XVI LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 21 MARZO 2012
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 19 marzo 2012.
Albonetti, Alessandri, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, De Biasi, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Leone, Lupi, Lussana, Mecacci, Migliori, Milanato, Moffa, Mogherini Rebesani, Leoluca Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Rigoni, Stefani.
Annunzio di proposte di legge.
In data 15 marzo 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE BOSSI ed altri: «Modifiche alla Costituzione concernenti la forma di Stato e di governo, la riduzione del numero dei parlamentari, l'istituzione del Senato federale della Repubblica, la disciplina della magistratura, la Corte costituzionale e il procedimento di revisione della Costituzione» (5053);
FUGATTI ed altri: «Delega al Governo per la separazione dei modelli bancari» (5054);
BINETTI ed altri: «Delega al Governo per l'elevazione dell'aliquota minima dei tributi sui giochi d'azzardo e destinazione di quota delle entrate erariali alla prevenzione e alla cura dei fenomeni di gioco d'azzardo patologico» (5055);
BRIGUGLIO ed altri: «Modifiche all'articolo 1 del decreto legislativo 12 aprile 1996, n. 197, in materia di diritto di elettorato nelle elezioni comunali e circoscrizionali per i cittadini di Stati dell'Unione europea residenti in Italia» (5056).
In data 16 marzo 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
PICIERNO: «Istituzione del Fondo di rotazione per il sostegno delle organizzazioni per la legalità e la lotta contro le mafie e per l'estinzione dei diritti reali di terzi sui beni confiscati alle organizzazioni criminali, istituzione dell'Albo nazionale delle organizzazioni per la legalità e la lotta contro le mafie, nonché modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e al decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181» (5059);
FAENZI: «Modifiche ai decreti legislativi 3 aprile 2006, n. 152, e 3 dicembre 2010, n. 205, e altre disposizioni in materia di rifiuti di attività agricole e di materiali vegetali, agricoli e forestali» (5060).
Saranno stampate e distribuite.
Annunzio di disegni di legge.
In data 15 marzo 2012 sono stati presentati alla Presidenza i seguenti disegni di legge:
dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal ministro per gli affari europei:
«Conversione in legge del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, recante norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni» (5052);
dal ministro degli affari esteri:
«Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Croazia in materia di cooperazione culturale e d'istruzione, fatto a Zagabria il 16 ottobre 2008» (5057).
Saranno stampati e distribuiti.
Adesione di un deputato a proposte di legge.
La proposta di legge CONCIA: «Modifiche al codice civile in materia di eguaglianza nell'accesso al matrimonio» (1630) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Colombo.
La proposta di legge CONCIA: «Disciplina dell'unione civile» (1631) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Colombo.
La proposta di legge CONCIA: «Disciplina del patto civile di solidarietà» (1637) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Colombo.
Trasmissione dal Senato.
In data 15 marzo 2012 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
S. 850. - Senatori LI GOTTI ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999» (approvata dal Senato) (5058).
Sarà stampata e distribuita.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
BERSANI ed altri: «Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione in materia di democrazia interna e trasparenza dei partiti politici» (4973) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI, VII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
II Commissione (Giustizia):
«Delega al Governo in materia di depenalizzazione, sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili» (5019) Parere delle Commissioni I, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
IV Commissione (Difesa):
DI STANISLAO: «Modifiche agli articoli 1895 e 1897 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in materia di provvidenze per i familiari di militari vittime del servizio» (4980) Parere delle Commissioni I, V e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale).
VI Commissione (Finanze):
DONADI e DI PIETRO: «Disposizioni e delega al Governo per il contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale» (4991) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X, XI, XII e XIV.
XII Commissione (Affari sociali):
S. 2515. - «Istituzione del registro nazionale e dei registri regionali degli impianti protesici mammari, obblighi informativi alle pazienti, nonché divieto di intervento di plastica mammaria alle persone minori» (approvato, con modificazioni, dalla 12a Commissione permanente del Senato, già approvato dalla XII Commissione permanente della Camera) (3703-B) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni) e V.
Trasmissione dal Presidente del Senato.
Il Presidente del Senato, con lettera in data 14 marzo 2012, ha comunicato che la 1a Commissione (Affari costituzionali) del Senato ha approvato, a conclusione dell'esame, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del regolamento del Senato, le seguenti risoluzioni, che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Fondo asilo e migrazione (COM(2011)751 definitivo) (Atto Senato doc. XVIII, n. 135);
risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo asilo e migrazione e sullo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi (COM(2011)752 definitivo) (Atto Senato doc. XVIII, n. 136);
risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce, nell'ambito del Fondo sicurezza interna, lo strumento di sostegno finanziario per la cooperazione di polizia, la prevenzione e la lotta alla criminalità e la gestione delle crisi (COM(2011)753 definitivo) (Atto Senato doc. XVIII, n. 137);
risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (EUROSUR) (COM(2011)873 definitivo) (Atto Senato doc. XVIII, n. 138);
risoluzione sulla proposta di decisione del Consiglio che istituisce un quadro pluriennale per l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali per il periodo 2013-2017 (COM(2011)880 definitivo) (Atto Senato doc. XVIII, n. 139).
Trasmissioni dal ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali.
Il ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, con lettere in data 4 gennaio 2012 e 15 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione sull'attività svolta dall'Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE) - ora Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) - negli anni 2009 e 2010, con allegati i bilanci di previsione per gli anni 2010 e 2011 e la consistenza dell'organico per le medesime annualità.
Questa documentazione è trasmessa alla XIII Commissione (Agricoltura).
Trasmissione dal ministro della salute.
Il ministro della salute, con lettera in data 7 febbraio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 10, della legge 11 ottobre 1986, n. 713, la relazione sullo stato di attuazione della citata legge n. 713 del 1986, recante norme per l'attuazione delle direttive della Comunità economica europea sulla produzione e la vendita dei cosmetici, relativa agli anni 2009 e 2010 (doc. LIX, n. 4).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla XII Commissione (Affari sociali).
Trasmissione dal viceministro dell'economia e delle finanze.
Il viceministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 12 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15-bis, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e successive modificazioni, la relazione relativa all'impatto finanziario derivante dagli atti e dalle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea, relativa al secondo trimestre 2011 (doc. LXXIII, n. 8).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti.
Trasmissione dal ministro per la coesione territoriale.
Il ministro per la coesione territoriale, con lettera in data 15 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il decreto del ministro dell'economia e delle finanze concernente la ripartizione del Fondo di compensazione per gli interventi volti a favorire lo sviluppo.
Tale decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).
Trasmissione dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.
La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 16 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibero CIPE, che sono trasmesse alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente):
n. 88/2011 del 6 dicembre 2011, concernente «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001). SS 106 Ionica - Lavori di costruzione 3o megalotto dall'innesto con la SS 534 (km 365+150) a Roseto Capo Spulico (km 400+000) - Assegnazione finanziamento»;
n. 89/2011 del 6 dicembre 2011, concernente «Opere piccole e medie nel Mezzogiorno. Assegnazione risorse e utilizzo economie di gara».
Trasmissione di una risoluzione dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa.
Ai sensi dell'articolo 125 del regolamento, la risoluzione 1862 (2012), approvata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa nella sessione del 23-27 gennaio 2012, concernente il funzionamento delle istituzioni democratiche in Ucraina (doc. XII-bis, n. 1), è assegnata alla III Commissione (Affari esteri), nonché, per il parere, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Annunzio di progetti di atti
dell'Unione europea.
Il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 13 e 15 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 3 e 19 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Con la comunicazione del 13 marzo 2012, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato nell'Unione europea (COM(2012)85 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 13 marzo 2012, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla II Commissione (Giustizia), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), nonché alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà.
Con la comunicazione del 15 marzo 2012, il Governo ha inoltre richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia (COM(2012)89 final), assegnata, in data 7 marzo 2012, in sede primaria alla XII Commissione (Affari sociali), nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà;
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio per quanto riguarda le norme sanitarie che disciplinano gli scambi e le importazioni nell'Unione di cani, gatti e furetti (COM(2012)90 final), assegnata, in data 7 marzo 2012, in sede primaria alla XII Commissione (Affari sociali), nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà;
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Trarre il massimo beneficio dalle misure ambientali dell'Unione europea: instaurare la fiducia migliorando le conoscenze e rafforzando la capacità di risposta (COM(2012)95 definitivo), assegnata, in data 8 marzo 2012, in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente).
In data 16 marzo 2012, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio - Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al miglioramento del regolamento titoli nell'Unione europea e ai depositari centrali di titoli e recante modifica della direttiva 98/26/CE (COM(2012)73 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 14 marzo 2012, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla VI Commissione (Finanze), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), è stata altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 14 marzo 2012.
La Commissione europea, in data 15 marzo 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un programma dell'Unione europea in materia di etichettatura di efficienza energetica delle apparecchiature per ufficio e recante modifica del regolamento (CE) n. 106/2008 concernente un programma comunitario di etichettatura relativa ad un uso efficiente dell'energia per le apparecchiature per ufficio (COM(2012)109 final), che, in data 16 marzo 2012, è stata assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla X Commissione (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea). Tale proposta è stata altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 16 marzo 2012.
