XVI LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 430 di lunedì 7 febbraio 2011
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE
La seduta comincia alle 14,35.
ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 31 gennaio 2011.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Bratti, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Fitto, Franceschini, Franzoso, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Modifica nella composizione di una componente politica del gruppo parlamentare Misto.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera in data 3 febbraio 2011, il deputato Aurelio Salvatore Misiti ha dichiarato di dimettersi dalla componente politica «Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud», continuando ad aderire al gruppo parlamentare Misto.
Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Araba Siriana fatto a Roma l'11 settembre 2008 (A.C. 3994) (ore 14,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Araba Siriana fatto a Roma l'11 settembre 2008.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 3994)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Narducci, vicepresidente della Commissione affari esteri, ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore.
FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, Pag. 2signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'accordo in esame rappresenta l'opportunità per trattare finalmente il tema della centralità della cooperazione culturale per un'azione di politica estera che aspiri ad essere davvero efficace nell'irrobustire i legami di amicizia tra gli Stati e nel creare contesti di pace e stabilità. Si tratta evidentemente di obiettivi prioritari e adesso davvero urgenti, soprattutto con riferimento all'area del Mediterraneo e del grande Medio Oriente.
La Siria è un Paese di riconosciuta rilevanza strategica nel quadrante regionale, in questo momento esposto ai venti del cambiamento e dell'instabilità che stanno interessando gran parte del mondo arabo. Il presidente Assad - che pure guida un Paese dove il partito Baath è al potere dal 1963, dove l'opposizione è al bando, dove vige lo stato di emergenza e dove negli ultimi giorni la censura si è abbattuta su Internet e sui social network - ha riconosciuto che «la cura è la riforma, il saper aprire la società e allacciare un dialogo con il popolo».
È un messaggio forse tardivo e solo i prossimi giorni potranno chiarire come andranno effettivamente le cose. Nel frattempo, sul nostro Paese, come su tutta l'Europa, incombe il dovere di svolgere il nostro ruolo ricorrendo a tutti gli strumenti possibili per garantire la pace e promuovere la piena tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.
Sostenere la crescita della Siria sul piano culturale - e quindi civile e politico, oltre che economico - costituisce quindi il contributo più lungimirante ed incisivo che il nostro Paese può assicurare a questo importante interlocutore.
L'intesa tra Italia e Siria in materia culturale è stata avviata con l'accordo bilaterale del 2 dicembre 1971, un accordo divenuto ormai obsoleto in ragione della rapida evoluzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ma che fino ad ora ha consentito di realizzare proficue iniziative in campo linguistico e archeologico.
Mi riferisco, a titolo d'esempio, alla diffusione della nostra lingua attraverso tre lettorati operanti nelle università di Damasco e di Aleppo; all'offerta annuale di 156 borse di studio per seguire corsi di laurea o post lauream presso i nostri atenei o al ruolo delle missioni archeologiche italiane che, di comune accordo con le autorità di Damasco, proseguono nei lavori di ricerca e di scavo nei siti di vari antichi insediamenti.
A tal proposito, ricordando la missione svolta dalla Commissione affari esteri nel 2008, si deve segnalare l'opportunità di monitorare l'andamento dei lavori di restauro della cittadella di Damasco, di cui l'Italia si è assunta l'iniziativa, che secondo alcune testimonianze dirette, sembrano essere proceduti con molta lentezza. Nel corso dell'esame in Commissione è stata segnalata al Ministero degli affari esteri, unitamente a quello per i beni e le attività culturali, la necessità di accertare che non vi siano da parte italiana responsabilità connesse alla mancata conclusione dei lavori al fine di non intaccare la nostra immagine.
Il nuovo Accordo si propone l'estensione della portata della cooperazione culturale italo-siriana a nuovi settori, prevedendo - diversamente dal precedente - le risorse finanziarie necessarie. Particolare rilievo assumono le disposizioni riguardanti la collaborazione in campo culturale tra i rispettivi organismi pubblici e privati: in particolare, a fronte della disponibilità siriana a facilitare l'attività dell'Istituto italiano di cultura di Damasco, il nostro Paese si impegna a render possibile la creazione di un'analoga istituzione in territorio italiano così come previsto all'articolo 3 dell'Accordo. Per quanto riguarda il settore artistico, è previsto lo scambio di mostre di vario soggetto, come anche la cooperazione nei settori della musica, della danza, del teatro e del cinema. Vi sono alcune considerazioni da svolgere sull'articolato che però vi risparmio, poiché ho intenzione di consegnare il testo della relazione.
Segnalo che le Commissioni affari costituzionali e cultura hanno espresso pareri favorevoli sul provvedimento, a differenza della Commissione bilancio che ne Pag. 3ha rinviato l'espressione per approfondimenti per cui il parere sarà reso direttamente all'Assemblea nel prosieguo dell'esame. Sul piano degli oneri finanziari, essi sono valutati in 209.300 euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012, e in 213.680 euro annui a decorrere dal 2013. La copertura di tali oneri è reperita nello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011-2013, nell'ambito dei fondi speciali di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.
Alla luce di quanto esposto auspico una valutazione favorevole sul provvedimento in esame.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole Lorenzin. Ne ha facoltà.
BEATRICE LORENZIN. Signor Presidente, questo importante provvedimento - come ha appena illustrato il vicepresidente Narducci - fa seguito ad una serie di accordi che intercorrono tra Italia e Siria, fin dal 1971, e si inserisce in un contesto più ampio, che è quello delle attività e degli accordi tra l'Italia e i Paesi del Mediterraneo.
Siamo particolarmente lieti di questo accordo, specificatamente per la realtà odierna della Siria e per il contesto in cui si va ad inserire negli scambi interculturali. Dobbiamo ricordare - entrando nel merito della materia - che i rapporti tra Italia e Siria, anche dal punto di vista della ricerca archeologica e filologica, vengono da assai lontano, da Palmira al Crac des Chevaliers, per citare due siti completamente diversi, uno di stampo romanico e l'altro invece medievale. Qui si tesse la storia dell'occidente e quella della cultura cristiana. La Siria è quindi un luogo in cui si è formata in parte la storia che conosciamo e quello che è l'uomo occidentale, dagli assiri in poi fino ad arrivare ai giorni odierni in cui si è disegnato, in quel territorio, in quel crocevia - che non a caso era la terra di passaggio di San Paolo - molto di quelle che sono le tre grandi culture monoteistiche che sono oggi nel mondo.
Quindi, lo scambio culturale di studio, dal punto di vista archeologico, ma anche di amicizia e relazione sul piano proprio prettamente scientifico, è estremamente importante e va perseguito. Credo che questo sia sicuramente un tassello significativo all'interno dei rapporti che sussistono tra il nostro Paese e gli altri Paesi di quest'area geografica.
Non sono però da sottovalutare altri due aspetti, legati sicuramente anche alla drammatica attualità e a cui tutti quanti noi siamo richiamati non soltanto dalla lettura dei giornali, ma proprio dalle immagini che ci vengono da un contesto, come quello mediorientale, che oggi è sicuramente in una fase di fibrillazione diffusa, come non lo era da almeno qualche decennio.
L'Italia sta continuando a giocare un ruolo importantissimo dal punto di vista diplomatico, che le appartiene storicamente e che va via via rafforzandosi, consistente nel fare da ambasciatrice anche dell'Europa nell'area mediterranea. Per questo ruolo, che è sinergico non soltanto per la pacificazione di un'area estremamente delicata, ma anche per i rapporti commerciali, di interscambio e flussi di persone, la cultura è spesso una delle vie migliori per poter innescare rapporti di conoscenza e di dialogo reciproco tra realtà spesso molto diverse.
Un altro aspetto che ci terrei a sottolineare, nei rapporti esistenti tra Italia e Siria, è anche il fatto che in Siria, a differenza di altre realtà e pur essendovi un regime particolare, c'è una convivenza pacifica anche con il mondo cristiano che riesce, comunque, ad avere dei propri punti di riferimento e a convivere in un Pag. 4contesto islamico. Quindi questo è un altro degli aspetti interessanti che può aiutarci anche a monitorare e a seguire con attenzione questo tipo di attività, quelle appunto degli scambi culturali, filologici, storici e archeologici tra i nostri due Paesi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, sono trascorsi quaranta anni esatti dal primo accordo di cooperazione culturale tra l'Italia e la Siria (un accordo fu siglato nel 1971) e sono passati poco più di due anni da un'altra sigla, non meno importante, quella fatta a Roma nel settembre del 2008 dell'intesa che oggi è alla nostra attenzione e che di fatto sostituisce quel primo accordo.
L'intenzione dell'Accordo è quella di estendere la portata della cooperazione culturale italo-siriana a nuovi settori. Si prevedono, infatti, diversamente dalla precedente, le risorse finanziarie necessarie, ampliando così la collaborazione in campo artistico, universitario, formativo, museale bibliotecario e la protezione e conservazione del patrimonio storico-artistico, ma anche una serie di iniziative congiunte tra i due Paesi del Mediterraneo.
D'altronde, come è già stato anche ricordato, l'amicizia e gli scambi (scambi che talvolta non sono stati proprio all'insegna di questa amicizia) tra i nostri popoli hanno radici millenarie, di cui la ricchezza del patrimonio archeologico siriano costituisce un'eloquente testimonianza.
Un esempio per tutti: altri hanno citato Palmira, io voglio citare la città di Ebla e la grande impresa portata avanti negli ultimi decenni dal professor Paolo Matthiae, direttore della spedizione italiana ad Ebla della quale è considerato lo scopritore. Si tratta di un'impresa che simboleggia il nostro interesse e rispetto per la storia della civiltà siriana e l'alto livello della cooperazione tra l'Italia e la Siria.
L'Accordo che stiamo discutendo contiene in verità disposizioni non diverse da quelle contenute in altre simili sottoscrizioni di Accordi con Paesi e con altri Stati in materia culturale e rientra in quel quadro complessivo di attività internazionali da sempre finalizzato a rafforzare la cooperazione in campo culturale.
In questo caso l'Accordo intende sostenere e rafforzare le già ottime relazioni bilaterali che sono destinate a diventare, quindi, ancor più intense nell'ambito proprio di una concezione della collaborazione culturale anche quale strumento di politica estera.
Nel merito va detto che gli interventi spazieranno dalle cattedre di lingua italiana nelle università siriane, allo sviluppo della cooperazione in ambito cinematografico, teatrale e musicale. Per promuovere la collaborazione accademica sono anche previsti scambi di docenti, un centinaio di borse di studio e una serie di accordi demandati ai singoli atenei. Da apprezzare è anche la disponibilità da parte siriana a facilitare l'attività dell'Istituto italiano di cultura di Damasco, mentre il nostro Paese si impegnerà a rendere possibile un'analoga iniziativa loro nel nostro territorio. Sono previsti tra Italia e Siria, dunque, molti più scambi culturali rispetto al passato; scambi che possiamo fin da adesso definire interessanti e proficui: scambi di mostre, cooperazioni nel settore della musica, della danza, del teatro e del cinema, con la partecipazione di entrambe le parti a festival ed eventi di rilievo, in più la cooperazione tra le istituzioni e le associazioni musicali, teatrali e operistiche tra i due diversi Paesi.
Però salterei questa parte - magari la riprendo in sede di dichiarazione di voto o consegnerò un testo scritto - perché mi piace pensare che, al di là dell'aspetto prettamente culturale, questa collaborazione che viene rilanciata e rinforzata possa lentamente avere effetti benefici anche in termini di una maggiore democratizzazione di quel Paese, di diffusione di un pensiero più libero soprattutto se consideriamo il quadro politico attuale nel Medio Oriente e anche, nello specifico, il quadro istituzionale siriano. La Repubblica Araba di Siria, infatti, è, come recita l'articolo 1 della loro Costituzione, uno Pag. 5Stato democratico, popolare, socialista e sovrano, dove è assegnato dalla stessa Costituzione un ruolo di partito guida nella società e nello Stato al partito arabo socialista Baath, ovvero «rinascita», che in particolare guida il fronte progressista nazionale, composto anche da altri piccoli partiti satelliti. Si tratta - qualcuno vi ha fatto menzione - di un partito che ha conquistato il potere in Siria fin dal 1963, poco dopo il fallimento dell'unione tra Siria ed Egitto nella ipotizzata Repubblica Araba Unita.
Purtroppo, ad oggi, i partiti del fronte progressista nazionale rappresentano gli unici partiti legali in Siria, mentre al di fuori di questi sono consentite soltanto candidature indipendenti. Va detto che, malgrado i buoni intenti e le aperture del leader Bashar al-Assad, che ne hanno caratterizzato l'inizio della sua presidenza, l'esercizio concreto delle libertà fondamentali, civili e politiche, pure riconosciute dalla Costituzione, marcano ancora oggi alcune contraddizioni di fondo. Alcune di queste sono nel codice penale, nella legge di emergenza in vigore addirittura dal 1963 e soprattutto nella legge sulle pubblicazioni del 2001, per cui tutte queste realtà contribuiscono ad impedire la pubblicazione di materiali che possano essere ritenuti dannosi per il mantenimento dell'unità nazionale e dell'immagine dello Stato e, un po' come accade in altri Paesi che non sempre prendiamo ad esempio come emblemi di democrazia (viene in mente Cuba), possano minacciare gli obiettivi della rivoluzione. Insomma, le dimostrazioni pubbliche, tanto per fare un ultimo esempio, sono ritenute illegali quando non ottengono preventivamente un'autorizzazione ufficiale da parte del Governo.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Evangelisti.
FABIO EVANGELISTI. Concludo, signor Presidente. Allora è difficile non pensare a quanto sta accadendo in queste ore in Egitto e in Tunisia, perché anche in questo Paese si deve registrare, fra l'altro, un limitato accesso ad Internet e altre questioni ancora. Non ho dubbi, parlo a nome del gruppo dell'Italia dei Valori, ad esprimere e ad anticipare un voto favorevole del nostro gruppo. Mi riservo, in dichiarazione di voto, di precisare un richiamo ulteriore visto che ho concluso il tempo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porta. Ne ha facoltà.
FABIO PORTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la ratifica dell'Accordo di cooperazione culturale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Araba Siriana è un atto importante e un ulteriore passo nel rafforzamento della dimensione culturale come parte integrante della nostra politica estera.
Si tratta di un accordo, quindi, che va salutato con soddisfazione e sostenuto con convinzione, in particolare per due ragioni. La prima, alla quale ho appena fatto riferimento, è relativa alla rilevanza per il nostro Paese della promozione della cultura italiana all'estero, ovvero il soft power di cui il nostro Paese dispone per consolidare e soprattutto accrescere la sua influenza, anche politica, sullo scenario globalizzato internazionale.
La seconda ragione è strettamente legata alla drammatica attualità di queste settimane, richiamata anche dei miei colleghi, caratterizzata proprio nel Mediterraneo in Paesi dalle caratteristiche fortemente simili alla Siria, come l'Egitto e la Tunisia da sommovimenti e fermenti che dovrebbero indurci a moltiplicare, anche strategicamente, le azioni di presenza e di dialogo culturale con quest'area del mondo a noi tanto prossima.
Prima di tornare a sviluppare brevemente queste due considerazioni, permettetemi di ripercorrere le linee generali dell'accordo oggi in discussione e ben illustrate dal relatore onorevole Narducci. L'intesa ha lo scopo di rafforzare la cooperazione culturale tra i due Paesi, già avviata con l'accordo bilaterale del 2 dicembre Pag. 61971. Si tratta di un accordo che oggi, a quarant'anni esatti di distanza, è divenuto evidentemente obsoleto in ragione della rapida evoluzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che pure ha reso fino ad ora proficue iniziative in campo linguistico ed archeologico.
Conseguentemente, il nuovo accordo si propone di estendere la portata della cooperazione culturale italo-siriana a nuovi settori, prevedendo, diversamente dal precedente, le necessarie risorse finanziarie. Sono da rilevare in senso positivo le disposizioni relative alla cooperazione culturale tra i rispettivi organismi pubblici e privati e, in particolare che, a fronte della disponibilità siriana a facilitare l'attività dell'Istituto italiano di cultura di Damasco, il nostro Paese si impegna a rendere possibile la creazione di un'analoga istituzione in territorio italiano.
In campo artistico, poi, è previsto come si è detto lo scambio di mostre di vario genere, come anche la collaborazione nei settori della musica, del teatro e del cinema, con la partecipazione di entrambe le parti a festival ed eventi di rilievo. L'accordo prevede, inoltre, lo scambio di informazioni, programmi scolastici e universitari, insegnanti ed esperti nel settore dell'istruzione e della formazione. Ciascuna delle parti esaminerà la possibilità di offrire borse di studio a laureati e laureandi dell'altra parte, onde permettere la frequenza di corsi universitari e postuniversitari.
L'accordo disciplinerà, altresì, la cooperazione per il ritrovamento e la conservazione del patrimonio archeologico, ricco in entrambi i Paesi, promuovendo la fondazione di apposite istituzioni.
L'attuazione dell'accordo è rimessa ad un'apposita commissione congiunta che curerà tra l'altro la messa a punto di programmi esecutivi pluriennali.
Per ciò che concerne il disegno di legge di ratifica già illustrato, esso come sapete si compone di quattro articoli. I primi due recano rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione dell'Accordo culturale tra Italia e Siria dell'11 settembre 2008, mentre l'articolo 3 quantifica gli oneri derivanti dall'applicazione dell'intesa valutati in 209.300 euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 e in 213.680 a decorrere dal 2013.
Si tratta di un accordo adeguatamente articolato, quindi, per rispondere alle rinnovate e specifiche esigenze di cooperazione culturale tra i due Paesi, con possibili positive ricadute sul dialogo politico e istituzionale tra l'Italia e l'intera area mediterranea e mediorientale.
Peccato che i due punti di forza ai quali facevo riferimento all'inizio di questo intervento, che dovrebbero contribuire a collocare strategicamente questa ratifica nel quadro di una politica più generale di promozione della cultura italiana all'estero, da un lato, e di una rinnovata e organica azione di presenza politica nel Mediterraneo, dall'altro, non costituiscano, da qualche tempo, due eccellenze della nostra politica estera.
Al contrario, i tagli ripetuti alle politiche del Ministero degli affari esteri per la diffusione della lingua e della cultura italiane nel mondo hanno reso ormai asfittico, quasi ininfluente, tale importantissimo comparto della nostra strategia di presenza culturale sul piano internazionale, rendendo ormai improponibili comparazioni o analogie con le politiche e le risorse dispiegate in settori analoghi da tutti i maggiori Paesi europei.
È davvero triste che un Paese universalmente conosciuto e rispettato per il suo enorme patrimonio artistico e culturale debba essere ormai privo di una presenza all'estero adeguata, anche strutturalmente, a tale bagaglio unico e irripetibile. Se a tale considerazione aggiungiamo il fatto che la presenza nel mondo di una popolazione di oriundi prossima ai 100 milioni di unità dovrebbe essere un ulteriore stimolo e incentivo al rafforzamento di tale programma di lingua e cultura, allora è facile concludere come in questo contesto la ratifica di questo importante Accordo rischi di essere un tassello sicuramente utile, ma, probabilmente, non rilevante dal punto di vista strategico. Pag. 7
La scorsa settimana quest'Aula del Parlamento ha approvato una legge che promuove la ricerca sulla storia e sulla cultura del Medioevo europeo. Non riusciamo, invece, a calendarizzare la riforma della legge n. 153 del 1971 sulla lingua italiana all'estero. L'onorevole Narducci, che mi ha preceduto, è autore di una proposta in tal senso. Si tratta di una legge che risale anch'essa - quale coincidenza - al 1971, lo stesso anno dell'Accordo bilaterale tra Italia e Siria che stiamo oggi aggiornando adeguandolo con la ratifica dell'intesa in materia culturale. Mi pare che, dopo quarant'anni, la riforma della legge n. 153 del 1971 dovrebbe essere una priorità e non un provvedimento inferiore per importanza alla legge sullo studio del Medioevo o all'aggiornamento della cooperazione culturale con la Siria.
Siamo comunque convinti che la coincidenza della ratifica dell'Accordo culturale italo-siriano con un momento altamente delicato per la cooperazione con l'area mediterranea e mediorientale debba e possa essere un fattore di riflessione nel senso di una rinnovata politica in quella regione. Si tratta di una regione dove, ad una presenza economica importante, non corrisponde - ammettiamolo - un corrispondente ruolo politico del nostro Paese. È una grave debolezza politica, confermata dall'esclusione nei giorni scorsi dell'Italia dal primo tentativo di risposta europea alla crisi egiziana e dalle successive, stonate e direi anche isolate dichiarazioni del nostro Presidente del Consiglio.
Forse nessuno, come è stato saggiamente detto da autorevoli osservatori in questi giorni, ha davvero capito cosa stava succedendo nel Mediterraneo. In questo nessuno, dobbiamo anche considerare la gran parte del mondo politico occidentale, che ha guardato per anni al Maghreb più come a un mercato di oltre 150 milioni di consumatori che come al naturale interlocutore politico dell'Europa.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FABIO PORTA. Ci siamo preoccupati di quell'area più per le possibili presenze terroristiche e per l'immigrazione clandestina che non per la costruzione di un serio dialogo politico e istituzionale volto all'affermazione di una reale e non retorica unione mediterranea.
È per questo, forse, che quello che è accaduto in questi giorni in Tunisia e in Egitto ci ha colto impreparati e di sorpresa, forse anche perché tutto ciò è accaduto intorno ad una legittima rivendicazione di rappresentanza democratica e di giustizia sociale, e non sulla base di un cieco fanatismo di matrice islamica.
Signor Presidente, queste similitudini - la Siria non è un Paese molto diverso dall'Egitto e dalla Tunisia - devono farci riflettere e devono rafforzare l'idea che sostenere politicamente programmi e accordi che vanno nella direzione della ratifica in oggetto sia utile ed opportuno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3994)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione del relatore, l'onorevole Narducci, Vicepresidente della Commissione affari esteri.
FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, l'esaustiva relazione e gli interventi che vi sono stati pongono in evidenza l'importanza dell'accordo culturale in oggetto che sostituisce quello del 1971, che non riusciva più a funzionare anche per mancanza di finanziamenti. Pag. 8
Per tale ragione, tenuto anche conto del quadro politico generale che esiste in quell'area, l'importanza dell'Accordo in esame è tale che ne va raccomandata al più presto l'approvazione.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Giancarlo Giorgetti ed altri: Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri (A.C. 3921-A) (ore 15,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, d'iniziativa dei deputati Giancarlo Giorgetti ed altri: Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 3921-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il Presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Baretta.
PIER PAOLO BARETTA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'unità dell'Europa è uno dei più importanti obiettivi tuttora da perseguire e sempre più l'Europa è un fattore di politica interna dei singoli Stati membri. Come affermato in occasione dell'esame del Programma Europa 2020, dobbiamo favorire ogni passo che ne rafforzi l'unione politica e l'integrazione.
Questa prospettiva è resa ancor più urgente dalla recente crisi economica globale che ha colpito anche l'economia europea mettendo in evidenza l'esigenza di realizzare a livello europeo un nuovo meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali, fino ad ora affidato ai vincoli, meno stringenti, del metodo del «coordinamento aperto».
In quest'ottica, il Consiglio Ecofin del 7 settembre 2010, in attuazione di un indirizzo espresso dal Consiglio europeo del mese di giugno, sulla base di una comunicazione della Commissione europea, ha dato l'avvio, a partire dal mese di gennaio 2011, al semestre europeo, approvando contestualmente le conseguenti modifiche al codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità.
Il semestre europeo si sostanzia nell'introduzione di una procedura organica volta al preventivo coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri. Ciò comporta la necessità di prevedere una discussione preventiva in sede europea sulle politiche nazionali e sui principali effetti di interventi di riforma economico-finanziari. La Commissione europea raccomanda che a questa governance economica rafforzata dell'Unione europea siano strettamente associati, in fase precoce, i Parlamenti nazionali e che sia inoltre rafforzato il dialogo con il Parlamento europeo.
Il semestre europeo coprirà tutti gli aspetti della sorveglianza economica, comprese le politiche intese a garantire la disciplina di bilancio e la stabilità macroeconomica e a favorire la crescita e la competitività, conformemente alla strategia Europa 2020.
A tale fine, nell'ambito del semestre europeo, sono previste la presentazione contestuale da parte degli Stati membri e la valutazione simultanea da parte della Commissione europea dei programmi di stabilità o di convergenza (PSC) e dei programmi nazionali di riforma (PNR). Le Pag. 9richiamate modifiche al codice di condotta predisposte dal Comitato economico e finanziario definiscono in maniera dettagliata i nuovi contenuti dei suddetti programmi, che dovranno contenere una molteplicità di dati e di informazioni.
Sotto il profilo procedurale, il semestre europeo si articolerà come segue.
Nel mese di gennaio la Commissione europea presenta al Parlamento l'indagine annuale sulla crescita; nel mese di febbraio il Consiglio europeo elabora le linee guida trasversali di politica economica e di bilancio a livello dell'Unione che gli Stati membri devono prendere in considerazione nella predisposizione dei Programmi di stabilità o di convergenza e dei Programmi nazionali di riforma; nel mese di aprile gli Stati membri sottopongono contestualmente i due documenti; nel mese di giugno, sulla base dei due documenti, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica e di bilancio; nel mese di luglio il Consiglio Ecofin e, per la parte che gli compete, il Consiglio occupazione e affari sociali approvano le raccomandazioni; nella seconda metà dell'anno gli Stati membri approvano le rispettive manovre economiche e le leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni espresse dal Consiglio europeo.
Nell'indagine annuale sulla crescita dell'anno successivo, la Commissione europea dà conto dei progressi conseguiti dai Paesi membri nell'attuazione delle raccomandazioni. È opportuno sottolineare che le raccomandazioni, che saranno rivolte ai singoli Stati, dovranno essere esplicite e concrete. Inoltre, nell'ambito delle politiche di bilancio sarà chiaramente indicato se gli obiettivi previsti e le misure individuate per conseguirli risultino congrui.
Per quanto riguarda le politiche volte a promuovere la crescita e a fronteggiare i rischi finanziari, le raccomandazioni si concentreranno su un numero limitato di riforme-chiave, fissando termini precisi per la loro attuazione.
La nuova procedura di coordinamento rappresenta un'opportunità fondamentale per realizzare una piena coincidenza tra programmazione europea e programmazione nazionale, in quanto nella nuova cornice i due documenti sono destinati a divenire gli atti fondamentali della programmazione economico-finanziaria degli Stati membri.
In particolare, per l'Italia, il Programma di stabilità o di convergenza (che viene predisposto sulla base dei documenti di programmazione nazionali - dei quali, se necessario, venivano aggiornati gli obiettivi e gli interventi previsti - ed è finalizzato a consentire la verifica in sede europea delle politiche di bilancio) diviene così il principale atto di programmazione nazionale, definito sulla base di orientamenti e perfezionato sulla base di raccomandazioni espresse dalle istituzioni europee.
Il Programma nazionale di riforma dovrebbe, invece, essere configurato in termini assai più pragmatici rispetto ai programmi per l'attuazione della Strategia di Lisbona, assicurando una piena coerenza tra le strategie di riforma e le politiche di bilancio attraverso un'indicazione puntuale degli obiettivi perseguiti e dei risultati raggiunti.
In tale contesto, occorre poi considerare che la Commissione europea, il 29 settembre 2010, ha presentato un pacchetto di sei proposte legislative (cinque regolamenti e una direttiva), volte al rafforzamento della governance europea in due ulteriori ambiti di intervento, individuati dal Consiglio europeo nel giugno scorso. In particolare, il Consiglio europeo aveva deliberato: la creazione di una più forte sorveglianza macroeconomica, che includa meccanismi di allerta e di sanzione, per affrontare gli squilibri di competitività e di crescita; l'applicazione più rigorosa del Patto di stabilità e crescita. Le proposte presentate dalla Commissione europea presentano in particolare modifiche dei due regolamenti vigenti, relativi all'attuazione del Patto di stabilità e crescita, e introducono vincoli, procedure di coordinamento e meccanismi sanzionatori completamente nuovi.
Il nuovo sistema di coordinamento delle politiche economiche nell'Unione europea dovrebbe, in ogni caso, tenere conto Pag. 10del Rapporto finale della task force, approvato dal Consiglio europeo nello scorso fine ottobre 2010, che individua i cinque pilastri per il rafforzamento della governance dell'Unione europea: la disciplina di bilancio, da perseguire in particolare attraverso il Patto di stabilità e crescita più forte ed efficace; l'ampliamento del campo di applicazione dei meccanismi di sorveglianza economica; un coordinamento delle politiche economiche; un consolidamento dei meccanismi di risoluzione; la creazione di istituzioni più forti ed inserite in un processo decisionale.
Tutti questi temi, che vanno a rafforzare la governance economica europea, sono stati oggetto di attento approfondimento in questi mesi da parte della Commissione bilancio.
Il nuovo quadro delle procedure di coordinamento richiede quindi un tempestivo intervento di riforma della legge n. 196 del 2009, in materia di contabilità e finanza pubblica, nonostante tale legge sia entrata in vigore poco più di un anno fa. Il semestre europeo 2011 ha, infatti, già avuto avvio, con la presentazione, il 12 gennaio scorso, della comunicazione della Commissione relativa all'analisi annuale sulla crescita. Si rende, quindi, necessario un complessivo ripensamento delle scadenze del ciclo della programmazione nazionale, al fine di tenere conto del nuovo calendario previsto in sede europea.
In questo senso si è elaborata la presente proposta di legge, che è stata sottoscritta dai rappresentanti di tutti i gruppi presenti in Commissione bilancio, coerentemente con lo spirito unitario già sperimentato, tra i due rami del Parlamento e tra le diverse componenti politiche, in occasione del varo della nuova legge di contabilità e finanza pubblica.
Il lavoro svolto in Commissione è stato estremamente proficuo e ha consentito - grazie anche all'attività conoscitiva svolta nell'ambito dell'esame preliminare del provvedimento - di mettere a fuoco alcuni punti problematici del testo presentato e di individuare, sempre in uno spirito di condivisione tra le diverse parti politiche (lo voglio sottolineare), le opportune modifiche ed integrazioni. La proposta di legge si compone di otto articoli. L'articolo 1, alla luce delle ricadute procedurali e di merito del semestre europeo, inserisce tra i principi fondamentali della legge n. 196 del 2009 quello della coerenza della programmazione finanziaria delle amministrazioni pubbliche con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione europea.
L'articolo 2 definisce tutte le previsioni normative che rappresentano una diretta conseguenza dell'introduzione del semestre europeo. Si provvede, in primo luogo, a sostituire l'articolo 7 della legge n. 196 del 2009, che individua gli strumenti della programmazione di bilancio, prevedendo, entro il 10 aprile di ogni anno, il Documento di economia e finanza (DEF), nel quale incorporare lo schema del Programma di stabilità e lo schema del Programma nazionale di riforma. È inoltre prevista la presentazione, entro il 20 settembre, di una Nota di aggiornamento e si stabilisce che entrambi i documenti siano oggetto di deliberazioni parlamentari. I tempi per l'esame parlamentare dei due documenti di programmazione sono effettivamente stringenti e, rispetto al testo iniziale, si è previsto solo un anticipo di cinque giorni del termine di presentazione della Nota di aggiornamento. Anche alla luce delle difficoltà prospettate nel corso delle audizioni svoltesi, si è tuttavia ritenuto che non vi fossero le condizioni, almeno in questa fase, per un loro ampliamento.
Le modifiche più rilevanti contenute nell'articolo 2 riguardano l'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 e sono relative ai contenuti del Documento di economia e finanza, che sono articolati in tre sezioni. La prima sezione reca lo schema del Programma di stabilità, che dovrà contenere tutti gli elementi e le informazioni previsti dall'Unione europea. La seconda sezione del Documento contiene invece una serie di dati e di informazioni che in massima parte il Governo, nell'ambito della Relazione sull'economia e la finanza pubblica e della Decisione di finanza pubblica, era già tenuto a fornire alle Camere. In questa sezione, a seguito dell'approvazione Pag. 11di un emendamento, si procederà inoltre all'individuazione di regole generali sull'evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in linea con l'esigenza, evidenziata anche in sede europea, di individuare forme efficaci di controllo dell'andamento della spesa pubblica, anche attraverso la fissazione di tetti di spesa.
La terza sezione del Documento conterrà invece lo schema del Programma nazionale di riforma, di cui sono enunciati i contenuti principali che, in ogni caso, potranno essere adeguati all'evoluzione della disciplina dell'Unione europea. Anche in questo caso al Parlamento risulterà sottoposto il medesimo programma che sarà inviato a Bruxelles.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato sensibilmente rafforzato il coinvolgimento delle autonomie territoriali nelle procedure di programmazione economica e finanziaria, recependo in tal modo le indicazioni formulate in materia dagli organismi rappresentativi degli enti territoriali. In particolare, si prevede che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - e, fino alla sua istituzione, la Conferenza unificata - valuti gli andamenti della finanza pubblica al fine di fornire al Governo indicazioni in ordine alla definizione dei contenuti del DEF. La ratio di queste procedure è quella di confermare, anche in questa riforma, il livello di partecipazione delle autonomie al processo decisionale, già previsto dalla legge n. 196 del 2009. A seguito delle modifiche introdotte nel corso dell'esame in sede referente, al DEF sono allegati il programma delle infrastrutture strategiche previsto dalla cosiddetta legge obiettivo, che nel testo iniziale era invece allegato alla Nota di aggiornamento, e un documento relativo allo stato di attuazione degli impegni in materia di riduzione dei gas ad effetto serra, già previsto, con riferimento al protocollo di Kyoto, dall'articolo 26 del decreto-legge n. 159 del 2007.
Per quanto riguarda i disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, si prevede che essi possano essere indicati sia nel DEF sia nella Nota di aggiornamento. L'articolo 10-bis, introdotto dal comma 3 dell'articolo 2, disciplina il contenuto della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, che dovrà contenere, oltre all'eventuale aggiornamento delle previsioni macroeconomiche e alle eventuali modifiche del Documento di economia e finanza, relative al Programma di stabilità, l'obiettivo del saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato e del saldo di cassa del settore statale. La Nota può anche aggiornare gli obiettivi programmatici individuati dal DEF. La Nota dovrà inoltre recare gli eventuali aggiornamenti del Patto di stabilità interno.
Alla Nota di aggiornamento dovranno essere allegate le relazioni programmatiche per ciascuna missione di spesa che vanno attualmente allegate alla Decisione di finanza pubblica. La presentazione della Nota non è più, pertanto, esclusivamente legata agli eventuali correttivi che si ritenessero necessari, a fronte di rilevanti scostamenti degli andamenti di finanza pubblica, ma diventa uno strumento obbligato e necessario di indirizzo generale. Ciononostante, si dispone, comunque, in coerenza con quanto stabilito dalla legge n. 196 del 2009, che, qualora il Governo intenda aggiornare gli obiettivi definiti dal Documento di economia e finanza, ovvero, quando gli scostamenti facciano prevedere una manovra, sia tenuto a trasmettere al Parlamento una relazione finalizzata a motivare le ragioni dell'aggiornamento o degli scostamenti e a illustrare gli interventi correttivi.
