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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 442 di martedì 1 marzo 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 10.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di venerdì 25 febbraio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brugger, Caparini, Castagnetti, Cirielli, Gianfranco Conte, Dal Lago, Donadi, Fava, Franceschini, Jannone, Lo Monte, Melchiorre, Leoluca Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Sardelli, Tabacci e Vernetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Comunicazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, secondo periodo, della legge n. 42 del 2009, in relazione allo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione sulle comunicazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, secondo periodo, della legge 5 maggio 2009, n. 42, in relazione allo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Intervento del Ministro per la semplificazione normativa)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro per la semplificazione normativa, senatore Calderoli.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, illustrerò lo scopo e i principali contenuti della riforma. Lo schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale determina il passaggio epocale dalla finanza derivata alla finanza autonoma. Si tratta di un tassello fondamentale nel percorso del federalismo fiscale, diretto a raddrizzare l'albero storto della finanza pubblica italiana. Il federalismo serve ad avvicinare chi governa a chi è governato. In Italia si è decentrato il potere di spesa, ma non la responsabilità impositiva. Questo ha favorito situazioni di inefficienza e non ha garantito un efficace controllo sugli sprechi, con conseguente danno per le tasche di tutti gli italiani. In un federalismo senza responsabilità il cittadino non vede, paga e vota al buio. Il quadro attuale della tassazione locale è caotico essendo costituito da ben diciotto fonti di gettito che vanno dall'ICI alla tassa sull'ombra, cui si aggiunge una zona grigia di prelievi di incerta natura, ad esempio i canoni idrici, spesso oggetto di pronunce Pag. 2chiarificatrici della Corte costituzionale. Le finanze comunali, oltre a questa selva di tributi e di gabelle, causa di spaventosi contenziosi e di pesanti oneri burocratici si alimentano anche di trasferimenti statali e regionali per parecchi miliardi di euro assegnati in base alla stratificazione nel tempo del criterio della spesa storica che in Italia, per ben trentacinque anni, ha sistematicamente premiato gli enti inefficienti e penalizzato quelli virtuosi. Il risultato è l'antitesi di un serio federalismo, il cui presupposto sarebbe invece quello di riconoscere una reale autonomia e consentire al cittadino di giudicare con il voto l'amministrazione locale. Per Tocqueville infatti la democrazia iniziava con la pubblicazione del bilancio presso la casa comunale.
Lo scopo della riforma è quindi quello di determinare il passaggio dalla finanza derivata a quella autonoma, sostituendo oltre 11 miliardi di trasferimenti annui assegnati in base al criterio razionale della spesa storica con i contributi propri e compartecipazioni. Vengono eliminate ed accorpate ben dieci delle diciotto attuali forme impositive. Le imposte locali diventano tracciabili. Si tratta di una tracciabilità aiutata dai fabbisogni standard che indicheranno per ogni comune la spesa opportuna per ciascuna delle funzioni fondamentali. Se prima un sindaco poteva facilmente aumentare l'addizionale IRPEF e il criterio della spesa storica non consentiva alcun controllo agli elettori, dalla fine del 2011 un sindaco non potrà facilmente aumentare l'addizionale comunale in presenza di una spesa esorbitante i nuovi fabbisogni standard visibili da chiunque sul sito del comune. Si permette così al cittadino di esercitare il controllo democratico sui livelli di governo che sono più prossimi alla sua vita. Il controllo è esercitato nella sequenza vedo, voto, pago e se non vedo o se vedo ciò che non va bene non lo voto. Si tratta del massimo risultato di responsabilizzazione ottenibile senza reintrodurre l'imposizione sulla prima casa, respingendo quindi quelle proposte che miravano in vari modi a reintrodurla, anche surrettiziamente vuoi con formule complicatissime e destinate a rimanere incomprensibili al cittadino, vuoi con espedienti che avrebbero determinato l'effetto contrario rispetto all'obiettivo della responsabilizzazione dei livelli di Governo locale.
Voglio citare a titolo di esempio due proposte organiche presentate in Commissione: la prima è quella del PD, che con una tassa sui servizi avrebbe determinato un incremento della pressione fiscale, utilizzando fra l'altro un allegato applicativo quasi incomprensibile e di fatto inapplicabile ed una tassazione sulla prima casa che questa maggioranza ha da tempo rifiutato, sopprimendo l'ICI prima casa. Qui, se qualcuno volesse andare a vedere la formula che era in allegato rispetto alla cosiddetta service tax, si renderà conto, per stessa ammissione dei presentatori, che la legenda non consente di capire che cosa era scritto nella formula, rendendo la formula praticamente inapplicabile.
La seconda, quella del cosiddetto terzo polo, avrebbe portato alla reintroduzione dell'ICI prima casa, seppur con la detraibilità dell'IRPEF, con una serie di conseguenti difficoltà: in primo luogo, come ci si sarebbe comportati a fronte dei cosiddetti incapienti? Si sarebbe arrivati al paradosso che l'ICI prima casa non l'avrebbero pagata le fasce più alte e l'avrebbero invece pagata tutta quelle più basse. In secondo luogo, la detraibilità totale di un tributo proprio comunale avrebbe stimolato i comuni ad incrementare al massimo l'ICI sulla prima casa, con conseguente danno alle finanze dello Stato, vista la sua detraibilità, e deresponsabilizzazione dei livelli di governo locale. Al Senato qualche senatore diceva che avremmo potuto introdurre delle misure di controllo per impedire l'incremento dell'ICI detraibile, ma o l'ICI resta, o restava, un'imposta municipale e quindi con quella flessibilità per cui il comune la poteva ridurre o aumentare o nel caso in cui fosse stata detraibile, è chiaro che il comune l'avrebbe messa al massimo, perché tanto sarebbe stata detratta dalle entrate statali. Pag. 3
Più specificatamente, il merito dello schema del decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale prevede in due fasi il riassetto delle modalità di finanziamento dei comuni, con la soppressione della maggior parte degli attuali trasferimenti, appunto circa 11 miliardi di euro, per i comuni delle regioni a statuto ordinario e l'istituzione di autonome forme di entrata. In sintesi estrema, nella prima fase, corrispondente agli anni dal 2011 al 2013, è prevista la devoluzione ai comuni relativamente agli immobili ubicati nella loro territorio di: 1) 30 per cento del gettito derivante dalle imposte relative ai trasferimenti immobiliari; 2) del gettito IRPEF relativo ai redditi fondiari, escluso il reddito agrario e l'imposta di registro e di bollo sui contratti di locazione; 3) di parte del gettito derivante dalla cedolare secca sugli affitti; 4) di una compartecipazione al gettito IVA.
Nella seconda fase, che parte nell'anno finanziario 2014 inoltre, saranno introdotte nell'ordinamento fiscale due nuove forme di tributi propri dei comuni, in sostituzione di tributi esistenti: un'imposta municipale propria sulla proprietà immobiliare destinata, ferma restando l'esenzione sulla prima casa, a ricomprendere l'attuale ICI, nonché l'IRPEF con le proprie addizionali relative ai redditi fondiari derivanti da immobili non locali e un'imposta municipale secondaria su occupazione di beni demaniali o del patrimonio indisponibile, anche a fini pubblicitari. Resta ferma, anche a regime, la disciplina della cedolare secca sugli affitti.
Infondata è l'affermazione che il federalismo fiscale determinerà un aumento delle tasse locali: nessuna ulteriore imposizione viene introdotta per effetto del decreto. La realtà è un'altra: l'addizionale comunale all'IRPEF di cui il decreto sul fisco comunale dispone semplicemente lo sblocco graduale dello 0,2 per cento, è stata introdotta nel 1998 dal primo Governo Prodi, con l'aliquota dello 0,5 per cento e poi portata, con la finanziaria per l'anno 2007 allo 0,8 per cento dal secondo Governo Prodi. Oggi qualcuno dice di volerla abolire, ma è quel qualcuno che l'ha creata e addirittura l'ha incrementata. Lo stesso vale per l'imposta di scopo, anch'essa introdotta dalla legge finanziaria per il 2007, tassa che viene restituita se l'opera pubblica che è destinata a finanziare non viene iniziata entro due anni.
L'introduzione dell'imposta di soggiorno non è da ascrivere al decreto sul fisco comunale, ma, in realtà, alla riforma costituzionale del 2001 che, modificando gli articoli 117 e 119 della Costituzione, ha di fatto abilitato ogni regione a stabilirla. Lo prova la sentenza n. 102 del 2008, con cui la Corte costituzionale ha dovuto riconoscere la legittimità dell'imposta di soggiorno introdotta, peraltro a carico solo dei non sardi, dalla regione Sardegna.
Il decreto sul fisco comunale, disciplinando l'imposta di soggiorno, ha quindi un effetto calmierante delle potenzialità che, in astratto, la Costituzione assegna alle regioni e che, in assenza del decreto statale, potrebbero intervenire con propria legge su quella base imponibile libera e stabilire, ciascuna in favore dei propri comuni, un'imposta di soggiorno ben più pesante, perché, magari, rivolta ai non residenti nella regione e, quindi, non pagata dai propri elettori.
Il decreto sul fisco comunale, invece, riduce le imposte. Le imposizioni sui redditi da affitto passano al 19 e al 21 per cento, rispetto ad un'aliquota che oggi può superare il 40 per cento. Le imposte complessive sui trasferimenti immobiliari vengono significativamente ridotte: un punto percentuale di aliquota, che corrisponde ad una riduzione del 10 per cento per gli immobili non prima casa, e di oltre il 30 per cento nei casi di immobili destinati a prima abitazione.
L'aliquota della nuova imposta municipale propria (IMU), che sostituisce l'ICE e l'IRPEF fondiaria - sottolineo anche l'IRPEF, perché qualcuno sostiene che abbiamo aumentato l'ICI, ma dimentica di dire che, in futuro, non si pagherà più l'IRPEF fondiaria - è un'aliquota di equilibrio rispetto alle imposte che accorpa e, quindi, è «a saldo zero» per la pressione fiscale complessiva. Il comune, infatti, ha Pag. 4la possibilità di variare in aumento o in diminuzione dello 0,3 per cento l'aliquota dell'IMU.
Se il comune mantiene l'aliquota allo 0,76 per cento stabilita dal decreto, vi sono importanti risparmi. Ad esempio, per un bilocale tenuto sfitto in una grande città, di 65 metri quadrati, categoria catastale A2 e rendita catastale di 672 euro, il risparmio fiscale va da 138 a 312 euro l'anno, a seconda dello scaglione di reddito in cui rientra il proprietario. Nel caso in cui sia affittato con un canone di 800 euro al mese, grazie alla cedolare al 21 per cento, il proprietario risparmia da 162 a 1.794 euro l'anno. E anche l'inquilino ha un guadagno, perché non dovrà più subire l'adeguamento ISTAT del canone.
È importante precisare che, nella facoltà del comune, si prevede la riduzione dell'IMU fino alla metà per gli immobili produttivi e per quelli soggetti all'IRES. In questo modo, anche le imprese commerciali e tutti i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società non avranno un aggravio ma, anzi, un risparmio. Per dirlo in modo chiaro rispetto alle false voci che parlavano di imposta patrimoniale, se i comuni dovessero esercitare questa facoltà, le imprese pagherebbero circa la metà di ciò che pagano oggi.
In altri termini, il comune è libero di decidere se far pagare meno rispetto all'attuale situazione i proprietari di seconde case e qualcosa in più alle imprese, o solo a certe categorie di imprese, ovvero far pagare uguale, come oggi a tutti, ovvero far pagare alle imprese circa la metà di ciò che pagano oggi usando la possibilità di dimezzare l'IMU, ovvero far pagare di meno tutti usando al massimo ribasso la facoltà di manovra sull'IMU, realizzando un risparmio.
In questo ventaglio di possibilità, rimesso all'autonomia impositiva dei comuni, si gioca la partita del federalismo fiscale che, in un quadro perlomeno di garantita invarianza della pressione fiscale complessiva, avvicina i governanti ai governati, permettendo il controllo dei secondi sui primi in merito al trade off tra quanto si paga in imposte e i servizi che si ricevono.
Un altro aspetto fondamentale della riforma è che i comuni saranno responsabilizzati in modo nuovo ed efficace nella lotta all'evasione fiscale: avranno accesso all'anagrafe tributaria, al catasto elettronico e ad altre informazioni utili a far emergere le evasioni sugli immobili; tratteranno da subito il 50 per cento dell'extragettito prodotto. Con i risultati dell'evasione fiscale potremo costruire asili, scuole ed altro. Lo stesso vale per le cosiddette case fantasma, cioè gli immobili mai accatastati. Facciamo due esempi. Moltissimi immobili, in modo disinvolto, sono stati trasformati in prima abitazione grazie alle cosiddette assimilazioni, consentendo così al proprietario di non pagare le dovute tasse sulle seconde case.
Un immobile così assimilato a prima casa che dovesse avere, in base alla banca dati e alla possibilità di visualizzare le utenze, i contatori che girano per brevi periodi dell'anno tornerà ad essere seconda casa e quindi a pagare le relative imposte. Ovvero, gli immobili che oggi dal punto di vista fiscale risultano fissi e che dovessero invece risultare con i contatori in funzione tutto l'anno, dovranno essere oggetto di contratti di locazione, generando entrate fiscali conseguenti.
Chiarita in questi termini, si comprende come si tratti di una riforma di sistema destinata a durare negli anni, ben al di là delle contingenze politiche. Per questo il Governo ha inteso assicurare, nell'esercizio della delega, un continuo dialogo con le autonomie e con tutte le forze politiche accogliendo, nei limiti del possibile, richieste, suggerimenti e correzioni. Si tratta del metodo del dialogo e del confronto in Parlamento e nei rapporti con i comuni.
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 9 febbraio scorso il Governo ha deliberato una nuova trasmissione al Parlamento del testo con modificazioni dello schema del decreto legislativo sulla base Pag. 5dell'articolo 2, comma 4, della legge 5 maggio 2009 n. 42 unitamente alle proprie osservazioni in merito.
Il testo dimostra che l'approccio del Governo nel corso dell'esame parlamentare dell'atto n. 292 recante lo schema del decreto preliminarmente approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 4 agosto 2010, si è caratterizzato per la massima apertura nei riguardi dei positivi contributi via via proposti da ogni forza politica, di maggioranza come di opposizione. Il dibattito parlamentare è stato infatti ampio, approfondito e aperto e ha visto l'accoglimento non soltanto di molte delle numerose proposte avanzate da esponenti dei gruppi d'opposizione, ma anche di molte istanze rappresentate dalle autonomie locali.
L'esame parlamentare è infatti iniziato al termine del confronto nella sede della Conferenza unificata e si è protratto complessivamente dal 9 novembre 2010 fino al 3 febbraio 2011. Il termine per la conclusione dell'esame parlamentare sarebbe già scaduto il 28 febbraio scorso, a seguito della proroga di 20 giorni ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge n. 42 del 2009. Il Governo tuttavia ha liberamente deciso di soddisfare la richiesta avanzata di assecondare un supplemento ulteriore di esame pur avendo, in base alla delega, piena facoltà di procedere comunque alla deliberazione finale anche in assenza dei pareri parlamentari.
L'esame parlamentare si è svolto sia in seno alla Commissione indicata dalla legge n. 42 del 2009, sia in seno ad altre cinque Commissioni parlamentari che hanno espresso cinque pareri favorevoli e trasmesso rilievi alla Commissione bicamerale. In particolare, l'esame si è articolato attraverso dieci sedute della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale che si sono particolarmente intensificate nell'ultima e decisiva fase, per un totale di quasi venticinque ore di dibattito.
Si sono svolte inoltre dieci sedute della Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, per un totale di quasi quattro ore, e undici sedute della Commissione programmazione economica e bilancio del Senato della Repubblica, per un totale di oltre sei ore. Infine, per quanto riguarda le altre Commissioni, si contano trentasette sedute complessive, per un totale di quasi undici ore di dibattito.
Si sono svolte inoltre ventuno audizioni di tecnici delle amministrazioni, docenti universitari ed altri esperti e rappresentanze particolarmente qualificate di interessi. A tali approfondimenti istruttori sono state dedicate complessivamente quasi nove ore.
Da questo esame che, come si vede, è stato assai lungo e approfondito sono emerse numerose proposte di modificazione al testo dello schema del decreto. Il Governo ha ritenuto di scorgere spesso in esse contributi effettivamente migliorativi al punto da accoglierle in gran parte facendole proprie nel corso dell'esame. Su questa base il relatore nella Commissione bicamerale, l'onorevole La Loggia, ha presentato una propria proposta di parere in versioni che via via recepivano le diverse proposte di modificazione fino al testo da ultimo depositato al termine della seduta della Commissione del 2 febbraio scorso. Tali proposte di modificazione sono state elaborate insieme alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale per essere poi integralmente fatte proprie dalla Commissione programmazione economica e bilancio del Senato della Repubblica il cui parere, reso la mattina del 3 febbraio 2011, è stato poi recepito nel testo deliberato dal Consiglio dei ministri nella riunione dello scorso 9 febbraio. Successivamente, al termine dell'esame in sede di Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale la proposta di parere del relatore, l'onorevole La Loggia, unica posta in votazione, è risultata respinta.
Infine, la Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, sulla base dell'esito dell'esame in Commissione bicamerale, ha convenuto unanimemente di soprassedere all'espressione del parere. Il frutto del dialogo e del confronto parlamentare è ulteriormente Pag. 6indicato nelle osservazioni che accompagnano il testo nuovamente trasmesso dal Governo al Parlamento. A tale proposito vorrei sottolineare che, dei complessivi 70 commi di cui si compone ora il decreto, che si articola in 14 articoli, quelli comunque incisi da modifiche originate da proposte dei gruppi parlamentari nella Commissione bicamerale, con forte prevalenza di quelle dell'opposizione, sono ben 12, e generalmente di gran rilievo. Addirittura 22 sono, comunque, i commi del tutto identici ai corrispondenti commi della proposta di parere alternativa depositata, da ultimo, lo scorso 1o febbraio dall'altro relatore, senatore Barbolini.
L'importanza che il federalismo fiscale municipale avrà sulle relazioni tra le istituzioni coinvolte e sulla vita quotidiana dei cittadini ha suggerito al Governo l'adozione di un metodo concertato e connotato dalla massima disponibilità al dialogo, anche nei riguardi degli stessi comuni. Oltre dunque il confronto nelle sedi delle Commissioni parlamentari il Governo ha continuato ad avere un dialogo serrato con l'Associazione nazionale dei comuni italiani, che si è concretizzato in non meno di dieci riunioni a livello tecnico-politico con le rappresentanze locali. Numerose proposte di modificazione cui i comuni si sono dichiarati favorevoli sono così state fatte proprie dal Governo, e sono via via confluite nella proposta del parere del presidente La Loggia. I commi comunque incisi da modifiche originate da proposte dell'ANCI sono infatti ben 16. Quindi, 50 dei 70 commi sono stati costruiti con il contributo di tutti (12 di iniziativa parlamentare, 16 dei comuni e 22 i commi e le osservazioni identiche fra maggioranza e opposizione).
Vediamo ora i pilastri del federalismo fiscale municipale. Le principali innovazioni rispetto al testo dello schema dello scorso agosto, sulle quali dunque si è verificato una positiva convergenza tra il Governo e la sua maggioranza in seno alle Commissioni, i gruppi di opposizione e i comuni, attengono a pressoché tutti i profili maggiormente significativi dell'impianto del federalismo municipale.
In proposito è bene sottolineare ancora che l'intero sistema del federalismo fiscale che sta gradualmente prendendo forma, non soltanto sul versante municipale, si regge fondamentalmente su due pilastri. Il primo pilastro è il processo di fiscalizzazione, ossia di trasformazione della gran parte degli attuali flussi di finanza derivata in strumenti di autentica autonomia tributaria a disposizione degli enti territoriali nelle forme dei tributi propri, dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali e regionali.
Ridefinire un sistema fiscale complesso e stratificato come quello italiano è anche un'ottima occasione per imprimere una svolta nel senso della semplificazione. Il decreto sul federalismo municipale riduce a 10 ben 18 delle attuali forme impositive comunali.
Il secondo pilastro è la garanzia della perequazione, necessaria per limitare, per i territori con minore capacità fiscale, le disparità che in tutti i sistemi di finanza decentrata risultano connesse all'esercizio dell'autonomia tributaria, perché, come ho detto al Senato, ripeto che il federalismo è fatto per unire e non per dividere.
La perequazione è pensata come strumento necessario per garantire l'esercizio delle funzioni fondamentali. L'aspetto rivoluzionario del federalismo fiscale è che si stabilisce finalmente che i flussi finanziari perequativi non avranno più, per ciascun ente territoriale destinatario, una consistenza ricavata dal criterio della spesa storica, paradossalmente sperequativo verso chi era stato maggiormente efficiente. Il passaggio al criterio virtuoso dei fabbisogni standard segnerà la fine delle gestioni finanziarie talvolta dissennate che sono note a tutti.
Per ciascun ente si conoscerà l'entità della spesa pubblica necessaria per garantire l'esercizio delle funzioni fondamentali e si potranno fornire modelli di gestione efficaci ed efficienti. L'architrave del federalismo fiscale, sostenuto da questi pilastri, è, in ultima analisi, un sensibile rafforzamento del legame tra responsabilità finanziaria e responsabilità politica Pag. 7degli amministratori di ciascun livello di Governo. Questo legame, peraltro, sarà rafforzato grazie ai meccanismi premiali e sanzionatori previsti da un distinto decreto legislativo in corso di esame.
Passiamo dunque in rassegna, attraverso i criteri di analisi appena ricordati, le modificazioni al testo dello schema approvato lo scorso agosto accolte dal Governo.
Per quanto riguarda le modificazioni concernenti l'autonomia tributaria, esse sono riferite alla fase transitoria. Si tratta, in primo luogo, dell'introduzione di una compartecipazione al gettito dell'imposta sul valore aggiunto pari al 2 per cento del gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, nonché della previsione di modalità che consentano di rideterminare, concordemente con la Conferenza Stato-città, le quote delle devoluzioni del gettito della compartecipazione all'IVA.
Quest'ultima precisazione è stata in particolare richiesta dall'ANCI e si inscrive in un modello collaborativo di relazioni finanziarie che il Governo intende valorizzare. La modificazione, inoltre, riprende al tempo stesso sia una proposta emendativa avanzata dal presidente Baldassarri, sia quanto contenuto nella proposta di parere del senatore Barbolini. Inoltre, si è provveduto ad estendere anche all'anno 2012 la garanzia per i comuni dell'attribuzione di un ammontare di risorse pari ai trasferimenti soppressi sulla base di precise richieste avanzate dall'ANCI.
Sul versante, infine, dell'autonomia tariffaria, si prevede ora, sempre su richiesta dell'ANCI, che, sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi pertinenti alla gestione dei rifiuti solidi urbani che il Governo conta di predisporre quanto prima, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali relativi sia alla cosiddetta Tarsu, istituita nel 1993, sia alla tariffa di igiene ambientale prevista dal cosiddetto decreto Ronchi del 1997. Resta ferma, inoltre, anche la facoltà per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale istituita dall'articolo 238 del testo unico dell'ambiente.
Quanto alle modificazioni riferite sia alla fase transitoria, sia a quella a regime, alcune interessano la fiscalità riferita al patrimonio immobiliare sito nel territorio di ciascun comune. Il testo originario prevedeva una compartecipazione statale al gettito dei tributi della fiscalità immobiliare municipale. Essa è stata eliminata e al suo posto si attribuirà ai comuni una quota del gettito derivante dai tributi della fiscalità immobiliare municipale riferiti alle ipotesi di trasferimento (imposta del registro e di bollo, imposta ipotecaria e catastale non relativa agli atti soggetti ad imposta sul valore aggiunto, tributi speciali catastali e tasse ipotecarie).
Inoltre, per rendere più certe e stabili sin da subito le disponibilità finanziarie dei comuni, si è provveduto a determinare già nel decreto legislativo la quota del gettito a questi devoluto derivante dall'applicazione della cedolare secca sugli affitti, fissata al 21,7 per cento per l'anno finanziario 2011 e al 21,6 per cento per i seguenti, e sempre suscettibile di rideterminazione con la garanzia di modalità condivise con le autonomie.
Lo schema di decreto consente che, a partire dal 2014, il gettito della cedolare secca sugli affitti possa essere devoluto interamente ai comuni, con corrispondente riduzione della quota di compartecipazione al gettito dei tributi per il caso di trasferimento immobiliare o anche, se occorre, della quota relativa al gettito IVA. È quello il nostro obiettivo: due grandi tributi affidati ai comuni e poco o niente compartecipazioni. Questo sistema realizzerà un vero federalismo fiscale.
Ancora in riferimento alla cedolare secca sugli affitti, si è prevista una riformulazione delle aliquote con il passaggio dalla misura unitaria del 20 per cento al 19 per cento per i contratti agevolati e al 21 per cento per gli altri contratti. Inoltre, è stata introdotta la garanzia per il conduttore che sia sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell'opzione in favore della cedolare secca sugli affitti, la facoltà del locatore di chiedere l'adeguamento ISTAT del canone annuo o altri aggiornamenti previsti a qualsiasi titolo. In Pag. 8questo modo, anche l'inquilino avrà interesse alla regolarizzazione fiscale del rapporto giuridico che lo lega al locatore, così da rafforzare ulteriormente la lotta all'evasione.
Inoltre, a garanzia dei comuni e su loro esplicita richiesta, sono ora previste modalità che consentono di rideterminare, concordemente con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, le quote delle devoluzioni del gettito della fiscalità immobiliare (articolo 2, commi 8 e 9) e dell'imposta municipale propria (articolo 8, comma 5), mentre, per quanto riguarda tutti i tributi devoluti ai comuni, è previsto che le variazioni annuali del gettito rimangano assoggettate al principio di territorialità e non determinino modificazioni delle quote del gettito oggetto delle anzidette devoluzioni.
In questo modo si garantisce che una dinamica positiva delle basi imponibili, che è ragionevole attendersi negli anni a venire quando la crisi economica e finanziaria sarà alle spalle, rimarrà a vantaggio dei comuni.
In secondo luogo, tra le maggiori novità introdotte durante l'esame parlamentare in ordine all'autonomia tributaria di entrambi le fasi, transitoria e a regime, vi è la previsione della facoltà per numerosi comuni (i capoluoghi di provincia, quelli inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte, ma anche l'unione di comuni) di istituire un'imposta di soggiorno. I turisti pagheranno tale imposta insieme al corrispettivo dovuto alla struttura ricettiva in cui alloggeranno, in misura proporzionale al prezzo e fino a un massimo di 5 euro per notte. Di particolare interesse è il vincolo per i comuni percettori ad impiegare il gettito dell'imposta di soggiorno per interventi in materia di turismo, di beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali.
È inoltre prevista una revisione dell'imposta di scopo, già prevista dall'articolo 1, comma 145, della legge finanziaria per l'anno 2007. La razionalizzazione, in particolare, è intesa a eliminare gli elementi di criticità che ne hanno causato uno scarso successo. Infine, è prevista una parziale sospensione del blocco dell'addizionale comunale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, introdotto nel luglio del 2008 ai fini di coordinamento della finanza pubblica.
I comuni riacquistano così la facoltà di introdurre o modificare l'aliquota dell'addizionale comunale all'IRPEF. Tale sblocco, nei limiti dello 0,2 per cento annuo, è molto significativo non soltanto perché soddisfa una delle principali richieste avanzate dagli stessi comuni, ma soprattutto perché conferisce loro un incremento del tasso di autonomia tributaria. In questa chiave si spiega anche la scelta di riferire lo sblocco soltanto ai comuni la cui addizionale IRPEF non sia già attestata su un'aliquota superiore allo 0,4 per cento, che corrisponde all'attuale media nazionale. Questo consente di correggere un paradosso che viveva fino ad oggi, per cui i comuni «spreconi» avevano l'addizionale IRPEF al massimo e i comuni virtuosi, che l'avevano sempre tenuta a zero o bassissima, erano stati impossibilitati dal poterla applicare e quindi, come si suol dire, «cornuti e mazziati» (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Con riguardo alle modificazioni riferite alla sola fase a regime, si tratta innanzitutto dell'eliminazione dal testo dello schema preliminare della compartecipazione statale al gettito dell'imposta municipale propria sul possesso, nonché della natura facoltativa dell'imposta municipale secondaria. Inoltre, è stata eliminata dal paniere delle nuove entrate proprie comunali l'imposta sul trasferimento immobiliare, che era originariamente prevista come imposta autonoma nell'ambito dell'imposta municipale propria.
Sempre in merito all'imposta municipale propria, su richiesta dei comuni, ne è ora determinata già nel decreto legislativo l'aliquota, fissata nella misura dello 0,76 per cento o dello 0,38 per cento in caso di immobili locati. Si tratta di un'aliquota di equilibrio rispetto alle imposte che accorpa e quindi non determina alcun aumento della pressione fiscale per il contribuente anzi, se il comune mantiene Pag. 9un'aliquota allo 0,76 per cento, si potrebbero verificare, come si è già esposto in apertura, importanti risparmi.
Il testo del decreto legislativo continua a prevedere la facoltà di modificazione dell'aliquota praticabile con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Prevede poi la facoltà per ciascun comune di deliberare aumenti o diminuzioni dell'aliquota, fissati ora a un massimo di 0,2 punti percentuali per gli immobili locati e di 0,3 punti percentuali per gli altri.
Inoltre, i comuni potranno abbassare fino alla metà l'aliquota applicabile a tutte le imprese commerciali e a tutti i soggetti IRES, così da incentivare la localizzazione delle imprese nel proprio territorio.
L'assetto così impartito all'imposta municipale propria è stato in buona parte condiviso dall'ANCI, coniuga certezza e flessibilità e valorizza comunque l'autonomia di ciascun comune nel finanziamento delle politiche pubbliche che ciascuno di essi voglia determinare.
Infine, per gli atti soggetti ad imposta di registro in caso di trasferimento immobiliare è ora prevista l'esenzione dell'imposta di bollo, delle imposte ipotecarie e catastali, dei tributi speciali catastali e delle tasse ipotecarie, con contestuale soppressione delle vigenti esenzioni e agevolazioni.
Con riguardo alle modificazioni concernenti la perequazione secondo i fabbisogni standard, ricordo che in merito al secondo pilastro, ovvero con riferimento alla fase transitoria, sono state perfezionate le modalità di ripartizione delle risorse che confluiscono nel Fondo sperimentale di riequilibrio. È stato valorizzato il criterio demografico, con la garanzia in favore dei comuni minori e la previsione di misure premiali in favore dei comuni che esercitano in forma associata le funzioni fondamentali, secondo la manovra finanziaria estiva del 2010. È probabile che senza un premio o un'esenzione l'esercizio nei comuni piccoli di tali funzioni fondamentali in forma associata non si sarebbe mai realizzata. Con la misura premiale forse - e per la prima volta - vedremo svolgere in forma associata le funzioni fondamentali da parte dei piccoli comuni.
Per la fase a regime con l'accoglimento di una rilevante proposta modificativa avanzata dal maggior gruppo di opposizione è stata introdotta l'istituzione, nel bilancio dello Stato, di un Fondo perequativo, con l'indicazione separata degli stanziamenti per i comuni e degli stanziamenti per le province nonché, per quanto riguarda i comuni, con l'articolazione in due componenti, ossia le funzioni fondamentali e le funzioni non fondamentali. Le modalità di alimentazione e riparto saranno definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la conferenza Stato-città e autonomie locali, in conformità con l'articolo 13 della legge n. 42 del 2009. Va ricordato che un più definito e dettagliato assetto del Fondo perequativo per la fase a regime era stato esplicitamente richiesto da parte dell'ANCI.
Veniamo ora alle principali modificazioni concernenti la responsabilizzazione degli amministratori locali. Passando alle modificazioni relative ai contrafforti innalzati per incrementare l'autonomia tributaria, nonché la fusione tra la responsabilità finanziaria e politica degli amministratori locali, ricordo che i comuni saranno maggiormente integrati nell'azione di contrasto all'evasione fiscale. Pretendere che un efficace contrasto all'evasione fiscale possa essere perseguito soltanto con l'azione dello Stato è pura illusione. Non basta, infatti, che una parte del gettito evaso e recuperato sia assegnato ai comuni che si siano adoperati nella lotta all'evasione, ma occorre anche fornire alle comunità più vicine al cittadino - innanzitutto i comuni - gli strumenti necessari perché possano contribuire fattivamente alla lotta all'evasione.
A tal fine, lo schema di decreto legislativo prevede ora che il sistema informativo della fiscalità assicuri sempre l'interscambio dei dati relativi all'effettivo utilizzo degli immobili, con particolare riferimento alle risultanze catastali, alle Pag. 10dichiarazioni presentate dai contribuenti, ai contratti di locazione e ai contratti di somministrazione delle cosiddette utenze domestiche. Gli episodi di collaborazione tra taluni comuni e l'Agenzia delle entrate hanno già condotto a risultati eclatanti, portando alla luce, ad esempio, il caso di un soggetto che, pur essendo proprietario di ben otto immobili, non presentava alcuna dichiarazione dei redditi.
In ogni caso, vorrei ricordare che, da una parte, lo schema di decreto legislativo porta dal 33 al 50 per cento la quota assegnata fin da subito ai comuni del gettito evaso e recuperato grazie anche alla loro collaborazione e, dall'altra, che fin dalla prima versione del testo si è assicurata a ciascun comune interessato l'attribuzione del maggior gettito derivante dall'accatastamento degli immobili fantasma, ossia di quegli immobili che alla data di entrata in vigore del decreto legislativo non saranno stati ancora denunciati al catasto (stiamo parlando di circa due milioni di immobili).
Inoltre, lo schema di decreto legislativo prevede ora una nuova definizione maggiormente rispettosa del dettato degli statuti di autonomia delle regioni a statuto speciale, nei limiti in cui il federalismo fiscale e municipale sia, nella fase transitoria e in quella a regime, applicazione nei rispettivi territori. Prevede, infine, che in ogni caso dall'attuazione del federalismo fiscale non possa derivare, neanche nella fase transitoria, alcun aumento del prelievo fiscale complessivo a carico dei contribuenti.
Vi è, da ultimo, la necessità di una sollecita approvazione definitiva del federalismo municipale.
Devono essere richiamati, infine, due ulteriori elementi: in primo luogo, il coordinamento nell'attuazione e, in secondo luogo, la tempistica. Sul primo aspetto, il Governo preannuncia che dovrà essere assicurato il coerente allineamento dei termini previsti dallo schema di decreto legislativo rispetto ai successivi interventi del legislatore. Mi riferisco, in particolare, al differimento al 30 aprile 2011, previsto dal decreto-legge n. 225 del 2010 - il cosiddetto milleproroghe, nel testo modificato dal Senato -, del termine per gli adempimenti relativi alla presentazione delle dichiarazioni degli immobili non registrati in catasto. Di conseguenza, dovrà essere adeguato al 1o maggio 2011 il termine di decorrenza per l'applicazione delle connesse sanzioni (articolo 2, comma 12, dello schema di decreto legislativo).
Inoltre, il Governo si impegna fin da ora a garantire che la determinazione dei gettiti su basi territoriali sia realizzata, con particolare riguardo all'IVA, secondo un progressivo adeguamento delle capacità amministrative e gestionali.
Vorrei esplicitare ulteriormente questo passaggio, anche per fugare qualsiasi dubbio a fronte di recenti polemiche: l'adeguamento delle capacità amministrative non potrà che essere graduale. Fin dalla prima fase occorrerà evidentemente acquisire dati e informazioni per poter pervenire all'assegnazione del gettito dell'imposta sul valore aggiunto per provincia, per poi procedere alla successiva assegnazione ai comuni in base alla rispettiva popolazione.
Fintanto che questi dati non saranno disponibili, l'assegnazione del gettito dell'imposta sul valore aggiunto per ogni comune potrà avere luogo sulla base del gettito delle imposte per regione, suddiviso per il numero di abitanti di ciascun comune.
Quanto ai tempi non può essere trascurato un ulteriore elemento che riguarda l'entrata in vigore della riforma. I comuni attendono da tempo il federalismo fiscale municipale e ne hanno bisogno per poter presentare i rispettivi bilanci preventivi relativi all'anno finanziario 2011. Il termine del 31 dicembre scorso, previsto dal Testo unico degli enti locali, è già stato prorogato, secondo le procedure previste, al 31 marzo 2011, ma è chiaro che è assolutamente necessario che le ulteriori proroghe che dovessero rendersi necessarie, benché giuridicamente fattibili, debbano essere evitate o comunque limitate.
I comuni devono avere certezza sia delle risorse disponibili, sia dei relativi tempi. A questo fine già nel maxiemendamento Pag. 11al cosiddetto decreto-legge milleproroghe di fine anno si è reso necessario prevedere che, entro il prossimo mese di marzo, il Ministro dell'interno corrisponda ai comuni e alle regioni ordinarie un acconto pari a quanto trasferito nel primo trimestre del 2010 degli introiti che spetteranno loro sulla base del federalismo municipale. Dare ai comuni certezze su risorse e tempi è un esercizio di responsabilità per il Governo e per il Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
È iscritto a parlare l'onorevole Nicco, al quale ricordo che ha 3 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor Ministro, colgo l'occasione di questa discussione per ribadire nei tre minuti che mi sono concessi qualche considerazione di ordine generale su quel federalismo, di cui questo decreto dovrebbe rappresentare - lei ha detto - un passaggio epocale.
La regione Valle d'Aosta, che qui rappresento, è - e non da oggi - tra i fautori convinti della trasformazione federalista dell'Italia. Lo è seguendo l'insegnamento dei padri fondatori della sua autonomia che, sin dagli anni Trenta del secolo scorso, in un'Italia fascista e monarchica, già si battevano per una repubblica federale e che, con la dichiarazione di Chivasso dei rappresentanti delle popolazioni alpine del dicembre 1943, avanzavano precise proposte di trasformazione dell'Italia in uno Stato federale, sulla scia di quel federalismo ipotizzato da Cattaneo e Ferrari sin dall'unificazione italiana, in quanto più confacente alla realtà regionale italiana.
Dunque, signor Ministro, lei trova in noi degli alleati se effettivamente intende operare in questa direzione. Ma è su questo punto che non posso non rinnovare tutte le nostre perplessità: dubitiamo seriamente che la strada imboccata a partire dalla legge n. 42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale, con i decreti attuativi sul demanio e la fiscalità municipale, porti effettivamente alla trasformazione dell'Italia in uno Stato federale. Senza affrontare il nodo centrale e politico della questione, ovvero l'istituzione di una Camera delle regioni, il processo è irrimediabilmente monco e acefalo e su questo terreno purtroppo nessun passo è stato compiuto negli ormai quasi tre anni di questa legislatura.
Su questo aspetto le chiediamo di agire, signor Ministro: l'istituzione di una Camera delle regioni, cui spetterà in primis definire le competenze tra i differenti livelli di governo per porre fine all'assurda conflittualità attuale, con reciproci ricorsi alla Corte costituzionale e, conseguentemente, proprio sulla base delle competenze, rimettere poi mano alla parte fiscale, passando dalla finanza derivata alla finanza autonoma e alla responsabilizzazione degli amministratori.
Questo è, secondo noi, il vero passaggio epocale: la Camera delle regioni e, per noi regioni a statuto speciale e province autonome, nello stesso tempo, l'intesa Stato-regioni per la modificazione degli statuti.
Se il federalismo è «foedus», patto, gli statuti devono essere modificabili solo in accordo con i consigli, non con il semplice parere oggi previsto. Ma anche su questo, signor Ministro, nessun passo è stato compiuto in questi tre anni e le nostre iniziative legislative giacciono nei cassetti della I Commissione.
Dunque, se e quando lei porterà in quest'Aula proposte concrete su questi temi, troverà certamente il nostro pieno appoggio (Applausi di deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà, per 10 minuti.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, farò qualche riflessione su questo provvedimento Pag. 12- dopo aver ascoltato il Ministro Calderoli - lasciando approfondire dai colleghi del mio gruppo, Ria e Ciccanti, anche gli argomenti ed i temi che sono ormai da parecchio tempo all'attenzione di quest'Aula e del Paese.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 10,52)

