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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 332 di lunedì 7 giugno 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 16,05.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 24 maggio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Mastromauro, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Tortoli, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare Misto e della conseguente cessazione di altra componente.

PRESIDENTE. Comunico che è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, secondo periodo, del Regolamento e sulla base della richiesta pervenuta in data 1o giugno 2010, la formazione, nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, della componente politica denominata «Noi Sud Libertà e Autonomia - Partito Liberale Italiano», alla quale aderiscono i deputati Elio Vittorio Belcastro, Antonio Gaglione, Paolo Guzzanti, Arturo Iannaccone, Antonio Milo e Luciano Mario Sardelli. Conseguentemente la componente politica denominata «Noi Sud/Lega Sud Ausonia» deve intendersi sciolta.
Comunico inoltre che è stato nominato vicepresidente del gruppo, in rappresentanza della nuova componente, il deputato Luciano Mario Sardelli.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,10).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ho appreso in questi giorni che sarebbe intenzione della RAI ridurre le presenze televisive di Roberto Saviano. A noi, come gruppo dell'Italia dei Valori, sembra un fatto gravissimo e ci sembra altrettanto grave che si presti a tale operazione il direttore generale Mauro Masi, Pag. 2che è il massimo responsabile del funzionamento della società concessionaria del servizio pubblico e del relativo palinsesto.
A tal riguardo il collega Leoluca Orlando ha presentato, venerdì 4 giugno 2010, un'interrogazione, rivolta al Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere quali istruzioni intenda dare al proprio rappresentante in consiglio di amministrazione della RAI. Il Ministro Tremonti infatti ha presentato in questi giorni un conto salatissimo agli italiani, sotto la denominazione di «manovra». A nostro avviso, rinunciare a Saviano in televisione, oltre a costituire un indebolimento e una messa in pericolo di una persona che è una figura valorosa e significativa per la lotta in difesa della legalità, significa mettere a repentaglio la credibilità e il prestigio del sistema radiotelevisivo pubblico e di conseguenza anche le sue entrate, che andrebbero poi a gravare sul bilancio dello Stato.
Per questo le chiediamo, signor Presidente, di trasmettere al più presto al Ministro dell'economia e delle finanze l'interrogazione di cui sopra dell'onorevole Leoluca Orlando affinché giunga al direttore generale della RAI un fermo richiamo. Grazie, signor Presidente.

PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Evangelisti. Le questioni da lei sollevate sono tra l'altro di competenza della Commissione di vigilanza RAI. Non avevo ben inteso se l'interrogazione era stata presentata alla Commissione di competenza o alla Presidenza.
Prendo atto che l'interrogazione viene presentata alla Presidenza della Camera e che l'onorevole Palagiano si associa a quanto appena espresso dall'onorevole Evangelisti.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Farina Coscioni ed altri; Angela Napoli; Livia Turco ed altri; Di Virgilio e Palumbo; Mura ed altri; Minardo ed altri; Di Pietro ed altri; Scandroglio ed altri; Zazzera; De Poli ed altri: Principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale (A.C. 278-799-977-ter-1552-1942-2146-2355-2529-2693-2909-A) (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Farina Coscioni ed altri; Angela Napoli; Livia Turco ed altri; Di Virgilio e Palumbo; Mura ed altri; Minardo ed altri; Di Pietro ed altri; Scandroglio ed altri; Zazzera; De Poli ed altri: Principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 278-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Di Virgilio, ha facoltà di svolgere la relazione.

DOMENICO DI VIRGILIO, Relatore. Signor Presidente, illustri colleghi, con l'espressione «governo delle attività cliniche» si intende più comunemente un programma di gestione e di miglioramento della qualità e dell'efficienza di un'attività medica generalmente operata a livello di dipartimento di una azienda sanitaria locale od ospedaliera.
Il testo unificato all'analisi ora di questa Assemblea è il risultato di un lungo lavoro svolto in Commissione affari sociali Pag. 3e partito dall'esame di proposte di legge che intendevano stabilire alcuni principi in materia di governo delle attività cliniche, dettando tra l'altro alcune modifiche del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. È da sottolineare che in XII Commissione si è svolto sui suddetti testi un acceso e lungo dibattito, che si è articolato in 36 sedute, svoltesi dal 6 novembre 2008 al 26 maggio 2010. Nell'arco di questo periodo sono stati anche auditi numerosi associazioni sindacali e rappresentanti di categoria: ricordo l'ANAAO, l'ANPO, la FIASO, la FNOMCeO, la CIMO, la FADOI, e per gli universitari la CRUI, il CUN (il Consiglio universitario nazionale), la FIMU, varie associazioni di veterinari, la FederSanità ANCI, l'Associazione nazionale dei medici istituti religiosi ospedalieri, la Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, l'Associazione religiosa istituti socio-sanitari (ARIS), la Federazione degli infermieri IPASVI ed altri enti.
È innegabile che la sanità coinvolga tutti i cittadini che sono attenti - e lo sono molto - sul suo funzionamento e quindi su eventuali sue storture. Nessuno può negare che da più parti vengano segnalati fenomeni, a volte gravi, di disfunzioni, che talvolta sfociano in episodi di malasanità, e nessuno - proprio nessuno - può confutare il fatto che vengano da più parti richieste modifiche all'attuale legislazione che vede insoddisfatti per primi i cittadini e poi anche gli stessi operatori sanitari, medici e non medici, e gli stessi amministratori. Ecco allora l'esigenza di prevedere, nel rispetto del Titolo V della Costituzione così com'è attualmente, il ruolo delle regioni cui è demandata l'autonomia nell'organizzazione e assistenza. Allo Stato spetta - e sarebbe grave abdicazione ai suoi compiti se a ciò rinunciasse - elaborare principi fondamentali così come lo spirito di questo testo unificato scaturito dall'analisi di vari testi e da quanto emerso durante le audizioni effettuate.
Ci sembrano pertanto fuori luogo le affermazioni di coloro che non vogliono alcuna modifica dell'attuale situazione. Va ancora sottolineato che nell'elaborazione del testo unificato si è tenuto ampiamente conto delle osservazioni e delle condizioni della Conferenza delle regioni, così come, in particolare, il relatore ha recepito integralmente le condizioni della Ragioneria dello Stato e del Bilancio. Si è voluto inoltre fortemente tener presente due aspetti che si vogliono frequentemente ripetere: la politica faccia dei passi indietro e si riconosca più meritocrazia. È ciò che noi vogliamo.
Nel provvedimento, fatte queste premesse, vengono introdotti alcuni principi fondamentali volti a correggere alcune eclatanti deficienze che sono alla base di disfunzioni del Servizio sanitario nazionale al fine di migliorare la funzionalità delle ASL attraverso un potenziamento del ruolo del medico nelle scelte strategiche e gestionali delle ASL stesse, nonché attraverso la previsione di una maggiore trasparenza ed equità nel sistema di valutazione e selezione delle risorse umane. Infatti la tutela della salute e le professioni rientrano fra le materie riconducibili alla competenza legislativa concorrente di cui all'articolo 117, comma 3, della Costituzione, nelle quali è sancito il compito dello Stato, cioè dettare i principi fondamentali - lo ripeto - mentre spetta alle regioni l'adozione della normativa di dettaglio. Il testo unificato in particolare prevede, all'articolo 1, i principi fondamentali del governo delle attività cliniche disciplinato dalle regioni. Esso interessa le aziende sanitarie locali ed ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, e le aziende di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (le aziende ospedaliero-universitarie, o aziende miste). Il governo delle attività cliniche garantisce, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, il modello organizzativo idoneo a rispondere efficacemente alle esigenze degli utenti e dei professionisti del Servizio sanitario nazionale, assicurando il miglioramento continuo della qualità delle prestazioni secondo criteri di sicurezza, prevenzione, gestione dei rischi, tutela della riservatezza, corretta ed esclusiva informazione del paziente, come sancito Pag. 4anche dalla Carta europea dei diritti del malato (presentata a Bruxelles il 15 novembre del 2002), e nel rispetto dei principi di equità e di universalità nell'accesso ai servizi.
All'articolo 2, comma 1, si prevede l'istituzione del collegio di direzione come organo dell'azienda che affianca - come oggi è previsto - il direttore generale e il collegio sindacale. Si individuano altresì le funzioni del collegio di direzione, le cui competenze sono definite però dalla regione nei limiti delle risorse finanziarie disponibili e senza nuovi oneri per la finanza pubblica.
Viene prevista un'ampia rappresentatività ai membri di diritto, quali direttore sanitario o direttore amministrativo, e per gli IRCCS anche per il direttore scientifico, oltre ad una componente elettiva delle unità operative, dei direttori di dipartimento e delle professioni sanitarie a discrezione delle regioni. Nelle aziende miste viene assicurata la rappresentanza sia della componente ospedaliera sia di quella universitaria. Al fine di ripristinare la meritocrazia e la trasparenza ad ogni livello - obiettivo a cui tendiamo fortemente - anche attraverso il ridimensionamento della politica nelle scelte dei dirigenti in sanità, all'articolo 3 vengono individuati i requisiti indispensabili all'accesso alle nomine e ai criteri di valutazione dei direttori generali, adottando misure miranti a garantire i criteri di pubblicità e trasparenza. Ad essi viene richiesta una competenza specifica valutata da una commissione nominata dalle regioni.
All'articolo 4 vengono previste modifiche all'articolo 15-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992, ed in particolare, al comma 1 dell'articolo 4 si modificano le modalità di nomina dei responsabili di struttura semplice e di quella semplice dipartimentale nel quadro e secondo le modalità definite dalla contrattazione collettiva nazionale. Al comma 1 si prevede che uno dei requisiti richiesti per essere nominato dirigente è un'anzianità di servizio di almeno cinque anni nella disciplina oggetto dell'incarico (quello della struttura semplice dipartimentale è individuato dal direttore generale sentito il collegio di direzione e il direttore sanitario; quello di struttura semplice, intesa come articolazione interna ad una struttura complessa è individuato sempre dal direttore generale, sentito però il direttore di struttura complessa di afferenza e il comitato di dipartimento). Al comma 2 dell'articolo 4 si modificano le modalità di nomina del responsabile di struttura complessa, che sono ben diverse dall'attuale normativa. La commissione, a differenza di quanto avviene oggi, viene sorteggiata e fornisce al direttore generale una terna di candidati e non un elenco infinito di idonei. I tre candidati saranno valutati secondo i titoli professionali, scientifici e di carriera e dai risultati di eventuali prove d'esame stabilite dalle regioni. Ecco, allora, che si rivaluta la meritocrazia ed in particolare si vuole rivalutare il ruolo del medico in tutte le fasi dell'attività clinica e prestare una maggiore attenzione ai criteri di nomina del direttore generale. Naturalmente, i suddetti incarichi sono attribuiti nei limiti delle risorse finanziarie disponibili e nei limiti del numero degli incarichi delle strutture stabilite nell'atto aziendale, tenendo conto delle valutazioni triennali del collegio tecnico di cui all'articolo 15, comma 5, del decreto legislativo n. 502 del 1992.
All'articolo 5 vengono previsti gli strumenti definiti dalle regioni per la valutazione dei dirigenti medici e sanitari con incarico di direzione di struttura complessa e di direttore di dipartimento.
All'articolo 6 si modifica l'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 in materia di organizzazione dipartimentale che rappresenta la gestione operativa - e questa è una novità di tutte le attività delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere - secondo cui il direttore di dipartimento è nominato sì dal direttore generale, ma sentito il collegio di direzione, tra una terna di dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa proposta dal comitato di dipartimento. L'articolo 7 modifica l'articolo 17-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 Pag. 5circa la responsabilità dei direttori di dipartimento sia sul piano gestionale sia sul piano organizzativo.
L'articolo 8, che è fonte di varie diatribe, dispone una omogeneizzazione del collocamento a riposo dei dirigenti medici del ruolo sanitario e dei professori universitari di ruolo. Oggi esiste una disomogeneità perché alcuni vanno in pensione a 65 anni e, se valutati in base all'operatività dal direttore generale, a 67, mentre nell'università si va in pensione anche a 72 anni. Questo certamente non è un provvedimento che vuole penalizzare i giovani. Ricordo che tre giorni fa il Governatore Draghi parlava dell'esperienza di paesi nordici e ci dimostrava come l'aumento dell'età pensionabile sia pienamente compatibile con un'elevata occupazione dei giovani. La soluzione di una più elevata occupazione, tanto per i giovani quanto per gli anziani, va quindi ricercata con strumenti diversi da quello dell'anticipo del pensionamento. Un giovane con le norme vigenti per operare nel Servizio sanitario nazionale deve essere in possesso anche della specializzazione, per cui mai e poi mai potrebbe raggiunge 40 anni di servizio effettivo e, quindi aspirare al massimo della pensione, se non riscattando gli anni di laurea e di specializzazione, con notevole impegno economico. Quindi, vengono favorite le classi con maggiori possibilità economiche.
Allora, il comma 1 dell'articolo 8 si propone di modificare l'articolo 15-nonies del decreto legislativo n. 502 del 1992, disponendo che il sessantasettesimo anno è il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, compresi i direttori di struttura complessa. Viene, tuttavia, introdotta la facoltà per il dirigente di permanere, a domanda, in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età (come nell'università). Il collegio di direzione dell'azienda valuterà questa richiesta. I professori universitari di ruolo cessano dalle attività ordinarie assistenziali con il collocamento a riposo, fatto salvo quanto previsto dalla legge 4 novembre 2005, n. 230. I professori universitari, però, possono continuare a svolgere attività di ricerca pur avendo cessato dalle ordinarie attività assistenziali per limiti d'età.
Al comma 3 dell'articolo 8 si modifica, conseguentemente, il decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, inserendo tra le categorie a cui non si applicano le disposizioni previste nel decreto suddetto i dirigenti medici, veterinari e sanitari del Servizio sanitario nazionale e i medici universitari convenzionati con il Servizio sanitario nazionale. All'articolo 9 - altra fonte di diatribe - sono previste norme dettagliate per l'attività libero-professionale dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, che viene disciplinata sempre dalle regioni nel rispetto di alcuni principi fondamentali: a) unicità del rapporto di lavoro con incompatibilità di dipendenza da ogni altro ente pubblico o privato; b) l'attività libero-professionale deve essere espletata fuori dell'orario di lavoro, all'interno delle strutture sanitarie, o anche all'esterno, con esclusione delle strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale; c) l'attività libero-professionale può essere espletata con rapporto non esclusivo, con rapporto esclusivo e attività libero-professionale intramuraria e con rapporto esclusivo e attività libero-professionale intramuraria in studi professionali (cosiddetta intramuraria allargata).
La suddetta attività è regolata con le seguenti modalità disciplinate dalle regioni nel rispetto dei seguenti principi: a) per ciascun dipendente, la quantità di prestazioni dell'attività libero-professionale non deve superare quella assicurata per l'impegno istituzionale e non deve prevedere un impegno orario superiore al 50 per cento di quello previsto nel servizio con l'ASL e deve concorrere alla riduzione progressiva delle liste di attesa; b) le tariffe per le prestazioni di attività libero-professionale sono stabilite previo accordo con le organizzazioni sindacali della dirigenza sanitaria d'intesa con le ASL, in grado di coprire tutti i costi diretti ed indiretti dell'attività medesima; c) è facoltà delle ASL di non attivare o attivare parzialmente Pag. 6la libera professione intramuraria e, quando è attivata, deve essere gestita dalla ASL mediante un centro unico di prenotazione con spazi e liste separati tra attività istituzionale e attività libero-professionale, secondo linee guida regionali; d) nessun onere deve essere previsto per l'ASL nell'esercizio dell'attività libero-professionale svolta all'esterno delle aziende; e) l'attività di monitoraggio e controllo sul corretto esercizio dell'attività libero-professionale è svolta dalle regioni anche attraverso l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; f) ai dirigenti in regime di rapporto di lavoro esclusivo spetta un'indennità di esclusività nei limiti delle risorse destinate alla contrattazione collettiva; g) il direttore generale stabilisce le modalità di svolgimento dell'attività libero-professionale durante la quale, comunque, non si può utilizzare il ricettario del Servizio sanitario nazionale.
All'articolo 10 viene normata la libera professione, invece, degli altri operatori sanitari non medici, di cui alla legge 10 agosto 2000 n. 251, gestita dalle ASL e disciplinata dalle regioni secondo i principi fondamentali seguenti: a) per ciascun dipendente, la quantità di prestazioni dell'attività libero-professionale non deve superare quella assicurata per l'impegno istituzionale e non deve prevedere un impegno orario superiore al 50 per cento; b) la tariffa per le prestazioni dell'attività libero-professionale è prestabilita previo accordo aziendale con le organizzazioni sindacali d'intesa con le ASL e i redditi derivanti dall'attività libero-professionale sono assimilati a quelli di lavoro dipendente; c) un centro unico di prenotazione gestisce l'attività e il pagamento delle prestazioni, prevedendo spazi e liste separati tra attività istituzionale e attività libero-professionali, secondo linee guida regionali; d) nessun onere per l'ASL deve derivare dall'esercizio dell'attività libero-professionale svolta all'esterno delle strutture aziendali; e) l'attività di monitoraggio - come per i medici - e il controllo sul corretto esercizio dell'attività libero-professionale è svolta dalle regioni, anche attraverso l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
L'articolo 11 riguarda la programmazione e la gestione delle tecnologie sanitarie da parte delle regioni, garantita nei limiti delle risorse disponibili.
L'articolo 12 sancisce che la norma si applica anche alle aziende di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, e agli IRCCS di diritto pubblico. L'articolo 13 del testo unificato esaminato in Commissione abrogava, infine, gli articoli 15-quater e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni. Signor Presidente, si tratta, com'è evidente, di norme finalizzate a correggere storture ed inefficienze attuali del Servizio sanitario nazionale con il rispetto dei ruoli delle regioni, come previsto dal titolo V della Costituzione, ed il giusto riconoscimento del ruolo dei medici e degli altri operatori sanitari. Norme che servono a privilegiare la meritocrazia al di là e al di sopra di ingiustificate e artate polemiche mosse anche dall'opposizione, come sentiremo, che dovrebbe, come noi, auspicare e invocare i correttivi perché il Servizio sanitario nazionale risponda meglio alle giuste esigenze dei cittadini e di tutti gli operatori sanitari.

