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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di lunedì 31 gennaio 2011

TESTO AGGIORNATO AL 1° FEBBRAIO 2011

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 31 gennaio 2011.

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Malfa, Leone, Lupi, Malgeri, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti.

Annunzio di proposte di legge.

In data 27 gennaio 2011 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
GNECCHI e CODURELLI: «Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 18 dicembre 1997, n. 440, per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e sui minori» (4037);
DE MICHELI: «Delega al Governo per la disciplina del Patto di stabilità interno per le province e i comuni» (4038);
SCHIRRU ed altri: «Nuove disposizioni in materia di provvidenze in favore dei grandi invalidi» (4039).

In data 28 gennaio 2011 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
DAMIANO e MADIA: «Disciplina dell'attività di tirocinio formativo o stage e della pratica professionale» (4042).

In data 29 gennaio 2011 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
ABRIGNANI: «Modifiche all'articolo 8 della legge 24 dicembre 2003, n. 363, in materia di obbligo di utilizzo del casco protettivo nell'esercizio della pratica dello sci alpino e dello snowboard» (4043).

Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di un disegno di legge.

In data 27 gennaio 2011 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
dal ministro degli affari esteri:

«Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Panama, firmato a Roma il 2 maggio 2007» (4040).

Sarà stampato e distribuito.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge RAZZI ed altri: «Modifiche all'articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, concernente il rilascio gratuito di atti da parte dell'autorità consolare, e all'articolo 18 della legge 21 novembre 1967, n. 1185, concernente l'esenzione dalla tassa annuale sulle concessioni governative relativa al passaporto in favore dei cittadini italiani residenti all'estero» (2472) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Rugghia.

La proposta di legge VITALI ed altri: «Introduzione dell'articolo 315-bis del codice di procedura penale, concernente la riparazione per ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche o di conversazioni» (3821) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Laboccetta.

La proposta di legge DI BIAGIO ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, conclusa all'Aja il 19 ottobre 1996» (3858) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Barbaro.

La proposta di legge DOZZO ed altri: «Norme per la valorizzazione del patrimonio ferroviario in disuso» (3950) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Stucchi.

Modifica del titolo di una proposta di legge.

La proposta di legge n. 3941, d'iniziativa dei deputati SIRAGUSA ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Norme per assicurare la funzionalità del sistema scolastico e per la ridefinizione di procedure concorsuali per dirigenti scolastici».

Trasmissione dal Senato.

In data 27 gennaio 2011 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
S. 71-355-399-1119-1283. - Senatori LEGNINI ed altri; senatori PASTORE ed altri; senatore MUGNAI; senatori CARRARA ed altri; senatore VALENTINO: «Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici» (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (4041).

Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

I Commissione (Affari costituzionali):
CAVALLOTTO e ALLASIA: «Istituzione della "Giornata in memoria delle vittime della repressione delle manifestazioni di protesta per il trasferimento della capitale d'Italia da Torino a Firenze» (3966) Parere delle Commissioni V e VII.

II Commissione (Giustizia):
TORRISI: «Modifiche agli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, in materia di autoriciclaggio» (3986) Parere delle Commissioni I e VI;
S. 71-355-399-1119-1283. - Senatori LEGNINI e altri; senatori PASTORE e altri; senatore MUGNAI; senatori CARRARA e altri; senatore VALENTINO: «Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici (approvata, in un testo unificato, dal Senato)» (4041) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, IX e X.

IX Commissione (Trasporti):
GARAGNANI: «Modifiche all'articolo 142 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di limiti di velocità» (3992) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V e XI.

X Commissione (Attività produttive):
DAL LAGO ed altri: «Norme per la riduzione dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali e per il recupero dei crediti, nonché istituzione di un fondo rotativo presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la cessione dei crediti delle imprese» (3970) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive):
PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA POPOLARE: «Sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del clima» (3988) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, IX, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali):
CAZZOLA ed altri: «Delega al Governo per l'istituzione di un Fondo nazionale per le vittime dell'amianto, nonché disposizioni riguardanti le prestazioni sanitarie e la responsabilità penale e civile» (3997) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), V, X e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di una domanda di autorizzazione all'acquisizione di tabulati telefonici.

Con lettera pervenuta il 27 gennaio 2011, la procura della Repubblica presso il tribunale di Roma ha trasmesso alla Camera una domanda di autorizzazione all'acquisizione di tabulati telefonici relativi ad un'utenza del deputato Silvio Berlusconi (quale parte offesa), nell'ambito di un procedimento penale (il n. 3503/11 B RGNR) sorto da denuncia-querela sporta a carico di ignoti.
La domanda è stata trasmessa alla competente Giunta per le autorizzazioni.
Copia della domanda sarà stampata e distribuita (doc. IV, n. 15).

Trasmissione dalla Corte dei conti.

La Corte dei conti - sezione di controllo sugli enti - con lettera in data 27 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) per gli esercizi dal 2006 al 2008. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 282).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera del 26 gennaio 2011, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno MARGIOTTA ed altri n. 9/3638/176, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 28 luglio 2010, riguardante iniziative normative concernenti le funzioni dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) competente per materia.

Trasmissione del ministro del lavoro e delle politiche sociali.

Il ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 27 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n.70, la relazione, con allegati i bilanci consuntivi per gli anni 2008 e 2009, i bilanci di previsione per l'anno 2009 e 2010 e le relative piante organiche, sull'attività svolta negli anni 2009 e 2010 dai seguenti enti:
Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL);
Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'Amministrazione pubblica (INPDAP);
Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS);
Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA);
Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori e gli scultori, i musicisti, gli scrittori e gli autori drammatici (ENAP-PSMSAD).

Questa documentazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 31 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, la proposta di direttiva che modifica la direttiva 2000/75/CE concernente misure di vaccinazione contro la febbre catarrale degli ovini (COM(2010)666 definitivo), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla XII Commissione (Affari sociali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione della regione autonoma della Sardegna.

La presidenza della regione autonoma della Sardegna, con lettera in data 26 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 5, della legge regionale 7 ottobre 2005, n. 13, il decreto n. 7 del presidente della regione stessa in data 24 gennaio 2011, con cui è stato sciolto il consiglio comunale di Ardara e nominato il rispettivo commissario straordinario.

Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Comunicazione di nomine ministeriali.

La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 27 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le seguenti comunicazioni concernenti il conferimento, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, di incarichi di livello dirigenziale generale nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali, che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali), nonché alla VII Commissione (Cultura);
al dottor Mario Guarany, l'incarico di direttore della direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione, il bilancio ed il personale;
all'architetto Antonia Pasqua Recchia, l'incarico di direttore della direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanea.

Richiesta di un parere parlamentare su atti del Governo.

Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 21 gennaio 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, e dell'articolo 1, comma 3, della legge 4 giugno 2010, n. 96, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE relativa ai contratti di multiproprietà, ai contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e ai contratti di rivendita e di scambio (327).
Tale richiesta, per la parte relativa all'attuazione dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, è assegnata, dal Presidente del Senato della Repubblica, d'intesa con il Presidente della Camera dei deputati, alla Commissione parlamentare per la semplificazione, che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 2 marzo 2011.
La medesima richiesta, per la parte relativa all'attuazione dell'articolo 1, comma 3, della legge 4 giugno 2010, n. 96, è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alle Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività produttive) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 12 marzo 2011.

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B  al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

Sono pervenute alla Presidenza dai competenti Ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicante nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI REGUZZONI ED ALTRI N. 1-00540, BORGHESI ED ALTRI N. 1-00544, LULLI ED ALTRI N. 1-00546, ANNA TERESA FORMISANO ED ALTRI N. 1-00549 E VIGNALI ED ALTRI N. 1-00550 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO DELL'ECONOMIA ED IL SOSTEGNO ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Mozioni

La Camera,
premesso che:
il sistema della piccola e media impresa rappresenta il vero motore dell'economia del nostro Paese, costituendo la quasi totalità del tessuto imprenditoriale italiano (il 94,8 per cento, dati Istat 2009) e occupando circa il 50 per cento degli addetti (dati Istat 2009);
nonostante la crisi economica globale, le piccole e medie imprese italiane si confermano un tassello importante del patrimonio economico europeo, così come dimostrano i recenti dati sul valore aggiunto: nel 2008 il manifatturiero italiano ha generato un valore aggiunto di 86,4 miliardi di euro, il 40 per cento in più di quello delle omologhe imprese tedesche e oltre il 60 per cento in più di quello delle francesi. Sempre nel 2008 le microimprese italiane dei settori tessile-abbigliamento, cuoio-pelletteria-calzature e mobile hanno generato un valore aggiunto di quasi 9 miliardi di euro, superiore a quello dell'industria aerospaziale francese (8,7 miliardi di euro). Nel complesso, le piccole e medie imprese italiane hanno dato un contributo al prodotto interno lordo europeo di quasi 10 miliardi di euro superiore a quello delle grandi imprese dell'auto in Germania, Francia e Spagna;
la politica di rigore avviata dal Governo ha consentito al sistema Paese di resistere alla crisi finanziaria e nello stesso tempo ha attivato una serie di misure volte a liberare le potenzialità inespresse delle imprese; tra gli interventi di maggior rilievo si segnalano: la detassazione delle prestazioni di lavoro straordinario e l'introduzione della detrazione del 10 per cento dell'irap dall'ire; il differimento del pagamento dell'iva al momento dell'effettivo incasso delle fatture, al fine di favorire, soprattutto, le piccole imprese; le agevolazioni per alcuni tra i settori industriali più importanti, quali quello automobilistico, tessile e degli elettrodomestici, che sono stati oggetto di forti incentivi; la possibilità di rivalutazione degli immobili iscritti a bilancio a fronte del pagamento di un'imposta sostitutiva; l'introduzione della cosiddetta Tremonti-ter, che ha consentito di riavviare gli investimenti in macchinari da parte delle imprese e, proprio nel senso di incentivare gli investimenti, dovrebbe continuare ad indirizzarsi, tra l'altro, l'azione di Governo. Una riproposizione, magari in forma diversa, delle agevolazioni fiscali per le aziende che investono in macchinari e attrezzature costituirebbe una «boccata di ossigeno», soprattutto per le imprese medio-piccole. Altre misure varate a sostegno di una nuova politica produttiva vanno dalle agevolazioni per l'accesso al credito con il rifinanziamento del fondo di garanzia, alla moratoria sui debiti, dalla semplificazione del rapporto con la pubblica amministrazione attraverso strumenti quali la comunicazione unica, lo sportello unico per le attività produttive e la segnalazione certificata di inizio attività, al contratto di rete per accrescere la competitività e la capacità innovativa ed infine al taglio degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese al fondo nazionale di investimento a sostegno dei processi di patrimonializzazione;
la difficile congiuntura economica continua ad incidere pesantemente sul nostro sistema produttivo, come testimoniano le molte crisi aziendali aperte e il massiccio ricorso alla cassa integrazione;
i segnali di ripresa degli ordinativi che si registrano negli ultimi mesi sono da attribuirsi prevalentemente alla domanda che proviene dall'estero, mentre non si evidenziano segnali positivi sul fronte della domanda interna, sicché si rende necessario assumere iniziative che diano stimolo ai consumi privati e agli investimenti pubblici;
nonostante gli ultimi dati sulla produzione industriale risultino incoraggianti ancora oggi, tuttavia, molte imprese si trovano in una situazione di oggettiva difficoltà, dovuta al perpetuarsi di molteplici problematiche che la crisi ha contributo ad accentuare;
un primo ostacolo alla crescita di queste importanti realtà produttive è rappresentato dalla minore liquidità, dovuta alla concreta difficoltà che le imprese di minori dimensioni hanno di veder soddisfatti in tempi ragionevoli i propri crediti, anche a causa della lentezza della giustizia civile: in media occorrono 1765 giorni per la conclusione di un procedimento, con un conseguente onere a carico delle aziende stimato in 2.331 milioni di euro (dati Confartigianato 2006);
le piccole e medie imprese, già fortemente provate dalle difficoltà di accesso al credito bancario, circostanza che richiede un attento monitoraggio degli accordi di Basilea 3, accusano più delle grandi i ritardi nei pagamenti, rischiando la propria stessa sopravvivenza, con conseguenze dannose per l'intera filiera produttiva;
al fine di contenere la pratica dei ritardi di pagamento, che interessa la maggior parte dei Paesi dell'Unione europea, è stata approvata una direttiva relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, finalizzata a migliorare l'efficienza e l'efficacia degli strumenti di ricorso, con particolare riferimento a quelli delle pubbliche amministrazioni;
sul fronte degli investimenti pubblici, occorre rilevare che il patto di stabilità interno impone vincoli stringenti agli enti locali, penalizzando, soprattutto, quelli più virtuosi, che si vedono costretti a dover sospendere i progetti di investimento e i pagamenti alle aziende;
un ulteriore freno agli investimenti e al rilancio delle attività produttive è rappresentato dai pesanti costi burocratici che gravano sulle nostre piccole e medie imprese; su questo versante, nonostante le importanti iniziative già assunte dal Governo e sopra richiamate, si stima che l'onere a carico delle piccole e medie imprese si aggira intorno ad una media che va dai 1900 ai 2300 euro ad impresa;
un particolare sostegno alle piccole e medie imprese è arrivato dal rafforzamento delle misure di contrasto all'ingresso sul territorio nazionale di prodotti industriali contraffatti e dall'obbligo di etichettatura dei prodotti con l'approvazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, («legge Reguzzoni-Versace»), che rappresenta un valido strumento di tutela del made in Italy. Attualmente sono state presentate alla Camera dei deputati numerose altre proposte di legge, che hanno l'obiettivo di estendere l'obbligo di etichettatura ai più importanti settori merceologici. In sede europea, la Commissione commercio internazionale ha adottato a larga maggioranza la relazione sulla proposta di regolamento sull'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti importati da Paesi terzi; ciò è l'espressione di una volontà di cambiamento che il Governo italiano dovrebbe cogliere, per dare concreta attuazione alle istanze espresse dalle imprese manifatturiere per una maggiore tutela del made in Italy,

impegna il Governo:

a prevedere, nell'ambito delle disponibilità finanziarie, ulteriori meccanismi di incentivazione degli investimenti effettuati dalle imprese, soprattutto le medio-piccole, mediante l'adozione di misure di impulso al rinnovamento dei macchinari e delle attrezzature, sul modello della «Tremonti-ter», avviando la riforma del sistema degli incentivi alle imprese al fine di semplificarne le procedure di accesso e di destinare una maggior quota di risorse disponibili per l'attivazione, in particolare, di progetti di imprenditoria giovanile e femminile e adottando nel contempo misure a sostegno dei distretti produttivi italiani;
ad assumere, quanto prima, iniziative normative di modifica dell'attuale disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, che puntino al miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia degli strumenti di ricorso contro tali ritardi, dando piena attuazione alle recenti misure adottate in materia dall'Unione europea e allineando il nostro Paese alle normative delle economie più avanzate;
ad assumere iniziative di competenza dirette a rivedere ulteriormente il patto di stabilità interno, consentendo alle amministrazioni locali l'utilizzo delle risorse disponibili per portare a termine gli investimenti già programmati, in particolare per gli interventi necessari sulle infrastrutture, l'edilizia scolastica, le manutenzioni ordinarie e straordinarie, ritenute essenziali per l'erogazione dei servizi ai cittadini;
a proseguire nel processo di informatizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, anche introducendo il principio di proporzionalità, al fine di correlare l'onerosità degli adempimenti amministrativi alla dimensione dell'impresa, con l'obiettivo di snellire i tempi e le modalità di esecuzione degli obblighi a carico delle imprese;
a rafforzare gli strumenti di tutela del made in Italy, favorendo, per quanto di sua competenza, il rapido iter delle proposte di legge presentate alla Camera dei deputati sulla commercializzazione di prodotti strategici per l'industria italiana e adoperandosi in sede europea affinché venga quanto prima adottato il regolamento sull'indicazione del Paese di origine dei prodotti importati da Paesi extracomunitari;
a proseguire nella revisione degli studi di settore, nella loro architettura generale, ma soprattutto nella concreta applicazione sul territorio, tenendo presente che l'utilizzo delle stime operate dagli studi non può avvenire in maniera automatica, ma deve tenere in massima considerazione gli elementi forniti dal contribuente e che gli studi devono tornare ad essere un mero strumento statistico, applicato in maniera flessibile, con un diverso rapporto tra fisco e contribuente, in base alle specificità delle diverse realtà territoriali, dei singoli settori merceologici e tenendo in debito conto gli effetti e le conseguenze della crisi economico-finanziaria, che ancora sta colpendo il nostro sistema produttivo;
a monitorare le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese, alla luce del progressivo recepimento degli accordi di Basilea 3, aventi ad oggetto la capitalizzazione del sistema bancario, affinché il raggiungimento dei nuovi parametri patrimoniali richiesti alle banche non comporti una stretta sul credito alle imprese e ad un aumento dei tassi di interesse.
(1-00540)
«Reguzzoni, Montagnoli, Lussana, Luciano Dussin, Fogliato, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dozzo, Guido Dussin, Fava, Fedriga, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