Anche alla luce dell'esigenza di assicurare il contenimento dell'indebitamento e del debito pubblico, in linea con le indicazioni di un rafforzamento del rilievo dei parametri in sede europea, l'articolo 3 reca disposizioni idonee ad agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, favorendo il contenimento della spesa e la riduzione del debito. Viene, in particolare, modificato il secondo periodo del comma 6 dell'articolo 11 della legge n. 196 del 2009, che consente di utilizzare, purché presenti un valore positivo, il risparmio pubblico per la copertura finanziaria della legge di stabilità. Attualmente, Pag. 12infatti, gli eventuali margini positivi rispetto all'assestamento relativo all'esercizio precedente sono utilizzabili, in presenza di un risparmio pubblico, per la copertura di tutte le spese correnti previste dalla legge di stabilità.
Rivedendo l'impostazione originaria della proposta di legge, che escludeva tout court l'utilizzo del risparmio pubblico, il testo elaborato dalla Commissione consente, invece, il suo impiego per la copertura finanziaria delle sole riduzioni di entrata. Si è, infatti, ritenuto opportuno limitare l'utilizzo di tale forma di copertura, consentendo, tuttavia, il suo impiego per misure di carattere fiscale che, senza incrementare il livello della spesa corrente, possano, comunque, favorire la crescita economica. Si prevede, inoltre, una modifica dell'articolo 17 della legge n. 196 del 2009, volta a precludere l'utilizzo, in corso d'anno, con finalità di copertura, di eventuali «tesoretti» derivanti dal miglioramento delle previsioni di entrata rispetto a quanto previsto a legislazione vigente. Un'altra limitata, ma significativa, modifica riguarda la correzione di un principio della delega legislativa per la revisione della struttura del bilancio volta ad estendere alle spese non rimodulabili la facoltà, attualmente prevista solo per le rimodulabili, di fissare, in linea di massima con la Decisione di economia e finanza, e di adottare, poi, con la legge di bilancio, tetti di spesa coerenti con la programmazione triennale delle risorse. Tale previsione dovrebbe consentire una più efficace programmazione di medio termine che fornisca alle amministrazioni maggiori certezze oltre alle risorse disponibili.
L'articolo 4, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, intende rafforzare le procedure parlamentari di controllo sulla finanza pubblica, disciplinate dall'articolo 4 della legge di contabilità e finanza pubblica. In particolare, si prevede un rafforzamento del coordinamento tra le attività delle due Camere in materia, prevedendo che, sulla base di intese tra i Presidenti delle Camere, si possa procedere all'integrazione delle attività delle strutture di supporto tecnico. Al fine di accrescere la disponibilità di elementi di valutazione dei Documenti di finanza pubblica, si prevede, inoltre, che le Camere possano stipulare apposite convenzioni con l'ISTAT per l'acquisizione di dati ed elaborazioni prodotte dall'Istituto di statistica.
L'articolo 5 sopprime l'articolo 12 della legge n. 196 del 2009, che disciplina la Relazione sull'economia e sulla finanza pubblica e la Relazione generale sulla situazione economica del Paese. Mentre il primo documento non risulta più necessario alla luce del nuovo quadro, la Relazione generale sulla situazione economica necessita di essere aggiornata e snellita al fine di fornire al Parlamento uno strumento conoscitivo effettivamente utile e mirato a completare un corredo informativo già abbastanza corposo.
L'articolo 6, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, reca una modifica dell'articolo 42 della legge di contabilità e finanza pubblica, relativo al passaggio dalla redazione del bilancio in termini di competenza e cassa ad una redazione in termini di sola cassa. Si tratta di un passaggio estremamente complesso e delicato, per il quale la legge n. 196 del 2009 non a caso ha previsto un'ampia fase di sperimentazione che serve per attuare meglio la delega legislativa. Con la modifica introdotta, si è inteso rafforzare ulteriormente il controllo effettuato nella fase di sperimentazione al fine di verificare la sostenibilità del passaggio alla redazione del bilancio in termini di sola cassa. Si richiede, infatti, che nel rapporto annuale, che il Ministro dell'economia e delle finanze deve trasmettere alle Commissioni parlamentari e alla Corte dei conti, si evidenzino gli effetti che il passaggio al bilancio di cassa è destinato a determinare sull'intera contabilità pubblica, anche in relazione al contemporaneo processo di armonizzazione dei principi contabili e degli schemi di bilancio.
Sulla base delle informazioni acquisite, il Parlamento potrà, quindi, valutare consapevolmente se e come intervenire sulla delega legislativa prevista dall'articolo 42. Pag. 13
L'articolo 7 reca ulteriori modifiche alla legge n. 196 del 2009 e ad altre leggi connesse al processo di programmazione economico-finanziaria. In questo ambito, oltre a modifiche di carattere formale e di coordinamento, si prevedono talune novelle alla delega legislativa in materia di completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato. Il termine per l'esercizio della delega è prolungato di un anno, da due a tre anni. Ritengo, peraltro, che la Commissione bilancio debba attivare una proficua interlocuzione con il Governo e un costante monitoraggio per quanto riguarda la concreta attuazione della delega sulla riforma del bilancio.
È prevista inoltre l'introduzione di un criterio di delega volto a consentire l'introduzione, in via sperimentale, di un bilancio di genere...
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Baretta.
PIER PAOLO BARETTA, Relatore. ..per la valutazione del diverso impatto delle politiche pubbliche sulle donne e sugli uomini. Si tratta di una innovazione di particolare significato, che ci allinea alle più avanzate esperienze in campo internazionale.
Infine, l'articolo 8, introdotto nel corso dell'esame in Commissione, prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, in considerazione dell'esigenza di assicurare l'immediata efficacia delle disposizioni del provvedimento e consentirne l'applicazione anche nel «semestre europeo» del 2011.
La strumentazione che emerge - concludo - da questa nuova governance consente di offrire alla politica l'opportunità di affrontare e gestire al meglio il delicato intreccio, di cui ha particolare bisogno l'Italia, tra risanamento e crescita. Richiamo, a questo proposito, l'attenzione di tutti noi, ma, in particolare, del Governo, sul significato che assume, nell'ampia tastiera di strumenti stabiliti, il Programma nazionale di riforma, che deve diventare, per l'ottica rivolta al futuro che lo caratterizza, un vero e proprio punto di sintesi e rilancio; legame stretto tra le scelte politiche e la loro traduzione finanziaria e di bilancio.
In conclusione, la realizzazione, attraverso la legge n. 196 del 2009 prima e l'attuale proposta ora, di un'organica e moderna struttura del bilancio rappresenta un passo avanti non solo nella efficacia della azione di Governo e nella operatività e nei poteri del Parlamento, ma direi della stessa vita democratica. Abbiamo avuto modo di parlare, in occasione della definizione della legge n. 196 del 2009, della esigenza di dare corpo ad una vera e propria «democrazia del bilancio». Ancor più oggi questa definizione mi appare pertinente e necessaria (Applausi).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente, riprenderò alcune considerazioni rimodulandole dal punto di vista del lavoro che, come opposizione, abbiamo fatto in Commissione e che ci apprestiamo a fare in Aula. Come è stato detto, si tratta di un lavoro costruttivo con spirito bipartisan, come si afferma in qualche caso. Infatti, come diceva il relatore e come è già accaduto in occasione dell'approvazione della legge n. 196 del 2009, cioè della legge di riforma della precedente legge del 1978 in materia di bilancio, come già è accaduto in quell'occasione - eravamo alla fine del 2009, un anno e mezzo fa circa - anche adesso abbiamo fatto in Commissione un lavoro costruttivo a dimostrazione del fatto - lo vorrei sottolineare dal punto di vista politico - che noi dell'opposizione, quando ci sono i presupposti, siamo disponibili a fare un lavoro comune sulle regole da modificare che interessano sia la maggioranza sia l'opposizione e - il presidente della Commissione potrà testimoniarlo - anche un lavoro fattivo sia in Commissione sia in Aula. Pag. 14
La riforma della legge di bilancio ci porta a sottolineare che avevamo appena riformato la legge finanziaria del 1978 e ci accingiamo adesso a riformarla di nuovo, cioè stiamo parlando della riforma della riforma, dovuta al fatto che, come anche qui prima veniva richiamato, ci sono rilevanti novità che stanno accadendo a livello comunitario, cioè in Europa, in particolare a partire dal primo semestre del 2011 e questo ci richiede, ci impone e per certi versi ci mette nella condizione di scrivere quasi «sotto dettatura» alcune modifiche della legge che avevamo da non molto approvato affinché ci si coordini con il discorso comunitario su cui tornerò tra poco.
Vorrei a questo punto anche richiamare un altro degli aspetti che prima venivano evocati nella parte finale - io lo faccio all'inizio - e cioè lo spirito che aveva informato il nostro lavoro in occasione della riforma della legge n. 468 del 1978, che tra le altre cose era quello che ci muoveva a creare, come dicemmo a suo tempo, una vera e propria democrazia del bilancio, cioè ad avere un bilancio dello Stato e una legge finanziaria che fossero costruiti in modo intellegibile da parte degli operatori, ma anche da parte dei cittadini. Infatti, ogni volta che facciamo delle norme e costruiamo degli strumenti - e il bilancio è un documento di sintesi complessivo - dobbiamo porci la domanda di come riusciamo a costruirli affinché il comune cittadino possa guardarli, capirci qualcosa e rendersi conto di quello che noi trasferiamo poi dentro al bilancio in termini di decisioni che, almeno nelle intenzioni, ci augureremmo fossero finalizzate a perseguire e a conseguire un maggior bene comune.
All'epoca abbiamo fatto questo lavoro di costruzione di una migliore e di una maggiore democrazia del bilancio e dicemmo anche che volevamo passare da una contabilità dello Stato ad una contabilità pubblica, più precisamente ad una contabilità della Repubblica, quindi andando oltre la dimensione del bilancio strettamente statale. Adesso, volando un poco con la fantasia, diciamo che stiamo mettendo le premesse per quella che probabilmente dovrà essere una contabilità degli Stati Uniti d'Europa. Prima o poi ci dovremo arrivare, nel senso che i diversi Stati nazionali cominciano a confrontare le linee di politica economica di costruzione dei propri documenti contabili con un'uniformità ed un'omogeneità che in prospettiva prefigurano evidentemente la costruzione di regole di bilancio e di documenti di bilancio, in una logica di armonizzazione e di uniformità che ci renderanno più uguali agli altri Paesi, in modo che anche su questo piano costruiremo quelli che prima chiamavo gli Stati Uniti d'Europa.
Questa nuova legge che è stata illustrata brillantemente dal relatore prima peraltro ci vede in una condizione temporale che porterà anche credo, secondo un work in progress come si dice, a doversi in qualche modo coordinare con l'altra legge, che è una legge di delega, la legge n. 42 sul federalismo, perché è chiaro che da tutto ciò che partorirà - si è cominciato a fare questo lavoro con i decreti legislativi - vi saranno implicazioni di natura finanziaria che rifluiranno nella più complessiva legge di contabilità di cui stiamo parlando.
Allo stesso modo, l'altro aspetto che pure veniva richiamato e che è una vera e propria rivoluzione, cioè il passaggio al bilancio di cassa, è questione un poco controversa, nel senso che non tutti sono d'accordo, ma noi l'abbiamo già messa nella legge n. 196 del 2009, cioè quella che abbiamo già approvato, e adesso abbiamo inserito in Commissione un emendamento che porta a prevedere esplicitamente, in termini di chiosa di quella legge, una valutazione delle implicazioni degli effetti che determina il passaggio al bilancio di cassa. Infatti, passare dall'attuale sistema misto al bilancio di cassa non sarà una cosa agevole, anche se è stata pensata per renderci più facile la vita, diciamo così, da un punto di vista contabile, cosa che però implica appunto una serie di approfondimenti e di valutazioni preliminari degli effetti che questo determinerà sulla costruzione dei bilanci. Pag. 15
Venendo alla proposta di legge a prima firma Giancarlo Giorgetti, il nostro autorevole presidente della Commissione bilancio, dicevo già prima, scherzando un po', che l'abbiamo fatta sotto dettatura dell'Europa, quindi per la necessità di adeguare la nostra legislazione a quella europea. Quindi, vi è un'esigenza tecnica, però non è solo un'esigenza tecnica: è anche un'esigenza politica, perché evidentemente nel mettere mano ad una nuova legge che disciplina e governa la procedura e le procedure di bilancio e ci fa arrivare alla sessione di bilancio, quello che mi sta a cuore sottolineare, e che è stato richiamato prima, è che ne va di mezzo anche il tema - anche questo è complicato, poi dirò meglio perché - della sovranità del Parlamento.
In altre parole, qui inizia ad emergere una questione: le misure che dovremo approvare in Parlamento - che, evidentemente, riguardano decisioni, che poi ricadono a valle, sulla vita reale, sui comportamenti finanziari degli operatori e sui maggiori o minori sacrifici che i cittadini dovranno affrontare - sono decise in piena autonomia, oppure ciò che dobbiamo fare è stabilito altrove, in questo caso, a livello comunitario? Inoltre, se esiste l'esigenza di coordinarci con gli altri Paesi in ordine alle linee di politica economica e finanziaria, qual è il grado di autonomia che il nostro Parlamento ha, se è vero che esso è sovrano? In altri termini, ci chiediamo come si possano tradurre ed importare nel nostro ordinamento e nella costituzione dei nostri bilanci quelle decisioni, in modo che noi che rappresentiamo, che dovremmo rappresentare, il popolo, in qualche modo, possiamo dire qualcosa.
Qui si misura non solo una questione complessa e un po' sofisticata, ma anche il livello di protagonismo del Parlamento nel compiere tali operazioni. Infatti, per dirla in altre parole e più sinteticamente, il processo che si sta avviando anche a livello europeo - che parte dal semestre europeo, che è stato prima richiamato - rischia di fare riferimento ad un dialogo tra gli esecutivi, piuttosto che tra le assemblee legislative. I Parlamenti, infatti, rischiano di diventare realtà che ratificano decisioni prese a livello di Governi. Di conseguenza, noi ci troviamo a fare gli attori, ahimè, in una contingenza storica - è una mia opinione personalissima - in cui tutte le assemblee legislative stanno rischiando di trasformarsi in Camere di vera e propria ratifica rispetto alle decisioni degli esecutivi. Ciò accade per i consigli comunali, per i consigli provinciali, per le assemblee regionali e per il Parlamento.
Tuttavia, poiché, in questo caso, la posta in gioco è di una certa consistenza, abbiamo cercato di prevedere, con la modifica della legge n. 196 del 2009 (quindi, all'interno del provvedimento di cui stiamo discutendo), alcune regole volte a coinvolgere il Parlamento nelle decisioni che dovremo assumere a Bruxelles, a livello europeo, quindi, sin dall'origine, cioè da quando nasce l'esigenza, già da gennaio, dal primo momento, da quando vengono scritte le linee guida del semestre europeo, con riferimento alla politica economica e finanziaria che viene richiesta a livello europeo.
Nel provvedimento in discussione abbiamo previsto che il Parlamento venga coinvolto nelle decisioni che il Governo dovrà assumere, che entro il 30 aprile porterà a Bruxelles: la sua «valigetta» dovrà contenere le nostre proposte, sia con riferimento al Patto di stabilità e di crescita che al programma nazionale di riforme.
Il contenuto di quell'immaginaria valigetta dovrà essere l'esito di procedure che vedano il Parlamento coinvolto nella sostanza e, quindi per tempo: non si può vedere il Governo che arriva in Parlamento due giorni prima, dopo che ha fatto tutto, e che fa finta di discutere. Tutto deve avvenire per tempo: dopo l'enunciazione delle linee guida, il Governo deve sottoporle al Parlamento e inviarle alla Conferenza permanente Stato-regioni, laddove vengano coinvolti, contestualmente, anche le regioni e gli enti locali (proprio perché vi è un'esigenza di contabilità della Repubblica, di cui parlavo in precedenza). Ciò affinché, dalle citate linee guida e dagli Pag. 16elementi che emergono già nella fase preventiva parlamentare, il Governo possa poi attingere ciò che ritiene opportuno e migliorare il quadro di economia e finanza che deve elaborare.
Il quadro di economia e finanza - come abbiamo detto - una volta che è stato elaborato, dopo che si è acquisito il parere del Parlamento e della Conferenza permanente, viene presentato di nuovo al Parlamento e alla Conferenza Stato-regioni; abbiamo previsto che venga inviato anche al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Vorrei ricordare, se qualcuno se ne fosse dimenticato, che il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro è un organo costituzionale, che oggi vive in una terra un po'improbabile, se così posso dire: infatti, ai pareri del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro non si dà l'importanza che meriterebbero, dato che è ancora un organo costituzionale.
Ed allora noi, che amiamo la nostra Costituzione, che è la più bella del mondo - secondo noi -, abbiamo previsto che non solo si deve sottoporre questo Documento di economia e finanza alla Conferenza permanente Stato-regioni, affinché possano essere coinvolti i soggetti che risentono poi direttamente delle decisioni finanziarie, cioè regioni, comuni e province, ma lo si debba trasmettere anche al Consiglio nazionale dell'economia del lavoro, dove le parti sociali - così è scritto nella Costituzione - si ritrovano per formulare, in un documento di sintesi, proposte e osservazioni al Parlamento. Ciò nel caso che si possa fare la sintesi più complessiva e offrire al Governo quella che è l'opinione del Paese e permettergli di elaborare le migliori linee da portare a Bruxelles, così da poter costruire una governance economica europea, affinando progressivamente le tecniche e coordinando progressivamente i documenti di bilancio.
Spero che questo accada al più presto, anche perché c'è una questione più ampia del livello europeo che è la governance economica mondiale. Mi auguro che l'Europa non solo riesca politicamente a fare un salto costruendo procedure e decisioni efficienti ed efficaci, ma contribuisca, poi, guardando ad extra e non solo ad intra - e quindi al resto del mondo, come si dice -, a decisioni più complessive laddove pure si gioca il nostro destino, e cioè contribuisca a elaborare una governance economica mondiale dopo aver messo a posto un po' di più le cose in casa propria.
Per quanto riguarda altre considerazioni che attengono alla proposta di legge che verrà esaminata qui in Assemblea, dopo che l'abbiamo esaminata in Commissione, sul contenuto del provvedimento - non lo ripeto perché ciò è stato in modo efficace già richiamato dal nostro relatore, il collega Baretta - si è già detto che all'articolo 1 queste linee guida verranno trasmesse alle Camere ed entro quindici giorni il Ministro viene in Parlamento. Non è prevista solo la trasmissione dei documenti, e cioè delle linee guida per la costruzione del Documento di economia e finanza, ma in Commissione abbiamo aggiunto che entro quindici giorni il Ministro dell'economia e delle finanze deve venire in Parlamento e deve dire: quindici giorni fa ho trasmesso questo documento e adesso vengo ad illustrare quali sono le caratteristiche dello stesso, quali sono le implicazioni per il nostro Paese e quali sono le nostre intenzioni che vogliamo confrontare con il Parlamento.
All'articolo 2 è prevista la programmazione anticipata che, a differenza di quanto avveniva prima, adesso si sposta ad aprile. Entro il 30 aprile - si è già detto - bisogna andare in Europa a presentare le proprie intenzioni e questa è la ragione per cui si elabora questo «vecchio DPEF» che adesso si chiama DEF, cioè Documento di economia e finanza, che viene presentato entro il 10 aprile e peraltro contiene al suo interno sia il programma di stabilità e di crescita che il cosiddetto programma nazionale di riforma di cui diceva il relatore poc'anzi.
È inoltre previsto che questo Documento, essendo molto anticipato, perché siamo ad aprile, possa - non necessariamente debba, ma realisticamente così sarà - avere una Nota di aggiornamento in settembre, di cui noi abbiamo anticipato la Pag. 17presentazione al 20 settembre. Infatti, aggiornati i dati e gli elementi che hanno qualificato la proposta portata in Europa, è addirittura previsto che se ci fosse un mutamento così sostanziale da dover modificare addirittura le linee guida complessive del Documento di economia e finanza che era stato presentato all'inizio dell'anno, ci potrà essere un aggiornamento entro i primi di settembre anche delle linee guida, prima che si elabori la Nota di aggiornamento.
Insomma, tutte le carte in regola per giungere alla sede referente della sessione di bilancio, come per la vecchia legge finanziaria - diciamo così - di modo che quest'ultima abbia alle sue spalle un quadro complessivo che fa riferimento non solo agli andamenti tendenziali dell'economia del nostro Paese, ma faccia riferimento a questi andamenti e a ciò che si è concordato a livello comunitario. Ciò, peraltro, con una prospettiva temporale triennale, che è stata introdotta formalmente già nel nostro Paese meritoriamente dal Ministro Tremonti, in verità ci avevamo pensato anche noi, ma non lo avevamo fatto.
Pertanto, con questa prospettiva triennale si costruisce quella contabilità della Repubblica, a cui accennavo prima, sulla base di questo Documento di economia e finanza, di cui ho già detto, che contempla queste tre sezioni, su cui si è già soffermato il nostro relatore.
Da un punto di vista di voci specifiche, che ci vedranno impegnati nella sessione di bilancio, anche e sempre, probabilmente, sotto dettatura (e speriamo che non sia una dettatura troppo stringente, visto come siamo messi su alcune voci, magari in tedesco, dice qualcuno), vorrei richiamare un altro aspetto. Una delle voci che qualificherà la sessione di bilancio e, quindi, il Documento di economia e finanza, riguarderà - ed è scritto nella proposta - la riduzione del debito. Infatti, una novità, che è emersa nel teorizzare e praticare questa esigenza del semestre europeo, riguarda il fatto che non si deve sorvegliare solo l'andamento del deficit, ma anche quello del debito, e che si deve rientrare, soprattutto da parte di quei Paesi che hanno un debito eccessivo.
Rimanendo alle stime Eurostat più recenti, al 2013 noi abbiamo un andamento del debito che si attesta intorno al 120 per cento, più o meno. L'obiettivo vero dovrebbe essere il 60 per cento. Quindi, capiamo tutti benissimo cosa significhi avere un debito doppio di quello che dovrebbe essere e cosa significhi dover rientrare, ovviamente con frazioni che siano tali da non, come si dice, ammazzare il cavallo. Tuttavia, vi è l'esigenza di far rientrare il debito: ciò è fuor di dubbio e vale per i Governi di destra o di sinistra, di centrodestra o di centrosinistra.
Non credo che si possa andare avanti per molto, senza che tale questione venga assunta in termini stringenti ed efficaci, che si riverbereranno sulle manovre che andranno a finire nella sessione di bilancio, di cui parlavo prima, e che contemplano, tra le altre cose, anche il rientro del debito. Come ci dice l'Europa, occorre accelerare tale processo: è uno dei punti previsto nella prima sezione del Programma di stabilità e del Documento di economia e finanza, di cui dicevo prima.
Sulle previsioni triennali ho già detto. Dal punto di vista del merito, vorrei richiamare - e anche questo è stato inserito nella proposta di legge - il fatto che abbiamo previsto che si individuino regole generali sull'evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche. Il discorso della spesa pubblica è diventato un altro «mostro», che sembra ingovernabile. Tutti lo citano, però, alla fine, la spesa, in particolare quella corrente, continua ad aumentare. Occorre individuare regole precise, occorre fare un lavoro di scavo e scendere sotto la superficie per fare in modo che questa «bestia», se così la possiamo chiamare, possa essere domata.
In questa sede mi permetto di ricordare - e lo faccio in Aula, parlando di queste cose - che, nella precedente legislatura, già a partire dalla prima relazione unificata effettuata dal precedente Governo, l'allora Ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa, Pag. 18si soffermò puntualmente su questi aspetti, in particolare sul tema di come si può ridurre la spesa. Lo faccio perché, purtroppo, egli è venuto meno nel dicembre scorso e specificamente in questa sede credo che sia doveroso ricordarlo, magari non per fare retorica, ma invitando ad andare a leggersi quelle pagine, laddove si diceva che la riduzione della spesa pubblica non si fa con le sciabolate retoriche e un poco demagogiche, ma si fa in modo assolutamente articolato e puntuale, con un'analisi che, mutuando ed importando dal termine inglese, dovrebbe essere una puntuale spending review, ossia un'analisi e revisione della spesa, per scendere fino all'ultimo ufficio pubblico d'Italia, se posso dire così, e fare in modo che, anche dallo spegnimento dell'interruttore della luce, si possa - lo dico metaforicamente - risparmiare spesa pubblica.
Ebbene, questo discorso della spesa, insieme al debito, sarà un altro degli elementi che incombe sempre più: infatti, dobbiamo ridurre la spesa ed aumentare l'entrata, in un Paese in cui succede esattamente il contrario, e cioè aumentano le spese e si riducono le entrate, il che evidentemente realizza l'effetto esattamente opposto a quello che dovrebbe essere la riduzione del debito complessivo. Questo è un altro punto che abbiamo inserito.
Il terzo punto - e procedo più rapidamente perché, guardando l'orologio, vedo che mancano solo cinque minuti - riguarda il discorso della competitività e della crescita.
In questo senso, abbiamo previsto - l'abbiamo messo al primo punto di questa terza sezione - lo stato di avanzamento delle riforme avviate, con eventuali scostamenti rispetto ai risultati che si erano ipotizzati e abbiamo definito esplicitamente quali sono i prevedibili effetti di questa riforma sulla crescita, sulla competitività e sull'occupazione del nostro Paese. Questo lo richiamo per far capire che anche a tal proposito, come per la spesa, dobbiamo uscire dal generico: tutti parlano di crescita, tutti dicono che bisogna crescere di più, ma noi rischiamo di diventare non piccoli, ma nani e questa sarebbe una tragedia perché i piccoli possono crescere, i nani invece - come sappiamo - non crescono. Bisogna, inoltre, scendere sotto la superficie dell'evocazione generica alla crescita, bisognerebbe che ci domandassimo più puntualmente in Parlamento - facendo diventare il Parlamento il luogo centrale della discussione sulla crescita del Paese - quali sono le misure, le politiche, i nuovi prodotti e i nuovi mercati ai quali ci dovremmo dedicare per far sì che questo obiettivo venga perseguito e conseguito.
Una cosa in più che certamente possiamo fare - l'abbiamo inserita in questa legge di riforma della contabilità - è introdurre la cultura della verifica, in una sorta di accountability dei principi che scriviamo. Ciò significa che, se vogliamo fare delle riforme, dobbiamo vedere quali sono gli effetti che ci aspettiamo da queste riforme sulla crescita, sulla competitività e sull'occupazione e stabilire un momento in cui controllare se quello che avevamo previsto si è verificato ed in cui eventualmente spiegare perché ci sono stati degli scostamenti rispetto alle previsioni che avevamo effettuato. Questo è un altro punto qualificante che abbiamo introdotto.
Le ultime due o tre cose che volevo dire riguardano un aspetto che non ha ricevuto il consenso della Commissione e che mi sono permesso di sottoporre all'Assemblea perché almeno se ne discuta nel merito. Esso attiene al ruolo dei collegati, che abbiamo recuperato già con la legge n. 196 del 2009 e, ulteriormente, con questa legge di modifica della legge n. 196.
In particolare, se elaboriamo un piano nazionale di riforme, a nostro avviso, bisogna prevedere esplicitamente alcuni collegati tematici che organicamente possano vedere il Parlamento discutere su quel tema: uno dovrebbe riguardare il Patto di stabilità e gli enti locali per evitare che ogni anno ci troviamo di fronte alla cerimonia di dover discutere drammaticamente con i comuni, le province e le regioni su cosa bisogna fare di più o di meno; bisognerebbe invece fare un unico Pag. 19ragionamento organico. L'altro collegato riguarda il tema della produttività e della crescita, di cui dicevo prima. Sono poi previste alcune relazioni importanti allegate al DEF, ossia al Documento di economia e finanza: una riguarda il Fondo per le aree sottoutilizzate, introdotto con un emendamento proposto dai colleghi dell'Italia dei Valori - se non ricordo male - con il quale, in particolare, si è previsto che si debba esplicitamente far riferimento all'effetto dei fondi addizionali che si introducono per quanto riguarda le aree sottosviluppate, cioè non solo a quelli che ci sono già, ma anche a quelli ulteriori che si introducono. Quindi, bisogna prevedere il contributo dei fondi addizionali per lo sviluppo di queste aree in via di sviluppo.
È previsto un altro allegato che riguarda tutto il tema delle infrastrutture e dei trasporti: basta leggere Il Sole 24 Ore di oggi per «mettersi a piangere»rispetto alla situazione che abbiamo su questo versante. Nel Documento di economia e finanza ben si prevede infatti di inserire un allegato esplicito su cui il Parlamento si possa soffermare per quanto riguarda tutta la materia delle infrastrutture e dei trasporti, così come sulla materia dell'ambiente e delle emissioni di gas che producono effetto serra.
Inoltre, l'ultimo allegato riguarda l'esplicitazione delle risorse previste per le singole regioni e specifica, regione per regione, quante sono le risorse che vanno alle stesse.
Questo è complessivamente l'impianto su cui in Commissione - come diceva bene il relatore - abbiamo cercato di migliorare qualitativamente ciò che avevamo fatto già con la legge n. 196 del 2009, per un verso adeguandoci a quello che si fa in Europa e che ci richiede questo cambiamento, per un altro verso cercando ulteriormente di migliorare il contenuto qualitativo della legge di bilancio perché si realizzi - come dicevo all'inizio - quella «democrazia di bilancio», che è un guadagno per la democrazia più complessiva del nostro Paese.
Trascuro la sezione relativa al quadro conoscitivo e di controllo sulla finanza pubblica: abbiamo destinato qualcosa in più all'ISTAT, con un'apposita convenzione, come si diceva.
Abbiamo previsto che vi sia una commissione tecnica che ci fornisca dei dati, anzi, che li fornisca al Ministro, in verità. Su questo sarebbe bene che si facesse - e ne parleremo in sede di Comitato dei nove - una precisazione. Siccome non vi è più la relazione sull'economia e finanza pubblica, e tutto è ricondotto al DEF, si tratta di una commissione tecnica composta da sei persone che ha il compito di recuperare questi dati sul quadro conoscitivo affinché si possa, in sessione di bilancio, avere tutti gli elementi a disposizione per decidere meglio.
Ho concluso, anche perché è finito il tempo a mia disposizione, e vorrei esprimere ora il rammarico per tre punti che non sono nel provvedimento. Se infatti, fino ad adesso, ho elencato ciò che è previsto nel provvedimento, va detto che vi sono altri aspetti non trattati dallo stesso; ne cito solo i titoli: in primo luogo, avevamo previsto che vi fosse una quota riservata - prevista esplicitamente nella nuova legge di bilancio - per le proposte di legge di origine parlamentare. Ciò perché una delle ragioni che si eccepiscono circa il fatto che il Parlamento lavora poco - per me solo parzialmente vero, peraltro, ma non è tema di questo mio intervento - è che non ci sono soldi per le coperture delle proposte di legge di origine parlamentare. Noi avevamo previsto che una quota del 30 per cento delle risorse da stanziare complessivamente a bilancio venisse dedicata e vincolata alle proposte di origine parlamentare, purtroppo, per ragioni «amministrativo-burocratiche» non è stata approvata, ce ne rammarichiamo.
In secondo luogo, in merito ai collegati, non solo del Patto di stabilità degli enti locali, ma anche per lo sviluppo: neanche questo punto è stato approvato. Abbiamo ripresentato una proposta emendativa: speriamo almeno vi sia una buona discussione in tal senso, perché, in particolare sugli enti locali, ma anche sullo sviluppo, ci potremmo pentire nel non prevedere questo collegato specifico. In terzo luogo, Pag. 20vi è il tema della clausola di salvaguardia, anche questa non approvata in Commissione e che noi abbiamo ripresentato in Aula. Si tratta di una clausola che attualmente esiste in quanto inserita nella legge n. 196 del 2009, ma, a dir la verità: o facciamo finta che non esiste o, per come è scritta, se esiste e se la dobbiamo applicare, si rischia di amputare diritti soggettivi di cui godono i cittadini, perché si arriva alla conclusione che i soldi non ci sono più e si dice ai cittadini: ci dispiace, i soldi non ci sono più. Ciò alimenterebbe un grandissimo contenzioso, per cui noi avevamo previsto che la clausola di salvaguardia ivi prevista... ho concluso, signor Presidente, la invito a non scampanellare, considerato che manca solo un secondo al mio intervento; è per risparmiarle il disturbo, evidentemente.
Da parte nostra si diceva: facciamola operare solo in via provvisoria, quella clausola di salvaguardia, come un automatismo provvisorio, dopodiché il Ministro venga in Parlamento e dica: avevamo fatto questa legge, pensavamo costasse X, costa Y, i soldi non bastano e io, Ministro, vi dico che, con una disposizione legislativa, i soldi li vado a prendere da quest'altra parte, di nuovo responsabilizzando anche il Parlamento. Non lo si è fatto, secondo me è un peccato, prima o poi bisognerà farlo; in ogni caso credo che, al di là di queste cose, si è fatto un buon lavoro per il quale sin da ora il mio gruppo ringrazia il relatore, innanzitutto - ma qui giochiamo in casa -, e tutta la Commissione (Applausi).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Duilio, anche per avere aiutato il bilancio della Camera, limitando l'usura del campanello.
È iscritto a parlare l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.
GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'avvio del cosiddetto semestre europeo ha comportato che i nuovi documenti politico-contabili previsti in tale ambito dovranno essere presentati da ciascun Paese prima della fine dell'anno, assumendo una centralità politica assoluta.
Su questo nuovo schema europeo, sul quale si sta concentrando la discussione sulla politica economica è nata l'esigenza immediata, da parte di tutti i capigruppo parlamentari della Commissione bilancio, di presentare una proposta di legge che riforma la recente legge n. 196 del 2009, per coordinare la nuova sessione di bilancio europea con l'articolato processo di definizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica e di ripartizione degli stessi tra i livelli territoriali e i settori della pubblica amministrazione (amministrazione centrale, locale e enti di previdenza), nonché di individuazione delle misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi.
Si ricorda che l'attuazione del semestre europeo prevede un tempestivo coinvolgimento del Parlamento nelle diverse fasi di programmazione dei documenti da presentare in sede europea, in linea con gli orientamenti emersi in ambito europeo dove è stata evidenziata l'esigenza di associare strettamente e in una fase precoce i Parlamenti nazionali al processo del semestre europeo e di rafforzare il dialogo con il Parlamento europeo.
Tale riforma di fatto era già stata anticipata dal nostro Governo, perché nel contesto di una crisi drammatica come quella di primavera, innescata da diversi fattori esterni come il caso della Grecia, il Governo ha ritenuto di dover anticipare all'inizio dell'estate la manovra triennale di finanza pubblica per gli anni 2011-2013.
