 mila auto, mentre l'organico doveva quasi raddoppiare, passando dagli oltre 2 mila addetti a più di 4.500. Ma le cose in realtà sono più complesse. Infatti, la crisi globale è scoppiata proprio nel 2008 e la presentazione del piano industriale, prevista per giugno o luglio di quell'anno, fu poi rinviata dalla FIAT per 12 mesi, fino a luglio del 2009. Ma il punto non è questo, ma è il fatto che la nuova FIAT globalizzata ha cambiato idea sui suoi assetti produttivi.
Ebbene, di fronte a questa realtà è necessario fare, in primo luogo, due considerazioni. La prima è che le regole dell'Unione europea non consentirebbero agli Stati membri di intervenire a sostegno delle imprese in difficoltà, se non in casi espressamente previsti, quali ad esempio lo sviluppo economico regionale e la salvaguardia e la creazione di nuovi posti di lavoro. La seconda, è che appare evidente che la chiusura di importanti realtà nel settore delle autovetture come quella di Termini, potrebbe comportare un vero e proprio cedimento della politica industriale del Paese. Di fronte a queste realtà, si chiede, dunque, che il Governo intervenga a sostenere, anche d'intesa con gli enti locali e le organizzazioni sindacali, un piano di interventi che rilanci la presenza industriale nella regione siciliana, facendo perno sulla possibilità di utilizzare risorse statali, regionali ed europee, al fine di risolvere le criticità di carattere infrastrutturale e logistiche dell'area, e intervenga, soprattutto, sul rinnovamento tecnologico e sulla qualificazione professionale dei lavoratori, al fine di dare continuità e rilancio allo stabilimento di Termini Imerese.
Un plauso va, comunque, rivolto al Presidente del Consiglio Berlusconi e al Ministro Scajola, che con tempestività e tenacia sono intervenuti prontamente sulla drammatica situazione dei lavoratori e, quindi, per la salvaguardia dei posti del lavoro che rappresentano, contrariamente a quanto si dice, un punto strategico dell'economia industriale del nostro Paese e, in particolar modo, del Mezzogiorno Pag. 54d'Italia. Comunque, noi siamo dalla parte dei lavoratori (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Vincenzo Antonio Fontana. Ne ha facoltà.

VINCENZO ANTONIO FONTANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quale parlamentare siciliano, e sottoscrittore della mozione a prima firma dell'onorevole Fallica, non posso esimermi dal sottolineare la grande tensione determinata in Sicilia dal fatto che l'azienda ha dichiarato che avrebbe chiuso comunque i battenti nel giro di pochi mesi. È una decisione che colpisce gravemente un territorio che ha un forte ritardo di sviluppo e che sconta purtroppo in maniera pesante l'attuale fase congiunturale. È una decisione che non poteva, e non può, non destare un vivo allarme e preoccupazione e che deve necessariamente destarla nell'intero Paese e anche in quest'Aula, dove siamo chiamati a rappresentare l'intera comunità nazionale. Si tratta di una decisione che, comunque, getta nello sconforto più di 2 mila persone, compreso l'indotto, le loro famiglie e l'intera isola. È una decisione che mi ha spinto, insieme a tanti colleghi, a presentare questa mozione ed a sollecitare precisi impegni da parte del Governo per conoscere quali iniziative intenda prendere per avviare a soluzione una questione fondamentale che riguarda l'attività produttiva della nostra isola.
Abbiamo avuto modo anche di apprezzare il Governo, e in particolare il Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, nella delicata vicenda proprio per l'opportuna proposta di definire un bando internazionale, un bando pubblico per vedere e per valutare se ci sono ulteriori manifestazioni di interesse oltre a quelle che sono state già raccolte. Vorrei fare anche un plauso all'onorevole Antonio Tajani, Commissario per l'industria e per l'imprenditoria dell'Unione europea, il quale è molto attento al rilancio del settore automobilistico e che ha anche dichiarato che esistono molte risorse da parte della Comunità europea per riavviare le attività produttive. Vorrei comunque concludere dicendo che non solo è necessario guardare la Sicilia con grande attenzione per la salvaguardia dei posti di lavoro, ma anche perché è giusto rilanciare lo sviluppo attraverso l'attività industriale. Credo che una delle soluzioni potrebbe essere quella della green car, quindi guardando con grande interesse alla produzione di auto ecologiche, che potrebbero essere appunto la punta di diamante dell'innovazione tecnologica. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Vincenzo Antonio Fontana, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

