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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 391 di lunedì 8 novembre 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16,05.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 ottobre 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Barbieri, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Centemero, Cicchitto, Colucci, Corsini, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Duilio, Fassino, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Nirenstein, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vitali e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 5 novembre scorso, è stata stabilita la seguente modifica del calendario dei lavori per il periodo 8-22 novembre:

Lunedì 8 novembre (pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna)
Discussione sulle linee generali delle mozioni:
Donadi ed altri n. 1-00440 concernente iniziative volte alla revisione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione Italia-Libia;
Vernetti, Della Vedova, Villecco Calipari, Boniver, Volontè, Mura, Brugger ed altri n. 1-00452 e Villecco Calipari ed altri n. 1-00464 concernenti iniziative volte alla liberazione di Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010;
Cristaldi ed altri n. 1-00447 e Agostini ed altri n. 1-00477 concernenti iniziative a favore del settore della pesca, con particolare riferimento alla cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo.

Martedì 9 novembre (ore 15, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni)
Esame del Doc. III, n. 2 - Relazione della Giunta delle elezioni sull'elezione contestata del deputato Giuseppe Drago per la XXV Circoscrizione Sicilia 2.
Seguito dell'esame delle mozioni:
Donadi ed altri n. 1-00440 concernente iniziative volte alla revisione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione Italia-Libia;
Vernetti, Della Vedova, Villecco Calipari, Boniver, Volontè, Mura, Brugger ed Pag. 2altri n. 1-00452 e Villecco Calipari ed altri n. 1-00464 concernenti iniziative volte alla liberazione di Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010;
Cristaldi ed altri n. 1-00447 e Agostini ed altri n. 1-00477 concernenti iniziative a favore del settore della pesca, con particolare riferimento alla cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo.

Mercoledì 10 novembre (antimeridiana e pomeridiana)

Ore 9,30:
Informativa urgente del Governo sui fatti accaduti alla Questura di Milano il 27 maggio 2010.

Ore 15:
Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (question time).

Ore 16:
Informativa urgente sui recenti eventi alluvionali.

Giovedì 11 novembre (antimeridiana)
Svolgimento di interpellanze urgenti.

Martedì 16 novembre (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna)
Discussione congiunta sulle linee generali dei disegni di legge A.C. 3778 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011) e A.C. 3779 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013.

Mercoledì 17, giovedì 18 e venerdì 19 novembre (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di sabato 20 novembre) (con votazioni)
Seguito dell'esame dei disegni di legge:
A.C. 3779 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013;
A.C. 3778 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011) e del disegno di legge A.C. 3779 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013 (con la relativa nota di variazioni).

Esame del disegno di legge A.C. 3834 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo che modifica il Protocollo sulle disposizioni transitorie allegato al Trattato sull'Unione europea, al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica, fatto a Bruxelles il 23 giugno 2010. Delega al Governo per l'adozione di disposizioni attuative al fine dell'assegnazione all'Italia del seggio supplementare nel Parlamento europeo.

Come già previsto dal calendario, ove la conclusione dell'esame dei disegni di legge di stabilità e di bilancio lo consenta, nella giornata di venerdì 19 novembre avrà luogo la discussione sulle linee generali del disegno di legge A.C. 3687 e abbinate - Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario (Approvato dal Senato) (in caso contrario, la medesima avrà luogo lunedì 22 novembre, dopo gli altri argomenti, con eventuale prosecuzione nella mattinata di martedì 23 novembre, fino all'inizio delle votazioni).

Lunedì 22 novembre (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) avrà luogo la discussione sulle linee generali della mozione Di Pietro ed altri n. 1-00475 concernente revoca di deleghe al Ministro per la semplificazione normativa, senatore Calderoli. Il seguito dell'esame avrà luogo nei giorni successivi.

L'organizzazione dei tempia per la discussione del disegno di legge A.C. 3834 e Pag. 3della mozione n. 1-00475 sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

Il programma si intende conseguentemente aggiornato.

Annunzio delle dimissioni di un sottosegretario di Stato.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato, in data 5 novembre 2010, la seguente lettera:
«Onorevole Presidente, La informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dott. Guido Bertolaso, con decorrenza 11 novembre 2010. Firmato: Silvio Berlusconi»

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettere pervenute in data 4 novembre 2010, gli onorevoli Roberto Rosso e Daniele Toto, già iscritti al gruppo parlamentare Popolo della Libertà, hanno chiesto di aderire al gruppo parlamentare Futuro e Libertà per l'Italia.
La presidenza di tale gruppo, con lettera in pari data, ha comunicato di aver accolto le richieste.

In morte dell'onorevole Carlo Squeri.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Carlo Squeri, già membro della Camera dei deputati nella VII legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il deputato Beatrice Lorenzin, in sostituzione del deputato Donato Bruno, dimissionario.

Modifica nella composizione della Delegazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della Delegazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO il senatore Elio Lannutti, in sostituzione del senatore Fabio Giambrone, dimissionario.

Discussione della mozione Donadi ed altri n. 1-00440 concernente iniziative volte alla revisione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione Italia-Libia (ore 16,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Donadi ed altri n. 1-00440, concernente iniziative volte alla revisione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione Italia-Libia (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che in data odierna sono state presentate le mozioni Tempestini ed altri n. 1-00480, Adornato ed altri n. 1-00481, Misiti ed altri n. 1-00482 ed Antonione, Dozzo, Sardelli ed altri n. 1-00484 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