PRESIDENTE. Saluto i componenti del baby consiglio comunale della città di Avola (Siracusa) accompagnati dal sindaco, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LAURA RAVETTO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, oggi appare chiaro come il futuro della medicina non passa solo attraverso i progressi delle scienze sperimentali ma richiede Pag. 7un'interazione sempre più profonda con le scienze umane e con le scienze dell'organizzazione e della gestione economico-finanziaria. Un'interazione indispensabile per dare risposte significative ai grandi quesiti spesso del tutto inediti e inattesi che la medicina si pone e che altre scienze ed altri saperi pongono alla medicina, a cominciare dalla biopolitica e dalla biogiuridica, dall'economia e, in particolare, dall'economia sanitaria costretta ogni giorno a interrogarsi sul rapporto tra etica e gestione di risorse che sembrano assottigliarsi invece di crescere come richiederebbero i bisogni di salute espressi dalla popolazione.
Sono domande che grazie ad un impatto mediatico vivace ed incisivo, a volte martellante e ripetitivo, non appartengono più al solo contesto specialistico e si impongono all'attenzione di un'ampia parte dell'opinione pubblica che vuole sapere e soprattutto vuole capire e che non esita a tacciare di malasanità le difficili condizioni di lavoro in cui si dibattono medici, infermieri e tanti altri professionisti dell'area sanitaria. Siamo in una società della conoscenza che privilegia più i dati trasmessi dai mass-media in modo veloce e non sempre controllato che le conoscenze codificate e consolidate. Oggi la giusta e necessaria denuncia degli errori sanitari fa da calamita sull'opinione pubblica e sembra oscurare il lavoro generoso, competente ed efficace che si fa in molti ospedali e in molte strutture che lavorano con risorse limitate sia sul piano umano che tecnologico. Il vero problema con cui oggi ci si confronta nelle aziende sanitarie è quello dei modelli organizzativi che sembrano complessivamente inadeguati sia che si prenda come parametro di riferimento il livello di soddisfazione del personale, o quello dei pazienti e delle loro famiglie, sia che si assuma come parametro oggettivo quello dei costi e dei deficit di bilancio che stanno diventando sempre di più la vera spina nel fianco delle regioni e, in particolare, degli assessorati alla sanità. Non c'è crisi di competenza clinica ma c'è sicuramente crisi di competenza manageriale e le soluzioni sinora adottate si sono rivelate in gran parte inadeguate.
La percezione di malasanità, con la lunga trafila degli errori che l'accompagnano, ha alle spalle una trama disorganizzativa che crea delle diseconomie caratterizzate da sprechi, da cattivi investimenti, da demotivazione del personale ed in definitiva da un vero e proprio tradimento del diritto alla salute previsto dalla nostra Costituzione.
Sono domande che i medici stanno cercando di affrontare confrontandosi con biotecnologi, e con ingegneri biomedici, con filosofi, giuristi, bioeticisti, economisti, sociologi e giornalisti. Il nuovo paradigma della medicina e della salute include tutti con competenze e responsabilità diverse ma con una forte propensione al confronto, alla dialettica interdisciplinare, all'abbandono di logiche semplicistiche che non consentono di elaborare una nuova e più solida conoscenza dei processi che coinvolgono la tutela della vita e della salute.
Sono domande che gradualmente stanno cercando di cambiare anche l'orizzonte formativo delle facoltà di medicina, ampliandolo e sollecitandolo a non chiudersi negli stretti confini del paradigma biologico in modo che gli studenti acquistino sin dall'inizio della loro formazione una mentalità professionale più aperta e interdisciplinare.
Per orientarsi in questo scenario così vasto e problematico senza smarrirsi c'è bisogno di ritrovare quell'unità del sapere che consenta di giungere al cuore dei problemi indicati in modo sapienziale e non solo meramente tecnico-scientifico.
Scienze sperimentali e scienze umane, scienze economiche e scienze dell'organizzazione dei servizi non possono essere considerate in una logica di distinzione, che gradatamente scivola verso la contrapposizione fra saperi diversi per oggetto, metodo e applicazioni. Proprio la medicina mostra quanto sia necessario alle une e alle altre mantenere un costante rapporto di interazione e di integrazione per raggiungere il proprio oggetto specifico, che - non dimentichiamolo - è e resta la salute del malato. Pag. 8
Non è possibile, ad esempio, parlare di vita biologica dell'uomo senza tener presente la sua vita relazionale e la sua storia biografica. L'uomo è un soggetto unico ed unitario di cui la medicina si prende cura con le sue specializzazioni, ma proprio i saperi specialistici sanno quanti e quali siano i problemi che non riescono ad affrontare e a risolvere se non recuperano una visione più ampia e completa della persona. L'uomo, un uomo, può ammalarsi di molte cose in tempi diversi della sua vita e perfino nello stesso tempo: si può avere un tumore al seno e fratturarsi un braccio per una brutta caduta; si può contrarre un'infezione polmonare e soffrire per un vizio cardiovascolare; ci si può sentire depressi ed avere avuto un infarto; si può affrontare un grave intervento chirurgico e soffrire di una patologia neuro-degenerativa. Ma è pur sempre lo stesso uomo che ha questa e quella malattia e che ha bisogno di farmaci che potrebbero anche confliggere fra di loro, diventando ipso facto causa di peggioramento invece che di miglioramento. L'uomo è uno ed è sempre lo stesso, qualsiasi siano le sue malattie e qualsiasi sia la ragione o le ragioni che lo fanno soffrire, ed è a questo uomo e con questo uomo che il medico deve saper parlare. Ma parlare di medico, in questo caso, significa chiamare in gioco l'intera struttura ospedaliera, quell'azienda che deve sapere mantenere e rafforzare l'identità di ogni persona e non contribuire a frantumarla, rendendola ancora più fragile ed incapace di reagire.
Il malato sperimenta la sua unità in mille modi diversi: più cambia il contesto intorno a lui e più sente il bisogno di aggrapparsi alla sua identità ed ogni volta che prende coscienza della sua identità vuole che il medico si rivolga a lui come ad un soggetto che ha quella specifica identità e desidera che la prenda in considerazione così com'è. È in questa luce che l'attività libero-professionale intra moenia acquista la sua dimensione virtuosa, ad esclusivo servizio e vantaggio del malato. Gli specialisti possono anche distinguere fra vita biologica, vita relazionale, biografia eccetera, ma sarà sempre la stessa persona, con una famiglia, una serie di amici, un lavoro, un gruppo di colleghi; può ammalarsi di una cosa e l'altra, sarà sempre lui: un unico soggetto che vive, ama, soffre e che ha bisogno di non perdere il senso delle sue radici identitarie per restare in relazione con gli altri. Il corpo umano è sempre il corpo di un uomo concreto e il medico non si prende cura solo di un corpo, ma della persona che nello stesso tempo ha quel corpo ed è quel corpo, una persona che è inserita in un contesto sociale, che ha degli affetti e dei legami di cui si sente responsabile e che nello stesso tempo gli assicurano le necessarie relazioni di cura. Questo impegno oggi, per la sua profonda dimensione etica, non può più essere chiesto solo al medico, ma a tutta la struttura sanitaria. Questo è l'obiettivo principale del governo clinico e solo in seconda istanza è un obiettivo di natura economico-gestionale. I malati non sono mai - ma proprio mai - solo corpi: sono sempre prima di tutto persone, con una storia personale che aiuta a capire non solo come e perché si sono ammalate, ma anche come e perché possono essere aiutate a curarsi e perfino a guarire definitivamente.
Oggi abbiamo bisogno di generare una relazione di cura che mantenga solidamente in equilibrio quella duplice polarità all'interno della quale Jaspers inscrive il paradigma della medicina: «Da un lato la conoscenza scientifica e la tecnica e dall'altro l'ethos umanitario», e oggi appare più che mai necessario umanizzare la scienza e le sue tecnologie, ma umanizzare anche l'economia e i suoi modelli e riscoprire l'intrinseca dimensione etica della stessa organizzazione. La téchne medica non è una tecnica come tutte le altre: ne differisce per gli scopi specifici, per i modi con cui si applica e soprattutto per le persona a cui si applica. È un'arte tecnica appositamente pensata dall'uomo per sollevare l'uomo dal suo dolore e dalla sua sofferenza, ma può risultare del tutto inefficace se l'azienda in cui lavorano tanti professionisti esperti non riesce ad armonizzare e ad integrare il loro impegno finalizzandolo allo scopo per cui è nato: la Pag. 9relazione di cura. In questo intenso contesto relazionale è difficile dire dove finisce la tecnica e dove comincia la relazione interpersonale: relazione tra colleghi, relazione con i malati, relazioni con la società. La tecnica ha già un suo intrinseco aspetto relazionale e la relazione sarebbe pura astrazione se non poggiasse su di una effettiva competenza professionale da parte di un medico disponibile e generoso.
Ciò di cui oggi abbiamo più bisogno però è di riconoscere anche al management il suo valore di cura oppure la sua valenza patologica.
Una buona organizzazione è intrinsecamente terapeutica, così come una cattiva organizzazione genera malessere e disagio a molteplici livelli che possono giungere perfino al burn out. Il management, definito come «operare con le risorse umane, fisiche e finanziarie per raggiungere gli obiettivi dell'organizzazione, svolgendo funzioni di pianificazione, organizzazione e controllo», è una scienza relativamente recente. Fino al XVIII secolo la gestione dell'azienda era affidata alle capacità personali dei vari responsabili e alla loro esperienza. Tale situazione non era più sostenibile in quanto la situazione del mercato ha imposto di fare fronte al rapido sviluppo della tecnologia e di ridurre al massimo i tempi di lavoro.
Con l'avvento della rivoluzione industriale si è sviluppato un corpo di conoscenze che ha dato vita a numerose scuole di pensiero: cito, fra le altre, il taylorismo piuttosto che il behaviorismo. Ciascuna scuola ha fornito il proprio contributo alla costruzione del concetto di management e alla definizione dei principi fondamentali della cultura manageriale, che è stata introdotta in Italia soltanto con il decreto-legge n. 502 del 1992 e successivamente ripresa con il decreto-legge n. 517 del 1993 che, pur non mettendo in discussione i principi fondamentali della legge n. 833 del 1978, hanno consentito di trasformare profondamente l'assetto istituzionale, gestionale e organizzativo del sistema sanitario, introducendo, tra l'altro, il famoso concetto di aziendalizzazione delle ASL, denominato riforma ter della sanità italiana.
La maggiore conoscenza del processo di management sanitario pone nuovi obiettivi alle amministrazioni e alle aziende pubbliche e private che dovranno affrontare in modo nuovo le loro responsabilità gestionali. Lo straordinario sviluppo delle tecnologie ha praticamente eliminato qualunque tipo di distanza, pertanto le relazioni e i rapporti tra le aziende e le risorse umane che ne fanno parte hanno la necessità di essere attualizzati secondo un approccio a più ampio respiro che richiede alle risorse umane coinvolte di mettersi in discussione per trovare maggiori spazi di condivisione.
Il riordino della disciplina in materia sanitaria prevede che la sanità passi dai modelli esistenti di cultura organizzata di tipo burocratico o tecnocratico a un modello di cultura organizzata di tipo manageriale e aziendale, superando i vecchi modelli gerarchici. Nel management moderno non esistono livelli di potere, ma di responsabilità basate sulle competenze. Essi si sviluppano su tre livelli che richiedono margini progressivi di capacità organizzativa e gestionale delle risorse tecniche, professionali e cliniche.
Sempre più importanti risultano oggi le competenze di tipo organizzativo e l'organizzazione viene definita come l'insieme di persone associate per uno scopo in rapporto dinamico con l'ambiente dove vengono suddivise le attività da svolgere e le conoscenze secondo norme e ruoli collegati efficacemente fra di loro. Ogni volta che due o più persone interagiscono per raggiungere un obiettivo comune esiste un'organizzazione.
Le aziende sanitarie sono organizzazioni molto complesse, per due motivi fondamentali: il primo è che i processi sanitari sono svolti da professionisti specializzati con un percorso formativo molto articolato; il secondo è che il paziente è un utente che pone una domanda non standardizzabile, estremamente soggettiva e non puntuale che evolve nel tempo con esigenze diverse. Pag. 10
Scopo di questo provvedimento è contribuire a generare nelle aziende sanitarie processi di cambiamento che stimolino la capacità competitiva nella creazione di valore, intervenendo su processi di business e di governance e puntando sulla valorizzazione del capitale intellettuale (conoscenze, competenze, processi di innovazione) e del capitale sociale (relazioni interne, cultura, motivazione, rapporto con i pazienti) attraverso un'offerta di soluzioni integrate, misurabili e innovative, rispettando e valorizzando la specificità delle culture professionali coinvolte, mobilitando e valorizzando energie e competenze delle aziende attraverso processi di adattamento delle modalità di intervento, tenendo in conto sempre le specificità e il vissuto delle persone che vi lavorano.
Per questo è necessario integrare, in modo sinergico, tecniche e strumenti diversi e analizzare le esigenze delle aziende in un'ottica multidisciplinare di saperi, creando le condizioni di interazione in una logica di contaminazione virtuosa.
Il valore di una azienda - lo sappiamo tutti - dipende in gran parte dal patrimonio di competenze e di qualità possedute dalle persone. Management e collaboratori preparati e motivati sono gli elementi alla base del successo di qualunque organizzazione: ciò è vero soprattutto nell'attuale contesto competitivo, dove le dimensioni intangibili del capitale sono sempre di più uno dei vantaggi competitivi di un'impresa per il raggiungimento dei suoi obiettivi e la creazione di valore per tutti coloro che vi ricorrono. Per questo sono necessari interventi di formazione (tradizionale, esperienziale ed emozionale), sia con progetti di consulenza e modelli di sviluppo (bilancio delle competenze, performance management e sviluppo dei talenti). Un'azienda non organizzata è come una squadra priva di schemi di gioco. Il valore di un'azienda dipende dalla capacità di dotarsi di modelli organizzativi coerenti con la mission aziendale e i talenti dei collaboratori.
Il processo di creazione di valore richiede, quindi, che le conoscenze e la competenza delle persone siano trasformate in know-how nell'ambito di un sistema organizzato ed efficace a tutti i livelli. Senza relazioni ben impostate anche l'azienda più organizzata è come un docente senz'aula.
Il valore di un'azienda dipende dalla capacità di dotarsi di modelli organizzativi coerenti con la mission aziendale ed i talenti dei collaboratori, coniugando le competenze del personale con il know-how aziendale.
È necessario sviluppare un insieme di skill management che permettono di ottenere sia customer satifaction che la valorizzazione del brand aziendale e della corporate reputation, e anche attraverso iniziative di marketing e di comunicazione esterna. Anche l'azienda più innovativa e ben organizzata può naufragare se, alla fine dell'anno, i conti non tornano. Il valore di un'azienda dipende dalla capacità di ottimizzare le variabili economico-finanziarie di tutto il suo bilancio.
In questo senso vorrei semplicemente evidenziare alcuni punti positivi di questo provvedimento che mi sembrano importanti. Il primo è che nell'articolo 1 gli aspetti positivi che vengono messi in evidenza hanno una forte prospettiva che guarda all'etica del lavoro ben fatto e all'etica della responsabilità. Ciò con superamento di logiche divisive e demagogiche e con l'approccio a un profilo di decisione consensuale che permette a tutti di sentirsi protagonisti delle decisioni che si prendono a livello aziendale e anche a livelli progressivamente più vicini e più prossimi al malato.
Il tema vero, tuttavia, è che il discorso della formazione, così come viene affrontato, è molto generico. Si fa infatti riferimento a un generico profilo di laurea e, poi, a una marcata esperienza sul campo di cinque anni. Tra la laurea iniziale e l'esperienza dei cinque anni, che viene caratterizzata con profili molto precisi (vengono infatti richieste delle competenze molto attente ai risultati raggiunti), non si dice nulla circa i profili di competenza necessari per raggiungere questi risultati. Mi sembra che ciò rappresenti un vuoto all'interno della proposta di legge che Pag. 11potrebbe essere colmato precisando quali sono le dinamiche formative che si richiedono ancor prima di poter accedere ai famosi albi e disegni dei direttori generali.
Il secondo aspetto che mi sembra interessante segnalare sono i criteri di valutazione dei dirigenti con incarichi di direzione, criteri che ritengo del tutto insufficienti. Il riferimento esplicito che si fa è meramente a parametri di quantità delle prestazioni sanitarie erogate e di strategie di contenimento dei costi. Si ignorano molti altri aspetti che definiscono la vera qualità di un manager, la quale non può essere misurata solo dal parametro economico (abbiamo parlato proprio prima di risorse del capitale umano, di risorse della conoscenza e di livelli di soddisfazione); di tutto questo nulla si dice quando si parla della valutazione dei dirigenti.
In riferimento alle responsabilità dei direttori di dipartimento, non si fa mai riferimento alla complessità dei temi che riguardano la polidimensionalità del personale presente accanto al letto del paziente. Nulla si dice di come si integrano le responsabilità dei medici con quelle del personale sanitario quali infermieri, dietisti o fisioterapisti chiamati a lavorare nell'aula.
In riferimento all'attività libero professionale intramoenia ritengo che, quando il provvedimento va ad enunciare i principi e i criteri fondativi, ne dà una lettura in chiave esclusivamente economica. Nulla si dice sul fatto che la ragione principale che ci permette di istituire un'attività intramoenia è il rispetto della libertà del malato di scegliere il medico da cui vuole essere curato e di assicurarsi quel profilo di continuità delle cure nell'ambito di un processo in cui c'è un medico scelto con un criterio che è a monte dell'assegnazione aziendale e che fa riferimento al principio di autodeterminazione del malato.
Ci sono, poi, una serie di piccole ambiguità che rendono molto difficile capire chi farà il controllo reale sui tempi dei medici affinché il loro tempo e le attività intramoenia siano oltre il tempo previsto a norma del contratto. Inoltre, molte altre cose richiedono un intervento puntuale che ci siamo riservati di apportare attraverso una serie di proposte emendative che vogliamo discutere insieme.
Ci sempre interessante, nell'articolo 11, il riferimento alla programmazione e alla gestione delle tecnologie sanitarie. Tuttavia, sembra che anche lì non si riesca ad andare oltre ad una generica affermazione del potenziale coinvolgimento di queste competenze nella formazione del personale laddove, invece, le aziende ospedaliere dovrebbero diventare, sotto il profilo tecnologico, il laboratorio di formazione e di aggiornamento non solo del personale residente, ma anche di quel personale che svolge corsi di tipo universitario e che potrebbe apportare naturalmente un aggiornamento delle conoscenze e ricevere, altrettanto naturalmente, una dimensione di concretezza esperienziale in quello che sta facendo.
In ogni caso, ci sembra interessante che, attraverso emendamenti che abbiamo già formulato e presentato, si possa arrivare al più presto ad un provvedimento che migliori oggettivamente il governo clinico degli ospedali, perché quest'ultimo è quello che più immediatamente viene percepito dai malati come un fattore di buona o malasanità e questo credo sia un atto dovuto rispetto a tutti i cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palagiano. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, arriva finalmente in quest'Aula, dopo un anno e mezzo di animato dibattito in Commissione affari sociali, il testo unificato delle proposte di legge sul governo delle attività cliniche, un provvedimento desiderato da tutte le componenti politiche (dall'opposizione e dalla maggioranza) perché ha come obiettivo la riorganizzazione della sanità, affinché quest'ultima possa rispondere più efficacemente alle esigenze del cittadino e degli operatori del settore.
Ovviamente si tratta di una legge di indirizzo perché, come tutti sappiamo, è la legge n. 502 del 1992 che regolamenta la Pag. 12sanità a livello regionale, ma comunque molto è stato fatto su modifiche - a mio avviso di facciata, ad avviso del relatore di sostanza - che cambieranno l'impostazione nelle aziende sanitarie locali, in quelle ospedaliere e negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.
L'obiettivo prefissato non solo dall'opposizione - lo abbiamo ascoltato poco fa anche dal relatore, onorevole Di Virgilio - era quello di spezzare il legame che unisce nefastamente la sanità alla politica. Non v'è dubbio che l'intento è buono ed è quanto desidereremmo anche noi. Si tratta di una legge di iniziativa parlamentare e, a mio avviso, il contributo delle opposizioni è stato piuttosto scarso perché non sono stati accettati dei nostri suggerimenti, ma spezzare l'anello con la politica effettivamente era il nostro obiettivo.
Restituire la sanità ai medici, che sono quelli che la praticano quotidianamente, era un altro nostro obiettivo. Ritengo che oggi, signor Presidente, il punto critico per cui la sanità è in mano alla politica è che il direttore generale è una carica politica e quindi risponde soltanto all'autorità politica e a quel partito che lo hanno nominato. Questo è il punto cruciale, e ciò vale per tutta la filiera di nomine del direttore generale e quindi per i dirigenti di struttura complessa, per il direttore sanitario (che viene nominato, lo ricordo, dal direttore generale) e così via.
Inizialmente gli auspici nostri erano favorevoli e le intenzioni vostre sembravano buone. Sicuramente si è detto che venivano attribuite maggiori funzioni al collegio di direzione e questa era una cosa buona perché la parola stessa «collegio» indica un insieme di persone che lavorano in sinergia e quasi in osmosi con un obiettivo comune: quello di migliorare la qualità della sanità. Quindi giustamente avevate (mi dispiace usare il verbo al passato) previsto una componente di medici ben elevata. Noi avevamo proposto il 40 per cento, non proprio in quella percentuale, ma era prevista una buona componente medica, per cui vi erano i rappresentanti dei dirigenti di struttura complessa, i rappresentanti dei direttori di dipartimento ed i rappresentanti delle professioni sanitarie.
Mi sembrava, quindi, una decisione abbastanza bilanciata quella di prevedere, oltre al direttore sanitario, quello amministrativo perché è ovvio che il direttore sanitario viene nominato (come dicevo prima) dal direttore generale e quindi risponde ad esso. All'improvviso, signor Presidente, è arrivata la doccia fredda: l'emendamento 2.101 del relatore in cui si cambia il verbo e si prevede che le regioni «possono» inserire i rappresentanti della quota medica, ma non «devono». Quindi mi domando, signor Presidente: se io e lei possiamo fare una scelta in campo sanitario e decidere noi per tutti, per quale ragione dovremmo avvalerci di un'altra componente, di quella medica, quella un po' più rompiscatole, quella che chiede, quella che sta dalla parte del cittadino?
La decisione la prenderemmo io e lei, quindi la facoltatività non ha una lettura nel senso della trasparenza che lei auspicava nel suo intervento, presidente Di Virgilio.
Pertanto, ho delle forti perplessità su questa componente, ossia l'attribuzione di nuove energie al consiglio di direzione, perché il consiglio di direzione stesso è stato svuotato di rappresentanti.
Il collegio di direzione deve, tra l'altro, anche provvedere a verificare la qualità, l'adeguatezza, la congruità e l'efficacia delle prestazioni. Anche su questo punto non ci siamo. Ritengo davvero insensato che nell'ambito della stessa azienda vi sia un organismo, anche se presieduto dal direttore generale e in complicità con il collegio di direzione, che possa giudicare sé stesso. Mi sarei preoccupato, piuttosto, di inserire, così come abbiamo avuto occasione di discutere in Commissione affari sociali, un'unità o un gruppo regionale tecnico che in qualche maniera comparasse i dati derivanti da più aziende sanitarie locali perché tutto è misurabile, signor Presidente. Infatti, possiamo sapere quali sono i tempi di interventi in quell'ospedale o in quell'altro, quali sono le percentuali, per esempio, di nuovi ricoveri Pag. 13o quelle delle infezioni. Tutto è paragonabile e dunque un'unità regionale centrale che compari i dati a mio avviso è auspicabile piuttosto che lasciare che il direttore generale stesso giudichi l'operato della propria azienda. Anche questo è mancato e ci dispiace molto. Comunque, presenteremo degli emendamenti in tal senso.
Per quanto riguarda la nomina dei direttori generali, lei ha detto che adesso non sono più nominati dalla politica, ma dovranno fare un concorso. Bene. Tuttavia, ritengo che la nomina sia sempre della politica perché non vi è traccia nel provvedimento in esame dei criteri di composizione della commissione di concorso e, quindi, sarà completamente scelta dalle regioni. Con quale criterio? Ovviamente con il criterio spartitorio della politica: quel commissario a te e quell'altro a me. Così purtroppo sarà per i vincitori che saranno attribuiti secondo gli stessi criteri che hanno portato, purtroppo, al «grande buco» della sanità perché, come dicevo prima, raramente troviamo la persona giusta al posto giusto.
Anche per i requisiti non sono né contento né convinto di quello che viene proposto dal provvedimento al nostro esame. Non si possono mettere sullo stesso piano le persone che hanno l'esperienza amministrativa quinquennale in un grande ospedale di rilevanza nazionale con quelle che hanno avuto la stessa esperienza di cinque anni in un piccolo ente provinciale. Ritengo che anche qui andrebbe specificato meglio il requisito, vale a dire che il candidato deve essere laureato e deve avere ovviamente un'esperienza quinquennale e non mi sta bene che le regioni possano richiedere ulteriori requisiti perché siamo sempre al solito punto. Infatti, sia per la nomina del direttore generale sia per la nomina dei dirigenti di strutture complesse, come vedremo in seguito nel provvedimento, è possibile che si presenti quel problema che da sempre affligge la nostra sanità, ossia il profilo personalizzato. I requisiti maggiori che le regioni e le aziende sanitarie locali possono chiedere fanno pensare, ovviamente, che si possano creare dei canali preferenziali per poter sistemare quello che troppo spesso è il «trombato» politico di turno o il «riciclato» politico.
Invece, avremmo auspicato che il provvedimento prevedesse qualcosa che ancora oggi non vediamo ma che troviamo solo sulla carta e certe volte nemmeno sulla carta, ossia delle sanzioni vere per quei direttori generali che si sono macchiati di assunzioni clientelari inadeguate o inutili e di acquisti inutili, in altri termini dello spreco e dello sperpero del denaro pubblico. Infatti, vi sono troppo spesso tanti primari in tanti ospedali e in tanti reparti il numero dei primari stessi supera il numero dei degenti. Purtroppo, anche da questo punto di vista vedo che nel provvedimento non vi è traccia di modifiche. Credo che non sia più il tempo di far pagare agli italiani con tasse aggiuntive le responsabilità specifiche di chi ha causato i danni e il buco della sanità. Tuttavia, ritengo che ancora oggi e anche con questo provvedimento, purtroppo, le cose non cambieranno.
L'articolo 4 riguarda la nomina di dirigenti di struttura complessa. Ritengo effettivamente che un piccolo passo avanti con il sorteggio sia stato compiuto e di questo va dato atto al Governo. Ovviamente, mi rifaccio a quanto detto prima. Anche in questo caso è possibile che saranno espletati dei concorsi con profili professionali specifici.
Il nostro apporto e ciò che abbiamo suggerito era di individuare dei profili «secchi» per branche «secche», quali, ad esempio, ginecologia, cardiologia, cardiochirurgia, neurochirurgia, ma anche per sottobranche da far pubblicare al Ministro della salute, per non dare la facoltà ai direttori generali di spaziare con la loro fantasia cercando di creare dei profili professionali che calzano a pennello su dei candidati, ma anche questo, invece, non è stato fatto.
Analogamente, onorevole Presidente, avremmo auspicato l'inserimento di un periodo di prova, perché anche se il concorso si è svolto bene ed effettivamente riesce a vincere il candidato più meritevole, Pag. 14se questi, però, dovesse trovarsi alla prima esperienza professionale, sarebbe opportuno prevedere un periodo di sei mesi di prova in cui constatare sul campo le caratteristiche di quel determinato candidato che sino da allora sono soltanto sulla carta, e dunque quali sono i suoi tempi operatori, quali sono i suoi rapporti non solo con l'utenza, ma anche con i colleghi, con quelli con cui interagisce tutti i giorni e lavora gomito a gomito. Del resto c'è poco da fare: a mio avviso se il primario o il dirigente di struttura complessa, come oggi si chiama, non fa squadra, quell'unità sanitaria difficilmente potrà rendere la sanità di migliore qualità per i cittadini. Tuttavia, anche riguardo ai sei mesi di prova non c'è stato niente da fare e questa nostra indicazione non è stata accettata.
L'articolo 5 concerne la valutazione dei dirigenti di struttura complessa e sappiamo che questo compito è stato demandato, così come il decreto legislativo n. 502 del 1992 impone, alle regioni, che dovranno valutare questi dirigenti in base al numero delle prestazioni effettuate, alle strategie del contenimento dei costi e alla soddisfazione degli utenti. Ancora una volta, il dato quantitativo prevale su quello qualitativo, purtroppo. Non riesco ad immaginare come possa ritenersi soddisfatto l'utente, quando mancano dei dati attribuibili agli specifici reparti in cui si conoscono le percentuali di guarigione e di mortalità, ad esempio, nei reparti di cardiochirurgia, o i tassi di gravidanza in reparti che si occupano della procreazione medicalmente assistita.
Insomma, credo che negli altri Stati più che un dovere legislativo, ci sia un impegno morale da parte del legislatore di rendere sempre più trasparente la sanità pubblica, e aggiungerei anche quella privata convenzionata, perché ritengo che il cittadino abbia il diritto di sapere qual è l'ospedale che fa meglio al caso suo, qual è l'unità che dà migliori risultati; invece, purtroppo, anche di questo non v'è traccia. Ritengo che molto spesso l'oscuramento dei dati rappresenti un po' il paravento di quelli che occupano un posto sbagliato, e purtroppo anche questo suggerimento è rimasto inevaso.
Il primo elemento considerato, ossia la quantità delle prestazioni erogate, la dice lunga, perché ancora oggi vige il concetto per cui più prestazioni significano più rimborsi. Non importa come quel determinato ospedale o quel medico abbia eseguito quella o quelle prestazioni: l'importante è il numero delle prestazioni, la quantità sulla qualità, non c'è alcuna comparazione con gli standard europei per poter effettivamente definire soddisfacente quel reparto, quindi i cittadini non avranno la possibilità di dichiararsi soddisfatti. Credo che, solo subordinando il rimborso regionale alla qualità, e dunque al raggiungimento di certi obiettivi, i direttori generali sarebbero costretti ad assumere i più bravi, quelli che sbagliano meno, ma purtroppo anche da questo punto di vista nella legge non c'è traccia di tale indicazione.
Per quanto riguarda i direttori di dipartimento, si è fatto un piccolo passo avanti direi - mi dispiace - solo di facciata, perché a mio avviso il doppio ruolo di coordinatore e coordinato non va bene. Nella medicina anglosassone ricordo che il direttore del dipartimento è una specie di grande saggio, è colui che ha lavorato nel dipartimento, e quindi conosce la tematica dipartimentale, e poi verso la fine della carriera diventa un po' il coordinatore, quello presso il quale tutti corrono a chiedere consigli affinché la sanità sia erogata in maniera soddisfacente per i cittadini. Nel nostro sistema, invece, c'è un'anomalia, diciamo una differenza, per cui il direttore del dipartimento funge da coordinatore e da coordinato e deve non solo controllare la qualità della sanità erogata presso le strutture complesse che afferiscono al suo dipartimento, ma anche controllare sé stesso.
Immaginate un po': la mattina il medico arriva in reparto, essendo direttore di struttura complessa, va a fare il giro nel reparto, poi va in sala operatoria, e il dipartimento starà a cuore - speriamo - Pag. 15dell'amministrativo, dello specializzando oppure dell'interno. In realtà, dando il doppio incarico al dirigente di struttura complessa, che può fare anche il direttore del dipartimento, ovviamente origineremo un conflitto di interessi. Se poi aggiungiamo, riferendoci all'articolo 9, che il direttore del dipartimento può optare per un rapporto di tipo non esclusivo o comunque di tipo esclusivo ma con regime libero professionale tipo extra moenia, immaginiamo questo dipartimento abbandonato da un medico che la mattina arriva, fa il giro, va in sala operatoria e poi corre in casa di cura privata a svolgere il suo diritto, previsto dall'articolo 9, di esercitare l'attività libero professionale in regime di extra moenia. Anche su questo presenteremo un emendamento per dire, almeno per chi ha delle responsabilità apicali, di cercare di essere più responsabili, attuando un regime più compatibile e meno in conflitto di interessi.
Il tema della prestazione medica in tarda età viene affrontato all'articolo 8, che sposta su richiesta l'età pensionabile dai sessantasette ai settant'anni. In Commissione ho detto più volte che mi sembra giusto che venga creato un equilibrio tra medici che esercitano la stessa professione, per esempio, nelle aziende miste, in cui ci sono dirigenti di struttura complessa di tipo ospedaliero, che vanno in pensione tre anni prima rispetto agli universitari. Questo è un sistema assolutamente iniquo.
Credo soltanto che il livellamento andasse effettuato, ponendo l'asticella più in basso e non in alto. Credo che abbiamo gli esempi - purtroppo sono tanti - delle nostre università, in cui tanti professori settantenni danno poco come contributo alla ricerca scientifica o, per esempio, all'assistenza e possono dare soltanto qualche contributo alla didattica. Credo che la permanenza in servizio crei troppi danni e quelli che ha creato nelle università non possiamo importarli masochisticamente nei nostri ospedali. Credo che dovremmo immaginare gli ospedali fra un decennio: innanzitutto c'è un blocco del turnover per le regioni meno virtuose, cioè per quasi tutte le regioni, quindi nessuno può assumere. Poi abbiamo questo numero elevatissimo di persone che si troverà ad esercitare la professione senza alcun criterio di idoneità, perché la legge non prevede nessun esame di tipo psico-attitudinale.
Non basta dire che ci sarà il collegio di direzione, cioè il direttore sanitario e il direttore amministrativo, occorre la commissione di medici del lavoro, che verifichi che a quel medico di settanta anni non tremi la mano, che il suo cervello funzioni. Non si può attribuire ad un'autorità politica la valutazione qualitativa e lo stato psico-attitudinale di un determinato dirigente della sanità, che ha dei ruoli delicatissimi e importantissimi. Quindi, credo che questo criterio, vetusto e gerontocratico, non dovrebbe essere importato nei nostri ospedali. Dovremmo avere delle garanzie che chi esercita la professione medica fino a settanta anni sia in condizioni perfette, lucido sia da un punto di vista fisico che psichico.
Per quanto riguarda l'attività libero professionale, ho una mia idea, che non è di parte. Ritengo che il provvedimento sia un po' anacronistico e in controtendenza rispetto a quanto accade in Europa. Non è possibile che, per illustrare un paragone, un medico possa la mattina lavorare in ospedale e il pomeriggio in clinica. Sarebbe un po' come se un giornalista lavorasse la mattina alla RAI e il pomeriggio a Canale 5, anche se oggi forse sono la stessa cosa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, credo che si crei un conflitto di interesse e che si tratti piuttosto della regolamentazione dell'intra moenia allargata, che è stata decisa un po' anche in seguito alla stangata. La manovra di 24 miliardi, che blocca fino al 2013 gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici, compresi i medici, è stata una maniera per pagare, una promessa elettorale per dire ai medici di arrangiarsi, di lavorare dentro, fuori, negli studi e nelle cliniche private, dovunque, perché qui purtroppo abbiamo Pag. 16raschiato il fondo. Non ci sono fondi del Governo, non possiamo accontentarli, pertanto li accontenteremo con l'articolo 9.
Per cui, purtroppo, da questo punto di vista, il bene del cittadino non c'entra ma c'è soltanto un grande conflitto di interessi. Alla faccia della funzionalità e dell'efficienza della sanità!
Ritengo - e mi avvio alla conclusione - che la riorganizzazione del sistema sanitario nazionale avrebbe meritato un contributo più costruttivo da parte dell'opposizione. I miei suggerimenti erano squisitamente tecnici e sicuramente non di contrapposizione, di muro contro muro. Questo Parlamento non mi vedrà mai schierato contro, ma soltanto per la condivisione di responsabilità, per leggi che possano favorire la popolazione.
Ritengo - signor Presidente - che l'aziendalizzazione della sanità abbia creato un mostro legislativo: purtroppo anche in questo provvedimento la sanità è diventata soltanto un tentativo di far quadrare i bilanci. Si cerca soltanto di rientrare dal buco che è stato creato da uomini, che poi non hanno pagato; dovranno pagare i cittadini. Quello che mi preoccupa è che oggi l'attenzione sia rivolta soltanto ai bilanci. È ovvio che bisogna eliminare gli sprechi - ci mancherebbe altro - ma, in un campo così delicato, bisognerebbe pensare alla salute del cittadino, che è prevista dalla Costituzione.
Pertanto noi presenteremo, ancora una volta, in Aula, una serie di emendamenti migliorativi, nell'interesse del cittadino italiano (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, innanzitutto rilevo che il Governo oggi non è presente in quest'Aula, con un rappresentante del Ministero della salute, di recente istituzione.
Si tratta, forse, di un segnale evidente dello scarso interesse per il provvedimento in discussione, eppure il Ministro Fazio, sin da quando era sottosegretario, aveva promesso, in innumerevoli occasioni, di introdurre nuove norme per il governo clinico.
Mi auguro che, almeno, nella seduta di domani, ci sia una partecipazione attiva e attenta alla corposa manovra emendativa che abbiamo presentato.
Affrontiamo in quest'Aula - cari colleghi - un argomento importante, che attiene alla funzionalità del sistema sanitario nazionale. Lo affrontiamo sul versante del ruolo dei medici e delle professioni, all'interno dell'azienda sanitaria, in un momento nel quale - proprio in queste ore - i sindacati medici, nella loro prevalente rappresentanza, indicono due giorni di sciopero contro la manovra del Governo. Manifestano preoccupazioni che riguardano il blocco del turnover, la carenza di 20 mila medici e dirigenti sanitari, il licenziamento dei precari, il taglio ai trasferimenti regionali, che influiscono, chiaramente, anche sulla spesa sanitaria perché non dobbiamo dimenticare che, grazie a tali trasferimenti, le regioni possono, in parte, far fronte ai disavanzi che nella sanità si determinano.
Si tratta di preoccupazioni che riguardano sostanzialmente un disegno di smantellamento della sanità. Noi, invece, cominciamo in quest'Aula la discussione sulle linee generali di un provvedimento che, a voler essere superficiali sembra ignorare queste richieste, o meglio prescinderne, nella verità contribuisce a delineare un'idea su come debba evolvere il sistema sanitario, verso un orizzonte di progressiva privatizzazione, facendo pesare sulla tasche dei cittadini il costo delle prestazioni delle quali hanno bisogno e che non sono esigibili nell'ambito del Servizio sanitario.
Allora veniamo al nodo: A chi serve questa legge? Ai cittadini, che fra ticket e liste d'attesa, nutrono sempre meno fiducia nel sistema sanitario pubblico? Serve alle regioni che hanno competenze esclusive nell'organizzazione dei servizi sanitari e competenze concorrenti con lo Stato nella definizione del diritto alla salute? Serve alla grande maggioranza di medici Pag. 17che vogliono poter esercitare la professione, vedendo riconosciuta la loro capacità professionale, senza dover fare i conti con le restrizioni di bilancio?
Serve a quei medici che riconoscono che il diritto alla libera scelta del cittadino debba trovare un ambito di esercizio da parte dei professionisti all'interno dell'azienda secondo criteri di trasparenza? No, non serve a tutti questi soggetti, perché le norme per dare risposta a questi interrogativi ci sono.
Allora questa legge a chi serve? È un'operazione in parte ideologica: utilizza la libertà di scelta del cittadino per liberalizzare la libera professione del medico; di fatto, sopprime l'intramuraria e riconosce a tutti l'esclusività di rapporto, disinteressandosi delle ragioni per le quali il cittadino ricorre spesso alla libera professione dei medici.
Era necessario mettere in campo una nuova legge o, forse, non sarebbe stato più saggio utilizzare la legge esistente, la n. 120 del 2007, che era stata approvata all'unanimità da parte del Parlamento? Ecco perché dico che in parte è un'operazione ideologica!
A dire il vero, il problema più rilevante era ed è il problema delle liste di attesa: non vi sono altre esigenze con altrettanta priorità per destrutturare il sistema sanitario, che, peraltro, è costato parecchio alle finanze pubbliche con quelle riforme. Quale messaggio, sostanzialmente, la maggioranza dà al Paese oggi con questa legge? Nessun controllo, nessuna verifica, fate ciò che vi pare; i cittadini, per quanto possono, paghino di tasca propria, magari in nero.
È necessario soffermarsi anche sulla prima parte del provvedimento, non solo su questa, che poi riprenderò, che riguarda l'oggetto dello stesso, cioè un nuovo governo clinico per le aziende. Vi è una discussione che dura da tanto tempo: si trattava di scegliere, all'interno di un dibattito esistente, fra chi sostiene che sia giusto che nelle aziende vi sia un governo senza medici e altri che sostengono che il governo delle aziende debba essere dei medici. La scelta che si è fatta, invece, con proposte di legge che anche noi abbiamo presentato e sottoscritto, è che il governo debba essere fatto il più possibile con i medici; sinteticamente, il governo clinico è questo!
Ma si doveva rispondere ad alcuni problemi: si doveva rispondere all'esigenza di ridurre il peso eccessivo delle scelte di bilancio operate dai manager-direttori generali, che troppo spesso piegano anche l'attività dei medici alle esigenze del riequilibrio finanziario. Bisognava ed era necessario dare attuazione alle norme che già nella riforma-ter, la riforma Bindi, erano state introdotte, allorché venne sostituito il già conosciuto consiglio dei sanitari con il collegio di direzione.
Era attesa una nuova legge, una normativa, per la nomina dei primari e dei manager, possibilmente svincolati dalle influenze dei partiti; era richiesta una normativa per introdurre livelli di codecisione fra il management e gli operatori sulle grandi scelte di programmazione e di gestione delle aziende sanitarie.
Togliere, sostanzialmente, dalla testa del direttore generale la pressione esterna che gli proviene per la nomina dei primari rappresentava e ha rappresentato un motivo di grande discussione, come sappiamo. Però, le soluzioni che sono state introdotte, in verità, non cambiano quasi nulla rispetto alla situazione attuale, e questo è motivo di grande rammarico.
Faccio due esempi: non cambia quasi nulla perché, per quanto riguarda i primari, la scelta dei dirigenti di strutture complesse, ci si limita a sostituire la discrezionalità del direttore generale con la discrezionalità, di fatto, di un organo composto da due primari, due persone, una commissione fatta da due persone, ma poi la scelta va fatta su una terna.
Non era più semplice e più chiaro dire che, finalmente, si dà valore alle esperienze, alle competenze e al merito con una graduatoria? In questo senso presenteremo degli emendamenti, perché su queste proposte non siamo riusciti ad ottenere ascolto da parte della maggioranza.
Per quanto riguarda la figura del direttore generale, la scelta di essi è oggetto Pag. 18di tante trattative all'interno delle coalizioni delle giunte regionali; ma, anche in questo caso, non era opportuno selezionare in base al merito? Questa è la proposta, per esempio, che noi avanziamo con degli emendamenti, che abbiamo presentato: come liberare, cioè, i direttori generali dalla sudditanza nei confronti dell'assessore di turno o del presidente della regione che li ha nominati, se davvero non si privilegiano le competenze?
E invece, nel testo che abbiamo al nostro esame vi sono due elementi, secondo me, che fanno arretrare la situazione già esistente, verso un'autentica umiliazione, in parte, della professione. In primo luogo, la scelta dei direttori generali va effettuata, secondo la maggioranza, esclusivamente in base al criterio della quantità di esperienze maturate in ambito sanitario. Devo dire che una maggiore apertura sarebbe stata auspicabile; del resto, vi sono molte persone, manager, che provengono anche dal settore privato, o non esattamente dal mondo sanitario, per esempio dal mondo dell'università, che avrebbero tutti i titoli per ricoprire questo ruolo, e sarebbero invece così esclusi.
Vi è poi un secondo elemento che desta qualche preoccupazione: esso è stato introdotto con una norma che prevede, di fatto, la professione del direttore generale. Il direttore generale può essere confermato o non confermato, ovviamente con motivazioni; il che vuol dire che le regioni si trovano di fronte alla necessità non di scegliere dei direttori generali, ma di dover motivare se confermano o meno il direttore generale che hanno ereditato dalla precedente gestione. Devo dire che anche questo è un elemento che fa capire come stiamo arretrando rispetto alla situazione attuale: sarebbe stato opportuno che tale comma fosse stato soppresso, e anche su ciò naturalmente presenteremo un emendamento.
Il testo compie anche un'operazione che credo abbia pochi precedenti in questa legislatura, nella legislatura delle riforme istituzionali: il provvedimento in esame contiene una grande lesione delle autonomie regionali. Il testo arriva infatti in Aula con il parere contrario della Commissione parlamentare per le questioni regionali, e con il parere favorevole ma con condizioni, che non sono state tutte recepite, se non parzialmente, della Commissione affari costituzionali, della Commissione cultura e della Commissione bilancio.
Mi preoccupano molto, per esempio, le osservazioni avanzate dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali e dalla Commissione affari costituzionali: in esse si afferma che i principi fondamentali, che sono stati indicati come il contenuto della legge, in verità non lo sono, per la semplice ragione per la quale si autoqualificano come principi fondamentali. Un principio fondamentale, per essere definito tale, deve avere le caratteristiche per poter essere ritenuto non interferente con le prerogative regionali, mentre tale interferenza è stata ravvisata da parte delle Commissioni in taluni compiti che sono stati previsti, che riguardano la programmazione, l'indirizzo, la regolamentazione, che certamente sono ascrivibili alla legislazione regionale. Su questo - lo saprà il relatore - abbiamo sollevato una questione pregiudiziale, che discuteremo domani in Aula; e penso che sia una questione della quale la maggioranza dovrà attentamente valutare il contenuto, e mi auguro che se ne discuta in maniera approfondita.
Non manca, nel provvedimento in esame, l'ennesima modifica dell'età pensionabile; dico ennesima, perché in due anni di legislatura l'abbiamo vista cambiare cinque, sei, sette volte: peraltro si tratta di una norma della quale la Commissione affari costituzionali aveva chiesto la soppressione. Fin qui, come vediamo, cambia pochissimo nel testo: ciò che cambia interferisce con competenze regionali, e per il resto non modifica tantissimo nel sistema.
In questo testo unificato di proposte di legge è però contenuto un macigno rappresentato dagli articoli 9 e 10. Debbo dire che in nessuno dei testi depositati, in nessuno dei testi presentati dai colleghi che hanno formulato proposte di legge in materia di governo clinico compare la Pag. 19riforma della libera professione. In verità è un annuncio del Governo e debbo dire che troppo remissivo è stato il relatore che se ne è fatto carico (il Governo, nei vari decreti che ha emanato ed approvato, poteva almeno inserire queste norme così avremmo saputo di chi ne fosse esattamente la paternità, mentre in questo caso la paternità è un po' condivisa).
Veniamo alla ragione vera - dicevo - per cui questo testo unificato di proposte di legge è fortemente voluto dalla maggioranza. Cominciamo dalle parole, cari colleghi, perché le parole hanno un significato e qui non credo che dobbiamo inaugurare un nuovo vocabolario.
Il rapporto esclusivo è tale se - come recita il decreto legislativo n. 502 del 1992 - esiste la totale disponibilità da parte del professionista e del dirigente nello svolgimento delle funzioni dirigenziali attribuite dall'azienda. In questo caso, invece, non vi è il rapporto esclusivo per la semplice ragione che non vi è la totale disponibilità a svolgere le funzioni dirigenziali attribuite dall'azienda. Pertanto l'attività intramuraria viene fatta dentro le mura, mentre l'attività diversa dall'intramuraria si chiama extramuraria e non intramuraria allargata, come viene detto nel testo al nostro esame.
Voi direte: ma anche voi avevate approvato una legge che prevedeva l'intramuraria allargata. Non veniteci a dire queste cose, perché sapete bene che l'intramuraria allargata era una formula che stava ad indicare un'attività professionale provvisoria, temporanea, allocata certo in locali e strutture non di proprietà dell'azienda ma con le stesse regole, le stesse procedure, le stesse tariffe, tutte perfettamente uguali all'attività intramuraria.
Invece, nel testo ora in esame nella vostra accezione di attività intramuraria allargata non vi è nulla di tutto questo: nella vostra accezione figura un'attività privata che presenta regole, orari, tariffe e procedure che non sono compatibili ed assimilabili all'attività intramuraria e che pertanto non sono compatibili con un rapporto esclusivo.
Ricorderete bene che anche nella precedente normativa, quella che viene così di fatto sostituita, l'attività intramuraria era fatta in nome e per conto dell'azienda; oggi con il testo da voi proposto ciò non è più così. Per questo vi era un rapporto esclusivo, perché l'attività era condotta in nome e per conto dell'azienda, mentre ora viene fatta in nome e per conto proprio e pertanto non vi può essere il rapporto esclusivo.