In questi termini, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, ha consentito di mettere in sicurezza i conti pubblici e di tracciare una linea di rientro per deficit e debito accettata in sede europea; questa azione di Governo è risultata ed è in linea con gli impegni politici indicati per il 2010 nella Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica che è stata presentata in Parlamento il 6 maggio scorso, e con la stessa Raccomandazione definita per l'Italia nell'ambito della procedura europea di disavanzo eccessivo. Pag. 21
La revisione della legge di bilancio costituisce un'occasione per un rafforzamento delle regole e delle procedure di bilancio nazionali in linea con le altre riforme che si prospettano in Europa. In particolare, la Commissione europea suggerisce di procedere al rafforzamento di regole, procedure di bilancio e istituzioni a livello nazionale.
In tale ambito la presente proposta di legge si prefigge, con l'adeguamento della disciplina nazionale al nuovo assetto europeo, di trovare il giusto equilibrio tra la coerenza normativa comunitaria e la conservazione delle specificità proprie del nostro sistema istituzionale e di bilancio.
Quindi, la presente proposta di legge, recependo le indicazioni della Commissione europea prosegue sui principi e i criteri già tracciati dalla Legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009) soprattutto con riferimento al controllo della spesa, che rappresenta un elemento chiave per la politica di bilancio italiana, cruciale per ridurre l'indebitamento netto e il debito senza aumentare la pressione fiscale.
Infatti, il provvedimento si concretizza su alcuni temi: le nuove scadenze del ciclo di bilancio; i contenuti dei nuovi programmi, valutati tenendo conto sia delle regole europee, sia dell'esigenza di trasparenza dei conti; l'importanza di un orientamento al medio termine nella programmazione di bilancio, l'esigenza di rafforzare il controllo della spesa, anche mediante l'introduzione di regole quantitative; il coordinamento tra i livelli di governo, essenziale per garantire l'equilibrio dei conti del nostro Paese nel contesto istituzionale definito dal federalismo fiscale.
Tra gli aspetti più importanti succitati della riforma di bilancio bisogna soffermarsi, come già detto, sul controllo della spesa pubblica. Si ricorda che la legge di contabilità si è già mossa nella direzione di un rafforzamento del controllo della spesa. In particolare, la delega per il completamento della riforma del bilancio dello Stato dispone l'inserimento di limiti per le spese rimodulabili coerenti con la programmazione delle risorse. Si conferma e si formalizza l'innovazione nella prassi già partita dall'estate del 2008.
A ciò si aggiunge la disposizione che stabilisce l'adozione di accordi triennali tra il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri Ministri per la fissazione degli obiettivi da conseguire nel triennio. Questa norma di modifica della legge di contabilità e finanza pubblica prevede un ulteriore passo in avanti, estendendo i limiti anche alle spese non rimodulabili.
Sempre a presidio dell'efficacia della regola della spesa, le ulteriori novità che l'attuale proposta di legge ha introdotto sono in materia di copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi. Innanzitutto giova ricordare le novità che la legge di contabilità e finanza pubblica ha inserito nel contenimento della spesa e, in particolare, il rafforzamento della clausola di salvaguardia per la copertura di eventuali spese superiori alle attese, la cui applicazione è diventata automatica.
La legge delega al Governo per il passaggio ad un bilancio di sola cassa sarà preceduto da una congrua fase sperimentale che consentirà di valutare le possibili problematiche che emergeranno in sede applicativa. Questo potrà costituire la base per il passaggio definitivo ad una contabilità di carattere economico.
Tra le novità è utile segnalare che è molto positiva la disposizione che prevede l'utilizzo, ai fini del miglioramento dei saldi di finanza pubblica, delle maggiori entrate correnti rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione e quindi il coerente divieto del loro utilizzo con finalità di copertura finanziaria di maggiori spese o di minore entrate.
Tale vincolo dovrebbe consentire di sfruttare eventuali fasi cicliche più favorevoli rispetto alle previsioni per migliorare i conti pubblici.
Pertanto, la Camera si sta apprestando ad esaminare un ulteriore tassello alla riforma del bilancio portata avanti in un clima costruttivo, come più volte si è detto. Per questo motivo, ringrazio sin da ora il presidente Giancarlo Giorgetti, tutti i gruppi di opposizione, ma anche i soggetti Pag. 22auditi come la Ragioneria dello Stato, l'Istat, l'Anci, l'Upi, l'Uncem, la Banca d'Italia, la Conferenza delle regioni, il direttore generale del Tesoro, i quali tutti hanno dato preziosi consigli tesi a migliorare il testo di legge e a condividerne lo scopo.
Questo provvedimento è profondamente innovativo e adeguato alle esigenze del Paese, sotto il profilo della sua partecipazione e del suo ruolo nell'Europa, come hanno detto un po' tutti. Oggi più che mai questo Parlamento è chiamato a fornire una risposta seria ed eloquente all'Italia. Questa riforma è necessaria, ovviamente anche accompagnata da una riforma dei Regolamenti parlamentari, al fine di introdurre nel sistema normativo disposizioni che possano assicurare maggiore rigore e maggiore sviluppo in un Paese che necessariamente ha bisogno di regole certe e chiare per attivare quei processi virtuosi di spesa pubblica non più rinviabili. Il presente provvedimento, che vede un'ampia e sostanziale convergenza dei gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione, contribuirà ulteriormente a rafforzare il significato di lungo termine del nuovo assetto che la finanza pubblica acquisisce come esito della riforma (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.
RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, lei che è sempre stato un convinto europeista, così come lo era il nostro grande partito d'origine, la Democrazia Cristiana, sa che il percorso verso l'Unione europea non può essere solo un percorso tecnico-contabile, monetario addirittura, ma deve essere un percorso politico. Quest'ultimo ha avuto invece degli alti e dei bassi - e soprattutto dei bassi - ed è nei momenti di difficoltà che vengono fuori le idee migliori. È quanto sta accadendo in Europa e credo che ciò rappresenti il fatto che finalmente vi è una presa di coscienza nuova. Non bastano le regole finanziarie e le regole monetarie, ma ci vuole qualcosa di più: ci vuole uno spirito veramente europeista! La tappa della costituzione dell'unione europea monetaria è sicuramente una tappa importante e ha rappresentato in assoluto il più importante fattore di stabilità nella politica economica europea, anche se, per la verità e per dirla tutta, non tutte le forze politiche, quando bisognava arrivare a quell'obiettivo, ci credevano con pari intensità, così come qualcuno ha messo in forte dubbio la sussistenza e l'opportunità che l'unione monetaria rappresentasse gli interessi del nostro Paese nel momento in cui è scoppiata la grande crisi economico-finanziaria degli ultimi anni.
Oggi, alle prese con la più grave crisi del dopoguerra, l'enorme beneficio che ne era derivato negli anni precedenti, cioè dall'avvio dell'unione monetaria europea alla grande crisi, viene messo in forte rischio. Occorre dunque mettere in campo tutte le azioni necessarie per allontanare il rischio di una crisi strutturale, riprendendo il cammino di stabilità intrapreso all'indomani dell'avvio dell'unione monetaria e affiancandolo ad uno stabile sentiero di crescita. L'apertura dell'economia italiana in tutti i sensi non può che essere il motore principale dello sviluppo del nostro Paese, così come il rafforzamento della governance economica europea è parte integrante dell'interesse nazionale italiano.
Come tutti i colleghi sanno, e lei Presidente ancora di più, dalla crisi del credito, che è scoppiata nel secondo semestre del 2007 ed è durata per i due anni successivi, siamo passati alla crisi del debito.
Siamo cioè passati alla necessità di gestire sui mercati il problema della sostenibilità del debito pubblico esploso a seguito del combinato disposto dell'aumento di spesa pubblica decisa dai governi insieme alla caduta della crescita.
Risulta del tutto evidente che finanziare una crisi del debito con la promessa di emissione di altro debito futuro altro non è che una misura tampone in attesa di soluzioni strutturali di più ampia portata. Quali, dunque, le soluzioni a questa svolta della crisi in Europa e quali le Pag. 23implicazioni per l'Italia? Prima della crisi ogni Stato membro ha potuto scegliere il proprio grado di affezione all'Unione economica e monetaria e, in generale, il proprio grado di europeizzazione. Quello espresso negli ultimi anni credo sia una dimostrazione che anche coloro che avevano maggiore scetticismo rispetto al ruolo dell'Europa invece oggi si rendono conto che, senza l'Europa, non si va da nessuna parte.
Quindi, oggi, all'alba della crisi del debito, tale scelta di relativa autonomia fiscale non è più possibile per almeno due ordini di motivi. In primo luogo, l'avanzare del percorso di integrazione ha fatto sì che comportamenti non adeguati da parte di alcuni Stati membri generino una forte esternalità negativa per tutti i paesi dell'euro. Tale nuovo atteggiamento si è già tradotto nella richiesta in sede europea - come veniva ricordato dal relatore Baretta, ma come ben descritto anche dalla relazione che accompagna il testo del disegno di legge al nostro esame - e passa attraverso una forte ridimensionamento del deficit. Naturalmente, si tratta di un ridimensionamento più ampio di quelli programmati dai singoli paesi insieme anche alla riforma del patto di stabilità e di crescita.
Tale riforma obbligherà, quindi, gli Stati meno virtuosi ad aggiustamenti del debito e non solo del deficit. Si tratta di aggiustamenti che dovranno essere più rapidi, insieme a meccanismi sanzionatori più severi. Per l'Italia, quindi, i nodi strutturali della finanza pubblica soprattutto sul fronte per alcuni versi della spesa locale e del debito stanno arrivando al pettine. L'altra ragione sta nell'enorme espansione dei mercati finanziari.
Occorre risolvere alla base il punto debole della speculazione finanziaria internazionale. Il coordinamento fiscale risulta oltremodo fondamentale per risolvere il problema del differenziale di competitività dentro l'area dell'euro. Dunque, o l'Unione monetaria diventerà presto anche fiscale o non sarà più unione. Il tabù è già stato rotto con lo stanziamento a sostegno del debito di alcuni paesi. Sappiamo che i 60 miliardi gestiti direttamente dalla Commissione europea attraverso il budget dell'Unione stessa vanno nella direzione di operazioni di perequazione fiscale con la discrezionalità tra paesi. Ciò dimostra che, senza una politica fiscale, non c'è Europa.
Mi permetteranno i colleghi - poi arrivo al disegno di legge - di interrogarmi su quanto accaduto non più tardi di tre giorni fa, cioè quando c'è stata la riunione dell'eurozona. In quella sede, è stata di fatto sancita - mi permetterò di usare questo termine, come peraltro lo ha usato anche il giornale economico più conosciuto nel nostro Paese - di «germanizzazione» dell'economia europea. Si sono tuttavia riscontrate dall'altra parte alcune resistenze, anche italiane, a questa accelerazione che l'asse franco-tedesco vorrebbe rappresentare e «imporre», lo dico tra virgolette, anche agli altri paesi. La proposta tedesco-francese di un patto di convergenza economica rafforzata ne è la conferma.
In cambio del via libera a un più efficace fondo di stabilizzazione della zona euro, ecco una stretta della disciplina sui conti pubblici, cui ora si aggiungerà un governo economico europeo, in salsa tedesca, ovviamente, su importanti settori sui quali anche il nostro Paese ha necessità di intervenire; su altri, per fortuna, grandi passi avanti sono già stati fatti, e mi riferisco alle pensioni, da una parte, al fisco e ai salari, dall'altra.
Esso si articola su una dichiarazione di principi e su sei punti concreti. La dichiarazione annuncia tre indicatori, a cui il patto si ispira: un indicatore di competitività, che mette in relazione il costo del lavoro con la crescita della produttività; un indicatore della stabilità dei conti pubblici, che fissa i parametri sull'indebitamento pubblico; un livello minimo della percentuale del PIL che deve essere investito in ricerca, educazione e infrastrutture.
Voi capite, quindi, che anche solo questo incontro e questa dichiarazione, anche se, per il momento, è una dichiarazione sottoscritta solo da due Paesi, ma importanti, Pag. 24dell'Unione europea, cambia completamente il nostro approccio all'atteggiamento verso lo stare insieme in Europa. Finalmente stiamo andando verso un'Europa politica. La discussione che facciamo oggi, signor Presidente, se mi permette - lo ricordava il collega Duilio prima - è per certi versi tecnica, perché le norme di contabilità sono norme tecniche, ma hanno una valenza e una portata così alta dal punto di vista politico che - mi permetteranno: come sempre succede, non sono i colleghi presenti a dover subire le rampogne personali, ma semmai quelli assenti - questo Parlamento dovrebbe dedicare maggiore attenzione, non solo in termini di tempo, ma anche di qualità di proposte, a quello che sta avvenendo nel nostro Paese e in Europa.
Poi vi sono le sei riforme che l'asse franco-tedesco, che citavo prima, ha previsto, e che i Paesi membri dovranno impegnarsi a realizzare, dalla data in cui l'accordo verrà firmato, nei dodici mesi successivi, che, come sappiamo, passano molto velocemente. Le ricordo, perché queste sei riforme vanno nella direzione - probabilmente, mi interrogo - di mettere mano, sin da subito o quando saranno davvero vincolanti, ad un'ulteriore - perché no - riscrittura della legge di riforma della contabilità dello Stato.
Proviamo ad elencarle: abolizione dell'indicizzazione dei salari e dell'inflazione. Credo che, da questo punto di vista, l'Italia rispetto agli altri Paesi sia a posto, sia in regola (come si dice a Roma, da mo'). Secondo: riconoscimento reciproco e automatico dei titoli di studi per favorire la mobilità del lavoro in Europa. Terzo (questo è importante): definizione di una base d'imposizione unica per le imprese. I colleghi presenti, sia di maggioranza sia di opposizione, sanno quanto l'Italia dei Valori - il sottoscritto, mi permetto, in particolare - insista su questo da sempre.
Nelle risoluzioni che abbiamo approvato nel corso del 2010 in Commissione bilancio e nelle Commissioni riunite bilancio e affari europei, ma anche nell'ultima risoluzione della scorsa settimana, indicavamo proprio questo percorso, cominciando almeno nella direzione della fiscalità delle imprese, per tentare di avere un'uniformità di comportamenti. Quarto, riforma dei sistemi pensionistici, per adeguarli all'andamento demografico. Anche su questo, credo, vada dato atto ai Governi che si sono succeduti che si è già andati nella direzione di dare risposte all'andamento demografico, e quindi di rapportare il sistema pensionistico all'allungamento medio della vita.
Quinto (torniamo alla questione che ci riguarda): inserimento nelle costituzioni di ciascun Paese di una norma che imponga un tetto inderogabile all'indebitamento pubblico.
Voi sapete che la Germania lo ha già fatto e sta spingendo - si potrebbe dire come un Carterpillar - insieme alla Francia perché si vada esattamente in questa direzione. La Germania ha posto un tetto molto basso, dello 0,35 per cento, inserendolo nella propria Carta costituzionale.
Il sesto ed ultimo punto concerne l'introduzione dei regimi nazionali omogenei per la gestione delle crisi bancarie. Ringraziando il cielo, l'Italia, non per merito del Governo, della maggioranza, né dell'opposizione, ma forse anche un po' per demerito di un certo sistema bancario ahimè arretrato - provengo da quel mondo -, non si è dovuta incrociare con le degenerazioni che vi sono state invece in altri Paesi.
Quindi, dodici mesi a partire da quando? Dal mese di marzo, che è domani come sapete, verrà sottoscritta, magari anche un po' alleggerita, la proposta di legge in oggetto e trascorsi dodici mesi scatteranno le sanzioni.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi sareste chiesti il perché di questa mia lunga premessa. Credo che il Parlamento italiano, una volta tanto, sia riuscito ad anticipare i tempi già con la legge n. 196 del 2009 che oggi con la proposta di legge in esame si va a modificare. Quella legge, e a maggior ragione questa proposta di legge alla nostra attenzione, andava già nella direzione di rapportarsi e di essere in linea con gli orientamenti e con le regole europee. Pag. 25
Ebbene, rispetto a questa lunga premessa, la risposta sta nel fatto che le modifiche che noi dobbiamo apportare alla legge n. 196 del 2009 sono il frutto di un nuovo meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali introdotto dal Consiglio Ecofin nel settembre scorso e dall'avvio del semestre europeo, con le conseguenti modifiche al codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e di crescita.
Se il ricordato nuovo meccanismo e l'introduzione del semestre europeo comportano una preventiva discussione in sede europea sulle politiche nazionali e sui principali interventi di riforma con effetti economico-finanziari, l'approvazione a marzo del nuovo Patto di convergenza economica rafforzata renderà ancor più stringenti, se non, come dicevo prima, ulteriormente modificabili, le norme che con la proposta di legge in esame andiamo ad introdurre per essere in linea con le disposizioni comunitarie.
Non ripercorrerò, come hanno fatto molto bene sia il relatore Baretta sia l'onorevole Duilio, tutte le modifiche previste nella proposta di legge in oggetto. Prima di tutto, però, va dato atto - e lo ringrazio a titolo personale e anche a nome del gruppo Italia dei Valori - al Presidente Giorgetti di averci stimolato con la proposta di legge in discussione, proposta che tutti i gruppi parlamentari presenti in Commissione hanno sottoscritto.
Semmai in questo mio intervento mi soffermerò su alcune modifiche apportate in Commissione bilancio con il contributo di quasi tutti i gruppi presenti.
La prima modifica riguarda, come ricordava già il collega Duilio, il coinvolgimento del Parlamento nell'esame di tutti i documenti rilevanti ai fini della procedura del semestre europeo. Per inciso, permettetemi di dire che, visto che siamo dentro al semestre europeo ed il mese di aprile è vicino ad arrivare, spero non si ripeta quanto già successo nel mese di dicembre dello scorso anno, quindi due mesi fa, quando abbiamo dovuto approntare con urgenza un primo orientamento di programma nazionale di riforma un po' rabberciato perché i tempi stringevano.
La seconda modifica importante, frutto di questo confronto in seno alla Commissione, concerne il coinvolgimento rafforzato delle autonomie territoriali tramite la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica prevista dalla legge n. 42 del 2009. Si tratta quindi di rendere compatibile la legge n. 196, così come intendiamo modificarla, con la citata legge delega per l'introduzione del federalismo fiscale nel nostro Paese.
La terza modifica riguarda la definizione di risorse destinate dal Documento di economia e finanza non solo alle regioni, ma anche ai comuni e alle province, un emendamento che il gruppo Italia dei Valori ha proposto e che è stato fatto proprio dal relatore e condiviso da tutta la Commissione.
La quarta modifica riguarda una migliore definizione dei contenuti del Programma nazionale di riforma (proposta avanzata dal collega Duilio e anche in questo caso sottoscritta e condivisa per intero) con l'indicazione di collegati alla finanziaria, già fin dalla predisposizione del Documento di economia e finanza (DEF) e, quindi, già dal mese di aprile. Tale documento dovrà contenere anche la relazione sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate con i relativi risultati conseguiti, come ricordava il collega che ha presentato la proposta emendativa.
Il quinto intervento riguarda l'inserimento tra i contenuti del DEF di un preciso obiettivo da conseguire: la riduzione del debito unitamente al divieto di utilizzo di eventuali «tesoretti», compresi anche quelli derivanti da maggiori entrate in conto capitale, onde evitare sorprese a cui abbiamo assistito non più tardi di due anni e mezzo fa. Credo che la riduzione del debito, oltre al fatto che ci verrà imposta dall'Unione europea e dai Paesi trainanti (soprattutto dalla Germania che è poi quello che impiega maggiori risorse per far fronte alle difficoltà degli altri Paesi), sia un obiettivo che ci debba vedere congiuntamente, unitariamente e convintamente Pag. 26proiettati, senza dimenticare però che la crescita è anche uno strumento per ridurre il debito. Coniugare le due prospettive non sarà quindi facile.
La sesta modifica concerne l'introduzione di fiscal rule per il controllo delle spese e della destinazione delle entrate, sia quelle una tantum che straordinarie. Il collega prima ricordava molto bene quanto sia indispensabile in questo nostro Paese darci un orientamento che non sia quello dei tagli trasversali sulle spese, in particolare quelle della pubblica amministrazione, ma che sia volto a colpire là dove sono le deficienze e le devianze, sostenendo invece quelli che hanno dimostrato di saper spendere e saper spendere bene.
La settima modifica consiste nell'introduzione nel Documento di economia e di finanza di obiettivi che rivolgano un'attenzione particolare all'avanzo primario. Se, infatti, dovesse realizzarsi davvero a marzo l'introduzione delle regole sul debito, che incideranno o potrebbero incidere pesantemente per il nostro Paese, potremmo farvi fronte o tendere a rispettarla soltanto se saremo in grado di avere a nostra disposizione - perché lo abbiamo creato - un sufficiente avanzo primario. In conclusione, signor Presidente, non vi è dubbio oramai che l'evoluzione del Patto di stabilità e crescita vada sempre più verso un rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio, nonché delle procedure in materia di prevenzione e di correzione degli squilibri macroeconomici, che non potranno non avere effetti anche sulle politiche di bilancio adottate a livello nazionale. Ai singoli Paesi sarà richiesta una più rigorosa disciplina fiscale, un'accelerazione sulla riduzione del debito e del deficit, finanche la costituzionalizzazione di precisi parametri, come ricordavo prima. Quindi, se vogliamo stare in Europa, sono queste le regole: prendere o lasciare.
La legge n. 196 del 2009 - purtroppo un poco disattesa in occasione dell'approvazione della legge di stabilità dello scorso autunno, ma che deve essere ripresa, così come andiamo a modificarla - e questa proposta di legge di modifica vanno nella direzione di accettare le regole comunitarie. Ma occorre non solo accettare tali regole: bisogna rispettarle. Questo potrà accadere solo se tra il Governo e il Parlamento nel suo complesso, maggioranza e opposizione, vi è - o vi sarà - non solo sintonia di obiettivi, ma anche sintonia di strumenti, sui quali ovviamente la disponibilità, per quanto riguarda il gruppo che qui rappresento, è piena e totale (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.
AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la legge n. 196 del 31 dicembre 2009, entrata in vigore il successivo 1o gennaio, nasce dall'esigenza di adeguare il contesto normativo della finanza pubblica alle mutazioni istituzionali e all'andamento dei conti pubblici nazionali.
L'unione monetaria, con il conseguente impegno al rispetto degli obiettivi di bilancio definiti con il trattato di Maastricht, rivisti annualmente con l'aggiornamento del Programma di stabilità e crescita, rappresenta il primo vincolo da rispettare nel nostro sistema di contabilità pubblica. L'euro che ciascun italiano porta in tasca è un valore convenzionale rispettato da tutto il mondo, se tale vincolo sarà rispettato da tutti i Paesi, però, dell'eurozona.
L'altro vincolo è la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha riformato la nostra Repubblica in senso spiccatamente regionalista, meglio definita poi con la legge n. 42 del 25 maggio dello stesso 2009 con il nome di federalismo fiscale. Questo secondo vincolo impone l'esigenza di un maggior coordinamento tra i vari soggetti che fanno parte delle amministrazioni pubbliche, in particolare tra i diversi livelli di Governo.
Si tratta, quindi, di contenere il disavanzo pubblico senza ulteriori aumenti della pressione fiscale. Si tratta però anche di ridurre l'enorme debito pubblico senza aumento della pressione fiscale, quale presupposto del rilancio della crescita Pag. 27e del PIL. Posto quindi l'insuperabile limite della pressione fiscale, che comunque andrebbe ridotta, per ridurre il debito pubblico secondo ritmi adeguati, come richiede il Trattato di Maastricht, occorre ottenere un avanzo primario tra il 4 e il 5 per cento ogni anno per almeno i prossimi dieci anni, quindi una riduzione del disavanzo e una forte politica di controllo della spesa pubblica che porti al pareggio nel giro di qualche anno.
Per perseguire tali ineludibili obiettivi programmatici bisogna, però, porsi traguardi di trasparenza del bilancio e controllo dei risultati, soprattutto quando i comparti di spesa sono così autonomi e così complessi, come quello dello Stato, della previdenza e delle autonomie territoriali (soprattutto di queste).
Il coordinamento tra i livelli di Governo impone l'armonizzazione dei sistemi contabili e la programmazione degli obiettivi di finanza pubblica in rapporto ai vincoli del Patto di stabilità e crescita. Si tratta di un meccanismo da sincronizzare nel migliore dei modi perché alle decisioni politiche del Parlamento corrispondano poi i risultati. Alcuni interventi, come la riclassificazione del bilancio dello Stato per missioni e programmi, la legge di stabilita e la programmazione triennale con la rimodulazione per programmi, con la relativa flessibilità del bilancio, i nuovi sistemi di controllo della Ragioneria generale dello Stato e l'introduzione di un sistema di indicatori in grado di monitorare l'andamento dei conti pubblici durante l'esercizio finanziario sono punti fermi ed acquisiti nella legge n. 196.
La riforma che ci accingiamo ad approvare riguarda la diversa dislocazione temporale delle decisioni politiche e quindi della programmazione finanziaria. Si tratta però di rivedere non solo il ciclo della programmazione, ma anche gli strumenti alla luce della nuova governance europea decisa dal Consiglio Ecofin del 7 settembre 2010 in attuazione del Consiglio europeo dello scorso mese di giugno.
Dal 1o gennaio dell'anno in corso decorre un meccanismo di controllo ex ante delle politiche economiche nazionali da parte della Commissione europea, che va sotto il nome di semestre europeo, che rafforza il coordinamento delle politiche economiche dei Paesi membri dell'Unione europea.
La crisi finanziaria della Grecia e dell'Irlanda e le tensioni dei mercati finanziari che possono esplodere con azioni speculative in occasione del rinnovo dei finanziamenti dei titoli pubblici, pongono, soprattutto agli Stati membri dell'Eurozona, la necessità di piani di stabilizzazione a difesa dell'euro, ma anche la necessità di un piano di sviluppo delle economie nazionali dei 27 Paesi secondo gli obiettivi di crescita del Trattato di Lisbona e della strategia Europa 2020. In questo quadro di rafforzamento del coordinamento e controllo dei bilanci e delle economie nazionali, all'Italia spetta una vetrina privilegiata a causa del suo alto debito pubblico, il più alto dei 27 Paesi dell'Unione europea, e doppio del limite del 60 per cento previsto dal Trattato di Maastricht. Con il semestre europeo, la valutazione delle politiche economiche nazionali in sede europea sarà fatta prima che il bilancio nazionale sia approvato dal Parlamento affinché gli obiettivi dell'Unione europea siano integrati a livello nazionale.
Il semestre europeo inizia a gennaio con il Rapporto annuale sulla crescita, redatto dalla Commissione europea; esso è stato presentato lo scorso 12 gennaio ed ha identificato dieci azioni prioritarie riguardanti i bilanci pubblici, la stabilità macroeconomica, le riforme del mercato del lavoro e le misure che possono favorire la crescita. Nel mese di marzo, il Consiglio europeo, alla luce del rapporto, definisce gli orientamenti strategici per le politiche economiche di cui gli Stati membri devono tener conto nei propri programmi di stabilità e nei propri programmi nazionali di riforma, la cui presentazione dovrà avvenire entro il 30 aprile. Si tratta di saper coniugare crescita e stabilità dei conti pubblici, soprattutto il controllo della spesa pubblica che, con la crisi finanziaria mondiale del 2008, ha sovvertito tutti i bilanci nazionali, in modo particolare Pag. 28quelli dei Paesi dell'area occidentale. Nel mese di aprile, quindi, dobbiamo allineare gli obiettivi del Programma di stabilità, che includono informazioni dettagliate sulla politica di bilancio, con gli obiettivi di crescita della strategia Europa 2020. Questo confronto consente di verificare eventuali squilibri macroeconomici già nello stesso mese di aprile oppure di rilevarli dalla Commissione europea, a giugno, con formali raccomandazioni che saranno valutate, a luglio, dal Consiglio Ecofin. Nella seconda parte dell'anno, gli Stati membri approvano, secondo propri calendari, le proprie leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni definite dalle istituzioni europee. Come ben si comprende, il primo semestre vengono verificati i presupposti per la politica di bilancio in relazione alle indicazioni del Consiglio europeo di marzo e, nel secondo semestre, si impostano le conseguenti politiche di bilancio sulla base delle decisioni del Consiglio Ecofin di luglio.
Europa ed Italia, pertanto, devono camminare insieme, mano nella mano, sempre più strettamente. Nessuno può più andare per proprio conto come è capitato negli anni scorsi. Il ciclo del bilancio, nel primo semestre, quindi, ha scadenze diverse da quelle previste dall'attuale legge n. 196 del 2009 e, perciò, esse vanno modificate e, con questo provvedimento, le modifichiamo. Si propone, pertanto, di introdurre un Documento di economia e finanza e la Nota di aggiornamento, l'uno entro il 10 aprile, l'altra entro il 20 settembre, invece che il 25 settembre come era previsto. Sulla data del 10 aprile si poteva fare meglio anticipando magari di qualche settimana. Il Documento di economia e finanza comprenderà lo schema del Programma di stabilità, le informazioni che erano previste dalla redazione unificata di economia e finanza e dal Documento di finanza pubblica e lo schema del Piano nazionale delle riforme. Gli altri strumenti di programmazione e le relative scadenze rimangono invariate.
Il programma di stabilità e il piano nazionale delle riforme saranno inderogabilmente presentati al Consiglio europeo e alla Commissione europea entro il 30 aprile. L'ampliamento però dell'intervallo tra la fissazione degli obiettivi di finanza pubblica, con il Documento di economia e finanza, e la concreta definizione ad ottobre della manovra di bilancio per l'anno successivo, da una parte rende l'Italia più vicina e coerente con le strategie di crescita e controllo dei conti pubblici dell'Europa ma dall'altra rende più aleatorie le stime dei conti pubblici stessi tra previsione ed effettività.
La Banca d'Italia nell'audizione del 18 gennaio scorso ci ha reso uno studio che dimostra lo scostamento di PIL previsto ad aprile rispetto a quello registrato a settembre, che è superiore mediamente allo 0,3 per cento nel periodo di anni tra il 1992 e il 2009. Lo scostamento in valore assoluto è addirittura dello 0,6 per cento. Non è cosa di poco conto. Se il divario tra le previsioni primaverili e quelle registrate in autunno è così significativo, è prevedibile che in futuro il Governo debba rivedere, con la nota di aggiornamento di settembre, le stime del quadro economico e finanziario. Sbagliare un punto di crescita in più o in meno determina in linea generale un corrispondente mezzo punto di disavanzo. Giusto per fare un esempio, un punto di PIL equivale a circa 15 miliardi di euro. Il disavanzo corrispondente comporta quindi una manovra eventualmente correttiva di 7-8 miliardi di euro. Appare opportuno quindi prevedere con norma anticipatamente le modalità con cui gestire queste revisioni. In tale ottica per noi dell'Unione di Centro, in sede di discussione in Commissione bilancio, è apparso opportuno suggerire l'invarianza del saldo strutturale sia in un contesto di miglioramento sia di peggioramento del quadro macroeconomico.
Ci ha appassionato la provocazione del relatore Baretta, in sede di prima piattaforma di discussione, quando ha proposto una possibile destinazione dell'extragettito. I termini della questione erano il miglioramento del debito pubblico o il sostegno alla crescita. La nostra tesi è stata a favore della riduzione della pressione fiscale per famiglie ed imprese, una specie di terza Pag. 29via incidendo così sul rilancio dei consumi interni e sulla riduzione della spesa per il welfare, con particolare riferimento alle famiglie. La soluzione finale del relatore è stata invece una soluzione intermedia tra due scuole di pensiero diverse: quella del deficit spending e quella dello spending review.
Un altro punto critico di questo provvedimento di modifica è stato quello relativo al coinvolgimento del Parlamento nella discussione delle linee guida della politica economica e nelle difficoltà del breve periodo, cioè appena 20 giorni che sarebbero intercorsi tra la presentazione del Documento di economia e finanza, che è del 10 aprile, e il 30 aprile che è la data di trasmissione alla Commissione europea e al Consiglio europeo sia del programma di stabilità sia del piano nazionale riforme.
La discussione, soprattutto con l'audizione del professor Giovannini, dell'ISTAT, ha portato ad ampliare gli approfondimenti parlamentari per l'accelerazione della raccolta dei dati aggiornati dei conti delle amministrazioni locali, ma al momento l'esito non è stato quello sperato. Altro obiettivo di questa riforma è l'indicazione chiara e trasparente del quadro programmatico in merito alla sostenibilità di lungo periodo della revisione del nostro debito pubblico. L'analisi finanziaria del nostro sistema pensionistico, la sostenibilità finanziaria del comparto della sanità e l'assistenza di lunga durata dei cittadini non autosufficienti e dell'invecchiamento della popolazione sono fattori sottoposti a forti attenzioni da parte delle istituzioni europee.
Concordo con un elemento che lo stesso presidente Giorgetti ha ricordato più volte: come la questione demografica sia la grande assente sullo scenario delle strategie macroeconomiche dell'Europa. Sarà dato infatti massimo rilievo al criterio del debito nell'ambito delle procedure per i disavanzi eccessivi in questa prima tornata di sperimentazione del nuovo sistema di governance europea. Secondo le nuove regole di questa governance sulle finanze nazionali, la procedura per i disavanzi eccessivi - il cosiddetto cartellino giallo che mette sotto osservazione i Paesi fuori riga anche con sanzioni - non sarebbe più attivata per il mancato rispetto del 3 per cento del PIL e prevista finora per i soli disavanzi, ma anche per il debito, secondo alcuni indicatori numerici che rischiano di essere tragici per il nostro Paese. L'Italia ha il più alto debito pubblico dell'Europa - 119,6 per cento del PIL - rispetto al limite di soglia consentito del 60 per cento. L'Italia ha però il più basso debito privato d'Europa. È evidente che gli italiani hanno disponibilità di reddito maggiori di altri cittadini europei, in quanto la spesa pubblica assorbe molta parte di spese private. È altrettanto evidente che in futuro saranno trasferite sui bilanci delle famiglie e delle imprese porzioni di spesa pubblica per ridurre il debito. Ciò però dovrà avvenire in un quadro di conoscenza e trasparenza dei conti pubblici che dia cognizione e ragione delle decisioni pubbliche. Si tratta quindi di rafforzare i controlli della spesa pubblica. Nel decennio che ha preceduto la crisi la spesa primaria corrente delle pubbliche amministrazioni è cresciuta in termini reali del 2 per cento annuo, contro una crescita del PIL dell'1,5 per cento. Abbiamo speso più della ricchezza che producevamo, benché avessimo un alto debito da ripianare. Abbiamo avuto una politica di bilancio che per un'azienda privata sarebbe stata fallimentare.
