XVI LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 470 di martedì 3 maggio 2011
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE
La seduta comincia alle 11.
GIUSEPPE FALLICA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 28 aprile 2011.
Sul processo verbale (ore 11,05).
GIOVANNI CUPERLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CUPERLO. Signor Presidente, vorrei solo specificare che, nonostante nella seduta di giovedì scorso io abbia partecipato ai lavori sul Documento di economia e finanza ed espresso regolarmente il mio voto, nel tabulato elettronico questo non risulta. Volevo sottolineare questo errore tecnico e chiedere, se possibile, anche una verifica del funzionamento della mia postazione per evitare che si ripeta eventualmente in futuro.
PRESIDENTE. Prendiamo atto della precisazione, gli uffici tecnici provvederanno a controllare.
Se non vi sono ulteriori osservazioni il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Antonione, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bongiorno, Bossi, Brambilla, Bratti, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Casini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, La Russa, Lo Monte, Lombardo, Lucà, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Mura, Leoluca Orlando, Palumbo, Pecorella, Pescante, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Romano, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Vito e Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Modifica nella composizione del Comitato direttivo di un gruppo parlamentare (ore 11,07).
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 27 aprile 2011, il presidente del gruppo parlamentare «Futuro e Libertà per il Terzo Polo» ha reso noto che il deputato Carmelo Briguglio è stato nominato vicepresidente vicario del gruppo. Pag. 2
Congratulazioni all'onorevole Briguglio per l'importante incarico.
Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 11,08).
ALESSANDRA SIRAGUSA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALESSANDRA SIRAGUSA. Signor Presidente, torno a sollecitare una risposta ad una interrogazione a mia firma presentata già da un anno su Gesip, società interamente partecipata dal comune di Palermo e oggi posta in liquidazione. Si tratta di duemila persone a cui il 30 aprile è scaduto il contratto di servizio che legava il comune alla società. Tale contratto è stato rinnovato soltanto per 35 giorni e soltanto ieri notte, probabilmente per consentire al Presidente Berlusconi di venire a Palermo senza pericoli di contestazione.
Come ho già fatto la settimana scorsa torno, quindi, a chiedere risposta alla interrogazione presentata più di un anno fa (si tratta quindi di una situazione che era largamente prevedibile) e l'intervento del Governo che possa consentire la prosecuzione dei lavori dell'azienda. È necessario, però, un intervento che preveda anche il risanamento e, quindi, la tutela dei livelli occupazionali e salariali dei lavoratori; un intervento che, nel sostenere finanziariamente la società, ne sottragga l'amministrazione ad un sindaco, ad un'amministrazione che ne hanno fatto scempio.
È sempre più urgente, signor Presidente, pertanto la prego di sottoporre la questione al Governo.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Siragusa.
Sull'ordine dei lavori (ore 11,09).
ERMETE REALACCI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ERMETE REALACCI. Signor Presidente, torno ad intervenire per sottolineare una vicenda che diventa ogni giorno più grave e sconcertante.
Come il signor Presidente saprà e sapranno anche i colleghi, da tempo c'è un'enorme incertezza nell'ambito delle aziende che operano sulle fonti rinnovabili, e in particolar modo sul solare, perché il provvedimento che il Governo ha emanato in data 3 marzo non corrispondeva per niente al testo che è stato inviato al Parlamento e alle indicazioni unanimi che erano provenute dalla Camera e dal Senato.
Quindi a mio avviso c'è anche una lesione grave delle prerogative del Parlamento. Quel provvedimento ha gettato incertezza in tutto il settore. Il Ministro Romani si era impegnato ad emanare un provvedimento entro il 20 di marzo. C'è stata poi una mozione parlamentare, unanime, approvata dalla Camera dei deputati che invitava, entro l'inizio di aprile, a varare un nuovo provvedimento che ponesse rimedio ai danni che erano stati prodotti ad un settore di grande importanza per il nostro Paese.
Oggi sono scaduti i termini. I termini per l'emanazione del provvedimento erano entro aprile (si tratterebbe di un decreto interministeriale per la promozione delle fonti rinnovabili), e abbiamo appreso dalla stampa, dagli organi di informazione, che c'è stato uno scambio di complimenti tra il Ministro Romani e il Ministro Prestigiacomo (complimenti non proprio eleganti da parte del Ministro Romani). Il problema che a noi sta a cuore è quello di questo settore. Per quanto ci risulta il provvedimento che è in itinere non corrisponde per nulla o in piccola parte alle indicazioni unanimi del Parlamento, e ha avuto un parere contrario da parte della Conferenza Stato - regioni.
Sottolineo che questo è un settore di grande importanza: per la politica energetica del Paese, considerato innanzitutto che saremo chiamati a discutere anche della vicenda nucleare nelle prossime settimane; per l'economia del Paese, visto che senza questo settore l'economia del nostro Paese nel 2010 avrebbe avuto un andamento Pag. 3negativo; per l'occupazione, atteso che in tale settore sono direttamente o indirettamente coinvolte 85 mila imprese. Ricordo, a tal proposito, che domani si apre a Verona la Solarexpo, che è la terza fiera mondiale in questo campo (nel mondo la prima è quella di Monaco, la seconda è quella di Shanghai, la terza è quella di Verona con oltre 1.400 aziende che sono presenti in quella sede). È un pezzo importante, pulsante, innovativo (che occupa giovani) dell'economia del nostro Paese, e lasciarlo in queste condizioni è gravissimo.
È altrettanto grave che i pareri unanimi del Parlamento, delle Commissioni e le indicazioni contenute nelle mozioni vengano sistematicamente ignorati dal Governo. Invito la Presidenza a ricordare al Governo i suoi doveri, e soprattutto a far rispettare anche le prerogative del Parlamento, che altrimenti non può rispondere alle domande che vengono dal Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Onorevole Realacci, la Presidenza provvederà a far rispettare le prerogative del Parlamento.
GIULIANO CAZZOLA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, l'argomento che voglio sottoporre alla sua attenzione e a quella dei colleghi sarà oggetto anche di un atto di sindacato ispettivo, in particolare di una interrogazione che presenterò al Ministro della giustizia. Lei sa Presidente - come sanno i colleghi - che nel caso dei metalmeccanici è in corso un contenzioso giudiziario sull'applicazione dei contratti, a seguito delle vicende che hanno contraddistinto questa categoria, per cui il contratto del 2008 è stato sottoscritto dalle principali organizzazioni sindacali di categoria (compresa anche la FIOM-CGIL), mentre quello del 2009 è stato sottoscritto dalle altre federazioni di categoria con esclusione della FIOM-CGIL.
Quindi si tratta di valutare qual è il contratto applicabile nella categoria. Ci sono state alcune sentenze, a Torino e a Modena, che hanno dato ragione alle istanze della FIOM. Soprattutto a Modena, la sentenza di primo grado riguarda sei imprese, di cui alcune della FIAT da mesi al centro di polemiche, come è noto a noi tutti. Adesso non voglio giudicare queste sentenze perché le sentenze possono benissimo essere riformate, e anche se ritengo che siano molto discutibili nei contenuti, nei dispositivi, non credo si debba discutere di sentenze in questa Aula. Tuttavia, voglio sottolineare, richiamandomi ad un articolo del 29 aprile di Enrico Marro sul Corriere della Sera, giornale autorevole e indipendente, una circostanza che secondo me dovrebbe far discutere e sarà l'oggetto anche della mia azione di sindacato ispettivo. Si denuncia, senza smentita, che il giudice del lavoro di Modena, Carla Ponterio, che ha condannato queste sette aziende, avrebbe scritto e sottoscritto, su una rivista giuridica, un articolo insieme ad un avvocato di parte (segnatamente un avvocato della FIOM) dove, in buona sostanza, si prendeva posizione su quelle materie, su quelle regole, su quelle vicende che poi avrebbero costituito oggetto della sentenza del giudice.
Per cui, mi domando se un giudice, che prende una posizione pubblica con un articolo in una materia che dovrà giudicare e che, poi, ha giudicato, si possa ritenere un giudice terzo.
Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali (A.C. 4219) (ore 11,15).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali.
Ricordo che, nella seduta di mercoledì 27 aprile 2011, si è conclusa la discussione Pag. 4sulle linee generali e il relatore ed il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.
(Esame dell'articolo unico - A.C. 4219)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 4219).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge (Vedi l'allegato A - A.C. 4219).
Avverto altresì che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - A.C. 4219), che è distribuito in fotocopia.
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibile, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, l'emendamento Borghesi 1.1, già dichiarato inammissibile in sede referente, volto a sostituire l'articolo 1 con quattro nuovi articoli che delineano un'articolata disciplina relativa agli investimenti esteri in Italia, modificando, pertanto, totalmente l'ambito di intervento del decreto-legge.
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.
MARCO CAUSI. Signor Presidente, è mio compito, in questo intervento, motivare e cercare di convincere, con queste motivazioni, il relatore, il Governo e la maggioranza sugli emendamenti Fluvi 1.2 e 1.4, firmati, poi, da tutti i componenti della Commissione finanze del Partito Democratico. Qual è la motivazione di questi emendamenti e, soprattutto, di quello più importante cioè dell'emendamento Fluvi 1.2? Guardiamo al merito di questo decreto-legge: esso permette alle società quotate in Borsa di rimandare la convocazione dell'assemblea dei soci per l'approvazione del bilancio di esercizio fino a 180 giorni - e, quindi, in sostanza fino al 30 giugno - dalla fine dell'esercizio, che è previsto per il 31 dicembre. L'attuale normativa stabilisce questo termine in 120 giorni i quali, però, come vedremo, sono poi derogabili sulla base delle previsioni statutarie ovvero di motivi di necessità. Il Governo, per giustificare questo decreto-legge, questo intervento di urgenza, adduce delle motivazioni che sono, a nostro modo di vedere, contraddittorie. Il Governo, infatti, fa riferimento - come afferma il Governo stesso - al decreto legislativo del 27 gennaio 2010, n. 27, con cui sono state recepite le direttive comunitarie e sono state innovate una serie di normative e di discipline relative all'intervento in assemblea dei soci e all'esercizio del diritto di voto dei soci nelle società quotate in Borsa.
Se qualcuno di voi ha letto, nelle settimane passate, delle vicende relative all'assemblea dei soci di Telecom Italia, una delle più grandi società italiane quotate in Borsa, sa un po' di cosa parliamo perché, in quell'assemblea dei soci, per la prima volta, sono stati, in seguito a queste innovazioni, determinati nuovi tipi di equilibrio nell'esercizio del diritto di voto. Il Governo parla, quindi, della necessità di portare da 120 a 180 giorni la scadenza dell'approvazione del bilancio nelle società quotate in Borsa perché, in sede di prima applicazione delle nuove normative che abbiamo recepito dall'Europa, è necessario dare il tempo alle suddette società per adeguarsi alle nuove normative citate. Vorrei, però, dirvi, colleghi, che, forse, è bene uscire da questa ipocrisia perché vi è un'ipocrisia in questa motivazione. Infatti, il decreto legislativo di cui parliamo è del gennaio del 2010 e, quindi, è ormai di 15 mesi fa; inoltre, le nuove normative le hanno imparate tutti, come dimostra lo svolgimento di tantissime assemblee, compresa quella, appunto, molto complicata, proprio in base alla nuova norma, di Telecom Italia.
Quindi questa motivazione non sta in piedi, questa motivazione getta un velo di ipocrisia sull'intera operazione connessa a questo decreto-legge. Leggiamo infatti l'articolo 2364, secondo comma del codice civile. Quest'ultimo recita: «L'assemblea ordinaria deve essere convocata almeno una volta l'anno, entro il termine stabilito dallo statuto e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell'esercizio Pag. 5sociale». Quindi, dopo il 31 dicembre, le assemblee vanno tenute entro il 30 aprile. «Lo statuto può prevedere un maggior termine, comunque non superiore a centottanta giorni, nel caso di società tenuta alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedono particolari esigenze relative alla struttura e all'oggetto della società; in questi casi gli amministratori segnalano nella relazione prevista dall'articolo 2428 le ragioni della dilazione».
È chiaro quindi da questa lettura che nell'attuale normativa è già possibile per una società quotata in Borsa dilazionare il termine dell'assemblea dei soci fino a centottanta giorni. Basta che vi sia un'adeguata motivazione da parte degli amministratori. Quindi la facoltà di estendere i tempi per la convocazione dell'assemblea in realtà già esiste ed già è prevista dal codice. Il Governo ritiene, in sede di prima applicazione di un decreto dello scorso anno di concedere per questo anno, la facoltà fino a centottanta giorni per tutti.
Sappiamo poi che dietro il velo di ipocrisia si nasconde una questione relativa al tentativo un po' goffo e mal riuscito del Governo di incidere sulle sorti industriali del gruppo Parmalat e che, quindi, la vera motivazione di questo decreto-legge è legata al fatto che il consiglio di amministrazione di Parmalat aveva già indetto l'assemblea dei soci e grazie a questo decreto ha potuto rimandarla in attesa di una eventuale soluzione industriale predisposta dal Governo e dalle banche cosiddette di sistema. Tale soluzione poi, come sappiamo, non si è realizzata. Restiamo alla motivazione che teoricamente il Governo ci chiede di discutere in quest'Aula.
Vorrei dirvi che in realtà sarebbe possibile un'altra motivazione per lo slittamento a centottanta giorni dei termini per le convocazioni dell'assemblea dei soci delle società quotate: una motivazione che però lo schema proposto dal Governo non richiama, che è legata ai potenziali effetti nocivi dell'assembramento e dell'ingolfamento nei giorni finali del mese di aprile di tutte le assemblee delle società quotate. Questa sì potrebbe essere una motivazione: tutte le società quotate assembrano le loro assemblee negli ultimi dieci giorni di aprile; questo può comportare, e in effetti comporta, qualche difficoltà a garantire l'uguale opportunità di partecipazione a tutti i soci e soprattutto ai piccoli azionisti. Questa sarebbe sì una buona motivazione per allungare i tempi cioè per dire: va bene, le assemblee diluitele in un periodo che va da fine aprile a fine giugno, datevi termine fino al 30 giugno in modo che in questo periodo più lungo non ci sia un ingolfamento e ci sia quindi un'uguale opportunità per tutti i soci e soprattutto per i piccoli azionisti per esercitare i loro diritti di azionisti e di partecipazione.
Questa motivazione tuttavia porterebbe per semplice ragionamento logico a rendere il termine dei centottanta giorni permanente e cioè a iscriverlo in modo permanente, modificando il secondo comma dell'articolo 2364 che vi ho appena letto. Ed è questo esattamente l'intendimento dell'emendamento Fluvi 1.2. È proprio questo che il PD propone e voglio ricordare che il Partito Democratico propose esattamente la stessa cosa in Commissione finanze quando nel dicembre del 2009 la Commissione discusse del testo di quello schema di decreto che poi sarebbe diventato il famoso decreto legislativo n. 27 del 2010. Oggi proponiamo lo stesso ragionamento, vale a dire che i 180 giorni diventino un elemento permanente con conseguente modifica dell'articolo 2364, secondo comma, del codice civile. Ci domandiamo infatti e vi domandiamo, al relatore, alla maggioranza e al Governo, perché, per quale motivo lasciare nell'incertezza questo termine.
Perché affidarlo alla discrezionalità, anno dopo anno, dell'iniziativa legislativa del Governo? Eppure è proprio questo che ci ha detto in Commissione finanze il Ministro dell'economia: il Ministro Tremonti ha sostenuto in audizione, il 20 aprile, che questo termine, centoventi o centottanta giorni, va considerato anno per anno, utilizzando eventualmente quello che il Ministro Tremonti ha chiamato «il software del milleproroghe». Lasciamoci Pag. 6aperta la possibilità - ci dice in sostanza il Governo - anno dopo anno, tramite il «milleproroghe», di decidere se prolungare per le società quotate il termine per l'approvazione dei bilanci fino a fine giugno o se mantenerlo a fine aprile. Ma a noi questa sembra francamente una posizione senza senso, nel vero significato della parola «insensata», posto che il nostro sistema Paese è già così ricco di incertezze giuridiche - che allontanano gli investitori, certamente quelli esteri, ma disincentivano anche tanto gli investitori italiani, tanto è vero che il numero di società quotate è in declino nel corso del tempo in Italia - che non pensiamo che vi sia bisogno di aggiungerne di ulteriori, cioè che le società quotate debbano aspettare ogni anno il decreto «milleproroghe» per sapere se devono convocare le loro assemblee dei soci per l'approvazione del bilancio entro il 30 aprile o entro il 30 giugno.
Meglio allora, secondo noi, intervenire direttamente in via definitiva non tramite il software del «milleproroghe», ma tramite l'hardware del codice civile, modificando l'articolo 2364, secondo comma, in via permanente e stabilendo permanentemente questo termine a centottanta giorni. Insieme a questo emendamento, che è l'emendamento Fluvi 1.2, ve ne proponiamo un altro, l'emendamento Fluvi 1.4, che è il complemento all'emendamento Fluvi 1.2, cioè prevede una salvaguardia degli amministratori che decidono il prolungamento del termine da azioni di responsabilità. Naturalmente il prolungamento del termine va motivato, ma con il nostro emendamento Fluvi 1.4 si inserisce una ragionevole salvaguardia a garanzia degli amministratori da eventuali azioni di responsabilità.
A noi sembra questa una posizione molto trasparente, molto serena, molto comprensibile e il fatto che il Governo, la maggioranza ed il relatore continuino a fare «orecchie da mercante» rispetto alla molto ragionevole proposta dell'emendamento Fluvi 1.2 ci fa pensare che in realtà la verità dietro al decreto-legge in esame sia tutta un'altra: è qui l'ipocrisia del decreto-legge in esame. Il Ministro Tremonti l'ha nascosta durante l'audizione del 20 aprile, sostenendo la tesi che il prolungamento del termine per la convocazione dell'assemblea dei soci delle quotate italiane sarebbe una questione meramente tecnica, da valutare anno per anno, e che non avrebbe invece valenze generali.
Devo dire che intellettualmente più onesto si è dimostrato - e gliene voglio dare atto - il relatore Fugatti, che sia in Commissione sia qui in Aula ha apertamente detto che, al di là del contenuto specifico del decreto-legge, non v'è dubbio che il provvedimento debba essere inquadrato nell'ambito della vicenda che sta interessando gli assetti proprietari del gruppo Parmalat. Diamo atto quindi al relatore Fugatti di trasparenza e di onestà intellettuale, resta fermo però che siamo di fronte ad una grande ipocrisia.
Il decreto-legge in esame ha che fare con Parmalat, che aveva già convocato l'assemblea dei soci quando è arrivata la notizia della nuova posizione assunta da Lactalis nel suo azionariato. Quindi il decreto-legge in esame non ha a che fare con la difficoltà presunta delle quotate italiane di applicare le nuove regole del decreto legislativo n. 27 del 2010, bensì con il caso specifico di un'azienda per la quale il Governo intende - direi ormai intendeva - rendere in ogni modo possibile una struttura proprietaria diversa da quella che i movimenti di mercato stavano prefigurando e che ancor più ormai si è concretizzata in seguito all'OPA totalitaria avviata da Lactalis nei giorni passati.
Insomma, facendo perno sulla presunta emergenza di Parmalat, il Governo con il decreto-legge in esame e con il parallelo articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, cosiddetto omnibus, che autorizza la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società a rilevante interesse nazionale, sta proponendo un apparato normativo per aprire un nuovo ciclo di quelle che un tempo si chiamavano le partecipazioni statali.
Questo nuovo ciclo sembra avere come presupposto - sembra, perché non vi è nessun documento, nessun atto che affronti in modo approfondito e strategico la Pag. 7questione, che pure è delicata e importante - e come obiettivo la semplice difesa della italianità delle aziende; si cita il caso di Parmalat ma anche il caso di Edison.
Sciolta così l'ipocrisia del decreto-legge che abbiamo in discussione, ci rendiamo facilmente conto che il Governo sta chiedendo al Parlamento di ratificare nuove linee di intervento pubblico in economia, senza che su di esse sia chiara una strategia, né di breve, né di medio-lungo periodo. Ciò perché il Governo una strategia non ce l'ha, e lo si è visto nel caso di Parmalat, perché se il Governo avesse avuto una strategia e l'avesse voluta mettere in campo, avrebbe potuto aiutare il management di Parmalat molto più per tempo, senza aspettare la fine di aprile e dovendo poi correre ai ripari con questo decreto-legge per prorogare i termini dell'assemblea dei soci.
Oggi si dice che, grazie a questo decreto-legge e grazie alla sospensione dell'assemblea, Lactalis è stata «costretta» a un'OPA totalitaria e che, quindi, in qualche modo, ha aumentato il prezzo per l'acquisizione da parte di Lactalis e valorizzato le quote azionarie di Parmalat. Questo sarebbe quindi un effetto indirettamente positivo proprio di questo decreto-legge e dell'azione del Governo. Ma mi domando e domando al Governo, al Ministro Tremonti e al sottosegretario Casero, che mi ascolta, perché il Governo non è intervenuto per tempo, e cioè ben prima della fine di aprile, per aiutare il management di Parmalat a trovare una nuova strategia industriale. A me sembra proprio il contrario.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
MARCO CAUSI. Ho concluso, Presidente. L'attesa di un intervento salvifico da parte del Governo e delle banche di sistema ha deprezzato per mesi il titolo di Parmalat e oggi gli azionisti di Parmalat trovano un prezzo e un valore più elevati proprio grazie alla scelta di mercato di Lactalis. Non è quindi l'azione del Governo ad aver valorizzato il titolo di Parmalat ma, semmai, quello che è avvenuto sul mercato.
Concludo, Presidente, chiedendo al relatore, alla maggioranza e al Governo una riflessione seria, perché al di là della vicenda Parmalat, di cui discuteremo in sede di esame degli articoli del decreto omnibus...
PRESIDENTE. Onorevole Causi, devo invitarla a concludere.
MARCO CAUSI. ...la modifica proposta dal nostro emendamento Fluvi 1.2 è molto sensata e «permanente» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Strizzolo. Ne ha facoltà.
IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, anche in questa occasione il gruppo del Partito Democratico ha dato e sta dando, prima in Commissione e ora in Aula, un contributo serio e costruttivo rispetto ad un provvedimento che, purtroppo, segnalo essere un'ulteriore dimostrazione della confusione e della contraddittorietà con cui questo Governo sta portando avanti delle scelte in materia di politica economica e finanziaria nel nostro Paese.
Un attimo fa il collega Causi ha messo bene in evidenza il fatto che questo decreto-legge era stato annunciato in maniera non correttamente trasparente, come finalizzato ad un passaggio quasi burocratico-amministrativo, per consentire alle società quotate di avere qualche giorno in più di tempo per l'espletamento degli adempimenti per la predisposizione dei documenti di bilancio per l'approvazione da parte delle rispettive assemblee, quando tutto il mondo sapeva e sa che il decreto-legge era stato partorito dal Governo con la finalità di impedire la conquista di Parmalat da parte di Lactalis.
Anche qui abbiamo visto l'ennesima giravolta nei comportamenti del Governo: mentre il Ministro Tremonti dava forbitamente spiegazione degli obiettivi strategici di questo intervento, pochi giorni dopo il Presidente del Consiglio Berlusconi, a conclusione del suo vertice con il Presidente francese Sarkozy, diceva che, comunque, Pag. 8l'OPA di Lactalis non è ostile e che la linea di questo Governo e della maggioranza di centrodestra è per la liberalizzazione dei mercati e per la libera concorrenza, e chi più ne ha più ne metta.
Peccato che questa scoperta della libera concorrenza e della internazionalità dei mercati non sia stata presa in considerazione. Cito un solo esempio abbastanza clamoroso e anche importante per le ripercussioni che ha avuto sul bilancio dello Stato: la vicenda di Alitalia. Quando con il lavoro e l'impegno del Governo Prodi, a suo tempo, si era vicini ad una conclusione sostanzialmente positiva, ci fu l'intervento propagandistico e da campagna elettorale secondo cui Alitalia doveva rimanere compagnia di bandiera italiana, quindi si accollò sostanzialmente alle casse dello Stato, cioè a tutti i cittadini, un importo di circa 3 miliardi e mezzo di euro - il costo di quell'operazione - con le ripercussioni che ci sono state anche successivamente soprattutto sui piccoli azionisti, che videro ridursi drasticamente il valore delle proprie azioni di Alitalia.
Questo intervento è una contraddizione soprattutto nel momento in cui questo Governo dimostra di non avere una seria politica industriale. Se prendiamo i dati, che non sono chiacchiere e non sono propaganda, riferiti a questi tre anni, possiamo riscontrare - purtroppo per l'interesse di tutti i cittadini del nostro Paese - che dall'autunno 2008 alla fine del 2010 il debito pubblico di questo Paese è aumentato di circa 200 miliardi di euro nonostante i pesanti tagli fatti con i provvedimenti adottati dal Governo Berlusconi sin dal suo insediamento.
Abbiamo discusso più volte, nelle Commissioni e in Aula, dei tagli, in particolare di quelli apportati al mondo della scuola, dell'università e della ricerca e al sociale. Nonostante i tagli vi è stato un aumento del debito pubblico di 200 miliardi di euro. Tuttavia un dato ancora più preoccupante e che dimostra alla fine un risultato completamente negativo e fallimentare della politica di questo Governo è che la crescita del Paese è vicina allo zero. Quindi, è veramente un capolavoro in senso negativo registrare un aumento di 200 miliardi di euro del debito pubblico, tagli pesantissimi in settori strategici per il futuro del nostro Paese e anche una condizione di crescita zero delle attività economiche e produttive e dei servizi del Paese.
Si tratta pertanto di una situazione rispetto alla quale il Governo, il centrodestra, pensa di addivenire ad una soluzione con questo decreto-legge, che alla fine non contrasta la scalata a Parmalat. Infatti, - come diceva un attimo fa il collega Causi - se si voleva mettere tale azienda «in sicurezza», appartenendo essa ad un settore che comunque è strategico per il futuro di un Paese come il nostro, ossia quello dell'agroalimentare, ci doveva essere un'iniziativa del Governo in tempi più adeguati, che avrebbe potuto, forse, portare ad una soluzione senza andare a mettere in discussione i principi della libera concorrenza e del libero mercato. Si sarebbe dovuto pertanto costruire una soluzione in cui si poteva addivenire ad un'impostazione che avrebbe consentito a questa azienda, a questa società, di continuare a svolgere un ruolo importante e strategico non solo con riferimento al nostro Paese, ma anche a livello europeo e internazionale.
Credo che la mancanza di una politica industriale sia una delle colpe maggiori di questo Governo perché, sin dall'inizio della crisi, che è stata addotta come giustificazione per tanti risultati negativi, da parte del Partito Democratico erano state date delle indicazioni e formulate delle proposte per intervenire subito, in maniera robusta, in alcuni settori, con un forte impegno finanziario da parte dello Stato. Ciò avrebbe certamente aumentato di circa un punto percentuale l'indebitamento, ma avrebbe consentito al Paese di affrontare la situazione di crisi.
Invece, si è preferito negare l'esistenza della crisi per lungo tempo. Poi, improvvisamente, dalla mattina alla sera si è riconosciuta la crisi, ma si è anche detto che ne stavamo uscendo, invece i dati sono ancora pesantemente preoccupanti. Pag. 9
Insieme a qualche altro collega parlamentare, per esempio, ho partecipato ieri ad un interessante incontro a Como promosso da rilevanti associazioni di categoria economica (ne cito alcune: la Confartigianato, l'API, la Confindustria, la Confesercenti, l'ANCE, le piccole industrie e l'ordine dei dottori commercialisti). In quella sede, sono emersi dei segnali preoccupanti e allarmanti sulla fase di crisi che ancora sta vivendo l'economia del nostro Paese, con pesanti ricadute sul piano occupazionale, ma soprattutto è stata segnalata la sostanziale inerzia da parte del Governo nell'assumere delle iniziative.
Se consideriamo che nel 2010 ci sono stati undicimila fallimenti di società in più rispetto al 2009 nel nostro Paese, questo è un segnale inequivocabile della condizione di crisi che purtroppo permane. Non diciamo queste cose perché facciamo il tifo per la linea del «tanto peggio, tanto meglio». Anzi, si tratta esattamente del contrario, ossia di sollecitare il Governo e la maggioranza a uscire da una condizione di contraddittorietà nella propria linea di politica economica industriale, che nei fatti non c'è.
Cito un altro esempio: da tempo si dice che sono allocate nel bilancio del Ministero dello sviluppo economico risorse significative per sviluppare la banda larga nel nostro Paese e non passa mese che non ci sia stato negli ultimi due anni un annuncio alla stampa nel quale si dichiara che si andrà avanti su questo programma. Vediamo, invece, che nei fatti non c'è nulla di concreto riguardo a questa iniziativa, che consentirebbe soprattutto alle piccole e medie imprese di lavorare in condizioni migliori e con risparmi significativi.
Ho citato solo un punto. Se ne potrebbero citare tantissimi altri, per esempio nel campo delle infrastrutture. Anche a questo proposito si va avanti con il gioco di prestigio delle tre carte, spostando le somme a seconda delle situazioni e degli stanziamenti di bilancio: una volta si dichiara di destinare i soldi a favore delle infrastrutture e del Mezzogiorno; un'altra volta si portano in altre parti del Paese, ma senza una linea seria e una posizione che dia un minimo di credibilità, soprattutto verso il mondo delle imprese. Infatti, questo Governo, più che tradire gli elettori che tradizionalmente votano per il centrosinistra, sta tradendo le attese e le aspettative degli elettori e del mondo delle piccole e medie imprese che avevano dato ampia fiducia a Berlusconi e alla sua coalizione.
Quindi, quando noi proponiamo con questi emendamenti, per esempio, la modifica della scadenza dell'approvazione dei bilanci per riunire le assemblee nel termine di centottanta giorni in maniera stabile, è un dato di chiarezza e di certezza. Infatti, un altro punto che deve essere preso in considerazione da parte del Governo è la necessità di migliorare il grado di stabilità e di certezza del diritto in materia tributaria e fiscale e di adempimenti societari. Quindi, con uno di questi emendamenti che abbiamo presentato vogliamo sicuramente dare un contributo.
Il termine dei 180 giorni è necessario non solo per consentire poi una maggiore partecipazione e coinvolgimento di quei tanti piccoli azionisti che magari hanno sottoscritto e acquistato azioni di grandi società e che, magari, vorrebbero partecipare alle assemblee quando vengono convocate. Ma se vi è un concentramento, nel giro di una settimana, della maggior parte delle assemblee, certamente al piccolo azionista e al piccolo risparmiatore, che magari vorrebbe partecipare e intervenire, questo nei fatti è precluso. Pertanto, si tratta di un emendamento che nasce dal buon senso e dalla voglia proprio di dare un contributo a realizzare condizioni di maggiore certezza dal punto di vista degli adempimenti giuridico-fiscali e societari per lo svolgimento delle assemblee in cui si approvano i documenti di bilancio.
Inoltre, bisogna ricordare che questo decreto-legge introduce anche il discorso relativo a nuove funzioni per la Cassa depositi e prestiti. Anche su questo punto da parte del Partito Democratico - e non da oggi - non vi è mai stata una preclusione al fatto che questo importante istituto possa intervenire anche a sostegno di iniziative e di programmi di intervento Pag. 10significativi. Anzi, lo stesso Partito Democratico aveva proposto, circa due anni fa, di costituire una sorta di Fondo strategico nell'ambito della Cassa depositi e prestiti per sostenere programmi, interventi e investimenti che avessero una finalità, appunto, di prospettiva strategica in settori particolarmente importanti del nostro Paese.
Credo che qui valga la pena di fare qualche ulteriore riflessione e, dunque, invitiamo il Governo, signor Presidente e colleghi della maggioranza e delle forze che oggi temporaneamente sono collocate all'opposizione in questo Parlamento, a dire che la politica economica di questo nostro Paese deve vedere una maggiore capacità di intervento, nel rispetto sicuramente anche delle nuove indicazioni e delle nuove direttive a livello europeo, per migliorare la capacità di sostenere programmi di crescita.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Strizzolo.
IVANO STRIZZOLO. Questo è il vero punto grave in questa fase per il nostro Paese, ossia la mancanza di una crescita. Infatti, se non vi è crescita non vi è sicuramente la possibilità, in termini di risorse, di far fronte all'enorme debito pubblico e, soprattutto, di finalizzare gli interventi dello Stato a costruire maggiori condizioni di equità e di solidarietà sociale e di giustizia. Solo così si può realizzare una condizione migliore per fare in modo che questo nostro Paese superi uno stato di grande difficoltà tenendo, sempre e comunque, al centro l'uomo, la persona e la dignità della stessa persona umana nei programmi di crescita e di sviluppo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Marchignoli. Ne ha facoltà.
MASSIMO MARCHIGNOLI. Signor Presidente, se questo decreto-legge era funzionale a costruire le condizioni per impedire il passaggio di Parmalat in mani francesi devo dire che il consuntivo è davvero fallimentare. Questo decreto-legge può essere paragonato a una bottiglia di latte la cui data di scadenza è già abbondantemente scaduta; un'altra occasione perduta.
Il Parlamento per settimane si è occupato della prescrizione breve e, intanto, l'azienda francese costruiva le proprie OPA e le proprie scalate, in barba a ciò che avrebbe dovuto fare il Governo italiano per impedire che da parte francese venisse costruita questa OPA. È il solito Governo delle chiacchiere. È un'altra sconfitta del Governo del non fare.
Tutti ricordiamo la campagna elettorale del 2008, incentrata sull'italianità delle aziende. Anche a tal proposito, il consuntivo è pessimo: il cosiddetto salvataggio di Alitalia si è risolto in un enorme spreco di denaro pubblico. La più grande impresa italiana, la FIAT, ha messo in campo strategie unilaterali che la collocano sempre di più con la testa all'estero. La vicenda Parmalat si profila ormai come quella concernente un'azienda i cui destini sono stabiliti fuori dai confini nazionali. Gli esiti di questa inerzia del Governo rischiano di essere gravissimi per le imprese, per il lavoro e per gli allevatori, che vedono seriamente in discussione il loro futuro e vivono nel timore che vada in fumo il lavoro di tanti anni di sacrifici e di investimenti. La Lega Nord dovrebbe dire una parola a questi allevatori onesti, quando invece si è «sperticata» al Governo, in quest'Aula, per proteggere pochi allevatori furbi. Su questo punto dovete pagare un conto, il nostro Paese paga un conto salatissimo per due ragioni di fondo: la prima consiste nella totale mancanza di credibilità internazionale del Governo italiano, la seconda nella patologica e colpevole assenza di una politica industriale del Governo stesso. Sulla prima non c'è bisogno di dilungarsi troppo: l'Italia non conta nulla in Europa e nel mondo e il conto lo pagano le famiglie del nostro Paese, il modo del lavoro e gli imprenditori. Il ruolo marginale dell'Italia in politica estera è parte costitutiva delle difficoltà del Paese nel crescere di più, ed è causa della solitudine delle imprese nell'affermarsi in nuovi mercati. Pag. 11
Le imprese italiane sono state lasciate sole nel mondo e questo significa meno crescita, meno occupazione e significa che la politica estera del Governo è una zavorra per il sistema produttivo italiano. Questo è un dato sotto gli occhi di tutti - anche degli imprenditori e degli industriali, che cominciano a segnalarlo timidamente, ma ogni giorno che passa sempre di più - e voi del Governo siete fermi, immobili sul piano della politica industriale. Lo diciamo da anni ormai; fin dalla fine del 2008 abbiamo detto: «Attenzione perché è in arrivo una fase di crisi tremenda e il Parlamento è bene che si occupi di ciò che è meglio fare per attraversare la crisi, rilanciando la crescita come stanno facendo altri Paesi in Europa e nel mondo». Ma voi nulla, per lungo tempo avete persino negato la gravità dell'impatto della crisi sul nostro Paese ed è per questo che non avete assunto alcuna iniziativa necessaria per favorire la ripresa della crescita e dell'occupazione.
Il nostro Paese è stato per molti mesi senza il Ministro dello sviluppo economico: mentre molte imprese chiedevano sostegno, altre si arrangiavano prive di strumenti reali e di orizzonti strategici che il Paese avrebbe dovuto indicare, cosa che voi non avete voluto fare, dimostrando inadeguatezza ed irresponsabilità. Intanto l'Italia perdeva pezzi importantissimi del proprio sistema industriale e voi, invece di occuparvi di questo, invece di dialogare con imprenditori e sindacati avete cercato di dividere l'impresa dal lavoro, di dividere i lavoratori tra di loro, di separare l'Italia dall'Europa, di insultare l'opposizione. Quando Confindustria vi ha, sommessamente peraltro, segnalato che le cose non andavano ecco pronti alcuni spot pubblicitari: «la scossa all'economia», così l'avete chiamata. Avete annunciato l'ennesimo Piano casa, condito dalla modifica alla Costituzione per consentire maggiore libertà di impresa; è persino ridicolo richiamarlo, ma l'avete approvato in cinque minuti.
Era il 9 febbraio di quest'anno, sono passati tre mesi e non è successo nulla, salvo l'aumento della disoccupazione, che a marzo è risalita al 8,3 per cento, più 0,1 rispetto a febbraio, per questo segnalo queste date, in particolare quella giovanile, che a marzo è risalita al 28,6 per cento, più 0,3 rispetto al mese di febbraio. C'è stato un intensissimo e accorato appello del Presidente Giorgio Napolitano all'incontro con le forze sociali e i sindacati alla vigilia del 1o maggio di quest'anno ed anche lì vi è stata l'ipocrisia di cui si parlava sugli appelli del Capo dello Stato su questi grandi temi. Mi pare sotto gli occhi di tutti quella ipocrisia che vi caratterizza da quando siete al Governo dell'Italia. Ecco gli effetti della scossa annunciata: più disoccupati, meno imprese. Questo è l'esito delle vostre scosse, ma per voi era molto più importante il processo breve o la prescrizione breve e su questo avete inchiodato questa Aula e inchioderete quella del Senato dopo le elezioni. Poi, poche settimane fa la francese Lactalis inizia la scalata Parmalat e avete partorito questo decreto-legge, che ci chiedete di convertire oggi, che non è servito a nulla per contrastare alcunché e che mette a nudo definitivamente la profonda sfiducia che le imprese e il mondo dell'economia nutrono ormai nei vostri confronti, le cui ragioni noi oggi vi riproponiamo, le ragioni di questa sfiducia.
Voi con questo decreto-legge non avete impegnato la Cassa depositi e prestiti in investimenti strategici, non indicate al Parlamento, alle forze sociali e alle imprese alcun obiettivo di politica industriale. Non l'avete, non sapete dove mettere le mani, non avete la bussola. Per questo rinviate ad un successivo provvedimento del Governo, chiedendo al Parlamento una delega in bianco, chiedendola qui: con questo decreto-legge autorizziamo la Cassa depositi e prestiti ad intervenire nelle politiche industriali, ma non prevedete e non indicate una strada, una strategia, un orizzonte. Noi non possiamo condividerlo perché facciamo parte di tutti coloro che hanno toccato con mano la vostra inaffidabilità. Infatti, questo decreto-legge non prevede alcuna forma di monitoraggio da parte del Parlamento su come e su quali settori strategici aggredire e sull'andamento Pag. 12futuro degli interventi della Cassa. Come possiamo quindi condividere, come possiamo votare una delega in bianco sulle politiche industriali ad un Governo che ha smantellato gli strumenti importantissimi di strategie industriali, quali l'industria 2015, i crediti di imposta, gli investimenti su innovazione e ricerca, gli stanziamenti per la banda larga e le bonifiche industriali? Sono strumenti messi in atto dal Governo Prodi e da un Ministro che lavorava sodo, in un dialogo costante con le associazioni di impresa e con il mondo del lavoro e che non aveva l'abitudine, come fa il Ministro in carica, di insultare in televisione né i rappresentanti dell'opposizione né, tanto meno, i colleghi di Governo, sport cui questo Ministro è politicamente dedicato. Quel Ministro invece era Pierluigi Bersani, oggi segretario del Partito Democratico, un partito non avvezzo alle improvvisazioni, non avvezzo agli spot flop. Questo decreto-legge è inaccettabile per noi e non potrà avere la nostra approvazione, perché è un'altra delle improvvisazioni cui ci avete abituati, perché è un fallimentare messaggio propagandistico. Per questo il Partito Democratico vi sfida in questa Aula parlamentare a discutere francamente su una strategia di carattere industriale per il nostro Paese, a dare una direzione di marcia all'Italia, a rimetterla al centro del cuore dell'Europa, a costruire nuove politiche che, in relazione all'ambito europeo, possano collocare il nostro Paese nel pieno della competizione, da cui oggi drammaticamente viene escluso per colpa, per demerito e per responsabilità esclusivamente vostra (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pizzetti. Ne ha facoltà.
LUCIANO PIZZETTI. Signor Presidente, il decreto-legge in esame rappresenta una sorta di metafora del Governo. Un decreto urgente che perde rapidamente il suo senso ed il suo significato per strada ancor prima di produrre effetti di rilievo per quanto riguarda l'assetto industriale del Paese. Un decreto di cui resterà il pregresso, ma non vi è futuro. Un decreto che ormai è nullo e privo di ogni efficacia se non, appunto, per quanto riguarda la salvaguardia di quello che ha sin qui prodotto.
Lactalis è andata avanti, a prescindere. Un progetto industriale e finanziario, questo era ciò che ha messo in campo Lactalis. Un progetto industriale e finanziario si è opposto alle furbizie del Governo, furbizie attivate anche con l'uso strumentale di un bene primario, per quanto riguarda le condizioni dell'economia del Paese, cioè l'uso della Cassa depositi e prestiti. Bene, quelle furbizie che in Alitalia hanno fatto pagare un conto salato ai contribuenti italiani qui non hanno retto.
Su questo decreto-legge e con questo decreto-legge sono andate in scena le contraddizioni e l'impotenza del Governo. Un Governo, per lungo tempo, come è stato già ricordato, privo di un Ministro dello sviluppo economico e ciò è indicatore della mancanza di una politica per lo sviluppo, ma, vorrei aggiungere, l'assenza di un Governo sul tema delle politiche agricole e agroalimentari. Vorrei segnalare le giravolte indecorose che si sono sviluppate attorno al Ministero dell'agricoltura: tre Ministri in tre anni, una lotteria. Come è possibile immaginare che, in assenza di una stabilità in un Ministero chiave e in assenza di un Ministro per lungo tempo in un Ministero ancora più rilevante, si potesse determinare lo sviluppo di una politica di contrasto rispetto a scelte che, in una logica industriale di mercato, altri soggetti esterni al Paese stavano compiendo?
Noi affrontiamo la globalizzazione con la pretesa di difendere le ridotte, questa è la realtà, con gran parte del Governo più prosaicamente impegnato, altro che sviluppo e politica industriale. La affrontiamo dentro una logica di enclave, priva di forza espansiva, pensando di salvaguardare la nostra funzione, cambiando le regole di ingaggio a processi in corso, questa è stata la vicenda Parmalat-Lactalis. È un tarlo di questa maggioranza cambiare le regole del gioco per alterare il Pag. 13gioco. È accaduto e sta accadendo sulla giustizia, è accaduto e sta accadendo ancora, purtroppo, sulle energie rinnovabili, è accaduto e sta accadendo sui referendum, è accaduto e sta accadendo sulla politica estera. Il diritto come optional, una variabile dipendente dall'interesse che, di volta in volta, si decide di tutelare, spesso dentro un contrasto intrinseco. Cosa c'entra la linea tenuta su Parmalat-Lactalis con quella tenuta su EDF e sulla vicenda del nucleare? Che connessione vi è tra quanto sostenuto sulla vicenda Parmalat e ciò che è accaduto su FIAT o su Alitalia?
L'italianità, di cui il Governo mena gran vanto, sembra un bel concetto, ma in realtà è una parola viziata che poggia su gambe assai malferme, viziata dal nascondimento della debolezza. L'italianità dentro la logica di questo Governo è un assunto ideologico, più che un sistema che promuove, un assunto nel tempo della globalizzazione e una dichiarazione di resa del sistema Paese. Guardate che l'italianità per decreto - non per autopropulsione di sistema o per promozione di politiche - non aiuta il rilancio italiano. C'è, negli atti del Governo, un contrasto netto ed evidente tra difesa dell'italianità e promozione dell'interesse nazionale. Qui sta la contraddizione!
Uno dei nostri problemi rilevanti, segnalato da sempre, è l'incapacità ad attrarre investimenti esteri - dico esteri e non stranieri - che siano connessi al nostro sviluppo, non estranei. Addirittura noi qui, in questa vicenda, sovvertendo le regole del gioco, attiviamo meccanismi per respingere quegli investimenti. È davvero un assurdo antinazionale, che non è possibile sorreggere neppure con il concetto della reciprocità, perché negli altri Paesi si tutelano i settori strategici per la sicurezza nazionale e sugli altri settori si producono politiche industriali e finanziarie. È la forza del mercato interno, che regola l'afflusso esterno.
Il centrodestra, in realtà, predica il liberalismo anglosassone, ma pratica sempre più spesso una forma italica del capitalismo cinese. Questo contrasto, culturale e di impianto, fa dire alla Lega Nord che quella di Lactalis è un'OPA ostile e fa dire a Berlusconi che l'OPA non è affatto ostile. In questo dissidio, privo di politica di sviluppo, Lactalis compie un'azione che, con poca spesa, le garantisce tanta resa. Poca è la spesa perché alle risorse destinate all'acquisto societario occorrerà sottrarre le risorse e gli utili in pancia a Parmalat, merito dell'azione di risanamento operato da Bondi, il quale dottor Bondi, anche in queste ore, con intelligenza svolge bene il proprio compito; tanta è la resa perché Lactalis diverrà con Parmalat un soggetto mondiale dell'agroalimentare, nonostante le resistenze delle corporazioni governative.
Il tema più rilevante è come valorizzare la filiera zootecnica, in particolare quella lattiero-casearia italiana, in questo soggetto mondiale dell'agroalimentare. Il prodotto italiano è un brand mondiale, un marchio di qualità. È quel brand che va valorizzato nel percorso dalla produzione alla trasformazione e commercializzazione, anche per tutelare un'adeguata remunerazione al produttore agricolo del prodotto di qualità conferito, a partire dal prezzo del latte.
Il dottor Besnier, presidente di Lactalis, ha dichiarato: «Noi abbiamo un progetto di crescita ambizioso per Parmalat: farne il gruppo italiano di riferimento nel latte confezionato a livello mondiale, con sede, organizzazione e testa in Italia». Lactalis ritiene che nel contesto competitivo attuale sia importante per Parmalat raggiungere dimensioni significative, tali da poter sviluppare brand globali. A tal fine Lactalis valuterà l'opportunità di far confluire in Parmalat le proprie attività europee nel settore del latte confezionato, tra le quali quelle detenute in Francia e Spagna. Il progetto industriale prevede la valorizzazione di Parmalat a livello internazionale - grazie alla forte complementarietà tra i due gruppi sia a livello geografico che di prodotto - e, inoltre, l'espansione nei mercati in forte sviluppo, quali Brasile, India e Cina, nei quali entrambi i gruppi ad oggi hanno una limitata presenza. Infine - dichiara Besnier - il gruppo Lactalis Pag. 14ribadisce la sua volontà di sviluppare il proprio piano nel rispetto dell'italianità di Parmalat, mantenendo la sede in Italia, salvaguardando gli asset produttivi, i dipendenti e la filiera italiana del latte, nell'interesse dell'economia del territorio.
I sindacati di categoria e di settore hanno apprezzato questi impegni, tant'è che si preparano ad un confronto serio e serrato nel contesto della definizione della nuova acquisizione.
Non siamo in presenza di una colonizzazione, ma di uno sviluppo proposto e di un'integrazione. Il tema, pertanto, se è così, è molto semplice. Al di là di questo decreto, appunto nullo di fatto, che iniziative sviluppa il Governo per assicurare che sarà davvero così, e cioè che questi impegni che il presidente di Lactalis dichiara formalmente siano poi gli impegni che egli intende perseguire?
Come il Governo è in grado di far sì che questi impegni diventino politica reale di sviluppo oltre le furbizie? Quale sistema di governance si immagina di concorrere a costruire dentro questo nuovo soggetto mondiale dell'agroalimentare? Quale supporto ai produttori nel percorso di filiera zootecnica, sino alla determinazione del prezzo del latte, che rischia (questo sì) di essere indebolito di fatto da un regime di monopolio? Come, in sostanza, trasformare una debolezza di sistema in maggiori opportunità per il Paese e per i produttori, con un'impresa che sarà appunto assai più globale?
Allora, poiché recentemente (la settimana scorsa) abbiamo approvato le linee sulla Decisione di economia e finanza e sul Programma nazionale di riforma, la domanda è: questi strumenti che il Parlamento, su proposta del Governo, ha recentemente adottato sono idonei allo scopo? Questi strumenti sono in grado di far sì che, anziché aumentare, il divario tra il reddito degli agricoltori europei e quello degli agricoltori italiani si riduca?
Queste sono le domande di politica, di politica economica, industriale e sui redditi cui il Governo dovrebbe prestare quell'attenzione che, in realtà, invece non presta e queste, non altre, sono le ragioni della debolezza intrinseca del Paese che il Governo, anziché aiutare a superare, alimenta con politiche sbagliate e prestando attenzione ad altre cose, anziché ai temi dello sviluppo necessario al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.
LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, la prima questione che doverosamente siamo obbligati a porre è la seguente: il Governo ci chiarisca la sorte di questo «decreto anti-scalata», dal momento che la francese Lactalis ha annunciato un'offerta in contanti su tutto il capitale Parmalat.