MARIO TASSONE. Il Ministro Calderoli ha fatto un lungo excursus storico su questo provvedimento, tentando di evidenziare i passaggi più significativi e più importanti; tuttavia, rischiamo di svolgere delle riflessioni monche, non complete.
Vorrei chiedere al Ministro Calderoli, se fosse in Aula: stiamo parlando di una manovra - come lui diceva - di semplificazione, con la quale riduciamo le tasse da diciotto a dieci? È, quindi, una manovra di aggiustamento dell'articolazione impositiva dei comuni all'interno del nostro Paese? Se è soltanto questo, evidentemente, o ci siamo sbagliati noi o si è sbagliato qualcuno ad enfatizzare questo provvedimento sul federalismo fiscale, sia quando abbiamo discusso ed esaminato la legge 5 maggio 2009, n. 42, sia adesso con i decreti attuativi.
Non si tratta, dunque, solo di passare dalla finanza derivata a quella dell'autonomia, perché il ragionamento del Ministro Calderoli è semplice. Parlo di Calderoli ma posso parlare ovviamente di tutti i componenti del Governo. C'è una confusione impositiva e c'è una sofferenza da parte dei comuni: benissimo, diamo la possibilità autonoma ai comuni di imporre alcune imposte e tasse e di gestire in tal modo il proprio futuro rispetto ai servizi essenziali che si intendono portare avanti. Il Ministro Calderoli dice, inoltre, che andiamo verso l'area della responsabilità, ognuno viene ad essere responsabilizzato e, quindi, certamente c'è una nuova visione delle regioni e dei comuni.
Posto in questa maniera - quindi anche con il riferimento all'ICI, alla prima casa, alle altre imposte che riguardano gli immobili, agli affitti, al discorso fatto sull'IRPEF e sull'IVA - non c'è dubbio che è un ragionamento molto semplice e, per alcuni versi, anche comprensibile, ma le cose non stanno così.
Intanto, non sappiamo cosa fanno nel nostro Paese regioni, province e comuni e quali servizi debbono svolgere. C'è una grande confusione e - tanto per venir fuori anche dalle valutazioni che facciamo in questi giorni - in questo provvedimento, come abbiamo detto più volte, c'è anche il tentativo - neanche nascosto - di disegnare una nuova articolazione all'interno del nostro Paese e, con grande chiarezza, di impoverire le regioni già povere e di stabilizzare le regioni già floride o, quantomeno, non economicamente depresse.
Viene meno un principio di solidarietà, ma rispetto al nostro Paese viene meno una politica in termini di unitarietà.
In questi giorni e in queste ore stiamo leggendo i commenti di alcuni giornalisti e di alcuni uomini di cultura relativi a tutta la problematica che riguarda il Mezzogiorno. Se dovessimo fare la storia degli impoverimenti e delle situazioni dirompenti e laceranti che ci sono state nel tempo, proprio adesso che condividiamo e celebriamo l'unità d'Italia, certamente vedremmo in un'ottica diversa anche tutti i temi e i problemi che riguardano il nostro Paese.
Ma l'interrogativo che vogliamo porre e che ci poniamo con forza in questo particolare momento non riguarda un punto in più o in meno né la trattativa che il Ministro Calderoli, prima della legge n. 42 del 2009, ha svolto con tutte le regioni o con l'ANCI. Ovviamente l'ANCI sa e il Ministro Calderoli sa - anche se l'ha smentito - che questo provvedimento porta di fatto ad un aumento di capacità impositiva dei comuni, pone di fatto una pressione fiscale nei confronti dei cittadini, pone di fatto un disagio enorme nei confronti dei cittadini, soprattutto delle aree più deboli, pone di fatto una dirompente disunità all'interno del nostro Paese, perché il processo è questo. Pag. 13
Che significa parlare di federalismo fiscale e poi andare avanti verso un disegno certamente diversificato e diverso che dovrebbe essere invece patrimonio della nostra cultura e della nostra civiltà attraverso politiche più attente?
Avrei capito anche provvedimenti di questo genere, se fossero stati accompagnati da strategie delle infrastrutture, da strategie di interventi e da politiche nazionali. Ma ci sono diverse politiche ormai. C'è una diversa politica in economia, con le aree che si configurerebbero nell'area della Padania attratte dal centro Europa e dai mercati dell'est Europa, quindi con una divisione di fatto tra il nord e sud. La politica del Mediterraneo viene ad essere abbandonata a se stessa.
C'è sempre un tasso di ipocrisia in quest'Aula quando parliamo della Libia, dei drammi del Mediterraneo e dei drammi che coinvolgono le nazioni rivierasche dell'area del Mediterraneo. Poi auspichiamo in termini trionfalistici, anche in questo caso stantii ed ipocriti, una capacità del nostro Paese di essere un ponte tra il Mediterraneo e l'Europa, quando stiamo spezzando questo ponte.
Auspichiamo poi il ponte sullo stretto di Messina, senza accompagnarlo con una politica economica e infrastrutturale degna di questo nome, che dia senso e significato anche a queste grandi opere di grande ingegneria, che noi non respingiamo, ma che devono essere inserite in un progetto molto più ampio.
Se oggi celebriamo l'unità d'Italia, certamente lo facciamo con la massima disattenzione e con la massima disunità, perché in quest'Aula nessuno parla di queste cose con grande attenzione. Ma che significa parlare di federalismo fiscale e di unità d'Italia quando poi ci sono Ministri che non accettano di celebrare l'unità d'Italia come dovrebbe essere celebrata?
Dunque, c'è la risposta e anche la chiave di volta di questo provvedimento sul federalismo fiscale. Se fosse stato - lo ripeto - semplicemente un aggiustamento di imposte, una responsabilizzazione dei comuni o un allargamento dell'autonomia degli stessi, certamente non avrebbe il significato che il Governo e certi Ministri del Governo Berlusconi hanno voluto assegnare a questo provvedimento.
Ecco perché, signor Presidente, ritengo - e, raccogliendo il suo invito, concludo - che, come noterebbe una persona attenta, parlare di federalismo sia una bestemmia. È un abuso linguistico. Con il provvedimento in oggetto ci troviamo di fronte ad una bestemmia, ad un abuso linguistico e, certamente, ad un'opaca, confusa ed inquietante copertura. Non avendo potuto fare le riforme istituzionali e costituzionali nel nostro Paese, si è deciso di procedere attraverso il federalismo e le belle parole verso altri progetti ed altri approdi (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, qualche giorno fa su La Stampa, il quotidiano di Torino, Luca Ricolfi, in un articolo intitolato «Federalismo, i nuovi oppositori» scriveva: «(...) oggi chi è veramente federalista non può non chiedersi se sia meglio (meno peggio) che il federalismo «à la Calderoli» passi, o sia meglio che tutto venga affossato per l'ennesima volta. Io, che ho sempre difeso il federalismo, il dubbio ce l'ho. E vi posso dire che altri federalisti convinti, almeno in privato, confessano di augurarsi che tutto si blocchi».
Faccio parte di questa schiera anch'io, dei veri federalisti, di coloro che al federalismo hanno sempre creduto. La riprova, se volete, la trovate nella mia dichiarazione di voto a nome del gruppo Italia dei Valori quando è stata presentata in quest'Aula la legge delega sul tema in oggetto in occasione della quale, addirittura, non solo abbiamo votato a favore, ma la ragione del contendere poteva semmai essere un difetto di federalismo.
Con il decreto delegato in esame, che pomposamente è chiamato federalismo municipale, toccate il punto più basso del federalismo e il punto più alto di mistificazione. Pag. 14Meno autonomia, meno risorse, un falso venduto come un capolavoro.
Ma non è tutto, vi è un altro argomento molto serio che ci preoccupa e che dovrebbe preoccupare anche il Governo: l'aumento delle tasse. La verità è che i cittadini pagheranno sempre di più e voteranno al buio. Il decreto legislativo in oggetto viola il principio fondante di un serio assetto federale: il principio della responsabilità. Chi è titolare del potere di spendere è titolare del dovere di reperire le risorse necessarie per effettuare quella spesa. Volevate combattere il sistema vigente fondato sui trasferimenti dallo Stato centrale al sistema delle autonomie e sulla centralizzazione del prelievo fiscale, ma il decreto in esame altro non fa che cambiare il nome, lasciando le cose come stanno!
L'articolo 2 della legge n. 42 del 2009 prevedeva espressamente di garantire una corrispondenza tra contribuenti e beneficiari dei servizi forniti a livello locale. Questa corrispondenza, caro Ministro, non c'è.
Il provvedimento in discussione spezza il legame tra tassazione e rappresentanza. Quante volte ha detto «nessuna tassazione senza rappresentanza». Ora, invece, siamo in presenza di un rovesciamento del principio fondamentale su cui è fondata la democrazia: vi è la tassazione, ma non vi è la rappresentanza. Infatti, chi vota per il sindaco non pagherà le tasse definite dal sindaco, mentre chi paga le imposte volute dal sindaco non voterà per il sindaco.
Vi è poi un'altra enorme anomalia, almeno rispetto alle cose che andate predicando, anomalia che chiamerei schizofrenia. Il Ministro dell'economia va ripetendo con insistenza un principio da me totalmente condiviso, ossia quello di tassare meno il lavoro delle imprese e maggiormente le cose. Con l'IMU, invece, tassate le imprese commerciali ed artigianali ed il lavoro autonomo.
In tema di lavoro vi è l'altra chicca del decreto in esame che sblocca l'addizionale IRPEF per i comuni. Mi si dirà che ciò è stato chiesto dai sindaci. È vero, ma possiamo, una volta per tutte, con onestà, chiederci in Italia chi paga per intero l'IRPEF? I lavoratori ed i pensionati, questo lo sanno tutti. Ecco, voi graverete ancora una volta su di loro.
Il Ministro Calderoli su questo tema tace e ripete sempre lo stesso mantra, ridotto ad un insulto: vedo, pago e voto. Ma qui non lo vedo proprio!
Non capisco dove sia: le tasse continueranno ad arrivare a Roma, da dove ritorneranno sul territorio mediante un fondo perequativo. L'aliquota dell'IMU al 7,6 per mille è stabilita dal centro e il comune può soltanto decidere di applicare una riduzione o un aggravio dello 0,3 per mille. Vi sembra che questa sia autonomia finanziaria? Questa è tutta finanza derivata e rappresenterà un salasso fino a tre miliardi. Lo conferma uno studio di Confartigianato, pubblicato non più tardi di ieri su un noto quotidiano. Sono 3 miliardi che graveranno sui lavoratori e sulle imprese autonome.
Gli unici comuni avvantaggiati saranno quelli turistici, che non hanno i grandi servizi da prestare, cioè gli asili nido, le scuole o le strutture per anziani. I comuni di periferia del nord - e non solo - non sapranno come trovare le risorse per dare le risposte alle loro esigenze di servizio.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Che dire poi del contributo di soggiorno? Anche questo è un balzello che aumenterà semplicemente le tasse, che pagheranno quanti non usufruiranno del servizio in quella determinata città. Sulla cedolare secca il tempo non mi consente di entrare nel merito, ma è risaputo ed è chiaro che si tratta di un regalo ai proprietari di immobili e penalizzerà coloro che affittano, perché non c'è nessun richiamo e nessun sostegno per coloro che affittano le case.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Siamo, quindi, in presenza di un grande vulnusPag. 15della Costituzione, perché non opera la progressività di capacità contributiva: l'aliquota al 19 per cento è un grande regalo a chi ha l'aliquota marginale alta e produce un effetto scarso o nullo o addirittura un danno a chi ha un'aliquota marginale bassa.

PRESIDENTE. Deve proprio concludere, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. In conclusione, signor Presidente, sulla compartecipazione al gettito IVA - e concludo veramente - vorrei citare quello che ha scritto Il Sole 24 Ore ieri, ma mi limito semplicemente a dire che questo è un federalismo bufala, un federalismo patacca che molto presto si riverserà contro di voi che lo promuovete, ovvero contro gli amministratori, anche della Lega Nord, per avere avallato un'operazione di pura facciata per mettere una bandiera che sventolerà per poco, perché sarete cacciati molto presto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, annuncio che preliminarmente chiederò alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Causi, la Presidenza lo consente.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, la legge n. 42 del 2009 non è uno strumento con il quale redistribuire le risorse a vantaggio dei territori più forti. È uno strumento per riscrivere in modo moderno il patto fra nord, centro e sud del Paese, per riformare i meccanismi di funzionamento della pubblica amministrazione (con riferimento ai costi standard e cioè all'efficienza) per definire in modo trasparente gli obiettivi del welfare garantiti dalla Repubblica (con riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni) ed è uno strumento per dare più autonomia all'interno di un quadro di vero coordinamento fra i diversi livelli di governo.
La Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale è stata finora una sede vera di discussione e, laddove possibile, di condivisione, e ne va dato atto al Ministro Calderoli, a cui peraltro colgo l'occasione per porgere gli auguri da parte del nostro gruppo per la pronta guarigione del figlio. Tutti gli schemi di decreto legislativo finora passati al vaglio della Commissione, compreso quello sul fisco comunale, sono stati profondamente modificati dal Parlamento. Il Parlamento Democratico, dopo essersi confrontato nel merito a partire dalle proprie proposte, ha sempre scelto il suo atteggiamento di voto sulla base di una valutazione di merito e non pregiudiziale.
Questo è vero anche per la finanza comunale. Il Governo e il relatore La Loggia hanno scritto e riscritto questo schema di decreto legislativo per quattro volte, accettando certamente molte modifiche, che almeno riducono i danni potenziali, che la riforma contenuta in questo decreto legislativo potrà generare. Ciò denota, tuttavia, quantomeno incertezza di conduzione da parte del Governo e c'è un motivo ben preciso - oserei dire scientifico - che spiega perché il Governo e la maggioranza di centrodestra sono entrati in stato confusionale, quando hanno dovuto affrontare il tema della finanza comunale.
Su cosa si basa infatti in tutto il mondo l'autonomia impositiva dei comuni? Essa si basa su imposte legate alla proprietà immobiliare oppure all'uso dei servizi urbani (approssimato in genere allo spazio utilizzato) insomma su imposte simili, per tipologia, all'ICI.
Ma l'abolizione dell'ICI sulla prima casa ha rappresentato il terreno su cui, fin dalla campagna elettorale del 2006, il centrodestra italiano ha compiuto un'operazione di populismo demagogico ad alta redditività emotiva ed elettorale, rispetto alla quale non può tornare indietro, con il risultato che oggi non è in grado di Pag. 16produrre alcun razionale disegno per il nuovo fisco comunale. Negli Stati Uniti, ad esempio, ogni cittadino proprietario della casa in cui abita paga annualmente al proprio municipio un'imposta che, in media in tutti gli Stati Uniti, è stata pari nel 2009 a 1.917 dollari. In percentuale, sul valore mediano degli immobili, la Property tax americana varia tra l'1,8 per mille e l'1,89 per cento (un intervallo di variazione di ben dieci volte, di gran lunga superiore a quello che lo Stato italiano ha mai concesso sull'ICI). Ecco la vera autonomia impositiva, ecco il vero federalismo! Basterebbe guardare, e non a caso, all'esperienza degli Stati Uniti. In Francia esistono tasse locali simili. Nel Regno Unito esiste la Council tax. In Germania esiste la Grundsteuer. Una sorta di ICI esiste anche in Spagna. Insomma, sia in Paesi federali, come Stati Uniti, Germania e Spagna, sia in Paesi non federali, come Francia e Regno Unito, l'imposta patrimoniale immobiliare locale ha un ruolo ben più ampio della nostra ICI, anche considerando la vecchia ICI, quella precedente la completa esenzione della prima casa. In tutti i Paesi l'imposta legata agli immobili è la tipica imposta comunale ed è anche un elemento di equilibrio del disegno fiscale complessivo.
Si tratta di un concetto caro, in teoria, al nostro Ministro dell'economia e delle finanze, il quale ha più volte affermato che bisogna tassare le cose e non le persone. Difficile però ricordare nella storia politica italiana una distanza così siderale fra le teorie manifestate dallo studioso e i fatti prodotti dal Ministro. L'ICI sulla prima casa aveva in Italia un valore medio di circa 250 euro. Il Governo Prodi l'aveva già abolita per il quaranta per cento delle famiglie italiane, quelle per le quali il valore dell'ICI era inferiore a 300 euro. Il centrodestra l'ha abolita per le restanti famiglie, quelle che abitano in immobili di maggior valore e pregio. Un'operazione su cui oggi è opportuno confermare un giudizio fortemente critico. Essa dimostra che il centrodestra italiano: primo, cerca sempre nei provvedimenti fiscali di avvantaggiare i ceti sociali più abbienti; secondo, ha una forte idiosincrasia a tassare le rendite, e finisce così per tassare sempre di più il lavoro e l'impresa; terzo, non è in grado di proporre assetti sostenibili per la finanza comunale. Il decreto sul fisco comunale sconta allora un vero e proprio peccato originale perché, se non si vuol far contribuire per nulla alle spese dei Comuni i residenti che posseggono la prima casa, si esentano il 75 per cento dei cittadini, ma se questi ultimi vengono chiamati fuori dal finanziamento qualsiasi base fiscale alternativa diventa insoddisfacente e potenzialmente instabile. La nuova ICI a regime tassa le seconde case e gli immobili produttivi: una base fortemente squilibrata non solo fra centro-nord e sud, ma anche all'interno del centro-nord e del sud (ad esempio, più vantaggiosa per i comuni grandi e per quelli turistici, meno per i comuni piccoli e con poco turismo). L'aliquota di equilibrio della nuova IMU è calcolata dal Governo nel 7,6 per mille: i comuni potranno scegliere tra il 4,6 e il 10,6 per mille. Qui c'è una grande ipocrisia: per pareggiare i conti, e cioè per mantenere invariate le risorse oggi disponibili per il comparto dei comuni, l'aliquota dovrà attestarsi in media all'8,5 per mille (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Non hanno tutti i torti le associazioni di categoria che hanno lanciato allarme e preoccupazione per una minipatrimoniale che colpirà le imprese. Visto però che una ciambella così storta non poteva venire con il buco, per ottenere l'accordo con l'ANCI, il Governo ha acconsentito allo sblocco delle addizionali comunali all'IRPEF: lo sblocco immediato per tutti i comuni che oggi hanno l'addizionale inferiore allo 0,4 per cento; rimandato ad un futuro decreto per gli altri. Non si può non denunciare l'irrazionalità e l'iniquità del disegno fiscale che alla fine ne viene fuori. Vi sarà un aumento delle addizionali comunali e tale aumento si sommerà a quello delle addizionali regionali IRPEF previsto nel decreto successivo relativo alle regioni, in una misura che potrà arrivare fino al 3 per cento. Gli aumenti di comuni e regioni saranno scoordinati tra loro, con Pag. 17pesanti ricadute a carico dei redditi da lavoro e da pensione dai quali proviene l'80 per cento dell'imposta personale sui redditi.
Il Partito Democratico non si è limitato a criticare questa proposta, ma si è anche assunto l'onere di una proposta alternativa. L'attuazione della legge delega dovrebbe, a nostro avviso, prevedere l'introduzione di una tassa sui servizi comunali pagata da tutti, con appositi meccanismi di quoziente che tengano conto della numerosità del nucleo familiare, e che sia comprensiva della attuale TARSU-TIA. Signor Ministro, la formula è così complicata perché vi è dentro il quoziente familiare; quella formula complicata tiene conto della numerosità della famiglia. Va detto, per completezza, che anche il Governo aveva, con il lavoro di Calderoli, elaborato una propria proposta contenente l'imposta di scopo, ma che questa proposta è stata, poi, bocciata ai piani più alti del centrodestra per i motivi politici già illustrati. Ciò dovrebbe far riflettere tutti coloro che vogliono sinceramente un assetto più autonomista o federalista della nostra Repubblica. Con il Partito Democratico, il risultato può essere ottenuto, con l'attuale Presidente del Consiglio e la sua condotta populista, demagogica e personalistica, invece, non si va molto lontano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Un grande difetto del decreto legislativo è che in esso non è contenuto un vero fondo perequativo, ma soltanto un fondo sperimentale di riequilibrio che rischia di scatenare gli egoismi territoriali perché non è di tipo verticale, cioè finanziato dallo Stato, ma di tipo orizzontale, cioè finanziato da apporti riconducibili alle basi fiscali di ciascun territorio comunale. E, infine, la cedolare secca, ovvero l'imposta sostitutiva sui redditi da locazione abitativa: è discutibile introdurre questa misura al di fuori di una riforma complessiva dei redditi da capitale. Perché non si porta al 20 per cento la tassazione dei redditi finanziari o delle plusvalenze nelle stock option? Messa così, si tratta di un'agevolazione ai redditi da capitale immobiliare proprio mentre lo stesso decreto aumenta le tasse a carico del lavoro e dell'impresa. I canali dell'affitto a canone concordato non sono protetti, non vengono aumentate le detrazioni a vantaggio degli inquilini. Così non si innesta un vero conflitto di interessi, il solo in grado di far emergere un po' di nero sul mercato degli affitti. E, infatti, gli uffici del Parlamento calcolano che le previsioni di emersione sono sovrastimate, sono eccessive, e, quindi, la perdita di gettito connessa alla cedolare secca è probabilmente non coperta. Ritengo che quest'Aula dovrebbe chiamare la V Commissione bilancio a fornire un parere «informato», ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, almeno sul punto relativo alla copertura della cedolare secca.
È, però, chiaro a tutti - e concludo - che la proposta del Partito Democratico è alternativa a quella del Governo; noi diciamo di abolire l'addizionale comunale IRPEF, lasciando l'addizionale solo come strumento delle regioni, il Governo, invece, sblocca tutte le addizionali comunali e regionali e percuote, con una mini patrimoniale, le attività produttive. Noi proponiamo un vero fondo perequativo verticale, il Governo, invece, si limita a varare un fondo provvisorio con marcato carattere orizzontale. Noi proponiamo una vera autonomia impositiva per i comuni, non basata su un'imposta patrimoniale, ma su uno strumento ispirato al principio del beneficio, invece il Governo fa un ulteriore regalo alla rendita e spera che nessuno si accorga che si stanno aumentando le imposte sul lavoro e sulle imprese. Mi dispiace dovervi smentire, perché i cittadini e le imprese del nostro Paese se ne stanno accorgendo, si stanno svegliando, cominciano a capire quali enormi guasti può produrre un Governo il cui principale obiettivo è di fornire una copertura ai numerosi, ricorrenti e sempre più diversificati guai giudiziari del suo Presidente del Consiglio. Si rendono conto che riforme strutturali così importanti, come la finanza comunale, non si fanno con patti politici scellerati come quello che vi sta portando oggi a valutare di chiedere l'ennesimo Pag. 18voto di fiducia ad una Camera in cui non c'è una vera maggioranza politica. Così si fanno solo pasticci, interventi sgangherati, dal carattere provvisorio, destinati ad essere modificati fra non troppo tempo, non appena diverrà chiaro che sono insostenibili per i governi comunali, per la finanza pubblica nel suo complesso e per le stesse prospettive di crescita del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, come anticipato, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Causi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Bitonci. Ne ha facoltà.

MASSIMO BITONCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei, innanzitutto, ringraziare i nostri Ministri Bossi e Calderoli per il grande lavoro che hanno svolto in questi due anni. Siamo partiti con il disegno di legge delega n. 42 del 2009 che è stata la cornice di questo federalismo fiscale; siamo passati, poi, ai decreti attuativi, i primi sul federalismo municipale, in seguito quello che amiamo meno, cioè su Roma capitale, e ancora quello sui costi standard. Adesso, invece, entriamo proprio nel vivo del federalismo con il presente schema di decreto legislativo delegato in cui vi è questo passaggio fondamentale ed epocale dalla finanza derivata alla finanza autonoma.
Passaggio epocale perché, come sapete, la finanza dei comuni si basa essenzialmente su un'imposta federalista che è l'ICI ma anche su trasferimenti statali che hanno costretto i comuni a non attuare una politica propria, una politica autonoma sul territorio. Per tale ragione il federalismo municipale avvicina chi governa a chi è governato e, quindi, si introduce anche questo concetto fondamentale che è il decentramento e il superamento del criterio della spesa storica che è stata la vera malattia di questo Stato. La spesa storica improduttiva non ha agevolato gli enti virtuosi ma, anzi, ha agevolato gli enti improduttivi. Vi sono comuni delle stesse dimensioni al sud e al nord d'Italia. Ad esempio, un comune di ventimila abitanti come il mio - sono il sindaco di Cittadella - ha circa un centinaio di dipendenti; al sud troviamo comuni delle stesse dimensioni che hanno il doppio o il triplo dei dipendenti ma senza offrire servizi migliori di quelli che offrono i comuni del nord, anzi, molte volte, offrendo servizi peggiori. Quindi, capiamo quanto questa spesa storica sia una spesa malata, improduttiva che deve essere assolutamente tagliata e quindi è necessario un maggiore controllo degli sprechi e l'introduzione di un concetto fondamentale che è quello della responsabilizzazione nell'azione degli amministratori. Con il federalismo fiscale finalmente gli amministratori che manderanno in disavanzo i propri comuni, le proprie province, le proprie regioni pagheranno in proprio. È stato il grande problema dell'amministrazione attuale: gli amministratori non hanno pagato per i deficit che hanno creato nella pubblica amministrazione. Vi sarà un grande riordino quindi della finanza locale con quasi una ventina di balzelli comunali che vengono ridotti. Con il federalismo municipale si arriva anche ad un'importante semplificazione del sistema di imposizione locale. Il Partito Democratico ci ha accusato di aver aumentato la tassazione ai cittadini. Questo è falso. L'ha spiegato il Ministro Calderoli a più riprese: non c'è alcun aumento di tassazione comunale, vi sono sostituzioni di imposte oppure, come nel caso dell'addizionale comunale, vengono premiati i comuni virtuosi che non l'hanno applicata fino ad ora. Con il fondo perequativo e poi con i costi standard avremo la vera attuazione e il vero passaggio al federalismo.
Nel dettaglio il decreto prevede due fasi. Abbiamo anzitutto la soppressione di 11 miliardi di trasferimenti e, quindi, di finanziamento statale e, contemporaneamente, dal 2011 al 2013, la devoluzione ai comuni del 30 per cento del gettito delle Pag. 19imposte sui trasferimenti immobiliari, che ricordiamo sono l'imposta di registro, le imposte ipo-catastali, l'imposta di bollo e anche dell'IRPEF, di parte del gettito sulla cedolare secca sugli affitti e di una compartecipazione all'IVA. Questa è un'importantissima novità federalista e, quindi, i comuni avranno una compartecipazione di un'imposta che è un'imposta sui consumi ed è molto perequata nel territorio.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Bitonci.

MASSIMO BITONCI. Sappiamo che abbiamo più o meno gli stessi consumi sia al nord sia al sud. Un'altra novità importantissima che volevo ricordare è quella relativa alla cedolare secca sugli affitti. Abbiamo due aliquote: il 19 e il 21 per cento. Si parla di un'imposta sostitutiva proporzionale, non più quindi progressiva come l'IRPEF, che avrà questo grandissimo vantaggio che è di combattere l'evasione fiscale e quindi favorire l'emersione dal nero.
Questa direi che è una grande novità introdotta dal nostro Governo ed era attesa da moltissimi anni. Una seconda fase poi, dal 2014...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Bitonci.

MASSIMO BITONCI. Mi scusi, Presidente, non avevo sei minuti?

PRESIDENTE. Sì, sono già passati. Concluda, onorevole Bitonci.

MASSIMO BITONCI. Concludendo, oltre a ringraziare il Ministro per quello che ha fatto, volevo ricordare quello che ha detto il Ministro Calderoli prima: il federalismo è fatto per unire e non per dividere il Paese, ma abbiamo capito che questo non è chiaro a tutti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Osvaldo Napoli. Ne ha facoltà.

OSVALDO NAPOLI. Signor Presidente, stiamo compiendo un passo avanti decisivo nell'attuazione del federalismo municipale: l'approvazione del quarto decreto legislativo dopo federalismo demaniale, Roma capitale e fabbisogni standard dei comuni e delle province. Dobbiamo essere orgogliosi, a distanza di più di un decennio dall'approvazione della riforma del 2001 (da noi allora non votata, da noi corretta nel 2005, correzione fermata dal referendum): stiamo dando attuazione a quella disposizione, l'articolo 119 della Costituzione, che nessuno ha mai revocato in dubbio e che rappresenta il cuore di un assetto della Repubblica italiana rinnovato e moderno.
Nel frattempo il Parlamento e le Commissioni competenti stanno già esaminando il provvedimento sul federalismo regionale e provinciale, il provvedimento sulla disciplina relativa agli interventi speciali finanziati dallo Stato e la Conferenza unificata sta per acquisire l'intesa sullo schema relativo all'organizzazione dei bilanci.
Signor Presidente, stiamo rispettando pienamente i tempi e le scadenze e ciò anche grazie all'impegno e l'attenzione che il Presidente Berlusconi, ed i Ministri Bossi e Calderoli stanno mettendo nel garantire il massimo sostegno da parte del Governo all'attuazione di una riforma fondamentale per il Paese, per realizzare una più avanzata forma di unificazione dell'Italia, riforma che verrà ultimata proprio nell'anno della celebrazione del centocinquantenario.
Siamo indubbiamente - e consentitemi di dirlo con una certa enfasi, avendo ormai un'esperienza decennale di amministratore locale - ad un passaggio storico: la scomparsa, l'abolizione dei trasferimenti erariali dallo Stato ai comuni. È un passaggio oltre che istituzionale e strettamente finanziario anche e soprattutto culturale. Stiamo ponendo le basi affinché i comuni siano autonomi e responsabili nei finanziamenti, nella gestione delle risorse disponibili, possano programmare la spesa, gli investimenti e le attività, possano Pag. 20in maniera autonoma utilizzare la leva fiscale in modo trasparente nei confronti dei propri cittadini.
In questi anni abbiamo decentrato parti consistenti della spesa, ma non il sistema delle entrate. Pertanto oggi stiamo compiendo anche un'opera meritoria e salutare di riequilibrio fra gestione della spesa e gestione delle entrate, sapendo bene che il potere di spesa, scisso dal potere e dalla responsabilità impositiva, è drammaticamente pericoloso e determina irresponsabilità, cattiva gestione finanziaria, sacche di inefficienza e di malgoverno. La soppressione dei trasferimenti erariali e la sostituzione con cespiti tributari autonomi rappresenta una conquista da anni richiesta dal sistema dei comuni e dall'ANCI.
All'amico e collega onorevole Causi pongo una domanda: perché il Governo di centrosinistra ha istituito l'addizionale IRPEF, oggi criticata aspramente? Forse perché trasferiva più risorse ai comuni e agli enti locali? Ebbene, esso ha istituito l'addizionale IRPEF perché aveva diminuito quel flusso di risorse essenziali per i comuni dal Governo alla periferia. Voglio ricordare anche il motivo per cui vi è stato quel taglio, il maggior taglio che i Governi abbiano fatto nella storia dei trasferimenti dal Governo centrale al governo periferico, quel taglio di 40 mila miliardi di lire.
Prodi pensava di portare l'Italia nella moneta unica con una manovra di 34 mila miliardi; rientrò da un viaggio istituzionale in Spagna e, con un tocco di bacchetta, raddoppiò la manovra finanziaria, passando da 34 mila miliardi a 68 mila miliardi. Impose, in cambio, l'addizionale IRPEF.
Aggiungo - mi rivolgo sempre all'amico Causi -, la tassa di scopo. Il Governo di centrosinistra mise la tassa di scopo, andando a coprire soltanto il 30 per cento di quanto eventualmente le amministrazioni locali dovevano chiedere ai propri cittadini. Sapete quanti comuni hanno usato la tassa di scopo? Se non sbaglio cinque, perché avrebbero dovuto coprire il restante 70 per cento, andando ad indebitarsi. Oggi, invece, il Governo Berlusconi propone di coprire il 70 per cento, dando la possibilità ai comuni di chiedere ai propri cittadini un investimento, pagandolo anche sotto l'aspetto amministrativo ed elettorale. Quindi, non raccontiamoci storie: siamo estremamente corretti e sappiamo come confrontarci in maniera seria.
Questo provvedimento - voglio ricordarlo - è stato passo dopo passo, scritto, corretto, verificato e sostenuto dall'ANCI, consapevole che esso rappresenta un'occasione preziosa per correggere i molti difetti del sistema della finanza comunale attuale e per avviare una nuova stagione. I comuni ci hanno creduto e ci credono. Nel centrosinistra sono in molti ad essere dalla parte dei comuni e sono convinto che sono rammaricati di non votare a favore di un provvedimento di questo tipo, perché l'avete messo sul piano politico, anziché sul piano della risorsa locale e della buona amministrazione (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Ebbene, chi sta dalla parte dei comuni, dei territori e dei luoghi in cui i nostri cittadini vivono ed operano, non può che credere in questo provvedimento.
Sino al 2014, grazie ad un confronto stabile e serrato con i comuni, attraverso l'ANCI, vi sarà una fase transitoria, con la gestione del Fondo di riequilibrio, per consentire un passaggio graduale e non traumatico dei trasferimenti cristallizzati nel tempo ad un complesso di entrate commisurate ai bisogni standard, che copriranno il complesso di funzioni fondamentali dei comuni, valutate e quantificate sulla base di criteri e parametri di efficienza e qualità dei servizi. Certo, noi chiediamo - io chiedo - ai nostri sindaci l'unione dei servizi, è indispensabile: senza l'unione dei servizi - soltanto 2 mila comuni su 8 mila l'hanno fatta - ciò è impensabile. Se i nostri sindaci non capiscono questo, al di là del loro colore politico, non fanno buona amministrazione. Abbassamento dei costi e migliore qualità dei servizi: il federalismo consentirà di ridurre il divario tra nord e sud, e non di ampliarlo come affermano i detrattori. Infatti, il processo di efficientamento della spesa e di responsabilizzazione Pag. 21della classe politica e dirigenziale non può che porre le basi per consentire alle aree più arretrate del Paese di compiere quel salto di qualità che da tanti anni aspettiamo.
Il federalismo è un'opportunità di rilancio, non solo per il nord, ma soprattutto per il sud e per quella parte del nostro meridione che crede nelle proprie possibilità e potenzialità, che crede nel merito e nella qualità, che poi è la stragrande maggioranza: pertanto, chiediamo agli amministratori del sud, al di là del loro colore politico, un salto di qualità nell'amministrare il nostro meridione. Non è possibile che venga usato soltanto il 25 per cento delle risorse, questa è un'incapacità politica da parte di chi rappresenta il centrodestra e il centrosinistra: devono avere la capacità di investire i soldi che il Governo consente di investire, insieme ai soldi europei.
Su espressa richiesta dell'ANCI è stata anche inserita la disciplina relativa alla perequazione, che prima era contenuta nel provvedimento relativo al federalismo regionale e provinciale, e che ora viene qui introdotta, delineando così un quadro completo e organico dei finanziamenti dei comuni. Tra pochi anni, avremo, quindi, la piena attribuzione ai comuni di un'ampia ed articolata autonomia impositiva determinata dal venir meno di un sistema di finanza derivata, ormai al collasso ed inaccettabile.
Chi amministra le città potrà realizzare politiche autonome in un rapporto diretto e trasparente con i propri cittadini, rispondendo delle cose fatte e non fatte, nella massima esaltazione dei principi propri di un ordinamento democratico, maturo e partecipato. Stupisce e amareggia, quindi, la posizione dei partiti di opposizione e, in particolare, del Partito Democratico che ha, o dovrebbe avere, nel proprio DNA la valorizzazione della partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica.
Questa è una riforma non solo dei comuni e per i comuni, ma è una riforma per i cittadini...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Osvaldo Napoli.