Un altro punto di criticità - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - è stato rappresentato dai cosiddetti collegati alla manovra finanziaria. Si tratta di disegni di legge tendenti ad introdurre norme correttive di meccanismi di spesa che servono ad eliminare l'extradeficit o a ridurre la spesa a legislazione vigente rispetto ai tendenziali. Attualmente era stabilito dovessero essere emanati entro il mese di febbraio. Il collegato ha una sua procedura speciale nel Regolamento: è stato rimosso il termine del mese di febbraio come data ultima di presentazione dei collegati alla manovra di finanza pubblica e sono stati invece previsti sia nel Documento di economia e finanza sia Pag. 30nella Nota di aggiornamento, per meglio coprire la sfasatura determinata dall'intervallo tra le previsioni primaverili e l'impostazione della manovra con la legge di stabilità.
In conclusione, ritengo che sia stato fatto un buon lavoro di revisione della legge n. 196 del 2009, legandone il significato al nuovo calendario del semestre europeo e ai contenuti della nuova governance economica e finanziaria, un buon lavoro non soltanto dal punto di vista tecnico ma anche politico, per avere improntato la discussione su un piano di parità tra maggioranza ed opposizione, avendo dato il presidente Giorgetti - che ringrazio per la sua sensibilità - all'onorevole Baretta, dell'opposizione, la relazione sul provvedimento. Si tratta di una legge di struttura che riguarda regole di contabilità pubblica comuni a chiunque governi. L'ampia ed approfondita discussione che è stata fatta in Commissione bilancio è sicuramente motivo di comune condivisione, che fa di questo disegno di legge, atto Camera n. 3921-A un esempio per altre riforme di struttura delle nostre istituzioni repubblicane (e penso al federalismo fiscale).
Ulteriori considerazioni, come è ovvio, sono rimandate al dibattito parlamentare e alla dichiarazione di voto, ma sin da ora voglio ringraziare il relatore Baretta e la Commissione per l'accoglimento di diversi emendamenti dell'Unione di Centro, fatti propri in quanto assorbiti da emendamenti del relatore (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.
ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, limiterò il mio intervento a poche considerazioni, avendo già l'onorevole Ciccanti, nel suo intervento prima di me, svolto compiutamente una serie di argomentazioni sulle ragioni per le quali oggi siamo chiamati qui a discutere e ad approvare il provvedimento in oggetto.
Signor Presidente, vorrei preliminarmente esprimere un sentito apprezzamento nei confronti del relatore per la competenza e l'equilibrio dimostrati ma, soprattutto, nei confronti del presidente della Commissione bilancio che, ancora una volta, ha dato prova di saper valorizzare il lavoro e la funzione della Commissione che presiede, chiamando tutti i gruppi a promuovere insieme una condivisa proposta di legge di riforma della legge di contabilità e finanza pubblica.
Evidentemente, signor Presidente, non è sempre vero che il Parlamento è il «porto delle nebbie» di ogni riforma, piccola o grande che sia. È vero, invece, che se chi propone il confronto ha equilibrio e senso delle istituzioni, come nel caso del presidente della Commissione bilancio, allora si può fare un buon lavoro anche quando si discute di riforme e di regole.
Oggi, attraverso una proposta di iniziativa parlamentare - una delle poche proposte di iniziativa parlamentare approdate in quest'Aula - possiamo fare davvero un buon lavoro, dimostrando all'Europa che, senza ritardi e senza incertezze, stiamo allineando i tempi e gli strumenti della programmazione di bilancio nazionale al semestre europeo, cogliendo così la sfida posta al nostro Paese dai principi del rafforzamento e del coordinamento delle politiche economiche dei Paesi membri dell'Unione europea.
La riforma della legge di contabilità, proseguendo sulle linee già tracciate dalla legge n. 196 del 2009, è anche un'occasione in sé per il nostro Paese: non è solo l'occasione per dimostrare al resto d'Europa che abbiamo la forza e la capacità di adeguarci a quanto disposto in tema di governance europea, ma è anche un'occasione in sé per il nostro Paese per rendere più efficaci le regole e le procedure di bilancio; soprattutto, è un'occasione per rafforzare il controllo della spesa, che rappresenterà per noi, insieme al problema della crescita, un elemento cruciale per le politiche di bilancio degli anni che verranno, nei quali sarà sempre più avvertita la necessità di ridurre il debito senza aumentare la pressione fiscale.
Infatti, per esempio, con il provvedimento in discussione, si conferma, rafforzandolo, Pag. 31l'orizzonte del medio termine nella programmazione della spesa e delle politiche di bilancio, che già era stato affermato nella legge n. 196 del 2009, e che è essenziale per l'esercizio del contenimento della spesa. Nella legge n. 196, infatti, proprio muovendo nella direzione di un rafforzamento del controllo della spesa, si prefigurava l'introduzione di limiti per le spese rimodulabili dello Stato, coerenti con la programmazione triennale delle risorse. Nell'attuale provvedimento di riforma della legge n. 196 del 2009 si fa un ulteriore passo avanti, estendendo questi limiti anche alle spese non rimodulabili.
Certo, signor Presidente, non siamo ancora ai livelli della Svezia, dove il Parlamento vota prima il valore complessivo delle erogazioni e, poi, la loro distribuzione tra le diverse destinazioni, tuttavia, la nostra legge di bilancio offrirebbe, già oggi, gli strumenti per arginare la dinamica della spesa primaria corrente, generalmente superiore, negli anni passati, a quella programmata.
È di tutta evidenza, però, che l'attività del legislatore, che, oggi, in quest'Aula e domani, quando voteremo, aggiorna la legge di bilancio, non è sufficiente, non lo è affatto: infatti, occorrerebbe innanzitutto che vi fossero scelte di Governo più responsabili per tenere sotto controllo la spesa primaria, non i soliti tagli lineari, che non hanno sortito gli effetti auspicati dall'Esecutivo negli ultimi anni.
Voglio dire che possiamo scrivere la migliore delle leggi di bilancio: se poi, però, il Governo non dimostra di voler mettere mano ad un'incisiva opera di revisione della spesa pubblica, tagliando quella improduttiva e valorizzando quella per la crescita, a poco servono gli sforzi del legislatore. Se l'obiettivo non è quello di applicare queste buone regole a buone politiche di ristrutturazione dell'apparato pubblico dello Stato e delle autonomie locali, allora le regole soltanto, anche quelle buone che stiamo scrivendo, non bastano e non servono.
Faccio un altro esempio: un principio già contenuto nella legge n.196 del 2009 e confermato in questa legge di riforma è quello del coordinamento della finanza pubblica. Del suo coordinamento, cioè, non solo con il resto dell'Europa - ed infatti nella legge definiamo i tempi perché ci possa essere una valutazione in sede europea delle politiche economiche nazionali prima che il Parlamento approvi la manovra di bilancio e affinché il Parlamento stesso possa tener conto delle indicazioni del Consiglio dell'Unione europea - ma soprattutto con gli enti territoriali. È assodato, infatti, che uno stretto e costante coordinamento tra i diversi livelli di governo e in tutto il ciclo della programmazione e della gestione del bilancio sia assolutamente necessario, soprattutto alla vigilia di una riforma in senso federalista dello Stato.
Infatti, il decentramento dei poteri di spesa e di entrata richiederebbe che gli enti territoriali partecipassero alla definizione dei documenti programmatici anche per assicurare la coerenza tra le loro politiche di bilancio e la politica di bilancio nazionale. Per questa ragione, a parole, nella legge n. 196 del 2009, in questa proposta di legge e anche nella legge n. 42 del 2009, quella che dovrebbe realizzare il federalismo, si enfatizza la necessità di conciliare le politiche di bilancio locali con quella nazionale sotto il profilo dei contenuti, delle regole contabili e dei tempi - nella legge n. 42 del 2009 è previsto anche un decreto legislativo per l'armonizzazione dei bilanci delle regioni e degli enti locali -, mentre poi, però, nei fatti quando si predispongono manovre di bilancio, si continua a procedere in un modo che non ha nulla di federalista e che mortifica continuamente il principio del coordinamento della finanza pubblica tra livelli territoriali diversi di governo.
Lo dimostra chiaramente l'atteggiamento avuto dal Governo in occasione delle ultime manovre, in particolare quella dell'estate scorsa quando quasi tutti i tagli di bilancio hanno riguardato le regioni e gli enti territoriali, che passivamente li hanno subiti. Altro che concertazione. Altro che coordinamento interistituzionale. Che cosa voglio dire? Quello che sostenevo Pag. 32prima: che oggi stiamo scrivendo delle buone regole, ma non bastano se non ci sono poi atteggiamenti conseguenti da parte del Governo.
Una volta tanto, però - e concludo -, il Parlamento, anzi, ancora una volta il Parlamento dimostra di saper fare un lavoro più virtuoso delle maggioranze e dei Governi (Applausi).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3921-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Baretta.
PIER PAOLO BARETTA, Relatore. Signor Presidente, rinuncio alla replica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi resta ben poco da dire dopo una discussione e una relazione più che compiuta, che hanno posto in evidenza la necessità delle modifiche proposte e indotte dal semestre europeo, così come sono state poste in evidenza e singolarmente evidenziate le modifiche proposte per i regolamenti che riguardano la sorveglianza preventiva e correttiva del patto di stabilità.
È stato altresì evidenziato come il dibattito in Commissione sia stato proficuo e abbia visto il coinvolgimento di tutti i gruppi che già risultavano proponenti della proposta di legge. Ma è stato anche evidenziato che il testo è stato ulteriormente migliorato con emendamenti del relatore e di una serie di deputati.
Da più parti è stata evidenziata, e mi limito a citare solo uno degli emendamenti che è stato richiamato da più interventi, la necessità di un coinvolgimento del Parlamento sugli atti delle istituzioni europee nel coordinamento delle politiche di bilancio. Credo che sia un fatto positivo e che deve vedere coinvolto il Governo. Così come ha dato la sua disponibilità e il suo apporto nell'ambito della lavori della Commissione, mi auguro che il Governo possa contribuire, anche nel prosieguo del dibattito in quest'Aula, a far approvare questa proposta di legge, che è una legge necessaria e più che opportuna (Applausi).
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Brugger e Zeller; Bernardini ed altri; Ferranti ed altri: Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (A.C. 52-1814-2011-A) (ore 17,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Brugger e Zeller; Bernardini ed altri; Ferranti ed altri: Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 52-1814-2011-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Samperi, ha facoltà di svolgere la relazione.
MARILENA SAMPERI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, finalmente la Commissione Giustizia è riuscita a portare all'esame dell'Assemblea un tema molto delicato, sul quale si è soffermata a lungo, sia in questa che nella scorsa legislatura, senza però mai riuscire a pervenire all'adozione di un testo che riuscisse ad essere sintesi di due esigenze apparentemente contrapposte.
Si tratta di un tema delicatissimo: il tema dei bambini in carcere, in quanto figli minori di detenute madri. Il testo unificato in esame cerca di dare la risposta a due esigenze che finiscono quasi irrimediabilmente per contrapporsi: la prima - che per il gruppo al quale appartengo non può essere minimizzata - è quella di non far crescere i bambini dietro le sbarre; la seconda - che comunque dev'essere tenuta sempre in debita considerazione - è quella di garantire la sicurezza dei cittadini anche nei confronti di quelle madri di figli minori, le quali abbiano commesso delitti.
Ho fatto riferimento al mio gruppo di appartenenza - cosa che potrebbe sembrare fuori luogo dato il ruolo di relatrice che svolgo - appositamente in quanto l'inserimento delle proposte di legge in esame è avvenuto su richiesta del gruppo del Partito Democratico in quota opposizione. Ciò non significa, tuttavia, che stiamo esaminando il testo depositato dal gruppo del Partito Democratico, ma il lavoro che c'è stato in Commissione ha consentito di elaborare un testo unificato che, se non appare il migliore dei testi possibile, sicuramente è l'unico testo che è riuscito a fare sintesi tra quelle due opposte esigenze su cui si sono confrontati continuamente i gruppi.
Ciascun gruppo ha, quindi, rinunciato a qualcosa e solo così siamo riusciti ad ottenere un testo condiviso, che è stato approvato all'unanimità, sia pure con qualche riserva che riguarda la copertura finanziaria.
Il gruppo del Partito Democratico ha compiuto alcune rinunce rispetto alle proprie posizioni di partenza, ma non poteva essere altrimenti, considerato che, per fare le leggi, occorre una maggioranza e, naturalmente, le forze di opposizione non hanno numeri sufficienti per fare approvare leggi. Tuttavia, le rinunce - richiamando gli interventi svolti dai deputati del gruppo del Partito Democratico in Commissione - non hanno impedito di raggiungere l'obiettivo della formulazione di un testo, il quale, comunque, costituisce un importante passo avanti nell'obiettivo, che il gruppo si era prefisso, di non consentire più ai bambini di vivere lo stesso disagio, senza colpa, delle madri detenute.
Quale relatrice richiamo anche gli interventi in Commissione dei deputati di quei gruppi - come in particolare la Lega - che inizialmente hanno espresso la loro contrarietà al testo, in particolare a quello rappresentato dall'onorevole Ferranti e da altri deputati del Partito Democratico, ritenendolo non sufficientemente attento alle esigenze di sicurezza, ma, alla fine, persino il gruppo della Lega, su questo testo, ha convenuto e si è riconosciuto, ritenendolo efficace anche sotto il profilo della sicurezza. Si è quindi partiti da posizioni contrapposte per arrivare ad un testo talmente condiviso che avrebbe consentito anche il trasferimento in sede legislativa qualora non fossero emerse questioni di copertura finanziaria, che non hanno reso possibile l'espressione del parere da parte della Commissione bilancio.
Solitamente, il tema della copertura finanziaria è quello che viene affrontato per ultimo nella relazione, ma, nel caso di specie, a fronte delle circostanza che deliberatamente la Commissione bilancio non ha espresso il parere in sede consultiva prima della conclusione dell'esame in sede referente, è necessario affrontare immediatamente la questione.
Secondo il testo in esame, agli oneri derivanti dall'attuazione del medesimo si provvede a valere sulle disponibilità di cui all'articolo 2, comma 219, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010), che prevede una riserva di finalizzazione in favore dell'edilizia carceraria di una quota di 500 milioni di euro delle disponibilità del fondo infrastrutture relative Pag. 34alla programmazione 2007-2013. Si tratta del cosiddetto piano carceri. Ciò significa che per via legislativa si crea una finalizzazione delle spese previste da questo piano, finalizzazione che non rappresenta alcuna forma di sviamento di fondi rispetto alla destinazione naturale, in quanto i costi della legge si riferiscono principalmente alla costruzione di nuovi istituti a custodia attenuata che, sotto il profilo meramente giuridico, sono istituti penitenziari e come tali rientranti nel piano carceri.
Per quanto richiesta già dal 20 dicembre 2010, la relazione tecnica non è stata trasmessa dal Governo e quindi non è stato possibile quantificare le spese che il provvedimento dovrebbe comportare. La mancanza di tale quantificazione ha determinato non solo l'impossibilità per la Commissione bilancio di esprimersi favorevolmente sulla copertura finanziaria del provvedimento, ma piuttosto l'obbligo per la medesima di esprimere il parere contrario sullo stesso. Il relatore presso tale Commissione, preso atto dell'impossibilità di quantificare le spese per l'assenza della relazione tecnica del Governo, ha presentato giovedì scorso una proposta di parere favorevole, ma a condizione che venissero soppressi, per carenza di copertura, i quattro articoli fondamentali del testo unificato.
La presidenza della Commissione bilancio, in maniera molto responsabile, ha preferito non porre in votazione tale proposta di parere, lasciando alla Commissione di merito la scelta se concludere comunque l'esame in sede referente o se invece chiedere un rinvio dell'esame da parte dell'Assemblea per attendere la relazione tecnica e il parere che ne sarebbe scaturito. Molto opportunamente la presidenza della Commissione giustizia e i rappresentanti dei gruppi di maggioranza hanno lasciato tale scelta al gruppo, su richiesta del quale il provvedimento è stato inserito nella quota riservata all'opposizione del calendario dell'Assemblea.
In realtà, in caso contrario, si sarebbe vanificata questa quota in quanto il provvedimento non sarebbe stato esaminato da parte dell'Assemblea in ragione del mancato compimento di un atto da parte del Governo quale la trasmissione della relazione tecnica alla Commissione bilancio. Il rappresentante del gruppo del Partito Democratico, sentito il presidente del gruppo, ha preferito andare avanti comunque, tenuto conto dei vari rinvii già sofferti.
Questa scelta è stata operata anche in considerazione del fatto che il sottosegretario, la senatrice Elisabetta Casellati, anche attraverso una nota fatta pervenire il 3 febbraio alla Commissione, ha assicurato che la relazione tecnica era in corso di redazione e che sarebbe pervenuta addirittura entro la fine della settimana. A questo punto vorrei chiedere al Governo se tale relazione è pervenuta dal Dipartimento dell'amministrazione finanziaria e se sia già stata depositata presso la Commissione bilancio.
Prima di passare all'esame del testo vorrei segnalare che si è trattato di un esame molto approfondito che ha visto anche un importante apporto esterno attraverso varie audizioni. Ricordo quella del dottor Franco Ionta, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, del dottore Giovanni Tamburino, coordinatore nazionale del coordinamento magistrati di sorveglianza, della dottoressa Lucia Zainaghi, direttore del carcere di Rebibbia, della dottoressa Gabriella Straffi, direttore della casa di reclusione donne della Giudecca di Venezia e dei rappresentanti dell'associazione «A Roma insieme».
Per quanto attiene al contenuto del testo, ricordo che la ragione di intervenire sulla disciplina delle detenute madri di figli minori ha tratto origine dalla necessità di porre rimedio ad alcune criticità emerse durante l'applicazione della legge n. 40 del 2001, la cosiddetta legge Finocchiaro, a fronte in particolare di reati con un basso grado di pericolosità sociale, ma la cui reiterata commissione ha ostacolato la possibilità per le donne madri di bambini di età inferiore a tre anni di espiare la pena al di fuori del carcere.
Occorreva porre dei rimedi legislativi ai quali alcuni gruppi di maggioranza in Pag. 35Commissione, in particolare la Lega, non erano particolarmente favorevoli, anche se il Ministro Alfano, sin dall'inizio della legislatura, si è posto come obiettivo quello di togliere i bambini dalle carceri.
Come si è detto, il testo in esame rappresenta una sintesi delle diverse posizioni di partenza. Esso si compone di cinque articoli: gli articoli 1 e 3 costituiscono il cuore del provvedimento, in quanto trattano rispettivamente della custodia cautelare e della detenzione definitiva delle detenute madri di figli minori. L'articolo 4 ha per oggetto l'individuazione delle case famiglia protette, mentre l'articolo 2 disciplina le visite al minore infermo e l'articolo 5 individua la copertura finanziaria delle spese.
Per quanto attiene alla custodia cautelare, si è intervenuti in primo luogo sul comma 4 dell'articolo 275 del codice di rito, ampliando la portata applicativa della norma che nel testo vigente si riferisce alla donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni e con lei convivente, ovvero al padre qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.
Nel testo della Commissione, invece, la norma troverebbe applicazione ai bambini con età non superiore a sei anni. Secondo il testo del gruppo del Partito Democratico l'età si sarebbe dovuta portare fino a dieci anni, ma ciò, per le ragioni di compromesso alle quali ho prima accennato, non è stato possibile. Sei anni rappresenta, comunque, già un considerevole passo avanti rispetto ai tre anni.
Secondo la normativa vigente non può essere disposta la custodia cautelare in carcere salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Ciò significa che, qualora queste ricorrano, a discrezione del giudice la madre viene rinchiusa in carcere con il bambino. Nel testo della Commissione invece, attraverso l'introduzione dell'articolo 285-bis, si specifica che la custodia, qualora non possa essere disposta presso il domicilio, debba essere disposta presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri.
Solo quando le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza siano tali da non consentire neanche la custodia presso questi istituti, rimane come extrema ratio il carcere. Ma sugli istituti a custodia attenuata vorrei soffermarmi un attimo perché, come ci ha riferito il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, l'esperienza degli istituti a custodia attenuata per detenute madri è fondata su un modo innovativo di concepire la privazione della libertà per le detenute e i loro figli, che, replicando le condizioni di vita dell'ambiente libero, permette di non fare ricadere sul bambino le negatività della condizione detentiva. È quindi un'esperienza altamente innovativa che può ben conciliarsi con l'obiettivo che questa proposta di legge si propone.
Queste strutture, infatti, pur mantenendo lo status giuridico di istituti penitenziari, si distinguono perché si tratta di immobili di civile abitazione, non dotati di apparati di sicurezza visibili dai bambini. Non ci sono quindi sbarre alle finestre o muri di cinta e il personale penitenziario veste abiti civili. Inoltre, la presenza di servizi educativi e socio-sanitari consente di attuare percorsi di reinserimento e recupero sociale delle donne tramite progetti di istruzione, formazione, accompagnamento al lavoro e mediazione linguistica e culturale. Oltre a registrare il miglioramento delle condizioni di vita delle madri detenute e dei loro figli, sono più agevoli anche i contatti con altri eventuali figli che si trovano all'esterno. Ecco perché, per rispondere alle esigenze di sicurezza proposte da vari gruppi, nonostante sia stata mantenuta la custodia cautelare o la detenzione in questa tipologia di istituti, tuttavia questi istituti sono stati concepiti in modo tale da permettere al bambino una serena vita di relazione. Considerato che al momento sono stati istituiti solo due istituti a custodia attenuata per detenute madri, si è dovuta inserire una norma di natura temporale diretta a specificare che, fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque fino al 31 dicembre Pag. 362013, le disposizioni del presente articolo si applicano nei limiti dei posti disponibili.
L'articolo 3 interviene invece in materia di detenzione domiciliare, attualmente all'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, che prevede, al comma 1, che la pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando si tratti di donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente, ovvero di padre esercente la potestà di prole di età inferiore a dieci anni con lui convivente quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. Il testo della Commissione specifica che la detenzione relativamente solo alle madri possa essere espiata anche in case famiglia protette. Si è quindi intervenuti anche sull'articolo 47-quinquies che disciplina la detenzione quando non sia applicabile l'articolo 47-ter, che si riferisce al caso in cui siano da scontare meno di quattro anni di carcere.
La norma vigente stabilisce che le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo. La Commissione non ha modificato questa disposizione, confermando che la pena debba essere scontata almeno in parte in carcere, ma ha specificato che, salvo le ipotesi di reati gravi indicati dall'articolo 4-bis, ciò debba avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri.
Nel caso in cui, addirittura, non sussista in concreto il pericolo di commissione di ulteriori delitti o concreto pericolo di fuga, la pena può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli.
PRESIDENTE. Onorevole Samperi, la prego di concludere.
MARILENA SAMPERI, Relatore. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. La scelta della Commissione è stata quella di rimettere la scelta alla valutazione discrezionale del giudice.
L'articolo 4 specifica poi che il Ministero della giustizia, con proprio decreto, debba individuare le caratteristiche tipologiche delle case famiglia protette anche con riferimento ai sistema di sorveglianza e di sicurezza. L'articolo 2 ha per oggetto le visite al minore infermo.
La proposta di legge al nostro esame ha come finalità principale - e concludo veramente signor Presidente - quella di attenuare il disagio che i bambini si trovano a subire con le proprie madri in relazione alla condizione detentiva, che non appartiene loro e tutelare in via principale l'interesse dell'armonico sviluppo psicofisico del minore. Tuttavia, si colloca anche nel solco di quegli interventi che mirano - adeguandosi alla normativa vigente in moltissimi Stati europei - ad attribuire dignità giuridica e retributiva alle misure alternative alla detenzione (Applausi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la relatrice giustamente ha sottolineato che mancava la relazione tecnica. Nel corso del suo intervento, ho chiamato il responsabile, il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che effettivamente non l'ha trasmessa. Infatti, aveva capito di dover formulare un appunto Pag. 37per il sottosegretario che ho già mostrato alla relatrice. Inoltre, si fa riferimento all'attuale situazione, che prevede - come tutti noi sappiamo - un istituto di custodia attenuata, che è quello di Milano. Sono stati avviati già dei percorsi per realizzare ciò attraverso l'acquisizione di immobili da utilizzare gratuitamente come avviene per l'ICAM di Milano. Invece, sono e restano a carico dell'amministrazione finanziaria soltanto i costi relativi al personale di polizia penitenziaria e altre figure professionali operanti, nonché il mantenimento della stessa struttura.
Tali nuove acquisizioni, che stanno per essere realizzate, riguardano le sedi di Torino, Venezia, Firenze, Roma, Villarosa di Enna e Cagliari, mentre per quanto concerne le case famiglia protette è un programma. Quindi, per il momento vi sarebbe stata soltanto una attivazione con enti territoriali e istituti religiosi, al fine di verificare quali sono le disponibilità e poi la conformità a quella che dovrà essere l'individuazione da parte del Ministro della giustizia. Come ha ricordato la relatrice, il Ministro è impegnato su questo fronte e, sin dall'inizio della legislatura, ha espresso la sua opinione: «Mai più bambini in carcere».
Per questa ragione, credo che solleciterò - appena finirà la seduta odierna - l'amministrazione penitenziaria perché faccia pervenire la relazione tecnica in modo tale che il prosieguo della discussione possa andare avanti, essendo il Governo interessato all'approvazione di questo provvedimento.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.
LORENZO RIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parto dalle conclusioni della relatrice che si è soffermata nella parte conclusiva del suo intervento sulle finalità e sull'obiettivo di questo provvedimento. Il carcere è costellato da una serie di aree problematiche che vengono riversate dalla società libera al di là di quel muro. Tali problematiche si trovano a convivere in una realtà confusa e disordinata, dove diviene indistinto ogni limite e la stessa identità personale rischia di perdersi.
Così ergastolani, tossicodipendenti, insani di mente, stranieri, innocenti, colpevoli ed altri ancora devono convivere negli stessi ambienti, nello stesso tempo, con persone insieme alle quali, nella vita normale, difficilmente avrebbero scelto di vivere. Il carcere, lo sappiamo, rappresenta una sorta di istituzione totale.
Si chiama così un'organizzazione i cui membri vivono in isolamento dal resto della società e sono sottoposti alla sorveglianza di guardiani, la cui autorità si estende ad una vasta gamma di comportamenti, che vanno dal sostentamento all'alloggio, alla cura personale dei sorvegliati. Il carcere sottrae all'individuo la cura di se stesso, lo priva della sua autonomia e della sua libertà, lo separa dal proprio mondo, dalla propria realtà sociale, dai propri affetti, dai propri ruoli ed esercita su di lui un'azione totale e spersonalizzante.
Del pari, intuibili difficoltà devono essere superate da parte di chi nel grande contenitore deve lavorare, testimone, spesso involontario, di situazioni che anch'egli mai avrebbe scelto di affrontare o di condividere. In mezzo a tanto disordine, violenza espressa e repressa, quello che ancora riesce a scuotere le coscienze e ad attirare l'attenzione è la condanna di un innocente alla carcerazione.
Se poi questo innocente lo è indiscutibilmente, in quanto bambino al di sotto dei tre anni e figlio di una detenuta, verosimilmente entrata in carcere durante la gravidanza, siamo responsabili, giorno dopo giorno, dell'inevitabile danno che questi subirà per il suo sviluppo psicofisico e relazionale. Occorre allora prendere coscienza dell'attuale situazione delle carceri femminili, dove i bambini sono costretti a vivere reclusi con le madri: ad oggi, nelle sezioni nido delle carceri italiane, sono ospitati 55 bambini da zero a tre anni di età, numero probabilmente destinato ad aumentare, perché risultano, dai dati che abbiamo, 14 mamme detenute in stato di gravidanza. Pag. 38
Questi bambini sono costretti a condividere le stesse problematiche del sovraffollamento e della carenza di organico che rendono ancora più dura la condizione della detenzione. Bisogna tenere presente che i piccoli incolpevoli porteranno per sempre i segni di questa violenza psicologica; per questo, dobbiamo farci carico dell'urgenza di trovare soluzioni diverse e dignitose, così come la proposta che stiamo esaminando si pone l'obiettivo di fare.
Il periodo pre e post parto risulta caratterizzato da momenti di grande ansia per la maggior parte delle donne, ma per quelle che vivono in carcere i normali stress vengono ad essere moltiplicati, ampliando il vissuto di inadeguatezza e di impotenza.
Il carcere per i propri figli è l'ultima delle soluzioni che una madre ricerca ed è quella che vive con più inquietudine, perché significa esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente le dinamiche, ma della cui realtà percepisce l'assoluta precarietà e mancanza di diritti sia come persona sia come madre.
Il retroterra sociale di deprivazione, i contatti familiari inconsistenti, l'isolamento, un'instabile salute fisica e mentale e la coscienza che il bambino potrà essere affidato ad un ente assistenziale costituiscono soltanto alcuni dei problemi che vivono queste donne, testimoniando un bisogno di tutela maggiore rispetto alle persone libere.
Il codice penale e la legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario prevedono una disciplina di favore per le madri con figli minori condannate o già in espiazione di pena detentiva.
Ulteriori interventi in tale direzione sono stati introdotti dalla legge n. 40 del 2001, richiamata dalla relatrice, promossa dall'allora Ministro per le pari opportunità, Anna Finocchiaro recante «Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori» che ha segnato il primo cambiamento culturale in un sistema connotato da un'ideologia tradizionale nei confronti delle madri detenute. Per la prima volta, si è anteposto l'interesse del minore, la salvaguardia del rapporto genitore-figlio, la difesa dell'unità familiare a valutazioni sull'entità del reato commesso dai genitori.
La normativa suddetta, anche in attuazione del principio sancito dall'articolo 31 della Costituzione, che riconosce il valore sociale della maternità, ha inteso perseguire l'obiettivo di assicurare al bambino un sano sviluppo psicofisico, permettendo alla madre di vivere i primi anni dell'infanzia del minore al di fuori delle mura carcerarie.
Partendo dall'esperienza acquisita, l'ordinamento penitenziario prevede che le madri possano tenere presso di sé i figli fino al compimento dei tre anni di età, il legislatore ha voluto evitare situazioni nelle quali a detenute madri si aggiungono detenuti bambini. Si è infatti appurato che l'ingresso in carcere del minore non solo non fa che differire il distacco dalla madre, rendendolo semmai ancora più traumatico, ma, nella maggior parte dei casi, arreca danno al suo corretto sviluppo psicofisico.
Dunque, sulla base di questi presupposti, la legge n. 40 del 2001 ha inteso ampliare la possibilità per le madri condannate o detenute di assicurare ai figli assistenza in un vero ambiente familiare, estendendo in particolare l'ambito di operatività degli istituti del differimento dell'esecuzione della pena e della detenzione domiciliare.
Quanto all'ordinamento penitenziario, sono stati introdotti due nuovi istituti: la detenzione domiciliare speciale, volta a permettere l'assistenza familiare ai figli di età non superiore ai dieci anni da parte delle madri condannate quando non sia possibile l'applicazione della detenzione domiciliare ordinaria, e l'assistenza all'esterno dei figli minori, che consente comunque la cura e l'assistenza extracarceraria dei figli di età non superiore ai dieci anni.
Si profila, però, la necessità di porre rimedio ad alcune criticità emerse durante l'applicazione della citata legge n. 40, a fronte, in particolare, di reati con un basso Pag. 39grado di pericolosità sociale ma la cui reiterata commissione ha ostacolato la possibilità per le donne madri di bambini di età inferiore a tre anni di scontare la pena fuori dal carcere.
Le statistiche della prima applicazione della legge in questione hanno, purtroppo, dimostrato che i rigidi paletti normativi previsti hanno impedito alla magistratura una larga concessione dei benefici alle detenute madri. Secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione, in Italia sono 4.692 i casi di detenzione domiciliare, una cifra che, se pure rilevante, non è intervenuta in maniera significativa sulle presenze in carcere di madri con i minori. La concessione della misura prevista dall'articolo 21-bis dell'ordinamento penitenziario (assistenza all'esterno dei figli minori) ha avuto un'applicazione del tutto marginale.
In base al citato provvedimento tutte le detenute, anche se hanno commesso reati gravi, possono chiedere ed ottenere la detenzione domiciliare speciale ad alcune condizioni: aver scontato almeno un terzo della pena e, nei casi di ergastolo, almeno quindici anni. Per essere ammesse alle suddette misure non deve, però, esservi pericolo di commettere ulteriori delitti, condizione questa che mal si adatta a reati connessi all'uso di sostanze stupefacenti o alla prostituzione che, tipicamente, presentano un alto tasso di recidiva e per i quali è incriminata la maggior parte delle detenute madri.
Anche a causa di questo motivo, la legge n. 40 del 2001 risulta essere oggi in larga parte disapplicata, senza considerare il fatto che la stessa vale solo nei confronti di chi è stato condannato con sentenza definitiva e non di chi è ancora in attesa di giudizio. Così molte mamme, in particolare straniere, non avendo spesso un'abitazione dove scontare gli arresti domiciliari, sono costrette a tenere i figli in strutture di detenzione fino al compimento dei tre anni, per poi subire l'ulteriore trauma della separazione. Si tratta insomma di bambini innocenti, che prima sono reclusi e poi in molti casi inviati in istituti.
Come giustamente ha rilevato la collega Bernardini nella relazione illustrativa della sua proposta di legge - e come ha precisato la stessa relatrice è stata operata una buona sintesi -, la coabitazione dei bambini nei luoghi di pena travalica qualsivoglia ragionamento giuridico o posizione ideologica, rappresentando una vera e propria aberrazione da cancellare: privare un bambino della figura materna, in quanto figlio di una detenuta, viola palesemente la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia.
Il carcere, anche nelle situazioni migliori dove sono state realizzate delle sezioni nido, per le finalità che deve raggiungere, per le modalità e l'organizzazione che ne derivano, è comunque di per sé un luogo incompatibile con le esigenze di socializzazione e di sviluppo psicofisico. I bambini in carcere soffrono di disturbi legati al sovraffollamento e ricordo che in Italia sono ormai 68.257 i detenuti stipati in 44.612 posti letto regolamentari: un record tutto italiano, superiore a tutti i Paesi d'Europa.
I bambini soffrono la mancanza di spazio emotivamente utile, che incide non solo sulla loro crescita complessiva, tanto da limitarne lo sviluppo attenente alla sfera emotiva e cognitiva, ma provoca anche molta irrequietezza. L'altissimo numero di detenuti, il contatto forzato tra etnie e culture diverse e le regole del carcere creano situazioni di stress e tensioni che si ripercuotono inevitabilmente nel rapporto madre-figlio. Impedire a tante detenute di affrontare la propria condizione di madri fuori dagli istituti penitenziari costituisce un grave ostacolo alla riabilitazione della donna, oltre a precludere ai bambini la possibilità di vivere in un ambiente più confortevole del carcere e più idoneo alla loro crescita.