Per noi la forma attuale del decreto anti-scalate è un pannicello caldo non in grado di restituire fiato all'economia italiana e di aprire il mercato all'estero. Non esistono, signori del Governo, misure di politica industriale che abbiano senso; prima di decidere uno strumento, bisognerebbe decidere che cosa fare.
Eppure, al Paese occorrono iniziative per l'adozione di misure a tutela delle imprese strategiche italiane contro le cosiddette «scalate ostili», nel rispetto del principio di reciprocità. Allora, di cosa stiamo parlando? Tra il 2000 e il 2010 sono state 40 le operazioni che hanno trasferito dai confini nazionali il controllo delle società italiane.
In questa lista c'è di tutto: il settore bancario, il lusso, le telecomunicazioni, l'energia, il settore immobiliare, quello aerospaziale della difesa, quello dei giochi, il settore finanziario, quello alimentare, l'elettronica e persino la siderurgia, come le acciaierie di Piombino e, da qualche settimana, il ciclo del cloro della Vinyls, probabilmente in mano ad un fondo finanziario di cui non se ne ha traccia.
Ma veniamo al dunque. Si tratta, più o meno per quanto detto finora, di 100 miliardi di euro.
Questo è il conto dello shopping estero in Italia, ovviamente al netto dei quattro miliardi e mezzo messi sul tavolo dalla Pag. 15Louis Vuitton di Bernard Arnaud per portarsi a casa il lusso romano della Bulgari, al netto della vicenda Parmalat di cui stiamo ancora parlando e ovviamente anche al netto di tutto quello che era accaduto negli anni Novanta, a cominciare dall'espatrio del made in Italy e penso a Fendi e a Gucci. Insomma, negli ultimi venti anni, 2.600 aziende sono passate, consentitemi di dirlo così, allo straniero, lo dico tra virgolette, e solo 2.200 aziende estere sono state comprate da italiani. Questo ci dice che il confronto internazionale indica che il sistema di imprese italiane è molto chiuso sia in entrata che in uscita, che le imprese molto raramente hanno una venture capitalista nella compagine azionaria e tanto meno hanno una quota di finanziamento bancario superiore a quella degli altri Paesi. Ma il Governo, onorevoli rappresentanti qui presenti, ritiene di occuparsi in primo luogo delle condizioni in cui le imprese operano e dei problemi di competitività di sistema? È una domanda cui non corrisponde puntualmente alcuna risposta. Il controllo delle imprese italiane - è noto a tutti, anche al Governo - soffre di problemi antichi e mai risolti, come la sottocapitalizzazione, mentre la struttura proprietaria resta incentrata sulla famiglia, generalmente contraria all'apertura del capitale per timore di perderne il controllo. Allora, il Governo intende promuovere iniziative per accrescere la capitalizzazione delle imprese, per favorire l'afflusso del risparmio delle famiglie verso forme di investimento azionario, sviluppando il mercato borsistico e facendo crescere il settore del venture capital e del private equity e predisponendo una strategia di politica industriale (parola che non è magica ma che non c'è nel vocabolario del Governo e manca nell'economia italiana)? E allora, signori del Governo, intendete varare, sulla base del criterio di reciprocità, per evitare di incorrere in procedure di infrazione da parte di Bruxelles, norme contro le scalate ostili, come accade in Francia e non nel decreto in esame? Onorevoli colleghi, il Governo francese è in grado di dire «sì» o «no» ad una società che intende acquisire una partecipazione o il controllo di un gruppo francese strategico attraverso norme precise di leggi nazionali, determinando la condizione per rilasciare il nulla osta. Il Governo francese ha definito undici settori strategici ed ha previsto una distinzione tra aziende predatrici - come dice la legge francese - dell'Unione europea ed extra-UE, per evitare lo stop di Bruxelles. Tra le norme più forti in quel Paese, previste da quella normativa - sto parlando sempre di quella francese -, è rilevante quella che dà alla Consob francese, la AMF, il potere di chiedere ad un presunto scalatore, anche solo in base a notizie che anticipano l'effettiva scalata, un piano dettagliato entro 48 ore. In caso di mancata risposta, è previsto un blocco di sei mesi. Onorevoli colleghi, come facciamo a dimenticare quello che è accaduto all'ENEL quando nel 2006 tentò di scalare Suez? Come dimenticare il caso della progettata fusione fra la spagnola Abertis e Autostrade per l'Italia Spa e il tentativo delle Ferrovie dello Stato italiane di entrare nelle ferrovie francesi? Queste sono le cose che sono già avvenute. Quali provvedimenti, invece, seriamente si intendono assumere per accelerare l'adozione di misure a tutela delle imprese strategiche italiane? Si è partorito un decreto-legge inutile. In esso non c'è nulla di quanto fin qui descritto ma soprattutto manca ogni riferimento alla strategia politica di supporto all'industria italiana. Noi continueremo a sostenere misure volte ad adottare strumenti contro le scalate ostili, però occorre una strategia politica.
Parlo soprattutto delle grandi e medie aziende che avrebbero bisogno di un aiuto programmatico per sostenere adeguatamente la competizione internazionale e, invece, qui ancora c'è un vuoto: manca il programma per la formazione, per la ricerca e per lo sviluppo.
Le pongo una domanda, onorevole rappresentante del Governo: oggi il bilancio italiano, quando investe nella programmazione industriale, quanto investe? Investe lo 0,2 per cento, forse lo 0,3 per cento, forse lo 0,33 per cento del PIL. Con questi Pag. 16numeri non si va da nessuna parte, con questi numeri non si fa politica industriale.
La sfida dovrebbe essere costruire una politica che riduca la frammentazione, che valorizzi le potenzialità delle singole imprese e della filiera. In questi ultimi anni, dato che tutti citiamo la Germania, essa non ha tagliato dal suo bilancio il sostegno alle imprese e alle risorse umane, l'Italia invece sì!
Ora viene fuori questo «decreto tampone» - e la parola tampone è anche troppo importante, è solo un pannicello caldo - e, come se non bastasse tutto questo ragionamento che abbiamo oggi voluto porre, anche con misure sicuramente urgenti e che passino per il Parlamento, l'Italia ha comunque un grande problema: quello di attrarre gli investimenti esteri che è il cuore del cuore dei problemi.
Perché l'Italia non cresce, allora? Questo è l'altro interrogativo. Il problema principale dell'economia italiana e della sua scarsa crescita sta nei sospetti e nelle incapacità di collaborazione tra pubblico e privato.
Il ruolo dello Stato e del Governo in carica dovrebbe essere quello di lubrificare le ruote della carretta e spianare le strade che deve percorrere. Questo è il punto e perciò noi questa la chiamiamo la politica industriale che manca, il ruolo dello Stato che manca, i provvedimenti che mancano.
Oggi voi ci date, sempre a valle del chiarimento che auspichiamo sia reso, un pannicello caldo sotto il nome di un roboante decreto-legge.
Ecco, onorevoli colleghi e signori rappresentanti del Governo, noi pensiamo di dover continuare a operare perché il titolo fondamentale della politica industriale del Paese sia la questione delle questioni da affrontare.
Noi continueremo ad operare perché si adottino iniziative e misure a tutela delle imprese strategiche italiane contro le cosiddette «scalate ostili», ma nel principio della reciprocità.
Ebbene, noi lungo questa strada continueremo ad operare perché lungo questa strada c'è la ragione di quell'altra parola a voi estranea che è la crescita economica del Paese, e perciò questo decreto-legge, come dire, per noi è solo uno dei tanti passaggi roboanti e insignificanti a cui il Governo ci sottopone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Froner. Ne ha facoltà.
LAURA FRONER. Signor Presidente, il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 26 oggetto del nostro dibattito e dei nostri emendamenti rappresenta un ulteriore esempio della mancanza di serietà con cui l'attuale Governo affronta questioni importanti per il destino economico e sociale del nostro Paese.
Ancora una volta dobbiamo porre l'attenzione in Parlamento ai vizi tanto di metodo quanto di merito di questo provvedimento perché il metodo dice molto dello stile operativo e della qualità d'azione del Governo, della sua serietà, affidabilità, credibilità, tutte voci che però non possiamo assolutamente riconoscere al Governo Berlusconi.
Il decreto-legge n. 26 potrebbe essere definito un «decreto rinvio» in quanto dà la facoltà di rinviare di ulteriori due mesi le assemblee societarie già convocate. Ora è evidente che il tempo in queste fasi di frizioni economiche e finanziarie può essere fondamentale per determinare equilibri futuri, ma rinviare non è sufficiente.
Oggi lo scenario è più internazionalizzato e più competitivo, oggi ci sono inderogabili esigenze di trasparenza. Riproporre la consueta nazionale politica del rinvio non pensiamo ci faccia fare passi avanti, piuttosto pensiamo ci faccia arretrare. Il Parlamento ha bisogno di un confronto aperto sugli indirizzi di politica economica ed industriale, e non può bastare un rinvio, come così come non è accettabile la minimizzazione del Ministro Tremonti circa il carattere generale ed astratto del decreto in esame.
Alcuni colleghi della maggioranza hanno riconosciuto nei loro interventi la Pag. 17settimana scorsa cosa c'è dietro questo decreto, ma, dal momento che siamo in un'economia aperta e libera, il Parlamento è il luogo ove dovrebbero essere chiarite le strategie che il Governo intende adottare. Non sono cose da trattare con reticenza o dissimulazione; al contrario è proprio avviando una riflessione seria, aperta e franca sul futuro dell'industria italiana, sul tipo di posizione che il Governo pensa debba occupare l'Italia nella divisione internazionale del lavoro, che una comunità nazionale può crescere e maturare consapevolmente.
Ancora una volta invece ci troviamo di fronte a un decreto scritto in fretta e furia, l'ennesimo atto di un Governo incapace di prevedere e di programmare. Ma una politica industriale non si improvvisa, né tanto meno il diritto che ne scaturisce. Questo decreto-legge che parla degli organi di governo di società quotate rischia invece di compromettere la certezza di investimenti finanziari e industriali e quindi la certezza del diritto. Quando non si ha una politica degna di questo nome, una strategia, quando si gioca solo in difesa perché non si ha la forza e la credibilità per costruire soluzioni innovative, allora si procede minando il campo, e in questo caso il campo del diritto societario, con il rischio che a saltare in aria non sia tanto il temuto avversario quanto noi stessi.
Proviamo a ricostruire brevemente il contesto che ci ha portato a questo punto. Nelle scorse settimane, in un'audizione qui alla Camera in Commissione finanze, il Ministro Tremonti rivendicava come questo fosse un provvedimento dal valore generale e astratto, e quindi valido per tutte le società. Conosciamo bene la disinvoltura del Ministro, ma non vogliamo che a cadere nel suo tranello siano tanti cittadini ignari e creduli disposti a riconoscere impegno e tutela degli interessi nazionali dove invece ci sono stati per troppo tempo sciatteria e disinteresse.
Se le cose stessero infatti come vorrebbe il Ministro, come giustificare la necessità, l'urgenza e la fretta di un decreto-legge che rinvia assemblee societarie che sono già state convocate? È evidente che questo provvedimento è figlio di una scalata ostile di una multinazionale francese verso una multinazionale italiana. Ecco allora che ricostruire un po' di passaggi nella vicenda Parmalat aiuta a dare una valutazione più corretta e puntuale sul provvedimento.
Da tempo si sapeva l'intenzione dei Fondi di dismettere la propria quota nella multinazionale di Collecchio, da tempo si sapeva l'incertezza sul futuro assetto di Parmalat sul quale venivano fatte sempre molte ipotesi ma tutte senza seguito effettivo e senza fondamento. Da tempo e per tempo l'amministratore delegato di Parmalat, Enrico Bondi, aveva avvisato i signori dei palazzi romani cercando un'interlocuzione seria, vera, efficacia ed efficiente con il Governo, ammonendo circa la vera necessità ed urgenza di dare a Parmalat un assetto stabile in grado di farla crescere e di salvaguardare l'unità del gruppo, e soprattutto i legami fortissimi con il territorio e con tutta la filiera produttiva; invece, eccezione fatta per il sottosegretario Gianni Letta, ha trovato un Governo latitante e un Presidente del Consiglio impegnato con altre urgenze e altre emergenze, quali quelle sue personali e private, quelle che riguardano i suoi rapporti con la giustizia.
Questo decreto è la dimostrazione che il Governo non ha mai avuto la testa sulla filiera agroalimentare nonostante che per sei mesi il Presidente del Consiglio abbia anche assunto l'interim del Ministero dello sviluppo economico, e questa purtroppo è l'altra latitanza che paghiamo. Non c'è dubbio che nella questione Parmalat noi paghiamo l'assenza di un vero Ministro dell'industria, troppa disattenzione, troppa negligenza, e purtroppo anche il Ministro Romani che è seguito all'interim non ha finora dimostrato un grande impegno nell'avviare politiche industriali. Da questo Governo sembra, quindi, che non riusciremo mai ad avere una politica industriale degna di questo nome, una politica industriale che sappia coniugare vocazioni dei territori ed eccellenza dei settori, una politica che sappia ricostruire per il Paese Pag. 18quei vantaggi competitivi che ha perso negli ultimi dieci anni, governati quasi ininterrottamente dalla destra.
Ormai sempre più italiani si rendono conto che, da questo Governo, non potrà mai venire una politica per la crescita che ci consenta di superare il declino e di tornare a far grande l'Italia. Sono tre anni che viviamo di annunci, di promesse e di ricette per il rilancio dell'economia e dell'industria italiana. Tuttavia, non sarà mai sufficiente l'attivismo frenetico e frettoloso del Ministro dell'economia e delle finanze di cui è frutto questo decreto-legge, ma anche quello che possiamo considerare strettamente collegato, ossia il decreto che modifica la «destinazione» d'uso della Cassa depositi e prestiti e di cui hanno parlato i miei colleghi. Dopo questi tre anni, sebbene sistematicamente vi siate sottratti a confronti aperti sulle linee e sulle strategie di sviluppo e crescita, noi possiamo dire che abbiamo maturato una certezza: con voi l'Italia arretra, il sistema industriale perde competitività, le istituzioni perdono credibilità, le nostre imprese sono a rischio di colonizzazione. Distratti degli affari privati del Presidente del Consiglio da un lato, dalla lobby delle quote latte dall'altro, vi siete fatti cogliere alla sprovvista, eppure, come ho già detto, vi erano già stati avvisi da più parti. Ai colleghi della Lega Nord Padania è opportuno ricordare che, se c'è una azienda che ha tratto origine e sviluppo proprio dalla laboriosità dei lavoratori e delle lavoratrici della pianura padana, questa è la Parmalat. E cosa ha fatto, invece, in tutti questi anni il partito sedicente della tutela della promozione degli interessi padani? Si è, forse, occupato di promuovere una cordata di soggetti in grado di tutelare e salvaguardare la filiera produttiva del latte facente capo alla Parmalat? No, perché alla Lega Nord Padania non interessa Parmalat, ma le «quote latte». Questo è il modo lungimirante della Lega Nord Padania di rappresentare gli interessi del nord.
Vi è una contraddizione insanabile tra quello che, da qualche anno, predica Tremonti e quello che, da venti anni, predica la Lega Nord Padania, tra il recente europeismo di Tremonti e il vecchio antieuropeismo della Lega Nord Padania. È anche a causa di questa contraddizione che il Governo si trova impantanato, senza una politica industriale e di sviluppo. Ora, però, questi nodi stanno venendo al pettine. Il Ministro Tremonti deve scegliere se è d'accordo con l'ideologia leghista del piccolo e bello, con i piccoli egoismi delle quote latte, con il provincialismo antinazionale della piccola proprietà padana, oppure se è d'accordo con quello che vede quando va al G20, in Cina o a Bruxelles, a trattare la posizione dell'Italia e non quella della Padania. È chiaro che, se l'ideologia è quella del «piccolo è bello», ci si occupa solo delle piccole quote latte e ci si disinteressa completamente della grande quota Parmalat e quando arrivano i francesi si è totalmente impreparati. Allora è bene deporre ciascuno le proprie armi retoriche ed i propri calcoli di convenienza a breve periodo e domandarsi di che cosa ha bisogno il Paese. Se c'è bisogno di curare e potenziare la filiera produttiva del latte e, in generale, quella dell'agroindustria, noi ci siamo; se si devono fare operazioni di sistema che non hanno il senso di socializzare le perdite e di privatizzare i profitti, ma quello di promuovere e tutelare il principio costituzionale della funzione sociale della proprietà, noi ci siamo; se fare operazioni di sistema significa mettere know-how industriale e patrimoniale a servizio della comunità nazionale, noi ci siamo. Il Partito Democratico c'è perché siamo una forza responsabile e nazionale. Quello che non ci si può chiedere è di assecondare a scatola chiusa istituti e metodi che consegnano alla totale discrezionalità del Ministro la determinazione di scelte di lungo periodo, di scelte strategiche nella definizione dei poteri del capitalismo italiano.
Ecco, quindi, la ragione dei nostri emendamenti che puntano a modificare l'articolo 2364 del codice civile. Il nostro Paese è già fin troppo ricco di incertezze giuridiche che allontanano e fanno fuggire gli investitori; non abbiamo sicuramente l'esigenza di introdurre un'ulteriore discrezionalità e proponiamo, quindi, di rendere Pag. 19permanente il termine di 180 giorni in modo da garantire la massima accessibilità dei soci alle assemblee delle società quotate. Ma vogliamo anche che il Governo e la maggioranza vadano oltre, depongano le loro parole d'ordine, come dicevo prima. Oggi, per restare sul settore agroalimentare, se le grandi imprese italiane non hanno legami forti con la grande distribuzione, rischiano di essere tagliate fuori, di vedere ridursi e non ampliarsi le proprie quote di mercato e questo solo in parte per una scelta che potrebbe richiamarsi al mercato. Mettere insieme produzione e distribuzione è un classico esempio di operazione di sistema.
Lavorare per un'alleanza tra industrie familiari di produzione e grande distribuzione è fondamentale. La globalizzazione è anche la globalizzazione agroalimentare. Se il mondo è diventato più piccolo, le aziende sono invece diventate più grandi in termini di reti, di clienti, di fatturato, di capacità produttiva. Noi quindi dobbiamo compiere ogni sforzo per favorire e promuovere processi di aggregazione. Non c'è dubbio che il ritardo con cui si è mosso il Governo abbia avuto un serio e significativo peso per il ritiro dalla contesa prima di Ferrero e poi di Granarolo. Sì dunque ad un grande polo del latte che garantisca la giusta remunerazione del lavoro e la reale qualità al consumatore. Sì ad una maggiore sinergia tra produzione e distribuzione, con l'obiettivo di fare sistema e di far crescere l'intero sistema Paese. Sì ad un impegno comune su queste direttrici con la garanzia tuttavia di una costante e permanente vigilanza da parte degli organi parlamentari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BARBATO. Ministro Tremonti, Governo, «did you know?» è la prima domanda che mi viene di rivolgervi. Infatti, vorrei chiedere al Ministro Tremonti se lo sapeva che i primi dieci lavori nel 2010 non esistevano nel 2004. Did you know, Ministro Tremonti, che gli studenti di oggi quando avranno 38 anni avranno cambiato lavoro tra le dieci e le quattordici volte, avranno cambiato tra i dieci e i quattordici tipi di lavoro? Did you know, Ministro Tremonti, che la quantità di informazioni tecnologiche si raddoppia ogni due anni per cui, con questo trend, noi avremo gli studenti che stanno perseguendo una laurea tecnica che all'inizio del primo anno di studi si troveranno alla fine, cioè al quarto anno di studio, dopo tre anni, a studiare materie diverse perché superate da quelle che avevano studiato nel primo anno?
Did you know, Ministro Tremonti, che un lavoratore su quattro ha lo stesso lavoro soltanto per un anno? Did you know, Ministro Tremonti, che un lavoratore su due ha lo stesso lavoro in meno di cinque anni? È un mondo che si muove, è in continua evoluzione, esposto alle grandi dinamiche tecnico-economico-finanziarie. Did you know, Ministro Tremonti, ad esempio, che negli Stati Uniti d'America su otto coppie che si sposano una di queste si è conosciuta e si è congiunta online?
Did you know, Ministro Tremonti, che oltre 200 mila utenti sono registrati su Myspace? Pertanto, Myspace se fosse oggi una nazione sarebbe la quinta al mondo in ordine a popolazione.
Did you know, Ministro Tremonti, che su Google nel 2006 c'erano 2,7 miliardi di ricerche? Oggi su Google ogni mese ci sono 31 miliardi di ricerche. Did you know, Ministro Tremonti, che il primo sms fu lanciato nel lontano 1992 e che oggi di sms, spediti e ricevuti, ce ne sono in quantità superiore alla popolazione del nostro pianeta?
Did you know, Ministro Tremonti che su Internet nel 1984 erano collegati mille utenti?
Did you know, Ministro Tremonti, che prima gli utenti erano un milione e che nel 2008 c'era un miliardo di utenti su Internet?
Did you know, Ministro Tremonti, che il The New York Times in un qualsiasi inserto di ogni giorno dà un numero di informazioni, ripeto, in un inserto di una Pag. 20sola giornata, superiore alle conoscenze e alle informazioni che un individuo del XVII secolo acquisiva durante tutta la sua esistenza?
Did you know, Ministro Tremonti, che nel 2013 avremo un supercomputer che avrà la capacità di superare le capacità computazionali del cervello umano? Nel 2013 questo supercomputer avrà la capacità di trasmettere informazioni, di memorizzare informazioni, di elaborare informazioni più del cervello umano?
Ebbene, mentre succede tutto questo il Governo Berlusconi e il Ministro Tremonti non si accorgono che succede tutto ciò. Abbiamo un Governo che per la verità è addirittura assente, assente fisicamente, perché noi per quasi un anno abbiamo avuto una gestione interinale del Ministero dello sviluppo economico, cioè il Ministero chiave dello sviluppo di un Paese, e soprattutto in un momento in cui vi era una congiuntura economica negativa a livello mondiale. Ebbene, per quasi un anno abbiamo avuto il Ministro dello sviluppo economico con la casella scritta «assente», perché vi era il superpremier Berlusconi, che fa tutto e non fa nulla, che ha tenuto a dormire il Ministero dello sviluppo economico per circa un anno.
Le conseguenze quali sono state? Le conseguenze sono state che, ad esempio, un polo strategico del nostro Paese, qual è il polo chimico, è stato letteralmente cancellato. Da circa due anni i lavoratori del petrolchimico di Porto Torres in segno di protesta, rispetto a questa incoscienza, irresponsabilità ed incapacità del Governo Berlusconi in ordine alle politiche industriali di questo Paese, sono chiusi nell'ex carcere dell'Asinara, ed io sono andato a trovarli.
Infatti, l'Italia dei Valori è a fianco dei veri problemi degli italiani: i problemi del lavoro. Ecco perché l'Italia dei Valori è presente presso l'ex carcere dell'Asinara, per stare vicino ai lavoratori del petrolchimico, come ai lavoratori di Ravenna, di Porto Marghera, perché vi sono ben 24 mila famiglie che in Italia vivevano del lavoro prestato in quel settore. Ed è un settore strategico, poiché è da lì che si costruisce una delle materie oggi più diffuse, che abbiamo tutti quanti noi: le nostre scarpette di gomma, che si costruiscono con il PVC, si fanno in quegli stabilimenti. Ebbene noi una volta, quando gestivamo questo settore industriale strategico, riuscivamo a coprire addirittura il 60 per cento del fabbisogno del nostro Paese, perché già il 40 per cento lo dovevamo importare. Oggi invece abbiamo fatto un altro regalo alla Germania, perché non producendo più noi PVC tutta questa roba la produce la Germania. Pertanto, noi siamo diventati totalmente dipendenti dalla Germania per l'acquisto di PVC, per le scarpette di gomma che tutti quanti noi usiamo, oggi uno dei prodotti più diffusi. Questo a che serve? A mettere in ginocchio la nostra industria chimica. Per quale ragione? Per le ingerenze e per le pressioni di un'altra società pubblica, l'ENI, che addirittura non ha messo a disposizione per quelle società neanche le piattaforme, le cose più semplici, che potevano contribuire, oltre che alla materia prima, a poter andare avanti.
Perché? Perché il Governo Berlusconi, che non segue e non si interessa, se ne frega di una politica industriale, del lavoro e dell'occupazione, badava ad altre cose, doveva mettere sul mercato quest'operazione. Allora vi sono state delle offerte da una società dal Qatar: ma va, viene, che vogliono, quanto ci danno? E non se ne fa più nulla.
Poi vi è stata l'uscita del «superministro Berlusconi»: vi è un mio amico albanese che con la sua azienda rileverà il petrolchimico. L'azienda chimica italiana rinascerà con questo albanese. Ma hai visto tu albanesi, hai visto gente del Qatar? Non si è visto più nessuno. Io vedo solo oggi, come Italia dei Valori, che vi sono 24 mila famiglie il cui futuro è in discussione e che non lavorano, in un settore strategico industriale qual è il settore chimico.
La settimana scorsa, mentre assistiamo a questo modo di fare del Governo, l'economia italiana diventava sempre più gracile: la Borsa italiana Spa, che abbiamo audito la settimana scorsa in Commissione Pag. 21finanze, ci rivela - anche se non era un mistero - che sono quotate in Borsa poco più di 300 imprese, a differenza delle altre Borse, come quella di Londra, dove addirittura vi sono più di 2 mila imprese quotate. Perché è così rachitica? Perché soffriamo di un sistema ancora «bancocentrico», dove le banche vogliono farla da padrone, dove non preferiscono accompagnare, soprattutto le PMI, le piccole e medie imprese, a quotarsi in Borsa e a presentarsi sul mercato? No, loro preferiscono tenere per il collo le imprese, averle come clienti e non farle crescere. Ecco il sistema «bancocentrico» di questo Governo e questa maggioranza, al quale, dopo anni di Governo, non hanno saputo dare risposta e non hanno saputo sconfiggere per mettere in moto un'economia sana ed efficiente.
Si è preferito, invece, il capitalismo casereccio, il capitalismo fatto di «relazionismo», dove si è in un consiglio di amministrazione di una banca, di una finanziaria o di un'assicurazione perché si hanno rapporti con il Presidente Berlusconi, rapporti a destra o a sinistra: insomma, vivi perché sono i partiti che ti mettono nei posti; vi è l'occupazione della politica e dei partiti in una gestione partitocratica che non fa bene all'economia, anzi, che l'economia rifiuta.
Per questa ragione, noi abbiamo visto che questa politica di «relazionismo» ci ha portato dei dati devastanti: l'Italia era la seconda potenza mondiale manifatturiera, oggi invece in Italia l'industria più forte è diventata l'industria dei giochi e delle scommesse. L'Italia non sa più fare attività manifatturiera, non sa più essere un'industria produttiva di ricchezza, di PIL, ma si è fatta Paese di giocatori. È questa la ragione per la quale da più di un anno l'Italia dei Valori sta insistendo su questo settore, perché non è possibile che il Governo, per fare cassa, dei 61 miliardi di euro del fatturato dei giochi ne prenda 9 miliardi.
È logico, è il modo più semplicistico, ma così si sta avvelenando il Paese, che sta diventando un Paese di giocatori dove crescono le ludopatie. Questa è la ragione per la quale domani sarà svolta un'interrogazione dell'Italia dei Valori sui minori che vengono coinvolti nei giochi, in questa attività immorale e antisociale che state alimentando. Anziché aiutare le imprese e l'economia sana, voi alimentate il mondo dei giochi. State creando un Paese di giocatori, ed ecco perché l'Italia dei Valori non solo vi dice cosa non bisogna fare, ma in modo costruttivo, propositivo ed alternativo, con Di Pietro, abbiamo presentato una proposta di legge, perché il 14 maggio vi saranno da rinnovare le concessioni per le società da gioco.
Inoltre, domani presenteremo anche una risoluzione sui giochi per impegnare il Governo a fare il suo dovere e il suo lavoro. Non è infatti più possibile avere un'economia che va ormai senza più controllo. Non è più possibile essere assenti sui temi economici, sui temi finanziari, sui temi del lavoro e sui temi dell'occupazione perché è lì che è fallito il Governo Berlusconi! Non è fallito su Ruby, sul «bunga bunga», sulla D'Addario, ma sul lavoro che non c'è, sull'economia che non va, su un PIL che non cresce, sul disavanzo pubblico che aumenta! È qui che è fallito Berlusconi ed è questa la ragione per la quale prima se ne va il Governo Berlusconi e meglio staranno gli italiani!
Did you know, Ministro Tremonti, che mentre ho fatto il mio intervento, in questi dieci minuti sono nati 134 bambini negli Stati Uniti d'America?
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Barbato.
FRANCESCO BARBATO. Concludo, signor Presidente. Mentre ho fatto questo intervento sono nati 548 bambini in Cina e 790 in India. In Italia, durante questo intervento, sono nati 33 bambini. Non solo per tutti gli italiani, ma anche per questi bambini che sono nati durante il mio intervento, è il caso che il Governo Berlusconi, fallito sull'economia, se ne vada.
Noi dell'Italia dei Valori prenderemo il vostro posto e voi prenderete il nostro perché noi siamo il futuro di questo Paese! Noi siamo al fianco di quegli Pag. 22studenti e di quei lavoratori che vogliono un futuro! Questa è l'Italia dei Valori (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Motta. Ne ha facoltà.
CARMEN MOTTA. Signor Presidente, i pochi emendamenti presentati al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 26 del 25 marzo ultimo scorso, relativo a misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee annuali delle società, dimostrano che il merito della norma all'esame dell'Aula è circoscritto al seguente argomento: consentire alle singole società di convocare l'assemblea annuale nel termine di centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio 2010.
Le motivazioni del Governo all'emanazione di questo decreto-legge risiedono nel dare il tempo necessario alle società italiane di adeguarsi alle nuove regole introdotte dal decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 27, con il quale si è adeguato il nostro ordinamento alle nuove direttive e ai nuovi principi comunitari. In pratica, si posticipa di centottanta giorni la possibilità di convocare l'assemblea dei soci anche se non è previsto nello statuto.
Se la volontà del Governo è quella di agevolare la partecipazione più ampia possibile dei soci, superando l'ingorgo - definiamolo così - di tante assemblee in poco tempo, allora andrebbe accolto l'emendamento, proposto dal gruppo del Partito Democratico, che prevede di rendere permanente il termine di centottanta giorni.
In un Paese in cui l'incertezza giuridica è purtroppo un tratto distintivo del nostro sistema, perché lasciare una poco comprensibile discrezionalità al Governo di riservarsi di anno in anno, utilizzando magari il cosiddetto milleproroghe, di rinviare fino a centottanta giorni la possibilità di convocare le assemblee dei soci? Il nostro emendamento, che modifica l'articolo 2364, secondo comma, del codice civile, rende permanente il termine suddetto per offrire la massima accessibilità dei soci alle assemblee delle società quotate. Mi pare una proposta logica e di buon senso, che fa chiarezza anche nel diritto societario. Spero davvero che il Governo voglia esprimersi su questo emendamento in un modo positivo.
Tuttavia, il problema preminente non era e non è questo e il Ministro Tremonti non ha ritenuto di comunicarlo nemmeno al Parlamento in sede di audizione. La verità è che il provvedimento riguarda la vicenda Parmalat e i suoi assetti proprietari, tant'è vero che la stampa lo ha definito il «decreto antiscalate». A questo aggiungo che l'emanazione di questo decreto-legge è correlata all'articolo 7 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, di cui la Camera ha iniziato l'esame nelle Commissioni competenti, con il quale si autorizza la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale.
Il vero obiettivo, dunque, che il Governo e, in particolare il Ministro Tremonti, si prefiggevano era salvare Parmalat dall'acquisizione di Lactalis. Ma gli eventi che si sono succeduti su questa vicenda negli ultimi due mesi sono andati nella direzione opposta e i risultati sono ancora più mortificanti: il Partito Democratico lo ha ribadito in più occasioni, così come hanno fatto i colleghi Causi e Fluvi nei loro interventi in sede di discussione sulle linee generali e così come hanno fatto altri colleghi nella discussione di questa mattinata.
Il Governo latita, non mette in campo strumenti adeguati (una politica industriale di lungo respiro), non anticipa i problemi, ma li rincorre e improvvisamente - quando i buoi sono scappati dalla stalla - si sveglia e confusamente cerca una soluzione.
Come è a tutti noto, martedì 26 aprile, prima dell'incontro tra Berlusconi e Sarkozy, Lactalis ha giocato d'anticipo lanciando un'OPA volontaria e totalitaria su Parmalat. Il giorno dopo il giornale Libero titolava: «Parmalat e Draghi alla Francia, a noi gli immigrati. Che affare». E La Padania: «Berlusconi si inginocchia a Parigi». Lo ricordo, perché il Presidente del Pag. 23Consiglio ha sostenuto di essere stato attaccato ingiustamente dalla stampa di sinistra - come usa definirla - e perché il Ministro Bossi pochi giorni prima aveva tuonato che Parmalat non sarebbe mai stata francese.
Il mercato ha evidentemente logiche un po' diverse dall'improvvisazione politica, dalle roboanti minacce della Lega Nord e dall'incapacità del Governo di delineare strategie vincenti per tutelare le imprese di rilevante interesse nazionale. Che Parmalat fosse considerata un'azienda a rischio scalata era noto da tempo e, se davvero si fosse voluta difendere l'italianità di Parmalat, non a parole, ma nei fatti, sarebbe stata necessaria, per non dire indispensabile, la discesa in campo di un soggetto industriale italiano in grado di proporre un piano industriale competitivo con le risorse finanziarie per sostenere l'operazione.
Già a gennaio avevano iniziato a circolare indiscrezioni di possibili iniziative da parte di investitori internazionali in vista della prossima scadenza del consiglio di amministrazione guidato da Enrico Bondi. Il decreto-legge è di fine marzo e Lactalis aveva già acquistato circa il 29 per cento delle azioni di Parmalat. Questi sono i fatti inconfutabili, così come è certo che oggi Parmalat è un'azienda sana, una delle poche imprese multinazionali del Paese, con 1,5 miliardi di euro di risorse liquide.
Allora è d'obbligo una domanda: come è possibile spiegare l'adesione di tanti imprenditori alla cordata per Alitalia (azienda sull'orlo del fallimento) e la totale assenza di interesse nei confronti di un gruppo come Parmalat, leader anche in Sudamerica, con bilanci in utile, 1,5 miliardi di liquidità in cassa e prodotti di successo? A questa domanda dovrebbero rispondere doverosamente il Governo e il sistema imprenditoriale italiano e, mentre il piano «salva imprese» di Tremonti saltava sotto i colpi di Lactalis, francamente è risultata molto poco convincente la giustificazione del Ministro dell'economia che, a seguito del lancio dell'OPA da parte di Lactalis, dichiarava che ora i francesi spendono di più per acquistare Parmalat. Direi che si tratta di una magra consolazione, anche perché non è proprio corrispondente al vero, dal momento che la famiglia Besnier sta pagando le azioni meno di quanto ha dovuto sborsare ai fondi quando è arrivata al 29 per cento della società. Anzi, per voler essere precisi, come ha spiegato Il Sole 24 Ore (quindi un giornale non di sinistra), facendo due conti sull'operazione Lactalis-Parmalat i francesi hanno fatto un affare strepitoso: Lactalis ha speso 1,3 miliardi di euro per acquistare la prima quota del 29 per cento, investirà circa 3 miliardi per finanziare l'OPA, ma potrà recuperare almeno la metà dell'esborso cedendo alla Parmalat alcune delle sue attività e, magari, utilizzando la cassa di Parmalat.
Alla fine, il costo delle acquisizioni dell'azienda italiana leader nel settore del latte - lo ripeto - potrebbe essere limitata a 2 miliardi di euro. Il Sole 24 Ore si chiedeva perché nessuno in Italia ci abbia fatto un pensierino, quando senza l'assillo dell'urgenza predisporre un'operazione industriale sarebbe costato molto meno. Al contrario, il Governo ha pensato soltanto ad una barriera difensiva e ad un'operazione finanziaria: nulla sul fronte industriale.
Molti hanno tessuto le lodi del gioiello Parmalat, che - voglio precisarlo - non è sbocciato dal nulla. Vorrei che non si dimenticasse che, dopo il crack di otto anni fa, l'azienda si è salvata grazie alla straordinaria capacità di individuare obiettivi e strategie da parte di chi aveva la responsabilità di guidare Parmalat e per la dedizione e l'attaccamento dei lavoratori e del management, che hanno sempre creduto e combattuto per la nuova Parmalat, restituendo un patrimonio di altissimo valore al territorio e al nostro Paese.
Tale patrimonio è costituito anche da un vero e proprio tesoro tecnologico, consistente in brevetti che spaziano dalle tecniche di trasformazione del latte all'innovazione di prodotto e di processo. Di tutto questo, poco si è parlato, come del futuro dei lavoratori che si sono spesi, senza riserve, per salvare un'azienda di livello internazionale. Andranno preservate Pag. 24le risorse umane e l'intera filiera agroalimentare di riferimento, perché alla Parmalat sono legati gli interessi di una parte considerevole del settore agricolo italiano, compresi i produttori di latte. Di questi problemi dovrebbe occuparsi seriamente il Governo e non di altro. Ma fino ad ora ciò non è accaduto.
Finiti i tempi dell'ipotetica e mai realizzata cordata italiana, la Cassa depositi e prestiti si riserva di valutare l'offerta francese per entrare nell'azionariato di Parmalat con una quota del 10 per cento a presidio, da quanto si legge sulla stampa, dell'italianità del progetto. Ma più che questo intervento, ciò che maggiormente conta oggi è il futuro industriale dell'azienda, le garanzie per il mantenimento dei posti di lavoro, le garanzie dei produttori allevatori, le garanzie perché il core business resti a Collecchio. I francesi di Lactalis hanno dichiarato che la testa dell'azienda resta in Italia ma non si precisa dove, e questo non è un dettaglio da poco.
Ciò che conterà davvero sarà, dunque, il piano industriale, che dovrà garantire la continuità produttiva e gli asset strategici dell'azienda. Il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che dovrà esaminare il prospetto dell'OPA francese, ha dichiarato che devono essere chiari gli obiettivi dell'OPA e le ricadute industriali e occupazionali. Ecco, appunto, proprio di questo ci si dovrebbe occupare e dovrebbe occuparsi il Governo e avrebbe dovuto occuparsene nelle settimane scorse. Ciò conferma che la vicenda Parmalat sta dimostrando come l'Italia non può più rimanere priva di una politica industriale capace di guardare al futuro e che si devono abbandonare politiche puramente difensive e, nel caso specifico, tardive. È necessaria una politica industriale che offra strumenti alle imprese per competere, per internazionalizzarsi e per accrescere la loro capitalizzazione.
Inoltre, va posto - e lo pongo con chiarezza - un punto: il problema non è l'ingresso di capitale straniero che investe nel nostro sistema produttivo, ma chi guida questo processo e quali impegni assume. Il Governo, se vuole agire, deve farlo come regolatore del mercato, così come hanno fatto i Governi francese e tedesco con ottimi risultati. Ma mi sembra che l'intervento governativo non sia andato esattamente in questa direzione.
Il made in Italy non può più essere uno slogan. La politica del Governo, visto che è il Governo del fare, deve occuparsi delle condizioni in cui le imprese operano e dei problemi di competitività del nostro sistema produttivo.
Il Presidente Berlusconi, nella conferenza stampa con Sarkozy del 26 aprile, ha considerato non ostile l'OPA di Lactalis su Parmalat, esattamente il contrario di quanto pensava il Ministro Tremonti. Se quanto successo fosse accaduto durante il precedente Governo di centrosinistra, sarebbe scoppiato il finimondo e giova ricordare che quando Air France si propose di rilevare l'Alitalia Berlusconi lo definì un atto di guerra da cui difendersi.
Per onestà intellettuale e politica il Presidente del Consiglio dovrebbe spiegare al Paese cosa significa comprarsi un'azienda sana e con una liquidità di un miliardo e mezzo di euro. Dovrebbe spiegare, insieme al Ministro Tremonti, perché dopo l'approvazione del decreto-legge al nostro esame, avvenuta il 23 marzo, in un mese nessuna cordata italiana è stata in grado di accordarsi per controbattere l'iniziativa francese, che - lo sottolineo - ha lanciato un'OPA agendo secondo le regole del mercato.
Non credo che il Parlamento e il Paese avranno queste risposte, ma la vicenda Parmalat ha messo definitivamente a nudo le enormi contraddizioni di un Governo ricco di effetti speciali, ma molto povero di risultati concreti. Gli interessi nazionali sono una cosa seria e hanno bisogno di una politica economica seria e capace di costruire il futuro produttivo del Paese. Per ora e ancora una volta dobbiamo registrare qualche dichiarazione non proprio brillante da parte di esponenti del Governo e una sonora sconfitta, purtroppo, per il Paese, per Parmalat e per tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Graziano. Ne ha facoltà.
STEFANO GRAZIANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame è la rappresentazione plastica di una politica industriale fragile nei contenuti e debole anche nell'approccio che il Governo si appresta a mettere in campo su questo caso specifico. Infatti, sebbene le disposizioni incidano sui poteri degli organi societari di convocare l'assemblea ordinaria, esse sono state modellate per affrontare l'attualità di un'azienda italiana presa di mira dall'investitore straniero.
Nel merito, il decreto-legge consente di posticipare i termini per la convocazione dell'assemblea annuale in favore di alcune tipologie di società italiane quotate in borsa. In deroga alle disposizioni del codice civile, esso consente lo slittamento, da centoventi a centottanta giorni dall'approvazione del bilancio di esercizio, dei termini per la convocazione dell'assemblea annuale anche quando tale possibilità non è prevista dallo statuto. Lo statuto, ad oggi, può prevedere un maggiore termine - comunque non superiore a centottanta giorni - nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato, ovvero quando lo richiedano particolari esigenze relative alla struttura o all'oggetto della società; in questi casi gli amministratori devono spiegarne le ragioni. Il provvedimento consente anche alle società interessate, che all'entrata in vigore del decreto-legge abbiano già pubblicato l'avviso di convocazione dell'assemblea annuale, di convocare l'assemblea a nuova data. La nuova convocazione è possibile solo se non è trascorso, con riferimento all'assemblea originariamente convocata, il termine per l'invio delle comunicazioni che legittimano all'intervento in assemblea e all'esercizio del diritto di voto. Le disposizioni riguardano poi il caso in cui l'assemblea sia stata convocata anche per la nomina dei componenti degli organi societari. La possibilità di rinvio a nuova data è estesa anche all'assemblea straordinaria. Per il Governo questo intervento servirebbe ad aiutare le imprese nella fase di rodaggio a seguito dell'applicazione delle norme introdotte nel decreto legislativo 27 gennaio 2010 n. 27, un provvedimento con cui il nostro ordinamento ha adeguato le norme relative allo svolgimento delle assemblee dei soci a direttive e principi comunitari. Tuttavia, le norme citate sono del 2010, ci si aspetta quindi che le imprese abbiano già dato prova di saper operare su basi diverse. Evidentemente però per il Governo non basta più di un anno affinché il management delle imprese impari ad applicare le nuove norme, ma serve più tempo: un vero e proprio elogio alla lentezza.
Ma allora dov'è l'urgenza? Forse al Governo sarebbe bastato dire che prevedere centottanta giorni per la convocazione dell'assemblea dei soci serve a garantire ai soci e ai piccoli risparmiatori l'uguale opportunità di partecipazione. Se questo è vero, è altrettanto vero prevedere che il termine derogatorio abbia una validità permanente, non temporanea, transitoria e discrezionale. Questo è il senso alla nostra proposta emendativa al riguardo, che intende accogliere questa esigenza come caratteristica strutturale; agire in senso diverso significherebbe invece giustificare chi ritiene - e non a torto - che lungaggini, incertezze e storture siano cause primarie della fuga degli investimenti dal nostro Paese.
In barba alla trasparenza, alla certezza del diritto, alla qualità della legislazione, alla chiarezza delle regole questa misura sarà ripetuta ogni anno, farà parte del contenuto del decreto «milleproroghe». Sarebbe a dire che il termine di scadenza previsto dall'assemblea annuale della società per l'approvazione del bilancio è subordinato al decreto «milleproroghe»: un bell'esempio di certezza del diritto. In realtà, solo ad un osservatore ingenuo questo decreto-legge appare solo poco urgente e non meno illogico. A smascherare il senso e la fretta di approvarlo è la realtà dei fatti. Al di là del nobile gesto di aiuto del Governo alle imprese, la motivazione di fondo - questa volta - è un po' meno nobile: il provvedimento riguarda gli aspetti societari del gruppo Parmalat. Pag. 26
Il sospetto che la conversione di questo decreto sia approvata proprio per favorire Parmalat è dato dal fatto che solo pochissime società quotate, oltre ad essa, hanno utilizzato la norma contenuta nel decreto-legge che consente di spostare le assemblee annuali. All'indomani del Consiglio dei ministri del 23 marzo scorso Umberto Bossi non usa mezzi termini e dice testualmente che chi ha seguito l'ultimo Consiglio dei ministri sa che la Parmalat non va ai francesi ma resta in Italia. Collecchio non andrà Oltralpe. L'obiettivo è dunque mantenere Parmalat italiana. Complimenti. Il campo in cui si gioca però è scivoloso, non solo per motivi di diritto - cambiare le regole del gioco in corso d'opera non è innocuo - ma anche per motivi legati alla nostra credibilità di muoverci nelle regole del mercato, che sono la forma moderna di politica industriale, regole del mercato pensate neppure permanenti, ma discrezionali e lacunose, che nei fatti quegli amministratori che sulla base del decreto-legge hanno deciso di posticipare lo svolgimento dell'assemblea, abbiamo ritenuto, con il nostro emendamento, di salvaguardare ancora una volta da possibili azioni di responsabilità, ma su questo il Governo la pensa diversamente: la vera urgenza del provvedimento è che il Governo non ha per tempo preparato una risposta all'attacco di Lactalis, peraltro annunciato e noto al Governo, che corre ai ripari con un provvedimento che ha tutto il sapore della contingenza dell'ultima ora. Questo evidenzia come non ci sia stato un chiaro disegno di politica industriale che faccia riferimento ad alleanze industriali, a sviluppo, tecnologia e internazionalizzazione. Limitarsi ad interventi di mera natura protezionistica a tutela dell'italianità delle aziende quotate significa assumere un atteggiamento difensivo di un sistema industriale che non è pienamente competitivo nello spazio economico europeo. Questa risposta è la conseguenza dell'assenza di una politica industriale che guardi al territorio, alle sue istanze e alle sue potenzialità. Una risposta più efficace sarebbe stata quella di dare un assetto più solido al capitale di un'azienda tanto rilevante nel panorama agroalimentare italiano, un assetto stabile, in grado di farla crescere, di mantenere legami forti con il territorio e con tutta la filiera produttiva.
Ciò che serve sono atti concreti e urgenti per il rilancio e l'ammodernamento del settore lattiero-caseario, per tutelare i marchi italiani è necessario proteggere le materie prime, difendere le tipicità dei nostri territori. Ancora una volta, cari colleghi, invece constatiamo e denunciamo il disinteresse profondo del Governo per un settore primario, la totale assenza di una strategia che consenta al comparto di uscire dalla crisi e di riprendere un ciclo economico positivo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Compagnon. Ne ha facoltà.
ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la genesi di questo decreto-legge è nota, si tratta di un provvedimento scritto in fretta e furia per ragioni di urgenza legate alle vicende societarie del gruppo Parmalat, che reca una norma di carattere transitorio rispetto ai tempi ed alle modalità di convocazione delle assemblee societarie di società quotate italiane. Un provvedimento divenuto già superfluo a seguito della decisione del tribunale di Parma che ha respinto l'istanza presentata dal gruppo francese Lactalis contro la decisione del consiglio di amministrazione di Parmalat di rinviare al 28 giugno l'assemblea dei soci per l'approvazione del bilancio e il rinnovo degli organi di amministrazione, e che oggi appare ancora più inutile dopo il lancio dell'OPA della società Lactalis, che dopo aver subito pressioni politiche e mediatiche non preventivate ha chiuso l'ultimo atto di una lotta che si era aperta per il rinnovo del CdA e si è presto trasformata in uno scontro per il controllo della Parmalat stessa.
Al di là delle buone intenzioni dunque, anche in questa occasione abbiamo assistito all'ennesima dimostrazione della mancanza di politica industriale del Governo, Pag. 27che ha temporeggiato in attesa del materializzarsi di una cordata italiana che non c'è stata o che comunque è rimasta spiazzata dalla forza del gruppo francese, ma quello che non avremmo voluto vedere e ascoltare sono le dichiarazioni del Presidente del Consiglio durante la conferenza stampa a Villa Madama dopo il vertice Italia-Francia, favorevole alla creazione di grandi gruppi italo-francesi o franco-italiani, in pratica una dichiarazione di resa.
Oggi ci si preoccupa per la probabile perdita di un importante patrimonio e di un marchio italiano tirando in ballo la mancanza di reciprocità nei rapporti Italia-Francia, passando, a giorni alterni, tra pulsioni nazionaliste e spinte liberiste. Ci si vanta di aver approvato la legge sulla tutela del made in Italy e poi ci si fa sfilare sotto il naso un pezzo di quella italianità che si vuole difendere. Ricordando le parole del Ministro Bossi del 26 marzo scorso, quando aveva affermato che Parmalat non va ai francesi, ma resta in Italia, allo stato dei fatti, dobbiamo forse pensare che si riferisse solo ed esclusivamente alla sede fisica della società di Collecchio.