PRESIDENTE. Onorevole Miotto, la invito a concludere.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Le conseguenze sono drammatiche perché i medici che non erano a rapporto esclusivo (i quali sono una minoranza) dopo questa legge chiederanno di essere ammessi al rapporto esclusivo, con tutti i vantaggi di carriera ed economici previsti per i medici che avevano il rapporto esclusivo.
E quali comportamenti debbono modificare nella loro libera professione? Nessuno. Invece tutti i medici che sono a rapporto esclusivo (il 95 per cento del totale) come usciranno da questa legge? Dovranno pagare i loro colleghi con i benefici contrattuali per corrispondere l'indennità di esclusività. E che cosa ci guadagnano? Per ora nulla, hanno solo svantaggi, quanto al futuro per loro si apre una prospettiva cosiddetta di vantaggio, cioè uscire dall'intramuraria e svolgere anche loro la libera professione extramuraria senza penalizzazioni economiche e di carriera.
È una riedizione del patto di venti anni fa tra l'allora Ministro De Lorenzo con i medici di quel tempo, un contratto poco generoso con in cambio la possibilità di integrare lo stipendio fuori dal sistema.
In questo caso però lo scambio non è esplicito, è mascherato, perché non si vuole riconoscere che rappresenta un ritorno al passato che rischia davvero di travolgere il sistema.
Su tutto questo noi presenteremo una manovra emendativa, che parte dalla soppressione dell'articolo 9: non vi era - lo ripeto - nessuna necessità di cambiare la Pag. 20libera professione. Se vi era una necessità, era piuttosto quella di incrementare gli organici per diminuire le liste di attesa. Questo era il punto da risolvere, incentivando anche quell'azione che nelle aziende ha consentito finora di acquistare prestazioni in libera professione dai medici, come previsto dal contratto, per diminuire le liste di attesa.
Faccio notare che, con il provvedimento in esame, perfino questa attività sarebbe preclusa, perché è evidente che l'azienda, come previsto nel testo unificato, ha semplicemente «facoltà» di attivare la libera professione. Come si fa allora a garantire un diritto se è una «facoltà» per l'azienda attivare la libera professione? E se è una «facoltà», nell'ipotesi che non ci sia più l'intramoenia, come si farà ad erogare delle attività in libera professione per ridurre le liste di attesa?
È davvero un provvedimento che nella seconda parte contraddice la prima. Il titolo è invitante: «Principi fondamentali (...) per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale», ma, ahimè, deluso nella prima parte, nella seconda il testo del provvedimento lo contraddice. È un'ipotesi, certo, l'affievolimento delle responsabilità, che nella prima parte del testo vengono valorizzate e nella seconda, di fatto, vengono quasi annullate. Ma devo dire che vi è un'ipotesi peggiore: coloro i quali hanno più ampie responsabilità nell'organizzazione dei servizi e dei dipartimenti possono aprire un conflitto di interessi gigantesco, che nulla ha a che vedere con l'efficienza e con la migliore funzionalità del sistema. Ripensateci, se ne avete ancora la possibilità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il testo unificato di proposte di legge di iniziativa parlamentare in esame viene presentato in quest'Aula dopo un lungo dialogo e dibattito in Commissione. Il numero delle osservazioni e delle condizioni poste dalle Commissioni che si sono pronunciate sul testo in sede consultiva, la dice lunga, perché chiaramente ci sarà ancora molto da lavorare.
Riteniamo tuttavia che sia un argomento estremamente importante che va adeguatamente affrontato ed è necessario che si approfitti di questa occasione per migliorare la situazione della gestione delle cliniche, che evidentemente presenta degli aspetti ancora del tutto negativi.
È chiaro che il governo delle attività cliniche è disciplinato dallo Stato riguardo ai principi fondamentali (secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 502 del 1992, che ormai deve essere sicuramente aggiornato), mentre le regioni definiscono le soluzioni organizzative più adeguate per la presa in carico integrale dei bisogni socio-sanitari e per la continuità del percorso diagnostico, terapeutico ed assistenziale. Insomma, vi è una divisione tra i compiti. Tuttavia, già nel testo unificato delle proposte di legge in questione, questi due aspetti spesso si sovrappongono e, in qualche modo, in parti dello stesso testo, si oltrepassa il limite. Le regioni quindi sicuramente avranno osservazioni da fare, qualora il provvedimento fosse approvato così come è stato scritto. Noi saremmo molto interessati ad approfittare di questa occasione per sganciare, e fare un passo avanti decisivo, nell'allontanare, per così dire, la gestione della sanità dalla politica. Si dice così, ma io dico dai partiti politici italiani.
Questo sarebbe un bene, perché potremmo veramente puntare soprattutto sulla competenza, sull'alta qualità, sul livello sia della gestione manageriale delle aziende sanitarie sia soprattutto della medicina e della chirurgia che in tali aziende sono praticate. Questa è la prima questione che ci interessa, ovverosia lo sganciamento dalla lottizzazione della politica e quindi il tentativo di rendere sempre più indipendente soprattutto il manager, il direttore generale, il quale poi a sua volta deve nominare tutte le altre figure (mentre se dipende dalla politica effettua tali nomine certamente per fare piacere a qualche Pag. 21gruppo politico o a qualche insieme di forze esterne alla sanità stessa). Noi invece vorremmo che l'esperienza del direttore generale ai fini dell'assunzione avesse una durata di cinque anni e che fosse effettuata all'esterno, non in un normale ospedale (in una normale azienda), bensì in un centro di eccellenza o di rilevanza nazionale o internazionale. Con tali caratteristiche si migliorerebbe abbastanza la situazione del direttore generale, e questo sarebbe un modello assunto e basato soprattutto sulla capacità e sulla preparazione. Vanno bene quindi i criteri e i sistemi di valutazione e di verifica delle attività dei direttori generali e del raggiungimento degli obiettivi, ma i criteri e i sistemi di valutazione vanno continuamente aggiornati, perché noi sappiamo che senza l'aggiornamento di questi criteri anche il lavoro dei direttori generali può arrestarsi, mentre la medicina e la chirurgia corrono velocemente.
Inoltre vorremmo che l'integrazione stessa del trattamento economico del direttore generale non dipendesse solo dal raggiungimento degli obiettivi ma anche dall'eventuale miglioramento degli stessi obiettivi; è necessario vedere questo aspetto anche dal punto di vista dinamico, altrimenti non si potrebbe spiegare l'ulteriore aumento rispetto allo stipendio corrispondente agli obiettivi raggiunti. Nella valutazione dei dirigenti medici e sanitari di strutture complesse è evidente che si debba tener conto della validità delle strategie adottate, non tanto per il contenimento dei costi (come dice il testo di legge), quanto per la riduzione effettiva degli sprechi, la razionalizzazione dei costi e l'uso corretto delle risorse. Infine, voglio trattenermi brevemente sulla questione della gestione e della programmazione delle tecnologie sanitarie. Sappiamo benissimo che l'integrazione tra impianti sanitari sempre più sofisticati, sempre più moderni, sempre più avanzati (che richiedono una grande specializzazione), e l'attività sanitaria vera e propria provoca una discrasia che necessita di una grande attenzione, di una grande e approfondita formazione di coloro i quali effettuano i collaudi. Non bisogna basarsi esclusivamente sulle ditte esterne; la manutenzione preventiva e correttiva di questi apparecchi necessita di verifiche periodiche, di collaudi periodici per quanto riguarda la sicurezza, la funzionalità e la qualità, che non possono essere lasciati solo alla volontà delle ditte esterne (che sono interessate ai guadagni). Sarebbe necessario cominciare a pensare che nella gestione delle cliniche debbano entrare in modo diretto delle figure professionali che sono preparate in questo momento dalle università (ricordo, a tal proposito, che in moltissime facoltà universitarie l'ingegneria clinica è uno dei corsi di laurea più importanti).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fucci. Ne ha facoltà.