La Commissione europea, in data 15 e 16 marzo 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull'attuazione, sui risultati e sulla valutazione generale dell'Anno europeo della lotta contro la povertà e l'esclusione sociale (2010) (COM(2012)107 final), che è assegnata in sede primaria alla XII Commissione (Affari sociali);
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'attuazione degli Accordi conclusi dall'Unione europea a seguito dei negoziati condotti nel quadro dell'articolo XXVIII del GATT 1994 e recante modifica e integrazione dell'allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (COM(2012)115 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze).
La Commissione europea, in data 15 e 16 marzo 2012, ha trasmesso i nuovi testi dei seguenti documenti, già assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà:
Nuovo testo della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo e che abroga il regolamento (CE) n. 1081/2006 del Consiglio (COM(2011)607 final/2), che sostituisce il documento COM(2011)607 definitivo, assegnato in sede primaria, in data 19 ottobre 2011, alle Commissioni riunite V (Bilancio) e XI (Lavoro);
Nuovo testo della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1082/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, relativo a un Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT) per quanto concerne il chiarimento, la semplificazione e il miglioramento delle norme in tema di istituzione e di funzionamento di tali gruppi (COM(2011)610 final/2), che sostituisce il documento COM(2011)610 definitivo, assegnato in sede primaria, in data 19 ottobre 2011, alla V Commissione (Bilancio);
Nuovo testo della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni specifiche per il sostegno del Fondo europeo di sviluppo regionale all'obiettivo di cooperazione territoriale europea (COM(2011)611 final/2), che sostituisce il documento COM(2011)611 definitivo, assegnato in sede primaria, in data 19 ottobre 2011, alla V Commissione (Bilancio);
Nuovo testo della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n. 1084/2006 del Consiglio (COM(2011)612 final/2), che sostituisce il documento COM(2011)612 definitivo, assegnato in sede primaria, in data 19 ottobre 2011, alla V Commissione (Bilancio);
Nuovo testo della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio (COM(2011)615 final/2), che sostituisce il documento COM(2011)615 definitivo, assegnato in sede primaria, in data 19 ottobre 2011, alla V Commissione (Bilancio);
Nuovo testo della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il meccanismo per collegare l'Europa (COM(2012)665 final/2), che sostituisce il documento COM(2011)665 definitivo, assegnato in sede primaria, in data 7 novembre 2011, alle Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive).
Trasmissione dal Garante del contribuente per il Piemonte.
Il Garante del contribuente per il Piemonte, con lettera in data 9 marzo 2012, ha trasmesso la relazione sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica fiscale riferita all'anno 2011, predisposta ai sensi dell'articolo 13, comma 13-bis, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Questa documentazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).
Comunicazioni ai sensi dell'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Blufferies Srl, con lettera pervenuta in data 12 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la comunicazione concernente un atto comportante spesa per emolumenti o retribuzioni, con l'indicazione del nominativo del destinatario e dell'importo del relativo compenso.
Tale comunicazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).
Comunicazioni di nomine ministeriali.
La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 15 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le comunicazioni concernenti il conferimento, ai sensi dei commi 4, 5-bis e 10 del medesimo articolo 19, di incarichi di livello dirigenziale generale, che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali), nonché alle Commissioni sottoindicate:
alla II Commissione (Giustizia) la comunicazione concernente il seguente incarico nell'ambito del Ministero della giustizia:
al dottor Lucio Bedetta, l'incarico di direttore della direzione generale del bilancio e per la contabilità, nell'ambito del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
alla VI Commissione (Finanze) la comunicazione concernente il seguente incarico nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze:
al dottor Antonio Tagliaferri, l'incarico di reggenza della direzione generale per i giochi, nell'ambito dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
alla VII Commissione (Cultura) le comunicazioni concernenti i seguenti incarichi nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali:
alla dottoressa Marina Giuseppone, l'incarico di consulenza, studio e ricerca a supporto delle attività degli uffici di diretta collaborazione del ministro per i beni e le attività culturali;
al dottor Mario Guarany, l'incarico ad interim di vice capo di Gabinetto con funzioni vicarie, nell'ambito del Gabinetto del ministro per i beni e le attività culturali;
alla dottoressa Rossana Rummo, l'incarico di direttore della direzione generale per gli archivi;
all'architetto Ugo Soragni, l'incarico ad interim di direttore della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
MOZIONI BOCCIA ED ALTRI N. 1-00902, COMAROLI ED ALTRI N. 1-00931, IANNACCONE ED ALTRI N. 1-00936, CORSARO ED ALTRI N. 1-00937, BORGHESI ED ALTRI N. 1-00938, CAMBURSANO E BRUGGER N. 1-00939 E TABACCI ED ALTRI N. 1-00942 CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALLA DELIMITAZIONE DEI SOGGETTI TITOLATI A PARTECIPARE ALLE ASTE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari (ltro, long term refinancing operation) a favore delle banche della durata di 36 mesi, allo scopo di garantire l'accesso alle liquidità agli istituti di credito, ampliando, altresì, la gamma di titoli che le banche possono fornire come collaterale, ossia come garanzia in cambio di liquidità, includendovi fra l'altro le Abs (asset backed securities), i titoli garantiti da attivi come i mutui;
le due aste di rifinanziamento a 36 mesi si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, assegnando fondi a tasso fisso e ammontare illimitato alle banche e consentendo loro l'opzione di ripagare, in tutto o in parte, l'ammontare dopo un anno e successivamente secondo scadenze prefissate;
nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro a favore delle banche commerciali che operano nell'area euro, mentre nell'asta di febbraio 2012 sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro, ammontari che hanno oltrepassato le attese medie; gli istituti che hanno fatto richiesta sono stati, rispettivamente, 523 e 800, incoraggiati dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e dalle banche centrali nazionali ad approfittare dell'offerta «senza alcun timore di suscitare sospetto», per evitare il credit crunch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
tra le ragioni dell'incremento delle richieste, oltre alla forte partecipazione anche di banche medio-piccole e ai minori timori di una ricaduta negativa in termini di reputazione, vi è la possibile partecipazione di soggetti non propriamente bancari: già i numeri della prima asta lasciavano pensare a una platea allargata, dal momento che, normalmente, le controparti che partecipano a operazioni di finanziamento sono circa 200, quindi le 523 dell'asta del 21 dicembre 2011 annoverano tra loro soggetti che non avevano mai usufruito dei programmi della Banca centrale europea, pur avendone diritto;
il 15 febbraio 2012, infatti, la casa automobilistica francese Peugeot - che controlla anche Citroen - aveva avanzato, attraverso la sua divisione bancaria Banque psa finance, una richiesta di prestito collateralizzato alla Banca centrale europea, presentando a tal fine una garanzia superiore a 1 miliardo di euro per poter partecipare all'asta del 29 febbraio 2012; le medesime intenzioni avevano manifestato Volkswagen, Bmw e Siemens, anch'esse dotate di licenze bancarie per il credito al consumo, ovvero per i servizi finanziari che offrono ai clienti che comprano i loro prodotti;
la partecipazione all'asta del 29 febbraio 2012 è stata confermata dalla Renault che ha acquisito un finanziamento per 350 milioni di euro circa, attraverso la sua finanziaria Rci Banque, un'operazione dettata, per stessa ammissione della società, non per bisogno di liquidità ma per approfittare di tassi vantaggiosi; conferme sono giunte anche dalla Volkswagen;
si tratta di operazioni consentite, in quanto riguardano istituzioni finanziarie che devono rispondere a requisiti minimi di riserva attraverso i quali si garantiscono il diritto a partecipare alle operazioni di finanziamento, ma discutibili in una situazione economica come quella attuale;
la competitività dell'asta ltro (long term refinancing operation) è tale da renderla una fonte alternativa di finanziamento a tassi estremamente vantaggiosi, visto che poi alcune aziende useranno come collaterale prestiti al consumo; va, tuttavia, ricordato che il credito che queste aziende ottengono a tasso d'interesse bassissimo non si traduce in maggiore liquidità nel sistema, quindi in credito ad aziende e famiglie, ma in un «carry-trade industriale» a unico beneficio dell'azienda stessa, la quale ottiene finanziamenti per potenziare non solo nuovo credito al consumo verso nuovi clienti a tassi certamente più alti dell'1 per cento che paga alla Banca centrale europea, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento, fusione o partnership;
il fatto che operatori dell'economia reale e non del credito intervengano direttamente nel campo del rischio di operazioni di rifinanziamento porterà con sé l'ulteriore espansione della categoria di offerta collaterale e accettata dalla Banca centrale europea, abbassandone, quindi, lo standard e alimentando il rischio del rialzo della pressione inflazionistica nell'eurozona,
impegna il Governo
a promuovere in sede europea l'esclusione dalle aste della Banca centrale europea delle società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste ai soli istituti di credito, al fine di evitare un'alterazione della concorrenza e un ingiusto drenaggio di risorse finanziarie destinate a garantire liquidità alle imprese e alle famiglie.
(1-00902)
«Boccia, Ventura, Maran, Baretta, Fluvi, Lulli, Gozi, Causi, Misiani, Marchi».