Alla luce di tali considerazioni condividiamo le principali novità recate dal provvedimento e illustrate dalla collega Samperi. Mi riferisco all'applicazione, come regola generale, della detenzione domiciliare per le madri condannate con bambini di età inferiore a dieci anni, all'ulteriore limitazione delle ipotesi in cui Pag. 40è possibile sottoporre a custodia cautelare in carcere le madri con prole di età inferiore a tre anni e all'istituzione di case famiglia protette, dove le detenute madri, in specifiche e residuali ipotesi, possono scontare sia la custodia cautelare sia l'esecuzione della pena detentiva.
Nell'ambito del grande dolore che la genitorialità vissuta in carcere porta con sé, una delle problematiche più sentite e ricorrenti per la madri detenute è rappresentata dall'impossibilità di assistere il proprio figlio malato durante il ricovero in ospedale e nel corso delle visite specialistiche alle quali il minore viene periodicamente sottoposto. Ci sono bambini in tenera età costretti a lunghe degenze in ospedale, completamente soli, senza la madre e privi di qualsiasi figura loro nota e familiare, assistiti esclusivamente dal personale della struttura ospedaliera che li accoglie. Vi sono anche madri ignare dell'improvviso invio al pronto soccorso del proprio figlio, che ne vengono a conoscenza soltanto quando l'ospedale richiede una loro autorizzazione per procedere ad un intervento sanitario sul minore.
L'articolo 2 del presente testo intende proprio ovviare a questa ulteriore crudeltà attraverso un sistema agile e privo di lungaggini burocratiche. Allora, ferma restando l'esigenza primaria di tutela della libertà della donna in stato di gravidanza, con conseguente disposizione della custodia cautelare esclusivamente in caso di esigenze di eccezionale rilevanza, abbiamo ritenuto opportuno proporre la soluzione intermedia dell'applicazione della misura presso le case-famiglia protette, strutture capaci di considerare insieme alla sicurezza anche le necessità dei bambini, così da garantire a questi ultimi - per quanto possibile - un corretto e sano sviluppo psicofisico.
In conclusione, anche alla luce delle cose che sono state dette in sede di apertura della discussione generale dalla relatrice, con le ulteriori precisazioni del sottosegretario Caliendo in riferimento alle difficoltà di carattere finanziario e di copertura finanziaria del provvedimento (che pensiamo potranno essere risolte nei prossimi giorni), l'Unione di Centro assicura sin d'ora l'approvazione e il sostegno - così come abbiamo fatto in Commissione - a questo importante provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Misto-Alleanza per l'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, credo che tutti i parlamentari, quando si trovano a dover affrontare questioni delicate come il rapporto tra madre e figlio all'interno dell'istituto penitenziario, facciano riferimento alle difficoltà di tale rapporto che coinvolge, non tanto e non solo la responsabilità di chi magari è stato destinatario di un provvedimento di custodia cautelare, o peggio di una sentenza definitiva (quindi in un certo senso essendo stato oggetto di una valutazione da parte del giudice), ma ancor prima e più di tutto il minore che molto spesso viene a trovarsi in questa situazione difficile da affrontare e sicuramente anche sul piano psicologico foriera di conseguenze molto spesso negative.
Il provvedimento originario inseriva degli automatismi che noi - come Popolo della Libertà - non eravamo disponibili a sostenere, perché abbiamo sempre ritenuto che gli istituti che in qualche modo vanno a modificare le norme ordinarie debbano guardare al minore ma non possano prescindere completamente dai reati commessi dalla madre.
Questa valutazione, che può sembrare per certi aspetti dura, basa in realtà la sua giustificazione su numerosi articoli, sia dei codici di rito sia delle norme sull'ordinamento penitenziario, che propongono continuamente questa distinzione. Quindi quando ci siamo trovati ad affrontare il testo originario nella proposta del Partito Democratico noi abbiamo operato - come Popolo della Libertà - quella mediazione che prevedeva, da un lato, di mantenere fermi certi istituti a garanzia della comunità nazionale (che non si può dimenticare di fronte a reati molto efferati) e dall'altro, Pag. 41di aprire la nostra disponibilità al confronto per quanto concerneva una riforma - che è necessaria tutt'oggi - relativa, appunto all'età dei minori che sono coinvolti in queste terribili esperienze.
Del resto, che questa strategia politica, ma anche - se mi permettete - di politica penitenziaria, debba avere il proprio riconoscimento risulta anche da un aspetto abbastanza banale. In quante occasioni ci si è trovati di fronte ai servizi sociali che hanno fatto proposte o sono dovuti intervenire nei casi di reati ripetuti, come ad esempio di fronte alla recidiva?
Credo che questi elementi debbano entrare nella valutazione che il magistrato deve fare quando deve valutare le esigenze contrapposte che ci sono ai fini, sì, di salvaguardare il minore, ma anche di evitare che attraverso questi benefici si possa rompere quel principio che diventa fondamentale.
Intanto, è pacifico che, tranne casi forse romanzeschi, ci sono, purtroppo, ipotesi, in questo Paese, in cui delle madri - fortunatamente un'infima minoranza - si sono macchiate anche di delitti efferati. Non li ricordo, naturalmente, perché non mi sembra elegante farlo in quest'Aula, ma sono spesso stati oggetto - tanto per cambiare - di notevole interesse da parte dei mezzi di comunicazione e fanno parte ormai della nostra storia nazionale collettiva ed anche mediatica.
Credo che, di fronte a situazioni come quelle, e, ancor peggio, quando si verificano altre situazioni che vengono denunciate dai magistrati (relative, ad esempio, al ruolo che alcune donne stanno assumendo all'interno di organizzazioni criminali), il legislatore faccia bene a bilanciare tali interessi facendo sì che un'apertura indispensabile e necessaria mantenga, comunque, un riferimento fermo in quella - non voglio dire cattiveria - severità che alcune norme devono sicuramente riconoscere anche in questo caso.
Da qui, il Popolo della Libertà si è mosso come una sorta di mediatore tra le posizioni espresse anche dai nostri alleati della Lega Nord Padania e le posizioni, che, in parte, ci sentivamo di condividere, della proposta di legge avanzata dal Partito Democratico.
Non so se questo testo unificato sia il migliore che si possa varare nelle condizioni che ho descritto, ma ritengo che dimostri che il percorso parlamentare - non dimentichiamo che si tratta di una proposta d'iniziativa parlamentare -, quando trova il lavoro, l'impegno e il confronto di tutte le parti politiche, riesce ad approdare naturalmente anche ad un risultato. È pur vero che, oggi, la valutazione è sospesa in attesa del giudizio che dovrà sciogliere la Commissione bilancio della Camera dei deputati per quanto riguarda gli aspetti finanziari, ma è, altresì, vero che, partendo da posizioni molto distanti in alcuni casi, si è riusciti politicamente a dare una risposta concreta.
Come bene ha ricordato la collega Samperi, questa risposta è il frutto, non solo di una mediazione, ma di un compromesso, in cui ciascuna delle parti in gioco ha rinunciato ad una parte della propria identità politica di fronte a questo testo legislativo, per prendere di mira quella che era l'essenza della presente iniziativa, cioè l'interesse dei minori. Il fatto, ad esempio, che, per quanto riguarda la custodia cautelare, si sia passati da un'età dei minori di tre anni ad un età di sei anni è sicuramente un giudizio positivo che deve essere registrato a vantaggio di tutte le forze politiche che si sono mosse in questa direzione.
Lo stesso dobbiamo dire per quanto riguarda gli aspetti concernenti la definizione delle condizioni carcerarie quando la madre è stata oggetto di una sentenza divenuta definitiva. Forse qui si evidenzia ancora di più perché, se nella custodia cautelare, quindi durante le indagini, sicuramente gli interessi in gioco sono più sfumati e, dunque, prevale con forza l'identità del minore che viene, in qualche modo, coinvolto in questa vicenda, è un po' più delicata la situazione quando - come ricordavo - la sentenza è definitiva. Pag. 42Eppure, anche qui siamo riusciti a trovare un'ipotesi di mediazione che fa un grande passo avanti.
Non possiamo dimenticare che la norma vigente, per quanto riguarda la detenzione domiciliare speciale, prevede, in alcuni casi, che, prima di essere ammessi a questi benefici, la madre debba avere scontato un terzo della pena, se trattasi di pena detentiva, o, addirittura, 15 anni nel caso in cui si tratti di ergastolo. La soluzione che è stata suggerita e che ha trovato grazie al cielo il consenso di tutti i colleghi, è stata proprio quella di mantenere ferma questa esigenza, ma introducendo la possibilità per il giudice - ecco l'altra distinzione profonda che è emersa in esito al confronto e al dibattito - senza formulare automatismi.
Credo che la responsabilità, in questo Paese, vada divisa tra il Parlamento, che viene spesso chiamato in gioco anche dai magistrati, quando si afferma che, se ci sono certe situazioni, è perché il legislatore non se ne è accorto e, quindi, assistiamo sempre al capo di imputazione che viene rivolto ai parlamentari di non aver realizzato delle leggi corrette, come magari verrebbero richieste fuori di qui, e i magistrati, alla cui responsabilità dobbiamo anche tornare, come fa il presente provvedimento. Ecco perché il «no» all'automatismo e l'affidamento della scelta del magistrato.
È il magistrato che deve vagliare, all'esito di una sentenza definitiva, il merito della situazione nei confronti anche di quella donna. È al magistrato che deve essere rimesso il bilanciamento tra le esigenze sacrosante del minore e l'esigenza della collettività, a fronte di una sentenza che viene emessa in nome del popolo italiano.
Ritengo, dunque, che il lavoro che è stato fatto da parte della Commissione giustizia sia suscettibile senz'altro di miglioramenti - vedremo adesso anche gli emendamenti eventualmente presentati -, ma penso di poter dire che questo compromesso potrà reggere tranquillamente anche il passaggio parlamentare alla Camera e portare questa ventata di riforma in un campo che sicuramente, per quanto riguarda la legislazione, era fermo a tempi non antichi, ma nemmeno tanto recenti e che, quindi doveva registrare questa sensibilità del confronto politico e parlamentare e vederla espressa in un progetto di legge.
Quello che volevo sottolineare era sostanzialmente contenuto in questi aspetti che ho richiamato. Credo che adesso ci aspetti sostanzialmente il voto con l'esame degli emendamenti. Noi come Popolo della Libertà valuteremo gli emendamenti, se ci saranno, soprattutto la bontà degli stessi sotto il profilo del contenuto.
La questione che rimane sospesa - l'ha ricordato molto bene la collega relatrice Samperi - è quella del vaglio della Commissione bilancio. Credo che anche qui si sia dimostrato sul piano politico un forte rispetto nella discussione di questa proposta, perché la maggioranza avrebbe avuto i voti per bloccarla di fronte alla mancanza del parere della Commissione bilancio e di fronte - facciamo attenzione - anche alle questioni (per chi ha avuto modo di leggere il resoconto dei lavori di quella Commissione per quanto riguarda questo provvedimento) e ad alcune sottolineature che in effetti lasciano un po' riflettere chi è attento anche alle coperture finanziarie nei progetti o nelle proposte di legge.
Non dimentichiamo che prima della nostra discussione ne abbiamo affrontata una sulla legge di stabilità che, come ricorderete, viene modificata sulla scorta dei principi comunitari che stanno avanzando, ma il principio di fondo è il debito. Questo ragionamento purtroppo vale anche per le proposte di legge che hanno una valenza, se mi consentite, anche sul piano etico o morale superiore ad altre. Infatti, la regola del finanziamento e della copertura finanziaria in particolare purtroppo non guarda in faccia ad una graduatoria di carattere morale su quale provvedimento venga prima rispetto ad un altro, ma è la stessa per tutti.
Ritengo che oggi - concludo - la questione più delicata sia proprio quel passaggio. Infatti il Governo ha un compito Pag. 43delicato, che è quello di affrontare la Commissione bilancio con una relazione tecnica e ha il dovere, a mio giudizio, non di forzare la mano naturalmente nei confronti della Commissione bilancio - altrimenti ci sentiremmo gli strali del presidente e di tutta la Commissione, come sarebbe giusto -, ma di valutare se - come noi abbiamo ritenuto nel merito - le persone e quindi le donne in particolare interessate da queste condizioni e da questa situazione carceraria siano in numero limitato. Ciò anche a fronte del progetto di edilizia penitenziaria che il Governo finalmente ha avviato e che speriamo possa vedere l'attuazione in tempi ragionevolmente rapidi e possa anche dare vita a iniziative che vanno nella direzione auspicata da questa proposta di legge.
Credo che sotto questo profilo sia più facile affrontare la clausola di copertura finanziaria per quanto concerne quest'ultimo aspetto, attingendo sostanzialmente ai fondi che sono previsti dalla legge finanziaria per individuare quelli che, come è stato detto anche durante il percorso in Commissione, dovrebbero essere due o tre non di più, quattro al massimo con le isole, istituti a custodia attenuata, e per dare il modo poi di aprire questa discussione anche nei confronti delle cosiddette case-famiglia protette.
Non è che abbiamo inventato nulla: oggi ci sono già associazioni che operano in questo campo per quanto riguarda il recupero dei tossicodipendenti, in cui funzionano gli istituti alternativi al carcere. Ci sono altre situazioni che vedono spesso organizzazioni anche di carattere religioso o laico venire in soccorso di madri magari prive di abitazione e che non possono quindi chiedere gli arresti domiciliari o la detenzione domiciliare.
Credo che tutto questo possa ragionevolmente superare anche il vaglio della Commissione bilancio ben sapendo che, se si tratterà di fare delle correzioni, speriamo che siano di minore impatto possibile. Credo che questo rapporto che si è creato tra le forze politiche in Commissione e anche all'interno di quest'aula lo dovremmo portare sino in fondo proprio perché abbiamo operato e lavorato nell'interesse dei minori e vogliamo fare in modo che il provvedimento in esame venga licenziato dall'intera Aula e dai gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Onorevole Presidente e onorevoli colleghi, il provvedimento all'esame dell'Aula oggi offre, almeno al sottoscritto, due opportunità: tentare di entrare nel merito giuridico ed esaminare la trasformazione che esso introduce - e lo faremo, e vedremo che con il provvedimento di oggi si compie un altro passo importante in un lungo cammino iniziato nel 2001 con la proposta di legge promossa dalla senatrice Finocchiaro, ma vedremo anche come questo cammino sia ancora lungo - oppure si può considerare un altro aspetto della questione, cioè che questo provvedimento non è che un provvedimento a favore della famiglia. Certo, non la famiglia del Mulino Bianco: qui non vi sono mattini luminosi, sorrisi radiosi, piedini che corrono in cucina attirati dai profumi di abbondanti e dietetiche colazioni. Qui il papà non attraversa i colori tenui delle colline toscane a bordo del suo SUV tornando a casa al tramonto. Ma soprattutto, qui la mamma non sfoggia acconciature da 150 euro alle sette di mattina nella camicia da notte frù frù.
Qui i papà stanno spesso in un altro carcere, le mamme trascorrono il loro tempo, interminabili e vuote ore, in penitenziari sovraffollati e i bambini consumano il latte in polvere dell'amministrazione carceraria e cercano un raggio di sole dietro le sbarre. Non di rado le urla di umanità sofferente risuonano da un'infermeria spesso troppo vicina, dove si lotta contro l'astinenza dalla droga e i bambini stringono i pugni e si tappano le orecchie per non sentire. Quel padre, quella madre e quel bambino, anche loro hanno diritto alla speranza e questo provvedimento prova a restituire almeno un briciolo di quella speranza.
Con questo provvedimento in fondo vogliamo scarcerare quei bambini e riaffermare Pag. 44il primato educativo della famiglia, quale che essa sia: ricca o povera, benestante o marginale, ed in questo quadro rafforzare appunto l'articolo 31 della Costituzione, che tutela la maternità e l'infanzia. Questo provvedimento è un tentativo di affiancare tante famiglie nella difficile e straordinaria impresa di tornare ad una vita normale. Vogliamo qui tentare di ribaltare la maledizione dell'esodo: «Le colpe dei padri» - ma in questo caso anche delle madri - «ricadranno sui figli». È un passo biblico che non ci piace, ma che spesso, troppo spesso descrive la cruda e sconcertante verità dell'attuale realtà carceraria, una verità della quale sono testimoni e contro la quale combattono le centinaia di volontari, soprattutto donne, delle associazioni, le quali non solo intervengono nelle strutture carcerarie, ma sono anche di pressante pungolo alla politica, una politica spesso insensibile, distratta, profondamente in ritardo con i tempi.
Un lungo cammino, come dicevamo all'inizio, attraverso un percorso faticoso iniziato dalla seconda metà degli anni Settanta, quando si è cominciato a parlare dell'argomento, fino al 2001 e alla normativa vigente. In tutti questi anni il legislatore ha scritto con lentezza ed ancor più lentamente le volontà del legislatore sono state man mano concretizzate. Così quello delle detenute madri è ancora un capitolo molto delicato.
Oggi la normativa carceraria consente alla detenuta di tenere con sé i figli fino all'età di tre anni. Gli esperti sono concordi nel ritenere che l'ingresso in carcere del bambino, finalizzato a non interrompere la forte ed insostituibile relazione con la madre, non solo non è apparso risolutivo del problema (il distacco dalla madre è solo differito, rendendolo semmai ancora più traumatico), ma è addirittura controproducente per l'infanzia: il baby detenuto incolpevole viene a trovarsi collocato in un ambiente punitivo, povero di stimoli e connotato dalla privazione di autorevolezza della figura genitoriale, peraltro monogenitoriale in assenza del padre ovviamente.
Statisticamente il bambino in carcere soffre più dei coetanei di disturbi del sonno, inappetenza, apatia ed il suo sviluppo emotivo e cognitivo appare più limitato di altri. La stessa madre sconta spesso proprio nel rapporto con il bambino la frustrazione e lo stress provocato dalla condizione di detenzione e dalle connesse rigidità organizzative.
In definitiva, appare pacifico che la maternità e l'infanzia, la cui protezione come dicevamo è garantita dall'articolo 31 della Costituzione, non possono mai trovare piena tutela tra le mura di un carcere, anche laddove l'amministrazione penitenziaria ha potuto creare negli istituti le apposite sezioni di asili nido previste per legge.
Nella normativa attuale, sia il codice penale sia la legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario prevedevano entrambe una disciplina di favore per le madri con figli minori condannate a pena detentiva o già in espiazione di pena.
Ma è con il Governo Prodi e con l'entrata vigore della legge 8 marzo 2001, n. 40, che la tutela della maternità e dell'infanzia inizia a prendere forma compiuta all'interno delle mura carcerarie, e non solo. Infatti, partendo dall'esperienza acquisita, la citata legge n. 40, ha inteso ampliare la possibilità per le madri condannate o detenute di assicurare ai figli un'assistenza in un vero ambiente familiare, estendendo, in particolare, l'ambito di operatività degli istituti del differimento dell'esecuzione della pena e della detenzione domiciliare.
Un primo intervento della legge ha riguardato l'articolo 146 del codice penale sul rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena, rendendolo possibile, oltre che per la donna incinta anche per la madre, fino al compimento di un anno di età del bambino. Correlativamente, però, sono state aumentate le ipotesi di revoca del rinvio, che ora ha luogo non solo nel caso di morte del figlio o di affidamento a persona diversa dalla madre, ma anche ove la madre abbia abbandonato il figlio o sia stata dichiarata decaduta dalla patria potestà per aver violato o trascurato i Pag. 45doveri ad essa inerenti. La legge n. 40 del 2001 ha, poi, novellato l'articolo 147 del codice penale, introducendo il rinvio facoltativo della pena detentiva per la madre con un figlio di età inferiore a tre anni. Il differimento facoltativo non può però essere adottato o, se è adottato, è revocato in presenza degli stessi motivi di cui all'articolo 146, ultimo comma, o se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti.
Quanto all'ordinamento penitenziario, la legge n. 40 del 2001 ha introdotto due nuovi istituti: la detenzione domiciliare speciale e l'assistenza all'esterno dei figli minori. La detenzione domiciliare speciale è volta a permettere l'assistenza familiare ai figli di età non superiore a dieci anni da parte delle madri condannate, ove non sia possibile l'applicazione della detenzione domiciliare ordinaria. Le condizioni per accedere al beneficio - è stato più volte detto - ora vigenti sono: l'avvenuta espiazione di almeno un terzo della pena (quindici anni nel caso di ergastolo), l'insussistenza di un reale pericolo di commissione di nuovi reati e la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli.
Laddove non sussistano i presupposti per la detenzione domiciliare speciale, l'articolo 21-bis dell'ordinamento penitenziario, introdotto sempre dalla legge n. 40 del 2001, ha previsto una nuova misura: l'assistenza all'esterno dei figli minori, che permette, comunque, la cura e l'assistenza extra-carceraria dei figli di età non superiore a dieci anni.
Sempre legge n. 40 del 2001, ha previsto oltre a quelli indicati, ulteriori limiti di applicabilità dei due istituti testé descritti: i benefici non potranno, infatti, essere goduti dalla madre decaduta dalla potestà genitoriale, ai sensi dell'articolo 330 del codice civile e, se già concessa, ovviamente, la misura è revocata; laddove, invece, la decadenza sia disposta a titolo di pena accessoria, quest'ultima resterà sospesa, consentendo l'applicazione delle misure di favore.
Ora passiamo ai diritti non garantiti. Come accennato, l'ordinamento penitenziario consente alle madri di tenere con sé il bambino fino al compimento del terzo anno di età, stabilendo che per la loro cura ed assistenza, l'amministrazione penitenziaria deve organizzare appositi siti, obbligo quest'ultimo largamente disatteso.
L'articolo 19 del regolamento penitenziario stabilisce, in particolare, che le camere dove sono ospitate le madri con i figli debbono rimanere aperte, permettendo lo spostamento dei bambini all'interno del reparto e della sezione, pur con il limite di non turbare l'ordinato svolgimento della vita dei medesimi. Ai minori devono essere assicurate attività ricreative e formative e, con il consenso della madre, possono essere accompagnati all'esterno per lo svolgimento di tali attività, anche presso asili nido sul territorio.
Al compimento dei tre anni di età, se il minore non può essere affidato a parenti o ad altre persone, la direzione del carcere segnala il caso in tempo utile agli enti di assistenza all'infanzia sul territorio e al centro di servizio sociale. Quest'ultimo dovrà ovviamente garantire, in ogni caso, il mantenimento dei rapporti tra madre e bambino.
Le statistiche penitenziarie testimoniano come i limiti applicativi previsti dalle leggi si siano dimostrati troppo rigidi e abbiano impedito alla magistratura una larga concessione dei benefici alle detenute madri. In particolare, fin qui, a fronte di reati con un basso grado di pericolosità sociale, la reiterata commissione ha ostacolato la possibilità per le donne madri di bambini di età inferiore a tre anni di espiare la pena al di fuori del carcere. Questa, purtroppo, è la dura realtà.
Era chiaro, era logico che il legislatore fosse spinto, quindi, ad intervenire per superare almeno la gran parte di queste criticità. E lo ha fatto - credo - giustamente la Commissione giustizia, giungendo a questa proposta unitaria, che rimuove quei paletti normativi - perlomeno ci auguriamo che questi paletti vengano rimossi - che hanno fino ad oggi, di fatto, impedito l'accesso ai benefici di un numero rilevante di detenute. Pag. 46
Il provvedimento oggi all'esame dell'Aula trae quindi spunto dalla legge n. 40 del 2001 migliorandone l'efficacia e semplificandone l'applicabilità. Va subito detto che nei casi di condanna è caduto il vincolo per cui è necessario avere scontato in carcere parte della pena - 15 anni in caso di ergastolo - e va sottolineato come il carcere vero e proprio resta solo nei casi di reati gravissimi di mafia oppure di terrorismo nei quali permanga, fra l'altro, il vincolo con la organizzazione criminale.
Di qui in poi la nuova legge modula gli interventi carcerari. Anzitutto l'applicabilità: si alza a sei il limite di età del bambino e si modifica l'ottica della concessione del beneficio. Si impone infatti, il divieto di disporre oppure di mantenere la custodia cautelare in carcere, salvo in casi di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, nel qual caso comunque è prevista la possibilità di disporre la custodia di madre e bambino negli ICAM (istituti di custodia attenuata). Quest'ultima è un po' la novità su cui tornerò a breve, auguriamoci e augurandoci che anche questa non sia una chimera, ma che possa diventare una realtà, anche con il consenso del Governo e con le risorse disponibili che noi ci auguriamo vengano trovate.
Per condanne fino a quattro anni di pena definitiva, ove vi sia prole minore di dieci anni da accudire, viene prevista la detenzione domiciliare o in case famiglia protette. Per condanne superiori a quattro anni, a meno di reati gravissimi di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, ove non vi sia pericolosità sociale o pericolo di fuga, la madre può esser ammessa ad espiare o presso l'abitazione oppure in case di accoglienza o in case famiglia.
Ma la nuova legge norma anche il caso ove si ravvisi un pericolo di fuga o di reiterazione dei reati o vi sia un bambino fino a dieci anni da accudire, disponendo che la pena può essere espiata presso gli ICAM. È stato inoltre espressamente previsto come l'obbligo domiciliare in cui può essere eseguita la custodia cautelare è la casa famiglia protetta che viene appositamente normata dall'articolo citato.
Infine, sono state introdotte precise norme rivolte anche a beneficio dei padri per disciplinare la presenza dei genitori in casi di pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore o di visite specialistiche relative a gravi condizioni di salute.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io penso che questo sia un buon provvedimento, però ha bisogno di due buone gambe per camminare. La prima è il suo tasso di civiltà, ed in questo caso davvero potremmo dire di avere un sistema penitenziario più civile, più moderno e più umano; la seconda è la sua reale applicabilità in base alle risorse finanziarie disponibili - quelle di cui appunto dicevamo prima, le famose nozze con i fichi secchi.
Centrale è l'istituzione degli ICAM, che non sono una novità, ma, ahimè, restano una assoluta rarità e chiunque voglia vedere di cosa stiamo parlando - qui voglio fare un esempio, ma credo che sebbene il Governo ne sia molto consapevole, come si dice, repetita iuvant -, basta che si rechi all'ICAM di Milano, uno stabile, peraltro di indiscutibile pregio architettonico, di 420 metri quadrati, di proprietà della provincia di Milano. La struttura ripropone la pianta di un appartamento interamente disposto su un piano, sul quale si aprono portineria, sala colloqui, sala polivalente, biblioteca attrezzata con tv e computer, lavanderia, giocoteca o ludoteca, sei camere da letto, guardaroba, sala cucina, giardino e infermeria. L'ambiente è accogliente e arredato in maniera confortevole; tutto il personale è in abiti civili; lo spazio dedicato alle attività ludiche con i bambini è stato organizzato seguendo il suggerimento del modello degli asili nido del comune di Milano; l'istituto prevede un percorso personalizzato per ogni detenuta, offrendo opportunità scolastiche, di mediazione linguistica e culturale e il tempo non diventa più né buio, né un vuoto. Già nei primi due anni di attività l'istituto di custodia attenuata aveva ospitato 87 bambini.
Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha costituito nel novembre Pag. 47del 2008 un gruppo di lavoro per definire un modello operativo nella costituzione degli ICAM ed assicurare uniformità e coordinamento delle strutture. Il gruppo segue la gestione delle esperienze in atto e il concreto avvio di quelle in progettazione.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Tidei.
PIETRO TIDEI. Ciò per porre in essere - ho concluso, signor Presidente - tutte le azioni necessarie per la realizzazione e il consolidamento delle progettualità rivolte alle donne detenute e ai bambini.
Il Piano carceri, attualmente già finanziato parzialmente, prevede nella sua fase di attuazione anche la realizzazione non più sperimentale degli ICAM.
Allo stato attuale, manca ancora la risposta del Governo - e qui concludo - in questo senso: il lungo cammino affrontato dal legislatore, che ha portato alla legge n. 40 del 2001 e al testo unificato attuale, nato dal grande lavoro anche della relatrice Marilena Samperi, che qui ringrazio ufficialmente e pubblicamente, non può che concludersi con un semplice auspicio: che in questa Italia di evasori fiscali (almeno 100 miliardi), si trovi almeno qualche milione per queste madri e questi bambini.
È grottesco, è paradossale, ma è così: il nostro popolo, la nostra gente - padana o meridionale che sia - dovrebbe ricordarselo, quando soprattutto proclama, anche su questioni di non pertinenza, la propria sovranità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Follegot. Ne ha facoltà.
FULVIO FOLLEGOT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo oggi in discussione la proposta di legge recante disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori.
Occorre dare atto che i proponenti hanno toccato un tema attuale e un argomento molto sensibile. Infatti, chi, di fronte ad un bambino e ad una madre, sia pure detenuta, non farebbe tutto il possibile affinché stiano insieme, fuori dal carcere, soprattutto quando il bambino è molto piccolo?
Dobbiamo, peraltro, rilevare come non esista, per le donne, il fenomeno del sovraffollamento delle carceri: le detenute sono in tutto circa tremila, con una presenza maggiore in Lombardia e nel Lazio. Solitamente si è cercato, poi, di garantire una situazione detentiva idonea, che tenga conto delle particolari esigenze psicofisiche e dell'obiettivo del reinserimento sociale.
Gli istituti penitenziari idonei ad ospitare donne con figli sono circa una ventina e, di questi, solo circa la metà li ospitano realmente. Anche i servizi che vengono dati si pongono l'obiettivo di rendere meno pesante la reclusione per le madri e di garantire ai bambini una vita la più normale possibile.
È proprio in quest'ottica che sono stati istituiti gli istituti a custodia attenuata per detenute madri: gli ICAM. Si tratta di strutture - se pure definite istituti penitenziari - civili, e cioè appartamenti o altre strutture similari, dove, pur nella limitazione della libertà personale, non vi sono limiti visibili, ad esempio non vi sono sbarre alle finestre, e questo consente un miglior rapporto tra la madre ed il bambino, nonché con l'ambiente esterno. Tutta una serie di servizi poi, ad esempio la formazione, mira al reinserimento sociale della madre. Il primo ICAM è sorto a Milano, con la collaborazione tra l'amministrazione penitenziaria e gli enti locali. Altri ICAM sono in fase di realizzazione in altre città.
Occorre far presente che le detenute madri con figli, nel giugno 2010, erano cinquantaquattro. È evidente, quindi, come il problema non stia nei numeri, quanto nel fatto che vorremmo un giorno poter dire tutti, finalmente: non c'è alcun bambino in carcere.
La realtà, peraltro, è evidentemente molto più complessa: se è vero che nessun bambino deve stare in carcere per colpa della madre, è anche vero che occorre Pag. 48garantire sicurezza ai cittadini onesti. Pertanto, non si può lasciare libera o agli arresti domiciliari una persona, dopo che questa ha commesso un reato particolarmente grave, per il semplice fatto che ha un figlio piccolo. Sarebbe come riconoscerle una sorta di impunità.
Il dibattito in Commissione è stato molto ampio e articolato. Fin da subito, su proposta dalla Lega Nord Padania, si è deciso di stralciare dal testo proposto le modifiche alle disposizioni riguardanti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, focalizzando l'attenzione sul rapporto tra detenute madri e figli minori.
Entrando nel cuore del tema, pur essendo tutti favorevoli in linea di principio sul fatto che nessun bambino debba stare in carcere, al fine di permettergli uno sviluppo psicofisico adeguato e non limitato da particolari condizioni e restrizioni della libertà a cui è sottoposta la madre, la Lega Nord ha posto la condizione che si debba, in ogni caso, garantire la sicurezza ai cittadini.
Da un lato, quindi, si pone la questione di non approvare una sorta di impunità per la donna con figli piccoli, dall'altro lato si vuole garantire ai figli la miglior situazione possibile, quando la madre abbia commesso un reato.
Il testo approvato dalla Commissione appare alla fine equilibrato e in grado di soddisfare le diverse esigenze: garantire sicurezza ma nel contempo prestare maggiore attenzione nei confronti di bambini figli di madri che hanno commesso reati. Nel dettaglio, l'articolo 1, comma 1, della proposta di legge in esame novella l'articolo 275 del codice di procedura penale, sostituendo il comma 4. La nuova formulazione del comma 4 prevede che quando gli imputati siano donne incinte o madri di prole di età non superiore a sei anni, con lei convivente (nel testo precedente l'età massima era fissata in tre anni), ovvero padri, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può esser disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Resta quindi residuale l'ipotesi di custodia cautelare in carcere.
Il successivo comma 2 novella l'articolo 284 del codice di procedura penale, disciplina l'istituto degli arresti domiciliari aggiungendo l'istituto della casa famiglia protetta. Il testo novellato prevede quindi che, con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescriva all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, ovvero da luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta. L'individuazione delle case famiglia protette è disciplinata dall'articolo 4. Spetta ad un decreto del Ministro della giustizia la definizione delle caratteristiche tipologiche delle medesime, anche con riferimento ai sistemi di sorveglianza e di sicurezza e, sulla base di tali caratteristiche, l'individuazione delle strutture gestite da enti pubblici o privati idonee ad essere utilizzate come case famiglie protette.
Il comma 3 introduce l'articolo 285-bis del codice di procedura penale, al fine di prevedere la custodia cautelare in istituto o custodia attenuata per detenute madri. In presenza di tale esigenza il nuovo articolo 285-bis prevede pertanto la possibilità di disporre la custodia cautelare della donna incinta, della madre di prole di età non superiore a sei anni o del padre nei casi indicati, in un istituto a custodia attenuata per detenute madri, sempre che le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano.
Parzialmente modificato, sebbene sostanzialmente analogo nelle finalità, è anche l'articolo 2 del testo unificato delle proposte di legge in esame, che disciplina le visite al minore infermo. Il nuovo testo introduce l'articolo 21-ter alla legge n. 354 del 1975, anziché novellare l'articolo 30. Il nuovo articolo 21-ter stabilisce che in caso di imminente pericolo di vita o di grave condizione di salute del figlio minore, anche non convivente, la madre condannata, imputata o internata, ovvero il padre, è autorizzata con provvedimento del magistrato Pag. 49di sorveglianza o, in caso di sua assoluta urgenza, dal direttore dell'istituto, a recarsi con le cautele previste dal regolamento a visitare l'infermo. In caso di ricovero ospedaliero le modalità della visita sono disposte tenendo conto della durata del ricovero o del decorso della patologia. La condannata, imputata o internata madre di un bambino di età inferiore ai dieci anni, anche se con lei non convivente, è autorizzata con provvedimento da rilasciarsi dal giudice competente, non oltre le ventiquattro ore precedenti la data della visita e con le modalità operative dallo stesso stabilite, ad assistere il figlio durante le visite specialistiche relative a gravi condizioni di salute.
L'articolo 3 interviene in materia di detenzione domiciliare (articolo 47-ter) e di detenzione domiciliare speciale nel caso delle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni (articolo 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario). Il comma 1, in particolare, in materia di detenzione domiciliare, prevede che la donna incinta, o madre di prole di età inferiore a dieci anni con lei convivente, possa espiare la pena della reclusione non superiore ai quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto anche presso una casa famiglia protetta, oltre che, come nel testo vigente, nella propria abitazione o in ogni altro luogo di dimora privata, ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza.