OSVALDO NAPOLI... è una sfida, signor Presidente, che gli amministratori locali, al di là del loro politico, volevano ed è una sfida che gli amministratori locali sapranno vincere (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Ministro Calderoli, le do atto della passione con cui lei ha svolto questo lavoro e anche dell'impegno che vi ha profuso. Mi permetto di segnalarle il fatto che forse c'è un eccesso di trionfalismo lessicale: l'enfasi sul federalismo, il superamento della spesa storica, l'autonomia, la responsabilità, sono tutti termini che fanno parte della migliore tradizione autonomista, ma lei li ha introdotti all'interno di una forzatura federalista che rischia, alla fine, di produrre un risultato di cui forse lei stesso si dovrà pentire.
Vede, signor Ministro, noi avevamo sollevato sin dall'inizio il problema della prevalenza rispetto a tutto il resto della definizione del «chi fa che cosa». Si doveva anteporre a questa manovra la Carta delle autonomie e mi permetta di chiedere al collega Osvaldo Napoli, sindaco, che strada ha preso la mappa delle funzioni: mi pare che resti al palo al Senato. Avete quindi prodotto un risultato antitetico rispetto a quello che sarebbe stato necessario. Mi chiedo poi: è davvero affermato il principio che i cittadini pagheranno le loro imposte alle regioni e ai comuni e che vi sarà una maggiore responsabilizzazione dei politici eletti?
Voi avete sostenuto, con un certo entusiasmo, che i politici eletti, da ora in poi, potranno venire bocciati se non utilizzeranno al meglio le tasse pagate dagli elettori, ma non è così. In realtà, con questo provvedimento si continua come prima, si tratta tutt'al più di trasferimenti e di addizionali. Pag. 22
Questo federalismo fiscale è solo una ripartizione su base territoriale delle vecchie imposte che si continueranno a pagare al centro. Gli enti locali avranno la possibilità di applicare addizionali, ma i pagamenti affluiscono sulle imposte nazionali. Inoltre, sia sulla tassa di soggiorno che per l'IMU sulle seconde case ci si rivolge ai non residenti i quali pagheranno queste tasse, ma non voteranno nel comune dove le hanno pagate. Negli Stati Uniti, nel 1775 si fece una rivoluzione contro questo principio.
Il combinato disposto dei due decreti legislativi, quello sul federalismo municipale e quello sul fabbisogno standard in realtà non garantisce né autonomia impositiva, né il superamento della spesa storica, né prestazioni di servizi efficienti. Mi sono chiesto perché lei ed il Ministro Bossi abbiate parlato di una battaglia storica. Capisco le vostre origini e le rivendicazioni «ideologiche», ma in realtà voi fate parte del Governo più centralista della storia della Repubblica italiana e lo sanno anche i sindaci della Lombardia, che sono schiacciati tra il centralismo governativo ed il neo-centralismo regionale. Vi converrà non sottovalutare la pressione che viene dai sindaci lombardi, voi pensate di governarli a vostro piacimento, ma le cose non stanno così. Ho ancora in mente i sindaci che si sono tolti la fascia per protestare con forza e non è che le trattative con l'ANCI abbiano superato queste problematiche.
Penso che voi non siate interessati ad una manovra di vero federalismo che riscriva le regole, sia delle funzioni che delle entrate fiscali. Non è vero che non ci sarà invarianza della spesa complessiva, anzi la spesa pubblica, con questo assetto, è destinata a esplodere e quindi aumenterà il controllo del Ministero dell'economia e delle finanze sugli enti locali - questo è il paradosso che si determinerà - e così l'autonomia si ridurrà anziché allargarsi e si colpiranno gli enti locali più virtuosi, mentre non si va in profondità né sulle regioni a statuto speciale, né sul cosiddetto socialismo municipale. Tra l'altro, Ministro Calderoli, a proposito delle regioni a statuto speciale, vi è sempre da risolvere il problema della contabilità, che vede su piani diversi, per cui non abbiamo neanche contezza dello stato complessivo della spesa pubblica.
Sul cosiddetto socialismo municipale...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Tabacci.

BRUNO TABACCI. Concludo, signor Presidente. Sono oltre 30 mila gli enti e le società che svolgono gestione di servizi come acqua, gas e trasporti, con gestioni spesso inefficienti e clientelari. Il vostro trionfalismo spinge fino al voto di fiducia, per enfatizzare. Io lo ritengo un errore. Sono convinto che anche gli elettori della Lega cominceranno ad accorgersi che la montagna ha davvero partorito un piccolo topolino. Per questo, per quel che ci riguarda, ribadiamo la nostra contrarietà.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, signor Ministro per la semplificazione normativa, onorevoli colleghi, oggi siamo all'epilogo del lungo percorso fatto da questo testo, che ha destato clamore sui media, non solo per aver maturato un fatidico pareggio nella Commissione bicamerale il 13 febbraio scorso, ma soprattutto perché il Governo ha scavalcato impunemente questo dato, dimostrando ancora una volta di essere disposto ad uno sforzo muscolare pur di piantare la bandiera leghista del federalismo, salvo poi dover fare comunque i conti con la ragionevolezza del Quirinale e con le opposizioni in Parlamento.
Il colmo sta nel fatto che lo stop a questa riforma - quello cioè che ha portato al pareggio dei voti nella Bicamerale - non deriva solo dalle difficoltà di ordine politico del Governo, ma discende direttamente dalle norme della legge delega approvata dalla stessa maggioranza. Una legge che, evidentemente, il Governo intendeva interpretare a modo suo, saltandone Pag. 23a piè pari i passaggi scomodi. Nella realtà così è stato, perché non si sono avute remore a scavalcare il Parlamento e a sbrigarsela in Consiglio dei ministri la notte stessa. Tutti questi passaggi, però, sono la testimonianza che questo non è, contrariamente alla natura stessa della riforma, il federalismo di tutti. Questo è il vostro federalismo. È noto a tutti che con questo decreto si stanno riscrivendo in maniera sostanziale i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie, e tra esse e il cittadino contribuente. Ecco perché dico che è il federalismo di pochi. Anche di fronte ad una riforma di tale importanza si profila l'ipotesi di un altro voto di fiducia, che va ad allungare un elenco di forzature normative di cui, in questa legislatura, abbiamo oramai perso il conto. Si tratta di una forzatura, questa volta, tesa solo a superare la solenne bocciatura della Bicamerale, e a dimostrare l'esistenza di una maggioranza a favore della posizione leghista.
Ancora risuonano le parole del Ministro per le riforme, che si sentiva la grande riforma già in tasca, respingendo come stupidaggini persino le preoccupazioni sollevate dalla Corte dei conti su un sistema di fisco decentrato che porta con sé i rischi di un minor controllo sulla corruzione nella pubblica amministrazione. Questi passaggi parlamentari, previsti con lungimiranza dalla legge delega n. 42 del 2009, avrebbero potuto essere davvero l'occasione per trovare soluzioni condivise e veramente federaliste. Potevamo scrivere insieme una buona riforma, e lo potremmo ancora fare se solo la Lega Nord, anziché ostinarsi su un testo in cui il federalismo resta uno slogan, desse disponibilità al confronto sui contenuti e sul metodo.
Il nostro «no» a questa riforma, dunque, lungi dall'essere un voto pregiudiziale sul Governo, si fonda su ragioni che si rintracciano, prima di tutto, negli interessi delle autonomie locali di tutta Italia, e del Mezzogiorno in particolare, che questa riforma dovrebbe tutelare e che invece mortifica, e, di conseguenza, negli interessi dei cittadini, sui quali direttamente si riversano gli effetti di un sistema iniquo, privo di copertura e destinato ad aumentare la pressione fiscale.
Se uno degli obiettivi più propagandati della riforma è davvero quello di superare gli squilibri del sistema attuale, tracciando un meccanismo di equità fra gli enti coinvolti, perché ci si ostina a presentare alle Camere progetti discriminanti che creano comuni di serie a e comuni di serie b? Basta pensare all'extragettito per i comuni a vocazione turistica e allo squilibrio con gli enti privi di seconde case e con pochi cespiti immobiliari produttivi, che per trovare le risorse per amministrare dovrebbero far leva solo sui contribuenti, adottando le misure massime consentite delle addizionali. Si pensi, ancora, alla penalizzazione dei contribuenti onesti, persone che hanno un reddito soggetto ad IRPEF (in particolare lavoratori e pensionati) e alla piccola impresa, senza contare che nulla di concreto viene previsto in termini di lotta vera all'evasione a livello locale, a parte qualche previsione aleatoria che lascia il tempo che trova.
Questo federalismo non fa altro che questo, dunque: produce meno autonomia per i comuni e meno responsabilità per gli amministratori locali, comporta disparità lampanti tra enti privilegiati ed enti svantaggiati, anche all'interno della stessa regione, e, come se non bastasse, confonde il cittadino, che fa sempre più fatica a comprendere dove andranno i soldi delle sue tasse e come saranno spesi.
Tra l'altro, la riforma si scontra - come è stato richiamato e ricordato dagli interventi del collega Tassone e del collega Tabacci - con la mancanza di un federalismo istituzionale e con l'eclatante assenza di quella Carta delle autonomie che avrebbe dovuto precedere qualsiasi rimodulazione della fiscalità, ridefinendo prima le funzioni fondamentali degli enti territoriali.
Solo così si sarebbe data una corretta attuazione all'articolo 119 della Costituzione, che contiene il principio dell'autofinanziamento delle funzioni fondamentali dei comuni, che non può realizzarsi fino a Pag. 24quando il legislatore non determini con chiarezza le competenze degli enti territoriali.
Abbiamo sentito ieri il Ministro del lavoro Sacconi lanciare proposte di associazione fra i comuni e le province come enti di secondo livello, ma quando è stata l'opposizione ad impegnarsi per proposte di questo tipo esse non hanno trovato alcuno spazio e, comunque, si tratta sempre di spot e di programmi isolati che non bastano a ridefinire concretamente le funzioni, le competenze e l'organizzazione degli enti locali.
Il Governo si è ostinato a voler ignorare le numerose proposte di miglioramento del testo avanzate dall'opposizione nelle diverse sedi di esame di questo provvedimento, che avrebbero consentito di renderlo più accettabile, ed oggi torna a farsi sentire la sirena del voto di fiducia.
Sosteniamo allora che, così com'è formulato, il federalismo municipale non garantisce agli enti locali una reale autonomia finanziaria di entrata e di spesa, essendo basato su decisioni che vanno in senso contrario all'autonomia, che sono prese dall'alto, deresponsabilizzando i comuni mentre rafforzano la centralità dello Stato, provocando, tra l'altro, l'aumento del prelievo fiscale di cui i comuni saranno necessariamente costretti ad avvalersi a seguito dei tagli ai trasferimenti e all'incertezza sui criteri di perequazione.
Altro che riforma chiave per la modernizzazione del nostro sistema! Nel federalismo municipale ideato dal Governo di opportunità di modernizzazione non ce ne sono affatto.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LORENZO RIA. Ho concluso, signor Presidente. Queste sono le ragioni che ci portano a confermare il nostro disappunto di merito su tutta questa vicenda e soprattutto su una riforma che è costruita ignorando le stringenti difficoltà degli enti locali, una riforma che - come ha detto ieri il nostro presidente Casini - è una struttura enorme che pesa sui comuni e sui cittadini ed è ben lontana dallo spirito costituente che ha prodotto la revisione del Titolo V della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, questo provvedimento si inserisce dentro il percorso del federalismo, che l'Italia dei Valori ha sostenuto nel suo momento genetico, convinti come siamo che occorre rafforzare la responsabilità dei governi locali. Bisogna superare un sistema che mette insieme uno Stato bancomat, che elargisce senza controllo, con gli sprechi nelle realtà locali.
Il tema non riguarda il nord o il sud del Paese. Questa contrapposizione tra nord e sud per noi è stucchevole. Invece, un vero federalismo supera la contrapposizione tra il nord e il sud del Paese. Si dice che in questo caso bisognerebbe passare, e si sta passando, ad una finanza derivata e ad una finanza propria e si invoca giustamente il federalismo comunale come luogo di verifica.
Crediamo che questo modo di realizzare il federalismo comunale abbia due limiti, un limite di merito e un limite di cornice. Il limite di merito nasce dal fatto che questo è un federalismo municipale a sovranità limitata. Rappresenta peraltro un colpo indiretto all'IRPEF, che costituisce l'unica imposta effettivamente progressiva nel nostro ordinamento tributario. Con riferimento poi alle tipologie di tasse locali, l'IMU appare essere sostanzialmente un'imposizione fortemente centralizzata, ben più centralizzata di quanto non fosse l'ICI, con un margine di variazione dello 0,3 per cento rispetto all'aliquota fissata su base nazionale. Peraltro, l'IMU non è deducibile dalle imposte sui redditi e dall'IRAP e quindi, in quanto tale, costituisce un attentato rispetto alla progressività dell'IRPEF, che è principio previsto dalla Costituzione.
Con riferimento alla cedolare secca, si deroga evidentemente al principio del rapporto Pag. 25esistente tra elettore e contribuente, perché in questo caso, essendo legato alla dinamica degli affitti, non è prevista la qualifica di residenza rispetto all'imposizione stessa. Non soltanto, la cedolare secca finisce con l'essere un beneficio rispetto alla grande proprietà immobiliare e non certamente rispetto alla piccola proprietà immobiliare.
Con riferimento ancora all'altro aspetto che si riferisce all'imposta di soggiorno, si tratta di un'altra deroga rispetto al principio del voto e del prelievo. Qui non c'è un'imposizione a carico dei residenti, ma a carico dei soggiornanti.
Questi sono alcuni dei rilievi che ci portano evidentemente ad essere contrari a questo provvedimento, che peraltro ha un vizio profondo che vogliamo in qualche modo ribadire. Intanto anche il federalismo entra nel tritacarne della violazione delle procedure parlamentari e nel tritacarne dei voti di fiducia. Voglio ricordare che si tratta dell'ingresso anche del tema trattato in questo tritacarne perché si sta cercando di superare la mancanza del pur prescritto parere da parte della Commissione parlamentare bicamerale competente. Ma l'argomento di maggiore perplessità è il non collegare l'attuazione del federalismo comunale alle riforme di struttura, sotto il profilo strutturale e funzionale.
Voglio ricordare che, quando in Germania si cercò di coniugare federalismo fiscale e riforma delle autonomie locali, si procedette a ben più consistenti riforme. Il mio primo lavoro scientifico in tedesco risale a molti anni fa, quando in un Land, il Baden-Württemberg, si cercò di coniugare federalismo fiscale e autonomie fiscali. L'effetto di questo fu che il Ministro dell'interno ogni anno comunicava l'abolizione di 800 o mille gemeinden, che oggi sarebbero 800 o mille comuni.
Ci vogliamo rendere conto che un vero federalismo comporta una radicale trasformazione del modo di essere sul territorio dei poteri locali? Forse non bisognerà eliminare tutte le province o tutti i comuni, ma probabilmente 50 province e mille comuni sono assolutamente incompatibili rispetto al quadro del federalismo comunale.
Tutto questo non c'è in questo provvedimento, come se fosse una variabile indipendente. Si tratta di un'ulteriore ragione per essere contro questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiani. Ne ha facoltà.

ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, dal 2008 a oggi il Governo di centrodestra ha bloccato l'autonomia impositiva degli enti locali, ha cancellato l'ICI sulla prima casa, ha imposto un Patto interno di stabilità soffocante e in quegli stessi anni ha aperto i cordoni della borsa per Catania, Palermo e Roma, che non si possono definire i comuni più virtuosi d'Italia.
Serviva una svolta per rimediare ai danni di questa politica centralista e serviva anche una riforma epocale, come hanno detto i Ministri Bossi e Calderoli. In realtà, il provvedimento che ci apprestiamo a votare di epocale non ha proprio nulla. È una riforma mediocre e deludente, che lascia aperti gran parte dei problemi che negli anni più recenti hanno condizionato negativamente la finanza dei comuni.
Signor Presidente, tra il 2007 e il 2010, negli stessi anni di crisi in cui il deficit pubblico complessivo sprofondava da 23 a 77 miliardi di euro, i comuni sono riusciti a migliorare il loro saldo, portandolo da meno 2 a meno un miliardo. Invece di prendere atto di questi numeri e impostare una politica economica conseguente, con la manovra estiva del 2010 il Governo ha scaricato sui comuni una quota sproporzionata del risanamento dei conti pubblici. Il decreto sul federalismo municipale - questo decreto - non inverte quella politica, ma la ratifica. I tagli imposti con il decreto-legge n. 78 del 2010 vengono confermati, anche se in quello stesso decreto-legge stava scritto, nero su bianco, all'articolo 14, comma 2, che dei tagli ai trasferimenti erariali non si sarebbe tenuto Pag. 26conto nell'attuazione del federalismo fiscale.
Siamo di fronte, dunque, a una scelta pesante che quest'anno costerà ai comuni delle regioni a statuto ordinario 1 miliardo e 300 milioni di euro di risorse in meno e, dal 2012, ben 2 miliardi e 200 milioni. Insomma, la coperta delle entrate comunali, che era già corta in partenza, si restringerà ulteriormente e l'operazione di fiscalizzazione dei trasferimenti erariali, che è il cuore della fase transitoria tra il 2011 e 2013, verrà effettuata su un ammontare di risorse in forte riduzione. Questi sono i numeri, che sono scritti, peraltro, anche nella relazione tecnica allegata allo schema di decreto legislativo.
Con questo federalismo municipale, insomma, i comuni avranno meno risorse rispetto al 2010. Questo è un primo punto critico che emerge chiaramente dal disposto dello schema di decreto legislativo. I soldi e le risorse si dovevano andare a prendere nei ministeri romani, cari amici della Lega. Bisognava impugnare il bisturi con coraggio e con determinazione, per razionalizzare e ridurre la spesa pubblica laddove è cresciuta fortemente in questi anni, non nei comuni, quindi, quanto nelle amministrazioni centrali. Bisognava farlo anche sfidando l'impopolarità.
Invece, avete seguito Tremonti e avete seguito la strada politicamente più facile e meno costosa, ossia scaricare sui sindaci l'onere del risanamento e quelle risorse le avete sottratte ai comuni. Ma così facendo avete azzoppato quel federalismo fiscale e municipale che vi ostinate a definire una riforma epocale, perché queste scelte produrranno una prima conseguenza molto precisa: gli spazi di autonomia impositiva, che si apriranno con gradualità - ma si apriranno - da qui in avanti, verranno utilizzati dai sindaci non per effettuare investimenti aggiuntivi né per erogare alle loro comunità più servizi, ma verranno utilizzati per recuperare almeno parte delle risorse che verranno meno con il taglio dei trasferimenti. Da quest'anno sono 3.543 i comuni - il 45 per cento del totale - che potranno aumentare l'addizionale IRPEF. Non è uno spazio marginale quello che si è aperto con lo sblocco delle addizionali. Una parte dei sindaci cercherà di non farlo sicuramente, perché a nessuno fa piacere fare il gabelliere nei confronti della loro comunità. Ma la gran parte di loro saranno costretti a ritoccare le aliquote delle addizionali, perché hanno subìto un taglio con cui dovranno fare i conti, altrimenti non saranno in grado di chiudere i bilanci.
Da quest'anno molti capoluoghi di provincia e molti comuni a vocazione turistica introdurranno l'imposta di soggiorno e altri comuni, che non hanno altre strade per finanziare gli investimenti, perché il Patto interno di stabilità blocca quasi del tutto la via dell'indebitamento, introdurranno l'imposta di scopo, che altro non è che una sovraimposta ICI.
Dal 2014 il sistema andrà a regime ed entrerà in vigore l'imposta municipale propria, che sarà in tutto e per tutto uguale alla vecchia ICI. Siamo di fronte ad un restyling fondamentalmente, salvo che per un punto: l'aliquota, che viene fissata al 7,6 per mille quando oggi è in media al 6,4 per mille.
Badate, perché per le attività commerciali e produttive sarà una vera e propria stangata.
Rete Imprese l'Italia, cioè la rete delle associazioni della piccola e media impresa fa riferimento in uno studio a 800 milioni di euro in più. Se avesse ragione l'ANCI, che sostiene che l'aliquota reale di equilibrio non è il 7,6 per mille, ma l'8,5 per mille, quella stangata diventerebbe di 1 miliardo e 600 milioni di tasse in più. Si tratta del 32 per cento di carico fiscale in più rispetto a ciò che oggi pagano di ICI i commercianti e gli artigiani.
Sono tanti anni che il Popolo della libertà e la Lega Nord fanno chiacchiere sulle piccole e medie imprese e abbiamo assistito anche ieri al siparietto di Berlusconi e di mezzo Governo all'assemblea di Confcommercio a Milano. Con questa «riforma epocale» si passa dalle chiacchiere alla stangata ed è bene che se ne ricordino i commercianti, gli artigiani e le loro associazioni rappresentative quando saremo Pag. 27chiamati nuovamente a votare in questo Paese, perché prima o poi lo saremo.
Non tutti, a dire la verità, pagheremo più tasse con questo decreto, perché il federalismo municipale introduce la cedolare secca sugli affitti e dal 2014 prevede una aliquota IMU dimezzata per gli immobili locati. Questo è un enorme sconto fiscale per i proprietari immobiliari, perché oggi l'aliquota media è al 32 per cento sugli affitti, con la cedolare passerà al 21 per cento per i canoni liberi e al 19 per cento per i canoni concordati. Sono 900 milioni di euro in meno rispetto alla situazione attuale e l'IMU dimezzata a sua volta sugli immobili locati comporterà una diminuzione di altri 900 milioni di euro rispetto a quanto oggi si paga di ICI.
Queste scelte hanno senso in un quadro di riforma fiscale complessiva, in un quadro organico di riforma fiscale e di politiche per la casa, ma sono scelte assolutamente inique se - come accade in questo decreto - non si prevede nulla, assolutamente nulla, per i quattro milioni di famiglie che vivono in affitto in questo Paese e che hanno un tasso di povertà superiore di una volta e mezzo a quello medio e che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Per loro non è previsto assolutamente nulla.
Signor Presidente, mi lasci dire che è assolutamente ingiusto fare risparmiare 1 miliardo e 800 milioni, da qui al 2014, alla proprietà immobiliare, quando dal 2011 il Fondo sociale per gli affitti viene ridotto del 77 per cento, come risulta dai dati della legge di stabilità.
Noi avremmo fatto scelte diverse: la sostituzione dell'addizionale IRPEF e della Tarsu con l'imposta comunale sui servizi, modulabile - questa realmente modulabile - sulle famiglie, al di là delle chiacchiere sul quoziente familiare che sono state fatte in Commissione bicamerale. Avremmo introdotto la cedolare con più gradualità, in ragione del rinnovo di ciascun contratto, e avremmo previsto una forte detrazione per le famiglie che vivono in affitto. Avremmo abolito l'ICI sulle abitazioni affittate a canone concordato, evitando come fa questa riforma, di spiazzare gli affitti calmierati.
Il Governo è andato avanti per la sua strada e ha attuato una redistribuzione fiscale che farà pagare più tasse a chi lavora, più tasse a chi produce, meno tasse sulle rendite immobiliari. È esattamente l'opposto di quanto serve ad un Paese che sta faticosamente uscendo dalla crisi economica e che ha bisogno di rilanciare la propria economia.
Infine, il principio «pago, vedo, voto» che è tanto caro alla Lega e ai Ministri Calderoli a Bossi: con il federalismo municipale la principale imposta dei comuni sarà pagata da soggetti non residenti - proprietari di seconde case o esercenti attività produttive -, così si cristallizza e si consolida uno squilibrio che già oggi è presente nella finanza comunale dopo l'abolizione dell'ICI sulla prima casa. Si aggiunge l'imposta di soggiorno - anch'essa pagata dai non residenti - e l'imposta di scopo, che è una sovraimposta sull'ICI che esenta la prima casa. Dov'è la responsabilizzazione degli amministratori? Dov'è il principio del beneficio? Dov'è il federalismo in queste scelte?

PRESIDENTE. Onorevole Misiani, la prego di concludere.

ANTONIO MISIANI. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Il Partito Democratico ritiene che un nuovo patto di unità nazionale non possa che fondarsi, a centocinquanta anni dall'unità d'Italia, su un assetto federalista della Repubblica.
Dalla metà degli anni Novanta in poi abbiamo promosso le leggi Bassanini, abbiamo modificato il Titolo V della Costituzione, ci siamo astenuti sulla legge n. 42 del 2009, facendo approvare tanti nostri emendamenti, in Commissione bicamerale discutiamo con le nostre idee e le nostre proposte, senza veti e senza pregiudizi, ma non possiamo accettare il federalismo delle favole. All'Italia non servono le bandierine ideologiche, gli italiani hanno bisogno di riforme vere, profonde e coraggiose. Pag. 28
Questo decreto è una riforma debole, al di sotto delle aspettative e delle necessità. Non è ciò che serve al Paese ed è per questo che bocceremo questo decreto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volpi. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, innanzitutto ringrazio il Governo, il Ministro Calderoli ed il Ministro Bossi per la chiarezza della comunicazione che hanno fatto. Vorrei iniziare i miei sei minuti trasmettendo a lei, all'Aula ed ai colleghi una personale emozione, e forse sarebbe poco perché credo che la mia emozione sia l'emozione di una comunità politica - come si usa dire oggi - che con venticinque anni di storia raggiunge finalmente dei risultati con la pervicacia e la costanza.
La comunità politica che intendo ringraziare attraverso i colleghi parlamentari e attraverso i nostri rappresentanti del Governo è quella comunità politica fatta da coloro che il segretario della Lega Lombarda Giorgetti definì i «militanti ignoti», coloro che per venticinque anni hanno fatto la storia del nostro movimento insieme a Umberto Bossi, non spaventandosi di fronte a nulla.
Detto questo, credo che con lo stesso spirito il Governo, il Ministro Calderoli ed il Ministro Bossi abbiano affrontato questo pezzo di storia del Paese, cercando continuamente un confronto con tutte le forze politiche, anche quelle di opposizione, e con le rappresentanze degli enti locali, per cercare di trovare una convergenza. Ma, Ministro Calderoli, ha ragione lei: purtroppo, non si è voluta superare con serenità la contingenza politica, non si è voluto pensare che questa poteva essere un'opportunità per tutti e non semplicemente un mezzo per fare una politica disgregata e disgregante.
Vorrei ricordare, per esempio, agli amici dell'Unione di Centro quando nella scorsa legislatura regionale votarono compattamente con la maggioranza il progetto di legge federalista in regione Lombardia.
Vorrei anche dire che abbiamo vissuto dei momenti di problematiche interne al Partito Democratico, come la non bella figura fatta fare al sindaco Chiamparino con le due parti in commedia - anche se oggi va di moda la doppia parte in commedia - la parte di presidente dell'ANCI e la parte di esponente politico, ed ancora quel Partito Democratico, caro Misiani, che è stato costretto a mandare i suoi dirigenti nazionali in Lombardia per spiegare ai sindaci arrabbiati il voto che voi avete dato in Parlamento. Questo è un aspetto importante perché poi, altrimenti, ci si riempie la bocca di demagogia.
C'è un'altra cosa che non è politica, ma mi ha colpito: la scorsa settimana un alto esponente della Corte dei conti ha detto che aumentando il livello di vicinanza fra cittadino e amministrazione ci sarebbero stati probabilmente maggiori casi di corruzione. Non mi sembra un bell'esempio di rispetto, né verso i cittadini e la loro libertà di voto, né verso gli amministratori locali.
Inoltre, c'è un episodio di ieri sera che mi ha colpito: il Presidente della Camera Fini ha detto che bisogna avere rispetto delle istituzioni. Io credo che si debba avere rispetto - è una cosa che ritengo riguardi anche lui, in un ragionamento più generale - e questa è la risposta che do da deputato della Lega Nord Padania, da deputato di questo Parlamento. Cinque minuti dopo, ha parlato il presidente di Futuro e Libertà per l'Italia: sono la stessa persona, ma non sono la stessa cosa, non so se avete presente. Allora gli rispondo da «Raf Volpi, militante della Lega Nord Padania, sezione di Capriolo, Brescia» e gli rispondo in idioma non volgare, signor Presidente, ma lombardo. Quando dice che, per fare un piacere alla Lega Nord Padania, si vota un federalismo che aumenta le tasse, gli rispondo dicendo «ma va a ciapà i rat», perché c'è un momento in cui... Signor Presidente, è un modo di dire lombardo, non è offensivo signor Presidente, è un modo di dire...

Pag. 29

PRESIDENTE. Me lo auguro, onorevole Volpi, per lei... La invito a tradurlo, così siamo tutti più sicuri!

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, vuol dire «va' a prendere i topi», «fai altro».

PRESIDENTE. Insomma, non mi pare che sia proprio, come dire, un'attività nobile per un Presidente della Camera.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, non ho parlato al Presidente della Camera ma al presidente di Futuro e Libertà per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), come lui sostiene si tratta di due persone diverse, ed anch'io ho parlato da militante e non da deputato.
Comunque, detto ciò, noi riteniamo che questo provvedimento, insieme agli altri provvedimenti, sia un modo per avvicinare di più i cittadini.
Le dò un dato, signor Presidente: ieri il consiglio comunale di Napoli per la cinquantesima volta su 144 convocazioni non ha potuto svolgere la sua seduta per mancanza di numero legale. Allora, se c'è qualcuno che ha ancora dei dubbi sulla necessità di avere il federalismo, penso che queste cose dovrebbero fargli cambiare idea.
Questo è un richiamo forte che faccio anche a tutti i colleghi che siedono in questo Parlamento e che hanno nel loro DNA una storia autonomista e federalista. Questa è l'unica strada per rendere gli italiani un pochino più uguali fra di loro. Le preoccupazioni purtroppo spesso vengono da quei luoghi dove i servizi sono distanti dai cittadini e le istituzioni lacerate. Dunque, facciamo un Paese migliore: votiamo questo federalismo (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Soro. Ne ha facoltà.