La Camera,
premesso che:
la Banca centrale europea il 28 febbraio 2012 ha effettuato un nuovo maxi prestito della durata di tre anni: 800 banche europee hanno ottenuto liquidità pari a 529,5 miliardi di euro, di cui 139 miliardi di euro a istituti italiani, al tasso di interesse dell'1 per cento, dopo l'altrettanto importante collocamento del 21 dicembre 2011 con il quale, allo stesso bassissimo tasso di interesse, l'Eurotower aveva prestato 489 miliardi di euro a 529 banche, per un totale di più di mille miliardi di euro iniettati nel sistema bancario quasi gratuitamente per i prossimi tre anni;
la Banca centrale europea ha attuato questa operazione con il preciso obiettivo di limitare la restrizione del credito e attenuare l'impatto della crisi del debito sull'economia reale, nella dichiarata speranza che l'asta faccia affluire i crediti a famiglie e imprese attraverso la liquidità garantita alle banche; proprio per questo la Banca centrale europea, con riguardo ai 7 Paesi nei quali il credit crunch è più sentito, tra cui l'Italia, ha accettato di allargare la lista delle garanzie ammissibili anche ai prestiti bancari con criteri di idoneità nazionali;
per quel che riguarda le banche nazionali, in particolare: Banca Intesa ha ottenuto 24 miliardi di euro «per avere tutte le risorse necessarie per sostenere lo sviluppo del Paese, delle imprese e dello Stato» come ha dichiarato l'amministratore delegato Enrico Tomaso Cucchiani; Unicredit 12,4 miliardi di euro; Monte dei Paschi di Siena tra i 10 ed i 15 miliardi di euro, Ubi Banca 6 miliardi di euro, 3,5 miliardi di euro il Banco Popolare e altrettanti per Mediobanca;
l'asta di febbraio ha determinato un'iniezione di liquidità superiore alle attese della vigilia e ha beneficiato questa volta non solo i colossi ma anche molte banche di minori dimensioni. I piccoli istituti, più radicati al territorio d'origine, hanno, negli ultimi mesi, doppiamente sofferto della crisi di liquidità nel rifinanziarsi verso banche più grandi ed era assolutamente opportuno creare anche per essi una concreta possibilità di accedere ai prestiti dell'Eurotower;
in audizione presso la Commissione bilancio della Camera dei deputati, il direttore generale dell'Associazione bancaria italiana, Giovanni Sabatini, ha garantito che «utilizzeremo la liquidità per finanziare imprese e famiglie»; allo stesso tempo il Vice Ministro dell'economia Vittorio Grilli ha dichiarato «lo scopo dell'operazione della BCE è dare liquidità al sistema che, visto il livello di incertezza, si stava avvitando verso un completo congelamento della liquidità. La finalità è consentire alle banche di prendere decisioni in modo corretto senza distorsioni e di farle continuare a operare normalmente nell'economia reale»;
all'indomani del maxi prestito della Banca centrale europea, tuttavia, le banche hanno depositato, nell'arco di un solo giorno, oltre 300 miliardi di euro presso la Banca centrale europea, cioè buona parte dei 530 miliardi di euro erogati dalla stessa banca centrale nell'asta del 28 febbraio 2012, di fatto una partita di giro che blocca completamente qualunque speranza che tali fondi servissero ad ammorbidire il credit crunch;
è però questo anche un sintomo che la fiducia nel mercato interbancario è bassissima al momento e che i requisiti di liquidità e di capitale imposti alle banche ostacolano il pieno trasferimento di questi fondi all'economia reale;
la pesante crisi economico-finanziaria che ha investito i mercati di tutto il mondo ha evidenziato l'importanza della patrimonializzazione degli istituti di credito e gli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman Brothers di due anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
sicuramente gli effetti della crisi del sistema finanziario avrebbero potuto essere più contenuti se il principio della separazione tra banche commerciali e banche d'affari fosse stato in vigore nel nostro Paese;
solo attraverso questa separazione risulterebbe valorizzata la «banca tradizionale» che raccoglie depositi dai cittadini ed eroga credito ai cittadini stessi e al sistema produttivo. Infatti, il sistema produttivo è la principale vittima del modello di «banca universale» e della crisi finanziaria: il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire pesantemente del fenomeno del credit crunch;
una crisi provocata dalle banche sta distruggendo l'economia reale, sta mettendo in ginocchio la gente comune, colpita da manovre economiche procicliche che aumentano la pressione fiscale diretta ed indiretta, causano l'aumento indiscriminato dei prezzi, anche dei prodotti di prima necessità, con una significativa perdita di potere di acquisto da parte delle famiglie. Se è vero che in questa fase i tassi di interesse sono molto bassi, è vero anche che gli spread sui mutui e sui prestiti sono a livelli mai visti prima: le banche stanno ribaltando sui cittadini e sulle imprese i costi della crisi e delle loro operazioni speculative. Per evitare, quindi, di ricadere nei drammatici errori commessi negli ultimi vent'anni e salvaguardare l'economia reale dalla finanza occorre separare le attività delle banche d'affari;
i nuovi accordi europei in tema di patrimonializzazione delle banche, necessari per tentare di ridare stabilità ad un sistema finanziario sull'orlo del collasso, stanno costringendo le banche a continue ricapitalizzazioni, che, insieme ad un sempre più prudenziale approccio degli istituti di credito, sta strozzando le imprese;
le regole di «Basilea 3», che entro il 30 giugno 2012 prenderanno la forma di una direttiva e di un regolamento, rischiano di contribuire negativamente alla recessione in corso. Accrescendo i requisiti di capitale e rendendo più severe le regole di computazione dei mezzi patrimoniali e di governo e controllo del rischio di liquidità, si pongono le premesse per una probabile, ulteriore, restrizione della concessione del credito alle imprese in generale, alle piccole e medie imprese in particolare, limitando la quantità erogabile o accrescendone il prezzo;
le regole di «Basilea 3» sono definite nella logica, discriminante e arbitraria, della «taglia unica» per corpi diversi. Regole uniche per modelli di attività bancaria molto differenti tra loro (wholesale, retail, investment, universal, commercial), per aziende bancarie con diversa natura giuridica e differente funzione obiettivo (società di capitali e di persone; società per azioni quotate e non quotate; società cooperative a mutualità prevalente e non prevalente), per aziende bancarie di dimensioni diversissime (da 10 mila ad 1 sportello) e, soprattutto, con modelli operativi caratterizzati da livelli diversi di propensione al rischio;
la «taglia unica» sfida frontalmente uno dei caratteri genetici della democrazia economica e della libertà d'impresa tipiche della storia e della cultura europea. È un'impostazione di comodo per i regolatori ed i supervisori europei che non fanno il minimo sforzo per predisporre ed applicare regole proporzionate e adeguate a seconda delle dimensioni, delle finalità, del modello giuridico e di business;
in Europa esistono migliaia di banche di piccole e medie dimensioni, che per dimensioni e struttura difficilmente possono essere la causa di un rischio sistemico al pari di colossi transnazionali che, invece, proprio perché sono «too big to fail», devono essere sottoposti a controlli e discipline molto rigorosi. È bene ribadire, infatti, che la fonte originaria della crisi che si sta attraversando è stata la finanza speculativa, alimentata da banche di investimento internazionali, e consentita nel recente passato da alcune zone d'ombra di applicazione delle norme prudenziali,
impegna il Governo:
ad agire in sede comunitaria affinché possano partecipare ad eventuali future aste a tasso agevolato da parte della Banca centrale europea soggetti scelti non solo in base alle garanzie che sono in grado di offrire, ma anche sulla base dell'impiego che intendono fare di denaro di fatto pubblico, privilegiando con una quota riservata le banche che tradizionalmente dedicano almeno l'80 per cento della propria liquidità al prestito all'impresa, alle famiglie e all'economia reale;
a farsi portavoce in sede comunitaria della necessità di escludere da future aste a tasso agevolato da parte della Banca centrale europea, indipendentemente dalle garanzie e dai requisiti patrimoniali che siano in grado di presentare, gli istituti a prevalente attività speculativa ed il cui portafoglio abbia registrato negli ultimi 5 anni un'attività in derivati superiore al 30 per cento.