Il comma 2, invece, interviene in materia di detenzione domiciliare speciale delle condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni. L'attuale comma 1 dell'articolo 47-quinquies prevede che, se non sussiste alcun concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, le detenute madri possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza al fine di provvedere alla cura o all'assistenza dei figli dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena, ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo.
Importante è il nuovo comma 2, introdotto dalla Commissione, che dispone che il terzo della pena o gli almeno quindici anni previsti dal comma 1 possano essere espiati presso un ICAM, se non sussiste il concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o il concreto pericolo di fuga, nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza. In caso, infine, di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, è prevista l'espiazione presso le case famiglia protette allo scopo realizzate.
La disciplina introdotta non si applica, ovviamente, nel caso di condanna per i reati di grave allarme sociale di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.
Con questo provvedimento si intende fornire, quindi, una risposta concreta alle problematiche legate alla condizione delle detenute madri con figli minori, atteso che le modifiche introdotte hanno il fine di favorire l'esigenza dei figli, specie in tenera età, di vivere con la madre, ma soprattutto di vivere in un ambiente che non sia quello carcerario.
Infatti, la proposta muove dalla considerazione del contesto sociale da cui provengono le detenute-tipo, donne che spesso vivono in contesti sociali degradati e che spesso hanno riportato più di una condanna penale. La soluzione posta viene a consentire che un gran numero di madri possa vivere la propria maternità al di fuori delle mura degli istituti carcerari.
Il punto centrale davvero innovativo della nuova proposta di legge consiste nella previsione di realizzare case famiglia protette.
Rimane aperta una questione: non c'è il parere della Commissione bilancio perché non è ancora pervenuta la relazione tecnica richiesta e, quindi, non è possibile quantificare gli oneri derivanti dagli articoli 1, 3 e 4. È inutile dire che senza risorse adeguate sarà ben difficile, se non impossibile, attuare pienamente quanto Pag. 50previsto dalla proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.
DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, se siamo qui come Alleanza per l'Italia è perché riteniamo che questo provvedimento chiami alla responsabilità. Infatti, tocca un tema che è come una pietra di confine: a seconda di come viene spostata impoverisce o arricchisce la civiltà di un Paese. Quindi ringrazio la relatrice Samperi che con molta onestà ha dato il quadro del provvedimento anche non sottacendo alcune situazioni che hanno riguardato l'opposizione e la maggioranza prima di arrivare a un provvedimento unitario.
Di solito è sempre la minoranza (l'opposizione) che sollecita alcuni provvedimenti che hanno fondamento in termini di civiltà, perché la maggioranza è presa dall'ordinaria amministrazione. Non a caso, le proposte di legge sono tutte dell'opposizione, credo, a parte quella di Brugger che appartiene al gruppo Misto.
Questo però non significa molto, nel senso che va dato atto alla Commissione giustizia di aver fatto un ottimo lavoro, di aver poi portato in Aula questo provvedimento e averci consentito di esprimerci. Un Paese come il nostro deve farlo. Nel mio caso ho pochi minuti a disposizione e farò alcune chiose, anche perché il dibattito che si è sviluppato ha visto i colleghi sviscerare il tema veramente in maniera compiuta.
Quindi, il lavoro della Commissione è positivo perché ha dimostrato sostanzialmente che su alcuni temi bisogna ricercare strade unitarie. Credo che anche le altre Commissioni interessate (Commissione affari sociali e Commissione lavoro) si siano tutte adeguate nel merito delle proprie competenze con grande serietà e grande rigore.
Provo a riassumere ciò che mi pare utile evidenziare nel dibattito affinché anche i colleghi domani ne possano trarre giovamento per arrivare ad un voto il più possibile unitario, ampio e convinto. Intanto, è necessario dire che sono anni che il Paese dibatte il tema delle madri detenute e dei figli minori. Ho avuto la possibilità negli anni passati di concorrere a questa riflessione e quindi posso testimoniare che, pur avendola fatta con convinzione, non siamo arrivati a delle soluzioni definitive, anche se sollecitati dai mondi associativi e da tanti ambienti, anche istituzionali, che su questo argomento in questi anni hanno speso molto.
Penso che la soluzione possa venire almeno in parte dal provvedimento che stiamo esaminando. E che ha avuto un iter, neanche a dirlo, lungo e complesso nonostante all'inizio sembrasse che il provvedimento potesse rapidamente arrivare in Aula e andare a conclusione. Sembrava quasi che il dibattito fosse un fatto scontato, invece sono venute fuori alcune perplessità, nella maggioranza in modo particolare, che vanno considerate con rispetto. Mi riferisco ai rischi delle donne che sono ormai parte integrante di sistemi malavitosi e mafiosi, come anche a tutto quello che ancora in Italia sta scaturendo intorno al tema delle tossicodipendenze. Quindi, ho trovato pertinenti alcune considerazioni. Penso che le disposizioni che il provvedimento in esame introduce siano finalizzate essenzialmente alla tutela del rapporto tra le detenute madri e i figli minori.
Quindi, mi preme evidenziare che proprio il cuore di questo provvedimento - come è stato già sottolineato nel dibattito - è l'attenzione che il Parlamento deve avere nei confronti dei bambini, figli di detenute. Si tratta di minori che non dovrebbero vivere in carcere. Per molti, anche nell'opinione pubblica, è quasi una rivelazione, una sorpresa. Il numero è un problema irrilevante, ma anche fosse uno solo, un Paese come l'Italia non può permetterselo; se sono poi cinquanta o di più non importa, conta la mole di problemi e di disagi, mole che si è moltiplicata negli anni e che ha causato migliaia e migliaia di casi che sono attenzionati dai servizi sociali. Pag. 51
I bambini non dovrebbero vivere in carcere e subire gli effetti negativi che ciò produce inevitabilmente sul loro sviluppo psicofisico. Questo è un fatto che dovremmo dare per scontato. Nell'andare a riguardare i documenti, a ricercare spunti da portare al dibattito, ho ripreso l'articolo 31 della Costituzione che sancisce che la Repubblica protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù; la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata nel 1989 dalle Nazioni Unite; i due protocolli opzionali che abbiamo ratificato con legge nel nostro Paese; l'articolo 3 della stessa Convenzione, che stabilisce il principio del superiore interesse del bambino che deve essere il punto di partenza e di arrivo di ogni iniziativa legislativa e intervento pubblico rivolto ai minori. Abbiamo in mente la Carta europea dei diritti del fanciullo e la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori, che l'Italia ha ratificato nel 2003.
I colleghi dovrebbero solo scorrere questi documenti per convincersi che siamo in una direzione obbligata e che non vi è possibilità di fare diversamente. Certo, si tratta di un elenco sommario, però significativo, che ho voluto riportare perché il dettato costituzionale, la Convenzione, le indicazioni dell'Europa non sono bastati ad impedire al nostro Paese che ci siano oggi, mentre parliamo, cinquanta bambini che vivono la loro quotidianità dietro le sbarre. Bambini che in prigione nascono e vivono fino al terzo anno di età quando vengono allontanati dalle madri per essere affidati ad altre famiglie o ad una comunità, fino a quando la madre non avrà scontato la sua pena. Migliaia di vite segnate per sempre. Bambini che hanno la sola colpa di essere nati quando le loro madri hanno commesso un reato, piccoli cui viene negato il diritto all'opportunità ad una crescita sana ed equilibrata.
È stata ricordata la legge n. 40 del 2001 che ha avuto certamente il merito di porre attenzione ad una realtà inaccettabile e di fare passi avanti verso le soluzioni del problema, individuando ipotesi alternative alla detenzione per le madri recluse.
Tuttavia, non ha prodotto pienamente i risultati sperati perché inapplicabile per le detenute recidive e - è stato già detto - per quelle in custodia cautelare o che debbano scontare pene lunghe. Spesso - bisogna anche dirlo - è inefficace per quelle madri il più delle volte straniere che nel nostro Paese sono una realtà che non hanno una abitazione dove scontare gli arresti domiciliari. Ecco, dunque, il senso di questo provvedimento che i colleghi dovranno cogliere nelle prossime ore: cercare di migliorare le condizioni dei bambini che vivono - loro malgrado - in carcere. Fuori da ogni retorica e luogo comune dovremmo soffermarci su come vivono questi bambini.
Il Governo ci informa che i nidi loro destinati ed effettivamente funzionanti sono 13 su 35 segnalati. Nonostante i lavori di rifacimento, queste aree mantengo inevitabilmente le caratteristiche strutturali del carcere: poche finestre e poca luce, come raccontano gli operatori anche quelli auditi. L'aria è malsana e i rumori che scandiscono il passare del tempo sono quelli dei campanelli della apertura e della chiusura delle porte blindate di accesso alle celle e agli spazi comuni e dal vociare dei detenuti adulti. Il mondo di questi bambini è fatto di spazi angusti: sbarre alle finestre, pareti grigie. Insomma, si tratta di un luogo incompatibile con le loro esigenze di socializzazione e di sviluppo psicofisico.
Il professor Bollea, che ci ha lasciato in queste ore, ha scritto delle pagine straordinarie a tutela dell'infanzia in questa direzione. In carcere i piccoli soffrono di disturbi legati al sovraffollamento, alla mancanza di spazio, che incidono sulla loro crescita complessiva. Lo sviluppo della loro sfera emotiva e di quella cognitiva è inevitabilmente condizionato. Spesso soffrono di inappetenza, di apatia e di difficoltà del sonno. Hanno difficoltà di parola, di comunicazione e di relazione. Sono migliaia negli anni i bambini che sono usciti con questi handicap dalla loro condizione di minori reclusi.
Il provvedimento, quindi, introduce nuove norme in tema di custodia cautelare Pag. 52in carcere per la donna incinta o madre di prole con età non superiore ai sei anni. In queste ipotesi, infatti, non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare della madre in carcere salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Tralascio di soffermarmi sui singoli articoli perché lo hanno fatto tutti i colleghi, però mi piace sottolineare due aspetti, in primo luogo l'istituto a custodia attenuata per detenute madri. Ci sono sperimentazioni ormai affermate nel nostro Paese che meritano attenzione anche sotto il profilo amministrativo ed economico. Mi meraviglia che si faccia tanta fatica a tirare giù i conti e ad esprimere dei pareri, tanto che stiamo discutendo ancora senza sapere se alla V Commissione (Bilancio) verrà data la relazione e, quindi, se il provvedimento potrà camminare spedito.
Ci sono esempi virtuosi che dicono come le istituzioni e il mondo del volontariato sono in condizione di risolvere i problemi anche in maniera compiuta. Lo stesso vale anche per l'istituzione delle case famiglia protette.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DONATO RENATO MOSELLA. Vado alla conclusione. Signor Presidente, mi viene da dire che all'Italia non manca nulla per poter affrontare e risolvere questi problemi, anche in termini sperimentali.
Ho visto oggi su Il Sole 24 Ore che l'IPR-Marketing compie un'indagine sul mondo del volontariato e delle offerte destinate al volontariato, che vanno calando di anno in anno. Il collegamento di tale dato col provvedimento al nostro esame è che in questa realtà di frontiera è soprattutto il mondo del volontariato ad alleviare i costi e a fornire un contributo di competenza straordinaria sotto il profilo della ricerca, dello studio e della documentazione.
Quindi, vogliamo essere fiduciosi che nelle prossime ore arrivi la relazione tecnica e che la V Commissione (Bilancio) la possa ritenere soddisfacente, evitando l'affossamento del provvedimento. Sarebbe per tutti - per la Commissione in modo particolare e per quanti hanno in questi mesi lavorato in maniera positiva - una vera beffa e per il Parlamento sarebbe un'occasione persa (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Alleanza per l'Italia, Partito Democratico e Unione di Centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Touadi. Ne ha facoltà.
JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con la discussione di oggi abbiamo la possibilità di rendere il nostro Paese più adeguato rispetto alle più avanzate civiltà giuridiche d'Europa. Ci troviamo a discutere una questione di non poca importanza come quella della tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori.
In questa discussione abbiamo l'obbligo morale, sì, dico morale, non solo in qualità di rappresentanti del Paese, ma anche come padri e madri e cittadini sensibili, di individuare tutte le misure necessarie alternative alla presenza istituzionale di bambini all'interno delle carceri insieme alle proprie madri.
Tutte le implicazioni giuridiche sono state profondamente sviscerate, soprattutto dalla relatrice, di cui apprezzo la qualità professionale e anche il metodo di lavoro inclusivo in questo e in altri provvedimenti. Proprio perché questo provvedimento non possa apparire come una, tra l'altro, giusta preoccupazione di tipo vagamente umanitaria, vorrei soffermarmi fin da questo momento sulla valenza costituzionale della protezione che intendiamo assicurare ai bambini figli di madri detenute.
Mi riferisco prevalentemente agli articoli 27, 31 e 3 della Costituzione: l'articolo 27, laddove ricorda che la responsabilità della pena è personale e soggettiva, e quindi appare incongruo costituzionalmente che questa responsabilità possa essere estesa al bambino innocente, cioè a colui che non ha commesso alcun illecito di tipo penale; l'articolo 31, laddove dice Pag. 53esplicitamente - è già stato citato - di proteggere la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo; infine, l'articolo 3, laddove dice che compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono - è questo che ci interessa - il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori, in questo caso si potrebbe dire di tutti i fanciulli, all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
È stato ricordato, quindi, che il nostro ordinamento, fin dal 1975, ha previsto una disciplina di favore per le madri con minori condannate e già in espiazione di pena detentiva. La materia, come molti di voi ricorderanno, fu successivamente rivisitata, per volere dell'allora Ministro per le pari opportunità, Anna Finocchiaro, dalla legge 8 marzo 2001, n. 40, con parere, tra l'altro, favorevole di gran parte delle formazioni politiche di allora.
Quella modifica, anche in attuazione del già citato articolo 31 della Costituzione, cerca di ovviare il più possibile alla presenza di minori all'interno delle carceri, e quindi di garantire al bambino di poter vivere i primi anni dell'infanzia, che sono di una grande delicatezza per l'equilibrio psicofisico del bambino, in un ambiente più adatto alla propria crescita equilibrata.
Le misure individuate erano principalmente tese a ridurre le possibilità di ricorrere alla custodia cautelare. In particolare, venne modificata la disciplina relativa al rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena e vennero introdotti i nuovi istituti della detenzione domiciliare speciale in aggiunta a quella ordinaria e l'assistenza all'esterno dei figli minori.
Vennero, però, anche precisati, in maniera più rigorosa e dettagliata, i limiti di applicazione che, in particolare, erano strettamente legati all'assenza del pericolo di commissione di nuovi reati da parte della detenuta (è stato ricordato), requisito spesso quasi sempre insussistente, trattandosi di condanna a carico di donne recidive.
A quasi dieci anni dall'approvazione della legge 8 marzo 2001, n. 40, la situazione non sembra migliorata in maniera determinante. I dati del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia rendono noti che, all'indomani dell'entrata in vigore della legge, erano 63 i minori detenuti con le proprie madri; oggi sono ancora 56. Quindi, si tratta di un numero pressoché invariato o variato di poco.
Questo semplice dato ci segnala inequivocabilmente l'effetto che la norma ha avuto e, se a questo dato aggiungiamo che su 25 nidi interni alle carceri solamente tredici sono funzionanti, la questione diventa ancora più allarmante.
Bisogna quindi ribadire in maniera forte e decisa che il carcere, anche nelle situazioni migliori e gestite al meglio, è comunque da considerare, travalicando qualsivoglia ragionamento giuridico o posizione ideologica, un luogo incompatibile con le esigenze di socializzazione e di sviluppo psicofisico del bambino.
Alla luce di questo quadro drammatico non si può non considerare anche lo stato di fortissima difficoltà in cui versano le carceri italiane, per le quali era stato annunciato dal Governo un ambizioso piano straordinario mai presentato al Parlamento. Siamo quindi di fronte ad una situazione insostenibile che necessita di un nostro intervento immediato non più rinviabile.
Per quanto riguarda la nostra proposta avremmo desiderato, e desideriamo ancora, in prima istanza, vista la delicatezza del tema e la sua cogenza costituzionale testè ricordata, che questa fosse il frutto della più ampia condivisione dei gruppi presenti in Commissione perché le misure volte ad ottenere questo risultato sono diverse, la più significativa delle quali è, a nostro avviso, la creazione non più facoltativa da parte dell'amministrazione di istituti a custodia attenuata per detenute madri alle quali possano accedere tutte le donne in gravidanza o con bambini con Pag. 54un'età non superiore ai sei anni salvo, evidentemente, che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Questo tipo di soluzione, come è stato ricordato dal collega Tidei, è già stata sperimentata a Milano con apprezzabili risultati; il progetto Icam, infatti, ha dimostrato in questi anni di sperimentazione di poter far fronte a diverse esigenze precedentemente non garantite dalla soluzione carceraria tout court. La crescita del bambino in un luogo adeguato, la presenza costante dei servizi sociali e sanitari e il reinserimento sociale della madre sono tutti elementi importantissimi e necessari per la buona crescita del minore, da considerarsi essenziali per l'effettivo recupero della madre e, più in generale, del sano ambiente familiare.
La proposta di legge in oggetto intende anche rafforzare l'importante istituto della detenzione domiciliare salve restando, ovviamente, le prerogative applicative dei magistrati previste dalla legge. La proposta di legge in esame, inoltre, prevede anche la possibilità di usufruire di permessi speciali che garantirebbero alla madre la possibilità di poter visitare il proprio figlio in caso di imminente pericolo di vita e di poterlo assistere durante le visite specialistiche relative a gravi condizioni di salute.
Signor Presidente, cari colleghi, sono dell'opinione che l'approvazione della proposta di legge in esame possa diventare un tassello in più posto nella direzione di rendere il nostro Paese sempre più in linea con gli impegni assunti in sede internazionale, segnatamente con la Convenzione ONU per il diritto del fanciullo testè ricordata anche dagli onorevoli Tidei e Mosella, intervenuto prima di me.
Vorrei ricordare alcuni articoli della Convenzione citata, ratificata dal nostro Paese. In particolare, alcuni articoli molto accurati parlano della condizione del bambino. Cito per tutti l'articolo 2, comma 2, l'articolo 9, comma 1, l'articolo 3, comma 1.
L'articolo 2 comma 2, recita: «Gli Stati adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.»
Secondo l'articolo 9, comma 1, «gli Stati vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo.»
Mi ha molto colpito, nel corso della declinazione degli articoli della Convenzione, questa focalizzazione sull'interesse preminente del fanciullo che dovrebbe andare oltre qualunque altra considerazione.
Infine, l'articolo 3 comma 1, della Convenzione del diritto del fanciullo recita: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi» - quali noi siamo - «l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».
Esaminando, quindi, questa legge e accingendoci a votarla il più presto possibile - ferma restando l'attesa relazione tecnica del Governo, che permetterà alla Commissione bilancio di pronunciarsi - non si tratta di sentimenti di buonismo né tanto meno di affievolire la doverosa certezza della pena che il nostro Paese deve assicurare. Non è di questo che stiamo parlando: siamo qui in presenza di quello che la Convenzione dell'ONU chiama l'interesse preminente del fanciullo.
Si tratta di un interesse preminente del minore, che una civiltà giuridica avanzata come la nostra non può tradire. Se dovessimo tradire questo interesse, noi tradiremmo, oltre che la salvaguardia della vita, in un Paese dove si fa un gran parlare della vita e della famiglia, anche il bene più preminente per una popolazione, ovvero il bambino, il bene più vulnerabile. Se tornassimo a una civiltà giuridica che pone Pag. 55al centro l'interesse del fanciullo, noi saremmo una società giuridica avanzata, un tratto qualificante delle democrazie alle quali siamo orgogliosi di appartenere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, noi dell'Italia dei Valori siamo molto felici che finalmente un provvedimento a così alto tasso di civiltà arrivi all'attenzione di quest'Aula. Si tratta di un provvedimento atteso da tempo. Vi erano stati altri tentativi di modificare in meglio le norme del 1975, con cui si è riconosciuto che le madri detenute con bambini dovessero disporre di un trattamento di particolare favore, ma altre volte le esigenze di carattere economico, finanziario e di bilancio avevano impedito alla Camera di occuparsi del problema.
Speriamo che questo non accada anche in questo caso: di fronte ad un interesse costituzionalmente protetto, come quello della tutela della maternità e dell'infanzia, previsto dall'articolo 31 della nostra Costituzione. Può esserci una comparazione con altri interessi costituzionalmente protetti, quali quelli relativi al problema della sicurezza - e vedremo come anche con il nostro contributo il problema è stato, a nostro giudizio, felicemente risolto - ma non si potrà mai cedere di fronte ad esigenze di carattere economico e finanziario.
La legge di bilancio è la legge suprema dello Stato, nel senso che pone delle comparazioni tra le priorità, ed è la suprema legge caratterizzante di un Governo, nel senso che fa capire ai cittadini quali sono le priorità da privilegiare con le risorse di bilancio concesse, ma è certo che un interesse di così alto livello di solidarietà sociale e di sensibilità civile - che tra l'altro può essere soddisfatto con risorse non eccezionali - non possa retrocedere di fronte ad esigenze contabili, considerato che altri interessi, spesso corporativi, finanziari ed economici, sono stati soddisfatti anche con le scarse risorse per le esigenze di bilancio. Speriamo che questa volta non avvenga così, speriamo che vi sia un avanzamento della nostra civiltà giuridica e sociale con questo provvedimento.
Non vi è dubbio che i bambini rappresentano il nostro futuro. Sono particolarmente sensibile, (lo sono anche tutti i colleghi, ma io lo sono in modo particolare) perché ho dedicato gran parte della mia esperienza professionale alla giustizia minorile che è vista non in funzione sanzionatoria ma in funzione di sostegno alla famiglia, alle mamme, ai bambini affinché all'interno del rapporto tra madre e figlio, tra padre e figlio, tra famiglia e figlio, possano essere soddisfatte le esigenze di crescita psico-affettiva del bambino, eventualmente tutelando il bambino quando vi sia un contrasto tra i diversi interessi (tra le diverse posizioni). Comunque un fatto è certo, che bisogna tendenzialmente far sì che il rapporto educativo, il rapporto psicologico affettivo tra madre e figlio (che è uno dei rapporti più forti che esistano in natura) possa continuare a svolgersi, anche nel caso di detenzione della madre, in situazioni che siano accettabili, in situazioni nelle quali il bambino possa non percepire che esiste una situazione di detenzione (gli si potrà far capire nei modi più adatti e più idonei che vi sono delle esigenze per le quali la mamma debba stare in una certa struttura, ma il più possibile gli si deve far percepire che, anche se la mamma deve stare lì, tuttavia sta col suo bambino in una condizione comunque di sostegno della comunità, della collettività, sostegno che è anche psicologico, effettivo e sociale). Quindi è un provvedimento lungamente atteso. Noi auspichiamo che questa possa essere la volta buona. Certo, di fronte all'esigenza che la maturazione, la crescita del bambino con la mamma abbia una risultato positivo, uno sviluppo costante e possibilmente senza separazione, ve ne erano altre, ugualmente costituzionalmente rilevanti, che potevano in qualche modo contrastare con questa esigenza. Sappiamo che il rapporto tra madre e Pag. 56bambino è un rapporto fondamentale, proprio nel suo aspetto epidermico, anche nel bisogno di contatto fisico tra mamma e bambino, e sappiamo quanto gravi siano la sindrome e le conseguenze dell'abbandono, soprattutto nei primi tre anni di vita, quando il bambino ha il bisogno assoluto di stare con la propria mamma. Se questo non accade, ci sono dei problemi seri, nel senso che il bambino non acquista il senso di sicurezza e poi per tutta la vita avrà un imprinting negativo. C'erano altre esigenze di carattere pure costituzionalmente protetto, che sono le esigenze della sicurezza. Come si è risolto l'apparente conflitto tra queste due esigenze? Mi pare che questo provvedimento lo abbia risolto nella maniera più corretta possibile. Prima di tutto non c'è un automatismo, nel senso che è la magistratura di sorveglianza, o la magistratura che dispone la misura cautelare, che disporrà che la mamma possa eseguire la custodia cautelare, non in un luogo di detenzione, non in un carcere, ma in un'altra struttura. Così pure nel caso di espiazione della pena sarà la magistratura di sorveglianza a decidere come eseguire l'espiazione della pena. Ma comunque viene dato un criterio direttivo molto importante, fermo restando il non automatismo. Il criterio direttivo, l'orientamento è il seguente: si dovrà privilegiare non la permanenza in carcere, anche nel caso di custodia cautelare, quindi la permanenza in un altro luogo (che può essere la detenzione di domicilio, la detenzione domiciliare, o l'istituto della custodia attenuata), o (nel caso di espiazione della pena) in detenzione domiciliare, o in istituto di custodia attenuata per le madri, ovvero - in casi particolari - anche in una casa di custodia protetta.
Ma il principio fondamentale dal quale si deve partire è questo: le mamme che devono stare in stato di detenzione e che hanno un bambino sotto i 6 anni tendenzialmente non devono stare in carcere. Se ci fossero delle situazioni di straordinaria ed eccezionale gravità, potrà essere la magistratura che ordina la misura a disporre diversamente, ma, comunque, fermo restando che quello è sempre l'orientamento fondamentale.
Mi pare che la presente proposta di legge realizzi tale equilibrio tra interessi entrambi costituzionalmente protetti, nel senso che la sicurezza è garantita da una valutazione non automatica della magistratura che procede e nel senso che soltanto eccezionali e straordinarie esigenze di sicurezza possono determinare uno spostamento rispetto al tendenziale collocamento della mamma con il bambino in strutture ad impostazione diversa da quella carceraria.
Mi pare, dunque, che si sia riusciti nell'intento, attraverso questo testo unificato al quale tutti i gruppi politici hanno potuto concorrere e che si deve in gran parte alla tenacia e alla sensibilità della relatrice Samperi che, anche noi, ringraziamo per la pazienza che ha avuto e per la costanza e la tenacia che ha messo nel portare a compimento tale provvedimento.
Speriamo che sia la volta buona e speriamo che, ancora una volta, un obiettivo di straordinario significato civile possa non essere frenato da esigenze che, di fronte a quelle di così alto significato di cui stiamo discutendo e, cioè, sostanzialmente, il corretto processo di formazione educativa di un bambino che, poi, diventerà un cittadino di questo Stato e della nostra comunità, nulla hanno a che vedere con il soddisfacimento di diritti ed interessi primari. Alludo alle questioni di carattere economico: spero che possano non esserci dei blocchi. Se così fosse mi dispiacerebbe, ma noi dell'Italia dei Valori dovremmo denunciare una scarsa sensibilità del Governo che, di fronte ad un obiettivo conseguibile con risorse di non rilevante entità, si fermerebbe a causa di un blocco di carattere puramente contabile e ragionieristico.
Crediamo che la norma per la quale bisogna operare all'interno del bilancio del Ministero della giustizia non debba essere applicata alla lettera, perché il bilancio del Ministero della giustizia è già una coperta estremamente corta che non riesce a coprire tutte le esigenze. Pensiamo che si Pag. 57possa fare uno sforzo per far sì che ci possa essere uno spostamento di risorse da altre materie meno importanti rispetto a questa, che è di grandissimo valore simbolico. In tal senso, auspichiamo che il Governo possa fare qualunque sforzo per conseguire questo obiettivo e per rimuovere ogni ostacolo alla piena espressione della personalità, come afferma l'articolo 3 della nostra Costituzione.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 52-1814-2011-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Samperi.
MARILENA SAMPERI, Relatore. Signor Presidente, intervengo solo per sollecitare il Governo a presentare la relazione tecnica per non mortificare il lavoro di tutti i parlamentari che, in Commissione giustizia, si sono confrontati lealmente, sono pervenuti ad una posizione comune e che, finalmente, possono dare a questo Paese una legge più giusta in linea con la legislazione europea.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, ho già preso impegno perché vi è stato solo un disguido. Per quanto concerne questo provvedimento, vorrei ricordare, come ha già ricordato la stessa relatrice, l'impegno del Ministro su tale vicenda, tanto più che si tratta di una relazione tecnica che non comporta grandi spese di bilancio, proprio per come è formulata la norma. Non c'entra, quindi, una volontà del Governo, ma vi è stato solo un problema tecnico che, dunque, cercherò di risolvere in serata.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di legge Lussana: Modifica all'articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo (A.C. 668); e dell'abbinata proposta di legge D'Antona ed altri (A.C. 657) (ore 19).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa della deputata Lussana: Modifica all'articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo (A.C. 668); e dell'abbinata proposta di legge n. 657.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali - A.C. 668)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la Commissione Giustizia si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Lussana, ha facoltà di svolgere la relazione.
CAROLINA LUSSANA, Relatore. Signor Presidente, la proposta di legge in esame è volta ad escludere l'applicabilità del rito abbreviato per i reati puniti dalla legge con la pena dell'ergastolo. La ratio è evidente: si ritiene che per i reati che l'ordinamento considera più gravi, visto che li punisce con la pena più grave, che è appunto quella dell'ergastolo, non sia Pag. 58giustificabile una diminuzione di pena come mera conseguenza del rito al quale si accede.
Ricordo che il rito abbreviato è un procedimento di tipo volontario, che presuppone la richiesta del giudicabile, avente natura premiale. Nel caso che l'imputato sia condannato si opera una riduzione della pena nella misura fissa di un terzo, mentre l'ergastolo viene sostituito con la reclusione di anni trenta. Qualora poi si tratti dell'ergastolo con isolamento diurno viene applicata la pena dell'ergastolo senza isolamento.
Alla base del rito abbreviato vi è un'esigenza processuale deflattiva dello Stato, considerato che si tratta di un giudizio predibattimentale, esteso al merito, che si svolge in udienza camerale innanzi al giudice per le indagini preliminari e si caratterizza per la decisione allo stato degli atti delle indagini preliminari, che hanno qui piena valenza probatoria.
L'esigenza deflattiva, secondo la proposta in esame, non può giustificare l'applicazione di pene ridotte relativamente ai reati più gravi. Oltretutto l'esperienza processuale di questi anni dimostra come tale giudizio non abbia poi sortito l'effetto di deflazione che ne aveva favorito l'introduzione nell'ordinamento. Oggi si ricorre ad esso quando non vi è alcuno spazio difensivo, ovvero quando si ritiene che il materiale investigativo raccolto dal pubblico ministero possa offrire spazi difensivi maggiori di quelli dibattimentali.
Inoltre l'effetto deflattivo spesso non si verifica nei fatti (come dimostrano casi assai noti quali i casi Cogne, Iole Tassitani, Joseph De Stradis): il gup, nella quasi totalità dei casi, procede d'ufficio ad un'integrazione probatoria che impedisce qualsiasi deflazione nella pratica. L'unico che ne trae vantaggio è l'imputato. Escludere il rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell'ergastolo è quindi una scelta che non presenta, come è emerso anche nel dibattito in Commissione, rischi di costituzionalità: è una scelta di politica legislativa che si può condividere o meno.
Occorre sottolineare che, se per taluni reati particolarmente gravi il legislatore ha previsto la pena di cui all'articolo 22 del codice penale nel rispetto dei principi di legalità, proporzionalità e inderogabilità, non si comprende come per quegli stessi delitti l'ordinamento possa riconoscere una riduzione di pena così evidente. Ne scaturisce inevitabilmente una grave incoerenza sia sul piano legale sia su quello del principio di giustizia e di garanzia.
La formulazione del testo in esame è la medesima del testo originario della proposta di legge n. 668, per cui si tratta di un unico articolo diretto a sopprimere il secondo e il terzo periodo dell'articolo 442 del codice di procedura penale, dove è stabilito espressamente che la pena dell'ergastolo è sostituita da quella della reclusione di anni trenta, mentre a quella dell'ergastolo con isolamento diurno è sostituita quella dell'ergastolo. Attraverso tali soppressioni si elimina quindi la possibilità di applicare il rito abbreviato ai reati puniti con la pena dell'ergastolo.
In Commissione sono emerse alcune perplessità interpretative, in realtà infondate, se si tiene in considerazione la giurisprudenza costituzionale ed in particolare la sentenza n. 176 del 1991 pronunciata sull'eccesso di delega, ex articolo 76 della Costituzione, che dichiarava l'illegittimità dell'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui prevedeva il rito abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo.
In questa sentenza si chiarisce espressamente come caratteristica del giudizio abbreviato sia la riduzione della pena quale effetto premiale della scelta di tale rito. Questa sentenza infatti incidenter tantum ha anche affermato che la caratteristica del giudizio abbreviato risiede proprio nell'incentivo offerto all'imputato di una riduzione di pena, in funzione di un più rapido svolgimento del processo a deflazione del dibattimento. Né in proposito è superfluo ricordare che tale inscindibilità fu ben presente nel dibattito che precedette l'emanazione del nuovo codice di procedura penale e che mise appunto in evidenza che l'assenza dell'incentivo, cioè dell'effetto deflattivo, renderebbe l'istituto pressoché inutile. Pag. 59
Ciò significa, sopprimendo le disposizioni che stabiliscono come la pena dell'ergastolo venga ridotta nel caso di rito abbreviato giuridicamente, escludere l'applicabilità del rito abbreviato ai reati puniti con la pena dell'ergastolo. Al più potrebbe essere utile ai fini di eliminare eventuali dubbi interpretativi, come suggerito anche nel parere espresso dalla I Commissione, inserire il comma 1-bis all'articolo 400 del codice di procedura penale con la seguente formulazione: «Il giudizio abbreviato non si applica per i reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo».
Un altro profilo che è emerso nel dibattito in Commissione riguarderebbe i rischi di un eccesso di formulazione da parte del pubblico ministero. Mi spiego meglio: ci potrebbero essere degli effetti derivanti da un'imputazione malformulata dal pubblico ministero che impedirebbero erroneamente l'accesso al rito abbreviato, come risulterebbe nel caso in cui l'imputato venisse condannato per un reato per il quale invece si sarebbe potuto accedere a tale rito. L'esempio classico che è stato affrontato è quello in cui magari si contesti l'aggravante per l'omicidio volontario e questa contestazione impedirebbe all'imputato di accedere al rito.
Su questo specifico profilo abbiamo svolto diversi approfondimenti. Nei casi di una possibile malformulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero, vi è sempre la possibilità per l'imputato di depositare memorie ex articolo 121 del codice di procedura penale. Questo è già un rimedio che il magistrato inquirente deve tenere in debita considerazione, perché l'imputato può insistere affinché il giudice, sia esso gip o gup, si pronunci in merito alle tesi presentate in dette memorie. Inoltre, vi è un rimedio ancora più incisivo, previsto dall'articolo 438, comma 5: l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato subordinandolo all'integrazione probatoria, che può essere diretta ad accertare l'insussistenza della circostanza aggravante che renderebbe il reato punibile con la pena dell'ergastolo e, quindi, non consentirebbe di accedere al rito abbreviato. Se il gup o il gip in caso di rito immediato dovesse respingere la richiesta, questa può essere rinnovata ai sensi del comma 6 dell'articolo 438 del codice di procedura penale, come in parte dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, prima della dichiarazione di apertura del dibattito di primo grado (nel nostro caso davanti alla corte d'assise) ed il giudice può disporre il giudizio abbreviato.