Pag. 4

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00440, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, lei ricorderà, come gli altri colleghi, che il 21 gennaio dell'anno scorso (era il 2009) in Aula abbiamo votato la ratifica del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista: un Trattato che era stato firmato a Bengasi il 30 agosto 2008, ed è entrato poi successivamente in vigore a seguito della legge di ratifica. Con esso non solo si è inteso porre fine alla disputa risalente all'epoca coloniale, ma si è voluta anche rafforzare, tra le altre, la collaborazione tra i due Paesi nella lotta all'immigrazione clandestina per via marittima.
L'Italia dei Valori si è opposta convintamente alla ratifica del Trattato. Lo abbiamo fatto non da soli: lo abbiamo fatto insieme ai colleghi radicali, insieme ai colleghi dell'UdC, e anche ad alcuni deputati del Partito Democratico. Ci siamo opposti convintamente all'approvazione del Trattato per come esso era stato sottoscritto dal nostro Paese, ma anche rimanendo assolutamente convinti della necessità per noi, per l'Italia, di portare avanti con forza e con determinazione una politica di relazioni mediterranee, quelle che amiamo definire euromediterranee: una politica di relazioni euromediterranee che però sia forte, chiara, che dia all'Italia il ruolo che per tradizione ha sempre svolto in passato in qualità di protagonista di primo piano di tali politiche; con le conseguenti valutazioni, anche di natura economica e sociale, del confronto tra le diverse culture, le diverse religioni, le storie diverse dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che, da qualche tempo, fa registrare un'assenza di iniziativa politica soprattutto a livello internazionale. Ma questo è un altro discorso, come si dice.
Nel merito della questione, ribadiamo oggi in Aula che noi non abbiamo dubbi che con la Libia sia stato giusto stipulare trattati e protocolli di amicizia, e finanche di collaborazione, per consentire, o almeno cercare di consentire, di mettere la parola «fine», ed una parola anche di riabilitazione per quel che ci riguarda, del periodo di occupazione coloniale, che immagino nessuno in Aula ricordi con simpatia, o consideri come una pagina bella e importante della nostra storia.
Si tratta infatti di una pagina fatta di sopraffazioni, di delitti, di crimini contro l'umanità, una pagina quindi che ci ha lasciato e ci lascia un debito nei confronti del Governo del popolo libico. Comunque l'Italia, l'Italia dei Valori in questo senso, non ha inteso opporsi all'idea di un trattato, ma ha voluto opporsi a questo trattato che è in vigore. Ci opponiamo infatti ad un trattato che consideriamo sbagliato, con il quale il nostro Paese ha rinunciato a propri diritti e a proprie legittime pretese e, in sostanza, ha calato la guardia su tutto, senza ottenere in cambio nulla.
Il nostro «no» è stato innanzitutto avverso ad una clamorosa, quanto inutile, bugia che in questo trattato era ed è contenuta. Non aggiungeva infatti nulla ai rapporti di amicizia fra noi e la Libia il fatto di dover specificare, mettendolo nel preambolo, che in Libia si rispettano i diritti umani e che vi è un Governo democratico. Sappiamo infatti che ciò non appartiene al trattato che Italia e Libia dovevano stipulare, ma che, soprattutto, ciò non attiene alla realtà dei fatti, perché non è la verità ed ha rappresentato una resa rispetto a quelli che noi consideriamo valori imprescindibili.
In ogni caso, con la presentazione di tale mozione - lo vogliamo sottolineare con forza - non si vuole certo rinnegare il lavoro che i Governi italiani hanno portato avanti per più di un decennio per chiudere questa partita con la Libia. È un lavoro che rivendichiamo anche con un certo orgoglio per il periodo in cui abbiamo Pag. 5condiviso le responsabilità delle azioni del Governo Prodi in questa direzione, nonostante il governo libico sia per noi, in modo chiaro e inequivocabile, un Governo che non ha nessuna legittimazione democratica, almeno secondo quelli che sono i canoni correnti delle nostre democrazie occidentali, perché restiamo convinti a fortiori che è anche proprio con i governi antidemocratici che si devono saper concludere trattati internazionali, utili ad avvicinare questi Paesi sempre più ad un'area di democrazia, di confronto politico e di pace, anziché di guerra, di scontro politico e talora di violenza fisica. Ma non si possono dire le bugie!
Certamente, a seguito di ciò che è accaduto lo scorso 13 settembre, quando una motovedetta libica ha aperto il fuoco contro il peschereccio italiano Ariete, a circa 30 miglia dalla costa libica, le relazioni tra Italia e Libia meritano un più adeguato approfondimento, in particolare per l'aspetto che riguarda specificamente l'annosa e irrisolta questione della pesca e delle acque internazionali, sulla quale, tra l'altro, la collega Di Giuseppe più avanti illustrerà una specifica mozione, a firma sempre dell'Italia dei Valori, che è prevista nell'ordine del giorno odierno.
L'incidente occorso al motopeschereccio non ha provocato per fortuna vittime, ma ha naturalmente riaperto le vecchie ferite e le polemiche sui rapporti italo-libici e sulla stipulazione del Trattato. Posso illustrare e, se lei me lo consente, mi riservo eventualmente persino di allegare a questa mia relazione l'insieme delle dichiarazione delle agenzie di stampa di quei giorni. Frattini: chiarire le regole dell'ingaggio; Boniver: un episodio grave, rivedere parti del trattato; Lega: rivedere le regole dell'ingaggio; e via dicendo, in una rincorsa a rivedere appunto il trattato, ma tutto questo soltanto perché si era verificato un incidente, non per una considerazione di carattere politico e senza un'attinenza alla verità dei fatti e della realtà dei diritti umani in quel Paese. Tutti volevano in quei giorni ridiscutere il Trattato del 2008 di amicizia, partenariato e di cooperazione, relativamente al contenuto dei tre protocolli annessi, che dettano intese per il contenimento dell'immigrazione illegale, con cui l'Italia ha ceduto alla Libia un certo numero di motovedette, fornendo anche assistenza tecnica per la loro gestione.
Le disposizione relative al pattugliamento marittimo congiunto, con motovedette messe a disposizione dall'Italia, e al telerilevamento alle frontiere terrestri, con apparecchiature per metà finanziate dall'Italia e per metà dall'Unione europea, hanno destato le più forti perplessità - come sappiamo e come ricordiamo pensando al dibattito dello scorso anno - proprio sotto il profilo dei diritti umani e per la sorte degli immigrati respinti e lasciati in balia del deserto.
La Libia, dobbiamo ricordarlo, non è firmataria della Convenzione relativa allo status sui rifugiati di Ginevra del 1951 ma ha ratificato strumenti regionali ed universali che tutelano i diritti umani e allora dobbiamo vincolarla a questi impegni. Inoltre la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che non è giuridicamente vincolante ma che la Libia si impegna a rispettare contiene disposizioni incisive, incluso il diritto di asilo ma il problema è sempre il solito: non basta ratificare i trattati, occorre rispettarli e farli rispettare.
Al di là, dunque, del debito morale dell'Italia nei confronti di quel paese, rimaniamo convinti che avremmo dovuto, con questo trattato, pretendere che perlomeno la Libia assumesse impegni chiari, incontrovertibili e non più negoziabili a frenare quel flusso di disperati che con bieco cinismo, da decenni, vengono utilizzati come strumento di pressione verso i Paesi europei, in nome di noti interessi economici e che, al ritmo di decine di migliaia all'anno, partono dalle loro coste per sbarcare sulle nostre. Non solo, sono completamente assenti in questo trattato garanzie certe sul rispetto dei diritti umani a fronte di una politica razzista come quella dei respingimenti dei migranti nei lager libici, come più volte denunciato da associazioni umanitarie. Anche a tal proposito ho degli allegati con le dichiarazioni Pag. 6di Amnesty international. Quando più volte abbiamo fatto riferimento alla Carta delle Nazione Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo lo abbiamo fatto evidentemente assumendo che l'Italia ne chiedesse sempre il rispetto ma con il paese nord africano non mi sembra di aver letto o udito richieste in tal senso da parte del nostro Governo, così come è accaduto anche con la Cina - al riguardo, a seguire, ci saranno delle mozioni che fanno riferimento specifico alla realtà del premio Nobel che non riesce a uscire da quel Paese - o con la Russia, sempre in nome di interessi pragmaticamente di carattere economico. Allora è più che mai necessario ed improcrastinabile che il Governo italiano si attivi per l'introduzione, all'interno del trattato citato, di procedure più stringenti di controllo affinché tutte le azioni che riguardano le operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina in mare aperto avvengano nel pieno rispetto del diritto internazionale e comunitario e a tutela dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo e non certo a colpi di mitragliatrice. Questi sono i contenuti della nostra mozione. Ho ascoltato dalla Presidente che sono state presentate mozioni sullo stesso argomento e voglio sperare che tutti insieme si riesca a scrivere finalmente una bella pagina di politica internazionale, magari facendo convergere tutti noi sulla stessa esigenza di tutela dei diritti umani ad ogni latitudine.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00480. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, colleghi, abbiamo presentato una mozione perché repetita iuvant. Infatti, si tratta di una materia che già abbiamo approfondito nel corso dei mesi passati in questa sede e poco tempo fa anche in sede di audizione parlamentare delle Commissioni esteri di Senato e Camera congiunte. Abbiamo dei punti ancora in sospeso: faccio riferimento in particolare alla questione dell'incidente del motopeschereccio italiano aggredito dalla motovedetta libica sulla quale vi era una delegazione delle Forze armate italiane. Abbiamo approfondito tale materia giungendo, in sede parlamentare, ad una conclusione che è quella di un impegno del Governo a fornire ulteriori indicazioni sulla trattativa italo-libica che il Governo aveva in animo di sviluppare all'indomani delle scuse pronunziate dalle autorità libiche, allo scopo di arrivare ad una definizione dell'incidente più circostanziale e soprattutto alla messa in chiaro che episodi del genere non dovessero più essere all'ordine del giorno.
La discussione odierna è di carattere più generale e ritorna sul tema. Credo che questo ritorno sul tema sia opportuno, perché ci consente di specificare meglio la questione. Vi è un altro aspetto sul quale è necessario arrivare rapidamente, e saremmo assolutamente grati al Governo, se ci potesse fornire delle informazioni anche su questo punto. Vorremmo sapere a che punto è la trattativa tra l'Unione europea e la Libia per la definizione dell'Accordo quadro sull'immigrazione, perché, come è noto, questo Accordo quadro si trascina da molto tempo, e sullo stesso il Parlamento europeo ha espresso valutazioni preoccupate, nel senso che si tratta di un Accordo non ancora arrivato alla percezione e alla disponibilità del Parlamento europeo per una discussione approfondita. Questo Accordo quadro, naturalmente, con il suo tardare comporta un'oggettiva difficoltà per quello che è il cuore della mozione da noi presentata (ma anche per le mozioni presentate dagli altri), cioè per la questione dell'immigrazione e, soprattutto, del modo con cui viene regolato il tema dei rifugiati. Parlo di questione europea perché naturalmente - questa almeno è la nostra opinione - sappiamo che in questa materia non ci può essere più a lungo una regolamentazione puramente nazionale, e occorre oggettivamente che questo Accordo quadro con l'Unione europea venga varato. Abbiamo sollecitato, nelle altre occasioni che ci sono state date, il Governo, affinché ci fornisse indicazioni. L'ultima volta il sottosegretario Craxi - in audizione al Senato - ci ha detto che Pag. 7questo Accordo era imminente; noi non abbiamo notizie precise e vorremmo sapere se si è mosso qualcosa, perché lo consideriamo assolutamente importante. Naturalmente - è un punto sostanziale - pensiamo che la questione della capacità del Governo italiano di premere anche sull'Unione europea affinché questo Accordo quadro vada a buon fine sia in parte pregiudicata dall'atteggiamento con il quale il Governo ha affrontato il tema dell'Accordo con la Libia e il Trattato conseguente. Perché? Perché siamo in presenza dell'approccio - mi si passi il termine, sottosegretario Scotti - propagandistico che ha in buona sostanza sempre caratterizzato il Governo. Penso a molte dichiarazioni del Ministro Maroni e anche ad alcune formulazioni «manifesto», come nel caso del provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri pochi giorni fa sulla possibile espulsione di immigrati comunitari dall'Italia. Non voglio entrare nel merito ma, lo ripeto, io quella la definisco una norma «manifesto» perché si rivelerà sostanzialmente impossibile una sua applicazione (e quindi saremmo contrari a quel tipo di norma). Tale esempio fa parte di questo approccio «manifesto», che non condividiamo e - è questo il punto - che rende meno credibile la nostra posizione in Europa rispetto alla necessità che l'Europa, appunto, si faccia carico della gestione comunitaria della questione dell'immigrazione. Questo è un punto importante, un punto di peso politico, perché riguarda la nostra azione, che dovrebbe essere molto incisiva perché si tratta di interessi nazionali che dobbiamo tutelare, e che invece la indebolisce in Europa. La questione è in questi termini, perché per quello che ci riguarda, come è noto, abbiamo votato il Trattato, ovviamente non per considerazioni partigiane ma per una ragione di fondo: un approccio negoziale, un approccio di questo tipo, è quello necessario per quanto riguarda i nostri confini e quella che è l'area oggi più calda.
Per fortuna, le notizie che ci giungono negli ultimi tempi dai Balcani, in particolare le coraggiose prese di posizione del Governo serbo, ci dicono che siamo, su quell'altro versante di crisi, su una linea giusta, cioè con un Governo serbo che si espone e si propone come Governo davvero di pacificazione nazionale e come coerente interprete delle esigenze democratiche da travasare nella vita di quel Paese. Insomma, questa questione della Libia è l'ultimo pezzo di una difficoltà dei mari e delle aree che sono a noi più vicine e nei confronti dei quali abbiamo interessi più vitali; questione che doveva e può trovare, attraverso la forma del trattato, una sua definizione positiva. E abbiamo anche sempre sottolineato il fatto che il Trattato, agli articoli 1 e 6, fa riferimenti inequivoci e non discutibili al fatto che le politiche migratorie debbano essere pienamente conformi alle norme del diritto internazionale, soprattutto per quello che riguarda i richiedenti asilo. Si tratta, infatti, di una materia che riguarda i diritti fondamentali dell'uomo e, quindi, la forzatura di questa questione porterebbe naturalmente a conseguenze gravi. Tra esse vi è certamente quella che adombriamo nella nostra mozione, ossia che, di fronte ad una mancata applicazione coerente e piena di quegli articoli o alla loro non corrispondenza all'operatività quotidiana del Trattato, ci troveremmo nella condizione di chiedere una revisione del medesimo Trattato su tali punti. Questo lo diciamo con assoluta chiarezza perché vogliamo sgombrare il campo da ogni forma di equivoco.
Pensiamo che il Trattato corrisponda a queste esigenze di carattere generale, ma, naturalmente, una cosa è la sottoscrizione di un testo, altra è la pratica applicazione e la pratica quotidianità con cui quel testo viene gestito. Abbiamo potuto osservare che carenze significative si sono determinate in materia di controllo delle coste e abbiamo evidenziato - e l'opinione pubblica internazionale, ovviamente, ne è stata la principale attrice - tutta la questione drammatica dei profughi eritrei. Anche su questi ultimi abbiamo ancora qualcosa da chiedere e da sapere dal Governo perché, come ricordiamo tutti, questo gruppo di eritrei, in parte ha trovato una soluzione, ma, Pag. 8in larga parte, ancora no - vorrei un po' di attenzione colleghi, grazie, siamo così pochi che si sente molto la voce di tutti - e, quindi, vi è un tema ancora aperto. Ma il tema più delicato, dal punto di vista dei rifugiati, sempre per stare alla sostanza delle questioni, riguarda il fatto che oggi - come sosteneva qualche settimana fa il rappresentante italiano del CIR, il Consiglio italiano per i rifugiati -, in Libia sono stati liberati 4.200 richiedenti asilo i quali sono, però, in una condizione ancora di limbo. Essi sono, cioè, in qualche modo non ancora integrati nella società libica, nel senso che non dispongono di una possibilità di lavoro, di un permesso di soggiorno e, nello stesso tempo, non possono attivare le pratiche necessarie a causa dell'assenza quasi totale dell'UNHCR in Libia.
Insomma, abbiamo ancora un grumo di questioni aperte che riguarda i rifugiati, sui quali il Governo dovrebbe fornire indicazioni precise. Noi, però, dal punto di vista generale, ribadiamo che il Governo italiano deve fare quello su cui ha preso già un impegno e, cioè, battersi ed esercitare tutta la sua iniziativa diplomatica perché da parte libica vi sia l'adesione alla Convenzione che riguarda i rifugiati e vi siano, comunque, atteggiamenti tali per i quali la presenza dell'UNHCR in Libia possa tornare, attraverso vie diplomatiche e formule diverse, ad essere quantomeno quella precedentemente attiva nel medesimo Paese.
Infatti quella è stata ed è, può essere, una garanzia in una fase di interregno e torniamo in questo modo all'Accordo quadro con l'Unione europea che dovrebbe essere il punto su cui può trovare una definizione la questione Libia-UNHCR. Ritengo che questa sia la questione focale sulla quale possiamo esperire questa ulteriore verifica. Ripeto, è una verifica che parte dalla considerazione che nel Trattato vi sono gli strumenti giuridici perché qualunque iniziativa venga applicata in coerenza con le disposizioni di carattere generale in materia di diritti fondamentali dei richiedenti asilo, ma occorre naturalmente non escludere che, in mancanza di una definizione chiara da questo punto di vista, in mancanza di definizione certe, per il Parlamento - quanto meno la nostra opinione è la seguente - non vi sarebbe altra strada che quella di porre la questione di una revisione del punto del Trattato con la Libia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00482. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, la Libia rappresenta da tempo per l'Italia un importante Paese dove sono stati effettuati ingenti investimenti economici per le forniture del gas e del petrolio e anche per il controllo dei flussi migratori dall'Africa. In ragione anche di questi interessi, non solo per questi, ma in ragione anche di questi interessi, l'Italia si è impegnata con l'Accordo del 30 agosto 2008, firmato a Bengasi, a realizzare progetti infrastrutturali di base che dovranno essere concordati tra le parti nei limiti di una spesa annua di 250 milioni di dollari per 20 anni, mentre la Libia si è impegnata ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli e limiti alle imprese italiane operanti in quel Paese e, com'è noto, c'erano appunto vincoli restrittivi. La preferenza per le imprese italiane, compatibile con le regole comunitarie, è stata già attuata in altri settori. L'Italia è il terzo Paese investitore in Libia tra quelli europei e il sesto a livello mondiale con la presenza di numerose imprese, circa 100 imprese presenti stabilmente in quel Paese che sono collegate al settore petrolifero, alle infrastrutture, alla meccanica, ai prodotti e alla tecnologia delle costruzioni, all'ingegneria, all'impiantistica ed alle telecomunicazioni. Risulta che, nell'ambito di questi Accordi per la realizzazione della cosiddetta autostrada dell'amicizia che attraverserà per circa 1.700 chilometri la Libia dal confine egiziano al confine con la Tunisia, il Governo italiano ha recentemente promosso la formazione di tre consorzi che comprendono circa venti imprese italiane. Ora si dà Pag. 9il caso che nessuna di queste imprese abbia sede nel Meridione d'Italia. Sono invece numerose ormai le imprese meridionali nei settori delle costruzioni che si affermano sempre di più, ma non solo, anche in quello dell'informatica, nella produzione di pannelli fotovoltaici, come nell'impiantistica, nella formazione professionale universitaria, nell'assistenza sanitaria e via di seguito. Il 29 dicembre 2007 Italia e Libia hanno siglato a Tripoli questo Protocollo di cooperazione per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina in base al quale le due parti intensificheranno la collaborazione e la lotta contro le organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani.
Questo è l'altro aspetto che interessa del rapporto Italia-Libia. È illustrato nella nostra mozione anche il ruolo dell'Italia, il ruolo del comando interforze, il ruolo della nostra marina e via dicendo. Nella comunicazione della Commissione al Consiglio dell'Unione europea del 30 novembre 2006, per rafforzare la gestione delle frontiere marittime meridionali, si individuava l'esigenza di cooperare con i Paesi di transito dell'Africa e del Medio Oriente per trattare la questione dei migranti illegali.
Amnesty International ha diffuso un rapporto, come è noto, nel quale si sottolinea la situazione dei diritti umani in quel Paese: assenza di riforme, nonostante quel Paese intenda giocare un ruolo di maggior rilievo sul piano internazionale. Il rapporto, basato anche su una missione di ricerca sul campo del 2009 e aggiornato fino a maggio 2010, denuncia una serie di violazioni dei diritti umani, fra cui la tortura, la fustigazione delle donne e la pena di morte. Noi abbiamo concentrato la nostra attenzione quindi su tutte e due le questioni. Vogliamo impegnare il Governo ad adottare iniziative politico-diplomatiche presso le autorità libiche, affinché vengano garantite anche alle imprese meridionali pari opportunità di accesso alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali previste in Libia, nell'ambito degli Accordi di partenariato di Bengasi del 2008. Questa assenza evidentemente non può essere una discriminazione. Questo impegno il Governo se lo deve prendere, segnalando alle autorità libiche la presenza di queste imprese, che si potranno benissimo ricercare anche nello stesso annuario delle imprese.
Il secondo punto dell'impegno è quello di assumere un ruolo guida nel controllare che in Libia vengano rispettati i diritti umani e non si verifichi quanto è stato acclarato da Amnesty International e che viene denunciato nel suo rapporto.
Quindi, noi auspichiamo che una mozione di questo tipo possa essere appoggiata dalle altre forze politiche, e quindi dai gruppi parlamentari che sono impegnati in questo senso, e credo che sia un impegno che il Governo possa prendere.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Biancofiore, che illustrerà anche la mozione Antonione, Dozzo, Sardelli ed altri n. 1-00484, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, pur essendo già stato espresso in maniera chiara l'orientamento della maggioranza parlamentare, abbiamo ritenuto utile una mozione che impegni ulteriormente il Governo a proseguire nell'attuazione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la Libia che è stato firmato il 30 agosto 2008 ed è entrato in vigore il 2 marzo 2009, in tempi quindi eccezionalmente rapidi, dovuti in particolar modo all'ampia convergenza bipartisan della sua ratifica. Infatti non dimentichiamoci - come è stato ricordato molto chiaramente prima dai colleghi - che stiamo parlando di un Trattato che ha visto il voto favorevole di larga parte delle forze politiche rappresentate in Parlamento.
Il Trattato ha consentito di raggiungere risultati positivi in tutti i principali settori di collaborazione. Esso si è innanzitutto tradotto in un forte rilancio e in una forte intensificazione del dialogo politico, attraverso lo svolgimento di frequenti incontri al massimo livello e, soprattutto, mediante la firma e la conclusione di importanti intese bilaterali in vari settori. Pag. 10
Già nel corso della prima visita in Italia del colonnello Gheddafi (che ha avuto luogo dal 10 al 13 giugno 2009), sono stati finalizzati 4 importanti Accordi: la Convenzione per evitare le doppie imposizioni; il Memorandum sulla semplificazione delle procedure di rilascio dei visti; il Memorandum sulla collaborazione economica, scientifica e tecnica nel settore delle risorse marine e lo Scambio di lettere sulla concessione di borse di studio a 100 studenti libici.
Per quanto riguarda l'importante settore dell'industria, nell'aprile 2009 è stato firmato dal Ministro dello sviluppo economico un Accordo di cooperazione economica, commerciale e industriale che prevede, in particolare, l'istituzione in Libia di zone industriali riservate alle aziende italiane.
Nel quadro dell'azione condotta dal Ministero dell'interno per il rafforzamento della collaborazione italo-libica nel settore migratorio, nel 2009 il Ministro Maroni ha firmato con l'omologo libico un protocollo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, in seguito al quale è stato possibile avviare pattugliamenti marittimi congiunti previsti dall'accordo firmato il 29 dicembre 2007 dall'allora Ministro Amato.
In particolare, poi, la politica di contrasto dell'immigrazione clandestina - nel 2009, con il protocollo firmato dal Ministro Maroni e dal suo omologo libico è stato possibile avviare i pattugliamenti marittimi congiunti, come poc'anzi detto - ha consentito di conseguire un drastico calo degli sbarchi azzerando sostanzialmente gli arrivi di immigrati in Italia.
Inoltre, avvalendosi dell'esperienza maturata nei rapporti con la Libia, e dell'eccellente stato delle relazioni bilaterali, l'Italia ha da sempre svolto un ruolo di stimolo sulla tematica del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Da questo punto di vista è fondamentale ricordare che la decisione adottata nei mesi scorsi dall'autorità di Tripoli di chiudere l'ufficio dell'UNHCR in Libia, cioè l'agenzia dell'ONU per i rifugiati, è stata successivamente modificata, anche a seguito di un'azione condotta dal Governo italiano.
Le autorità di Tripoli stanno infatti consentendo la prosecuzione delle attività e dei progetti che fanno capo all'UNHCR in Libia e hanno avviato, con lo stesso Alto commissario, un negoziato per definire un accordo di sede. L'Alto commissario ha dato formalmente atto che tali sviluppi positivi sono stati resi possibili grazie all'azione che il Governo italiano ha sempre svolto, e che continua a svolgere in tal senso nei confronti di Tripoli.
Il Trattato di amicizia, inoltre, ha il pregio di coinvolgere sempre più la Libia su un percorso virtuoso in tema di diritti umani. Il Paese africano non ha sottoscritto, infatti, come è stato ricordato, la Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo status dei rifugiati, ma ha firmato e ratificato la Convenzione dell'Unione africana del 1969 relativa a specifici aspetti della problematica dei rifugiati in Africa, che è complementare alla Convenzione di Ginevra e impegna Tripoli a garantire protezione, non solo ai perseguitati, ma anche alle vittime di invasioni, guerre civili e altri eventi di ben più ampia portata rispetto, addirittura, a quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra.
Ovviamente, la questione dei diritti umani, che sono a premessa dello stesso Trattato, deve essere attentamente valutata, e sotto questo profilo vi è l'accordo di tutti, proprio tenuto conto della grande attenzione che deve essere prestata ad un tema così importante che il Parlamento e il Governo hanno sempre tenuto in grande considerazione.
Va detto, però, che tutto ciò è elemento di gestione, di capacità e di dialogo, e credo anche che, al momento, tutto questo sia in atto. È quindi totalmente pretestuosa l'accusa mossa dalla mozione dell'Italia dei Valori. Sempre in tema di lotta all'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, in un quadro più generale, il Governo sta da tempo svolgendo in sede comunitaria un'azione coordinata volta ad ottenere un maggiore impegno dei partner europei e delle istituzioni Pag. 11comunitarie alla lotta all'immigrazione clandestina nel Mediterraneo e, in tale ambito, una più intensa collaborazione con la Libia.
È necessario ragionare a livello europeo, e forse anche mondiale, su come consentire l'immigrazione legale e quindi la partecipazione di tanti lavoratori stranieri allo sviluppo del Paese e dell'Unione europea, impedendo, al tempo stesso, che organizzazioni criminali gestiscano vere e proprie tratte di esseri umani. In questo ambito, il Governo italiano ha per primo sollevato, in Europa, il problema, sottolineando come il fronteggiare, da un lato, l'immigrazione clandestina e, dall'altro, adottare una politica di accoglienza, di inserimento e di integrazione dei lavoratori stranieri che giungono in Europa, non costituisca questione che possa essere semplicemente delegata alla buona volontà dei Paesi costieri. È questa un'azione che il Governo continua a proporre in ogni forma multilaterale e in ogni incontro bilaterale.
Sono profondamente convinta, pertanto, che l'Esecutivo stia gestendo questo Trattato con capacità, rapidità e solerzia. Chiediamo pertanto al Governo di proseguire nell'attuazione degli impegni sanciti dal Trattato italo-libico; un Trattato che non ha soltanto offerto privilegi e messo l'Italia nelle condizioni di svolgere anche attività di natura operativa ed economica, ma che ha presentato anche una complessità di interventi che credo siano senz'altro da apprezzare.
Chiediamo, inoltre, che il Governo continui a svolgere il proprio ruolo di stimolo sulla tematica del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, da sempre sostenuta dall'Italia e dall'attuale Governo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Mecacci ed altri n. 1-00485 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (vedi allegato A - Mozioni).
È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00485. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, credo che il dibattito di oggi in quest'Aula sia necessario, perché il Trattato di amicizia con la Libia, di cui stiamo discutendo, è un testo che il Parlamento (e, in particolare, la Camera) ha analizzato a fondo. Infatti, mi corre l'obbligo di ricordare anche alla collega Biancofiore che, nonostante sia vero che vi sia stato il sostegno bipartisan a questo Trattato, l'opposizione, che vi è stata in Aula a questo tipo di accordo internazionale da parte di due gruppi politici e anche da parte di altri deputati dell'opposizione, ha rappresentato comunque un segno politicamente in controtendenza rispetto alle iniziative in politica estera del nostro Paese.
Si tratta di un Trattato molto controverso e credo che quanto è avvenuto, nel corso di questo anno e mezzo dalla sua ratifica da parte del Parlamento italiano, confermi molte delle preoccupazioni che sono state espresse in quest'Aula anche con un'azione di ostruzionismo parlamentare che abbiamo portato avanti convintamente come deputati Radicali. Infatti, eravamo certi che i contenuti di quel Trattato (non quindi il Trattato in sé, ossia il fatto che si volessero avere migliori relazioni con la Libia di Gheddafi) fossero inadeguati a garantire gli obiettivi che ci si poneva.
Il Governo, nei mesi e nelle settimane precedenti a quando presentò il disegno di legge in Parlamento disse all'opinione pubblica italiana che il Trattato sarebbe servito per chiudere il contenzioso storico con la Libia. Personalmente credo che quanto avvenuto nel corso di questo anno e mezzo dimostri che nessun contenzioso è stato chiuso e che, anzi, si siano aperti altri tipi di contenzioso che hanno coinvolto anche la comunità internazionale, oltre al nostro Paese, e questo perché i mezzi attraverso i quali si voleva raggiungere lo scopo del miglioramento delle relazioni con la Libia non erano adatti allo scopo. Pag. 12
In particolare, quali aspetti di questo Trattato non vanno e non andavano bene? In questo Trattato si fa riferimento ad un impegno delle parti al rispetto della legalità internazionale e dei principi relativi ai diritti umani. In tutti gli accordi che vengono siglati dall'Unione europea a livello di cooperazione internazionale con gli Stati parte (e, in particolare, con gli Stati in via di sviluppo) si prevedono esplicitamente le cosiddette clausole dei diritti umani, cioè delle norme che garantiscono in modo specifico che i Paesi con i quali si instaurano questo tipo di relazioni - che sono anche di assistenza economica per il loro sviluppo - debbano avvenire nel rispetto dello Stato di diritto e di alcuni fondamentali principi democratici.
Perché? Non per una petizione di principio, ma perché sappiamo che, se lo sviluppo economico avviene a prescindere dalla crescita di una società fondata appunto sullo Stato di diritto, sul rispetto della libertà di espressione, sull'emergere anche di una società privata all'interno di quegli Stati che sia in linea con gli standard internazionali che si sono affermati nel corso di questi decenni, si va politicamente a sbattere, cioè si finanziano delle attività che sono contrarie ai nostri stessi interessi strategici.
Questo non è stato fatto e non è contenuto nel Trattato. Inoltre, occorre rilevare il comportamento politico che è stato tenuto dal colonnello Gheddafi nel corso di quest'anno e mezzo. Egli, da un lato, ha fermato l'immigrazione clandestina proveniente solo per via marittima verso l'Italia (in cooperazione con le autorità italiane), riuscendo in una operazione in qualche modo mirabile, perché ha affrontato un problema che evidentemente riguarda la Libia. Lì sappiamo esservi decine di migliaia, se non centinaia di migliaia, di migranti provenienti da tutta l'Africa e da situazioni di conflitto armato o di crisi umanitaria che chiedono di trovare una soluzione anche attraverso l'uscita dai loro Paesi di origine.
Dall'altro, Gheddafi è riuscito a far si che ci si avvicinasse agli standard libici in materia di immigrazione, e cioè agli standard di un Paese che non ha mai ratificato la Convenzione ONU sui rifugiati, come è stato ricordato. Inoltre, dopo la ratifica del Trattato, dopo che l'Italia si è impegnata a pagare 200 milioni di dollari per i prossimi venti anni in opere pubbliche che imprese italiane faranno in Libia, la risposta delle autorità di Tripoli è stata la chiusura dell'ufficio dell'Alto Commissario ONU per i rifugiati. Ciò significa che quelle decine di migliaia di persone, quelle centinaia di migliaia di persone non hanno alcuna entità riconosciuta a livello internazionale alla quale rivolgersi per cercare di avere un minimo di assistenza, e vivono in uno status giuridico che è completamente al di fuori di qualsiasi riconoscimento a livello internazionale. Infatti, sappiamo che non possono lavorare, non possono tornare nei Paesi di origine perché potenzialmente possono essere perseguitati o comunque in molti di questi Paesi ci sono delle dittature che non consentono nemmeno e considerano addirittura un reato l'emigrazione. Si tratta, quindi, di una situazione che sicuramente, dal punto di vista di un Paese come il nostro, che è membro dell'Unione europea e che ha ratificato tutti questi accordi internazionali, non è accettabile. Invece di avvicinare la Libia ai nostri standard e agli standard europei, è accaduto che l'Italia si avvicinasse agli standard della Libia.
Questo non lo dice un deputato dell'opposizione, ma lo dicono l'Alto Commissario ONU per i rifugiati, l'Alto Commissario ONU per i diritti umani, il Commissario del Consiglio d'Europa per i diritti umani, Thomas Hammarberg, le organizzazioni internazionali Human Rights Watch e Amnesty International: c'è un coro che si è levato a livello internazionale per contestare questo tipo di politica.
Ci sono altri dossier che in questo anno e mezzo sono stati aperti. È stata ricordata la vicenda del peschereccio italiano, mitragliato da una motovedetta sulla quale erano a bordo anche dei finanzieri italiani e che era guidata da militari libici. Si tratta di una motovedetta che è stata donata dal Governo italiano e che questo ha Pag. 13consegnato alle autorità libiche esattamente nei mesi successivi alla ratifica del Trattato. Tutto ciò apre un altro tipo di vicende e di questioni che saranno discusse nelle mozioni successive, anche relative alla pesca. Tuttavia, anche il contenzioso che va avanti da molti anni sul non riconoscimento da parte delle autorità libiche dei confini marittimi riconosciuti da tutti a livello internazionale è una questione che il famoso Trattato di amicizia con la Libia non è riuscito a risolvere. Questa operazione è servita evidentemente, da un lato, a rispondere ad un'agenda politica che la Lega è riuscita ad imporre all'attuale maggioranza di Governo, portando il nostro Paese in materia di immigrazione a standard di tipo libico. Dall'altro lato, è servita a sviluppare una politica estera del nostro Paese che ha visto il nostro Presidente del Consiglio in prima fila, impegnato nel tessere rapporti privilegiati a partire da Gheddafi, che è il leader internazionale che il Presidente Consiglio negli ultimi due anni e mezzo ha incontrato di più nel mondo. Quindi, la nostra politica estera si caratterizza per un rapporto privilegiato e preferenziale con la Libia che è seguito ai rapporti con la Russia di Medvedev e Putin, e la prima visita di un governante occidentale all'ultimo dittatore d'Europa Lukashenko in Bielorussia, e così continuando.
Pensare che questa possa essere una politica estera bipartisan credo sia un errore strategico, perché si tratta di una politica al servizio di valori e di interessi che non sono nella tradizione del nostro Paese e non lo sono stati nei decenni scorsi. Credo che questa discussione sulle mozioni relative all'attuazione e alla potenziale revisione di questo Trattato, che è necessaria proprio perché i suoi contenuti non sono adeguati, debba portare il Parlamento a riflettere su quale debba essere il ruolo del nostro Paese all'interno dell'Europa, della NATO e più in generale all'interno della comunità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo, Scuola primaria di Bovino, Castelluccio dei Sauri e Panni, in provincia di Foggia, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare a titolo personale l'onorevole Colombo. Ne ha facoltà.