La mossa di Lactalis è uno schiaffo alla politica italiana e al suo Ministro dell'economia e delle finanze, che pur di mettere in mani italiane la società di Collecchio aveva fatto approvare in Consiglio dei ministri questo decreto «anti-scalate» e inserito nel decreto-legge omnibus, che la Camera esaminerà a breve, un ruolo decisivo nell'operazione per la Cassa depositi e prestiti. Non è in questo modo che si potranno tutelare le nostre imprese soprattutto dagli appetiti di capitali esteri freschi. Il nostro patrimonio industriale va difeso con una politica industriale seria, con adeguati sostegni, e non solo finanziari. Occorre una strategia che interessi tutti gli anelli delle filiere produttive per creare quelle sinergie che fanno la differenza.
Alcuni sostengono che «Parigi val bene una messa», alludendo allo scambio di favori per la nomina di Draghi alla BCE, ma saremmo curiosi di sapere cosa ne pensa in realtà, veramente, il Ministro Tremonti della vicenda, anche perché ora la partita si sposta dal tavolo della politica a quello della finanza. Il tempo delle trattative a livello governativo è spirato, morto, ora dobbiamo vedere cosa faranno le banche italiane di fronte all'offerta del francesi già in possesso, ricordo, del 29 per cento, lanciata sul 71 per cento del capitale, per un controvalore massimo dell'offerta di 3,37 miliardi di euro, anche se l'ipotesi di un ingresso della Cassa depositi e prestiti, per la verità, non è ancora tramontata del tutto. Certo, il blocco dell'OPA significherebbe o superare i 2,60 euro per azione offerti da Lactalis, a cui verrebbe concessa l'opportunità di realizzare una cospicua plusvalenza sul suo 29 per cento di azioni, oppure bloccare il pacchetto Lactalis al 29 per cento, non mettendo sul mercato le azioni presenti, né i fondi detenuti dalle banche, ma questo significherebbe mettere un punto interrogativo pesante sulla testa della società Parmalat. Ma, al di là delle procedure tecniche, è ben difficile che si realizzi in poco tempo ciò che non è riuscito in più di un mese e che si materializzi quella famosa cordata tanto decantata, come in altre occasioni in passato.
Nel suo comunicato Lactalis spiega che il progetto è quello di creare un campione di rilevanza mondiale con sede, organizzazione e testa in Italia, che mantenga la quotazione delle azioni a Piazza Affari, di puntare anche loro sulla tutela dell'italianità di Parmalat, salvaguardando gli asset produttivi, i dipendenti e la filiera italiana del latte nell'interesse dell'economia del territorio.
Il prospetto dell'OPA è all'attenzione della Consob che, mi auguro, lo guardi con la lente di ingrandimento. Noi dobbiamo solo augurarci che le promesse dell'amministratore delegato di Lactalis vengano mantenute e che il Governo vigili, almeno, sulle promesse fatte visto che, dopo aver fatto fuoco e fiamme per evitare questo epilogo, ora assiste e benedice quasi questa operazione.
Due considerazioni finali, signor Presidente. Questa vicenda lascia una macchia Pag. 28sul sistema imprenditoriale italiano, incapace di sfornare un gruppo industriale in grado di subentrare a Parmalat, se per scarso interesse o per mancanza di coraggio questo non ci è dato sapere. Rimane poi il fatto che quello che è accaduto è un'altra ferita sulla pelle dei tanti risparmiatori italiani che hanno assistito al salvataggio di Parmalat grazie anche al loro sacrificio, una sorta di «Alitalia 2», un film purtroppo già visto, con il biglietto pagato dai piccoli azionisti ed obbligazionisti.
Quante volte noi in quest' Aula - e anche il sottoscritto in particolare - siamo intervenuti in tal senso? Sono sempre gli stessi a pagare: i piccoli e gli indifesi. Ma di tutelare questi soggetti, di tutelare queste persone, il Governo, questa maggioranza, da troppo tempo non ne vuol sapere e non ne vuol sentire.
Allora, signor Presidente - e concludo veramente - io credo che queste migliaia di persone, che hanno visto vanificare i risparmi di una vita di lavoro, non si dimenticheranno facilmente di quanto stanno facendo questo Governo e questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ventucci. Ne ha facoltà.
COSIMO VENTUCCI. Signor Presidente, abbiamo già espresso il nostro parere nella discussione sulle linee generali, ma considerato come l'opposizione, nel faticoso lavoro istituzionale di opporsi alla maggioranza, ha iniziato questa mattina i lavori di Aula, debbo semplicemente riconoscere e prendere atto di questo sforzo che l'opposizione sta facendo e lo dice uno che per quasi nove anni - otto anni e mezzo - ha fatto opposizione in questo nuovo corso della politica nazionale. C'è stata un'alternanza e i famigerati della sinistra sono andati al Governo, dimostrandosi anche capaci di governare, e di governare nella democrazia. Nell'alternanza, oggi torniamo noi al Governo e dobbiamo apprezzare lo sforzo che anche noi, a suo tempo, abbiamo fatto nella dialettica parlamentare.
A proposito di questo provvedimento, intervengo al di là di quelle che possano essere le parole sopra le righe che ho ascoltato stamane, nella ripetizione del discorso dell'onorevole Causi e anche nell'ultimo interlocutore dell'UdC, l'onorevole Compagnon, che si è espresso con parole piuttosto pesanti, sostenendo che il Governo si lascia «sfilare» un gioiello come la Parmalat e che è uno schiaffo all'economia nazionale. Mi sembrano parole estremamente ingenerose, ma adatte ovviamente al ruolo dell'opposizione.
Debbo ricordare che questo nostro Paese per il 95 per cento è composto, nella sua attività economica, da aziende che sono delle piccole e medie imprese. Venti anni fa erano aziende che occupavano una media di 19 dipendenti cadauna; oggi la media è scesa fortemente e ci attestiamo a circa 5-6 dipendenti per piccole aziende, per lo più di natura familiare, che portano però il nostro Paese ad essere il secondo quanto a produzione nell'attività manifatturiera (al primo posto vi è la grande Germania). Questo lo si deve alla nostra inventiva o, se volete abbassare i toni sulla nostra inventiva, diciamo pure che opera quell'arte di arrangiarsi, che ci ha fatto primeggiare nell'economia con prodotti di alta qualità.
Di converso, abbiamo circa 52 distretti industriali, che partecipano alla nostra rete di esportazione, fra i quali il distretto di Parma, il quale, dopo le vicissitudini sconcertanti - che tutti quanti conoscono - per quanto attiene alla gestione della Parmalat, una volta risanata questa industria, nel 2010 ha portato un aumento delle esportazioni del 40 per cento, che si va ad aggiungere e ad incrementare quel 12,9 per cento, che è il dato estremamente positivo per il 2010, ovvero la percentuale in più per le nostre esportazioni. Ora, se la Parmalat ha raggiunto situazioni di stabilità, tale stabilità deve essere ovviamente gestita.
Guarda caso un'azienda che ha già incamerato aziende italiane come la Galbani, l'Invernizzi, la Cademartori, la Locatelli e la Vallelata (tutte aziende che sono state acquisite dal gruppo francese Pag. 29Lactalis) è chiaro che non si lascia sfuggire la possibilità, rispettando le regole, di aggredire - perché credo che questa sia la parola esatta, ma da un punto di vista economico - un'azienda che ha addirittura nel cassetto 1 miliardo e 500 milioni, anche se una parte di questi soldi vengono da accordi extragiudiziali, quindi non sono ripetibili.
Ho messo in evidenza, signor Presidente, che questa attività di ricerca del mercato nazionale da parte della Lactalis mal si inquadra all'interno delle regole europee, perché queste ultime sono tali se tutti le rispettano. Laddove esiste una burocrazia che fa in modo che queste regole vengano rispettate dagli altri ma non dalle potenze che pensano di gestire questa nostra Unione europea, credo che si creino molti dubbi.
I dubbi vengono; non dovrebbero sussistere laddove in un libero mercato un'azienda di un Paese che fa parte dell'Unione europea venga a fare mercato nel nostro Paese. Ciò non dovrebbe spaventare nessuno. Si stanno verificando, però, situazioni veramente anomale nel campo della gestione della nostra Europa, anomalie che si riscontrano già nella mancanza di reciprocità nel rispetto degli accordi.
Questo vale - o è valso - quando le nostre aziende hanno cercato di fare scalate all'interno dei Paesi amici, perché i Paesi amici come la Francia, in maniera estremamente intelligente, hanno creato un fondo strategico di investimento che è gestito dal proprio Governo e tutela le scalate di altri Paesi nei confronti delle aziende che loro ritengono strategiche. E strategiche non sono solamente quelle militari, ma anche quelle come la Lactalis, le aziende dell'industria e di altri comparti, intese come strategiche per l'economia e non solamente per i prodotti sensibili.
Ho una certa esperienza professionale nel campo del commercio con l'estero e dei rapporti con la dogana. Uno strano processo, che è avvenuto in questo momento, è sfuggito a molti.
Nel ratificare le norme del Trattato di Lisbona ci siamo accorti che, in un trafiletto, vi era scritto che la gestione delle dogane non è più di competenza degli Stati nazionali, ma della Commissione di Bruxelles e mi sono domandato perché tutto sia rimasto inosservato (fatta eccezione per una mia nota nella discussione presso la VI Commissione finanze). A tale domanda una risposta me la do, signor Presidente.
Infatti, vediamo che nei nostri porti arrivano quantità minimali di prodotti provenienti dal famigerato comparto cinese (soprattutto quello tessile), mentre migliaia di tonnellate di questi prodotti arrivano con i truck dal porto di Rotterdam. Quando si va a leggere nelle statistiche delle dogane italiane che in Olanda si emettono 68 milioni di documenti doganali e in Italia appena 12 milioni, è chiaro che viene facile il rapporto che in Olanda ci sono 16 milioni di abitanti e in Italia ce ne sono 60 milioni.
Ebbene, l'Italia è una penisola all'interno del Mediterraneo e, se le navi attraversano Suez, oltrepassano i porti italiani, attraversano Gibilterra e quindi il periplo della penisola iberica e vanno a scaricare a Rotterdam, è chiaro ed evidente che c'è qualcosa che non va.
Ciò vuol dire che nei porti di Rotterdam o di Anversa le merci si scaricano e si gestiscono con molta più facilità, eludendo quelle che sono le regole che, però, noi eseguiamo ed applichiamo. Negli altri Paesi probabilmente queste regole non sono applicate, perché parte di quelle merci sono destinate all'Italia. Allora se arrivano by truck, cioè con i camion in Italia, vuol dire che c'è qualcosa che non va.
Il concetto delle merci immesse in libera pratica per cui gli altri Paesi incamerano il dazio e l'IVA, ci sottrae non solo la percezione degli oneri che vanno in capo ai Paesi nei quali vengono sdoganate le merci ma addirittura bypassa quelle formalità per cui il nostro Governo sette anni fa ha adottato la famosa norma relativa allo sportello unico che è stato attuato a febbraio di quest'anno. Noi rispettiamo Pag. 30le regole ma gli altri - lo dico con molta chiarezza - non le rispettano e questo ci crea un danno.
Ecco perché - e credo che il Ministro Tremonti abbia fatto bene a tutelare la difesa dell'italianità nel caso specifico della Parmalat - non è accettabile che una forma di burocratizzazione possa bloccare o frenare l'economia nazionale.
Signor Presidente, riprendendo uno scritto di Alain Besançon, dico che, se non si può essere intelligenti sotto l'ideologia, credo che non si possa esserlo neanche sotto la burocrazia dell'Unione europea. Quello che io sostengo è che non solamente una parte dei 27 Stati dell'Unione europea tra quelli che si sono aggiunti in un secondo momento, ma una parte degli stessi Stati che hanno fondato l'Unione europea non rispetta le regole e, guarda caso, si tratta proprio degli Stati che per secoli hanno gestito le colonie e che hanno una facilità di rapporto mercantile con l'estero e con le stesse colonie che non ha la nostra Italia.
Non ci si venga a dire che anche noi abbiamo gestito le colonie, perché sappiamo benissimo che andavamo a costruire le strade, e del petrolio che stava nel sottosuolo non ce ne eravamo neanche accorti. Quindi, è un discorso estremamente delicato quello che facciamo ma che sta nella realtà delle cose una differenza forte - facciamo i nomi - tra la gestione della Germania, della Francia, dell'Inghilterra, dell'Olanda e del Belgio e la nostra gestione.
L'Olanda ha uno «sfogo» mercantile che riguarda tutta l'Indonesia mentre per quanto riguarda il Belgio non dimentichiamo le ricchezze del Congo belga e in particolare il rame e lo stagno del Katanga. Al di là della perdita delle colonie si tratta di ricchezze che ancora gestiscono queste piccole nazioni che sono tra gli Stati fondatori dell'Unione europea e che non rispettano le regole.
Signor Presidente, temo - al di là di quella che può essere la difesa della Parmalat con il decreto-legge in esame - che ci possa essere qualcosa di più grande.
Mi auguro - e concludo questo mio breve intervento - signor Presidente, che questi Paesi fondatori dell'Unione europea che hanno gestito le colonie non si facciano prendere da un sentimento di occidentalizzazione perché sarebbe veramente un grande disastro.
L'Europa non si può permettere di occidentalizzare gli altri Paesi ed è un auspicio che noi esprimiamo anche parlando di economia e di interesse di questa nostra Parmalat. Oggi non dovrebbe sussistere il decreto-legge in esame se la Francia o gli altri Paesi europei si comportassero con reciprocità nei confronti dell'economia europea.
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi sul complesso degli emendamenti presentati. Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 15 con il seguito della discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge sulle assemblee societarie annuali.
La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 15.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Lusetti e Valducci sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Si riprende la discussione.
PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si sono conclusi gli interventi sul complesso degli Pag. 31emendamenti. Avverto che prima dell'inizio della seduta sono stati ritirati gli emendamenti Fluvi 1.2 e 1.4.
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,05).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15,30.
La seduta, sospesa alle 15,05, è ripresa alle 15,30.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI
Si riprende la discussione.
(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 4219)
PRESIDENTE. Invito la Commissione ad esprimere il parere sull'emendamento Barbato 1.3.
GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario sull'emendamento Barbato 1.3.
PRESIDENTE. Il Governo?
LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal presidente della VI Commissione.
PRESIDENTE. Sta bene. Passiamo alla votazione. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, in sede di discussione sulle linee generali abbiamo detto quanto sia inconsistente questo disegno di legge, che pretende di intervenire in modo «sovietico» per limitare la libertà di azionisti che si sono dati degli statuti. Il nostro emendamento ha lo scopo di ripristinare quanto meno la situazione per la quale quando uno statuto è stato condiviso, deliberato e deciso dagli azionisti di una società, non può essere lo Stato ad imporre regole diverse da quelle che gli azionisti medesimi si sono liberamente dati. Chiediamo, quindi, che solo per il caso in cui lo statuto lo prevedesse, perché la legge lo permetteva anche prima, si possa procedere allo slittamento delle assemblee, e non negli altri casi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Comaroli. Ne ha facoltà.
SILVANA ANDREINA COMAROLI. Signor Presidente, questo emendamento dell'Italia dei Valori introduce una quantità esagerata di paletti e misure restrittive. Infatti, cito testualmente: «(...) sono sottoposti ad autorizzazione preventiva da parte del Ministero dell'economia e delle finanze gli investimenti esteri realizzati in Italia». Come si evince, è assolutamente contro il libero mercato. Non capiamo come mai allora, nel 2007, quando la Lega Nord Padania aveva presentato degli emendamenti dove semplicemente si chiedeva la reciprocità del rispetto delle regole tra i Paesi dell'Unione europea, l'Italia dei Valori aveva votato contro. Per la Lega Nord già allora era necessario introdurre un principio per cui si dovevano evitare situazioni in cui società italiane potevano venire acquistate da società estere, mentre, invece, società italiane non potevano andare ad acquistare società estere, poiché Pag. 32negli altri Paesi vi erano norme a tutela delle loro società e della loro economia. È mancato, dunque, il coraggio, la capacità politica, già nel 2007, del Governo Prodi e dell'Italia dei Valori, che di quel Governo faceva parte, di incidere su una direttiva europea che doveva tener conto di questi aspetti determinanti per il futuro del nostro sistema economico. Le imprese saranno già chiamate ad applicare le disposizioni del decreto legislativo del 27 gennaio 2010, n. 27, che ha profondamente modificato la disciplina degli interventi in assemblea del diritto di voto.
Considerate, quindi, le incertezze applicative di questa disciplina si è ritenuto, con questo decreto-legge, di consentire agli amministratori di rinviare l'assemblea per una migliore organizzazione della stessa. Pertanto, il gruppo della Lega Nord voterà contro questo emendamento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Onorevole Comaroli, ricordo che si tratta dell'emendamento Barbato 1.3. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.
RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, mi dispiace per la collega della Lega Nord che è appena intervenuta, ma credo che questo emendamento sia stato dichiarato inammissibile e, quindi, le osservazioni svolte sono tranquillamente da cancellare.
Ci sarà ovviamente altro ragionamento da fare sui successivi emendamenti. Credo che sia noto a tutti quanti, signor Presidente, che questo decreto-legge sia strettamente collegato con l'articolo 7 del cosiddetto omnibus che è all'esame delle Commissioni riunite bilancio e cultura.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Barbato 1.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Prego i colleghi di affrettarsi... onorevole Barbaro non riesce... i colleghi hanno votato... onorevole Reguzzoni ha votato... onorevole Di Pietro...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia
).
(Presenti 493
Votanti 263
Astenuti 230
Maggioranza 132
Hanno votato sì 20
Hanno votato no 243).
Prendo atto che il deputato Colaninno ha segnalato che non è riuscito a votare, mentre avrebbe voluto astenersi.
Avverto che consistendo il disegno di legge in un solo articolo si procederà direttamente alla votazione finale, a norma dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.
(Esame di un ordine del giorno - A.C. 4219)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'unico ordine del giorno presentato (Vedi l'allegato A - A.C. 4219).
Nessuno chiedendo di intervenire per illustrare l'ordine del giorno presentato, invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere.
LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo accetta l'ordine del giorno Fluvi n. 9/4219/1.
PRESIDENTE. Prendo atto che il presentatore non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Fluvi n. 9/4219/1, accettato dal Governo. Pag. 33
È così esaurito l'esame dell'unico ordine del giorno presentato.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 4219)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, svolgo una breve dichiarazione. Ci asteniamo su questo provvedimento, considerando il fatto che appare in tutta la sua inutilità, perché se si trattava di introdurre un elemento di flessibilità in un atto della vita della società, come era già stato fatto in occasione del decreto milleproroghe, lo si poteva fare. Se, come qualcuno ha sostenuto, si riteneva invece che questo fosse un elemento di flessibilità strutturale, andava inserito a modifica del codice civile. Invece abbiamo preso una decisione a metà, che era ovviamente fuorviata dall'idea che si è fatto credere che questa modifica servisse per intervenire sulla vicenda di Parmalat. Poi il Ministro ha smentito, ma Fugatti, nel fare la sua relazione ha riconosciuto che questo è l'intento. Orbene, il decreto non è servito a nulla perché, com'è noto, quando i francesi hanno messo sul piatto i quattrini le cordate che si stavano organizzando si sono ritirate senza alcun dubbio. Ciò lascia intendere che forse il Governo dovrebbe fare una riflessione di carattere molto più approfondito sulla politica industriale di questo Paese. Forse è sbagliato anche chiamarla politica industriale, ma non vi è dubbio che questo atteggiamento è ambiguo, ondivago: un giorno si mostra la mascella volitiva, decisiva, l'altro giorno poi si prende atto, come nel vertice Italia-Francia, che gli argomenti che dovevamo mettere in campo erano per davvero modesti.
Contemporaneamente, nel cosiddetto decreto omnibus viene avanti un'idea, con l'articolo 7, di ripristinare una sorta di politica industriale attraverso l'iniziativa dello Stato imprenditore, che però, nella fattispecie, viene proposta tenendo conto di un unico obiettivo: quello di acquisire potere in capo al Governo senza porre gli strumenti del controllo parlamentare, che già durante il tempo assai contraddittorio «ma pure positivo» delle partecipazioni statali era posto in capo al Parlamento. Quindi, è un'accozzaglia di posizioni. Sarebbe stato molto meglio prendere atto delle regole del mercato sulla vicenda Parmalat-Lactalis, ritirare questo decreto-legge e magari dedicarci a qualche provvedimento di natura maggiormente organica (Applausi dei deputati del gruppo Misto - Alleanza per l'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BARBATO. Deputato Presidente, colleghi e colleghe deputati, con il provvedimento di oggi si passa da un modello legislativo che abbiamo conosciuto e visto il mese scorso, la legge ad personam, a quello di oggi, che invece è la legge ad aziendam. Tuttavia con la differenza che questa modalità legislativa, se può essere efficace per Berlusconi con la legge ad personam, non è efficace per la legge ad aziendam, per la Parmalat. Infatti noi viviamo un «tempo esponenziale»: un tempo esponenziale significa che l'economia è sensibile e riceve contraccolpi e condizionamenti che vengono dall'esterno. Ecco perché vorrei chiedere al Presidente Berlusconi e al Ministro Tremonti se se ne sono accorti che, alla fine, questo provvedimento, volendo usare la vulgata generale, rappresenta per questo Governo quella che in piazza si dice una grande figura di merda, perché non ha risolto proprio nulla (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)...
PRESIDENTE. Onorevole Barbato, non le consento di usare questi termini! La prego di scusarsi immediatamente con l'Aula!
FRANCESCO BARBATO. Chiedo scusa e voglio chiedere però se sono a conoscenza, Pag. 34il Presidente del Consiglio e il Ministro Tremonti - did you know, Ministro Tremonti? Lo sa che oggi vi sono 540 mila termini in inglese, cinque volte di più di quando viveva Shakespeare? - Lo sa il Ministro Tremonti che i primi quattro lavori del 2010 non erano affatto conosciuti nel 2004? Lo sa che il flusso di informazioni tecnologiche si raddoppia ogni due anni? Lo sa, il Ministro Tremonti, che per i giovani studenti che stanno conseguendo una laurea tecnica, per effetto di questi flussi informatici così veloci le materie che studiano nel terzo anno di studio sono superate e sono più avanti rispetto a quanto hanno studiato nel primo anno di studi?
Lo sa, ad esempio, il Ministro Tremonti che gli studenti di oggi tra 28 anni avranno cambiato ben 10-14 tipi di lavori? Lo sa, il Ministro Tremonti, che un lavoratore su quattro non svolgerà più lo stesso lavoro entro un anno? Lo sa, il Ministro Tremonti, che nel 2013 vi sarà un supercomputer che avrà una capacità tecnologica e computazionale superiore al cervello umano, per cui avrà la capacità di immagazzinare informazioni e di trasmetterle e questo avverrà solo nel 2013? Ma questo sta a significare una sola cosa: questo Governo, questa politica, questo palazzo marciano ad una velocità diversa da quella che va fuori dal palazzo.
Se il sistema impresa marcia con la sesta, il Governo Berlusconi, una certa politica e questo Palazzo marciano con la prima e ciò rappresenta un freno per l'economia e per le imprese del nostro Paese.
Il problema per le nostre imprese è rappresentato da questo Governo e da questa maggioranza. Funziona così, e ne abbiamo contezza perché lo dice un grande imprenditore; Benetton ha detto che se avesse trent'anni in meno andrebbe via dall'Italia, la Marcegaglia dice che mai, come con questo Governo, gli imprenditori si sono sentiti isolati e abbandonati. Ecco che cosa fa male al nostro Paese, e non ve lo dicono l'Italia dei Valori o Di Pietro, ve lo sta dicendo il mondo delle imprese che state massacrando, le imprese stesse, che state massacrando il lavoro e l'occupazione.
Ecco perché l'Italia dei Valori, che in questo Palazzo ha una funzione ben precisa, sta all'opposizione e continuerà a svolgere la sua funzione di controllo, ispettiva. Ecco perché metteremo il naso in tutti i gangli del sistema economico, finanziario e bancario italiano, perché è lì che troppo spesso c'è il marcio, è lì che purtroppo si fregano i cittadini, si tradisce l'economia, è lì soprattutto che capita ciò che abbiamo visto accadere per il sistema bancario: abbiamo sentito la settimana scorsa, durante una audizione, Borsa Italiana Spa dire che la nostra Borsa è la più gracile rispetto a tutte le Borse europee; siamo la Cenerentola d'Italia, perché siamo un sistema bancocentrico dove le banche non vogliono che le piccole e medie imprese vengano messe sul mercato, vengano quotate. Ciò perché le banche devono prendere per la gola le imprese, devono strozzare le imprese, devono «tenere sotto» le imprese. Ecco perché questo sistema «bancocentrico», che si vede anche nel sistema della Borsa italiana; è fallimentare.
La politica e Tremonti non vedono questo sistema che non va; probabilmente loro vedono altre cose; vedono ciò che è capitato, ad esempio, con la Banca Popolare di Milano, guidata da un presidente «filoleghista» il quale ha tradito il territorio. Quest'ultimo mi deve spiegare per quale ragione ha dato 90 milioni di euro ad una società concessionaria di giochi che ha sede a Londra; cosa c'entra con Milano, con la Lombardia, con la Padania? E questo perché? Perché il suo assistente sta nell'ambito di un'operazione in cui, guarda caso, in una serie di giochi, di scatole cinesi di società, compare anche un certo Dell'Utri. Ecco a che cosa badate: non all'economia, non alle imprese ma agli affari!
Questa è la ragione per la quale state facendo diventare questo Paese un Paese di giocatori. L'Italia ha la più grande industria del gioco e delle scommesse: 61 Pag. 35miliardi di euro di fatturato nel 2010, contro i 30 miliardi di euro della FIAT, la più grande azienda italiana.
Ecco perché non siamo più in grado di produrre PIL, ricchezza; questa è la ragione per la quale Index of Economic Freedom ci ha declassati dal settantaduesimo all'ottantasettesimo posto: non siamo capaci di immettere nel nostro sistema economico tutte quelle iniziative capaci di far risollevare e ricrescere la nostra economia, di far sviluppare la nostra economia.
In questo Paese si vogliono far crescere i giocatori e non le industrie manifatturiere; non si cerca di far diventare il nostro Paese, come era negli anni Sessanta e Settanta, la seconda potenza manifatturiera mondiale. Noi abbiamo un comparto strategico, quello chimico, che è stato letteralmente messo fuori gioco da questo Governo, da un Governo che addirittura non ha avuto, per quasi un anno, il Ministro dello sviluppo economico, tassello fondamentale per le imprese, per l'economia, per l'occupazione e per lo sviluppo. Abbiamo avuto il Ministero ad interim in capo a Berlusconi.
Il comparto chimico - che riusciva a soddisfare il mercato con le sue aziende italiane di Porto Torres, di Porto Marghera e di Ravenna, con ben 24 mila famiglie che lavoravano e percepivano reddito da questo settore, che è un settore di grande attualità industriale perché il PVC serve per realizzare le scarpette di gomma che tutti noi abbiamo ai piedi - è fuori uso e oggi dobbiamo importare dalla Germania. Ecco perché gli altri Paesi vanno avanti, perché hanno una politica industriale e hanno una vera economia in piedi.
Questa è la ragione, e concludo Presidente, per cui l'Italia dei Valori vuole continuare al fianco di quei giovani che sanno che dovranno cambiare posto di lavoro almeno 14 volte, vuole stare al fianco di quegli studenti che sanno che devono adeguarsi alle nuove dottrine. Ed è per questa ragione che noi rileviamo, giusto per dare interesse anche al mio intervento, che in questi dieci minuti, in Italia, sono nati 33 bambini contro i 134 in America e i 542 in Cina.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FRANCESCO BARBATO. L'Italia dei Valori vuol cominciare a prendere per mano soprattutto questi 33 bambini che sono nati durante i dieci minuti del mio intervento, perché siamo il futuro (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, per quanto riguarda il merito del provvedimento ci asterremo: è ormai un provvedimento del tutto irrilevante, accompagnamolo fino alla fine.
Tuttavia, qualche considerazione va svolta sulle motivazioni che hanno portato a questo provvedimento. Qualche giudizio va dato su questi rigurgiti protezionisti dell'economia italiana e di chi la guida, tanto inutili - come si è visto - quanto assolutamente dannosi.
Che Parmalat fosse un'azienda risanata lo si sapeva più in Italia che all'estero e in Francia, così come si sapeva, per chiunque volesse leggere i bilanci, che la scelta del management, accorta o meno che sia stata, era quella di tenere in pancia all'azienda una liquidità assolutamente consistente e appetibile per chiunque avesse voluto acquisire l'azienda. Apro una parentesi: qualsiasi tentativo normativo di intervenire perché, magari a posteriori, la liquidità di Parmalat non venga utilizzata come meglio crederà l'azionariato, in futuro sarà destinato a fallire come questo decreto-legge, perché chi avrà la maggioranza potrà scegliere, se gli verrà in qualche modo artificiosamente impedito di distribuirsi i dividendi, di fare acquisizioni mirate in altri Paesi con altre aziende del proprio gruppo. Quindi, evitiamo, almeno da questo punto di vista, di interferire nuovamente con l'ordinato svolgimento della gestione della società. Pag. 36
La verità è che nessuna società italiana, blasonata o no, ha scelto di intervenire nel mercato per acquisire Parmalat, in tutta o in parte, e quindi è subentrata un'azienda straniera, visto che nessuno faceva nulla. Si tratta di un'azienda francese, non di un'azienda cinese o russa. Dico cinese o russa perché i cinesi e i russi acquisiscono - con i buoni uffici, giustamente questa volta, del Governo italiano - aziende primarie in settori molti più strategici e sensibili, come quello delle comunicazioni. Qui invece, su un'azienda del latte, peraltro assolutamente smarrita in seguito alle note vicende, si alza un polverone infinito, che si basa su un presupposto falso, cioè che l'economia italiana sia, in qualche modo, colonizzata.
Faccio notare - visto che la questione è la Francia, e si disse che si sarebbe adottata la legge francese - che la quota di società francesi detenute almeno al 50 per cento da capitale non francese è oltre il 10 per cento, mentre la quota di società italiane detenute per oltre il 50 per cento da capitale straniero è solo del 4 per cento.
Quindi, se l'economia italiana ha un problema - e ce l'ha - è quello della sua scarsa internazionalizzazione e della scarsità di investimenti stranieri nel nostro Paese. Ci stiamo muovendo nella direzione assolutamente opposta e lo facciamo per ragioni di piccolissimo cabotaggio. Dovremmo occuparci della internazionalizzazione del nostro sistema in entrambe le direzioni.
Apro una micro parentesi: ieri c'è stata la nomina del nuovo direttore generale dell'ICE; sfido chiunque ad andare a leggere il curriculum di questa nomina per capire quale attenzione danno, questo Governo e questa maggioranza, a un ruolo così centrale, come quello dell'Istituto per il commercio estero, a cui viene destinata la nomina del direttore generale come se si stesse lottizzando un assessore di un comune medio del nostro Paese in base a logiche esclusivamente politiche.
Torniamo al punto: protezionismo inutile e soprattutto dannoso in prospettiva. Occupiamoci di fare crescere il mercato mobiliare italiano che sta scomparendo. La Borsa di Milano è preda di continui delisting: diminuiscono le società quotate, non aumentano, non c'è investimento e noi ci poniamo come quelli che dicono «non passerà lo straniero» e facciamo la peggiore pubblicità che si possa fare all'economia italiana.
L'Italia è un posto dove, se uno viene per investire, si tenta di respingerlo, con perdite. Quindi è sbagliata la strategia, sbagliato lo strumento - che si è rivelato clamorosamente insufficiente in questo caso - e sbagliato è il settore. Stiamo parlando del lattiero-caseario, un settore già fortemente internazionalizzato. Sbagliato è il segnale alle aziende italiane, a cui si dice di stare sedute ed aspettare fino all'ultimo momento: se poi i bocconi migliori li prendono gli investitori stranieri, interverrà lo Stato.
Su questo, per concludere, signor Presidente, l'onorevole Tabacci citava la possibilità che nel «decreto omnibus» in qualche modo venga avanti una normativa che consenta alla Cassa depositi e prestiti di intervenire secondo uno strano accrocchio; ossia, si cercherebbe di trovare un accordo con Lactalis per cui un 10 per cento della società finirebbe in mano alla Cassa depositi e prestiti con una governance che consenta comunque, a un azionista così di minoranza, di nominare consiglieri di amministrazione e di avere un qualche diritto di veto sulle decisioni strategiche.
Credo sia gravissimo che si scelga per una società come Parmalat di mobilitare la Cassa depositi e prestiti, istituendo il precedente per cui la società che gestisce il risparmio postale italiano investa 450 milioni di euro (euro più, euro meno, questa è la dimensione del 10 per cento) per rilevare una quota di minoranza di una società del latte, quando la Cassa depositi e prestiti non interviene in progetti strategici (penso alla banda larga naturalmente, penso a modalità differenti).
Si immobilizzano 450 milioni di euro di risparmio postale per acquisire una quota così di minoranza in una società del latte Pag. 37che nulla ha di strategico per l'economia italiana. Credo che sarebbe un grave errore, non sarebbe un investimento di portafoglio giustificabile (data la redditività bassissima del settore) e sarebbe un precedente pericolosissimo. Infatti, perché investire nella Parmalat e non in altre aziende italiane in crisi? Perché non in aziende italiane impegnate sul fronte internazionale?
Pertanto, a me sembra vi sia una grande confusione in questa decisione. Le vere ragioni non si conoscono, perché non vengono spiegate e perché c'è il latte e ci sono gli allevatori; queste sono tutte sacrosante illusioni che si possono vendere nella campagna elettorale, ma che non portano nulla di buono, ma molto di negativo all'economia italiana e allo sviluppo dei settori industriali per la qualità futura del loro finanziamento.
Concludo, signor Presidente, ribadendo che poi, nel merito di questo decreto-legge, assolutamente ormai inutile e scaduto nelle sue funzioni, ci asterremo (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soglia. Ne ha facoltà.
GERARDO SOGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, è evidente che negli ultimi tempi si sia creata una confusione tra due concetti distinti: il libero mercato e l'esigenza che uno Stato vigili e controlli sulle attività imprenditoriali, soprattutto quando queste operano in Borsa rivolgendosi al mondo dei risparmiatori per la raccolta dei capitali.
Da convinto sostenitore del liberalismo economico, non posso che riconoscere il valore assoluto della libertà di iniziativa e del libero mercato, ma allo stesso tempo non posso trascurare come ci sia bisogno di un'azione efficace di vigilanza sul funzionamento del mercato, ancora di più quando sono in gioco i destini di grandi aziende, operanti in settori considerati strategici per l'intero sistema Paese.
La questione contingente, è chiaro, si riferisce a Parmalat, ma il discorso avviato dal Governo e dal Ministro Tremonti trova il gruppo che oggi rappresento perfettamente concorde nel sostenere scelte che vanno nella direzione di una valorizzazione delle imprese italiane e, allo stesso tempo, verso una tutela degli interessi dei risparmiatori che investono nel mercato dei capitali.
Il nostro sostegno al provvedimento in discussione è legato ad un'accorta valutazione degli obiettivi che il decreto-legge si pone di raggiungere. Pertanto, il gruppo di Iniziativa Responsabile voterà convintamente a favore del provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Iniziativa Responsabile e Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.
GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, è chiara a tutti oggi l'inutilità del decreto-legge che stiamo convertendo. Se avessimo avuto modo di ipotizzare l'andamento del caso Parmalat, immagino che il Governo non avrebbe presentato alle Camere questo decreto-legge. Ma sarebbe un errore oggi non soffermarci su quello che è accaduto in questi trenta giorni e provare a trarre delle conseguenze da ciò che è accaduto e dall'atteggiamento del Governo stesso.
Sarebbe anche un errore archiviare questo decreto-legge come se nulla fosse. In effetti, se ci pensiamo, questo decreto-legge dei danni li ha creati, eccome! Li ha creati, ad esempio, come immagine della stabilità economica del nostro Paese. Che cosa abbiamo detto agli investitori internazionali? Gli abbiamo detto che, qualora un'azienda proveniente da un altro Paese metta in moto un meccanismo di acquisizione di un'impresa italiana che a noi per qualche ragione non piace, siamo pronti e disponibili a cambiare le regole del gioco. Guardate che questa non è mica una cosa da poco! Infatti, l'economia e la credibilità di un Paese si reggono in particolare sulla credibilità delle proprie regole. Noi abbiamo messo a repentaglio la credibilità delle nostre regole! Pag. 38
Quando l'azienda francese ha ipotizzato e ha fatto un'operazione di acquisizione di una quota del 29,9 per cento di una nostra società importante come la Parmalat, invece che interrogarci sulle motivazioni per cui ciò è avvenuto, abbiamo reagito cambiando le regole del gioco, cioè mettendo la Lactalis nella non possibilità di poter esprimere la governance della Parmalat di cui aveva acquistato, investendo un miliardo di euro, una quota che gli permetteva di avere in mano il consiglio di amministrazione.
Credo che se un domani qualche azienda straniera volesse investire del capitale in Italia questo precedente la scoraggerà, e noi invece abbiamo il problema di attirare capitali dall'estero in Italia, non quello di respingerli. Abbiamo, quindi, ottenuto l'effetto contrario di quello che una buona politica industriale dovrebbe fare.
Ma voglio svolgere altre tre brevi considerazioni. La prima: signori del Governo, una volta per tutte, dovete decidere se intraprendere la via di un'economia liberale o la via di un'economia protezionista. Prima o poi dovete prendere questa decisione. Allora, se decidete di prendere la via protezionista, vi dico che, ad esempio, l'intervento della Cassa depositi e prestiti è conforme alla decisione che voi prendete. Decidete, a un certo punto, che le imprese italiane che non sono in grado di stare sul mercato in maniera concorrenziale da sole vanno aiutate con un aiuto di Stato. Legittimo! Non so cosa ne penserà l'Europa di questa decisione, ma portatela nelle sedi opportune e discutetela.
L'altra, invece, è quella di competere, quella liberista. Le nostre aziende stanno sul mercato con le altre aziende europee e con quelle si devono confrontare. Tuttavia, se un'azienda straniera se la vuole comprare un'azienda italiana, vi informo che con le regole europee può farlo. Non c'è niente da fare, può farlo. Pertanto, impedirlo con escamotage di questo genere confonde solo la linea economica del nostro Paese.
Veniamo ora alla seconda considerazione. È vero. Abbiamo un problema che deriva dalla mancanza di politica industriale di questo Governo. Non abbiamo mai individuato i settori strategici e questo problema è venuto fuori in maniera palese nella discussione che abbiamo svolto. Sarebbe un errore nasconderlo sotto il tappeto e non parlarne più fino a quando non si ripresenterà un caso di questo genere. Abbiamo bisogno - e questo un'economia liberale lo permette - di difendere alcuni settori strategici. Attenzione, non si tratta del settore del latte, ma è un altro caso. Quello del latte non è un settore strategico. Quando vado a comprare il latte chiedo solo che quel latte sia buono e che abbia un prezzo competitivo sul mercato. Non mi interessa se la mucca che lo ha prodotto è nel nord Italia, in Francia o in Germania. Tuttavia, questa fattispecie ci ha dato modo di evidenziare un problema che abbiamo: alcuni asset di questo Paese vanno protetti.
Dunque, visto che abbiamo questo problema - ad esempio, proteggere le infrastrutture elettriche - risolviamolo e non dimentichiamo di risolverlo perché, se non lo facciamo, la prossima volta il problema non sarà sul latte - e questo abbiamo visto che si risolve -, ma potremmo averlo sulle reti dell'energia elettrica e sulle reti del gas. Allora saranno veramente dolori. Dunque, proviamo a cogliere questa indicazione venuta da questo dibattito.
Il terzo punto è quello relativo alla patrimonializzazione delle nostre imprese. Vi siete chiesti perché Parmalat non è rimasta italiana? Non certo perché Parmalat è una cattiva azienda in Italia ed è buona in Francia. Parmalat è una buona impresa in Italia e lo è altrettanto in Francia. Vi è un problema: nessun gruppo italiano ha la forza per acquistare Parmalat, perché il sistema italiano è troppo piccolo.
Sono sicuro che la piccola e media impresa sia stata, in un determinato periodo, un elemento di forza di questo Paese. Però, attenzione perché l'esperienza, che si coglie anche da questo caso, ci insegna che quella piccola e media impresa probabilmente ha bisogno di crescere per restare punto di forza. Come si Pag. 39fa a far crescere le imprese? Proprio con quella politica industriale che il Governo non ha, con la politica industriale e fiscale. Sappiamo tutti cosa bisogna fare. Sono necessarie due cose: aiutare le imprese nella patrimonializzazione attraverso dei fondi di investimento - e questi effettivamente possono essere messi a disposizione della Cassa depositi e prestiti - e, quindi, con capitale di rischio pronto ad uscire nel momento in cui l'azienda è cresciuta. Inoltre, è necessario aiutare con politiche fiscali la fusione tra le aziende. Non ci vuole molto, ma serve una politica fiscale che, quando due aziende si fondono, non le penalizzi ma le aiuti. Infatti, è chiaro a tutti che due aziende che si mettono insieme crescono di dimensioni.
Il terzo punto indispensabile è la defiscalizzazione degli utili reinvestiti in impresa. È giusto che l'imprenditore paghi le imposte nel momento in cui porta fuori gli utili dall'azienda. Tuttavia, quando decide di lasciare gli utili all'interno dell'azienda - e, quindi, decide di patrimonializzare l'azienda con questi soldi - è giusto che paghi meno tasse. Abbiamo già avuto dei casi. Ricordate la DIT, la dual income tax? Quella misura fiscale ha prodotto una patrimonializzazione delle imprese.
Visto, dunque, che abbiamo la ricetta e che abbiamo anche il problema - ancora più grande - credo sia venuto il momento, invece di discutere di tutto meno che di politica industriale, in cui è necessario affrontare questi temi. Dunque, prendiamo atto dell'inutilità di questo provvedimento. Abbiamo sottolineato quelle che sono le cose importanti da cogliere in questa discussione che abbiamo svolto e, pertanto, ci asterremo sul provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forcolin. Ne ha facoltà.
GIANLUCA FORCOLIN. Signor Presidente, il decreto-legge n. 26 del 2011 nasce dalla necessità di dare una pronta risposta alle nostre aziende e al tentativo di stoppare quella che è una vera e propria scalata al capitale e alla gestione dei maggiori colossi italiani da parte di aziende straniere.
Si tratta di una scalata che deve essere senz'altro contrastata con strumenti che non appartengono - o non dovrebbero appartenere - solo a norme giuridiche italiane, ma per lo più a norme comunitarie e che quindi deve essere contrastata nelle sedi appropriate, dove gli interessi dovrebbero essere reciproci e non di pura convenienza per uno Stato rispetto all'altro.
Il decreto-legge in esame quindi cerca di tutelare le nostre aziende, dando la possibilità all'organo amministrativo delle società di rinviare lo svolgimento dell'assemblea ad una data che può arrivare fino al 30 giugno, dando così la possibilità ad altri gruppi industriali - magari italiani - di formare cordate alternative a garanzia di importanti settori del sistema economico nazionale.
Ricordo che il gruppo della Lega Nord sulla vicenda si è già espresso, anche attraverso il question time dello scorso 23 marzo, con il quale ha sottolineato l'importanza del sostegno da parte del Governo non solo ai grandi gruppi industriali, ma anche a quelli medio-piccoli, che operano comunque in settori strategici per l'economia di questo Paese. Il settore alimentare, del quale si parla maggiormente in questi giorni, è uno di questi, dal momento che quell'indotto arriva a coinvolgere numerosi piccoli allevatori e numerose imprese agricole: mantenere la gestione italiana significa costituire le basi di un polo italiano lattearo-caseario.
Successivamente è stata anche presentata un'interrogazione a risposta immediata in Commissione, con la quale il collega Fugatti chiedeva quali fossero le informazioni a disposizione del Governo, della Consob ed eventualmente degli organi inquirenti sui movimenti azionari che si sono succeduti nei mesi di febbraio e marzo 2011, anche alla luce di eventuali tentativi di elusione dell'obbligo di presentazione dell'OPA obbligatoria.
Ricordo che nel 2007 durante il Governo Prodi, in sede di discussione della Pag. 40legge 20 giugno 2007 n. 77, che recepiva la direttiva europea in tema di OPA, la Lega si era battuta per introdurre nell'ordinamento un concetto di reciprocità tra i Paesi dell'Unione europea, nella difesa delle proprie imprese di fronte a potenziali acquirenti esteri e aveva presentato diversi emendamenti per fare chiarezza su una posizione del Governo che aveva dimostrato assoluta incapacità di incidere su tematiche in campo economico così importanti. La Lega già in quel provvedimento aveva chiesto che vi fosse un principio in base al quale, nel caso in cui l'acquisizione del controllo di una società fosse promosso da una società estera, si potessero applicare misure difensive a fronte di offerte di acquisto provenienti da società estere.
Si è dibattuto molto su questo tema in sede comunitaria e anche in Italia, quando l'opinione pubblica è venuta a conoscenza di alcune situazioni in cui società italiane potevano venire acquistate da società estere, mentre invece società italiane non potevano andare ad acquistare società estere poiché negli altri Paesi vi erano norme a tutela della loro società e della loro economia. Sono mancati dunque il coraggio e la forza nel 2007 al Governo Prodi di incidere su quella direttiva europea, che doveva tener conto di questi aspetti determinanti per il futuro del nostro sistema economico.
Ora, con la conversione in legge di questo decreto-legge, in particolare con l'articolo 1, viene consentito alle società alle quali si applica l'articolo 154-ter del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di convocare l'assemblea nel termine di centottanta giorni dalla chiusura dell'esercizio 2010, anche se lo statuto non prevede tale possibilità.
Riteniamo che il Governo con questo provvedimento abbia agito con assoluto senso di responsabilità e si stia muovendo per tutelare e garantire le nostre aziende di fronte ad un'Unione europea che, ancora una volta, dimostra fragilità e poca omogeneità nelle regole del gioco. Vi è rammarico per aver perso tempo utile, quando la stessa Unione ci chiedeva di esprimerci nella direttiva n. 25 del 2004: quella era la vera occasione per gettare le basi per un'effettiva tutela della nostra economia e invece non si è voluto dire nulla, arrivando oggi a questo provvedimento che posticipa i termini di 60 giorni, dando la possibilità ad eventuali soggetti italiani di formare cordate in grado di tutelare le nostre aziende in settori così importanti per l'economia del Paese.
Pertanto, auspicando che questo termine sia sufficiente per provare a non disperdere questa preziosa componente economico-aziendale, annuncio il voto favorevole del gruppo della Lega Nord (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, stiamo discutendo la conversione in legge del decreto-legge, che consente alle società di spostare la data delle assemblee annuali. Messa in questi termini, signor Presidente, potremmo dire che la discussione è già finita qui: chi voleva modificare la data dell'assemblea in pratica lo ha già fatto.
È già finita qui soprattutto dopo l'annuncio di questi giorni della società Lactalis di lanciare un'OPA totalitaria su Parmalat, una decisione - ricorderanno i colleghi - annunciata proprio in concomitanza con il vertice fra Italia e Francia, convocato per cercare di comporre alcune questioni aperte fra i due Paesi. Non credo, come ha ricordato il Ministro Bossi, che l'Italia sia diventata una provincia francese, ma non c'è dubbio che il risultato dell'incontro non depone a nostro favore. Sulla questione immigrazione lascio all'Aula ogni considerazione, ma sulla vicenda Edison, per esempio, EDF ha nominato l'amministratore delegato e Lactalis ha lanciato l'OPA su Parmalat. Dove sono finiti, onorevoli colleghi, gli impegni a difesa dell'italianità del sistema industriale più volte annunciati dal Ministro Pag. 41Tremonti? In che rapporto stanno per esempio le dichiarazioni di Bossi di qualche giorno fa «Parmalat non sarà mai francese» con quella del Presidente del Consiglio di non considerare l'OPA di Lactalis come un'OPA ostile?
Credo che la vicenda Parmalat, come abbiamo cercato di dimostrare durante gli interventi sia durante la discussione sulle linee generali che sul complesso delle proposte emendative, sia emblematica della politica industriale del Governo e abbiamo sotto gli occhi le conseguenze della mancanza di una politica industriale, della mancanza per troppi mesi nel nostro Paese di un Ministro per lo sviluppo economico, dell'assenza di una politica industriale in grado di coniugare la vocazione dei territori con le eccellenze dei diversi settori produttivi del nostro Paese.
Dopo l'acquisizione di Bulgari, la vicenda Edison, il tentativo di Groupama di scalare Fondiaria-SAI attraverso Premafin, deve essere stato considerato un vero e proprio affronto la comunicazione al mercato dell'acquisizione del 20 per cento di Parmalat da parte di Lactalis, deve essere in sostanza sembrata eccessiva l'intraprendenza francese; da qui lo stop a A2A, l'obbligo di OPA per l'investimento in Premafin, il decreto al nostro esame per consentire a Parmalat di rinviare l'assemblea annuale e permettere ad un'ipotetica, a questo punto fantomatica cordata nazionale, di preparare la controffensiva. Non solo: sono sulla pista di rullaggio un provvedimento appena approvato dal Senato e che sta cominciando il suo iter alla Camera sul ruolo di Cassa depositi e prestiti, così come una nuova normativa anti-OPA.