BENEDETTO FRANCESCO FUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento di cui l'Aula comincia oggi l'esame è davvero di grande importanza, e lo è per vari motivi che ora vorrei subito, velocemente, elencare, per poi concentrarmi su alcuni di essi in modo più analitico. Il provvedimento al nostro esame, infatti, tocca aspetti di importanza centrale, quali la trasparenza dei criteri di nomina nella sanità pubblica, una maggiore efficienza nel complessivo sistema di gestione delle ASL, la razionalizzazione del ricorso alle consulenze esterne, la revisione dei sistemi di valutazione, il riordino di importanti aspetti previdenziali e la disciplina dell'attività libero-professionale intramuraria. Ci troviamo di fronte, insomma, ad uno di quei provvedimenti che a buona ragione si possono definire di sistema, i quali cioè non si limitano ad intervenire su alcuni singoli aspetti, bensì vanno ad incidere profondamente sulle complessive attività del governo clinico. Non può sfuggirci come questo intervento, così organico, giunga nel momento più opportuno sia sul piano politico, sia sul piano della realtà di fatto.
Per quanto riguarda l'aspetto politico tutti noi sappiamo bene come in questo periodo, dopo il recente rinnovo dei vertici politici della maggior parte delle regioni Pag. 22italiane, le quali in media impiegano circa il 75 per cento dei loro bilanci interni proprio sul comparto sanità, i temi della gestione sanitaria siano di massima attualità. Sul piano della realtà di fatto, invece, sappiamo altrettanto bene - basta leggere le cronache dei giornali o seguire le notizie televisive e radiofoniche - che soprattutto nel Mezzogiorno vi sono casi di malasanità, i quali a mio parere molto spesso sono riconducibili non tanto all'imperizia professionale del medico, quanto da un lato, a inefficienze organizzative, sprechi gestionali, supporti tecnologici carenti all'interno delle strutture ospedaliere e, dall'altro lato, alla distribuzione della rete ospedaliera sul territorio che ancora oggi continua a vedere, purtroppo soprattutto nel Mezzogiorno, un numero eccessivo di piccole strutture inefficienti; come dimostra - cito questo esempio in quanto responsabile all'interno della Commissione di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali di uno specifico filone di inchiesta in materia - il caso dei troppi punti nascita italiani in cui si effettuano meno di 500 parti l'anno. È necessario riflettere sul fatto che proprio nel Mezzogiorno, cioè lì dove avviene la maggior parte dei casi di malasanità nel nostro Paese, vi è la massima concentrazione di strutturare ospedaliere di dimensioni piccole e oramai dotate di strutture poco adeguate. Il tutto in un contesto nazionale che vede circa il 35 per cento degli ospedali italiani dotati di meno di 100 posti letto. Al contrario, proprio le cosiddette regioni virtuose in campo sanitario sono quelle che negli ultimi anni hanno saputo riorganizzare le proprie reti territoriali, chiudendo le strutture piccole e improduttive, per investire risorse e tecnologie nella costruzione o nel rafforzamento dei grandi poli ospedalieri in grado di servire, anche con l'ausilio di efficienti servizi assistenziali (per esempio quelli a domicilio), con efficacia e tempestività territori anche molto ampi. A mio parere, nel quadro appena delineato, il provvedimento al nostro esame interviene in modo assai positivo, dando maggiore centralità alla figura del medico e garantendo che, fermi restando i compiti di indirizzo che spettano ai vertici politici delle regioni, nel concreto, la conduzione delle aziende sanitarie locali e delle strutture ospedaliere avvenga sulla base di valutazioni tecnico-scientifiche e sulla competenza professionale.
Ritengo che proprio in tale direzione - e qui passo alla parte del mio intervento dedicata all'analisi di alcuni punti specifici contenuti nel provvedimento al nostro esame - vadano, per esempio, gli articoli 2 e 3 del testo unificato. L'articolo 2, infatti, allarga la cerchia degli organi delle aziende sanitarie locali al collegio di direzione, le cui funzioni sono ad oggi normate dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 502 del 1992. Ritengo positivo il fatto che il collegio di direzione venga parificato al direttore generale e al collegio sindacale, così com'è altrettanto positiva la previsione in base alla quale da una parte il collegio di direzione formula pareri obbligatori, mentre dall'altra il direttore generale ha l'obbligo di motivare l'eventuale decisione di non tener conto di questi dati. Può apparire in apparenza solo come una questione formale, ma a mio parere non è così, perché, nel concreto, l'inserimento del collegio di direzione tra gli organi offre un'impronta più collegiale e trasparente al funzionamento delle aziende sanitarie locali. D'altra parte, ricordo bene come la bontà di questa misura - che è stata possibile inserire grazie ad un emendamento del relatore, onorevole Domenico Di Virgilio, che ringrazio per la competenza e l'efficacia con cui ha saputo svolgere il suo delicato ruolo in Commissione - sia stata sostenuta anche da molti dei soggetti auditi nel corso dell'esame in sede referente.
Quanto all'articolo 3, sui requisiti e sui criteri di valutazione dei direttori generali, condivido profondamente che il testo unificato alla nostra attenzione calchi la mano sul tema della trasparenza, tenendo conto della diffusione delle nuove tecnologie e prevedendo quindi, esplicite forme di pubblicità via Internet quando sono attivate procedure per la copertura di posti da direttore generale vacanti o per la Pag. 23pubblicazione dei provvedimenti di conferma o meno del direttore generale. Va anche, a mio parere, sottolineata la prevista nuova formulazione del comma 3 dell'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, nella parte in cui essa elenca in modo più preciso, rispetto al testo ad oggi vigente, i requisiti degli aspiranti direttori generali. Così come va rilevato anche il nuovo comma 3-ter dello stesso articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, il quale affida la valutazione dei curricula degli aspiranti direttori generali ad una commissione di esperti.
Non c'è dubbio che queste, come altre misure contenute nel provvedimento al nostro esame, vadano nella giusta direzione, a ormai quasi vent'anni dal varo del decreto legislativo n. 502 del 1992, al fine di limitare la discrezionalità politica in questo campo affidandosi, invece, a valutazioni tecnico-scientifiche e di competenze professionali degli aspiranti. Mi sembra utile sottolineare il contenuto dell'articolo 9 del provvedimento, il quale riguarda i limiti di età per il pensionamento dei dirigenti medici del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale. Anzitutto, la norma in questione fissa a 67 anni l'età entro la quale, una volta raggiunti i 40 anni di contribuzione previdenziale, sia possibile andare in pensione, ferma restando la possibilità di chiedere una proroga triennale. In tal modo, viene a risolversi un grave problema, consistente nell'ingiusto danno causato a moltissimi medici che, alla luce della normativa vigente, vista la soglia sempre più elevata di ingresso nella professione dopo il compimento della specializzazione (ormai si parla stabilmente di una forbice tra i 30 ed a volte, perfino, i 35 anni) e vista l'impossibilità di esercitare la professione durante la specializzazione (al contrario, per esempio, di come avveniva ai tempi della mia specializzazione), avrebbero avuto la realistica prospettiva di lasciare il lavoro con una pensione davvero irrisoria e svilente della professionalità dimostrata durante la carriera lavorativa.
Ora, invece, con la norma presente nel provvedimento in esame, poniamo le basi per garantire - come è giusto che sia - ai dirigenti medici e sanitari la possibilità di accumulare i contributi previdenziali, tutti durante la carriera lavorativa effettiva. In secondo luogo, l'articolo 9 pone rimedio alla disparità - a mio parere incomprensibile -, ad oggi vigente, tra il personale medico ospedaliero delle aziende sanitarie locali ed il personale medico universitario. Il decreto-legge n. 112 del 2008, infatti, inserisce solo gli universitari nell'elenco di alcune categorie della pubblica amministrazione esentate dalla previsione sulla messa in pensione del personale dipendente, compresi i dirigenti, al raggiungimento dei quarant'anni di contribuzione e al di là dell'età.
Vorrei porre l'accento anche sull'articolo 10 del provvedimento in esame: esso delinea un complessivo riordino della disciplina dell'attività professionale intramuraria. Tale riordino, su una materia che mi ha visto impegnato anche con interrogazioni al Governo e con un ordine del giorno in Assemblea accolto l'anno scorso dal Governo, rappresenta, a mio parere, una delle misure in assoluto più apprezzabili e più necessarie. Ciò vale, in particolar modo, per la parte che definisce, in modo puntuale, le tre strade alternative con le quali il medico del Servizio sanitario nazionale possa esercitare l'intramoenia. È quanto mai positivo, in particolare, che la cosiddetta intramoenia allargata venga «istituzionalizzata», smettendo di essere formalmente un'eccezione divenuta poi, in realtà, ben altro in virtù delle continue proroghe intervenute di anno in anno di fronte all'incapacità di gran parte delle regioni di adeguare le proprie strutture sanitarie. Questa esigenza di chiarezza era da tempo attesa soprattutto perché, in questo modo - e lo dico avendo presenti anche discutibili casi di applicazione dell'intramoenia nella mia regione - verrà fatto finalmente ordine in uno scenario assai confuso, incerto e, quindi, dannoso, sia per i pazienti sia per la professionalità e la centralità dello stesso medico.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi avvio velocemente a conclusione evidenziando Pag. 24proprio le due parole sopra pronunciate in relazione alla figura del medico, ovvero professionalità e centralità. I medici, che sempre più spesso sono oggetto di un numero, a volte indiscriminato, di cause per presunta responsabilità professionale, hanno il diritto - così come deve avvenire per qualsiasi professionista, qualunque sia il suo settore lavorativo - di esercitare i loro delicati compiti all'interno di strutture ben organizzate, ben gestite e, soprattutto, condotte a livello dirigenziale da persone qualificate che si trovino in quelle delicate posizioni in virtù della loro preparazione professionale e non in virtù di interessi o pressioni politiche. Sono certo che il provvedimento al nostro esame sia in grado di fornire le giuste risposte.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calgaro. Ne ha facoltà.

MARCO CALGARO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, singolarmente la proposta di legge che ha ad oggetto disposizioni in materia di organizzazione del Servizio sanitario nazionale fa riferimento al solo decreto legislativo n. 502 del 1992, non richiamando il decreto legislativo n. 229 del 1999, quasi a confermare il desiderio di rimuovere la razionalizzazione introdotta dall'allora Ministro della sanità, onorevole Bindi. Nel corso degli ultimi dieci anni, le ultime tre legislature, in realtà il funzionamento del Servizio sanitario nazionale ha subito il contraccolpo di un'evidente crisi finanziaria, nonché della gestione troppo spesso clientelare da parte della politica e certamente foriera di processi degenerativi e corruttivi che da ultimo la Corte dei conti ha opportunamente evidenziato. Questa proposta di legge non è in grado di modificare nessuno degli aspetti deteriori della gestione dei servizi alla salute dei cittadini. Per di più le proposte provengono da una parte politica che non manca, ad ogni piè sospinto, di urlare la propria opzione federalista. Ma, sorprendentemente, questa proposta di legge viola ogni prerogativa delle regioni alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione. Noi, che non condividiamo chimere federaliste, quali che siano e che, al contrario, sosteniamo il regionalismo della sanità e il suo territorialismo come presupposti di un autentico inveramento delle promesse di tutela della salute di ogni cittadino, ci attestiamo sul parere espresso dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Per due volte questa Commissione ha espresso parere contrario: la prima quando ha preso visione del testo originario, la seconda quando ha esaminato il testo unificato delle proposte di legge A.C. n. 799 ed abbinate. Ma non voglio sottacere il parere della Commissione lavoro, dapprima contrario e poi favorevole con condizioni. Mi pare peraltro che quella Commissione abbia introdotto un caveat, che il testo a noi sottoposto non soddisfa a mio parere in nulla, quando ha raccomandato di introdurre una clausola di coordinamento che affermasse il carattere accessorio e cedevole delle norme procedurali e di dettaglio concernenti le diverse figure professionali e i meccanismi per la determinazione dei requisiti di accesso, sistemi di valutazione e modalità di individuazione degli incarichi a queste riferite.
Parimenti, il testo continua ad ignorare e violare il parere della Commissione giustizia, invadendo un'area che è tipicamente contrattuale, quella della responsabilità disciplinare e delle conseguenti sanzioni amministrative. Anche l'ultimo parere della Commissione bilancio, favorevole ma condizionato alla soppressione dell'articolo 8, è stato disatteso. Insomma una Caporetto del diritto parlamentare ed un ulteriore invito alla giurisprudenza a tenere il luogo della legislazione.
Dobbiamo dirlo: il Parlamento sta lavorando ad una modificazione dell'assetto del Servizio sanitario nazionale che non supererà, per certo, lo scrutinio di costituzionalità della Corte. Da un groviglio di disposizioni improvvisate, tra le quali fanno capolino invasioni dell'autonomia contrattuale oltre che delle competenze regionali, emergono linee di intervento insicure e inefficienti. Pag. 25
Non c'è un solo passaggio di questa proposta legislativa dal quale emerga consapevolezza ordinamentale, collegamento con la programmazione sanitaria, ragionevolezza costituzionale, disposizione alla creazione di presidi organizzativi pur necessari al funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Invece, con molta facilità si individuano cedimenti a questo o a quell'interesse organizzato. Così si porta nell'ambito di un presunto sforzo di razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale la vetusta questione dell'età pensionabile dei vecchi padroni della sanità.
Questo Governo, che con la sua manovra finanziaria strozza lo sviluppo del Paese e dispensa severe punizioni anche ai migliori lavoratori pubblici, non ha la forza di contrastare la pressione corporativa di certe categorie: corporatività che esclude la crescita di giovani risorse nella sanità.
Si vedono scorrazzare nella proposta di legge e nelle sue abbinate direttori generali, direttori di dipartimento, coordinatori, aspiranti libero-professionisti, tutti con un traguardo personale o categoriale. Nessuno che abbia nel mirino il buon funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Questa legge non passerà non solo il vaglio di costituzionalità della Corte, ma neppure il vaglio di funzionamento che l'intero Paese eserciterà.
Il Servizio sanitario nazionale oggi propone questioni che attengono a liste di attesa pluriennali, organizzazione strumentale in accelerato e progressivo decadimento, assenza patologica del momento programmatorio, violazione potenziale ed estrema disomogeneità sul territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni, disamoramento dei lavoratori, stato di abbandono degli ammalati.
Le regioni sono il livello essenziale della funzione di attività assistenziale. Compete loro, in relazione all'assegnazione di fondi sanitari, la responsabilità di costruire modelli gestionali appropriati. Questo variegato, composito, confuso tentativo di riordinamento di una parte del Servizio sanitario nazionale non offre alle regioni il riferimento di principi generali di cui avrebbero bisogno per indirizzare la loro produzione di rinnovati servizi sanitari locali.
Ma veniamo ad un esame un po' più puntuale della legge. La verbosità legislativa, che è prodotto tipico della carenza di idee e di idealità, non modifica di un centimetro quadrato l'aria inquinata dei requisiti e dei criteri di valutazione dei direttori generali. Questi restano una figura professionale che, quand'anche in possesso di tutti i necessari requisiti, viene messa in competizione nell'ambito di un circuito drogato dall'appartenenza politica.
I dipartimenti, troppo diffusamente inattuati (perché non dimentichiamolo: sono già parte costitutiva del Servizio sanitario nazionale), finiscono per costituire un appesantimento burocratico. Un direttore di dipartimento, è noto nella scienza dell'organizzazione, è figura connettiva dell'organizzazione sanitaria. Certo non è figura sovrapposta alle strutture complesse. Nella versione addomesticata di questa congerie di proposte di legge, i capi dipartimento finiscono in un mare di conflitti d'interesse, perché l'interruzione del loro rapporto con le medesime strutture complesse non è stata per nulla affrontata seriamente, in termini di copertura finanziaria. La confusione organizzativa, della quale peraltro non esito a credere vi sia consapevolezza da parte del Governo, si proietta, con buona pace dell'ispirazione liberale, altrettanto sventolata come quella federalista, in un'organizzazione di tipo sovietico, con l'allargamento a tutti di una partecipazione al banchetto della sanità, che consentirà di proseguire nella disdicevole tendenza all'oscuramento delle responsabilità.
Il Servizio sanitario nazionale, anche nell'evoluzione giurisprudenziale, è il frutto di una logica molto affascinante ed avanzata, secondo la quale le strutture pubbliche sono affiancate ed integrate dall'iniziativa privata. È un mirabile esempio di connubio di buone pratiche rivolte a realizzare la garanzia di soddisfazione dell'attesa di prestazioni da parte degli ammalati. In questa logica ricostruttiva si Pag. 26colloca la prestazione intramuraria dei professionisti sanitari. Questa è la logica, ed ecco la sua contraddizione nel disegno che scaturisce da queste proposte di legge: consentire al privato di esercitare una concorrenza ingiusta al sistema pubblico come integrato dallo stesso sistema privato. Una doppia contraddizione.
In conclusione mi par di poter dire che chi ha posto mano alla proposta di legge aveva tre obiettivi.
Il primo era quello di dare maggiore spazio nel governo clinico alla componente sanitaria attraverso il rafforzamento del collegio di direzione. Questo obiettivo è senz'altro condivisibile, ma la scarsissima definizione della composizione del comitato medesimo fa sì che sia ridicolo attribuire a questo delle funzioni precise; infatti, a seconda delle integrazioni che le regioni vorranno fare o meno, il comitato potrà avere caratteristiche di professionalità e di profilo diversissime, passando da un organismo prettamente tecnico-amministrativo-sanitario, ad un organismo a spiccata valenza tecnico-sanitaria, ad un organismo abbondantemente sindacalizzato e quindi totalmente estraneo alle funzioni che gli si vorrebbero attribuire.
Il secondo scopo della proposta di legge è certamente quello di fare un favore ai soliti noti, sostanzialmente cassando ogni possibilità di innovazione e rinnovamento e contribuendo definitivamente alla costruzione di una gerontocrazia antitetica ad un profilo moderno ed europeo della nostra sanità. State facendo il contrario di ciò di cui questo Paese ha bisogno. Necessitiamo di trasparenza, innovazione, senso di appartenenza ad una comunità, regole certe ed uguali per tutti, e voi, anziché affrontare la riforma delle pensioni in modo omogeneo, individuate ogni giorno vere e proprie caste di persone un po' più uguali degli altri, magistrati, poi professori universitari, medici e via dicendo. Certo che con questo approccio sarà sempre più difficile riscoprire l'orgoglio di essere italiani e ancor di più quello di essere giovani italiani.
Il terzo scopo che vi siete dati è quello di far ritornare la sanità indietro di vent'anni, consentendo una sostanziale deregulation della libera professione e abolendo ogni incentivo alla libera professione intramuraria. Inoltre, grazie ad una serie di regole apparentemente cogenti, ma in realtà totalmente incomprensibili, inapplicabili e il cui rispetto è inverificabile, ci fate ritornare ad una «Italietta» piena zeppa di regole e regolette minuziose fatte per far trionfare i soliti furbetti e non per dare un servizio sempre migliore ai cittadini.
Alleanza per l'Italia avrebbe a cuore in primo luogo il ritiro della proposta di legge per non nuocere ad un Servizio sanitario nazionale già ferito da tante inefficienze, e se propone - come propone - alcuni emendamenti, lo fa unicamente per ridurre l'area del danno.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.

SILVANA MURA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, il testo che oggi iniziamo ad esaminare riforma alcune parti del decreto legislativo n. 502 del 1992, che costituisce l'impalcatura sulla quale è organizzato il Servizio sanitario nazionale.
Dal 1992 molte cose sono cambiate e il mutamento più rilevante consiste nel trasferimento alle regioni della quasi totalità dei poteri in campo sanitario. La sanità è un settore fondamentale per il nostro Paese, in primo luogo perché la qualità e l'efficienza delle sue strutture incidono direttamente sulla salute e sulla vita dei cittadini. Un diritto, quello alla salute, che, a differenza di altri Stati, è esplicitamente riconosciuto dalla nostra Costituzione all'articolo 32 e, come tale, lo Stato deve far tutto ciò che è nei suoi poteri per garantirlo a tutti.
La sanità, però, costituisce anche uno dei principali problemi dal punto di vista finanziario. Questa voce assorbe gran parte del bilancio delle regioni, molte delle quali registrano passivi talmente devastanti da essere già state commissariate dal Governo centrale. Che il Parlamento torni ad occuparsi di sanità in maniera Pag. 27organica è senz'altro positivo ed è quanto mai opportuno, proprio nell'interesse del Paese e dei suoi cittadini.
Il testo che, dopo il lungo iter in Commissione durato più di un anno e mezzo, è finalmente giunto in quest'Aula presenta certamente aspetti positivi ed apprezzabili, ma non possiamo negare che questa proposta di legge ha una grande pecca: quella di ignorare volutamente il problema più grande della sanità italiana, ovvero lo stretto legame che la unisce alla politica. Non intervenire per recidere la catena con cui la politica tiene prigioniera e subalterna la sanità è come limitarsi ad imbiancare le pareti e a cambiare il mobilio all'interno di una casa il cui tetto è completamente sfondato. Va da sé che, per quanto buono possa essere il lavoro di finitura, esso sarà assolutamente inutile se non verrà posto rimedio alla falla principale.
Non si può, colleghi, non considerare che oggi ci si presenta un'occasione difficilmente ripetibile, per tutta una serie di fattori. Che il potere esercitato dalla politica sulla sanità sia il cuore del problema è acclarato ed è difficilmente smentibile: lo sostengono i cittadini, lo diciamo noi politici nelle campagne elettorali, sia in quelle locali sia in quelle nazionali, promettendo di porvi finalmente rimedio, ma soprattutto lo dicono i fatti che si sono già verificati e che si verificheranno da qui a breve. Mi riferisco alla sostituzione delle strutture apicali delle aziende sanitarie ospedaliere che si verifica normalmente dopo ogni elezione regionale. Questo ripulisti (si badi bene) non si verifica soltanto quando una giunta cambia colore, ma persino quando, a seguito dei risultati elettorali, si modificano gli equilibri interni alla stessa coalizione. Se non è vero quanto sto affermando, sfido chiunque a spiegare da cosa dipenda l'avvicendamento dei direttori sanitari, dei direttori generali e dei direttori amministrativi che si verifica sempre dopo le elezioni regionali.
Modificare questo schema, colleghi, dipende solo dalla nostra volontà e da null'altro, perché si tratta di una riforma che non ha bisogno di risorse economiche per essere realizzata, per cui non possiamo dare la colpa al Governo di un eventuale diniego.
Le condizioni che abbiamo di fronte sono quanto mai favorevoli. Infatti, siamo chiamati ad esaminare non un decreto-legge del Governo, non un disegno di legge governativo, bensì un testo base risultante da diverse proposte di legge tutte di iniziativa parlamentare, peraltro provenienti da tutti gli schieramenti.
Anche i risultati delle ultime elezioni regionali hanno creato un'ulteriore condizione favorevole per procedere in tal senso. Ciò grazie all'equilibrio, rispetto ai cinque anni precedenti, di regioni amministrate da centrodestra e da centrosinistra che hanno eliminato situazioni di vantaggio da difendere.
A mio personalissimo avviso, poi, ritengo sarebbe un grave errore non tenere ben presente quanto sta accadendo in Italia circa una recrudescenza di fenomeni di corruzione politica. In un fondo del Corriere della sera del 6 maggio, Sergio Rizzo ha scritto che, secondo una stima della Corte dei conti, gli italiani pagano ogni anno una tassa occulta alla corruzione di circa 60 miliardi di euro. Una somma sufficiente, da sola, a ripagare gli interessi del nostro debito pubblico.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 18,05)