FURIO COLOMBO. Signor Presidente, anche se i motivi sono personali per ragioni di procedura, parlerò di questo terrificante trattato che lega l'Italia alla Libia e di questa squallida pagina della vita pubblica politica italiana. Vorrei far notare soprattutto due aspetti di questo momento: noi stiamo pagando il gas e le fobie della Lega Nord Padania in vite umane. Questo è il trattato di amicizia e di partenariato fra l'Italia e la Libia!
Se guardiamo alla data di questo trattato, notiamo che è stato stipulato il 10 agosto 2008. Ciò significa che questo Governo non ha fatto altro, non appena si è costituito, che lavorare al trattato con la Libia, come se il futuro dell'Italia, degli studenti, dei lavoratori italiani e la vita del nostro Paese fossero legati al trattato con la Libia, come se fosse il nostro passaggio al mare e sbocco al futuro. Se si guarda quella data, si notano due cose. In primo luogo, nulla è stato fatto prima del trattato con la Libia. In secondo luogo, niente è stato fatto di altrettanto importante e drammatico per la vita del Paese che il trattato con la Libia.
Quindi, si potrebbe dire che, se il Governo finirà, come sta per finire in questo periodo, affondando potrà portarsi saldamente legato al collo il masso del trattato di amicizia e di partenariato con la Libia. Purtroppo, come ha ricordato giustamente l'onorevole Biancofiore, questo trattato è stato votato praticamente da tutti, tranne i radicali, tre o quattro di noi e Italia dei Valori. Altrimenti vi sarebbe stata una terribile, vergognosa e imperdonabile unanimità che sarebbe passata nella storia del nostro Paese.
Infatti, provate a spiegare (starei per dire un anno da adesso) il perché siano state messe le motovedette italiane nelle mani Pag. 14dei libici da usarsi in modo piratesco contro le barche dei pescatori italiani. Perché abbiamo stipulato un simile trattato abbandonando gli italiani espulsi dalla Libia che non hanno avuto alcun risarcimento e non sono mai diventati protagonisti di una qualsiasi tutela all'interno di questo trattato? Tutto è in apparenza dedicato alla Libia, regime arbitrario, capriccioso e monocratico nelle mani di una sola persona, estraneo ad ogni trattato umanitario del mondo, da prima delle Nazioni unite ai giorni nostri.
Si è scoperto che l'unica ragione è l'ossessione per l'intercettazione in mare. Ecco la cosa che funziona. Ecco una cosa di cui non si può rimproverare a questo Governo di non avere raggiunto i suoi obiettivi: l'intercettazione in mare funziona.

PRESIDENTE. Onorevole Colombo, la prego di concludere...

FURIO COLOMBO. La gente viene mandata a fondo, la libertà di uccidere piuttosto che accogliere gli immigrati è diventata una legge della nostra Repubblica. Costosissime motovedette italiane di ultima generazione sono state messe a disposizione del governo libico perché sparassero sui pescatori italiani. In questo caso, lo abbiamo saputo perché un coraggioso equipaggio di pescatori italiani ha avuto il coraggio di non cambiare versione quando si è trattato di dirlo e di ripeterlo di fronte alle televisioni.

PRESIDENTE. Onorevole Colombo, la ringrazio...

FURIO COLOMBO. Il mondo è allibito davanti a questo trattato ed è giusto ricordarlo in quest'Aula: ce lo hanno detto le Nazioni unite, le agenzie dei rifugiati, i colleghi europei, la stampa internazionale. In questa Aula bisogna almeno dire che non tutti, per quanto il loro sforzo sia stato insufficiente, hanno accettato questo ignobile provvedimento, che colpisce le persone e che ha l'unico scopo di togliere diritti personali, umani, civili e di asilo a persone disperate che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla morte e dalla rivoluzione.

PRESIDENTE. Onorevole Colombo, la prego di concludere.