La Camera,
premesso che:
secondo i recentissimi dati diffusi il 18 gennaio 2011 dalla Banca d'Italia, la crescita dell'economia italiana resterà «moderata» nel corso del 2011, con un prodotto interno lordo che manterrà, sia nel 2011 sia nel 2012, il basso ritmo di crescita dell'anno 2010, intorno all'1 per cento. In particolare, la Banca d'Italia sottolinea che nel biennio 2011-2012 la ripresa economica sarà ancora trainata dalle esportazioni ma risentirà della debolezza della domanda interna e degli effetti delle misure di riequilibrio dei conti pubblici varate nell'estate 2010. La crescita, dunque, frenata dalla debole domanda interna resterebbe inferiore a quella dell'area euro stimata all'1,5 per cento. Alla fine del 2012, infatti, il prodotto interno lordo dovrebbe recuperare solo circa la metà della perdita subita nel corso di questi ultimi anni di recessione, pari a quasi 7 punti percentuali. Ne consegue, inevitabilmente, che ritmi produttivi così modesti non consentirebbero una ripresa significativa dell'occupazione, che, nel settore privato, si espanderebbe di circa 0,5 punti percentuali sia nel 2011, sia nel 2012. Per tali ragioni, la Banca d'Italia ha evidenziato la necessità di rimuovere gli ostacoli strutturali che hanno finora impedito all'economia italiana di inserirsi pienamente nella ripresa dell'economia mondiale;
su questa stessa linea appaiono anche i dati resi noti solo qualche giorno fa (il 26 gennaio 2011) dal centro studi di Confindustria che confermano come il nostro Paese fatichi ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo e, nonostante i dati positivi sulla ripresa globale, l'Italia, rileva Confindustria, non terrebbe il passo con Paesi appartenenti all'eurozona quali la Germania e altri come l'Asia e gli Stati Uniti d'America. La produzione industriale si attesterebbe al 17,8 per cento al di sotto del livelli pre-crisi. Sempre secondo Confindustria, la dinamica dei consumi in Italia continuerà a essere frenata dalle difficoltà nel mercato del lavoro e nei primi tre mesi del 2011 resteranno negative, di conseguenza, anche le aspettative delle imprese riguardo alle assunzioni;
intanto il debito pubblico continua a crescere. Secondo l'ultimo supplemento al bollettino di «finanza pubblica, fabbisogno e debito» della Banca d'Italia, il debito pubblico italiano è salito a 1.869.924 milioni di euro, rispetto ai 1.867.398 milioni nel mese precedente e 1.786.744 milioni di novembre 2009. In un anno, dunque, da novembre 2009 al novembre 2010 il debito pubblico è aumentato di 83,2 miliardi di euro, oltre il costo di tre manovre economico-finanziarie, al ritmo di 6,933 miliardi di euro al mese, ovverosia 1.155 euro l'anno per ognuno dei 60 milioni di abitanti italiani, senza che il Governo si sia posto il problema di attuare una seria politica economica per una sua progressiva riduzione;
il tasso di disoccupazione registrato dall'Istat a ottobre 2010 risulta pari all'8,7 per cento, il più alto da quando, nel gennaio 2004, sono iniziate le serie storiche mensili. In particolare, i disoccupati in Italia a ottobre 2010 risultano pari a 2.167.000, più del doppio rispetto ad aprile 2007 e, secondo il già citato centro studi di Confindustria, il biennio di crisi economica è costato all'Italia 540 mila posti di lavoro e la contrazione proseguirà per tutto il 2011. Circa 2.000.000 risultano i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che per l'Istat rientrano nella categoria «Neet» (No education, employment, training), ovvero che non lavorano e non studiano. Un dato confermato dagli esperti dell'Ocse, che vedono l'Italia al terzo posto tra i Paesi industrializzati, dopo Messico e Turchia. Il valore del tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni si attesta al 24,7 per cento, una cifra che sale al 36 per cento per le donne nel Mezzogiorno. Tale aumento, dall'inizio della crisi, è di otto punti percentuali e peggio dell'Italia risulta solo l'Ungheria, in Europa;
nel corso del 2010, le ore di cassa integrazione chieste dalle imprese italiane, secondo l'Istituto nazionale per la previdenza sociale, sono state pari a 1.200.000.000, il 31,7 per cento in più rispetto al 2009, quando erano state 914 milioni. Secondo la Cgil, nel corso del 2010, le aziende che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria sono state 6.185, mentre l'utilizzo dello strumento della cassa integrazione in deroga è aumentato del 250 per cento. I due istituti insieme hanno riguardato complessivamente 400.000 lavoratori;
il tasso d'inflazione medio registrato in Italia, secondo l'Istat, nel 2010, si è attestato all'1,5 per cento. Rispetto al 2009, il dato è quasi raddoppiato (nei dodici mesi precedenti si era attestato allo 0,8 per cento). A dicembre 2010 l'indice dei prezzi ha raggiunto l'1,9 per cento, in crescita di due decimali rispetto al mese precedente. È il dato più elevato dal dicembre 2008;
la pressione fiscale in Italia nel 2009 rispetto al prodotto interno lordo, secondo le stime preliminari Ocse di dicembre 2010, è pari al 43,5 per cento in lieve aumento (+0,2 per cento) rispetto all'anno precedente. L'Italia è riuscita a scalzare così il Belgio dal poco ambito podio, diventando il terzo Paese dal fisco più esoso, dopo la Danimarca (48,2 per cento) e la Svezia (46,4 per cento);
la spesa media dei mutui per gli italiani rispetto alla media europea è superiore di circa 9000 euro. In sostanza, secondo un rapporto dell'Associazione nazionale costruttori edili (Ance) pubblicato il 3 gennaio 2011, «è come se le famiglie italiane pagassero per dodici mesi in più rispetto a quelle europee il credito nel settore delle costruzioni». L'Italia, secondo l'Ance, è il Paese più caro d'Europa per contrarre un mutuo, con un differenziale dei tassi medi di interesse dello 0,36 per cento (il 4,1 per cento in Italia contro il 3,74 per cento a livello europeo);
secondo Federconsumatori e Adusbef, le famiglie italiane dovranno pagare 1.016 euro in più, nel corso del 2011, per acquistare gli stessi prodotti e servizi acquistati nel 2010. In particolare, 267 euro in più dovranno essere spesi per i generi alimentari, 131 euro in più per i carburanti, 120 euro in più per il trasporto ferroviario. I rincari saranno del 7-8 per cento per il gas, del 4-5 per cento per la luce, del 7 per cento per i rifiuti. Stando poi ai dati comunicati dall'Istat, il 29 dicembre 2010 il 33,3 per cento delle famiglie italiane, nel corso del 2009, non è stato in grado di far fronte a una spesa imprevista di 750 euro. Nel 2008 il dato corrispondeva al il 32 per cento. Infine, il 15,2 per cento delle famiglie, poi, ha presentato tre o più sintomi di disagio economico tra quelli dell'indicatore sintetico previsto dall'Eurostat;
alla luce di quanto precede emerge con tutta evidenza come l'attuale Governo non sia ancora riuscito a proporre una politica economica idonea a stimolare concretamente la domanda interna, sostenendo i redditi delle famiglie e promuovendo lo sviluppo dell'impresa ed in particolare delle micro, piccole e medie imprese;
gli ultimi dati Istat disponibili, relativi all'anno 2007, confermano la prevalenza di micro imprese nel sistema produttivo del nostro Paese con oltre 4 milioni di imprese con meno di 10 addetti, che rappresentano il 95 per cento del totale ed occupano il 46 per cento degli addetti. Il 21 per cento degli addetti, pari a quasi 3,7 milioni, lavora infatti nelle piccole imprese (da 10 a 49 addetti), mentre la quota rilevata nelle medie imprese (da 50 a 249 addetti) è il 12,6 per cento (pari a oltre 2,2 milioni di addetti). Soltanto 3.630 imprese (0,08 per cento) impiegano 250 addetti;
avendo riguardo alle problematiche specifiche delle micro, piccole e medie imprese, non risultano ancora attuati nell'ambito del nostro ordinamento gran parte degli obiettivi sanciti a livello europeo dallo Small Business Act «Una corsia preferenziale per la piccola impresa» Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un «Small Business Act» per l'Europa) (COM(2008) 394);
seguendo le indicazioni espresse dal sopra citato documento comunitario, il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo dovrebbe basarsi su di un più decisivo programma di investimenti in materia di educazione, di formazione e di ricerca e le micro, piccole e medie imprese dovranno essere sostenute attraverso l'adozione di specifiche misure nei settori della fiscalità e dell'assistenza agli imprenditori; l'emanazione di provvedimenti volti a favorirne la crescita dimensionale e la capitalizzazione; la creazione di condizioni più favorevoli agli investimenti, anche a livello transfrontaliero; il ricorso all'implementazione di procedure semplificate per la creazione e l'avvio dell'esercizio dell'attività di impresa; il miglioramento della loro governance e visibilità; il rafforzamento del loro potenziale d'innovazione, di ricerca e di sviluppo; l'adozione di misure che incentivino tali imprese a sviluppare nuovi prodotti e servizi rispettosi dell'ambiente e ad adottare sistemi di gestione eco-efficienti; il sostegno al superamento delle barriere commerciali nei mercati esterni all'Unione europea e in particolare nei mercati emergenti, quali la Cina e l'India; la riduzione dei tempi di ritardo di pagamento da parte della pubblica amministrazione; infine, il sostegno e la facilitazione dell'accesso al credito;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico pubblicata il 24 gennaio 2011 sulla testata del Sole 24 Ore, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, si potrebbe ottenere un impatto aggiuntivo sulla crescita del prodotto interno lordo del Paese in un triennio, di circa l'1 per cento grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese. In particolare, adeguando le normative attuali ai principi dello Small Business Act (contesto favorevole per le imprese, maggior facilità di credito, pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese) si potrebbe ridurre il gap di crescita con gli altri Paesi europei, contribuendo anche alla creazione di circa 50 mila nuovi posti di lavoro;
sul tema dell'accesso al credito da parte delle imprese si rileva che l'indagine trimestrale Banca d'Italia - Il Sole 24 Ore sulle aspettative di inflazione e crescita pubblicata il 17 gennaio 2011 - evidenzia come le condizioni di accesso al credito per le imprese presentino sempre profili di particolare criticità e, di fatto, siano rimaste del tutto invariate da settembre 2010 ad oggi, «La quota di imprese che segnala invarianza di condizioni di accesso al credito - si legge nel rapporto - rimane superiore all'80 per cento. Risulta lievemente aumentata sia l'incidenza delle imprese che segnalano un peggioramento di tali condizioni (13,9 per cento, dal 12,4 per cento del trimestre precedente), sia quella di coloro che indicano un miglioramento (5,1 per cento da 3,4 per cento). Si rileva, peraltro, che il tasso di crescita dei prestiti in Italia si è ridotto, nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese che già risultavano fortemente penalizzate dall'applicazione degli accordi internazionali di Basilea, sia in termini di possibilità di accesso al credito, sia in termini di aumento di tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso;
sul tema dello snellimento delle procedure amministrative si evidenzia che, nonostante l'obiettivo corrisponda a quello di ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese, l'Italia rappresenta il Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento, che si ripercuote negativamente soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. L'avvio di una nuova attività imprenditoriale, nonostante le modifiche normative intervenute recentemente sul punto, resta la fase burocraticamente più critica soprattutto per quanto concerne i costi, superiori del 67,2 per cento rispetto alla media europea. Nel nostro Paese, infatti, il principio di «proporzionalità negli adempimenti amministrativi» non risulta di fatto applicato. Attualmente, quindi, per le piccole e medie imprese italiane non esiste giuridicamente una proporzione fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi cui vengono chiamate ad ottemperare e la dimensione dell'impresa, con la conseguente effettiva esigenza di tutela degli adempimenti pubblici;
nel nostro ordinamento, peraltro, non appaiono ancora recepiti i principi sanciti a livello comunitario dalla proposta di direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (di cui alla comunicazione COM(2009)126), che dovrebbe contribuire all'attuazione dello Small Business Act (di cui alla comunicazione COM(2008)394), al fine di creare eque condizioni di concorrenza per le piccole e medie imprese. Tale direttiva si inserisce, altresì, nell'ambito delle misure prospettate dal piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800) che, tra l'altro, invita gli Stati membri e l'Unione europea a garantire che le amministrazioni pubbliche paghino le fatture relative alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi entro un mese;
inoltre, appare quanto mai necessario che il Governo avvii una politica commerciale più attenta alle esigenze del nostro sistema e capace di accompagnare le imprese nella sfida dell'internazionalizzazione, promuovendo e tutelando il made in Italy, ma anche sviluppando maggiormente la concorrenza con regole e strumenti adeguati al fine di contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
occorre promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, rafforzando la ripresa dell'export e la presenza internazionale delle imprese italiane, sviluppando politiche di internazionalizzazione anche attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione, con la conseguente riorganizzazione della rete estera di supporto alle imprese;
occorre investire sulla modernizzazione ecologica dell'economia tramite la riconversione dell'insieme delle attività produttive e dei servizi: riconversione che realmente può rappresentare l'occasione per creare nuovi posti di lavoro qualificati nel settore delle energie rinnovabili, dell'edilizia, dei trasporti, dell'agricoltura e molti altri ancora;
allo stesso modo bisogna investire sul capitale umano salvaguardando i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese. Nei confronti di queste ultime sarebbe auspicabile adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture e a consentire il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, più adatte all'intervento di piccole e medie imprese, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
occorre adottare iniziative volte a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (ovvero 700 milioni di euro), aumentando la brevettabilità delle innovazioni italiane;
appare quanto mai urgente completare gli interventi di liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese;
occorre adottare adeguate iniziative volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche, offrendo nuovi servizi ai cittadini e alle imprese e fornendo così al Paese fattori strutturali di competitività nel campo delle comunicazioni, puntando alla copertura a banda larga a tutta la popolazione entro il 2013 in linea con l'Agenda digitale europea;
occorre adottare specifici interventi per l'imprenditoria femminile attraverso l'attuazione del piano straordinario per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro e l'attivazione di iniziative di sostegno alle lavoratrici e imprenditrici madri, garantendo l'effettiva tutela previdenziale e assistenziale per le madri libere professioniste o assunte con contratti atipici;
occorre prevedere adeguati strumenti per incentivare l'imprenditoria giovanile, riconoscendo alle persone fisiche di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone). Attualmente, infatti, i requisiti richiesti per accedere al cosiddetto forfettone prescindono dal dato dell'età, tanto è vero che possono accedere a questo tipo di agevolazione tutte le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nell'anno solare precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 30.000 euro; non hanno effettuato cessioni all'esportazione; non hanno sostenuto spese per lavoratori dipendenti o collaboratori di cui all'articolo 50, comma 1, lettere c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto, programma di lavoro o fase di esso, ai sensi degli articoli 61 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, né erogato somme sotto forma di utili da partecipazione agli associati di cui all'articolo 53, comma 2, lettera c), dello stesso testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Infine, possono accedere a questo tipo di agevolazione le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che nel triennio solare precedente non hanno effettuato acquisti di beni strumentali, anche mediante contratti di appalto e di locazione, pure finanziaria, per un ammontare complessivo superiore a 15.000 euro;
nonostante le massime autorità istituzionali abbiano dichiarato come rappresenti un imperativo forzare la crescita della nostra economia perché le previsioni indicate dalla Banca d'Italia e dal Fondo monetario internazionale risultano troppo inferiori alle aspettative del nostro Paese, suscita forti perplessità, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che parte della copertura finanziaria del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie (atto Senato n. 2518), attualmente in esame presso il Senato della Repubblica, venga fatta valere, quanto a 73 milioni di euro per l'anno 2011, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di quota parte delle disponibilità dei conti di tesoreria accesi per gli interventi del fondo per la finanza d'impresa che, come noto, dovrebbe invece perseguire l'obiettivo di facilitare l'accesso al credito e al capitale di rischio da parte delle imprese, soprattutto di quelle medie e piccole. Per altro, il fondo nazionale di investimento, nato il 18 marzo 2010, come misura di sostegno dei processi di patrimonializzazione delle piccole e medie imprese, con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, non risulta ad oggi ancora operativo, mentre il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dispone attualmente di risorse che non consentono di fornire un sostegno adeguato alle le piccole e medie imprese soprattutto in questa fase economica;
nonostante il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, insista ripetutamente sulla necessità di investire su ricerca e sviluppo e che, per la ricerca e l'innovazione, la Commissione europea nell'ambito del cosiddetto PNR (Programma nazionale di riforma), nel contesto della strategia Europa 2020 ha indicato nel 3 per cento del prodotto interno lordo il livello minimo di spesa da raggiungere nel prossimo decennio anche attraverso l'adozione di misure fiscali, secondo gli ultimi dati disponibili contenuti nella «Relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive» del Ministero dello Sviluppo economico, negli ultimi anni le agevolazioni sono in costante diminuzione, mentre tutti gli altri Paesi industrializzati stanno sostenendo con misure rilevanti sia la ricerca e l'innovazione tecnologica sia la green economy quali fondamentali veicoli di crescita e di opportunità per lo sviluppo di nuove imprese e la conseguente creazione di nuova occupazione;
presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati è in corso di esame un testo unificato delle proposte di legge (atto Camera n. 2754) ed abbinate, volto a definire lo statuto giuridico delle imprese prevedendo misure in grado di favorirne l'avvio, lo sviluppo e la competitività, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, relativamente alle quali si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act adottato a livello comunitario (COM (2008) 394). La medesima Commissione ha svolto un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale, nell'ambito della quale, il 1o dicembre 2009, ha avuto luogo l'audizione del Ministro dello sviluppo economico,

impegna il Governo:

ad adottare le opportune iniziative finalizzate a rilanciare la domanda interna, il potere di acquisto delle famiglie, sostenendo i redditi da lavoro e da pensione, così da accelerare la dinamica dei consumi in Italia;
a sostenere le micro, piccole e medie imprese assumendo le necessarie iniziative, anche normative, volte ad entrare nella fase operativa dell'attuazione dello Small Business Act, dando attuazione alle principali proposte volte a rilanciare alla competitività delle piccole e medie imprese, mettendo in campo nuovi strumenti finanziari per il sostegno della patrimonializzazione e capitalizzazione delle piccole e medie imprese, avviando l'operatività del fondo italiano di investimento istituito il 18 marzo 2010 presso il Ministero dell'economia delle finanze;
ad adottare le opportune iniziative volte a favorire l'effettivo accesso al credito alle piccole e medie imprese, valutando l'opportunità di incrementare in maniera consisteste le risorse a disposizione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, di aumentare il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia;
a monitorare le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese, alla luce del recepimento degli accordi internazionali di Basilea, da ultimo Basilea 3;
a proseguire nel processo di semplificazione degli oneri burocratici e amministrativi, dando concreta attuazione, nell'ambito del nostro ordinamento giuridico, del principio della proporzionalità fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese;
a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, valutando altresì la possibilità di istituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo rotativo che anticipi i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni stesse;
ad individuare specifici indirizzi e risorse finanziarie per sostenere il made in Italy e per promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a rifinanziare le disposizioni varate durante la XV legislatura in materia di credito d'imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo per importi non inferiori a quelli previsti nell'anno 2008 (700 milioni di euro), adottando, al contempo, politiche pubbliche realmente efficaci che favoriscano lo sviluppo delle imprese che investono nello sviluppo della ricerca e dell'innovazione tecnologica nei settori dell'ambiente, delle energie rinnovabili, del risparmio energetico, dei servizi collettivi ad alto contenuto tecnologico, ovvero nell'ideazione di nuovi prodotti che realizzino un significativo miglioramento della protezione dell'ambiente;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a proseguire nell'adozione di interventi volti alla liberalizzazione dei mercati, allo scopo di ridurre le rendite di posizione e favorire la libera concorrenza fra imprese e diminuire i costi posti a carico del cittadino-consumatore;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a sostenere la cooperazione strategica tra le università e le piccole e medie imprese in conformità alle indicazioni espresse dalla Commissione europea nelle comunicazioni sulla modernizzazione delle università COM(2006)208 del 1o maggio 2006 e COM(2009)158 del 2 aprile 2009, individuando azioni tese a realizzare una concreta sinergia e forme di partenariato tra le università e le piccole e medie imprese nella partecipazione a programmi di ricerca comunitari e internazionali;
a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta ad aumentare la brevettabilità delle innovazioni italiane, considerato che molte delle innovazioni italiane non sono brevettate e ciò rappresenta un doppio handicap nella competizione globale, in quanto rende più facili le imitazioni e impedisce al contempo di incassare le royalties e moltiplicare il valore dello sforzo innovativo;
ad adottare iniziative volte a promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, attraverso il riassetto e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione;
a valutare la possibilità di adottare ogni atto di competenza, volto a salvaguardare i livelli occupazionali, prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le piccole e medie imprese, nonché ad adottare iniziative volte a prevedere il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto nel momento in cui si incassano le fatture;
a sostenere il finanziamento di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, anche attraverso l'esclusione dal computo dei saldi validi ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese per investimenti per i comuni virtuosi;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative, anche normative, volte a rendere efficace un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione della infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche;
a valutare l'opportunità di adottare adeguate iniziative di carattere finanziario volte a sostenere l'imprenditoria femminile e giovanile, anche attraverso il riconoscimento per le persone di età inferiore ai 35 anni che intendano avviare l'esercizio di attività di impresa, per i primi tre anni dalla data dell'inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato di cui all'articolo 1, commi 96-117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, (ovvero il cosiddetto forfettone).
(1-00544)
«Borghesi, Cimadoro, Porcino, Cambursano, Donadi, Evangelisti, Di Pietro, Barbato, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Rota, Zazzera».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
secondo i dati forniti di recente dalla Banca d'Italia, nella media del 2010, il prodotto interno lordo dell'Italia è aumentato dell'1 per cento, contro l'1,7 dell'area dell'euro, mentre il volume del commercio mondiale nel 2010 è sostanzialmente tornato ai livelli pre-crisi (+ 7,4);
in tale quadro di sostanziale immobilità che potrebbe perdurare anche negli anni 2011 e 2012, l'Italia, per tornare a crescere, deve promuovere un ventaglio di politiche e di riforme tale da innalzare il potenziale di crescita dell'economia italiana, attraverso riforme specifiche rivolte alle micro, piccole e medie imprese, all'interno di una più generale strategia di sviluppo del Paese;
con l'attuale crisi, tutti i Paesi avanzati si stanno confrontando con la ricerca di un nuovo paradigma di sviluppo in grado di sostenere le contestuali sfide dell'allargamento dei diritti, della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica;
è necessario che si affermi, anche nel nostro Paese, un nuovo atteggiamento culturale, sollecitato dall'Unione europea con la comunicazione sullo Small Business Act, per provare a «pensare sempre a misura di piccolo»;
è un dovere, per le future generazioni, che il rigore nei conti pubblici sia sempre accompagnato da politiche di sviluppo;
è necessario costruire il Paese delle opportunità e la libera iniziativa economica dei cittadini è uno strumento fondamentale di mobilità sociale e di sviluppo della capacità creativa degli italiani;
per tali motivi, alle micro, piccole e medie imprese, quasi il 95 per cento del totale, deve essere riconosciuto il ruolo di «spina dorsale» del Paese, elemento, questo, di solida tenuta del sistema economico e sociale, motore di innovazione e di sviluppo, ma soprattutto veicolo di trasmissione di valori e di promozione della parità e della realizzazione umana, fondata sul merito, sulla fatica e sulla capacità di far fruttare i propri talenti;
le piccole e medie imprese italiane sono caratterizzate da una benefica prevalenza del fattore famiglia-lavoro sul capitale, una peculiarità positiva che deve essere sostenuta promuovendone l'organizzazione in rete e sostenendone la patrimonializzazione;
è, dunque, necessario sostenere, sul piano sia giuridico sia fiscale, le reti d'impresa, l'evoluzione dei distretti e delle filiere e dei consorzi, come formazioni in grado di coniugare i vantaggi in termini di flessibilità produttiva e le necessità di una scala adeguata per affrontare la competizione globale;
a tal fine, deve essere riformato l'attuale sistema di incentivi, eliminando quelli «a pioggia» a favore di un sostegno mirato alle aggregazioni tra imprese e tra imprese e università, per rafforzare e favorire lo sviluppo tecnologico e il radicamento della ricerca e della capacità competitiva di territori;
la diversità dell'Italia nella sua struttura produttiva deve essere riconosciuta e, per questo, è necessario un impegno in sede di Unione europea, affinché, in tutti gli ambiti, le politiche tengano conto della specifica ricchezza italiana, non rintracciabile in alcun altro Paese europeo;
la prima modalità di sano finanziamento dell'impresa è una corretta relazione tra debitore e creditore nell'ambito dei pagamenti, sia della pubblica amministrazione che tra privati, mentre troppo spesso il fabbisogno di credito delle piccole e medie imprese è artificiosamente accresciuto da modalità di pagamento capestro, che generano un cortocircuito anche nei sistemi di autofinanziamento più sani ed evoluti;
è innegabile che la difficoltà di accesso al credito sia esponenzialmente cresciuta con la crisi economica;
il sistema bancario è determinante per rendere la crisi meno profonda e duratura; i punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e il costo di tale credito;
in attesa del completamento delle modifiche strutturali di Basilea 2, è indispensabile una moratoria sul rimborso della quota capitale dei prestiti, strada maestra per una trasparente collaborazione tra imprese e sistema bancario, nell'interesse del Paese;
le reti d'impresa, come i distretti e i consorzi, sono un'opportunità da sostenere con una seria normativa che può consentire lo sviluppo di sinergie sui territori; occorre in tal senso considerare le positive esperienze dei distretti;
la vigente tassazione delle imprese presenta una serie di ostacoli alla crescita, perché disincentiva l'utilizzo del capitale proprio rispetto al capitale di debito e tassa differentemente il reddito del capitale investito a seconda della forma giuridica dell'impresa;
per favorire l'occupazione dei molti giovani che, finiti gli studi, non trovano lavoro, vanno sostenuti i progetti di incubazione di nuova impresa collegati a strumenti fiscali innovativi e di basso impatto nella fase di start up, sia per i giovani in cerca di prima occupazione che per le donne e i disoccupati over cinquanta, anche utilizzando le opportunità offerte dal settore cooperativo;
nel Mezzogiorno, in particolare, la promozione e lo sviluppo delle imprese giovanili e femminili devono essere sostenuti poiché in grado di valorizzare le risorse endogene e accrescere il capitale sociale del territorio, permettendo la partecipazione diretta dei cittadini ai processi economici e di cambiamento nelle comunità locali;
deve essere, inoltre, tenuto in grande considerazione il fenomeno nuovo, e quanto mai significativo per l'integrazione e la crescita del Paese, delle 340.000 aziende costituite da immigrati; la promozione dell'autoimpresa per chi viene in Italia, affermandosi nella legalità e nel rispetto delle regole e rispondendo a esigenze reali di mercato, rimane un punto a favore di ogni processo di integrazione,