Questa è la strategia del Governo per difendere l'italianità - vorrei sottolineare questo termine - del nostro sistema industriale. Oggi la domanda che pongo all'Aula e che rivolgo ai colleghi di maggioranza e al Governo è: cosa rimane di questa strategia? Eppure lo sappiamo tutti, è stato più volte ripetuto, se si voleva intervenire per mettere in sicurezza Parmalat vi erano i tempi e i modi per farlo anche perché la scalata era stata ampiamente annunciata. Se si aveva a cuore l'italianità di Parmalat, se si volevano tutelare gli allevatori, i produttori di latte, se si voleva tutelare la filiera era necessario aspettare l'iniziativa di un'azienda francese per dare un assetto più solido all'azienda di Collecchio? Era necessario aspettare Lactalis per accorgersi dell'urgenza di dare a Parmalat un assetto stabile, in grado di farla crescere, di mantenere legami forti con il territorio e con tutta la filiera produttiva? Credo che la vicenda Parmalat sia il frutto della vostra incapacità non dico di fare sistema, ma semplicemente di guardare al di là del vostro naso.
Una public company come è Parmalat che si fa trovare con un capo azienda seduto su una montagna di soldi, senza avere una strategia di espansione, con banche e fondi italiani usciti ormai da tempo dal suo capitale. Si sapeva che così non poteva andare avanti, ma si sapeva che, se qualcuno avesse avuto qualche centinaio di milioni di euro da investire, Parmalat sarebbe stato un bel gioiellino. Lactalis lo ha capito ed è intervenuta, ma il Governo dov'era? Il vostro continuo evocare il pericolo esterno, sia che si parli di immigrazione sia che si parli di economia, non è altro, a nostro avviso, che il tentativo di nascondere la vostra incapacità di governare questo Paese. Il castello che avete provato ad erigere a difesa della italianità del sistema industriale si è rivelato ben presto per quello che era, un castello di carta che non è stato in grado neppure di reggere al primo urto di una certa consistenza. Signor Presidente, la scorsa settimana abbiamo votato il Documento di economia e finanza e il Piano nazionale delle riforme. Credo, come abbiamo cercato di sottolineare in quella discussione, sia ormai evidente a tutti che una politica economica esclusivamente centrata e focalizzata sulla tenuta della finanza pubblica non è più sufficiente. Occorre, a nostro avviso, raggiungere un equilibrio più avanzato tra rigore della finanza pubblica e politiche per lo sviluppo. Anche la vicenda Parmalat è la dimostrazione più evidente della necessità Pag. 42ormai inderogabile di una svolta nella politica economica di questo Paese, a cominciare da efficaci misure per lo sviluppo. Signor Presidente, noi ci asterremo su questo provvedimento, ma non tanto perché vogliamo segnare una attenuazione delle nostre posizioni, fortemente critiche su questo provvedimento, quanto semmai per ribadire che forse sarebbe stato meglio da parte del Governo ritirare il provvedimento e per evidenziare ancora una volta che siamo davanti ad un decreto-legge che si è rivelato inutile e senza futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Savino. Ne ha facoltà.
ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, devo dire che non è questa la prima occasione in cui un decreto-legge è seguito da un dibattito pubblico che poco o nulla ha a che vedere con il provvedimento varato dal Governo. Molti autorevoli colleghi, giornalisti e commentatori, soprattutto dell'opposizione, hanno voluto definire il decreto-legge che oggi siamo chiamati a convertire come «antiscalata» e ne hanno fatto l'emblema di una scelta protezionistica da parte dell'Esecutivo, così non è stato e così non è. Il Governo è intervenuto legittimamente per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali, esattamente come recita il titolo del decreto-legge n. 26 dello scorso 25 marzo. Ricordo ai colleghi che cosa era accaduto nei giorni precedenti. Dopo il noto crack della famiglia Tanzi, la Parmalat, grazie all'impegno del commissario Enrico Bondi, è tornata ad essere un'azienda dell'eccellenza italiana con risultati ottimi sia dal punto di vista industriale che finanziario, un vero e proprio gioiello con in più la dote di una liquidità di cassa pari a circa un miliardo e mezzo di euro. Con l'avvicinarsi dell'assemblea della società si è registrato un repentino passaggio di quote da parte di fondi stranieri che avevano interesse a capitalizzare nel breve termine i loro investimenti a favore di un gruppo, Lactalis, peraltro fortemente indebitato. Il risultato sarebbe stato che attraverso questa scorciatoia la famiglia Besnier, proprietaria di Lactalis, con il solo 29 per cento, avrebbe avuto il controllo di fatto di Parmalat, pagando il suo investimento con il «tesoretto» presente nell'azienda italiana, e quindi a costo zero.
Dinanzi a questa situazione abbiamo registrato la bizzarra posizione dell'opposizione che, da una parte, fingeva di preoccuparsi dell'italianità di Parmalat e, dall'altra, aggrediva la maggioranza quando questa immaginava una reazione volta a tutelare l'interesse nazionale.
La verità è che questa opposizione in cachemire e champagne non ha invocato l'intervento del Governo per favorire i lavoratori, gli allevatori e i risparmiatori italiani, ma ha invece attaccato in modo ipocrita i propri avversari prima per non essere intervenuti e poi per averlo fatto. Una doppiezza tipica della peggiore tradizione della sinistra italiana, ma che ormai i cittadini conoscono e riconoscono.
Come hanno reagito, invece, la maggioranza ed il Governo di fronte alla manovra di Lactalis? La tentazione di fare ciò che aveva fatto il Governo francese vi era tutta, e dire «qui non passa lo straniero» sarebbe stato, tutto sommato, una prova di reciprocità, concetto, peraltro, sul quale vi sarebbe molto da discutere in sede europea. Invece, il Governo ha scelto di dare una prova di responsabilità. L'ipotesi di un decreto d'urgenza che ricalcasse la norma francese adottata, per esempio, per salvaguardare la Danone, quella sì veramente «antiscalata», è stata subito messa in archivio e non ha avuto seguito. Il Governo italiano ha operato una scelta diversa che, infatti, non ha trovato ostacoli o contrarietà da parte dell'Unione europea.
Con il decreto-legge in esame sono stati concessi al mercato sessanta giorni: uno scandalo? Non direi affatto. Questo lasso di tempo ha consentito che si potesse lavorare ad una cordata alternativa che ha poi costretto Lactalis a rilanciare a sua volta e, quindi, a prevedere un investimento Pag. 43adeguato per acquistare Parmalat al 100 per cento e non con una «furbata». Se, dunque, per iniziativa del Ministro Tremonti, non vi fosse stata da parte del Governo italiano una presa di posizione così decisa, la famiglia Besnier non avrebbe trovato un'asticella alta al punto da dover ricorrere a un'OPA, tra l'altro unico strumento e percorso trasparente per la scalata.
Ora, non è questa la sede per valutare se l'eventuale guida francese di questa azienda, se così dovesse essere, porterà bene o male alla filiera italiana del latte, considerato che l'atteggiamento con cui l'opposizione ha seguito la vicenda, attaccando il Governo e, di fatto, sia pure implicitamente, tifando per Lactalis, non è esattamente un buon presagio. Tuttavia les jeux sont faits, siamo d'accordo che il mercato ha vinto e ha potuto farlo grazie all'emanazione del provvedimento legislativo in esame, nonostante si fosse gridato allo scandalo protezionista.
Adesso, semmai, si tratta di vigilare affinché i nuovi aspiranti proprietari di Parmalat non creino vicoli societari attraverso i quali eludere il fisco con un abuso di diritto e a danno dei risparmiatori italiani. Non sarebbe, infatti, tollerabile che l'OPA francese fosse pagata con i soldi dei contribuenti, ma sono certa che la Consob e l'Agenzia delle entrate su questo sapranno effettuare tutti i controlli e le verifiche necessari.
Onorevoli colleghi, anche oggi in quest'Aula da alcuni colleghi ho sentito parole farneticanti sui capitali stranieri e sugli investimenti nel nostro Paese. Consentitemi di spendere due considerazioni metodologiche su questo tema. La prima è che questo argomento è del tutto non riferibile al provvedimento in esame. La seconda è che, a mio avviso, esiste una differenza non formale tra quanti portano i capitali in Italia per investire in nuovi insediamenti produttivi o nel rilancio di attività esistenti e quanti, invece, vengono nel nostro Paese per depredarlo a prezzo di costo.
Molti di voi in quest'Aula, soprattutto quelli che tifano contro l'Italia, ricorderanno quanto avvenuto negli anni Novanta. Lo Stato doveva sì fare un passo indietro nell'economia e le privatizzazioni erano necessarie, ma siete certi che lo shopping degli stranieri sia avvenuto in modo corretto e coerente con l'interesse nazionale? Ora, non è questo il momento per affrontare una pur necessaria ricostruzione storica di quanto accaduto negli ultimi due decenni nel rapporto tra Stato ed economia, però è importante ricordare ai nuovi «devoti» del mercatismo a corrente alternata che i loro dogmi hanno fondamenta assai poco solide. Se vogliamo parlare di protezionismo, di interesse nazionale - e credo che non sarebbe insensato che la Camera lo facesse -, siamo pronti. Qui però il tema del contendere è un altro, e il decreto-legge n. 26, è un provvedimento che, lo ricordo ancora, ha consentito un più corretto svolgimento delle regole del mercato, impedendo blitz contrari a qualsiasi principio di buon senso, nell'esclusivo interesse dei risparmiatori italiani.
All'opposizione, che pure tanto ha strillato sui giornali, rivolgo l'invito a fare un falò delle proprie vanità mercatiste e a prendere atto della bontà del decreto-legge in esame e dei frutti che ha determinato, dei quali l'opposizione stessa non può che essere lieta ed orgogliosa avendo sostanzialmente avallato l'idea che Parmalat parlasse francese gratuitamente e in spregio al lavoro di risanamento svolto da Enrico Bondi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo del Popolo della Libertà voterà a favore della conversione in legge del decreto-legge n. 26 del 25 marzo scorso e lo farà con piena convinzione, ringraziando il Governo per essere intervenuto tempestivamente e con efficacia provata dai fatti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.
GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, intervenendo nella discussione sulle Pag. 44linee generali sul Documento di economia e finanza ho auspicato che questo decreto-legge fosse ritirato e lasciato decadere. Trovo, infatti, che questo provvedimento sia in contraddizione con quel processo di integrazione europea che il progetto Europa 2020 promuove e che il Documento di economia e finanzia assume e fa proprio (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).
Quindi, intendo dire alla collega che è intervenuta a nome del mio gruppo, chiedendole anche scusa, che sono fiero delle mie velleità mercatiste e trovo singolare introdurre il valore dell'italianità in un'operazione di politica industriale, da cui nascerebbe un gruppo italo-francese - e quindi europeo - destinato ad essere un leader mondiale nel settore lattiero-caseario, salvaguardando la localizzazione degli impianti, l'occupazione e la filiera produttiva. Non è un caso, quindi, che i produttori agricoli e le organizzazioni sindacali non abbiano avuto granché da dire su quest'operazione.
Signor Presidente, se lei mi consente, io vorrei che operazioni di questa portata ce ne fossero tutti giorni. Lo Stato ha fatto un passo indietro nell'economia e io sono perché lo Stato resti dov'è adesso, dopo aver fatto un passo indietro.
Per queste ragioni, signor Presidente, io mi asterrò dalla votazione (Applausi di deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Antonio Martino. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARTINO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, devo confessare che lo stato del dibattito su questi temi nel nostro Paese è causa per me di divertito stupore. Quando un'impresa italiana scala con successo un'impresa estera sono tutti contenti: l'Italia si è fatta valere. Quando, viceversa, un'impresa straniera scala un'impresa italiana, ci si stracciano le vesti. Dovrebbe essere il contrario! Un'impresa italiana che ne scala una estera significa fuga di capitali dall'Italia, che riduce lo stock di capitali in Italia e la sua capacità produttiva; una scalata di un'impresa italiana da parte di un'impresa estera significa un afflusso di capitali che accresce la capacità produttiva della nostra economia (Applausi di deputati del gruppo Popolo della Libertà).
E questa bizzarra proposta mercantilista viene dal fustigatore del mercantilismo, uno che ritiene che sia corretto sommare il debito privato al debito pubblico per valutare il complessivo indebitamento di un Paese! Non bisogna sommare il debito pubblico al debito privato. Il debito pubblico è un credito privato, sono soldi che gli italiani hanno prestato allo Stato: sono un loro credito. Bisogna detrarre il debito pubblico dal debito privato. Ma chi non ha seguito neanche un corso di economia di primo anno non lo sa (Applausi di deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo, Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, mi basta meno di un minuto. Intervengo semplicemente, perché ho ascoltato - e come al solito anche con grande interesse - le parole dell'onorevole Antonio Martino e sono rimasto sorpreso, perché ho visto molti deputati del Popolo della Libertà che applaudivano le sue parole. Ora vorrei solo ricordare loro che questo decreto-legge non ha come firma «Ministro Giachetti», ma ha come firma Ministro Tremonti. Se quindi, per così dire, questa era la conferma del «calore» che voi avete nei confronti del Ministro Tremonti, lo avete dimostrato.
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
Pag. 45(Votazione finale ed approvazione - A.C. 4219)
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione n. 4219, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
I colleghi hanno votato?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia
).
(Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26, recante misure urgenti per garantire l'ordinato svolgimento delle assemblee societarie annuali) (4219)
(Presenti 513
Votanti 268
Astenuti 245
Maggioranza 135
Hanno votato sì 236
Hanno votato no 32).
Prendo atto che i deputati Ruben e Buonfiglio hanno segnalato che avrebbero voluto astenersi e che il deputato Vincenzo Antonio Fontana ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Su un lutto del deputato Maurizio Lupi.
PRESIDENTE. Comunico che il collega Maurizio Lupi è stato colpito da un grave lutto: la perdita del padre Nicola.
La Presidenza della Camera ha fatto pervenire al collega le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidero ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea (Applausi).
Sull'ordine dei lavori (ore 16,40).
ENRICO LA LOGGIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, intervengo solo per dire che ritengo che il diritto di manifestare il pensiero sia assolutamente legittimo in questo Paese - e meno male - e che sia anche legittimo farlo nei modi più diversi a favore o contro qualunque tipo di iniziativa della maggioranza, del Governo, dell'opposizione e di chiunque. Ma farlo nei pressi di una sede istituzionale e in maniera da impedire il passaggio dei parlamentari, anche insultandoli mentre escono da un palazzo delle istituzioni, segnatamente palazzo San Macuto, per recarsi da quel palazzo a questo (Commenti del deputato Codurelli), visto che stava per iniziare la seduta, credo che debba essere in qualche modo deprecato all'unanimità, da parte di tutti.
Se a ciò si aggiunge che sono state rivolte offese ed è stata impedita materialmente la possibilità di movimento - se non fosse stato per qualche poliziotto che pure era lì di servizio, io non sarei riuscito materialmente a passare attraverso questa piccola folla di persone che, visto anche l'angusto spazio, aveva praticamente riempito tutta la sede stradale - ebbene, io credo che si debba trarre una semplice e banale considerazione.
Naturalmente non mi sento intimidito e non voglio farne una questione, passo sopra a queste cose e non le ritengo rilevanti a livello personale ma a livello istituzionale sì e allora, poiché si trattava della sede delle Commissioni bicamerali - lo dico con umiltà, signor Presidente, perché ci credo sinceramente - se il Presidente della Camera e il Presidente del Senato insieme chiedessero alle forze dell'ordine un più attento e scrupoloso intervento al fine di garantire - per carità è giusto e legittimo - qualunque tipo di manifestazione di pensiero, ma in modo che ciò non ostacoli il normale esercizio dell'attività del parlamentare, credo che sarebbe cosa buona, giusta e auspicabile e Pag. 46voglio dirlo con il massimo rispetto, rispetto che ritengo dovuto - e con ciò concludo e spero di esprimere un'opinione largamente condivisibile - a quella che è la più alta istituzione rappresentativa della sovranità popolare ed in quanto tale va garantita da tutto e da tutti, perché l'esercizio libero di questa rappresentatività popolare è garanzia della democrazia nel nostro Paese per tutti.
Questo mi sembrava opportuno comunicare all'Aula e mi scuso se ho dovuto intrattenervi per qualche secondo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, volevo riferire all'Aula che vivo invece con un po' di disagio, quando mi trovo a dover passare per entrare alla Camera a dover superare i cordoni di sicurezza che sono posizionati nel raggio intorno al Palazzo, qui e intorno a palazzo Colonna, non tanto personalmente, ma perché questo succede anche nei giorni in cui l'Aula è chiusa, in cui non c'è nessuno a manifestare, i giorni in cui semplicemente turisti o mamme con carrozzina vogliono attraversare la piazza, uno dei monumenti anche più belli di questo palazzo.
Io non credo che allontanare i cittadini dalle istituzioni in questo modo serva alla nostra sicurezza, ma trasmetta un senso di lontananza delle stesse. Credo che la gente che vuole protestare può farlo e lo fa anche in maniera molto civile (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Le ricordo, onorevole Rosato, che la questione che lei solleva è da tempo immemorabile all'attenzione del Collegio dei questori e del Comitato per la sicurezza. La Presidenza ritiene ineccepibili le parole del collega La Loggia, e sarà mia cura sentire il Presidente Schifani per valutare l'eventualità dell'iniziativa da lei sollecitata.
MASSIMO DONADI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MASSIMO DONADI. Signor Presidente, ovviamente non devo ricordare a nessuno dei colleghi, né a lei al quale mi rivolgo direttamente con questa richiesta, che la legge istruttrice e regolatrice dei referendum nel nostro Paese è una norma di diretta attuazione della Costituzione, per cui anche gli adempimenti relativi sono adempimenti che hanno una rilevanza costituzionale. Lei sicuramente ha già intuito - signor Presidente - che io mi riferisco, nello specifico, al regolamento del quale la Commissione di vigilanza RAI si deve dotare perché possa essere attuata la disciplina della par condicio per quanto riguarda la campagna elettorale.
Orbene, anche oggi i lavori della Commissione, pur convocata, sono approdati a un nulla di fatto per mancanza del numero legale essendo - a parere mio che intervengo - ormai del tutto palese il tentativo, nemmeno strisciante ma dichiarato ed esplicito di questa maggioranza, non solo di non far celebrare per nulla i referendum, ma anche - per quei referendum che si dovessero comunque celebrare - di fare in modo che si arrivi al giorno delle elezioni senza che il Paese lo sappia.
Allora, siccome si tratta di un adempimento - ribadisco - che ha comunque una diretta attinenza a norme di rango costituzionale, sono con questo intervento a chiederle, previo contatto e accordo anche con il Presidente del Senato, di arrivare a modalità di votazione anche continuativa (come abbiamo fatto in altri diversi precedenti), condizionando conseguentemente, se necessario, anche i lavori dell'Aula, - perché credo che ormai siamo al di là di ogni termine possibile e lecito - se non vogliamo davvero che questa omissione si trasformi nella lesione di un diritto costituzionale, che poi è il supremo diritto dei cittadini, quello della democrazia rappresentativa.
PRESIDENTE. Onorevole Donadi, data l'oggettiva rilevanza di quanto da lei segnalato Pag. 47la Presidenza, d'intesa con la Presidenza del Senato che sentirò nelle prossime ore, si riserva eventuali e, mi auguro, possibili iniziative.
FURIO COLOMBO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FURIO COLOMBO. Signor Presidente, intervengo per osservare e farle osservare (perché potrebbe interessarle anche nei rapporti con il presidente della Commissione di vigilanza) che da qualche giorno qualcuno si è inserito sulle frequenze RAI, che trasmettono e ritrasmettono un appello nel quale si dice: Lampedusa, un'isola da scoprire; Lampedusa l'isola dei tuoi sogni; Lampedusa, l'isola che hai sempre desiderato; Lampedusa, scopri la tua magica Italia.
Se questo è stato fatto con l'intenzione di rappresentare l'isola, che è il sogno e il punto di arrivo di così tanti disperati che si sono salvati dal mare, allora bisognerà salutare l'improvviso incivilimento della Lega (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Altrimenti il problema è strano, perché si è creato e si crea un messaggio del tutto squilibrato rispetto a quello dei telegiornali che immediatamente seguono questo tipo di messaggio.
MAURIZIO TURCO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Comunico, tuttavia, che eventuali ulteriori richieste di intervento sull'ordine dei lavori saranno accolte al termine dei punti all'ordine del giorno.
MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, intervengo giusto per informare l'Assemblea che, sulla base delle considerazioni svolte dall'onorevole Donadi, un membro della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, il collega Beltrandi, non è presente in Aula proprio perché, in base alla legge referendaria di diretta applicazione costituzionale, da tempo la RAI avrebbe dovuto iniziare il dibattito sui referendum. Questa è la ragione per la quale, a cominciare dal collega Beltrandi, da oggi la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi è occupata. Mi auguro che altri colleghi, che condividono questa impostazione del rispetto della legge scritta, raggiungano il collega Beltrandi e che, fino al raggiungimento dell'obiettivo, cioè il rispetto della legge, si occupi la Commissione suddetta in segno, anche per ciascuno di noi, del fatto che la legalità viene prima di tutto, soprattutto prima dell'interesse di parte (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).
Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (A.C. 4220-A) (ore 16,48).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Ricordo che, nella seduta di mercoledì 27 aprile 2011, si è conclusa la discussione sulle linee generali e il relatore ed il rappresentante del Governo hanno rinunziato ad intervenire in sede di replica.
(Esame dell'articolo unico - A.C. 4220-A)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 4220-A), nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 4220-A). Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante Pag. 48le modificazioni apportate dalle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 4220-A).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, in quanto non strettamente attinenti al contenuto del provvedimento in esame, le seguenti proposte emendative, già dichiarate inammissibili in sede referente: Maurizio Turco 1.22, volto ad introdurre una disciplina transitoria per l'attribuzione del grado di ispettore superiore-sostituto ufficiale di pubblica sicurezza e qualifiche e gradi corrispondenti ai soggetti interessati dal decreto-legge; gli identici articoli aggiuntivi Di Stanislao 1.02 e Paglia 1.03, che intervengono in materia di pensioni privilegiate concesse ai dipendenti militari e civili.
La V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - A.C. 4220-A), che è distribuito in fotocopia. Tale parere reca tre condizioni, volte a garantire il rispetto all'articolo 81, quarto comma della Costituzione, che saranno poste in votazione ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento.
DONATO BRUNO, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DONATO BRUNO, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, intervengo solo per dirle che il parere della V Commissione è pervenuto dopo che avevamo, insieme ai colleghi della IV Commissione, chiuso i nostri lavori. Per cui, avremmo necessità di una breve sospensione dei lavori d'Aula, non inferiore ad un quarto d'ora, per valutare il parere abbastanza complesso che ci è stato fornito dai colleghi della V Commissione.
ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, nulla osta, solo che stride una richiesta di una pausa non inferiore ad un quarto d'ora per un parere complesso.
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, l'onorevole Bruno è notoriamente una persona garbata. Non voleva offendere la sensibilità di alcuno. Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 17,30.
La seduta, sospesa alle 16,50, è ripresa alle 17,40.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE
PRESIDENTE. Avverto che è stato presentato l'emendamento 1.500 delle Commissioni (Vedi l'allegato A - A.C. 4220-A) che è in distribuzione e che è volto a recepire una condizione contenuta nel parere espresso dalla Commissione bilancio.
Con riferimento a tale proposta emendativa, risulta alla Presidenza che i rappresentati di tutti i gruppi abbiano rinunziato alla fissazione del termine per la presentazione di subemendamenti.
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Naccarato. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, intervengo sul complesso degli emendamenti. Peraltro siamo reduci da un incontro del Comitato dei diciotto delle Commissioni riunite I e IV in cui, proprio relativamente agli emendamenti, abbiamo avuto purtroppo la conferma dei nostri timori, cioè abbiamo potuto verificare che la Commissione bilancio, con emendamenti che sono adesso presentati all'attenzione dell'Assemblea, ha sostanzialmente modificato il lavoro che le Commissioni di merito avevano fatto nelle settimane scorse. Ha cioè svuotato quei tentativi di miglioramento relativamente in particolare a due aspetti fondamentali. Uno è la copertura del provvedimento, l'altra è la possibilità di calcolare ai fini pensionistici l'una tantum. In questo modo quindi torniamo al provvedimento originale che mantiene dunque tutti i limiti che Pag. 49abbiamo provato a sottoporre all'attenzione della maggioranza e del Governo nel corso di queste settimane. Alla fine, signor Presidente, si tratta sostanzialmente della smentita di tante promesse e di tante chiacchiere che sono state fatte in questo periodo. Si è partiti dall'annuncio del riordino delle carriere, del riconoscimento della specificità, del riconoscimento di dare maggiore dignità attraverso aumenti di trattamento economico al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco. Questo è quello che si è raccontato nel corso di questi mesi nel Paese. La realtà è stata completamente diversa. E su questa differenza proviamo ancora a far riflettere l'Assemblea affinché vengano approvati gli emendamenti che abbiamo presentato. Ebbene, il punto è che la realtà è stata sostanzialmente caratterizzata dal decreto-legge «estivo» n. 78 del 2010 che ha introdotto tagli pesantissimi per questo comparto, nonché da tutti i tagli che, nel corso di questi due anni e mezzo, la vostra maggioranza ha portato al comparto sicurezza. Sono circa il 30 per cento le risorse che sono state tagliate, con ricadute drammatiche sul funzionamento degli organici della pubblica sicurezza. Penso a cose banalissime come l'acquisto degli automezzi, la manutenzione degli automezzi stessi, le missioni, gli affitti delle sedi, il funzionamento della direzione antimafia. In qualche modo, non si è messo in condizione il comparto sicurezza, le Forze armate e i Vigili del fuoco di svolgere le funzioni fondamentali a cui sono chiamate. Basta pensare - ed è l'emergenza di questi giorni - a come su questo comparto è stata sostanzialmente scaricata l'emergenza profughi e l'emergenza immigrazione. A fronte di queste maggiori responsabilità, corrispondono tagli sistematici che non consentono di lavorare in condizioni di sicurezza e di dignità al personale di questo strategico comparto. Inoltre - avevamo provato a dirlo nelle settimane scorse - se penso che, di fronte a tali fatti, il sottosegretario Mantovano aveva annunciato le dimissioni che poi sono puntualmente rientrate - credo che sia giusto ricordarlo -, ora di fronte alla prese in giro di questo decreto-legge, ritengo che sarebbe significativo che chi si è riempito la bocca in questi mesi di dignità, di specificità, di riforme e di riordino delle carriere, dovrebbe avere la coerenza di venire qui e dire che sostanzialmente la situazione non va bene, che i tagli restano e che non viene migliorato il decreto-legge.
L'altro aspetto importante sul quale abbiamo presentato emendamenti è la copertura di questa una tantum: è bene che si sappia che la copertura rimane all'interno del comparto, cioè si utilizzano le risorse, stanziate per riordinare le carriere e riallineare i ruoli, destinandole all'una tantum. Questo significa che avremo gli assegni una tantum, che corrispondono tanto per dare l'idea a circa 25 euro netti al mese e non saranno calcolati neppure ai fini pensionistici, e in cambio si svuota completamente il capitolo «riordino delle carriere e riallineamento dei ruoli». Ciò significa che questi due importanti aspetti non verranno mai più toccati in questa legislatura. Si tratta di un errore drammatico, perché non consente di ragionare, riformare, rimettere in discussione l'importante comparto delle forze armate, di sicurezza e dei vigili del fuoco. Anche in questo caso la realtà è molto diversa dalle promesse che sono state fatte e credo che su questo, signor Presidente, un ragionamento andrebbe fatto anche sulla specificità. Infatti, se questa è la vostra idea di specificità delle Forze di polizia e del comparto sicurezza, credo che siamo molto distanti rispetto a quanto abbiamo provato a costruire nell'arco di questi mesi. Io temo - e concludo - che, se non verranno considerati i nostri emendamenti e quindi se il provvedimento non verrà migliorato, ci troveremo di fronte all'ennesima delusione, una sorta di elemosina che, appunto con la logica che «piuttosto che niente è meglio piuttosto», va in qualche modo a migliorare una situazione drammatica ma che non risolve i problemi che questo comparto ha di fronte.
Credo quindi che gli emendamenti che abbiamo presentato debbano essere presi nella dovuta considerazione e mi auguro Pag. 50che alcuni di questi vengano anche approvati, perché in questo modo è possibile migliorare un provvedimento che, altrimenti, resta insufficiente e rischia anche di umiliare i rappresentanti delle Forze di polizia e delle Forze armate, che in modo responsabile in questi mesi hanno protestato, sono riusciti ad ottenere degli impegni del Governo, ma questi impegni poi sono stati per buona parte smentiti dal testo che è arrivato all'attenzione dell'Aula.
Ultima la beffa del parere della Commissione bilancio, che ha ulteriormente peggiorato quel testo. Per questo, signor Presidente, mi auguro che gli emendamenti siano valutati con attenzione e anche approvati, perché il provvedimento è ancora migliorabile e i nostri emendamenti vanno in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Laganà Fortugno. Ne ha facoltà.
MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Signor Presidente e onorevoli colleghi, come ricordate, il 27 aprile ultimo scorso, nell'ambito della discussione sulle linee generali sul disegno di legge di conversione del decreto-legge relativo alla corresponsione di assegni perequativi individuali al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ho svolto un intervento, evidenziando sia quelle che, a mio avviso, sono le motivazioni che hanno spinto il Governo a predisporre con urgenza un decreto-legge privo di contenuti sostanziali adeguati, sia gli aspetti deficitari - sono svariati - che lo caratterizzano.
Nello specifico, voglio ricordare che il Governo, nel corso del 2010, ha emanato un decreto-legge, il decreto-legge n. 78 del 2010, poi convertito in legge, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. Tali misure prevedono, tra l'altro, per tutto il triennio 2011-2013 il blocco dei meccanismi automatici di adeguamento retributivo legato agli scatti di anzianità e agli effetti economici legati alle progressioni di carriere. Si viene così a verificare che, di fronte ad un aumento di responsabilità, non corrisponde un incremento del trattamento economico. Quindi, va sottolineato al riguardo che una simile ingiusta sperequazione comporta poi effetti particolarmente devastanti nell'ambito delle organizzazioni che, come quelle delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco, sono caratterizzate da strutture gerarchiche in cui la responsabilità di comando, la disciplina, il senso di equità e di giustizia costituiscono principi fondamentali per un corretto, efficiente ed efficace funzionamento. Non riconoscere nei fatti questi principi può determinare danni enormi nel sistema, minandolo nelle fondamenta e giungendo perfino a portarlo più o meno gradualmente allo sgretolamento.
A dire la verità, con la legge di conversione n. 122 del 2010, all'articolo 8 comma, 11-bis del decreto-legge n. 78 del 2010, è stato previsto una compensazione degli effetti negativi sul personale dei comparti in questione, prevedendo la costituzione di un apposito fondo con una dotazione di 80 milioni di euro annui per ciascuno negli anni 2011 e 2012 da destinare proprio al finanziamento di misure perequative.
Ciò tenendo conto che, riferendosi alle Forze armate e di polizia, nonché al Corpo dei vigili del fuoco, si parla di un organico di personale superiore alle quattrocentomila unità. Appare subito, quindi, in tutta la sua gravità, la pochezza delle risorse stanziate. Ovviamente il personale si è accorto subito che si trattava di una presa in giro piuttosto che di un provvedimento concreto e reale, così che le organizzazioni sindacali delle Forze di polizia, gli organismi della rappresentanza militare nonché il personale dei Vigili del fuoco hanno cominciato a manifestare fermamente e convintamente, in ogni circostanza, la propria contrarietà di fronte a queste misure. La manifestazione del personale di polizia che si è svolta ad Arcore, davanti all'abitazione del Presidente del Consiglio, sicuramente Pag. 51ha poi determinato un effetto di spinta sulla decisione di emanare il decreto-legge in discussione; infatti, tenuto anche conto delle ulteriori gravi problematiche che stanno gravando sul nostro Paese, il Governo ha ritenuto opportuno di non perdere ulteriori consensi tra il personale dei comparti della sicurezza, della difesa e della protezione civile, impegnandosi nell'emanazione di un provvedimento correttivo che si è tradotto in un incremento di fondi, rispetto agli 80 milioni di euro già stanziati, di ulteriori 115 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2011-2013. Lo stanziamento complessivo per gli assegni perequativi individuali al personale ammonterà quindi a 195 milioni di euro per il 2011 e il 2012 e a 115 milioni di euro per il 2013.
Per quanto riguarda la previsione di integrare gli stanziamenti citati con risorse rinvenibili dai risparmi connessi allo svolgimento delle missioni internazionali, mi pare che essa sia poco convincente vista sia la situazione che caratterizza i teatri in cui le nostre forze sono già impegnate, sia le condizioni di forte fermento esistenti in tutto il mondo arabo che si affaccia sul mediterraneo e non solo. Ci vuole poi tutto il coraggio del «Governo del fare» per pensare che si possa far credere nella possibilità di utilizzare, per le esigenze, i risparmi di altre amministrazioni dello Stato quando è all'attenzione di tutti il fatto che la giustizia è rallentata da tempo a causa della mancanza di risorse umane e di fondi, che il mondo dell'istruzione è impossibilitato ad attuare delle vere e sostanziali riforme, che la sanità è carente ed è costretta a chiudere molte delle strutture e dei servizi esistenti, che la realizzazione di opere pubbliche, da tempo ormai, è in una fase di grave stagnazione e che i beni archeologici e culturali stanno vivendo una fase di oblio ed abbandono, per non parlare degli altri ministeri soggetti alla stessa condizione di scarsità di risorse.
Peraltro, il Comitato per la legislazione, fornendo il proprio parere, ha segnalato alcuni limiti formali presenti nel decreto-legge in esame ed in particolare è stato evidenziato che non si può incrementare la dotazione del fondo destinato al finanziamento delle misure perequative con il decreto ministeriale che è fonte normativa di rango secondario, in quanto le dotazioni dei singoli ministeri sono fissate per legge e alle norme di legge si può derogare soltanto con atti normativi di pari livello. Questo ci scrive il Comitato per la legislazione e credo che ne dobbiamo tenere conto così come dobbiamo tenere conto del fatto che gli assegni perequativi individuali devono essere stabiliti, non con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, così come indicato nel decreto-legge in esame, bensì mediante un decreto del Presidente della Repubblica.
Comunque, anche tenendo conto dello stanziamento delle ulteriori risorse di cui si è parlato, il provvedimento appare più come l'ennesima promessa di intenti sicuramente aleatori e priva di contenuti sostanziali e validi piuttosto che un equo riconoscimento delle giuste aspettative del personale motivate dalla particolarità del proprio lavoro.
Esprimendo il mio pensiero, non credo che il modo di agire del Governo possa essere considerato rispettoso per il personale di cui stiamo discutendo, personale nei confronti del quale siamo tutti pronti a parlare con enfasi e a tributare elogi per le importanti funzioni svolte quando si parla di operazioni contro le organizzazioni criminose, delle missioni internazionali per il ripristino o il mantenimento della pace, degli interventi di protezione civile a favore delle popolazioni colpite da eventi naturali ma che, invece, siamo portati a dimenticare in situazioni di normalità. Ricordiamoci che si tratta di personale che mette quotidianamente a repentaglio e talvolta sacrifica la propria esistenza per il bene comune e la sicurezza nazionale e internazionale.
Si deve poi rilevare, molto criticamente, che le risorse individuate per il finanziamento del fondo sono quelle che erano state programmate per il provvedimento relativo al riordino dei ruoli e delle carriere del personale dei comparti sicurezza Pag. 52e difesa, riordino che ormai da tempo è avvertito da tutti gli interessati come un'esigenza forte e indilazionabile.
Prosciugare lo stanziamento previsto per questa esigenza significa, quindi, procrastinare ulteriormente la discussione e l'approvazione del relativo provvedimento, diffondere disagio e sentimenti di amarezza e di delusione tra il personale interessato.
Un'ulteriore e sostanziale critica scaturisce poi dal fatto che nel disegno di legge di conversione in questione non è stata prevista alcuna forma di contrattazione e di concertazione con gli organismi sindacali e di rappresentanza, passo procedurale che dovrebbe essere considerato fondamentale per definire con criteri di equità e di giustizia le ripartizioni delle risorse da destinare al personale interessato.
Tenendo conto di queste osservazioni sono state presentate varie proposte emendative da parte del Partito Democratico, quali: la corresponsione al personale di un trattamento economico anziché di assegni perequativi; la possibilità di incrementare la dotazione del fondo in relazione ai risparmi di gestione e non con quota parte delle risorse corrispondenti alle minori spese effettuate rispetto al precedente anno in conseguenza delle missioni internazionali di pace, nonché con le risorse di cui alla legge 13 novembre 2008, n. 181, relative al fondo unico della giustizia; che agli oneri concessi con l'incremento del fondo si provveda attraverso un aumento, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, delle aliquote di cui al testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi di birra, di prodotti alcolici e di alcol etilico, nonché delle relative sanzioni amministrative, quindi, con i fondi stanziati con il provvedimento relativo al riordino dei ruoli e delle carriere del personale. Inoltre, proponiamo che la misura e la ripartizione dei trattamenti economici di cui trattasi siano definite mediante l'attuazione delle procedure di concertazione e contrattazione stabilite con separati decreti dal Presidente della Repubblica e non dal Presidente del Consiglio.
Auspicando che queste proposte emendative possano essere approvate, ringrazio tutti per la cortese attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Saluto i giovani del consiglio comunale dei ragazzi di Valle di Maddaloni accompagnati dai rappresentanti dei grandi del consiglio comunale, nonché gli allievi ed i docenti dell'Istituto comprensivo statale «A. Manzoni» di Lammari (Lucca) e dell'Istituto d'istruzione superiore «Francesco d'Ovidio» di Larino (Campobasso) (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Recchia. Ne ha facoltà.
PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dovremmo approfittare di questo provvedimento per tornare a quello che potremmo definire il peccato originale, cioè il provvedimento dal quale muove il decreto-legge in discussione. Evidentemente faccio riferimento al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 - evocato giustamente in tutti gli interventi che mi hanno preceduto, sia oggi che in sede di discussione sulle linee generali - che conteneva, tra le altre norme, un intervento a gamba tesa fortemente penalizzante nei confronti del personale che opera nel settore della difesa e della sicurezza.
I commi 1 e 21 dell'articolo 9, infatti, stabilivano il blocco degli effetti economici delle promozioni al fine di contenere le spese in materia di impiego pubblico, con effetti negativi evidenti sul comparto difesa e sicurezza.
Si è capito da subito che la norma avrebbe creato problemi, tanto che la stessa legge prevedeva una misura compensativa da realizzare attraverso la costituzione di un fondo - originariamente di 80 milioni di euro, per tre anni - destinato al comparto difesa e sicurezza, in regione del principio di specificità del comparto stesso.
Noi, allora - lo voglio ricordare anch'io - ci battemmo tenacemente per contrastare Pag. 53questo peccato originale, perché capimmo da subito che la misura compensativa non sarebbe stata sufficiente a compensare alcunché, che non sarebbero state trovate e individuate risorse aggiuntive - e ripeto aggiuntive - se non colpendo altri capitoli di interesse dello stesso comparto da destinare alle Forze armate e a quelle di pubblica sicurezza.
Saremmo allora voluti intervenire in Aula con emendamenti correttivi ma, tanto per cambiare, ce lo avete impedito, facendo cadere sul provvedimento una delle tante questioni di fiducia che hanno caratterizzato questa legislatura.
Oggi che siamo qui a discutere questo «provvedimento-toppa», fate ricordare anche a me, come molti hanno fatto prima di me, quanto fosse sbagliato imporre quel blocco sul comparto sicurezza e difesa.
Ho chiamato questo provvedimento un «provvedimento-toppa», perché questo decreto-legge - mi riferisco ora al provvedimento attualmente in esame - non è, come alcuni colleghi della maggioranza sostengono, un riconoscimento al più volte evocato sacrosanto principio di specificità, ma il tentativo di correggere un errore.
Si tratta di un errore che ha prodotto reazioni di sdegno da parte del personale del comparto che è arrivato a manifestare in piazza il proprio disagio, giungendo fino ad Arcore. Ed è a partire da quella pressione che il Governo ha inteso procedere nell'approvazione del decreto-legge che oggi siamo chiamati a convertire in legge.
Purtroppo, colleghi, non ci troviamo di fronte ad una maggioranza che ha deciso di affrontare le questioni del comparto in termini generali, definendo gli obiettivi e le esigenze del personale e valorizzando la specificità come atto di riconoscimento di una peculiare condizione di lavoro, quanto piuttosto a una correzione obbligata di un errore. Siamo appunto alla «toppa».
Ma siamo anche al «meglio di niente», questo è l'approccio con il quale tutti noi stiamo procedendo in questa discussione e credo di poter dire che siamo molto vicini al niente.
Ora, sappiamo che le risorse messe a disposizione sono 195 milioni per il 2011 e per il 2012 e 115 milioni per il 2013. Niente sappiamo della loro ripartizione, la cui definizione spetta ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio.
Non sapendo nulla della ripartizione e provando a portarci avanti con il programma, immaginando una spalmatura delle risorse disponibili su tutti gli operatori del comparto, si arriverebbe a cifre irrisorie, intorno (è stato detto) ai 25 euro netti al mese per avente diritto. Ammetterete anche voi che siamo molto vicini al niente.
Prendo atto che il sottosegretario Crosetto in Commissione ci ha spiegato che le risorse non saranno distribuite a tutto il personale. L'obiettivo del decreto-legge (cito il sottosegretario) è quello di sterilizzare gli effetti pregiudizievoli derivanti dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali disposti con la legge n. 122 del 2010. L'assegno avrà, quindi, come destinatari solo coloro che hanno subito tali tagli.
Vedremo. Nella sua impostazione, che conferma che stiamo parlando in modo esplicito di «legge-toppa», mi pare ragionevole stringere il perimetro di coloro che potranno beneficiare degli assegni. Tuttavia, nell'attesa di capire come andrà a finire, le risorse ci appaiono comunque insufficienti a compensare il blocco e lasciano aperti molti problemi, dando origine a insoddisfazioni diffuse.
Ma il punto più delicato, o se volete più grave, è che tali risorse non sono - come ho detto - aggiuntive, ma vengono reperite principalmente prosciugando i fondi destinati al riordino delle carriere. In pratica l'aumento dei 115 milioni aggiuntivi agli 80 già presenti nel fondo istituito con la legge del 2010 se lo paga da solo il comparto: non c'è un euro in più messo dal Governo.
Una volta approvata questa legge di conversione, colleghi, l'attesissimo e necessario riordino delle carriere, sul quale la maggioranza e il Governo si sono sperticati in dichiarazioni di impegno, da quel momento in poi scomparirà dall'agenda Pag. 54politica del Governo e del Parlamento. Non vi sarà più un euro per poterlo finanziare.
A nulla sono servite e a nulla serviranno le raccomandazioni espresse da alcuni di voi in questo passaggio nei confronti del Governo. Sapete benissimo che il riordino non vedrà la luce in questa legislatura e lo hanno capito benissimo anche le Forze armate e le Forze di polizia. Per far fronte a un'emergenza che il Governo ha creato se ne apre un'altra, tradendo legittime attese di anni e impegni assunti da questo Governo.
Peraltro, sempre in tema di copertura, la dotazione del fondo di cui al comma 1 può essere ulteriormente incrementata con decreto del Ministro dell'economia di concerto con i Ministri della difesa e dell'interno incidendo sul fondo delle missioni internazionali che, già di per sé, si presenta come insufficiente.
Oltre alle questioni di sostanza di cui ho detto, si presentano anche delle questioni di forma.
Il parere del Comitato per la legislazione ci segnala infatti un'incongruità del ricorso al decreto ministeriale per l'eventuale ulteriore incremento del Fondo istituito con la legge n. 122 del 2010, tenuto conto che l'ammontare del Fondo in questione è fissato per legge, tramite risorse anch'esse derivanti da autorizzazioni legislative di spesa. Il Comitato ci ricorda che alle norme di legge si può derogare soltanto con atti aventi forza di legge e non con atto subordinato, così come ci segnala che l'individuazione degli assegni una tantum, che nel decreto-legge in discussione vengono individuati attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe avvenire mediante un regolamento di attuazione nella forma del decreto del Presidente della Repubblica. Noi pensiamo che di questi rilievi dovremmo tenerne conto.
In ragione di quanto ho detto, abbiamo presentato degli emendamenti che, più che volti a correggere l'impianto del decreto-legge, mirano a limitarne i danni. Abbiamo chiesto di non intaccare il Fondo necessario al riordino delle carriere; prendiamo le risorse necessarie attraverso altri interventi. Abbiamo proposto alternative, per esempio, individuando le risorse e aumentando la tassazione sulle bevande alcoliche oppure aumentando le sanzioni previste per l'evasione e l'elusione della tassazione sulle stesse. Ancora, abbiamo proposto di intervenire su un altro punto delicato del decreto-legge. Esso prevede, infatti, che la ripartizione degli assegni e la definizione della loro misura avvenga con un DPCM da emanarsi su proposta dei Ministri interessati, sottraendolo al regime di concertazione con le parti sociali, siano esse sindacati che rappresentanze militari. Nei nostri emendamenti si intende ristabilire il principio della concertazione, trattandosi appunto di materia contrattuale. Naturalmente abbiamo presentato, a prima firma del collega Zaccaria, anche emendamenti che puntano a sciogliere i dubbi espressi dal Comitato per la legislazione, a cui ho fatto riferimento.
In conclusione, Presidente, non possiamo occuparci del comparto sicurezza e difesa con questo approccio, quello del «meglio di niente». Dobbiamo sapere che nell'interesse del Paese dobbiamo occuparcene con serietà, guidati da un qualche disegno di medio e lungo termine. Il solo fatto che oggi qui siamo impegnati su un intervento una tantum - e sappiamo che si è aperta anche una discussione in Commissione bilancio in relazione a un emendamento del relatore che riprendeva un nostro emendamento in Commissione, che intendeva sostituire le parole «una tantum» con «assegni perequativi individuali», con l'obiettivo di trasformare l'intervento in continuativo e pensionabile, un emendamento che è stato bocciato dalla Commissione bilancio, smontando così tutto il lavoro che avevamo fatto insieme, maggioranza e opposizione, in Commissione - insomma questo ci dice qual è la consapevolezza che avete nei confronti del comparto tutto, del suo ruolo.
Questo è un provvedimento che nasce a seguito della pressione legittima di una categoria insoddisfatta. Voi l'avete impostata meramente come un'elargizione dovuta di risorse, peraltro insufficienti. Il Pag. 55vostro è un intervento guidato unicamente dall'esigenza di tranquillizzare, ma sotto non c'è niente: nessun disegno, nessun ragionamento strategico a supporto, nessuna sensibilità nei confronti del mondo al quale non date risposte, nessun tentativo di riforma organica del modello, nessuna comprensione.
Ciò di cui parliamo oggi, in questo decreto-legge così come in altri provvedimenti sparsi, non è, o meglio, non è solo l'interesse del personale, ma è l'interesse del Paese. In ogni occasione, almeno per quel che riguarda noi della Commissione difesa, vi abbiamo chiesto di superare questa approssimazione, di impegnare il Parlamento in una discussione complessiva su obiettivi, strumenti e risorse, ma ai nostri richiami vi siete mostrati sempre sordi. Noi, consapevoli del rilievo delle questioni di cui trattiamo, non molleremo e proveremo ad alzare la voce affinché possiate sentirci (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.
MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, i colleghi che mi hanno preceduto sono già intervenuti nel merito del provvedimento, ne hanno già elencato limiti, contraddizioni e incongruenze.
Vorrei, però, dare conto ai colleghi in quest'Aula dell'iter controverso e per alcuni versi paradossale che questo provvedimento ha avuto nell'esame per il parere della Commissione bilancio e annunciare anche le nostre intenzioni sugli emendamenti che le Commissioni referenti hanno dovuto presentare a seguito del parere della Commissione bilancio.
Noi non voteremo questi emendamenti. Vi era una possibilità alternativa e vi era, signor Presidente, la possibilità di rispettare il testo che ben due Commissioni avevano predisposto, la Commissione difesa e la Commissione affari costituzionali. Cosa avevano fatto? Avevano tentato di dare dignità a un provvedimento parziale, limitato e sbagliato, a un decreto-legge del Governo. Insomma, nelle caratteristiche dell'azione governativa di questa maggioranza, una una tantum diventava una misura corretta, diveniva un assegno fisso e continuativo. Vi era, inoltre, la possibilità di trovare le risorse necessarie per renderlo dignitoso.
Invece, non si è voluto fare questo mortificando, così, l'espressione di ben due Commissioni e la volontà generale - direi - del Parlamento, trovando artifizi spesso contabili.
Voglio ricordare, inoltre, i limiti, anche per la toppa, come ha detto l'onorevole Recchia, che è stata messa. Non vi è la copertura necessaria. Nel 2013 mancano, infatti, 80 milioni. I 115 milioni che sono utilizzati vengono prelevati dal riordino delle carriere. Si chiude un buco e se ne apre un altro. Il provvedimento è del tutto insufficiente rispetto ai 400 mila operatori interessati.
Signor Presidente, dove sta il problema? Il problema è che questo provvedimento è un altro prodotto dei tagli ciechi e lineari. La spesa cattiva continua e sulla spesa buona, invece, bisogna ritornare, come in questo caso. Come si può pensare, signor Presidente, e come si poteva pensare che in strutture gerarchiche, come quelle delle Forze armate o delle forze di sicurezza, al passaggio di grado - e, quindi, di responsabilità - non corrispondesse un adeguamento economico? Un tenente, che diventa capitano, deve continuare ad essere pagato da tenente pur facendo il capitano. Questo è quello che abbiamo fatto con il decreto-legge n. 78 del 2010. Poi si sono stanziati 80 milioni e poi 115; dopodiché, si è compreso che non bastavano. Poi non si sapeva come venissero utilizzati e chi decidesse. Infine, non vi è concertazione né coinvolgimento.