FURIO COLOMBO. Questo evento è accaduto qui in quest'Aula ed è l'unico capolavoro di cui questo Governo si può vantare, purtroppo condividendolo con gran parte di quest'Aula (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto studenti e insegnanti del secondo circolo didattico di Schiavo Marsciano (Perugia), San Valentino della collina e Ammeto, sempre di Perugia, che sono in visita alla Camera e assistono ai nostri lavori dalle tribune.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Vernetti, Della Vedova, Villecco Calipari, Boniver, Volontè, Mura, Brugger ed altri n. 1-00452 e Villecco Calipari ed altri n. 1-00464, concernenti iniziative volte alla liberazione di Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010 (ore 17,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Vernetti, Della Vedova, Villecco Calipari, Boniver, Volontè, Mura, Brugger ed altri n. 1-00452 e Villecco Calipari ed altri n. 1-00464, concernenti iniziative volte alla liberazione di Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010 (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Pag. 15

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Vernetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00452. Ne ha facoltà.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, recentemente, l'8 ottobre di quest'anno, il premio Nobel 2010 per la pace è stato assegnato a Liu Xiaobo, docente universitario, storico, attivista cinese per i diritti umani, condannato a undici anni di carcere da un tribunale della Repubblica popolare cinese il giorno di Natale del 2009 (poi tornerò su questa data) per istigazione alla sovversione. Noi - e ritengo anche gran parte di quest'Aula e di questo Parlamento - condividiamo le motivazioni per le quali è stato assegnato a Liu Xiaobo il premio Nobel per la pace. Sottolineo, in particolare, i suoi sforzi costanti e non violenti in favore dei diritti dell'uomo in Cina.
Vorrei fornire all'Aula ed ai colleghi qualche dato biografico su questo importante e coraggioso leader della battaglia per i diritti civili nel grande continente cinese, dove vive un quarto dell'umanità mondiale. Liu Xiaobo era docente di letteratura cinese all'università di Pechino quando partì il grande movimento popolare del 1989 - che tutti ricordano come «i moti di piazza Tienanmen» - un grande moto popolare pacifista, non violento, che fu represso nel sangue. Questi fondò, insieme a due suoi studenti allora ventenni, oggi esuli, Wang Duan e Wu'er Xi, la Federazione autonoma degli studenti, un soggetto politico che animò e coordinò quel grande evento politico pacifista e - lo sottolineo ancora - non violento, nato nell'anno della caduta del muro di Berlino e dei grandi cambiamenti dei regimi dittatoriali dell'est Europa.
Fu condannato per la prima volta nel 1989 a diciotto mesi di prigione per propaganda e istigazione controrivoluzionaria (furono queste le motivazioni del tribunale della Repubblica popolare cinese). Tale condanna fu nuovamente reiterata nel 1991 per ulteriori due anni di detenzione. Nel 1996, fu ancora condannato a tre anni di lavori forzati per disturbo della quiete pubblica e fu rinchiuso in un laogai, uno di quei famigerati campi di rieducazione che, ancora, nella grande importante Repubblica popolare cinese vengono usati per rieducare - e già il verbo dovrebbe dire molto - i dissidenti e coloro che non condividono le linee di quel regime.
Fu licenziato dall'università di Pechino, costretto ad emigrare negli Stati Uniti d'America, per poi coraggiosamente rientrare nella Repubblica popolare cinese nel 2004.
Oggi - e forse questo è il vero grande motivo per il quale aderiamo e siamo entusiasti della scelta del Comitato per il premio Nobel - gli è stato assegnato il premio Nobel per aver scritto un documento che invito i colleghi a leggere. Si tratta di un documento composto da una ventina di cartelle, si chiama «Charta 08» e, già nel nome, richiama la «Charta 77» di Vaclav Havel, dei dissidenti ciechi, slovacchi, ungheresi, polacchi, che in quegli anni, pochi anni prima della caduta del comunismo in Europa, venivano ingiustamente incarcerati solo per scrivere ed esprimere con chiarezza richieste per la libertà di espressione.
Ebbene, questo documento, «Charta 08», è un documento esemplare, nel quale si chiede semplicemente che quel miliardo e 300 milioni di esseri umani che vivono nella Repubblica popolare cinese possano accedere ad alcuni diritti fondamentali, piccolissimi diritti: la libertà di stampa, la libertà di associazione, la libertà di poter professare la propria religione, il proprio culto religioso - non soltanto di nascosto o di notte o in chiese clandestine ma anche alla luce del sole, come un qualunque Paese democratico tollererebbe - e la libertà di parola.
Liu Xiaobo non si è macchiato di alcun reato e questi sono gli unici motivi per i quali oggi questo dissidente sta scontando undici anni nelle galere della Repubblica popolare cinese. Pag. 16
Bene, sottolineando l'apprezzamento per l'adesione di colleghi e deputati di tutte le forze politiche presenti in Parlamento e di quasi tutti i gruppi politici qui presenti, con questa mozione chiediamo al Governo di compiere un passo formale, ovviamente di concerto con gli alleati dell'Unione europea, nei confronti del Governo della Repubblica popolare cinese. Abbiamo infatti grandi interessi commerciali con quel Paese, ma è certo che questi interessi sono condivisi anche dalla controparte - perché, come a noi interessa commerciare con la Cina anche ai cinesi interessa commerciare con noi - quindi abbiamo il diritto-dovere di far sentire la nostra voce sul tema dei diritti umani e delle libertà fondamentali in quel continente dove, ripeto, un quarto della popolazione mondiale vive e subisce l'assenza quotidiana di diritti umani.
Chiediamo quindi di mettere in libertà il dissidente, di permettergli di andare personalmente a Oslo il 10 dicembre, fra neanche un mese, a ricevere questo grande, importante e simbolico riconoscimento, il premio Nobel per la pace. Chiediamo anche che vengano eliminate ogni tipo di restrizione e libertà di movimento alla consorte del dissidente incarcerato. Tutto questo si inserisce nel solco di quel dialogo sui diritti umani che faticosamente l'Unione europea da circa dieci anni intrattiene con la Repubblica popolare cinese.
Quando ero membro del Governo, ho partecipato in almeno un paio di occasioni al dialogo positivo sui diritti umani fra Unione europea e Repubblica popolare cinese, che però, spesso, non riesce ad andare oltre, ad esempio, al segnalare un giovane parroco della Chiesa cattolica incarcerato che si chiede venga rilasciato in libertà, o a singoli e puntuali casi, perché ovviamente sui temi generali la Repubblica popolare cinese non accetta un confronto che vivrebbe come una indebita ingerenza in affari interni.
Concludo, signor Presidente e onorevoli colleghi. In un mondo sempre più globale e interdipendente, occuparsi dei diritti umani in un Paese così lontano non è ingerenza, non significa ingerirsi negli affari interni di quel Paese, ma è occuparsi di interessi comuni, perché il processo di democratizzazione di quel grande Paese è anzitutto nell'interesse dello stesso grande Paese perché se vuole, oggi, dopo aver raggiunto enormi traguardi di crescita e di sviluppo economico, sedersi con pari titolo al tavolo dei grandi della terra, al tavolo delle grandi potenze mondiali, quel Paese deve progredire nel settore dei diritti fondamentali, ed esattamente quei diritti ricordati, negati, denunciati da Liu Xiaobo nel suo mirabile documento, la «Charta 08».

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti, che illustrerà anche la mozione Villecco Calipari ed altri n. 1-00464, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sarò molto rapido anche perché, preliminarmente, voglio dire che sarebbe molto utile che mozioni di questo tipo, che ovviamente muovono da gruppi diversi ma uniti - presumo - dallo stesso intento, possano avere un'evoluzione parlamentare tale, com'è successo anche in altre occasioni, da giungere ad un testo comune nel quale la Camera possa trovare un'espressione ed un consenso nell'impegnare il Governo in modo assolutamente trasversale e, come dicevo, unanime.
Ovviamente, questo è un auspicio. So bene e mi rendo conto che magari le premesse e le valutazioni della situazione attuale possono essere assolutamente non collimanti tra i diversi gruppi, però credo che se si riuscisse a giungere a questa soluzione il fatto politico sarebbe sicuramente importante.
È stato già precedentemente ricordato che l'8 ottobre di quest'anno il premio Nobel per la pace del 2010 è stato assegnato a Liu Xiaobo, docente universitario e attivista cinese dei diritti umani, condannato ad undici anni di carcere da un tribunale della Repubblica popolare cinese il 25 dicembre del 2009 per istigazione alla sovversione. Signor Presidente, sappiamo bene che questo è un reato diffuso in Cina Pag. 17ed è anche una forma di accusa che consente di fare quello che, purtroppo, ha riguardato tanti esponenti del dissenso in Cina. È utile anche ricordare che Xiaobo è anche uno di coloro che hanno preso parte alla protesta di Tienanmen, nel 1989, che è forse uno dei casi più importanti e rilevanti e che sicuramente ha destato più scalpore nella repressione dei diritti civili in Cina.
Saltando le premesse, che sicuramente sono note a tutti, anche perché la stampa ha molto parlato della decisione di assegnare il premio Nobel a Liu Xiaobo, cosa chiediamo al Governo? Chiediamo innanzitutto di compiere un passo formale nei confronti del Governo della Repubblica popolare cinese per chiedere la liberazione del premio Nobel appena designato.
Signor Presidente, questo anche in considerazione del fatto che sappiamo perfettamente che, anche in termini di relazioni di diversa natura che intercorrono tra il nostro Paese e la Repubblica popolare cinese, vi è lo spazio, ancorché tenendo distinti i campi, per esercitare quella pressione diplomatica, ma anche politica e di indirizzo, che vi è stata in tante situazioni con cui ci siamo trovati a misurarci. Penso a quando questo è accaduto con la Russia e con tanti Paesi che comprimono i diritti umani. C'è sempre stata la possibilità, pur senza influire in modo determinante nei rapporti bilaterali con gli altri Paesi, di far sentire la voce, che non è soltanto del Parlamento, ma di quel Parlamento che rappresenta il popolo italiano, che certamente, a stragrande maggioranza, condivide un'iniziativa politica che non può che essere rappresentata dal Governo su spinta del Parlamento per far sì che vengano superati e rimossi atti che incidono direttamente sulla libertà delle persone. In particolare, in questo caso parliamo di una persona che ha avuto un riconoscimento internazionale di così grande valore.
La seconda richiesta che rivolgiamo al Governo della Repubblica popolare cinese è di eliminare ogni restrizione di movimento e di comunicazione alla signora Liu Xia, moglie del premio Nobel, consentendole di fornire notizie verificabili circa la propria condizione.
Noi sappiamo, signor Presidente, che il dissidente Xiaobo è stato prima portato in un luogo sconosciuto per alcuni anni e che soltanto l'anno scorso è stato formalmente arrestato. È molto importante sotto molti punti di vista avere innanzitutto notizie sulle condizioni di questa persona e averle anche attraverso una raccolta diretta di informazioni da parte della moglie.
La terza questione che noi sottoponiamo al Governo, su cui chiediamo che ci sia un impegno preciso, riguarda la promozione di un'iniziativa di concerto con i partner dell'Unione europea per riprendere un confronto con la Repubblica popolare cinese sul rispetto dei diritti umani fondamentali in quel Paese, dalla libertà di stampa e di espressione, alla libertà religiosa e di associazione politica.
Ovviamente, signor Presidente, è del tutto evidente che questa è un'iniziativa di carattere generale, nella quale, inevitabilmente, rientra anche questo caso, ma sappiamo che non è l'unico ed è importante che da parte nostra, a maggior ragione viste le relazioni internazionali, economiche e di ogni altro tipo che abbiamo con la Repubblica popolare cinese, se da una parte vi è un rafforzamento di queste relazioni, contemporaneamente, non venga meno la voce da parte dell'Italia.
Certamente, con questo impegno, vogliamo evidenziare quanto sarebbe importante, senza che adesso apriamo una discussione e una valutazione su quale dovrebbe essere il ruolo dell'Europa nella situazione internazionale, il ruolo politico che in questo caso essa potrebbe svolgere. Questa è una delle occasioni nelle quali credo che un'iniziativa ed un impulso da parte dell'Italia, affinché l'Europa riesca ad assumere un'iniziativa comune con gli altri partner europei, sarebbero davvero importanti e, in qualche modo, significativi.
Un'ultima questione: chiediamo al Governo di promuovere un'iniziativa, di concerto sempre con i partner dell'Unione Pag. 18europea, affinché il premio Nobel per la pace possa in qualche modo avere la possibilità di avere la consacrazione di questo importante riconoscimento che gli è stato affidato, venendo in possesso nel premio Nobel. Ovviamente, sappiamo perfettamente quali possono essere le difficoltà e sappiamo perfettamente che possono esservi strade diverse per ottenere questo risultato, ma riteniamo che, alla luce anche di questo importante riconoscimento e di quello che può rappresentare rispetto ad aperture che potrebbero accadere e verificarsi e a novità nell'atteggiamento della Repubblica popolare cinese, sarebbe sicuramente significativo e simbolicamente di grande valore che il dissidente Xiaobo potesse avere il suo premio Nobel.
Queste sono, signor Presidente - la ringrazio ancora per avermi dato la parola - le considerazioni generali e gli impegni specifici che rivolgiamo al Governo. Concludo ribadendo quello che ho detto all'inizio: penso che sarebbe utile e importante, ovviamente se le condizioni ricorreranno, che il Parlamento, e in particolare la Camera dei deputati che ha all'ordine del giorno la discussione su queste mozioni, sia in grado di produrre un documento, una mozione, un atto di indirizzo al Governo trasversale e unanime, che non potrebbe che rafforzare non solo l'iniziativa parlamentare, ma anche l'azione del Governo, con alle spalle un voto così diffuso. Mi auguro che così accada; lo vedremo nelle prossime ore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Biancofiore. Ne ha facoltà.

MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come è stato più volte anticipato dai deputati che mi hanno preceduto, questo è un tema largamente condiviso dall'intero arco parlamentare. È per questo auspicabile che, alla fine, si possa convergere tutti insieme, come ha appena finito di dire il collega Giachetti, su un testo condiviso; in caso contrario, il Popolo della Libertà si riserverà comunque di presentare una propria mozione.
L'8 ottobre 2010, come è stato già detto, il premio Nobel per la pace per il 2010 è stato assegnato a Liu Xiaobo, docente universitario e attivista cinese dei diritti umani. Attualmente egli sta scontando una condanna ad undici anni di carcere inflittagli da un tribunale della Repubblica popolare cinese il 25 dicembre 2009 per istigazione alla sovversione. Come ha rilevato il Comitato per il Nobel, durante gli ultimi decenni la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà.
Il Paese ha raggiunto un nuovo status, che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. Liu Xiaobo negli ultimi decenni si è battuto con forza e determinazione in favore del pieno riconoscimento dei diritti dell'uomo in Cina e per una loro completa attuazione. Nel 1989 ha preso parte alla protesta di Piazza Tienanmen ed è stato tra i firmatari ed i creatori, come ha ricordato il collega Vernetti, di «Carta 08», manifesto per la democrazia in Cina.
L'affermazione, ormai conclamata, del colosso cinese, le sue nuove responsabilità sullo scenario internazionale ci pongono di fronte all'esigenza di instaurare un confronto positivo e costruttivo non solo sul piano economico, ma anche su quello dei diritti. Non si può pensare di affrontare tale confronto imponendo una visione unilaterale delle questioni aperte, né, allo stesso tempo, di abdicare alla necessaria affermazione e difesa di quei diritti fondamentali della persona che sono parte fondante della nostra società.
La decisione di far svolgere nel 2008 i giochi olimpici proprio in Cina ha rappresentato un passo strategico di fondamentale importanza nel cammino di scambio e di avvicinamento di realtà internazionali fino a qualche tempo fa molto distanti tra di loro e, sotto diversi aspetti, addirittura contrapposte; è stata una scelta importante Pag. 19che ha segnato una svolta determinante nei rapporti dell'intero mondo occidentale con la Cina.
È evidente che gli equilibri mondiali, anche in termini di pace e di sviluppo globale, oggi dipendono in maniera determinante dai rapporti tra Occidente e Cina. Probabilmente, il subcontinente asiatico rappresenta il principale nuovo grande interlocutore del mondo occidentale. Non si tratta solo di relazioni bilaterali tra singoli Stati, ma anche di una necessaria nuova gestione comune di interessi convergenti in diverse aree del globo, della necessità, onorevoli colleghi, di farli convergere. Pensiamo, ad esempio, al Medio Oriente, al ruolo che la Cina potrebbe assumere in questa parte del globo, oppure ai rapporti con l'Iran, il quinto esportatore di petrolio del mondo, che ha venduto in Cina ben 727.000 barili al giorno nel mese di maggio 2009 (un aumento dell'88 per cento rispetto all'anno precedente, che ha determinato il sorpasso nei confronti dell'Arabia Saudita come volume di esportazioni in Cina).
Allo stesso tempo, la popolazione cinese supera, come sappiamo, il miliardo di persone. I tassi di crescita e di possibile sviluppo del Paese sono enormi ed enormi le conseguenze che la crescita interna della Cina può avere sullo scenario internazionale. Onorevoli colleghi, sono alti i rischi che lo sviluppo rapido di questi ultimi anni possa portare ad un aumento della conflittualità interna al Paese. L'affermazione dei diritti umani può essere uno strumento fondamentale per governare, nella maniera migliore possibile, la crescita interna. Come ha dichiarato, non a caso, il Presidente della Repubblica il 26 ottobre scorso, gli enormi progressi cinesi non si misurano solo nella sfera economica; il cammino intrapreso dalla Cina sulla via delle riforme politiche, del rafforzamento dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti umani, così come dell'apertura e liberalizzazione dei mercati, è di fondamentale importanza per un'armoniosa integrazione in un sistema internazionale aperto e per una piena sintonia con l'Europa.
Dobbiamo, però, essere consapevoli che democrazia e libertà sono ideali e strumenti da applicare con la necessaria attenzione in realtà geopolitiche enormi come quella rappresentata dalla nazione cinese. La loro affermazione non può che avvenire gradualmente. Non a caso, sempre il nostro Presidente della Repubblica ha responsabilmente affermato che bisogna capire che i problemi della Cina (un Paese con 1,4 miliardi di abitanti) sono molto complessi; affrontarli è un compito immane, ci vuole comprensione da parte europea per gli sforzi della dirigenza cinese, bisogna capire che ci vuole tempo, senza rinunciare tuttavia a suggerire soluzioni e a cercare intese, queste le parole del Presidente Napolitano. È un percorso irreversibile, una sfida strategica, quella dell'affermazione dei diritti umani, civili e politici, al quale il nostro Paese può e deve saper contribuire in maniera determinante.
Onorevoli colleghi, in questo percorso, come ha ricordato il Presidente Napolitano, dobbiamo sfuggire alla tentazione di pensare che la forza faccia la legge. Per questo motivo, chiediamo al Governo di impegnarsi, nelle forme che riterrà più opportune, per promuovere con i partner dell'Unione europea un'iniziativa per rafforzare il dialogo già esistente tra questa e la Cina, al fine di riprendere un confronto con la Repubblica Popolare Cinese sul rispetto dei diritti umani fondamentali in quel Paese: dalla libertà di stampa e di espressione, alla libertà religiosa e alla libertà di associazione politica. Chiediamo inoltre, contestualmente, di assumere, nei fori opportuni e di concerto con i partner dell'Unione europea, tutte le iniziative necessarie per chiedere alle autorità cinesi, come tutti auspichiamo, la liberazione del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, come era facile prevedere il Governo Pag. 20di Pechino si è prontamente schierato contro l'assegnazione del premio Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo, mentre invece quello italiano, per bocca del Ministro Frattini, plaude giustamente alla scelta operata dai norvegesi.
Salvo però come al solito, e nella più classica delle situazioni da realpolitik, chiudere affari per miliardi di dollari con il gigante asiatico senza clausole né preamboli circa il rispetto dei diritti umani in quel Paese.
In una recente nota del 6 novembre, il Premier Berlusconi ha avuto modo tra l'altro di affermare che «la ricorrenza del quarantennale delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina offre un'altra importante opportunità per consolidare il partenariato strategico tra i nostri due Paesi. Il successo della sua recente visita in Italia rappresenta la conferma dell'eccellente livello delle relazioni tra Italia e Cina, frutto anche dell'impegno convinto e costante negli ultimi anni dei nostri due Governi». E v'è da credergli, perché nel recente incontro con il Primo Ministro Wen Jiabao non è stato fatto alcun cenno né al dissidente rinchiuso in carcere con l'accusa di sovversione e condannato a ben 11 di galera, né a sua moglie, a cui è stato chiesto di andare in Norvegia a ritirare il Premio Nobel assegnato al marito.
L'assegnazione in maniera, com'è noto, del tutto indipendente del Premio Nobel al dissidente cinese Liu Xiaobo incarna il riconoscimento internazionale per tutti coloro che, a prescindere dalla nazionalità di appartenenza, lottano per la libertà e per i diritti della persona. La difesa di tali diritti, oltre a costituire l'impalcatura del nostro DNA democratico, dovrebbe sempre più manifestarsi anche concretamente, e non in deroga a sempre più consistenti, e pure importanti, accordi commerciali.
Lo so, lo sappiamo, questo è probabilmente il maggior paradosso della politica internazionale, non solo quella nostrana: la logica imperante è sempre quella che bisogna continuare a tenere buoni rapporti con i Paesi esteri anche se non ne condividiamo tali comportamenti, soprattutto quando la mole degli investimenti pronti a riguardare le nostre imprese diventa rilevante. Con il gigante cinese abbiamo infatti appena stretto accordi commerciali per oltre 200 miliardi di dollari: così recitano le fonti.
Nel corso della recente visita di Stato in Cina, parlando davanti al collega Hu Jintao, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha almeno sottolineato che i passi avanti del colosso asiatico non si misurano solo nella sfera economica. In un discorso alla Scuola centrale del Partito Comunista Cinese, Napolitano ha poi infatti spiegato che il cammino intrapreso dalla Cina sulla via delle riforme politiche e del rafforzamento dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, così come dell'apertura e liberalizzazione dei mercati, è di fondamentale importanza per un'armoniosa integrazione in un sistema internazionale aperto e con una piena sintonia con l'Italia e con l'Europa. Certo, si tratta di parole opportune e condivisibili, ma corrono il rischio di essere relegate all'astrattezza verbale, se non tradotte anche in atti di politica estera; soprattutto quando si continuano a stipulare accordi su accordi che, per carità, vanno benissimo per il cosiddetto rilancio delle eccellenze italiane, ma tacciono sul rispetto dei diritti umani e dei valori della democrazia.
Vorremmo quindi che anche un'altra eccellenza italiana fosse maggiormente sostenuta: essere un baluardo, una punta di diamante nel sostenere la lotta per il rispetto dei diritti umani nel mondo sempre, e non «a condizione che». Per questo il gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori sostiene convintamente le mozioni presentate in maniera condivisa e sottoscritte da tutti gli altri gruppi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della discussione.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione delle mozioni Cristaldi ed altri n. 1-00447 ed Agostini ed altri n. 1-00477, concernenti iniziative a favore del settore della pesca, con particolare riferimento alla cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo (ore 17,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Cristaldi ed altri n. 1-00447 ed Agostini ed altri n. 1-00477, concernenti iniziative a favore del settore della pesca, con particolare riferimento alla cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che in data odierna sono state presentate le mozioni Di Giuseppe ed altri n. 1-00478, Delfino ed altri n. 1-00479 e Lo Monte ed altri n. 1-00483 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto altresì che in data odierna le mozioni Cristaldi ed altri n. 1-00447 ed Agostini ed altri n. 1-00477 sono state riformulate dai presentatori. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Cristaldi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00447 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

NICOLÒ CRISTALDI. Signora Presidente, onorevole sottosegretario, in primo luogo intendiamo riconoscere che vi è stato un grande lavoro da parte del Governo e delle autorità diplomatiche italiane perché si possa vivere meglio nel Mediterraneo, perché si possano evitare le incomprensioni, le contraddizioni e gli incidenti, che negli anni scorsi hanno sempre caratterizzato il rapporto tra i Paesi rivieraschi.
Se questa cooperazione e questa collaborazione hanno trovato finalmente un terreno fertile in molti settori, dobbiamo pure riconoscere che molto lavoro vi è da fare ancora per quanto riguarda in particolare alcune economie e alludo, specificatamente, ad alcune economie tradizionali come la pesca. La vicenda della pesca è in qualche maniera legata all'esistenza di pescherecci che vanno per mare. Non basta più il mare del proprio Paese, è necessario che si vada oltre e questo andare oltre il mare tradizionale del proprio Paese ha portato qualche volta ad incomprensioni, qualche volta ad inconvenienti e qualche volta ad incidenti.
Voglio portare l'ultimo esempio, anche come sindaco di Mazara del Vallo, la città che è quasi considerata la capitale peschereccia del Mediterraneo. Voglio citare l'episodio del 12 settembre 2010, quando proprio un peschereccio di Mazara del Vallo venne mitragliato da una vedetta libica (poco importa se la vedetta era stata donata dall'Italia, certo a sparare sono stati i libici). Quell'episodio è sembrato un poco una contraddizione rispetto a quello che i marinai italiani hanno fatto in questi anni. Pensate che proprio solo il motopesca Ariete in un anno aveva collaborato al recupero di quasi mille naufraghi e pensate alla grande quantità di persone che sono state salvate nel canale in Sicilia e più ampiamente nel Mediterraneo in questi anni.
Viene rivendicato il diritto di poter lavorare e di poter vivere serenamente nel Mediterraneo e viene anche richiesto, soprattutto al Governo italiano, di muoversi con maggiore forza a livello di politica europea affinché il nostro mare divenga oggetto di discussione attorno a temi quali l'immigrazione, le risorse energetiche, i rapporti tra i popoli, nonché le economie tradizionali, tra cui la pesca.
Un mare di solidarietà e di pace è possibile perché, quando ad esempio in Pag. 22anni passati i rapporti con la Tunisia erano molto tesi, è stato possibile attraverso un ottimo rapporto bilaterale ricreare condizioni che hanno consentito ai due Paesi di potere convivere in quello che noi chiamiamo il Mare Nostrum e che altri chiamano il Mare d'Africa. Questa vicenda non riguarda soltanto la marineria italiana: tutti i Paesi rivieraschi soffrono delle stesse questioni e tutti i Paesi rivieraschi chiedono che vi sia un tavolo internazionale nel quale discutere delle questioni.
È vero che la pesca è materia comunitaria, per cui un Paese come l'Italia non può affrontare la questione in maniera unilaterale, ma è anche vero che noi abbiamo la sensazione che all'interno dell'Unione europea si stia valutando la pesca mediterranea comunque a livelli minoritari rispetto alle considerazioni che si fanno sulla politica nordista europea. Abbiamo la sensazione che in materia di pesca vi sia una logica nordista all'interno della comunità europea che porta proprio alla sottovalutazione dei grandi interessi della pesca mediterranea.
Questo che noi solleviamo non è un argomento che riguarda soltanto l'Italia. Anche la Spagna, anche il sud della Francia ed anche la Grecia si trovano nelle stesse condizioni e anche questi Paesi chiedono che vi sia all'interno dell'Unione europea una più attenta valutazione dei problemi della pesca nel Mediterraneo. Se si tiene oltretutto conto del fatto che il Mediterraneo oggi è anche luogo di lavoro di tanti Paesi, che pur non appartengono all'Unione europea, si intuirà quanto sia necessario ed urgente creare un tavolo di discussione.
Vi sono Paesi che, pur essendo in buoni rapporti con i Paesi dell'Unione europea, non trovano intese nel campo della pesca. Bisogna mettere intorno ad un tavolo Paesi quali l'Albania, l'Algeria, la Croazia, l'Egitto, Israele, il Libano, la Libia, il Marocco, la Serbia, il Montenegro, la Siria, i Territori autonomi palestinesi, la Tunisia e la Turchia. Lo richiedono le politiche, i governi e gli operatori economici di quei Paesi.
Con la nostra mozione, vogliamo in qualche maniera costituire una sorta di prosecuzione del contenuto della conferenza Ministeriale tenutasi a Venezia nel 2003. Non vogliamo che ciò che viene stabilito a livello internazionale, come è accaduto a Venezia, resti tra i fogli di carta per scrivere poi una pagina della storia o anche semplicemente di cronaca. Noi vogliamo che ciò che è stato stabilito a Venezia trovi esecuzione, un luogo nel quale applicare pienamente tutti i principi che da quella conferenza sono stati sanciti. C'è un aspetto delicatissimo che vogliamo affrontare, quello di chiedere all'Italia di pressare maggiormente, in seno all'Unione europea, perché all'interno delle direttive europee e comunitarie l'Italia possa finalmente essere autorizzata a trattare bilateralmente con i Paesi rivieraschi, non per smentire la politica comunitaria ma per integrarla e renderla attuale, per evitare che ci siano principi che possano andar bene per la Finlandia ma non per l'Italia, la Spagna, la Francia e la Grecia. L'accordo bilaterale è possibile all'interno delle direttive comunitarie e pensiamo che l'Italia debba richiedere ciò.
Ci sono poi aspetti molto delicati che vanno al di là delle vicende della pesca e che devono trovare un tavolo nel quale essere affrontati. La Libia ha esteso in maniera unilaterale a 72 miglia dalla propria costa il controllo delle acque, provocando la reazione della comunità internazionale e qualche volta ciò ha anche portato a scontri con navi militari. Estendere a 72 miglia dalla costa il controllo, per la Libia rappresenta forse una garanzia dei propri territori e dei propri specchi acquei ma ha provocato un trauma gigantesco nei confronti delle marinerie tradizionali e di coloro che sono costretti ad estendere le proprie acque per potere in qualche maniera attingere quel prodotto ittico che serve a fare esistere la propria impresa. Non si parla mai di questa vicenda, sembra che non si riesca a trovare una sede internazionale dove affrontare la questione. Non vogliamo mettere in discussione - questo il contenuto nella nostra mozione - tutte le questioni che Pag. 23possano riguardare la decisione della Libia di estendere il controllo delle acque a 72 miglia dalla costa; diciamo che è sicuramente anacronistico per quanto riguarda la pesca e che non essendoci mai stato un riconoscimento da parte di organizzazioni internazionali bisognerà trovare una sede nella quale affrontare e risolvere la questione, anche chiedendo con più forza una posizione dell'Unione europea su una vicenda di tale portata.
C'è poi un aspetto che va affrontato e che forse è stato sottovalutato anche dalle organizzazioni delle imprese, dalle classi armatoriali e forse anche dalla stessa politica: accettare così supinamente le decisioni dell'Unione europea, se da una parte ha portato agevolazioni anche fiscali alle imprese, dall'altra ha creato condizioni negative per lo sviluppo dello stesso settore. Noi chiediamo che lo Stato italiano, attraverso i propri organi ma anche attraverso il coinvolgimento di istituti di ricerca e universitari, promuova uno studio per tentare di capire quali sono le refluenze sull'economia peschereccia italiana delle direttive dell'Unione europea, se cioè ne traiamo vantaggi o se invece ne ricaviamo soltanto svantaggi.
Una valutazione di questa natura si fa nel campo delle economie, qualunque sia l'economia che si affronta. Noi chiediamo che si faccia uno studio ben preciso intorno alla pesca su questi argomenti. C'è una vicenda ulteriore, che è quella del ricordarsi che l'Italia è un Paese marinaro (che ha 8 mila chilometri di costa), e che tradizionalmente siamo stati una grande flotta nel Mediterraneo e nel mondo. Oggi la flotta peschereccia italiana è la più vetusta d'Europa; la media di un peschereccio italiano è di trenta anni di vita, e si capisce che, con le tecnologie avanzate, con quel che succede anche nel mercato e con le refluenze che il mercato ha sulle tecniche di cattura del prodotto ittico, una flotta peschereccia che ha trent'anni di media non può essere competitiva. Questo non può significare una scelta come quella fatta dall'Unione europea, legata esclusivamente alla demolizione dei vecchi natanti, perché demolire un vecchio natante risolve il problema soltanto nell'immediato ma non crea condizioni di sviluppo nel futuro. Mi immagino cosa potrebbe accadere in Italia se ogni volta, per esempio, che la FIAT si trova in difficoltà economiche decidesse di chiudere uno stabilimento o più stabilimenti.
Non è questo il metodo per affrontare il grave problema della flotta peschereccia italiana. Occorre che ci sia un ammodernamento della flotta e noi chiediamo al Governo italiano che si impegni ad intervenire presso l'Unione europea perché, al di là della quantità dei pescherecci che si muovono nel Mediterraneo, comunque si provveda a dare agevolazioni perché si possa arrivare ad un ammodernamento della flotta peschereccia italiana. Chiediamo anche che si faccia uno studio dettagliato sulla situazione dei porti, dei porti pescherecci del nostro Paese, sia per questioni legate alla sicurezza, sia per questioni legate proprio alle regole del mercato. Un buon porto è un porto che aiuta l'impresa. Un porto che non è idoneo, un porto insicuro è un porto che nasconde insidie per lo stesso mercato e per gli operatori. Chiediamo che si intervenga per capire qual è lo stato dei porti italiani, e magari per cominciare ad intervenire strategicamente per l'ammodernamento di questi porti. Ci sono poi piccole cose che sembrano banali ma che invece hanno un grande significato intorno alla pesca. La gente scappa dal mare, e quelli che restano non sono professionalmente idonei, perché negli ultimi tempi - soprattutto negli ultimi decenni - si è agevolata una sorta di demolizione del sistema dell'istruzione nel campo marittimo del nostro Paese, e si sono privilegiati ad esempio gli istituti nautici, e si sono danneggiati quegli istituti professionali marittimi che consentivano ai ragazzi di frequentare queste scuole, quindi di cominciare a studiare e al tempo stesso a lavorare. Allora, anche qui una sorta di ricognizione per verificare se vi sono istituti che possono essere tenuti in piedi e rilanciati da questo punto di vista ci sembrerebbe una misura importantissima. Pag. 24
Vi è poi l'antica questione dei lavori usuranti. Noi, con la nostra mozione, chiediamo che ci sia un impegno del Governo perché all'interno delle norme in vigore si cerchi in qualche maniera di dare un binario per il riconoscimento di categoria usurante a chi va per mare (e a cinquant'anni un marinaio non è più nelle condizioni di potersi dire pienamente idoneo a quel lavoro). Di questa materia si è discusso in numerose occasioni, e so anche che in questo momento si discute e si tratta attraverso apposite iniziative legislative, anche del Governo, ma riteniamo che si debba trovare un momento di riflessione perché anche i marittimi siano riconosciuti come lavoratori sottoposti a lavoro usurante. Vi è un'ultima questione, signor Presidente, signor sottosegretario: a noi, rispetto alla demolizione del natante e basta, piace ricordare che c'è una soluzione alternativa. La pesca ha necessità di essere rilanciata. Demolire il natante da solo non serve. Bisogna demolire il vecchio natante e ricostruire natanti più piccoli - concludo, signor Presidente - ma soprattutto bisogna rimettere in piedi la logica del riposo biologico. È attraverso il riposo del mare che si può consentire alla flotta peschereccia di tornare competitiva. Questa è l'azione che noi chiediamo che il Governo svolga autonomamente per le proprie competenze e presso l'Unione europea.