impegna il Governo:

ad operare per estendere, per tutto il 2011, la moratoria dei debiti bancari delle imprese, ampliandola al lavoro autonomo e alle professioni;
ad adottare ogni opportuna iniziativa affinché la progressiva applicazione dell'accordo Basilea 3 non si traduca in un inasprimento delle condizioni del credito bancario verso le piccole e medie imprese, altresì prevedendo adeguate misure a sostegno delle operazioni di capitalizzazione e di crescita dimensionale e favorendo opportuni meccanismi di garanzia pubblica sui finanziamenti a medio e lungo termine concessi dalle banche alle piccole e medie imprese;
a intervenire in modo definitivo nella lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali sia tra imprese che tra imprese e pubblica amministrazione, con iniziative che obblighino a saldare le fatture in tempi ragionevoli, anche sulla base della direttiva europea attualmente in discussione, attuando nel breve termine la compensazione dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione superiori ai 60 giorni con crediti fiscali e previdenziali;
ad assumere iniziative per eliminare gradualmente l'Irap sul costo del lavoro, per esentare dal pagamento delle imposte la parte di reddito reinvestita nell'azienda, nell'attività professionale, nelle società, per ad applicare l'aliquota del 20 per cento al reddito ordinario percepito dai lavoratori autonomi, dagli imprenditori individuali, dal socio in società di persone e per prevedere l'assoggettamento all'Irpef della parte eccedente;
a promuovere la riforma degli studi di settore per semplificarli, evitando che diano luogo ad una sorta di minimum tax, iniqua nei confronti dei contribuenti di dimensioni minori e, al tempo stesso, inefficace contro l'evasione, prevedendo la riduzione del loro numero, la revisione delle modalità di calcolo e un piano straordinario di formazione degli operatori dell'Agenzia delle entrate sul corretto funzionamento degli studi e la modifica dei criteri di attribuzione della retribuzione di risultato;
a promuovere la riforma dell'attuale sistema di incentivi, attraverso un drastico ridimensionamento degli incentivi individuali, per spostare le risorse pubbliche sulla costruzione di grandi reti di collaborazione con radicamento locale, e favorire l'aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull'assetto dimensionale del tessuto produttivo;
a sostenere il made in Italy mediante iniziative, anche normative, volte ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali ad esempio il settore tessile, abbigliamento e calzaturiero ed altri comparti che risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;
ad assumere iniziative per ripristinare il credito d'imposta automatico in ricerca e sviluppo;
a sostenere l'avvio di nuove imprese di giovani e donne tramite la riduzione dei costi ordinari di costituzione e start up, delle tariffazioni per la tenuta della contabilità, dei costi dei servizi bancari;
a eliminare il gap consistente dovuto all'elevato costo dell'energia rispetto ad altri competitori europei, che vede più svantaggiate le micro e piccole imprese nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni;
a promuovere una revisione del patto di stabilità interno al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali, con lo scopo di riavviare un ciclo virtuoso collegato all'attuazione di interventi infrastrutturali e al miglioramento dei servizi, indispensabili alla ripresa delle attività produttive in ambito territoriale e al miglioramento della qualità della vita dei cittadini;
a prevedere una drastica riduzione degli oneri burocratici sulle piccole e medie imprese, evitando continue sovrapposizioni normative che hanno dato luogo a ulteriori appesantimenti degli iter e prevedendo obblighi proporzionati alle dimensioni e al settore aziendale;
ad adottare iniziative di competenza affinché nelle gare per appalti di forniture alle pubbliche amministrazioni vi sia una riserva di beni e servizi per le piccole imprese e per i fornitori locali nei piccoli comuni.
(1-00546)
«Lulli, Boccia, Colaninno, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Zumino, Marco Carra».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
sebbene il 2011 si presenti come l'anno della stabilizzazione delle aspettative e della riduzione dell'incertezza, secondo l'analisi mensile del centro studi di Confindustria, i ritmi di crescita restano molto differenziati, con l'Italia che fatica ad andare oltre l'1 per cento nella velocità del prodotto interno lordo;
i tribunali tributari registrano numeri significativi relativi alle procedure fallimentari delle piccole e medie imprese. L'aumento medio dei fallimenti è arrivato al 18 per cento nel terzo trimestre 2010, a testimonianza del fatto che la crisi economica-finanziaria non è stata del tutto assorbita dal mondo produttivo ed imprenditoriale e conferma la necessità per il Governo di riformare le politiche e il contesto strutturale legati alla creazione e allo sviluppo delle imprese, tenuto conto che le piccole e medie imprese in Italia hanno da sempre fornito un contributo fondamentale alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro;
in tale ottica e in attuazione della comunicazione della Commissione Europea «Pensare in piccolo», l'Italia è stata tra i primi Paesi europei ad aver dato attuazione allo Small Business Act (SBA), nato con lo scopo di creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle piccole e medie imprese;
le nuove misure contenute nello Small Business Act interesseranno una realtà numericamente molto importante: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità di piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti. Il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
oltre a costituire numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, le piccole e medie imprese impiegano oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi;
secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico, attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, l'impatto sul prodotto interno lordo italiano, su base triennale, si aggirerebbe intorno all'1 per cento con 50 mila posti di lavoro in più grazie al maggior valore prodotto dalle piccole e medie imprese;
dal confronto tra Italia e la media europea su alcuni degli indicatori individuati dallo Small Business Act giudicati essenziali per favorire la crescita delle piccole e medie imprese, il nostro Paese esce con poche luci e molte ombre;
in particolare l'Italia, oltre a registrare forti ritardi sull'innovazione, l'accesso al credito e nei ritardi di pagamento, evidenzia ancora un forte gap di produttività: i 43.200 euro di valore aggiunto per addetto colloca l'Italia sotto la soglia di Germania, Francia e Gran Bretagna e solo nelle aziende con almeno 50 addetti tale differenza viene meno;
si registra una minor diffusione di competenza per l'innovazione e l'Italia appare indietro nella percentuale di imprese che hanno redditi da nuovi prodotti e nella quota di personale con titoli di studio elevati;
dal punto di vista dell'internazionalizzazione si segnala la lentezza dei tempi dell'export (quasi il doppio dei giorni rispetto agli standard europei) che colloca l'Italia all'ultimo posto dopo Ungheria e Repubblica Ceca;
nonostante si stia consolidando la ripresa dei finanziamenti alle piccole e medie imprese, stando agli ultimi dati della Banca d'Italia, dal confronto emerge che l'Italia è anche penultima nella classifica per quanto attiene alle possibilità di accesso al credito e nei ritardi nei pagamenti;
secondo il tavolo interassociativo delle imprese di servizi, lo Stato deve alle imprese del settore dei servizi tra i 60 e i 70 miliardi di euro (di cui la metà è rappresentata da credito verso enti del servizio sanitario nazionale) con un ritardo medio nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione di 100 giorni. La situazione potrebbe migliorare con l'entrata in vigore della direttiva sui ritardi dei pagamenti, ma allo stato molte piccole e medie imprese si trovano in una posizione drammatica, costrette a «fare da banca alla pubblica amministrazione»;
questi risultati, se rapportati alla quota di aiuti di Stato destinati alle piccole e medie imprese (quasi 4 volte la media europea), evidenziano come il contributo dello Stato non abbia prodotto i risultati attesi. Secondo il Ministro dello sviluppo economico, la riforma degli incentivi, che entrerà in vigore a gennaio 2012, porterà benefici particolari proprio alle medie e piccole imprese;
tra le misure utili al rilancio dell'economia delle zone depresse ad alto disagio sociale ed economico del Paese, attraverso esenzioni fiscali automatiche per le piccole e micro imprese per un periodo di 14 anni, erano state inserite le zone franche urbane, che avevano ottenuto l'autorizzazione anche dalla Commissione europea ma che la manovra d'estate ha, di fatto, cancellato e sostituito con le zone a burocrazia zero che non prevede, tuttavia, una sistema automatico di defiscalizzazione;
le piccole e medie imprese devono poter contare su strumenti nuovi e di semplice attuazione per poter agganciare la ripresa per cui una riforma degli incentivi può rappresentare uno degli interventi utili a questo scopo, soprattutto dal lato della semplificazione delle norme e delle procedure per rendere gli incentivi realmente e facilmente fruibili dalle piccole imprese;
scaduta la moratoria dei debiti delle piccole e medie imprese, è necessario individuare strumenti coerenti con una fase economica, che conserva ancora forti elementi di incertezza, che non penalizzino le imprese nelle condizioni di accesso al credito, che valorizzino le garanzie pubbliche e quelle rilasciate dai consorzi fidi;
nonostante la crisi economica abbia ridotto fatturati e profitti, la pressione fiscale sta penalizzando e pesando comunque sulle piccole e medie imprese. Tassando voci quali il costo del personale, gli oneri finanziari, svalutazioni e perdite su crediti, l'imposta regionale sulle attività produttive è risultata indifferente ai cali di redditività e mina le possibilità di rilancio drenando risorse fresche dalla casse delle imprese;
l'attività finanziario-imprenditoriale presenta un deficit rispetto ai competitor europei a causa di una cultura finanziaria delle piccole e medie imprese che non considera forme alternative al capitale di debito: nel Sud Italia, per esempio, solo il 4 per cento degli investimenti è destinato al venture capital;
anche se il premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz ha affermato che «in materia di piccole medie imprese l'America deve imparare dall'Italia», prendendo atto della capacità di reazione delle nostre piccole e medie imprese davanti a una crisi globale come quella attuale, i Governi sanno che la dimensione delle piccole e medie imprese costituisce spesso un ostacolo al loro sviluppo sul piano internazionale. I limiti della dimensione aziendale potrebbero essere superati attraverso l'organizzazione delle piccole e medie imprese in reti di imprese, in cui si condividono gli investimenti in innovazione del prodotto, formazione del personale e ricerca di nuove opportunità di mercato;
il rilancio dell'economia del Paese non può prescindere da un rafforzamento delle misure volte a contrastare il fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale legata all'economia sommersa;
nonostante uno degli obiettivi fissati al vertice di Lisbona del marzo 2000 era quello di portare la percentuale delle donne occupate dal 51 per cento del 1999 (rispetto al 61 per cento degli uomini) al 60 per cento nel 2010, in base ai dati Istat di agosto 2010 il tasso di occupazione femminile era pari al 46,1 per cento, quasi 22 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione maschile,

impegna il Governo:

a procedere in tempi rapidi alla definizione del provvedimento di riforma degli incentivi;
a rafforzare, attraverso un sistema di agevolazioni, le reti di impresa quale strumento per accrescere la competitività e la capacità di innovazione delle piccole e medie imprese e quale strumento propedeutico per forme di aggregazione più profonde;
ad elaborare un sistema di tassazione più favorevole alle imprese prevedendo agevolazioni per gli utili reinvestiti e per ridurre il cuneo fiscale;
a valutare l'opportunità di introdurre nuove misure destinate alle piccole e medie imprese per agevolarne i progetti di ricerca o gli investimenti in alta tecnologia o ambiente, attraverso programmi di promozione delle esportazioni;
a prevedere maggiori tutele dalla concorrenza asimmetrica dei mercati globalizzati senza regole e controlli e favorirne lo sviluppo rimuovendone i molti vincoli che ne ostacolano l'operatività e la crescita sul piano internazionale;
in attesa dell'entrata a regime della direttiva sui ritardi dei pagamenti, a prevedere forme di compensazione di crediti con versamenti da effettuare per imposte e contributi obbligatori o l'anticipazione senza oneri dei pagamenti da parte della Cassa depositi e prestiti o da parte delle banche;
a favorire la formulazione di una nuova intesa sulla moratoria sui debiti delle piccole e medie imprese che privilegi iniziative di crescita e di sviluppo rispetto a operazioni di semplice copertura di perdite relative a finanziamenti pregressi come anche richiesto da Rete imprese Italia;
a valutare l'opportunità di favorire il rilancio del venture capital come fattore di sviluppo per le piccole e medie imprese;
a valutare l'opportunità di procedere ad una più attenta analisi del fenomeno dell'economia sommersa anche attraverso una disaggregazione della stima per settori economici e per tipologia di contribuenti con l'obiettivo di analizzare la concentrazione del sommerso e della connessa evasione, e di approfondimento degli effetti del contrasto di interessi, già ampiamente e positivamente sperimentato in edilizia, per valutarne l'efficacia come strumento in grado di ridurre l'evasione fiscale;
ad assumere iniziative dirette ad introdurre nuovi strumenti di agevolazioni fiscali, oltre a quelli già previsti dalla normativa vigente, al fine di incentivare la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa.
(1-00549)
«Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Pezzotta, Occhiuto, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Libè, Rao, Naro, Volontè».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
nonostante la gravità della crisi economica in atto, il Governo ha affrontato con efficacia la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito il Paese, varando una serie di provvedimenti che hanno evitato all'economia italiana pesanti conseguenze che, invece, hanno colpito altri Paesi dell'Unione europea;
tale crisi economico-finanziaria ha investito tutti i settori dell'economia italiana tra cui le piccole e medie imprese;
in Italia queste ultime costituiscono una realtà numericamente molto significativa: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9 per cento) sono, infatti, piccole e medie imprese. Inoltre, la quasi totalità delle piccole e medie imprese (il 95 per cento) è costituita da imprese con meno di 10 addetti; il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5 per cento), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5 per cento del totale;
dal punto di vista dei settori economici, le piccole e medie imprese, soprattutto quelle con meno di 10 addetti, si concentrano nel terziario (circa il 76 per cento del totale delle piccole e medie imprese), in particolare nelle attività immobiliari, di informatica, di ricerca e di altre attività professionali (25,2 per cento) e nel commercio al dettaglio (16,5 per cento);
le piccole e medie imprese non solo costituiscono numericamente l'ossatura del sistema produttivo nazionale, ma anche il loro contributo in termini di occupazione è significativo: impiegano, infatti, oltre l'81 per cento degli occupati, in particolare nel settore dei servizi (circa il 49 per cento). Analoga situazione si registra anche in termini di valore aggiunto: il 72,4 per cento (esclusa l'agricoltura) è prodotto dalle piccole e medie imprese, di cui più della metà dalle imprese del terziario;
pertanto il Governo italiano il 30 aprile 2010 ha firmato, primo Paese in Europa, la direttiva con cui si è data attuazione allo Small Business Act (SBA), che introduce importanti misure innovative per accrescere la competitività delle piccole e medie imprese italiane;
nella duplice prospettiva di affrontare l'emergenza economica, da un lato, e di individuare obiettivi di medio termine di sviluppo del sistema industriale italiano ed in particolare delle piccole e medie imprese, tenuto conto dei dieci principi guida contenuti nello Small Business Act, vengono individuate le seguenti priorità di policy:
a) effettuare una preliminare analisi d'impatto di ogni nuova normativa d'interesse per le piccole e medie imprese (come previsto dalla normativa dell'analisi di impatto della regolamentazione (air)) ed operare affinché i testi normativi siano redatti con disposizioni chiare e facilmente comprensibili;
b) dare piena attuazione e massima evidenza, ai fini della piena conoscenza ed utilizzo da parte delle imprese, agli strumenti normativi ed organizzativi già approvati ed in vigore (come la comunicazione unica per via telematica al registro delle imprese ai fini dell'iscrizione previdenziale, assicurativa e fiscale, nonché per l'ottenimento del codice fiscale e dell'imposta sul valore aggiunto necessari per l'avvio di nuove attività (articolo 9 del decreto-legge n. 7 del 2007, convertito dalla legge n. 40 del 2007), la riforma dello sportello unico per le attività produttive (con l'articolo 38 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008), la segnalazione certificata di inizio attività sostitutiva della dichiarazione di inizio attività, l'istituzione delle agenzie per le imprese, strumenti tutti orientati a garantire che l'avvio dell'attività imprenditoriale sia il più veloce possibile, in particolare spostando in un secondo momento la verifica dei requisiti necessari all'esercizio della stessa;
c) operare ulteriormente al fine di ridurre il carico degli adempimenti amministrativi che ostacolano l'esercizio dell'attività imprenditoriale, limitando la competitività delle imprese ed imponendo loro un aggravio di costi e procedure;
d) incentivare ed accompagnare le imprese all'utilizzo del «contratto di rete»;
e) agevolare, anche dando attuazione alla recente riforma della legge fallimentare, il ricorso alla composizione negoziale delle crisi d'impresa, attraverso la configurazione dei nuovi istituti di risanamento che favoriscono il raggiungimento di accordi tra impresa in difficoltà e creditori;
f) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità giovanile e sviluppare la cultura d'impresa e l'orientamento al lavoro autonomo nelle scuole;
g) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità femminile anche attraverso l'adozione di misure tendenti a rimuovere gli ostacoli che ne limitano l'accesso al credito;
h) incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità presso quegli immigrati che intendono avviare delle attività, anche promuovendone l'istruzione e la formazione;
i) favorire il trasferimento di impresa, con particolare attenzione alla fase del passaggio generazionale all'interno delle imprese familiari, anche grazie alla creazione di un istituto che favorisca l'incontro tra domanda e offerta;
l) favorire la trasformazione, in tutto o in parte, delle aziende in crisi in cooperativa;
m) fare in modo che la già più che positiva azione di sostegno all'accesso al credito a favore del sistema delle imprese svolta in questi anni dal fondo centrale di garanzia (avviato nel 2000, rifinanziato nel picco della crisi con 1,6 miliardi di euro; il fondo ha realizzato 24.600 operazioni nel 2009 ed oltre 50.000 nel 2010, attivando oltre 9 miliardi di euro di finanziamenti nel 2010, per un importo garantito di circa 5,2 miliardi di euro) trovi un ulteriore motivo di rafforzamento sia mediante l'apporto di nuove risorse finanziarie in collaborazione e sinergia con gli analoghi strumenti finanziari attivati dalle regioni, sia perfezionandone la natura di infrastruttura finanziaria, di strumento di politica industriale e produttiva, con particolare attenzione al sostegno dei progetti di innovazione ed internazionalizzazione delle piccole e medie imprese;
n) operare per la diffusione presso le imprese di strumenti complementari di finanziamento quali il ricorso al mercato obbligazionario ed azionario, il private equity ed il venture capital e, per le imprese di più piccola dimensione, il microcredito, così da limitare la loro dipendenza dal tradizionale canale bancario (capitale di debito), alla luce anche dell'evidente carenza di cultura finanziaria che ostacola lo sviluppo di larga parte delle piccole e medie imprese del Paese;
o) verificare l'operatività del nuovo fondo nazionale per l'Innovazione (istituito con decreto ministeriale il 10 marzo 2009 con una dotazione di 80 milioni di euro), che ha come obiettivo il sostegno finanziario a progetti innovativi realizzati dalle piccole e medie imprese che prevedano lo sfruttamento a fini economici ed imprenditoriali dei brevetti e dei disegni industriali, mettendo a loro disposizione, in collaborazione con il sistema creditizio e finanziario, una linea di finanziamento in capitale di rischio ed una in capitale di debito;
p) dare piena attuazione alla recente riforma del codice della proprietà industriale (in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 99 del 2009, cosiddetta legge sviluppo), in particolare per quanto riguarda gli aspetti legati alla semplificazione delle procedure e alla riduzione degli adempimenti amministrativi necessari a privati cittadini e/o imprese per ottenere un titolo di proprietà industriale (procedure per la traduzione delle domande internazionali di brevetto; semplificazione dei procedimenti di trascrizione dei brevetti; previsione che una persona singola possa depositare un brevetto in comunione con e nell'interesse di più soggetti);
q) sostenere l'ulteriore diffusione sul territorio nazionale (in collaborazione e sinergia stretta con le regioni) degli istituti tecnici superiori (ne sono ad oggi stati creati più di 50 in 15 regioni), con l'obiettivo di formare potenziali imprenditori e/o figure tecniche con competenze (tecniche, manageriali, linguistiche) coerenti con le necessità espresse dal sistema delle imprese a livello territoriale (con particolare riferimento alle linee prioritarie di sviluppo industriale identificate nei piani di innovazione industriale di «Industria 2015»), assicurare una migliore collaborazione tra il sistema della ricerca e le imprese, anche attraverso una migliore sinergia tra la rete degli incubatori di impresa, parchi scientifici tecnologici (pst) ed i business innovation centres (bic);
r) identificare nuove direttrici di sviluppo industriale del Paese, in particolare nel campo della cosiddetta green economy, dell'ecoinnovazione e dell'efficienza energetica, dei nuovi materiali, delle bioingegneria e della nuova chimica verde, facilitando la nascita di piccole e medie imprese nel campo ed incentivando le imprese al passaggio a produzioni maggiormente sostenibili ed eco-efficienti;
s) sempre in attuazione della delega al Governo contenuta nella cosiddetta legge sviluppo (legge n. 99 del 2009), completare la riforma del sistema degli incentivi, imperniata sulla drastica riduzione delle leggi di incentivazione vigenti (ce ne sono circa 100 a livello nazionale e circa 1.400 a livello regionale e con la riforma si prevede vengano eliminate oltre 30 leggi o forme di incentivazione diverse), su una riserva almeno del 50 per cento delle risorse a vantaggio delle piccole e medie imprese, sulla semplificazione delle procedure attraverso l'utilizzo delle modalità telematiche e sul ricorso privilegiato agli incentivi automatici (ad esempio quelli fiscali e i voucher);
t) incoraggiare e sostenere le nostre imprese a divenire stabili esportatrici, con particolare attenzione a quelle imprese del Mezzogiorno (al momento sono solo 7.000 le imprese italiane stabilmente presenti sui mercati internazionali) e, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione (Ice, Simest, Informest) attualmente in discussione, puntare su una razionalizzazione degli strumenti e delle risorse (ad esempio potenziando il fondo di venture capital gestito dal Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Simest ed il fondo rotativo per favorire i progetti di internazionalizzazione delle imprese) a sostegno delle esportazioni, su una maggior cooperazione tra le reti di sostegno alle imprese all'estero («reti delle reti») e sul collegamento tra le imprese leader già internazionalizzate con alcune di quelle loro collegate in relazioni di subfornitura, quale chiave per l'accompagnamento delle seconde sui mercati esteri;
u) favorire la continuità dell'afflusso di credito alle imprese piccole e medie con adeguate prospettive economiche e che possano provare la continuità aziendale;
v) attuare la legge n. 55 del 2010 - norme a tutela del made in Italy (cosiddetta Reguzzoni-Versace, approvata in Parlamento con ampio consenso bipartisan ed entrata in vigore il 6 maggio 2010), che disciplina i casi in cui può essere utilizzata la dizione made in Italy, prevedendo un obbligo generale di etichettatura per i prodotti finiti ed intermedi del settore tessile, della pelletteria e calzaturiero,

impegna il Governo:

a continuare ad adottare provvedimenti finalizzati al recepimento ed alla piena applicazione della direttiva sullo Small Business Act, favorendo l'adozione di «SBA regionali» da parte delle regioni e sostenendo le proposte di revisione ed integrazione dello stesso recentemente trasmesse dall'Italia alla Commissione europea;
a fare in modo che tutte le misure di agevolazione finanziaria e fiscali prevedano specifici criteri a favore di tutte le forme di aggregazione delle imprese previste dall'ordinamento, con particolare attenzione al contratto di rete;
a dare piena implementazione ai nuovi modelli di aggregazione industriale, ed in particolare allo strumento del contratto di rete (disciplinato con la legge n. 99 del 2009 e che nei giorni scorsi ha avuto il parere favorevole da parte della Commissione europea), che rappresenta lo strumento giuridico che permette alle imprese di accrescere la propria competitività e capacità innovativa sul mercato tramite accordi di collaborazione con altre aziende, strumento utile a sostenere lo sviluppo di nuove filiere produttive che possano agganciare le nuove dinamiche dei mercati;
a razionalizzare, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione, le competenze e le strutture organizzative degli enti coinvolti; ad individuare un modello di nuova presenza all'estero per il sostegno delle nostre imprese; a migliorare il coordinamento con gli altri attori del comparto (Enit-Agenzia nazionale del turismo, Buonitalia, regioni, enti in Italia ed all'estero che fanno capo al sistema camerale), a semplificare e aggiornare i meccanismi di riconoscimento delle agevolazioni pubbliche gestite dal Ministero, migliorando le prospettive di accesso al credito per le imprese esportatrici;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario, che deve essere orientato anche alla progressiva riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni;
ad assumere iniziative volte a prevedere, nel rispetto dei vincoli di bilancio, ulteriori benefici fiscali per le piccole e medie imprese sul modello della cosiddetta «Tremonti-ter»;
a procedere rapidamente alla riforma degli incentivi alle imprese basata su criteri di semplificazione, di ampia telematizzazione e trasparenza nelle procedure di accesso, e che preveda che non meno del 50 per cento delle risorse di incentivazione vengano riservate alle micro e piccole imprese;
a favorire l'accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie imprese attraverso l'obbligo della pubblica amministrazione ed alle autorità competenti di suddividere i contratti in lotti; a rendere visibili le possibilità di subappalto nonché a riservare una quota degli stessi, non inferiore al 30 per cento, alle stesse micro, piccole e medie imprese, e a verificare che le misure di semplificazione delle procedure d'appalto di cui all'articolo 17 della legge n. 69 del 2009 siano efficaci, proponendo, se del caso, interventi migliorativi;
ad adottare ulteriori misure per incrementare l'informatizzazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, al fine di snellire i tempi degli adempimenti burocratici a carico delle imprese e di ridurre l'onere economico che ne deriva;
a seguire attentamente la fase di transizione dell'entrata in vigore dell'accordo di Basilea 3, al fine di garantire adeguate condizioni di accesso al credito, in particolare a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie;
ad incrementare la lotta alla contraffazione al fine di tutelare i prodotti made in Italy e, in particolare, ad attivare tutti i canali diplomatici e di pressione politica a disposizione, affinché venga definitivamente approvata la proposta di regolamento sul «made in» europeo, recentemente approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo.
(1-00550)
«Vignali, Baldelli, Ventucci, Gava, Abrignani, Berruti, De Corato, Galati, Golfo, Jannone, Lazzari, Marinello, Mazzocchi, Milanato, Mistrello Destro, Pelino, Scajola, Verdini, Versace, Bernardo, Angelucci, Berardi, Del Tenno, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Germanà, Leo, Milanese, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Pugliese, Savino, Soglia».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

MOZIONI BOSI ED ALTRI N. 1-00488, DI BIAGIO ED ALTRI N. 1-00451, VILLECCO CALIPARI ED ALTRI N. 1-00541, DI STANISLAO ED ALTRI N. 1-00543 E CICU ED ALTRI N. 1-00551, PORFIDIA ED ALTRI N. 1-00553 E LO MONTE ED ALTRI N. 1-00554 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI CONCESSIONE DEGLI ALLOGGI DI SERVIZIO DEL MINISTERO DELLA DIFESA

Mozioni

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare abitativo della difesa ammonta a circa 18.000 alloggi appartenenti alle diverse Forze armate e collocati su tutto il territorio nazionale, realizzati nel tempo per le diverse esigenze dei militari;
nell'ambito di detto patrimonio immobiliare risulta che circa 5.000 alloggi siano utilizzati da utenti cosiddetti sine titulo ovvero da personale in quiescenza che corrisponde un canone fissato in forma variabile, così come definito dall'amministrazione della difesa, che da tali canoni raccoglie circa 35 milioni di euro all'anno;
il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha stabilito che il Ministero della difesa predisponga un programma per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, anche attraverso la vendita di quelli non più utili alle esigenze delle Forze armate, pur riconoscendo, all'articolo 306, comma 3, il diritto di continuazione della locazione agli utenti che non possono sostenerne l'acquisto, «assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
nel maggio 2010 è stato emesso il decreto ministeriale n. 112, recante regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare;
l'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, venga ridefinito il canone di occupazione dovuto dagli utenti sine titulo, fermo restando, per l'occupante, l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'amministrazione, anche se in regime di proroga. Tale ridefinizione del canone sarà operata sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative normative finalizzate a prevedere che le eventuali maggiorazioni di canone, rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente con decreto del Ministro della difesa, tenendo conto della sostenibilità dei nuovi canoni da introdurre in relazione ai redditi complessivi familiari dei conduttori degli alloggi;
ad assumere iniziative, anche normative, volte a chiarire che l'applicazione di qualunque variazione di canone abbia efficacia solamente a partire dalla data di notifica al conduttore del nuovo canone in tal modo determinato;
a garantire, mediante apposite iniziative normative, la sospensione dei recuperi forzosi previsti all'articolo 2, comma 3, del citato decreto ministeriale, n. 112 del 2010, ciò almeno sino all'emissione del previsto decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare;
ad assumere iniziative per riconoscere agli occupanti di alloggi sine titulo ultrasessantacinquenni la facoltà di poter continuare nella conduzione dell'immobile mediante l'acquisizione di un usufrutto a vita, secondo quanto previsto dal decreto n. 112 del 2010, articolo 7, comma 4.
(1-00488)
(Nuova formulazione) «Bosi, Marcazzan, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Volontè, Naro, Libè, Occhiuto, Rao».

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare della difesa conta circa 18.500 abitazioni collocate su tutto il territorio nazionale, di cui circa 5.000 unità sono riconosciute ad utenti cosiddetti sine titulo, configurabili anche in personale militare in quiescenza che corrisponde un canone mensile non negoziato né negoziabile, ma «imposto», variabile tra i 400 e i 1.200 euro;
attualmente sul versante del gettito l'amministrazione raccoglie circa 35 milioni di euro annui dalle sopra indicate concessioni, risorse non trascurabili perché rappresentano una voce indifferibile tra le entrate del Ministero della difesa;
l'articolo 2, comma 627, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), le cui previsioni sono ora confluite nell'articolo 297, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha stabilito che il Ministero della difesa predisponesse, con criteri di semplificazione, di razionalizzazione e di contenimento della spesa, un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio;
l'articolo 306, comma 3, del citato decreto legislativo n. 66 del 2010, pur prevedendo la possibilità di vendita di quella aliquota di alloggi non ulteriormente utili per soddisfare le esigenze della difesa, riconosce il diritto di continuazione della locazione agli utenti che non possono sostenerne l'acquisto, «assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
nel 2008 la cosiddetta problematica alloggiativa concernente gli immobili della difesa è stata oggetto di analisi di uno specifico gruppo di progetto, che è approdato ad un apposito documento redatto sulla base dell'obiettivo 9 indicato nel piano attuativo della direttiva logistica interforze del 2006, che comprende «l'individuazione di soluzioni alternative per soddisfare le esigenze alloggiative del personale in servizio permanente»;
stando alle riflessioni tracciate nel sopra indicato documento, la risoluzione delle problematiche abitative rappresenterebbe un'esigenza fondamentale ed imprescindibile, in quanto tale elemento andrebbe addirittura ad incidere sulla mobilità del personale e, conseguentemente, sull'efficacia e sull'operatività dello strumento militare;
il documento provvede ad evidenziare un programma di interventi volti a massimizzare la disponibilità abitativa del comparto difesa, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di gestione degli alloggi;
nelle «ipotesi di sviluppo finanziario complessivo», sancite nel documento sopra indicato, viene ipotizzato il rilascio delle unità abitative da parte degli utenti sine titulo attraverso la loro sottoposizione ad un fitto di libero mercato di portata tale che «il canone elevato che si viene a determinare risulta sicuramente antieconomico/insostenibile rispetto ad altra sistemazione abitativa (anche in zone periferiche) tratta dal libero mercato», determinando di conseguenza una maggiore disponibilità abitativa;
nell'obiettivo 9, di cui sopra, emerge, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una condizione di criticità e di seria difficoltà per un numero considerevole di utenti sine titulo, che verrebbero indotti a lasciare le unità abitative concesse loro in virtù delle precedenti disposizioni in materia, che legittimavano la conduzione agli occupanti verso il pagamento di un equo canone (per i titolari di minor reddito) e di equo canone maggiorato del 50 per cento (per i titolari di redditi più elevati). Un approccio dalla ratio, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, di dubbia conformità al dettato costituzionale, aggravato dal fatto di essere tratteggiato nelle linee guida operative di un documento dell'amministrazione competente, nonché di fruizione pubblica;
nel maggio 2010 è stato adottato il decreto ministeriale n. 112, recante regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare;
l'articolo 7 del sopra indicato decreto ministeriale stabilisce che gli alloggi di servizio non più funzionali sono alienati, con diritto di prelazione per il conduttore. In antitesi rispetto al diritto di continuità della locazione chiaramente già sancito dalla legge finanziaria per il 2008, ai conduttori che abbiano manifestato la volontà di continuare nella conduzione dell'alloggio è riconosciuto il diritto di usufruire di un contratto di locazione che abbia la durata di nove anni, se il reddito del nucleo familiare non è superiore a 19.000 euro, ovvero a 22.000 euro nel caso di famiglie con componenti ultrasessantacinquenni o disabili, o di cinque anni, se il reddito del nucleo familiare è superiore a quello sopra indicato, ma non superiore a quello determinato dal decreto di gestione annuale;
in questa prospettiva, si aggiunge la ratio dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, venga ridefinito il canone di occupazione dovuto dagli utenti sine titulo in atto, conduttori di alloggi non compresi tra quelli posti in vendita, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'amministrazione, anche se in regime di proroga. Tale ridefinizione del canone sarà operata sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione;
a partire dai primi giorni di settembre 2010, è stata inviata la notifica di provvedimento di recupero forzoso degli immobili dall'Aeronautica militare agli utenti ricadenti nella fattispecie di cui sopra, in deroga a quanto disposto dall'articolo 6, comma 3, del regolamento di cui al decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112, in base al quale «la Direzione generale ne riferisce al Ministro della difesa, ai fini della verifica della coerenza delle attività rispetto agli indirizzi politico-amministrativi e, (...), approva l'elenco degli alloggi, non più funzionali alle esigenze istituzionali, da alienare». Una scelta operativa che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare unilaterale e non aderente ai principi costituzionali, che, se confermata ed estesa a tutti i conduttori che si trovano in analoga posizione, rischia di mettere alla porta migliaia di famiglie italiane che hanno servito lo Stato e che - in moltissimi casi - si ritrovano a vivere difficili situazioni sotto il profilo umano ed economico;
le disposizioni sopra indicate, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, non appaiono conformi ai principi del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione sanciti dalla Carta costituzionale e contrastano, altresì, con i principi generali dell'ordinamento giuridico italiano, in base ai quali sono vietate le condizioni vessatorie, espressamente per i negozi giuridici di diritto civile, implicitamente, e con evidente maggior cogenza, nei rapporti tra pubblica amministrazione e suoi dipendenti e/o privati cittadini,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative normative finalizzate a prevedere che le eventuali maggiorazioni di canone, rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente con decreto del Ministro della difesa, tenendo conto della sostenibilità dei nuovi canoni da introdurre in relazione ai redditi complessivi familiari dei conduttori degli alloggi;
ad adottare iniziative, anche normative, al fine di stabilire che l'applicazione di qualunque variazione dei canoni in atto vigenti abbia efficacia solo a partire dalla data di notifica formale, agli interessati, del nuovo canone, restando impregiudicato il diritto del conduttore a presentare ricorso avverso il provvedimento emesso;
a fornire chiarezza al portato dell'articolo 7 del decreto ministeriale n. 112 del 2010, garantendo che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto, ai sensi dello stesso articolo, sia riconosciuto ai conduttori, così come definiti nel comma 4 del citato articolo, senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria a mezzo di assegno circolare non trasferibile ovvero fideiussione bancaria o assicurativa, pari al 5 per cento del valore dell'usufrutto medesimo, considerato il carattere oneroso di tale garanzia, che, peraltro, risulta non necessaria, in quanto l'amministrazione della difesa è già garantita, così come previsto dal comma 4, lettera a), dello stesso articolo 7, attraverso il pagamento del valore dell'usufrutto con il prelievo automatico di un importo non superiore al 20 per cento del reddito mensile del conduttore;
a prevedere - mediante apposite iniziative normative - la sospensione dei recuperi forzosi previsti all'articolo 2, comma 3, del citato decreto ministeriale n. 112 del 2010, sino all'adozione del decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare propedeutico al procedimento di alienazione della proprietà, dell'usufrutto e della nuda proprietà degli alloggi risultati alienabili, di cui all'articolo 6, comma 3, dello stesso decreto n. 112 del 2010;
a riconoscere, con apposite iniziative normative, per quanto riguarda gli alloggi per i quali non si prevede la vendita, possibili ed alternative formule di acquisizione e/o conduzione dell'immobile, come l'acquisizione dell'usufrutto «a vita» per i conduttori sine titulo ultrasessantacinquenni che manifestino la volontà di continuare nella conduzione stessa.
(1-00451)
(Nuova formulazione) «Di Biagio, Bocchino, Granata, Patarino, Divella, Lo Presti, Proietti Cosimi, Angela Napoli, Siliquini, Briguglio».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 297, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (come già previsto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, all'articolo 2, comma 627) stabilisce: «In relazione alle esigenze derivanti dalla riforma strutturale connessa al nuovo modello delle Forze armate, conseguito alla sospensione del servizio obbligatorio di leva, il Ministero della difesa predispone, con criteri di semplificazione, di razionalizzazione e di contenimento della spesa, un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio di cui all'articolo 231, comma 4»;
lo stesso decreto legislativo n. 66 del 2010, all'articolo 306, comma 3, prevede il diritto alla continuità alla conduzione dell'alloggio, rimanendo in affitto, per coloro che non sono in grado di acquistare l'alloggio in cui abitano, se messo in vendita, laddove sancisce che sia assicurata «la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, all'articolo 6, comma 21-quater, prevede: «Con decreto del Ministero della difesa, adottato d'intesa con l'Agenzia del demanio, sentito il Consiglio centrale della rappresentanza militare, si provvede alla rideterminazione, a decorrere dal 1o gennaio 2011, del canone di occupazione dovuto dagli utenti non aventi titolo alla concessione di alloggi di servizio del Ministero della difesa, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'Amministrazione, anche se in regime di proroga, sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione. Le maggiorazioni del canone derivanti dalla rideterminazione prevista dal presente comma affluiscono ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate per le esigenze del Ministero della difesa»;
il termine del 1o gennaio 2011 è trascorso senza che sia stato emanato il decreto ministeriale sopra richiamato,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative, anche normative, intese:
a) a rideterminare la data di vigenza degli eventuali nuovi canoni, fissando una data successiva a quella di emanazione del decreto ministeriale di cui all'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78;
b) a prevedere, in sede di attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, relative alla determinazione di nuovi canoni, anche alla luce del richiamo esplicitamente riportato nelle citate norme al «reddito dell'occupante», la non applicabilità di maggiorazioni di canone, rispetto a quello già in vigore, nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello da fissare annualmente con decreto del Ministro della difesa, ai sensi dell'articolo 306, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, nonché degli utenti nel cui nucleo familiare sia compreso un portatore di handicap;
c) a esplicitare che l'applicazione di qualunque variazione di canone ha efficacia solamente a partire dalla data di notifica al conduttore del nuovo canone determinato;
d) con particolare riguardo a quanto disposto nell'articolo 7, commi 4 e 5, lettera a), del decreto del Ministro della difesa n. 112 del 2010, recante il regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, a garantire che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto sia esercitato dai conduttori, così come definiti nell'articolo 7, comma 4, del citato regolamento, senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria a mezzo di assegno circolare non trasferibile ovvero fideiussione bancaria o assicurativa pari al 5 per cento del valore dell'usufrutto, considerato il carattere oneroso di tale garanzia, che, peraltro, risulta non necessaria, in quanto l'amministrazione della difesa è già garantita, così come previsto dall'articolo 7, comma 4, lettera a), del predetto regolamento, attraverso il pagamento del valore dell'usufrutto con il prelievo automatico di un importo non superiore al 20 per cento del reddito mensile del conduttore;
e) a disporre la sospensione delle procedure di recupero forzoso, di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto ministeriale n. 112 del 2010, sino all'emanazione del decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare, di cui all'articolo 6, comma 3, dello stesso decreto n. 112 del 2010;
f) a riconoscere, per quanto riguarda gli alloggi per i quali non si prevede la vendita, possibili ed alternative formule di acquisizione e/o conduzione dell'immobile, come l'acquisizione dell'usufrutto a vita per i conduttori sine titulo ultrasessantacinquenni che manifestino la volontà di continuare nella conduzione stessa.
(1-00541)
«Villecco Calipari, Rugghia,Garofani, Gianni Farina, La Forgia, Laganà Fortugno, Mogherini Rebesani, Rampi, Recchia, Samperi, Schirru, Vico».