(1-00931)
«Comaroli, Dozzo, Giancarlo Giorgetti, Montagnoli, Fogliato, Lussana, Fugatti, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rondini, Rivolta, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari in favore delle banche, della durata di 36 mesi, allo scopo di garantire l'accesso alle liquidità a favore degli istituti di credito;
le due aste di rifinanziamento si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, assegnando fondi a tasso dell'1 per cento con regole vantaggiose;
nella prima asta, la Banca centrale europea ha erogato, in totale, 489,19 miliardi di euro a favore delle banche, di cui ben 116 miliardi di euro in favore degli istituti di credito italiani, mentre nell'asta di febbraio 2012 sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro, di cui oltre 100 miliardi di euro in favore delle banche italiane che ne hanno fatto richiesta, seguendo le indicazioni del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e delle banche centrali nazionali ad approfittare di tale opportunità per evitare il credit crunch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
nella seconda asta sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro con un notevole incremento rispetto alla prima dovuto al fatto che, oltre alla partecipazione di banche medio piccole, vi è stata per la prima volta la partecipazione di soggetti non propriamente bancari;
infatti, da notizie assunte dagli organi di stampa del settore, alcune grosse aziende, per il tramite delle società finanziarie controllate e provviste di adeguate licenze bancarie, hanno partecipato, con profitto, alle suddette aste e non, come da loro ammissione, per un bisogno di liquidità ma solo ed esclusivamente per i tassi vantaggiosi praticati dalla Banca centrale europea;
pur trattandosi di operazioni regolari, in quanto hanno ottenuto prestiti istituzioni finanziarie che rispondono ai requisiti previsti dalle normative vigenti, in questo delicato momento economico, con una crisi ancora in atto in tutto il vecchio continente, appare discutibile, anche dal punto di vista etico, un loro coinvolgimento;
lo scopo delle aste, come detto dallo stesso presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, va nella direzione di immettere liquidità in modo da poter far fronte alle richieste di credito delle aziende e delle famiglie, cosa che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non è garantita da tali istituzioni finanziarie, che, invero, utilizzano la liquidità a unico beneficio delle aziende stesse, le quali ottengono finanziamenti per potenziare non solo nuovo credito al consumo verso nuovi clienti a tassi certamente più alti dell'1 per cento che paga alla Banca centrale europea, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento, fusione o partnership;
quanto sopra illustrato non può che portare ad una reale alterazione dell'azione promossa dalla Banca centrale europea sottraendo fondi che dovrebbero essere destinati allo sviluppo delle imprese ed al sostegno alle famiglie;
inoltre, nonostante la Banca centrale europea abbia prestato svariati miliardi di euro agli istituti di credito italiani, allo stato attuale non c'è nessuna apertura alle imprese ed ai privati, disattendendo le indicazioni proprie dello stesso istituto centrale europeo;
è plausibile, quindi, uno scenario da vero credit crunch, che lo stesso presidente della Banca centrale europea Draghi vuol evitare, con un doppio shock sia sulla quantità di credito erogata sia sui tassi praticati. Nella simulazione del Cer, che è basata su un'ipotesi di flessione complessiva nel 2012 del 5 per cento e di un'ulteriore riduzione di un punto e mezzo nel 2013, l'andamento degli impieghi esprime una dinamica violenta: ad aprile 2012 andrà per la prima volta sotto zero, a luglio 2012 precipiterà a -5 per cento, a ottobre 2012 a -9 per cento, fino a sprofondare, a dicembre 2012, a -11 per cento,
impegna il Governo:
ad attivarsi presso le competenti sedi europee affinché le società finanziarie dei gruppi industriali vengano escluse da tali aste della Banca centrale europea, al fine di evitare un'alterazione della concorrenza a danno di altri operatori, soprattutto italiani;
ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché tra i requisiti per la partecipazione alle aste della Banca centrale europea figuri l'impegno da parte degli istituti di credito a fornire un reale sostegno alle imprese e alle famiglie italiane in questo delicato momento di congiuntura negativa, in particolare incentivando le banche a concedere mutui, con un tasso di particolare favore, per le giovani coppie ed evitando che al Sud si impongano tassi di gran lunga superiori rispetto al resto del Paese, mettendo in ginocchio un'economia già in difficoltà.
(1-00936)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
le due aste di rifinanziamento della Banca centrale europea a favore delle banche che si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, hanno lo scopo di garantire l'accesso alle liquidità a favore degli istituti di credito, ampliando, altresì, la gamma di titoli che le banche possono fornire come collaterale, ossia come garanzia in cambio di liquidità, includendovi fra l'altro le abs (asset backed securities), i titoli garantiti da attivi come i mutui;
l'auspicio è che le banche utilizzino tale ingente liquidità pari a 1000 miliardi di euro al tasso agevolato dell'1 per cento nel sostegno all'economia reale, ossia alle famiglie e alle imprese;
si rileva che, mentre nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro a favore delle banche commerciali che operano nell'area euro, nella seconda sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro. Gli istituti che hanno fatto richiesta sono stati, rispettivamente, 523 e 800;
risulta, inoltre, che l'aumento delle richieste è dovuto non solo dalla partecipazione delle banche, comprese anche quelle medio-piccole, ma pure di soggetti non propriamente bancari. A tal proposito basta verificare i numeri della prima asta, dove la partecipazione delle controparti che aderiscono ad operazioni di finanziamento è stata di 523, quando di solito le controparti sono circa 200, annoverando tra loro soggetti che non avevano mai usufruito dei programmi della Banca centrale europea;
come, ad esempio, la casa automobilistica francese Peugeot, che controlla anche la Citroen, che ha avanzato una richiesta, attraverso la sua divisione bancaria Banque psa, di prestito collateralizzato alla Banca centrale europea, presentando a tal fine una garanzia superiore a 1 miliardo di euro per poter partecipare all'asta del 29 febbraio 2012;
le medesime finalità le hanno espresse Volkswagen, Bmw e Siemens, anch'esse dotate di licenze bancarie per il credito al consumo, ovvero per i servizi finanziari che offrono ai clienti che comprano i loro prodotti;
si segnala, inoltre, che la Renault ha confermato la partecipazione all'asta del 29 febbraio 2012 e ha acquisito un finanziamento di 350 milioni di euro circa attraverso la sua finanziaria Rci banque, un'operazione dettata, per stessa ammissione della società, non per bisogno di liquidità ma per approfittare di tassi vantaggiosi;
è chiaro che queste operazioni sono legali, in quanto si tratta di operatori finanziari che devono avere dei requisiti minimi di riserva attraverso i quali garantiscono il diritto a partecipare alle operazioni di finanziamento, ma non sono opportune in una crisi economica come quella attuale;
la competitività dell'asta ltro (long term refinancing operation) rappresenta uno strumento importante per la Banca centrale europea per la lotta contro la crisi economica, perché assegna prestiti triennali a buon mercato alle banche europee;
la Banca centrale europea ha sempre dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
però, bisogna evitare comportamenti discorsivi, come quelli sopra descritti, da parte della Banca centrale europea nell'uso dei finanziamenti a favore degli istituti di credito, perché il finanziamento che ottengono queste aziende diverse dalle banche a un tasso d'interesse bassissimo non comporta credito ad aziende e famiglie, ma solo un unico beneficio per le aziende stesse, le quali usano il prestito per incrementare non solo il credito al consumo verso nuovi clienti, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento e fusione,
impegna il Governo:
ad attivarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine di evitare che le aste della Banca centrale europea vadano a sostenere le società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste esclusivamente agli istituti di credito;
ad attivarsi affinché l'erogazione dei prestiti che gli istituti bancari ricevono dalla Banca centrale europea al tasso agevolato dell'1 per cento siano subordinati alla loro effettiva destinazione al sostegno dell'economia reale.