STEFANO SAGLIA, Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

STEFANO SAGLIA, Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico. Signor Presidente, intendo modificare il parere del Governo sulla mozione Lo Monte ed altri n. 1-00319. Qualora fosse accettata la seguente riformulazione, a proposito del secondo capoverso del dispositivo, il parere del Governo sarebbe positivo. La riformulazione del secondo capoverso del dispositivo è la seguente: «a prevedere che, in caso di incentivazioni statali a filiere produttive, queste non vengano concesse ad aziende che abbiano delocalizzato parti significative della propria produzione».

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori della mozione Lo Monte ed altri n. 1-00319 accettano la riformulazione testé proposta dal rappresentante del Governo.
Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

Pag. 55

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lo Monte ed altri n. 1-00319, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Cristaldi, onorevole Vico, onorevole Nizzi, onorevole Fogliardi, questore Colucci...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 471
Votanti 464
Astenuti 7
Maggioranza 233
Hanno votato
464).

Prendo atto che i deputai Vernetti, Rao e Monai hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Leoluca Orlando ed altri n. 1-00292, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Vico, onorevole Mazzocchi, onorevole Latteri, onorevole Vella, onorevole Costa...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 472
Votanti 410
Astenuti 62
Maggioranza 206
Hanno votato
408
Hanno votato
no 2).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Bersani ed altri n. 1-00348, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Vico... onorevole Migliori... onorevole Grimaldi... onorevole Rosso...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 472
Votanti 420
Astenuti 52
Maggioranza 211
Hanno votato
420).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Cicchitto ed altri n. 1-00349, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Vico... onorevole Vella... onorevole Di Caterina... onorevole Vitali...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 472
Votanti 448
Astenuti 24
Maggioranza 225
Hanno votato
447
Hanno votato
no 1).

Prendo atto che il deputato Monai ha segnalato che avrebbe voluto astenersi.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Iannaccone ed altri n. 1-00350, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Pag. 56

Onorevole Della Vedova... onorevole Girlanda... onorevole Mondello... onorevole Migliori...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 471
Votanti 441
Astenuti 30
Maggioranza 221
Hanno votato
441).

Prendo atto che il deputato Antonino Foti ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Romano ed altri n. 1-00351, nel testo riformulato, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Vitali... onorevole Vico... onorevole Mondello...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti 473
Votanti 443
Astenuti 30
Maggioranza 222
Hanno votato
399
Hanno votato
no 44).

Sull'ordine dei lavori (ore 17,12).

SESA AMICI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, rubo pochissimi minuti. Nella giornata di oggi, durante lo svolgimento dello scrutinio per le elezioni amministrative del comune di Fondi, lo studio di un esponente della lista del Partito Democratico è stato «preso» con un atto intimidatorio. Si tratta della stessa persona che nemmeno due mesi fa aveva subito un attentato incendiario.
Credo che la situazione di Fondi, per le note vicende che quest'Assemblea ha avuto modo già di ascoltare, meriti ancora da parte del Governo e, in particolare, del Ministero dell'interno, un'attenzione particolare. Infatti, contestualmente a questi atti intimidatori, in quella realtà continuano le operazioni antimafia, le quali stanno evidenziando notevoli infiltrazioni in quel contesto.
Esprimendo, dunque, la solidarietà al candidato Bruno Fiore, credo che quest'Assemblea, proprio per il soggetto, che era già stato vittima di un attentato, meritasse un intervento sull'ordine dei lavori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Amici, esprimo solidarietà da parte nostra.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 31 marzo 2010, alle 15:

1. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

2. - Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 17,15.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO LAURA GARAVINI SUL COMPLESSO DELLE PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE AL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3322