La Camera,
premesso che:
gli alloggi di servizio connessi con l'incarico (asi), gli alloggi di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari (ast), gli alloggi gratuiti per consegnatari e custodi (asgc), gli alloggi connessi con l'incarico, con annessi locali di rappresentanza (asir) sono circa 18.447, di cui quelli non più utili alle esigenze istituzionali sono 3.439, e se ne prevede l'alienazione, ai sensi del decreto legislativo n. 66 del 2010, nel quale sono confluite le previsioni di cui alla legge n. 244 del dicembre 2007;
le vendite previste saranno effettuate dopo il decreto di passaggio a bene disponibile dello Stato, con le modalità previste dal decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112, recante il regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, con la vendita diretta o con la vendita all'asta;
gli alloggi vuoti sono 1.619 e gli alloggi vuoti in attesa di finanziamento sono 2.036, mentre gli alloggi condotti da utenti con titolo scaduto sono 5.117;
la maggior parte del gettito dei canoni proviene dai possessori sine titulo. L'amministrazione della difesa non ha mai erogato mutui al personale in servizio, prevedendo l'accantonamento e la distribuzione delle somme dai canoni versati sine titulo, pari al 15 per cento dell'intero ammontare;
il differenziale tra gli alloggi di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari (ast) e gli alloggi di servizio connessi con l'incarico (asi) tende ad annullarsi a favore di questi ultimi. È noto che gli alloggi di servizio connessi con l'incarico (asi) danno un gettito assolutamente inferiore a quello degli di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari (ast) e questo aumenta ulteriormente il deficit gestionale;
con lo sfratto già programmato dei conduttori sine titulo per effetto dei recuperi coatti, si prevede la riduzione verticale del gettito, malgrado i previsti aumenti dei canoni di mercato e l'aumento clamoroso di ulteriori alloggi vuoti, a causa della mancanza dei necessari finanziamenti per manutenzione o ristrutturazione;
l'articolo 297, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2010 stabilisce che, all'interno della riforma organica connessa al nuovo modello delle Forze armate, venga predisposto un piano pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione degli alloggi di servizio;
con l'articolo 306 del medesimo decreto legislativo n. 66 del 2010 viene previsto il diritto alla continuità nella conduzione dell'alloggio, pur rimanendo in affitto, per quanti non siano in grado di acquistarlo, qualora messo in vendita, sancendo «la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
l'audizione del «Comitato famiglie militari per la casa», svoltasi il 25 febbraio 2009 (ma va tenuto conto anche di quelle antecedenti), ha evidenziato l'urgenza della presentazione del regolamento e di misure concrete che prevedano la vendita di tutti gli immobili situati al di fuori delle infrastrutture militari e non più utili alle esigenze della difesa;
nel corso dell'incontro tra il Sottosegretario di Stato per la difesa con delega agli immobili, Guido Crosetto, assistito dal suo consigliere per gli affari giuridici, e Sergio Boncioli, coordinatore nazionale di Casadiritto, è stata avanzata, nei dettagli, la proposta della soglia di sostenibilità riguardante tutti gli utenti a cui sono destinati i nuovi canoni di mercato. Tale meccanismo si propone di costituire un argine di sicurezza (sostenibilità) a un'eventuale macroscopica applicazione di un canone davvero insostenibile, che potrebbe essere raggiunto con la metodologia indicata attualmente nella bozza del decreto ministeriale, di cui all'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010. La soglia della sostenibilità riguarda tutti i redditi e si controlla attraverso l'introduzione di un coefficiente da applicare sulla base dei redditi complessivi familiari. Essa costituisce appunto un controllo finale e ha il vantaggio di permettere alle famiglie di pagare un canone pur esoso, ma almeno sostenibile, e di permettere all'amministrazione della difesa di fare affidamento su risorse certe e non virtuali. Sono esclusi dall'applicazione dei canoni di mercato e, quindi, dalla necessità di applicare la soglia di sostenibilità (controllo) gli utenti che sono compresi nell'ambito di applicazione dell'articolo 2 del decreto di gestione annuale del Ministro della difesa, cioè gli utenti che l'amministrazione della difesa stessa definisce «protetti»;
è stata poi affrontata la questione della contestualità, cioè dell'entrata in vigore dei nuovi canoni. Il coordinatore nazionale di Casadiritto Boncioli ha prospettato la necessità di uno scivolo della data del 1o gennaio 2011, ormai già trascorso, in quanto l'iter che dovrà affrontare il citato decreto ministeriale, unitamente ai necessari adempimenti dei tecnici che dovranno verificare le vere condizioni degli alloggi, dovrebbe rendere inevitabile lo spostamento di tale data. È comprensibile e ragionevole, oltre che degno di uno Stato di diritto, considerare che un canone totalmente nuovo sia comunicato alla controparte dal proprietario, con decorrenza almeno dal momento in cui avvenga la notifica per raccomandata, e che quindi entri in vigore all'atto dell'avvenuta conoscenza dell'importo del nuovo canone;
parimenti è necessario che i recuperi forzosi, eventualmente in programma per gli alloggi non alienati, non siano resi esecutivi prima dell'inizio delle operazioni effettive delle alienazioni previste;
è stata fatta richiesta di provvedere all'interpretazione delle seguenti disposizioni del decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112:
a) articolo 7, comma 4, lettera a): in materia di usufrutto, le rate del 20 per cento del reddito comprendono il costo della garanzia della fideiussione bancaria o assicurativa. Dovrebbe essere precisata la validità del citato comma 4, lettera a), nel caso di ultrasessantacinquenni che rientrano nei limiti previsti dal decreto ministeriale, in quanto il versamento della caparra sarebbe del tutto incomprensibile oltre che inutile;
b) articolo 7, commi 13 e 14: i limiti di reddito individuati (19.000 e 22.000 euro) debbono essere calcolati secondo i criteri previsti dall'articolo 21 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni, così come chiaramente indicato al comma 4 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, richiamato dallo stesso articolo 7, comma 1, del decreto del Ministro della difesa 18 maggio 2010, n. 112;
il rappresentante di Casadiritto ha sottolineato che il Sottosegretario Crosetto si è impegnato a esaminare nel merito le proposte e le osservazioni, trovandole tutte interessanti;
risulta, altresì, che siano stati inviati agli utenti degli alloggi dell'amministrazione della difesa avvisi di sfratto e di canoni al prezzo di libero mercato a partire dal 1o gennaio 2011, senza tener conto del reale fabbisogno abitativo che ne legittimasse l'applicazione;
con il 15 per cento degli affitti degli utenti cosiddetti sine titulo incassati dal Ministero della difesa, che, per legge, dal 1994 avrebbe dovuto impiegare il «fondo casa» per costruire nuovi alloggi, a quanto risulta neppure un alloggio è stato costruito;
in data 19 dicembre 2010, è stata inviata una mail ai componenti della Commissione difesa della Camera dei deputati, nella quale viene messa in evidenza la lettera di un giovane militare, diffusa nella rubrica «Domande & risposte» del sito internet www.casadiritto.it, che è emblematica del clima di tensione che si respira tra i militari delle Forze armate; infatti, nella stessa sono espresse le conseguenze dei danni, riguardo al complesso «problema casa» per i militari, che verrebbero ascritte al Ministro della difesa e al Capo di Stato maggiore della difesa, per effetto del regolamento di cui al decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112, (con l'introduzione di canoni ai prezzi di libero mercato e il ripristino degli sfratti) e dell'emanando decreto del Ministro della difesa in tema di sfratti e canoni al libero mercato;
nella citata mail il Ministero della difesa è ritenuto responsabile di riportare indietro le «lancette dell'orologio» a prima del 1993, attribuendo nuovamente lo status di «occupante» agli utenti degli alloggi demaniali legittimati fino al luglio 2010 alla conduzione delle loro case con un equo canone anche maggiorato del 50 per cento. Nel contempo, secondo quanto sostenuto nella citata lettera, si cercherebbe di distrarre l'attenzione del personale militare in servizio da quelle che appaiono inadempienze a danno di tutti i militari dipendenti; nella lettera vengono, altresì, riportate le parole, proprio del Ministro della difesa, che, durante lo svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera dei deputati il 1o dicembre 2010, ha testualmente affermato nella sua risposta: «Attenzione, però, per ognuno senza titolo che rimane vuol dire che ve ne è uno con titolo che resta fuori». Far credere, denuncia la lettera, ai giovani militari con famiglia che la colpa della mancata assegnazione di un alloggio militare è da ascrivere agli utenti cosiddetti «occupanti senza titolo», oltre che non corrispondente alla realtà dei fatti, è anche moralmente censurabile;
risulta, pertanto, evidente che la situazione in cui versano gli utenti degli alloggi dell'amministrazione della difesa è drammatica e richiede interventi immediati e concreti e non le solite promesse che rischiano di essere disattese, alla luce degli esiti dell'incontro tra il Sottosegretario per la difesa e il rappresentante di Casadiritto e tenendo conto delle problematiche e delle richieste di tutti gli utenti degli alloggi,

impegna il Governo:

ad adottare opportune iniziative, anche normative, volte a:
a) evidenziare la natura pluriennale del programma di alienazione del patrimonio abitativo non più utile, esplicitando che il programma di vendita degli immobili non si esaurisce con l'individuazione di un primo elenco, ma prosegue al fine di un consistente rinnovo e ampliamento del patrimonio abitativo della difesa;
b) garantire la permanenza negli alloggi dei conduttori con basso reddito non sulla base di un limite temporale prefissato, ma in relazione al permanere del reddito familiare al di sotto della soglia determinata annualmente con decreto ministeriale, includendo anche le famiglie con portatori di handicap, dietro corresponsione del canone all'acquirente dell'alloggio comunque venduto dalla difesa «in nuda proprietà», non pregiudicando quindi la vendita dell'intero stabile;
c) individuare un numero consistente di unità immobiliari da alienare non inferiore al 30 per cento, considerando che l'adozione del modello di difesa su base esclusivamente volontaria rende necessaria la disponibilità di risorse finanziarie importanti da investire in unità abitative da assegnare al personale volontario;
d) procrastinare a una data successiva al 1o gennaio 2011 il termine di applicazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010, al fine di consentire al Ministero della difesa di espletare i complessi adempimenti relativi alla determinazione dei canoni di mercato, comunicando all'utente l'importo almeno contestualmente alla sua applicazione;
a rendere noto l'elenco degli alloggi alienabili;
a valutare e ad adottare ogni altra possibile iniziativa di sostegno agli utenti degli alloggi del Ministero della difesa e a recepire le richieste delle associazioni rappresentative degli utenti degli alloggi stessi, in relazione alle quali il Governo si è espresso solo verbalmente in maniera positiva.
(1-00543)
«Di Stanislao, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
è da osservare che, di fronte ad una necessità pianificata di alloggi per la difesa, pari a circa 51.000 unità, il patrimonio disponibile oggi è di 18.447 alloggi, di cui 5.384 detenuti da utenti con il titolo concessorio scaduto (cosiddetti sine titulo) e di questi 3.284 detenuti da utenti non ricadenti nelle fasce di tutela stabilite dal decreto ministeriale di gestione annuale del patrimonio abitativo (vedove e famiglie con reddito non superiore a oltre 40.000 euro o con familiare a carico portatore di handicap);
è necessario ricordare che il Ministero della difesa ha presentato il programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, in coerenza con quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244;
il Ministero della difesa ha promosso, altresì, una strategia innovativa, che, mediante un taglio netto rispetto al passato, porta alla formulazione, nel medio e lungo periodo, di una politica alloggiativa su scala nazionale ed interforze e nel breve ed immediato periodo tendente a recuperare, con mirate assegnazioni straordinarie, quella parte di patrimonio non utilizzato per pregresse carenze manutentive e che alimenta, finalmente, dopo oltre 16 anni, il cosiddetto «fondo casa», per il quale, su impulso del Governo, sono stati, da ultimo, implementati i propedeutici strumenti attuativi ed operativi;
è opportuno anche che a tale azione si aggiunga la previsione dell'adeguamento al cosiddetto prezzo di mercato del canone di utilizzo degli alloggi detenuti in regime sine titulo. Tale adeguamento dovrà essere ricavato, d'intesa con l'Agenzia del demanio, facendo riferimento alle quotazioni riportate dall'Osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia del territorio, che rileva esclusivamente le quotazioni dei contratti di affitto regolarmente registrati al fine di salvaguardare il personale interessato e, soprattutto, coloro i quali rientrano nelle cosiddette «fasce protette» che il Ministero intende tutelare;
è necessario, altresì, disporre che nella rideterminazione del canone per tutto il personale sine titulo debba essere dedicata particolare attenzione alla tutela del personale rientrante nei parametri fissati dal decreto ministeriale annuale di gestione del patrimonio abitativo della difesa, prevedendo la non applicabilità della rideterminazione dei redditi fino ad una determinata somma;
è, altresì, necessario sottolineare che è fondamentale chiarire l'importanza dell'obbligo di rilascio da parte degli stessi conduttori con titolo scaduto, ad esclusione delle categorie protette che devono essere tutelate attraverso il decreto ministeriale di gestione del patrimonio della difesa, ciò per rispondere alle richieste alle quali la difesa deve fare fronte. Infatti, lo stesso Ministero abbisogna di ulteriori 51.000 unità abitative per coloro che, pur avendone la titolarità, non possono usufruirne e sono costretti a pagare canoni allineati alla quotazione «reale» di mercato esterna, di gran lunga superiori, in certe aree e città, a quelli che si appresta ad applicare la difesa. In questo caso occorre procedere con gradualità al recupero degli alloggi detenuti dagli utenti sine titulo cosiddetti «non protetti». È necessario, quindi, avviare un piano di recuperi mirato e graduale, proprio nel rispetto della sensibilità e dell'attenzione sugli effetti che tale azione potrebbe produrre sul personale e sulle famiglie interessate,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative dirette a prevedere che le eventuali maggiorazioni del canone, rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare lordo non superiore a 19.000 euro;
a porre in essere tutte le possibili iniziative, anche normative, al fine di garantire agli interessati che la decorrenza della rideterminazione del canone avvenga solo a notifica effettuata dall'amministrazione militare, che è tenuta ad effettuare tutti gli adempimenti nei termini previsti, salvo risponderne amministrativamente agli organi competenti;
a chiarire il disposto dell'articolo 7 del decreto ministeriale n. 112 del 2010, garantendo che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto, ai sensi dello stesso articolo, sia riconosciuto ai conduttori, così come definito nel comma 4 del citato articolo, senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria a mezzo di assegno circolare non trasferibile ovvero fideiussione bancaria o assicurativa pari al 5 per cento del valore dell'usufrutto medesimo, considerato il carattere oneroso di tale garanzia, che, peraltro, risulta non necessaria, in quanto l'amministrazione della difesa è già garantita, così come previsto dal comma 4, lettera a), dello stesso articolo 7, attraverso il pagamento di un importo non superiore al 20 per cento del reddito mensile del conduttore;
a procedere, con la necessaria gradualità, al recupero degli alloggi detenuti dal personale sine titulo e nell'attenta ricerca della salvaguardia delle situazioni di oggettiva criticità riscontrabili in termini reddituali e di condizione familiare dell'utenza interessata.
(1-00551)
«Cicu, Cirielli, Ascierto, Barba, De Angelis, Fallica, Gregorio Fontana, Holzmann, Giulio Marini, Antonio Martino, Mazzoni, Moles, Nola, Petrenga, Luciano Rossi, Sammarco, Speciale, Baldelli».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare abitativo della difesa ammonta a circa 18.500 alloggi appartenenti alle diverse Forze armate e collocati su tutto il territorio nazionale;
circa 5.000 alloggi sono utilizzati da utenti cosiddetti sine titulo, ovvero da personale in quiescenza che corrisponde un canone fissato in forma variabile, così come definito dall'amministrazione della difesa (canone mensile non negoziato né negoziabile ma «imposto», variabile tra i 400 e i 1.200 euro), che da tali canoni raccoglie circa 35 milioni di euro all'anno;
la legge finanziaria per il 2008, n. 244 del 24 dicembre 2007, le cui previsioni in materia sono ora confluite nel decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha stabilito che il Ministero della difesa predisponga un programma per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, anche attraverso la vendita di quelli non più utili alle esigenze delle Forze armate;
l'articolo 306, comma 3, del citato decreto legislativo n. 66 del 2010, pur prevedendo la possibilità di vendita di quella aliquota di alloggi non ulteriormente utili per soddisfare esigenze della difesa, riconosce il diritto di continuazione della locazione agli utenti che non possono sostenerne l'acquisto, «assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
nel 2008 la cosiddetta problematica alloggiativa concernente gli immobili della difesa è stata oggetto di analisi di uno specifico gruppo di progetto, che è approdato ad un apposito documento redatto sulla base dell'obiettivo 9 indicato nel piano attuativo della direttiva logistica interforze del 2006, che comprende «l'individuazione di soluzioni alternative per soddisfare le esigenze alloggiative del personale in servizio permanente»;
nelle «ipotesi di sviluppo finanziario complessivo», sancite nel documento sopra indicato, viene ipotizzato il rilascio delle unità abitative da parte degli utenti sine titulo attraverso la loro sottoposizione ad un fitto di libero mercato, di portata tale che «il canone elevato che si viene a determinare risulta sicuramente antieconomico/insostenibile rispetto ad altra sistemazione abitativa (anche in zone periferiche) tratta dal libero mercato», determinando, di conseguenza, una maggiore disponibilità abitativa;
nel maggio 2010 è stato emesso il decreto ministeriale n. 112, recante regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, di cui all'articolo 2, comma 629, della citata legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008);
l'articolo 7 del sopra indicato decreto ministeriale stabilisce che gli alloggi di servizio non più funzionali siano alienati, con diritto di prelazione per il conduttore. In antitesi rispetto al diritto di continuità della locazione chiaramente già sancito dalla legge finanziaria per il 2008, ai conduttori che abbiano manifestato la volontà di continuare nella conduzione dell'alloggio è riconosciuto il diritto di usufruire di un contratto di locazione che abbia la durata di nove anni, se il reddito del nucleo familiare non è superiore a 19.000 euro, ovvero a 22.000 euro nel caso di famiglie con componenti ultrasessantacinquenni o disabili, o di cinque anni, se il reddito del nucleo familiare è superiore a quello sopra indicato, ma non superiore a quello determinato dal decreto di gestione annuale;
in questa prospettiva, si aggiunge la ratio dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, che prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, venga ridefinito il canone di occupazione dovuto dagli utenti sine titulo in atto conduttori di alloggi non compresi tra quelli posti in vendita, fermo restando per l'occupante l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'amministrazione, anche se in regime di proroga. Tale ridefinizione del canone sarà operata sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative dirette a prevedere che le eventuali maggiorazioni del canone, rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, debbano tener conto della difficile situazione economica in cui versa il Paese e, quindi, applicarsi senza compromettere in modo grave la situazione economica delle persone e delle famiglie toccate dal provvedimento, anche in ragione del loro servizio svolto verso le istituzioni;
a porre in essere tutte le possibili iniziative, anche normative, al fine di garantire agli interessati che la decorrenza della rideterminazione del canone avvenga solo a notifica effettuata dall'amministrazione militare, che è tenuta ad effettuare tutti gli adempimenti nei termini previsti, salvo risponderne amministrativamente agli organi competenti;
a chiarire il disposto dell'articolo 7 del decreto ministeriale n. 112 del 2010, garantendo che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto, ai sensi dello stesso articolo, sia riconosciuto ai conduttori, così come definito nel comma 4 del citato articolo, senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria a mezzo di assegno circolare non trasferibile ovvero fideiussione bancaria o assicurativa pari al 5 per cento del valore dell'usufrutto medesimo, considerato il carattere oneroso di tale garanzia che, peraltro, risulta non necessaria, in quanto l'amministrazione della difesa è già garantita, così come previsto dal comma 4, lettera a), dello stesso articolo 7, attraverso il pagamento di un importo non superiore al 20 per cento del reddito mensile del conduttore;
a procedere, con la necessaria gradualità, al recupero degli alloggi detenuti dal personale sine titulo e nell'attenta ricerca della salvaguardia delle situazioni di oggettiva criticità riscontrabili in termini reddituali e di condizione familiare dell'utenza interessata.
(1-00553)
«Porfidia, Sardelli, Belcastro, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Grassano, Iannaccone, Milo, Moffa, Mario Pepe (IR), Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare abitativo della difesa ammonta a oltre 18.000 alloggi collocati su tutto il territorio nazionale, realizzati nel tempo per le esigenze di servizio dei militari;
nell'ambito di detto patrimonio immobiliare risulta che almeno 5.000 alloggi siano utilizzati da utenti cosiddetti sine titulo, ovvero da personale in quiescenza che corrisponde un canone come definito dall'amministrazione della difesa;
il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha stabilito che il Ministero della difesa predisponga un programma per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, anche attraverso la vendita di quelli non più utili, tenuto conto delle esigenze delle Forze armate, pur riconoscendo il diritto di continuazione della locazione agli utenti che non possono sostenerne l'acquisto, «assicurando la permanenza negli alloggi dei conduttori delle unità immobiliari e del coniuge superstite, alle condizioni di cui al comma 2, con basso reddito familiare, non superiore a quello determinato con il decreto ministeriale di cui al comma 2, ovvero con componenti familiari portatori di handicap, dietro corresponsione del canone in vigore all'atto della vendita, aggiornato in base agli indici Istat»;
il decreto ministeriale n. 112 del 2010, recante il regolamento per l'attuazione del programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio per il personale militare, prevede, all'articolo 2, comma 3, il recupero forzoso dei suddetti alloggi;
l'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2011, venga ridefinito il canone di occupazione dovuto dagli utenti sine titulo, fermo restando, per l'occupante, l'obbligo di rilascio entro il termine fissato dall'amministrazione, anche se in regime di proroga. Tale ridefinizione del canone sarà operata sulla base dei prezzi di mercato, ovvero, in mancanza di essi, delle quotazioni rese disponibili dall'Agenzia del territorio, del reddito dell'occupante e della durata dell'occupazione,