(1-00937)
«Corsaro, Baldelli, Ventucci, Bernardo, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
nel primo mese del Governo Monti lo spread tra i btp italiani ed i bund tedeschi è sceso e poi risalito. Né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosidette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante. Il Presidente del Consiglio dei ministri è arrivato a dichiarare che le misure di liberalizzazione faranno aumentare il prodotto interno lordo addirittura del 10 per cento: una valutazione, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, enfatica, non certo da «tecnico», in quanto non sembra avere basi affidabili di misurazione. Eppure lo spread è sceso e sta continuando a scendere;
ciò che ha veramente salvato l'Italia e l'euro dal default è stata, infatti, la decisione presa dalla Banca centrale europea due mesi fa di immettere liquidità, con il programma long term refinancing operation, nelle banche europee, sia per comprare i titoli di Stato dei rispettivi Paesi, sia per compensare le perdite subite. Oltre 1.000 miliardi di euro sono stati immessi ad un tasso dell'1 per cento nelle banche europee, oltre 200 miliardi di euro in quelle italiane, salvandole dal fallimento e permettendole di acquistare una parte rilevante dei titoli di Stato in scadenza. Lo stesso entusiasmo delle borse di inizio anno ha una sola vera ragione d'essere: è l'oceano di liquidità, determinato anche dal «quantitative easing» promosso dalla Federal reserve, in cui galleggia l'economia mondiale;
il rapporto debito/prodotto interno lordo tende a crescere in tutta Europa e la Banca centrale europea sarà costretta ad intervenire ancora. Non potendo la Banca centrale europea, nel quadro dei trattati attuali, agire come una banca centrale a pieno titolo, come garante di ultima istanza, agisce in parte come «prestatore di prima istanza», abbassando i tassi di interesse, e soprattutto come «prestatore di seconda istanza», comprando titoli sul mercato secondario e foraggiando, invece che gli Stati, gli intermediari finanziari, consentendo loro ampi guadagni. Si è, dunque, nuovamente scelta una politica monetarista e liberista;
si sta solo guadagnando tempo. Dovrà essere la crescita vera dell'economia a migliorare i bilanci delle banche, delle imprese e degli Stati. Entro tre anni, comunque, questi prestiti andranno rimborsati e tale operazione sarà tanto più difficile quanto meno l'economia europea sarà uscita dall'attuale recessione, recessione aggravata dalle politiche di bilancio attuate in contemporanea da tutti i Paesi dell'Unione europea. Nemmeno i Paesi europei in avanzo commerciale, infatti, potranno contare su una «locomotiva» americana o cinese, tanto meno sulla capacità di assorbimento degli altri Paesi europei;
il rischio concreto è che l'onere di tale rimborso ricada sui contribuenti, stante che l'articolo 8 del decreto legge n. 201 del 2011 (la cosiddetta manovra Monti «salva-Italia») ha fornito alle banche la garanzia dello Stato sui prestiti ottenuti;
si rinvia ancora la creazione di un fondo europeo per lo sviluppo e gli investimenti e non si pone il problema di una nuova qualità dello sviluppo, fondata sulla creazione di occupazione e rispetto per l'ambiente. Sarebbe, in definitiva, più efficace l'emissione di eurobond, che potrebbero essere emessi dal fondo europeo per gli investimenti, come previsto dal disegno originario della moneta comune e come richiesto da una risoluzione approvata recentemente a larga maggioranza dall'European economic and social Committee, dal nome «Restarting growth in the UE»;
il 29 febbraio 2012 la Banca centrale europea ha prestato 530 miliardi di euro per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita nel dicembre 2011. Soldi che non serviranno, l'esperienza del prestito della Banca centrale europea precedente lo attesta, a finanziare le imprese e le famiglie. Infatti, quell'operazione è servita sopratutto a sostenere la domanda di titoli di Stato;
l'operazione a tre anni del 21 dicembre 2011 vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi di euro che furono tutti assegnati. I prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l'incremento netto di finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea al sistema bancario europeo è stato in realtà molto inferiore: 193 miliardi di euro;
con riferimento al nostro Paese, le banche italiane usufruirono di un finanziamento di 116 miliardi di euro in quell'operazione, ma l'incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d'Italia nel mese di dicembre 2011 è stato della metà, 57 miliardi di euro;
gli istituti di credito usufruiscono del notevole differenziale tra i tassi di approvvigionamento dei fondi (dalla Banca centrale europea all'1 per cento e dai privati con un tasso di poco superiore) e quelli a cui li offrono a prestito. Il problema del credito è diventato, sostanzialmente, più che un problema di costi, una questione di offerta carente in termini di qualità e di quantità, in particolare per le piccole e medie imprese e le famiglie;
si è passati dai salvataggi al finanziamento diretto delle banche di investimento, dall'acquisto dei titoli tossici alla ricapitalizzazione delle banche;
le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico. Nello stesso tempo, hanno stretto l'offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti;
le somme ricevute dalla Banca centrale europea sono state usate anche per rimborsare obbligazioni bancarie, un'operazione che sarebbe stata troppo costosa rinnovare ai tassi di mercato. Nel bimestre dicembre 2011-gennaio 2012, le banche italiane hanno acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi;
una parte del finanziamento ricevuto è stato depositato dagli istituti di credito presso la stessa Banca centrale europea, sottraendo somme significative al sostegno delle famiglie e dell'economia produttiva;
rispetto alle loro consorelle europee le banche italiane soffrono di più, poiché risentono del rischio-Paese che grava sull'Italia: per questo motivo, la raccolta di finanziamenti è divenuta più scarsa e più cara e questo si riflette sui prestiti bancari. Tuttavia, le banche non fanno molto per aiutare la clientela, visto che hanno aumentato il margine che si prendono tra tassi attivi e passivi;
esse, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67 per cento sui mutui, in Italia al 4,6 per cento contro il 3,93 per cento della media dell'Unione europea. Nel gennaio 2012, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d'interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 al 4,15 per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 al 2,7 per cento);
c'è da considerare, inoltre, che se le banche impiegheranno queste risorse aumenteranno ulteriormente la loro leva e, quindi, entreranno clamorosamente in conflitto con le indicazioni di «Basilea 3» che obbligano ad una diminuzione del rapporto tra mezzi propri e credito erogato;
alle aste hanno partecipato istituti di credito legati a grandi aziende europee, in particolare automobilistiche, che mettono in atto una sorta di «carry-trade» nell'ambito del credito al consumo, come d'altronde gli istituti di credito tradizionali,
impegna il Governo:
a sostenere in tutte le sedi europee l'esclusione dalle aste della Banca centrale europea degli istituti di credito specializzati nel credito al consumo e collegati a gruppi industriali;
in tale ambito, a promuovere in sede europea l'esclusione della possibilità per gli istituti di credito di depositare presso la Banca centrale europea oltre un brevissimo periodo le somme ottenute in prestito a tasso agevolato dalla stessa Banca centrale europea, al fine di ampliare l'offerta di credito alle famiglie e alle imprese.
(1-00938)
«Borghesi, Barbato, Messina, Donadi, Zazzera, Cimadoro, Monai».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
la Banca centrale europea l'8 dicembre 20111 aveva lanciato il long term refinancing operation, cioè due rifinanziamenti straordinari della durata di 36 mesi, a favore delle banche, allo scopo di garantire loro l'accesso alle liquidità, ampliando la gamma di collaterali, cioè di titoli a garanzia che le banche possono fornire in cambio di liquidità, includendo le abs (asset backed securities), titoli garantiti da attivi come mutui;
due sono state le aste di assegnazione fondi a tasso fisso dell'1 per cento: la prima il 21 dicembre 2011, con scadenza 29 gennaio 2015, la seconda il 29 febbraio 2012, con scadenza 26 febbraio 2015;
nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato circa 490 miliardi di euro a favore di banche commerciali che operano nell'area euro. Nella seconda asta sono stati assegnati circa 530 miliardi di euro;
gli istituti bancari che hanno fatto richiesta sono stati rispettivamente 523 e 800, tutti motivati da nobili scopi: evitare il credit crunch, patrimonializzare le banche, ripianare i bilanci, aiutare le imprese per far ripartire la crescita;
a concorrere all'assegnazione di fondi hanno partecipato, però, anche soggetti diversi da veri e propri istituti bancari, quali la Peugeot attraverso la sua divisione finanziaria, Banque psa finance, la Renault che ha acquisito un finanziamento di 350 milioni di euro, attraverso la finanziaria Rci banque; la Volkswagen ed altre società;
operazioni consentite certamente, ma il fatto che operatori dell'economia reale e non del credito siano intervenuti direttamente in operazioni di rifinanziamento, farà incrementare la categoria di offerta collaterale e accettata dalla Banca centrale europea, abbassandone lo standard e alimentando il rischio di rialzo dell'inflazione nei Paesi dell'eurozona,
impegna il Governo:
a farsi promotore, in sede europea, di interventi per evitare l'alterazione della concorrenza e un ingiusto drenaggio di risorse finanziarie destinate a garantire liquidità alle imprese e alle famiglie, assumendo iniziative dirette a fare in modo che le operazioni di finanziamento da parte della Banca centrale europea vadano unicamente a favore di veri e propri istituti di credito e non di gruppi industriali.