Insomma, in definitiva con questo provvedimento avete dato un'ulteriore dimostrazione dello stato confusionale in cui vi trovate. Prima avete cercato con il decreto-legge, come al solito, di mettere una toppa senza una linea coerente, una logica e una linea seria rispetto ad un disastro che avete prodotto. Poi siete venuti in Parlamento e si è consumata, Pag. 56ancora una volta, la sceneggiata che abbiamo visto mille volte. Cosa è andato in scena? È andato in scena lo scontro tra due Commissioni sorrette - badate bene - da due Ministeri che, via via, hanno espresso pareri favorevoli, ossia il Ministero della difesa e il Ministero dell'interno. Alla fine lo scontro con chi è avvenuto? Con il Ministro delle una tantum, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro Tremonti che, ancora una volta, ha imposto la sua linea.
Vi era, invece, la possibilità di trovare le risorse per un provvedimento coerente, come abbiamo dimostrato e sostenuto insieme a tutte le altre forze di opposizione presentando un parere alternativo. Vi sono stati vari passaggi in Commissione bilancio. Vi è stato uno scambio di sottosegretari che ora sono tutti presenti in quest'Aula. Si alternavano i falchi e le colombe.
C'è stata anche la presenza del sottosegretario Mantovano, che non ha avuto alcuna soddisfazione rispetto alle sue raccomandazioni. Insomma, abbiamo assistito alla saga del «vorrei ma non posso» e alla remissione del mandato da parte del relatore, l'onorevole De Angelis, che ha fatto, visto il tema, una ritirata strategica e quindi a lui diamo l'onore delle armi. Abbiamo visto imbarazzi e alterne iniziative muscolari in meno. Comunque, alla fine, con il lavoro di questi 15 minuti del Comitato dei nove, probabilmente un'intera maggioranza verrà piegata dalla smania di onnipotenza di un Ministro che, un giorno sì e l'altro no, minaccia le dimissioni pur di imporre i suoi provvedimenti.
I suoi provvedimenti - quelli che interessano a lui - vanno avanti perché abbiamo accumulato in 36 mesi 220 miliardi di debiti in più. Un Paese civile non mortifica le sue Forze armate e le forze di sicurezza come state facendo voi, non le costringe a manifestare continuamente, non le esaspera sino a spingerle a manifestare dinanzi alla residenza privata del Premier per avere in cambio - come con questo provvedimento - una carità penosa, anziché il riconoscimento di un sacrosanto diritto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, intervengo brevemente perché ho parlato anche in sede di discussione sulle linee generali. Vorrei fare anche qualche riferimento agli emendamenti che sono stati presentati.
Signor Presidente, abbiamo lavorato nelle Commissioni congiunte, nel tentativo di capire quale fosse la vera natura di questo provvedimento: per una certa tesi, avanzata dal gruppo dell'UdC, ci troveremmo in presenza di un'una tantum, che potrebbe analogicamente essere considerata come un puro obolo nei confronti del comparto delle Forze armate, delle forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco.
C'è stato anche un contributo - e questo è anche evidenziato nel fascicolo al nostro esame - da parte dell'opposizione di tentare di rintracciare una qualche dignità a questo provvedimento, nella convinzione che esso non fosse dettato dalle spinte - come si suole dire - dei soggetti interessati per modificare il blocco del decreto legge n. 78 del 2010, ma avesse la dignità e la forza di un'attenzione molto più cogente e molto più forte nei confronti delle forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo dei vigili del fuoco.
Più volte ci siamo trovati in quest'Aula a discutere di provvedimenti sulla sicurezza e di provvedimenti antimafia e, anche in quelle occasioni, il mio gruppo non ha fatto assolutamente mancare la sua adesione e il suo contributo convinto, ma abbiamo sempre detto, continuamente, che c'era bisogno di dare una sistemazione forte alle forze di polizia, come alle Forze armate e al Corpo dei vigili del fuoco. Si è evocata la specificità - questo è un tema ricorrente anche con riferimento a questo provvedimento -, ma non c'è nessuna specificità. La specificità non viene attraverso l'obolo dei 25, 26 o 27 euro al mese. La specificità è il riordino delle Forze Pag. 57armate e delle forze di polizia con l'attribuzione delle qualifiche e dei ruoli nel rispetto dei compiti che sono chiamate ad assolvere giorno per giorno nella difesa delle istituzioni, nel contrasto alla criminalità organizzata e nel campo della protezione civile.
Questo dato non viene assolutamente e minimamente sfiorato: c'è stata una trattativa tra i sindacati e le forze di polizia, con l'aggancio di organismi di rappresentanza militare, che non sono sindacalizzati, e con la rappresentanza che si interessa del Corpo dei vigili del fuoco.
Questa posizione - da noi confermata in sede di discussione sulle linee generali - secondo cui si trattava semplicemente di una una tantum, uguale ad un obolo, che mortifica ed è mortificante, è stata respinta più volte anche da parte dei colleghi della maggioranza e giustamente anche dai relatori: giustamente perché hanno lavorato in una direzione per capire se la materia fosse suscettibile o meritevole di attenzione e di difesa. Vi è stato anche un intervento importante e fondamentale in quel momento da parte del sottosegretario Crosetto in base al quale, sul piano di una valutazione della giuridicità di questa una tantum, è stata data una certa risposta per determinare una svolta rispetto al nostro convincimento, quindi un passo in avanti in relazione agli obiettivi ed ai traguardi che volevamo raggiungere.
Abbiamo affrontato il problema in sede di discussione sulle linee generali e oggi pomeriggio la seduta in Aula è stata sospesa, ma per cosa? Per un obolo. Ritengo che il Governo dovrebbe avere qualche sentimento in più, anche se non vorrei far polemica per partito preso. Ad ogni modo, noi esaltiamo continuamente i compiti delle nostre Forze armate ed il loro grande ruolo, enfatizziamo il ruolo delle forze di polizia e poi li lasciamo disorganizzati, senza nessun tipo di coordinamento e senza nessun riconoscimento forte rispetto alla funzione che sono chiamate a svolgere. Invece, vi dovrebbe essere una forte rivisitazione del loro impiego, attuando o quantomeno modificando, la legge 1o Aprile 1981, n. 121, che tratta della riforma delle forze di polizia.
Nulla di tutto questo. Crediamo di aver risolto il problema delle forze di polizia attraverso questo assegno, attraverso questa una tantum, attraverso questo obolo e oggi, se qualcuno aveva qualche sospetto rispetto alle buone intenzioni manifestate da parte del Governo nel corso delle riunioni congiunte fra la I e la IV Commissione, queste buone intenzioni vengono ad essere smentite dai lavori della Commissione bilancio. Infatti, è stata fatta giustizia di alcuni equivoci perché si dice chiaramente che l'assegno una tantum non deve avere natura giuridica. Ciò è chiaramente espressivo delle nostre preoccupazioni che anzi vengono ad essere confermate. Questa è la prova del nove, anche se noi abbiamo presentato un ordine del giorno che verrà sottoposto all'attenzione del Governo e dell'Aula. Ad ogni modo, non cambia nulla rispetto al percorso che ci si è dati e anche rispetto al tipo di copertura che è stata data da parte del Governo e di cui parleremo anche nel prosieguo dei lavori.
Abbiamo chiaramente espresso la nostra posizione in Commissione bilancio attraverso il vicepresidente, onorevole Occhiuto, abbiamo votato contro, voteremo contro questo emendamento e voteremo a favore degli altri emendamenti che hanno tentato e tentano di dare, come dicevo poc'anzi, una dignità a questo provvedimento che così visto e rappresentato è poca cosa e mortifica e avvilisce certamente sia i destinatari che il Parlamento stesso (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.
AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, ho a cuore il problema, non ho difficoltà a entrare nel merito. Mi si passi anche, signor Presidente e onorevoli colleghi, una forma di «latinorum» che non è in uso, ma più che un provvedimento una tantum mi sembra sia un provvedimento Pag. 58«una manciam» nel senso che, calpestando la dignità propria di quegli elementi che si riferiscono alla specificità di alcuni comparti quali quello delle Forze armate, della polizia e dei vigili del fuoco, stiamo calpestando le loro professionalità, competenze, storia, prospettiva e voglia di far bene attraverso una falsa aspettativa che avete creato prima richiamandovi all'articolo 78 e poi cercando di mettere in campo una serie di buoni propositi che nulla hanno a che fare con le esigenze reali di un comparto. Infatti, se veramente si vuole dare una risposta definitiva e concreta allora bisogna parlare necessariamente di obiettivi, strumenti e risorse, insomma bisogna parlare di qualcosa che vi è culturalmente estraneo che si chiama strategia in questo comparto e in altri contesti della pubblica amministrazione. Non avete una politica rispetto a questi settori dei quali vi state prendendo carico.
Non solo: vi è anche questa decisione di mettere in campo delle risorse che sono, secondo noi dell'Italia dei Valori, poche, maledette e subito, nel merito delle quali non vogliamo entrare, perché riteniamo che sia oltremodo offensivo per tutta l'Aula e per tutti noi dover discutere di risorse che sono pari ad un incremento di 24 o 25 euro, quando è impagabile il lavoro che svolgono le forze dell'ordine nei settori che abbiamo già citato. Evidentemente, per voi la forma e il contenuto non vanno mai insieme, bisogna solo fare una serie di spot elettorali, che, guarda caso, cadono in tutti questi momenti, soprattutto in queste occasioni. Si è persa una grandissima occasione, noi non ci vogliamo far risucchiare in questa logica. Abbiamo fatto un grande lavoro nelle Commissioni congiunte, abbiamo lavorato, come dicevano i colleghi, da ultimo il collega Tassone, siamo stati ben disponibili ad andare incontro - il collega se lo ricorda - a chiarire, a spostare in avanti il baricentro della discussione ed a mettere insieme ai contenuti il riconoscimento di risorse vere. Se non si mettono le risorse vuol dire che non c'è il riconoscimento per l'attività che si è svolta, che si sta svolgendo e che si svolgerà. Noi riteniamo veramente che nel merito abbiamo dato un contributo fondamentale con proposte emendative. Voglio ricordare gli emendamenti dell'Italia dei Valori, che voi avete ritenuto irricevibili. Penso che se gli emendamenti presentati sono irricevibili, la vostra proposta è invece sicuramente una proposta indecente, che offende profondamente la professionalità dei comparti di cui ci stiamo occupando. Mi auguro che ci sia la possibilità di riparare al danno e alla beffa. Ricordo ai colleghi che hanno messo in campo un provvedimento tampone, quasi a cercare di parare le montagne con le mani, quando parlano di presentare un ordine del giorno, che l'ordine del giorno è oltremodo offensivo. Rispetto ad un impegno che equivale a un disimpegno del Governo e soprattutto del Ministro Tremonti evidentemente voi non siete in grado di mettere in campo la benché minima politica nei riguardi di questi settori nevralgici e sensibili della nostra comunità nazionale. Allora, se il fallimento passa anche attraverso questo provvedimento, assumetevi l'intera responsabilità, perché noi stiamo facendo per intero la nostra parte. Stiamo cercando anche di ritornare su alcuni elementi che sono di natura programmatica e pianificatoria, ma a voi questo non riguarda, perché sicuramente la cultura di Governo non vi appartiene. Evidentemente pensate che si possano accontentare e quietare le coscienze, quando invece a questi comparti, a queste persone ed a queste professionalità dovremmo dare riconoscimento e soprattutto risorse, perché è da lì che si capisce se un Governo è attento; se la maggioranza c'è, fa questo tipo di lavoro, questo tipo di intervento e non lesina risorse così importanti e fondamentali per far andare avanti lo Stato e la sicurezza dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'altro giorno in discussione sulle linee generali, come Pag. 59gruppo dell'Italia dei Valori, avevamo detto che avremmo votato a favore di questo provvedimento, perché, anche se il provvedimento non riscuoteva il nostro consenso e soprattutto non era per noi interessante, dal punto di vista della responsabilità avevamo deciso di evitare quello che naturalmente oggi invece avverrà, cioè dovremo astenerci su questo provvedimento, proprio per il cambio di modalità e per le false aspettative che avete dato alle forze dell'ordine. Non capiamo la vostra politica della sicurezza, non capiamo la vostra politica fatta in favore delle forze dell'ordine, anzi in sfavore delle forze dell'ordine, non capiamo come potete attuare una compensazione attraverso una disomogeneità. Avete cambiato tre punti fondamentali del provvedimento: prima è nato un provvedimento che ha tolto quello che le forze dell'ordine avevano; ne avete dovuto fare un altro per ridare alle forze dell'ordine quello che avevate tolto; adesso ne avete fatto un terzo ed avete ritolto ancora qualcosa.
Credo che non si possa chiamare il gioco delle tre carte, ma, come dite voi, piuttosto è meglio di niente. Questo è un tema molto complesso. Vorrei dirvi che i soldi previsti nel decreto-legge in esame sono pochi e non pensionabili: ciò che state facendo è veramente un problema. Oltretutto prendete questi soldi dai settori delle missioni, della giustizia e del riordino delle carriere. Sappiamo tutti i problemi che hanno in questi giorni le missioni e la giustizia e che il riordino delle carriere è fermo da vent'anni, praticamente non parte. Avete fatto di meglio, però: siete riusciti, senza naturalmente contrattare con le organizzazioni sindacali, perché a voi questo non interessa, a non concedergli nulla di ciò che avevate promesso. Loro hanno manifestato davanti alla casa del Presidente del Consiglio, avete per un attimo ripensato a quello che avevate combinato e poi, come si dice, «passata la festa gabbatu lu santu», siete venuti di nuovo in Aula e, ancora una volta, gli togliete qualcosa! Non so come vi presenterete davanti alle organizzazioni sindacali senza avere minimamente mantenuto gli impegni che vi siete posti.
È vero che in parte i soldi sono rimasti gli stessi, una tantum, e li elargite una tantum, ma è vero anche che non sono pensionabili. È vero che inserite tre commi nel testo del provvedimento in esame, ossia il comma 2 dell'articolo 1, dove si tratta dei risparmi delle amministrazioni interessate, quello che prevede la soppressione dell'articolo 1 e, soprattutto, il comma che concerne la soppressione, senza la specificazione della natura giuridica, dell'emolumento corrispondente all'una tantum.
Credo che questi siano temi essenziali che le forze dell'ordine si aspettavano. Avete dimostrato ancora una volta la vostra inadeguatezza e la vostra irresponsabilità. Creerete, per la prima volta, all'interno della pubblica amministrazione due categorie: da una parte coloro che, avendo un aumento livellare, parametrale, ma anche di funzione, avranno un'indennità di un certo tipo e, dall'altra, coloro che, dall'anno dopo, non l'avranno e non sarà pensionabile. Quindi create, all'interno della stessa amministrazione, dipendenti che andranno in pensione con una certa indennità e dipendenti che dovranno andare in pensione con un'altra indennità perché naturalmente non è pensionabile.
Dunque a parità di ruolo, di specificità, di funzioni, avremo dei dipendenti nella pubblica amministrazione che, con questa una tantum, andranno in pensione l'anno successivo con un diverso trattamento economico, una diversa parametrazione, una diversa indennità pensionabile e una diversa liquidazione. questa è una cosa che non era mai è avvenuta nella pubblica amministrazione.
Oggi vi prendete una responsabilità enorme. Create, all'interno delle forze dell'ordine, due diversi modelli di lavoro e, soprattutto, due diversi modelli pensionistici tra le stesse persone che magari hanno un solo mese di differenza. Visto, infatti, che l'indennità non è annuale, ma mensile, chi andrà in pensione al 31 dicembre 2010 o chi, comunque, compie i Pag. 6019, 17, 27 o 32 anni di lavoro all'interno dello stesso anno, perché magari li compie a settembre, novembre o ottobre dell'anno prima, prenderà l'assegno funzionale e andrà in pensione con quell'assegno, chi, invece, ci va, per sua sfortuna, nel gennaio 2011 quell'assegno non lo percepirà né nella funzione, né nel parametro, né nel livello che andrà a prendere. Credo che questo sarà un problema enorme per la forze dell'ordine, per i dipendenti delle Forze armate e per i vigili del fuoco.
Mi auguro che in futuro cercherete di correggere tutto questo, come state cercando di fare oggi, visto che di giorno in giorno rincorrete i guai che combinate attraverso le vostre proposte di legge. Ogni giorno combinate un guaio e il giorno dopo cercare di risolverlo, lo risolvete a metà dopodiché, il giorno dopo, ne ricombinate un altro, non cercando, invece, di rincorrere qualcosa di diverso o di dare qualcosa.
Anche perché ho letto quello che ha sostenuto Matteo Bragantini, il collega della Lega, che ha ragione perché dice: questo provvedimento serve per andare incontro alle istanze del mondo del «personale militare e delle forze di polizia rimasto penalizzato da provvedimenti di contenimento della finanza pubblica degli ultimi anni, al quale verrà concessa una una tantum denominata in sede di Commissione »assegno perequativo individuale«. In questo senso come gruppo Lega consideriamo questo intervento come una sorta di riparazione, un atto in un certo senso dovuto agli uomini e alle donne, che contribuiscono decisamente in Italia e all'estero alla sicurezza della nostra esistenza». Questo fa capire che cosa da una parte si dice e che cosa, invece, poi dall'altra parte si toglie.
Credo che vi prendete una responsabilità politica molto forte. Noi su questo punto non ci stiamo e, purtroppo, devo dire che rispetto al giudizio favorevole che avevo espresso precedentemente nella discussione sulle linee generali, dove comunque c'era stato all'interno delle Commissioni un dibattito specifico dei colleghi della maggioranza, e in cui si era comunque arrivati ad un dunque e ad una sorte, oggi, invece, si ritorna indietro, ci si rimangia tutto e naturalmente il provvedimento cambia completamente modello ed esistenza.
Pertanto noi non possiamo più esprimere il nostro «parere» favorevole. Certamente i soldi ci sono, quindi, ci asterremo, ma credo che sia una sconfitta della maggioranza e soprattutto credo che non sia un bel modello di legiferare per coloro che poi, ogni giorno, si magnificano in Aula per quello che fanno (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.
RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, intervengo come membro della Commissione bilancio per ricordare ancora una volta alcune cose successe la scorsa settimana e ripetutesi anche oggi in detta Commissione. Si era conclusa, peraltro, la prima votazione, con un pareggio pieno sul parere presentato dal relatore - prima che rassegnasse l'incarico di relatore - e su un controparere, presentato dalle minoranze. Il risultato è stato di parità, salvo poi aver tentato - ed esserci riusciti ovviamente - a introdurre letteralmente una presa in giro nei confronti del Parlamento e soprattutto poi dei destinatari di questo provvedimento.
Allora, se per caso avessimo ancora bisogno di conferme, quello che stiamo esaminando è l'esatta fotografia di chi sta comandando questo Paese, cioè il Ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, il quale usa non il fioretto, ma la spada per tagliare risorse destinate a vari settori della pubblica amministrazione e non soltanto, dalla scuola, alla sanità e alle forze dell'ordine.
Poi che cosa succede, signor Presidente? Succede che alcuni esponenti, sindacalizzati e non, delle forze dell'ordine prendano il treno o la macchina, per andare a Milano e di lì poi ad Arcore, a manifestare davanti alla casa del Premier. Allora il Premier si fa ovviamente convincere che sarebbe opportuno dare qualcosa, Pag. 61una piccola mancia, una «caramellina» ed eccoci a questo provvedimento: 25 euro al mese, una tantum, per il quale c'è esclusiva copertura finanziaria per le l'esercizio 2011 (per i mesi che rimangono di questo anno) e non c'è nessuna copertura per gli esercizi successivi e quindi si rinvia alla legge di bilancio, se e quando ovviamente vi saranno le risorse aggiuntive disponibili, per farvi fronte.
Non solo, ma ciò succede nonostante e avendo dimenticato che proprio il sottosegretario dell'interno, il sottosegretario Mantovano, stamane in Commissione ci abbia ricordato che sarebbe stato opportuno, sin da subito, trovare le risorse necessarie e poi abbia anche detto che sarebbe opportuno che, nel novero dei destinatari di queste risorse finanziarie una tantum, venissero anche inseriti i vigili del fuoco.
Che cosa poi è successo lo sappiamo, ma quello che è ancora più grave - e qui richiamo l'attenzione ancora una volta dei colleghi della Commissione bilancio - è che questa una tantum sarà sicuramente pensionabile.
Basterà che un componente delle forze dell'ordine, ricevuta questa mancia, questo «regalino» davvero ridicolo, decida di ricorrere, perché ci sono tutte le condizioni perché questa cifra entri nel novero degli emolumenti che vanno a costituire il fondo pensione quando raggiungerà l'età pensionabile. Quindi si aprirà un contenzioso enorme tra gli aventi diritto a questa una tantum e la pubblica amministrazione.
Non solo non c'è copertura per gli anni 2012 e seguenti, ma non è prevista neanche una copertura per far fronte a quei ricorsi che sicuramente avranno esito positivo. Siamo di fronte alla palese violazione dell'articolo 81 della Costituzione. Dunque, limitatamente alla copertura finanziaria del provvedimento, il gruppo dell'Italia dei Valori esprime un «parere» non positivo per le ragioni appena esposte (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.
ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, anche noi interveniamo sul complesso delle proposte emendative per esprimere con decisione il nostro voto contrario sull'emendamento che ha determinato questo ripensamento da parte del Governo. Lo abbiamo già fatto in sede di Commissione stamani e nella scorsa settimana, quando abbiamo votato contro la proposta sulla quale si esprimerà tra poco l'Aula, quella, cioè, di cancellare ciò che era stato scritto dalle Commissioni di merito. Abbiamo espresso voto contrario in sede di Commissione e ripeteremo il medesimo voto in Aula, per ragioni esclusivamente politiche, per non assecondare, cioè, il comportamento ondivago del Governo che nelle Commissioni di merito, con il sottosegretario Crosetto, ha espresso un parere favorevole alla modifica del provvedimento nella direzione auspicata dalle Forze armate, dal personale delle forze di polizia e dai vigili del fuoco e poi, in sede di Commissione bilancio ci ha ripensato dopo qualche giorno, ha detto che aveva sbagliato e ha ripristinato il vecchio testo, che rappresenta davvero un'elemosina per il personale di questo comparto.
Noi riteniamo che su tale vicenda si sia consumato lo stesso copione che sempre si svolge quando si parla delle Forze armate, delle forze di polizia e dei vigili del fuoco e cioè prima si fanno dei tagli lineari, come è accaduto con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Infatti il provvedimento in esame nasce in ragione del fatto che con il menzionato decreto-legge, nel corso dell'estate passata, sono state tagliate risorse per il personale delle forze di polizia, delle Forze armate e dei vigili del fuoco. Prima si fanno i tagli e poi si riconosce che, dal momento che il personale di questi comparti è peculiare, occorre impegnarsi a ripristinare tali risorse e a recuperare i tagli effettuati. Magari al termine di simili provvedimenti si approvano ordini del giorno che riconoscono la validità e la peculiarità del lavoro svolto dal personale di questi comparti poi, però, quando il Governo e la maggioranza hanno la possibilità di intervenire concretamente Pag. 62per adempiere agli impegni che hanno dichiarato di voler assumere, fanno finta di niente.
Ebbene, noi non ci stiamo. Stigmatizziamo con forza questo atteggiamento e diciamo un'ultima cosa: risparmiateci, almeno nel provvedimento in esame, l'ennesimo ordine del giorno perché non bisogna ancora prendere in giro chi difende la sicurezza dei cittadini e del Paese e che per farlo, a volte, è costretto persino al sacrificio della vita (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sul complesso delle proposte emendative, invito il relatore per la I Commissione ad esprimere il parere delle Commissioni.
Testo sostituito con errata corrige volante MARIA ELENA STASI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, le Commissioni formulano un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario, di tutti gli emendamenti, tranne - chiaramente - gli emendamenti 1.300, 1.301 e 1.30 che discendono dal parere della V Commissione (Bilancio) sui cui esprimere parere favorevole, nonché l'emendamento 1.500 delle Commissioni per ottemperare al quarto punto del parere della V Commissione (Bilancio), di cui raccomandano l'approvazione. MARIA ELENA STASI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, le Commissioni formulano un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario, di tutti gli emendamenti, tranne - chiaramente - gli emendamenti 1.300, 1.301 e 1.302 che discendono dal parere della V Commissione (Bilancio) su cui esprimono parere favorevole, nonché l'emendamento 1.500 delle Commissioni per ottemperare al quarto punto del parere della V Commissione (Bilancio), di cui raccomandano l'approvazione.
PRESIDENTE. Il Governo?
GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
PRESIDENTE. Sta bene.
Ricordo che, ove i presentatori non comunichino il ritiro delle rispettive proposte emendative per le quali vi è un invito in tal senso, la Presidenza le porrà in votazione.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Maurizio Turco 1.1.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Maurizio Turco 1.1, non accettato dalle Commissioni né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Laboccetta, onorevole Bianconi, onorevole Garavini, onorevole Scilipoti, onorevole Comaroli, onorevole Vanalli, onorevole Consiglio, onorevole Colombo, onorevole Osvaldo Napoli...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia
).
(Presenti e votanti 522
Maggioranza 262
Hanno votato sì 256
Hanno votato no 266).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Zaccaria 1.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, intervengo solo per un paio di minuti perché questo (insieme alla proposta emendativa successiva) non è un mio emendamento personale ma rappresenta un'osservazione (che mi pare molto significativa e lo dico perché non è mia, personale) del Comitato per la legislazione. Cosa succede? Siamo in una materia coperta da disciplina legislativa, cioè sono le leggi a regolare questa materia. Ebbene, il fondo perequativo di cui si parla qui viene sostanzialmente gestito con un decreto ministeriale. In altre parole è un errore di «grammatica», nel senso che quando la materia è disciplinata con leggi, non si può derogare ad essa con decreti ministeriali.
Questo lo dico perché fare questo errore significa poi, nelle fasi successive, poter andare incontro a delle censure sul piano formale di questo provvedimento. La spiegazione della relatrice per non accettare questo emendamento sacrosanto Pag. 63è la seguente e vorrei che fosse ascoltata da tre o quattro persone. Secondo tale spiegazione si è ritenuto preferibile che la dotazione del fondo possa essere incrementata, se necessario, con semplice atto amministrativo - siamo in un'Aula del Parlamento naturalmente - senza quindi dover ricorrere a modifiche legislative che richiedono tempi lunghi.
Questo è il principio democratico, cioè in certe materie la disciplina deve essere data per legge. Noi sappiamo che, volendo, i tempi possono essere anche brevi, quando si è d'accordo. Allora come si fa a dire che in una materia dove vige il principio di legalità, dove c'è una legge che disciplina la materia, si può derogare con un decreto del Ministro? Lo capirei se il provvedimento fosse stato in seconda lettura, vincolato, blindato, ma questo decreto-legge è diventato un «colabrodo» (mi permetta l'espressione che non è tecnicamente appropriata), in quanto è stato modificato in maniera molto forte, e si sono accolti ovviamente pareri e indicazioni della Commissione Bilancio. Ebbene, cosa mancava a non accogliere questa osservazione che per chi fa la pratica del parlamentare dovrebbe essere di comune buonsenso?
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Zaccaria 1.2, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Scilipoti, onorevole Raisi, onorevole Parisi, onorevole Laura Molteni, onorevole Giachetti...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia
).
(Presenti 526
Votanti 525
Astenuti 1
Maggioranza 263
Hanno votato sì 257
Hanno votato no 268).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Rugghia 1.3.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, come è stato detto dai colleghi del mio gruppo che mi hanno preceduto, noi, in sede di Commissioni riunite, abbiamo provato a migliorare il provvedimento, che è molto atteso dalle Forze dell'ordine e dai militari, anche attraverso il contributo, per la verità, della maggioranza e dei relatori. Poi, successivamente, nel passaggio in Commissione bilancio e con la valutazione del Governo, purtroppo, siamo tornati al testo originario. Non ci sarà più, quindi, come era stato stabilito dalle Commissioni riunite, un assegno fisso, continuativo e pensionabile. Si tornerà, insomma, all'una tantum, una misura questa assolutamente risibile. Non si tratta, signor Presidente, colleghi della Camera dei deputati, di un riconoscimento di diritto; non si tratta, come è nella natura del provvedimento, della riparazione di un torto che è stato subito da tutti gli appartenenti al comparto difesa e sicurezza, ma siamo, addirittura, alla mancia. Il collega Vannucci che mi ha preceduto lo ha detto molto bene ed io condivido le sue considerazioni.
Abbiamo provato a vedere quale sarà l'impatto del presente provvedimento sulla platea dei cittadini in divisa che aspettano questo intervento. Si tratta, su 400 mila persone, di circa 25 euro di una tantum. È una misura effettivamente risibile, deludente e anche mortificante rispetto alle aspettative dei militari e delle forze di polizia. Ma se guardiamo questo provvedimento, ciò che proprio non tiene è la copertura che viene individuata.
I soldi per finanziare questa una tantum li prendiamo sostanzialmente dal Fondo sul riordino delle carriere. Quello sì era un provvedimento che tutti i militari aspettavano e che, purtroppo, non verrà più messo all'ordine del giorno di questo Parlamento, perché tale fondo è stato saccheggiato prima - erano rimasti pochi Pag. 64euro - ed ora, su quel fondo, non vi è neppure un euro. Li prendiamo dal Fondo giustizia. Il collega Naccarato l'ha detto: sul Fondo giustizia non ci sono soldi. Come possiamo prevedere coperture di questo tipo se non ci sono i soldi per quanti aspettano i finanziamenti che sono propri di quel fondo? E, poi, quando si pensa di finanziare questi interventi una tantum attraverso il Fondo missioni arriviamo ad una situazione ridicola e contraddittoria allo stesso tempo.
Voglio dire solo questo, signor Presidente: domani esamineremo la mozione sulla Libia che sarà sicuramente approvata; abbiamo conosciuto il testo in quanto è stata trovata la sintesi e l'unità tra le forze di maggioranza. In quella mozione si sostiene che la copertura delle spese per la missione verrà sostenuta esclusivamente con i fondi propri, quelli ordinari cioè, del Ministero della difesa. Non ci sono questi fondi, tant'è che non riusciamo neanche a metterli a disposizione per un'una tantum molto risibile per i militari. E come possiamo pensare che questi fondi ordinari della difesa possano essere sufficienti a coprire la spesa per la missione in Libia che, in base a ciò che abbiamo letto oggi sul quotidiano Il Sole 24 Ore ed alle conferme arrivate anche dai rappresentanti del Governo, ammonta a 260 milioni di euro per tre mesi? Se non cambiano le coperture, quindi, siamo veramente alla presa in giro.
Noi vi chiediamo di votare a favore di questo emendamento, modificare le coperture per questa una tantum, intanto perché sono al di sotto delle aspettative e, poi, appunto, perché non sono credibili le coperture che sono state individuate. Se le cose rimarranno così, proprio perché si tratta di una presa in giro, voi oggi prenderete in giro i poliziotti e i militari che si aspettano molto di più ed a cui era stato detto che avrebbero avuto molto di più come effetto compensativo di scelte assunte in passato.
Noi, domani, con la mozione sulla Libia, utilizzando sempre questo finanziamento, questo fondo, che non è neppure sufficiente per un intervento così risibile, rischiamo di prendere in giro tutto il Paese e la comunità internazionale. Vi chiediamo, quindi, di votare a favore dell'emendamento in esame per cambiare le coperture, per non prendere in giro il Paese e per non prendere in giro le Forze di polizia ed i militari.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rugghia 1.3, non accettato dalle Commissioni né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Rossi... onorevole Sardelli... onorevole Mondello... onorevole Schirru...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia
).
(Presenti 526
Votanti 525
Astenuti 1
Maggioranza 263
Hanno votato sì 254
Hanno votato no 271).
Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.300 da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, con l'emendamento in esame il gioco dell'oca si compie. Siamo ritornati alla casella dalla quale eravamo partiti. Colleghi, perché siamo chiamati oggi a votare questo decreto-legge? Per una ragione molto semplice. Perché con la legge n. 122 del 2010, la legge di stabilità finanziaria, il Governo Berlusconi che ha in cima alle proprie preoccupazioni il comparto sicurezza (direi che ce l'ha proprio nel cuore), aveva deciso, per riconoscere la specificità del comparto, di effettuare dei bei tagli lineari, non di mettere un euro in Pag. 65più al riconoscimento della specificità ma di fare dei bei tagli. Questo è particolarmente grave perché avete dimostrato di non essere capaci nemmeno di pensare al riordino del comparto sicurezza che sarebbe la ragione vera in grado di attribuire specificità al comparto sicurezza. Non siete capaci di pensarlo, non siete capaci di farlo. Ma non siete nemmeno capaci di stanziare soldi per il comparto sicurezza. Infatti, con questo emendamento si ritorna all'inizio di tutto il discorso. Questo non è un contributo pensionabile. Durante i lavori della Commissione, ci eravamo battuti perché questa mancia che date avesse almeno la dignità di poter entrare nella pensione degli operatori del comparto sicurezza. Non avete nemmeno il coraggio di parlare e di guardare negli occhi queste persone che hanno protestato e sono andate sotto la casa del Presidente del Consiglio che ha detto: «ci penserò io» ed ecco come ci pensa: con una mancia, con un obolo. È una cosa assolutamente vergognosa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
La cosa più grave è che con il provvedimento in esame non solo elargite «quattro euro» ma creerete una situazione di disparità incredibile tra chi è andato in pensione lo scorso anno e chi va in pensione oggi, creando un contenzioso infinito che prima o poi dovrete ripagare. Quello che non avete il coraggio di mettere oggi come soldi, come finanziamento, dovrete tirarlo fuori con gli interessi quando chi avrà fatto ricorso avrà visto approvato il suo ricorso, avrà viste riconosciute le sue ragioni. Per tutti questi motivi abbiate almeno la decenza, non l'eleganza ma la decenza, di non presentare ordini del giorno in cui invitate il Governo ad assumersi l'impegno a favore del comparto sicurezza. Non vi crede più nessuno. Lo scorso anno non avete stanziato un euro. Avete emanato un decreto-legge e noi vi abbiamo aiutato affinché divenisse qualcosa di serio. Non siete stati capaci di farlo: elargite una mancia, state facendo un'autentica schifezza. Abbiate almeno il coraggio di ammetterlo e non fate ordine del giorno vergognosi per illudere la gente. Tanto sappiate che non vi crede più nessuno.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.300, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento, accettato dalle Commissioni e dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Cesario... onorevole Zunino... onorevole Capano... onorevole Villecco Calipari... onorevole Cesaro...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia
).
(Presenti 527
Votanti 508
Astenuti 19
Maggioranza 255
Hanno votato sì 270
Hanno votato no 238).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.500 delle Commissioni, accettato dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Mazzuca? Onorevole Boniver? Onorevole Lussana? Onorevole Villecco Calipari?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia
).
(Presenti 520
Votanti 519
Astenuti 1
Maggioranza 260
Hanno votato sì 519).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rugghia 1.15, non accettato dalle Commissioni né dal Governo. Pag. 66
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Granata? Onorevole Villecco Calipari? Onorevole Trappolino? Onorevole Migliavacca? Onorevole Paolini? Onorevole Barbareschi? Onorevole Ronchi?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia
).
(Presenti e votanti 528
Maggioranza 265
Hanno votato sì 257
Hanno votato no 271).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Zaccaria 1.18.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, anche quello in esame è un emendamento che sarebbe stato facilmente accettabile, perché normalmente, quando nelle leggi si deve dare attuazione a qualcosa, si fanno dei regolamenti, almeno così avevano detto coloro che insegnavano queste discipline. Il regolamento dovrebbe essere posto in essere normalmente con decreto del Presidente della Repubblica (lo dice la legge n. 400 del 1988), tuttavia, in questo caso, vi è al riguardo un'interpretazione originale, nel senso che, anziché questa procedura, si individua il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Capisco che alla maggioranza possa piacere di più che venga posto in essere un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri anziché il decreto del Presidente della Repubblica, però sinceramente non è consentito agire in base alle simpatie personali.
Dice la relatrice, nel respingere l'emendamento proposto, che se si facesse in questo modo, cioè se si facesse un decreto del Presidente della Repubblica, questo determinerebbe un eccessivo irrigidimento delle procedure di attuazione del provvedimento in esame. Posso spiegare cosa vuol dire irrigidimento? Vuol dire che sui regolamenti è previsto il parere del Consiglio di Stato. Dunque la formula prescelta, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è una formula che evita questo parere del Consiglio di Stato, quindi è un ingombro. Non è solo un ingombro fare le leggi, perché si perde tempo, ma è un ingombro anche fare i regolamenti. Quindi, volevo solo segnalarlo, lo dico affinché rimanga a verbale e affinché chi vota contro sappia che tutto sommato tradisce alcuni principi nei quali dovrebbe in qualche modo credere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Zaccaria 1.18, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Garagnani? Onorevole Capitanio Santolini? Onorevole Cesaro? Onorevole De Pasquale? Onorevole Barbaro? Onorevole Sposetti?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti e votanti 526
Maggioranza 264
Hanno votato sì 257
Hanno votato no 269).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.301, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento, accettato dalle Commissioni e dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevoli Scilipoti, Nedo Poli, Galletti, Tempestini, Donadi... Pag. 67
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva
(Vedi votazionia
).
(Presenti 524
Votanti 502
Astenuti 22
Maggioranza 252
Hanno votato sì 270
Hanno votato no 232).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Villecco Calipari 1.10.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.
ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, come altri colleghi vorrei ricordare che con questo provvedimento, che forse è meglio definire più che una tantum «una manciam», in effetti si tentava, o comunque la maggioranza tentava, di colmare un vulnus che era stato creato con la legge n. 122 del 2010 recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. Con quella legge, infatti, si erano praticamente annullati gli effetti economici delle promozioni e quelli che derivano da situazioni legate al naturale sviluppo di carriera. Per dirla più chiaramente, un capitano, se viene promosso, viene pagato come nel ruolo precedente. Allora come ora, noi abbiamo sempre decisamente criticato questa posizione; abbiamo presentato emendamenti che poi non fu possibile votare perché venne posta la questione di fiducia; abbiamo presentato ordini del giorno che sono stati approvati da quest'Aula e anche dal Governo; abbiamo continuato a dire che tutto ciò da un lato è incostituzionale e dall'altro è assolutamente inopportuno perché queste sono strutture che sono organizzate in termini gerarchici e ciò avrebbe creato quindi un effetto devastante. La ragione, tuttavia, è ancora un'altra ed è più concreta e sembrava o, almeno, ci sembrava, quando ne abbiamo discusso in Commissione Difesa (in questa sede l'onorevole Cicu aveva presentato un emendamento simile a quello di cui ora sto parlando) che vi fosse, anche da parte della maggioranza, una sensibilità a capire che questo non poteva essere un trattamento speciale, una volte per tutte, ma che doveva diventare un trattamento con carattere fisso, continuativo e soprattutto pensionabile. È questo quello che il nostro emendamento afferma perché il balletto di questa maggioranza è stato poi in Commissione Bilancio un balletto che ha annullato quell'emendamento che la stessa maggioranza aveva fatto approvare nelle Commissioni Affari Costituzionali e Difesa con la nostra condivisione. Questa allora è, ancora una volta, una presa in giro al comparto sicurezza e al comparto delle Forze armate che voi avete sempre sostenuto essere un comparto indispensabile per la tutela dei diritti dei cittadini di questo Paese e ancora oggi lo state negando, ancora una volta lo state tradendo, siamo solo noi che con coerenza lo stiamo difendendo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Villecco Calipari 1.10, non accettato dalle Commissioni né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevoli Razzi, Scilipoti, Stradella, Ferranti...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti 521
Votanti 520
Astenuti 1
Maggioranza 261
Hanno votato sì 252
Hanno votato no 268). Pag. 68
Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.302 da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento. Avverto che, a seguito dell'eventuale approvazione di questo emendamento, risulterebbe precluso l'emendamento Maurizio Turco 1.13.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maurizio Turco. Ne ha facoltà.
MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, essendo eventualmente precluso il mio emendamento intervengo su questo. Credo che, a parte la questione dell'una tantum, che appare a dir poco ridicola, il provvedimento sia la solita toppa mal messa, che si rivelerà, come al solito, un sistema per dare ai dirigenti quello che ai ruoli non direttivi e non dirigenziali viene abitualmente tolto.
Avete fatto e fate la vostra propaganda, potendo contare unicamente sulla dedizione al dovere della truppa, alla quale, sino ad oggi, avete riservato un trattamento a dir poco vergognoso. Infatti, li avete illusi e maltrattati sotto ogni aspetto, dal lavoro alla dignità che meritano, restringendone i diritti e tagliando indiscriminatamente gli stipendi, per arrivare ad affossare anche quella stessa promessa di riordino delle carriere sulla quale avete fatto incetta di voti e di fiducia.
Fiducia che non meritate, e lo state dimostrando ogni giorno, presentando provvedimenti per favorire gli alti gradi, creando nuovi posti di poteri, gestione e comando, mantenendo in piedi una rappresentanza militare che, sicuramente, vi serve come strumento di controllo. Per ben due volte l'avete prorogata, negando ai militari di poter scegliere i propri rappresentanti: li avete scelti voi, per una tazzina di caffè, perché in cambio gli avete dato la gestione delle macchinette del caffè all'interno delle caserme. Questo è semplicemente vergognoso, da parte vostra e da parte di chi ha accettato questo scambio! Voi ricompensate la dedizione delle Forze dell'ordine con una tazzina di caffè! Solo per alcuni, però!
Sin dalla scorsa estate abbiamo detto che i 170 milioni di euro che avevate stanziato per il biennio 2011-2012 erano totalmente insufficienti. L'avete capito anche voi, ma lo sapevate: li stavate ancora una volta truffando, come abitualmente fate dall'inizio della legislatura.
Inoltre, è ormai accertato che i soldi che voi togliete alla truppa (come avete fatto sino ad oggi) all'80 per cento vanno agli alti gradi e ai generali. Su questo avete continuato a far finta di nulla, avete continuato a derubare la truppa per arricchire i generali. Perché? Perché i generali vi servono. Dalla Finmeccanica a Difesa Servizi Spa i generali vi servono, vi servono per fare affari, vi servono per fare il «nero» necessario, dalla Libia al Kazakistan. Su questo avete parole per la truppa, o avete solamente il vostro accordo tacito ma segreto solo con i generali (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico)?
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.302, da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento, accettato dalle Commissioni e dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevoli Buonfiglio, Raisi, Calderisi, Villecco Calipari...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva
(Vedi votazionia
).
(Presenti 524
Votanti 501
Astenuti 23
Maggioranza 251
Hanno votato sì 271
Hanno votato no 230).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Maurizio Turco 1.14, non accettato dalle Commissioni né dal Governo. Pag. 69
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Scilipoti, onorevole Proietti Cosimi.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti 527
Votanti 279
Astenuti 248
Maggioranza 140
Hanno votato sì 10
Hanno votato no 269).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Paladini 1.17, non accettato dalle Commissioni né dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Scilipoti, onorevole Cesario.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti 526
Votanti 525
Astenuti 1
Maggioranza 263
Hanno votato sì 256
Hanno votato no 269).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Di Stanislao 1.19, non accettato dalle Commissioni né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Rubinato, onorevole Calderisi, onorevole Concia.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti 529
Votanti 528
Astenuti 1
Maggioranza 265
Hanno votato sì 259
Hanno votato no 269).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Naccarato 1.20, non accettato dalle Commissioni né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti 522
Votanti 520
Astenuti 2
Maggioranza 261
Hanno votato sì 252
Hanno votato no 268).
Prendo atto che i deputati Baretta e Monai hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Maurizio Turco 1.21, non accettato dalle Commissioni né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Patarino, onorevole Mazzuca, onorevole Della Vedova, onorevole Baretta, onorevole Fogliardi, onorevole Gnecchi.
Dichiaro chiusa la votazione. Pag. 70
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti 529
Votanti 322
Astenuti 207
Maggioranza 162
Hanno votato sì 7
Hanno votato no 315).
I successivi emendamenti erano già stati dichiarati inammissibili.
Avviso pertanto che, consistendo il disegno di legge di un solo articolo, si procederà direttamente alla votazione finale ai sensi dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.
(Esame degli ordini del giorno - A.C. 4220-A)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 4220-A).
Avverto che è in distribuzione una nuova formulazione dell'ordine del giorno Marinello n. 9/4220-A/4.
Qual è il parere del Governo sugli ordini del giorno presentati?
GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il Governo accetta l'ordine del giorno Catanoso n. 9/4220-A/1 e accetta il primo capoverso del dispositivo dell'ordine del giorno Pelino n. 9/4220-A/2. Per quanto concerne il secondo capoverso, faccio notare che, come i presentatori scrivono, è possibile che sia necessario reperire delle risorse. A questo fine, chiedo che esso venga riformulato, inserendo le parole «a valutare la possibilità di». Ciò in relazione a quanto espresso nell'ultimo periodo che dice: «individuando, se del caso, le ulteriori risorse necessarie». Il Governo non può prendere impegni su delle risorse a cuor leggero e, quindi, se il secondo capoverso del dispositivo potesse essere così riformulato, sarebbe accettato.
Sull'ordine del giorno Maurizio Turco n. 9/4220-A/3 esprimerà il parere il sottosegretario Crosetto.
PRESIDENTE. Prego, sottosegretario Crosetto.
GUIDO CROSETTO, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, è anomalo dividere in due la formulazione dei pareri, ma dopo l'intervento dell'onorevole Maurizio Turco penso che il parere contrario vada motivato. Onorevole Turco, siamo abituati in quest'Aula a sentire interventi molto duri, posizioni politiche dure, però - parlo per me, l'onorevole Cossiga e il Ministro che adesso è assente - nessuno di noi è disponibile a venire in quest'Aula e sentirsi dare del ladro, del bandito, di persona che fa il «nero» con Finmeccanica (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Non so quale sia il suo concetto di politica, ognuno di noi può avere idee diverse, le persone che sono qui presenti cercano di lavorare per le Forze armate. Lei sa benissimo che anche questo decreto-legge è un punto di arrivo che ha avuto una notevole discussione all'interno del Governo e un punto non esaustivo anche rispetto alle attese di una gran parte della maggioranza, ma è una risposta a quelle Forze dell'ordine e a quelle Forze armate alle quali tutti i giorni chiediamo qualcosa. Non è il massimo, ma è più di quello che avevamo prima che questo decreto-legge ci fosse.
PRESIDENTE. Quindi, qual è il parere sull'ordine del giorno Maurizio Turco n. 9/4220-A/3?
GUIDO CROSETTO, Sottosegretario di Stato per la difesa. Scusi, Presidente, ci sono delle cose che si possono motivare anche quando si dà un parere contrario.
Noi non possiamo però accettare in quest'Aula dichiarazioni come quelle che lei ha fatto, non come maggioranza o opposizione, come persone (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)! Scusatemi, onorevoli, posso dare il parere. Sentirsi dire...
FURIO COLOMBO. Questo è il Parlamento! Il parlamentare può parlare!
PRESIDENTE. Colleghi! Ha il diritto di parlare, per cortesia!
GUIDO CROSETTO, Sottosegretario di Stato per la difesa. Onorevole Colombo, come parlamentare che siede oltre che da parlamentare anche da membro del Governo, ho il diritto di parlare quando vengo accusato assieme ai colleghi di: a) dare soldi ai generali, cosa che questo decreto-legge non contiene; b) coprire il «nero» per fare operazioni all'estero. Si tratta di cose che, mi permetta, possiamo trovare in qualche romanzo ma non in questo Governo, non nelle persone che sono qua sedute. E se chiedo dignità personale e la cosa mi irrita è perché probabilmente troppo poco spesso, troppo poco, chiediamo un rispetto personale.
C'è qualcosa che va al di là delle cariche che noi copriamo, è il rispetto per le persone; e la nostra storia personale parla anche per noi! Il parere è contrario (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Iniziativa Responsabile).
PRESIDENTE. Qual è il parere del Governo sull'ordine del giorno Marinello n. 9/4220-A/4 (Nuova formulazione) e sugli altri ordini del giorno presentati?
GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il Governo accetta l'ordine del giorno Marinello n. 9/4220-A/4 (Nuova formulazione), accoglie come raccomandazione l'ordine del giorno Alessandri n. 9/4220-A/5, in quanto concerne una materia che non compete al Ministro della difesa e, quindi, si tratta di tematiche per le quali non posso che esprimere un accoglimento come raccomandazione.
L'ordine del giorno Cirielli n. 9/4220-A/6, firmato da molti rappresentanti di gruppi sia di maggioranza che di opposizione, è accettato. Il Ministro della difesa ringrazia per questa importante indicazione in relazione al lavoro che è stato fatto in Commissione.
Con riguardo all'ordine del giorno Rosato n. 9/4220-A/7, l'onorevole Rosato, che è stato sottosegretario come me, comprende bene che il Governo non è una direzione generale, ma poiché è evidente la strumentalità dell'ordine del giorno il Governo non può che non accettarlo.