PRESIDENTE. Saluto gli alunni, i docenti e gli accompagnatori della scuola media Renato Moro, di Barletta e della scuola elementare Giovanni XXIII, di Triggiano, in provincia di Bari, che sono in visita alla Camera dei deputati e che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune.
È iscritto a parlare l'onorevole Sani, che illustrerà anche la mozione Agostini ed altri n. 1-00477 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

LUCA SANI. Signor Presidente, come deputati del Partito Democratico abbiamo più volte e con vari strumenti ed iniziative sottolineato e posto all'attenzione del Parlamento e del Governo la situazione di grave difficoltà che sta caratterizzando l'economia ittica del nostro Paese e del bisogno che questo settore ha di misure urgenti. Si tratta di difficoltà dovute alla pesante crisi che caratterizza l'economia mondiale e quella del nostro Paese, ma anche dovute a fattori ormai strutturali che, nel corso dell'ultimo decennio, hanno accentuato lo stato di sofferenza. Vi è stato un forte innalzamento dei costi di produzione, acutizzato dal vertiginoso rialzo dei prezzi dei prodotti petroliferi. Ed è questa una situazione grave, in tutta Europa, ma in Italia ha assunto toni drammatici, anche per la vetustà della flotta peschereccia che non assicura la piena sicurezza dei lavoratori e, al tempo stesso, provoca i più alti costi di gestione, a partire, appunto, dal consumo di carburante. Gli operatori non sono in grado, oggi, di far fronte a questi aumenti rispetto ai prezzi del prodotto, rimasti più o meno stazionari negli ultimi anni.
La scarsa competitività della pesca italiana dipende, fra l'altro, dal numero delle imprese, dal numero dei punti di sbarco, dalla frammentarietà della distribuzione, dalla prevalenza di strutture artigianali con bassa efficienza gestionale. Nella pesca italiana siamo in presenza di imprese caratterizzate da piccole e medie dimensioni, con una insufficiente patrimonializzazione e sottocapitalizzate. C'è una scarsa capacità di accesso al credito a cui si aggiunge l'incapacità di concentrare l'offerta dei prodotti a fronte di una rete distributiva sempre più esigente ed in mano ai grossisti ed ai commercianti, con un'impari concorrenza dei Paesi terzi, in particolare quelli asiatici. A ciò si aggiungono gli innumerevoli adempimenti amministrativi che contribuiscono a determinare un forte rallentamento delle attività di impresa, spesso costrette a lunghi e costosi percorsi burocratici anche per i più semplici adempimenti.
Per questo e per molto altro, come gruppo parlamentare del Partito Democratico, ci siamo fatti anche noi promotori di una mozione. A preoccuparci, in primo luogo, Pag. 25è la scadenza della proroga concessa per l'anno 2010 del Programma nazionale della pesca e dell'acquacoltura per il periodo 2007-2009, unico strumento di programmazione a disposizione del settore. Se entro fine anno non verranno impegnati i fondi del Fondo europeo per la pesca, il cosiddetto FEP, a valere sulla programmazione 2008, si attiverà il meccanismo di disimpegno automatico con il rischio concreto che un'entità cospicua di risorse non impegnate potrebbe andare perduta, a danno del settore, già fortemente penalizzato.
Senza i fondi del cosiddetto FEP sono inimmaginabili riforme e politiche a sostegno della pesca e, in particolar modo, quelle iniziative che potrebbero produrre innovazione, a cominciare dal rinnovo della suddetta flotta peschereccia, la riduzione dello sforzo di pesca, il fermo temporaneo per favorire il ripopolamento ittico del Mediterraneo o il fermo definitivo di numerose vecchie imbarcazioni. Per questo, al primo punto della nostra mozione, impegniamo il Governo sulla proroga, anche per l'anno 2011, dell'applicazione del Programma nazionale della pesca e dell'acquacoltura triennale, con il fine di definirne uno nuovo che potrà tener conto degli attuali mutamenti dello scenario. Nello stesso tempo, sollecitiamo l'Esecutivo ad intraprendere una forte azione politica e diplomatica in seno alla Commissione europea per scongiurare il disimpegno automatico a fine anno dei fondi FEP, anche mediante un confronto con gli altri Stati membri dell'Unione europea che evidenziano analoghi ritardi nell'impegno dei fondi, come Spagna e Grecia, con l'obiettivo di raggiungere una posizione unitaria e per chiedere, in via straordinaria, lo slittamento di un anno dei termini.
Inoltre la scadenza a giugno 2010 di una serie di deroghe comunitarie previste dal regolamento sulla pesca mediterranea su attrezzi, dimensioni delle maglie e delle reti e distanza della costa sta generando una situazione emergenziale di crescente tensione nelle marinerie italiane non solo per i pesanti impatti socio-economici che interessano tutte le realtà costiere, ma soprattutto per una serie di problemi lasciati aperti dal processo di adeguamento alle disposizioni comunitarie. In particolare, nel suddetto regolamento è prevista la possibilità per gli Stati membri di adottare autonomi piani di gestione volti a disciplinare attività di pesca specifiche, coniugando la sostenibilità ambientale in linea con gli obiettivi della politica comune della pesca, con quella economica e con il diritto al lavoro.
Riteniamo che sotto questo profilo sia necessario sviluppare nuove politiche a livello mediterraneo perché diventa difficile pensare di gestire una regione unica con regole diverse, e soprattutto far comprendere ai pescatori comunitari che le loro regole sono più rigide dei non comunitari e con il rischio di veder soppiantare le nostre produzioni tipiche dal pesce proveniente da altri Paesi rivieraschi del Mediterraneo o dell'Asia. Su questo un punto di attenzione lo richiedono anche le politiche e le iniziative tese a fronteggiare fenomeni di frode alimentare sempre più diffusi anche nel settore della pesca. Per tale ragione invitiamo il Governo a caldeggiare una rapida approvazione dei piani di gestione inviati a Bruxelles in materia di pesche speciali, anche per scongiurare ritardi o addirittura il mancato avvio della campagna di pesca di questa stagione che tradizionalmente inizia in questo periodo. La legge comunitaria 2009, in vigore dal 7 luglio scorso, delega il Governo ad adottare decreti legislativi per il riassetto, il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura entro 18 mesi dall'entrata in vigore della disposizione. Su questo noi sollecitiamo il Governo ad adottare al più presto le procedure di questa delega, con l'obiettivo di dotare il settore di un unico testo normativo. E con l'occasione sollecitiamo anche una riflessione sulla ripartizione annuale delle risorse finanziarie del Fondo unico per agricoltura e pesca destinate alle regioni. Siamo dell'opinione che occorra mettere in atto tutte le azioni e gli strumenti per individuare una dotazione separata Pag. 26e distinta per la pesca all'interno della ripartizione del Fondo, dando così certezza di programmazione al settore. Ciò può e deve servire ad attivare nuove forme di supporto agli investimenti delle imprese ittiche ed allo sviluppo di azioni innovative, anche attraverso nuove modalità di intervento, in linea con la più recente normativa europea sugli aiuti di Stato per le piccole e medie imprese di settore, favorendo gli investimenti orientati alla crescita delle dimensioni aziendali, alle ristrutturazioni e ai salvataggi, alle concentrazioni e alle fusioni, a prestiti partecipativi. Nello stesso tempo occorre affrontare il problema dell'eccessivo sfruttamento della risorsa biologica che rappresenta il principale ostacolo allo sviluppo di una pesca sostenibile. Per questo occorre disporre una revisione della proposta sul fermo biologico, prevedendo un prolungamento dei giorni nell'ambito di una diversificazione dei periodi di fermo e di una diversificazione delle specie, accordando ai pescatori un indennizzo a fronte di una cessazione temporanea delle attività, come consentito dalla cosiddetta piattaforma POR.
Sempre per un rilancio del settore, con la legge finanziaria è stato esteso l'ambito di applicazione per l'imprenditoria giovanile in agricoltura prevedendone l'utilizzo anche per l'imprenditoria giovanile nel settore della pesca. Ad oggi non è stato predisposto alcun bando per l'utilizzo di tali risorse per il comparto della pesca marittima. Al contrario le risorse del Fondo sono state invece ripetutamente rimodulate in diminuzione e per la restante parte sono rimaste appunto inutilizzate. Per questo motivo sollecitiamo il Governo ad attivare a favore della pesca le risorse del Fondo per l'imprenditoria giovanile in agricoltura, magari definendo una riserva di quota parte alla filiera ittica e a provvedere al rifinanziamento del Fondo.
Infine, ma non per importanza, sul lavoro: lo scorso 19 ottobre è stato approvato definitivamente il cosiddetto collegato lavoro che, tra le altre cose, delega il Governo alla revisione della disciplina in tema di lavori usuranti. Riteniamo, e per questo chiediamo un impegno al Governo, che la pesca marittima sia da inserire tra i lavori usuranti per il disagio, il sacrificio e la fatica che viene chiesta a quei lavoratori.
Ricordo che anche sul fronte degli ammortizzatori sociali la pesca ha visto riconosciuta la cassa integrazione solo nel 2008, per effetto della crisi del caro gasolio. Occorre perciò proseguire sul percorso avviato di riconoscimento del lavoro dei pescatori, perché siamo convinti che attraverso il riconoscimento pieno della dignità e del valore di ciascun lavoratore passi anche la crescita e il rilancio più complessivo del nostro Paese.
Più in generale, signor Presidente, confidiamo sulla convergenza del Parlamento sulle questioni da noi sollevate. La pesca fa parte di quel sistema più ampio dell'economia italiana che va sotto il nome di agroalimentare. Fino ad oggi rispetto a questo settore - dobbiamo dirlo ancora una volta - sono mancate politiche nazionali: si sono operati tagli sostenendo che l'agricoltura era anticiclica, mentre altri Paesi europei hanno investito per far fronte alle difficoltà.
Siamo consapevoli che il nostro Paese sta vivendo un momento politico delicatissimo, siamo di fronte al dissolvimento della maggioranza, alla presa d'atto del fallimento di politiche del Governo soprattutto in tema di economia. Ma per quel poco di tempo a disposizione che rimane a questo Governo e a questa maggioranza, noi insistiamo nel chiedere politiche nazionali che, attraverso il rilancio e la tutela dell'agroalimentare nazionale (che rappresenta, lo voglio ricordare, la terza voce che concorre al prodotto interno lordo nazionale), consentano il rilancio economico ed occupazionale più generale del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00478. Ne ha facoltà.