SILVANA MURA. Nel solo 2009 la Guardia di finanza ha accertato un aumento del 229 per cento dei reati di corruzione e del 153 per cento di quelli di concussione. Cifre paurose che non sono esclusivamente imputabili al settore sanitario, ma per le quali anche la sanità ha certamente contribuito.
I cittadini chiedono alla politica, in maniera sempre più insistente, di cambiare. Oggi, maggioranza e opposizione hanno una grande occasione: stabilire, con una norma semplicissima, che le nomine dei direttori generali siano indipendenti dalla politica. Non c'è alcun valido motivo per non farlo, fatta eccezione la volontà di Pag. 28voler conservare un'importante riserva di potere utile per far affari e clientele.
Aver operato un doveroso riequilibrio a favore del corpo medico nella gestione del governo clinico, avere ridotto almeno in parte la discrezionalità nelle nomine dei primari e aver previsto norme alla regolamentazione della professione medica e di quella infermieristica è certamente positivo. L'Italia dei Valori ha offerto il proprio contributo sia con testi normativi che con proposte emendative (alcune delle quali accolte in Commissione e altre che speriamo vengano accolte in quest'Aula), ma non possiamo nascondere che tutto questo rischia di essere veramente inutile, se non controproducente, se non avremo il coraggio di afferrare, una volta per tutte, il toro per le corna. Questa sarebbe un'avidità che i cittadini, questa volta, potrebbero non perdonarci e, credo, ne avrebbero tutte le ragioni.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, dall'inizio del dibattito (ho sentito l'intervento di tutti colleghi che mi hanno preceduto) mi viene in mente sempre più un convincimento che avevo: questa è, e sarà, la legge delle occasioni perse.
Questo perché credo che l'opportunità che avevamo davanti era, finalmente, l'occasione per fare un passo avanti. Mi sembra, invece, che abbiamo fatto un passo indietro.
La discussione su questa materia si colloca in un momento particolare e cruciale, sia per la sanità che, purtroppo, per i conti pubblici in generale (l'onorevole Miotto che è intervenuta prima di me ha richiamato le preoccupazioni e gli allarmi che vengono anche dal mondo medico per la manovra finanziaria in atto). Era un'occasione che non dovevamo perdere e mancare per fare una valutazione approfondita del sistema sanitario nazionale e non semplici accorgimenti o qualche considerazione. Anche il relatore, nel suo intervento, ha evidenziato l'insoddisfazione e la necessità di riformarla.
Ripeto, le ragioni che erano alla base e che hanno ispirato questo provvedimento avevano proprio delle ambizioni che erano quelle di aggiornare e migliorare le disposizioni del Servizio sanitario nazionale.
Avevamo questa volta la possibilità di identificare le esigenze della collettività che dovevano essere trasferite all'interno del Servizio sanitario nazionale, esigenze però della collettività cioè dei cittadini, dei loro bisogni e dei cittadini malati e non solo di alcuni o di alcune baronie.
Avremmo dovuto partire dall'analisi dei bisogni dei cittadini e impegnarci per ottimizzare le prestazioni, abbattere le liste di attesa, migliorare la tecnologia e vigilare sulla qualità dell'assistenza. Lo abbiamo voluto chiamare «governo clinico» perché doveva essere il governo delle aziende sanitarie assieme ai clinici, proprio perché era necessario ridurre la solitudine e lo strapotere del direttore generale che ormai stava diventando un monarca assoluto.
Se è vero, come è stato anche ripetuto in quest'Aula, che il decreto legislativo n. 502 del 1992 ha rappresentato una nuova modalità gestionale introducendo nelle aziende ospedaliere il direttore generale come legale rappresentante e come organo decisionale monocratico con l'obiettivo di trasferire il modello gestionale privatistico nella pubblica amministrazione, è altrettanto vero che l'esperienza maturata nel corso di questi anni ci aveva suggerito una rimodulazione del modello gestionale ospedaliero.
Invece - ritorno al punto iniziale - questa che doveva essere un'opportunità si è rivelata un'occasione perduta. Avevamo la possibilità di sancire finalmente il divorzio tra politica e sanità e potevamo prevedere che la selezione per i direttori generali delle ASL si facesse con criteri basati sul merito. Il relatore ha introdotto il concetto di meritocrazia, però le parole d'ordine devono essere due: merito e fiducia, non rapporto fiduciario basato sulla fedeltà o su logiche di appartenenza. Avevamo questa possibilità, ma mi sembra Pag. 29che, se il testo esce così come viene presentato stasera in questa Assemblea, una simile occasione è perduta.
Lo stesso discorso vale per le commissioni di concorso per i primari. Avevamo l'opportunità di stabilire che tali commissioni di concorso si componessero in maniera autorevole, mentre qui sembra - dal testo che leggo - che sia stata fatta soltanto una operazione di maquillage, perché con tutto a costo zero non sono certa che vincerà il concorso da primario il candidato più bravo, né il medico con il miglior curriculum, ma temo che possa vincere il concorso da primario il medico più amico. Anche questa è un'altra delle occasioni perse.
Ritengo che sia stato apprezzabile l'iniziale dibattito che si è svolto in Commissione, che si è prolungato per più di un anno e ringrazio il relatore che ha voluto approvare emendamenti che sono stati presentati dal Partito Democratico volti a salvaguardare la specificità degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e in questo senso auspico che venga approvato anche l'emendamento volto a salvaguardare la specificità degli istituti zooprofilattici sperimentali.
Dico questo perché tali istituti rappresentano una peculiarità del nostro Paese nel panorama sanitario e della ricerca in Europa e sono finalizzati a svolgere assistenza specialistica e multidisciplinare per patologie ad alto impatto sociale, coniugando ricerca innovativa finalizzata al miglioramento delle terapie più avanzate per le patologie cui gli istituti prestano la loro attività. Apprezzo lo sforzo del relatore di aver voluto tenere conto della specificità di questi istituti, così come della specificità del loro direttore scientifico che gestisce i fondi e il personale destinato alla ricerca ed ha un rapporto con il Ministro della salute di tipo fiduciario.
Anche in questo caso si tratta di un rapporto che deve essere instaurato e basato su valutazioni di merito e non solo e non anche su promesse di fedeltà.
Ritengo, inoltre, apprezzabile lo sforzo del relatore di avere incluso il direttore scientifico tra gli organi dell'azienda per non incorrere in interpretazioni distorte sulle responsabilità delle figure che regolano la vita ospedaliera. Entrando ancora nel dettaglio, per quanto riguarda il collegio di direzione, anche in questo caso è apprezzabile lo sforzo fatto congiuntamente con questo provvedimento perché finalmente il collegio di direzione diventa organo e, quindi, concorre alla pianificazione e i poteri sono sicuramente più ampi di quelli previsti in precedenza. Quindi, questo è certamente un elemento evolutivo. Tuttavia, c'è anche un limite, perché, se è un organo, dovrebbe avere i poteri e le responsabilità dell'organo e anche una certa coerenza con l'essere tale.
Si tratta di una coerenza con la sua natura che, a quanto mi sembra di vedere, così come è composto il collegio di direzione, sia più che altro sindacale. Dovrebbe, inoltre, avere una coerenza anche con le responsabilità perché, nel momento in cui viene così costituito, noi abbiamo rappresentanze elettive di tutto il personale e, da una parte, mi sembra di sindacalizzare l'organo, dall'altra, evidenzio delle carenze perché non sono comunque previste le presenze di tutti i capi dipartimento e di tutti i direttori di distretto che, viceversa, a parere nostro, dovrebbero essere inclusi.
Comunque, ciò nonostante, al di là della composizione del collegio di direzione sulla quale sicuramente ci sono state e ci sono varie posizioni, mi sembra che così come è composto sia un po' troppo numeroso e pletorico. Mi viene in mente che cosa succederà quando dovrà riunirsi, perché ha talmente tanti componenti che, a fronte di un buon intendimento iniziale, siamo di fronte ad uno di quei casi in cui la montagna partorisce un topolino, per di più lento.
Tutti volevamo questa legge, l'ho detto anche all'inizio, maggioranza e opposizione. Sono state presentate diverse proposte di legge, sono stati sentiti i rappresentanti di tantissime associazioni. Ci sono state proposte di legge e proposte emendative arrivate da tutti gruppi. Segnalo - lo ripeto - un'apprezzabile sintesi svolta dal relatore nella fase iniziale, nella discussione Pag. 30dei primi otto articoli dove sicuramente ha evidenziato delle considerazioni meritevoli e registriamo che ci sono stati sforzi comuni.
Poi quando nella discussione in Commissione siamo arrivati all'articolo 8 è come se ci fossimo un po' persi e confusi. Cerco di spiegarmi: la modifica del Titolo V della parte II della Costituzione ha delegato le modalità attuative dell'assistenza sanitaria alle regioni. Questo fatto impone comunque una ridefinizione del sistema del governo clinico, che avrebbe dovuto preservare un modello universalistico dell'assistenza valido per tutte le regioni. Viceversa, tutte le Commissioni di merito chiamate ad esprimersi hanno fatto osservazioni in contrasto che tra l'altro non sempre sono state accolte. In modo specifico la I Commissione (affari costituzionali) ha più volte richiamato che molte disposizioni presenti nel testo intervengono in modo inopportuno su materie che regolano o le competenze regionali o la materia contrattualistica.
Signor Presidente, mi scusi, quanto tempo ho ancora a disposizione per il mio intervento?

PRESIDENTE. Onorevole Pedoto, lei ha ancora 5 minuti e 50 secondi a disposizione.

LUCIANA PEDOTO. La ringrazio, signor Presidente, cercherò di procedere più rapidamente possibile.
Riguardo al fatto che la legge invade campi regionali o campi di materia contrattuale, faccio riferimento, ad esempio, alla migliore organizzazione dei posti letto: la norma, così com'è formulata, prevede che essa sia stabilita dal direttore del dipartimento, e a me sembra che questo sia un caso di usurpazione del diritto di programmazione che dovrebbe rimanere in capo alla regione. Anche per quanto concerne l'articolo 4, quello sull'attribuzione degli incarichi, mi sembra che la norma sia molto invasiva delle autonomie regionali e, lo ripeto, della materia contrattualistica. Infatti, il testo unificato prevede che l'incarico di responsabile di struttura semplice sia attribuito dal direttore generale, sentito il direttore di struttura complessa e il comitato di dipartimento; ebbene, considerato che il dipartimento è sede di governo clinico, forse questo dovrebbe poter formulare la proposta e non essere semplicemente ascoltato.
Inoltre, con riferimento al comma dell'articolo 4, che disciplina il rinnovo degli incarichi, il testo unificato prevede che la durata dell'incarico è quinquennale con una facoltà di rinnovo per lo stesso periodo o per un periodo più breve. Se introduciamo la facoltà del rinnovo per un periodo più breve, sicuramente violiamo la normativa contrattuale e, oltretutto, andiamo incontro anche alla possibilità di strumentalizzare e mantenere sotto ricatto il primario, come è accaduto in alcuni casi di rinnovo che erano fissati anche soltanto per sei mesi. Quindi, se dovessi riepilogare, le invasioni di campo si sono verificate sugli aspetti della disciplina che riguardano il direttore generale, il collegio di direzione, i posti letto e l'attribuzione degli incarichi.
L'altra parte del provvedimento che determina il passo indietro e il crollo del Sistema sanitario nazionale è quella che riguarda la libera professione. Sappiamo, e il relatore è stato anche abbastanza puntuale sul punto, che prima la libera professione per i medici aveva delle caratteristiche definite e a tutti noi note; adesso si apre alla libera professione per tutti, indiscriminatamente, sia per il personale medico, sia per il personale non medico. Questo è il più grave passo indietro e il più grave colpo alla sanità pubblica e per tale ragione il Partito Democratico ha presentato la sua proposta emendativa, sulla quale ci riserviamo di intervenire nella fase dell'illustrazione degli emendamenti.
Concludendo, la previsione della libera professione per tutti, indiscriminatamente, senza controllo e senza verifiche imporrebbe una scelta di chiarezza e di coraggio. Una scelta di chiarezza, perché occorre dire a tutti i cittadini che la scelta tra pubblico e privato sarà obbligata in base alle disponibilità economiche, ai soldi che si hanno in tasca, alla città in cui si Pag. 31è nati: è solo in base a questo che molti cittadini dovranno scegliere tra pubblico e privato. Una scelta di coraggio, perché bisognerebbe avere il coraggio di dire ai cittadini che tutti, indiscriminatamente, senza controlli e senza verifiche possono svolgere attività privata, che la si chiami attività privata, avendo però il coraggio di regolamentarla a vantaggio di tutti i cittadini e si spieghi ai cittadini che sceglieranno se rivolgersi al pubblico o al privato, ma non chiamiamola libertà di scelta, chiamiamola solo scelta: scelta libera per alcuni, scelta obbligata per molti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Castellani. Ne ha facoltà.

CARLA CASTELLANI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, il provvedimento in discussione è un testo unificato risultante dall'esame di diverse proposte di legge in materia, presentate da tutte le forze politiche presenti in Parlamento, oltre che il frutto di un ampio e approfondito confronto in Commissione tra maggioranza ed opposizione, iniziato già nel novembre del 2008, e di un'interessante serie di audizioni delle rappresentanze associative e sindacali del mondo sanitario, universitario, medico-scientifico e dei rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.
Da questo approfondito lavoro, pur con evidenti diverse sensibilità di approccio, è emersa la condivisa necessità di intervenire sulla normativa vigente, al fine di mitigare l'eccessivo potere monocratico del direttore generale, coinvolgendo in maniera istituzionale nel collegio di direzione, quindi nel governo delle attività cliniche e nelle scelte strategiche delle aziende sanitarie, i medici e gli altri dirigenti sanitari, ora del tutto estromessi, ed al fine di superare l'attuale invasività partitocratica, introducendo criteri oggettivamente trasparenti e meritocratici nella scelta dei direttori generali stessi e dei responsabili delle strutture dipartimentali complesse, con l'auspicio di poter garantire ai cittadini una sanità di qualità e a tutti gli operatori sanitari un ruolo non più di dipendenti burocratizzati, ma di attori responsabili di un sistema socio-sanitario sempre più integrato, efficace, efficiente, di qualità ed economicamente sostenibile.
Il problema del governo nei processi assistenziali, il garantire cioè che detti processi siano indirizzati all'erogazione di un'assistenza di buona qualità e scevra da rischi prevedibili, non è stato risolto dal progresso scientifico e tecnologico che la medicina ha conosciuto soprattutto negli ultimi decenni e che pure ha visto progredire in modo sostanziale le nostre conoscenze sulle cause di molte patologie rilevanti e migliorare le nostre capacità di diagnosi e cura. Anzi, per molti aspetti lo stesso progresso tecnologico ha reso ancor più complesso e costoso governare una realtà assistenziale che nel recente passato era evidentemente più semplice, in ragione di una pratica clinica che in qualche misura definirei «artigianale», basata cioè prioritariamente sulle conoscenze che il singolo medico derivava dalla propria preparazione ed esperienza. La realtà odierna, contrassegnata dall'impiego di sempre più sofisticate tecnologie, richiede ben più articolati modelli organizzativi, basati sull'interazione di più competenze professionali in continua crescita, grazie anche ai più vasti orizzonti offerti dalla ricerca.
È partendo da questi presupposti che oggi in quest'Aula intendiamo dar corpo a quello che tutti ormai chiamiamo governo clinico della sanità, termine mutuato dai Paesi anglosassoni e definito come il contesto in cui i servizi sanitari si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dell'assistenza, mantenendo elevati livelli di prestazione e creando un ambiente che favorisca l'esprimersi dell'eccellenza clinica. Ma per meglio chiarire la filosofia di questo provvedimento, che non intende essere una quarta riforma sanitaria e ancora meno un'ulteriore infrastruttura aziendale, ma più semplicemente, direi nobilmente, una scelta di Pag. 32buona politica sanitaria, è forse utile un sintetico excursus sull'evoluzione del nostro sistema assistenziale.
La pietra miliare dell'evoluzione del sistema sanitario italiano è indubbiamente l'articolo 32 della Costituzione. Dovranno passare però trent'anni affinché, con la legge n. 833 del 1978, venga istituito il Servizio sanitario nazionale, con il fine di porre le basi per dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione. Tale diritto vide la sua estrinsecazione con la prima riforma sanitaria e, come ho detto, con la legge n. 833 del 1978, che istituì il Sistema sanitario nazionale.
Questa riforma si articola su tre principi, che ancora oggi rappresentano la civiltà di una nazione in tema di tutela della salute: il principio di universalità, per cui sono garantite prestazioni sanitarie a tutti senza distinzione di condizioni sociali o di reddito, il principio di eguaglianza, in base al quale tutti a parità di bisogno hanno diritto alle medesime prestazioni, e il principio di globalità, oggi particolarmente condiviso. Non viene presa in considerazione, infatti, la malattia, ma la persona, il che implica un collegamento di tutti i servizi sanitari, intesi come prevenzione, cura e riabilitazione.
La riforma prevedeva inoltre altri punti salienti: tre livelli decisionali (centrale, regionale e locale), l'istituzione di unità sanitarie locali, cui veniva concretamente affidata l'assistenza sanitaria, attraverso i cosiddetti comitati di gestione, veri e propri organi politici, l'istituzione dei distretti sanitari di base per il potenziamento dei servizi assistenziali di primo livello, la razionalizzazione della spesa sanitaria mediante l'introduzione della programmazione come strumento di controllo dell'impiego delle risorse.
Tuttavia, la mancanza di una vera cultura della programmazione (ricordo che il primo piano sanitario nazionale, che avrebbe dovuto essere approvato nel 1979, venne adottato, soltanto, nel 1993), l'impossibilità di determinare la spesa in assenza di programmazione, le difficoltà economico-organizzative, le scadenze delle norme attuative della riforma fissate con scarso realismo, la gestione politico-clientelare delle unità sanitarie locali che, in mancanza della definizione di indici e standard minimi di assistenza avevano determinato un'esplosione della spesa sanitaria farmaceutica, resero necessaria, all'inizio degli anni Novanta, una seconda riforma sanitaria, attuata con i decreti legislativi del 1992 e del 1993.
Tale riforma si imperniava: sul principio di aziendalizzazione e regionalizzazione; sull'istituzione di aziende sanitarie dotate di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile; sulla nomina, da parte della giunta regionale, del direttore generale, figura monocratica, con competenze organizzative e manageriali, che a sua volta nominava il direttore sanitario aziendale e il direttore amministrativo; sul finanziamento non più a piè di lista, ma in base alle prestazioni erogate in base a tariffe predefinite; sull'introduzione dei livelli essenziali di assistenza e del sistema di accreditamento con un'almeno teorica apertura del mercato sanitario alla libera concorrenza tra strutture pubbliche e strutture private accreditate; sul concetto della libertà di scelta del cittadino in ordine alla struttura in cui curarsi; sull'adozione sistematica del metodo di verifica e revisione della qualità e quantità delle prestazioni.
In sintesi, si trattava di una riforma di taglio liberale che - pur conservando i principi fondamentali di universalità, uguaglianza e globalità - aveva l'obiettivo di superare le criticità della riforma sanitaria precedente.
A questa seconda riforma sanitaria seguì - dopo pochissimi anni - la riforma-ter del 1999, in controtendenza rispetto alla riforma precedente, perché si basava su una filosofia di fondo più centralistica e dirigistica.
Tuttavia, tutte le proposte di riforma fino ad oggi, più o meno attuate, si sono rivelate non pienamente adeguate ad affrontare le problematiche emergenti anche perché - accanto ai necessari vincoli di natura tecnico-contabile - molti altri sono Pag. 33gli elementi di fondo che, in un divenire inarrestabile, stanno caratterizzando l'attuale fase di mutamento del Servizio sanitario. La necessità di far convivere culture specialistiche con la cultura manageriale, la tendenza all'umanizzazione dei percorsi di cura, la maggiore aspettativa di vita dei cittadini, le opzioni diagnostico-terapeutiche disponibili, l'accresciuto ruolo della sanità privata - quella buona si intende - l'impatto della tecnologia sul ruolo dei professionisti sanitari, la ricerca della qualità assistenziale, che intende la salute come espressione di buona qualità di vita, l'obbligo della formazione continua dell'intera classe dei professionisti sanitari, sono elementi che - seppur qui rappresentati in maniera sintetica - dimostrano una straordinaria vivacità dell'intero panorama sanitario nazionale verso un futuro scenario che caratterizza l'offerta socio-assistenziale, con un delicato e complesso mix di fattori, che non possono non tener conto di risorse finanziarie non illimitate e non possono prescindere dal coinvolgimento di tutti gli operatori sanitari nel definire le strategie necessarie al raggiungimento degli obiettivi.
In questa ottica si articola il provvedimento in esame che - come ho già detto - non intende essere una quarta riforma del sistema sanitario, ma un provvedimento che, novellando alcuni punti del decreto legislativo n. 502 del 1992, nel rispetto dei compiti assegnati allo Stato dalla riforma costituzionale del Titolo V, possa migliorare, in maniera più trasparente e meritocratica, il nostro Servizio sanitario nazionale.
Non è mio compito illustrare il provvedimento, cosa già fatta in maniera egregia dal relatore, onorevole Di Virgilio, che sento il dovere di ringraziare per l'impegno e la pazienza certosina con cui ha lavorato in Commissione, superando non pochi ostacoli. Intendo, tuttavia, sottolineare alcuni punti che - a mio avviso - hanno una profonda rilevanza di buona politica sanitaria.
Il primo attiene all'introduzione di alcuni principi fondamentali in materia di tutela della salute e delle professioni, volti a migliorare la funzionalità delle aziende sanitarie attraverso il potenziamento del ruolo degli operatori sanitari nelle scelte strategiche e gestionali delle aziende sanitarie stesse, nonché attraverso la definizione di percorsi più trasparenti, più oggettivi e meritocratici nel sistema di selezione delle risorse umane destinate a svolgere ruoli dirigenziali importanti.
Il secondo attiene alla previsione del collocamento a riposo al compimento del 67o anno di età dei dirigenti medici o del ruolo sanitario, ivi compresi i responsabili di strutture complesse, con la previsione, a domanda dell'interessato e su valutazione del collegio di direzione, di estendere tale limite al 70o anno. Questa norma non intende essere né una rivendicazione degli ospedalieri rispetto al collocamento a riposo degli universitari né, tanto meno, intende rappresentare un'insensibilità verso i medici più giovani, quanto, piuttosto, intende cogliere l'opportunità di utilizzare al meglio le esperienze professionali e organizzative maturate sul campo dagli operatori sanitari a vantaggio della qualità assistenziale per tutti i cittadini.
Il terzo e ultimo punto riguarda una nuova e più chiara definizione dei principi fondamentali che regolano le diverse tipologie del rapporto di lavoro e dell'attività libero-professionale dei dirigenti medici, dei dirigenti del ruolo sanitario e degli operatori delle professioni sanitarie non mediche del Servizio sanitario nazionale, demandando alle regioni la potestà di disciplinare i relativi controlli.
Questo punto è stato tra i più contrastati, nel corso dei lavori in Commissione, da parte di alcuni colleghi dell'opposizione, preoccupati, a mio avviso, più del rumore che fa un albero che cade piuttosto che essere attenti al silenzio di una foresta che cresce. Infatti, la sanità del futuro dovrà essere sempre meno «ospedalecentrica» e dovrà puntare a risposte più legate ai bisogni del territorio e dei cittadini, per essere sempre più integrata e misurare, anche sul territorio, il proprio grado di economicità e di efficienza.
Concludo convinta che l'intero equilibrio di questo articolato sistema si sta Pag. 34rivelando una delle maggiori sfide verso cui, superando posizioni ideologiche, dovremo sempre più orientare la nostra azione di legislatori (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Farina Coscioni. Ne ha facoltà.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Signor Presidente, intervengo nella discussione sulle linee generali di un provvedimento quale quello sui principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale partendo da una questione fondamentale, direi imprescindibile: l'informazione, la conoscenza, la possibilità di sapere per poter giudicare è uno dei punti cardine per ogni democrazia.
È un discorso che vale in generale e maggiormente per quanto riguarda la sanità: il cittadino ha diritto di sapere e di essere informato su questioni che riguardano direttamente la sua vita o quella dei suoi cari ed è dovere delle istituzioni garantire questa conoscenza e questa informazione. Non vi è dubbio che tutte le distorsioni, le inefficienze, gli sprechi, le carenze di cura e le corruzioni che abbondano nel mondo della sanità non si manifesterebbero nelle forme che sappiamo e possiamo leggere quasi ogni giorno sui giornali se fosse garantita maggiore conoscenza, informazione e trasparenza
La sanità italiana mostra un forte deficit di valutazione e di trasparenza: molti dei problemi che più frequentemente si evocano potrebbero essere risolti facendo del Servizio sanitario nazionale un caso di eccellenza per la trasparenza e l'accessibilità delle informazioni da parte dei cittadini. Ciò permetterebbe di liberare i cittadini pazienti dall'attuale ruolo di passività disarmata, per trasformarli in motori attivi e consapevoli del governo della propria salute e del sistema sanitario, che sono chiamati a finanziare.
Ho avanzato, con l'Associazione «Luca Coscioni», che copresiedo, con il lavoro del professor Marcello Crivellini, che si sintetizza nel manifesto politico «Più salute, meno sanità», delle proposte politico-operative, che mirano non solo a tutelare diritti e salute dei cittadini, ma, soprattutto, ad incidere sui meccanismi di funzionamento del sistema e prevedono cinque livelli di intervento sul governo dello stesso.
Essi sono: il livello manageriale e dirigenziale, il livello delle strutture e dei servizi sanitari, il livello delle politiche sanitarie e degli esiti di salute nella popolazione servita, il livello dell'efficacia delle cure, dei protocolli e dei dispositivi, ed il livello della soddisfazione dei cittadini.
Ho presentato nei primissimi giorni della legislatura, il 29 aprile 2008, la proposta di legge dei Radicali, la n. 278, per la riforma delle procedure di selezione dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, una proposta di legge già depositata, nella scorsa legislatura, dall'attuale presidente di Radicali Italiani, l'onorevole Bruno Mellano. La questione è una soltanto: scardinare completamente il meccanismo delle nomine politiche, sostituendolo in modo radicale. La selezione dei manager delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere viene affidata totalmente ad una commissione costituita da diversi membri scelti fra i rappresentanti delle maggiori società di interesse nazionale nel campo del consulting manageriale, prese in considerazione in base alla media ponderata di diversi fattori, quali il fatturato, il numero delle sedi sul territorio, la quantità del personale inquadrato e a progetto. La suddetta commissione stila una graduatoria, in base alla quale sono assegnati i vari posti in palio, tenendo conto anche delle indicazioni dei candidati e delle valutazioni della commissione.
Al fine di contemperare le esigenze di avere a capo delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere manager senza vincoli di partito, con quella invece di assicurare comunque una gestione sanitaria coesa e con obiettivi univoci a livello regionale, è stata lasciata inalterata la Pag. 35possibilità per la regione di non confermare i direttori regionali alla scadenza del loro incarico, nonché di farli decadere in corso d'opera quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo, o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione.
L'occupazione da parte della partitocrazia di qualsiasi posto pubblico raggiunge nel campo sanitario il suo apice e provoca gli effetti più deleteri per i cittadini. Affidare infatti strutture complesse e costose, come le aziende sanitarie locali ed ospedaliere, a persone designate dalle rispettive giunte regionali non tanto per le loro capacità manageriali, quanto per il loro grado di acquiescenza ai politici si riflette a cascata, o per meglio dire a piramide, sull'intera struttura e si ripercuote negativamente su chi sta alla base di quella piramide, ovvero il cittadino utente; con conseguenze deleterie sia per la salute dei cittadini, sia per il corretto utilizzo delle risorse che essi contribuiscono ogni anno a finanziare con le imposte e con i ticket sanitari.
A fronte dunque degli innumerevoli scandali che squassano il mondo della sanità, e anche dei non pochi casi di cosiddetta «malasanità» di cui ci riferiscono telegiornali e giornali, bisogna però riconoscere che il nostro Paese presenta anche un'eccellenza sanitaria tra le migliori al mondo e un soddisfacente livello complessivo. Vi è, però, una carenza vistosa a cui porre rimedio. E dunque la nostra proposta - una vera e propria proposta riformatrice per l'Italia in campo sanitario - potrebbe esser rappresentata all'introduzione di un sistema di valutazione, informazione e scelta a tutti i livelli del sistema sanitario, trasformando il cittadino paziente, come ho già detto, in soggetto attivo e in strumento esso stesso di governo del sistema.
In questa logica, e con questo obiettivo, sarebbe opportuno creare sistemi di valutazione quantitativa indipendente per tutti i servizi sanitari, rendendo pubblica, semplice e facilmente accessibile l'informazione sui risultati delle valutazioni.
Tutto ciò da un punto di vista pratico si potrebbe facilmente realizzare con alcuni necessari passaggi: rendere pubblici i curricula, obiettivi, risultati e valutazione dei dirigenti generali di aziende ospedaliere e di aziende sanitarie locali attraverso la creazione di un'anagrafe pubblica digitale; creare un sito Internet ove i pazienti dei medici di medicina generale possano esprimere il grado di soddisfazione sul proprio medico di medicina generale relativamente alla puntualità, alla reperibilità e alla disponibilità al dialogo, sulla completezza delle informazioni e sull'organizzazione; creare sistemi di valutazione di strutture e servizi per renderne pubblici i risultati che si applichino a tutte le strutture del sistema sanitario nazionale; rendere possibili delle comparazioni e quindi i risultati delle valutazioni, sia via Internet sia fisicamente in loco.
In questa direzione vi è stata una piccola apertura dell'attuale Governo che ha fatto proprio un ordine del giorno presentato dai senatori radicali, il quale impegnava il Governo stesso a definire e realizzare in accordo con le regioni un sistema di valutazione delle diverse tipologie di servizi sanitari erogati ai cittadini nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, ed un sistema di informazione sui risultati che sia facilmente accessibile a tutti i cittadini.
Si tratta di un ordine del giorno, però, che nel suo spirito non trovo nel testo in discussione oggi in Aula: non vi è traccia della definizione di un vero sistema di valutazione indipendente della reale efficacia delle cure e dei farmaci e di un servizio di informazione indipendente per cittadini ed operatori, coinvolgendo l'attuale Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali in questa funzione, sul modello, ad esempio, del NICE inglese. Esistono infatti alcuni Paesi, soprattutto quelli anglosassoni, in cui il ruolo del cittadino è visto sempre più come attivo ed incidente sul governo del sistema: noi vorremmo che anche in Italia il ruolo del cittadino fosse più forte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le intenzioni dichiarate all'inizio del percorso che ha portato a questo provvedimento due anni fa erano largamente condivisibili. Da un lato, vi era quella di rivalutare il ruolo dei medici e dei clinici all'interno dell'organizzazione sanitaria nei posti e nei luoghi dove si prendono le decisioni, con l'intento di far prevalere le esigenze di cura rispetto a quelle meramente finanziarie, che hanno fortemente condizionato e continuano a condizionare le scelte delle aziende sanitarie; dall'altro, vi era quella di contenere in qualche modo e riequilibrare il potere assoluto del direttore generale affiancandolo con un organismo di indirizzo, vale a dire quello del governo clinico (il collegio di direzione).
A ciò si aggiungeva, nell'intento di contenere la figura del direttore, la necessità di chiarire che a fianco del rapporto fiduciario vi fosse anche una più attenta valutazione delle capacità, delle professionalità, del merito.
Non mi illudo - a differenza di chi mi ha preceduto - che si possa arrivare all'interno di organizzazioni pubbliche a nomine che siano avulse dalla politica; non sarei peraltro neanche d'accordo, in quanto tutte le scelte che vengono compiute da organismi eletti sono inevitabilmente scelte politiche. Ma è differente dire che la politica deve rispondere e creare un rapporto fiduciario tra il direttore generale e il partito che lo ha indicato, altra cosa è creare un rapporto tra il direttore generale e l'istituzione che lo ha scelto e a cui si risponde come, in questo caso, la regione.
Altro è scegliere in base ad un rapporto fiduciario, un'altra questione ancora è scegliere in base alle capacità, alle professionalità, all'esperienza maturata in un settore così importante e così delicato.
Vi era quindi una condivisione degli obiettivi nel percorso che abbiamo iniziato, ma bisogna dire adesso che i risultati sono inferiori alle attese che avevamo e che in realtà ci sembra che sia emerso come obiettivo prioritario un altro tema, un'altra questione venuta fuori strada facendo, quella dell'attività libero-professionale dei medici.
Ad essa si aggiunge una questione che questa Assemblea ha già discusso sei volte, quella dell'età pensionabile dei medici, rispetto alla quale arriviamo in questo momento ad una situazione paradossale per cui il collegato lavoro, attualmente in discussione al Senato, eleva il tetto di età a 70 anni, mentre il provvedimento che discutiamo oggi in Aula lo eleva a 67 più 3: è vero che il risultato finale non cambia, ma il meccanismo è diverso.
Mi chiedo se non fosse stato possibile - non so, magari all'interno della maggioranza - arrivare a una qualche soluzione omogenea, che desse un impianto coerente e magari non costringesse a rimanere in ansia, creando e modificando le aspettative di vita di tante persone.
Come dicevo, ciò che per noi ha comportato tuttavia maggiori riflessioni è la volontà evidente di un ritorno indietro su quella che è l'attività professionale dei medici, smontando quel meccanismo che era stato costruito e che a noi sembra fosse un buon punto di equilibrio fra le esigenze professionali e quelle di garantire una coerenza all'interno del sistema. Si torna in pratica a De Lorenzo, ovvero al medico che timbra il cartellino e, finito il suo lavoro, svolge la sua attività libero-professionale in una clinica privata o nel suo studio professionale, magari in casa propria - senza per questo avere nessuna conseguenza dal punto di visto della carriera, dello stipendio, dell'impegno. Tale aspetto mi sembra la questione più delicata e continuo a ritenere che è difficile impegnarsi del tutto contemporaneamente in due ambiti così diversi. Lo si fa con un pizzico di ipocrisia. Si tratta infatti chiaramente di una attività «extra» che si svolge «fuori», di cui l'azienda sanitaria non è tenuta a sapere alcunché, di cui non esiste rendicontazione, documentazione, né necessità di prenotazione attraverso un sistema unitario e quant'altro. Vi è solo una facoltà, ma non vi è alcun obbligo. Pag. 37Tale attività viene chiamata intramoenia allargata, quando il termine «intra» indica qualcosa che sta «dentro» il sistema e l'organizzazione dell'azienda sanitaria e dell'ospedale; sia di natura pattizia o meno, esito di accordi o di normative regionali, tale attività deve essere «dentro» il sistema, quando noi invece ci troviamo di fronte ad un testo per il quale, il medico, come un impiegato qualsiasi, si va a svolgere un'attività «fuori» dal sistema.
Ma non è vero che il medico è come un impiegato qualsiasi: infatti la stragrande parte della pubblica amministrazione, con regole rese più rigide dai provvedimenti del Ministro Brunetta, se vuole svolgere un'attività libero-professionale, è costretta a chiedere autorizzazioni e permessi. Vuoi che sia un insegnante, un geometra di un comune, un dipendente regionale o di altro tipo, deve chiedere un'autorizzazione e in molti casi deve mettersi in regime di part-time.
Questa condizione nel presente provvedimento non c'è. Questa condizione è molto più avvicinabile invece al patto, malato, ripeto malato, perché rappresenta una delle malattie della pubblica amministrazione italiana quella per la quale alle figure professionali più forti, prestigiose e necessarie al sistema pubblico si dice: non ti posso pagare di più - e infatti ti blocco lo stipendio - ma ti do la possibilità di fare soldi fuori, con un arbitrato, una consulenza, o un'altra di queste varie possibilità: un intervento, un collaudo o quant'altro e, nel caso in oggetto, con la possibilità di fare visite mediche ed altro. Nulla invece in questo provvedimento viene detto per impedire che succeda quanto ci è noto, perché accade già in molte parti di Italia, ovvero il ricatto che viene a crearsi: se non mi paghi il «pizzo» di passare alla mia visita privata, non ti metto in lista per un intervento necessario all'interno della struttura ospedaliera. Non c'è una riga su questo punto e poiché la determinazione dell'attività è totalmente fuori controllo, senza nessuna verifica, è semplicemente una dichiarazione di principio: quel 50 per cento non è contato da nessuno, quindi non conta nulla.
Nulla poi è detto sul tema dell'evasione fiscale, che in questo provvedimento troverà una prateria nella quale potranno ulteriormente applicarsi perché tutti quelli che non hanno interesse a scaricare neanche il 19 per cento, come alcuni lavoratori dipendenti o pensionati, troveranno quindi più facile continuare a pagare in nero. Viene legittimato pertanto un sistema che non potrà che creare problemi al sistema sanitario.
Non è un caso che le regioni che da noi hanno le liste d'attesa più basse - penso al Trentino Alto Adige - non hanno attività privata, perché non si crea quel meccanismo tale per cui io lavoro meno dove devo lavorare per poter poi ampliare la mia attività fuori. Non è il problema maggiore, perché il problema maggiore, a nostro giudizio, è la questione del federalismo. La sanità è la materia più regionale di tutte. In tutti i pareri che abbiamo incontrato nel nostro percorso ci è stato ricordato che l'organizzazione della sanità è competenza delle regioni. Non so se auspicarlo o se considerarlo inevitabile, ma questo provvedimento - nel momento in cui diventerà legge - troverà serissimi vincoli, impugnative alla Corte costituzionale, e si ridurrà a quello che è: uno spot elettorale senza possibilità di consolidarsi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, ringrazio il relatore per la puntuale relazione che ha svolto all'inizio della discussione sulle linee generali, e anche se il Ministro competente non è presente è degnamente sostituito dal sottosegretario Ravetto che è esperta in materia sanitaria (e ovviamente la ringraziamo). Il dibattito che è iniziato credo sia partito male per una scelta politica, che alcuni gruppi stanno facendo, incomprensibile. È una scelta di odio per la categoria medica che Pag. 38non ha precedenti. Ricordo ai colleghi che questo provvedimento addirittura porterà il nome della collega Farina Coscioni, la quale, il primo giorno dell'insediamento di questa Assemblea (il 29 aprile 2008), ha presentato proprio una proposta di legge sul «governo clinico». Che fosse necessaria dunque lo dimostra proprio questo fatto; la prima proposta presentata dalla delegazione radicale è stata questa (non altre proposte di legge). In seguito (già nell'ottobre o nel novembre 2008, quindi qualche mese dopo) c'è stata una proposta a prima firma Livia Turco, Ministro uscente della sanità, e a seconda firma dell'onorevole Letta (oltre ad una sessantina di altre firme), proprio avente ad oggetto disposizioni in materia di efficienza e di funzionalità del Servizio sanitario nazionale. Ciò significa che si trattava per loro stessi di un provvedimento (a prescindere da quello che è stato detto sulla modifica del Titolo V, sul conflitto con le regioni), al quale, palesemente a tutti livelli, il Parlamento doveva mettere mano. Noi pensavamo questo, fino a quando c'è stato un voltafaccia. La dicotomia rispetto alla proposta di legge a prima firma Livia Turco è rappresentata dal fatto che gran parte (la maggioranza) di quei firmatari è andata in un senso, rinnegando completamente il testo che ha scritto, che invito a rileggere. Infatti, gli interventi svolti oggi in Aula sono in netta e lapalissiana contraddizione con quello che hanno scritto nel presentare la proposta di legge; tant'è che l'onorevole Binetti si è diversificata e ha svolto un intervento di tutt'altro tenore, sulla falsariga di quella proposta che era stata presentata. Ma anche l'Italia dei Valori ha presentato due proposte, una a prima firma Mura, l'altra a prima firma Di Pietro (ovviamente il Popolo della Libertà ha tre o quattro proposte di legge combinate). Ciò significa che si trattava di un provvedimento necessario, ritenuto necessario. Non vorremmo avere la sorpresa di trovare domani anche la presentazione di questioni pregiudiziali, perché altrimenti è la dimostrazione dell'animus necandi, la dimostrazione che si parla in un modo e si razzola in un altro modo. Ricordo che abbiamo cercato di realizzare un provvedimento condiviso, a partire dai lavori in Commissione affari sociali (e faccio notare che si incolpa sempre il Governo del fatto che è sempre questo soggetto a presentare i disegni di legge o i decreti-legge).
Abbiamo dibattuto per un anno in mezzo in Commissione, audendo tutti. Abbiamo passato delle giornate ad ascoltare varie associazioni di medici, di veterinari, di università, abbiamo ascoltato le regioni attraverso la Conferenza Stato-regioni, sappiamo perfettamente ciò che ci ha detto. Questo è un testo, quindi, di iniziativa parlamentare e ritenuto tale fin dall'inizio, che ha trovato la serietà della Commissione affari sociali, che ha avuto modo in qualsiasi momento di confrontarsi, per arrivare ad una sintesi. Scusate se poi nell'articolo 9 abbiamo toccato la libera professione dei medici. Perché i medici non devono lavorare dopo aver studiato 11 o 16 anni (perché vi è chi ha una o due lauree, altrimenti non si può ottenere la specializzazione)? Dopo 11 o 16 anni i medici prendono 4 o 5 mila euro al mese e non di più, i magistrati che hanno una carriera scolastica di 4 o 5 anni prendono all'ultimo grado 16 o 18 mila euro comprese le liquidazioni e le prebende (sanno come far quadrare i loro conti). Vogliamo che anche questi medici continuino a fornire la loro professionalità dopo l'orario di lavoro soprattutto in strutture ben disegnate dal relatore e non in mezzo alla strada? Onorevoli colleghi, l'intramoenia non ha funzionato. Avete visto regioni che hanno fatto partire l'intramoenia? Mi volete elencare quali sono le regioni che hanno ottemperato alla legge del 1999? Tendono allo zero. Diamoci una regolata perché hanno fallito nelle regioni. Soprattutto - e la dimostrazione è lapalissiana - hanno portato nella sanità un nepotismo e un clientelismo senza precedenti. Ricordo, per chi avesse poca memoria, che nel 2004 diciassette regioni su venti erano guidate dal centrosinistra, quindi, se bisogna muovere una critica in proporzione sono diciassette regioni a tre. Hanno portato nella sanità Pag. 39quello che diceva l'Italia dei Valori e alcuni colleghi del PD, ovvero del vero clientelismo. Non abbiamo dubbi che vi sia stata una tale degenerazione, permessa e favorita dal Titolo V della Costituzione, tanto che il disavanzo sanitario e il deficit sono di miliardi di euro, perché la spesa sanitaria, non esistendo dei limiti di spesa, è il 70 del bilancio di una regione.
Avete mai visto un vecchio primario, oggi responsabile di unità operativa complessa, un manager o un direttore generale che sia stato sostituito? Eppure Bassolino in Campania ha realizzato un deficit di 1,2 miliardi nel solo 2009, e ha uno stabilizzato di 9 miliardi di euro - scusate se è poco - e in Calabria ovviamente Loiero ha battuto tutti i record del mondo. Noi che siamo responsabili, con questo provvedimento diciamo che bisogna comunque porre un freno, effettuando un sorteggio e non nominando sfacciatamente chi ha la tessera in tasca; e badate, la tessera di norma ha sempre un solo colore, quello di chi contesta questo testo, perché riteniamo voglia continuare a gestire in quel modo la sanità. Non è una sanità che premia, perché gli errori in campo sanitario si stanno moltiplicando. Andate nella Commissione presieduta da Leoluca Orlando a vedere quanti sono gli errori. Il primario chirurgo che ha fatto la tracheostomia, dove è morta una bambina, afferma: non ne avevo mai fatta una prima. Si tratta di uno specialista, un otorino, che viene a dire in Commissione non ho mai operato, non l'ho visto mai fare, tanto meno durante gli anni di specializzazione, e che non è stato sospeso: gli si dà l'opportunità di farne un'altra, magari anche la seconda gli andrà male.
È per dirvi, quindi, che i medici vogliono questa legge, ce la chiedono a gran voce, vogliono continuare a lavorare anche fuori dall'orario di lavoro che devono svolgere. E a farlo, comunque, con dei paletti che abbiamo messo, che il relatore ha giustamente messo, allargandoli anche alle altre professioni e cercando di puntare sulla qualità e sulla meritocrazia. Trasparenza, quindi, qualità, meritocrazia, sono la nostra bandiera e ci spingono a portare avanti questo provvedimento perché è sentito ed è necessario. Inoltre, diamo una mano alle regioni, perché, come è previsto in questo provvedimento, le regioni devono legiferare e se non legiferano, ovviamente, ci dobbiamo sostituire, perché entriamo nei LEA, nei livelli essenziali di assistenza (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 278-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.