ANTONELLO SORO. Signor Presidente, dieci anni fa di questi giorni ho avuto il privilegio di annunciare il favore del mio gruppo alla riforma del Titolo V della Costituzione. Mi vengono in mente non solo le parole di quella giornata, ma anche la straordinaria tensione ideale. Fu uno dei momenti più alti del confronto politico sulle grandi riforme nel nostro Paese, alla fine di una legislatura che delle riforme aveva fatto la ragione principale.
Noi - vorrei dirlo in premessa - pensiamo che il federalismo sia una cosa seria. Non è mai stato per noi un feticcio, una sorta di contenitore magico delle paure dei cittadini e neppure una replica aggiornata delle piccole sovranità feudali evocate come strumento di protezione e di chiusura. Noi abbiamo riformato la Costituzione per unire l'Italia, per accorciare gli squilibri sociali e territoriali, per ridurre la distanza tra i cittadini e le istituzioni, per rendere più efficiente e trasparente la nostra democrazia.
In forza di questa intenzione, abbiamo concorso in modo responsabile alla scrittura della legge n. 42 del 2009, non sottraendoci alla sfida riformatrice, offrendo dai banchi dell'opposizione le nostre idee e le nostre migliori competenze, chiamando il Governo a una sfida di coerenza e di rigore con le deleghe ricevute.
Per queste ragioni, perché ci sentiamo impegnati a corrispondere a quell'impegno e a quelle intenzioni, respingiamo senza incertezze il testo che oggi viene avanzato al Parlamento. Il documento che oggi ci avete proposto non ha niente a che vedere con quel disegno e con la delega ricevuta.
Le oscillazioni di queste settimane, l'improvvisazione, le riscritture confuse, lo snaturamento, le rinunce, le tensioni e le torsioni che stanno a monte di questo dibattito misurano, più di ogni altro discorso, la distanza che separa questo finto federalismo dal progetto originario.
Bisogna dire con chiarezza che l'intervento del Presidente della Repubblica ha consentito di ripristinare una corretta procedura nella formazione delle leggi, ma non ha cancellato quella che per noi rimane una grave ferita nelle relazioni tra il Governo e Parlamento. Qualunque sia il destino di quel che resta di questa legislatura, la frettolosa decisione di approvare Pag. 30nel Consiglio dei ministri un testo privo di consenso parlamentare resta una prova indelebile della debolezza politica e istituzionale del Governo Berlusconi e certifica in modo conclusivo l'inadeguatezza del suo Presidente a guidare una stagione di riforme.
In questa occasione sono venute alla luce tutte le contraddizioni di una maggioranza priva di solido cemento politico e di una comune sedimentata cultura delle istituzioni, ma in qualche modo è venuta in superficie quella che noi pensiamo sia la sconfitta e la resa della Lega e dei suoi massimi dirigenti. Oggi, il discorso del Ministro Calderoli segna il trionfo di quella convenzione del berlusconismo secondo la quale le parole sono una cosa diversa dalle cose, non rispondono alle cose.
Oggi è chiaro che il Governo ed il Ministro per le riforme tradiscono in modo clamoroso l'impegno federalista, così a lungo esibito come una bandiera, perché è incontrovertibile che i comuni, sulla base del decreto legislativo in esame, avranno meno autonomia impositiva e politica rispetto a quella progressivamente maturata nella nostra storia repubblicana.
La finanza locale sarà costituita in misura sostanziale da trasferimenti statali che restano tali anche se il Ministro Calderoli li ha ribattezzati chiamandoli «compartecipazioni», con l'eccezione, certo, dell'addizionale IRPEF rinnovata come strumento brutale di scaricabarile sui sindaci, in una situazione disperata per i tagli di 2 miliardi e mezzo di euro che questo Governo ha operato sui comuni, assoggettandoli ad un ricatto affidandogli il compito ingrato di aumentare le tasse.
Il Governo Berlusconi aveva promesso un nuovo patto fiscale agli italiani. In realtà, con il decreto in oggetto, come hanno spiegato con puntualità i colleghi Causi e Misiani, gli italiani pagheranno più imposte. Questo nuovo, prevedibile, balzello peserà in modo insopportabile sui lavoratori, sui pensionati, sulle imprese artigiane e commerciali e sulle libere professioni, alla faccia della retorica del «non mettiamo le mani in tasca agli italiani».
Il nuovo sistema accrescerà le divisioni esistenti e ne creerà di nuove non solo tra sud e nord, tra regione e regione, ma all'interno delle regioni stesse, tra città e territori, al di fuori di qualunque riferimento al merito, all'efficienza e all'appropriatezza della spesa. Lo strumento di perequazione, il Fondo sperimentale di riequilibrio, è diventato una chimera totalmente priva di criteri che garantiscano le modalità di riparto. Tutto viene rimesso genericamente alle future intese.
Come ha detto il Presidente della Corte costituzionale, il prodotto di questa legge non può essere chiamato federalismo, sarebbe una bestemmia. Il principio di responsabilità degli amministratori verso i contribuenti è stato interamente disatteso per effetto di una base fiscale sperequata, distorsiva, di una separazione sempre maggiore tra chi paga e chi riceve i servizi.
Come hanno già detto i colleghi, il provvedimento in oggetto viola il principio fondativo delle democrazie rappresentative secondo cui deve esistere un legame indissolubile tra la tassazione e la rappresentanza. Così avverrà, vogliamo ripeterlo ancora una volta, che chi voterà per il sindaco non pagherà le tasse decise dal sindaco perché nel comune di residenza possiede la prima casa e non la seconda, mentre chi pagherà il tributo non voterà per il sindaco perché in quella sede possiede solo la seconda casa.
La cedolare secca viene malamente depotenziata della sua funzione di leva, efficace per l'emersione del mercato immobiliare in nero, in assenza di qualsivoglia convenienza per gli inquilini, così come da noi ripetutamente proposto. L'imposta sostitutiva si traduce in un vantaggio esclusivo per i titolari di rendite e, insieme, in uno strumento molto oneroso per l'erario, certamente estraneo al processo di allargamento dell'autonomia impositiva dei comuni.
Il Ministro per la semplificazione normativa, dispiace dirlo per la stima e la simpatia che abbiamo per il Ministro Calderoli, ha prodotto un mostro di complicazione con la previsione di decreti che rimandano ad altri decreti attuativi o che Pag. 31rinviano, con grande approssimazione, a successivi regolamenti. Un sistema barocco e contorto che appesantisce il motore già ingolfato della pubblica amministrazione.
È bene che oggi sia chiaro in questa sede che si stanno creando le premesse per nuove, ineludibili, complicazioni nel ginepraio già fitto, spesso impenetrabile, del nostro sistema tributario, certamente con effetti dissuasivi sull'assunzione di responsabilità da parte degli amministratori locali e con una dipendenza sempre maggiore dalla finanza centrale.
Noi che nella distinzione non banale e, spesso, nel contrasto aperto e duro con le posizioni politiche della Lega Nord non ne abbiamo mai sottovalutato la potenziale spinta innovativa, non possiamo non registrare un'involuzione di questo partito. Appare sempre più chiaro che le Lega Nord, federalista a parole, quando è al Governo produce brutte leggi che di federalista hanno solo il nome. Il potere romano e la subalternità al Presidente del Consiglio sembrano aver divorato ogni velleità di cambiamento di quel partito, prima sui temi della legalità, oggi sui temi del federalismo. Lo registriamo senza soddisfazione, perché questa deriva rende ancora più acuti i problemi già drammaticamente evidenti della nostra democrazia.
Anche per queste ragioni sarà forte il nostro contrasto allo schema di decreto legislativo, che oggi voi ci proponete, ma sempre più forte sarà il nostro contrasto a questo Governo, al suo Presidente e ai suoi alleati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, parlerò soltanto per cinque minuti e chiederò, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
Signor Presidente, visto che questo provvedimento rappresenta una combinazione tra uno schema di decreto legislativo e le comunicazioni del Governo sul federalismo municipale che in questa versione non è passato nelle Commissioni di merito e neppure nella Commissione affari costituzionali, vorrei rapidamente sottolineare in questa discussione alcuni aspetti che avremmo potuto sollevare in quelle sedi: scostamento dalla delega, norme di dubbia costituzionalità e una delegificazione impropria, del tutto scollegata dai principi costituzionali.
Sui profili che riguardano il rispetto della delega non mi soffermerò sul fatto che questo testo è molto distante nei suoi contenuti dai principi di autonomia e responsabilità delle comunità locali dato che ne hanno già parlato i colleghi Causi, Misiani e Soro.
Devo anche rilevare che lo schema di decreto legislativo interviene su una parte soltanto della delega (è un atteggiamento abbastanza frequente: ormai praticamente il Governo sceglie a suo piacimento che cosa attuare e cosa non attuare di quella delega).
Anche l'istituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio, di cui all'articolo 2, comma 3, in realtà non è prevista dall'articolo 13 della delega (legge n. 42 del 2009) e per di più le modalità della sua costituzione sono rinviate ad un decreto del Presidente del Consiglio, senza alcun termine che ne stabilisca l'emanazione e, quindi, come dire, viene lasciato alla sua totale discrezionalità. Questo non è possibile quando si tratta di materie delegate.
Infine, la legge delega esclude interventi sulla disciplina di tributi erariali vigenti con lo strumento del decreto legislativo. Naturalmente è un aspetto molto delicato, che pone problemi di compatibilità con l'articolo 76 della Costituzione (mi riferisco, ad esempio, alle disposizioni in materia di rifiuti solidi urbani).
Tra l'altro, lo stesso sblocco dell'addizionale comunale IRPEF non è previsto in delega.
Questi sono aspetti omissivi, con riferimento alla legge delega, ma non devono soltanto costituire aspetti di una valutazione di un professore: vorrei fare presente che tali questioni sono molto delicate Pag. 32e, quindi, invito il Ministro a tenerne conto, perché questi aspetti, evidentemente, trattandosi di delega, non sono secondari.
Vorrei anche sottolineare alcuni aspetti di dubbia costituzionalità. La cosiddetta cedolare secca strutturata solo su due aliquote, come hanno rilevato altri, pone problemi con riferimento al principio generale di progressività, un principio costituzionale che va tenuto presente ed è fatto cardine dell'articolo 53 della Costituzione.
Si parla poi del rimborso di imposte già pagate all'articolo 3, comma 4. Va verificato se l'espressione «non si fa luogo al rimborso delle imposte (...) già pagate» sia compatibile con quello che, ormai in maniera consolidata, ha affermato la Corte costituzionale, la quale ritiene violato il principio di uguaglianza da norme che, da un lato, qualificano un pagamento come non dovuto e, dall'altro, ne escludono la ripetibilità.
Infine, anche se si tratta di materia di autonomia, va detto che il regolamento comunale, previsto in deroga alla legge dall'articolo 11, comma 2, dello schema di decreto legislativo, ovvero la facoltà prevista per i comuni di disporre, senza alcun limite con proprio regolamento, esenzioni ed agevolazioni dell'imposta, alla luce dell'articolo 12 della legge di delega n. 42 del 2009, risulta abbastanza discutibile, soprattutto perché qui siamo in una materia riservata alla legge dall'articolo 23 della Costituzione. Qui sta tutta la filosofia di questo schema di decreto legislativo, che dimentica che questo è un atto del Governo, che si deve muovere all'interno di cornici precise.
Vi è poi un errore di «grammatica», che io penso sia clamoroso. Non si tratta di dire che la Corte costituzionale «abroga»: il Presidente del Consiglio non sa bene la distinzione tra «abrogazione» e «annullamento» e, comunque, la Corte costituzionale dovrà prima o poi controllare questi profili di costituzionalità.
Come la mettiamo poi con questi due regolamenti di delegificazione, che sono del tutto irrispettosi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988? Li cito: il regolamento sull'addizionale IRPEF, di cui all'articolo 5, comma 1, e quello che riguarda la revisione dell'imposta di scopo, di cui all'articolo 6, comma 1. Non si può ed è vietato in maniera esplicita che un decreto legislativo possa sostanzialmente autoattribuirsi una potestà regolamentare di delegificazione, totalmente prescindendo dai canoni previsti dall'articolo 17 della legge n. 400 del 1988. Non vi sono infatti le norme di riferimento e non vi sono le norme precedenti.
Signora Presidente, concludo (il mio intervento scritto chiarirà il resto), non potendo fare a meno, in tre righe, di citare l'opinione della professoressa Marta Cartabia, una costituzionalista di grande valore, che dice significativamente: «la tecnica della delegificazione ha la finalità di spostare in avanti il momento della decisione finale, prefigurando solo parte dei suoi contenuti e accantonando nell'immediato i nodi più complessi». Ecco, ciò che avviene con questa tecnica «a cannocchiale» di normazione è non rispettare la delega stessa e posticipare in capo ad altri soggetti, spesso non abilitati di livello ministeriale, decisioni di rilievo politico, e questo è costituzionalmente inaccettabile.
Signora Presidente, come preannunciato chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Follegot. Ne ha facoltà.

FULVIO FOLLEGOT. Signor Presidente, Ministro Calderoli, onorevoli colleghi, oggi è un giorno straordinario. Viene aggiunto un ulteriore e fondamentale tassello alla realizzazione del federalismo fiscale, strumento necessario per rendere il sistema di governo efficiente. In questi ultimi anni è cambiato il mondo, il mercato si è globalizzato, la conoscenza è diventata patrimonio di tutti; Paesi emergenti, Pag. 33in particolare Cina, India, Brasile e Russia, stanno consolidando la loro posizione nel panorama economico. Non è più possibile far finta di niente e continuare come se nulla fosse successo.
Il debito pubblico del nostro Paese, evidenziato dalla crisi finanziaria internazionale, rende necessario un profondo e radicale cambiamento. La spesa per interessi divora gran parte delle risorse che dovrebbero essere invece destinate ad investimenti e alle infrastrutture, e nel frattempo il debito pubblico continua a crescere. Se è vero che nonostante queste difficoltà il Governo è riuscito a garantire stabilità economica e sociale e a mantenere i conti in ordine, è arrivato comunque il tempo delle scelte. Lo Stato centralizzato ha infatti dimostrato di non essere efficiente, e non lo è perché attraverso l'accentramento delle imposizioni fiscali in capo allo Stato e il decentramento della spesa viene a mancare, da un lato, la responsabilità di chi amministra e, dall'altro, la possibilità di un controllo puntuale da parte dei cittadini. Se a ciò si aggiunge che il trasferimento delle risorse dallo Stato alle regioni e agli enti locali avviene secondo i criteri della spesa storica (ti dò sulla base di quanto ricevuto nel passato senza verificare come vengono spese le risorse) ci si rende conto che il modello è nello stesso tempo iniquo e inefficiente. In questo senso il federalismo è una vera e propria rivoluzione. Scardina il modello esistente e introduce nuovi principi e nuovi criteri. Si passa dalla finanza derivata alla finanza autonoma. Se ora molte delle risorse comunali arrivano da trasferimenti statali a regionali, con la riforma si avranno tributi propri e compartecipazioni.
Questo è importante perché responsabilizza l'intero sistema e nel contempo pone le condizioni per poter ridurre la pressione fiscale. In questo senso la cedolare secca sugli affitti è il primo risultato tangibile. L'aliquota sui redditi da locazione sarà del 19 o del 21 per cento a seconda del tipo di contratto, mentre prima poteva superare il 40 per cento. Insomma non vi sarà più giustificazione per gli affitti in nero né vi sarà scampo per chi intende continuare ad evadere il fisco, visto che il comune potrà colpire immediatamente attraverso i controlli incrociati dei dati relativi ai consumi di gas e di energia elettrica con i dati catastali. Il comune avrà così cospicui vantaggi dalla lotta all'evasione essendogli riconosciuto il 50 per cento dell'extragettito. Nello stesso tempo anche l'inquilino avrà un beneficio visto che il canone di locazione non potrà subire aumenti dovuti all'adeguamento ISTAT. Vengono inoltre ridotte le imposte relative ai trasferimenti immobiliari. Anche per quanto riguarda l'IMU, imposta municipale propria, il comune avrà la possibilità di modificare l'aliquota e quindi, se ritiene, può ridurre la pressione fiscale. L'aliquota IMU prevista è comunque già un'aliquota di equilibrio e non aumenta infatti la tassazione. Il comune potrà dunque scegliere autonomamente come gestire la cosa pubblica. La sfida dunque è tutta sulla buona amministrazione. Mentre nel passato veniva premiato chi governava male (vedi la spesa storica), ora sarà premiato chi riesce a dare servizi adeguati senza aumentare le imposte, e magari diminuendole. Occorre dunque fare delle scelte. Niente sprechi né inefficienze. Il cittadino con il voto premierà chi governa bene perché finalmente potrà verificare se quanto da lui versato sarà impiegato nel modo migliore.
Ma il federalismo non è solo il superamento dello Stato centralizzato, non è solo un modo diverso di concepire il rapporto fra lo Stato, l'ente pubblico e il cittadino.
Federalismo è la concezione di un nuovo modello di società dove il cittadino si sente parte attiva e consapevole. Il federalismo è, poi, necessariamente competitivo perché ogni ente pubblico, ogni azienda, ogni cittadino, deve dare il meglio di sé. Questo non significa che non sia anche solidale ed attui la redistribuzione delle ricchezze a chi non è in grado di farcela da solo. Uno dei pilastri del federalismo, anche quello municipale, è proprio la perequazione delle risorse, al fine di garantire a tutti i servizi fondamentali. Ma per redistribuire ricchezza occorre Pag. 34prima produrla. Il Friuli Venezia Giulia, regione da cui provengo, è una regione a statuto speciale; questo le ha permesso uno sviluppo socio-economico di rilievo. Da regione di confine, con un'economia a basso sviluppo, nel giro di pochi decenni, è riuscita a diventare parte integrante del sistema nord-est. La specialità derivante dal fatto di essere territorio di confine e l'esistenza di minoranze linguistiche hanno dato una marcia in più che le ha permesso di agganciare le regioni ad economia avanzata. Le competenze attribuite e le risorse conseguenti, peraltro assegnate con il metodo della compartecipazione, hanno permesso una responsabilizzazione a livello finanziario e politico. La maggiore autonomia, associata ad una maggiore responsabilità, è, per certi versi, prodromica del federalismo fiscale. Sbaglia chi afferma che tutte le regioni saranno finalmente uguali giocando al ribasso; noi diciamo, invece, che, con il federalismo, le regioni saranno tutte più speciali, avranno più poteri, più competenze, ma anche più responsabilità. Dovranno dimostrare di essere in grado di gestire in maniera oculata le risorse dei cittadini fornendo servizi adeguati nel rispetto dei costi standard, senza sprechi ed inefficienze.
Anche le regioni a statuto speciale, Friuli Venezia Giulia compreso, parteciperanno al perseguimento degli obiettivi della legge delega: perequazione e solidarietà, contribuendo così al riequilibrio della finanza pubblica. Basterebbe questo per dire, come ha affermato il Ministro Calderoli, che il federalismo è fatto per unire e non per dividere il Paese. Chi è contro il federalismo vuole che le cose rimangano così come sono, avallando sprechi ed inefficienze, assistenzialismo e clientelismo. La Lega Nord Padania vuole cambiare questo stato di cose perché lo vogliono i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, innanzitutto vorrei brevemente ricordare i passaggi procedurali che hanno caratterizzato il decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale. Nella seduta del 3 febbraio 2011, è stata posta in votazione la proposta di parere favorevole del relatore che riscriveva interamente lo schema di decreto legislativo presentato alle Camere il 19 novembre 2010 sulla base di un grande lavoro svolto in Parlamento, recependo indicazioni da parte di tutte le parti politiche. L'esito della votazione è stato di parità e, quindi, secondo le regole generali, specificate anche dall'articolo 7 del regolamento della Commissione, la proposta è stata respinta. Per approvare un parere è del tutto evidente che ci vuole la maggioranza dei voti, mentre, a parità di voti, l'emendamento è respinto. Non si è proceduto ad altre votazioni in quanto le ulteriori due proposte di parere sono state ritirate dai presentatori. In sostanza, la Commissione non è riuscita ad esprimere un parere nei termini perché la votazione di rigetto non equivale ad un parere contrario, ma solo ad una mancanza del parere e la Commissione avrebbe dovuto procedere alla votazione di altri pareri fino ad approvarne uno per avere l'effetto di determinare il passaggio alla procedura prevista dalla legge per il caso che il Governo decidesse di procedere in difformità dal parere espresso dalle Commissioni parlamentari. In tal caso, come si è detto, è previsto che il Governo ritrasmetta i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, rendendo comunicazioni davanti a ciascuna Camera e, dunque, provocando un nuovo voto parlamentare al massimo livello delle due Assemblee e potendo, comunque, adottare in via definitiva i decreti decorsi i 30 giorni dalla nuova trasmissione.
Nel caso verificatosi nella seduta del 3 febbraio, la Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale non ha espresso alcun parere nei termini di 60 giorni e della successiva proroga previsti dalla legge n. 42 del 2009. Su questo presupposto, il Governo ha adottato il testo del decreto legislativo che risulta sostanzialmente identico a quello rinveniente dal parere votato il 3 febbraio, integrato dalle Pag. 35proposte emendative approvate nella seduta del 2 febbraio dalla Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale. Sul piano formale, quindi, questo è vero, ma sul piano sostanziale politico e dei rapporti tra le istituzioni, non vi è dubbio che, volendo il Governo adottare il decreto nel testo indicato al parere respinto, vi era un contrasto tra la volontà espressa dall'organo parlamentare e quella adottata dal Governo. Quest'ultimo ben può motivare, alla fine, sul piano della correttezza e leale collaborazione fra le istituzioni, il richiamo del Presidente della Repubblica alla procedura di ritorno alle due Assemblee per un nuovo voto.
La procedura indicata dal Presidente è stata prontamente accolta dal Governo che ha convenuto, adeguandosi senza alcun problema. Sostanzialmente ad una più serena ricostruzione degli eventi e ad una considerazione degli stessi in base a quanto delineato proprio dalla legge base n. 42 del 2009, si può affermare che legittimamente il Governo ha esercitato il potere di delega legislativa ad esso conferito e correttamente il Presidente della Repubblica ha richiamato lo stesso Governo al rispetto di un ulteriore e definitivo passaggio parlamentare prima della pubblicazione del decreto legislativo. Vanno tuttavia rilevate alcune considerazioni non di natura procedurale, come quelle testé fatte, per una riforma che è stata dico impropriamente contaminata da tensioni e contrapposizioni di carattere politico che nulla hanno a che fare con l'esigenza di restituire maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti territoriali.
La mancata espressione del parere in Commissione bicamerale non è in tal senso imputabile a ragioni di dissenso incolmabili nel merito delle questioni quanto piuttosto a una pregiudiziale di scontro politico che non fa onore ad un Parlamento che, su una questione come il federalismo fiscale, dovrebbe mettere da parte casacche e tessere di partito ed abbracciare con vigore, serietà e sobrietà uno spirito riformatore per dare davvero prova di avere a cuore l'interesse generale: interesse che, in tal caso, è l'interesse nazionale che si sostanzia nell'esigenza di trasformare un sistema disordinato e caotico di finanza derivata in un più moderno assetto finanziario policentrico ispirato ai canoni dell'autonomia e della responsabilità volto ad efficientare la spesa e, per questa via, i servizi resi a favore dei cittadini e delle stesse imprese. In questo senso ritengo che l'atteggiamento tenuto dalle forze di opposizione nel corso del dibattito sia stato ingiustificatamente strumentale e la riprova è il fatto che lo stesso Ministro Calderoli qui presente ha fino all'ultimo tessuto le file del dialogo, dando la disponibilità ad accogliere tutti i suggerimenti provenienti dal mondo delle autonomie ed in particolare dalla Conferenza Stato-città e dai gruppi di minoranza. Il testo che ne è risultato accoglie nella sostanza, portandole a sintesi, larga parte delle istanze emerse nel corso dell'istruttoria ed è dunque un sentimento di profondo rammarico quello che intendo esprimere perché oggi è stata persa, anzi in quella sede è stata persa una grande occasione, a riprova di come e quando si tratta di assumersi le proprie responsabilità e fare del Parlamento un luogo di rappresentanza e decisione, le forze politiche di opposizione non riescono a fare un salto tale da mettere da parte atteggiamenti ideologici e cavalcano senza indugio le insoddisfazioni che fisiologicamente derivano da un processo riformatore profondo che è destinato a cambiare la mentalità dell'azione amministrativa e a rimuovere gli sprechi e le inefficienze, a sanzionare la responsabilità degli amministratori in modo trasparente ed a premiare i comportamenti virtuosi ed il buon Governo, restituendo ai cittadini un potere di scelta in ordine ai livelli di spesa, di tassazione e di servizi che ritengono devono essere assicurati: insomma è lo spirito che è stato posto alla base dell'approvazione della legge n. 42, proprio qui in quest'Aula, al momento in cui c'è stata una condivisione molto ma molto larga di quella riforma. È evidente che il processo che abbiamo messo in moto sarà lungo e complesso. Il lavoro di analisi, di monitoraggio e classificazione dei fabbisogni Pag. 36standard degli enti locali avviato da strutture come la SOSE è denso di incognite e difficoltà di carattere tecnico. Il processo di armonizzazione del bilancio, conditio sine qua non per assicurare la confrontabilità dei dati, deve essere portato a compimento; la ricostruzione delle informazioni contabili è in via di ulteriore affinamento grazie al prezioso lavoro svolto dai tecnici della COPAFF così come sono in via di definizione gli altri tasselli del puzzle legislativo che comporranno l'edificio finale del federalismo fiscale. È dunque evidente che si tratta di un lavoro in progressione che sarà soggetto a continui aggiustamenti e ad interventi correttivi come prevede del resto la stessa legge delega e come è normale che sia per una riforma ampia ed epocale come quella che stiamo costruendo. Ma è proprio per tali ragioni che la maggioranza non può più accettare comportamenti volti soltanto a dilazionare o, peggio, ad inficiare il cammino della riforma. Quando la disponibilità al dialogo è massima non può più essere tollerata la confusione dei ruoli.
Il dialogo ed il confronto, la sottile arte della mediazione non può mai trasformarsi in una non scelta, in una inerzia ed in un compromesso al ribasso.
Il dialogo che la maggioranza ha sempre convintamente sostenuto e promosso su questa delicatissima riforma deve saper valorizzare ciò che unisce rispetto a ciò che divide e credo che nello schema di decreto legislativo oggi in esame siano maggiori le ragioni di condivisione che quelle di dissenso.
Certo vi sono state ipotesi alternative presentate dalla minoranza e che non hanno trovato cittadinanza - una parte, perché delle altre parti abbiamo già parlato prima - nel testo condiviso dal Governo. L'ipotesi di una service tax, ad esempio, che in qualche modo sottendeva anche una surrettizia imposizione per le case adibite ad abitazione principale non è stata ritenuta praticabile per le ovvie ragioni squisitamente politiche: il centrodestra ha fatto una scelta chiara ed irreversibile sul punto e non intende riproporre una tassazione sulle prime case.
Di converso sono state invece accolte proposte dei gruppi di minoranza assai significative in termini di impatto finanziario come quella relativa al passaggio dalla compartecipazione IRPEF a quella IVA, così come sono state recepite le proposte in materia di riparto del fondo sperimentale di riequilibrio e definizione del fondo perequativo a regime e l'elenco potrebbe continuare, a testimonianza della forte volontà che è stata dimostrata nel tenere conto delle diverse esigenze.
Mi avvio alla conclusione: è per queste ragioni, onorevoli colleghi e signor Presidente, che invito tutti a riflettere con onestà intellettuale sul percorso che abbiamo di fronte. La volontà di agire secondo uno spirito di condivisione, partecipazione e leale collaborazione rimane immutata, ma se continueremo a dividerci in via pregiudiziale per ragioni che nulla hanno a che fare con l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, altrettanto immutata sarà la volontà della maggioranza di andare avanti per definire quella che è una vera riforma strutturale necessaria al Paese e che andrà a beneficio di tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, Ministro e Governo, lei a conclusione della sua introduzione, richiamandosi all'addizionale IRPEF, ha detto che vi sono comuni spreconi che sono sopra lo 0,4 dell'addizionale. Ebbene la sua città, che è Bergamo se non sbaglio, è allo 0,6, quindi non si faccia prendere dalla foga dello sprecone. Infatti, un'amministrazione utilizza uno strumento fiscale e su questo ha polemizzato con noi, dicendo che siamo dei pentiti. Noi lo diciamo con molta franchezza: l'addizionale viene sempre pagata da chi paga le tasse. In generale, nella distribuzione di fatto l'80 per cento dell'IRPEF è costituito da pensione e lavoro dipendente. Quindi, su questo aspetto abbiamo avanzato una proposta alternativa che si basava sull'abolizione dell'addizionale Pag. 37IRPEF e per questa sua iniquità non utilizzabile la Tarsu, per sperimentare sul nucleo familiare, sul soggetto residente. Infatti, nella sua proposta e nella proposta della maggioranza ciò che manca è il cittadino residente in quel comune. Non si tratta di ragionare in questi termini in ordine alla tassazione: se si ospita con la tassa di soggiorno si avrà un'entrata, se c'è una seconda casa e vi sono le vacanze vi è una tassazione; noi pensavamo ad un'imposta municipale molto più autonoma rispetto alla proposta della maggioranza che facesse perno sull'abolizione dell'addizionale e sull'abolizione della Tarsu-Tia (da verificare dove era divenuta Tia con molta attenzione), anche sperimentando con correttezza quella che viene detta la bandiera del quoziente familiare.
Cos'è questo quoziente familiare? Non si tratta altro che di sperimentare, in questa fase di impostazione, sul numero dei componenti della famiglia - ed era possibile nell'intervento dell'imposta comunale autonoma - una tassazione sul soggetto residente. Questo è l'elemento di fondo. Avete messo la bandierina dell'ICI prima casa e non mi vergogno a dire che quei 3,3 miliardi sarebbero stati meglio spesi per sostenere il reddito dei pensionati, dei lavoratori e delle imprese, piuttosto che per mettere una bandierina su questo elemento. Infatti, la riforma del 1993 aveva dato ai comuni italiani la capacità di avere il 60 per cento della sola capacità impositiva come entrate proprie (provengo da una regione, la Toscana, dove i comuni hanno il 73 per cento della capacità impositiva) e non avete voluto aprire con noi una discussione su questo.
Dunque, ciò va bene ai commentatori nazionali dei giornali: una parte di questi ultimi, infatti, non vede il federalismo, lo ritiene solo chiacchiere e discussioni propagandistiche; una parte, invece, sostiene che è bello perché è federalista, perché, comunque, cambia e non ascolta fino in fondo le proposte della minoranza e del gruppo parlamentare del Partito Democratico.
Noi facevamo perno, quindi, su una riforma attenta e puntuale rispetto ai comuni: lasciateci dire che la maggioranza non li conosce. Riteniamo più attento quanto viene proposto per le province e le regioni, con le modifiche che si dovrebbero avere nella discussione aperta in sede di Commissione bicamerale. Pensiamo che in ordine a questo aspetto vi siano degli spazi, mentre, al contrario, con riferimento ai comuni, non vi sono.
Infatti, in Italia, i comuni sono 8.094: sotto i mille abitanti, sono 1.862, quasi un quinto dell'intera platea. Sotto i mille abitanti, si può organizzare un asilo nido? Si può dare alla popolazione residente un servizio corrispondente ai bisogni dell'assetto territoriale dei territori montani e di altri territori? Non si può fare, se non vi è un'unione di comuni. I comuni compresi tra mille e 3 mila abitanti, sono 2.619; sotto i 5 mila abitanti, vi sono complessivamente 5.700 amministrazioni territoriali, tutte meritevoli di essere presenti nel territorio.
Tuttavia, vi è una furbizia vostra e nostra: i tagli, cioè i 1.500 milioni del decreto-legge n. 78 del 2010, colpiscono i trasferimenti da sopprimere e, quindi, tra poco accadrà quanto segue. Considero, ad esempio, i comuni della provincia di Treviso: nel 2008, essi ricevevano 201 euro di trasferimento pro capite, meno 25, che è la media del decreto-legge n. 78 del 2010, ridistribuita male. Ebbene, con il federalismo di questa maggioranza, essi si troveranno ad avere 175 euro pro capite. Altre province d'Italia hanno 486 euro di trasferimento pro capite per ogni cittadino amministrato.
Quindi, se eravamo d'accordo nel superare il meccanismo della spesa storica, dovevamo introdurre, anche nel meccanismo dei tagli previsti nel decreto-legge n. 112 del 2008, una riflessione sui comuni dotati o sottodotati rispetto alla media nazionale ed educare i comuni che lei, signor Ministro, definisce «spreconi» - incluso il comune di Bergamo, che ha lo 0,6 per cento di addizionale sull'IRPEF - ad una riflessione sui trasferimenti dello Stato e alla capacità impositiva. Vediamo, dunque, qual è la base di questa grande capacità impositiva dei comuni: imposta di Pag. 38registro e di bollo sui trasferimenti immobiliari, imposta ipotecaria, imposta di registro sulle locazioni, tasse ipotecarie, gettito per immobili devoluto (il termine «devoluto» è veramente simpatico). Il tema è: il mercato immobiliare del 2008 è identico al mercato immobiliare del 2010 e del 2011? No. Calcoli precisi ci dicono che il gettito sul mercato immobiliare dal 2008 al 2010 e, come tendenza, al 2011 registra una riduzione del 23 per cento. Brava, questa autonomia finanziaria dei comuni italiani! Si basa su imposte che hanno andamenti di mercato che possono essere retti da grandi città, da città sopra i 100 mila abitanti, da amministrazioni sopra i 50 mila abitanti. Invece, dovevamo prevedere una soglia e diversificare il federalismo, perché gli 8.094 soggetti - mi scusi, signor Ministro e maggioranza - non sono uguali, non sono uguali: se tratto una platea di differenti, tutti nello stesso modo, faccio un pasticcio.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Nannicini.

ROLANDO NANNICINI. Concludo, signor Presidente. Quanto tempo mi rimane?

PRESIDENTE. Lei ha ancora 50 secondi.

ROLANDO NANNICINI. Mi scusi, signor Presidente. Allora, qual è il tema? È che dovevamo procedere non con la bandierina, ma cogliere l'occasione anche di avere il federalismo regionale - nel qual caso è corretto parlare di federalismo - e, siccome ci sono i trasferimenti dalle regioni ai comuni, fare un progetto armonico.
Voi insistete con le bandiere, siete voi ad essere affogati dalla situazione politica: se non si fa, si va alle elezioni, se si fa si torna indietro, si va avanti e indietro. Voi siete legati all'armonia ed alla discussione del dibattito politico nazionale, noi abbiamo detto un «no» convinto perché non risponde alle esigenze della legge n. 42 del 2009 ed a quella di una platea unitaria.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Nannicini.

ROLANDO NANNICINI. Concludo, signor Presidente. Quindi vi invitiamo, anche per quanto riguarda il federalismo provinciale e regionale, ad essere più attenti a questi elementi perché faremmo non una trasformazione giusta dello Stato italiano, che in sé noi condividiamo. L'autonomia finanziaria degli enti locali è una battaglia forte, che noi condividiamo, ma non condividiamo il pasticcio che si è fatto: prima c'è l'IRPEF, dopo ventiquattr'ore compare l'IVA; è un elemento volatile non è un elemento territoriale e non c'è nulla sulla responsabilità come residenti. La vedo sorridere, signor Ministro, perché lei afferma che si tratta di una proposta della minoranza.. In realtà è un pasticcio che avete fatto voi in attesa del voto, con la promessa del miliardo che Tremonti doveva trovare sulla cedolare secca per fare le deduzioni e le detrazioni. Quel miliardo non è arrivato e avete fatto il «pasticcio» dell'IVA.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Nannicini.

ROLANDO NANNICINI. Vi ringraziamo, ma a questi pasticci non partecipiamo e conserviamo la nostra originale impostazione sul problema del federalismo e dell'autonomia finanziaria di comuni, province e regioni italiane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro Calderoli e componenti del Governo. Sono stupito, devo dire, perché presiedo la Commissione bicamerale e avendo vissuto, attimo per attimo, tutta l'evoluzione dell'esame di questo provvedimento ho sentito dire, come ha fatto qualche autorevole componente dell'opposizione, che non vi è stato sufficiente approfondimento o addirittura che vi è stata mancanza di dibattito. Pag. 39Se non fosse grave l'affermazione di per sé, anche perché espressa in un momento ufficiale di dibattito all'interno della Camera dei deputati, non sarebbe neanche - sto cercando di trovare una parola parlamentarmente corretta - da prendere in considerazione.
Sentir dire che neanche la I Commissione, la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, ha espresso un parere - mentre lo ha espresso - così come affermare che non c'è stato esame da parte delle Commissioni di merito - quando le Commissioni VIII e X e la Commissione bilancio, non solo della Camera, ma anche del Senato, si sono pronunciate, come è giusto e come previsto dalla procedura - significa negare l'evidenza ed entrare in contraddizione con i fatti. E, come diceva George Bernard Shaw, i fatti sono argomenti testardi. Ciò per quanto riguarda la mancanza di dibattito, ma continuiamo ancora.
Il Governo e la maggioranza si sarebbero attestati su un'impostazione totalmente non condivisibile. Altra contraddizione sui fatti se è vero com'è vero - e il senatore Barbolini, relatore di minoranza, potrebbe facilmente testimoniarlo - che per oltre l'80 per cento del parere del sottoscritto e del medesimo senatore i testi erano esattamente identici.
All'anima del contrasto che vi sarebbe stato rispetto alle due impostazioni, tanto che il vicepresidente della Commissione, senatore Paolo Franco, aveva addirittura chiesto di votare per parti separate. Ciò perché, se sull'80 per cento vi era l'unanimità sostanziale della Commissione, si sarebbe potuto esprimere un parere unanime su quell'80 per cento e differenziarsi soltanto per aspetti, certamente significativi, ma non così dirimenti, sul restante 20 per cento.
Tuttavia, avendo fatto un'alzata di scudi in ordine all'applicabilità o alla regolarità di questa procedura - peraltro assolutamente normale, come confermato dagli uffici, in particolare dall'Ufficio del Regolamento della Camera dei deputati, per il quale si sarebbe benissimo potuto procedere -, ad ogni buon conto, proprio per evitare un ulteriore contrasto, il presidente della Commissione ha deciso di accogliere la richiesta del senatore Franco quando ha ritirato la proposta di votare per parti separate. Quindi, tutto si è svolto nella massima regolarità; mi piace anche sottolineare, e lo ha fatto egregiamente il Presidente Leone, la procedura adottata e il seguito, su questo dibattito.
Tuttavia, Presidente Bindi, una piccola chiosa me la lasci fare: questo dibattito non era di così fondamentale importanza per il Paese? Tutte le forze politiche lo hanno chiesto insistentemente: come si fa a non andare alla Camera e al Senato, in Aula, per discutere approfonditamente? Ammappete dell'affluenza!

ROBERTO GIACHETTI. Guardati intorno!

ENRICO LA LOGGIA. ...qui non ci sono neanche i trenta che hanno deciso di intervenire in questo dibattito. Infatti, se ci contiamo tutti non arriviamo nemmeno a trenta. Come dire: quante cose si sostengono soltanto per onore di firma e non perché si è realmente convinti? Cara Presidente Bindi, mi dia atto che sto dicendo una cosa che è troppo evidente per poterla negare.

PRESIDENTE. Riguarda un po' tutti, è per questo che mi permettevo di...

DAVIDE CAPARINI. Con qualche eccezione.