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ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, a Bengasi il 30 agosto 2008 si è firmato il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione fra la Repubblica italiana e la Libia, che è entrato poi in vigore il 19 febbraio 2009 a seguito di una legge di ratifica ed esecuzione del 6 febbraio 2009. Quale dovrebbe essere l'intento di questo Trattato? È innanzitutto quello di porre fine ad un contrasto risalente all'epoca coloniale, ma anche quello di rafforzare la collaborazione fra i due Paesi nella lotta all'immigrazione clandestina per via marittima, tanto che l'Italia ha ceduto alla Libia anche delle motovedette. Vi è da dire che questo Accordo ha fatto in modo che terminasse il percorso, molto lungo, di trattative già iniziato dai precedenti Governi. Infatti, l'attuale Governo lo ha accelerato, proprio nel tentativo di migliorare le relazioni fra i due Paesi. Poi, ha dato vita ad un vero e proprio partenariato, visto che la Libia è nei fatti sempre più importante per l'Italia, considerati gli ingenti investimenti economici in quel Paese e poi le forniture di petrolio, e di gas, ma anche per il controllo proprio dei flussi migratori dall'Africa.
Quindi, secondo il primo protocollo è previsto un pattugliamento marittimo comune con motovedette messe a disposizione dall'Italia con l'impegno delle parti ad effettuare operazioni di controllo, di ricerca e di salvataggio nei luoghi di partenza, ma anche di transito delle imbarcazioni che sono interessate al trasporto di immigrati clandestini, nelle acque territoriali libiche e anche in quelle internazionali. Tuttavia pare, signor Presidente, che l'Accordo, invece di tutelare e difendere i diritti di chi si trova nelle acque mediterranee per diversi motivi - sia per fuggire da situazioni pericolose, da situazioni svantaggiate, sia nell'esercizio del proprio lavoro, come i nostri marinai siciliani - dia il via a comportamenti inopportuni, di certo non appropriati da parte della Libia.
Il 10 giugno 2009, poi, è stato anche firmato un Memorandum d'intesa, un primo passo verso una collaborazione fra i due Paesi.
Tale intesa rappresenta quello che è il naturale seguito operativo del Trattato di Bengasi, ma anche un passo in più verso quelli che dovrebbero essere i rapporti tra Libia e Italia: dei rapporti più sereni.
Tuttavia, già in passato si sono verificati degli episodi di tensione che hanno interessato il settore della pesca: ricordiamo tutti la vicenda del 12 settembre scorso, quando la motovedetta libica ha aperto il fuoco contro il motopeschereccio italiano Ariete, a circa 30 miglia dalla costa libica; non ci sono state vittime, per fortuna, ma l'incidente ha riaperto - è naturale - quelle che sono le polemiche sui rapporti italo-libici.
La motovedetta libica che ha aperto il fuoco contro l'Ariete è proprio una di quelle cedute dall'Italia; a bordo si trovavano alcuni militari della Guardia di finanza che, ovviamente, sono stati soltanto spettatori dell'operazione e, addirittura sono stati invitati dai militari libici ad andare sotto coperta.
A partire dal 1973 la Libia rivendica il Golfo della Sirte come baia storica, il quale ha un'apertura di oltre 307 miglia marine e, quindi, le 12 miglia di acque territoriali sono calcolate proprio dalla linea di chiusura di questo Golfo. Le acque all'interno del Golfo sono acque interne e, quindi, in tutto e per tutto assoggettate a quello che è il diritto di sovranità territoriale della Libia. Anche le acque territoriali sono oggetto del diritto di sovranità territoriale dello Stato costiero, ma, a differenza di quelle interne, sono soggette anche al diritto di passaggio inoffensivo delle navi degli Stati terzi. Da parte libica si è voluto, chiaramente, chiudere immediatamente questo incidente, chiedendo scusa all'Italia e defenestrando il comandante della motovedetta.
Le proteste libiche per i pescherecci italiani in zona di pesca libica non sono nuove, tanto che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali trasmise, proprio il 26 gennaio del 2009, una circolare con la quale invitava i nostri pescherecci a non avventurarsi in quella zona di pesca del vicino Stato amico libico. Pag. 28
Vorrei anche sottolineare che un altro problema è rappresentato proprio dall'uso delle armi per far rispettare la zona di pesca. Il diritto internazionale, inclusa la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, attribuisce allo Stato potere di polizia in materia di pesca, comprensivo dell'abbordaggio, e il fermo della nave sospetta; l'uso della forza non è escluso ma, secondo noi, questo deve essere conforme, soprattutto, all'esigenza di salvaguardare quelle che sono le vite umane. È chiaro, quindi, che quando avvengono episodi come quello del 12 settembre, poi, la preoccupazione ci sembra molto lecita e, comunque, signor Presidente, la questione rimane aperta.
Per tale motivo, secondo il gruppo dell'Italia dei Valori, occorre un'azione politica a livello sia nazionale che internazionale, che affronti seriamente il tema nelle sedi opportune, perché, ormai, il problema è diventato complesso e riguarda la gestione delle acque territoriali di confine e della pesca tra Libia e Italia.
I rapporti tra Italia e Libia non sono mai stati dei migliori, e si sono avuti periodi a dir poco accesi, ma non si sono mai interrotti, è vero, neanche negli anni caratterizzati da episodi di terrorismo internazionale e dalle sanzioni contro questo Paese nordafricano (non dimentichiamo l'embargo durato dal 1992 al 2004).
Il Trattato con la Libia ha inserito la pesca tra gli ambiti di collaborazione economica e industriale fra i due Paesi: è l'articolo 17 del Trattato che detta ciò. Tuttavia, fino ad ora sembra che non vi sia stato alcun cambiamento per i nostri pescatori.
La Libia, tra l'altro, rivendica proprio al golfo della Sirte il carattere di baia storica e ha spostato quindi in avanti il confine delle proprie acque territoriali. È una decisione che ha preso senza consultare l'Italia (anche questo va detto) e, oltretutto, non è disposta a riconoscere alcun valore a quella che è l'attività storica dei pescatori italiani tra la Sicilia e il Paese nordafricano.
Poi non vuole neanche ridurre l'estensione della sua zona di pesca (che è di 62 miglia dal confine delle acque territoriali), illegittima sotto il profilo del diritto internazionale, ma anche insostenibile per l'economia dei Paesi vicini. Sappiamo benissimo che la competenza a concludere gli accordi di pesca è comunitaria, ma stabilire i confini marittimi resta fra i compiti e nel potere degli Stati membri. L'Unione europea però, finora ha incontrato notevoli difficoltà nel Mediterraneo e ha mostrato una palese incertezza nell'affrontare questa questione della pesca nel canale di Sicilia.
Poi c'è un altro problema, ossia quello dello sfruttamento delle risorse ittiche e della loro conservazione nell'intero Mediterraneo. Le politiche bilaterali dovrebbero tendere realmente alla politica di cooperazione, come insegna la stessa Convenzione sul diritto del mare per la disciplina dei mari semichiusi (come è d'altronde il Mediterraneo).
Ecco perché per noi è indispensabile che la Libia ratifichi la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 che è un quadro di riferimento molto importante (direi essenziale) per tutte le attività marittime incluso lo sfruttamento, ma anche la conservazione, delle risorse ittiche.
Questa Convenzione stabilisce anche una normativa molto precisa in caso di cattura di navi nella zona economica esclusiva a salvaguardia non solo degli interessi legittimi dello Stato costiero, ma anche di quelli degli equipaggi. Esiste anche un altro problema: alla Conferenza di Doha del marzo 2010 non è passata la proposta di inserire il tonno rosso tra le specie da proteggere e tra quelle minacciate di estinzione.
Purtroppo, accade che lo sfruttamento di tale specie nella zona di pesca libica stia diventando molto preoccupante. L'Italia dovrebbe attivarsi anche in tal senso, signor sottosegretario, proprio per scongiurare il depauperamento del tonno rosso. Per questi motivi, non è più rinviabile l'adozione di un piano di cooperazione in materia di sfruttamento delle risorse ittiche tra tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Pag. 29
Per questi motivi, il gruppo dell'Italia dei Valori vuole impegnare il Governo: a concretizzare gli impegni sanciti dall'articolo 17, comma 4, del Trattato, ma anche dal memorandum d'intesa firmato il 10 giugno 2009 proprio per raggiungere una collaborazione, più proficua, vera e che non rimanga solo sulla carta; a contestare nelle sedi appropriate con la dovuta decisione la rivendicazione libica della Sirte come baia storica; ad agire in sede europea per ottenere il riconoscimento dei propri diritti preferenziali nella zona libica, considerando la memorabile presenza dei pescatori siciliani proprio in questa zona, anche promuovendo una Conferenza internazionale sulla pesca nel Mediterraneo con tutti i Paesi interessati ad ottenere il riconoscimento degli stessi diritti.
Inoltre, si vuole impegnare il Governo a negoziare in sede europea la delimitazione della piattaforma continentale (che non è ancora stata definita) e il limite esterno delle acque marine (qualora poi si dovesse arrivare ad una delimitazione poiché le rispettive zone si accavallano), ma anche a giungere ad una regolamentazione definitiva, perché l'Italia, pur non avendo ancora proclamato una zona economica esclusiva, ha previsto l'istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale.
Bisogna svolgere un'intensa azione diplomatica per convincere la Libia a ratificare a breve termine la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 proprio per consentire lo sfruttamento ottimale delle risorse anche in cooperazione con le organizzazioni internazionali più rilevanti, quali l'ICCAT che è la Commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell'Atlantico e la Commissione generale della pesca nel Mediterraneo.
Signor sottosegretario, questi sono i punti salienti della mozione dell'Italia dei Valori perché secondo noi è importante tutelare sia i diritti dei pescatori siciliani, ma è importante nel contempo proteggere le risorse idriche del Mare Mediterraneo (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la mozione Lo Monte ed altri n. 1-00483, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, già i colleghi che mi hanno preceduto hanno svolto ampiamente riferimenti ai Paesi rivieraschi del Mediterraneo, in particolare alla Libia. Tuttavia, non solo la Libia, ma anche l'Algeria e la Tunisia hanno espresso opinioni divergenti dalle nostre per quanto riguarda le zone di pesca esclusive che questi Paesi ritengono appartenere loro. È evidente che il settore della pesca in generale suscita in questo momento delle preoccupazioni perché, oltre alla crisi economica generale, vi è anche una crisi determinata da fattori specifici. La crisi del settore della pesca italiana, ma anche di quella europea, è dovuta a cause tra l'altro imputabili all'aumento esponenziale dei costi del carburante e all'uso dei motopescherecci che incide molto sui redditi delle imprese facendo così anche fallire alcune di queste. Si può inoltre sottolineare il fatto che oltre la metà del consumo ittico nazionale proviene dalle importazioni: anche questo è un segnale evidentemente della crisi del settore ittico. È necessario perciò avere attenzione a prevedere sgravi fiscali e previdenziali e forse anche un'applicazione del credito di imposta sarebbe auspicabile per l'acquisizione di beni strumentali nuovi.
Resta grave anche la questione degli interventi strutturali del Fondo europeo per la pesca. Come sapete, la programmazione del Fondo europeo 2007-2013 assegna all'Italia un finanziamento comunitario complessivo di 376,5 milioni di euro, di cui 282,5 destinati alla Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e 94 milioni di euro alle restanti regioni. Poi, il cofinanziamento del Governo italiano porta la cifra a 700 milioni di euro con la stessa distribuzione percentuale. Gli stessi fondi europei Pag. 30per la pesca relativi alla programmazione 2008, se non saranno impegnati entro questo anno, andranno persi con un ulteriore e inammissibile danno alla pesca, in particolare alle imprese meridionali.
Il Movimento per le Autonomie vuole impegnare il Governo a orientare la politica della pesca ad una decisa azione di rilancio del settore che si fondi su linee di indirizzo strategico e non soltanto congiunturali.
Occorre valorizzare i prodotti della pesca e inserirli nella filiera agroalimentare e nelle tradizioni enogastronomiche italiane, anche nella prospettiva di inserire la pesca nei mercati esteri. Vorremmo poter sostenere anche la creazione di un'area di libero scambio nel mar Mediterraneo come fondamentale opportunità di sviluppo e crescita dei Paesi che su questo mare si affacciano, grazie alla quale sarà possibile costruire regole e azioni condivise.
Occorrerebbe che il Governo si impegnasse a favorire anche la riorganizzazione e la competitività del settore attraverso - lo dicevo prima - l'applicazione del credito d'imposta per l'acquisizione di beni strumentali moderni. Naturalmente non sarebbe male che si pensasse anche ai lavoratori della pesca, ai marittimi imbarcati su queste navi e che si potesse arrivare a definire proprio le attività usuranti di queste persone per favorirli. Occorrerebbe, inoltre, promuovere una riforma volta a semplificare e ridurre gli oneri burocratici ed amministrativi ai quali il settore della pesca è soggetto. Quindi, queste politiche strutturali possono consentire anche una maggiore competitività della flotta del nostro Paese.
Probabilmente è necessario incentivare la pesca in mare, sviluppando processi di filiera certificati in modo tale che possa in qualche modo essere certificata anche la provenienza del pescato ed attivare tutti gli ammortizzatori sociali necessari per governare questa crisi a cui facevo riferimento, interessando le imprese della pesca (soprattutto quelle del Mezzogiorno) particolarmente esposte alla congiuntura sfavorevole e alle conseguenze derivanti dalla crisi economica.
Naturalmente è necessario che l'Europa si muova e dobbiamo far sì anche noi che il Governo intervenga presso l'Europa affinché si faccia un'eccezione per questo settore, in modo tale che i fondi per la pesca non impegnati durante questo anno possano essere restituiti al settore stesso e in modo tale che non si influenzi negativamente l'intera filiera. Ecco perché il Movimento per le Autonomie è interessato moltissimo, in quanto sono interessate molto anche le regioni meridionali (in particolare la Sicilia). Le problematiche che nascono nel canale di Sicilia sono state messe bene in rilievo anche dagli altri interventi in quest'Aula.
Noi riteniamo che il Governo debba avere una particolare attenzione a questo settore e intervenire tempestivamente per poter proteggere gli operatori del comparto e per superare la crisi ed evitare il fallimento delle imprese, soprattutto per riprendere l'attività in vista di una ripresa economica generale del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Oliverio. Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, il settore ittico vive un momento particolarmente delicato, di straordinaria, profonda e grave difficoltà. Ciò non solo per gli effetti di una prolungata, devastante e sottovalutata crisi economica che nell'ultimo decennio ha fatto registrare un drammatico calo della produttività (meno 41 per cento), del fatturato (meno 25 per cento) e dei livelli occupazionali (17 mila posti di lavoro in meno), a fronte di un incredibile aumento dei costi della produzione (un significativo più 240 per cento) registrato negli ultimi tre anni.
Il sovrasfruttamento delle risorse, l'aumento dei costi di gestione, il calo dei consumi e il ristagno dei prezzi all'origine hanno pesato ulteriormente sulla crisi di un settore che non ha per la verità mai Pag. 31navigato nell'oro e neanche ha avuto particolare attenzione da parte di questo Governo.
Le tendenze che caratterizzano il comparto della pesca marittima negli ultimi anni, sebbene in presenza di andamenti differenziati tra il sistema di pesca nelle diverse aree, sono riconducibili ad alcuni fenomeni: una costante riduzione della capacità di pesca per effetto dell'applicazione delle normative nazionali e comunitarie, un rilevante ridimensionamento dei livelli di attività, connesso sia all'aumento dei costi sia alle decisioni imprenditoriali di ridurre l'offerta per non saturare il mercato, una contrazione delle catture, dovuto al minor sforzo di pesca, un aumento dei prezzi medi alla produzione per effetto della contrazione e della modificazione dell'offerta, un limitato potere nazionale dell'offerta, cui si aggiungono le azioni di dumping di produttori extraeuropei e una bassa espansione del profitto lordo a seguito dell'aumento del costo del carburante.
Anche in considerazione di questa delicatissima situazione, la filiera ittica è posta oggi di fronte al bivio di un delicato processo di riposizionamento e cambiamento strutturale, che deve saper coniugare i principi di legalità, sviluppo sostenibile, sicurezza alimentare, tutela dell'ambiente, salvaguardia del livello occupazionale, ricambio generazionale e politiche remunerative. Si tratta di un processo di cambiamento imposto con una certa accelerazione anche dalla necessità di adeguarsi alle normative comunitarie che hanno inciso profondamente su maglie, attrezzi, distanza dalla costa, aspetti sanitari e, non ultimo, controlli. Si tratta di una riforma che ha, tra l'altro, appesantito significativamente adempimenti ed oneri a carico sia degli operatori, sia degli stessi Stati membri. Ne sono emblema - tanto per fare qualche esempio - le penalizzazioni smisurate legate al sistema della licenza a punti. Anche per questo, diventa ormai necessario, per garantire livelli sufficienti di redditività, affrontare tante emergenze con interventi straordinari, con urgenti e non più rinviabili misure volte al rafforzamento della base imprenditoriale, alla riorganizzazione dei modelli produttivi e all'integrazione di filiere.
Destano, inoltre, un vero e proprio allarme i tagli pesanti e insostenibili che subiscono le dotazioni del settore a seguito della previsione del disegno di legge di stabilità, segno di una perdurante disattenzione ai reali bisogni del settore. Proprio in un momento in cui l'inasprirsi della crisi renderebbe urgente qualificare e rilanciare la programmazione del settore, l'unico strumento a disposizione, cioè il programma triennale, subisce un ulteriore taglio di circa il 20 per cento, in aggiunta a quelli già consistenti subiti negli anni passati, con il risultato di una dotazione complessiva per il 2011 di soltanto 6,2 miliardi di euro. È poco, troppo poco. Sono risorse esigue, del tutto insufficienti per rispondere a sfide a raggio competitivo delle politiche di settore.
Lo sa bene anche il Ministro Galan, che oggi si limita a protestare dalle colonne di un noto quotidiano nazionale, anziché dallo scranno di via XX settembre, che fu di Crispi, di Gullo, di Marconi e di Fanfani. A conferma della sua dedizione al settore ittico, Galan oggi non viene in Aula, né delega il sottosegretario del suo Dicastero, la cui posizione all'interno del Ministero - a dire il vero - non è nota nemmeno a questo Parlamento.
In questa situazione, signor Presidente, il rischio è che, senza una dotazione finanziaria adeguata, salti anche l'ordinaria programmazione, con conseguenze davvero drammatiche per tutto il comparto e per tutti gli operatori. Se l'agricoltura italiana è considerata da questo Governo figlia di un Dio minore, il settore ittico è proprio figlio di nessuno. È così purtroppo, anche se, signori del Governo, non vi pare.
Tutto questo accade mentre il settore è in attesa di un chiaro e concreto segnale di attenzione da parte del Governo che, nonostante i proclami, ha finora dimostrato di trascurare le istanze di rinnovamento espresse dalla categoria, lasciando peraltro inattivati strumenti Pag. 32qualificanti che si aspettavano da tempo, come gli accordi di filiera e il sostegno all'imprenditoria giovanile, positiva eredità del Governo Prodi, rimasta incomprensibilmente lettera morta, ma che sarebbe parimenti urgente attivare con la previsione di nuove risorse.
La situazione del settore rasenta pertanto l'emergenza. Il Partito Democratico è fortemente preoccupato ed è per questo che ha presentato questa mozione, che bene ha illustrato il collega Sani e, sulla quale, avrà occasione di soffermarsi ulteriormente il collega Agostini per accendere un faro sull'intero comparto e per affrontare - a prescindere dalle distinte e diverse appartenenze partitiche - le questioni aperte, che creano notevole tensione e disagio anche nella preoccupata e inerme marineria.
Con questa mozione, il Partito democratico chiede al Governo di impegnarsi, tra l'altro, ad intraprendere una forte azione politica nei confronti della Commissione europea, per scongiurare il disimpegno automatico dei fondi FEP in base alla regola dell'«n 2», che sottrarrà ulteriori risorse allo sviluppo del settore ittico.
Inoltre, è necessario che il Governo si impegni a prorogare anche per il 2011 l'applicazione del programma nazionale triennale della pesca e dell'acquacoltura, per consentire all'Italia di redigere un nuovo programma triennale che affronti le questioni legate al destino delle pesche speciali e che ponga le condizioni per dare una boccata d'ossigeno al settore, garantendo il proseguimento di questa attività secondo i principi di sostenibilità imposti dall'Unione europea.
Occorre fare subito e bene, anche perché l'impatto socio-economico atteso è devastante, basti pensare che solo in alto Adriatico si stima una perdita di ulteriori 4 mila posti di lavoro, cui se ne aggiungono altrettanti delle numerose marinerie della Liguria, Toscana, Calabria e Puglia, dove la pesca del novellame da consumo e del rossetto rappresenta una indispensabile fonte di reddito e sostegno per tantissime famiglie che vivono da sempre di questo lavoro.
Siamo di fronte ad una situazione esplosiva dal punto di vista sociale, una situazione chiara e drammatica, sotto tutti i punti di vista, ma che evidentemente non arriva e non si fa sentire a Roma, oppure si fa finta di non sentire, considerato che le risposte che giungono dal Governo sono parziali e tardive, e non tengono conto né dell'emergenza né delle esigenze di programmazione.
Signor Presidente, occorre invece, con straordinaria urgenza, dare concretezza ai contenuti della delega governativa per il riordino del settore che rappresenta un'opportunità da non mancare per impostare, mediante adeguati stanziamenti, un serio programma di rilancio dell'imprenditoria ittica.
Siamo purtroppo arrivati al bivio, si può imboccare la strada per un rilancio vero del comparto ittico, si può scegliere quella, com'è stato finora fatto, di tirare a campare, e si può rimanere fermi, al palo. Bisogna decidere. I pannicelli caldi hanno fatto il loro tempo, le parole di circostanza e gli impegni a futura memoria non conquistano più nessuno.
Questa volta, veramente, bisogna scendere in campo per assicurare al settore ittico le risorse necessarie a tutte quelle riforme, non più rinviabili, per poter finalmente scrivere una nuova pagina a partire dalla parola sviluppo. Ed è per questo che abbiamo presentato questa mozione che chiediamo al Governo di accogliere. Grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Sull'ordine dei lavori (ore 18,35).