LAURA GARAVINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento è Pag. 57la dimostrazione di come sia approssimativo il modo di legiferare portato avanti da questo Governo: un sistema disordinato, corretto a colpi di emergenze, inventate in quattro e quattr'otto per sopperire agli errori scaturiti dalla fretta con cui si è licenziato il decreto precedente. Un sistema che a lungo andare rischia di provocare seri danni alla lotta alla mafia.
Stiamo esaminando un decreto-legge che, a detta dello stesso Ministro Alfano, è «una toppa al buco» (dichiarazione del Ministro Alfano tratta dal sito del Governo, www.governo.it, «Un decreto per fermare la scarcerazione dei mafiosi». Si afferma: «Sarebbe stato un impatto notevole. Siamo lieti - ha detto il Ministro Alfano - di aver posto una toppa al buco che si era creato.»); una toppa improvvisata per porre rimedio ad un grave difetto normativo che ha rischiato di annullare centinaia di processi per mafia e di mettere a piede libero centinaia di pericolosi detenuti.
Cosa è successo, in sintesi.
La legge ex-Cirielli (n. 251 del 5 dicembre 2005) ha aumentato le pene per associazione mafiosa portando il massimo di reclusione a ventiquattro anni.
In questo modo i processi passano alla competenza della corte d'assise, dal momento che il codice di procedura penale prevede che diventino di competenza della corte d'assise proprio quei reati che prevedono una reclusione non inferiore ad un massimo di ventiquattro anni. Di fatto però, il trasferimento di competenza, entrando in vigore anche per i processi in corso, provocherebbe il rischio di scarcerazione per centinaia di mafiosi.
Lo ha confermato la Cassazione con una sentenza del 21 gennaio scorso.
Chiamata a pronunciarsi su un conflitto di competenza sollevato dalla corte d'assise di Catania su atti trasmessi dal tribunale ordinario, la Cassazione ha infatti dichiarato l'incompetenza dei tribunali a giudicare il delitto di associazione di tipo mafioso aggravato confermando che la corte d'assise diventa competente per i reati in questione.
In sostanza, tutti i processi per mafia in corso davanti ai tribunali che, a causa di aggravanti, prevedevano più di 24 anni di reclusione, passerebbero alla competenza della corte d'assise, producendo gravi conseguenze: dall'arretramento del processo in primo grado, fino alla cancellazione di sentenze per i mafiosi, persino in dibattimenti quasi conclusi.
Con questo «buco» o «svista» normativa si rischierebbe dunque, se non procedessimo ad un provvedimento di correzione, l'annullamento di 388 processi per mafia, di cui 243 presso le Corti d'appello e i tribunali, 4 presso le procure generali e 141 pendenti presso le Direzioni antimafia (dati pubblicati dal sito del Governo: www.governo.it, «Un decreto per fermare la scarcerazione dei mafiosi»).
Il che significherebbe la scarcerazione di più di un centinaio di pericolosi detenuti (da www.governo.it).
In più si è rischiato anche di ingolfare gli uffici delle Corti d'assise con nuovi processi e di affidare il giudizio di imputati di mafia ad una maggioranza di giudici popolari che non sono tecnici e che, soprattutto, in realtà come quelle meridionali potrebbero essere condizionati ed intimiditi.
Il Governo ha dovuto porre rimedio ad un grave errore, introducendo una correzione normativa che esclude i reati di associazione mafiosa dalla competenza della corte d'assise.
Il Partito Democratico, con forte spirito di responsabilità , ha garantito la sua collaborazione. I colleghi del Partito Democratico al Senato hanno contribuito in modo consistente al miglioramento del testo del decreto in esame, votandolo poi all'unanimità.
Ma non possiamo esimerci dal rilevare che un martellante e continuo abuso del ricorso a decretazione d 'urgenza è molto negativo: non solo non consente un proficuo dibattito parlamentare, ma può fare scaturire, a causa della ristrettezza dei tempi, come dimostra questo provvedimento, gravi errori ed incongruenze legislative. Pag. 58
Questo decreto presenta poi altri limiti.
Innanzitutto il Governo non si è limitato al solo intervento riparatore di rettifica, finalizzato ad evitare le scarcerazioni. Per l'ennesima volta il Governo abusa di un decreto per anticipare altre sue richieste attribuendo alle corti di assise ulteriori competenze, come quelle relative ai reati in materia di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù e di terrorismo, e di competenza della Direzione distrettuale antimafia; i reati inseriti sono: articoli 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù), 601 (tratta di persone), 602 (Acquisto e alienazione di schiavi), delitti con finalità di terrorismo sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.
Per questi delitti (e mi riferisco agli articoli 600, 601 e 602) la legge (11 agosto 2003, n. 228) aveva già escluso che la competenza passasse alla corte d'assise proprio perché si ritiene più opportuno che il loro accertamento sia attribuito ad un organo composto interamente da giudici togati.
Un parere in questa direzione lo hanno espresso sia il Consiglio superiore della magistratura che la Direzione nazionale antimafia come pure l'Associazione dei funzionari dell'amministrazione della giustizia.
A differenza dei giudici togati, infatti, i giudici popolari non hanno le competenze tecniche adeguate a pronunciarsi su reati così complessi - come, ad esempio, il traffico di esseri umani - e rischiano di interpretare in modo inadeguato i fatti.
E poi c'è un aspetto funzionale: ampliare le competenze della corte d'assise, come propone il Governo, e quindi moltiplicare il numero dei collegi giudicanti e delle giurie popolari senza aumentare gli organici e il personale, rischia di paralizzare ulteriormente lo svolgimento dei processi.
Il Partito Democratico propone di eliminare questa aggiunta inserita nel provvedimento perché è utile solamente ad ingolfare gli uffici di Assise, lasciati senza ulteriori risorse finanziarie, e non garantisce le competenze tecniche utili a giudicare i citati reati di particolare allarme sociale.
Ci troviamo di fronte insomma ad un decreto che, se da un lato va a tamponare una situazione di emergenza, dall'altro azzarda misure estemporanee che nulla hanno a che vedere con una organica riforma della giustizia.
Il Partito Democratico condivide la necessità di una veloce approvazione che impedisca la scarcerazione di pericolosi mafiosi ma contesta l'approccio approssimativo che ancora una volta questo Governo sta usando anche su norme che interessano la lotta alla mafia.
Una lotta che dovrebbe essere un valore condiviso all'unanimità e che non dovrebbe prestare il fianco a giochetti di basso profilo.

TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO MARILENA SAMPERI SUL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3322

MARILENA SAMPERI. Il decreto-legge oggi in discussione interviene in materia di competenza per materia della corte d'assise ed incide, conseguentemente, sulla competenza residuale del tribunale. Il decreto è principalmente finalizzato a radicare presso i tribunali non solo per i processi in corso, ma in via generale, la competenza per i delitti di associazione di tipo mafioso, con riferimento anche alle ipotesi aggravate che, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n.251, rientrerebbero, per l'aumento della pena edittale fino a ventiquattro anni di reclusione nella competenza della corte di assise. In questo modo, si rende omogeneo il regime della competenza rispetto a tutte le fattispecie contemplate nell'articolo 416-bis del codice penale.
La nuova disciplina è stata dettata dall'esigenza di scongiurare il rischio concreto dell'annullamento di dibattimenti importanti e complessi incardinati presso i tribunali nonché della scadenza di termini di custodia cautelare a seguito della Pag. 59sentenza n. 4964 dell'8 febbraio 2010. Con tale sentenza, la prima sezione della Corte di cassazione, risolvendo un conflitto negativo di competenza fra un tribunale e una corte d'assise, ha affermato che per effetto dell'aggravamento dei limiti edittali di pena operato dalla legge n. 251 del 2005 in relazione al delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, la competenza sarebbe attribuita, nel caso in cui il reato riguardi i promotori o i capi dell'organizzazione dell'associazione di tipo mafiosa e se ricorre l'aggravante di associazione armata, alla corte d'assise.
In base ai principi enunciati dalla Cassazione, numerosi processi relativi ad associazioni di tipo mafioso in fase dibattimentale dinanzi al tribunale, se relativi a reati consumati dopo l'entrata in vigore della cosiddetta legge ex Cirielli, erano esposti al rischio di dover essere interrotti. Erano, inoltre, a rischio di regressione anche i processi in corso nei successivi gradi di giudizio, poiché l'incompetenza per materia del giudice potrebbe essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
All'azzeramento dei processi sarebbe seguita la scarcerazione di imputati cui venivano contestati gravi delitti di mafia. L'allarme era grave e fondato ed era quindi necessario intervenire per evitare l'azzeramento di oltre 380 processi e la scarcerazione di tanti detenuti.
Pur condividendo la finalità di salvare «processi a rischio» di questo decreto, non possiamo esimerci dal sottolineare come esso non si limiti ad arginare il danno, ma apporti ulteriori modifiche al riparto di competenze tra corte di assise e tribunale, ampliando le competenze della corte d'assise.
Unicamente sotto questo profilo il gruppo del Partito Democratico manifesta perplessità pur nella consapevolezza che il testo emendato dal Senato rappresenta un forte miglioramento rispetto al testo originario del decreto-legge. L'ampliamento eccessivo della competenza della corte d'assise, infatti, oltre a determinare un allungamento dei tempi processuali, rischiava di favorire fenomeni di indebita pressione e intimidazione a carico dei giudici popolari. Lo stesso viceprocuratore nazionale antimafia ha sottolineato il rischio che talune delle nuove competenze proposte per la corte d'assise avrebbero potuto determinare nell'ipotesi di connessione di reati, a norma dell'articolo 15 del codice di procedura penale, l'attrazione di reati più gravi, quali quelli di cui all'articolo 416-bis del codice penale, al giudizio della corte d'assise competente per reati meno gravi, rischio sottolineato anche dalla Cassazione nella sentenza citata.
Pur registrando un notevole miglioramento della normativa proposta rimangono alcuni problemi.
L'Unione camere penali ha rilevato che la competenza non va fissata solo in base al parametro del rilevante allarme sociale, ma anche in base a considerazioni quali - ad esempio - la frequenza statistica del crimine, la maggiore professionalità richiesta nel giudicarlo, la maggiore speditezza nel reprimerlo, la necessità di assicurare una maggiore rapidità di giudizio Nello stesso senso si sono espressi il Consiglio superiore della magistratura, la Direzione nazionale antimafia e l'Associazione dei funzionari dell'amministrazione della giustizia.