ENRICO LA LOGGIA. Comprendo che sto facendo un po' la parte del curato di campagna che rimprovera i fedeli che non vanno in chiesa, ma il rimprovero lo fa a quelli che stanno partecipando al sacro offizio della messa. Comunque, almeno resta negli atti parlamentari, al contrario dell'omelia del curato di campagna.
Peraltro, mi lasci dire, a proposito della procedura, che è di tutta evidenza - se si vuole veramente spaccare il capello in quattro, ed è giusto farlo, considerata l'importanza dell'argomento che abbiamo davanti - che ad una serena ricostruzione Pag. 40degli eventi e ad una considerazione degli stessi, in base a quanto delineato dalla legge n. 42 del 2009, si può affermare - e io dico: si deve affermare - che legittimamente il Governo ha esercitato il potere di delega legislativa ad esso conferito, e che correttamente il Presidente della Repubblica ha richiamato lo stesso Governo al rispetto di un ulteriore e definitivo passaggio parlamentare prima della pubblicazione del decreto. Passaggio totalmente non previsto dalla legge n. 42, come ha ben evidenziato il Presidente Leone. La sostanza e la forma, certamente, il Governo le aveva rispettate; la soluzione politica, soprattutto se suggerita a così alto livello, è non discutibile. Ci inchiniamo alla volontà della Capo dello Stato: il Governo ha fatto ciò che il Capo dello Stato ha correttamente richiesto e, per una ragione più politica che di sostanza o di forma, siamo arrivati a questo punto.
Andiamo ad un'altra affermazione totalmente priva di fondamento, e mi dispiace che manchino gli onorevoli Soro, Zaccaria ed altri, ma vi è l'onorevole Causi che potrà ben riscontrare le mie parole. A proposito del «più tasse», questo leitmotiv secondo il quale il centrodestra e il Governo stanno mettendo e vogliono più tasse: siccome anche qui, sempre George Bernard Shaw direbbe che i fatti sono argomenti testardi, ho un documento, che non è né del centrodestra né del Governo.
È un documento degli uffici della Camera, quindi né della Ragioneria, né della tesoreria, che potrebbero teoricamente essere influenzati dalla pervicace volontà del Ministro Tremonti di fare intendere una cosa rispetto ad un'altra. Gli uffici della Camera dicono: dal quadro di seguito riportato si evince la neutralità fiscale e finanziaria del provvedimento, voce per voce, onorevole Causi. Viene indicata voce per voce. Quote entrate devolute in compartecipazioni: tanto in più ai comuni, tanto in meno allo Stato (la stessa identica cifra); quota del 30 per cento dell'imposta di registro, dell'imposta di bollo sugli atti indicati all'articolo 1 della tariffa, tanto in più ai comuni, tanto in meno allo Stato; imposta sul reddito delle persone fisiche, lo stesso; imposta di registro, l'imposta di bollo sui contratti di locazione, lo stesso; il 30 per cento per tributi speciali catastali, uguale; la quota al 21,7 per cento per il 2011 e 21,6 per il 2012 del gettito relativo alla cedolare secca, lo stesso; il totale del fondo sperimentale di riequilibrio, esattamente la stessa cifra; il totale di tutto quello di cui stiamo parlando, compresa l'addizionale all'accisa sull'energia elettrica, e così via, tanto in meno allo Stato, tanto in più ai comuni. Risultato, ultima riga, zero.
Dov'è l'aumento della pressione fiscale? Allora, a tutto concedere, questo provvedimento dà ai cittadini italiani la più assoluta neutralità fiscale: tanto pagavano, tanto continueranno a pagare, ma - è bene che questo venga precisato - proprio su iniziativa del presidente della Commissione, nonché relatore, condivisa peraltro da tutti i componenti la Commissione, abbiamo inserito una norma secondo la quale il decreto sul fisco municipale e quello sul fisco regionale e provinciale faranno parte integrante della riforma fiscale. Quindi, al termine di questa procedura, i cittadini italiani pagheranno meno tasse, non più tasse. Né sarebbe stato possibile, perché la stessa legge delega ci impone la neutralità fiscale e qui viene dimostrata, cifra per cifra, cari onorevoli Causi, Nannicini, Zaccaria, Soro, e quanti altri sono intervenuti in questo dibattito.
Abbiamo fatto di più, signor Presidente. Infatti, nessuno, nemmeno l'ANCI, si era posto il problema del vero dualismo che c'è in questo Paese. Mi riferisco non soltanto a quello tra Nord e Sud, ma a quello tra comuni che possono e hanno i mezzi per realizzare i servizi essenziali nei confronti dei cittadini e i comuni che non hanno questa possibilità, in particolare i piccoli comuni, quelli al di sotto dei 5 mila abitanti, che sono la bellezza di 5.600, rispetto al totale di 8.100 comuni del nostro Paese e dove vivono ben 12 milioni di abitanti italiani, cioè esattamente il 20 per cento della popolazione italiana.
Mi sono chiesto e ho fatto una proposta che il Governo ha immediatamente accolto: Pag. 41ma ci dobbiamo limitare soltanto a fotografare l'esistente o dobbiamo innestare un meccanismo virtuoso attraverso il quale i cittadini di questi comuni - ben 12 milioni, come già detto - potranno avere quanto prima anche loro i servizi essenziali, così da mettere alla pari il cittadino che abita in via Manzoni a Milano con quello che abita in corso Vittorio Emanuele a Sutera? Per le cronache e per chi non lo sapesse, Sutera è un piccolo paese montano della provincia di Caltanissetta, in Sicilia.
Credo che qui varrebbe veramente la pena di usare l'espressione: se non ora, quando? Quando avremmo dovuto cominciare ad attuare il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, quello che viene normalmente ignorato anche nei dibattiti politici e anche qui dentro, e cioè che è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli che si frappongono al reale e concreto raggiungimento dell'uguaglianza da parte dei cittadini di tutte le aree territoriali del Paese? Allora, abbiamo inserito che dal Fondo di riequilibrio una quota pari al 30 per cento venga destinata per quota capitaria.
Abbiamo altresì deciso che sul restante 70 per cento, il 20 per cento, che è una somma considerevole, venga dato ai piccoli comuni, al di sotto dei cinquemila abitanti, alla sola condizione che si mettano insieme per realizzare servizi associati. Tale somma viene destinata loro per la realizzazione dei servizi e delle prestazioni essenziali a cui hanno diritto tutti i cittadini di questo Paese. Altro che provvedimento vuoto e penalizzante e guerra tra nord e sud! Chissà come voteranno i deputati del sud? I deputati del sud voteranno esattamente come i deputati del nord, perché sono assolutamente convinti che se c'è una cosa a cui il federalismo farà male - c'è una sola cosa, è vero -, farà molto male agli amministratori infedeli e corrotti, a quelli che utilizzano la spesa pubblica soltanto per clientele o per privilegi personali o del loro gruppo di amici.
A costoro farà certamente molto male, ma non ai cittadini del sud, che finalmente potranno vedere utilizzate in pieno le risorse che fino ad ora lo Stato ha trasferito loro, ma che domani i comuni disporranno direttamente mettendoci la faccia dei loro sindaci, dei loro assessori e dei loro consigli comunali. Laddove vi fosse una infedeltà nell'amministrazione, scatteranno pesantissime sanzioni, come andremo a verificare da qui a breve quando esamineremo il decreto legislativo che proprio di questo si occupa. Infatti, il federalismo - va ancora una volta ricordato anche in questa sede - si poggia su due pilastri fondamentali: uno è la responsabilità degli amministratori e dei cittadini nell'esercitare il loro controllo, l'altro è la solidarietà.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole La Loggia.

ENRICO LA LOGGIA. Quando fosse dimostrato che, nonostante l'azzeramento di sprechi e privilegi, nonostante l'azzeramento dell'evasione e dell'elusione, i comuni potrebbero non farcela ad assicurare i servizi essenziali, in quel caso scatterà la solidarietà dell'intero Paese attraverso il fondo perequativo. Questo è il federalismo municipale, come viene giustamente difeso con tutta la convinzione dalla maggioranza e dal Governo, e per il quale il gruppo del Popolo della Libertà si è speso per migliorarlo e renderlo ancora più equilibrato ed efficace a favore di tutti i cittadini del nostro Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, le chiedo scusa se prendo la parola, ma lo faccio poiché le parole sono state pronunciate da un presidente di Commissione, quindi ovviamente hanno un valore istituzionale, e l'onorevole La Loggia ha testualmente detto che il Presidente della Repubblica - e ha detto ciò nell'Aula Pag. 42parlamentare - avrebbe indicato una strada politica per la soluzione di questo problema, il che ovviamente non corrisponde alle funzioni del Presidente della Repubblica e neanche a quanto il Presidente della Repubblica ha fatto.
Atteso che il Ministro Calderoli, che è presente in Aula, ha avuto la possibilità anche di incontrare direttamente il Presidente della Repubblica, mi permetto semplicemente di chiedere che nella replica il Ministro Calderoli si assuma la responsabilità, ancorché in contraddizione con un gruppo della maggioranza, di dire effettivamente quali sono stati i rilievi formali e non politici in ragione dei quali il Presidente della Repubblica ha chiesto un percorso diverso per poter esercitare il potere che gli è proprio, che è quello di controfirmare un decreto legislativo. Diversamente lasciamo intendere in questa sede che il Presidente della Repubblica abbia fatto qualcosa di diverso da quello che gli spetta costituzionalmente, esattamente come ha detto il presidente La Loggia.

ENRICO LA LOGGIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, l'interpretazione che ha dato il presidente Giachetti è totalmente difforme da quello che ho detto e da quello che intendevo dire. Ho premesso tre volte che il Presidente della Repubblica ha correttamente svolto il suo compito e che un conto è il rispetto formale e sostanziale della legge, un altro conto è andare anche oltre la previsione della legge per un rispetto istituzionale e proprio per una sottolineatura di carattere politico.
Siccome credo che il Presidente Napolitano abbia fatto bene e non male e siccome ritengo che la soluzione che si è trovata, alla quale il Governo si è immediatamente adeguato, e a cui anche noi ci siamo adeguati, sia quella corretta, come ho detto tre volte, e adesso l'ho detto altre due volte e fanno cinque, non vedo dov'è problema.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, Ministro Calderoli, non sto a soffermarmi sull'iter di questo provvedimento bocciato in Commissione bicamerale. Sottolineo che esso arriva dopo che nel decreto legislativo sui fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province vi è stato un vero e proprio tradimento della legge delega. In quell'atto nulla si dice di elementi fondamentali come i livelli essenziali delle prestazioni, i livelli essenziali di assistenza, gli obiettivi di servizio, il patto di convergenza.
Si sovrappongono, di fatto, costi e fabbisogni standard e questo pesa negativamente anche su tutto l'impianto del federalismo fiscale municipale. Una delle caratteristiche fondamentali del federalismo fiscale, secondo la propaganda governativa, dovrebbe essere la semplificazione. Non a caso se ne occupa, in primo luogo, il Ministro per la semplificazione normativa. Ma su un pilastro del federalismo fiscale, quello dei comuni, si è costruito uno dei meccanismi più complicati che si potessero immaginare.
Altra idea importante è che il processo del federalismo fiscale dovrebbe, alla fine, provocare una maggiore disponibilità di risorse, almeno per i comuni cosiddetti virtuosi. Ebbene, quando il regime del federalismo fiscale municipale andrà a regime, nel 2014, tutti i comuni staranno peggio di sette anni prima, del 2007, quando potevano contare sulle entrate ICI sulla prima casa.
Il Governo afferma che i tributi statali assorbiti nelle imposte municipali non determineranno aggravio per il contribuente e, anzi, si riducono altre imposte. Non è così. Per mettere i comuni in condizione di fare i bilanci del 2011 già da quest'anno metà dei comuni potranno aumentare l'addizionale IRPEF, diversi potranno istituire l'imposta di soggiorno e tutte le imposte di scopo. Queste non sono forse più tasse per molti, se non per tutti? Inoltre dal 2014 l'IMUP per le imprese sarà molto più pesante dell'attuale ICI. Pag. 43Anche questo è più tasse, che è cosa diversa dalla neutralità fiscale, citata dall'onorevole La Loggia, tra riduzione dei trasferimenti e imposte attribuite ai comuni.
Poi il Governo sostiene che così si afferma il controllo del cittadino sulla spesa inefficiente. Vedo, pago, voto. Qui è solo «pago, pago, pago». Siccome l'imposta più importante è pagata da cittadini che possono non essere residenti, come i proprietari di seconde case e i proprietari degli immobili e delle imprese industriali e commerciali, salta qualunque collegamento tra i residenti che usufruiscono dei servizi e votano e chi paga. Chi paga non vede e non vota e chi vede e vota non paga.
Questi effetti distorsivi di ciò che dovrebbe essere un vero federalismo fiscale non sono, però, tutta colpa del Ministro Calderoli. La sua maggiore colpa è quella di far parte di un Governo che lo ha messo nella condizione di non corrispondere né allo spirito né alla lettera della legge n. 42 del 2009, di dover aumentare le tasse locali, di dover cercare meccanismi ipercomplicati, di non affermare il principio di responsabilità nel circuito amministratori-amministrati, di dover mettere in ginocchio gli enti locali.
Tre scelte del Governo hanno determinato questa condizione. In primo luogo, vi è stata la scelta di abolire completamente l'ICI sulla prima casa, con modalità favorevoli solo ai più ricchi, togliendo il pilastro dell'autonomia finanziaria dei comuni. L'albero storto lo avete determinato voi con quella decisione!
Poi vi è stata la scelta di concentrare i tagli su regioni, province e comuni nella manovra estiva. In terzo luogo, siete venuti meno all'impegno che voi stessi avete assunto nella manovra estiva, cioè non tenere conto dei tagli per il finanziamento delle funzioni fondamentali con i decreti legislativi sul federalismo fiscale. Invece, in tutti gli schemi dei decreti legislativi il punto fermo è la fissità dei saldi in base ai tagli dei trasferimenti della manovra estiva. Ecco perché, sulla base di queste scelte si è costretti ad abbandonare la definizione dei LEP e dei LEA, a far coincidere fabbisogni standard e costi standard, a rinunciare all'idea degli obiettivi di servizio e del Patto di convergenza.
Sempre per questi motivi avete detto «no» ad una proposta che avrebbe semplificato il sistema fiscale e determinato davvero l'effetto «vedo, pago, voto». La proposta, avanzata dal Partito Democratico, della service tax quale principale tributo manovrabile per i comuni, in sostituzione delle attuali Tarsu e della TIA e dell'addizionale comunale all'IRPEF. Avendo come presupposto la residenza, il soggiorno o il domicilio, temete che venga letta come reintroduzione dell'ICI sulla prima casa, anche se non è così. E, dunque, vi incuneate in un labirinto di meccanismi al limite della comprensione. E sempre queste scelte determinano, oggi e domani, l'ineluttabilità dell'aumento delle tasse comunali.
Oltre a tutto ciò, va considerato e riflettuto sul fatto che questo provvedimento non è coperto finanziariamente almeno su due aspetti. La prima questione riguarda la cedolare secca. La relazione tecnica, che accompagna la trasmissione dell'atto del Governo alle Camere, è simile a quella sull'ultima proposta del relatore nella Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale. Essa non dà, pertanto, alcuna risposta ai quesiti che il servizio bilancio dello Stato della Camera aveva posto.
Ricordo i più significativi. Una parte rilevante delle entrate a seguito della cedolare secca proviene dall'emersione di base imponibile che il Governo ipotizza. Si tratta di 548 milioni su 3.194 nel 2011, di 912 milioni su 3.558 nel 2012 e di 1.277 milioni su 3.923 dal 2013. Una previsione che si basa su percentuali di emersione valutate pari al 15 per cento nel 2011, al 25 per cento nel 2012 e al 35 per cento dal 2013, e che sono rimaste identiche sia quando la cedolare secca era prevista al 20 per cento, sia quando una parte era al 20 per cento e un'altra al 23 per cento, sia ora che è determinata nel 19 per cento per i contratti a canone concordato e nel 21 per cento per tutti gli altri. Pag. 44
Com'è credibile che la mobilità delle aliquote porti a una rigidità dell'emersione? Nelle modalità di calcolo degli ammontari della base imponibile della cedolare secca dovuta all'emersione vi sono problemi non chiariti, che secondo i servizi della Camera possono determinare in ciascun anno una sovrastima del gettito della cedolare secca ascrivibile all'emersione nella misura di circa il 18 per cento del relativo gettito dell'imposta. Vi è poi una perdita di gettito, ipotizzata e non coperta, di 493 milioni nel 2011 e di 212 milioni nel 2012 sulla competenza.
Quindi, questo provvedimento produce certamente un buco di bilancio: sicuramente di 493 milioni nel 2011 e di 212 milioni nel 2012, ma che può essere più elevato se le ipotesi sull'emersione non si verificheranno. Aggiungo che è prevista una perdita di gettito di circa 150 milioni l'anno per l'addizionale regionale IRPEF, che non risulta in alcun modo compensata. Si tratta di un'altro ammanco per la finanza regionale, già colpita pesantemente dai tagli della manovra estiva.
L'altra questione riguarda l'IMUP, l'aliquota di equilibrio fissata dal Governo al 7,6 per mille. Il collega Causi ha dimostrato, considerando i dati della relazione tecnica dell'Agenzia del territorio e dell'IFEL ANCI, che non è così. La base imponibile è di 1.585 miliardi, cioè i 1.669 della prima relazione tecnica meno gli 84 degli immobili delle onlus e degli enti religiosi inizialmente inclusi. Il gettito dell'IMUP stimato dal Governo è di 11,57 miliardi e ad esso concorre sia la quota di base imponibile ad aliquota piena, sia quella ad aliquota dimezzata destinata agli immobili in affitto. Il valore di questi ultimi immobili è di 350 miliardi, da cui è ricavabile un gettito di 1,33 miliardi (350 moltiplicato per 0,0038). Resta una base imponibile di 1.235 miliardi ad aliquota piena (1.235 moltiplicato per 0, 0076 è uguale a 9, 386 miliardi). Sommando a questi 1,33 miliardi si ottiene 10,716 miliardi, cioè 800 milioni in meno del gettito stimato. Di fatto, per raggiungere il gettito stimato, occorre almeno un'aliquota dell'8,2 per mille. Ma non è finita. Anche qui c'è la cedolare secca e, se si verificasse davvero l'emersione del 35 per cento, tutto questo determinerebbe che l'aliquota di equilibrio dovrebbe essere dell'8,5 per mille. Vi è quindi un'aliquota certamente sottostimata. I comuni dovranno - non potranno, ma dovranno - usare la facoltà di aumentare l'aliquota di tre punti. Dovranno farlo almeno in parte, certamente non potranno portarla al 4,6 per mille, che è una mera facoltà di fatto non disponibile. Il peso di tutto questo ricadrà politicamente sui comuni e fiscalmente sugli imprenditori, piccoli e grandi. È del tutto legittimo quindi l'allarme delle associazioni di categoria di questi giorni.
Dopo il federalismo delle disgrazie del cosiddetto decreto milleproroghe manchiamo quindi con questo decreto, che avrebbe bisogno di essere rifatto, un'altra occasione per costruire un federalismo fiscale vero (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgio Conte. Ne ha facoltà.

GIORGIO CONTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, sottosegretari, ho ascoltato con molta attenzione gli ultimi interventi che mi hanno preceduto, in particolare quello del presidente La Loggia, che era atteso anche per le deduzioni che avrebbe potuto portare - e che ha portato - al dibattito rispetto agli interventi precedenti. Devo anche ricordare - poi entreremo nel merito della questione della neutralità fiscale - che a proposito delle procedure, così come le ha citate, elencate e ricordate il presidente La Loggia, anche io avrei qualcosa da dire.
Mi appassiona di più entrare nel merito del provvedimento, del decreto legislativo, mi appassiona di più tralasciare questi aspetti che non attengono, peraltro, alle attenzioni dell'opinione pubblica. Quindi, torniamo a discutere oggi di federalismo e, in particolare, di federalismo municipale, dopo una pagina decisamente poco edificante sia sul piano politico che parlamentare che ha visto prima la bocciatura del testo nella Commissione bicamerale - era Pag. 45numericamente un pareggio, com'è noto, ma si trattava di una sostanziale bocciatura - e il successivo intervento del Presidente della Repubblica, che ha definito il decreto legislativo praticamente irricevibile.
Credo che sia a tutti nota la gravità di quanto successo sul piano dei rapporti fra le istituzioni - ripeto, non ci voglio tornare sopra - però mi sembra anche che sia stato in parte disatteso il commento su questo aspetto e sul maldestro tentativo addirittura di correggere la composizione della Commissione bicamerale per disegnarla a proprio piacimento, magari ogni qualvolta non dovesse esprimere pareri conformi a quelli del Governo ed è quindi fin troppo facile infierire sul proposito della maggioranza di portare ad approvazione un testo nel quale, come ho già avuto modo di dire anche in altre occasioni, non vi è traccia di federalismo a nostro parere.
Non lo dice uno come me che non si ritiene certo un esperto di federalismo, ma sono un parlamentare del Veneto e so bene cosa si aspetta la gente del nord Italia: si aspetta un federalismo degno di questo nome, un serio federalismo, che rispetti insomma i capisaldi stessi del federalismo. Invece ci troviamo di fronte a un testo con una buona dose di propaganda, ma di scarsi contenuti; un pasticcio difficile da spiegare ed infatti non si spiega; un testo che inganna la gente perché si copre con un titolo roboante e c'è chi - anche in quest'Aula - ha il coraggio di sostenere che chi è contro questo decreto è contro il federalismo. Tenterò, finché ne avrò tempo, di spiegare che non è così.
A mio parere - lo voglio dire con estrema franchezza - stiamo assistendo alla rincorsa contro il tempo che ci separa probabilmente dal prossimo appuntamento elettorale di un atto di sottomissione ai desideri della Lega Nord Padania e con serie, e non certo benefiche, conseguenze per il Paese. Oggi siamo in Aula a discutere di un testo che per molti versi è a nostro avviso addirittura peggiore di quello già rigettato dalla Commissione. Voglio fin da subito sgombrare il campo da alcuni equivoci di fondo che spesso strumentalizzano il dibattito e chiarire con determinazione le posizioni politiche oggi in campo.
Futuro e Libertà per l'Italia è convinto della necessità di compiere un percorso di riforme che contenga anche il tema del federalismo, peraltro non disgiunto da altre riforme strutturali e costituzionali. Lo è senza voler sottrarre la primogenitura del progetto a nessuno e a chi di fatto ne è stato portatore in queste Aule e senza entrare nemmeno nello sterile e ridicolo dibattito su chi è più federalista di qualcun altro, quindi, senza speculazioni politiche e nei termini e nei modi con cui ci eravamo presentati agli elettori nel 2008 e anche nelle campagne elettorali precedenti, perché non è certo da un paio d'anni che si discute e si inserisce nei programmi elettorali il termine, la parola ed il progetto del federalismo.
Se per federalismo intendiamo una nuova architettura dello Stato unitario, in grado di avvicinare maggiormente i luoghi delle decisioni politiche e amministrative ai cittadini, siamo completamente federalisti; se per federalismo intendiamo responsabilizzare gli amministratori e le amministrazioni locali in merito alla spesa pubblica e ai costi dei servizi, siamo convintamente federalisti; se riusciremo a far costare meno l'apparato della rappresentanza politica, siamo convintamente federalisti; se la riforma che andiamo a costruire conterrà i principi della sussidiarietà, della responsabilità e dei minori costi per i servizi non possiamo non dirci convintamente federalisti. Vorrei sapere chi non condivide questi principi. Siamo convintamente federalisti se questa nuova pagina di riforme, anche alla vigilia del centocinquantesimo anniversario dell'unità nazionale, significasse anche una maggiore unità negli intenti, negli indirizzi e nei destini. Ho volutamente utilizzato il condizionale perché purtroppo non sono questi gli esiti della riforma di cui si discute oggi.
Lo diciamo con rammarico perché si tratta di una riforma che avrebbe dovuto Pag. 46avere più ampia e condivisa approvazione e, quindi, volare decisamente più alto, come si usa dire.
Assistiamo, invece, ad una riforma che nasce zoppa, priva di contenuti realmente federalisti e portatrice, in ultima analisi, di un ulteriore paradossale aumento, checché ne dicano, della pressione fiscale.
Lo diciamo con il rammarico di chi ha assistito, in questa Aula e nel Paese, ad una passerella elettorale non priva invece di demagogia e populismo. Un tema importante, il federalismo, svilito in un braccio di ferro elettorale, con la Lega Nord, che accetta un risultato scadente pur di poter dire qualcosa ai suoi elettori che non conoscono i veri risvolti di questo decreto legislativo.
Ci dispiace, cari colleghi della Lega, immaginiamo la fatica quando dovrete spiegare questo misero risultato, oltre che a noi, al vostro elettorato, che si aspettava una riforma di altro e più alto spessore. Sono certo che di fronte a questa desolante fase della legislatura, di fronte a questi modesti risultati sia in termini di quantità di proposte che di merito, il momento politico sta diventando pesante anche per voi.
È avvilente assistere al fatto che siete costretti a mantenere in vita un Governo moribondo, per vedervi riconosciuti risultati che non vanno oltre gli slogan elettorali, dei quali state già riempiendo le verdi valli della Padania che non esiste, ma che tradiscono i capisaldi su cui poggia il vero e utile federalismo.
Ebbene sì, credo che con questo provvedimento voi siate già in campagna elettorale. Ma vi assicuro che siamo pronti ad assicurare agli italiani, malgrado la sproporzione delle forze in campo, una giusta ed adeguata informazione nel merito.
Non siamo contro il federalismo, come ho detto in premessa, ma certamente siamo contro questo federalismo. Andremo in ogni piazza, in ogni bellissima piazza di questa Italia unica e indivisibile, per spiegare a tutti gli italiani, che questo federalismo purtroppo permette ai sindaci, ai municipi, di aumentare l'aliquota IRPEF fino allo 0,4 per cento per compensare il progressivo calo delle risorse trasferite dallo Stato agli enti locali.
Spiegheremo ai cittadini che l'IMU, l'imposta unica municipale, non rappresenta null'altro che un ulteriore aggravio della pressione fiscale, perché si tratta della riproposizione dell'ICI non solo sulla seconda casa, ma anche su tutte le attività. Il nome più adatto sarebbe stato patrimoniale comunale perché colpisce il patrimonio, quello vero, fatto - dicevo - non solo di seconde case, ma di attività produttive e di tutto ciò che crea ricchezza per il Paese.
Spiegheremo agli italiani, ai piccoli imprenditori, alle tante partite IVA che costituiscono proprio il patrimonio italiano, che questo nuovo federalismo colpirà, proprio tramite l'IMU, i beni strumentali primari, i capannoni e gli spazi produttivi, in un momento in cui l'impresa avrebbe bisogno di altri tipi di segnale.
Pur comprendendo che è finita l'epoca delle risorse, spesso distribuite a pioggia, sotto forma di aiuti alle imprese per le note difficoltà di cassa, comunque ci si aspettava che ai sindaci non fosse data la facoltà di infierire ulteriormente, anche se evidentemente non lo faranno a cuor leggero. Ne saranno costretti dalle circostanze, tenuto conto che i trasferimenti dallo Stato continueranno progressivamente a ridursi e ai sindaci non rimarrà altro che agire sulla leva fiscale.
Checché ne dica il presidente La Loggia, che ho ascoltato, come ho detto prima, con una certa attenzione, se è vero che è garantita la neutralità fiscale, allora è compressa l'autonomia impositiva dei sindaci. Converrà il presidente La Loggia che la neutralità fiscale ci sarà o meno, ma ciò dipende dall'esercizio dell'autonomia impositiva dei comuni. Se i sindaci hanno facoltà di intervenire tramite gli strumenti che ho appena elencato è assolutamente innegabile l'aumento della pressione fiscale. Checché ne dica - ripeto - il presidente La Loggia.
In questo federalismo c'è dunque quella patrimoniale o una parte di essa che il Presidente del Consiglio ha invece Pag. 47più volte rifiutato e sulla quale ha più volte rassicurato gli italiani. La patrimoniale c'è ed è dura, pesante, in un momento in cui la crisi non è affatto alle spalle. Dobbiamo dirlo agli italiani: una patrimoniale che colpisce tutti, indistintamente, e che grava e non potrà non avere ripercussioni anche sulla attesa ripresa economica.
In aggiunta a queste due pesanti mani nelle tasche degli italiani, a completare una settimana in cui già il cosiddetto decreto milleproroghe si era qualificato come una legge finanziaria mascherata, ecco che torna un balzello vecchio quanto fastidioso: la tassa di soggiorno.
Come si può negare che questo non si stia trasformando in un Governo delle tasse? La tassa sul turismo, badate bene, quella che dovrebbe essere la prima industria italiana, e la tassa sul cinema: un ulteriore aiuto alla ripresa che non mancheremo di spiegare agli italiani.
Vogliamo parlare della tassa di scopo? Gli italiani, i cittadini di un comune, secondo voi non pagano sufficienti tasse, imposte dirette ed indirette, per vedersi riconosciuto il diritto di vedere sorgere poco distante dalla loro casa una nuova infrastruttura, un nuovo servizio, un intervento di miglioramento della loro qualità della vita? Per questo Governo non è così se si inserisce la tassa di scopo, che sarà utilizzata a sproposito da molti amministratori. Vedrete che, invece di ridurre gli sprechi, i servizi inutili, i costi della politica, diranno ai loro cittadini «dateci venti euro a testa e vi faccio la piazza, datemi dieci euro a testa e vi faccio la palestra» e così via. Se non è un aumento della pressione fiscale questo, non so quali uffici possano fare una previsione di quali tasse di scopo i loro sindaci potranno introdurre per la loro popolazione.
Se per una parte della maggioranza il decreto in esame - che porta il nome di federalismo municipale, ma che io chiamerei «nuove tasse locali» - diventa da oggi materia di una campagna elettorale farcita di bandiere e slogan, per noi diventa, invece, materia di una campagna di informazione. Una volta si diceva controinformazione, per spiegare all'Italia e agli italiani che il Governo predica bene, ma non razzola allo stesso modo.
Sostanzialmente, vogliamo spiegare agli italiani che quella che vi ostinate a chiamare «riforma federalista» è, in realtà, una miniriforma fiscale, perché quella vera, quella annunciata con la posizione del voto di fiducia a settembre scorso, la attendiamo ancora in quest'Aula, e di fatto aumenta la pressione fiscale e non la diminuisce, come da 17 anni il Presidente del Consiglio si ostina a promettere.
Una legge neo-centralista, che non delega e non destina all'autonomia del territorio e agli enti locali tassazioni già esistenti, ma ne inventa di nuove. Conserva il controllo e la determinazione di tutte le tasse centrali e ne destina una parte al territorio. Si prevedono nuovi trasferimenti, ma sempre di trasferimenti si tratta. Dov'è il federalismo? Qual è il passaggio identitario del federalismo nel decreto in esame? L'informazione, quella vera, la faremo con i numeri in mano, con le aliquote IRPEF e IMU; le cifre sono, infatti, più semplici di ogni ragionamento politico.
Consentitemi, quando ormai sono quasi in conclusione, di ringraziare il senatore Baldassarri per il lavoro che ha svolto nell'interesse del Parlamento e degli italiani, non semplicemente perché è stato, come ampiamente riscontrato, uno dei protagonisti dei lavori della cosiddetta bicameralina che ha bocciato il decreto sul federalismo municipale, ma perché il suo contributo è stato largamente riconosciuto da tutti come un lavoro utile, teso a migliorare un testo improponibile. Il senatore Baldassarri, oltre che un politico, è un tecnico esperto che per mesi ha sollecitato una profonda revisione di quel testo tesa a migliorarlo, ma, come è noto, è stato ascoltato solo in parte e solo nelle ultime ore prima del voto. Non una grande strategia politica, se si voleva portare a compimento quel progetto.
La sua, quindi, oltre ad una bocciatura politica espressa per nome e per conto di tutto il gruppo Futuro e Libertà per l'Italia, è e rimane una bocciatura tecnica Pag. 48perché aumenta le tasse quando avrebbe dovuto contenerle e garantisce allo Stato centrale tutto ciò che già ora controlla. Insomma, un nuovo centralismo come ho già sottolineato, forse rafforzato dai minori trasferimenti, non perché riduce le tasse, ma perché consente l'introduzione di nuove a livello locale.
Non voglio entrare nel merito dei meccanismi di funzionamento, a volte perversi, di questo finto federalismo, dei rapporti tra Stato ed enti locali e dell'autonomia impositiva garantita in capo all'amministrazione locale. Dovrebbero essere questioni che appartengono al disegno di una nuova architettura dello Stato, ma in questo caso non lo sono.
Ad ogni ulteriore lettura del testo mi convinco sempre di più che non aumenterà affatto il grado di libertà delle nostre comunità locali, che non miglioreranno i saldi di tanti bilanci comunali già in difficoltà, che non vi saranno servizi migliori ed aggiuntivi, che non vi sarà maggiore responsabilità nella spesa pubblica locale, ma che, per ottenere tutto ciò, saranno necessarie, evidentemente, solo nuove tasse.
Abituati ad assistere a leggi ad personam, oggi assistiamo a qualcosa di più e di più ardito: assistiamo al passaggio di una norma che riteniamo ad uso esclusivo di una forza politica, ovvero una norma sulla quale Futuro e Libertà non può che esprimere tutta la sua contrarietà e le sue critiche in merito (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato al prosieguo della seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,35).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, le chiedo scusa - intervengo solo per pochi secondi - ma non posso non rivolgere il mio pensiero a Karl-Theodor zu Guttenberg. Signor Presidente, è stato fino a qualche minuto fa Ministro della difesa nel Governo del Cancelliere Merkel, un astro nascente, popolarissimo, di grande carisma, trentanovenne e probabilmente indicato per avere degli importanti incarichi anche in futuro.
Qualche minuto fa, signor Presidente, Karl-Theodor zu Guttenberg si è dimesso dopo essersi consultato con il Cancelliere Merkel. Sa il perché, signor Presidente? Perché da un'indagine interna all'università avrebbero scoperto - così sembra - che avrebbe copiato alcune parti della sua tesi di dottorato.
Meditate gente.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma (ore 13,36).

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato stabilito che domani, mercoledì 2 marzo, alle ore 12, avrà luogo l'informativa urgente del Governo sull'uccisione del tenente Massimo Ranzani e sul ferimento di quattro militari italiani in Afghanistan.
È stato altresì stabilito che, nel corso della settimana 23-25 marzo, dopo gli altri argomenti già previsti in calendario, avrà luogo l'esame della proposta di legge n.60 ed abbinate - Disciplina dell'attività professionale di costruttore edile e delle attività professionali di completamento e finitura in edilizia (ove non si verifichi la sussistenza dei presupposti per il trasferimento alla sede legislativa).
L'organizzazione dei tempi per la discussione delle proposte di legge n.60 ed abbinate sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.
Sospendo quindi la seduta, che riprenderà alle ore 16.

Pag. 49

La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 16,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono sessanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,06).

ERMETE REALACCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, vorrei invitare la Presidenza a prestare attenzione ad una questione che è in atto in queste ore. Il Governo sta per varare un decreto in attuazione della direttiva europea sulla promozione delle fonti rinnovabili. Dalle notizie apparse anche oggi su molti organi di stampa appare evidente che il senso di questo provvedimento sarà contrario a tale finalità. Esso bloccherà praticamente le fonti rinnovabili nel nostro Paese e creerà un grave danno a un'industria che è in forte espansione, che occupa decine di migliaia di persone, soprattutto imprese medie e piccole e che è di grande importanza per il futuro, come sanno bene i ragazzi che stanno seguendo adesso i lavori della nostra Assemblea. Di una questione particolare, però, vorrei invitare la Presidenza ad occuparsi: il testo che il Governo ha inviato alla Conferenza Stato-regioni e ai due rami del Parlamento, la Camera dei deputati e il Senato, non conteneva le norme che adesso si annuncia di volere inserire nel provvedimento. Al Senato e alla Camera dei deputati c'è stato un lavoro approfondito delle Commissioni competenti. In particolar modo alla Camera dei deputati (ne parlavo prima con la collega Dal Lago) tale lavoro approfondito, realizzato in collaborazione con il Governo, ha prodotto alla fine un parere unanime delle Commissioni e di tutti i gruppi politici, parere che viene completamente ignorato, disatteso e stravolto dal testo di cui si parla. Mi sembra chiaramente una condizione di svilimento del lavoro del Parlamento e di contraddizione rispetto alle norme che bisognerebbe seguire per realizzare delle buone leggi. Invito la Presidenza ad operare, per quanto in suo potere, perché questo non accada (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Si riprende la discussione (ore 16,10).

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta ha avuto inizio la discussione sulle comunicazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, secondo periodo, della legge n. 42 del 2009, in relazione allo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale.

(Ripresa discussione)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cimadoro. Ne ha facoltà.