(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 278-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Avverto che, con riferimento al provvedimento in esame, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Lenzi ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 278-A ed abbinate).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00375 concernente il rafforzamento del contrasto all'evasione contributiva e fiscale, con particolare riferimento al settore del commercio ambulante (ore 19,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00375 concernente il rafforzamento del contrasto all'evasione contributiva e fiscale, con particolare riferimento al settore del commercio ambulante (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione Pag. 40della mozione è pubblicato in calce al resoconto stenografico del 3 giugno 2010.
Avverto altresì che sono state presentate le mozioni Lulli ed altri n. 1-00377, Borghesi ed altri n. 1-00378, Misiti ed altri n. 1-00380 e Vietti ed altri n. 1-00382 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto altresì che la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00375 è stata sottoscritta dai deputati Ventucci, Pagano, Del Tenno, Germanà e Bernardo il quale ultimo, con il consenso del primo firmatario e degli altri sottoscrittori, ne diventa il secondo firmatario.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritta a parlare l'onorevole Lussana, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00375, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, l'attuale Governo ha posto tra gli obiettivi fondamentali della propria azione la lotta ad ogni forma di evasione ed elusione fiscale e, in questi due anni, i risultati raggiunti testimoniano l'impegno profuso a tutti i livelli. I risultati del 2009 superano di gran lunga quelli raggiunti nel 2008. Grazie, infatti, all'attività di contrasto all'evasione sono stati incassati 9,1 miliardi di euro, il 32 per cento in più rispetto all'anno precedente. L'INPS, da parte sua, nel 2009, ha recuperato crediti per oltre 4 miliardi e mezzo di euro, con un incremento del 65,9 per cento rispetto al 2008. Gran parte del recupero è avvenuto per via diretta amministrativa (2,8 miliardi di euro), mentre la restante quota di 1,8 miliardi è stata frutto dell'attività dei concessionari.
Alla luce dei brillanti risultati ottenuti nel 2009, per la prima volta l'Agenzia delle entrate, Equitalia e INPS, hanno definito, nella primavera scorsa, obiettivi comuni per la lotta all'evasione; obiettivi che saranno raggiunti attraverso l'azione coordinata tra i tre enti a livello centrale, ma, soprattutto, attraverso un più efficace coordinamento a livello territoriale, senza la rivalità che, spesso, in passato, ne aveva caratterizzato l'azione. L'obiettivo, per il 2010, di 16,6 miliardi di euro, significa un incremento di circa il 20 per cento rispetto ai risultati eccezionali conseguiti, separatamente, da Agenzia delle entrate (9,1 miliardi di euro) e INPS (4,6 miliardi di euro).
Anche i dati del primo quadrimestre 2010 evidenziano come la lotta all'evasione contributiva da parte dell'INPS prosegua a ritmo serrato. L'importo dei crediti recuperati si attesta a 1,8 miliardi di euro, con un incremento, rispetto allo stesso periodo del 2009, del 20 per cento e, rispetto al preventivo fissato per il 2010, del 9 per cento.
Sul fronte del contrasto al lavoro nero poi, condotto attraverso le attività di vigilanza degli ispettori INPS sul territorio, da gennaio ad aprile del 2010 sono state scovate quasi 23 mila posizioni irregolari (il 9 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2009), con oltre 360 milioni di contributi evasi accertati. Sicuramente - il dibattito di questi giorni lo dimostra - è difficile stimare con sufficiente attendibilità il fenomeno dell'evasione fiscale in Italia, anche se l'ISTAT arriva a quantificare il valore aggiunto prodotto dall'area del sommerso economico nel 2006 al 16,9 per cento del prodotto interno lordo, equivalente a circa 250 miliardi di euro, e stima che la percentuale di lavoratori irregolari nel medesimo anno fosse del 12 per cento.
Molti sono i settori nel mirino dell'attività di prevenzione e di contrasto all'evasione e spesso, a torto o a ragione, il comparto del commercio, fisso o ambulante, è oggetto di controlli e perquisizioni da parte della Guardia di finanza, dell'INPS e dell'Agenzia delle entrate. Pag. 41
Dobbiamo dire che questo Parlamento, tra i tanti provvedimenti adottati in tema di contrasto all'evasione, ha introdotto un ulteriore strumento per contrastare il fenomeno: il DURC, il documento unico di regolarità contributiva, già obbligatorio per tutti gli appalti e subappalti di lavori pubblici, per i lavori privati soggetti al rilascio di concessione edilizia o alla DIA e per le attestazioni SOA. Ora il DURC, grazie alla manovra finanziaria 2010, potrà anche essere esteso al comparto del commercio. Infatti si dà la possibilità alle regioni nell'esercizio della loro potestà legislativa in tema di commercio di richiedere ai soggetti che chiedono l'autorizzazione all'esercizio del commercio sul suolo pubblico proprio l'attestazione di questo importante documento.
Il significato qual è? Abbiamo visto che l'utilizzo del DURC in un settore molto delicato come quello dell'edilizia e degli appalti pubblici è stato e continua ad essere un valido, validissimo strumento per contrastare la crescente evasione contributiva e, quindi, riteniamo che, rispettando la competenza delle regioni e, quindi, di tutti gli enti e soggetti che devono contrastare il fenomeno dell'evasione fiscale, sia utile e importante portare avanti con ogni azione una cultura della legalità in un settore delicato come questo. Riteniamo importante cercare di contrastare il fenomeno dell'evasione contributiva nel settore del commercio ambulante attraverso l'introduzione vincolante di questo tipo di documentazione.
Il commercio ambulante oggi è una realtà piuttosto consistente nel nostro Paese: i dati che abbiamo si riferiscono a circa un volume di affari di circa 25-26 miliardi di euro (per commercio ambulante si intende quello comprensivo di mercati, fiere, chioschi e oltre 24 mila sono i consumatori che ne fanno utilizzo, gli utilizzatori finali di questo così importante mercato).
Che cosa accade? Molte volte per aprire e per ottenere una licenza di commercio ambulante è sufficiente semplicemente l'iscrizione all'INPS e non la verifica della regolarità dei pagamenti che, invece, potrebbe essere attestata se fosse obbligatorio, se vi fosse un'incentivazione all'obbligatorietà di introdurre il DURC.
In questo modo, quindi, quale tipo di fenomeno si potrebbe evitare? Vi sono nel nostro Paese sacche di commercio ambulante che hanno sì apparentemente una licenza ma che in realtà poi, alla fine, effettuano un'attività di fatto in nero. Ci si iscrive all'INPS ma poi non si è in regola per quanto riguarda il versamento dei contributi e, quindi, ciò ingenera delle truffe e danni enormi allo Stato. Tutto questo si traduce in un'evasione che alimenta fortemente la filiera del nero e crea notevoli svantaggi soprattutto anche nei confronti di quegli ambulanti che, invece, nonostante la crisi e le difficoltà dimostrano di essere perfettamente ligi alle regole.
Essi dimostrano inoltre di essere perfettamente nella legalità e nella regolarità, ma purtroppo sono sottoposti ad una concorrenza sleale, che diventa e risulta essere inaccettabile. Dobbiamo dire che vi sono stime - chiaramente non sono facili da verificare - e dati che denunciano purtroppo una realtà drammatica: si parla di un 25 per cento dei venditori ambulanti nel nostro territorio che non è in regola. Dobbiamo dire che quello del non essere in regola o comunque di esercitare di fatto un'attività in nero è chiaramente un fenomeno che riguarda il commercio ambulante di casa nostra, italiano, ma è un fenomeno che si è acuito ed accentuato notevolmente anche a seguito della diffusione di sempre più ambulanti di origine straniera. Sappiamo che molti sono i commercianti ambulanti di origine marocchina, pakistana, senegalese e cinese che ormai si vedono chiaramente nei nostri mercati e nelle nostre fiere. Sappiamo che, purtroppo, il problema del mercato nero (ma anche delle condizioni dei lavoratori, perché appunto non vi è assolutamente rispetto dei parametri e dei versamenti di regolarità all'INPS, ma anche ad altri istituti) riguarda in modo drammatico soprattutto la comunità cinese. Dunque l'introduzione di uno strumento come il documento unico di regolarità contributiva è Pag. 42una tutela per tutti gli ambulanti, italiani o stranieri, che dimostrano di essere in regola ed è invece un duro contrasto nei confronti di coloro che ancora vogliono fare i furbi.
Quindi, con la mozione in esame pensiamo di promuovere fortemente una cultura della legalità, che sia a vantaggio dello Stato in termini di recupero di evasione fiscale ed a vantaggio dei commercianti onesti e in regola con legge, che rispettano la legge e che magari si vedono al proprio fianco la bancarella degli abusivi che fa loro concorrenza sleale (tante volte magari utilizzando anche merce contraffatta, perché nonostante l'ottimo operato delle forze dell'ordine e della guardia di finanza non sempre è possibile andare ad interrompere la filiera della merce contraffatta che si trova purtroppo nelle nostre piazze e nei nostri mercati). Riteniamo anche che l'introduzione di uno strumento come questo possa essere estremamente proficua anche per la tutela del consumatore finale, anche per la tutela del cittadino, relativamente alla sicurezza della merce che viene esposta nei nostri mercati, nelle nostre fiere, nei chioschi degli ambulanti.
Quindi, con la mozione in esame speriamo di raggiungere un obiettivo che ci auguriamo possa essere condiviso da tutti, cioè quello di promuovere la cultura del rispetto delle regole tra gli operatori economici, attraverso campagne di sensibilizzazione e di prevenzione dei fenomeni di evasione e di elusione. Ci auguriamo di poter favorire un rapporto fisco-contribuente più collaborativo, basato proprio su un rapporto di reciproca fiducia, nel quale l'amministrazione finanziaria è al servizio del contribuente. Vogliamo stimolare il Governo a proseguire l'azione di prevenzione, di controllo e di repressione del fenomeno dell'evasione fiscale e contributiva.
Stiamo chiedendo sacrifici al Paese e penso che gli italiani comprendano le motivazioni di questi sacrifici, ma dobbiamo essere estremamente rigidi e severi nei confronti dei cosiddetti furbi e furbetti. Dobbiamo cercare inoltre di migliorare il coordinamento sul territorio di tutti gli attori che concorrono al raggiungimento dell'obiettivo (Agenzia delle entrate, INPS, società concessionarie e guardia di finanza), in modo da ottimizzare le risorse, eliminare le sovrapposizioni fra enti e concentrare gli sforzi del Governo nel prevenire e contrastare fenomeni di evasione contributiva nel settore del commercio, in particolare fra gli ambulanti, favorendo l'introduzione della richiesta del documento unico di regolarità contributiva da parte degli organismi competenti (INPS, regioni e comuni), quale documento obbligatorio ai fini non solo della concessione della licenza, ma anche del permanere della licenza di commercio. Quindi, noi chiederemo ai rappresentanti delle regioni - ad esempio dove appunto come Lega Nord siamo maggioranza, ma non solo - di sollecitare le regioni ad emanare immediatamente provvedimenti affinché il documento unico di regolarità contributiva venga richiesto proprio nella fase della concessione della licenza.
Chiediamo inoltre al Governo un impegno forte per la sensibilizzazione al tema dell'evasione fiscale, un settore molto delicato. Riteniamo che questo fenomeno potrebbe essere debellato non solo se subordinassimo la concessione della licenza ad una verifica, nella fase iniziale, ma anche se sottoponessimo la stessa licenza di commercio ambulante ad una verifica puntuale dell'attestazione regolare dei pagamenti relativi all'INPS e agli altri contributi richiesti a tutti gli altri lavoratori autonomi.
Questo è lo scopo della nostra mozione, che ci auguriamo possa trovare la più ampia condivisione delle forze presenti in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scarpetti, che illustrerà la mozione Lulli n. 1-00377, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