(1-00939)
«Cambursano, Brugger».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011 il consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deliberato di dar corso a due operazioni di rifinanziamento con scadenza a trentasei mesi, di particolare interesse per le condizioni economiche (tasso fisso dell'1 per cento) e normative (qualità di alcuni degli asset backed securities (abs) collaterali e decentramento sulle banche centrali nazionali dell'implementazione delle regole di garanzia con relativa assunzione di responsabilità);
gli obiettivi dichiarati della Banca centrale europea erano:
a) il sostegno dei prestiti bancari;
b) la liquidità nel mercato monetario dell'area euro;
le procedure di rifinanziamento contemplavano due aste, una per fine gennaio 2012 e l'altra a fine febbraio 2012;
nella prima, del 29 gennaio 2012, sono stati assegnati 489,19 miliardi di euro a fronte di 523 richiedenti; nella seconda, 529,53 miliardi di euro, con 800 richiedenti;
l'aumento della partecipazione è risultato notevole se si considera che, generalmente, in operazioni del genere si presentano circa 200 richiedenti;
dal punto di vista della composizione della domanda, si è riscontrato un maggiore accesso da parte delle banche medio-piccole;
in considerazione dei criteri di selezione delle domande che presiedevano ai due esperimenti d'asta, è da valutare il fatto che abbiano partecipato, oltre alle aziende bancarie vere e proprie, anche società finanziarie facenti capo a gruppi industriali e dedicate, anzitutto e in funzione strumentale, al finanziamento dei consumatori dei prodotti del gruppo di riferimento;
la stampa ha dato notizia di manifestazioni di interesse alle aste di rifinanziamento della Banca centrale europea da parte di aziende industriali attraverso proprie finanziarie, non mancando di sottolineare le favorevoli condizioni dei prestiti da poter utilizzare anche per obiettivi interni di gruppo: ristrutturazioni, ricomposizioni societarie ed altro, a condizioni certamente più vantaggiose rispetto a quelle ottenibili sui normali canali di provvista bancaria o sui mercati;
si può osservare che le condizioni e i risultati degli esperimenti d'asta potrebbero non determinare il pieno raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Banca centrale europea, vale a dire il sostegno all'attività creditizia ordinaria delle banche e l'immissione di liquidità erga omnes nei mercati dell'eurozona, per le seguenti considerazioni:
a) le banche potranno destinare la metà circa dei rifinanziamenti concessi al rimborso di analoghi prestiti ottenuti dalla Banca centrale europea ed aventi scadenza nell'anno: circa 560 miliardi di euro (200 nel primo trimestre);
b) con ciò, se si è scongiurato un nuovo possibile rischio di default di alcune banche esposte verso la Banca centrale europea e un complessivo nuovo salvataggio del sistema, non tutto il potenziale d'intervento a sostegno dell'economia reale, riveniente dalle disponibilità, potrebbe essere destinato allo scopo;
c) le condizioni economiche dei rifinanziamenti (tasso e durata), con quelle normative che in materia di rischio attribuiscono responsabilità di ultima istanza alle banche centrali - cui è affidato il compito di autorizzare i criteri di regolamentazione della accettazione dei collaterali - hanno certamente favorito liquidità a prezzi di convenienza per il sistema bancario, il quale, però, potrebbe continuare a trovare preferibile dirottarla verso i più redditizi titoli del debito pubblico;
d) d'altro canto, l'avvenuta riduzione in termini quantitativamente importanti del nostro spread sui bund tedeschi potrebbe sottendere l'aspettativa dei mercati per investimenti delle banche in obbligazioni pubbliche, calmierandone, peraltro, ulteriormente i rendimenti;
e) a ciò devono aggiungersi i fondi che, ottenuti da espressioni dirette e strumentali di gruppi industriali, contribuiscono solo parzialmente al conseguimento degli obiettivi indicati l'8 dicembre 2011 dal consiglio direttivo della Banca centrale europea, sia per la liquidità generale del mercato che per il sostegno all'imprenditoria e alle famiglie in generale, risolvendosi piuttosto in un vantaggio, con provvista a prezzi di favore, da un lato per i clienti dell'azienda soggetti di operazioni di credito al consumo, dall'altro per le proprie necessità di politica industriale,
impegna il Governo:
a considerare le criticità sopra indicate in ordine all'efficacia - rispetto alle finalità del sostegno creditizio alla crescita economica - di operazioni di rifinanziamento della Banca centrale europea, così come sono organizzate;
in tale prospettiva e, conseguentemente, ad operare nelle sedi istituzionali europee per assicurare che le operazioni di rifinanziamento destinate al sostegno in via generale di tutti gli operatori economici, imprese e famiglie, richiedenti credito alle banche, siano regolate da procedure che, fermi restando i requisiti tecnico-operativi in atto, consentano, in sede di definizione dei criteri di selezione delle controparti, l'esclusione di soggetti operanti con finalità industriali di parte proprietaria propria, anche al fine di non incidere, indirettamente, sul corretto dispiegarsi della concorrenza;
a seguire l'esito del monitoraggio che, sia a livello di Banca centrale europea che di Banca d'Italia, potrà essere disposto sulla rispondenza dell'utilizzo della provvista ottenuta con i rifinanziamenti di cui trattasi alle finalità per la quale è stata concessa.
(1-00942)
«Tabacci, Fabbri, Mosella, Pisicchio, Vernetti, Brugger».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
MOZIONI FRANCESCHINI ED ALTRI N. 1-00880, IANNACCONE ED ALTRI N. 1-00887, MICCICHÈ ED ALTRI N. 1-00928, OSSORIO ED ALTRI N. 1-00930, CICCHITTO ED ALTRI N. 1-00932, OCCHIUTO ED ALTRI N. 1-00933, COMMERCIO ED ALTRI N. 1-00934, ANIELLO FORMISANO ED ALTRI N. 1-00935, RUVOLO ED ALTRI N. 1-00940, E VERSACE ED ALTRI N. 1-00941 CONCERNENTI INIZIATIVE PER FAVORIRE GLI INTERVENTI PRODUTTIVI E L'OCCUPAZIONE NEL MEZZOGIORNO
Mozioni
La Camera,
premesso che:
la Costituzione italiana sancisce che «l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (articolo 1), che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3), che la Repubblica «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (articolo 4), che lo Stato cura «la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori» (articolo 35), i quali hanno diritto ad una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» (articolo 36), che «per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (articolo 119);
la più recente rilevazione dell'Istat sulle forze lavoro, diffusa a gennaio 2012, indica un ulteriore calo dei livelli occupazionali. Il tasso di occupazione nazionale a dicembre 2011 è pari al 56,9 per cento (fermo sul mese e in calo di 0,1 punti percentuali sull'anno) con un tasso di inattività al 37,5 per cento (-0,1 sul mese precedente, -0,5 rispetto a un anno prima). L'analisi di genere mostra per i maschi un tasso di occupazione al 67,1 per cento, di disoccupazione all'8,4 per cento e di inattività al 26,7 per cento; per le donne il tasso di occupazione è al 46,8 per cento, quello di disoccupazione al 9,6 per cento e di inattività al 48,2 per cento;
considerando la componente degli scoraggiati, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord supererebbe la soglia del 10 per cento e al Sud raddoppierebbe, passando nel 2010 dal 13,4 per cento al 25,3 per cento. Significa che oltre una persona su quattro dell'intera forza lavoro meridionale non ha lavoro. A pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono i giovani. A livello nazionale, uno su tre di quanti partecipano attivamente al mercato del lavoro è senza impiego: un tasso di disoccupazione ufficiale al 31 per cento;
tutte le criticità occupazionali colpiscono maggiormente il Sud, a cominciare dal fenomeno cosiddetto Neet, che coinvolge, nel Meridione, oltre 1,2 milioni di ragazze e ragazzi (il 54,5 per cento del totale). Il dato più allarmante è quello relativo agli occupati. Nelle regioni meridionali il tasso di occupazione delle persone tra 15 e 34 anni è sceso nel 2010 ad appena il 31,7 per cento e per le donne non raggiunge che il 23,3 per cento, marcando una distanza di 25 punti percentuali con il Nord del Paese (56,5 per cento), come denunciato dal rapporto Svimez 2011 sull'economia del Mezzogiorno. Ne risulta che nelle zone depresse del Sud lavora meno di un giovane su tre;
il rapporto annuale 2011 dell'Istat mette in evidenza che circa un quarto degli italiani «sperimenta il rischio di povertà o di esclusione sociale». Il fenomeno riguarda in particolare il 24,7 per cento della popolazione, pari a 15 milioni di persone. La povertà si conferma un fenomeno che riguarda soprattutto il Mezzogiorno, dove le famiglie sono mediamente più numerose e tendenzialmente monoreddito. Nelle regioni meridionali, dove risiede circa un terzo degli italiani, vive il 57 per cento delle persone a rischio povertà (8,5 milioni) e il 77 per cento di coloro che vivono in condizione di «grave deprivazione». In Italia, quasi una famiglia su tre ha difficoltà ad arrivare a fine mese, ma se la media nazionale si attesta al 28,5 per cento, mentre nelle regioni del Sud tale indice si alza fino al 36,5 per cento. Le possibilità di finire in una situazione di povertà relativa o assoluta aumentano in maniera significativa nel Mezzogiorno, dove le famiglie sono mediamente più numerose e tendenzialmente monoreddito;
la disoccupazione reale al 25 per cento alimenta drammaticamente l'emigrazione dal Sud causando un vero e proprio «tsunami demografico» nelle zone deboli del Meridione. Secondo stime diffuse dalla Svimez, negli ultimi dieci anni hanno lasciato il Meridione quasi 600 mila persone. Di questo passo nel 2050 quasi un abitante su cinque nelle regioni del Sud avrà più di 75 anni e gli under 30 passeranno dagli attuali 7 milioni a meno di 5 milioni. A quella data, inoltre, la quota di over 75 sulla popolazione complessiva passerà al Sud dall'attuale 8,3 per cento al 18,4 per cento nel 2050, superando il Centro-Nord dove raggiungerà il 16,5 per cento;
le dinamiche relative all'emigrazione dal Sud al Nord sono l'effetto più evidente dello stallo del tessuto sociale e produttivo del Mezzogiorno. Se i giovani vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro altamente qualificata. Si tratta di un gap al quale si aggiunge uno squilibrio vertiginoso nei sistemi di transizione scuola-lavoro e nei livelli del servizio sociale. Questo quadro condanna oggi il Mezzogiorno ad essere il maggiore fornitore di risorse umane delle zone forti del Centro-Nord;