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, signor Ministro, come lei ben sa, avevamo affrontato all'inizio della legislatura il tema del federalismo fiscale che aveva ottenuto, da parte nostra, una disponibilità al voto e ad arrivare fino in fondo, purché mantenesse le promesse iniziali. Al riguardo abbiamo avuto incontri allargati, pertanto c'era la nostra piena e totale disponibilità a fare in modo che un provvedimento di questo tipo andasse poi a realizzarsi in funzione dello scopo per cui era stato previsto. È chiaro che oggi tutto questo non si sta realizzando, anzi, siamo diventati critici nel trascorrere Pag. 50del tempo e oggi riflettiamo e scongiuriamo tale possibilità, anche perché dovete raggiungere un risultato che è come vestire un manichino e cioè vestirlo bene non ha senso perché l'abito deve star bene sulla persona e allora probabilmente avrebbe un senso. Nello specifico vorrei parlare in questa sede, adesso, dell'IMU e poi entrare nel tema più generale.
La situazione economica e finanziaria degli enti locali si attesta su un profilo di estrema criticità derivante naturalmente dai vincoli che tutti conosciamo del patto di stabilità, dagli ingentissimi tagli perpetrati dai trasferimenti erariali adottati e da numerosi provvedimenti di carattere normativo tali da compromettere l'erogazione di servizi essenziali per i cittadini. Lo schema di decreto in titolo, nel testo originario depositato dal Governo, dispone la devoluzione ai comuni del gettito di numerosi tributi erariali, istituisce una nuova imposta sulla locazione di immobili ad uso abitativo e prevede, a regime, nel 2014, un nuovo assetto delle attribuzioni fiscali tra Stato ed enti locali nel settore della fiscalità territoriale ed immobiliare ma, al contempo, presenta importanti limiti di dinamicità e di manovrabilità, oltre a confermare nella quantificazione delle risorse degli enti locali da fiscalizzare i tagli operati con la manovra economica del luglio scorso.
Una valutazione degli effetti dello schema di decreto è resa difficile dall'assenza di dati quantitativi di riferimento sufficientemente precisi. In particolare, non è stata ancora definita l'entità esatta dei trasferimenti statali da sopprimere a fronte delle assegnazioni di risorse tributarie autonome. Il decreto in titolo risulta contrastante con i principi del federalismo fiscale municipale, pur costituendone l'attuazione, senza contare il parossismo del fatto che solo le imposte facoltative (solo le imposte facoltative, lo ripeto) sembrano effettivamente contribuire ad aumentare l'autonomia dei comuni rispetto alla situazione oggi vigente. Il cosiddetto federalismo municipale andrà a regime nel 2014 in quanto la vera autonomia si avrebbe solo con l'introduzione della famosa tassa IMU, ma in tale fase impatteranno - salvo ripensamenti da parte del Governo e da parte sua, signor Ministro - anche le riduzioni dei trasferimenti previsti per i comuni superiori ai cinquemila abitanti nell'ambito della manovra finanziaria di luglio, lasciando presagire un periodo di pesante stress finanziario da parte degli enti comunali. In realtà, l'IMU è un modello di imposta fortemente centralizzato in cui la normativa statale è pervasiva al punto da lasciare spazi estremamente esigui all'autonomia locale. Agli enti locali, a ben vedere, è riconosciuta solamente la possibilità di variare dello 0,3 per cento l'aliquota fissata. Si attua in tal modo un sostanziale arretramento sul tema dell'autonomia tributaria anche semplicemente rispetto al vecchio modello dell'ICI. L'IMU è indeducibile dalle imposte sui redditi e dall'IRAP. Al riguardo si evidenzia che nel regime attuale solo l'ICI è indeducibile mentre le altre imposte, di cui è prevista la sostituzione, sono deducibili, in primis l'imposta di registro.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GABRIELE CIMADORO. La perplessità - concludo, le chiedo ancora un minuto, Presidente - sull'IMU si aggrava ove si pensi che questo tributo è il perno del sistema fiscale municipale tratteggiato dallo schema di decreto. Al di fuori dell'IMU l'autonomia concessa alle amministrazioni locali risulta ancora più impalpabile. È una questione sulla quale io e lei abbiamo già dibattuto, signor Ministro, e allora su questo valga la pena leggere un libro scritto da un siciliano: «La zavorra». Glielo consiglio, Ministro, e se dà una occhiata a questo libro rileva delle storture inammissibili per un Paese degno di essere chiamato tale, democratico e fiscalmente libero.
In ordine alle autonomie, o risolviamo il problema delle autonomie o non andiamo avanti. Io e lei siamo della stessa città, della stessa provincia. Bergamo ha un milione e 150 mila abitanti. Faccio un esempio: Trento ha 450 mila abitanti; il bilancio della provincia di Trento è dieci Pag. 51volte superiore al bilancio della provincia di Bergamo. Scorrendo questo libro, lei sa, signor Ministro, che il segretario di Palazzo Normanni (il signor Mazzola) è stato liquidato con un milione e 770 mila euro ed ha una pensione di 400 mila euro.

PRESIDENTE. Onorevole Cimadoro...

GABRIELE CIMADORO. L'altro segretario generale, già nostro collega, è stato liquidato allora con due miliardi di lire e percepisce una pensione di 16 milioni, cui si aggiunge poi lo stipendio da parlamentare...

PRESIDENTE. Grazie onorevole Cimadoro...

GABRIELE CIMADORO. Non posso andare avanti perché non ho più tempo, signor Ministro, ma qui c'è di che sbizzarrirsi e si può capire cosa vuol dire se rimarranno in piedi queste autonomie, le quali rappresentano un'ingiustizia rispetto a tutte le altre regioni, province e città d'Italia che si impegnano e lavorano nel senso giusto. Gli amministratori di queste regioni molto spesso non mettono a frutto quello che hanno di autonomia. Lo vediamo forse in qualche regione autonoma del nord questo buonsenso, ma in altre no, e lì deve mettere le mani il signor Ministro se vuol risolvere il problema del federalismo fiscale...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cimadoro. È iscritto a parlare l'onorevole Pizzetti. Ne ha facoltà.

LUCIANO PIZZETTI. Signor Presidente, signor Ministro, innanzitutto le esprimo apprezzamento per la dedizione, la competenza e la cortese disponibilità dimostrate in questi mesi. Tutte doti che avrebbero davvero reso un buon servizio al rinnovamento statuale del Paese se liberamente espresse e, soprattutto, se liberate dalle briglie dell'osservanza di una maggioranza decadente e da un atto di simbolismo identitario elettoralistico. Mi pare evidente - sono certo lo sia anche a lei - che lo svuotamento istituzionale in essere suggerisce di lavorare alacremente, con convinzione e determinazione, alla costruzione della nuova Repubblica. La nuova Repubblica non potrà che essere federale per essere unita. Il federalismo come pilastro - prologo se vuole - dell'unità nazionale. Nella comunicazione di stamane, lei ha parlato di un federalismo che unisce; se è così, ciò che colpisce di queste settimane è l'arroccamento che contrasta gli intendimenti, il dichiarare conclusa di fatto la fase del confronto di merito e, soprattutto, politico quando, invece, ve ne sarebbe più bisogno. In Commissione, in questi mesi, abbiamo lanciato proposte, alcune accolte, altre no. Proprio in quel confronto si è evidenziata la grande confusione. Avete saltellato con soave disinvoltura da una fonte di prelievo ad un'altra, a testimonianza di come la fretta sia cattiva consigliera, rendendo incerta la prospettiva, come hanno ben descritto i colleghi del mio gruppo che sono intervenuti. Incerta sulle fonti di gettito, incerta sulle vie perequative, incerta sul concorso locale alla lotta all'evasione fiscale, incerta nel rispetto del principio di invarianza della pressione fiscale, come rilevato dalla Corte dei conti.
In realtà, le istituende imposta municipale e tassa sul turismo, oltre che contraddire il principio federalistico, produrranno un aumento del prelievo sulle imprese produttive e commerciali e, ovviamente, sui cittadini. Il che rischia di ingenerare fenomeni di massa - glielo sottolineo, signor Ministro - di ripudio del federalismo. Lo slogan: «no al federalismo delle tasse» è presente nei manifestini affissi in numerosissimi alberghi delle città italiane a rappresentare una testimonianza anticipatrice di quel che può accadere. Incerta anche perché state costruendo un federalismo provvisorio, acefalo, privo di cornice istituzionale federale (qui ho sentito già usare termini quali storico, straordinario, rivoluzione, tutti termini che mal si addicono ai contenuti del provvedimento e anche all'attenzione che, come lei ben vede, quest'Aula riserva al provvedimento medesimo, un'attenzione che non Pag. 52ha nulla di storico), indefinito nelle funzioni fondamentali delle autonomie; la Carta delle autonomie locali è un pressappoco. Cito, come ultima testimonianza a sostegno, l'intervento, svolto ieri a Firenze, dal Ministro Sacconi sul superamento delle province, trasformandole in associazioni di comuni, vale a dire in enti di secondo livello. Considerazioni che, personalmente, peraltro, condivido molto. A parte ciò, il fatto certifica la confusione circa la cultura istituzionale presente nella maggioranza e nel Governo. In realtà, con gli atti in divenire, si colloca un sistema Paese già molto terremotato nell'instabilità permanente. Condannate il Paese alla transizione infinita.
Signor Ministro, sono sinceramente colpito dal livello debole della vostra ambizione riformatrice, tanto conclamata, poco praticata. Sembra più un'ambizione pecuniaria che istituzionale, appunto elettoralistica più che costituente. Eppure, è proprio dentro un processo costituente che occorrerebbe operare per affermare non il coraggio, bensì l'autorevolezza, di una classe dirigente consapevole. Mentre la Lega Nord Padania chiedeva la secessione, il centrosinistra ha attuato la riforma del titolo V della Costituzione, avviando il processo federalista. L'attuale legge delega è generata e deriva da quella riforma. Non siamo mai stati per la devolution - oltretutto bocciata dai cittadini italiani da apposito referendum -, ma siamo stati e siamo federalisti per intima convinzione e oltre ogni ragionevole dubbio. Molto più dei suoi alleati di Governo, signor Ministro, giunti al federalismo, non per convinzione, ma per clonazione necessitata, tanto che lei deve costringere al voto favorevole, ponendo la questione di fiducia sulla risoluzione del Governo. La fiducia palese sulla sfiducia latente. Lei l'ha potuto toccare con mano quanto questo nostro convincimento sia profondo, nei lavori della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale e nell'interlocuzione politica di questi mesi. Si poteva davvero avviare la fase costituente della moderna Repubblica, muovendo proprio dal federalismo; federalismo tra i pilastri della nuova Italia. Sin qui non avete voluto e saputo cogliere la grande opportunità data dalla riforma del titolo V della Costituzione.
Operate con malvagia cocciutaggine una tremendamente colpevole scissione tra riformismo e federalismo, tra sussidiarietà e federalismo ma non è detta l'ultima. Siete ancora in tempo per un soprassalto di afflato riformista. Siete ancora in tempo, Ministro, a riprendere un percorso positivo utile per l'Italia e per gli italiani. Noi siamo sempre convintamente disponibili a compiere insieme questo importante tratto di strada. Secondo i dettami di Arcore il voto anticipato si allontana, non c'è all'orizzonte. La fretta del federalismo elettoralistico non ha più dunque ragion d'essere. È perciò possibile e auspicabile riprendere un cammino utile. Raccolga il Ministro davvero la bandiera. Si faccia promotore della proroga dei termini della delega, si accinga al restyling di ciò che si è fin qui fatto sulla fiscalità e sulle funzioni fondamentali, avvii un confronto virtuoso per il bene dell'Italia, ponga la Lega all'altezza anche di un passaggio costituente. È un appello sincero e interessato che le rivolgo per mettere a regime il federalismo e ancorarlo al Paese reale. Noi non intendiamo mettere i bastoni tra le ruote del Carroccio. Vogliamo concorrere a costruire la strada maestra nell'Italia capace di vincere le sfide del cambiamento. Il professor Michele Salvati ha scritto recentemente parole lungimiranti: le cito. «C'è ancora una piccola possibilità che dal federalismo non esca un mostro, qualcosa che complichi ancor di più procedure amministrative già complicate, che aumenti ulteriormente la pressione fiscale, che paralizzi del tutto le già deboli capacità di indirizzo della politica economica (...), che provochi seri conflitti tra nord e sud. Ma per evitare questo esito occorrerebbe uno sforzo solidale tra le migliori competenze amministrative del Paese, di destra o sinistra che siano. E soprattutto occorrerebbe dar tempo al tempo (...)».
Ministro, faccia tesoro di queste parole, le metta a fianco di quelle che nei giorni scorsi ha pronunciato Bersani dalle colonne Pag. 53della Padania. Assuma l'iniziativa o convinca il Ministro Bossi a farlo se vuole davvero la Repubblica federale d'Italia alla quale anche noi crediamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e signor Ministro, onorevoli membri del Governo, intervengo per sottolineare come l'Italia dei Valori sia stata l'unica forza delle opposizioni in quest'Aula e nell'aula del Senato ad aprire un credito al Ministro Calderoli su questa ipotesi di riforma importante del sistema della fiscalità nel nostro Paese con l'obiettivo allora da noi condiviso di impedire una sclerotizzazione della finanza pubblica impostata sulla spesa storica, responsabilizzando le amministrazioni locali nella gestione delle loro risorse e garantendo alle stesse una qualche autonomia impositiva finalizzata anche a rendere più cogente il principio dell'obbligatorietà del pagamento delle tasse e della progressività delle imposte secondo i dettati della Costituzione. Oggi, per la verità, ci troviamo imbarazzati da questo provvedimento e siamo costretti a denunciare un tradimento delle intenzioni che avevamo espresso nell'ambito dell'approvazione della legge n. 42 del 2009 perché questo provvedimento presenta molte criticità e delira rispetto ai canoni stabiliti nella legge delega. C'è stato un eccesso di delega che si è declinato in due modi, un eccesso di potere nella forma che ha accompagnato l'adozione di questo decreto legislativo e un eccesso di potere nei contenuti perché sono violate alcune disposizioni della legge delega che poi andremo ad esaminare.
L'eccesso di potere nella forma si è concretizzato in più passaggi: dal mancato raggiungimento dell'intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni al mancato via libera della Commissione bicamerale appositamente costituita per l'attuazione del federalismo, alla conseguente censura venuta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha definito irricevibile questo decreto, che il Governo aveva voluto ugualmente adottare, nonostante queste criticità. Ed oggi, ultima ma non ultima lesione all'autonomia del Parlamento, un preannunciato voto di fiducia che sta per essere calato su questa votazione del decreto sul federalismo municipale, paradosso costituzionale: infatti porre la fiducia su un provvedimento che è esecutivo di una legge delega è qualcosa che mette il Parlamento in una soggezione intollerabile, a cui il Governo non avrebbe dovuto costringerlo.
Resta il fatto che sappiamo come la Lega Nord abbia calato le sue aspettative sul provvedimento in esame, minacciando che se non vi fosse stato il voto in Commissione bicamerale vi sarebbe stato il voto alle urne. Poi questa minaccia è rientrata, ma certo è che con questa prospettata fiducia voi fate un'ennesima forzatura istituzionale, perché costringete il Parlamento a blindare nella valutazione complessiva una delega eseguita dal Governo sulla base della legge n. 42 del 2009, senza la possibilità di entrare nel merito di scelte che sono palesemente contrarie ai principi della legge delega.
Vediamone alcuni: l'articolo 2, lettera ee) della legge delega stabiliva il principio che non vi fosse la possibilità di incremento dell'imposizione fiscale complessiva, stesso principio ribadito all'articolo 28. Ebbene, con le nuove imposte che voi andate ad istituire (l'imposta di soggiorno, l'IMU, l'imposta di scopo così come rimodulata, l'aumento delle aliquote) di fatto andate ad inasprire l'imposizione fiscale e la cosa è stata denunciata molto bene dalla Confartigianato, che ha stimato in 812 milioni di euro in più di imposte all'anno il passaggio dall'ICI all'IMU. E pagheranno - badate bene - soprattutto le regioni del nord. Infatti dalla Lombardia al Friuli Venezia Giulia (da cui io provengo) alla Valle d'Aosta, l'imposizione fiscale graverà soprattutto sulle piccole imprese grazie al federalismo tanto declamato dalla Lega Nord.
Pertanto noi siamo qui a denunciare questa cosa e a ribadire la nostra contrarietà Pag. 54per questa lesione nella forma e nella sostanza di principi che avevamo condiviso nell'approvazione della legge n. 42 del 2009.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Chiappori. Ne ha facoltà.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, oggi è un momento - o come direbbe il sottosegretario Davico, una tappa - storico di un percorso lungo vent'anni (perlomeno il mio, per qualche altro qualche cosa di più). Di questi ultimi vent'anni ringrazio sia il Ministro Calderoli, che conosco da lungo tempo e quindi mi fido - partiamo da questo assunto - e naturalmente il Ministro Bossi, di cui mi sono sempre fidato. Si tratta di un percorso politico completo, che ha fatto nel tempo apprezzare a chi non apprezzava in questo Parlamento la bandiera italiana: non la trovavamo più neanche in vendita, tante ne avevate messe in giro e tanto vi eravate dimenticati di quale ne fosse il significato. L'abbiamo dovuta risvegliare noi con la nostra politica.
Vi siete anche ricordati di essere magari cattolici, voi che con le grandi maggioranze di Democrazia Cristiana, Partito Comunista e via dicendo, insomma quando regnavate voi in questo Paese e tutto girava con tanti soldini, avete portato l'Italia a un punto di crisi tale che un imprenditore piccolo come me si era stufato di pagare continuamente le tasse per cose che voi vi eravate inventati, al punto tale da dire: «Lavorate nove mesi per me e gli altri lavorate per voi». Questo era il punto fondante per cui qualcuno di noi era entrato in politica.
Avevamo accettato il principio di Sturzo, di Salvemini e di Cattaneo, che rappresentava il faro della nostra politica collegata al territorio e alle tradizioni, che, quindi, difendeva esattamente il nostro nord, ma che, difendendo il nord, difendeva tutto il Paese. Evidentemente, il principio federalista e il fatto che il federalismo unisse, era una politica che andava bene per tutti. Una palla di neve piccola all'inizio, che si è trasformata in una valanga che vi ha trascinato nel tempo - e vi trascina tuttora - in questa politica, in una lotta di liberazione da quel sistema che avevate inventato e che noi vogliamo cambiare per far sopravvivere questo Stato.
Ricordo il periodo tra il 1996 e il 2001, quando cambiarono cinque Governi, quando c'eravate voi, che pensavate di cambiare e di fare, e poi avete fatto quello sgangherato - ebbene sì, sgangherato - tentativo di modifica del Titolo V, per farci capire che, forse, anche voi eravate federalisti; ma, poi, tutto si è arenato lì.
Voi del centrosinistra - come dice qualche amico della sinistra che ho nella mia Liguria - avete fatto solo dell'antiberlusconismo la vostra politica, un antiberlusconismo che vi aveva offuscato, e vi offusca ancora adesso la mente, che non vi ha permesso di portare avanti progetti veri, che andassero oltre il dire «no», solo perché l'ha detto Berlusconi. Sono cose incredibili, che succedono e che sono successe.
Tuttavia, abbiamo anche visto, nel tempo e durante il nostro percorso politico, ciò che è accaduto, ad esempio, tra il 2001 e il 2006, quando avevamo tentato, attraverso la devolution, di compiere il primo grande salto, cioè un cambiamento vero, prevedendo il Senato delle regioni, la Camera a unica chiave di lettura e parlamentari in meno. Cose serie e concrete, che avrebbero portato questa vecchia ed obsoleta Repubblica ad essere una vera e grande Repubblica federale. Questo era il nostro obiettivo. E gli amici dell'Unione di Centro hanno dimostrato che di federalismo proprio non ne volevano sentir parlare, come non ne vogliono sentir parlare adesso.
In seguito, cosa è accaduto? È accaduto che siete tornati voi, dimostrando, però, di non essere capaci di governare. Infatti, dopo due anni, di nuovo tutti a casa, finendo così, come accadde, del resto, nel 1996: dopo due anni, Prodi è andato a casa, per poi formare i Governi D'Alema 1 e D'Alema 2, insomma, tutti i vostri tipi di ragionamenti. Pag. 55
A questo punto, torniamo al Governo con una forte coalizione, una coalizione federalista, con due soggetti fondanti: il Popolo della Libertà e la Lega che, naturalmente, è la madre di questa grande rivoluzione, una formazione che ha sempre creduto in questo: lo dimostra il lavoro del Ministro Calderoli e del Ministro Bossi, che, nonostante le sue difficoltà fisiche, ha continuato a lavorare. E oggi siamo arrivati qui, a questo momento storico, che mi inorgoglisce, ma che è una tappa, un momento, perché ancora avremmo da fare tante altre cose.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIACOMO CHIAPPORI. E con chi ci siamo trovati? Ci siamo trovati l'uomo che è nato e cresciuto all'ombra, che si era trasformato da topolino in elefantino e che poi è ritornato topolino. Adesso, pensavamo che avesse fatto qualcosa di diverso, che fosse diventato, magari, va a sapere che cosa e che, invece, è sempre un topolino, che ha tentato, anche lui, di affondare un percorso storico. Speriamo che sia l'ultima volta.
A parole, siete tutti federalisti, non sento uno che non sia federalista in questo Paese, ma, come si dice a Genova, «uno è bravo, ma»: quel «ma» distrugge sempre, perché siete senza idee e non sapete portarle avanti. La Lega, come un faro acceso, vi guida verso un percorso nuovo e, ogni tanto, dovreste lasciarvi trascinare: anche se non capite, venite dietro, che, forse, da qualche parte andiamo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor Ministro Calderoli, signori colleghi deputati, voglio esprimere un sincero apprezzamento al Capo dello Stato che, ancora una volta, ha dimostrato di essere il garante delle regole nei rapporti tra Parlamento e Governo.
Con la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, al quarto comma dell'articolo 2, il Parlamento aveva disciplinato i rapporti con il Governo in modo chiaro: il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera.
Quindi, non ci siamo trovati di fronte a un parere non espresso, come il Governo aveva interpretato adottando il nuovo decreto legislativo, ma di fronte ad un parere del relatore La Loggia respinto, perciò ad un parere negativo, che è cosa diversa da un parere non dato. Se oggi, pertanto, possiamo discutere di questa riforma, dobbiamo ringraziare il Capo dello Stato.
Prima di entrare nel merito del federalismo municipale, noi dell'Unione di Centro dobbiamo fare una premessa: siamo stati l'unico gruppo parlamentare che ha votato contro la legge sul federalismo fiscale. Mancavano le funzioni fondamentali dei comuni e delle province: questa è stata la ragione principale.
Se non si sa quello che devono fare, come si fa a sapere quanto costa? Il Ministro Tremonti non ha mai risposto alla domanda: quanto costa il federalismo fiscale? Non ha mai risposto nessuno anche ad un'altra domanda: chi paga il debito pubblico? Siamo d'accordo su una piena autonomia fiscale dei comuni e delle province, Ministro Calderoli. Siamo d'accordo sulla responsabilizzazione della spesa pubblica e degli amministratori.
Noi, signor Ministro, siamo per l'autogoverno degli enti locali. Prima, però, dobbiamo scrivere chi fa cosa, poi come si fa e poi quanto costa. Un pasticcio pericoloso e dannoso per la vita dei comuni ci preoccupa e questo pasticcio oggi lo stiamo vedendo nell'esercizio delle deleghe della riforma del federalismo fiscale.
Purtroppo alla Lega interessa solo il dato di propaganda: portare a casa anche solo i titoli di una legge sul federalismo; poco importa se non funziona o funzionerà male. Sta di fatto che, su oltre 20 deleghe previste dalla legge n. 42 del 2009, finora sono arrivati in Parlamento solo cinque provvedimenti: federalismo demaniale, Roma capitale, fabbisogni standard,Pag. 56federalismo municipale, federalismo regionale, con molti rinvii a decreti attuativi e a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Inoltre, è in corso il federalismo infrastrutturale che è una copiatura della delega della legge n. 42 del 2009, perché non dice niente di rilevante, né di nuovo. Molto poco in due anni, signor Ministro, molto poco per un sistema di deleghe che scadono il prossimo 5 maggio.
Ho detto personalmente a lei di prorogare i termini delle deleghe di un anno per consentire una valutazione più ponderata del sistema, anche alla luce della riforma tributaria che ha annunciato il Ministro Tremonti. Purtroppo, la propaganda prevale sulle cose da fare.
Valutiamo il merito di questo federalismo municipale. Il fondamento della riforma, secondo il Ministro Calderoli, sta nello slogan: vedo, voto, pago. Vale a dire che il cittadino prima valuta l'azione amministrativa con i suoi vizi e virtù, poi giudica con il voto i suoi amministratori e solo poi può pagare con scienza e coscienza le tasse. Tasse e benefici dovrebbero, quindi, essere strettamente correlati.
In questo decreto legislativo, invece, succede esattamente il contrario: chi vota non paga le tasse e chi paga le tasse non vota. In questo decreto si paga l'imposta municipale, la cosiddetta IMU, sulle seconde e terze case, le cui proprietà sono in gran parte di residenti in altri comuni. Si paga l'imposta di soggiorno e la paga chi non risiede nel comune dove si paga. Questi cittadini percossi fiscalmente non votano e non valutano; invece i proprietari delle prime case, che votano e valutano, non pagano le tasse. Il principio no taxation without representation delle democrazie liberali è sovvertito.
Altro punto valutato dal Ministro Calderoli è la lotta all'evasione fiscale. Con questo decreto si favorisce la rendita patrimoniale e si penalizza il reddito da lavoro per famiglie ed imprese. Siamo favorevoli alla cedolare secca, ma non così come proposta dal Governo.
Mentre si dimezzano le tasse ai proprietari di case, agli inquilini si fa il modesto sconto del blocco delle rivalutazioni ISTAT sugli affitti: è poca cosa. Senza un contrasto di interessi più consistenti ai proprietari delle case converrà mantenere il sommerso in accordo con gli inquilini. Perché non avete accettato l'ipotesi di deduzioni fiscali consistenti per le famiglie con figli a carico come proposto dall'Unione di Centro? Perché non avete reso obbligatoria la riduzione dell'IMU come per le case in affitto per gli immobili destinati ad attività commerciali, produttive e professionali? Un punto in più alle rendite patrimoniali e un punto in meno a famiglie ed imprese. Invece, smentite voi stessi un'altra volta. Tremonti ha annunciato la sua riforma tributaria con uno slogan: dalle persone alle cose. Qui fate il contrario: tassate le persone piuttosto che le cose.
Con questo decreto legislativo si esalta la perequazione, ma è vero il contrario. L'IVA ha sicuramente una funzione perequatrice migliore dell'IRPEF. Tuttavia, in questo decreto legislativo mancano i dati, quindi i presupposti. L'IVA, secondo la regola, si paga al domicilio fiscale del soggetto percosso, quindi, in gran parte al nord dell'Italia. Qui comunque si parla di IVA pagata nel luogo di consumo. Va bene. L'ammontare dell'IVA pagata al consumo è conosciuta però a livello regionale e il riparto per abitante è valido solo per la fase transitoria.
Che succederà dopo? Come debbono fare i bilanci i comuni per il futuro, posto che la programmazione è triennale? Un'altra domanda senza risposta: quanta IVA dovrà essere data ai comuni se non si conoscono i costi standard? Ammesso che si possano conoscere i costi standard che valgono per le funzioni fondamentali che sono - lo ripetiamo - provvisorie, quanta IVA sarà destinata per le altre funzioni? Parliamo di trasporto pubblico, biblioteche, piscine, attrezzature sportive e quant'altro riguarda i servizi a domanda individuale.
Signor Ministro, questo decreto legislativo aumenta la pressione fiscale. Lei dice di no. L'imposta di scopo c'era, ma non ha funzionato, come ha detto lei. Adesso Pag. 57funzionerà e sarà un'imposta in più. Signor Ministro, lei ha detto che l'imposta di soggiorno è stata messa per evitare che lo facessero le regioni in termini peggiori. Quindi, era un'imposta che non c'era e adesso c'è e funzionerà probabilmente nel modo che lei dice, ma è un'imposta in più. È un'imposta che indubbiamente funziona.
Lo sblocco delle addizionali IRPEF si dice che vale solo per i comuni virtuosi, ma è una tassa nuova e che non c'era. Per queste ragioni, non per cacciare Berlusconi, noi dell'Unione di Centro saremo contrari a questo decreto. Sappiamo che lo approverete lo stesso con la fiducia, ma su di voi cadrà tutta la responsabilità degli errori (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pastore. Ne ha facoltà.

MARIA PIERA PASTORE. Signor Presidente, vorrei anzitutto ringraziare il Ministro Calderoli per l'esposizione chiara, riassuntiva dei principi e dei criteri ai quali si ispira questo decreto legislativo e completa nel descrivere i contenuti del decreto stesso.
Stiamo parlando di attuazione del federalismo fiscale e per la Lega Nord Padania si tratta di un percorso iniziato ormai tanti anni fa e che vediamo poco a poco realizzarsi. Vorrei, infatti, ricordare che il Consiglio dei ministri ha già approvato otto decreti legislativi e oggi il quarto decreto arriva alla fine e al compimento di un iter complesso così come indicato dalla legge n. 42 del 2009. È stato detto che è poco. Signor Ministro, tutti noi che la vediamo lavorare, che apprezziamo la sua disponibilità, il dialogo continuo che lei ha nelle Commissioni, anche nei confronti delle opposizioni, possiamo dire che non è poco e continuiamo ad apprezzare convintamente il lavoro che lei svolge quotidianamente per portare avanti questi decreti legislativi.
Stiamo parlando di un decreto legislativo che vede finalmente il passaggio dalla finanza derivata alla finanza autonoma, che finalmente definisce un maggiore controllo sugli sprechi, una maggiore responsabilità e responsabilizzazione degli organi di governo, ma anche dei cittadini ed introduce finalmente a favore dei comuni una reale autonomia di entrata e di spesa.
Rappresenta, peraltro, una semplificazione, tanto che riunisce diversi tributi comunali e, inoltre, non stabilisce nessuna ulteriore imposizione e riduce le imposte; tutto ciò tenendo sempre presente il principio cardine contenuto nella legge n. 42 del 2009, vale a dire l'invarianza della pressione fiscale complessiva. Si tratta di un provvedimento che mira a portare avanti la lotta all'evasione fiscale sugli immobili, a riformare un sistema e che vede la luce dopo un dialogo costante con le autonomie e con le opposizioni.
Ho seguito il dibattito che si è svolto questa mattina e le varie obiezioni che sono state avanzate da alcuni colleghi. Come sempre, quando si parla di una questione, nel caso specifico dei decreti attuativi del federalismo fiscale, c'è chi dice che bisognava partire dalla Carta delle autonomie o dalla riforma costituzionale, tanto quanto oggi sento dire che, durante la XIV legislatura, è stata approvata la riforma costituzionale, mentre invece allora bisognava partire dal federalismo fiscale poiché c'erano più risorse. Tuttavia, credo che, per onestà intellettuale, tutti dovrebbero riconoscere che da qualche parte bisogna pure partire (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). La Lega Nord è partita durante la XIV legislatura, portando avanti la devoluzione, è ripartita durante questa legislatura con il federalismo fiscale e i decreti attuativi, ma non solo con questi provvedimenti: infatti la Carta delle autonomie è stata approvata il 30 giugno 2010 da questa Camera ed è all'attenzione del Senato.
Quindi, questo Governo, soprattutto i Ministri della Lega Nord, sta lavorando con convinzione e determinazione. È stato anche detto che l'obiettivo è quello di impoverire le regioni più povere: ricordo a tutti voi che l'obiettivo invece è quello di dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione, il quale espressamente parla di Pag. 58autonomia finanziaria di entrata e di spesa e prevede che comuni, province e quant'altro abbiano risorse autonome, applichino tributi ed entrate proprie, dispongano di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio e, inoltre, dispone che, con legge dello Stato, sia istituto un fondo perequativo. Vorrei anche ricordare che questo testo è esattamente quello modificato dall'allora Governo di centrosinistra durante la XIV legislatura con la riforma del Titolo V della Costituzione. Stiamo dando applicazione esattamente a quell'articolo 119 della Costituzione, che voi avete voluto e votato in solitudine.
Oggi, siamo tutti federalisti, ma forse è bene ricordare che il federalismo è l'obiettivo e la battaglia per cui è nata e continua ad esistere la Lega Nord. Nel momento in cui si lavora, ci si confronta e si portano all'attenzione del Parlamento i decreti legislativi, per voi va bene il federalismo fiscale, ma non in questo modo. Tuttavia, certamente esso non può essere attuato nel vostro modo e cioè introducendo patrimoniali o proponendo l'ICI sulla prima casa. Questo federalismo non va bene - dite - perché bisogna ridurre le spese dei Ministeri, ma mi sembra che anche questo sia stato fatto. Si dice che si passa dalle chiacchiere alla stangata, ma io mi auguro che ci sia una stangata per quegli amministratori che hanno amministrato in modo poco accorto e per quei cittadini che non hanno pagato le tasse. Ricordo, inoltre, che invece questo decreto comporterà un maggiore controllo sulla spesa e, in più, non impone nulla perché accorpa tributi già esistenti, l'IMU inoltre è sostitutiva, l'imposta di scopo e l'imposta di soggiorno sono facoltative, la cedolare secca porterà risparmi per i proprietari e per gli affittuari.
Ho altro da dire, ma vorrei rispondere brevemente a quanto detto dall'onorevole Nannicini che parlava di cifre, soprattutto per il comune di Treviso. Ebbene, evidentemente le cifre non tornano perché in base alle nostre cifre proprio Treviso avrà 28 milioni di euro, a fronte dei 18 milioni di euro di trasferimenti previsti per l'anno 2011 (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Quindi, signor Ministro, la ringrazio. Credo che il federalismo fiscale sia un'opportunità, sia l'unica strada per realizzare il cambiamento di questo Paese. Ringrazio lei e il Ministro Bossi per la determinazione e la coerenza.
La Lega Nord Padania in realtà è la garante delle regole, dietro di essa e dietro il Ministro Bossi c'è l'appoggio di tutti i cittadini che credono nel cambiamento del Paese e che credono che questo sia un provvedimento di cui il Paese ha bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti dell'istituto professionale per i servizi commerciali e turistici Marco Polo di Bastia Umbra, Perugia, che sono in visita alla Camera e stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, ascoltando l'ultimo intervento della collega Pastore la sensazione immediata è quella di ritrovarci a discutere di provvedimenti diversi, l'uno probabilmente auspicato dai colleghi della Lega Nord Padania, forse sognato, probabilmente immaginato in un altro contesto, l'altro - sul quale vi consigliamo di atterrare a partire dal voto che sarete chiamati a dare domani - è il decreto che, a nostro avviso anche in maniera molto inopportuna, il Governo decide di sottoporre alla fiducia di questa maggioranza.
È un decreto pasticciato, e se lo dice il Partito Democratico così come l'hanno detto tutti i colleghi durante la discussione sulle linee generali, è perché forse più di qualsiasi altro gruppo parlamentare - certamente più di quelli di maggioranza - possiamo permettercelo; infatti, se siamo arrivati fin qui per la delega e per la riforma costituzionale del Titolo V che abbiamo fortemente voluto, se siamo arrivati fin qui - lo ribadisco soprattutto al Pag. 59Governo e ai colleghi della Lega Nord Padania - è perché abbiamo tutti quanti insieme in quest'Aula, in questo Parlamento, modificato la pessima proposta - proveniente dal Consiglio dei Ministri - della delega, che il Ministro Calderoli conosceva bene.
La proposta che arrivò in Parlamento quasi due anni fa prevedeva l'utilizzo dell'IRPEF anziché dell'IVA come imposta di finanziamento della perequazione, venti modelli di scuole regionali, l'utilizzo improprio dei fondi strutturali, l'utilizzo improprio e inopportuno di una serie di leve fiscali divenute oggetto del confronto e della discussione e insieme - lo riconoscemmo al Ministro Calderoli in quel momento storico - facemmo quelle modifiche dando vita alla Commissione bicamerale, terreno del confronto politico su questo decreto.
Cos'è successo rispetto agli altri decreti? È successo che la bicamerale non ha dato il via libera perché questo è un decreto pasticciato. Al contrario, aveva dato il via libera sul fisco patrimoniale, su Roma capitale, sui fabbisogni - seppure con il nostro voto contrario -, ma non l'ha dato su questo decreto perché non ci sono stati i numeri sul fisco municipale. Il ragionamento alla base oggi è stato richiamato in Aula e lo richiamiamo soprattutto all'attenzione dei colleghi della Lega Nord Padania perché quello che il collega Causi vi ha detto nel suo intervento questa mattina non è oggetto di interpretazione, è lì scritto. In realtà ci sono oltre undici temi, argomenti, pilastri su cui dovrebbe poggiare il federalismo fiscale che non sono stati ancora oggetto di decreti, ed i decreti che sono stati approvati finora in realtà, quando hanno incontrato l'omertà - non so definirla in maniera diversa - del Ministro dell'economia, hanno prodotto ulteriori decreti. È il caso, in particolar modo, di questo sul fisco municipale. Si rimanda ad altri due decreti aspetti che sono essenziali, non si forniscono risposte su temi per noi fondamentali, come la perequazione. Come si finanzia la perequazione? Come impatteranno le entrate correnti dei bilanci dei comuni di domani rispetto alla copertura di servizi indispensabili e di servizi a domanda individuale? Il decreto non fornisce queste risposte.
Abbiamo tentato in tutti i modi di chiedervi di fermarvi e di non correre, perché non c'era nessuna fretta, perché con questo decreto legislativo non sarebbe certamente finito il dialogo in Parlamento. Invece, vi siete messi nella condizione di mettere a rischio questo dialogo, fino a farlo finire con il voto di fiducia che vi accingete a chiedere oggi.
Ma vi chiedo - lo chiedo ai colleghi della Lega - se c'è autonomia impositiva in questo decreto legislativo. Le entrate correnti rispetto all'impatto che hanno oggi - mi riferisco alle entrate tributarie, alle entrate extratributarie, al rapporto tra gli attuali trasferimenti dello Stato e l'autonomia impositiva effettiva dei comuni - aumentano o diminuiscono? Purtroppo diminuiscono e non potete illudervi del fatto che con l'imposta di soggiorno e l'imposta di scopo il rapporto aumenti, perché i sindaci con questo decreto legislativo non avranno autonomia fiscale, non decideranno l'aliquota minima e l'aliquota massima, che deciderà lo Stato centrale.
Capisco che per qualcuno oggi dire Governo centrale significa pensare al Ministro dell'economia di casa. Si pensa che se c'è lui in qualche modo ci risolverà i problemi, ma intanto non li risolve. In ogni caso era questo il decreto che sognavate? Quello che porta il Ministro dell'economia e delle finanze a decidere di volta in volta l'aliquota di riferimento? Ma che federalismo è questo?
Noi abbiamo fatto numerose valutazioni, che sono sotto gli occhi di tutti, che sono confortate dalle audizione della Corte dei conti, di Bankitalia, di ISTAT, dalle quali risulta che la pressione fiscale aumenta. È troppo facile per noi purtroppo ricordarvi che solo undici anni fa l'attuale Ministro dell'economia ricordava al Paese che la pressione fiscale sarebbe diminuita con il primo Governo Berlusconi nel 2001 - la pressione fiscale allora era intorno al 42 per cento - che avremmo riformato il Pag. 60fisco in senso tedesco, salvo il fatto che oggi il modello tedesco è diventato un modello da avversare. Non solo non è successo nulla in questi undici anni, non solo la pressione fiscale è arrivata al 43,7 per cento, ma quando siete chiamati a scelte coraggiose, così come vi abbiamo chiesto, il risultato è l'accentramento delle scelte sulla scrivania del Ministro dell'economia e delle finanze, indipendentemente da chi sia il Ministro.
Questo decreto penalizza i comuni virtuosi, esattamente come sono stati penalizzati in questi due anni. In questi due anni - concludo signor Presidente - i comuni che erano stati virtuosi, che avevano tenuto bassa l'ICI sulla prima casa, al 4 per mille, che avevano ritenuto di far pagare il meno possibile ai proprietari della prima casa, con la vostra cancellazione hanno ottenuto solo quei trasferimenti, mentre i comuni «spendaccioni», quelli che avevano l'ICI sulla prima casa al 6 o al 7 per mille, hanno ottenuto come trasferimento il regalo della copertura integrale degli sperperi che avevano fatto. Questo decreto continua su quella strada.
Concludo, annunciando ai colleghi di maggioranza la sfida che il Partito Democratico farà. Intanto, questa prova muscolare vi si ritorcerà contro, perché è la dimostrazione della debolezza della maggioranza. Potevate andare fino in fondo senza porre la questione di fiducia, potevate confrontarvi fino in fondo con noi e potevate far sì che in qualche modo i numeri prevalessero dopo una discussione vera, non troncata dalla fiducia. Invece non l'avete fatto.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 17)