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, ancora oggi c'è stato un attentato a Baghdad, dove sono state registrate più di dieci vittime; credo che il Parlamento italiano debba esprimere la solidarietà a queste vittime innocenti. Questo poi è il primo giorno di seduta dopo la strage del 31 ottobre scorso nella chiesa siro-cattolica Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad, dove sono stati uccisi 58 cristiani, fra cui tre sacerdoti celebranti e feriti altri 80.
Credo che il nostro Paese debba esprimere la solidarietà alle loro famiglie e a quella comunità cristiana ripetutamente aggredita e purtroppo lasciata pressoché sola, non solo dal Governo di quel Paese, ma di fatto da gran parte del resto del mondo.
Da un dispaccio di The Associated Press abbiamo appreso che Yonadam Kanna, deputato cristiano al Parlamento iracheno, ha proprio in queste ore denunciato la gravissima imperizia dimostrata dalle forze di polizia locale intervenute, che ha finito per aumentare il numero delle vittime innocenti. Siamo braccati, perseguitati, sempre più isolati. Gli estremisti islamici ci vogliono uccidere, il Governo ci ignora. Il mondo pensa ad altro. Non ci resta che partire, fuggire, emigrare il più lontano possibile. Questo ha dichiarato un ferito sopravvissuto alla strage al Corriere della Sera. Il mondo pensa ad altro, non ci resta che fuggire.
Mi pare sia il più giusto e insieme il più disperato atto di accusa che i cristiani di quella terra in cui la fede in Dio si è radicata dai tempi più lontani, da Abramo per intenderci, possano rivolgere a noi, in particolare a noi occidentali. L'Occidente non può lavarsene le mani, perché non può non sapere che, al di là delle colpe imperdonabili del fanatismo islamico, quei cristiani pagano il prezzo della loro non voluta identificazione con le responsabilità dell'Occidente. Che i cristiani subiscano il martirio a causa della loro fede in molte parti del mondo non è per la verità in sé una notizia. Secondo l'OSCE, oggi su cento vittime del fanatismo religioso settantacinque sono cristiani, ma lì, in quella terra, si deve aggiungere che purtroppo quanto sta accadendo non era imprevedibile, perché anche la ferocia fondamentalista islamica, nella sua inaccettabile e ingiustificata follia, si muove secondo una sua logica.
Eravamo stati avvertiti, l'Occidente era stato avvertito, da numerosi interventi dei vescovi cristiani che hanno preceduto l'ultima guerra in Iraq, che i cristiani sarebbero state le vittime sacrificali di una iniziativa bellica priva di senso storico, di logica politica e di giustificazione morale. Giovanni Paolo II fece il possibile per illuminare i Governi dell'Occidente, non per un mero spirito di pacifismo cristiano, ma secondo una logica di razionalità politica, di lucida razionalità politica. Quella guerra non era come l'intervento che la comunità internazionale aveva deciso per l'Afghanistan dopo l'attentato dell'11 settembre 2001. Quella guerra era il segno di un'assurda prova di forza dell'Occidente verso un mondo accomunato in una responsabilità collettiva che invece necessitava di essere letta con intelligenza e capacità di distinzione.
L'errore è stato quello di considerare tutto il mondo islamico come avversario dell'Occidente, così tutto si è aggravato. Purtroppo, in quel momento l'Italia non ha voluto attingere alla propria tradizione diplomatica nelle relazioni con il Medio Oriente, alla tradizione consolidata da decenni di esperienza di iniziativa politica verso quel territorio. Pur di trovare un posto a tavola per i presunti e illusori vincitori, ha contribuito a spaccare l'Europa sul tema, concorrendo e partecipando a quell'errore. Anche per questo oggi abbiamo la responsabilità di una Pag. 34iniziativa, anche una nostra iniziativa. Sono contento che sia presente il sottosegretario Mantica perché ha avuto modo in un'altra occasione di rispondere ad una mia interpellanza su questo argomento.
Chiedo ancora oggi, signor sottosegretario, cosa sta facendo il Governo italiano per combattere e quantomeno contenere la cristianofobia in Medio Oriente. Cosa sta facendo perché gli Stati Uniti almeno intervengano per interrompere la gravissima vacatio di un potere che, dopo quasi otto mesi dalle elezioni, non è stato in grado di insediare il nuovo Governo di Allawi?
Praticamente siamo in una situazione di prorogatio del vecchio Presidente che ha perso le elezioni. Cosa sta facendo la comunità internazionale? Cosa sta facendo l'Italia in sede comunitaria affinché il nuovo Accordo che si sta negoziando in questi giorni tra Unione europea e Iraq sia condizionato ad un effettivo impegno a tutelare le minoranze cristiane da parte del Governo iracheno? Quale iniziativa noi abbiamo assunto e stiamo assumendo in sede comunitaria? Cosa si sta facendo, al di là delle promesse fatte dal Ministro Frattini all'onorevole Pannella, per impedire concretamente l'esecuzione di Tareq Aziz? Di tutto ciò chiediamo che il Ministro degli affari esteri venga a dare conto in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Castagnetti, la Presidenza si unisce all'espressione di sentimenti di solidarietà nei confronti delle vittime. La presenza del sottosegretario penso sia già una garanzia affinché il Ministro degli affari esteri accolga la sua richiesta, che peraltro sarà inoltrata dalla Presidenza.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 9 novembre 2010, alle 15:

1. - Discussione della relazione della Giunta delle elezioni sulla elezione contestata del deputato Giuseppe Drago per la XXV Circoscrizione Sicilia 2 (Doc. III, n. 2).
Relatore: Orsini.

2. - Seguito della discussione delle mozioni Donadi ed altri n. 1-00440, Tempestini ed altri n. 1-00480, Adornato ed altri n. 1-00481, Misiti ed altri n. 1-00482, Antonione, Dozzo, Sardelli ed altri n. 1-00484 e Mecacci ed altri n. 1-00485 concernenti iniziative volte alla revisione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione Italia-Libia.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Vernetti, Della Vedova, Villecco Calipari, Boniver, Volontè, Mura, Brugger ed altri n. 1-00452 e Villecco Calipari ed altri n. 1-00464 concernenti iniziative volte alla liberazione di Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace 2010.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Cristaldi ed altri n. 1-00447, Agostini ed altri n. 1-00477, Di Giuseppe ed altri n. 1-00478, Delfino ed altri n. 1-00479 e Lo Monte ed altri n. 1-00483 concernenti iniziative a favore del settore della pesca, con particolare riferimento alla cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo.

La seduta termina alle 18,45.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEGLI ARGOMENTI INSERITI IN CALENDARIO

Ddl di ratifica n. 3834 - Assegnazione all'Italia del seggio supplementare nel Parlamento europeo

Tempo complessivo: 4 ore.

Relatori 10 minuti
Governo 10 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 10 minuti
Interventi a titolo personale 36 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 2 ore e 44 minuti
Popolo della Libertà 34 minuti
Partito Democratico 46 minuti
Lega Nord Padania 17 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 15 minuti
Unione di Centro 19 minuti
Italia dei Valori 17 minuti
Misto: 16 minuti
Noi Sud Libertà e Autonomia,
I Popolari di Italia Domani
4 minuti
Alleanza per l'Italia 3 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 3 minuti
Liberal Democratici - MAIE 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti
Repubblicani, Azionisti, Alleanza
di Centro
2 minuti
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Mozione n. 1-00475 - Revoca di deleghe al Ministro per la semplificazione normativa, sen. Calderoli

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 59 minuti (con il limite massimo di 12 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore 21 minuti
Popolo della Libertà 1 ora e 7 minuti
Partito Democratico 1 ora e 1 minuto
Lega Nord Padania 31 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 26 minuti
Unione di Centro 26 minuti
Italia dei Valori 24 minuti
Misto: 26 minuti
Noi Sud Libertà e Autonomia,
I Popolari di Italia Domani
8 minuti
Alleanza per l'Italia 5 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 4 minuti
Liberal Democratici - MAIE 3 minuti
Minoranze linguistiche 3 minuti
Repubblicani, Azionisti, Alleanza
di Centro
3 minuti