impegna il Governo:

a prevedere che le eventuali maggiorazioni di canone, da definire all'interno delle fasce minime e medie degli accordi locali, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998 , rispetto a quello già in vigore, derivanti dall'attuazione dell'articolo 6, comma 21-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente, sentite le organizzazioni sindacali degli inquilini, con decreto del Ministro della difesa, tenendo conto della presenza di anziani ultrasessantacinquenni e di portatori di handicap gravi, nonché della sostenibilità dei nuovi canoni da introdurre in relazione ai redditi complessivi familiari dei conduttori degli alloggi;
ad assumere iniziative, anche normative, volte a chiarire che l'applicazione di qualunque variazione di canone abbia efficacia solamente a partire dalla data di notifica al conduttore del nuovo canone in tal modo determinato;
ad assumere iniziative finalizzate a garantire la sospensione dei recuperi forzosi previsti all'articolo 2, comma 3, del citato decreto ministeriale, n. 112 del 2010, ciò almeno sino all'emissione del previsto decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare;
a riconoscere, anche tramite opportune iniziative normative, alle famiglie occupanti di alloggi sine titulo che vedano la presenza di soggetti ultrasessantacinquenni e/o portatori di handicap gravi, la facoltà di poter continuare nella conduzione dell'immobile mediante l'acquisizione di un usufrutto a vita, secondo quanto previsto dal decreto n. 112 del 2010, articolo 7, comma 4.
(1-00554)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

MOZIONI OLIVERIO ED ALTRI N.1-00513, FOGLIATO ED ALTRI N.1-00542, DELFINO ED ALTRI N.1-00545, BECCALOSSI ED ALTRI N.1-00547 E DI GIUSEPPE ED ALTRI N.1-00548 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI RIFORMA DELLA POLITICA AGRICOLA COMUNE (PAC)

Mozioni

La Camera,
premesso che:
il 18 novembre 2010 la Commissione europea ha presentato il documento d'indirizzo generale sulle future modifiche della politica agricola comune - la PAC verso il 2020 - che, in linea con quanto espresso dal Parlamento europeo con la risoluzione approvata l'8 luglio 2010 (cosiddetto «rapporto Lyon»), punta a costruire una riforma robusta e moderna che sappia soddisfare le molteplici attese dei cittadini e valorizzare il contributo dell'agricoltura e delle aree rurali alle nuove emergenze della società;
il documento sulla politica agricola comune (PAC) è il frutto di un lavoro che ha coinvolto le istituzioni ed i cittadini europei che hanno indicato la necessità che la futura politica agricola comune (PAC) mantenga l'assetto odierno di politica comune «forte» e imperniata su due pilastri, al servizio dei seguenti obiettivi strategici: sicurezza dell'approvvigionamento alimentare; produzione sostenibile di derrate alimentari di pregio e di qualità; tutela dell'occupazione locale delle comunità rurali;
questi obiettivi, tuttavia, già centrali nella politica agricola comune del Trattato di Roma e recentemente confermati dal Trattato di Lisbona, non sono stati tutti raggiunti. Infatti, il reddito degli agricoltori rimane ben al di sotto di quello medio complessivo; la bilancia commerciale dell'Unione europea è andata peggiorando, accumulando un pesante deficit commerciale; infine, i mercati sono tutt'altro che stabili ed espongono i redditi degli agricoltori a continue penalizzazioni;
la riforma della politica agricola comune verrà inserita nell'ambito del nuovo bilancio dell'Unione europea e il documento prefigura un primo pilastro più «verde» e più equamente ripartito e un secondo pilastro maggiormente incentrato sulla competitività e l'innovazione, e il cambiamento climatico e l'ambiente, contando su risorse di bilancio limitate che, tuttavia, tengano in debito conto il pesante impatto che la crisi esercita sull'agricoltura;
quindi, per il nostro settore primario assumono un rilievo centrale le decisioni che verranno prese sulle dimensioni del futuro bilancio per la politica agricola comune, sulla riforma del «pagamento unico per azienda» e sulla remunerazione dei servizi collettivi che gli agricoltori forniscono alla società sia in materia di tutela ambientale, sia in materia di sicurezza alimentare;
i due principali nodi, che il documento della Commissione europea non scioglie, si sostanziano nell'esigenza di salvaguardare il budget comunitario complessivo destinato al settore agricolo e nella necessità di imperniare i meccanismi di ripartizione di tali somme su criteri di tipo qualitativo, incentrati sul valore della produzione, piuttosto che sul mero criterio dell'estensione delle superfici, che risulterebbe fortemente penalizzante per il comparto agricolo italiano;
a livello generale, il documento della Commissione europea, che non entra nello specifico delle questioni più spinose, rappresenta comunque una buona base di partenza su cui costruire una riforma ambiziosa che tuteli le specificità del nostro settore primario;
nel documento della Commissione europea si afferma che, per far fronte alle nuove sfide, la politica agricola comune (PAC) deve essere modificata e, in particolare, è necessario fare in modo che il sostegno alla politica agricola comune (PAC) sia ripartito in modo equo e bilanciato tra i vari Stati membri e tra gli agricoltori e sia più efficacemente mirato agli agricoltori in attività, riducendo le disparità tra gli Stati membri e tenendo conto del fatto che un sostegno forfettario non costituisce una soluzione praticabile;
la certezza del quadro finanziario rappresenta per il Parlamento la condizione sine qua non per definire le nuove regole di politica agricola comune; senza un quadro chiaro e definito delle risorse, a avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non si riuscirà ad approvare alcuna disposizione legislativa;
per quanto attiene alle risorse:
a) il documento della Commissione europea prefigura una modalità flessibile nella gestione delle risorse in cui si superano i riferimenti storici della spesa; tale previsione necessita di un'attenta valutazione al fine di evitare eccessivi squilibri del quadro finanziario tra gli Stati membri che determinerebbero un effetto distorsivo molto ampio con drammatiche conseguente per l'agricoltura di molte aree dell'Europa; in particolare, la proposta non chiarisce se sia intenzione della Commissione europea istituire un sistema per riequilibrare eventuali impatti distorsivi su territori e settori derivanti dalla nuova distribuzione delle dotazioni nazionali;
b) fondamentale, in tal senso, è che il meccanismo per la definizione delle dotazioni nazionali tenga conto non solo della superficie, ma anche di altre importanti variabili come il valore e l'occupazione;
c) come ha stabilito il «rapporto Lyon», è necessario inoltre che gli Stati membri abbiano un adeguato margine di flessibilità per gestire al meglio le componenti previste dallo schema di pagamento unico e per ripartire le risorse finanziarie tra le stesse componenti; al riguardo, la componente del voluntary coupled support, sostitutiva dell'attuale articolo 68 del Regolamento (CE) n. 73/2009, dovrà essere infine meglio specificata e definita in termini di misure e modalità di assunzione;
per quanto attiene agli strumenti di gestione delle crisi, la comunicazione non fornisce dettagli esaustivi sullo sviluppo degli strumenti di gestione del mercato all'interno dell'organizzazione comune dei mercati (Ocm unica); il Parlamento europeo con la relazione Lyon ha già stabilito l'importante principio di introdurre strumenti ad hoc per gestire le crisi di mercato, così come specifiche riserve di bilancio per fronteggiare le emergenze;
per quanto attiene al riequilibrio dei rapporti di filiera, il documento non chiarisce gli strumenti che dovranno riequilibrare e stabilizzare le relazioni all'interno della filiera alimentare tra gli anelli più deboli e le fasi a valle; anche questo tema è stato affrontato dal Parlamento europeo che, sia con la relazione Lyon sia con la relazione Bovè - «Redditi equi per gli agricoltori: migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa» - hanno individuato nel rafforzamento delle relazioni contrattuali tra i soggetti della filiera la strada da incentivare; anche le proposte legislative della Commissione europea sul settore lattiero sembrano andare nella stessa direzione,

impegna il Governo:

a convocare, con la massima sollecitudine, un incontro con tutti i soggetti della filiera agroalimentare interessati dalla riforma politica agricola comune (PAC) per formulare una proposta condivisa da portare a Bruxelles quale posizione negoziale dell'Italia, che è stata gravemente assente, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, nella fase antecedente la comunicazione della Commissione europea;
ad effettuare una valutazione di impatto per l'Italia, inerente al nuovo sistema di pagamenti diretti proposto dalla Commissione europea, in particolare in relazione alla ridistribuzione dei pagamenti diretti e al loro spacchettamento in quattro componenti: pagamenti diretti di base, pagamento per l'agricoltura verde, pagamenti per le zone con handicap naturali, pagamenti «accoppiati» per l'agricoltura ad alto valore strategico;
ad individuare soluzioni e proposte per tener conto della particolarità dell'agricoltura italiana, caratterizzata da produzione ad alto valore aggiunto, in modo da evitare un drastico ridimensionamento dei pagamenti diretti che - in base alla proposta attuale della Commissione europea - rischiano di essere distribuiti in base al solo parametro della superficie;
a predisporre un ventaglio di proposte per un sistema di pagamenti diretti più confacente con le caratteristiche socio-economico-strutturali dell'agricoltura italiana, in particolare per l'olivicoltura del Sud Italia e per la zootecnia del Nord Italia, che saranno fortemente penalizzate dalle ipotesi di ridistribuzione dei pagamenti diretti, proposti dalla Commissione europea;
a formulare proposte relativamente al «pagamento per l'agricoltura verde», in modo da renderlo confacente alle caratteristiche dell'agricoltura italiana, in quanto non si ritengono accettabili le proposte della Commissione europea che limitano questo pagamento ai pascoli permanenti, alle coperture vegetali, alla rotazione delle colture e al set aside ecologico;
a formulare proposte relativamente all'«aiuto accoppiato facoltativo» per tipi di agricoltura che sono ritenuti di particolare importanza per ragioni economiche e/o sociali, aiuto che presenta finalità particolarmente importanti per le esigenze dell'agricoltura italiana;
ad individuare soluzioni e proposte che evitino cambiamenti radicali e destabilizzanti del sistema dei pagamenti diretti che potrebbero avere pesanti conseguenze economiche e sociali in alcune imprese agricole e/o in alcuni sistemi produttivi;
ad individuare ed inserire nella proposta negoziale dell'Italia gli strumenti per il miglioramento del funzionamento delle filiere, tema particolarmente importante per l'agricoltura italiana, in modo da migliorare il valore aggiunto dei produttori, rafforzarne il potere di mercato e valorizzare il ricco sistema di strutture associative presenti in Italia;
a promuovere la valorizzazione, nella nuova politica agricola comune, delle positive esperienze delle organizzazioni dei produttori ortofrutticoli, che hanno svolto in questi anni un positivo raccordo tra produttori italiani e il resto della filiera;
ad assumere iniziative per individuare nella nuova politica agricola comune gli strumenti per contrastare le situazioni di crisi di alcuni comparti produttivi importanti per l'Italia (barbabietola da zucchero, tabacco), particolarmente penalizzati dall'ultima riforma della politica agricola comune;
a promuovere l'introduzione nella nuova politica agricola comune di strumenti di mercato e politiche strutturali per contrastare la grave crisi del settore del vino e del latte ovino;
a chiarire il posizionamento dell'Italia sul tema degli «agricoltori attivi», attraverso l'individuazione di criteri di definizione del concetto di «agricoltori attivi», affinché la nuova politica agricola comune sia in grado di orientare il sostegno verso i soli agricoltori in attività;
a promuovere nella nuova politica agricola comune il potenziamento delle misure per il ricambio generazionale, in particolare per accrescere il sostegno all'insediamento di giovani agricoltori, con specifico riferimento alla dotazione di capitali fissi e all'introduzione di innovazioni;
a proporre un ampio spazio per gli strumenti volti alla gestione dei rischi che consenta di valorizzare il sistema di assicurazioni agevolate, particolarmente attivo in Italia, grazie al sistema dei consorzi di difesa, allargando tale strumento alle assicurazioni per contrastare le fluttuazioni del reddito e l'instabilità dei mercati;
ad assumere iniziative nelle competenti sedi per individuare criteri di ripartizione del sostegno allo sviluppo rurale tra i vari Stati membri, evitando la riduzione degli importi attualmente disponibili per il nostro Paese;
ad assumere iniziative volte ad introdurre nella nuova politica agricola comune gli elementi di semplificazione necessari al miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione delle amministrazioni coinvolte nell'erogazione del sostegno agricolo (Agea, organismi pagatori regionali e altre), nonché per ridurre gli oneri amministrativi a carico degli agricoltori.
(1-00513)
(Nuova formulazione) «Oliverio, Zucchi, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Servodio, Trappolino, Boccia».