PRESIDENTE. Prendo atto che il presentatore non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Catanoso n. 9/4220-A/1, accettato dal Governo. Prendo atto che i presentatori accettano la riformulazione e non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Pelino n. 9/4220-A/2, accettato dal Governo, purché riformulato. Prendo atto che i presentatori insistono per la votazione dell'ordine del giorno Maurizio Turco n. 9/4220-A/3, non accettato dal Governo.
Passiamo ai voti
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Maurizio Turco n. 9/4220-A/3, non accettato dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevoli Sardelli, Scilipoti, Scalera, Raisi, Simeoni, Mecacci...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge
(Vedi votazionia
).
(Presenti 505
Votanti 314
Astenuti 191
Maggioranza 158
Hanno votato sì 9
Hanno votato no 305).
Prendo atto che il deputato Tassone ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario.
Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Marinello n. 9/4220-A/4 (Nuova formulazione), accettato dal Governo. Pag. 72
Prendo atto che il presentatore non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Alessandri n. 9/4220-A/5, accolto dal Governo come raccomandazione.
Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione dell'ordine del giorno Cirielli n. 9/4220-A/6, accettato dal Governo.
Chiedo al presentatore se insista per la votazione dell'ordine del giorno Rosato n. 9/4220-A/7, non accettato dal Governo.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intervengo intanto richiamando il Governo, perché il parere espresso dal sottosegretario Cossiga è veramente inqualificabile. Dire che il mio ordine del giorno n. 9/4220-A/7 è strumentale mi sembra un'affermazione che doveva essere richiamata da lei. Glielo leggo, dato che viene definito strumentale. Poteva essere definito ridondante ma non strumentale, in quanto chiedo semplicemente che tutti gli arretrati che i Corpi di polizia, le Forze armate e i Vigili del fuoco aspettano da oltre 90 giorni - non da oltre 9 giorni, ma da oltre 90 giorni - vengano pagati nei prossimi 30 giorni.
Questo non è un ordine del giorno strumentale, ma è un ordine del giorno che richiama il Governo a prendere atto di impegni amministrativi che ha nei confronti di dipendenti che hanno lavorato e attendono il pagamento degli straordinari. Se questo non è stato fatto negli ultimi 30 anni - ma non è così - allora il Governo deve dire che si impegnerà a risolvere il problema e a dare a chi ha lavorato quanto gli spetta.
Il Governo non deve definire strumentale un parlamentare che sollecita il Governo a fare il suo lavoro, sulla pelle di tanti lavoratori che sono nelle strade (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
Questo è un comportamento inaccettabile mentre è strumentale - questo sì - il comportamento del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, intervengo per spiegare meglio il termine. Il Governo, come è noto, da alcuni anni non svolge direttamente l'azione amministrativa. Se l'ordine del giorno fosse stato strutturato al fine di garantire l'impegno del Governo per permettere la corretta applicazione dell'azione amministrativa - e sicuramente è così - se così fosse riformulato, il Governo non avrebbe difficoltà ad accogliere l'ordine del giorno.
Poiché non è stato riformulato in tal modo e si attribuisce al Governo una potestà di azione amministrativa che il Governo non ha ai meri fini strumentali legati ai 30 giorni che, come l'onorevole sa, non competono al Governo ma a coloro che svolgono l'azione amministrativa, non posso che definirlo come lo ho definito e, quindi, mantengo il parere contrario già espresso.
ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, credo che a norma del Regolamento vi sia una richiesta di riformulazione da parte del Governo. Accolgo questa richiesta di riformulazione dell'ordine del giorno con cui si impegna il Governo - se questo è il problema - a provvedere a far corrispondere...
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Rosato, se la interrompo. Chiedo al rappresentante del Governo se ha proposto una riformulazione.
GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, ho semplicemente motivato perché ho giudicato strumentale questo ordine del giorno. Non lo avrei fatto se fosse stato formulato in un altro modo. In quel caso, il Governo non avrebbe potuto che accettare l'ordine del giorno.
Pag. 73PRESIDENTE. Sta bene. Prego, onorevole Rosato.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, sebbene consideri il collega Cossiga una persona perbene penso, tuttavia, che stia cercando di difendere l'indifendibile. Chiedo che gli emolumenti per il lavoro straordinario e le altre indennità, che sono in arretrato da due anni, vengano pagati. Il Parlamento può essere contrario o favorevole. Tutte le altre cose dette sono valutazioni del sottosegretario che sono fumo, non arrosto.
Pertanto, chiedo che il mio ordine del giorno n. 9/4220-A/7 sia posto in votazione.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Rosato n. 9/4220-A/7, non accettato dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevoli Di Caterina, Palagiano, Galletti, Motta, Romani, Sardelli... Ci siamo... L'onorevole Motta ancora non vota... Ha votato?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia
).
(Presenti 505
Votanti 504
Astenuti 1
Maggioranza 253
Hanno votato sì 241
Hanno votato no 263).
Prendo atto che il deputato Delfino ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 4220-A)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo visto oggi con questo provvedimento qual è la risposta che si vuole dare alle Forze dell'ordine in riferimento alle false aspettative, prodotte naturalmente dal Governo attraverso promesse che non riuscite a mantenere.
Nella discussione sulle linee generali avevamo paventato l'opportunità di votare a favore di questo provvedimento e di votare a favore di uomini che servono lo Stato: Forze dell'ordine, appartenenti alle Forze armate e Vigili del fuoco. Per noi era molto importante questo provvedimento, perché il Governo, attraverso una serie di irresponsabilità e di inadeguatezze, ha prodotto una norma devastante per il personale delle Forze dell'ordine, delle Forze armate e del Corpo dei vigili del fuoco. A noi sarebbe anche andata bene - piuttosto che niente è meglio piuttosto - la parola «poco», ma qui addirittura si prevedono pochi fondi e non pensionabili.
Quindi, credo che con questo provvedimento di oggi vi esponiate ad una serie di ricorsi infinita in quanto diversificate, per la prima volta, personale da personale all'interno dello stesso comparto, all'interno dello stesso ruolo, all'interno della stessa funzione e all'interno dello stesso parametro. Siete riusciti, in un colpo solo, a creare una disomogeneità impressionante.
Forse non vi rendete conto che non conoscete come sono formate e come sono organizzate a livello economico le Forze dell'ordine, né con riferimento alla base pensionabile, né con riferimento alle indennità. Non conoscete cosa sono i parametri, cosa sono le indennità, né tantomeno tutte quelle voci che fanno parte della parte stipendiale e che, quindi, indubbiamente incidono fortemente nel rendiconto economico degli operatori. Pag. 74
Voi avevate pensato, attraverso il primo provvedimento, di concedere al personale delle Forze dell'ordine, penalizzato da provvedimenti di contenimento della finanza pubblica degli ultimi anni, questa una tantum, denominata in sede di Commissione «assegno perequativo individuale». A noi questo stava bene anche se naturalmente era un contributo molto limitativo: si trattava di poco, ma, bene o male, avrebbe restituito alle Forze dell'ordine una minima parte di quello che era stato loro tolto.
Le false aspettative che oggi date vi creeranno moltissimi problemi all'interno delle organizzazioni sindacali che vi siete guardati molto bene dall'informare. Infatti, siete riusciti anche a non far approvare l'emendamento relativo alla contrattazione o comunque all'ascolto dei sindacati di polizia. Siete anche riusciti a non far accettare l'ordine del giorno concernente gli arretrati.
Non comprendo come il Governo possa essere così insensibile e non capisca che da due anni c'è personale che non percepisce gli arretrati. Cosa vi costava oggi in quest'Aula dire...
SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, il Governo ci ascolti!
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, comprendo che può non essere interessante - per carità - perché magari al Governo non interessa quello che dice l'opposizione, però visto che prima si parlava di rispetto della persona, questo deve esserci da entrambe le parti, senza costringermi naturalmente ad utilizzare termini che non fanno parte del mio modello culturale!
Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che oggi abbiate compiuto un atto degno dell'inadeguatezza di questo Governo nel trattare la tematica della sicurezza pubblica, i problemi delle Forze dell'ordine, creando addirittura, attraverso questo provvedimento, una disomogeneità all'interno dello stesso comparto.
Siete stati molto bravi, soprattutto perché con questo provvedimento che recava misure urgenti - perché adesso con questo provvedimento le misure urgenti non ci sono più - ogni agente, sovrintendente, ispettore, commissario, dirigente, ogni ruolo rappresentato all'interno del personale delle Forze dell'ordine avrà un'una tantum. Tra l'altro, voi non vi preoccupate se chi andrà in pensione fra un mese percepirà lo stesso stipendio che avrebbe percepito il mese prima, non vi preoccupate se lo stesso agente o sovrintendente all'interno della funzione percepirà per lo svolgimento della stessa funzione un modello completamente diverso proprio perché questa indennità non è pensionabile. L'indennità delle forze dell'ordine si forma attraverso tre sistemi di pensionamento: contributivo, retributivo e misto, considerato il percorso degli ultimi dieci anni. Tutto ciò, su un'unica voce retributiva, per coloro che sono al retributivo, stipendiale e commisurata attraverso i dieci anni che si sommano per arrivare naturalmente alla pensione attraverso questo processo.
Credo sia un tema essenziale, non parliamo poi del danno che fate a coloro che andranno in pensione con il sistema contributivo, perché essi dovranno sommare tutta l'età pensionabile e si troveranno attraverso questo processo a svolgere lo stesso lavoro dei colleghi inquadrati nel retributivo; ad ogni modo, la loro indennità non sarà però pensionabile, quindi subiranno un danno irreparabile. Inoltre, poiché non stiamo parlando di un'una tantum sul complesso, ma credo di un qualcosa che possiamo considerare un contratto - non si tratta, infatti, di un'una tantum specifica, ma viene presa in considerazione un'una tantum attraverso il procedimento di ogni singola voce del parametro e la voce stipendiale, quindi è, bene o male, un contratto -, voi vi «beccherete», ve lo anticipo, centinaia di migliaia di ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato. Considerandomi quasi un veggente vi posso dire che perderete tutte le cause, non ne vincerete una per il semplice motivo che non è possibile dare l'indennità di funzione ad una persona affinché non Pag. 75sia assoggettata all'indennità pensionabile, perché non potete dire che è un'una tantum generale, complessiva.
Quindi quell'indennità pensionabile, di funzione non può non essere pensionabile; credo che voi non abbiate ben compreso né cosa avete fatto prima, né cosa avete fatto con il decreto n. 112 del 2008, né quello che avete combinato poi successivamente adottando questa norma, né quello che avete combinato dopo cercando di risolvere questa norma, né quello che avete combinato oggi cercando di risolvere quello che avevate risolto e stravolgendo di nuovo tutto, ripartendo da capo abrogando quello che avevate approvato prima.
Quindi, da una parte date, dall'altra togliete, dall'altra mettete, poi togliete, poi ridate. Bisogna mettercela tutta se si vuole essere buoni con voi e cercare di non dire cose insensate e approssimative. Voi, invece, durante tutto l'iter di questo provvedimento siete stati approssimativi, mentre nelle Commissioni si è lavorato molto bene, in sintonia, abbiamo cercato di risolvere i problemi e poi...
PRESIDENTE. Onorevole Paladini, la invito a concludere.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, ho ancora quindici secondi. Proprio perché, piuttosto che niente è meglio piuttosto, non voteremo contro questo provvedimento perché non vogliamo sicuramente danneggiare come avete fatto voi le Forze dell'ordine, quindi pochi ma non pensionabili, ci asterremo da quello che avete fatto fino ad oggi di irreparabile (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO PAGLIA. Signor Presidente, sinceramente prima di questa sera avevo preparato un altro intervento, anche perché in Commissione obiettivamente avevamo ritrovato una certa intesa tra maggioranza e opposizione, con l'aiuto dei relatori e del Governo. Poi, come spesso avviene in questo periodo, basta una telefonata perché le cose cambino. Lo ha fatto Tremonti, precedentemente l'ha fatto Obama. Forse Tremonti obiettivamente ha più diritto rispetto ad altri di telefonare e cambiare le carte in tavola. Penso che comunque il comparto difesa e sicurezza, insieme ai vigili del fuoco, meriti sicuramente maggiore rispetto e considerazione da parte di tutti. La mia forse sarà anche utopia, però voglio continuare a crederci ed è per questo motivo che Futuro e Libertà si asterrà sul voto finale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, intervengo brevemente per dichiarare l'astensione del gruppo dell'Unione di Centro. Certamente abbiamo anche manifestato qualche perplessità - uso questo termine e quindi un eufemismo - su questo provvedimento, che è stato motivo di discussione, ma anche di ulteriore preoccupazione, perché immaginare, pensare, dire, dichiarare o manifestare che si fa un provvedimento a favore delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco con questi risultati ritengo sia stato più un inganno che altro. Mi auguro che il Governo possa recuperare in futuro, ma ci vuole una forte iniziativa anche del Parlamento. Abbiamo votato anche contro alcuni emendamenti, quelli che erano più eclatanti, perché hanno ulteriormente evidenziato i limiti di questo provvedimento, come ha evidenziato il mio gruppo in Commissione bilancio. Ne ha già parlato il collega Occhiuto, per cui non mi dilungo e non vado oltre le cose che abbiamo più volte espresso in questo particolare momento. Pensate veramente - lo dico al Governo, qui c'è il sottosegretario Cossiga - di sistemare le Forze armate, le Forze di polizia e il Corpo dei vigili del fuoco con pochi soldi? Non è però un problema di soldi, occorre capirne il ruolo, la specificità e la peculiarità. Dobbiamo ridurre Pag. 76ancora le Forze armate per ritrovare la copertura con le risorse disponibili? Ma un discorso serio sulle Forze armate, sul ruolo delle Forze di polizia e sui Vigili del fuoco in questo Paese o in questo Parlamento non si è mai fatto. Lo vogliamo fare questo dibattito, questo confronto? Oppure ci riempiamo la bocca con le nostre missioni all'estero, che sono importanti e vedono ovviamente il sacrificio, la dedizione, la grande consapevolezza e il senso di responsabilità delle nostre Forze armate? Oppure parliamo delle nostre Forze dell'ordine per il contrasto alla criminalità organizzata, di cui conosciamo la disorganizzazione, la mancanza di coordinamento, gli squilibri e le confusioni che esistono soprattutto nelle aree del Mezzogiorno? Allora, noi diciamo «sì» all'astensione dopo aver detto «no» - non è una contraddizione, tanto per dirlo a qualche collega, soprattutto all'onorevole Paglia - perché la nostra astensione è soprattutto un atto di fiducia e di speranza che possiamo nutrire in questo particolare momento. È inconcepibile che un Governo finisca e chiuda la partita soltanto con un obolo, che finisca la partita nei confronti delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo dei vigili del fuoco con un obolo di 25 o 26 euro al mese per tre anni, senza nemmeno considerarlo pensionabile, con l'introduzione degli emendamenti a seguito delle condizioni poste dalla Commissione bilancio. Perciò, l'astensione è soprattutto un atto di fiducia nei confronti dei destinatari, una riconoscenza per quello che fanno i destinatari, le Forze armate, le Forze di polizia e il Corpo dei vigili del fuoco. È un'astensione che suona come distanza nei confronti di un Governo che ha ceduto queste cose perché sospinto, ma ha saccheggiato il fondo della giustizia, le missioni all'estero e soprattutto le modalità di riqualificazione dell'organico e di progressione di carriera.
Vorrei capire. Se questi sono il senso e il significato di un impegno, siamo lontani e siamo distanti. Una nostra astensione va soprattutto a difendere i principi e i valori di cui sono portatori i destinatari del provvedimento in esame, ma certamente non è un atto di fiducia e, soprattutto, di adesione alla politica del Governo.
Forse sarebbe stato meglio, caro amico, onorevole, Cossiga, che non si facesse niente. Ognuno sarebbe andato avanti così, ma prendere in giro le istituzioni credo sia di una gravità eccezionale.
Tutta questa negatività la ritroveremo in futuro, non con questo Governo, ma in futuro, tutti quanti, perché le negatività le pagano tutti, le pagano le istituzioni ed il Parlamento che in questo momento si trova ad affrontare e ad esaminare, e quindi a votare, come stiamo facendo, il provvedimento in oggetto (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gidoni. Ne ha facoltà.
FRANCO GIDONI. Signor Presidente, è chiaro che anche il gruppo Lega Nord sostiene il provvedimento in esame poiché la conversione in legge del decreto- legge n. 27 del 2011 è per noi una prima misura opportuna e, sicuramente, moralmente indispensabile per risarcire, seppure in modo parziale, il personale militare delle forze dell'ordine il quale negli ultimi anni è stato chiamato a sostenere significativi sacrifici nell'ambito delle manovre imposte dalla necessità di tenere in equilibrio i conti pubblici.
Vengono in effetti stanziati 345 milioni di euro per il triennio 2011-2013 con i quali verranno corrisposti degli assegni una tantum che, auspichiamo, possano essere commisurati alle effettive posizioni stipendiali degli interessati, specialmente a vantaggio di coloro che sul campo rischiano di più e sono remunerati di meno.
La Lega Nord ritiene altresì che il provvedimento in oggetto consenta alla maggioranza di cui siamo parte e al Ministro Maroni in particolare di onorare impegni precisi contratti a suo tempo con gli elettori in primis e con gli operatori del comparto che riteniamo assicurino una funzione delicata e strategica. Senza la Pag. 77sicurezza, infatti, non vi sono né convivenza civile, né progresso economico, né, in ultima analisi, democrazia.
Con l'approvazione del provvedimento in esame le risorse del Fondo previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010 per remunerare la specificità del Comparto difesa e sicurezza saranno incrementate di 115 milioni di euro ogni anno, ma sarà altresì aperta la via ad ulteriori, possibili aumenti che potranno essere coperti dagli eventuali risparmi realizzati sui capitoli che coprono le missioni internazionali di pace o attingendo al Fondo unico per la giustizia.
Il richiamo al risparmio sugli interventi militari all'estero è un riferimento che come Lega Nord apprezziamo particolarmente essendo convinti che le situazioni interna ed internazionale consigliano ormai di ridurre la nostra esposizione esterna almeno su alcuni teatri, quali quello balcanico e del Libano, dove le condizioni politiche generali sono cambiate e nei quali la nostra presenza non pare più in grado di soddisfare i nostri interessi nazionali.
Giudichiamo altresì positivo il fatto che i fondi eventualmente non spesi possano essere riallocati sul bilancio dell'esercizio successivo evitando che vadano persi. Richiamiamo qui il comma 3 dell'articolo 1 del decreto-legge in esame, il quale prevede che le risorse stanziate permetteranno l'erogazione di somme una tantum, tenendo conto degli incrementi stipendiali non concessi al personale promosso, degli assegni funzionali e dei cespiti ulteriori cancellati.
Speriamo che questa prima reintegrazione a favore del personale delle forze di polizia, delle Forze armate e dei vigili del fuoco sia solo il primo passo verso un ritorno ad una condizione di normalità e di prevedibilità finanziaria. Vogliamo, tuttavia, rimarcare come i sacrifici richiesti e per i quali oggi si offre una compensazione, sia pur parziale, non siano stati il frutto di un capriccio, ma di una stringente necessità alla quale ci siamo piegati in nome di un interesse superiore.
Ricordo infine che il comma 4 dell'articolo 1 del provvedimento in esame precisa che l'onere verrà coperto anche con risorse provenienti dalla legge n. 350 del 2003 nella quale, peraltro, erano stati accantonati degli stanziamenti per permettere di finanziare il riallineamento delle carriere nelle Forze armate e in quelle dell'ordine, un'esigenza che prima o poi si dovrà comunque riconsiderare, dando soddisfazione, in primo luogo, alle categorie maggiormente punite in questi anni, come quella dei sottufficiali anziani la cui posizione è oggetto di una nostra proposta di legge giacente al Senato.
La Lega Nord, dunque, voterà a favore del disegno di legge in esame per la conversione del decreto-legge n. 27 ed invita tutti i gruppi presenti in Aula a fare altrettanto per attestare con i fatti la nostra attenzione verso coloro che servono lo Stato nel modo più nobile e rischioso (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fiano. Ne ha facoltà.
EMANUELE FIANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, noi siamo qui questa sera ad esaminare un decreto-legge che cerca di correggere i danni che voi avete fatto in questi tre anni ad un comparto, che è stato e che è sempre nelle vostre campagne elettorali una bandiera della destra. Voi avete tagliato, come è noto a tutti, in questi tre anni 3,7 miliardi a questo comparto e questo stesso decreto-legge dimostra lo stato di confusione e di incapacità del Governo. Questo provvedimento, infatti, serve a correggere delle ferite e degli errori che voi avete compiuto nella manovra estiva del 2010 con il decreto-legge n. 78 - per quanto riguarda tutte le questioni che hanno già sollevato i colleghi del Partito Democratico che mi hanno preceduto - e che dopo meno di un anno siete costretti a cercare di correggere.
Ma, forse, anche questa volta la vostra correzione è peggiore dell'errore iniziale. Il decreto-legge n. 78 del 2010 (e la successiva legge di conversione n. 122 del Pag. 782010) ha penalizzato duramente, come tutti voi sapete, le forze di polizia, le Forze armate, i vigili del fuoco, ha bloccato per il triennio 2011-2013 il trattamento economico complessivo di tutti i dipendenti pubblici, ha bloccato per lo stesso periodo gli adeguamenti retributivi e le indennità integrative, derivanti dallo svolgimento di funzioni diverse dalle promozioni. Voi avete, cioè, messo in un cassetto - ogni volta ritirandola fuori come promessa negli incontri con le organizzazioni sindacali - la specificità di cui vi siete riempiti la bocca, illudendo e raccontando bugie alle forze dell'ordine e alle Forze armate. E così, dopo tante chiacchiere e promesse sulla specificità del comparto sicurezza, la manovra estiva aveva peggiorato ulteriormente la situazione. A ciò bisogna aggiungere il taglio del 30 per cento circa delle risorse alle forze dell'ordine dal 2008 ad oggi.
Io viaggio molto in questo Paese per andare a visitare le forze dell'ordine, le forze di polizia, i commissariati, le questure e vedo, come immagino vediate anche voi, le condizioni in cui operano oggi i lavoratori della polizia, che non hanno benzina per le macchine, che non hanno carta per le fotocopie, che non hanno i soldi per gli appalti della pulizia nei loro commissariati, che hanno gabinetti nei quali si vergognano di entrare, che hanno i topi nelle sedi della polizia, come succede in importanti città di questo Paese.
Voglio ricordare l'ultimo taglio, di cui abbiamo avuto notizia dal sottosegretario Mantovano: il taglio dei fondi per la gestione dei pentiti in questo Paese. Il budget che servirebbe è di 70-75 milioni e, ad oggi, nelle casse del Ministero dell'interno di questi 70 milioni ve ne sono 30. È una cosa essenziale, alla giustizia in questo Paese, la cura dei pentiti, ovvero di coloro che collaborano con la giustizia facendo sgominare le organizzazioni malavitose e criminali. Noi abbiamo meno della metà dei fondi per la loro gestione e, forse, potremo arrivare a giugno.
Da molti mesi proteste fortissime, responsabili e civili dei sindacati delle forze dell'ordine, e il lavoro dell'opposizione e del Partito Democratico - che rivendico - in quest'Aula e nelle Commissioni hanno obbligato questo Governo a tornare sulle proprie decisioni e a varare questo decreto-legge per dare l'illusione di un poco di ossigeno (25 euro al mese nette agli operatori del comparto), dovendo tornare indietro sulle proprie decisioni. Io credo che questo sia da sottolineare e lo voglio dire in questa sede anche alla luce delle emergenze che hanno visto lo straordinario lavoro delle forze dell'ordine in queste settimane e in questi mesi. Voglio citare gli esempi di Lampedusa, gli esempi dei campi delle tendopoli come Manduria e il lavoro che è stato svolto per fornire dei permessi temporanei di soggiorno ai circa 25 mila tunisini, che vengono rilasciati dalle questure. È una pressione enorme, che pesa sulle forze dell'ordine e sulla polizia di Stato, alle quali si dice che i soldi non ci sono e alle quali, oggi, con questo provvedimento si elargisce una mancia, secondo noi vergognosa.
Comunque sia questa mancia, questo decreto-legge è frutto di quelle lotti sindacali e dà ragione al lavoro che il Partito Democratico e l'opposizione hanno svolto in quest'Aula ma ci sono difetti enormi nel provvedimento in esame. Questa assegnazione di fondi avviene senza un rapporto ad una concertazione con i rappresentanti dei lavoratori. Le risorse stanziate, com'è stato detto, per questi fondi sono 115 milioni all'anno per il 2011, 2012 e 2013 più gli 80 milioni per i primi due anni, ma questi 115 milioni sono presi dal Fondo per il riordino delle carriere che viene «ucciso» dal provvedimento in esame. Non ci sarà più il riordino delle carriere perché altri soldi non ci saranno.
Questi soldi non entreranno a far parte del computo pensionistico, sono soldi che i lavoratori delle forze di polizia e gli operatori delle forze dell'ordine vedono adesso, non sanno se ci sarà il finanziamento per il terzo anno e non entreranno a far parte del computo delle loro pensioni.
Per questo noi ci atteggeremo in maniera responsabile di fronte al provvedimento in esame, perché sappiamo quanto Pag. 79sono preziosi questi pochi soldi per le forze dell'ordine che in questo momento, in questo Paese, reggono il peso di un'emergenza straordinaria e la cui dignità è stata troppe volte calpestata in questi tre anni, illudendoli, dicendo loro bugie e tagliando continuamente i fondi, perché le forze dell'ordine vanno bene in campagna elettorale, ma vanno male quando bisogna fare le leggi finanziarie. Ed allora noi, responsabilmente, annunciamo il nostro voto di astensione, perché comunque dei soldi verranno dati alle forze dell'ordine, ma continueremo con loro la battaglia che già in questi minuti i sindacati di polizia annunciano per essere stati illusi dalla maggioranza e dal Governo sulla questione della specificità che, ancora una volta, come noi prevedevamo, in questo provvedimento non ci sarà.
Il Governo e la maggioranza si sono impegnati sulla sicurezza a parole nei confronti delle forze dell'ordine, ma mai in questi anni lunghi anni dal dopoguerra, in cui questo Paese ha saputo superare tante crisi che riguardano la sicurezza, mai come durante il vostro Governo sono stati tagliati così tanti fondi sul comparto sicurezza e difesa, mai come sotto il vostro Governo ai servitori dello Stato si è chiesto di fare di più e si è dato loro di meno.
Pertanto ci asterremo perché vogliamo essere dalla loro parte, vogliamo che loro sentano la nostra voce da quest'Aula, perché noi siamo dalla loro parte, perché pensiamo che le forze dell'ordine in una Repubblica democratica servono per garantire la sicurezza come diritto di libertà di tutti i cittadini, ma pensiamo che sia ingiusto calpestarne la dignità, bloccarne le carriere e che questi soldi non abbiano rilievo sul calcolo della loro pensione. Pensiamo che occuparsi della sicurezza sia un lavoro serio e che questo Governo non lo abbia affrontato seriamente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ascierto. Ne ha facoltà.
FILIPPO ASCIERTO. Signor Presidente, innanzitutto desidero esprimere la solidarietà mia e del Popolo della Libertà al sottosegretario Crosetto e a tutti membri del Governo dei comparti difesa e interno (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà) per il lavoro che sempre hanno svolto con grande dignità e onestà.
Ciò che mi meraviglia è quel parlare in modo anche sarcastico su alcuni aspetti, come se il nostro Paese fosse in una profonda normalità e la situazione fosse di quelle talmente kafkiane che chi per tanti anni ha difeso valori, concetti e uomini appartenenti alla sicurezza e alla difesa del nostro Paese oggi, all'improvviso, per chi sa quale motivo, vuole vessarli o quanto meno non riconoscere la dignità del loro lavoro. E allora oggi ho riflettuto anche sulla mia storia personale, sulla mia vita professionale e mi sono detto che è fondamentale e importante che arrivi un messaggio corretto agli esponenti delle forze dell'ordine.
Vedete, in questi anni il mondo è cambiato. Negli ultimi anni l'Europa e l'Italia hanno dovuto rivedere i loro bilanci.
In Europa ci sono Paesi fortemente in difficoltà, come la Grecia e il Portogallo. Noi, invece, siamo in una situazione diversa sotto il profilo economico, perché sono stati apportati dei tagli alla spesa pubblica. Purtroppo con i tagli alla spesa pubblica, per poter rimanere in Europa e difendere la nostra economia, il nostro mondo del lavoro (di cui fanno parte anche le mogli e i mariti degli esponenti delle forze dell'ordine), abbiamo dovuto fare dei sacrifici. Questi sacrifici si sono tradotti quindi nei tagli alla spesa pubblica. Nei confronti delle forze dell'ordine e nei confronti delle Forze armate in via generale c'è stato lo stesso taglio che in tutto il pubblico impiego, ma per quanto riguarda il personale non si è avuto un taglio, bensì un blocco per tre anni dei contratti e anche delle indennità e delle spese per il personale.
Abbiamo subito compreso che se tutto poteva avere una logica per il pubblico impiego, nel mondo militare e delle forze Pag. 80dell'ordine non poteva essere la stessa cosa, perché c'è un sistema gerarchico e una retribuzione diversa a seconda della gerarchia. Quindi bisognava fare subito un'integrazione per poter sostenere la funzionalità e il rapporto di gerarchia. Per questo furono stanziati, già lo scorso anno, 80 milioni di euro, a differenza di quanto previsto per tutto il pubblico impiego. Questi 80 milioni erano proprio destinati a questo tipo di attività. Quindi mi meraviglio che voi oggi parliate come se si trattasse di uno stanziamento contrattuale per tutto il personale delle forze dell'ordine, dimenticando che invece quel sistema funzionale e gerarchico e quelle indennità non riguardano tutto il personale ma solo una parte dello stesso.
Abbiamo poi capito che questi fondi non erano sufficienti. Ci siamo impegnati qui in Aula durante l'esame di vari provvedimenti, con il contributo della Commissione difesa, dei colleghi che hanno sottoscritto degli ordini del giorno. Ebbene, all'interno di questi provvedimenti c'è stato poi il riconoscimento da parte dello stesso Governo, che si è impegnato a far fronte alla necessità delle Forze armate e delle forze dell'ordine sotto il profilo delle retribuzioni. Più volte è stato ribadito - anche dal Presidente del Consiglio in varie occasioni, come all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Arma dei carabinieri, e ad altre manifestazioni delle forze dell'ordine - che oggi rispettiamo e manteniamo un impegno che ci siamo assunti tempo fa.
Vedete, noi quando prendiamo un impegno lo rispettiamo. Questo Governo non ha fatto solo tagli: alle forze dell'ordine ha comunque fatto siglare, e ha rispettato, un contratto che è stato superiore rispetto al pubblico impiego del 30 per cento. Tutti quanti insieme, come maggioranza, abbiamo realizzato quella differenziazione importante tra forze dell'ordine e militari (cioè di questo mondo, di questi due comparti insieme) rispetto al pubblico impiego, e questo provvedimento si chiama specificità, perché abbiamo detto che un carabiniere o un poliziotto non può essere considerato come l'archivista di un Ministero (con tutto il rispetto per il pubblico impiego). L'ha fatto questo Governo.
Oggi ci dite che la specificità può essere considerata una scatola vuota, ma in realtà è grazie alla specificità che oggi attuiamo questo provvedimento, convertiamo questo decreto-legge, perché senza di essa ci sarebbe stato un trascinamento di tutto il pubblico impiego, su ciò che oggi stiamo facendo per questi comparti.
E non solo, abbiamo sempre dimostrato la differenza tra costoro ed il pubblico impiego. Quando il provvedimento del Ministro Brunetta sull'assenteismo poteva creare dei problemi alle forze dell'ordine ed alle Forze armate, non abbiamo esitato ad escluderle da coloro che, invece, attraverso la malattia, talvolta, facevano assenteismo volontario. Abbiamo sempre rispettato, quindi, e sempre rispetteremo questi uomini.
A noi piace pensare ai valori che rappresentano questi uomini: la legalità, la sicurezza. È un mondo a cui siamo sempre stati affini. Abbiamo gioito quando abbiamo visto voi, cari colleghi del centrosinistra, essere così attaccati al tricolore. Abbiamo gioito e speriamo che continuiate ad essere sempre protesi verso il valore della patria. Oggi, abbiamo appreso che siete talmente attaccati alle forze dell'ordine che mandate messaggi dal Parlamento. Noi vi diciamo: continuate in questo modo perché, nel corso dei tempi, dell'alternanza, arriverà il momento in cui voi dovrete rispettare ciò che in quest'Aula, questa sera, avete detto. Noi siamo dalla stessa parte, approviamo oggi un provvedimento che va incontro all'esigenza delle forze dell'ordine. È vero, è poco, non è pensionabile, può avere mille difetti, ma è qualcosa a favore del personale delle forze dell'ordine e delle Forze armate. Un passo per volta.
Caro onorevole Paladini, eri in un sindacato di polizia quando, in quest'Aula, si parlava di riordino delle carriere. Nel 2003, fu il Governo Berlusconi a stanziare i fondi per il riordino delle carriere. Ero relatore del provvedimento che fu approvato qui alla Camera ed andò al Senato. Il Pag. 81centrosinistra ed alcuni sindacati - il tuo sindacato no, per dire la verità - dissero che era troppo poco, che era meglio non farlo. Non si fece il riordino delle carriere. Poi c'è stato il centrosinistra ed il riordino delle carriere non si è fatto. È chiaro che quando tu non fai e non cogli l'opportunità che ti presenta un miglioramento di carriera e di retribuzione, poi la puoi perdere.
E allora noi, oggi, non vogliamo far perdere alle forze dell'ordine questa opportunità e, soprattutto, il Popolo della Libertà non ragiona con la massima del «tanto peggio, tanto meglio». Stiamo con le forze dell'ordine e questo è un primo passo. Presentiamo un ordine del giorno che chiede al Governo di impegnarsi affinché questa una tantum diventi stabile e pensionabile. Lo faremo con convinzione, con forza, e vedrete che, così come abbiamo rispettato oggi l'impegno, lo rispetteremo anche in futuro (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.
(Correzioni di forma - A.C. 4220-A)
SALVATORE CICU, Relatore per la IV Commissione. Chiedo di parlare ai sensi dell'articolo 90, comma 1, del Regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, a seguito dell'approvazione da parte dell'Assemblea dell'emendamento 1.302, nel titolo del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni, le parole: «assegni perequativi individuali» devono intendersi sostituite dalle seguenti parole: «assegni una tantum».
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, le correzioni di forma proposte dal relatore si intendono approvate.
(Così rimane stabilito).
(Coordinamento formale - A.C. 4220-A)
PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
(Votazione finale ed approvazione - A.C. 4220-A)
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione n. 4220-A, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Touadi, onorevole Calvisi, onorevole Luciano Dussin, onorevole Scilipoti, onorevole Andrea Orlando...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» (4220-A):
Presenti 471
Votanti 252
Astenuti 219
Maggioranza 127
Hanno votato sì252.
(La Camera approva - Vedi votazionia
).
Prendo atto che il deputato La Loggia ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Pag. 82Sul calendario dei lavori dell'Assemblea (ore 20,08).
PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato stabilito che domani, mercoledì 4 maggio (antimeridiana e pomeridiana, con votazioni), i lavori dell'Assemblea si svolgeranno secondo le seguenti modalità:
alle ore 10.30: seguito dell'esame delle mozioni Della Vedova ed altri n. 1-00612, Rao ed altri n. 1-00614, Ferranti ed altri n. 1-00615, Costa, Lussana, Belcastro ed altri n. 1-00616, Bernardini ed altri n. 1-00617, Di Pietro ed altri n. 1-00618 e Mosella ed altri n. 1-00619 concernenti iniziative relative alla situazione delle carceri;
alle ore 12 circa: esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate al disegno di legge n. 4307 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo (Approvato dal Senato - scadenza: 30 maggio 2011);
alle ore 13 circa: dichiarazioni di voto, con ripresa televisiva diretta, di un rappresentante per gruppo e per ciascuna delle componenti del gruppo Misto sulle mozioni Franceschini n. 1-00633 e Galletti, Della Vedova, Vernetti, Lo Monte e La Malfa n. 1-00634, Di Pietro ed altri n. 1-00635, Reguzzoni, Cicchitto e Sardelli n. 1-00636 e Mecacci ed altri n. 1-00637 concernenti l'impegno italiano in Libia.
Dalle ore 15 avrà luogo lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (question time).
La seduta, sospesa alle 20,10 è ripresa alle 20,25.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Bonaiuti, Bratti, Brugger, Brunetta, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Cossiga, Crimi, Crosetto, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Franceschini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Jannone, Lo Monte, Martini, Miccichè, Migliavacca, Mura, Palumbo, Prestigiacomo, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Sardelli, Stefani, Tabacci, Valducci e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa notturna della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione delle mozioni Franceschini n. 1-00633 e Galletti, Della Vedova, Vernetti, Lo Monte e La Malfa n. 1-00634 concernenti l'impegno italiano in Libia (ore 20,26).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Franceschini n. 1-00633 e Galletti, Della Vedova, Vernetti, Lo Monte e La Malfa n. 1-00634 concernenti l'impegno italiano in Libia (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che la mozione Franceschini n. 1-00633 è stata sottoscritta dagli onorevoli Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Tempestini e Rugghia.
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Di Pietro ed altri n. 1-00635, Reguzzoni, Cicchitto e Sardelli Pag. 83n. 1-00636 e Mecacci ed altri n. 1-00637 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini, che illustrerà anche la mozione Franceschini n. 1-00633, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, colgo l'occasione per tentare una riflessione meditata su questa vicenda che, debbo dire, ha avuto certamente la possibilità di un decorso parlamentare nelle sue varie fasi sempre puntuale. Non abbiamo davvero da lamentarci, da questo punto di vista, nei confronti del Governo, ma forse mai siamo riusciti ad andare un po' a fondo su alcune delle questioni che sono dietro alla vicenda e la rendono, proprio per questo, ancor più complicata e più complessa.
Come recita la nostra mozione - che poi subirà qualche aggiustamento di cui dirò - intendiamo muoverci e ci siamo sempre mossi, durante tutta questa vicenda, sulla base di un'esigenza di continuità. Per quello che ci riguarda - non lo dico con spirito polemico - questo dibattito avrebbe potuto non esserci.
Sarebbero bastate le parole del Presidente Napolitano se non si fosse rovesciata - ed anche questo lo dico cercando di stare effettivamente ai fatti - la crisi della maggioranza su questa vicenda e sulla politica internazionale dell'Italia, rendendo quindi in qualche modo necessario che fosse il Parlamento a sciogliere il dubbio sulla base parlamentare della missione.
Sarà sciolto, ma noi giudichiamo che sia stato sciolto in modo non congruo e contraddittorio, ma siamo qui per questo. Tuttavia, avremmo potuto non esserci, perché la missione aveva (ed ha, almeno per quello che ci riguarda) un connotato per cui, secondo la nostra visione, si colloca in continuità con gli atti che il Governo ha compiuto e che consideriamo coerenti con la linea dell'attuazione della risoluzione dell'ONU 1973/2011.
Questa continuità vorremmo innanzitutto che emergesse per quanto riguarda gli aspetti umanitari.
Noi siamo convinti che ci debba essere una continuità di ispirazione per quello che riguarda l'approccio di un Paese come il nostro rispetto a ciò che sta accadendo in Libia. Le stragi di cui si sta macchiando Gheddafi (Misurata, Zintan), non devono essere commentate se non in modo assolutamente convinto della necessità di porvi fine e di mettere in atto tutti gli atti e tutti le iniziative tendenti a fermare quelli che sono veri e propri massacri.
La nostra continuità ha anche un filo, che è quello che si collega a ciò che sta accadendo in questo periodo di grandi sommovimenti non solo nel mondo arabo e musulmano, cioè il filo di una difficile ricostruzione di una tessitura multilaterale che abbia come obiettivo quello di rafforzare la democrazia e gli interessi della democrazia nel mondo. C'è una continuità nella tutela e nel sostegno dell'interesse nazionale. Questo è il punto sul quale vorrei dedicare qualche riflessione in più.
Penso che il punto centrale che si appalesa con questa crisi libica e che chiama in causa la nostra politica estera e la collocazione dell'Italia sulla scena internazionale si potrebbe, almeno per quanto riguarda noi, sintetizzare così: le stagioni delle politiche dell'Italia al di fuori di un disegno complessivo, che giocava - mi si passi il termine, forse un po' forte - un po' in libera uscita, hanno mostrato tutti i loro limiti e tutte le loro fragilità. Io penso che con questa crisi libica questa fase sia conclusa. Non voglio soffermarmi sulle accentuazioni personalistiche che hanno avuto certi passaggi, mi interessa sottolineare che l'idea di poter giocare un po' una partita in proprio, Pag. 84quella linea a mio giudizio e a nostro giudizio non poteva tenere e non ha tenuto.
Si tratta di un'Italia indebolita - per tante ragioni che non riguardano solo la politica internazionale, ma la capacità di proiezione economica dell'Italia all'estero e tante altre che meriterebbero una discussione a parte - che si trova di fronte a scelte molto difficili. Deve da una parte ricollocarsi saldamente sul versante europeo e occidentale; deve cioè in qualche modo prendere atto che non vi possono essere scelte di politica internazionale che la collochino sul versante di scelte improvvisate o che siano giocate sul filo di un'autonomia fine a se stessa. Nello stesso tempo, questa ricollocazione però comporta anche la valutazione e la presa d'atto della complessità dei nuovi equilibri internazionali ed europei. C'è da fare i conti quindi con una duplice difficoltà. C'è da questo punto di vista una crisi europea evidente sotto tanti punti di vista. C'è una crisi che si è appalesata proprio perché alcuni aspetti essenziali della politica dell'Unione che riguardano la politica internazionale (la politica estera comune e le questioni dell'immigrazione) non riescono a trovare una base di soluzione comune. Abbiamo tutti visto e tutti letto il percorso che sta seguendo la Germania anche in questa vicenda libica. Ne traiamo motivi di interrogativi pesanti ed importanti: cosa vuole fare la Germania, quale spazio la Germania può dedicare e dedica all'idea di una ripresa di attenzione nei confronti del sud dell'Europa e del Mediterraneo? Prevalgono altre esigenze o è semplicemente una fase tattica quella che vive la Germania? Ho fatto l'esempio della Germania, ma potrei parlare delle tentazioni neocoloniali della Francia, che si sono appalesate.
Quindi, grandi problemi che riguardano la definizione di una politica comune europea e, nello stesso tempo, però, la necessità che questa scelta europea dell'Italia sia riconfermata; la necessità che si abbia chiara la considerazione che non abbiamo alternative e che le nostre politiche, che peraltro devono essere presenti, verso Tripoli, verso Ankara, verso la stessa Russia, tutte queste politiche, per reggere, per essere produttive, devono stare dentro una trama europea da ricostruire con la fatica che questo comporta, con la fatica che questo necessita.
Prendiamo la politica per il Mediterraneo: essa in Europa oggi non c'è; vale poco limitarsi all'osservare la disattenzione tedesca, certo, il Governo ha tentato alcuni approcci di incontro dei Paesi europei del mediterraneo ma è tutto molto poco rispetto a ciò che occorre fare per rimettere al centro delle politiche europee la questione del Mediterraneo.
Penso che questo sia il punto essenziale: come costruire una collocazione produttiva dell'Italia in Europa sapendo che la chiave europea, nonostante tutto, resta la chiave essenziale per affrontare le grandi questioni e le grandi problematicità che le crisi che si sono aperte nel Mediterraneo impongono. Qui vengo alla scelta compiuta: sulla Libia la comunità internazionale ha compiuto una scelta precisa, l'ha fatto certo sull'onda dell'emozione della rivoluzione tunisina ed egiziana, l'ha fatto sull'onda delle notizie della repressione di Gheddafi, forse l'ha fatto anche sull'onda di un lavorio francese che non è provato ma che è plausibile, e non voglio dire di più. Il fatto però è che quella scelta è stata compiuta (a quella scelta il Parlamento ha aderito nella sua interezza), una scelta che non poteva non comportare una responsabilità particolare per l'Italia, una scelta che quando l'abbiamo compiuta sapevamo che non sarebbe stata esente da rischi. Tale scelta non era esente da rischi perché i rischi di uno stallo, di una resistenza ostinata di Gheddafi sono ancora oggi, nonostante tutto, i rischi prevalenti, quelli che più incombono. Avevamo tentato un'altra strada, lo aveva fatto il Governo ma noi, dando l'adesione al trattato con la Libia, avevamo tentato, come aveva fatto la stessa comunità internazionale, di dare una chance a Gheddafi. A quella chance Gheddafi ha, nel momento decisivo, risposto con la repressione. È per questo che noi abbiamo fatto una scelta netta nelle Commissioni parlamentari Pag. 85e, me lo consenta, Ministro, senza distinguo, perché quei distinguo nascevano dall'aver costruito con Gheddafi un rapporto, mi si consenta il termine, squilibrato. Un rapporto che nasceva da una sorta di dipendenza perché Gheddafi era l'uomo che fermava l'immigrazione clandestina e al quale quindi si firmavano, non dico cambiali in bianco, ma a cui si dava un grande spazio fino al punto di chiudere, come è accaduto, gli occhi sui rifugiati di quel mondo che si trova, ancora oggi, in Libia. Penso che quei rischi ci siano ancora ma l'Italia doveva fare una scelta netta, e così anche il Governo, faticosamente, con una certa gradualità che, per qualche verso, è giustificata certo dalla prudenza di aver questi problemi vicini, ma anche, appunto, da una storia di rapporti con Gheddafi quanto meno discutibile. Alla fine, questa scelta è arrivata ad una logica conclusione e noi oggi ci troviamo a difendere i libici contro un bagno di sangue e penso, lo dico agli amici della Lega Nord Padania, che non ci siano, seriamente, alternative.
Voglio domandare loro: a quale prezzo avremmo evitato i nuovi arrivi dalla Libia? A quale prezzo avremmo ancora potuto, dopo le stragi di Bengasi, mantenere un rapporto con quel dittatore, con quell'uomo che non ha esitato a mandare i carri armati per reprimere la rivoluzione nelle strade e nelle piazze del suo Paese? Come si poteva non reagire di fronte ai bombardamenti di Misurata, di Zindan? Una scelta di fondo nei confronti di Governi che abbiano consenso democratico alle spalle è per noi una scelta irrinunciabile, così abbiamo fatto nei confronti dei moti della Tunisia e così abbiamo fatto nei confronti dell'Egitto, senza mai rifugiarci in ottimismi di maniera. E così non potevamo non fare nei confronti della Libia.
È un po' peloso il ragionamento in base al quale il vicino di casa va trattato diversamente. Certo, nei limiti del possibile questo è giusto, ma sapendo però, con molta chiarezza, che l'epoca del «tuo figlio di puttana» - come si usa dire con gergo americano -, almeno nel Mediterraneo, è finita.
Vengo qui ad un'altra questione: si applica un «diverso» sempre evocato in alcuni interventi di una parte della maggioranza, ma noi dobbiamo avere nei confronti della Libia - e do atto al Governo, al Ministro Frattini, che su questo punto ha detto cose condivisibili - lo stesso approccio.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
FRANCESCO TEMPESTINI. Presidente, arrivo rapidamente alla conclusione.
Dopodiché, certamente, questo non vuol dire non dover tener conto di diversi equilibri geopolitici che rendono diversa la situazione libica da quella siriana, ma l'approccio deve essere la scelta: noi dobbiamo stare inequivocabilmente sul versante della democrazia e della crescita democratica di questi popoli. Possiamo farlo pur conoscendo e pur avendo chiaro che possono esservi rischi, pur sapendo che per questo potremmo passare per fasi di instabilità. Infatti, abbiamo visto che l'Egitto riconosce l'Iran e, per qualche verso, un po' anche lo rincorre in alcune dichiarazioni. Forse in Egitto avremo un Governo nazionalista con venature islamiche, può darsi, ma non avevamo la possibilità di restare fermi a Mubarak. Dobbiamo dirlo anche ad Israele: Israele non può ignorare la domanda di dignità che proviene dal mondo arabo.
Concludo dicendo che quello che si presenta è un quadro molto nuovo, diverso da quello a cui eravamo abituati. Noi oggi abbiamo bisogno di un'Italia fino in fondo capace di non chiudersi in se stessa, di vincere la sfida europea, tornando fino in fondo e con serietà in Europa, per fare lì quella battaglia che consenta ad essa di curare come deve e come può i suoi interessi, ma dentro una cornice europea. Una battaglia orientata sempre verso il rinnovamento democratico, che è la base per la pace da costruire nel nostro Mediterraneo e nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bosi, che illustrerà anche la mozione Galletti, Della Vedova, Vernetti, Lo Monte e La Malfa n. 1-00634, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, i presentatori di questa mozione del nuovo polo invocano una nuova politica internazionale dell'Italia all'insegna della chiarezza e della coerenza, perché riteniamo che la politica estera per il nostro Paese debba essere un elemento di grande chiarezza e anche, se vogliamo, di grande forza. Non può sfuggire a nessuno che un Paese è importante ed è rispettato nella misura in cui ha una politica estera internazionale certa.
Quello che è accaduto nella vicenda libica - per altri versi sicuramente una vicenda delicata e complessa e resa ancor più delicata e complessa dai rapporti storici tradizionali che l'Italia ha con questo Paese - ha palesato delle incertezze che noi non avremmo voluto vedere nella politica estera del nostro Paese.