LIDO SCARPETTI. Signor Presidente, come è stato detto in modo particolare negli ultimi giorni e nelle ultime settimane, Pag. 43l'evasione fiscale e contributiva in Italia è un fenomeno assai rilevante e, da questo punto di vista, nel panorama europeo la nostra è un'anomalia fortemente negativa. Venivano ricordate le stime: il valore aggiunto del «sommerso» nel nostro Paese ammonta ad oltre il 16 per cento del PIL, una cifra che si attesta intorno ai 250 miliardi di euro.
È, pertanto, importante che si ribadisca - a condizione che non si faccia in modo alternato - l'impegno di tutte le forze politiche, ma in modo particolare di chi ha la responsabilità di governo del Paese, per una serrata lotta all'evasione fiscale e contributiva. Del resto, una delle poche cose sulle quali siamo d'accordo e di cui siamo contenti è che nella manovra economica contenuta nel decreto-legge del Governo per affrontare la crisi - o, meglio, per riportare il rapporto tra deficit e PIL sotto il 3 per cento - si stia riportando la discussione in Parlamento sulla reintroduzione della tracciabilità dei pagamenti per cifre superiori ai 5 mila euro, tra l'altro, cifrando in modo non irrilevante questo intervento intorno agli 8 miliardi di euro. Tutto ciò vuol dire che se avessimo attivato questa misura nei due anni precedenti, se nel 2008-2009 non si fossero abrogate le norme precedenti avremmo avuto, in quel biennio, delle maggiori entrate derivanti da azioni di contrasto all'evasione fiscale per un importo intorno ai 15-16 miliardi di euro. Dico tutto questo perché se da un lato siamo fortemente interessati a condividere un percorso che riduca drasticamente l'evasione fiscale e contributiva, dall'altro chiediamo che, rispetto ai discorsi, si sia poi coerenti con i fatti concreti.
L'IVA è sicuramente uno dei tributi maggiormente interessati dall'evasione. Anche a tale riguardo, i dati ci hanno informato in questi giorni che nel 2009 l'evasione derivante dal mancato gettito IVA è stata intorno ai 30 miliardi. Se si prendono i dati relativi ai primi tre trimestri del 2009, a fronte di una riduzione dei consumi interni pari al 2,3 per cento, si è registrata una riduzione del gettito IVA di competenza pari all'8,4 per cento, il che significa che anche questo è un fenomeno esteso e in aumento.
Dal punto di vista del mancato pagamento dei contributi e delle tasse, sicuramente un altro elemento importante è costituito dall'evasione contributiva.
Come veniva ricordato in modo puntuale nell'intervento precedente, nell'ordinamento è stato introdotto, con un provvedimento risalente all'agosto del 1996, il documento unico di regolarità contributiva (DURC), il quale ha prodotto effetti positivi.
Premetto che nelle proposte di impegno che abbiamo rivolto al Governo vi è una valorizzazione del DURC quale strumento importante al fine di combattere l'evasione fiscale anche se la normativa attuale, da questo punto di vista, è confusa e confligge con competenze regionali.
All'evoluzione del DURC che le norme hanno prodotto dobbiamo, in qualche modo, aggiungere interventi normativi al fine di omogeneizzare su tutto il settore nazionale i criteri con cui si conduce la battaglia all'evasione contributiva attraverso l'utilizzo dello strumento in oggetto. Dobbiamo riportare, inoltre, attraverso una discussione in sede di Conferenza unificata, a omogeneità su tutto il territorio nazionale il discorso e il ragionamento che vogliamo fare.
Il DURC, così come è attualmente, è difficilmente impiegabile proprio per come si è sviluppata la normativa. È vero infatti che è stato esteso a tutti i comparti e i settori di attività ma rimane un'ambiguità applicativa. Fra l'altro, il DURC così com'è oggi, e come la normativa lo prevede, diventa uno strumento preliminare anziché successivo al rilascio delle autorizzazioni. Sono questioni che vanno esaminate attentamente, motivo per cui non abbiamo niente in contrario affinché vengano esaminate.
Più in generale, poiché le mozioni in esame affrontano la questione del commercio su aree pubbliche, dobbiamo fissare due obiettivi: in primo luogo comprendere cosa ha rappresentato, e rappresenta, Pag. 44il commercio ambulante su aree pubbliche e secondariamente incentivare in prospettiva questo settore per un suo salto di qualità. Ciò perché questa è un'attività non irrilevante ma abbastanza significativa: nel 2009 le imprese che operavano in questo settore erano 167 mila e rappresentavano il 21,6 per cento del totale degli esercizi al dettaglio, e se si considerano il comparto dell'abbigliamento, del tessile e delle calzature rappresentava il 40 per cento.
La quota di mercato del commercio ambulante sui consumi commercializzati è dell'11-12 per cento con un giro affari e un fatturato complessivo che si aggirano intorno ai 25 miliardi di euro. La risorsa è una leva importante della nostra economia.
Fra l'altro, in momenti di difficoltà e di crisi economica costituisce una difesa per il reddito delle fasce più deboli della popolazione ed è anche una valida alternativa a forme più complesse e più moderne di distribuzione.
Tuttavia, nel tempo questo tipo di commercio si è modificato e ha avuto un'evoluzione che non è stata del tutto positiva, nel senso che si sono sovrapposti mercati paralleli, in alcuni casi anche illegali, come il mercato del commercio di marchi contraffatti.
Si stima che il valore commerciale di questo tipo di distorsione del mercato si aggiri intorno agli 8 miliardi di euro l'anno e a questi bisogna aggiungere i mercati paralleli, fenomeno che molte volte va a danno della qualità. Anche questo settore ha bisogno di spinte e di sostegno per andare verso l'innovazione e la modernizzazione del sistema. In sostanza, si deve puntare sui mercati di qualità.
Per l'insieme di queste considerazioni nella mozione chiediamo che il Governo si impegni a definire in sede di Conferenza Stato-regioni l'applicazione di una disciplina omogenea, come dicevo prima, su tutto il territorio nazionale in materia di contrasto all'evasione fiscale e contributiva nel settore del commercio ambulante, volta a valorizzare il documento di regolarità contributiva quale strumento di accertamento e prevenzione di pratiche distorsive nell'esercizio delle attività del commercio.
Al di là della guerra fra poveri, per noi valgono i regolari, sia che parlino italiano o un'altra lingua, poiché sono cittadini che hanno diritto ad esercitare la loro attività quando hanno le autorizzazioni, le concessioni e dunque sono regolari. Però, al di là di questo fatto, riteniamo sia anche importante che una quota utile derivante dalle risorse provenienti dalla lotta all'evasione fiscale nel settore del commercio ambulante sia destinata a sostenere iniziative di enti locali che, in accordo con associazioni di categoria, siano finalizzate al rilancio del comparto tramite l'ammodernamento e la riqualificazione degli attuali mercati con l'istituzione di veri mercati di qualità caratterizzati da strutture di eccellenza e con regole precise per gli operatori, prevedendo anche incentivi per gli operatori che acquistano moderne strutture e attrezzature di vendita.
Quindi riteniamo che due siano gli interventi da fare: che chi deve pagare le tasse le paghi e che si trovino gli strumenti per farlo, qualunque tipo di attività sia svolta. Chiediamo, nello specifico, che per il settore siano attivati strumenti, interventi e anche forme di incentivazione, insieme agli enti locali e alle associazioni di categoria, al fine di modernizzare un sistema che è una risorsa economica importante del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà la mozione Borghesi n. 1-00378 di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signora Presidente, il commercio ambulante rappresenta, lo possiamo dire, una tipicità del commercio italiano, una sorta di tratto distintivo che si incontra dal piccolo paese alla grande città. Per tradizione la piazza è sempre stata luogo di notizie, di incontro, di socializzazione, prima ancora che di approvvigionamento; un tempo il giorno di mercato era innanzitutto un evento e Pag. 45questo ha permesso a questa modalità commerciale di diffondersi in maniera capillare lungo tutto il Paese, diventando una sorta di marchio di fabbrica.
Posso portare come esempio anche un'esperienza localistica; in Toscana a Forte dei Marmi c'è un gruppo di commercianti (per l'appunto ambulanti) che, finita la stagione estiva, si sposta a Milano ed ha il marchio di fabbrica: gli ambulanti del Forte. Quindi è davvero un brand. Alcuni la considerano una tradizione, altri una risposta alla crisi. Chi mette mano al portafoglio spesso lo fa presso un venditore ambulante, visto come un canale privilegiato per poter portare a casa un prodotto di qualità al giusto prezzo.
Esiste poi una fetta importante di italiani che alla grande distribuzione e a quei non-luoghi rappresentati dai centri commerciali, dai grandi aggregati o dagli outlet (l'ultima moda) continua a preferire l'acquisto sotto casa, in un'ottica più familiare e sicuramente più a misura di un uomo. Se nel 2009 il commercio al dettaglio ha chiuso con 16 mila imprese in meno, la vendita ambulante ha registrato, seppur a fatica, una tenuta.
Questo è forse il segno, a parere di un'importante associazione di settore come ANVA, affiliata della Confesercenti, che in periodi di forte crisi rappresenta una difesa della fascia più debole del consumo oltre che un'alternativa valida alle più moderne forme di vendita. La marcia in più dell'ambulantato, rispetto alla grande e media distribuzione, è la sua capacità di rapportarsi maggiormente con il consumatore modulando la propria offerta con l'effettivo potere di acquisto. Insomma, l'ambulante realizza una sorta di calmiere dei prezzi tarando e adattando una offerta di qualità con l'effettiva richiesta e i soldi nel borsellino.
Eppure anche l'ambulante, al pari di altre forme di commercio, sta attraversando una crisi che prima non aveva mai vissuto nonostante mantenga la sua presenza. Se prima l'attività veniva tramandata di padre in figlio, oggi si incontrano persone che dismettono la loro licenza perché i giovani non vedono garanzie per il proprio futuro. In generale, comunque fra i banchi si vendono soprattutto scarpe e abbigliamento, anche se l'alimentare, nonostante diminuiscano le persone che lo trattano, dimostra di continuare ad essere apprezzato per la sua qualità e freschezza. Spesso il commercio ambulante viene scambiato con altre forme che in realtà non hanno nulla a che fare: se quello legale è svolto da operatori autorizzati, regolari e affidabili, il secondo viene generalmente condotto da extracomunitari che portano sui mercati firme contraffatte specie nel settore delle borse, dell'abbigliamento e degli accessori.
Altri ambulanti, pur essendo regolari, vendono prodotti di minore qualità che spesso non seguono i canoni dettati dalle leggi vigenti nel nostro Paese circa la sicurezza e la qualità. Insomma, la non conformità alle regole permette loro di abbattere i costi, ma con e attraverso una sorta di concorrenza sleale. I controlli sugli ambulanti - lo sappiamo - spettano alla guardia di finanza per quanto riguarda gli aspetti fiscali, alla Polizia municipale e alle camere di commercio per quanto riguarda i prodotti. Per il resto, questa forma di commercio segue tutte le regole degli altri settori commerciali in termini di tracciabilità, etichettatura, provenienza e standard di sicurezza.
Le leggi nazionali che disciplinano la categoria sono il decreto legislativo n. 114 del 1998 (meglio noto come «decreto Bersani»), che ha fornito alle regioni gli indirizzi da seguire, sia per il commercio fisso che per quello ambulante, e le relative leggi regionali. Ogni regione dunque ha una propria legge che regolamenta il commercio ambulante e sono poi i singoli comuni a stabilire spazi, orari, giornate di lavoro, eventuali recuperi in caso di soppressioni straordinarie, fiere o manifestazioni in aggiunta alla normale programmazione.
I prodotti acquistati al mercato hanno le stesse forme di garanzia legale (due anni) rispetto a quelli del negozio e del supermercato. La differenza risiede nello scontrino, sempre obbligatorio, ma che - a differenza di quello emesso dalla grande Pag. 46e media distribuzione o dai punti vendita superiori ai 200 metri quadrati - è fiscale. Il vero problema sta nel fatto che il commercio ambulante viene considerato estremamente marginale per quanto copra il 10 per cento dell'intero mercato nazionale.
Eppure le problematiche sono tante: in primis la quotidiana lotta con le formule note come i mercatini degli scambisti, dell'antiquariato, delle casalinghe, degli agricoltori, che, pur non avendo nulla a che vedere con il vero commercio ambulante, non emettendo scontrini e non pagando tasse, conquistano fette importanti di mercato. Spesso sono persone che hanno però un altro lavoro e che si dilettano in questa attività, però magari acquistando in nero negli stessi luoghi di rifornimento degli ambulanti. Anche queste voci meriterebbero forse una maggiore attenzione e disciplina.
Il punto è però il cosiddetto «documento unico di regolarità contributiva» (DURC). È una storia complessa: l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito poi dalla legge n. 102 del 2009, ha esteso la disciplina del DURC agli imprenditori commerciali che vendono in mercati, fiere e piazze o come ambulanti. Questo articolo disponeva e dispone che l'autorizzazione all'esercizio di attività di commercio nelle aree pubbliche fosse soggetta alla presentazione da parte del richiedente del documento unico di regolarità contributiva e che, entro il 31 gennaio di ciascun anno successivo a quello del rilascio dell'autorizzazione, il comune, avvalendosi anche della collaborazione gratuita delle associazioni di categoria riconosciute dal CNEL, verificasse la sussistenza del documento e prevedesse la revoca dell'autorizzazione per l'esercizio sulle aree pubbliche in caso di mancata presentazione iniziale ed annuale del DURC.
La nuova disciplina prevista, invece, dall'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010 ha innovato radicalmente le recenti norme in materia di documento unico di regolarità contributiva, il cosiddetto DURC, in caso di esercizio di attività commerciale sulle aree pubbliche. Per esse si è stabilito che l'autorizzazione all'esercizio è soggetta alla presentazione da parte del richiedente del documento unico di regolarità contributiva e che in tal caso possono essere stabilite le modalità attraverso le quali i comuni sono chiamati al compimento di attività di verifica della sussistenza e della regolarità della stessa documentazione. In sostanza, in questo caso la presentazione del DURC diventa obbligatoria in ogni caso e la nuova disciplina conferisce alle regioni la facoltà di assoggettare o meno il rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio dell'attività nelle aree pubbliche alla presentazione di questo documento.
Tuttavia, il problema dell'evasione trascende sia l'aspetto contributivo, sia lo specifico settore del commercio ambulante. Siamo i primi, come gruppo dell'Italia dei Valori, e lo diciamo in ogni occasione, a pretendere un rigido controllo sulla legalità, ma appare francamente ridicolo che dalla Lega Nord provenga una minaccia di lotta così spietata agli ambulanti, mentre magari ai grandi evasori dallo stesso partito del Carroccio viene porto il ramoscello d'ulivo degli scudi fiscali a costo zero o quasi. Quindi, c'è addirittura il rischio che dopo il sedicente «Robin Tremonti» si abbia davanti la «Lega di Nottingham» che, come il personaggio del celebre romanzo, mette sotto torchio i più deboli, meglio poi se sono extracomunitari, destando persino un sospetto di razzismo.
La lotta all'evasione fiscale, invece, è una questione seria e va condotta senza riguardi per nessuno e in maniera sistemica. La volontà dell'attuale Governo di distogliere l'attenzione dai lavoratori autonomi, dai professionisti, dalle grandi imprese, che pure sono indicati da tutti gli studi sul tema come soggetti a cui è imputabile la fetta di gran lunga più rilevante di evasione nel nostro Paese, ha preso le forme di un'esplicita inversione di rotta rispetto all'azione che aveva intrapreso il precedente Governo. L'attuale Governo Berlusconi ha smantellato, in nome di una malintesa semplificazione, gli strumenti Pag. 47che potevano permettere di ottenere per via telematica informazioni utili per il contrasto all'evasione, soprattutto dei lavoratori autonomi e delle piccole e medie imprese.
Si è infatti proceduto ad un sistematico smantellamento, presentato come semplificazione, di un insieme di strumenti, in parte non ancora operativi, introdotti dalla legislatura precedente che potevano permettere all'amministrazione finanziaria di ottenere per via telematica informazioni utili al fine di contrastare l'evasione. È stato soppresso l'obbligo di allegare alla dichiarazione IVA gli elenchi dei clienti e dei fornitori; sono state abolite le limitazioni nell'uso di contanti e di assegni; è stata abolita la tracciabilità dei pagamenti nonché la tenuta da parte dei professionisti di conti correnti dedicati (anche se sembra che nell'ultima manovra ci sia qualche ripensamento); è stato soppresso l'obbligo di comunicazione preventiva per compensare i crediti d'imposta superiori ai 10 mila euro; è stata significativamente ridimensionata la solidarietà in materia di versamenti di contributi e ritenute tra committente, appaltatore e subappaltatore; sono state dimezzate le sanzioni e complessivamente sono diminuite di conseguenza le entrate dell'IVA, anche per la consapevolezza che l'evasione è un'attività sempre meno rischiosa.
Come ha sostenuto il Governatore della Banca d'Italia nelle sue considerazioni finali del 31 maggio scorso, l'evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga, riduce le risorse per le politiche sociali, ostacola gli interventi a favore dei cittadini con redditi modesti. Il cuneo fiscale sul lavoro è di circa cinque punti superiore alla media degli altri Paesi dell'area euro; il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, includendo l'IRAP, sono più elevati di sei punti; secondo stime dell'ISTAT il valore aggiunto del sommerso ammonta al 16 per cento del prodotto interno lordo. Insomma, confrontando i dati della contabilità nazionale con le dichiarazioni dei contribuenti si può valutare che tra il 2005 e il 2008 il 30 per cento della base imponibile dell'IVA sia stato evaso, in termini di gettito si tratta di oltre 30 miliardi all'anno, ossia due punti del PIL.
Per tutti questi motivi nella mozione di cui è primo firmatario il collega Borghesi, come gruppo dell'Italia dei Valori proponiamo a tutta l'Assemblea e di conseguenza chiediamo al Governo di fare quanto in suo potere affinché le regioni diano attuazione a quanto previsto dalla legge finanziaria per il 2010, prevedendo che il DURC sia uno strumento obbligatorio per la concessione dell'attività di commercio ambulante, e di sollecitare le amministrazioni competenti ad intensificare i controlli sulla regolarità fiscale e contributiva del commercio ambulante.
Impegniamo, inoltre, il Governo a sostenere sia il diritto dei consumatori alla salute, sia quello dei produttori europei alla tutela dalle frodi commerciali, specialmente per i prodotti contraffatti o contenenti sostanze nocive per la salute, anche attraverso il rafforzamento dei controlli alle frontiere. Infine, la mozione impegna il Governo a prevedere che gli organi di controllo governativi - ispettorato, Guardia di finanza, eccetera - verifichino il regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali.
Pertanto, speriamo che vi sia un parere favorevole da parte del Governo ed un ampio voto positivo da parte dell'Assemblea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00380. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, anch'io mi fonderò sui dati, che mi pare coincidano in tutte le mozioni che sono in discussione in questo ramo del Parlamento. Ringrazio coloro i quali hanno sollevato questo argomento e comunque coloro che hanno seguito l'esempio continuando ad aggiungere qualche spunto per poter migliorare il tema. Credo che il Parlamento debba essere conseguente a quanto ha fatto in passato, quando ha introdotto uno strumento per Pag. 48combattere il fenomeno dell'evasione fiscale, ossia questo documento unico di regolarità contributiva, che è obbligatorio per gli appalti e subappalti di lavori pubblici, per i lavori privati soggetti al rilascio di concessione edilizia e alla dichiarazione di inizio di attività per le attestazioni SOA (società organismo di attestazione), che ora può essere richiesto dalle regioni nell'esercizio della potestà legislativa in tema di commercio.
È chiaro che il Governo si dovrebbe impegnare non solo a sensibilizzare e prevenire i fenomeni di evasione ed elusione, favorendo contestualmente il miglioramento dei rapporti tra fisco e contribuenti, ma dovrebbe, con un confronto anche con le regioni, i comuni e le province, tendere ad introdurre il documento di regolarità contributiva obbligatorio anche in questo settore, per favorire e creare le condizioni per l'abbandono o la riduzione da parte degli ambulanti abusivi di modalità di esercizio legate all'evasione contributiva e fiscale. Come Movimento per le Autonomie, abbiamo introdotto anche un altro concetto: dare ulteriore sviluppo ai controlli delle aziende che producono merci per il commercio ambulante, alla prevenzione e quindi al contrasto dei fenomeni di evasione contributiva nel commercio, anche questo a monte della provenienza delle merci che gli ambulanti abusivi in genere smerciano e vendono ai cittadini.
Quindi, ritengo che questo Parlamento debba approvare ampiamente tutte queste mozioni, perché ognuna di esse dà un proprio contributo, che può essere aggiuntivo rispetto a quello delle altre.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Boniver ed altri n. 1-00338, Mecacci ed altri n. 1-00344 e Evangelisti ed altri n. 1-00376, concernenti iniziative per la tutela dei diritti umani a Cuba, con particolare riferimento ai dissidenti politici e ai detenuti per reati di opinione (ore 19,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Boniver ed altri n. 1-00338, Mecacci ed altri n. 1-00344 e Evangelisti ed altri n. 1-00376, concernenti iniziative per la tutela dei diritti umani a Cuba, con particolare riferimento ai dissidenti politici e ai detenuti per reati di opinione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Misiti ed altri e n. 1-00379, Tempestini ed altri n. 1-00381 e Vietti ed altri n. 1-00383 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00376. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziare l'onorevole Boniver e l'onorevole Mecacci che, con grande cortesia, mi hanno permesso di illustrare, per primo, i contenuti della mozione.
Qual è il punto che intendo sottolineare e sul quale voglio richiamare l'attenzione dell'Assemblea? Come gruppo dell'Italia dei Valori siamo orientati - Pag. 49azzardo un'ipotesi, poi il dibattito ci consentirà di precisarlo meglio - a votare a favore di ogni mozione che chiami in causa la necessità del rispetto dei diritti umani in ogni Stato. Pertanto, Cuba per noi non può costituire un'eccezione.
C'è però un elemento, che in talune delle mozioni presentate è sottaciuto o negato e in talaltra addirittura posto in maniera - mi sia permesso di dire - bizzarra.
Il punto centrale, quando parliamo di Cuba, è l'embargo. Da anni, da troppi anni, quel Paese, soprattutto la popolazione civile, paga le spese dell'embargo imposto dagli Stati Uniti. Da ben diciotto anni all'ONU si discute di mozioni e provvedimenti per cancellare l'embargo, che «affama» il popolo e non mette mai i dittatori in condizione di non nuocere.
In maniera bizzarra, in qualche mozione, si pretende che prima vengano garantiti i diritti civili e solo successivamente si acconsentirà all'abolizione dell'embargo. È quello che si sta provando a fare da sessant'anni; forse è venuto il momento di provare a cambiare.
Invece, per una volta, potremmo accogliere la raccomandazione che viene dalle Nazioni Unite e sospendere almeno per un anno l'embargo. Vediamo che effetto fa.
Sono convinto che all'evoluzione, ai timidi passi in avanti del regime castrista, ha contribuito di più il flusso turistico, le relazioni internazionali e la conoscenza apportata dai turisti, delle relazioni ordinarie e diplomatiche.
C'è un altro dato, sul quale voglio richiamare l'attenzione: il ruolo della Chiesa cattolica, che sembra essere il principale interlocutore del regime castrista. Ebbene, nella nostra mozione mettiamo al primo posto l'embargo - ovviamente da rimuovere o quanto meno da sospendere - ed il sostegno alla Chiesa cattolica, richiamo assente nelle altre mozioni.
Non escludo che, per questa strada, si possa lavorare, nelle prossime ore, di intesa per affrontare il tema dei diritti umani a Cuba, delle libertà civili, democratiche, politiche, religiose, e, nel contempo, tenere alta l'attenzione nei confronti degli Stati Uniti, perché quei timidi segnali, che al momento della sua elezione Barack Obama aveva dato, possano essere davvero raccolti e si possa andare nella direzione di una rimozione dell'embargo.
Forse sarebbe davvero - anche con l'appoggio, lo ripeto, della Chiesa cattolica - il modo migliore per andare ad incidere sul tema dei diritti e delle libertà in quel Paese.

PRESIDENTE. È iscritta parlare l'onorevole Boniver, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00338. Ne ha facoltà.

MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, questa mozione è stata presentata oramai da qualche mese, in seguito alla morte, dopo un lunghissimo sciopero della fame, di un operaio cubano di 44 anni: Orlando Zapata Tamayo, diventato famoso perché dopo la sua morte, perfino Raùl Castro si era detto rammaricato.
Orlando Zapata Tamayo era - potremmo dire - all'avanguardia di tutta una lunga serie di detenuti per motivi politici o di coscienza che stavano protestando contro le durissime condizioni di prigionia, alle quali sono sottoposti - in generale - i dissidenti o chiunque osi opporsi al durissimo regime comunista cubano.
Questi dissidenti - venticinque dei quali sono anche gravemente malati - costituiscono il motivo per il quale, dopo la morte di Tamayo, sono entrati in sciopero della fame diversi colleghi e intellettuali e soprattutto Guillermo Farinas, che è un noto psicologo cubano.
Egli utilizza questo sistema di protesta ormai da molti anni ed è tuttora in sciopero della fame, dopo molte settimane; uno dei motivi per cui ha protestato in questo modo durissimo è perché, per esempio, oltre che per la morte di Zapata Tamayo e per le condizioni di salute di questi 25 malatissimi detenuti, Guillermo Farinas si batte da molti anni per ottenere la libertà di navigare su Internet per i cubani, cosa che è notoriamente proibita.
Ma quello che, in qualche modo, fa di Cuba una dittatura particolarmente pervicace Pag. 50è la lunghezza delle detenzioni di questi detenuti per motivi di coscienza o politici. Lo stesso caso di Zapata Tamayo è emblematico, perché questo operaio, che è morto il 23 febbraio di quest'anno, aveva avuto una condanna nel 2003 a tre anni per diversi reati, classicamente imputati ai dissidenti, che sono, in genere, disubbidienza, terrorismo, cospirazione, essere mercenari degli Stati Uniti e così via, ma anche vilipendio della figura del comandante supremo Fidel Castro.
Zapata Tamayo - classicamente, dicevo - ha visto la sua sentenza allungarsi incredibilmente da tre a 36 anni, squisitamente per motivi di dissenso politico. Oggi siamo assolutamente ed esattamente allo stesso punto in cui eravamo qualche mese fa: nulla è mutato nelle condizioni di prigionia, salvo, se vogliamo, una certa novità, che è stata negoziata direttamente con Raùl Castro dal cardinale Ortega, che ha ottenuto che i dissidenti possano essere gradualmente trasferiti nelle regioni di provenienza, e quindi, in qualche modo, essere più vicini alle loro famiglie.
Ma questo gesto di minima apertura nulla toglie alle condizioni assolutamente spaventose nelle quali queste persone sono detenute, molto spesso in assoluta solitudine, in stanze microscopiche di due metri per uno, senza aria e, soprattutto, con la prospettiva uguale a zero di uscire vivi da detenzioni che superano in media i 20-25 anni.
Di fronte a questa situazione assolutamente e perfettamente comprensibile, e assolutamente e perfettamente intollerabile, la mozione a mia prima firma, sottoscritta anche da molti altri colleghi del Popolo della Libertà, desidera non soltanto accendere i riflettori, e quindi portare l'attenzione, sul vasto dibattito delle violazioni dei diritti umani anche sull'isola di Cuba, ma, soprattutto, cerca di ottenere da parte delle istituzioni italiane, che si sono sempre prodigate in questo senso, un maggiore attivismo e una maggiore protesta in tutte le sedi preposte in merito alla scandalosa situazione dei detenuti per motivi di coscienza, ovvero persone che non si sono macchiate di alcun crimine, ma che pagano spesso con la vita, certamente con la salute e la perdita di libertà, la loro voglia di esprimere idee in contrasto con una dittatura assolutamente chiusa ad ogni tipo di cambiamento dal punto di vista delle libertà individuali e civili.
A seguito sempre della morte di Zapata Tamayo, si era anche costituito una sorta di piccolo movimento di protesta, formato soprattutto dalle mogli dei dissidenti politici, le damas de blanco, le quali, imitando o tentando di imitare il poderoso movimento delle Madri di Plaza de Mayo durante la dittatura argentina, hanno cercato di far sentire la loro voce.
Ma anche qui, assolutamente unico caso, tipico della Cuba comunista, queste manifestazioni sono state pesantemente scoraggiate. In questi gruppi di donne, le damas de blanco, si sono infiltrati agenti del Governo e anche questa flebile voce è andata, via via, calando.
Questo è il motivo per il quale credo che l'Aula di Montecitorio farà bene ad approvare le mozioni in esame, che hanno come scopo quello di sollevare ancora una volta la voce forte e chiara di un Paese come il nostro, nei confronti di una repressione e di una persecuzione che credo tutti in Aula troveranno assolutamente intollerabile.
Quanto poi - ma ciò non fa parte della nostra mozione - all'equiparazione automatica dell'embargo con la repressione del dissenso, credo sia francamente molto sbagliata: come dire (e purtroppo lo si sente dire molto spesso nei Paesi arabi) che il terrorismo islamista è in realtà provocato dall'intolleranza europea nei confronti, nel caso svizzero ad esempio, della costruzione dei minareti, un referendum che ha suscitato tanto scalpore. Non è una questione di intolleranza, non è una questione di embargo economico, che comunque - sono d'accordo con il collega Evangelisti - colpisce fondamentalmente la popolazione civile, come ogni forma di embargo: è, al contrario, la natura stessa del regime cubano il quale, da quando ha preso il potere negli anni Cinquanta, ha riempito le carceri di dissidenti; infatti, il picco dei carcerati per motivi di dissenso si è avuto Pag. 51dal 1959 in avanti. Molti di quei detenuti sono ancora seppelliti vivi nelle carceri cubane, quindi evidentemente il lupo perde il pelo ma non il vizio; e malgrado delle promesse, quanto meno verbali, proferite da Raùl Castro, la verità è che a Cuba, dal punto di vista della repressione dei diritti fondamentali, nulla cambia. Ecco perché noi invece vorremmo che vi fossero un maggiore attivismo, una maggiore trasparenza nel raccontare le storie terribili di queste persone.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00344. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, intervengo in questo dibattito, come ha ricordato la collega Boniver, dopo che avevamo ormai presentato le mozioni in esame oltre due mesi fa, anche sull'onda della vicenda tragica che la collega ha menzionato, e che riguardava la morte di un dissidente politico, Orlando Zapata Tamayo. Devo dire che farlo oggi, a due mesi di distanza, quando solo dopo poche settimane, il 6 aprile, il Ministro degli affari esteri del nostro Paese, Frattini, in una grande intervista al Corriere della sera denunciava di essere stupefatto per l'assenza di dibattito e di discussione in Italia, nel nostro Paese, su questo tema, ci lascia un po' con l'amaro in bocca. Era compito infatti innanzitutto di chi governa, di chi ha la primaria responsabilità istituzionale in questo campo della politica, e cioè la politica estera, creare le condizioni e sollecitare la propria maggioranza parlamentare affinché si potesse giungere in Parlamento ad un dibattito quando era urgente farlo; per far sentire, se quella era l'intenzione, non solo con l'intervista al Corriere della sera, ma anche con atti istituzionali e politici ben precisi la voce di un Paese che voleva esprimersi sul quel tema. Ciò non è accaduto.
Vi sono comunque degli appuntamenti importanti, perché questa lotta non violenta continua: come è stato ricordato, Guillermo Farinas, che è uno psicologo, una persona che non è attualmente detenuta, ma che si è impegnata a lungo nei movimenti di opposizione a Cuba, sta conducendo uno sciopero della fame; ed è adesso ricoverato in un ospedale, in un reparto dove viene seguito e dove continua la sua iniziativa non violenta, che ha prodotto alcuni risultati che non vanno sottovalutati. Credo che sarebbe importante se il Parlamento, e anche il Governo italiano, sapessero cogliere l'opportunità che questa iniziativa non violenta offre, che il sacrificio di Orlando Zapata Tamayo ci fornisce, per cercare di migliorare la situazione in quell'isola.
L'occasione è rappresentata da un appuntamento istituzionale che credo si terrà all'incirca alla metà del mese, ossia il Consiglio europeo di Bruxelles che si occuperà degli affari esteri che ha istituzionalmente il compito, ogni anno, di rivedere la posizione dell'Unione europea su Cuba.
La posizione dell'Unione europea su Cuba ha conosciuto delle evoluzioni nel corso degli anni, in particolare nel 2003, quando vi fu quella che è stata definita la «primavera nera», ossia l'arresto a Cuba di 75 persone tra intellettuali, dissidenti, sindacalisti (persone che non hanno compiuto alcun reato se non quello di esprimere la loro opinione e che per questo sono state condannate a pene detentive che variano e sono variate tra i 6 ed i 25 anni).
Sappiamo che di quelle 75 persone ancora oggi ve ne sono 53-54 (i dati cambiano a seconda della fonte, ma questi sono i numeri di Amnesty international) ancora in prigione per aver espresso la loro opinione. In questi anni la posizione europea è cambiata, non è rimasta la stessa. A caldo, anche con l'emozione che questi arresti provocarono in molti Paesi europei ed in molti Stati governati in quel momento dalla sinistra, che non avevano mai avuto un atteggiamento ideologicamente ostile a Cuba, ci si trovò di fronte ad una repressione di semplici persone che cercavano di far valere le loro idee.
In quel momento l'Unione europea adottò delle sanzioni, anche di tipo economico, nei confronti di Cuba che cercavano Pag. 52di colpire, non come fa l'embargo, un'intera popolazione. Credo che sull'inadeguatezza di questo strumento, dopo sessanta anni di attuazione e di sostanziale non mutamento della situazione nell'isola, si possa tutti concordare. Rappresenta però una sfida come cercare di mutare il cambiamento di politica sull'embargo per trasformarlo in un miglioramento delle istituzioni e del modo di vivere a Cuba, perché la soluzione della rimozione dell'embargo non può di per sé garantire nessun processo di liberalizzazione o di riforma politica in quel Paese.
Come dicevo, l'Unione europea tenne un atteggiamento unito ed anche di sanzioni economiche nei confronti di alcuni esponenti del regime con limitazioni all'emissione di visti ed altro. Nel corso del tempo, nonostante non vi siano stati mutamenti sostanziali (vi sono state alcune liberazioni di detenuti che si trovavano in condizioni di salute precaria ed alcune riduzioni di pena, ma il blocco sulle attività dell'opposizione e sulla libertà di espressione nell'isola rimane ed è rimasto ben saldo, nonostante il cambio della guardia che si è avuto al vertice del regime con la dipartita o comunque l'entrata in un ruolo più ridimensionato di Fidel Castro e con l'arrivo al potere in quel Paese di Raùl Castro), l'Unione europea ha tentato delle aperture. È stato riaperto ufficialmente anche il dialogo politico con le autorità de L'Avana, ma la vicenda di Zapata Tamayo e quello che è accaduto nei giorni successivi e che sta continuando ad accadere mostra che non vi sono impegni alla riforma che possano essere considerati seri.
Vi è stato però l'elemento nuovo dell'intervento delle autorità del Vaticano con il cardinal Ortega che ha avuto il primo incontro ufficiale con le autorità cubane (le autorità cubane hanno identificato nel cardinal Ortega un interlocutore anche per discutere della sorte e delle condizioni di questi detenuti politici e questo è un fatto che va considerato positivo), e nei giorni e nelle settimane scorse alcuni di questi detenuti sono stati avvicinati alle loro famiglie di riferimento per consentire anche un contatto più diretto con le stesse.
Resta il fatto che chi sta conducendo questa iniziativa politica non violenta, Guillermo Farinas, con il sostegno dei movimenti dissidenti sull'isola, continua a chiederci una cosa precisa, di non credere alle promesse del Governo cubano. In particolare, chiedono all'Unione europea di non fare ulteriori aperture né di tipo politico né di carattere economico se non vi saranno garanzie serie sull'attivazione di un processo di liberalizzazione generale della società cubana e di liberazione in particolare di questi detenuti.
In particolare, la richiesta di Farinas concerne la liberazione e la possibilità per 25 di questi 54 detenuti politici di poter essere curati all'interno di strutture ospedaliere.
Perché dunque è importante, secondo il mio punto di vista, approvare un testo o una mozione che indichi al Governo italiano, in vista del Consiglio europeo che si terrà a metà giugno, alcune iniziative concrete da prendere? Perché lo stesso Ministro degli affari esteri, nell'intervista rilasciata lo scorso 6 aprile, ha avuto parole molto nette e chiare su quello che dovesse essere l'atteggiamento nei confronti delle autorità cubane.
In particolare, sulla questione delle sanzioni, sappiamo che presso le Nazioni Unite in relazione al dossier sul nucleare iraniano, che coinvolge tutta la questione iraniana per l'involuzione purtroppo autoritaria che sta continuando in quel Paese, è in corso la discussione sulla possibilità che il Consiglio di sicurezza adotti delle sanzioni che mirino non a colpire un'intera popolazione, ma ad identificare i personaggi e le istituzioni responsabili dirette della repressione del dissenso - e sappiamo come in Iran il corpo delle guardie rivoluzionarie rappresenti un fondamento per il regime per continuare a impedire che i movimenti di opposizione possano esprimersi - perché un tale strumento a Governi siffatti, come noto, è qualcosa che dà molto fastidio.
Si è parlato dell'embargo. Esso vige a Cuba per i milioni di normali cittadini Pag. 53cubani, ma non vi è nessun embargo per i gruppi dirigenti di quel Paese che fanno affari con l'estero, che hanno rapporti economici, che probabilmente hanno conti personali in giro per il mondo e che possono usufruire, grazie ai rapporti diplomatici e politici internazionali, di visti di uscita e di ingresso nei Paesi di tutto il mondo. Per loro dunque l'embargo, che gli Stati Uniti hanno imposto su Cuba, sicuramente non si applica.
Credo che sarebbe importante che il nostro Governo, sulla base delle dichiarazioni al Consiglio europeo del Ministro degli affari esteri Frattini - che non sto ora a ricordare perché non intendo dilungarmi troppo, magari lo faremo più avanti nella discussione -, arrivi al Consiglio europeo di metà giugno con una posizione che si rifletta anche formalmente in iniziative concrete di condanna e al tempo stesso di sostegno nei confronti dell'opposizione cubana.
Ad esempio, l'Unione europea nella posizione che fu approvata nel giugno del 2009, al paragrafo 3, secondo comma, confermava che la politica dei contatti dell'Unione europea con l'opposizione democratica e pacifica resta valida. Abbiamo avuto esempi di visite di Stato che ci sono state da parte di diversi leader europei, ma questo tipo di contatti non si è avuto. Non si tratta dunque di inventare qualcosa di nuovo. Ciò che proponiamo nella nostra mozione fa riferimento a posizioni che sono condivise anche da molti Paesi dell'Unione europea e che cercano di mutare in positivo una situazione che purtroppo sembra non andare in quella direzione.
Spero dunque davvero che il Governo possa cogliere l'opportunità, che abbiamo in queste ore, di sostenere un movimento di resistenza non violento, pacifico, fatto di intellettuali, di professori universitari e di persone che cercano di migliorare la vita in quella società e di donne - le ha ricordate Margherita Boniver, le Damas de Blanco - che ogni settimana, ogni mese, si recano sulla Quinta avenida davanti alla chiesa di Santa Rita per chiedere la liberazione dei loro mariti, fratelli e padri e per far sì appunto che, per una volta, la posizione del Governo italiano possa essere all'avanguardia all'interno dell'Unione europea nella promozione dei diritti umani.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00379. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il Movimento per l'Autonomia è nettamente contrario alle azioni del Governo castrista di Cuba contro la dissidenza interna. Condividiamo le preoccupazioni e le condanne espresse nelle mozioni all'ordine del giorno e nel dibattito nazionale e internazionale.
Cuba ha firmato ma non ha ratificato l'Accordo sui diritti civili e politici che garantisce la libertà di espressione, riunione e associazione; non applica i principi delle Nazioni Unite per la tutela di tutte le persone soggette a qualsiasi forma di detenzione o carcerazione (gli standard internazionali).
Noi siamo assolutamente convinti che l'Unione europea debba farsi carico e debba spingere perché si arrivi ad una soluzione positiva di questa problematica. Siamo però altrettanto convinti, visto e considerato che l'embargo in atto a Cuba colpisce solo la popolazione e - come diceva il collega Mecacci - certamente non colpisce la classe dirigente cubana, che sarebbe indispensabile e necessario anche attuare il documento approvato nel 2009 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ovverosia la risoluzione in cui si affermava la necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti contro Cuba. Si tratta di una risoluzione che ha raccolto 187 voti a favore e 3 contrari.
È evidente che anche questo aspetto della questione andrebbe sviluppato anche dal nostro Governo. Nella nostra mozione infatti s'intende impegnare il Governo anzitutto ad adoperarsi, sia nell'ambito dei rapporti bilaterali, sia nelle sedi internazionali, con particolare riferimento all'ONU e all'Unione europea, e anche tenuto conto della decisione del Consiglio Pag. 54dell'Unione europea del giugno 2010, affinché siano esercitate le più opportune ed efficaci pressioni per ottenere la fine delle persecuzioni e dei maltrattamenti da parte del regime castrista cubano nei confronti dei dissidenti politici e dei detenuti, nonché la loro liberazione, per reati di opinione, nel rispetto delle norme in materia di diritti umani.
Inoltre, s'intende impegnare il Governo a sostenere, in tutte le sedi internazionali, la fine dell'embargo anche con la moratoria temporanea dello stesso, così come viene descritta dal Presidente dell'Assemblea cubana Alarcón, sostenendo altresì le iniziative della Chiesa. Quindi si chiede al Governo italiano di sostenere la linea che deve portare alla fine di quell'embargo, anche se inizialmente con una moratoria poi rinnovabile di anno in anno.
Tale azione non è strettamente legata e pregiudiziale alla fine delle carcerazioni di coloro che protestano nel regime castrista, ma sarebbe comunque un aiuto alla popolazione civile, ai poveri cittadini cubani che spesso soffrono la fame e - oltre a questo - le vessazioni da parte del gruppo dirigente di quello Stato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00381. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, la nostra mozione per molti versi ricalca e ripercorre le considerazioni addotte negli altri documenti fin qui presentati, anzitutto per quanto riguarda le argomentazioni relative ad una richiesta: quella che sul terreno dei diritti umani si possa veder rapidamente qualche passo in avanti a Cuba, partendo dalla considerazione che i morti e le condizioni drammatiche di detenzione di molti - ancora - detenuti politici sono tali per cui c'è il problema di una coscienza civile (nostra, dell'Europa) che non può tollerare che tali condizioni in un Paese, per tanti versi così vicino a noi, si continuino a dipanare così drammaticamente.
Questa prima considerazione ci porta, come ha portato tutti gli altri che sono intervenuti, a sostenere in tutte le sedi, in ogni modo, con ogni forma, tutte le iniziative che possono avere caratteristiche tali da rendere meno stringente questa morsa nei confronti dei detenuti, affinché si possa avere qualche segnale positivo (come il segnale che abbiamo visto venire dall'intervento del cardinale in quel Paese). Ci auguriamo si possa procedere su questa strada, ottenendo nella sostanza, e nella pratica, dei risultati positivi.
Le notizie sulla salute di Farinas sono sempre molto altalenanti, non vorremmo vedere accanto a quello di Tamayo anche il nome di Farinas tra i morti in questa brutta storia. Sappiamo che a Cuba esiste un movimento ampio ed importante, esiste una sensibilizzazione che si è allargata. Il regime fatica a tenere fermo questo movimento che in passato era costituito da minoranze o comunque il Governo giocava facilmente la carta della minoranza sparuta. Oggi, il Governo ha più difficoltà, perché l'opinione diffusa anche nel Paese è mutata e queste richieste di maggiore libertà si sono fatte assai più consistenti. Dobbiamo aiutare questo processo e nell'immediato fare ogni sforzo - in questo incoraggiamo il lavoro della Chiesa cattolica - affinché questa condizione umana possa registrare dei miglioramenti.
Naturalmente un ruolo importante, in questo contesto, lo gioca l'Unione europea che ha correttamente giocato su due fronti - così credo che si debba fare - da una parte insistendo con forza, premendo in tutti i modi, in tutte le forme, dall'altra lasciando aperto il canale del dialogo perché la storia di Cuba insegna che questa è la strada che dobbiamo percorrere. Non voglio ritornare ad anni lontanissimi, ma più storici si domandano se il regime cubano avrebbe avuto la stessa dinamica se all'inizio da parte degli Stati Uniti vi fosse stato un diverso atteggiamento. Questo - lo ripeto - è una materia che riguarda gli storici, ma oggi è materia della politica ciò che riguarda l'embargo, che non funziona.
Si tratta di una specie di massiccio preistorico che sta lì fermo e fa da pendant con la gerontocrazia cubana al potere. Noi Pag. 55dobbiamo aggirare questa storia di macigni che si confrontano e hanno tenuto bloccato per troppo tempo la condizione democratica dell'isola. In questo senso si è mossa l'Unione europea che a giugno farà il punto della situazione e in qualche modo porterà a compimento, ad una prima conclusione, la fitta rete di rapporti e di relazioni internazionali alle quali dobbiamo guardare, perché naturalmente non siamo solo in presenza di Cuba, siamo in presenza anche dei rapporti tra Cuba e il Venezuela. Quindi, anche da questo punto di vista, per molti versi, vi è da allargare il campo e da guardare alla politica della Spagna e alla sua particolare linea diretta con Cuba.
Questo è tutto ciò che l'Unione europea sta cercando di fare, che ha in parte raccolto e che deve portare ad una conclusione. Condividiamo - ripeto - l'idea che, di fronte a questi fatti, occorra agire sui due fronti: da un lato, stringere con la pressione e, dall'altro, mantenere aperto un qualche dialogo. Questo vale per la questione dell'embargo e, a nostro giudizio, anche per l'idea delle sanzioni che rischiano, in questo momento, di essere uno strumento privo di grande efficacia per quanto riguarda i risultati e che può soltanto rendere più difficili quei timidi, ma, comunque, presenti, accenni di dialogo che dobbiamo semmai rafforzare e portare più avanti. In buona sostanza, dobbiamo tenere aperto il dialogo, ma, naturalmente, quest'idea di un'apertura incontra un limite - e in questo concordo, se non ricordo male, con l'onorevole Mecacci -, ossia che nessuna apertura ulteriore da parte europea potrà esserci in mancanza, in questo momento, di garanzie.
L'Europa ha la forza, nei confronti di Cuba, per poter pronunciare parole convincenti e avrebbe molta forza, l'Unione europea, se da parte di Cuba giungesse qualche segnale positivo nei confronti dei detenuti e delle condizioni di detenzione dei tanti prigionieri politici. Questo anche per spingere il Governo degli Stati Uniti d'America a superare la condizione di stallo sulla questione dell'embargo, sul quale, come sappiamo, all'inizio del suo mandato, il Presidente Obama aveva manifestato alcune aperture che, però, si sono in qualche modo bloccate.
Il nostro giudizio è quello di un progresso che dobbiamo far fare, in generale, alle condizioni di vita dei detenuti e di un processo che deve portare alla loro rapida liberazione e che deve, da una parte, mantenere la forma del dialogo e, dall'altra, tenere alta la forma della pressione. Penso che ci sarebbe - così mi pare avendo ascoltato gli interventi - la possibilità di arrivare anche ad una conclusione unitaria e questo sarebbe positivo, se il dibattito parlamentare potesse aggrumarsi intorno ad una conclusione condivisa da tutti. Naturalmente, faremo ogni sforzo perché questo si possa determinare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole Craxi.

STEFANIA GABRIELLA ANASTASIA CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, credo che se si potesse, come da suggerimento dell'onorevole Tempestini, arrivare ad una mozione unitaria - magari incaricando l'onorevole Boniver di trovare una posizione comune -, non sarebbe affatto sbagliato. Trarrebbe più forza la mozione e, quindi, credo che un tentativo si potrebbe fare.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

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Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 8 giugno 2010, alle 11,30:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15 e dopo il punto 6)

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni in materia di semplificazione dei rapporti della Pubblica Amministrazione con cittadini e imprese e delega al Governo per l'emanazione della Carta dei doveri delle amministrazioni pubbliche e per la codificazione in materia di pubblica amministrazione (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 14, 25 e 27 del disegno di legge n. 3209, disposto dal Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, e comunicato all'Assemblea il 2 marzo 2010) (C. 3209-bis-A/R).
- Relatore: Orsini.

3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata):
FARINA COSCIONI ed altri; ANGELA NAPOLI; LIVIA TURCO ed altri; DI VIRGILIO e PALUMBO; MURA ed altri; MINARDO ed altri; DI PIETRO ed altri; SCANDROGLIO ed altri; ZAZZERA; DE POLI ed altri: Principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale (C. 278-799-977-ter-1552-1942-2146-2355-2529-2693-2909-A).
- Relatore: Di Virgilio.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Reguzzoni, Bernardo ed altri n. 1-00375, Lulli ed altri n. 1-00377, Borghesi ed altri n. 1-00378, Misiti ed altri n. 1-00380 e Vietti ed altri n. 1-00382 concernenti il rafforzamento del contrasto all'evasione contributiva e fiscale, con particolare riferimento al settore del commercio ambulante.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Boniver ed altri n. 1-00338, Mecacci ed altri n. 1-00344, Evangelisti ed altri n. 1-00376, Misiti ed altri n. 1-00379, Tempestini ed altri n. 1-00381 e Vietti ed altri n. 1-00383 concernenti iniziative per la tutela dei diritti umani a Cuba, con particolare riferimento ai dissidenti politici e ai detenuti per reati di opinione.

(ore 18,30)

6. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata):
S. 2144 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 aprile 2010, n. 62, recante temporanea sospensione di talune demolizioni disposte dall'autorità giudiziaria in Campania (Approvato dal Senato) (C. 3514).

La seduta termina alle 20,30.