FRANCESCO BOCCIA. Sul fisco regionale tenteremo di recuperare i buchi che lasciate con questo provvedimento. Lo diciamo oggi e continueremo in Bicamerale nei prossimi giorni: vi sfideremo su provvedimenti sanzionatori per gli amministratori infedeli, per coloro che hanno provvedimenti della Corte dei conti a carico e vi metteremo alla prova su una reale autonomia impositiva, che questo decreto legislativo in realtà cancella (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, deputato Presidente, sono molto lieto soprattutto del suo arrivo alla Presidenza, visto anche che c'è una complicità tra lei e Di Pietro. Era una battuta per stemperare il clima e il conflitto istituzionale di questi giorni, che forse serve ad aiutare tutti.
Comunque, parlando di federalismo fiscale municipale, per la verità si tratta di una materia attinente naturalmente al mondo della finanza e dell'economia, che, come tutti quanti sappiamo, è un mondo che è molto sensibile soprattutto ad un indicatore, che serve per dare stabilità e tranquillità al mondo economico e finanziario: la certezza delle regole. Le imprese, le aziende e il mondo economico e finanziario investono e mettono in campo capitali se vi è certezza delle regole. Ahimè, noi dell'Italia dei Valori dobbiamo registrare, purtroppo, che anche in questo provvedimento non vi è certezza, perché, forse per fare in fretta o per fare un po' di propaganda ad ogni costo, si è preferito «lanciare» un provvedimento senza pensare all'impatto che esso ha sulla società, atteso che non prevede delle regole certe e parametri ben definiti al suo interno.
Sulla certezza delle regole, soprattutto quelle che attengono all'economia e alla finanza, noi siamo molto sensibili. Signor Presidente, proprio questa mattina abbiamo presentato un'interrogazione per chiedere al Ministro dell'economia e delle finanze se il dittatore Gheddafi abbia anche in Italia dei capitali, dei beni; insomma, abbiamo chiesto di mettere subito le mani nelle tasche del dittatore Gheddafi. Guarda caso, l'Italia, fra i Paesi occidentali, è l'ultimo che si sia avviato in questa direzione, perché solo oggi ha dato la stura al Comitato per la sicurezza finanziaria per cominciare a fare accertamenti Pag. 61in tal senso. Invece, dagli Stati Uniti d'America all'Austria oggi, tutti gli altri Paesi hanno bloccato i beni del dittatore Gheddafi, perché è più giusto togliere dalle tasche del dittatore il denaro e i capitali impropriamente presi e darli al suo popolo, per fare ospedali e scuole.
Ebbene, sul federalismo municipale vi diciamo immediatamente che non si tratta di una legge giusta. Cominciamo dal fondo perequativo, dove, manco a farlo apposta, si prevede una norma con la quale si svuota completamente l'attività e il ruolo del Parlamento; noi siamo ancora una Repubblica parlamentare.
Signor Ministro, per quanto riguarda la definizione delle modalità di funzionamento del fondo perequativo e della sua applicazione e distribuzione, tutto viene affidato ad una norma di rango inferiore, perché con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si fisseranno questi criteri e si determinerà il fondo perequativo da dare ai comuni. Perché dovete decidere in modo così chiuso e oligarchico a quali comuni affidare un fondo perequativo maggiore o minore? Perché queste discriminazioni? Perché non vengono, invece, fissate delle norme generali e precise, con le quali ogni comune sappia a cosa ha diritto e a che cosa va incontro? La stessa cosa vale per quanto riguarda la non determinazione dell'aliquota sulla tassa per il possesso dei beni immobili; addirittura, non viene fissata né un'aliquota minima né un'aliquota massima.
Insomma, con questi criteri, o meglio non criteri, come fa un comune a determinare la propria programmazione e a predisporre il proprio bilancio? Mi avvio alle conclusioni: questa è una norma che non ha un carattere generale, perché, dall'imposta di soggiorno, che privilegia alcuni comuni rispetto ad altri, all'imposta sulla prima abitazione, sta a significare che non si vogliono fare delle norme di carattere generale con criteri precisi.
Noi dell'Italia dei Valori abbiamo dal primo momento votato a favore del federalismo, perché crediamo in esso. Ho sentito questa mattina, poco fa, un collega della Lega che diceva...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCESCO BARBATO. ...che la Lega è la madre di questo provvedimento sul federalismo. Penso che la Lega sia madre di una legge che diventa «matrigna» per i comuni e per i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Montagnoli. Ne ha facoltà per cinque minuti.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Signor Presidente, signor Ministro Roberto Calderoli, oggi siamo qui per discutere di uno dei più importanti provvedimenti di questa legislatura, della madre di tutte le riforme di cui ha bisogno il nostro Paese.

RENATO CAMBURSANO. Matrigna.

ALESSANDRO MONTAGNOLI. Siamo qui a dare una risposta ai milioni di cittadini che ci hanno votato per cambiare questo Paese, questo Stato burocrate, inefficiente, spendaccione, in un moderno Stato federale. Questa per noi della Lega Nord è la nostra ragione di vita.
Anni fa, il più lungimirante personaggio politico, Umberto Bossi, aveva capito che bisognava dare risposte alle istanze dei territori, gestire meglio la cosa pubblica e oggi, finalmente, il sogno si avvera. Abbiamo inserito nel programma elettorale l'obiettivo di cambiare lo Stato e di portare a compimento il federalismo.
Fino ad oggi, la mancanza di questa riforma ha limitato la competitività del Paese, sottraendo risorse all'economia e al settore sociale, ha devastato i conti pubblici e fatto esplodere la spesa pubblica. Il fatto di avere attualmente 1.870 miliardi di debito pubblico è dovuto, essenzialmente, alla mancata riforma federale del passato; ciò è colpa - è giusto dirlo - di tutte quelle forze politiche che oggi, come allora, non vogliono cambiare nulla. Voi del Partito Democratico, dell'Unione di Centro e di Futuro e Libertà per l'Italia avete la responsabilità di avere depredato migliaia di milioni di euro di risorse Pag. 62pubbliche e ancora oggi vi assumete la responsabilità, solo ed esclusivamente per fini politici e non per interesse del Paese, di votare contro il provvedimento in esame che, finalmente, darà risposte agli enti locali.
Il Governo e la maggioranza, il Ministro Calderoli lo ha dimostrato, fin da subito vi hanno dato la possibilità di contribuire a questo cambiamento del Paese, ma alla fine avete manifestato la vostra vera realtà: difendere l'attuale situazione di sprechi e di cattiva gestione di risorse, soprattutto in determinate aree del Paese, come ad esempio il sud, che tra l'altro, invece, ha l'assoluta necessità di cambiare passo.
Oggi si passa ad un federalismo responsabile. Fino ad ora, con il criterio della spesa storica, facevate in modo che chi più aveva speso, magari anche male, più prendeva e chi, invece, meno prendeva meno doveva spendere, favorendo così le politiche di disavanzo che poi tutti noi cittadini dovevamo colmare attraverso il pagamento delle tasse. Ora si va verso un passaggio diverso con l'introduzione del criterio della spesa standard che si basa sul vero costo dei servizi e attraverso il quale si responsabilizzano gli amministratori locali, si porta equità nella ripartizione delle risorse tra le diverse aree del Paese, si combatte l'evasione fiscale e si diminuiranno le tasse.
Attualmente abbiamo una situazione non più sostenibile. Il residuo fiscale di un cittadino lombardo è di 4.000 euro, di 3.600 euro per un cittadino emiliano, di 3.300 euro per un cittadino veneto. Da oggi si cambia passo. Come hanno già accennato i miei colleghi, con il provvedimento in oggetto alcune imposte vengono trasferite: dalla compartecipazione all'IVA, dal 30 per cento sulle imposte di registro ipotecarie e catastali, dal 50 per cento nella giusta lotta che anche i comuni possono fare all'evasione fiscale. Questi sono dati di fatto, sono elementi oggettivi.
Grazie alla Lega Nord il federalismo fiscale sta diventando realtà. Con l'approvazione del federalismo municipale si dà una risposta a quello che da tanto, troppo tempo i sindaci e gli amministratori locali chiedono. Finalmente le tasse rimarranno nel territorio dove vengono prodotte per costruire scuole, strade, per aiutare le nostre famiglie, i nostri giovani, i nostri anziani con dati di fatto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Questo è quello che la Lega Nord ha detto, per cui si è impegnata e che questo Governo con la maggioranza stanno portando a casa. Voglio ringraziare il Ministro Calderoli ed il Ministro Bossi per l'impegno e la tenacia nel portare avanti il provvedimento in oggetto che, concordo, è epocale.
Avete perso un'occasione! Più volte in quest'Aula abbiamo detto di voler cambiare questo Stato e che sarebbe meglio farlo tutti insieme. Noi non andiamo sui tetti, siamo qui a lavorare al di là di tutte le polemiche giacché i cittadini chiedono di cambiare lo Stato, di dare risposte all'economia ed il federalismo sarà la risposta a tutte quelle istanze e richieste che provengono dagli imprenditori, dall'economia e dei cittadini.
Oggi diamo una risposta definitiva a ciò di cui il Paese ha bisogno. Grazie al Ministro Bossi e al Ministro Calderoli (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Governo.

(Annunzio di risoluzioni)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Borghesi ed altri n. 6-00060, Cimadoro ed altri n. 6-00061, Favia ed altri n. 6-00062, Cambursano ed altri n. 6-00063, Messina ed altri n. 6-00064, Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli n. 6-00065, Franceschini ed altri n. 6-00066, Galletti, Della Vedova e Lanzillotta ed altri n. 6-00067 e Mario Pepe (IR) ed altri n. 6-00068 (Vedi l'allegato A - Risoluzioni)
I relativi testi sono in distribuzione.

Pag. 63

(Replica del Ministro per la semplificazione normativa)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Ministro per la semplificazione normativa, senatore Calderoli.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, approfitterò della fase di replica per fare alcune puntualizzazioni e anche un poco un'operazione di chiarezza e di onestà intellettuale, che devo riconoscere ho sempre trovato nelle Commissioni di merito. Quando poi però il discorso si sposta più sul campo politico non sempre la verità emerge.
Questa mattina e anche questo pomeriggio ho sentito delle novità per me, come per esempio il fatto che non vi sia stata l'espressione o il coinvolgimento della I Commissione (Affari costituzionali) della Camera. Come ho già detto nell'intervento di questa mattina, cinque Commissioni, fra cui la I Commissione (Affari costituzionali), si sono espresse e con un parere favorevole con osservazioni. Mi spiace, quindi, che una persona da me stimata come il professor Zaccaria venga a dirci che non c'è stato un coinvolgimento della I Commissione.
Così pure, per esempio, nel pomeriggio ho sentito l'onorevole Cimadoro citare il fatto che noi non ci saremmo ricordati delle regioni e delle province a statuto speciale. Proprio per ragionare colgo l'occasione in questo momento per ricordare che nell'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 era previsto che dovessimo coinvolgere e richiedere un contributo al federalismo da parte delle regioni e delle province a statuto speciale ed io ho personalmente sottoscritto con l'Alto Adige, con il Trentino, con la Valle d'Aosta e con il Friuli Venezia Giulia intese che hanno portato a un taglio dei trasferimenti o attribuzioni di funzioni senza i relativi trasferimenti, in ragione di quasi 1,8 miliardi di euro. Credo che sia la prima volta nel corso della Repubblica che le regioni e le province autonome mettano qualcosa sul piatto, perché fino ad oggi lo hanno sempre invece ricevuto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) e tutto ciò, pur riconoscendo e confermando poi il fatto che credo effettivamente nelle autonomie e che ad autonomia debba corrispondere anche un'acquisizione di funzioni e non solo di risorse. In questo caso abbiamo aumentato le funzioni e ridotti i trasferimenti e credo di poter concludere a breve anche l'accordo con la regione Sardegna e abbiamo iniziato a lavorare sulla regione Sicilia.
Quello che mi dà però più fastidio di tutto questo dibattito - e che non trova un riscontro nella realtà - è il continuo slogan: questo provvedimento determina un incremento della pressione fiscale. Lo ho già detto questa mattina e non ho citato delle frasi o dei pareri: ho parlato attraverso i numeri. I numeri possono piacere o non piacere, ma restano numeri. Se in un provvedimento da una tassazione che può superare il 40 per cento, rispetto a quanto uno paga di tasse in termini di locazione, si passa al 19-21 per cento, la matematica non è un'opinione: si paga di meno (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Se riduco del 10 per cento il trasferimento degli immobili non uso prima abitazione e a un massimo del 33 per cento per quelli ad uso abitativo, si tratta di una riduzione delle tasse ed ho fatto l'esempio questa mattina, per cui un proprietario di un immobile di 65 metri quadri può arrivare a risparmiare, secondo la fascia di reddito in cui si trova, fino ad oltre 2 mila euro rispetto a quelli che pagava prima.
Se la prendono con l'IMU e tutte le volte salta fuori il discorso: avete aumentato l'ICI. Ribadisco che l'IMU non è l'ICI, ma è la somma dell'ICI e dell'IRPEF fondiaria, per cui se è aumenta l'imposizione, ma poi non si paga più l'IRPEF fondiaria, forse vi è una ragione di un'aliquota, quella appunto dello 0,76 per cento, che è un'aliquota di assoluto equilibrio e che può essere aumentata o ridotta da parte del comune, con la possibilità di ridurre le tasse per tutti, se il comune si mostrerà virtuoso. Pag. 64
Potrei dirlo solo io che non c'è un incremento di tasse, ma c'è scritto esattamente che il provvedimento in esame non può determinare un aumento della pressione fiscale e qualche volta vale la pena prendere spunto da parti terze. Nel suo intervento il Presidente La Loggia ha citato un documento che è stato stilato dagli uffici della Camera dei deputati dove si afferma che dal quadro di seguito riportato si evince la neutralità fiscale e finanziaria del provvedimento. Per cui in termini di dare e avere da parte dello Stato e dei comuni alla fine la differenza è pari a zero e quindi possono solo scendere (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Se la sono presa moltissimo con questa addizionale. Si tratta di un rapporto di odio e amore veramente, perché oggi siete in totale antitesi rispetto all'addizionale IRPEF ma chi se la è inventata? Il Governo Prodi nel 1998 (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)! Chi l'ha incrementata dallo 0,5 per cento allo 0,8 per cento? Il Governo Prodi nel 2007! Questa mattina ho sentito l'onorevole Nannicini - cui sono fraternamente amico perché è proprio una persona che mi risulta simpatica, oltre che un preparatissimo membro della Commissione bilancio e della Commissione bicamerale - accusarmi del fatto che nella mia città l'addizionale IRPEF è pari allo 0,6 per cento, come esempio di scarsa virtuosità, e un suo collega ha aggiunto che questo incremento sarebbe stato realizzato da un Governo a me amico. Peccato che ad aver portato l'addizionale IRPEF allo 0,6 per cento - ma siamo arrivati anche allo 0,7 per cento - è stato un Governo della sinistra! Ha addirittura trasferito la mia residenza perché non risiedo nel comune di Bergamo bensì in quello di Mozzo dove c'è un sindaco leghista e l'addizionale è pari allo 0,2 per cento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), diversamente dal comune di cui è stato sindaco l'onorevole Nannicini - cui va il merito, allora, di averla tenuta allo 0,2 per cento - e che oggi brilla invece con un'amministrazione della sinistra per aver l'addizionale al massimo ovvero allo 0,8 per cento. Questi sono i numeri (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Se poi bisogna fare un'operazione di verità perché le tirano fuori, vorrei parlare anche degli emendamenti che sono stati presentati in sede di Commissione bicamerale. I conteggi non li ho fatti e francamente faccio riferimento a quanto affermato dal nostro collega, il senatore Paolo Franco. Oggi abbiamo questi interventi e domani ci saranno le dichiarazioni di voto con importanti personaggi. Credo che interverrà anche il segretario del PD Bersani e vorrei che non venisse solo a dirci che con questo provvedimento aumentiamo la pressione fiscale, ma che mi venga a spiegare gli emendamenti che i suoi uomini hanno presentato in sede di Commissione bicamerale. Cito il primo degli emendamenti a prima firma Boccia: le aliquote da 19 e 21 per cento passerebbero da 18 al 23 per cento. Si scende un po' sugli immobili convenzionati, che rappresentano il 20 per cento del totale e si aumenta del 2 per cento invece sull'80 per cento degli immobili. Credo che a naso stiamo parlando di qualche centinaia di milioni di euro. L'emendamento Stradiotto prevede la componente aggiuntiva dell'IMU da un minimo da 20 euro a 150 euro. Si provi a moltiplicare la differenza da 100 a 150 euro per quasi 60 milioni di immobili e verranno fuori tanti bei miliardi. L'emendamento Vitali prevede un aumento della rideterminazione degli estimi catastali secondo inflazione dal 2005 del 12,2 per cento. Provate ad aumentare del 12 per cento la base imponibile e vi salteranno fuori dei bei miliardi. L'emendamento Stradiotto prevede l'aumento del canone municipale facoltativo per manutenzione degli spazi fabbricati pubblici da 20 a 150 euro. Moltiplicando la differenza per quasi 60 milioni di immobili si ha un totale di tanti bei miliardi. Prima ho ascoltato l'onorevole Pizzetti che nel suo intervento ci rimproverava per avere presentato la cosiddetta imposta di soggiorno. Si può essere o meno d'accordo ma, francamente, lo sa solo il Signore cosa i comuni a vocazione Pag. 65turistica debbano spendere di più in termini di servizi rispetto a quello che dovrebbero erogare per la normale presenza dei loro cittadini. Ciò può essere anche accolto però non capisco perché il PD avanzi una proposta di imposta di soggiorno e l'onorevole Misiani presenti un emendamento per raddoppiarla rispetto a quanto avevamo previsto noi e anche questo equivale a dei miliardi. Poi ci sono le tasse minori come l'addizionale sui diritti di imbarco o la maggiorazione del canone pubblicitario.
Non ho fatto - ripeto - i conti, però, se sono giusti quelli che ha fatto il senatore Paolo Franco, per sostituire 11 miliardi di trasferimenti con gli emendamenti presentati dal PD il cittadino ne avrebbe pagati quasi 34: l'è minga (non è) un grande affare pagarne 34 per prenderne 11. Riguardo al mancato accoglimento delle proposte, devo osservare - vedo l'onorevole Di Pietro - che per quanto riguarda gli emendamenti, tra l'altro accolti, che contrastano l'aumento della pressione fiscale è giusto un riconoscimento anche al gruppo Italia dei Valori che è sempre andato in questo senso. Per quanto riguarda il mancato accoglimento delle proposte da parte della maggioranza dico repetita iuvant: se su settanta commi, cinquanta sono il frutto degli emendamenti dell'opposizione o dell'ANCI (oppure erano esattamente identiche le proposte - in 22 punti - dell'onorevole La Loggia e del senatore Barbolini), credo che francamente alla fine l'unica differenza che resta è il discorso sulla prima casa. Vogliamo dire chiaro e tondo che è l'unica differenza rimasta? C'è chi vuole l'ICI, direttamente o attraverso la tassa dei servizi, e chi non la vuole. Ma basta dirlo chiaro. Uno può dire: io voglio che ritorni l'ICI. Oggi l'onorevole Causi ha detto che il 75 per cento dei cittadini non pagherà per i propri servizi e gli ha dato un'inflessione negativa, ma io sono orgoglioso di aver tolto al 75 per cento dei cittadini la tassazione della prima casa (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Perché qualcosa sembra non emergere quando si critica l'abolizione o la non abolizione dell'ICI. Bisogna anche fare dei mea culpa; chi ha proceduto alla prima abolizione di una parte dell'ICI (questa volta in maniera meritoria)? L'allora Presidente Prodi. Noi abbiamo completato quello che era stato avviato, ma non rinneghiamo nulla. Però devo dire francamente che si sta sempre a guardare il fatto che ci sarebbe stata forse una minore autonomia dei comuni, ma io so soltanto (mi sembra che i numeri debbano parlare chiaro) che tre miliardi e duecento milioni all'anno non sono andati ai comuni (sono arrivati attraverso dei trasferimenti), ma sono rimasti nelle tasche dei cittadini. Tre miliardi e duecento milioni di euro in più in tasca vuol dire meno pressione fiscale e più disponibilità per dare anche un piccolo segnale della ripresa del Paese.
Credo che il clima che c'era stato nel primo periodo, durante l'iter della legge n. 42 (e poi dei primi decreti), si sia poi deteriorato a causa di sopravvenute questioni politiche che rispetto al merito del federalismo francamente contano, dovrebbero o avrebbero dovuto contare assai poco. Auspico che si ritorni a quel clima di serenità per poter ritornare a discutere del merito (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Sono convinto che questo si potrà verificare soltanto nel momento in cui la maggioranza tornerà ad acquisire quelle maggioranze nelle Commissioni parlamentari competenti. Dopodiché l'opposizione farà l'opposizione e la maggioranza potrà fare la maggioranza discutendo del merito. Se questo non accade continueremo ad andare avanti con le spallate, però a furia di spallate qualcuno poi si lussa, perché tanto Berlusconi al Governo va avanti lo stesso (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania). Quindi parliamo del contenuto e non del resto. Per concludere - rispondendo anche all'intervento dell'onorevole segretario del Partito Democratico - vorrei dire che non ho alcuna remora a riconoscere che il percorso che abbiamo seguito su indicazione del Presidente Napolitano sia assolutamente quello più corretto. Vorrei ricordare che prima che giungesse il messaggio del Presidente Pag. 66Napolitano avevo già dichiarato che era mia intenzione presentarmi a Camera e Senato, perché di fronte ad una situazione anomala che si era verificata in una Commissione (dove qualcuno ha cambiato idea) devo ritenere che sia l'Assemblea dei due rami del Parlamento a doversi esprimere, in modo che il federalismo non sia figlio del Governo, ma sia figlio anche del Parlamento, e in modo che venga «bollinato». In questo senso abbiamo richiesto e chiederemo (darò poi a tal proposito la parola al collega Vito) la fiducia non per una questione numerica ma per sottolineare il passaggio di un punto fondamentale del programma di Governo che noi intendiamo portare avanti.
Non solo riconosco la correttezza. Devo dire - e qui esco un po' dal coro - che non solo da parte del Presidente ma anche da parte di tutti i suoi collaboratori ho sempre trovato un aiuto, un sostegno e una collaborazione. Ritengo che da tutti ci sia la possibilità di imparare e intendo proseguire su questa strada con le istituzioni, con la maggioranza, con l'opposizione.
Un grazie a tutti quelli che hanno lavorato nella Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale. Devo dire che mi sono stati per molti versi maestri in Commissione perché di fiscalità e materie analoghe non ero, forse, il massimo dell'esperienza ed ho trovato tanti professori da cui rubare il mestiere e la cosa mi è servita, anche usando le proposte provenienti da maggioranza ed opposizione. Ci troviamo a dover fare un passo importante, a concludere questo passaggio del federalismo municipale. Federalismo perfetto? Può darsi che si possa far qualcosa di meglio, ma credo che l'importante sia cominciare in un cammino di razionalizzazione e di responsabilizzazione degli enti locali. Per oggi abbiamo parlato di un provvedimento che parla di 11 miliardi, il prossimo provvedimento, concernente regioni e province, parla di qualcosa di più di 100 miliardi. Partiamo dal vantaggio di aver avuto un'intesa con comuni, province e regioni; mettiamoci alle spalle, adesso, con il voto di domani, il municipale e torniamo a lavorare, nelle Commissioni bilancio e nella Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, in modo da costruirlo e costruirlo bene insieme (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
Signor Presidente, esprimo parere favorevole sulla risoluzione Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli n. 6-00065 e parere contrario sulle altre risoluzioni in quanto contrastanti con i contenuti del decreto legislativo e delle comunicazioni, ovvero perché sono già assorbite (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

(Posizione della questione di fiducia)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, come ha correttamente preannunziato il Ministro Calderoli, il Governo attribuisce particolare importanza all'attuazione di questo punto del proprio programma di Governo e, pertanto, autorizzato dal Consiglio dei Ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione della risoluzione Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli n. 6-00065 accolta dal Governo.

PRESIDENTE. A seguito della decisione del Governo di porre la questione di fiducia sulla risoluzione Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli n. 6-00065, la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata immediatamente al piano Aula per l'organizzazione del seguito del dibattito. La seduta dell'Assemblea riprenderà subito dopo la conclusione di tale riunione.

Sull'ordine dei lavori (ore 17,29).

LORENZO RIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 67

LORENZO RIA. Signor Presidente, come lei sicuramente ricorderà, a seguito della richiesta venuta da tutte le opposizioni in una riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo nel mese di ottobre, finalizzata ad avviare il confronto sulle proposte di riforma della legge elettorale, proprio in data 12 ottobre lei inviava una lettera al Presidente del Senato Schifani con la quale manifestava l'esigenza di un'intesa tra i due rami del Parlamento, Camera dei deputati e Senato della Repubblica, al fine di procedere ad un riequilibrio dei carichi di lavoro tra le Commissioni affari costituzionali e, di conseguenza, per sollecitare l'avvio dell'esame della riforma elettorale alla Camera, dal momento che proposte di legge erano state presentate sia in Commissione affari costituzionali alla Camera sia nell'analoga Commissione al Senato. Il Presidente Schifani, a seguito di questa sua lettera, le aveva assicurato di aver avuto ampie garanzie dal presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, il senatore Vizzini, sulla possibilità di proseguire nell'esame della legge elettorale ricordando, egli stesso, che, il 2 dicembre dell'anno precedente, del 2009, l'Assemblea di Palazzo Madama aveva approvato una mozione della senatrice Finocchiaro e di altri nella quale si contemplava la materia elettorale tra quelle da includere nel novero delle possibili riforme istituzionali allora all'esame del Senato. Il suo appello, signor Presidente, arrivava nello stesso giorno in cui la Commissione, presieduta appunto dal senatore Vizzini, aveva ripreso la discussione sull'eventuale superamento della legge elettorale vigente salvo, però - e questo è il punto -, interrompere il dibattito appena un mese dopo, esattamente in data 17 novembre, senza più darvi seguito fino ad oggi. Sono passati ormai tre mesi e mezzo e qualcosa in più, nonostante l'ordine del giorno della Commissione affari costituzionali del Senato prevedeva, appunto, in sede referente, il seguito dell'esame congiunto dei disegni di legge in materia elettorale, allo stato dei lavori ancora fermi.
Vista l'insistenza del Senato sulla volontà di proseguire in quella sede il dibattito sul disegno di legge elettorale, questo fatto sembrava soprattutto dimostrare l'unanime esigenza di superare quella attuale e di percorrere quindi al più presto la strada della riforma. Ora, signor Presidente, alla luce di questo, preso atto che al Senato i lavori sono fermi da più di tre mesi, le chiedo di sapere quali iniziative lei intenda prendere e rivolgo un appello vero e proprio perché si proceda alla calendarizzazione nella nostra Commissione affari costituzionali del disegno di legge elettorale dal momento che ogni intesa deve avere a fondamento soprattutto il rispetto degli impegni che si assumono. Vorrei anche ricordare che non c'è alcuna norma del Regolamento che affermi che non si possa procedere nei due rami del Parlamento per discutere della stessa materia. C'è l'intesa ma nel momento in cui l'intesa viene meno, come mi sembra sia venuta meno, penso che una sua iniziativa possa far partire nella nostra Camera l'esame della tanto auspicata legge elettorale per il nostro Paese.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Ria. Come lei ben sa, la Presidenza di un ramo del Parlamento non può in alcun modo interferire sullo svolgimento dei lavori dell'altro ramo del Parlamento. È altresì vero, come lei ricordava, che la precedente intesa deve essere sottoposta ad un'ulteriore verifica circa la sussistenza della medesima, verifica che la Presidenza della Camera compirà.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 17,35, è ripresa alle 17,45.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

PRESIDENTE. Comunico che la Conferenza dei presidenti di gruppo si è testè riunita per definire l'organizzazione del dibattito conseguente alla posizione della questione di fiducia sull'approvazione Pag. 68della risoluzione Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli n. 6-00065 relativa alle comunicazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, secondo periodo, della legge n. 42 del 2009, sullo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale.
Le dichiarazioni di voto sulla fiducia avranno luogo domani, mercoledì 2 marzo, a partire dalle ore 18, con ripresa televisiva diretta degli interventi dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto. Seguirà la votazione per appello nominale sulla questione di fiducia.
Il seguito dell'esame delle mozioni Bratti ed altri n. 1-00510 ed abbinate concernenti iniziative per la bonifica dei siti contaminati di interesse nazionale avrà luogo la prossima settimana, prima degli altri argomenti già previsti in calendario.

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, alla luce delle dichiarazioni che lei ha testè svolto ed al di là del mero discorso organizzativo, intervengo soltanto per stigmatizzare il fatto della quarantatreesima posizione della questione di fiducia: ormai il numero non si conta più, al di là del fatto che abbiamo concordato questo tipo di organizzazione in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo. Tuttavia questa volta la questione di fiducia, come ci ha spiegato il Ministro, è dovuta al fatto che dovrebbe essere rafforzativa rispetto al contenuto. Senza entrare nel merito dico che forse questo non è vero, perché, se così fosse, si sarebbe dovuta porre la questione di fiducia anche al Senato.
Io credo invece e sono molto preoccupato del fatto che vi sia sempre più un tentativo di percorrere una scorciatoia rispetto alle regole e rispetto al lavoro del Parlamento. Credo che questa sia l'ennesima dimostrazione che forse la china non è quella giusta nel rispetto delle istituzioni. Era soltanto una sottolineatura, senza nulla togliere al rapporto di rispetto che ci deve essere in quest'Aula nei confronti della maggioranza, del Governo, ma anche dell'opposizione, che invece vedo continua a venire sempre meno, perché forse questa volta non vi era alcuna motivazione per porre la questione di fiducia, se non quella probabilmente di una paura interna alla maggioranza stessa (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Futuro e Libertà per l'Italia).

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 2 marzo 2011, alle 12:

1. - Informativa urgente del Governo sull'uccisione del tenente Massimo Ranzani e sul ferimento di quattro militari italiani in Afghanistan.

(ore 18)

2. - Seguito delle comunicazioni del Governo ai sensi dell'articolo 2, comma 4, secondo periodo, della legge n. 42 del 2009, in relazione allo schema di decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale.