Voglio sicuramente rendere atto al Ministro Frattini, che è persona seria, che ha gestito questi passaggi cercando di dare ad essi una plausibilità, però ci sono state - perché non dirlo - delle incertezze da parte del nostro Paese, dovute anche a comportamenti del Governo italiano nei confronti della Libia, che hanno avuto oscillazioni, che cercherò di descrivere, abbastanza clamorose.
Non voglio ricordare quella che è stata l'accoglienza al Rais Gheddafi in Italia, quasi che fosse un Paese nel quale ci dobbiamo in qualche modo genuflettere, e dopo un mese Gheddafi è diventato un criminale internazionale.
Vi è stata incertezza anche all'inizio quando - dopo l'approvazione della risoluzione n. 1973 delle Nazioni Unite, che abbiamo approvato, che approviamo e che riteniamo debba continuare ad essere un punto di riferimento inalienabile per la nostra politica estera - vi è stata questa necessità di muoversi in un contesto europeo nel quale la Francia soprattutto ha palesato e ha dimostrato di avere delle intenzioni - come ricordava giustamente il collega che mi ha preceduto - neocoloniali, cioè quella straordinaria aggressività che nemmeno teneva conto degli aspetti più forti e più importanti della risoluzione delle Nazioni Unite.
Da qui l'invocazione dell'intervento della NATO per ricercare bilanciamenti migliori, mettendo tuttavia, e questo è stato un elemento che oggi sicuramente peserà anche per il futuro delle relazioni internazionali, quella politica che ormai da tanti anni il nostro Paese porta avanti della cosiddetta associazione dei cinque più cinque.
Allora, come muoversi? Non voglio, da un lato, tacere quella che è una tradizionale politica estera del nostro Paese, di grande attenzione alle vicende che si muovono nel bacino del Mediterraneo. Come non ricordare i grandi leader politici del nostro Paese che hanno sempre invocato un particolare ruolo dell'Italia, anche per la propria posizione storica, culturale e geografica, nel bacino del Mediterraneo.
E, allora, oggi noi progressivamente ci siamo trovati in una situazione nella quale il nostro Paese avrebbe potuto svolgere un ruolo molto forte, quasi di trainer nelle vicende della Libia per tutto quello che anche al di là della storia, della cultura e della tradizione c'è nei rapporti tra Italia e Libia (parliamo delle risorse energetiche, degli interscambi economici). L'Italia avrebbe potuto rivendicare un ruolo guida nella vicenda della Libia, invece progressivamente ci siamo trovati a dover invocare l'intervento della NATO e a dover quindi, in qualche modo, nonostante alcune dichiarazioni, allinearsi senza avere questo ruolo, perdendo questo ruolo e rinunciando a questo ruolo.
Oggi si è anche detto - e lo ha affermato il Ministro Frattini nella riunione delle Commissioni congiunte esteri e difesa di Camera e Senato - che l'Italia non può bombardare la Libia perché potrebbero esservi delle vittime civili e l'intervento è eminentemente umanitario, ossia tende e vuole evitare le vittime civili. Tuttavia, dopo una settimana abbiamo accettato di utilizzare i nostri aerei e i nostri armamenti Pag. 87per contribuire, anche noi, a queste azioni militari. Pertanto, le incertezze, signor Ministro degli affari esteri, ci sono state e hanno dimostrato, in un certo senso, un'Italia alla ricerca di un ruolo che non ha trovato.
Inoltre, vi sono le vicende interne di una maggioranza che si sono risolte 24 ore fa con la posizione della Lega che presenta una mozione nella quale si chiede che si fissino limiti temporali che il Ministro degli affari esteri ha dichiarato essere difficilmente o improbabilmente fissabili.
Dunque, signori, credo che si sia persa un'occasione quella, cioè, di fare del nostro Paese un protagonista in questa vicenda, nei confronti anche di quei movimenti di carattere, in un certo senso, insurrezionale che invocano la fine delle dittature e che si muovono nei Paesi arabi - pensiamo all'Egitto, alla Tunisia e alla Siria - in un processo che poteva trovare nell'Italia un punto di riferimento.
Oggi che fare? Signor Ministro, rappresentanti del Governo, credo con molto forza che sia necessario spiegare quella che può essere la soluzione politica a questa vicenda libica. Francamente, non riesco a capire come ci si muova alla ricerca di una soluzione politica quando la capitolazione di Gheddafi viene posta come l'elemento cardine di questa soluzione politica. Ma la capitolazione di Gheddafi è solo una soluzione militare? Voi immaginate che Gheddafi possa capitolare al di là di una soluzione militare? Credo che le bombe sulle residenze del Rais - che hanno provocato vittime, tra cui anche il figlio - stiano a dimostrare che questa è l'intenzione, magari non dichiarata.
Ma, allora, come fare a parlare di soluzione politica? Credo che l'Italia debba mettere in campo nuove iniziative che possono essere di carattere economico e che mirano a far crollare un regime attraverso sanzioni che possono essere molto più incisive delle bombe.
Dunque, si dica qual è la soluzione politica, Ministro Frattini. Noi non l'abbiamo capita. Abbiamo visto delle incertezze e degli ondeggiamenti. Vi richiamiamo a una posizione coerente e lineare con le tradizioni del nostro Paese. Vogliamo sapere come il Governo intende uscire da questa crisi.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Bosi.
FRANCESCO BOSI. Questo è il senso della nostra missione. Spero che questo dibattito invocato, che porterà alla votazione delle mozioni, possa essere l'occasione per conoscere questa strategia e queste soluzioni politiche. Tuttavia, con la mozione che è stata presentata e che di nuovo fa riferimento solo alla questione delle scadenze temporali, non è possibile comprendere ad oggi quale sia il disegno, la volontà e l'obiettivo che il Governo si pone.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà la mozione Di Pietro ed altri n. 1-00635, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, di fronte all'inasprirsi della situazione in Libia, l'Italia dei Valori ha deciso da subito di depositare - e l'ha fatto prima di chiunque altro - una mozione con la quale chiedevamo al Governo di presentarsi in Parlamento subito e di venire a riferire ciò che intendesse fare, convinti che la delega in bianco, in una situazione del genere, mai e poi mai possa essere accettabile e, meno che mai, sia accettabile la subalternità del nostro Paese, una subalternità che si manifesta, di volta in volta, rispetto all'uno o all'altro dei cosiddetti partner e interlocutori, e persino ai comunicati stampa, da cui si apprende, talvolta casualmente e in maniera controversa, quello che sta avvenendo.
Dunque, avremmo voluto una settimana fa - e ancora vorremmo e vogliamo - capire la posizione vera del Governo e la sua, signor Ministro, in particolare, e vorremmo che su questo punto, alla fine, questo nostro Parlamento possa anche pronunciarsi con riferimento a quali Pag. 88azioni diplomatiche e politiche si prevedano e a come si intenda affrontare il tema della cooperazione nel Mediterraneo.
Dobbiamo tuttavia registrare un fatto, ossia che si respira una voglia che per noi è assolutamente inaccettabile: bombardare un Paese, bombardare le sue città non ci pare possa essere considerato uno sviluppo né naturale, né costituzionalmente corretto della nostra presenza in Libia. Appare invece più come un'ipocrita giustificazione il fatto che tutto ciò sarebbe già stato autorizzato dalle Nazioni Unite e dal nostro stesso Parlamento. L'ONU, invece, non ha mai avallato tale scelta e soprattutto le nostre Camere non ne hanno mai discusso. Lo voglio dire per inciso soprattutto ai rappresentati della Lega che hanno una sola preoccupazione: senza aiuti, senza accordi di riammissione, l'esodo verso Lampedusa continuerà anche senza gli incentivi turistici e gli spot del Ministro Brambilla.
Ho accennato prima al ruolo della Camera e del Parlamento: mai la Camera ha approvato un documento o una risoluzione, in cui fosse scritto - nero su bianco - di fare la guerra ad un altro Paese, un Paese per di più, la Libia, rispetto al quale soltanto due anni fa avevamo riconosciuto le nostre responsabilità storiche per l'occupazione coloniale fascista e, ancor prima, per le stragi del 1911 e per il tentativo di Giolitti «Tripoli, bel suol d'amore».
Piuttosto, il 24 marzo di quest'anno, in questa Camera è stato deliberato di impedire che avvenissero dei massacri della popolazione inerme durante una guerra civile: di questo si tratta, di una guerra civile e l'Italia, quindi, non dovrebbe interferire nelle decisioni interne ad altro Stato, ma soltanto prodigarsi per fornire assistenza, solidarietà e supporto umanitario alla popolazione civile libica.
Con la risoluzione n. 1973 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha deliberato, con ben cinque astensioni - lo ricordiamo - un intervento umanitario a sostegno delle popolazioni libiche, prevedendo solo e soltanto la no fly zone, al fine di impedire agli aerei del dittatore Gheddafi di bombardare le altre città della Cirenaica e della Tripolitania. Il Parlamento italiano si è espresso soltanto su questa possibilità e non sulla facoltà di bombardare la Libia.
Successivamente, il 25 aprile, con un'evidente svolta radicale rispetto a quanto deliberato dal Parlamento, Berlusconi ha espresso una posizione di subalternità rispetto al Presidente degli Stati Uniti, Obama, che lo ha chiamato al telefono, e alla volontà di guerra del presidente Sarkozy, accettando di contribuire ampiamente con i nostri aerei al bombardamento del territorio libico.
Per questo motivo riteniamo necessario oggi fare chiarezza; per questo abbiamo chiesto e chiediamo un voto parlamentare ed è doveroso da parte di tutte le forze in questo caso - mi rivolgo in particolare all'opposizione - fare uno sforzo per l'unità, perché non possiamo consentire che l'Italia sia sconvolta e che possa essere coinvolta in una vera e propria guerra, sulla quale non vi è alcun consenso da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU e per la quale non vi è stata nessuna autorizzazione da parte delle Camere, per non dire che l'opinione pubblica italiana è contraria per oltre il 67 per cento degli interpellati da un recente sondaggio.
L'alternativa alle bombe invece c'è e va ricercata nella diplomazia. Per questo noi abbiamo presentato una mozione che ci piace chiamare di pace, su cui ci auguriamo possano convergere anche le altre forze dell'opposizione, per dire «no» alla guerra e mandare a casa il Governo che, ancora una volta, tra manfrine elettorali e diktat leghisti, ha fornito prova del suo stato confusionale anche in politica estera.
La maggioranza, tra l'altro, si è presentata a questo appuntamento per certi versi cruciale in una fase di assoluta confusione, se non evanescenza: il Popolo della Libertà da un lato, la Lega Nord Padania dall'altro. Si sono susseguiti sforzi diplomatici - chiamiamoli così - per tranquillizzare il Bossi infuriato per non essere stato consultato.
Nel vertice di maggioranza di questa mattina sembra che sia stata trovata la tanto amata e padana «quadra»; l'accordo, Pag. 89se davvero raggiunto, è però soltanto una delle tante ipocrisie che da mesi le due forze politiche mettono in campo per salvare la faccia, per salvarsi la faccia reciprocamente.
Di fatto, si tratta non di una pace ma di una tregua, si tratta solo per cercare di evitare il disastro alle prossime elezioni amministrative del 15 maggio, è destinata quindi a durare fino alla chiusura delle urne e non un minuto oltre. Dentro ci sono questioni che niente hanno a che fare con l'interesse nazionale, con il prestigio e il ruolo internazionale del nostro Paese. Ci sono le beghe intorno a Tremonti dentro la conflittualità del Popolo della Libertà, ci sono gli elettori della Padania che si sfogano con l'emittente radio, c'è da sistemare Brigandì appena cacciato in maniera ignominiosa dal Consiglio superiore della magistratura (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori), c'è da fare riferimento agli sgarbi personali a Bossi, c'è la necessità per la Lega Nord Padania di ricordare agli elettori che è ancora l'azionista di riferimento di questa scombiccherata maggioranza.
La via d'uscita, da quello che abbiamo letto e da quello che ascolteremo, sembra essere questa sorta di impegno bellico a termine previsto in una delle disposizioni della mozione Reguzzoni, Cicchitto e Sardelli n. 1-00636; il Carroccio, dunque, vota a favore della guerra - lo sappiano gli elettori della Padania - a patto che il Governo metta giù, nero su bianco, la data entro la quale gli aerei tricolore smetteranno di sganciare bombe sull'ex amico colonnello Gheddafi.
Già, ma la NATO vi ha già sbugiardato e sbeffeggiato. Siamo ancora una volta passati dall'affermare che Gheddafi era il leader del suo popolo e un faro nel mondo arabo - ricorda le sue parole, Ministro Frattini? - riconosciuto ed amato, al «sì» o «no» alla no fly zone, al «preferisco non disturbare Gheddafi», o al «sono molto dispiaciuto per lui» di Berlusconi, al «partecipiamo però, per carità, non spareremo mai», sino al finale comico: bombardiamo, però, per carità, non colpiremo, anzi stiamo attenti alle parole perché non va bene usare la parola bombardamento - come ci ha detto il Ministro La Russa la settimana scorsa nelle Commissioni riunite di Camera e Senato -, proviamo a utilizzare «missilamento» così tutte le nostre coscienze vanno a riposo.
Sull'impegno italiano in Libia la Lega Nord Padania sembra fare più scena che altro e Berlusconi naturalmente fa da spalla, sta al pianoforte ed espone il cartello «non sparate sul pianista».
È chiaro che Bossi, dopo essere stato del tutto ignorato da Berlusconi quando si è trattato di dare il via ai bombardamenti, ora deve far vedere alla base del suo partito, delusa e arrabbiata, che nella maggioranza la Lega Nord Padania conta qualcosa. Siamo di fronte, evidentemente, ad una sorta di ultimatum in nome di un pacifismo di facciata dietro cui c'è solo il timore per l'arrivo dei profughi.
Bossi minaccia una crisi che non ha nessuna intenzione di aprire e presenta una mozione che, così com'è, non avrebbe potuto certamente essere approvata. Ecco perché parliamo e diciamo che tutto è soltanto un gioco delle parti.
La cosa grave è che, però, mentre Berlusconi e Bossi si giocano addosso, passando da una contraddizione all'altra, l'Italia si trova sempre più coinvolta in una guerra sotto casa, che fa inevitabilmente anche vittime innocenti. Quante migliaia saranno già queste vittime, Ministro Frattini? E i tre bambini di dieci mesi, di tre anni, di quattro anni, soltanto perché sono figli del figlio di Gheddafi non contano? Il Governo ha deciso di entrare in questa guerra senza nemmeno interpellare il Parlamento.
Se è vero che non siamo in presenza di un neocolonialismo si può senz'altro affermare e parlare di una neosubalternità, si tratta prima di una subalternità al dittatore Gheddafi e adesso di una subalternità all'alleato francese.
Una volta si tratta della subalternità a questo dittatore, un'altra volta invece della dichiarazione di guerra allo stesso dittatore, appena pochi giorni prima definito un simbolo per il cambiamento. Siamo in presenza di una escalation, piaccia o non Pag. 90piaccia, che può avvilupparci in una terribile spirale di violenza e terrore. Voglio ricordare che noi siamo in Italia e che esistono ancora gli articoli 11 e 78 della Costituzione e un Parlamento, per questo abbiamo detto e scritto che non è stato corretto, usando un eufemismo, che di fronte alla gravità e all'ambiguità dei comportamenti sia stato saltato il passaggio parlamentare. L'idea poi di potere entrare in guerra - perché di questo si tratta - sapendo già come uscirne appare francamente ridicola. Si aggiunga che tra le condizioni cui la Lega subordina il suo «sì» c'è anche l'impegno a non sborsare un euro in più di quanto già previsto per la difesa, missione impossibile come sappiamo tutti. Per quanto ci riguarda, dunque, riteniamo non accettabile che si possa pensare di bombardare un Paese, senza prima passare attraverso un voto parlamentare e una discussione pubblica, in modo che tutti i cittadini possano conoscere le ragioni relative agli annunciati bombardamenti intelligenti, ancorché riferiti ad obiettivi mirati, che come è noto già in passato hanno causato anche tante morti di civili in tanti altri drammatici scenari di guerra. È trascorso così poco tempo in fondo da quando Silvio Berlusconi, in occasione della firma del trattato di amicizia italo-libico, ha ricevuto il leader Gheddafi nella capitale, riservandogli fastosi omaggi e una abnegazione quasi imbarazzante. Non possiamo certo dimenticare che quel trattato, votato da quasi tutte le forze politiche di quest'Aula, tranne l'Italia dei Valori, l'Unione di Centro, i colleghi radicali e pochi altri disobbedienti, stabilisce - ed è ancora in essere - una reciproca difesa dei territori tra l'Italia e la Libia, dunque un'amicizia ostentata e poi denegata alla velocità della luce. Insomma, qual è la posizione del Governo in questa guerra? Perché continuano a passare da un eccesso all'altro? Ci appare tutto come un chiaro sintomo di una politica estera improvvisata e sempre supina alle altre potenze: prima agli ordini di Gheddafi o di Putin o di Lukashenko o di qualche altro dittatorello e poi all'asse composto da francesi e inglesi, che, mentre noi siamo qui a discutere, intanto hanno già costituito la nuova banca centrale libica, d'accordo con i ribelli di Bengasi, hanno già costituito una nuova scatola vuota oggi, una newco, da cui passerà tutto l'approvvigionamento del petrolio. Perché di questo si tratta, di una guerra per il petrolio e non di un intervento umanitario. Man mano che passano le ore si dimostrano sempre più interventisti, interpretando a proprio piacimento modalità e condizioni del mandato ricevuto dall'ONU attraverso la risoluzione 1973. Noi restiamo convinti che non bisogna andare oltre il mandato dell'ONU, né interpretarlo a proprio uso e consumo. Non esistono scorciatoie, prima con la messa a disposizione delle basi NATO e la ricognizione e individuazione di obiettivi militari, senza però neutralizzarli, successivamente con l'impiego di aerei per vere e proprie missioni di attacco al suolo e di attuazione coercitiva della no fly zone. C'è stata dunque una svolta nella nostra politica estera in quell'area che lascia intravedere una inaccettabile e improvvisa volontà di guerra. Per questo, nella mozione che presentiamo, che porta come prima firma quella di Antonio Di Pietro, noi scriviamo: escludendo esplicitamente la partecipazione attiva del nostro Paese ai bombardamenti contro obiettivi sul suolo libico. Lo sapete: la realtà è quella maggioranza degli italiani contraria al bombardamento e il Parlamento dovrebbe sapere rappresentare e interpretare questa istanza, come abbiamo fatto noi dell'Italia dei Valori, invece il tira e molla sulla mozione Reguzzoni ha confermato vieppiù che il Governo improvvisa ogni giorno la propria politica estera e questo riduce la credibilità dell'Italia proprio in un momento nel quale è assolutamente necessario tenere ben salda la barra del timone sugli obiettivi che le Nazioni Unite e la NATO si sono dati in Libia: proteggere la popolazione civile, far cessare le ostilità, mettere Gheddafi in condizione di non nuocere e favorire un cambio di regime democratico. Questo dovrebbe fare un Governo serio, Pag. 91ma voi non siete un Governo serio (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00637. Ne ha facoltà.
MATTEO MECACCI. Signor Presidente, prenderò meno del tempo che è stato impiegato dai miei colleghi per dire alcune cose su questa vicenda libica, che ormai ci ha accompagnato a lungo anche in Parlamento dall'inizio di questa legislatura e sulla quale credo ormai ne abbiamo veramente sentite di tutti i colori.
Purtroppo, anche il dibattito di questi giorni che si è svolto sui mezzi di informazione conferma quanto la politica italiana sia inadeguata ad affrontare tematiche tragiche e drammatiche come quelle che, a volte, scaturiscono dai rapporti internazionali, in particolare in relazione alla vicenda libica.
Ricordiamo bene come questo Parlamento abbia discusso e approvato un Trattato e l'avvio di una fase politica con il regime di Gheddafi che lo individuava come un partner strategico nella regione del Mediterraneo e per i rapporti del nostro Paese. Abbiamo visto come, in realtà, quando si fonda la nostra politica estera su questo tipo di basi e di rapporti ci si espone anche al rischio di compromettere gli interessi che sono considerati, appunto, strategici per il nostro Paese, a partire da quelli economici, energetici e quant'altro. Quindi, ci siamo trovati nella situazione di dovere rincorrere la realtà e i fatti. I fatti sono quelli di una regione, il Medio Oriente, che vede buona parte delle sue popolazioni in rivolta contro dei governi autoritari ed illegittimi e questo non ha risparmiato la Libia.
Ora, il nostro Governo ha evidentemente avuto grande difficoltà nell'affrontare questa situazione, vista la posizione di partenza. Altri colleghi hanno già ricordato le oscillazioni e le contraddizioni che sono emerse in questi ultimi due mesi, non sto qui a rammentarle nuovamente. Credo, però che vi sia quest'ultimo capitolo da trattare, ossia la discussione su quale debba essere la partecipazione del nostro Paese ad un'operazione militare che, lo ricordo anche al collega Evangelisti, si svolge nel pieno rispetto della legalità internazionale perché le forze del nostro Paese e degli altri Paesi della NATO operano sulla base di risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU che, esplicitamente, autorizzano gli Stati membri delle Nazioni Unite a prendere misure per assicurare la protezione dei civili in Libia, inclusa la città di Bengasi, e in tutta la regione di quel Paese, escludendo soltanto, palesemente, la presenza di una forza armata militare e di occupazione che sia sul suolo libico. Tutto il resto rientra nella legittimità del diritto internazionale e costituzionale del nostro Paese che prevede la possibilità di questo tipo di interventi ai sensi dell'articolo 11 della Costituzione che, purtroppo, viene citato a sproposito e per fini propagandistici, come in questo caso ha fatto e sta facendo anche il gruppo Italia dei Valori. Non si può dire che oggi l'Italia entra in guerra perché l'Italia, da quando ha deciso di sostenere l'attuazione di queste risoluzioni, ha svolto un intervento militare nel rispetto della legalità internazionale.
Siamo a favore di questo intervento per i motivi che attengono al rispetto del diritto e che sono gli unici motivi che ci determinano anche nelle scelte di politica interna, oltre che di politica estera. Crediamo e siamo convinti che per trovare una soluzione a questo tipo di crisi gli interventi militari di per sé non siano sufficienti.
Abbiamo ancora una situazione in cui il leader libico controlla una parte di quel paese e in cui vi è un ombrello di protezione da parte della NATO che fa fatica ad intervenire in alcune zone, come quella di Misurata che, purtroppo, è sotto assedio da molto tempo. Credo che sia un errore, signor Ministro, se la maggioranza domani dovesse approvare una mozione che afferma nel primo paragrafo del testo che si esclude qualsiasi azione su terra in Libia da parte delle forze italiane. Ministro, questo può voler dire che anche un intervento Pag. 92umanitario, che è stato già deciso in termini generali attraverso una decisione del Consiglio europeo del 1o aprile, da parte dell'Unione europea sul territorio libico per consentire un corridoio umanitario dovrebbe essere escluso. Se viene approvato questo dispositivo e si esclude qualsiasi tipo di azione sul terreno libico da parte dell'Italia, questa sarebbe la conseguenza. La invito a considerare questo argomento, anche perché mi risulta che sia proprio un italiano che l'Unione europea avrebbe indicato come responsabile di questa eventuale operazione di carattere umanitario da parte dell'Unione europea stessa.
Aggiungo a questo che c'è una contraddizione evidente, dal momento in cui il Governo alla fine decide - e credo giustamente - di partecipare appieno a questa operazione internazionale. Lo ha fatto con molta fatica e con molte contraddizioni dello stesso Presidente del Consiglio, però non si può assumere questo tipo di posizione: presiedere da pari a pari anche con gli altri partner internazionali e, allo stesso modo, cercare di fare la parte dei pacifisti nel nostro Paese.
Infatti, a questo abbiamo assistito in questi ultimi giorni, in particolare da parte della Lega Nord, che ha accusato l'Italia, o comunque le forze che sostengono questo tipo di intervento internazionale, di condurre un'operazione che sarebbe illegale, un'operazione semplicemente guerrafondaia. Questo non è consentito a un Paese che è fondatore dell'Unione europea, che fa parte del G8 e che è ancora uno dei maggiori contribuenti alle forze di peacekeeping a livello internazionale, come mi auguro, signor Ministro, che possa restare a lungo, nonostante ci siano richieste molto forti e anche un impegno per il momento abbastanza generico - in questa mozione presentata dalla maggioranza - a una razionalizzazione della nostra presenza internazionale. Tuttavia, mi permetto anche di sottolineare alcune dichiarazioni che sono state rese, in particolare dal Ministro Calderoli, sulla necessità di ridurre il nostro contingente in Libano, in un momento in cui lei sa bene quale sia la situazione in Siria e quali potrebbero esserne le ripercussioni rispetto al Libano: credo che sarebbe una decisione di cui forse ci si potrebbe pentire.
Ci troviamo, quindi, di fronte a discussioni ed analisi che dovrebbero riguardare la politica estera e che, purtroppo, mi sembra riguardino più una campagna elettorale in corso e la necessità, da parte di alcune forze politiche, di gettare lo spauracchio dell'immigrazione clandestina e degli eventuali attacchi terroristici che potrebbero arrivare dalle zone del nord Africa e non già di pensare a quello che è l'interesse del nostro Paese.
Altra questione che noi cerchiamo di porre all'attenzione del Governo, signor Ministro, riguarda quello che si deve o si potrebbe cercare di fare affianco dell'intervento militare. L'intervento umanitario del nostro Paese sicuramente c'è stato in Tunisia e c'è stato anche a sostegno della popolazione di Bengasi. Le ripeto che escludere la possibilità di una nostra partecipazione attiva anche nella creazione di corridoi umanitari in Libia, a Misurata o in altre zone, credo sarebbe un grave errore.
Ma quello che noi ci troviamo ad affrontare, anche per il futuro della Libia, è ciò di cui abbiamo discusso oggi in Commissione - c'era anche la collega Boniver, qui presente in Aula - con il direttore generale della cooperazione allo sviluppo, il Ministro Belloni. Ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il budget della cooperazione internazionale del nostro Paese è passato dagli oltre 700 milioni del 2008 ad una previsione per questo anno tra i 150 e i 170 milioni di euro. Questo significa che stiamo distruggendo la cooperazione internazionale del nostro Paese. I nostri contributi alle istituzioni multilaterali, che sono quelle dove si prendono le decisioni, ed a quelle istituzioni internazionali che noi accusiamo - spesso anche giustamente - di non tenere in conto, sono passati da 300 a 40 milioni di euro.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Mecacci.
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MATTEO MECACCI. Questo significa che non avremo più posizione all'interno delle organizzazioni che contano nel futuro, perché lì si decide in base anche a quali sono i contributi maggiori.
Penso, quindi, che ciò sia importante, soprattutto se si dice di voler fermare l'immigrazione clandestina e di volerli aiutare «a casa loro», come si legge anche nei manifesti di questa campagna elettorale: dire queste cose e al tempo stesso tagliare così radicalmente e rischiare di far morire per inedia, con un'emorragia continua, la nostra cooperazione internazionale è una politica profondamente sbagliata e, davvero, non tanto e non solo perché portata avanti da questo Governo, ma perché si mette a rischio l'interesse del nostro Paese.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Boniver. Ne ha facoltà.
MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, siamo alla vigilia di un voto, quello di domani, sulle mozioni in esame, un voto certamente utile ma che non è assolutamente e in automatico necessario, esattamente come è stato autorevolmente detto anche molti giorni fa dal Presidente della Repubblica, perché la verità è che da quando il Parlamento a fine marzo ha approvato la risoluzione con la quale si dava il via alla nostra partecipazione all'intervento in Libia, in ossequio alla risoluzione n. 1973 dell'ONU, non ci sono stati né cambiamenti né quelle modifiche profonde della nostra partecipazione che avrebbero dovuto giustificare un altro passaggio. Naturalmente si tratta di un passaggio che noi affrontiamo con molta calma e senza incertezza: la maggioranza è assolutamente compatta, le opposizioni, perlomeno in questa vigilia del voto, sono divise, quindi non tutto il male viene per nuocere. Tuttavia, per arrivare ad un punto di sintesi che riguarda l'attuale situazione in Libia, penso che tutte le iniziative necessarie - il che è uno dei passaggi più citati della risoluzione dell'ONU - siano ancora doverosamente in essere per poter al meglio proteggere quelle popolazioni civili che sono sotto bombardamento da parte delle forze di Gheddafi. Mi riferisco soprattutto alla città martire di Misurata che da oltre due mesi è sotto assedio, bombardata e dove sono state innumerevoli le vittime e migliaia i feriti da colpi di mortaio e dai razzi Grad, che possono essere sparati a 40 chilometri di distanza e che colpiscono, incendiano e devastano inermi popolazioni civili. Se questo fosse l'unico movente credo dovremmo essere molto fieri di poter partecipare ad un'azione che è anche e non soltanto militare nei confronti di questa situazione in Libia, perché esattamente come è stato, credo, illustrato con dovizia di particolari nella telefonata intervenuta tra il Presidente Obama e il Presidente Berlusconi qualche giorno fa, la verità è che la presenza italiana è assolutamente necessaria e che doveva esserci un dispiegamento ancora più coinvolgente delle nostre Forze armate e significativamente da parte dell'Aeronautica militare italiana, la cui opera è considerata dai nostri alleati - non soltanto dal Presidente Obama ma anche dalla NATO - come assolutamente indispensabile e preziosa.
Signor Ministro, lei sa perfettamente che siamo alla vigilia di una riunione molto importante convocata dal Governo italiano con il cosiddetto «gruppo di contatto» che avrà luogo a Roma tra qualche ora e credo che sia assolutamente necessario dare, di fronte a questo importante consesso internazionale, un'immagine del nostro Paese più unita possibile in questo difficile compito. È ovvio, e ciò è chiaramente contenuto nella mozione che verrà illustrata tra qualche minuto, che risulta assolutamente indispensabile non soltanto mettere in atto ogni iniziativa possibile per trovare una soluzione diplomatica a questa crisi che sta provocando una serie di sommovimenti proprio alla porte di casa nostra. Nella mozione si parla anche della razionalizzazione della nostra presenza in ulteriori teatri. Credo che questo sia un passaggio molto delicato ed importante anche perché tutto questo avviene dopo la cattura e l'uccisione di quel principe del Pag. 94terrore, Osama Bin Laden, il quale ha rappresentato ed esemplificato nel modo più micidiale possibile l'epigono di un lunghissimo periodo di terrorismo internazionale che ha devastato non soltanto il territorio statunitense, ma che ha provocato innumerevoli morti e cercato di scompaginare definitivamente un lontano Paese come l'Afghanistan.
Quindi si tratta di una ricerca accurata della soluzione politica e diplomatica, e signor Ministro, lei certamente non deve avere alcun tipo di esortazione perché è stato esattamente quello che è stato fatto dal primo giorno. Vorrei ancora una volta sottolineare quanto sia stata preziosa l'opera di informazione svolta dal Governo italiano - soprattutto da lei e dal Ministro della difesa - nei confronti del Parlamento il quale è stato informato, passo dopo passo, dell'evolversi della situazione, un evolversi che purtroppo non può ancora dirsi definito. È questo forse l'unico rammarico, perché a distanza di cinque settimane dall'inizio delle operazioni militari, purtroppo, la soluzione politico-diplomatica da tutti invocata ancora non è stata definita.
Uno dei risvolti in assoluto più utili della presenza italiana all'interno della coalizione è stato quello dell'assunzione di responsabilità per quello che riguarda le operazioni umanitarie che sono state citate (ma credo mai abbastanza), a cominciare da quelle che hanno avuto luogo nel mese di marzo al confine tra la Tunisia e la Libia (al valico di Ras Jadir), dove l'Italia, coordinata dal suo Ministero, è stata presente quando fuggivano dalla Libia qualcosa come quattrocentomila persone che hanno tentato disperatamente di raggiungere, nel più breve tempo possibile, i loro Paesi di provenienza. Erano lavoratori, molto spesso lavoratori poverissimi, i quali hanno dovuto fare fagotto ed abbandonare il posto di lavoro in Libia per tornare a casa propria.
È stato quello l'inizio di un esodo veramente molto impressionante, e vedere le bandiere italiane sventolare sulle strutture per aiutare questi profughi in fuga è stata un'esperienza e anche uno spettacolo veramente molto incoraggianti. Così come sono di straordinaria utilità operativa quei voli ospedalieri umanitari che, sempre attraverso la cooperazione e il Ministero della difesa, vengono intrapresi per portare feriti libici in Italia, per curarli e riportarli quando vengono dimessi, e così ne vengono portati altri negli ospedali italiani. Si tratta di persone, giovani libici che sono stati in bilico tra la vita e la morte, bombardati da Gheddafi. Quasi tutti vengono da Misurata, e l'ultimo di questi voli, che ha avuto luogo venerdì scorso partendo da Bengasi, ha visto il pieno coinvolgimento delle strutture mediche militari italiane, la cooperazione con importanti istituti ospedalieri, l'organizzazione minuziosa da parte anche di agenzie dell'ONU come l'OMS.
Insomma abbiamo visto l'Italia mostrare una faccia solidale, consapevole, professionale, di cui dobbiamo assolutamente andare fierissimi. Anche questo è un risvolto di quello che sono le operazioni militari in Libia. Vede, nelle poche ore di presenza a Bengasi ho avuto modo di parlare con molti giovani libici i quali chiedevano un'unica cosa: dateci una chance, credete in noi, ce la faremo, abbiamo bisogno del vostro aiuto. Tra questi feriti libici portati da questo C-130 dell'Esercito c'era anche un ragazzo giovanissimo, Yahya Mohammed Al Taief, il quale ha avuto la colonna vertebrale penetrata da due pallottole e al quale è stata amputata una gamba, e mentre noi stiamo dibattendo in questa Aula è soccorso all'ospedale San Camillo di Roma in terapia intensiva. Abbiamo parlato, anche poche ore fa, con i medici curanti che ci hanno detto che forse ce la farà.
Credo che soltanto per questo caso, un unico caso, che, naturalmente, non è isolato, valga la pena di continuare in questa operazione di liberazione della Libia, di contenimento delle forze negative che rispondono a Gheddafi, per tenere alta sempre la bandiera del nostro Paese, sempre impegnata in operazioni di pace (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, mi ritrovo perfettamente nell'intervento svolto pochi minuti fa dalla collega Boniver con conoscenza di causa e con la sua capacità di affrontare i temi della politica internazionale. Detto questo, non posso certo, invece, ritrovarmi nella mozione della maggioranza. La collega Boniver ha detto che ci apprestiamo ad un voto non necessario e, dal punto di vista formale, ha, o almeno avrebbe, tutte le ragioni. Ricordiamo che, all'inizio dell'intervento, vi fu - lo ricorderà il signor Ministro - una riunione congiunta delle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato; poi ci furono le riunioni delle Commissioni difesa ed esteri alla Camera ed al Senato che votarono un documento. Noi, come Futuro e Libertà per l'Italia per il Terzo Polo, le opposizioni, il PD, garantimmo la maggioranza su quella risoluzione in Commissione; la Lega Nord Padania non era presente e, poi, ci fu il voto parlamentare.
Collega Boniver, signor Ministro, se il voto si è reso necessario è perché assistiamo ad una situazione un po' particolare, ossia che, non l'opposizione, ma i membri del Governo che aveva deciso quella missione, una forza di quella maggioranza che, poi, in Parlamento aveva sostenuto la missione, hanno cominciato a dire agli italiani, in tutte le sedi possibili, che quel voto non comprendeva l'azione militare con la maggiore flessibilità scelta rispetto agli interventi dei nostri aerei. Per quello il voto è ed è diventato necessario.
Non la invidio, signor Ministro, perché quella a firma Reguzzoni e Cicchitto non è una mozione di maggioranza, ma una mozione che potrebbe aver presentato un'opposizione che, non avendo sostenuto l'intervento militare nell'ambito della coalizione, in ottemperanza alla risoluzione ONU, cerca di mettere dei paletti. Il problema è tutto politico, ossia che il PdL - e le parole della collega Boniver lo dimostrano - ha dovuto essere silente in questo passaggio, ha dovuto completamente abdicare a quelle che sono le convinzioni di fondo di un centrodestra atlantico, moderato, europeo, e ha fatto propria, volente o nolente - non so cosa sia meglio - la linea della Lega Nord Padania che non è una linea atlantista, che non è una linea di intervento umanitario, cioè che non c'entra nulla con quello che noi, come Paese e come Repubblica italiana impegnata con dei soldati, stiamo facendo, ma che ha un'impronta isolazionista, micronazionalista, che è l'impronta di una forza politica ossessionata dal tema dell'immigrazione e dell'immigrazione clandestina. E questo lo si ritrova nella mozione, signor Ministro.
Non so come lei farà a dare il parere favorevole che immagino, salvo colpi di scena, lei darà domani mattina. Innanzitutto, in questa mozione sembrate più interessati - e mi rivolgo anche alla collega Boniver che si occupa di questi temi - a fenomeni migratori, flussi migratori, ondate migratorie. Ma stiamo parlando di Libia o di immigrazione clandestina? Nella mozione che deve sostenere i soldati, quelli che stanno sugli aerei, a cui voi avete dato l'ordine di andare per delle missioni pericolose, rischiando la vita, per distruggere l'apparato militare repressivo di Gheddafi, ci preoccupiamo della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea?
Ma cosa c'entra, cosa c'entra la plausibilità o meno rispetto al diritto comunitario di quella norma penale sul reato di clandestinità con l'intervento in Libia? E questo è un primo punto. Non so, signor Ministro, con quale spirito agite, a meno che lo spirito - ma lei è persona seria e so che non può essere così - sia: cari amici, questo ci hanno chiesto di scrivere, questo votiamo, ma tanto poi faremo quanto abbiamo deciso di fare a prescindere dal voto del Parlamento.
Va bene intraprendere l'immediata e decisa azione diplomatica (chi mai ha pensato il contrario?) ma siamo al passo successivo, quello dell'intervento militare che abbiamo consapevolmente scelto. Lo citava prima il collega Mecacci. Escludere qualunque partecipazione italiana ad azione di terra su suolo libico. Ma lei, Pag. 96signor Ministro Frattini, ci crede davvero a questo? Se mai la comunità internazionale sotto l'egida dell'ONU decidesse di mettere soldati sul terreno, ma lei crede che sarebbe sensato per una missione di peacekeeping, di corridoio umanitario, lei crede che sarebbe sensato per tutti i discorsi che ci siamo fatti nei mesi e negli anni scorsi sugli interessi italiani in Libia, lei pensa che sarebbe sensato vedere i pozzi di petrolio dell'ENI presidiati dai soldati francesi, vedere il tricolore francese svettare laddove ci sono primari interessi strategici, economici, energetici italiani in Libia? Credo che sia totalmente insensato precludere all'Italia la possibilità, quando mai fosse il caso, di mettere anche soldati italiani per una missione di pace sul territorio libico.
E poi sul dispositivo della mozione: come si fa a dire, riscoprendo la Costituzione della Repubblica italiana (non ci sono colleghi leghisti), e ciò non mi può che muovere a commozione, una e indivisibile con il tricolore come vessillo, dire in ossequio all'articolo 11 della Costituzione che i nostri aerei si pongono esclusivamente come strumento di difesa rispetto ad atti ostili, a reati concreti ed attuali rivolti contro i nostri velivoli. Ma qualcuno ci crede a questo? Non c'è il Ministro La Russa. Qualcuno ci crede?
Dunque torno al punto precedente. O si dice, dopo tutto stiamo giocando, poi tanto gli aerei vanno, gli ordini che hanno sono altri, eccetera. Dobbiamo dire ai nostri piloti che, soltanto se vengono messi nel mirino possono intervenire, cosa che non è vera perché abbiamo spiegato, dopo aver ricevuto esplicite richieste, ai nostri alleati che, va bene, anche noi andavamo a fare la nostra parte. Oppure contro la popolazione civile sempre retta da concreti e attuali pericoli reali quando sappiamo benissimo che tu colpisci le colonne dei carri, non quando stanno per sparare su Misuraca, ma quando si muovono verso Misuraca. Quindi anche questa è chiaramente un'ipocrisia.
Inoltre vi è la questione dei costi. Non determinare ulteriori aumenti della pressione tributaria finalizzati al finanziamento della missione in questione. Cosa vuol dire? Se vuol dire che toglieremo i soldi al fondo ordinario degli stanziamenti per la difesa come era nella versione precedente della mozione, che cosa vuol dire? Che, se a settembre non ci sono più soldi per pagare gli stipendi dei nostri militari impegnati in Afghanistan e in Libano, non li pagheremo più, gli diremo aspettate alla prossima finanziaria? Ma anche questo è chiaramente un modo per dare soddisfazione, creando dei precedenti di ipocrisia o di pericolo anche per le nostre missioni di pace che non credo proprio sarebbe il caso di introdurre.
Questa missione se si fa costa e se costa nel bilancio dello Stato si troveranno le risorse che non possono essere quelle degli stanziamenti ordinari per le Forze armate naturalmente e tutti quanti lo sappiamo e pure facciamo finta che non sia così.
E poi va bene il piano di razionalizzazione delle missioni in corso, ma stiamo parlando di interventi, quello libico, che dureranno speriamo un «fazzoletto» di settimane. Già mesi sarebbero troppi ma ci dovremmo stare.
Di quei costi stiamo parlando, non delle economie che potremo fare nel 2012 riducendo il contingente libanese, con tutte le avvertenze che faceva prima l'onorevole Mecacci, o riducendo il contingente in Afghanistan, dove magari per altre vie si aprono spiragli diversi.
Poi vi è la questione del fissare un termine temporale certo, in accordo con le organizzazioni internazionali, che peraltro non hanno nemmeno tardato a dire quello che tutti sapevano in anticipo, cioè che questa è un'altra presa in giro, che serve forse, in questo scampolo di campagna elettorale, a rendere a qualcuno un risultato non si sa bene di che segno.
Non voglio farla lunga signor Ministro e capisco che il suo compito in questa fase sia improbo, perché enorme è la distanza che ci separa tra le parole che lei e il Ministro della difesa diceste quel sabato di qualche settimana fa al Senato di fronte alle Commissioni riunite, dove per quel che mi riguarda con il vostro comprensibile orgoglio e fierezza annunciavate la Pag. 97partecipazione dell'Italia al fianco degli altri Paesi alleati occidentali impegnati nella missione, e il dover prendere sul serio questo documento, che - come ripeto - non sembra un documento di una maggioranza che ha mandato gli aerei a bombardare senza ipocrisia e con serietà, assumendosi la responsabilità.
Vede signor Ministro, vi è una distanza enorme tra la politica estera del Governo di centrodestra - che la vide anche protagonista - tra il 2001 e il 2006, in cui si scelse con coerenza e con rigore di stare da quella che, per me, era la parte giusta o comunque di stare da una parte, con il rischio di condividere anche gli errori, che ci furono, dalla parte di Bush e di Blair, ma di stare con la schiena dritta e con una parola sola per lunghi cinque anni senza tentennamenti, una cosa nuova per la politica internazionale estera italiana. Io facevo altro, facevo il parlamentare europeo, riconosco la qualità di quella stagione di politica internazionale.
Poi ci ritroviamo oggi e ovviamente non c'è il Presidente del Consiglio. Mi permetta di dire una cosa che non vuole assolutamente essere sgradevole: nessuno di noi credo gioisca per le morti che l'iniziativa produce. Nessuno di noi ha gioito per la morte - se sarà confermata - del figlio di Gheddafi, ma non si può provare rimpianto per la morte del figlio di Gheddafi, se non si prova rimpianto per le morti precedenti all'intervento e durante i massacri compiuti da Gheddafi, quello che non si voleva disturbare o che si voleva lasciare tranquillo nelle prime ore dell'iniziativa. Queste sono contraddizioni che esplodono.
Signor Ministro, io non so se davvero lei senza incrociare le dita sotto il banco darà parere favorevole a questa mozione. Io so - e questo lo sa anche lei - che comunque, a prescindere dalla Lega, in questo Parlamento vi è una solida maggioranza responsabile - non so cosa succede nel centrodestra - con Futuro e Libertà, con le forze del Terzo Polo, con il PD, che senza infingimenti e senza bisogno di nascondersi dietro le parole sono a sostegno dell'iniziativa che avete preso.
Potrete spiegarlo anche al Segretario di Stato Hillary Clinton, che incontrerete nei prossimi giorni: possono stare tranquilli, vi è il sostegno pieno di una larga maggioranza in questo Parlamento per quello che l'Italia sta facendo a difesa dei cittadini libici, contro il massacratore Gheddafi. Non è in discussione, non è un problema, i nostri soldati questo lo sanno, sanno cioè che hanno dietro di loro la grandissima maggioranza di questo Parlamento. Ma se loro possono confidare in questo, signor Ministro - e concludo - non è in base a questo testo ipocrita che la maggioranza si appresta a votare: è in base al fatto che vi è una mozione del Terzo Polo, di Futuro e Libertà, dell'Unione di Centro e dell'Alleanza per l'Italia e vi è una mozione del PD che seriamente questo appoggio lo garantisce (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, non intervengo per esprimere un voto contrario sulla mozione di maggioranza e il non voto sulle altre ma per esprimere, Ministro, con tono davvero sommesso, un disagio politico che io penso sia il suo e di molti altri, per i modi, i tempi e le forme di questa discussione ridotta ad una discussione interna, finalizzata alla campagna elettorale, ai rapporti di forza della maggioranza.
Ministro, non le chiedo un giudizio, non può darlo, ma siamo arrivati persino a chiedere una data ultimativa alla NATO, andrebbe fondato un comitato per la sua sicurezza, stanno ancora ridendo; ma l'Italia merita questo tipo di rappresentazione e di rappresentanza, Ministro? Non la può meritare, al di là delle posizioni di ciascuno di noi. Come si fa, politicamente, a dare un mandato qualsiasi a chi, in queste ore, sulla Libia, ha detto tutto e il contrario di tutto. È questo un giudizio di inaffidabilità politica, altro che un mandato, neanche a spostare una cartolina, in questa fase. Sarà un «no» politico, non solo etico, Ministro, ma forse un giorno Pag. 98andranno ricomposti questi due termini su questi temi. Sarà un «no» anche per impedire che si inneschi un pilota automatico come è accaduto in altre missioni militari, con un voto automatico senza più discussioni. Cosa diremo, Ministro, quando sarà chiesto l'intervento da terra? Certo che non è previsto nella mozione, voi lo escludete, ma lei sa quanta inerzia si è consumata su queste vicende e quante preoccupazioni, anche tra di voi. Colleghi, non possiamo avere una tensione, legittima, dal punto di vista etico, quando si discute del fine vita, in Italia, e poi essere indifferenti alla tensione etica quando si discute di pace e di guerra fuori da questi confini. Non si può ridurre tutto ad un conflitto interno. Questo non è fine vita? Non è speranza? Dov'è la tensione etica su un tema così straordinario? Non la possiamo eliminare. Concludo allora ricordando le posizioni della Tavola della Pace, una grande associazione italiana di credenti e non credenti - e spero che non ci sia più la banalizzazione di parlare dei pacifisti come se fosse solo un mondo di radicalità - persone che operano ogni giorno per la pace e contro i dittatori; anche quando governi baciavano l'anello ai dittatori, costoro si opponevano in modo serio in Italia, in Europa e nel mondo. Questa associazione si occupa dei tiranni in Libia, in Siria, nella Yemen; perché della Siria non si parla più? Anche io, come l'onorevole Boniver, ho ricevuto drammatiche lettere dalla Siria, Ministro, perché la Siria non è un problema? Sono drammatiche le lettere di giornalisti e intellettuali che arrivavano dal mondo libico negli anni scorsi, ignorate. La Tavola della Pace propone di puntare ad una tregua che consenta di portare aiuto alle popolazioni, di raggiungere il cessate il fuoco. La politica deve strappare alle armi il controllo della situazione, non aggiungerne altre.
Mi auguro solo che queste posizioni, che fuori di qui sono molto forti, non siano liquidate con un'alzata di spalle perché c'è anche un peso delle pubbliche opinioni. Molti di costoro dissero «no» alle modalità dell'intervento in Iraq e alle bugie mediatiche; a posteriori, molti gli hanno dovuto dare ragione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mogherini Rebesani. Ne ha facoltà.
FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, stasera è evidente che non ci stiamo affatto occupando di Libia, nonostante il balletto di questi ultimi giorni. Lo dimostra, credo, la desolante assenza dei colleghi della Lega Nord Padania, non c'è un parlamentare della Lega Nord Padania in Aula questa sera, non c'è stato dall'inizio della discussione sulle linee generali. Stiamo soltanto parlando di equilibri di potere all'interno della maggioranza tra Popolo della Libertà e Lega Nord Padania; problemi evidentemente legati più alla paura per le elezioni amministrative che sono alle porte, alla competizione per sottrarsi voti che sono sempre più preziosi perché evidentemente sempre più rari, o almeno c'è la paura che questo avvenga, forse anche all'ansia di trovare un posto a Brigandì o assicurare a Salvini un posto da vice sindaco a Milano, posto che si riesca a vincere di nuovo in quella città. C'è insomma, in questo braccio di ferro, di tutto tranne che un vero interesse per la Libia e per quello che succede in Libia e nel nord Africa. Lo ripeto, credo che sia significativa in proposito, la desolante assenza, stasera, dei colleghi della Lega Nord Padania ma anche del Popolo della Libertà. Il braccio di ferro ha reso necessaria questa discussione, che non sarebbe stata necessaria, altri prima di me lo hanno detto, neanche da un punto di vista tecnico perché il Governo aveva pieno mandato da parte del Parlamento a fare tutto ciò che sarebbe stato necessario per attuare la risoluzione delle Nazioni Unite e che pure si è resa necessaria politicamente perché una delle forze politiche di governo, la Lega Nord Padania, ha, di fatto, dopo avere suo malgrado sostenuto il primo passaggio parlamentare, invece evidentemente cambiato idea proprio a ridosso delle elezioni amministrative. Pag. 99
La partecipazione italiana alla missione in Libia è nata molto male. Fin dall'inizio è stato chiaro che ogni membro del Governo aveva una sua opinione e possibilmente la cambiava tre o quattro volte al giorno, avendo cura di esternare ampiamente questi repentini cambi di opinione, come se tutto questo non avesse alcuna influenza e nessun peso sull'immagine dell'Italia rispetto ai nostri alleati, rispetto alla comunità internazionale e rispetto anche a quello stesso Paese nel quale stiamo operando, la Libia, che è un Paese che non ci è indifferente rispetto al nostro passato a volte colpevole e criminale.