il fenomeno dell'emigrazione interna si traduce anche in un'allarmante emorragia economica dalle fasce e dalle zone deboli a quelle forti del Paese. Tra tasse universitarie e integrazioni alle magre buste paga che i giovani percepiscono per molti anni dopo aver finito il corso di studi, ogni anno dal Sud al Nord si spostano non meno di 2 miliardi di euro. Così il Mezzogiorno si trova a dover pagare un dazio insieme economico e culturale, che inverte letteralmente la storica logica delle «rimesse». Per uscire da questa condizione occorre agire su due nodi fondamentali: lo sviluppo del comparto produttivo del Sud e l'implementazione di efficaci strumenti di raccordo tra le università e il mondo del lavoro;
dai dati appena illustrati appare evidente come, nell'attuale fase di crisi, è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti sia in termini economici che sociali. L'aumento dei divari economici e sociali rappresenta la fondamentale causa scatenante della «tempesta perfetta» che tre anni fa ha investito il nostro Paese. Da allora, la recessione si è abbattuta sull'Italia con più forza che sull'Europa e sul Mezzogiorno con più intensità che sul resto della nazione. Questo proprio perché l'Italia riproduce al suo interno le forti sperequazioni che sono alla base della crisi. Mettere al centro dell'azione politica nazionale la convergenza e la coesione territoriale significa, quindi, realizzare l'unica politica in grado di risollevare l'intero Paese dalla stagnazione. Le zone deboli devono essere considerate oggi la più grande opportunità di rilancio economico e morale del Paese. Come ha detto il Capo dello Stato, affrontare il loro sviluppo «è un dovere della comunità nazionale e un impellente interesse comune per garantire all'Italia un più alto livello di sviluppo e di competitività. Non c'è alternativa al crescere di più, e meglio, insieme»;
in contrasto con questa indicazione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il precedente Esecutivo ha assunto una strategia sostanzialmente antimeridionalista, che ha incrementato il divario economico, sociale e geografico invece di colmarlo. Secondo Svimez, l'effetto cumulato delle manovre varate dal Governo Berlusconi nel 2010 e nel 2011 peserà in termini di quota sul prodotto interno lordo 6,4 punti al Sud (di cui 1,1 punti nel 2011, ben 3,2 punti nel 2012 e 2,1 nel 2013) e 4,8 punti al Nord (1 nel 2011, 2,4 nel 2012 e 1,4 nel 2013). I provvedimenti varati negli ultimi tre anni hanno, di fatto, azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate che di strumenti specifici. Il continuo ricorso al fondo per le aree sottoutilizzate nazionale per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato, nei fatti, un'ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli;
questa sistematica distrazione di fondi, valutabile nella somma di 35 miliardi di euro, oltre a compromettere il rispetto dell'originario vincolo di ripartizione delle risorse del fondo (si riconosceva alle regioni sottoutilizzate almeno l'85 per cento del complesso delle risorse) ha, di fatto, azzerato le politiche di sviluppo che le regioni del Sud realizzano solo grazie al trasferimento di fondi stanziati dal Governo e dall'Unione europea. A tale drenaggio si è aggiunta una miope politica di tagli per gli imprenditori meridionali. In una fase congiunturale così difficile, invece di supportare le imprese del Sud, il Governo pro tempore ha annullato, di fatto, per tre anni l'operatività del credito d'imposta, lasciando le aziende del Sud senza alcuna fiscalità di sviluppo;
sul versante delle infrastrutture, il quadro è altrettanto avvilente. Gli investimenti indirizzati al Sud dalle aziende a capitale pubblico risultano gravemente sottodimensionate. In questi due anni grandi realtà come Anas, Ferrovie dello Stato ed Enel hanno praticamente abbandonato il Sud. Per quanto riguarda le ferrovie, solo il 7,8 per cento delle linee ferroviarie ad alta velocità si sviluppa nel Mezzogiorno (la Napoli-Salerno). E nei prossimi anni la situazione non migliorerà: tutti i cantieri della tav riguarderanno esclusivamente tratte settentrionali. Quanto alla rete ferroviaria ordinaria, secondo gli ultimi dati disponibili, Trenitalia ha indirizzato al Sud appena il 18 per cento delle risorse investite per l'ammodernamento della rete. Ugualmente preoccupante è la condizione delle altre opere pubbliche. Negli ultimi tre anni, ha denunciato Confindustria, la spesa pubblica destinata alle infrastrutture ha registrato un crollo del 35 per cento. Un allarme a cui si sono uniti anche i costruttori dell'Ance, secondo i quali nel solo 2011 le dotazioni per le opere medio-piccole scenderanno del 14 per cento;
per sostenere i Paesi in maggiore difficoltà, la Commissione europea ha recentemente varato una modifica alle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti produttivi nelle aree sottoutilizzate. In particolare, Bruxelles ha concesso all'Italia di abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento. Si tratta di un'opportunità che determina lo sblocco di 8 miliardi di euro di risorse europee che devono dare concretezza a una politica di sviluppo e di convergenza delle aree deboli;
il recente via libera della Commissione europea all'utilizzo dei fondi strutturali per la copertura dei crediti d'imposta per l'occupazione al Mezzogiorno apre a una nuova e importante possibilità di destinare i fondi europei al finanziamento di strumenti di fiscalità di sviluppo. Tali strumenti devono tornare a stimolare anche gli investimenti produttivi delle aziende meridionali. La Commissione europea ha, inoltre, avviato una missione specifica nel nostro Paese con l'obiettivo di impegnare al più presto una parte dei fondi sbloccati per dare impulso a specifiche politiche occupazionali nelle aree a più bassa occupazione giovanile. La via da seguire, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, passa anche per la riattivazione del credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, strumento introdotto dall'Esecutivo Prodi e smantellato dal Governo Berlusconi;
il piano di azione coesione, presentato a dicembre 2011 dall'attuale Governo, rappresenta il primo passo in tre anni verso le zone deboli del Mezzogiorno. L'obiettivo immediato, come è noto, riguarda il salvataggio di quasi due miliardi di euro di fondi non impegnati che rischiano di andar via a causa del disimpegno automatico previsto da Bruxelles. Per scongiurare il rischio di perdere questi fondi, l'Esecutivo ha riorganizzato e concentrato 3 miliardi di euro «in scadenza» su quattro priorità. Si va dal potenziamento della rete ferroviaria (1,5 miliardi di euro) al piano scuola (1 miliardo di euro), dall'agenda digitale (400 milioni di euro) al credito d'imposta per le nuove assunzioni (140 milioni di euro). Per mettere a sistema i progetti e garantire efficacia di spesa, il Governo si è fatto poi promotore di un nuovo coordinamento con le regioni, incardinando così l'obiettivo della convergenza sul binario di una strategia complessiva di sviluppo nazionale;
si inverte completamente quella che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è stata l'impostazione localistica e disgregante del precedente Esecutivo. Dove prima si teorizzava l'esistenza di due sistemi socioeconomici distinti e indipendenti - quello virtuoso del Nord e quello vizioso del Sud - ora si ritrova la consapevolezza che la ripartenza della crescita nazionale passa dal rilancio delle zone deboli del Mezzogiorno. Prospettiva che trova corrispondenza in alcune importanti misure introdotte nel cosiddetto decreto-legge salva Italia, come la deduzione Irap differenziata territorialmente per giovani e donne;
tuttavia, sia nel piano di coesione, sia nella manovra di dicembre 2011, mancano ancora risposte decisive sul versante degli investimenti produttivi. La movimentazione di 3 miliardi di euro, a fronte di una disponibilità complessiva di 40 miliardi di euro, configura una dimensione ancora troppo modesta per marcare una vera svolta meridionalista;
la strada maestra, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, passa per un potenziamento del credito d'imposta nazionale per l'occupazione, fermo alla somma esigua di 140 milioni di euro, e per la reintroduzione dell'automatismo del credito d'imposta per gli investimenti produttivi. Bisogna cogliere l'occasione offerta dall'Europa di utilizzare risorse europee in questa direzione, impiegando una quota rilevante dello stanziamento disposto dalla manovra finanziaria varata a dicembre 2011 di un fondo di cofinanziamento capace di sbloccare diversi miliardi in tre anni. Secondo stime della Ragioneria dello Stato, se 2 miliardi di euro di questa dotazione venissero utilizzati sul credito d'imposta per gli investimenti, sarebbe possibile creare oltre 200 mila posti di lavoro produttivo nelle zone più deboli del Meridione, con effetti immediati sui consumi e sulla crescita di tutto il Paese;
il 13 gennaio 2010, il Parlamento italiano ha approvato, contro il parere favorevole del Governo, una mozione del Partito Democratico che impegna l'Esecutivo a dare risposte su tre capitoli fondamentali: il reintegro delle risorse distratte dal fondo per le aree sottoutilizzate, il ripristino integrale di strumenti di fiscalità di sviluppo, come il credito d'imposta e le zone franche urbane, e l'attivazione di un piano-occupazione che incentivi il lavoro produttivo nelle aree più deboli. Tali indicazioni risultano completamente disattese dal precedente Governo,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative volte a impegnare almeno due miliardi di euro dei fondi sbloccati dall'Unione europea a copertura del credito d'imposta per gli investimenti produttivi al Sud;
a riprendere le linee della mozione n. 1-00300 disattesa dal precedente Governo e, in particolare, ad assumere iniziative per reintegrare le risorse impegnate del fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma di coesione nazionale incentrato sul rilancio del tessuto produttivo meridionale che preveda anche il finanziamento e la realizzazione di un'adeguata rete infrastrutturale materiale e immateriale;
a utilizzare l'intera dote dei fondi nazionali risultante dall'abbassamento della quota di cofinanziamento per realizzare fiscalità di sviluppo e investimenti produttivi nel Mezzogiorno, posto che la distrazione di questa dote su altri capitoli di spesa si configurerebbe come l'ennesima sottrazione di risorse stanziate specificamente per il rilancio delle zone deboli del Sud;
a utilizzare l'intera dote messa a disposizione dall'Unione europea specificamente per il credito d'imposta e per l'occupazione al Sud.