È chiaro che questo è un combinato disposto che si ricava già dalla giurisprudenza costituzionale e dalla sopracitata sentenza della Corte. Tuttavia, al fine di rendere più esplicito questo percorso potrebbe essere utile prevedere un emendamento che renda certa l'applicazione dell'articolo 438, comma 5, del codice di procedura penale, nonché un emendamento che recepisca legislativamente il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003 e, quindi, procedere alla modifica dei commi 5 e 6 dell'articolo 438 del codice di procedura penale.
Questi commi potrebbero essere riformulati prevedendo al comma 5 che l'imputato, ferma restando l'utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell'articolo 442, comma 1-bis, possa subordinare la richiesta di un'integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione anche in merito alla formulazione dell'imputazione, in relazione alle circostanze aggravanti di cui all'articolo 417, comma 1, lettera b), che determinano l'applicazione della pena dell'ergastolo.
Il giudice potrà disporre il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria richiesta risulti necessaria al fine della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili.
In tal caso, il pubblico ministero potrà chiedere l'ammissione di prova contraria. Resta salva l'applicabilità dell'articolo 423.
Il comma 6 dovrebbe prevedere che, in caso di rigetto, la richiesta possa essere riproposta fino al termine previsto dal comma 2. In ogni caso, l'imputato deve Pag. 60poter rinnovare, in caso di rigetto, la richiesta di giudizio abbreviato, condizionato ad un'integrazione probatoria, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Signor Presidente, concludo, auspicando che la formulazione di questo emendamento, prima di iniziare il nostro dibattito in Aula, possa far superare ai gruppi le perplessità, i dubbi o ancora le preoccupazioni che avevano manifestato e che si possa, quindi, arrivare ad una condivisione unanime sulla proposta di legge in oggetto.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, come ha già illustrato la relatrice, la proposta di legge in oggetto mira ad escludere la possibilità di applicare il giudizio abbreviato ogni qual volta si tratti di un reato punito con la pena dell'ergastolo. Credo che su questo non vi siano distinzione né discussione o, almeno, non sono emerse all'interno della Commissione.
La relatrice ha sottolineato che la I Commissione (Affari costituzionali) ha posto in evidenza l'opportunità di intervenire sull'articolo 438 del codice di procedura penale, che era già stata formulata dall'onorevole Contento, e che, quindi, serve una disponibilità a riprendere la questione in Commissione e nel Comitato dei nove.
Credo che questa scelta di politica legislativa e di politica criminale non sia condizionata dall'ulteriore aspetto a cui ha fatto riferimento la relatrice: certamente è presente, ma tiene conto non di una necessaria ed esclusiva iniziativa del pubblico ministero non coerente con il risultato delle indagini. Può essere benissimo che vi siano quella coerenza e quella contestazione, ma si tratta di recuperare - secondo quello che, ormai, è un filone di interpretazione della Corte costituzionale - la possibilità di una riduzione della pena in base al rito abbreviato quando, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, o per fatti già acquisiti durante l'istruttoria prima dell'udienza preliminare, o per la richiesta di integrazione probatoria, l'imputato possa avere ragione, nel senso che si tratta di un reato non più punito con la pena dell'ergastolo.
Se questa è la volontà unanime di tutti, credo che sulla seconda parte, che non condiziona la prima, possa essere trovata una soluzione nell'ambito del Comitato dei nove - così come era stato abbozzato in Commissione giustizia - e pervenire, quindi, all'approvazione unanime del provvedimento in discussione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.
FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signor sottosegretario, il regime del rito abbreviato in rapporto ai reati puniti con l'ergastolo già oggi viene considerato insoddisfacente. Credo che sia unanime la difficoltà di accettare questa disciplina in maniera totale, e dirò subito perché.
Se si applica integralmente tale disciplina, si può avere la conseguenza che per un reato molto grave, un omicidio efferato o una strage, con la riduzione obbligatoria di un terzo della pena, dall'ergastolo si scende a trent'anni e, con l'applicazione delle attenuanti, si può scendere a vent'anni.
Questa conseguenza è non accettata dalla coscienza civile e sociale, perché si ritiene - credo abbastanza diffusamente - che la riduzione di pena sia assolutamente eccessiva rispetto a delitti che riscuotono un particolare allarme sociale e un particolare rigetto nella coscienza collettiva.
L'altra considerazione è più di carattere tecnico, ossia il fatto che reati che, se il giudizio abbreviato non ci fosse, sono devoluti alla competenza della corte di assise siano attribuiti alla competenza del giudice unico, monocratico.
Queste due considerazioni pongono un rilievo critico, un'esigenza di rivedere questa disciplina, di modo che ci si può trovare di fronte ad una alternativa: o si esclude alla radice la possibilità di fare ricorso al rito abbreviato per i reati punibili con la pena dell'ergastolo, e allora Pag. 61non si pongono i problemi successivi, quelli che ho testé esposto; o altrimenti si agisce sull'altro versante, cioè, per esempio, stabilire comunque un limite di pena e devolvere la competenza ad un giudice collegiale anche nell'ipotesi di rito abbreviato.
Noi abbiamo scelto la prima strada. In questo senso abbiamo anche apposto la nostra firma alla proposta di legge Lussana. Abbiamo scelto la prima strada perché riteniamo che sia più netta e che prenda una posizione molto chiara di fronte all'opinione pubblica, per cui l'effetto deflattivo, trattandosi fortunatamente di un numero non rilevante di reati da sottoporre al giudizio abbreviato, può anche retrocedere di fronte ad una esigenza di carattere sociale. Questa esigenza è quella di vedere non banalizzata la reazione sociale di fronte a fatti di estrema gravità. Per banalizzata intendo anche la possibile irrogazione di una pena eccessivamente bassa, avvertita come eccessivamente indulgenziale dalla coscienza collettiva.
E tuttavia anche con questa scelta di campo a favore della prima delle ipotesi che ho enunciato, riteniamo che qualche passo in avanti, nel senso della chiarificazione e della maggiore chiarezza, anche nella formulazione tecnica di queste ipotesi, debba essere mandata avanti. Intanto bisogna dire che forse non è sufficiente la semplice formulazione così com'è stata prospettata. Forse bisogna dire con maggiore nettezza, come dice nel suo parere la I Commissione, proprio che il rito abbreviato non si applica ai reati punibili con la pena dell'ergastolo.
E tuttavia ci rendiamo conto di un fatto: se noi dovessimo agire sulla base della semplice prospettazione del pubblico ministero, e cioè escludere il rito abbreviato soltanto perché la contestazione riguarda una ipotesi che astrattamente può comportare la pena dell'ergastolo, ciò potrebbe essere eccessivo perché quello che conta è la qualificazione giuridica finale. E allora noi riteniamo che si possa lavorare in tal senso. Noi abbiamo presentato una proposta emendativa che specifica la prima condizione, e cioè un comma 1-bis all'articolo 438 del codice di procedura penale, che dice esplicitamente che il rito abbreviato non può essere concesso.
Proponiamo un altro emendamento, secondo il quale, nell'ipotesi in cui il rito abbreviato venga escluso per i motivi di cui al comma 1-bis, di cui noi prevediamo l'inserimento, e cioè per il fatto che la contestazione riguarda un fatto punibile con la pena dell'ergastolo, qualora il giudice del dibattimento qualifichi diversamente il fatto - nel senso che esso non è più un omicidio premeditato, o con circostanze aggravanti particolari, ma, ad esempio, un omicidio preterintenzionale, che avrebbe potuto determinare l'ammissibilità del giudizio abbreviato - il giudice del dibattimento possa applicare il beneficio della riduzione di un terzo, come se fosse stato contestato il reato meno grave da subito e, quindi, fosse stato ammesso il rito abbreviato.
Data per assunta la scelta della reazione sociale, se vera e adeguata, di fronte a fatti che sconvolgono l'opinione pubblica, tuttavia riteniamo che occorra cercare all'inizio, a priori, di eliminare le possibili conseguenze negative di una contestazione, che, magari, è sovracontestata e che, al dibattimento, possa essere, invece, qualificata giuridicamente in maniera meno grave.
Ecco perché abbiamo proposto questi emendamenti. Abbiamo fiducia che con il lavoro del Comitato dei nove questo obiettivo possa essere raggiunto collegialmente. In questa situazione riteniamo, quindi, di poter esprimere anche, al termine dell'iter procedimentale, un nostro voto favorevole a questa proposta, così precisata.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.
DORIS LO MORO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi tutti, collega relatrice, non credo sia un fatto strano o eccezionale che, in un'Aula come questa, si possa discutere di rito abbreviato e che, in particolare, si possano mettere in discussione i presupposti del Pag. 62rito abbreviato, così come è attualmente codificato. Tuttavia, questo discorso va affrontato con profondità di pensiero, approfondendo tutti gli aspetti della materia.
Dico questo in premessa perché - ricordo - di rito abbreviato si parla in quest'Aula dopo anni e perché l'ultima legislazione coerente e organica sul rito abbreviato, e non solo, ovviamente, risale al 1999, alla legge Carotti. Dopo di essa, vi sono stati piccoli provvedimenti che, tra l'altro, riguardano anche i delitti puniti con l'ergastolo. Tuttavia, la legislazione attuale - quella con cui ci stiamo confrontando qui, questa sera - sostanzialmente è la legislazione risalente al 1989, così come modificata dalla legge Carotti.
Pertanto, il fatto che, a distanza di oltre dieci anni, si possa parlare di rito abbreviato sulla base di un bilancio anche dei risultati deflattivi che lo stesso rito abbreviato possa avere conseguito, a mio avviso è una cosa buona e, anzi, si tratta un argomento da approfondire perché ha un notevole interesse.
Altra cosa è discutere in maniera quasi ideologica di questo argomento. Io ne voglio discutere in maniera pragmatica, anche perché - come tutti sanno - agli atti vi è una proposta di legge, di cui è prima firmataria l'onorevole Lussana, proveniente dalle forze di maggioranza, dalla Lega, ma vi è anche un'altra proposta di legge, a firma D'Antona ed altri, proveniente proprio dalle file del gruppo del Partito Democratico. Pertanto, mai potremo impostare il discorso in maniera ideologica, senza trovare o senza cercare una soluzione o un approfondimento, che non è rivolto ad una controparte, ma ad un'Aula del Parlamento e al sottosegretario di Stato per la giustizia.
Occorre, dunque, entrare nel merito dei problemi. Come dicevo, la nascita di questo rito speciale - il rito abbreviato - ha un obiettivo: certamente vi è un effetto premiale, ma lo Stato riconosce tale effetto premiale perché intende ridurre il carico giudiziario e perché, ove ve ne siano i presupposti, ossia ove il giudice riconosca che vi siano i presupposti per decidere allo stato degli atti e vi sia una richiesta dell'imputato, si può procedere ed arrivare ad una sentenza, senza un dibattimento.
Questo è l'obiettivo. Se avessimo avuto l'occasione di fare un'audizione in Commissione giustizia - cosa che auspico tuttora, cara collega Ferranti - avremmo potuto sentire dalla magistratura, dall'avvocatura e dalle persone che giornalmente hanno a che fare con questo problema, di quanto il giudizio abbreviato non abbia avuto carattere deflattivo in altri settori della vita criminale. Mi riferisco, in particolare, alla criminalità organizzata. Basta pensare che in un maxiprocesso che coinvolge cento persone è sufficiente che una persona non richieda il rito abbreviato perché si debba svolgere un vero e proprio processo, anche per una sola persona. Siamo quindi in presenza di situazioni che andrebbero meglio analizzate, anche perché su questo fronte ci sono sempre state, storicamente, già da anni, allarmi e richieste da parte di giudici che sono affaticati e che cercano soluzioni per questo tipo di processi.
Oggi, secondo me, in maniera molto riduttiva, parliamo invece di rito abbreviato con riferimento ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, facendo una scelta di campo e dicendo cioè, come la collega Lussana, che siccome questi reati sono puniti con la pena più grave, devo ritenere che sono quelli che hanno maggiore allarme sociale; queste sono parole mie. In realtà, maggiore allarme sociale hanno anche altri reati, come quelli commessi dalla criminalità organizzata, i quali, se non sono puniti con l'ergastolo, mettono però in discussione, molto spesso, la stessa vita democratica e la vivibilità di alcuni nostri territori.
Probabilmente, potendo discutere liberamente di questo argomento, direi che l'oggetto andrebbe guardato meglio e che intanto bisognerebbe discutere sul serio se il problema è il rito, e quindi il rito abbreviato e, una volta deciso eventualmente che il problema è il rito abbreviato, qual è la soluzione, se essa sia, per esempio, non introdurre un meccanismo per cui vi è sempre la riduzione di un terzo di pena - come scelse all'epoca della legge Pag. 63delega il legislatore -, se vi siano soluzioni diverse, soluzioni altre o se invece, premesso che quella scelta della riduzione di un terzo di pena è irrinunciabile, il problema non sia escludere per alcuni reati il rito abbreviato.
Come gruppo opportunamente abbiamo optato anche per la mia presenza oggi in Aula come componente della Commissione affari costituzionali, perché ci sentiamo in dovere - anche perché il problema l'abbiamo posto noi in Commissione affari costituzionali - di insistere sulla condizione che poi all'unanimità è stata votata dalla stessa Commissione.
Perché nasce quella condizione? Perché escludere per i reati puniti con l'ergastolo il giudizio abbreviato significa alterare quell'equilibrio, quella parità delle parti davanti ad un giudice terzo che è sancito da una norma della nostra Costituzione, l'articolo 111, che prevede che il processo si svolge in condizioni di parità e in contraddittorio davanti ad un giudice terzo.
Anche arrivando ad una soluzione di merito - perché le argomentazioni di merito le svolgerà in maniera più compiuta e pertinente l'onorevole Ferranti che, come sapete è rappresentante di gruppo del Partito democratico in Commissione giustizia -, anche mantenendo l'ossatura del provvedimento così com'è, questo provvedimento non ci convince. Signor sottosegretario, una riflessione che vorrei fare - anche per attirare la sua attenzione su questo - è la seguente: se si va a guardare il testo, agli articoli 438 e seguenti, un cittadino o un giudice, che vuol capire qual è la normativa da applicare, deve innanzitutto leggere, prima ancora dell'articolo, le note, perché la Corte costituzionale è intervenuta talmente tante volte, prima e dopo la legge Carotti, a sancire l'incostituzionalità e quindi a creare un obbligo di interpretazione di questa normativa, per cui non basta più la lettura dell'articolato perché, poi, nelle note - in tutti i codici ci sono queste note, ma basta fare una ricerca tramite il computer - si scopre e si capisce qual è il senso da dare a quelle norme, per renderle compatibili con la Costituzione.
Stiamo perdendo un'occasione perché, dovendo mettere mano al giudizio abbreviato, avremmo dovuto recepire o comunque legiferare sui punti che sono stati già oggetto di sentenze della Corte costituzionale quando, per esempio, la Corte costituzionale è intervenuta per dire che quando viene negato - solo per semplificare - il giudizio abbreviato perché evidentemente il GUP ritiene di non poter decidere allo stato degli atti, e poi alla fine del dibattimento viene fuori che questa decisione non era sorretta, l'imputato ha diritto alla riduzione di un terzo della pena, ma l'esemplificazione può continuare, non molto a lungo, ma non può continuare.
Allora, come legislatore, stiamo perdendo anche l'occasione di prendere quella che potrebbe essere una buona abitudine quando c'è una sentenza della Corte costituzionale, ossia di recepirne il senso, la direttiva e di legiferare in maniera coerente. Quindi, avremmo potuto e potremmo intervenire anche sul testo per migliorarlo, rendendolo compatibile con la Costituzione senza dovere, l'interprete o il giudice, avere sempre a che fare con le sentenze come un'appendice necessaria. Invece, qual è il rischio di oggi, signor sottosegretario? Che facciamo la stessa operazione.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Lo Moro.
DORIS LO MORO. Infatti, se non recepiamo e non capiamo fino in fondo - devo concludere questo discorso - la condizione posta dalla Commissione affari costituzionali, arriveremo allo stesso discorso. Qual è la condizione? Il nostro sistema non è compatibile con il fatto che l'imputazione possa essere fatta dal pubblico ministero e che la sola imputazione possa escludere il rito abbreviato.
Ricordo che nella precedente versione dell'articolato della norma era previsto il consenso, che oggi non è più previsto. Pag. 64Perché non è più previsto? Perché non poteva essere il pubblico ministero il soggetto che escludeva il diritto dell'imputato a chiedere il rito abbreviato e pertanto rischiamo di ritornare alla stessa soluzione.
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Lo Moro.
DORIS LO MORO. Signor Presidente, mi scusi, un minuto lo prendo dalla collega, ma devo concludere questo punto.
Dicevo che le esemplificazioni fatte dalla collega - articolo 151 del codice di procedura penale sulle memorie o all'articolo 438, quinto comma - riguardano un altro campo, mentre non hanno nessuna attinenza al tema in discussione e alla condizione posta dalla Commissione affari costituzionali. Vorrei che questo fosse chiaro.
Quindi, non solo il merito mi sembra molto immaturo, anche dal punto di vista della decisione da assumere, ma all'attualità anche gli emendamenti che sono stati presentati non consentono il rispetto di una condizione che, lo ribadisco, la Commissione affari costituzionali, dopo una lunga discussione, ha posto all'unanimità, senza barriere ideologiche e senza divisioni tra soggetti politici.
PRESIDENTE. Onorevole Lo Moro, le ho dato un minuto in più affascinato dal suo argomentare, ma a termini di Regolamento la sua domanda aveva senso qualora lei avesse avuto un tempo limitato dal suo partito, ma quando si tratta dei tempi stabiliti dal Regolamento per ogni singolo parlamentare, come in questo caso, questi scambi non sono possibili.
È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.
LORENZO RIA. Signor Presidente, dunque oggi, come è stato già ricordato, siamo chiamati a discutere se sia opportuno o meno escludere la possibilità per gli imputati di accedere al rito abbreviato qualora la pena irrogabile sia quella dell'ergastolo.
Se è vero quello che diceva la collega Lo Moro un attimo fa, e cioè che si tratta di una questione che non va affrontata in termini ideologici o comunque nella contrapposizione tra i gruppi politici, è anche vero però, come è noto, che questo è il Governo dei proclami, degli annunci mediatici ad effetto e forse potrebbe anche far buona presa sul pubblico l'iniziativa di lanciare un provvedimento che punta ad inasprire la pena prima ancora che la stessa sia inflitta.
È vero, però, che si tratta di un provvedimento che non concede le minime garanzie di uguaglianza e di giusto processo stabilite in Costituzione dall'articolo 111 e che nella pratica non produce conseguenze immediate e positive sul sistema giustizia.
Con questa limitazione, infatti, si vuole introdurre un meccanismo il quale - a mio modo di vedere - in barba alla presunzione di innocenza, al favor rei e soprattutto al principio di parità di trattamento fra imputati, fa sì che, prima ancora che il giudice determini la pena, si rimetta alla scelta imputativa del pubblico ministero se concedere o meno all'imputato la facoltà di avvalersi di un suo diritto, quello di chiedere appunto il beneficio del rito abbreviato, strumento dagli effetti deflattivi, per quanto poco utilizzato - di questo bisogna dare atto -, e di riduzione dei tempi del processo. In altre parole, l'intervento normativo all'esame, se approvato, avrà la conseguenza di rimettere tutto ad un sostanziale potere di veto da parte del pubblico ministero che a priori potrà precludere all'imputato il ricorso al giudizio abbreviato sulla base esclusivamente della scelta imputativa.
Riteniamo che la norma rischia di riproporre antichi profili di illegittimità costituzionale, già sanzionati dal giudice delle leggi: un'illegittimità che deriva dall'evidente sacrificio del diritto dell'imputato alla riduzione della pena. È utile ricordare in questa sede che fino all'intervento legislativo del 1999, che ebbe il merito di estendere anche ai reati punibili con l'ergastolo l'opportunità del rito abbreviato, la disparità esistente prestava il Pag. 65fianco a discutibili prassi secondo le quali, è semplice dedurlo, il pubblico ministero poteva decidere di precludere all'imputato l'opzione del rito abbreviato, contestando strumentalmente talune aggravanti (si pensi alla premeditazione per il reato di omicidio volontario), col solo scopo di appesantire, talora ingiustamente, la posizione dell'imputato che, superando la soglia per l'accesso al beneficio, ne restava aprioristicamente escluso. Ebbene, sarebbe veramente grave che oggi si facesse un passo indietro in termini di garanzie sull'imparzialità della giustizia.
Ciò che più mi sorprende però è che proprio nel nostro Parlamento si stia discutendo di abolire il rito abbreviato per i delitti passibili di ergastolo, in un Paese, cioè il nostro, che si è distinto nel mondo perché in prima fila nella lotta contro le esecuzioni capitali e contro l'ingiustizia della pena di morte. Oggi dispiace apprendere che ci sono non solo sostenitori della pena dell'ergastolo, ma che si cerca di aggravare ulteriormente le condizioni della già infelice realtà del fine pena mai.
Visto però che l'ergastolo è una realtà nel nostro sistema penale con cui ci si deve confrontare e che anche la Corte costituzionale lo ha ritenuto legittimo, poiché funzione della pena non è soltanto il riadattamento sociale dei delinquenti ma pure la prevenzione generale - sono parole della Corte -, la difesa sociale, la neutralizzazione a tempo indeterminato di determinati delinquenti, penso che si dovrebbe puntare, quanto meno nel momento in cui siamo chiamati a scrivere le leggi, ad una interpretazione più evolutiva del concetto di ergastolo nella direzione cioè di un «lavoro sulla persona» e di un «percorso permanente» cui assoggettare il responsabile di efferati atti criminosi. Un cammino dai contenuti più o meno afflittivi in termini sì di limitazione delle libertà personali, ma anche in relazione ai risultati effettivi della rieducazione cui dovrebbe tendere ogni misura penale.
La possibilità di accedere all'opportunità del rito abbreviato, dunque, anche in caso di delitti punibili con l'ergastolo, non va interpretata con uno stratagemma per sottrarsi alla pena più grave, posto che ci sono altri strumenti nel nostro ordinamento che consentono comunque al condannato alla pena perpetua di godere di alcuni benefici (si pensi ad esempio alla liberazione condizionale dopo 26 anni).
Esso è piuttosto uno strumento finalizzato all'accelerazione del processo grazie alla non sempre conveniente rinuncia alla celebrazione del dibattimento, ma anche un vero e proprio diritto dell'imputato al pari di tutti gli altri imputati, quantomeno finché il legislatore lo considera legittimo per altre e meno gravi fattispecie di reati. In dottrina, si è osservato come la diminuente in parola non attenga alla valutazione del fatto, né alla personalità del reo. In altre parole, essa non determina un disvalore del reato, ma è e deve esser un meccanismo automatico di premialità sottratto alla valutazione del giudice e derivante dalla specifica scelta processuale dell'imputato. Il rito abbreviato, dunque, non può essere più o meno applicato a seconda delle differenze sostanziali tra i reati perché non attiene al fatto di reato, ma premia solo la decisione sull'iter processuale cui sottoporsi, decisione presa dall'imputato.
Il giudizio abbreviato non si configura come un istituto di carattere eccezionale, un giudizio speciale, né un patteggiamento sul rito in alternativa al patteggiamento sulla pena. Il giudizio abbreviato, se richiesto dall'imputato, è il processo ordinario. Anche le sezioni unite della Corte di Cassazione nel 2004 hanno letto bene l'intento del legislatore di costruirlo «in una prospettiva di ordinarietà, svincolando dunque la richiesta dell'imputato sia dal parere del pubblico ministero che da qualsiasi apprezzamento discrezionale del giudice. Questo, dunque, consente» - sono sempre parole della Corte - «che il pubblico ministero conservi il potere di scelta tra archiviazione ed esercizio dell'azione penale». Una volta però esercitata l'azione penale è l'imputato ad avere la facoltà di scelta sul tipo di processo al quale sottoporsi.
Noi dell'Unione di Centro non abbiamo mai condiviso l'impostazione giustizialista, Pag. 66che, invece, sembra essere bandiera di alcune forze politiche che siedono in Parlamento e tra i banchi del Governo, ma ancora di più riteniamo di doverci opporre quando il giustizialismo diventa il criterio guida per fare le leggi, perché così si rischia di mettere in crisi l'intero sistema valoriale su cui è fondata la giustizia italiana.
Se è vero che l'ergastolo è una pena comminata a delitti di particolare gravità, è pur vero che in tali casi avvalersi del rito abbreviato non garantisce significative riduzioni di pena, ma si limita a tramutare l'ergastolo in trent'anni o, in casi ancora più gravi, al solo esonero dall'isolamento diurno.
Troviamo, dunque, ingiusto abolire tout court questo istituto, che non inficia la pena e resta comunque un importante strumento di deflazione in un sistema come il nostro ingolfato da processi interminabili e dalla carenza di personale. Non è la prima volta che la Lega Nord Padania esaspera il concetto di legalità cercando di introdurre nell'ordinamento istituti che inaspriscono il nostro sistema penale. Quando si affrontano materie così delicate, però, è doveroso rifarsi ai valori costituzionali tra i quali si annovera sì la certezza della pena, ma prima di tutto la dignità della persona e le garanzie del cittadino (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.
MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, l'ora è tarda e, quindi, cercherò di rispondere ad alcune obiezioni mosse. La prima di cui mi voglio interessare è di carattere politico, perché i colleghi intervenuti hanno dimenticato un passaggio nel riferire all'Assemblea. Infatti, in II Commissione (Giustizia), allorché decidemmo - per arrivare in Aula in discussione sulle linee generali - di dare per respinti gli emendamenti presentati, ci eravamo detti che i temi sul tappeto e le questioni relative, in particolare, alle sentenze della Corte costituzionale sarebbero stata affrontate tutte nel Comitato dei nove sulla scorta degli emendamenti presentati per l'Assemblea.
Noi, come Popolo della Libertà, abbiamo presentato questi emendamenti, che rispondono a tutte le esigenze che sono state sollevate anche dalla collega Lo Moro poco fa. Conosciamo perfettamente le ripetute sentenze della Corte costituzionale per quanto riguarda i diritti violati in tema di rito abbreviato e conosciamo anche gli effetti di quelle pronunce, tant'è che gli emendamenti che abbiamo predisposto non si limitano soltanto, sul piano giuridico, ad impedire il ricorso al rito abbreviato per quanto riguarda i reati puniti con la pena dell'ergastolo.
Vorrei anche dire che trovo abbastanza divertente che questo aspetto non sia consentito al Parlamento. Infatti, se vi è un passaggio relativo al costante orientamento della Corte costituzionale, è che il Parlamento è sovrano proprio in tema di predisposizione della sanzione rispetto a determinati reati.
La politica criminale spetta al Parlamento e quando il Parlamento, almeno a mio giudizio, si rende conto che un rito abbreviato si è trasformato da un sistema di deflazione ad un sistema premiale per quanto riguarda i reati di una certa efferatezza, credo che il dibattito non possa che avvenire qui alla luce del sole, cioè in quest'Aula parlamentare.
Abbiamo affrontato questo tema nei termini che sto dicendo, ma non perché voglio citare una serie di episodi anche richiamati dai mezzi di comunicazione, su cui è tornata la relatrice. Prescindo da questo: non mi interessa il fatto che qualcuno possa proporre un diverso orientamento sul rito abbreviato, magari perché mosso da questioni riferite dagli organi di comunicazione o magari perché colpito da determinate vicende, secondo una tradizione che nel nostro Paese è ormai usuale e consuetudinaria.
Faccio un ragionamento diverso: mi chiedo, innanzitutto, se il nostro sistema penale consenta comunque al giudice di determinare la pena entro dei limiti minimi e massimi anche nel caso dell'ergastolo. Pag. 67Esso rimane perfettamente integro nei confronti della possibilità del giudice di applicare una pena. Non solo, vorrei ricordare, anche a dei colleghi che si occupano di antimafia, che, forse, una delle attenuanti più interessanti sotto il profilo giuridico è proprio quella della collaborazione, che consente una riduzione stratosferica rispetto alla pena dell'ergastolo, se vogliamo dircela tutta, da cui si parte per applicare altre eventuali concessioni di attenuanti generiche.
Non veniamo qui a raccontare la storia per cui, se qualcuno impedisce il rito abbreviato, tutti finiscono in galera per 500 anni. Se fosse qualcuno della piazza, magari, si sentirebbe dire che, per qualche reato, starebbero bene anche in carcere per 500 anni. Non è né il nostro modo di pensare né il nostro modo di intendere, però non venite a raccontarci la storia o la favoletta per cui uno, tolto il rito abbreviato, si prende l'ergastolo in ogni caso. Non è vero! Questo dobbiamo affrontarlo con lealtà, correttezza e sincerità, come abbiamo fatto in altri procedimenti.
La questione delicata del rito abbreviato per i reati più efferati è la sostituzione di quella pena con una di trent'anni, su cui poi operano le circostanze attenuanti, laddove vi siano. Sappiamo che i limiti previsti dal codice penale per questo tipo di reati possono far scendere la pena anche a situazioni abbastanza paradossali. Se non ricordo male, il limite massimo di diminuzione può portare ad una sanzione penale di circa una decina di anni di reclusione, se vengono applicate in concorso più circostanze attenuanti. Quindi, l'obiezione relativa al fatto che diventiamo tutti dei forcaioli o dei giustizialisti, la lascerei al dibattito politico o alle polemiche fuori di quest'Aula, ma non qui dentro.
Inoltre, apro una parentesi signor Presidente - è divertente - non so se esista un giustizialismo politico, ma, quando si parla di rito abbreviato, tutti si scandalizzano per il giustizialismo in relazione alla sanzione penale; quando, invece, si tratta di giudicare qualcuno, lì non vi sono principi, terzietà, giudizio terzo, nemmeno il timore reverenziale, ma si giudica sulla base degli atti di parte e si condanna senza appello. Chiusa la parentesi.
La questione di fondo è: siamo convinti che evitare il ricorso al rito abbreviato per reati gravissimi sia una scelta di politica criminale perseguibile? Io lo sono, riconoscendo, come ho sempre detto, tutte le garanzie all'imputato.
Vi dirò di più. Anche la teoria di chi richiama, non so con quale fondamento, l'articolo 111 della Costituzione è sbagliata. Santo cielo, se togliamo il rito abbreviato il processo viene celebrato non da un giudice unico, ma, trattandosi di reati puniti con la pena dell'ergastolo, dalla corte d'assise, quindi da un giudice che non soltanto è composto da magistrati togati, ma anche da una giuria popolare. Non so come si faccia ad usare strumentalmente certi argomenti di politica criminale, o addirittura di diritto processuale, quando stiamo facendo esattamente il contrario. Si hanno più garanzie con l'eliminazione del rito abbreviato perché con questo si finisce davanti al giudice per le indagini preliminari mentre, una volta che viene eliminato, il processo si va a celebrare davanti al giudice naturale a cui saresti chiamato e ciò dà sicuramente garanzie. Inoltre il processo celebrato in quest'ultimo caso risponde perfettamente ai canoni previsto dall'articolo 111 della Costituzione perché vi è un giudice terzo, il giudice del dibattimento, e poi vi sono, naturalmente, accusa e difesa su un piano di parità.
Vi è anche un altro argomento che viene utilizzato contro di noi - ed è divertente la provenienza di quegli argomenti - nel tentativo di dimostrare che, in questo modo, finiremmo per attribuire ai rappresentanti dell'accusa, leggasi pubblici ministeri, la decisione unica se far sì che l'indagato possa accedere al rito abbreviato. L'esempio, richiamato anche in quest'Aula, è: se il pubblico ministero mi contesta un reato per il quale è prevista la pena dell'ergastolo vengo estromesso dal rito abbreviato e, quindi, non posso godere dei benefici. Pag. 68
Questa obiezione è errata, non soltanto per gli emendamenti a cui ho fatto riferimento che risolvono questo problema, ma non vorrei dover ripetere una banalità, ossia che il sistema processuale italiano demanda al giudice delle indagini preliminari, in questo caso il giudice dell'udienza preliminare, la valutazione anche giuridica del fatto che gli è sottoposto, tant'è che vi sono numerose sentenze della Corte di cassazione in relazione a questo aspetto. Se il pubblico ministero fa una contestazione che il giudice dell'udienza preliminare non ritiene corretta giuridicamente, interviene perché dà al fatto una diversa definizione giuridica. Se anche questo aspetto dovesse venire superato, nel sistema che stiamo organizzando vi è la possibilità di chiedere il rito abbreviato anche al giudice del dibattimento. Vi è, inoltre, anche un altro emendamento che consentirà, così come la Corte costituzionale ci insegna, di poter applicare la riduzione della pena in tutti i casi in cui il giudice del dibattimento si renderà conto che il giudice delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare o che il pubblico ministero hanno sbagliato. Non inventiamo delle giustificazioni di carattere giuridico perché non ve ne sono in relazione a questo aspetto.
Quindi, e concludo, non è che siamo noi che ogni volta veniamo tirati per i capelli sotto il profilo politico e accusati di essere giustizialisti. Credo che sia una questione di politica criminale. Quando ci si è resi conto che, per determinati reati, la pena non solo non è efficace, ma, con tutti i rimedi ed i sistemi che vi sono, non voglio dire che diventa sostanzialmente inutile perché esagererei e non voglio arrivare a questi eccessi, ma sicuramente non consente di poter dire che vi è una corrispondenza in via definitiva tra i reati contestati di una particolare efferatezza e la sentenza che il giudice molto spesso adotta, credo che la nostra scelta, perfettamente criticabile - è legittimo farlo - non possa essere liquidata come un aspetto relativo al giustizialismo.
Ritengo che se noi riuscissimo, ma non vi riusciremo, ad affrontare la questione in termini diversi come abbiamo fatto in relazione al tema delle detenute madri, probabilmente ci concentreremmo su quegli elementi che la collega Lo Moro ha sollevato nel suo intervento in Aula e che io sono pronto a discutere perché sono obiezioni coerenti e corrette. Credo, però, che di quell'aspetto ci siamo occupati con la presentazione di emendamenti. Ben vengano, se ve ne sono, suggerimenti da parte dell'opposizione per ovviare nel senso di ripercorrere il filone delle sentenze della pronuncia della Corte costituzionale anche in questa modifica normativa.
Sul resto, però, consentite anche a noi, come fate voi, di avere delle proposte da portare all'attenzione del Parlamento, di consentirne la discussione e di rispondere con scelte di politica criminale a quello che si sta dimostrando anche nei fatti ogni giorno.