La Camera,
premesso che:
dal 12 aprile all'11 giugno 2010 la Commissione europea ha tenuto una consultazione pubblica sul futuro della politica agricola comune (PAC), a seguito della quale si è svolta il 19-20 luglio 2010, a Bruxelles, la conferenza sulla PAC dopo il 2013, cui hanno partecipato tutte le parti interessate alla definizione del futuro assetto della stessa politica agricola comune (PAC);
sulla base di quanto emerso dalla conferenza sulla PAC dopo il 2013, la Commissione europea è impegnata a presentare, entro l'anno 2011, una comunicazione sul futuro della politica agricola comune (PAC), che si assocerà al progetto preliminare sulle prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020, sempre da presentare entro la medesima scadenza;
la presentazione, da parte della Commissione europea, delle proposte di regolamento sulla nuova politica agricola comune (PAC) e sulle prospettive finanziarie è già previsto che avvenga entro l'estate 2011, dopodiché si avvierà la procedura di co-decisione che, entro il 2012, si concluderà con l'approvazione dei relativi testi di legge;
i contenuti della nuova politica agricola comune (PAC) dovranno necessariamente inserirsi nella strategia «Europa 2020», definita dal Consiglio europeo del 17 giugno 2010 che, come noto, si fonda su tre linee strategiche e cinque obiettivi, finalizzati a favorire una crescita fondata su conoscenza, innovazione, sostenibilità ambientale e inclusione sociale;
in coerenza con tali linee strategiche, nella conferenza sulla PAC dopo il 2013 del 19-20 luglio 2010 sono stati individuati i punti cardine in riferimento ai quali definire il futuro ruolo dell'agricoltura europea e, di conseguenza, gli obiettivi e gli strumenti della nuova politica agricola comune;
i temi individuati sono quelli della sicurezza alimentare (intesa nel suo complesso, quindi in riferimento alle diverse esigenze dell'Europa e dei Paesi più poveri), della sostenibilità ambientale, del legame con il territorio, della gestione delle crisi congiunturali, della semplificazione amministrativa;
sempre per quanto emerso dalle attuali fasi preliminari, appare evidente che i principali strumenti dell'attuale politica agricola comune (PAC) e, in specie, i pagamenti diretti e la struttura su due pilastri saranno confermati in futuro, pur con alcune importanti modifiche che sembrano destinate ad incidere, se non sulla loro natura, sulla loro efficacia;
al riguardo i temi più importanti che, all'atto pratico, saranno oggetto della discussione che condurrà alla definizione della nuova politica agricola comune riguarderanno il quadro finanziario, ossia le risorse che, nell'ambito del bilancio 2014-2020, saranno destinate alla politica agricola comune (PAC), la distribuzione del sostegno attraverso i pagamenti diretti - da rendere più omogeneo, attraverso l'applicazione di una delle ipotesi di regionalizzazione di cui, da tempo, si discute -, la struttura in due pilastri, con una crescente finalizzazione degli interventi, in specie, di quelli del secondo pilastro che, più che in passato, dovranno essere attenti a sostenere la diversità dell'agricoltura europea e delle esternalità positive che, la stessa, produce in favore dell'intera collettività;
il territorio nazionale italiano è costituito per il 76,8 per cento da aree collinari e montane e per più dell'80 per cento da aree rurali, dove l'agricoltura, anche quando non è in grado di svolgere un ruolo economicamente decisivo, contribuisce, comunque, a determinare le caratteristiche sociali, ambientali e paesaggistiche;
il forte legame dell'agricoltura italiana con il territorio non ha solo implicazioni ambientali, in quanto l'agricoltura è la componente centrale di un sistema socio-economico complesso, che include l'insieme delle attività economiche che vanno dalla fornitura dei fattori produttivi agricoli al consumo finale dei prodotti agroalimentari e che vale circa 240 miliardi di euro, pari al 15 per cento del prodotto interno lordo;
l'agricoltura italiana è la seconda in Europa per valore della produzione, ma la prima nel mondo per il valore della sua produzione (in termini di valore aggiunto ad ettaro); la prima in Europa per prodotti di qualità e per produzioni biologiche, per le quali è anche il quarto produttore a livello mondiale;
è pacificamente riconosciuto il ruolo che l'agricoltura è in grado di svolgere ai fini sia della riduzione dei «gas serra» sia della produzione di energie da fonti rinnovabili, puntando non su produzioni che si pongono in alternativa a quelle per fini alimentari, ma sulla possibilità del reimpiego a fini energetici degli scarti e dei sottoprodotti delle coltivazioni e degli allevamenti;
nonostante la vastità delle funzioni che sono - e possono essere - svolte dall'agricoltura e la rilevanza delle aree classificate come rurali e la loro elevata incidenza sul totale della superficie territoriale nazionale, negli ultimi decenni si è assistito ad una progressiva riduzione delle aree destinate ad usi agricoli, mentre è sensibilmente aumentato il peso delle aree, comunque agricole, rimaste incolte a seguito dell'abbandono, e delle aree interessate da infrastrutture e da sistemi insediativi;
ciò ha accresciuto e continua ad accrescere il rischio di perdita del suolo in termini non solo quantitativi, ma anche in riferimento alla sua capacità di svolgere il peculiare ruolo di risorsa multifunzionale, con il risultato che porzioni sempre più ampie del nostro territorio sono esposte alle cosiddette «catastrofi naturali»;
è necessario convincersi che, nell'attuale contesto, la perdita di suolo, unitamente al ridursi delle attività agricole, pone a repentaglio la sopravvivenza di quello straordinario patrimonio ambientale, economico e culturale che è costituito dai rapporti che legano l'agricoltura al territorio, alla natura ed alla società;
mettere a rischio l'insieme di tali rapporti comporta l'inaccettabile conseguenza di porre in pericolo il sistema di diritti (d'impresa, di lavoro, di sovranità e di sicurezza alimentare, di salvaguardia delle risorse naturali ed ambientali ed altro) che, attraverso quegli stessi rapporti, è stato costruito nel tempo;
il ruolo che l'agricoltura svolge sul territorio è, pertanto, un motivo già di per sé sufficiente a giustificare l'impegno pubblico nel settore e, pertanto, un eventuale disimpegno sul fronte degli aiuti comunitari si tradurrebbe in un danno collettivo irreversibile, di portata ben superiore al contributo che il settore agricolo reca, ogni anno, alla determinazione del prodotto interno lordo nazionale,

impegna il Governo:

ad adottare tutte le iniziative necessarie, affinché nell'ambito delle prospettive finanziarie per il 2014-2020 il livello del sostegno all'agricoltura ed alle politiche di sviluppo reale non subisca ridimensionamenti e affinché, rispetto al recente passato, sia maggiormente finalizzato al perseguimento degli obiettivi dichiarati;
ad elaborare un documento di posizione da presentare e sostenere in sede di Unione europea, ove siano chiaramente delineate le linee strategiche che si ritengono prioritarie, affinché la nuova politica agricola comune possa sostenere lo sviluppo futuro del nostro sistema agroalimentare;
a definire le linee strategiche di cui sopra in riferimento alle caratteristiche ed alle potenzialità della nostra agricoltura e, in particolare, al rapporto con il territorio e le altre componenti socio-economiche, alla peculiarità del modello di sviluppo del sistema italiano agroalimentare, fondato sulla qualità, e non sulla quantità, delle proprie produzioni, al ruolo multifunzionale dell'agricoltura e, in specie, ai servizi che può rendere alla collettività e alle funzioni che può svolgere nell'ambito della politica energetica.
(1-00542)
«Fogliato, Callegari, Negro, Rainieri, Fava, Pini, Stucchi, Consiglio, Montagnoli, Bitonci».

La Camera,
premesso che:
la politica agricola comune (PAC), prevista dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, è una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, impegnando circa il 34 per cento del bilancio dell'Unione europea;
l'articolo 2 del Trattato di Roma afferma che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche. Per raggiungere tale scopo, occorreva:
a) abolire i dazi doganali tra gli Stati membri;
b) istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli Stati terzi;
c) eliminare gli ostacoli tra gli Stati membri di capitali, servizi e persone;
d) instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell'agricoltura;
e) creare un fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti;
la PAC (politica agricola comune o comunitaria), fin dal suo inizio, si era prefissata i seguenti obiettivi:
a) garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare;
b) migliorare le condizioni di esercizio dell'attività agricola, garantendo una sostanziale stabilità dei prezzi, anche grazie al prezzo di intervento stabilito dalla Comunità europea. Di fatto, ai produttori, per le rispettive produzioni,era assicurato un prezzo minimo garantito;
c) promuovere la produzione di derrate alimentari di pregio e qualità;
d) orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche);
e) nell'attuale contesto, non si può non osservare come tali obiettivi non siano stati raggiunti, in quanto il reddito degli agricoltori è al di sotto di quello medio complessivo; inoltre, le crisi ripetute e la volatilità dei mercati penalizzano fortemente i redditi dei produttori agricoli;
il 18 novembre 2010 il Commissario europeo Dacian Ciolos ha presentato la comunicazione della Commissione europea sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013. Si tratta di una tappa importante nel percorso che condurrà alla definizione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020;
il documento reca le linee di indirizzo generale della futura politica agricola comune, che ha lo scopo di realizzare una riforma capace di soddisfare le molteplici attese dei cittadini e, soprattutto, di mettere in risalto il contributo dell'agricoltura alle nuove esigenze ed emergenze della società;
il documento indica la necessità che la futura politica agricola comune sia rivolta verso i seguenti obiettivi: garanzia degli approvvigionamenti, sicurezza delle produzioni alimentari, sostenibilità ambientale delle produzioni, qualità delle derrate alimentari, tutela dell'occupazione delle zone rurali;
per il settore primario italiano assumono un'importanza fondamentale le decisioni che verranno prese sulle dimensioni del futuro bilancio per la politica agricola comune, questione centrale della nuova riforma insieme ai meccanismi di ripartizione delle risorse a favore degli Stati, sulla riforma del pagamento unico per azienda e sulla remunerazione dei servizi collettivi che gli agricoltori forniscono alla società in materia di tutela ambientale e di sicurezza alimentare;
il documento della Commissione europea, anche se non entra in maniera specifica nelle questioni di maggior rilievo, è una buona base di partenza per puntare ad una riforma robusta e ambiziosa per il nostro Paese;
per affrontare con serenità il futuro, la nuova politica agricola comune deve essere modificata in modo tale che il suo sostegno venga ripartito in modo più equo;
in molte proposte emerge una nuova richiesta per la politica agricola comune: il contrasto all'instabilità dei mercati e il miglioramento della posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare;
gli strumenti della vecchia politica di garanzia (prezzi garantiti, dazi, sussidi all'esportazione, ammasso pubblico, quote, set aside ed altro) hanno mostrato tutti i loro limiti e non sono più applicabili nella prospettiva futura. Tuttavia, l'obiettivo della stabilizzazione dei prezzi e dei mercati rimane ancora attuale;
anziché la vecchia politica di garanzia, si richiede di favorire gli strumenti di regolazione dei mercati gestiti direttamente dai produttori agricoli, attraverso la concentrazione dell'offerta, il miglioramento del rapporto tra produttori e primi acquirenti tramite le strutture di aggregazione, la cooperazione, l'associazionismo e l'interprofessione,

impegna il Governo:

ad assumere una posizione forte a difesa del budget destinato alla politica agricola comune, soprattutto alla luce dei nuovi impegni e delle nuove sfide cui viene chiamato il sistema agricolo europeo;
ad effettuare una valutazione di impatto per l'Italia, inerente al nuovo sistema di pagamenti diretti proposto dalla Commissione europea, in particolare in relazione alla ridistribuzione dei pagamenti diretti e al loro «spacchettamento» in quattro componenti: pagamenti diretti di base, pagamento per l'agricoltura verde, pagamenti per le zone con handicap naturali, pagamenti «accoppiati» per l'agricoltura ad alto valore strategico;
a chiedere, in sede di Unione europea, un congruo periodo di adattamento nell'applicazione della riforma, per consentire il raggiungimento graduale degli obiettivi;
ad individuare soluzioni e proposte per tener conto della particolarità dell'agricoltura italiana, caratterizzata da produzione ad alto valore aggiunto, in modo da evitare un drastico ridimensionamento dei pagamenti diretti, che - in base alla proposta attuale della Commissione europea - rischiano di essere distribuiti in base al solo parametro della superficie;
a predisporre un ventaglio di proposte per un sistema di pagamenti diretti più confacente con le caratteristiche socio-economico-strutturali dell'agricoltura italiana, in particolare per l'olivicoltura, l'ortofrutticoltura, l'agrumicoltura e le produzioni zootecniche, che saranno fortemente penalizzate dalle ipotesi di ridistribuzione dei pagamenti diretti proposte dalla Commissione europea;
a richiedere l'istituzione di una effettiva «rete di sicurezza», che permetta di affrontare in maniera tempestiva ed efficace le crisi di mercato, prevedendo allo stesso tempo un fondo anticrisi per tutti i settori;
a richiedere che la politica di sviluppo rurale preveda misure di intervento rivolte principalmente alle imprese e all'aumento della loro competitività;
a richiedere che la riforma della politica agricola comune assuma l'obiettivo di semplificarne l'applicazione, prevedendo successivi momenti di verifica e di confronto fra Paesi;
a promuovere un migliore funzionamento delle filiere, richiedendo l'attivazione di politiche di settore che determinino il rafforzamento della posizione competitiva degli agricoltori nella ripartizione della catena del valore;
a incrementare la compatibilità internazionale della politica agricola comune, richiedendo la formalizzazione del principio di reciprocità e l'individuazione di forme di tutela dalla concorrenza insostenibile esercitata dalle produzioni dei Paesi non appartenenti all'Unione europea non assoggettate alle stesse regole sanitarie e di sicurezza del lavoro;
a proporre strumenti innovativi per l'utilizzo ottimale delle risorse disponibili a favore degli agricoltori in attività;
a sostenere il ricambio generazionale;
a qualificare la gestione dei rischi delle imprese agricole, nonché a valorizzare il patrimonio di realtà associative e cooperative presenti nel nostro Paese.
(1-00545)
«Delfino, Galletti, Naro, Volontè, Compagnon, Ciccanti, Libè, Occhiuto, Cera, Marcazzan».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
la politica agricola comune (PAC) è uno degli impegni comunitari di maggiore rilevanza strategica ed economica, la politica comune in campo agricolo è prevista espressamente dal Trattato delle Comunità;
il Trattato di Roma, all'articolo 2, afferma, infatti, che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche. Nel trattato si precisava che per raggiungere tale scopo era necessario:
a) abolire i dazi doganali tra gli Stati membri;
b) istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli Stati terzi;
c) eliminare gli ostacoli tra gli Stati membri di capitali, servizi e persone;
d) instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell'agricoltura;
e) creare un fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti;
la politica agricola comune sin dall'origine si era prefissata due principali obiettivi:
a) soddisfare gli agricoltori grazie al cosiddetto prezzo di intervento. Si stabiliva, cioè, in sede comunitaria un prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli. Il prezzo delle produzioni non poteva scendere al di sotto di questo;
b) orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva (limitando i fattori della produzione, aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando delle migliori tecniche agronomiche);
questo meccanismo ha mostrato nel tempo un difetto di fondo: l'obiettivo della garanzia ha finito per prevalere su quello dell'orientamento, favorendo da parte delle aziende agricole una tendenza ad accontentarsi del profitto garantito dai prezzi di intervento e dai prelievi tariffari. Questa tendenza ha comportato una costante mancanza di propensione all'ammodernamento;
sulla scorta dell'esperienza maturata, dagli anni '90 in poi, progressivamente, si è cominciato a dare sempre più applicazione al cosiddetto sistema delle quote di produzione, in modo da garantire agli agricoltori un livello minimo dei prezzi dei prodotti e di ripartire equamente tra i vari Paesi comunitari una quota di produzione garantita;
nel 2003 si è avuta poi una profonda riforma della politica agricola comune, che di certo ha costituito un momento chiave della sua evoluzione, adattandola alle nuove esigenze degli agricoltori, dei consumatori e del pianeta;
da ultimo, dal mese di aprile 2010 fino a quello di giugno 2010, su iniziativa di Dacian Ciolos, il Commissario europeo responsabile dell'agricoltura e dello sviluppo rurale, si è sviluppato un dibattito pubblico sul futuro della politica agricola comune. Secondo il Commissario europeo: «La politica agricola europea non è un dominio riservato ai soli agricoltori. È la società intera a beneficiare di questa politica comune europea, che investe aree come l'alimentazione, la gestione dei territori e la protezione dell'ambiente»;
in un contesto globale in rapida evoluzione, si è oggi di fronte ad un panorama particolarmente complesso; se da una parte, infatti, si registra il raddoppio della domanda alimentare, contemporaneamente dall'altra si deve affrontare la diminuzione costante di risorse naturali meno terra da coltivare, meno acqua e, soprattutto, meno energia a causa dell'impatto del cambiamento climatico;
come ha ricordato George Lyon nella discussione tenutasi giovedì 8 luglio 2010 al Parlamento europeo: «Se non affrontiamo la questione, possiamo aspettarci una grave destabilizzazione, un aumento dei rivolgimenti popolari e problemi potenzialmente significativi a livello di migrazione internazionale perché la gente si sposta per evitare penuria di cibo e acqua»;
i flussi migratori sono già oggi, in buona parte, determinati da un evidente squilibrio nel consumo delle risorse naturali ed ancora di più delle tecnologie necessarie per utilizzarle. I Paesi emergenti ed anche molti di quelli del «terzo mondo», denunciano i sostegni economici che quelli più avanzati mettono a disposizione dei propri comparti agricoli, imputando, proprio a questi sostegni, una delle ragioni principali del mantenimento del gap internazionale;
a tale riguardo si sono spesso manifestate contraddizioni lampanti. Non è con un approccio ideologicamente antiglobalizzazione che si può governare la complessa realtà che si ha di fronte. Spesso sono stati invocati aiuti ai Paesi poveri dagli stessi che contemporaneamente proponevano, in nome dell'antiglobalizzazione, sostegni economici a produzioni agricole tipiche dei Paesi più sviluppati. Non è così che si può governare la situazione presente, la globalizzazione impone un'analisi seria ed approfondita, pone di fronte sfide complesse, che devono essere affrontate responsabilmente. Il sostegno al comparto agricolo dei Paesi più industrializzati e, nel contempo, una gestione delle risorse che tenga conto dei margini di sviluppo dei Paesi emergenti sono possibili e possono essere messi in atto solo con la necessaria gradualità; per governare il presente è necessario focalizzare un percorso virtuoso di sviluppo sostenibile a livello planetario;
in questa ottica le riforme della politica agricola comune sono state realizzate anche per rendere il commercio mondiale più equo, ad esempio riducendo il rischio di creare distorsioni sui mercati con le sovvenzioni concesse dall'Unione europea per l'esportazione della produzione eccedentaria. Nel cosiddetto ciclo di negoziati di Doha per la liberalizzazione degli scambi internazionali, l'Unione europea ha proposto di sopprimere integralmente le sovvenzioni all'esportazione entro il 2013 anche in caso di fallimento dei negoziati;
affrontare il cambiamento climatico e rendere la nostra produzione agricola più sostenibile sono obiettivi di primaria importanza, passaggi indispensabili se si vuole continuare a garantire la sicurezza alimentare dei cittadini europei e contribuire a rispondere a una domanda mondiale di cibo in costante aumento;
il processo di aggiornamento del sistema di sostegno allo sviluppo agricolo prosegue con costanza, la Commissione europea ha pubblicato il 18 novembre 2010 la comunicazione «La politica agricola comune (PAC) verso il 2020. Rispondere alle sfide future dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio». Tre sono stati gli obiettivi principali delineati:
a) produzione alimentare economicamente redditizia (la fornitura di derrate alimentari sicure e in quantità sufficienti in un contesto di crescente domanda mondiale, di crisi economica e di maggiore instabilità dei mercati per contribuire alla sicurezza dell'approvvigionamento);
b) gestione sostenibile delle risorse naturali e azione a favore del clima (gli agricoltori devono spesso far prevalere le considerazioni ambientali su quelle economiche, ma i relativi costi non vengono compensati dal mercato);
c) mantenimento dell'equilibrio territoriale e della diversità delle zone rurali (l'agricoltura resta un motore economico e sociale di grande importanza nelle zone rurali e un fattore fondamentale per mantenere in vita la campagna);
in particolare, con riguardo ai pagamenti diretti, la comunicazione sottolinea l'importanza di ridistribuire, riformulare e rendere più mirato il sostegno, sulla base di criteri oggettivi ed equi, facilmente comprensibili per il contribuente. I nuovi criteri dovrebbero essere sia economici (data la funzione di «sostegno al reddito» propria dei pagamenti diretti) che ambientali (per tener conto dei beni di pubblica utilità forniti dagli agricoltori) e il sostegno dovrebbe essere maggiormente orientato verso gli agricoltori attivi. Secondo la Commissione europea, andrebbe organizzata una distribuzione più equa dei fondi, in modo fattibile sotto il profilo economico e politico, prevedendo un margine di transizione per evitare gravi perturbazioni;
la Commissione europea presenterà entro l'estate del 2011 una comunicazione sul futuro della politica agricola comune, che si assocerà al progetto preliminare sulle prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020, sempre da presentare entro la medesima scadenza. Entro il 2012 si arriverà poi all'approvazione dei relativi testi di legge;
alla fine di questo percorso i contenuti della nuova politica agricola comune dovranno comunque fare riferimento e coordinarsi nel quadro complessivo della strategia «Europa 2020», definita dal Consiglio europeo del 17 giugno 2010;
in questo quadro non appare coerente sostenere di ridistribuire le risorse della politica agricola comune in base a criteri esclusivamente legati alla superficie, perché ciò non premierebbe la qualità che deve invece caratterizzare le coltivazioni. La ricerca costante dell'aumento della qualità deve, infatti, caratterizzare la produzione agricola dei Paesi più industrializzati;
inoltre, appare inaccettabile l'ipotesi di ridurre il budget della politica agricola comune; va ricordato, infatti, che il bilancio della politica agricola comune, che costituiva il 65 per cento del bilancio comunitario nel 1988, oggi rappresenta solo il 34 per cento del totale,