Il risultato è stato una grande confusione, un'assenza di credibilità e un'assenza, quindi, di ruolo, laddove invece il nostro Paese sarebbe stato invece deputato per primo a giocare un ruolo cruciale nella risoluzione di quella crisi che drammaticamente si è aperta qualche settimana, anzi, ormai, qualche mese fa. Siamo quindi arrivati alla gestione della partecipazione di questa missione nella peggiore delle condizioni possibili, come appunto un Paese che avrebbe avuto la responsabilità, la possibilità e quindi anche il dovere di guidare una soluzione ed invece, purtroppo, ci siamo dovuti adeguare seguendo con ritardo e quasi con una certa insofferenza decisioni che sembravano prese altrove.
Poi abbiamo avuto all'interno del Governo dieci giorni di un balletto umiliante e deprimente: prima un vertice Italia-Francia in cui l'Italia ha fatto la parte della comparsa invece che quella della padrona di casa e della protagonista, poi abbiamo avuto un'escalation di ricatti di un partito di maggioranza, la Lega, appunto, volto semplicemente ad alzare il prezzo per ottenere una poltrona in più, perché è ormai evidente anche a loro - se mai ne hanno dubitato - che tutto e tutti hanno un prezzo e, quindi, evidentemente, hanno voluto giocare la loro partita.
Abbiamo assistito poi ad un carosello di smentite delle smentite delle smentite. L'ultima evidenza un po' patetica di questo vi è stata quando i Ministri Frattini e La Russa hanno dato comunicazione alle Commissioni congiunte esteri e difesa di Camera e Senato, la scorsa settimana, e il presidente di gruppo della Lega, Reguzzoni, ha assicurato fedeltà al Governo, salvo essere smentito dopo 15-20 minuti dal Ministro Maroni e dal Ministro Bossi, che hanno detto che non se ne parla: la posizione della Lega non cambia.
Si tratta effettivamente di un balletto e di un carosello deprimente. Oggi tutto questo precipita in una bolla di sapone, in una situazione abbastanza ridicola, in una mozione in cui tutto si sgonfia e si scopre che sotto la lotta di potere non vi è nulla se non una mozione confusa - lo hanno detto molto bene prima di me l'onorevole Della Vedova ed altri -, in cui si confonde tutto quello che vi è in campo, dalla sentenza della Corte europea sul reato di clandestinità al teatro afgano, dalla gestione dei flussi migratori all'intervento, appunto, in Libia.
Una mozione confusa piuttosto ridicola, le reazioni che vedo sono tutte impregnate di questo senso di inadeguatezza, di imbarazzo e di disagio. È evidente che quelle parole non servono ad altro se non a ricomporre una frattura che andava ricomposta, in qualche modo, e quello era l'unico modo possibile per una politica bassa, per una politica piccola, per una politica che rinuncia al proprio ruolo. Ma in quella mozione non vi è nulla che indichi effettivamente una strada per la Libia, e in questo vuoto e in questo balletto un po' ridicolo credo abbiano perso tutti.
Ha perso la Lega, perché è passata dall'esprimere una fortissima contrarietà all'intervento militare ad accettare il fatto ovvio che la NATO comunicherà - d'accordo con noi e con tutti i propri membri - quando sarà possibile terminare le operazioni. È evidente - ci hanno fatto sapere giustamente dalla NATO - che questo, oggi, non è il caso di farlo, e si resterà in Libia tutto il tempo sarà necessario restarvi. Non poteva che essere così.
Ha perso Berlusconi, che esce sconfitto dal punto di vista dell'immagine da questo braccio di ferro. Ha perso il Ministro La Russa, mi sembra evidente. È un Ministro Pag. 100della difesa commissariato, se è vero che è stato Sardelli, di Iniziativa Responsabile, uscendo oggi da Palazzo Chigi, a dare l'annuncio della riduzione dei nostri contingenti in Libano e in Afghanistan, dopo che l'ultima volta che abbiamo votato il rifinanziamento delle missioni internazionali, questo Governo ci ha proposto un incremento sostanziale delle truppe che noi impegniamo in Afghanistan. È soltanto di pochi mesi fa un incremento delle nostre truppe in Afghanistan.
Che Sardelli annunci, uscendo da Palazzo Chigi, che invece queste truppe saranno ridotte, mi sembra quanto meno umiliante per un Ministro della difesa come La Russa.
Ma soprattutto perde l'Italia, perdono i nostri militari che sono lì impegnati dal nostro Parlamento e dal nostro Governo a fare un'operazione importante non soltanto per l'Italia, per la comunità internazionale, per la Libia, e che avrebbero tutto il diritto di essere sostenuti pienamente da questo Parlamento in tutte le sue forze e soprattutto da quelle di Governo. Perde la nostra credibilità internazionale o meglio quello che è rimasto, ben poco, della nostra credibilità internazionale. Perde soprattutto qualcosa un'opinione pubblica che appare sempre più disorientata e confusa, in particolare quando vede un Ministro dell'interno che sembra credere davvero e sinceramente che il numero di profughi dipenderà dall'assetto dei nostri velivoli impegnati in Libia.
Il Ministro Frattini sorride a questo e devo dargli atto del fatto che lui in Commissione, la scorsa settimana, ha dato una versione esattamente opposta della vicenda, ovvero ha ricordato - com'è evidente - che non dipende certo da quale tipo di impegno militare l'Italia ha in Libia il numero di profughi che arriveranno in Italia ed anzi, viceversa, vale il contrario, ovvero che tanto più l'Italia saprà fare un'azione efficace contro Gheddafi e in sintonia invece con la nuova Libia, tanto più si riuscirà a fare questo, tanto più si riuscirà a frenare l'uso criminale di una tratta di esseri umani che ha uno scopo ritorsivo più che uno scopo effettivamente di viaggio per la salvezza.
Anche qui forse il Governo dovrà chiarirsi: valgono le parole del Ministro Frattini, più sagge, o valgono le parole del Ministro Maroni, piuttosto strumentali ad una campagna elettorale evidentemente in affanno? Vi è un'opinione pubblica che perde, soprattutto perché vede questa confusione, vede questa strumentalità dell'uso improprio di vicende invece molto delicate e molto sensibili che riguardano anche la vita e la morte delle persone e vorrebbe innanzitutto - credo - che chi governa assuma seriamente le proprie responsabilità.
Se si partecipa ad una missione non lo si fa dicendo ogni giorno che è sbagliato farlo, lo si fa e basta. Se si vuole aprire veramente la porta alla diplomazia, si lavora perché questo avvenga seriamente, lavorando innanzitutto per la credibilità dell'Italia, perché paradossalmente proprio il balletto ridicolo di questi giorni rende difficile, se non impossibile, per il nostro Paese giocare davvero un ruolo forte per quel passaggio dall'azione militare all'azione politica e diplomatica che sarebbe una vera vittoria.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Mogherini Rebesani.
FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Per questo nella nostra mozione, oltre a ribadire l'impegno che, credo, giustamente l'Italia sta sostenendo insieme agli altri alleati per sostenere una Libia libera e democratica, indichiamo tre punti fondamentali. Innanzitutto, l'apertura di una forte iniziativa politico-diplomatica sotto il coordinamento delle Nazioni Unite; in secondo luogo, l'adozione di iniziative utili per promuovere una conferenza di pace con il pieno coinvolgimento di tutti gli attori regionali interessati ed, infine - Ministro credo e spero che lei su questo voglia essere più sensibile di quanto lo è stato in passato -, predisporre un piano di rilancio straordinario per la cooperazione internazionale. Infatti, è vero che questo Pag. 101va fatto in modo prioritario, ma è anche vero che negli ultimi tre anni di questo Governo la cooperazione internazionale è stata messa in ginocchio, i fondi sono più che dimezzati e non si può più pretendere, non si può più permettere che questo Paese «uccida» così una delle più grandi risorse che ha a propria disposizione, ovvero la grande e straordinaria forza della cooperazione internazionale che fanno le tante ONG italiane nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Amico. Ne ha facoltà.
CLAUDIO D'AMICO. Signor Presidente, signor Ministro degli affari esteri, onorevoli colleghi, intervengo assolutamente a sostegno della mozione a prima firma Reguzzoni, mozione che la Lega Nord ha preparato con la collaborazione, il supporto e le idee anche del Popolo delle Libertà e di Iniziativa Responsabile. È una mozione che ci dà una visione magari diversa da quella che avevamo avuto all'inizio del conflitto, forse è presa un po' in extremis, però ritengo che sia una mozione molto importante, una mozione da sostenere e che abbiamo preparato veramente con uno spirito di grande collaborazione anche nei confronti dei nostri alleati.
Questa sera vorrei sottolineare alcuni aspetti, perché poi vi sarà la dichiarazione di voto del nostro capogruppo che illustrerà precisamente ogni singolo aspetto di questa mozione. Tuttavia, vi sono alcune cose che ritengo sia necessario dire e che vanno forse anche un po' al di là di quello che sta scritto in questa mozione ma che è giusto ricordare, perché riteniamo che siano di grandissima importanza.
Il problema che sottolineiamo da anni, ma che in questo momento è aggravato dai fatti che stanno accadendo nel nord Africa e, in modo specifico, in Libia, è quello dell'immigrazione non regolare. Devo dire, signor Ministro, che nel caso di specie il nostro intervento militare aereo è stato portato avanti credo senza aver preteso da queste persone e da parte di quella nuova Libia che si identifica in questi insorti e in questo nuovo proto-Governo, che si è adesso installato in una zona della Libia liberata dal giogo di Gheddafi, un corrispettivo.
Penso che sarebbe stato giusto pretendere qualcosa nel momento in cui rompiamo un patto scritto con un Governo come quello di Gheddafi. Si tratta, infatti, di un patto che comunque aveva portato dei vantaggi al nostro Paese. Dunque, nel momento in cui rompiamo un patto di quel tipo, che ci portava anche dei vantaggi, e intraprendiamo un'azione come quella che stiamo portando avanti in questi giorni sarebbe stato giusto - ma è anche giusto farlo adesso, anche se forse era meglio farlo prima - chiedere agli insorti, a quelli a cui stiamo dando supporto con questi bombardamenti che anche loro facciano qualcosa per il nostro Paese e per l'Europa. Quel qualcosa potrebbe essere accogliere quegli immigrati che Gheddafi sta usando come ritorsione nei nostri confronti. Infatti, dalle zone controllate ancora dal regime di Gheddafi stanno continuando a partire barconi carichi di irregolari - soprattutto provenienti dal centro Africa, ma non solo - che vengono usati a mo' di ritorsione, visto che il regime di Gheddafi non possiede armi sufficienti per poter offendere i Paesi europei.
Quello che si potrebbe fare è, quindi, cercare di non darci gli immigrati. Ritengo che sarebbe il minimo chiedere alla parte che sta prendendo mano a mano il controllo di alcune zone della Libia di accogliere, sul proprio territorio, queste persone. Sarebbe un grande segnale da parte loro di responsabilità e un segnale che starebbe anche a significare che chi prenderà in mano la Libia sarà qualcuno amico dell'Occidente, dell'Europa e del nostro Paese.
Infatti, il grande punto interrogativo che abbiamo su chi andrà a prendere il potere dopo Gheddafi non è stato ancora sciolto. Non abbiamo ancora capito esattamente cosa avviene in altri Paese del nord Africa come l'Egitto - e abbiamo Pag. 102visto la reazione molto timida dell'Egitto all'uccisione di Osama Bin Laden e i primi problemi che stanno nascendo, nel nuovo Governo egiziano, nei confronti di Israele - e, dunque, questo grande punto interrogativo che abbiamo sul futuro di questi Paese deve essere cancellato al più presto con delle certezze che non vadano contro l'Europa.
Pertanto, il primo passo positivo di un nuovo Governo libico potrebbe proprio essere quello di accettare tutti quei clandestini che Gheddafi sta mandando verso le nostre spiagge.
Non penso che possa causare enormi problemi, perché già stavano in Libia quelle persone. Forse ci sarà il problema di allestire un campo profughi nelle zone liberate, perché adesso erano ancora nelle zone controllate da Gheddafi, ma non penso che, con l'esborso che vi è stato per garantire questa missione, l'istituzione di un campo profughi nei territori libici liberati possa andare a gravare eccessivamente sui conti di questa missione. Non solo: questa iniziativa dovrebbe essere sostenuta da tutta l'Europa.
Questo potrebbe determinare la fine dell'arrivo sul nostro territorio, quindi sul territorio europeo, di migliaia e migliaia di clandestini. Ritengo quindi che sia necessario agire al più presto nei confronti del nuovo Governo delle zone liberate libiche per far sì che vengano accettati i clandestini che, quando arrivano sul nostro territorio, spesso richiedono anche la certificazione dello status di rifugiato. Ove non si riuscisse a fermare tutte queste persone, vorrei sottolineare alcuni aspetti che riteniamo importanti proprio riguardo al trattamento dei rifugiati.
A tal proposito, ci sono state negli ultimi due anni delle risoluzioni dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE. Si tratta di un organismo al quale contribuiamo in modo sostanzioso e partecipiamo insieme a tutti i Paesi occidentali e a tutti i Paesi dell'ex Unione Sovietica, quindi è una grande Assemblea, l'unica in cui siedono sugli stessi banchi i parlamentari degli Stati Uniti, della Russia o meglio di tutte le ex repubbliche sovietiche e anche gli osservatori del Vaticano. L'Assemblea parlamentare dell'OSCE si è espressa in merito ai rifugiati, sia nella dichiarazione di Vilnius, con l'approvazione di una risoluzione contenente linee guida per gli aiuti e l'assistenza ai rifugiati, sia nella dichiarazione di Oslo dell'anno successivo, chiamata: «Partenariato per l'assistenza ai rifugiati».
Signor Ministro, vista l'ora tarda, non voglio tediarla troppo con discorsi troppo ampi e la ringrazio perché lei è qui ad ascoltare tutti, perché non ha mandato un sottosegretario, ma è venuto direttamente a sentire questo dibattito importante. La ringrazio davvero per la sua disponibilità ad essere in Aula anche ad un'ora tarda della sera ad ascoltare le opinioni e le idee di ogni gruppo.
Vorrei tuttavia ricordare che ci sono dei passaggi importantissimi in queste risoluzioni. Ad esempio nella risoluzione di Vilnius, approvata nell'Assemblea parlamentare nel luglio 2009, in uno dei passaggi: si ritiene che la principale priorità per i rifugiati nel periodo successivo a catastrofi naturali, a conflitti armati, a guerre civili e a persecuzioni sia quello di riprendere la propria vita nel proprio Paese, al centro del proprio contesto sociale e culturale, il prima possibile, una volta che sia cessato ogni pericolo.
Quindi, il concetto è che il rifugiato non deve ottenere un permesso per rimanere in uno Stato per sempre, ma appena possibile deve ritornare al suo Paese d'origine. Inoltre, si rileva che troppo spesso le richieste dello status di rifugiato all'estero, lontano dal proprio Paese d'origine, sono utilizzate scorrettamente quale copertura per l'immigrazione clandestina e quale mezzo per ritardare le procedure di individuazione e di espulsione, svilendo pertanto tale strumento e penalizzando le persone che sono oggetto di vera persecuzione. Questo è ciò che accade: troppo spesso viene chiesto lo status di rifugiato solo per ottenere un permesso temporaneo, anche se non ci sono le condizioni per ottenere davvero il riconoscimento di tale status. Pag. 103
Quindi veniva chiesto, già nel 2009, a tutti gli Stati con una delibera dell'Assemblea parlamentare di 56 Stati, di applicare queste indicazioni e di introdurre, dove possibile, una procedura accelerata per il riconoscimento dello status di rifugiato e l'erogazione degli aiuti e dell'assistenza in luoghi quanto più possibile vicini ai Paesi d'origine dei rifugiati, sia per garantire il riconoscimento dei loro diritti, che per consentire loro di ritornare al loro luogo d'origine e al loro tradizionale modo di vita, una volta cessata l'emergenza.
Quindi questo si lega esattamente alla nostro richiesta di mantenere in Libia, magari nella parte liberata, queste persone nel luogo più vicino al loro paese di origine, riconoscere eventualmente lì lo stato di rifugiato e prestare lì l'assistenza se gli verrà riconosciuto lo status di rifugiato, che non è un free pass, un biglietto illimitato per girare tutto il mondo e andare nel Paese dove si vuole. Si scappa da qualcosa e dove viene fornita assistenza la si deve accettare.
Inoltre a Oslo, lo scorso anno, l'Assemblea parlamentare OSCE, sempre su stimolo della Lega Nord Padania che anche a livello internazionale si è fatta parte proponente di queste risoluzioni che hanno ricevuto poi l'approvazione addirittura all'unanimità nell'Assemblea parlamentare, ha invitato gli Stati partecipanti all'OSCE a negoziare gli uni con gli altri accordi e procedure che consentano una condivisione più equa del flusso di rifugiati che sono stati o saranno accolti.
È quindi importante negoziare con i nostri partner, non solo dell'Unione europea, qui è il passaggio importante che dobbiamo fare, non limitarci solo all'Unione europea, perché facciamo parte anche di altri organismi, per cui possiamo ampliare il discorso collaborando con altri Stati che magari si affacciano sul Mediterraneo, magari come la Turchia, tenendo presenti quindi per questa condivisione dei rifugiati, che saranno magari accolti, criteri quali la prossimità geografica o la vicinanza culturale al Paese d'origine e la densità di popolazione del Paese di destinazione.
Questi sono principi importanti perché si dice che se un immigrato ha una certa provenienza culturale, ad esempio un immigrato islamico, forse sarà meglio accettato e potrà inserirsi meglio in una società più vicina al suo stile di vita, quindi anche su questo punto prendo l'esempio della Turchia, un immigrato islamico forse si troverà meglio - è questo che afferma la risoluzione dell'OSCE - in un paese con una prossimità culturale più vicina alla sua, quindi la Turchia che è un Paese islamico potrebbe esser un Paese oggetto di insediamento di questi rifugiati.
La densità di popolazione del Paese di destinazione: certo perché dobbiamo pensare anche che queste persone non arrivano in un territorio spopolato. In Padania la densità, ad esempio in provincia di Milano, è più alta di quella di Calcutta o di Pechino, quindi non c'è materialmente posto per queste persone, bisogna tener presente anche questo. Il Kazakistan invece, anche se non è vicinissimo, è uno Stato grande nove volte l'Italia e ha 14 milioni di abitanti. Si può dunque pensare a una divisione tenendo conto anche di Paesi OSCE come quelli che hanno la disponibilità territoriale per accettare i flussi di immigrati, tutto questo in modo da garantire migliori prospettive di vita per tutti, compresa la popolazione dei Paesi ospitanti, perché sempre si parla di coloro che arrivano ma mai si parla di chi vive sul territorio dove queste persone arrivano e dei diritti dei cittadini residenti. Non possiamo dimenticare questo, nonché poi la possibilità per i richiedenti asilo e rifugiati di riprendere la loro vita e ritornare in patria al centro del proprio contesto sociale e culturale il prima possibile.
Dietro questa guerra nata in Libia tra il Governo di Gheddafi e gli insorti e dietro questa iniziativa della NATO di partecipare si apre il grosso scenario dei flussi migratori e noi, signor Ministro, riteniamo che questo sia un problema enorme, che ci deve vedere prendere il toro per le corna. Non possiamo rimanere supini di fronte all'arrivo di queste persone, dobbiamo intervenire. Pag. 104
Abbiamo visto come fanno certi Paesi quando c'è in ballo il loro interesse nazionale. Abbiamo visto la Francia, che ha iniziato a bombardare forse ancora prima della risoluzione dell'ONU. Ha iniziato a fare i suoi interessi e noi dobbiamo fare i nostri interessi, signor Ministro. I nostri interessi sono, tra l'altro, oltre a non aumentare le tasse, che è scritto nella mozione, quello di salvare il nostro Paese dall'invasione di questi extracomunitari senza documenti, che vanno a creare solo danno nelle nostre strade e nelle nostre città.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.
FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, dulcis in fundo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare ancora l'onorevole Sardelli.
FRANCO NARDUCCI. Va bene, lo dicevo perché nell'elenco ero l'ultimo. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, la mozione del Partito Democratico ha un solo e unico scopo: sottolineare la necessità di un atteggiamento responsabile di fronte agli impegni assunti sul piano internazionale, nel rispetto della risoluzione n. 1973 dell'ONU, della collocazione atlantica dell'Italia e di fronte alla necessità di agire per proteggere i civili, un atteggiamento al quale ci ha richiamato anche il Capo dello Stato, evidenziando così il ruolo importante che l'Italia ha sempre avuto per le operazioni di pace nel mondo a tutela dei diritti umani. La risoluzione n. 1970 è stata disattesa pienamente da Gheddafi, che si è rifiutato di dare esecuzione alle disposizioni in essa contenute, e in particolare a porre immediatamente fine alla violenza e a rispettare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. Con la seconda risoluzione l'ONU ha deciso conseguenzialmente di autorizzare l'uso della forza militare con l'obiettivo primario di dare protezione alla popolazione. In un passato nemmeno tanto lontano anche sul territorio europeo, nella ex Jugoslavia e nel Kosovo, vi sono stati interventi armati tesi alla protezione delle vittime civili e ad arginare la tragedia che trafisse un intero popolo. Signor Ministro, si è parlato molto e molti paragoni sono stati fatti con la Germania, che lei ben conosce, all'indomani della decisione di disimpegno del Governo tedesco. L'Handelszeitung titolò: la signora Merkel ha dimenticato la lezione di Bismarck. Nelle ultime settimane vi è stato un ampio dibattito nel Bundestag, ma alla fine è prevalsa la linea di coerenza e non del balletto delle decisioni delle linee politiche fluttuanti. In Italia, invece, anche nei momenti in cui è necessario abbandonare le divisioni di parte per essere uniti nell'azione internazionale di tutela dei più deboli e per riaffermare il ruolo dell'Italia nello scenario mediterraneo e globale, vi è qualche parte politica che si sottrae all'impegno, che recita fuori dal coro per puro calcolo elettorale, vista l'imminenza delle elezioni amministrative. La prossima tornata elettorale in Italia sarà decisiva per le sorti della maggioranza che regge il Governo. Lo ha ribadito ripetutamente la «ditta» Berlusconi e Bossi, così in Italia la politica estera è sempre meno estera e sempre più domestica, perde la sua capacità di visione prospettica e assume i ritmi e le improvvisazioni del fare quotidiano, il contrario di quanto ci sarebbe richiesto. Gli osservatori internazionali, giornalisti e diplomatici, che seguono le nostre vicende sono abituati ai balletti, ma quando si tratta di politica estera i riflessi delle nostre decisioni si riverberano maggiormente sullo scacchiere internazionale, per cui risulta meno etico subordinarle ai giochi politici interni. Allora, che senso ha mantenere posizioni attendiste, contraddittorie ed equivoche sull'intervento in Libia con un occhio all'appuntamento elettorale a Milano, piuttosto che a Napoli? Oggi il Governo non bombarda, domani sì, ma vediamo meglio se ci può essere una via di mezzo, magari dopo le elezioni. Sinceramente, è una politica estera irriconoscibile e questa mozione ne è la prova lampante, tanto da suscitare il disappunto della NATO. Siamo veramente alla farsa e Pag. 105non per colpa sua, signor Ministro, che la politica estera sa come si fa. Siamo tutti per la pace e siamo convinti della bontà del richiamo alla pace più volte espresso dalla Chiesa cattolica, ma proprio per garantire quella pace che tutti desideriamo è stato necessario un intervento armato in difesa dei civili, cosa che sta sicuramente a cuore anche alla Chiesa cattolica stessa.
Non a caso, il 7 agosto 1992, il cardinale Angelo Sodano, Segretario dello Stato del Vaticano, affermava a Castelgandolfo: «Gli Stati europei e le Nazioni Unite hanno il dovere e il diritto di ingerenza per disarmare uno che vuole uccidere. Non si tratta di favorire la guerra, ma di impedirla. Se non si fa niente per fermare l'aggressore si rischia di diventare suo complice, tanto più che potremmo affermare che l'ingerenza della comunità internazionale nelle situazioni di crisi interne agli Stati divenga un diritto in favore dell'umanità». Siamo convinti che la crisi debba volgere verso soluzioni più ragionevoli che portino alla deposizione delle armi, arrivando ad una riconciliazione nazionale, ma siamo anche convinti che questo non sarà possibile, se a governare sarà ancora Gheddafi.
Forse in Libia il vento del cambiamento contro l'ancien régime sanguinario e senza scrupoli è arrivato troppo presto, trovandoci impreparati e lasciandoci un po' confusi di fronte alle novità rilevanti che si annunciavano in un Paese dal quale importiamo, lo sappiamo tutti, una parte consistente di greggio e gas naturale e dove operano molte imprese italiane. L'onda della rivolta contro l'oppressione, però, si è unita ad altri fattori e ha reso fragile anche il sistema di potere di Gheddafi. In tal senso sono stati determinanti il tentativo interno di colpo di Stato, che stava già maturando, e il tentativo inglese e francese di gestirlo e dominarlo. Un mix che ha portato il Colonnello nel mirino della comunità internazionale, legittimando quindi l'intervento armato come risposta all'emergenza umanitaria.
L'impegno della NATO e dell'ONU è sopraggiunto una volta esaurite tutte le possibilità che il diritto internazionale prevede e, quindi, rientrano sempre nel quadro generale delle norme che la comunità internazionale si è data, norme che in caso di violazioni gravi e diffuse dei diritti umani fondamentali, che rappresentano una minaccia vera per la pace, come è evidente in Libia, prevedono l'intervento della comunità internazionale stessa a scopo umanitario.
Ora, nel caso della Libia, siamo di fronte ad un vero e proprio dittatore che psicologicamente si identifica con il popolo al quale è inscindibilmente e visceralmente legato, popolo che non è inteso come insieme di persone, ma come un unico concetto trascendente che, appunto, si riassume nella figura del dittatore. Egli, quindi, è il popolo e il suo volere è quello del popolo. Nella concezione del dittatore, se stesso e il popolo coincidono perfettamente.
Oggi ci troviamo di fronte a degli oppositori che, conseguenzialmente, sono considerati «l'altro» da Gheddafi e quindi il nemico da battere. Perciò non solo va distrutto, ma negato, come se non fosse mai esistito, come se fosse un temibile tumore maligno che distrugge quello che vi è di buono, senza pensare che dei cittadini possano avere opinioni diverse ed organizzarsi per affermarle.
In questa concezione l'opposizione a Gheddafi porta ad un'escalation, ad una tragica situazione di fronte alla quale si trovano i ribelli che giustamente, dicono «we are libian freedom fighters, not rebels» e non si identificano a mo' di corpo mistico con il dittatore Gheddafi. Non sono ribelli, sono in cerca di un futuro migliore per i propri figli, come Naima Rifi, leader delle Amazzoni di Gheddafi, che, rifiutando di sparare sulla folla, è passata dall'altra parte e in una dichiarazione a El Pais ha detto: «Credo che se la rivoluzione avrà successo avremo una redistribuzione più equa della ricchezza, un'educazione di qualità per i nostri figli, più libertà e lavoro per noi e per le generazioni future. Mia nipote potrà viaggiare e conoscere altri Paesi».
È questa, signor Presidente, la tensione morale che siamo chiamati a sostenere ed Pag. 106è questo quell'anelito alla libertà e alla giustizia che non può rimanere inascoltato tra i popoli liberi e che deve spingerci ad affrontare l'emergenza umanitaria conseguente alla situazione di guerra civile in atto facilitata da una frantumazione dello Stato, già posta in essere dallo stesso Gheddafi nel corso delle ultime quattro decadi.
Oggi l'Italia non riconosce più il regime di Gheddafi, mentre ha riconosciuto gli insorti. Il Ministro Frattini ha ricevuto, il 19 aprile scorso, il Presidente del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, Mustafa Jalil, e quindi è chiamata a soccorrere i ribelli nell'ambito delle possibilità dell'Italia, di concerto con gli alleati.
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Narducci.
FRANCO NARDUCCI. L'Italia ha già messo a disposizione della coalizione le sue basi, i suoi aerei con i relativi piloti, ed ha iniziato a fronteggiare l'impatto delle migrazioni forzate che si dirigono verso le sponde meridionali del nostro Paese e, in misura di gran lunga maggiore, verso il confine tunisino. Siamo consapevoli che anche per queste ragioni occorre essere presenti in quell'area, non solo con lo strumento militare, ma soprattutto con adeguati e successivi interventi di cooperazione che concretamente possano portare ad uno sviluppo capace di dare risposte alla richiesta di giustizia e di dignità che arriva dalla popolazione oppressa. Ma oggi è urgente rispondere al grido di aiuti dei ribelli che, come sappiamo fino a questo momento, stanno richiedendo copertura militare per i civili, istruttori e attacchi mirati, come è chiaro dagli ultimi messaggi che hanno inviato.
Io, signor Presidente - e concludo qui - vorrei soltanto aggiungere che vogliamo una Libia amica, libera e rispettosa della dignità della persona. Per questo ci mettiamo in gioco, per costruire un futuro di pace e di stabilità del Mediterraneo e questo io credo sia un dovere per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Sardelli. Ne ha facoltà.
LUCIANO MARIO SARDELLI. Signor Presidente, mi permetterò di cominciare questi intervento ricordando l'articolo 11 della Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Leggerò poi la risoluzione dell'ONU del 26 febbraio 2011, n. 1970, con cui l'Organizzazione delle Nazioni Unite richiede l'immediata adozione di un cessate il fuoco, sottolinea l'esigenza di intensificare gli sforzi per addivenire ad una soluzione della crisi che risponda alle legittime richieste del popolo libico, autorizza gli Stati membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili e le aree a popolazione civile e riconosce l'importante ruolo della Lega degli Stati arabi.
Attualmente l'unica delle strutture abilitate a svolgere questo ruolo è sicuramente la NATO, che da cinquant'anni, nata come una struttura di pace, in effetti poi ha assunto sempre di più questa funzione di difesa degli interessi dei popoli e dei diritti umanitari.
L'Italia in questo contesto vide una difficoltà storica. Sono cento anni dell'invasione della Libia da parte del Governo Giolitti, anni difficili che hanno attraversato prima un periodo di colonialismo, poi rapporti molto tesi negli anni Sessanta, Settanta, fino ad addivenire negli ultimi anni, prima con il Governo Prodi e poi con il Governo Berlusconi, ad un trattato di amicizia italo-libico, che permetteva da una parte di normalizzare i nostri rapporti con questo popolo, dall'altra di assicurare una certa stabilità in un'area molto compromessa, Pag. 107qual è l'area del Mediterraneo, soprattutto del nord Africa, dove la crisi palestinese ormai da sessanta anni compromette i nostri rapporti con quei territori ed anche lo sviluppo di relazioni serene con il mondo arabo. In tale contesto, fortemente complicato e difficile, il nostro Paese - oserei dire in continuità con il Governo Prodi, con alcune accentuazioni segnalate negativamente dall'opposizione - è addivenuto ad una soluzione di complessi problemi.
Ora il vento di democrazia che attraversa il nord dell'Africa è arrivato fino alla Libia e si è posto un problema umanitario pregnante e importante, a cui non possiamo non rispondere. C'è stata una determinazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e la NATO si è mossa.
Il nostro Paese ha dato un contributo corretto: abbiamo approvato delle mozioni che davano un segno di individuazione di una no fly zone per la protezione delle popolazioni più deboli ed esposte, quindi un intervento umanitario cui è seguita la necessità di un impegno più diretto del nostro Paese sul fronte degli obiettivi militari. La situazione quindi è estremamente complessa e non accetto le semplificazioni dell'opposizione che oggi presenta quattro mozioni per iniziativa rispettivamente del Partito democratico, del Terzo Polo, dell'Italia dei Valori e della delegazione radicale e anche all'interno, comunque, non bastano queste quattro mozioni, ci sono posizioni isolate che sono state espresse...
PRESIDENTE. Onorevole Sardelli, la prego di concludere.
LUCIANO MARIO SARDELLI. ...da parte di singoli parlamentari o di gruppi di parlamentari. Quindi si tratta di una situazione estremamente complessa e difficile cui le risposte non sono facili. Non abbiamo risposte aperte e nella nostra mozione - con questo vado a concludere - signor Presidente, abbiamo tenuto conto del sentimento del popolo italiano, un popolo al 70 per cento contrario ad un intervento bellico, preoccupato per i flussi migratori e per un impegno straordinario delle nostre truppe, dei nostri militari e dei nostri soldati in aree diffuse - siamo il Paese che è più impegnato in questa funzione umanitaria e di protezione con generosità, coraggio e anche con perdita di vite umane - e quindi, come Governo e come Parlamento dovremo dare una risposta anche alle paure e alle preoccupazioni di questo nostro popolo. Mi pare che con la mozione in esame, sulla quale converge tutta la maggioranza - a differenza delle plurime, controverse e contraddittorie mozioni dell'opposizione - ci sia la possibilità di restare nel solco degli impegni umanitari dell'ONU...
PRESIDENTE. Onorevole Sardelli, la prego di concludere.
LUCIANO MARIO SARDELLI. ...concludo, e al tempo stesso, di tutelare i nostri interessi senza far pregiudicare il nostro presente e il nostro futuro da un impegno che potrebbe essere eccessivo e anche per certi versi pericoloso.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Mercoledì 4 maggio 2011, alle 10,30:
1. - Seguito della discussione delle mozioni Della Vedova ed altri n. 1-00612, Rao ed altri n. 1-00614, Ferranti ed altri n. 1-00615, Costa, Lussana, Belcastro ed altri n. 1-00616, Bernardini ed altri n. 1-00617, Di Pietro ed altri n. 1-00618 e Mosella ed altri n. 1-00619 concernenti iniziative relative alla situazione delle carceri.
Pag. 1082. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
S. 2665 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo (Approvato dal Senato) (C. 4307).
3. - Seguito della discussione delle mozioni Franceschini n. 1-00633, Galletti, Della Vedova, Vernetti, Lo Monte, La Malfa e Bosi n. 1-00634, Di Pietro ed altri n. 1-00635, Reguzzoni, Cicchitto e Sardelli n. 1-00636 e Mecacci ed altri n. 1-00637 concernenti l'impegno italiano in Libia.
(ore 15)
4. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
La seduta termina alle 22,35.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI L'IMPEGNO ITALIANO IN LIBIA
FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione del Partito Democratico ha un unico e solo scopo, sottolineare la necessità di un atteggiamento responsabile di fronte agli impegni assunti sul piano internazionale, nel rispetto della risoluzione 1973 dell'ONU, della collocazione atlantica dell'Italia, e di fronte alla necessità di agire per proteggere i civili. Un atteggiamento al quale ci ha richiamato anche il Capo dello Stato evidenziando così il ruolo importante che l'Italia ha sempre avuto per le operazioni di pace nel mondo a tutela dei diritti umani.
La Risoluzione 1973 arriva dopo la Risoluzione 1970, disattesa pienamente da Gheddafi che si è rifiutato di dare esecuzione alle disposizioni in essa contenute e in particolare a porre immediatamente fine alla violenza e a rispettare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. Con la seconda risoluzione l'ONU ha deciso conseguenzialmente di autorizzare l'uso della forza militare con l'obiettivo primario di dare protezione alla popolazione.
In un passato nemmeno tanto lontano, anche sul territorio europeo - nella ex Jugoslavia e nel Kosovo - vi sono stati interventi armati tesi alla protezione delle vittime civili e ad arginare la tragedia che trafisse un intero popolo.
Signor Ministro, si è parlato molto e molti paragoni sono stati fatti con la Germania. All'indomani della decisione di disimpegno del Governo tedesco, l'Handelszeitung titolò «La signora Merkel ha dimenticato la lezione di Bismark».
Nelle ultime settimane vi è stato un ampio dibattito nel Bundestag, ma alla fine è prevalsa la linea di coerenza e non del balletto delle decisioni e delle linee politiche fluttuanti.
In Italia, invece, anche nei momenti in cui è necessario abbandonare le divisioni di parte per essere uniti nell'azione internazionale di tutela dei più deboli e per riaffermare il ruolo dell'Italia nello scenario mediterraneo e globale, vi è qualche parte politica che si sottrae all'impegno, che recita fuori dal coro per puro calcolo elettorale, vista l'imminenza delle elezioni amministrative. La prossima tornata elettorale in Italia sarà decisiva per le sorti della maggioranza che regge il governo, lo ha ribadito ripetutamente la ditta B&B. Così, in Italia, la politica estera è sempre meno estera e sempre più domestica, perde la sua capacità di visione prospettica e assume i ritmi e le improvvisazioni del fare quotidiano, il contrario di quanto ci sarebbe richiesto. Pag. 109
Gli osservatori internazionali - giornalisti e diplomatici - che seguono le nostre vicende sono abituati ai balletti ma quando si tratta di politica estera, i riflessi delle nostre decisioni si riverberano maggiormente sullo scacchiere internazionale, per cui risulta meno etico subordinarle ai giochi politici interni. E allora che senso ha mantenere posizioni attendiste, contraddittorie, equivoche, sull'intervento in Libia, con un occhio all'appuntamento elettorale a Milano piuttosto che a Napoli? Oggi il Governo non bombarda, domani sì, ma vediamo meglio se ci può essere una via di mezzo... magari dopo le elezioni. Sinceramente una politica estera irriconoscibile e questa mozione ne è la prova lampante, tanto da suscitare il disappunto della NATO. Siamo veramente alla frutta e non per colpa sua, signor Ministro, che la politica estera sa come si fa.
Siamo tutti per la pace, e siamo convinti della bontà del richiamo alla pace più volte espresso dalla Chiesa cattolica, ma proprio per garantire quella pace che tutti desideriamo è stato necessario un intervento armato in difesa dei civili, cosa che sta sicuramente a cuore anche alla Chiesa cattolica stessa. Non a caso il 7 agosto 1992, il Cardinale Angelo Sodano, Segretario dello Stato del Vaticano affermava a Castel Gandolfo: «Gli Stati europei e le Nazioni Unite hanno il dovere e il diritto di ingerenza per disarmare uno che vuole uccidere. Non si tratta di favorire la guerra ma di impedirla». Se non si fa niente per fermare l'aggressore si rischia di diventare suo complice tanto più che potremmo affermare che l'ingerenza della Comunità internazionale nelle situazioni di crisi interne agli Stati diventa «un diritto in-favore dell'umanità».
Siamo convinti che la crisi debba volgere verso soluzioni più ragionevoli che portano verso la deposizione delle armi arrivando a una riconciliazione nazionale, ma siamo anche convinti che questo non sarà possibile se a governare sarà ancora Gheddafi.
Forse in Libia il vento del cambiamento contro l'ancien regime sanguinario e senza scrupoli è arrivato troppo presto, trovandoci impreparati, lasciandoci un po' confusi di fronte alle novità rilevanti che si annunciavano in un Paese dal quale importiamo una parte consistente di greggio e gas naturale e dove operano molte imprese italiane. Ma l'onda della rivolta contro l'oppressione si è unita ad altri fattori ed ha reso fragile anche il sistema di potere di Gheddafi, in tal senso sono stati determinanti il tentativo interno di colpo di stato che stava già maturando e il tentativo inglese e francese di gestirlo e dominarlo. Un mix che ha portato il Colonnello, nel mirino della Comunità internazionale legittimando, quindi, l'intervento armato come risposta all'emergenza umanitaria.
L'impegno della NATO e dell'ONU è sopraggiunto una volta esaurite tutte le possibilità che il diritto internazionale prevede e quindi rientrano sempre nel quadro generale delle norme che la comunità internazionale si è data, norme che in caso di violazioni gravi e diffuse dei diritti umani fondamentali, che rappresentano una minaccia vera per la pace - come è evidente in Libia - prevedono un intervento della Comunità internazionale a scopo umanitario.
Ora, nel caso della Libia, siamo di fronte ad un vero e proprio dittatore che psicologicamente s'identifica con il popolo al quale è inscindibilmente e visceralmente legato, popolo che non è inteso come insieme di persone, ma come un unico concetto trascendente che appunto si riassume nella figura del dittatore. Egli quindi è il popolo e il suo volere è quello del popolo. Nella concezione del dittatore se stesso e il popolo coincidono perfettamente. Oggi ci troviamo di fronte a degli oppositori che conseguenzialmente sono considerati l'altro da Gheddafi e quindi il nemico da abbattere. Perciò non solo va distrutto, ma negato, come se non fosse mai esistito, come se fosse un temibile tumore maligno che distrugge quello che c'è di buono, senza quindi pensare che dei cittadini possano avere opinioni diverse ed organizzarsi per affermarle. In questa concezione l'opposizione a Gheddafi porta all'escalation, a una tragica situazione di Pag. 110fronte alla quale si trovano i ribelli che giustamente dicono di essere «We Are Libyan Freedom Fighters Not Rebels» (Noi siamo combattenti libici per la libertà e non ribelli) e non si identificano a mo' di corpo mistico con il dittatore Gheddafi. Non sono ribelli, sono in cerca di un futuro migliore per i propri figli, come Naima Rifi, leader delle Amazzoni di Gheddafi, che rifiutando di sparare sulla folla è passata dall'altra parte e in una dichiarazione a El País ha detto: «Credo che se la rivoluzione avrà successo, avremo una redistribuzione più equa della ricchezza, un'educazione di qualità per i nostri figli, più libertà e lavoro per noi e per le generazioni future. Mia nipote potrà viaggiare, conoscere altri Paesi».
È questa, signor Presidente, la tensione morale che siamo chiamati a sostenere ed è questo quell'anelito alla libertà e alla giustizia che non può rimanere inascoltato tra i popoli liberi e ci deve spingere ad affrontare l'emergenza umanitaria conseguente alla situazione di «guerra civile» in atto. Una guerra civile facilitata da una frantumazione dello Stato, già posta in essere dallo stesso Gheddafi nel corso delle ultime quattro decadi.
Oggi l'Italia non riconosce più il regime di Gheddafi mentre ha riconosciuto gli insorti e il Ministro Frattini ha ricevuto il 19 aprile il Presidente del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, Mustafa Jalil; e quindi è chiamata a soccorrere i ribelli nell'ambito delle possibilità dell'Italia e di concerto con gli alleati. L'Italia ha già messo a disposizione della coalizione le sue basi e i suoi aerei con i relativi piloti; e ha iniziato a fronteggiare l'impatto che le migrazioni forzate che si dirigono vero le sponde meridionali del nostro Paese e in misura di gran lunga maggiore verso il confine tunisino.
Siamo consapevoli che anche per queste ragioni occorre essere presenti in quell'area, non solo con lo strumento militare ma soprattutto con adeguati successivi interventi di cooperazione che concretamente possano portare a uno sviluppo capace di dare risposte alla richiesta di giustizia e di dignità che arriva dalla popolazione oppressa. Ma oggi è urgente rispondere al grido di aiuto dei ribelli che come sappiamo, fino a questo momento, stanno richiedendo copertura militare per i civili, istruttori e attacchi mirati, com'è chiaro dagli ultimi messaggi che hanno inviato.
L'impegno del nostro Paese all'interno della NATO non costringe l'Italia, sulla base dell'articolo 5 del Trattato, a intervenire obbligatoriamente con le sue Forze armate . Stando all'articolo del Trattato, infatti, ciascuno degli alleati, in caso di attacco non provocato ma, per il diritto internazionale ormai consolidato, anche in caso d'intervento umanitario, innovato da Wojtyla, assisterà la Parte o le Parti, attaccate e, in extenso, le Nazioni Unite o le parti che abbisognino d'intervento umanitario, intraprendendo, individualmente e di concerto con le altre Parti, «nell'esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva, riconosciuta dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, quell'azione che riterrà necessaria, incluso l'uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell'area nord-Atlantica».
Detto in altri termini, se è chiaro che stando alla Risoluzione 1973 la NATO può intervenire militarmente, non necessariamente tutti all'interno della NATO devono intervenire militarmente. Se l'Italia ha fatto questa scelta, come noi riteniamo giusto sia, ebbene si addossi questa responsabilità, non sollecitata da alcuno, ma che il Governo si è liberamente assunto, senza se e senza ma.
Il Governo italiano ha fatto una pessima figura a porre tanti «se» e tanti «ma» come è emerso dalle dichiarazioni di parti di questa maggioranza, all'Alleanza Atlantica, che non ha sollecitato il concorso armato italiano. E male fa ad imporre dei termini per la fine delle operazioni che possono essere decisi soltanto da circostanze che né l'Italia né la NATO controllano.
È ora che questa maggioranza abbandoni il cerchiobottismo e dica chiaramente cosa vuole fare in politica estera senza rimangiarsi la parola «data»; il problema Pag. 111dell'intervento armato della nostra aviazione è tutto interno alla maggioranza, ed è bene che essa se lo risolva al suo interno. Vorrei richiamare, a tal proposito, le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica il 26 aprile scorso nell'incontro con gli esponenti delle Associazioni combattentistiche e partigiane e le Associazioni d'Arma: «Oggi ci interroghiamo, in Europa e in tutto l'Occidente, sulla possibilità di rivoluzioni o evoluzioni democratiche nel mondo arabo, fatto senza precedenti e carico di potenzialità straordinarie. E le previsioni non sono facili; né è semplice il compito che può spettare a paesi come il nostro. Non potevamo restare indifferenti alla sanguinaria reazione del colonnello Gheddafi in Libia: di qui l'adesione dell'Italia al giudizio e alle indicazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e quindi al piano d'interventi della coalizione guidata dalla NATO».
La ricchezza delle risorse naturali libiche, con il ruolo assunto a livello internazionale in campo energetico, ha portato l'occidente a prese di posizioni deboli nei confronti del dittatore di Tripoli, ora è il tempo di riscattarsi; del resto i consistenti interessi economici dell'Italia in Libia non possono essere disgiunti dal nostro patrimonio di valori democratici e al nostro ruolo storico nella tutela dei diritti umani. Essi, infatti, costituiscono la necessaria premessa per dare fondamenta solide e durature nel tempo a qualsiasi forma di partenariato. Vogliamo una Libia amica, libera e rispettosa della dignità della persona, per questo ci mettiamo in gioco, per costruire un futuro di pace e di stabilità nel Mediterraneo.
VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13) | ||||||||||
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Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nom. | Ddl 4219 - em. 1.3 | 493 | 263 | 230 | 132 | 20 | 243 | 48 | Resp. |
2 | Nom. | Ddl 4219 - voto finale | 513 | 268 | 245 | 135 | 236 | 32 | 40 | Appr. |
3 | Nom. | Ddl 4220-A - em. 1.1 | 522 | 522 | 262 | 256 | 266 | 32 | Resp. | |
4 | Nom. | em. 1.2 | 526 | 525 | 1 | 263 | 257 | 268 | 32 | Resp. |
5 | Nom. | em. 1.3 | 526 | 525 | 1 | 263 | 254 | 271 | 31 | Resp. |
6 | Nom. | em. 1.300 | 527 | 508 | 19 | 255 | 270 | 238 | 31 | Appr. |
7 | Nom. | em. 1.500 | 520 | 519 | 1 | 260 | 519 | 31 | Appr. | |
8 | Nom. | em. 1.15 | 528 | 528 | 265 | 257 | 271 | 31 | Resp. | |
9 | Nom. | em. 1.18 | 526 | 526 | 264 | 257 | 269 | 31 | Resp. | |
10 | Nom. | em. 1.301 | 524 | 502 | 22 | 252 | 270 | 232 | 31 | Appr. |
11 | Nom. | em. 1.10 | 521 | 520 | 1 | 261 | 252 | 268 | 31 | Resp. |
12 | Nom. | em. 1.302 | 524 | 501 | 23 | 251 | 271 | 230 | 31 | Appr. |
13 | Nom. | em. 1.14 | 527 | 279 | 248 | 140 | 10 | 269 | 31 | Resp. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.
INDICE ELENCO N. 2 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 20) | ||||||||||
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Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
14 | Nom. | em. 1.17 | 526 | 525 | 1 | 263 | 256 | 269 | 31 | Resp. |
15 | Nom. | em. 1.19 | 529 | 528 | 1 | 265 | 259 | 269 | 31 | Resp. |
16 | Nom. | em. 1.20 | 522 | 520 | 2 | 261 | 252 | 268 | 31 | Resp. |
17 | Nom. | em. 1.21 | 529 | 322 | 207 | 162 | 7 | 315 | 31 | Resp. |
18 | Nom. | odg 9/4220/3 | 505 | 314 | 191 | 158 | 9 | 305 | 31 | Resp. |
19 | Nom. | odg 9/4220/7 | 505 | 504 | 1 | 253 | 241 | 263 | 31 | Resp. |
20 | Nom. | Ddl 4220-A - voto finale | 471 | 252 | 219 | 127 | 252 | 31 | Appr. |