Inoltre ampliare oltre misura l'ambito di competenza della corte d'assise significa rallentare i tempi della giustizia, rischiare di ripetere processi (è bene non dimenticare che il nostro ordinamento prevede che, in tutti i casi in cui venga a cambiare anche uno solo dei membri del collegio - il giudice collettivo - che decide, il processo deve ricominciare da capo), con prevedibili conseguenze visto che il giudice è composto da otto persone. Non a caso, infatti, nei maxiprocessi di criminalità organizzata, per evitare questo genere di rischi, vi è l'abitudine di predisporre un doppio collegio, in modo tale che i giudici supplenti siano presenti allo svolgimento del dibattimento pronti ad intervenire e ad evitare eventuali reiterazioni, catastrofiche dal punto di vista dei termini di custodia cautelare e in generale dell'allarme sociale che ne deriva, l'estensione delle competenze della corte d'assise fatta al di fuori Pag. 60di una riflessione organica sulla distribuzione di competenze e sulla natura stessa del giudizio penale, può produrre molti più danni di quanti non tenda ad evitare.
Spesso, durante questa legislatura abbiamo invitato il Governo a non procedere con interventi di carattere estemporaneo, soprattutto nel delicato ambito dell'ordinamento penale. Infatti, anche interventi di portata limitata possono avere effetti pregiudizievoli del corretto svolgersi della funzione giurisdizionale. In un campo delicato, come quello penale, è infatti necessario procedere con riforme processuali e sostanziali organiche che siano il più possibile meditate e valutate in tutte le loro possibili conseguenze per evitare di accrescere le disfunzioni dell'ordinamento giudiziario, già in sofferenza.
Si tratta sempre di procedimenti complessi, spesso fondati su attività di intercettazione, sulla valutazione di dichiarazioni di collaboratori, su indagini tecniche che richiedono la soluzione di complesse questioni tecniche e procedurali, con uno studio approfondito del materiale probatorio e un'attenta valutazione delle prove che rendono necessaria una particolare competenza ed esperienza dei giudici professionali. Per questo motivo abbiamo ritenuto poco coerente con questa condivisibile scelta di escludere tali reati dalla competenza della corte d'assise l'attribuzione in questa sede di alcuni reati alla competenza della suddetta corte, pur dando atto che il testo, rispetto a quello proposto dal decreto-legge originario, è stato notevolmente migliorato.
Il secondo problema è costituito dal meccanismo di individuazione del giudice superiore per i procedimenti connessi di competenza del tribunale, disciplinato dall'articolo 15 del codice di procedura penale. Con la proposta di modifica dell'articolo 5, lettera d-bis), si determina infatti una vis attrattiva di delitti meno gravi rispetto a delitti più gravi. Per queste ragioni il Partito Democratico aveva proposto in Commissione emendamenti tesi a limitare l'attribuzione di nuovi reati alla competenza della corte d'assise, a una migliore riscrittura delle norme transitorie e a intervenire sulla disciplina della connessione dei reati, al fine di evitare che questa potesse determinare ulteriori attribuzioni di competenza alla corte d'assise a seguito della introduzione della nuova lettera d-bis) nell'articolo 5 del codice di procedura penale (potrebbe capitare per esempio che l'associazione finalizzata all'immigrazione clandestina - reato meno grave - sposti la cognizione in assise del reato di associazione mafiosa che pure era stata restituita al tribunale). Il testo pervenuto deriva dall'approvazione al Senato di un emendamento, elaborato con il contributo dell'opposizione e teso a circoscrivere, rispetto al decreto-legge originario, il novero dei nuovi reati attribuiti alla competenza della corte d'assise. Il testo così rielaborato assegna alla corte d'assise delitti contro l'integrità della persona, delitti che colpiscono la persona nella libertà, delitti contro lo Stato, la sicurezza dello Stato, l'unità nazionale, nonché quelli che attengono alle minacce di tipo terroristico allo Stato e alla convivenza civile della comunità nazionale.
Questa nostra preoccupazione concerne esclusivamente la funzionalità della giustizia, ma di base resta naturalmente la necessità di dare un voto positivo a un provvedimento che il Partito Democratico ha ampiamente auspicato dal punto di vista politico per evitare che i processi di mafia potessero essere messi in non cale e potessero essere scarcerati vari imputati di fatti gravi che si trovavano anche nella fase di condanne già attribuite, quindi con possibilità di mettere in forse i giudizi di primo, secondo e terzo grado e perfino di intervento in sede di revisione.

TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO VINCENZO ANTONIO FONTANA SULLE MOZIONI CONCERNENTI IL RILANCIO DELLO STABILIMENTO FIAT DI TERMINI IMERESE.

VINCENZO ANTONIO FONTANA. Come parlamentare siciliano, e sottoscrittore della mozione che stiamo discutendo, Pag. 61non posso esimermi dal sottolineare la grande tensione che ha determinato la decisione del gruppo Fiat Auto, con la quale l'Azienda ha manifestato la volontà di cessare la propria attività presso lo stabilimento di Termini.
Una decisione che colpisce gravemente un territorio a forte ritardo di sviluppo che sconta in maniera più pesante l'attuale fase congiunturale.
Una decisione che non poteva e non può non destare vivo allarme e preoccupazione in Sicilia e che deve necessariamente destarla nel Paese e naturalmente anche in quest'aula dove siamo chiamati a rappresentare gli interessi dell'intera comunità nazionale.
Una decisione che getta nello sconforto oltre duemila lavoratori, compresi quelli dell'indotto, le loro famiglie e tutta l'Isola.
Una decisione che ha spinto me, insieme a tanti colleghi, a sollecitare precisi impegni da parte del Governo per conoscere quali iniziative intende adottare per il mantenimento e lo sviluppo dell'attività industriale nell'area di Termini Imerese.
Una decisione che presuppone iniziative adeguate per sostenere, anche d'intesa con gli enti locali e le organizzazioni sindacali, un piano di interventi che rilanci la presenza industriale nella Regione facendo perno sulla possibilità di utilizzare risorse statali, regionali ed europee al fine di risolvere le criticità di carattere infrastrutturale e logistico dell'area.
Abbiamo avuto modo di apprezzare l'approccio del Ministro per lo sviluppo economico, Claudio Scajola, alla delicata vicenda con l'opportuna proposta di definire un bando internazionale pubblico per vedere se ci sono ulteriori manifestazioni di interesse, oltre a quelle già raccolte.
Abbiamo avuto modo di apprezzare, altresì, i pronunciamenti a favore di Termini Imerese del vicepresidente della Commissione europea e Commissario all'Industria Antonio Tajani, molto attento al rilancio del settore automobilistico.
Signor Presidente, illustri rappresentanti del Governo, colleghi tutti, il tempo a disposizione per affrontare una situazione così grave è abbastanza congruo e consente di trovare quelle risposte che possono ridare serenità ai lavoratori, alle loro famiglie, alla comunità locale e contemporaneamente offre l' occasione di indicare orizzonti capaci di fare guardare con speranza al futuro.
Lo stabilimento Fiat di Termini Imerese produrrà la Ypsilon fino al 31 dicembre 2011 e quindi, come ha recentemente ribadito il Ministro Scajola «abbiamo tempo di scegliere con attenzione la migliore opportunità».
Come ho avuto modo di osservare prima, in difesa di Termini si è pronunciato da Bruxelles anche il Vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani che ha sottolineato come il rilancio e la trasformazione dello stabilimento potrebbe avvenire nell'ambito di un progetto finanziato con fondi dell'Unione europea e inserito nella nuova strategia per lo sviluppo dell'industria automobilistica verde e in particolar modo elettrica.
Anche questa può essere una pista di lavoro da prendere in considerazione per approdare ad un progetto di respiro europeo, innovativo, che punti a realizzare auto elettriche e, perché no, anche con un forte collegamento con l'università e con l'Unione europea.
La Sicilia potrebbe quindi non solo salvaguardare i posti di lavoro legati all'indotto auto, ma potrebbe fare in modo che quest'area dell'Isola diventi una sorta di centro d'avanguardia europeo per la green car e, nello stesso tempo, una punta di diamante nel settore dell'innovazione tecnologica.
In attesa di individuare le soluzioni più idonee a difendere gli attuali livelli occupazionali, guardando alla primaria esigenza di restituire serenità ai lavoratori e alle loro famiglie, siamo sicuri che il Governo gestirà al meglio questa situazione di crisi e troverà il modo per creare una occasione di rilancio per l'economia siciliana anche per quei giovani che guardano fuori dalla Sicilia per evitare di subire la sorte dei genitori. Pag. 62
Ovviamente non ci limiteremo ad auspicare che tutto questo avvenga, ma siamo pronti ad offrire la più ampia collaborazione per favorire gli opportuni percorsi legislativi atti a facilitare il raggiungimento degli obiettivi richiamati, così come non esiteremo ad esercitare la più solerte vigilanza affinché il tempo che ci separa da qui al 31 dicembre 2011 non trascorra invano.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 19 febbraio 2010, a pagina 34, prima colonna, le righe dalla diciottesima alla ventunesima riga, si intendono sostituite dalle seguenti: «non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Miotto n. 9/3196-A/57, accolto dal Governo come raccomandazione».