impegna il Governo:

a valutare, con riferimento alle possibili modifiche del sistema dei pagamenti diretti, l'impatto che tali cambiamenti comporterebbero per il nostro Paese, evitando soluzioni troppo radicali e repentine che potrebbero danneggiare diverse imprese agricole italiane, con gravi conseguenze anche occupazionali;
a sostenere, in sede comunitaria, strategie finalizzate a incentivare il sistema agroalimentare italiano, promuovendo investimenti finalizzati allo sviluppo della qualità del settore agroalimentare;
a fare in modo che le modifiche ai criteri di ripartizione dei fondi destinati alla politica agricola comune tengano conto di fattori fondamentali, oltre quello della superficie, come l'impatto occupazionale, il valore aggiunto e la qualità della produzione;
a promuovere, in sede comunitaria, lo sviluppo degli strumenti necessari per migliorare il raccordo ed il funzionamento delle filiere, fattore determinante per il comparto agricolo italiano, valorizzando anche l'esperienza maturata negli ultimi anni dai nostri produttori ortofrutticoli, in modo da remunerare adeguatamente la fase produttiva agricola, primo anello fondamentale di qualsiasi filiera agroalimentare;
a favorire, a livello comunitario, il rafforzamento delle politiche mirate allo sviluppo delle nuove generazioni di agricoltori, legandole, in particolare, all'innovazione del settore e all'introduzione di incentivi mirati a favorire la dotazione di capitali fissi e l'accesso al credito;
ad investire anche a livello nazionale nello sviluppo della qualità della produzione del settore agricolo, premiando le produzioni di pregio e valorizzando le sue potenzialità occupazionali;
a promuovere l'introduzione nella nuova politica agricola comune, anche in previsione del progressivo smantellamento dei vecchi sistemi di intervento di mercato non più compatibili con le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio, di adeguati strumenti di gestione del rischio di mercato, a garanzia del reddito degli agricoltori;
ad assumere ogni iniziativa affinché la proposta di riforma della politica agricola comune presentata dalla Commissione europea, nella sua organizzazione in due pilastri, superi con decisione gli attuali problemi di sovrapposizione e demarcazione tra gli strumenti di intervento disponibili, la cui gestione rappresenta un inutile onere sia per la pubblica amministrazione che per gli agricoltori.
(1-00547)
«Beccalossi, Baldelli, Biava , Catanoso, De Camillis, De Girolamo, Di Caterina, Dima, D'Ippolito Vitale, Faenzi, Gottardo, Muro, Nastri, Nola, Romele, Paolo Russo, Taddei, Ruvolo».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

La Camera,
premesso che:
gli obiettivi della politica agricola comune (PAC), fissati oltre 50 anni fa con la Conferenza di Stresa, sono stati recentemente confermati dal Trattato di Lisbona e prevedono: l'incremento della produttività, il miglioramento del reddito degli agricoltori, la sicurezza degli approvvigionamenti, la stabilizzazione dei mercati e prezzi ragionevoli per i consumatori. Purtroppo la recente evoluzione della politica agricola comune non ha consentito di cogliere tutti questi obiettivi: infatti, il reddito degli agricoltori rimane ben al di sotto di quello medio complessivo; la bilancia commerciale dell'Unione europea è andata peggiorando, accumulando un pesante deficit commerciale; infine, i mercati sono tutt'altro che stabili ed espongono i redditi degli agricoltori a continue penalizzazioni;
l'8 luglio 2010 è stata approvata una risoluzione del Parlamento europeo sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013, con la quale vengono formulate proposte e raccomandazioni alla Commissione europea al fine di una riforma della politica agricola comune, capace di soddisfare le esigenze socioeconomiche e di tutelare gli interessi di tutti gli agricoltori europei e di offrire più ampi benefici alla società. In particolare, si chiede che la struttura e l'attuazione della nuova politica agricola comune sia incentrata su semplicità e proporzionalità, nonché sulla riduzione della burocrazia e dei suoi costi amministrativi, in un quadro di equità, sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare;
il 18 novembre 2010 la Commissione europea ha presentato il documento d'indirizzo generale sul futuro della politica agricola comune (PAC), denominato «La PAC verso il 2020: rispondere alle sfide future dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio». Il documento presenta i principi, gli obiettivi e le linee guida volte a riformare la politica agricola comune dopo il 2013, sulla base della strategia «Europa 2020» volta a supportare una crescita sostenibile, intelligente ed inclusiva nell'Unione europea. Le proposte normative per la riforma della politica agricola comune saranno presentate verso la metà del 2011, a seguito della procedura di codecisione che coinvolgerà il Parlamento europeo e la Commissione europea;
la comunicazione esamina dei possibili futuri strumenti da mettere in campo per realizzare al meglio una serie di obiettivi che vanno dalla necessità di una produzione alimentare economicamente redditizia per gli agricoltori, alla gestione sostenibile delle risorse naturali, da azioni in grado di combattere i cambiamenti climatici, al mantenimento dell'equilibrio territoriale e della diversità delle zone rurali;
nel documento si afferma che, per far fronte alle nuove sfide, la politica agricola comune deve essere modificata e, in particolare, è necessario fare in modo che il sostegno della politica agricola comune sia ripartito in modo equo e bilanciato tra i vari Stati membri e tra gli agricoltori e sia più efficacemente mirato agli agricoltori in attività, riducendo le disparità tra gli Stati membri e tenendo conto del fatto che un sostegno forfettario non costituisce una soluzione praticabile;
la prossima riforma della politica agricola comune verrà inserita nell'ambito del nuovo bilancio dell'Unione europea. L'attuale bilancio di lungo termine copre il periodo 2007-2013. Il prossimo (definito anche come «prospettive finanziarie») che partirà dall'anno 2014 è attualmente in via di negoziazione. Le questioni principali includono: le dimensioni del futuro bilancio per la politica agricola comune, l'eliminazione graduale o la riforma del «pagamento unico per azienda» ed il rafforzamento di pagamenti specifici per i beni pubblici ambientali (ad esempio, ricompensare gli agricoltori per servizi di tutela ambientale) ed i beni pubblici sociali (garantire la sicurezza alimentare per i cittadini europei);
i due principali nodi, ancora non risolti dal documento della Commissione europea, nell'ambito del negoziato inerente alla riforma della politica agricola comune dopo il 2013, si sostanziano nell'esigenza di salvaguardare il budget comunitario complessivo destinato al settore agricolo, come pure nella necessità di imperniare i meccanismi di ripartizione di tali somme su criteri di tipo qualitativo, incentrati sul valore della produzione, piuttosto che sul mero criterio dell'estensione delle superfici, che risulterebbe fortemente penalizzante per il comparto agricolo italiano;
l'attuale politica agricola comune risulta del tutto inefficiente, in quanto fornisce sostegno agli agricoltori non sulla base dei comportamenti futuri che essi si impegnano a mettere in atto e dei progetti che intendono realizzare, bensì sulla base del titolo di possesso del fondo e dei diritti acquisiti in passato, determinando così rendite di posizione e discriminazioni, soprattutto nei confronti dei giovani;
sinora i pagamenti «disaccoppiati» sono stati erogati ai beneficiari storici, perché «compensativi» di una situazione pregressa, poi venuta meno, che concedeva agli agricoltori determinate garanzie di prezzo e di mercato. Oggi questa voce di spesa rimane comunque determinante per il reddito degli agricoltori e, conseguentemente, per i beni pubblici che il settore agricolo garantisce alla collettività. Ciononostante, il criterio di assegnazione su base storica dei pagamenti diretti «disaccoppiati» non risulta giustificabile dopo diversi anni di applicazione. Esso, inoltre, sta rischiando di generare disparità di trattamento tra soggetti beneficiari e comparti produttivi;
le misure intese ad assicurare la stabilità del mercato, disponibili in passato nel quadro della politica agricola comune, sono state progressivamente smantellate. Pertanto, l'instabilità del mercato è in aumento: durante la crisi agricola del 2009, è diventato purtroppo ovvio che le autorità non disponevano più degli strumenti necessari per far fronte a crisi così gravi e i redditi degli agricoltori sono scesi in media del 12 per cento;
per fare in modo che gli agricoltori ricavino una parte più cospicua del loro reddito dal mercato, è essenziale rafforzare la loro posizione nella catena alimentare. I 13,4 milioni di agricoltori europei hanno un potere contrattuale estremamente scarso nei confronti di un gruppo ristretto di fornitori, trasformatori e distributori di grandissime dimensioni. Ne consegue che il valore aggiunto fornito dagli agricoltori in azienda (ad esempio, il pascolo per il latte) viene compensato a un prezzo molto inferiore rispetto a quello creato dagli altri operatori della catena alimentare;
per rispondere alle preoccupazioni dei cittadini, l'Unione europea ha optato per un tipo di agricoltura caratterizzato da costi più elevati, inteso a garantire che tutta la produzione osservi criteri di sicurezza e di sostenibilità molto rigidi (sicurezza alimentare, tracciabilità, rispetto dell'ambiente, benessere degli animali, biodiversità). Questa situazione colloca i produttori europei in una condizione di forte svantaggio competitivo rispetto alle importazioni;
l'aumento della domanda mondiale di prodotti alimentari, le condizioni climatiche avverse sempre più frequenti e una maggiore volatilità del mercato faranno della sicurezza alimentare una delle principali priorità politiche per i Governi di tutto il mondo. L'esigenza di sfruttare il potenziale dell'agricoltura europea per mitigare il cambiamento climatico ed aumentare la sicurezza energetica attraverso la produzione di energie rinnovabili e la cattura del carbonio rivestirà un ruolo essenziale;
nonostante l'enfasi sul tema delle filiere, il documento sul futuro della politica agricola comune non entra nei dettagli, limitandosi a evocare le relazioni contrattuali, la necessità di una ristrutturazione e consolidamento del settore agricolo, la trasparenza ed il funzionamento di mercati di derivati sui prodotti agricoli, ipotizzando di rafforzare gli aiuti alle organizzazioni dei produttori, estendendo il modello dell'ortofrutta a tutti gli altri settori;
la politica agricola comune deve intervenire sull'intero territorio comunitario e deve ispirarsi a principi di equità, seppure differenziati territorialmente, tenendo conto delle necessità espresse anche dai nuovi Stati membri e dell'importanza di non diminuire i budget storici, al fine di mantenere adeguato il livello di stabilità di reddito in questi territori; si chiede di mantenere a livello comunitario un rapporto risorse/superfici commisurato anche a criteri di contesto e di redditività che, diversamente, destabilizzerebbero aree geopoliticamente strategiche dal punto di vista della produttività. Per tutto questo, le risorse finanziarie da destinare alla politica agricola comune, nella sua globalità, devono essere adeguate alle sfide che l'agricoltura è chiamata ad affrontare;
è di estrema importanza che tutti gli aggiustamenti introdotti nella politica agricola comune del dopo 2013 rafforzino la valenza comune della politica, sempre tenendo conto della diversità dell'agricoltura europea. Qualsiasi ulteriore rinazionalizzazione della politica agricola comune causerebbe distorsioni della concorrenza, minacciando il mercato interno e, di conseguenza, sia la crescita che l'occupazione;
i fondi necessari per il rilancio del comparto agricolo, completamente assenti dalla legislazione a livello nazionale e regionale, devono essere ricercati in ambito comunitario; risulta così evidente la strategica importanza della discussione in ambito europeo sulla riforma della politica agricola comune;
oggi la politica agricola comune può contare su circa 54 miliardi di euro, dei quali, oltre due terzi sono riferiti al primo pilastro, ovvero ai sostegni alle aziende, agli aiuti diretti che giungono a tutte le aziende agricole d'Europa in base ad un calcolo che ha portato all'identificazione di un importo per ettaro di superficie coltivata, indipendentemente dall'indirizzo produttivo adottato, e meno di un terzo al secondo pilastro, cioè allo sviluppo rurale e alle politiche qualitative di sostegno alle imprese e ai territori rurali;
l'Italia, nel riparto europeo, percepisce circa il 10 per cento delle somme stanziate per la politica agricola comune. Oggi si intendono azzerare i criteri con i quali tale aiuto diretto era stato calcolato al fine della successiva redistribuzione secondo un nuovo criterio, ed è su questo punto che occorre riflettere, avere piena comprensione della posta in gioco e adoperarsi a livello europeo, con tutti i mezzi possibili, a difesa dell'agricoltura nazionale. Infatti, uno dei criteri proposti sui quali si sono raccolti i maggiori consensi a livello europeo è quello della redistribuzione della spesa secondo la superficie agricola utilizzabile. Ciò porterebbe l'Italia, fortemente connotata da agricoltura intensiva e che ha fatto del lavoro agricolo e dell'investimento per ettaro - si pensi alle serre, ai vigneti, alla zootecnia - un'esperienza di alta tecnologia e di maestria professionale, a ridurre la propria partecipazione all'utilizzo della spesa comunitaria fino a circa 3,5 miliardi di euro, con una riduzione che, seppure graduale, alla fine sarebbe rilevantissima e del tutto insopportabile per gli operatori agricoli nazionali;
l'intero comparto agricolo nazionale, settore primario dell'economia italiana, versa in una situazione a dir poco allarmante, le aziende sono alle prese con una crisi intensa, con costi produttivi insostenibili e con prezzi sui mercati in crollo. Le imprese agricole, nel corso del 2009, hanno registrato enormi difficoltà e perdite di redditività; la crisi è stata incrementata da una flessione della domanda sia interna sia estera, determinata dalla crisi internazionale; a tutti gli effetti, si è verificata una flessione sia delle vendite alimentari al dettaglio sia dell'export agroalimentare;
le nuove politiche devono offrire una spinta affinché l'agricoltura diventi più attrattiva per i giovani e siano salvaguardate le imprese che hanno come obiettivo la qualità e la sicurezza del prodotto;
è evidente che la scelta obbligata e vincente per la nostra agricoltura è che le produzioni agroalimentari siano di qualità; questa scelta non nasce solo dalla difficoltà per le imprese di competere sul fronte dei costi, ma anche dal crescente ruolo dei consumatori nel sistema economico e dalla centralità che le tematiche della salute e del benessere dei cittadini hanno giustamente assunto nelle valutazioni e nelle scelte private e pubbliche,

impegna il Governo:

ad adottare iniziative volte:
a) ad eliminare le incongruenze, iniquità ed inefficienze dell'attuale politica agricola comune, facendo in modo che da semplice politica di sostegno al reddito diventi una vera e propria politica di promozione di beni pubblici e di processi innovativi, ponendo così i sistemi agricoli e alimentari nelle condizioni di essere un motore di sviluppo economico e di gestire, con altri attori economici e sociali, i territori rurali e le loro risorse naturali, contribuendo così non solo all'approvvigionamento alimentare ma anche alla crescita sostenibile e all'occupazione;
b) ad assicurare il mantenimento del budget della politica agricola comune, al fine di consentire agli agricoltori di continuare ad usufruire di benefici economici, sociali e rurali di vasta portata, individuando, altresì, criteri qualitativi di ripartizione dello stesso, incentrati sul valore della produzione, piuttosto che sul mero criterio dell'estensione delle superfici, ciò al fine di contribuire a raccogliere le sfide che l'Unione europea dovrà affrontare in futuro, posto che la solidarietà finanziaria, unitamente a un bilancio adeguato, rappresenta l'unica maniera per assicurare che la politica agricola comune resti una politica comune senza distorsione della concorrenza, garantendo, altresì, un trattamento giusto ed equo di tutti gli agricoltori, tenendo conto delle diverse condizioni;
c) a semplificare, in relazione ai pagamenti diretti, l'attuale criterio di erogazione dei pagamenti, rendendolo più selettivo in maniera da concentrarlo sugli agricoltori professionali, il tutto non consentendo comunque criteri di selettività arbitrari, che determinerebbero una discriminazione tra produttori contraria alle norme del Trattato;
d) a introdurre, in relazione agli interventi di mercato, un'effettiva «rete di sicurezza», che permetta di affrontare in maniera tempestiva ed efficace le crisi di mercato anche istituendo un «fondo anti-crisi» per tutti i settori, basato su parametri e metodi di rilevazione comuni a livello europeo, che preveda strumenti di gestione dell'offerta e che sia adeguatamente finanziato;
e) a indirizzare, in relazione allo sviluppo rurale, la spesa verso alcuni obiettivi prioritari dell'attuale politica dello sviluppo rurale che dovrà concentrarsi su misure a vantaggio delle imprese, puntando principalmente sull'aumento della competitività ed essere finalizzata a sostenere:
1) gli investimenti aziendali, con particolare priorità a quelli indirizzati all'introduzione di innovazione tecnologica e organizzativa delle imprese da coniugare con la tutela della specificità delle produzioni e dei prodotti tipici e la conservazione del territorio;
2) il ricambio generazionale, focalizzando e rivedendo le due misure del primo insediamento e del prepensionamento;
3) il recupero di competitività sui mercati con iniziative di integrazione di filiera e di promozione all'export;
f) a provvedere a garantire la sicurezza alimentare e la tracciabilità, rafforzando il ruolo di produzione economica degli agricoltori e consentendo agli agricoltori stessi di ricavare un reddito equo dal mercato e di contribuire ulteriormente a fornire servizi economici, sociali e rurali di vasta portata, assicurando, altresì, a tutti gli agricoltori europei operanti nel mercato unico di godere delle medesime condizioni;
g) a rafforzare le misure intese a consentire agli agricoltori e alle cooperative di svolgere un ruolo positivo nel far fronte alle nuove sfide, segnatamente a quelle del cambiamento climatico e della carenza di risorse idriche, assicurando, altresì, che il contributo offerto dagli agricoltori per ridurre le emissioni e provvedere alla sicurezza energetica sia massimizzato attraverso la produzione di energie rinnovabili;
h) ad adottare misure volte a migliorare la trasparenza, fornendo agli agricoltori informazioni aggiornate sui mercati, soprattutto riguardo ai margini e alla ripercussione dei prezzi nella catena alimentare, nonché rafforzando il sistema dell'etichettatura, anche al fine di proteggere le indicazioni geografiche nel quadro degli accordi commerciali, cosa che non solo permetterebbe ai consumatori di fare scelte informate, ma offrirebbe anche maggiori incentivi ai produttori per conservare le tradizioni culturali legate alle produzioni e migliorare la qualità dei prodotti;
i) ad assicurare che tutte le importazioni soddisfino i criteri europei di sicurezza alimentare e di tracciabilità e che sia raggiunta una parità di condizioni per la produzione europea;
l) a garantire incentivi agli Stati membri affinché migliorino le misure fiscali applicate agli agricoltori e facilitino l'accesso al credito;
m) ad individuare nella nuova politica agricola comune gli strumenti per contrastare le situazioni di crisi di alcuni comparti produttivi importanti per l'Italia, come tabacco, barbabietola da zucchero e altri, particolarmente penalizzati dall'ultima riforma della politica agricola comune;
n) ad individuare strumenti idonei al miglioramento delle filiere, tali da poter potenziare il valore aggiunto dei produttori, rafforzarne il potere di mercato e valorizzare il sistema di strutture associative presenti in Italia, così come è emerso dalle esperienze positive delle organizzazioni dei produttori ortofrutticoli.
(1-00548)
«Di Giuseppe, Rota, Borghesi, Donadi, Evangelisti, Di Pietro, Piffari, Barbato, Cambursano, Cimadoro, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Porcino, Zazzera».
(31 gennaio 2011)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)