La seduta termina alle 17,50.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI MARCO CAUSI E ROBERTO ZACCARIA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE COMUNICAZIONI DEL GOVERNO IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE MUNICIPALE

MARCO CAUSI. Signor Presidente, secondo l'analisi dei servizi tecnici del Parlamento, contenuta nella relazione semestrale sull'attività svolta dalla Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, la legge delega n. 42 del Pag. 692009 contiene 20 oggetti. Di questi, solo due sono stati finora attuati (trasferimento del patrimonio e fabbisogni standard di Comuni e Province; Roma Capitale non conta, perché manca ancora il vero decreto, quello su poteri e risorse). I decreti in corso affrontano 7 temi, mentre per altri 11 oggetti di delega siamo in alto mare. C'è quindi da registrare un ritardo nell'attuazione, con una distanza molto grande fra le tante parole e i pochi fatti (i pochi numeri, le scarne e confuse proposte) che il Governo è capace di mettere in campo. Fra gli «oggetti mancanti» spiccano i fondi perequativi, la perequazione infrastrutturale, gli interventi speciali, i livelli essenziali delle prestazioni nei settori che ancora non li hanno, l'armonizzazione dei bilanci, il vero decreto per Roma Capitale, le Città metropolitane.
Si deve poi tenere conto del fatto che ciascun decreto rimanda a «grappoli» di ulteriori decreti correttivi, Dpcm, regolamenti e altri atti attuativi. Nel decreto sul fisco comunale ad esempio, su cui il Governo ci chiede oggi di procedere prendendo come riferimento il parere del relatore La Loggia respinto dalla Commissione bicamerale, si rimanda a tre nuovi ulteriori decreti (per la riforma della Tarsu-Tia, per la riforma dell'addizionale Irpef e per i fondi perequativi) e a due regolamenti (sui contributi di scopo). Ciò dipende dalla complessità della riforma avviata con la legge 42, che non a caso prevede sette anni per l'attuazione (due per i decreti e cinque per la fase provvisoria), ma anche dalla lentezza e dall'inadeguatezza mostrate in questi due anni dal Governo, che ha preferito spostarsi dal terreno di un serio e approfondito lavoro di riforma a quello, più congeniale all'attuale esecutivo, della propaganda, degli slogan e perfino dei fumetti sbandierati nelle conferenze stampa al posto di ben più noiosi grafici e tabelle.
A questi ritardi si è voluto reagire con accelerazioni inconsulte e con forzature, fino allo scivolone di mandare un decreto ancora non perfezionato alla firma del Quirinale per vederselo rispedire al mittente. Per andare avanti nell'attuazione della legge 42 ci vogliono serenità, equilibrio, saggezza. Il contrario della fretta e del nervosismo che in questi giorni contraddistinguono l'azione del Governo, per chiara conseguenza della crisi politica della sua maggioranza. Fermarsi e riflettere, utilizzando in modo appropriato le sedi istituzionali, come la Commissione bicamerale: a questo non c'è alternativa, pena il deragliamento dell'intero processo.
Detto questo, il Partito Democratico ha sempre avuto e continuerà ad avere un atteggiamento costruttivo sull'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, ovvero sulla riforma dei rapporti finanziari fra Stato, Regioni e autonomie locali (per la quale è invalsa la convenzione politica di usare il termine di «federalismo fiscale»). È stato il centrosinistra a fare la riforma del Titolo V (su cui sarebbe necessaria una riflessione serena e una messa a punto, nell'ambito di più generali riforme costituzionali) ed è stato il Partito Democratico, con la sua iniziativa politica e parlamentare (più di cento emendamenti approvati) a spostare il progetto della legge 42 dall'iniziale impostazione di egoismo territoriale all'attuale testo, equilibrato e garantista. Anche se in fase di attuazione può rinascere (ed è rinata) la tentazione di usare la legge 42 in modo inutilmente punitivo nei confronti delle aree deboli del paese, va detto che l'intonazione antimeridionalista delle politiche del Governo Berlusconi è emersa molto più negli atti ordinari di legislazione e di amministrazione che nel percorso della riforma federalistica.
Lo stesso può dirsi per il profilo fortemente anti-autonomistico e centralizzatore delle politiche degli ultimi tre anni, ivi comprese le politiche finanziarie. Qualcosa ha contato e conta la crisi economica e di finanza pubblica: la riforma della finanza locale e regionale è di per sé difficile, attuarla in una fase di crisi come quella in cui siamo entrati dal 2008 rende tutto doppiamente più difficile. E tuttavia, lo sbaglio del centrodestra in questa legislatura continua ad essere di avere puntato tutto sul federalismo fiscale dimenticandosi le altre riforme strutturali, a partire Pag. 70dalla Carta delle autonomie (semplificazione dei livelli di governo, «chi fa cosa» per superare le sovrapposizioni, razionalizzazione degli enti territoriali e delle loro funzioni sulla base del principio di adeguatezza). E comunque, diversamente da quanto la Lega Nord ha finora detto al suo elettorato, la legge 42 non è uno strumento con cui ridistribuire le risorse a vantaggio dei territori più forti.
È invece uno strumento per riscrivere in modo moderno il patto fra Nord, Centro e Sud, per riformare i meccanismi di funzionamento della pubblica amministrazione locale (con il riferimento ai costi standard, e cioè all'efficienza e a una migliore «governance»), per definire in modo trasparente gli obiettivi del welfare garantito dalla Repubblica (con il riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni, agli obiettivi di servizio e al patto di convergenza), per dare più autonomia dentro un quadro di vero coordinamento fra i diversi livelli di governo.
La Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, nel suo lavoro sui testi proposti dal Governo, è stata finora una sede vera di discussione e, laddove possibile, di condivisione. Ne va dato atto al Ministro Calderoli, che ha fatto di tutto per evitare che questa riforma, nella presente legislatura, facesse la fine della «devolution». Tutti i decreti finora passati al vaglio della Commissione, compreso quello sul fisco comunale, sono stati profondamente modificati dal Parlamento. E il Partito Democratico, dopo essersi confrontato nel merito a partire dalle proprie proposte, ha sempre scelto il suo atteggiamento di voto sulla base di una valutazione di merito, e non pregiudiziale.
Ci siamo astenuti sul decreto relativo al trasferimento del patrimonio - dopo aver contribuito a migliorarlo notevolmente, ivi compresa la difesa dei parchi naturali e nuove rigide regole sui processi di alienazione - perché alla fine il perimetro del patrimonio effettivamente trasferito è molto ridotto, a causa dell'assenza dei beni della difesa. Abbiamo votato a favore del decreto su Roma Capitale, anche in questo caso dopo averlo migliorato: chi fra noi non è d'accordo che Roma sia la Capitale della Repubblica, soprattutto in questi giorni di ricordo e di rinnovata memoria degli eventi di centocinquanta anni fa? Abbiamo votato contro il decreto sui fabbisogni standard di comuni e province perché, nonostante le modifiche apportate, è restato sganciato dalla definizione, per noi ineludibile, dei livelli essenziali delle prestazioni nei servizi di welfare costituzionalmente garantiti.
Anche sulla finanza comunale la nostra posizione è di merito, e non pregiudiziale. Il Governo e il relatore La Loggia hanno scritto e riscritto questo decreto per quattro volte, e lo hanno ulteriormente modificato nelle ore finali di lavoro in Commissione bicamerale, nel tentativo non riuscito di convincere al voto favorevole qualcuno in più dei quindici componenti della maggioranza. Questo la dice lunga sulla qualità dei materiali che vengono trasmessi dal Consiglio dei Ministri e sulla confusione che ha caratterizzato i lavori in materia di finanza comunale.
E non ci si venga adesso a dire che le numerose modifiche apportate rappresentano una sorta di «accoglimento» delle richieste dell'opposizione in cambio del quale modificare il nostro giudizio negativo. Solo per fare un esempio, se siamo riusciti a convincere il Governo, il relatore La Loggia e la maggioranza dell'impossibilità di basare il nuovo sistema delle entrate comunali sulle imposte di registro, ipotecarie e catastali sui trasferimenti immobiliari, come era previsto nella prima versione del decreto, poiché tali imposte hanno un'elevatissima variabilità nello spazio e nel tempo, ciò è avvenuto non all'interno di un banale sistema di scambio fra proposte emendative e voti in Commissione, bensì piuttosto tramite un'ampia discussione culturale e scientifica, e non solo politica e istituzionale, per la quale Governo e maggioranza dovrebbero piuttosto ringraziare: molte modifiche apportate nel corso dei mesi riducono almeno i danni potenziali che la riforma contenuta in questo decreto potrà generare.
Uno schema di decreto che è passato attraverso quattro versioni denota confusione Pag. 71da parte del Governo. Ma c'è un motivo ben preciso, oserei dire scientifico, che spiega perché il Governo e la maggioranza di centrodestra sono entrati in stato confusionale quando hanno dovuto affrontare il tema della finanza comunale. Tutto deriva dalla debolezza strutturale dell'impianto del decreto, che a sua volta nasce dalla volontà politica di non conferire alcuna vera autonomia impositiva ai Comuni italiani.
Su cosa si basa infatti, in tutto il mondo, l'autonomia impositiva dei Comuni? Su imposte legate alla proprietà immobiliare e/o all'uso dei servizi urbani, generalmente approssimato dallo spazio utilizzato. Insomma, su imposte simili per tipologia all'Ici, o comunque rapportate ai metri quadri occupati. Ma l'abolizione dell'Ici sulla prima casa è stato il terreno su cui, fin dalla campagna elettorale del 2006, il centrodestra italiano ha compiuto un'operazione di populismo demagogico, ad alta redditività emotiva ed elettorale, rispetto alla quale non può più tornare indietro. Con il risultato che oggi non è in grado di proporre alcun razionale disegno per il nuovo fisco comunale.
L'approdo è la proposta contenuta nello schema del relatore La Loggia: una proposta che non dà vera autonomia impositiva ai Comuni; non costruisce un principio di beneficio fra amministratori e comunità amministrate; aumenta in modo scoordinato e sensibile leve fiscali diverse da quelle relative al patrimonio immobiliare o ad altri indicatori di occupazione dello spazio urbano, colpendo invece i redditi da lavoro e d'impresa; mette i Comuni italiani in una situazione di maggiore dipendenza dai trasferimenti, sotto forma di compartecipazione o di perequazione: un esito paradossale, se pensiamo che dovremmo attuare qualcosa che abbiamo chiamato «federalismo». Una proposta, infine, che non trova consonanza con nessuno dei modelli di finanza comunale esistenti nel resto del mondo.
Negli Stati Uniti, ad esempio, ogni cittadino proprietario della casa in cui abita paga annualmente al proprio municipio un'imposta che, nella media di tutta la federazione, è stata pari a 1.917 dollari nel 2009, con oscillazioni che vanno dal minimo nei comuni della Louisiana (243 dollari) al massimo nelle città del New Jersey (6.579 dollari). In percentuale sul valore mediano degli immobili la «property tax» americana varia fra 1'1,8 per mille e 1'1,89 per cento. Un intervallo di variazione di ben dieci volte, di gran lunga superiore a quello che lo Stato italiano concede sull'Ici. Ecco la vera autonomia impositiva, ecco il vero federalismo: basterebbe guardare, e non a caso, all'esperienza degli Stati Uniti.
Continuando con gli esempi, in Francia le tasse locali destinate a finanziare i servizi indivisibili di prossimità (viabilità, scuole, sicurezza, pulizia, asili nido, assistenza, infrastrutture urbane, eccetera) sono due. Una, la tassa di proprietà («taxe fonciére»), è pagata dal proprietario e l'altra, la tassa sui servizi («taxe d'habitation»), è pagata dal conduttore, e quindi dallo stesso proprietario se abita in una casa che possiede oppure dall'inquilino. La «taxe fonciére», nel 2009, varia fra un minimo di 552 euro all'anno a un massimo di 1.132 euro. La «taxe d'habitation» fra un minimo di 395 euro all'anno a un massimo di 1.164. In media, sugli appartamenti residenziali, la somma delle due tasse è stata, sempre nel 2009, pari a 1.502 euro.
Nel Regno Unito la «Council tax» è basata sulla proprietà residenziale e nel 2008 il suo importo medio è stato di 1.146 sterline, equivalenti al cambio attuale a 1.340 euro. In Germania la tassa locale sulla proprietà si chiama «Grundsteuer» e parte da un'aliquota minima federale dello 0,35 per cento sul valore catastale. L'aliquota media attualmente in vigore nei Comuni tedeschi è 1'1,9 per cento, quasi tre volte l'aliquota massima applicata alla nostra Ici. In Spagna l'«Impuesto sobre bienes immuebles» (Ibi) è molto simile alla nostra Ici: si paga sul valore catastale degli immobili con aliquote oscillanti fra lo 0,5 per mille eri per cento.
Si vede bene da questa veloce rassegna che sia in paesi federali come gli Stati Uniti, la Germania e la Spagna, sia in Pag. 72paesi non federali come la Francia e il Regno Unito, l'imposta patrimoniale immobiliare locale ha un ruolo ben più ampio della nostra ICI, anche considerando la vecchia Ici, quella precedente la completa esenzione della prima casa, avvenuta nell'estate del 2008 con uno dei primi provvedimenti della presente legislatura. In tutti i paesi l'imposta legata agli immobili è, da un lato, la tipica imposta comunale, dall'altro lato, un elemento di equilibrio del «tax design» complessivo. Si tratta di un concetto caro (in teoria) al nostro Ministro dell'economia, il quale ha spesso affermato che bisogna tassare di più le «cose» e di meno le «persone». Difficile però ricordare nella storia politica italiana una distanza così siderale fra le teorie manifestate dallo studioso e i fatti prodotti dal Ministro.
L'ICI sulla prima casa aveva in Italia un valore medio di circa 250 euro. Il Governo Prodi la aveva già abolita per il quaranta per cento delle famiglie italiane, quelle per le quali il valore dell'Ici era inferiore a 300 euro. Il centrodestra, per cavalcare promesse elettorali dal sapore demagogico, l'ha abolita alle restanti famiglie, quelle che abitano in immobili di maggior valore e pregio.
Un'operazione su cui oggi, in occasione della riforma del fisco comunale, è opportuno confermare un giudizio fortemente critico. Essa dimostra che il centrodestra italiano: primo, cerca sempre nei provvedimenti fiscali di avvantaggiare i ceti sociali più abbienti; secondo, ha una forte idiosincrasia a tassare le rendite, e finisce così per tassare sempre di più il lavoro e l'impresa; terzo, non è in grado di proporre assetti razionali per la finanza comunale.
Il decreto sul fisco comunale, nonostante le tante revisioni, sconta allora un vero e proprio peccato originale del centrodestra, che non vuoi far contribuire per nulla alle spese dei Comuni i residenti che posseggono la prima casa di abitazione. Ma se il 75 per cento dei cittadini viene chiamato fuori dal finanziamento dei servizi comunali, qualsiasi base fiscale alternativa diventa insoddisfacente, oltre che potenzialmente instabile. Alla fine, la base fiscale «a regime» per la nuova Ici, denominata Imu, sono le seconde case e gli immobili utilizzati per attività produttive: una base fortemente squilibrata non solo fra centro-nord e sud, ma anche all'interno del centro-nord e del sud (ad esempio, più vantaggiosa per i Comuni grandi e per quelli turistici, meno per i Comuni piccoli e con poco turismo). In questo modo si resta ben lontani dal realizzare il principio del «beneficio», in base al quale la collettività utente dei servizi erogati è chiamata a coprirne i costi, innestando così il circuito autonomia-controllo-responsabilità degli amministratori.
L'aliquota di equilibrio della nuova Imu è calcolata dal Governo nel 7,6 per mille: i Comuni saranno liberi di scegliere l'aliquota effettiva nell'intervallo che va dal 4,6 al 10,6 per mille. Qui c'è una grande ipocrisia: per pareggiare i conti, e cioè per mantenere invariate le risorse oggi disponibili al comparto dei Comuni, pur calcolate dopo i duri tagli inferti dalla manovra del luglio 2010, l'aliquota dovrà attestarsi intorno all'8,5 per mille. Sarà (almeno) questa l'aliquota a carico delle attività produttive, al netto di decisioni locali mirate al reperimento di ulteriori risorse. Non è un caso che le associazioni di categoria abbiano lanciato allarme e preoccupazione per una sorta di «mini-patrimoniale» che colpirà le imprese.
Visto però che una ciambella così storta (altro che l'«albero storto» con cui il Ministro dell'economia ama descrivere la finanza locale) non poteva venire con il buco, per ottenere l'accordo dell'Anci il Governo ha acconsentito allo sblocco delle addizionali comunali all'Irpef e a due «contributi di scopo» facoltativi, sul turismo e per le opere pubbliche. Lo sblocco delle addizionali è immediato per tutti i Comuni che oggi hanno un'addizionale inferiore allo 0,4 per cento, rimandato a un futuro decreto per gli altri. L'Anci ha fatto il suo mestiere, di associazione che difende i Comuni in una situazione molto difficile per i bilanci degli enti, gravati di tagli pari a regime a circa 2,5 miliardi di Pag. 73euro, cui vanno aggiunti i minori trasferimenti da parte delle Regioni, le cui risorse sono ridotte di 5,5 miliardi.
Ma il Partito Democratico non può non denunciare l'irrazionalità e l'iniquità del «disegno fiscale» che alla fine viene fuori. Ci sarà un aumento delle addizionali comunali Irpef e questo aumento si sommerà a quello delle addizionali regionali Irpef, previsto nel decreto di attuazione successivo, quello relativo alla finanza delle Regioni, in una misura che potrà arrivare fino al 3 per cento. Gli aumenti di Comuni e Regioni saranno scoordinati fra loro, con pesanti ricadute a carico dei redditi da lavoro dipendente e da pensione, dai quali proviene l'80 per cento dell'imposta personale sui redditi.
Il Partito Democratico non si è limitato a criticare la proposta del Governo, si è anche assunto l'onere di una vera e propria proposta alternativa. Visto che la legge 42 impedisce di ripristinare un'imposizione patrimoniale sulla prima casa, l'attuazione più razionale della legge delega dovrebbe a nostro avviso prevedere l'introduzione di una tassa sui servizi comunali, pagata da tutti, con appositi meccanismi di quoziente che tengano conto della numerosità del nucleo familiare, comprensiva dell'attuale Tarsu-Tia. Con questo strumento si dovrebbero coprire i costi dei servizi comunali non tariffabili. Al tempo stesso, il Partito Democratico propone l'abolizione dell'addizionale comunale all'Irpef: nel nostro disegno di riforma fiscale federalista l'addizionale Irpef deve restare come strumento di flessibilità fiscale locale solo per le Regioni, mentre i Comuni devono potersi finanziare con una tassa sui servizi, che verrebbe a sostituire sia la Tarsu-Tia che l'addizionale comunale.
Va detto per completezza che anche il Governo aveva, con il lavoro del Ministro Calderoli, elaborato una proposta contenente un'imposta di scopo destinata al finanziamento dei servizi comunali, ma che questa proposta è stata bocciata ai piani più alti del centrodestra per i motivi politici già illustrati. Se il Ministro Calderoli avesse insistito sulla sua prima impostazione, la nostra posizione sarebbe oggi molto diversa. E ciò dovrebbe far riflettere tutti coloro che vogliono sinceramente un assetto più autonomista, o federalista che dir si voglia, della nostra Repubblica: con il Partito Democratico il risultato può essere ottenuto, con l'attuale Presidente del Consiglio e la sua condotta populista, demagogica e personalistica, invece, non si va molto lontano.
Accanto all'Imu e all'addizionale Irpef, i Comuni si finanzieranno con compartecipazioni e perequazione. Le compartecipazioni riguardano le imposte di registro, ipotecarie e catastali sui trasferimenti immobiliari e l'Irpef sui redditi immobiliari, compresa la «cedolare secca». Una nuova compartecipazione era stata, a un certo stadio, fissata nel 2 per cento dell'Irpef, per essere poi, in corsa, sostituita da un analogo ammontare a valere però sull'Iva. Le compartecipazioni saranno «dinamiche», fatti salvi i vincoli di finanza pubblica, e questo è certamente un miglioramento rispetto al testo iniziale del decreto.
Il Partito Democratico non è contrario in via di principio: voglio ricordare che è stato proprio un nostro emendamento al testo della legge 42 a introdurre la facoltà di scegliere, fra le compartecipazioni da dedicare ai Comuni, l'Iva accanto all'Irpef. La base imponibile Iva è infatti meno sperequata fra i territori italiani di quanto sia quella dell'Irpef, e ciò riduce l'esigenza perequativa. Tuttavia, avendo il Governo sottolineato di volere applicare l'Iva effettivamente riscossa al posto dell'Iva calcolata in base ai consumi di contabilità nazionale, ho l'obbligo di denunciare con forza che ancora oggi i dati necessari per valutare l'impatto di questa scelta non sono pubblici. E ciò è tanto più grave, in quanto il Governo intende assumere l'Iva effettivamente riscossa come base di riferimento per la ben più rilevante compartecipazione Iva delle regioni.
In ogni caso è una grandissima ipocrisia affermare, come fa il testo del decreto modificato dal parere La Loggia e da ulteriori cambiamenti apportati dal Governo dopo il voto negativo della Commissione bicamerale, che si può tendere all'obiettivo Pag. 74di una puntuale conoscenza dell'Iva effettivamente riscossa a livello comunale. Vorrei che il Ministro Calderoli incontrasse con me i contabili delle aziende che predispongono le dichiarazioni Iva e hanno già oggi difficoltà a scorporare le vendite per territori regionali (tanto che il Dipartimento delle finanze del Mef non pubblica i dati dell'Iva «territoriale» perché li ritiene poco affidabili sul piano statistico) e spiegasse loro che il Governo vorrebbe lo scorporo per migliaia e migliaia di circoscrizioni amministrative comunali. Non credo proprio che potrebbe più presentarsi a chiunque come Ministro della semplificazione. È chiaro, insomma, che il riferimento al «territorio» ha una valenza puramente nominalistica e ideologica. Ma non è così che si fanno le vere riforme, quelle che hanno gambe robuste per camminare nel tempo.
Un grande difetto del decreto che il Governo chiede al Parlamento di approvare è che in esso non è contenuto un vero fondo perequativo, ma soltanto un fondo sperimentale di riequilibrio che rischia di scatenare gli egoismi territoriali, perché non è di tipo «verticale», cioè finanziato dallo Stato, ma di tipo «orizzontale», finanziato da apporti riconducibili alle basi fiscali di ciascun territorio comunale. Il fondo verrà distribuito con un ruolo importante delle rappresentanze dei Comuni, e anche questo ha portato l'associazione dei Sindaci a esprimere parere favorevole. Tuttavia, non si possono non avanzare forti dubbi su un procedimento che non ha garanzie né paletti, ad esempio per i territori a più bassa capacità fiscale, e che sfocia in un patto «neo-corporativo» di tipo inter-governativo con poche o nulle facoltà di indirizzo e di controllo da parte del Parlamento.
Infine la «cedolare secca», ovvero l'imposta sostitutiva sui redditi da locazione abitativa. È discutibile introdurre questa misura al di fuori di una riforma complessiva dei redditi da capitale (perché non si porta al 20 per cento la tassazione dei redditi finanziari e delle plusvalenze nelle «stock options»?). Messa così, si tratta di un'agevolazione ai redditi da capitale immobiliare, proprio mentre Io stesso decreto aumenta la tassazione a carico dei redditi da lavoro e d'impresa.
Inoltre, non vengono aumentate le detrazioni a vantaggio degli inquilini (maggioranza e Governo hanno bocciato numerosi emendamenti presentati dalle opposizioni) e non vengono salvaguardati i canali dell'affitto a canone concordato. Così non si innesta un vero conflitto d'interessi, il solo in grado di fare emergere un po' di «nero» nel mercato degli affitti. E infatti i servizi tecnici del Parlamento calcolano che le previsioni di emersione sono eccessive e che quindi, poiché l'emersione è portata a copertura della perdita di gettito dovuta alla riduzione dell'aliquota lrpef sui redditi da locazione (circa tre miliardi), tali coperture sembrano sovrastimate nella misura del 18 per cento. Insomma, la norma non è coperta.
L'Anci ha ottenuto che il rischio di disallineamento fra perdite di gettito (certe) ed emersione di nuova base imponibile (incerta), che nella prima versione del decreto restava a carico dei comuni, venga trasferito sulla finanza centrale. Ma per il Parlamento non fa differenza se il rischio di mancata copertura sia a carico dei Comuni o dello Stato. Il rischio c'è, ed è grave che la procedura di approvazione del decreto in esame non abbia potuto fare esprimere compiutamente un parere di merito alla Commissione bilancio della Camera. lo ritengo che questa Aula dovrebbe chiamare la V Commissione a fornire un parere informato, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, almeno sul punto relativo alla «cedolare secca».
Con la consapevolezza che ci sarebbe un modo molto semplice per risolvere il problema: quello di introdurre l'imposta sostitutiva per i soli nuovi contratti di locazione, ovvero per quelli in essere ma ricontrattati. A ben pensarci, se la sostitutiva fosse introdotta con questa modalità, gli inquilini potrebbero far valere in fase di ricontrattazione una capacità contrattuale tesa all'obiettivo di condividere con i proprietari i benefici del nuovo Pag. 75regime fiscale. Questo permetterebbe di innestare una dinamica di mercato, di evitare allo Stato ulteriori spese attraverso aumenti delle detrazioni, di evitare editti bulgari come quello inserito nel decreto per bloccare gli adeguamenti all'inflazione, di far diffondere la sostitutiva gradualmente, stemperando negli anni le perdite di gettito. Alla domanda sul perché il Governo e la maggioranza non abbiano voluto seguire questa strada, più volte indicata dalle opposizioni, credo che purtroppo la risposta sia una sola: si vuole fare un regalo, magari dal sapore pre-elettorale, a ben precise categorie sociali i cui redditi sono collegati prevalentemente alla rendita più che al lavoro e all'impresa.
A questo punto però è chiaro a tutti che la proposta del Partito Democratico è davvero alternativa a quella del Governo: noi diciamo di abolire le addizionali comunali lrpef, lasciando l'addizionale come strumento di autonomia fiscale alle sole Regioni, il Governo invece sblocca tutte le addizionali, comunali e regionali, e percuote con una mini-patrimoniale le attività produttive. Noi proponiamo di definire dei veri fondi perequativi di carattere verticale, il Governo invece si limita a varare un fondo provvisorio con marcato carattere orizzontale. Noi proponiamo una vera autonomia impositiva per i Comuni, non basata su un'imposta patrimoniale, preclusa dalla legge 42, ma su uno strumento ispirato al principio del beneficio. Il Governo invece fa un ulteriore regalo alla rendita e spera che nessuno si accorga che si stanno aumentando le imposte sul lavoro e sulle imprese.
Mi dispiace dovervi smentire: perché i cittadini e le imprese del nostro paese se ne stanno accorgendo. Si stanno svegliando. Cominciano a capire quali enormi guasti può produrre un Governo il cui principale obiettivo sia di fornire una copertura ai numerosi, ricorrenti e sempre più diversificati guai giudiziari del suo Presidente del Consiglio. Si rendono conto che riforme strutturali così importanti, come quella della finanza comunale, non si fanno con patti politici scellerati come quello che vi sta portando, oggi, a valutare di chiedere l'ennesimo voto di fiducia ad una Camera in cui manca una vera maggioranza politica. Così si fanno solo pasticci, interventi sgangherati, dal carattere provvisorio, destinati ad essere modificati fra non troppo tempo, non appena diverrà chiaro che sono insostenibili per i governi comunali, per la finanza pubblica nel suo complesso e per le stesse prospettive di crescita del paese.

ROBERTO ZACCARIA. Il testo del decreto legislativo è molto distante nei suoi contenuti dai principi di autonomia e responsabilità delle comunità locali che sono contenuti nella delega della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. Penso in particolare ai principi di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a) («autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo») e lettera e) («attribuzione di risorse autonome ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, in relazione alle rispettive competenze, secondo il principio di territorialità e nel rispetto del principio di solidarietà e dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione; le risorse derivanti dai tributi e dalle entrate propri di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo consentono di finanziare integralmente il normale esercizio delle funzioni pubbliche attribuite»).
I miei colleghi (Causi ed altri) spiegheranno bene e in dettaglio, esaminando i singoli tributi ed analizzando i dati quantitativi; perché non si possa parlare di autonomia tributaria mentre prevalgano abbondantemente le quote di tributi erariali e la finanza derivata. È però già possibile sulla base di un primo esame fare questa affermazione di principio.
Il testo interviene solo su parte della delega relativa alla fiscalità dei comuni, restando ancora da attuare alcuni principi e criteri direttivi, quali quelli in tema di forme premiali di cui all'articolo 12, comma 1, lettera f) («previsione di forme Pag. 76premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni, anche attraverso l'incremento dell'autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali»).
Ancora, l'istituzione di un fondo sperimentale di riequilibrio, previsto dall'articolo 2 comma 3, dello schema di decreto legislativo, in realtà non è prevista dall'articolo 13 della legge delega. Più in particolare il fondo sperimentale di riequilibrio è limitato alla perequazione immobiliare e le modalità di funzionamento del fondo sono rinviate a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri («Ai comuni è attribuita una compartecipazione al gettito dell'imposta sul valore aggiunto; con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare d'intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è fissata la percentuale della predetta compartecipazione e sono stabilite le modalità di attuazione del presente periodo, con particolare riferimento all'attribuzione ai singoli comuni del relativo gettito, assumendo a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al prelievo»).
La delega esclude poi interventi sulla disciplina di tributi erariali vigenti con lo strumento del decreto legislativo, se non nei termini di cui alla lettera a) dell'articolo 12 della stessa legge; perciò andrebbero valutate alla luce dell'articolo 76 disposizioni come quella contenuta nell'articolo 14, comma 7 in materia di rifiuti solidi urbani («sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale»).
Lo sblocco dell'addizionale comunale sull'Irpef, infine, non è previsto in delega.
Il provvedimento non reca disposizioni che prevedono la verifica di congruità in sede di Conferenza unificata, stabilita invece dall'articolo 21, lettera b) della citata legge n. 42 del 2009 («garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate di comuni e province in base alla presente legge sia, per il complesso dei comuni ed il complesso delle province, corrispondente al valore dei trasferimenti di cui all'articolo 11, comma 1, lettera e), e che si effettui una verifica di congruità in sede di Conferenza unificata») a garanzia della corrispondenza tra nuove entrate degli enti locali e trasferimenti finora ad essi diretti.
La cosiddetta cedolare secca di cui all'articolo 3 («A decorrere dall'anno 2011 il canone di locazione relativo ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all'abitazione, può essere assoggettato, in base alla decisione del locatore, ad un'imposta, operata nella forma della cedolare secca, sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali, nonché delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione. Sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti la cedolare secca si applica in ragione di un'aliquota del 21 per cento. Per i contratti stipulati secondo le disposizioni di cui agli articoli 2, comma 3, e 8 della legge 9 dicembre 1988, n. 431, relativi ad abitazioni ubicate nei comuni di cui all'articolo 1, comma 1, lettere a) e b) del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551 e negli altri comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica, l'aliquota della cedolare secca calcolata sul canone pattuito dalle parti è ridotta al 19 per cento»), strutturata solo su due aliquote andrebbe valutata, tanto più che si tratta di regime opzionabile da parte del cittadino, alla luce dei principi di progressività e di concorso alle spese pubbliche in base alla capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione.
Al medesimo articolo 3, comma 4, appare opportuno poi verificare se il secondo periodo, secondo il quale »non si fa luogo al rimborso delle imposte già pagate« possa eventualmente ricadere nell'ambito della consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, che ritiene violato il principio di eguaglianza da norme che, da un lato, qualifichino un pagamento come Pag. 77non dovuto e, dall'altro, ne escludano la ripetibilità (sentenze nn. 421 del 1995, 416 del 2000 e 320 del 2005, n. 292 del 1997 e n. 330 del 2007).
All'articolo 11, comma 2, lettera f) bisogna infine valutare la facoltà ivi prevista per i Comuni, senza alcun limite, di disporre, con proprio regolamento, esenzioni ed agevolazioni dell'imposta municipale secondaria, alla luce dell'articolo 12, comma 1, lettera h), della legge di delega che, in conformità al principio di riserva di legge di cui all'articolo 23 della Costituzione, pone il principio che «che gli enti locali, entro i limiti fissati dalle leggi, possano disporre del potere di modificare le aliquote dei tributi loro attribuiti da tali leggi e di introdurre agevolazioni». Si tratta di un regolamento comunale in deroga alla legge in materia riservata.
Regolamenti di delegificazione irrispettosi dell'articolo 17, 2 comma, legge n. 400 del 1988.
Lo schema prevede due regolamenti di delegificazione che andrebbero ad agire in una materia che, tra le altre cose, era esclusa dal legislatore delegante, ma soprattutto coperta da riserva di legge.
L'articolo 5 comma 1 sulla cessazione (anche graduale e parziale) dell'addizionale IRPEF («Con regolamento da adottare, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e d'intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, è disciplinata la graduale cessazione, anche parziale, della sospensione del potere dei comuni di istituire l'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche, ovvero di aumentare la stessa nel caso in cui sia stata istituita. Nel caso di mancata emanazione del decreto previsto nel primo periodo del presente comma nel termine ivi indicato, in ogni caso possono esercitare la predetta facoltà i comuni che non hanno istituito la predetta addizionale ovvero che l'hanno istituita in ragione di un'aliquota inferiore allo 0,4 per cento; per i comuni di cui al presente periodo il limite massimo dell'addizionale per i primi due anni è pari allo 0,4 per cento e, comunque, l'addizionale non può essere istituita o aumentata in misura superiore allo 0,2 per cento annuo. Le deliberazioni adottate, per l'anno 2011, ai sensi del presente comma non hanno efficacia ai fini della determinazione dell'acconto previsto dall'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360»).
L'articolo 6, comma 1, sulla disciplina della revisione imposta di scopo di cui all'articolo 1, comma 145, della Finanziaria 2007 («Con regolamento da adottare dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della citata legge n. 400 del 1988, d'intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali entro il 31 ottobre 2011, è disciplinata la revisione dell'imposta di scopo di cui all'articolo 1, comma 145, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in modo tale da prevedere: l'individuazione di opere pubbliche ulteriori rispetto a quelle indicate nell'articolo 1, comma 149, della citata legge n. 296 del 2006; l'aumento, sino a dieci anni, della durata massima di applicazione dell'imposta stabilita dall'articolo 1, comma 147, della citata legge n. 296 del 2006; la possibilità che il gettito dell'imposta finanzi l'intero ammontare della spesa dell'opera pubblica da realizzare»). Qui la disposizione di autorizzazione è più dettagliata ma comunque sempre inadeguata rispetto all'articolo 17, comma 2, legge n. 400 del 1988 rispetto a quella (generica) contenuta all'articolo 5 comma 1).
La delegificazione autorizzata con decreto legislativo sembra porre due ordini di problemi.
Innanzitutto la violazione dell'articolo 17, comma 2, legge n. 400 del 1988 che dispone che «con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della Pag. 78potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari».
È chiaro che devono essere le leggi (formali) della Repubblica ad autorizzare l'esercizio della potestà regolamentare del Governo. Altrimenti (come nel caso del decreto-legge milleproroghe che autorizzava alla delegificazione) si avrebbe una auto-attribuzione da parte del Governo di potestà regolamentare in materie prima disciplinate con legge.
Peraltro gli articoli 5, comma 1, e 6, comma 1, dell'atto n. 292-bis neppure determinano le norme generali regolatrici della materia né dispongono l'abrogazione delle norme vigenti.
Un secondo ordine di problemi è dato dallo spostamento della decisione politico/istituzionale ulteriormente verso il basso.
Già di per sé la delegificazione sembra avere assunto la funzione, come sottolineato dalla prof. Cartabia in un seminario all'Università di Firenze il 18 febbraio 2011, di consentire una vera e propria «signoria procedurale» in capo al Governo che «si ritiene legittimato (o fors'anche "chiamato") a modificare il quadro procedurale secondo le proprie esigenze del momento, al fine di raggiungere il proprio scopo» (la delegificazione sembrerebbe in definitiva avere assunto la finalità di «posporre in avanti il momento della decisione finale, prefigurando solo parte dei suoi contenuti e accantonando nell'immediato i nodi più complessi»).
Ove poi, come in questo caso, la delegificazione sia disposta attraverso un decreto legislativo, cioè un atto all'adozione del quale già il Governo è stato delegato attraverso una legge delega, è evidente come tali profili risultino accentuati, risultando ancora di più nella disponibilità del Governo la gestione del procedimento e risultando ancor più posticipata l'assunzione della decisione finale.
Non mancano infine nel decreto legislativo norme incongrue. L'articolo 1 prevede che «i decreti legislativi che disciplinano i tributi dalle regioni, emanati ai sensi degli articoli 2 e 7 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, si coordinano con le disposizioni del presente decreto». Tale articolo non era inserito nel testo presentato alle Camere ed è molto singolare perché prevede un obbligo in capo al legislatore delegato che dovrebbe riguardare un altro testo in realtà già presentato alle Camere (atto n. 317). Non è chiara poi l'intenzione reale. Se si vuole introdurre una sorta di immodificabilità, non è questo lo strumento più adatto perché comunque avrebbe solo valore monitorio.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 60 ED ABBINATE

Pdl n. 60 e abb. - Disciplina attività professionale di costruttore edile

Tempo complessivo: 13 ore e 30 minuti, di cui:

  • discussione generale: 6 ore;
  • seguito dell'esame: 7 ore e 30 minuti.
  Discussione generale Seguito esame
Relatore 15 minuti 20 minuti
Governo 15 minuti 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici 45 minuti
Interventi a titolo personale 57 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 1 ora e 7 minuti (con il limite massimo di 9 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 23 minuti 4 ore e 48 minuti
Popolo della Libertà 39 minuti 1 ora e 11 minuti
Partito Democratico 38 minuti 1 ora e 5 minuti
Lega Nord Padania 32 minuti 32 minuti
Unione di Centro 31 minuti 27 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 31 minuti 26 minuti
Iniziativa Responsabile 31 minuti 25 minuti
Italia dei Valori 31 minuti 24 minuti
Misto: 30 minuti 18 minuti
Alleanza per l'Italia 10 minuti 7 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 8 minuti 5 minuti
Liberal Democratici - MAIE 6 minuti 3 minuti
Minoranze linguistiche 6 minuti 3 minuti