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEI DISEGNI DI LEGGE DI RATIFICA NN. 3226, 3227 E 3228 E DELLA MOZIONE n. 1-00326

Ddl di ratifica nn. 3226, 3227 e 3228

Tempo complessivo: 2 ore per ciascun disegno di legge di ratifica.

Relatore 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 18 minuti (con il limite massimo di 4 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 22 minuti
Popolo della Libertà 20 minuti
Partito Democratico 22 minuti
Lega Nord Padania 11 minuti
Unione di Centro 9 minuti
Italia dei Valori 8 minuti
Misto: 12 minuti
Alleanza per l'Italia 2 minuti
Noi Sud/Lega Sud Ausonia 2 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 2 minuti
Liberal Democratici - MAIE 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti
Repubblicani, Regionalisti, Popolari 2 minuti

Pag. 64 Mozione n. 1-00326 - iniziative in materia di politiche migratorie e di integrazione, nonché per il contrasto al lavoro irregolare

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore(*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 57 minuti (con il limite massimo di 14 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore 23 minuti
Popolo della Libertà 1 ora e 17 minuti
Partito Democratico 1 ora e 4 minuti
Lega Nord Padania 35 minuti
Unione di Centro 31 minuti
Italia dei Valori 28 minuti
Misto: 28 minuti
Alleanza per l'Italia 9 minuti
Noi Sud/Lega Sud Ausonia 5 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 5 minuti
Liberal Democratici - MAIE 3 minuti
Minoranze linguistiche 3 minuti
Repubblicani, Regionalisti, Popolari 3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 7)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 3322 - voto finale 456 456 229 456 62 Appr.
2 Nom. Moz. Lo Monte e a 1-319 rif. 471 464 7 233 464 59 Appr.
3 Nom. Moz. L. Orlando e a 1-292 rif. 472 410 62 206 408 2 59 Appr.
4 Nom. Moz. Bersani e a 1-348 rif. 472 420 52 211 420 59 Appr.
5 Nom. Moz. Cicchitto e a 1-349 472 448 24 225 447 1 59 Appr.
6 Nom. Moz. Iannaccone e a 1-350 rif. 471 441 30 221 441 59 Appr.
7 Nom. Moz. Romano e a 1-351 rif. 473 443 30 222 399 44 59 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.