A questo serve un Parlamento, a questo servono i gruppi parlamentari, a questo servono le proposte legislative e ve ne sono alcune che piacciono a tutti, altre che piacciono meno. Probabilmente quella in esame all'opposizione piace meno, anche se - e a proposito la collega Lo Moro è stata molto corretta e la stessa Donatella Ferranti lo ha ricordato in un passaggio in sede di Commissione - ci sono proposte analoghe, senza che si preoccupino della lunga stesura delle sentenze della Corte costituzionale - tanto per essere chiari fino in fondo - che provengono dal Partito Democratico, oltre che dall'Italia dei Valori.
Mi sentirei, quindi, abbastanza tranquillo in occasione di questo confronto, pur rendendomi conto che la linea ufficiale del partito - fa parte del gioco delle parti - non sarà quella dei presentatori della proposta di legge. È però innegabile che la sensibilità che hanno avuto il centro destra, la Lega Nord e il Popolo della Libertà, si sia ritrovata anche in alcuni sottoscrittori che militano nel Partito Democratico e che sono all'interno di questo Parlamento.
Credo che partendo da questo presupposto forse sarebbe meglio concentrarsi Pag. 69sulle correzioni e lasciar perdere le questioni politiche e gli scontri ideologici, che non mi hanno mai, tra l'altro, appassionato, neanche in quest'occasione. Se abbiamo fatto degli errori, suggeriteci le correzioni da fare. Se ritenete che gli emendamenti che abbiamo presentato meritino di essere corretti quando li valuteremo in sede di Comitato dei nove, siamo qui pronti, come abbiamo sempre fatto. Evitiamo però di tirarci per i capelli per l'ennesima volta, perché in fin dei conti credo che questo non giovi al Parlamento e non giovi nemmeno al Paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Follegot. Ne ha facoltà.
FULVIO FOLLEGOT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, discutiamo in Aula su un provvedimento importante, che ha come oggetto l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Ricordiamo come questo rito abbia natura premiale, in quanto chi lo richiede, nel caso in cui venga condannato, ottiene una consistente riduzione della pena.
Se questo può essere condivisibile e accettabile per i reati meno gravi, non lo è invece nei casi in cui i delitti sono così efferati che il legislatore ha previsto la pena dell'ergastolo. È opportuno, prima di addentrarci nell'esame della proposta di legge, rilevare come la giustizia penale in Italia viva una condizione difficile: i processi penali pendenti sono oltre 3 milioni e non tendono a diminuire, a differenza dei processi civili, dove si è cominciato ad aggredire l'arretrato, soprattutto dopo alcuni interventi legislativi innovativi, segno che vi è la necessità di essere più incisivi anche in questo delicato settore.
Le carceri sono sovraffollate. L'ultimo indulto - legge 31 luglio 2006, n. 241 - non ha prodotto i risultati sperati, pur avendo rimesso in libertà oltre 25 mila soggetti più o meno pericolosi, e l'obiettivo di ridurre il sovraffollamento delle carceri è rimasto sulla carta, tanto che dopo circa un anno dall'approvazione la situazione era di nuovo difficile. Rispetto al 2006, la situazione non è migliorata, tanto che il Governo è dovuto ricorrere ad un piano carceri straordinario ed il nuovo provvedimento legislativo, peraltro molto equilibrato, ha come obiettivo, ancora una volta, l'alleggerimento della presenza negli istituti penitenziari.
Ricordo come la Lega Nord sia sempre stata contraria a provvedimenti che rimettano in libertà persone in modo indiscriminato, senza un'attenta valutazione della loro pericolosità. Riteniamo, infatti, che la sicurezza dei cittadini onesti venga prima di tutto. Se è vero che la pena deve essere tale da permettere il recupero del condannato, è anche vero che deve avere un effetto deterrente. Questo effetto deterrente c'è, se chi commette un reato, in primo luogo, viene sottoposto ad un processo e tale processo ha una durata ragionevole, in secondo luogo, se una volta condannato sconta la pena fino all'ultimo: in caso contrario c'è chi pensa sempre di poterla fare franca, come purtroppo spesso accade.
Anche la prescrizione del reato per il decorso di un determinato periodo di tempo senza che sia intervenuta una sentenza definitiva di condanna va contro la certezza della pena. In questo caso è lo Stato a ritenere non più utile perseguire l'autore del reato, da un lato perché proprio per il tempo trascorso viene meno l'esigenza sociale, dall'altro perché viene meno anche la funzione rieducativa della pena. Fra indulti, sconti di pena e prescrizioni del reato, la certezza della pena diventa debole. La certezza di scontare la pena fino a fondo è invece un forte deterrente per chi delinque.
Non credo che nessuno di noi voglia concedere alcunché a criminali che hanno commesso reati che procurano un gravissimo allarme sociale. Basti ricordare alcuni casi: chi di noi non ricorda l'omicidio, avvenuto nel dicembre del 2007, di Jole Tarsitani, sequestrata, uccisa e fatta a pezzi, e i resti nascosti nei sacchetti neri dell'immondizia in un garage di Bassano del Grappa. Considerate l'efferatezza e le aggravanti con cui è stato compiuto il delitto, il pubblico ministero e i legali dei Pag. 70familiari avevano chiesto l'ergastolo e l'isolamento diurno, mentre grazie al rito abbreviato l'imputato ha ottenuto uno sconto di pena; solo la caparbietà dei familiari è riuscita in appello, in corte d'assise, ad ottenere l'ergastolo nel giugno del 2010, ma ovviamente senza l'isolamento diurno che gli sarebbe spettato se non avesse potuto accedere al rito abbreviato. Poniamo fine ad una stortura inammissibile del nostro sistema giudiziario.
Si possono citare altri casi. Nel 2004 Annamaria Franzoni è stata condannata in primo grado con rito abbreviato a trent'anni di reclusione; il 27 aprile 2007 la corte d'assise d'appello di Torino ha condannato l'imputata a 16 anni di reclusione; la riduzione della pena rispetto alla sentenza di primo grado è dovuta alla concessione delle attenuanti generiche il cui calcolo aveva come pena base quella di trent'anni, ottenuta grazie al rito abbreviato; il 21 maggio 2008 la Cassazione ha confermato la sentenza d'appello.
Questi sono solo alcuni dei casi più clamorosi dove ad un delitto commesso in modo efferato, punito con la pena dell'ergastolo, è stato possibile concedere uno sconto di pena non in relazione alla valutazione della gravità del reato che il giudice deve fare (tenuto conto della natura, della specie dei mezzi, dell'oggetto, del tempo, del luogo, e di ogni altra modalità dell'azione e della gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, dell'intensità del dolo o del grado della colpa) nell'infliggere la pena, bensì solo per la scelta di un rito alternativo: è veramente aberrante.
È in questo contesto che si inserisce la proposta di legge che ha come obiettivo l'eliminazione dello sconto di pena per i reati più gravi, rendendo inapplicabile il giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Attualmente per chi chiede questo rito anziché l'ergastolo vi è la pena della reclusione di anni trenta, e invece dell'ergastolo con isolamento diurno vi è la pena dell'ergastolo; negli altri casi la pena viene ridotta di un terzo.
Il giudizio abbreviato, nato in funzione di un più rapido svolgimento del processo, non ha ottenuto i risultati sperati. Si ricorre a questo rito quando non vi è alcuno spazio difensivo, e comunque quando va a vantaggio dell'imputato. È stata la riforma Carotti, la legge n. 479 del 16 dicembre 1999, a snaturare il ricorso al rito abbreviato, dando la possibilità di ricorrervi anche nei casi di reati puniti con la pena dell'ergastolo. La possibilità di acquisire nuove fonti di prova quando l'imputato lo pone come condizione per accedere al rito e il supplemento probatorio su impulso del giudice hanno modificato in maniera sostanziale la natura stessa del rito abbreviato, che ha perso così le sue caratteristiche peculiari. Non è più, insomma, un giudizio allo stato degli atti.
È evidente quindi come il giudizio abbreviato non abbia ragione di esistere nei casi di reati gravissimi per i quali il legislatore ha previsto pene severe come l'ergastolo. Vedere, per una semplice scelta di rito, scontare la pena in maniera così rilevante nei casi di gravi delitti appare non solo inopportuno ma anche lesivo di principi fondamentali come la legalità e la proporzionalità.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.
DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, vorrei fare una premessa. Direi che da questo dibattito in Aula forse si evince come la proposta che oggi la relatrice ha illustrato riguardi un testo di legge che sostanzialmente non potrà mai essere approvato, perché - così com'è formulato - è incostituzionale. La prima critica che io faccio ai colleghi della maggioranza, ma ci riguarda tutti, è che, alla fine, anche noi non abbiamo avuto tempo e non sapevamo che questo provvedimento sarebbe stato calendarizzato per la discussione in Aula (si è saputo l'altra settimana).
In realtà, quindi, non abbiamo avuto il tempo di approfondire adeguatamente il testo. Siamo venuti in Aula con un testo del quale si afferma già che non sarà quello definitivo e, tra l'altro, poi, la Commissione affari costituzionali si è Pag. 71espressa nel senso di dichiararne la non compatibilità con la Costituzione. D'altro canto, una norma che ha ammesso il rito abbreviato, ma che quando il giudice decide di dover applicare la pena dell'ergastolo a quel punto non concede più lo sconto di pena, contrasta proprio con una sentenza del 1991. Quest'ultima, infatti, afferma che, se si esegue il rito abbreviato, un rito speciale che consente di giudicare lo stato degli atti, deve automaticamente essere previsto uno sconto di pena. È qualcosa che non è compatibile.
Capisco forse l'intento della proponente perché, in realtà, con questo sistema contrastante con i principi costituzionali, si voleva, comunque, non troncare ab initio la possibilità per l'imputato, che si vede contestati dei gravi reati per cui in astratto è prevista la pena dell'ergastolo, di poter affrontare quel giudizio con un rito immediato per vedere, poi, quale sarebbe stato l'esito.
Intervengo per ultima e, quindi, il mio compito è facilitato da tutto quello che già è stato detto; ritengo che, nella proposta e nella relazione - anche per rispondere al collega Contento, e all'onorevole Lussana che l'ha ripetuto - si dà per scontato che il giudizio abbreviato non abbia avuto effetti deflattivi. Queste sono affermazioni apodittiche per le quali non risulta nessun dato di accertamento.
Sappiamo che il nuovo codice di procedura penale nasce nel 1989 e si fonda proprio sul fatto che devono coesistere i procedimenti speciali; il nuovo codice di procedura penale medesimo, con l'accezione del processo accusatorio, sia pur mitigato rispetto a quella statunitense, comunque aveva una possibilità di funzionamento solo e soltanto se ci fosse stato l'accesso ai riti speciali perché, quelli con rito ordinario, sono processi lunghi, dispendiosi di energie, risorse e denaro. Non abbiamo operato come solitamente facciamo in Commissione giustizia, perché non ce ne è stato il tempo; è vero che si è iniziato l'esame a giugno ma - basta esaminare il calendario della Commissione giustizia per capire l'impegno che si è profuso quotidianamente - non c'è stato il tempo di approfondire quelle affermazioni che non hanno riscontro oggettivo attraverso acquisizioni né da parte del Ministero della giustizia, né del CSM, né da avvocati o di qualche altro soggetto.
Non si può affermare che si vuole la certezza della pena e si vogliono processi ragionevolmente più brevi e, poi, accantonare, in base a indirizzi di politica criminale, un rito abbreviato che, comunque, consente un risparmio di tempo che non incide, in qualche modo, sul diritto di accusa, ma che dà la possibilità al giudice di valutare tutti gli elementi a sostegno, addirittura con l'integrazione probatoria e che, quindi, ha anche superato quei limiti che erano presenti nella sua impostazione originaria. Così come si è superato, anche grazie alla Corte costituzionale, il fatto che l'adesione al rito abbreviato, da parte del pubblico ministero, almeno potesse condizionare l'accesso a quel rito. È venuta meno quella condizione che era un qualcosa di non appropriato rispetto ad un giudizio in cui lo Stato, a fronte di prove evidenti, riguardanti, appunto, il giudizio allo stato degli atti chiesto dall'imputato e accolto dal giudice, accorcia i tempi.
Accorcia i tempi e quindi vede realizzati i diritti non solo dell'imputato, ma anche delle vittime, ad avere giustizia. Ora, può darsi che ci siano dei correttivi da apportare, ma non riguardano l'accesso al rito abbreviato. Infatti poco fa ascoltavo con attenzione gli esempi e i casi ricordati dal collega Follegot. In realtà, mi ha confermato che in appello poi, sia pur con il rito l'abbreviato, è stato dato l'ergastolo senza isolamento diurno. Quindi, in realtà, il problema non è il rito abbreviato. Gli effetti che alcune volte derivano da pene che possono sembrare all'opinione pubblica non adeguate all'efferatezza del caso riguardano il computo e il calcolo di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti e quindi anche la valutazione che ne viene fatta. Infatti, se il giudice nonostante il rito abbreviato in quel caso, quindi con gli atti che gli vengono portati con tempi che sono dimezzati rispetto ad un processo di fronte alla corte d'assise, ritiene di dare l'ergastolo è applicato uno Pag. 72sconto di pena a trent'anni; ma il termine dei trent'anni lo ha posto il legislatore, con la legge Carotti e ha valutato che rispetto alla pena perpetua lo sconto di un terzo previsto per l'abbreviato - su questo non si può derogare - sia quantificabile in trent'anni.
Il legislatore poteva stabilire quaranta anziché trenta, non è questo il punto. Il punto è che se ritiene invece che in quel caso - anche con l'abbreviato lo può ritenere - si debba dare l'ergastolo con l'isolamento diurno, applica l'ergastolo. Quindi, è questo che noi non accettiamo, non parliamo di giustizialismo. Riteniamo che questa proposta di legge, per come è stata congegnata e quindi come è arrivata in Aula, non risponda, per fatti gravissimi di omicidi plurimi, magari inseriti nell'ambito della criminalità organizzata, all'esigenza di adeguatezza delle pene e quindi anche alla risposta di giustizia in tema di certezza. Ci sembra una risposta che è soltanto apparente, figurata.
In realtà vi voglio dire e voi lo sapete meglio di me, soprattutto chi pratica le aule di giustizia, che una corte di assise rispetto allo stesso reato efferato con il giudizio prevalente delle attenuanti può arrivare a quella pena che si ritiene - poco fa sono stati esemplificati dei casi - inadeguata rispetto all'efferatezza. Quindi, il problema non è intervenire sul rito abbreviato. È avere il coraggio di verificare in modo sistematico rispetto ad alcune fattispecie penali di gravissima entità quali sono poi i meccanismi, qual è la pena minima, qual è la pena massima, quali sono le circostanze attenuanti e aggravanti, ma non quello di eliminare come sistema un rito che è uno dei pochi che ha funzionato. Noi su questo punto ci siamo permessi di dare un contributo: quel contributo che siamo abituati a dare sempre sin dall'inizio di questa legislatura in Commissione giustizia dicendo «possiamo capire». Tra l'altro, dopo aver depositato l'emendamento, riguardando anche l'elaborazione che è stata fatta dalla commissione Riccio sulla modifica al codice di procedura penale, abbiamo visto che un analogo suggerimento era stato dato, anche se leggermente diverso, da quella commissione di studio. In realtà noi abbiamo detto che per i reati per i quali è previsto l'ergastolo, sempre per reati di competenza della corte d'assise, prevediamo eventualmente, sempre con il rito abbreviato, un giudice collegiale.
Ciò perché è la valutazione tecnica ma completa del caso, che deve portare ad avere poi in concreto la pena adeguata al caso concreto, fermo restando che ci devono essere delle indicazioni del legislatore, che deve valutare quali fattispecie di reato devono essere punite con una pena più severa rispetto ad altre. Anche perché faccio una riflessione: eventualmente servono correttivi più adeguati sicuramente ai reati di particolare allarme sociale e con riferimento a certe tipologie di reati e a certe tipologie di pena, ma anche - e questo lo abbiamo chiesto anche in occasione del provvedimento che è stato varato sulla detenzione domiciliare di un anno - una rivisitazione del sistema dell'esecuzione penale.
Infatti è ridicolo che si metta in moto tutto un meccanismo che prevede la corte d'assise, i costi delle corte d'assise, i giudici popolari, l'impatto della giuria popolare insieme ai giudici togati relativamente a un fatto di criminalità che sicuramente nel tempo poi si sfuma anche nei ricordi. Pensiamo a quanto costa tutta questa macchina. Poi in realtà noi vediamo che sia pure nel caso in cui l'imputato prenda l'ergastolo, con l'articolo 176 del codice penale può avere benefici tali per cui l'ergastolo non lo sconterà mai, ma potrà arrivare al massimo a 26 anni di pena effettiva. Quindi meno di quei 30 anni che volendo il legislatore potrebbe portare a 35, se non ritiene congruo lo sconto di un terzo, poiché un terzo rispetto al perpetuo non è definito, quindi lo deve definire il legislatore.
Inoltre vi è il discorso che ha già affrontato la collega Lo Moro, relativo al fatto che in pratica viene impedito ad un imputato di arrivare ad un giudizio abbreviato, quindi anche ad un giudizio più celere, più pronto, meno dispendioso, poiché magari gli è stata contestata una Pag. 73circostanza aggravante come la premeditazione, che lo porta ad avere in astratto la pena dell'ergastolo in base alla contestazione del pubblico ministero, senza possibilità di controbattere e di dedurre attraverso il giudice.
Questo tengo a precisarlo perché non è con le memorie ex articolo 121 che si modifica la contestazione da parte del pubblico ministero e nemmeno attraverso i poteri del giudice per l'udienza preliminare. Spiego subito qual è il mio avviso: infatti, se è vero che il giudice può attribuire una differente qualificazione giuridica al fatto e per altri aspetti potrebbe soltanto invitare il pubblico ministero a precisare l'imputazione, così come previsto - sto concludendo signor Presidente - secondo una sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite n. 5307 del 2008, mai può intervenire su di essa. D'altro canto, non può escludere preliminarmente la presenza di una determinata aggravante che rende punibile il delitto per il quale si procede con la pena dell'ergastolo, perché non può entrare nel merito così profondo, che è quello di un giudizio, sulla base dell'esame in via di udienza preliminare della contestazione del pubblico ministero. Ecco che quindi sicuramente questa normativa sarebbe viziata dello stesso vizio che la Corte ha riscontrato quando tutto era subordinato al consenso di una parte, del pubblico ministero stesso.
Quindi, noi non ci tiriamo indietro rispetto ad un approfondimento, ma deve essere un approfondimento che a nostro avviso deve avere adeguate previsioni appunto di approfondimento, una volontà effettiva di vedere anche le ricadute sul servizio giustizia.
Signor Presidente, con questa frase concludo dicendo che negli uffici giudiziari di Roma, Milano, Palermo, Napoli, Torino, Bologna vi è sempre una corte d'assise che siede stabilmente. In tutti gli altri uffici giudiziari di piccole e medie dimensioni, dove tra l'altro non abbiamo ancora affrontato nessuna riforma della giustizia e nessuna riforma delle circoscrizioni, affidare la totalità di quei procedimenti alle corti d'assise determinerebbe non solo un rallentamento di quella gestione, ma il rallentamento vero anche degli altri processi.
Credo che su questo dobbiamo riflettere veramente e cercare le soluzioni adeguate, rifuggendo, invece, da soluzioni che possono essere soltanto di impatto demagogico, ma non di sostanza.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 668)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Lussana.
CAROLINA LUSSANA, Relatore. Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti i colleghi che sono intervenuti in questa discussione e che hanno affrontato alcuni punti che erano già stati dibattuti in Commissione; tuttavia, devo dare una risposta, in modo particolare, al Partito Democratico, facendo seguito anche all'ultimo intervento dell'onorevole Ferranti.
A parte la considerazione generale relativa al fatto che, forse, nell'intervento dell'onorevole Ferranti sono affrontati i temi della riforma della giustizia più in generale, mi sembra che anche il quadro di apprezzamento nei confronti di certi organi di amministrazione della nostra giustizia non sia edificante, onorevole Ferranti. Infatti, si criticano le giurie popolari e la corte d'assise e si critica fortemente anche l'operato dei pubblici ministeri: che qualche perplessità sull'eccesso di formulazione d'imputazione venga da un'altra parte politica, lo si può anche comprendere, ma che ciò venga dal Partito Democratico, sinceramente, un po' di sconcerto lo suscita.
Comunque, sia con riferimento alla Commissione, sia a quando si è dibattuto in merito al parere della Commissione affari costituzionali, occorre dire che, nella proposta di legge in oggetto non vi sono, come è stato detto, rischi di incostituzionalità. Pag. 74L'incostituzionalità è esclusa: si può essere d'accordo, oppure no, per ragioni di politica criminale che l'onorevole Ferranti ha anche evidenziato, ma non tiriamo in ballo la costituzionalità.
Inoltre, devo anche prendere atto, con maggiore forza e convincimento, che una proposta di legge analoga a quella in oggetto, presentata dall'onorevole D'Antona e sottoscritta dall'allora Ministro ombra della giustizia, Tenaglia, è stata presentata a titolo personale da parte dei colleghi del Partito Democratico; altrimenti, oggi, vi è stata una sconfessione palese di quell'iniziativa legislativa. Comunque, lo ripeto: in questo testo, non vi sono dubbi di costituzionalità, anche per le sentenze della Corte costituzionale citate da lei, onorevole Ferranti, e dalla collega Lo Moro, che la escludono.
Tra l'altro, la proposta che si vuole affrontare e presentare all'Assemblea è migliorativa, come è stato spiegato anche dal sottosegretario. Essa non solo va nella direzione di rispondere ad alcune sollecitazioni, ma richiama espressamente quanto già affermato nella sentenza n. 176 del 1991 e dà attuazione anche alla sentenza n. 169 del 2003. Essa metterebbe anche al riparo da quell'ultimo residuale rischio, per cui si inibisce l'accesso al rito immediato ad un imputato per il quale, poi, nel corso del giudizio, non viene riconosciuta la causa ostativa. Ebbene, con il correttivo al quale si sta lavorando per l'Assemblea, si potrebbe far venir meno anche questo tipo di problematica e il giudice del dibattimento potrebbe riconoscere lo sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato.
Sono state avanzate ulteriori considerazioni. È chiaro che, in questo caso, si tratta di una scelta di politica criminale e che, forse, ci si rende conto che si arriva a sentenze che prevedono pene inadeguate rispetto all'efferatezza del reato, ma delle due l'una. Non possiamo interferire sulla discrezionalità del giudice della corte d'assise o di un altro giudice, perché lo sappiamo: è la nostra Costituzione che ci impedisce di interferire da quel punto di vista.
Dunque, cosa possiamo eliminare? Per reati nei quali riteniamo prevalente l'interesse a comminare una pena di una certa entità rispetto all'interesse deflattivo, possiamo escludere l'applicabilità della riduzione della pena di un terzo secco. Quindi, è chiaro che, facendo venir meno questo effetto premiale, viene meno anche l'applicabilità per i reati più efferati e più gravi del rito abbreviato.
Per quanto riguarda l'esigenza deflattiva, non l'ho messa in discussione in generale, ma per particolari tipi di reato, quelli proprio puniti con la pena dell'ergastolo. Infatti, quando l'accertamento del reato richiede chiaramente una determinata particolarità, abbiamo visto che molto spesso si chiede l'integrazione probatoria e quindi solo per questo fatto viene già meno l'effetto deflattivo, e pertanto la celerità e l'accelerazione che si vogliono imprimere al processo in realtà non esistono.
Quindi, io spero che i colleghi del Partito Democratico possano partecipare fattivamente ai lavori del Comitato dei nove. Magari non ci siamo spiegati bene nelle sedute della Commissione e magari anche durante questa seduta non abbiamo messo in luce i punti che, secondo noi, si potevano risolvere. Speriamo di poterlo fare in sede di Comitato dei nove. Ma, veramente, discutiamo nel merito e non appelliamoci a dei tecnicismi che non esistono per celare, in realtà, una posizione ideologica di contrarietà.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, devo dire che l'onorevole Ria ha avuto una posizione di contrasto alla pena dell'ergastolo. Noi qui non stiamo discutendo della pena dell'ergastolo, perché, per mia convinzione personale, per mia cultura e per mio credo, mi ispiro a quello che era il pensiero di Sant'Agostino. Mi correggerà il Presidente Buttiglione se il mio ricordo è sbagliato. Sant'Agostino diceva: amate gli uomini e punite i peccati. Punite e sanzionate i peccati, non i peccatori. Pag. 75
Quindi, sono tendenzialmente portato a rivedere il sistema penale e a introdurre delle sanzioni diverse. Ma visto che l'ergastolo è previsto, non dobbiamo discutere se è una sanzione giusta o sbagliata. Dobbiamo discutere del fatto che esiste tale pena prevista per determinati delitti caratterizzati da grave efferatezza. Qui non c'entra, come dice l'onorevole Lo Moro, la parità delle parti. Il giudizio abbreviato dipende dall'imputato. Diventa irrilevante addirittura il dissenso del pubblico ministero, il che vuol dire che dipende dall'imputato soltanto e il giudice deve valutare se era decidibile o meno allo stato degli atti.
Allora, di fronte a questa situazione, si viene a parlare di problemi di costituzionalità quando - l'onorevole Ferranti lo ricorderà come me - per 11 anni abbiamo applicato il giudizio abbreviato con l'esclusione dei reati per i quali era prevista la pena dell'ergastolo. Non dimentichiamocelo: non era consentito il rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell'ergastolo. È stato introdotto nel 2000.
Come facciamo a non renderci conto di una concezione e di una reazione della società di fronte a determinate sanzioni che appaiono quasi inique non più per efferatezza della pena, ma per debolezza della stessa rispetto a quello che è l'omicidio che è stato compiuto?
Onorevole Ferranti, lei sa meglio di me che vengono chiesti venti anni per reati contro la pubblica amministrazione o per reati di criminalità senza omicidio o altri tipi di reato. Poi ci troviamo con omicidi di quel tipo con sanzioni che scendono al di sotto anche dei trent'anni. Ed è questa la logica.
Quindi, io ragiono in termini di quello che è il complesso sistema penale quale è l'attuale, come è delineata oggi la sanzione penale rispetto a ciascun tipo di reato e, rispetto a quelli, quali sono le conseguenze delle diminuzioni di pena che il codice di procedura penale certamente prevede per la deflazione. Tuttavia, rispetto a determinate situazioni è consentito concedere la deduzione di pena esclusivamente per la deflazione? E questo rispetto a processi che non sono in numero tale da incidere sul funzionamento della giustizia.
Credo che, al Comitato dei nove, si giunga con questa logica e, quindi, comprendo lo sforzo che aveva fatto l'onorevole Contento in Commissione. Vorrei ricordare anche all'onorevole Ferranti che, come Governo, io sono arrivato in ritardo perché improvvisamente avete deciso, all'unanimità di tutti gruppi, di respingere gli emendamenti, venire in Aula e rimettere la questione al Comitato dei nove. La mia disponibilità in quel momento era volta a trovare una soluzione. E ancora ribadite, per il Comitato dei nove: verifichiamo. Che cosa? La possibilità, dipendente solo dall'imputato, di chiedere l'integrazione probatoria e di tentare di recuperare, ove esclusa quella ipotesi aggravata, tale da giustificare l'ergastolo, di poter recuperare una riduzione di pena.
Credo che, con questo spirito, possiamo - speriamo - arrivare ad una soluzione che possa soddisfare tutti.
PRESIDENTE. Confermo: giudicare gli atti e non le persone.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 8 febbraio 2011, alle 11:
1. - Svolgimento di interrogazioni.
(ore 16)
2. - Seguito della discussione delle mozioni Bosi ed altri n. 1-00488, Di Biagio ed altri n. 1-00451, Villecco Calipari ed altri n. 1-00541, Di Stanislao ed altri n. 1-00543, Cicu ed altri n. 1-00551, Porfidia ed altri n. 1-00553, Lo Monte ed altri n. 1-00554 e Tabacci ed altri n. 1-00558 Pag. 76concernenti iniziative in materia di concessione degli alloggi di servizio del Ministero della difesa.
3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica Araba Siriana fatto a Roma l'11 settembre 2008. (C. 3994).
- Relatore: Corsini.
4. - Seguito della discussione delle mozioni Bocchino ed altri n. 1-00436, Giulietti, Zaccaria, Tabacci, Evangelisti, Nicco ed altri n. 1-00441, Sardelli ed altri n. 1-00496, Lo Monte ed altri n. 1-00503 e Cicchitto ed altri n. 1-00504 concernenti iniziative per la tutela della qualità e del pluralismo dell'informazione nel servizio pubblico radiotelevisivo, con particolare riferimento al contratto di servizio.
5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
GIANCARLO GIORGETTI ed altri: Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri (C. 3921-A).
- Relatore: Baretta.
6. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BRUGGER e ZELLER; BERNARDINI ed altri; FERRANTI ed altri: Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (C. 52-1814-2011-A).
- Relatore: Samperi.
7. - Seguito della discussione della proposta di legge:
LUSSANA: Modifica all'articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo (C. 668).
e dell'abbinata proposta di legge: D'ANTONA ed altri. (C. 657).
- Relatore: Lussana.
La seduta termina alle 20,40.
TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3994
FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Onorevoli colleghi, l'Accordo in esame rappresenta l'opportunità per trattare finalmente il tema della centralità alla cooperazione culturale per un'azione di politica estera che aspiri ad essere davvero efficace nell'irrobustire i legami di amicizia tra gli Stati e nel creare contesti di pace e stabilità. Si tratta di obiettivi prioritari e adesso davvero urgenti soprattutto con riferimento all'area del Mediterraneo e del Grande Medio Oriente.
La Siria è un Paese di riconosciuta rilevanza strategica nel quadrante regionale, in questo momento esposto ai venti del cambiamento e dell'instabilità che stanno interessando gran parte del mondo arabo. Il presidente Assad - che pur guida un Paese dove il partito Baath è al potere dal 1963, dove l'opposizione è al bando, vige lo stato di emergenza e negli ultimi giorni la censura si è abbattuta su internet e i social network - ha riconosciuto che «la cura è la riforma, il saper aprire la società e allacciare un dialogo con il popolo».
È un messaggio forse tardivo e solo i prossimi giorni potranno chiarire come andranno le cose. Nel frattempo sul nostro Paese, come su tutta l'Europa, incombe il dovere di svolgere il nostro ruolo ricorrendo a tutti gli strumenti possibili per garantire la pace e promuovere la piena tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. Pag. 77
Sostenere la crescita della Siria sul piano culturale - e quindi civile e politico, oltre che economico - costituisce quindi il contributo più lungimirante ed incisivo che il nostro Paese può assicurare a questo importante interlocutore.
L'intesa tra Italia e Siria in materia culturale è stata avviata con l'Accordo bilaterale del 2 dicembre 1971; un accordo divenuto ormai obsoleto in ragione della rapida evoluzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ma che fino ad ora ha consentito di realizzare proficue iniziative in campo linguistico e archeologico.
Mi riferisco, a titolo d'esempio, alla diffusione della nostra lingua attraverso tre lettorati operanti nelle Università di Damasco e di Aleppo, all'offerta annuale di 156 borse di studio per seguire corsi di laurea o post lauream presso i nostri atenei o al ruolo delle missioni archeologiche italiane che, di comune accordo con le autorità di Damasco, proseguono nei lavori di ricerca e di scavo nei siti di vari antichi insediamenti.
A tal proposito, ricordando la missione svolta dalla Commissione esteri nel 2008, si deve segnalare l'opportunità di monitorare l'andamento dei lavori di restauro della Cittadella di Damasco, di cui l'Italia si è assunta l'iniziativa, che secondo alcune testimonianze dirette sembrano essere proceduti con molta lentezza. Nel corso dell'esame in Commissione è stata segnalata al Ministero degli affari esteri, unitamente a quello per i beni e le attività culturali, la necessità di accertare che non vi siano da parte italiana responsabilità connesse alla mancata conclusione dei lavori al fine di non intaccare la nostra immagine. Il nuovo Accordo si propone l'estensione della portata della cooperazione culturale italo-siriana a nuovi settori, prevedendo - diversamente dal precedente - le risorse finanziarie necessarie. Particolare rilievo assumono le disposizioni riguardanti la collaborazione in campo culturale tra i rispettivi organismi pubblici e privati: in particolare, a fronte della disponibilità siriana a facilitare l'attività dell'Istituto italiano di cultura di Damasco, il nostro Paese si impegna a render possibile la creazione di un'analoga istituzione in territorio italiano (articolo 3).
Per quanto riguarda il settore artistico, è previsto lo scambio di mostre di vario soggetto, come anche la cooperazione nei settori della musica, della danza, del teatro e del cinema, con la partecipazione di entrambe le Parti a festival ed eventi di rilievo. È inoltre contemplata la cooperazione tra le istituzioni e associazioni musicali, teatrali e operistiche dei due Paesi (articolo 4).
Il nuovo Accordo prevede inoltre lo scambio di informazioni e programmi scolastici e universitari, nonché lo scambio di insegnanti ed esperti nei settori dell'istruzione e della formazione. A livello universitario è altresì previsto lo scambio di docenti e ricercatori, e l'attuazione di comuni progetti di ricerca. Ciascuna delle Parti esaminerà la possibilità di offrire borse di studio a laureandi e laureati dell'altra Parte, onde permettere la frequenza di corsi universitari e post universitari presso istituzioni culturali, accademie e conservatori (articoli 6 e 7).
L'Accordo disciplina altresì la cooperazione per il ritrovamento e la conservazione del patrimonio archeologico, promuovendo la fondazione di apposite istituzioni. Le rispettive amministrazioni collaboreranno nella prevenzione del contrabbando di opere d'arte, beni culturali e opere protette dalle leggi sui diritti d'autore, come anche di documenti e oggetti di valore artistico (articolo 10). L'attuazione dell'Accordo è rimessa ad un'apposita Commissione congiunta che curerà, tra l'altro, la messa a punto di programmi esecutivi pluriennali che saranno realizzati su base di reciprocità e saranno finanziati secondo la disponibilità dei fondi stanziati.
Segnalo che le Commissioni affari costituzionali e cultura hanno espresso pareri favorevoli sul provvedimento, a differenza della Commissione bilancio che ne ha rinviato l'espressione per approfondimenti per cui il parere sarà reso direttamente all'Assemblea nel prosieguo dell'esame. Sul piano degli oneri finanziari, Pag. 78essi sono valutati in 209.300 euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012, e in 213.680 euro annui a decorrere dal 2013. La copertura di tali oneri è reperita nello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011-2013, nell'ambito dei fondi speciali di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.
Alla luce di quanto esposto auspico una valutazione favorevole sul provvedimento in esame.
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto stenografico della seduta del 3 febbraio 2011, a pagina 45, l'ultima parola della seconda colonna, si intende sostituita dalla seguente: «procedente».