(1-00880)
«Franceschini, D'Antoni, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Boccia, Amici, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato».
La Camera,
premesso che:
l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, ha introdotto un regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali o professionali;
pur andando nella direzione giusta, tale agevolazione non appare sufficiente per rilanciare lo sviluppo e l'occupazione di aree particolarmente svantaggiate come quelle del Meridione;
è necessario procedere, anche con iniziative di rottura rispetto al passato, a nuove forme di agevolazioni capaci di attrarre investimenti nazionali ed internazionali in dette aree;
la crisi economica che ha colpito l'Europa intera può essere il volano per chiedere, con forza, alle istituzioni europee la creazione di un sistema di agevolazione fiscale per le imprese che investiranno nelle regioni del Meridione. I contributi a fondo perduto spesso non hanno sortito gli effetti sperati per tutta una serie di motivazioni, quindi una rimodulazione dovrebbe essere oggetto di valutazione;
in un periodo di estrema difficoltà per le imprese, soprattutto per le piccole aziende, gli artigiani ed i commercianti, gli «ex minimi», oltre a dover versare le imposte sui redditi secondo le aliquote ordinarie, dovranno «subire» lo strumento degli studi di settore, che, nonostante i correttivi apportati, non sono in grado di rappresentare una realtà in crisi, con fatturati in diminuzione e costi in aumento; il pericolo di non rientrare nei parametri degli studi, con conseguente accertamento e versamento di imposte che non sono in questo momento sopportabili, spingerà molti contribuenti a chiudere i battenti, con conseguenze economiche e sociali drammatiche;
il fisco per lo sviluppo non passa solo per la lotta ai paradisi fiscali, ma deve assicurare alla parte meno sviluppata dell'Italia qualcosa di analogo a ciò che ha comportato il minor fisco per l'Irlanda, in relazione alla quale la Commissione europea ha di nuovo approvato le misure che lo Stato aveva approntato per il superamento della fase di criticità finanziaria in cui è scivolata nel recente passato;
con la sentenza del 6 settembre 2006 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rigettato il ricorso proposto dalla Repubblica portoghese avverso una decisione della Commissione europea relativa alla censura di parte del regime normativo contenente l'adeguamento del sistema fiscale nazionale alle specificità della regione delle Azzorre;
nonostante il rigetto del ricorso della Repubblica portoghese, dalla motivazione della sentenza emerge come la Corte di giustizia dell'Unione europea sia giunta a riconoscere esplicitamente la piena compatibilità con il diritto comunitario delle misure fiscali agevolative adottate da enti territoriali interni diversi dallo Stato;
la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea è intervenuta correggendo l'orientamento eccessivamente restrittivo tenuto dalla Commissione, dove le misure «asimmetriche», ossia applicabili solo nel territorio di alcune regioni, erano state tollerate in deroga al divieto generale di aiuti di Stato sancito dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 87 del Trattato della Comunità europea), previo nulla osta da parte della stessa Commissione europea ed entro limiti temporali e «quantitativi» assai ristretti;
l'orientamento appena illustrato è stato ripreso ed ampliato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nelle recenti cause C 428/06 e C 434/06;
nel 2008 solo il 6 per cento del totale degli investimenti in Italia veniva dall'estero, contro il 15 per cento della Francia e il 33 per cento del Regno Unito. E del 6 per cento di investimenti dell'Italia diretti esteri, solo lo 0,6 per cento era posizionato a Sud;
è giunto il momento di dare un segnale di discontinuità con il passato, fatto di troppi sprechi, molto assistenzialismo e poca impresa;
in altre parole si dovrebbe capovolgere lo schema sin qui seguito, lasciando il più possibile le risorse nelle mani di imprenditori sani e veri, al contempo tenendo sempre a mente il vincolo di finanza pubblica,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative normative volte ad adattare gli studi di settore alle condizioni di particolare svantaggio in cui si trovano gli operatori economici e commerciali delle regioni meridionali e, in modo particolare, ad istituire in quelle aree una vera e propria «no tax area» attraverso un serrato confronto con le istituzioni europee, sulla falsa riga di quanto fatto in Irlanda ed in base alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, impostando così un modello che sia il volano del rilancio del Mezzogiorno d'Italia.
(1-00887)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».
La Camera,
premesso che:
l'attuale fase di crisi registra nel Mezzogiorno gli effetti peggiori sul piano economico e sociale;
tale situazione nelle regioni del Sud mette in difficoltà l'Italia;
vi è un gap infrastrutturale, in termini di trasporti, logistica, ricerca e innovazione, rispetto al resto del Paese;
un intervento capace di promuovere sviluppo ed occupazione nel Mezzogiorno assume carattere di urgenza, al fine di favorire la ripresa dell'economia meridionale, come base per la crescita e lo sviluppo dell'intero Paese;
gli obiettivi di riequilibrio territoriale, che ispirano la politica europea di coesione economica e sociale, e gli obiettivi di crescita occupazionale stabiliti con la strategia di Lisbona possono essere raggiunti con strumenti di intervento innovativi nel Mezzogiorno;
in questo momento di crisi molte imprese sono costrette alla chiusura, non rientrando nei parametri degli studi di settore;
le rilevazioni dell'Istat dimostrano un tasso altissimo di disoccupazione nel sud d'Italia;
il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 34 anni è sceso di diversi punti percentuali, marcando la differenza con la situazione del nord del Paese;
per l'Istat la povertà è un fenomeno che caratterizza soprattutto le regioni del Sud;
la Commissione europea ha approvato una correzione alle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti produttivi nelle aree sottoutilizzate, concedendo all'Italia la possibilità di abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento e ha dato il via libera all'utilizzo dei fondi strutturali, con l'obiettivo di sostenere specifiche politiche occupazionali nelle aree a più bassa occupazione giovanile, per la copertura dei crediti d'imposta per l'occupazione nel Mezzogiorno,
impegna il Governo:
ad assegnare al tema dello sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno una valenza prioritaria nell'ambito della politica economica nazionale e di quella comunitaria di coesione;
ad assumere politiche in grado di favorire la localizzazione delle attività produttive nelle aree del Sud, rafforzando così il tessuto produttivo e favorendo i processi di agglomerazione produttiva, i cui benefici ricadranno anche sulle imprese del Centro-nord che non riescono a reperire aree industriali e manodopera qualificata;
a portare la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno ai livelli del resto del Paese attraverso la piena attuazione della strategia nazionale della «legge-obiettivo» e delle opere individuate, opportunamente inserite nelle intese generali quadro tra Stato e regioni;
ad esaminare la possibilità di utilizzare i fondi nazionali risultanti dall'abbassamento della quota di cofinanziamento per realizzare fiscalità di sviluppo e investimenti produttivi nel Mezzogiorno.
(1-00928)
«Miccichè, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».
La Camera,
premesso che:
secondo l'ultimo rapporto Svimez il prodotto interno lordo nel Mezzogiorno, dal 2001 al 2010, ha segnato una media annua negativa, -0,3 per cento. Decisamente lontano dal + 3,5 per cento del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.583 euro medio pro capite. Ai 29.869 euro del Centro-Nord si contrappongono i 17.466 euro del Mezzogiorno. Fra le regioni del Sud, l'Abruzzo è quella con il prodotto interno lordo pro capite più elevato con 21.574 euro; circa 2.200 euro al di sotto dell'Umbria, la regione più debole del Centro-Nord. Seguono il Molise con 19.804 euro, la con Sardegna con 19.552 euro, la Basilicata con 18.021 euro, la Sicilia con 17.488 euro, la Calabria con 16.657 euro e la Puglia con 16.932 euro. La regione più povera è la Campania, con 16.372 euro;
i dati e le previsioni per il futuro sembrano confermare che nord e sud del Paese viaggiano su strade opposte: il prodotto interno lordo del Centro-Nord è previsto a +0,8 per cento, quello del Mezzogiorno a +0,1 per cento. Per il Sud, il 2011 è stato il secondo anno consecutivo di stagnazione, dopo il forte calo del prodotto interno lordo nel biennio di crisi 2008-2009. Tutte le regioni meridionali presentano valori inferiori al dato medio nazionale e oscillano tra un valore minimo pari a -0,1 per cento della Calabria e un valore massimo pari a +0,5 per cento della Basilicata e l'Abruzzo. In mezzo, il Molise e la Campania segnano +0,1 per cento, la Puglia +0,3 per cento, la Sicilia e la Sardegna ferme allo zero per cento. La forbice del divario, dunque, si restringe e pare destinata ad aumentare;
quanto all'occupazione, nel 2010 i posti di lavoro sono calati al Sud del 5,6 per cento (-5,8 per cento nel manifatturiero) contro il -3,1 per cento del Centro-Nord. Il ricorso alla cassa integrazione, soprattutto straordinaria, è proseguito come già nel 2009: al Sud, nel 2010, le ore erogate nel settore manifatturiero in presenza di crisi strutturali sono state +146 per cento (113 milioni di ore); nel resto del Paese +163 per cento (544 milioni di ore). Da segnalare che tra il 2008 e il 2010 il manifatturiero meridionale ha perso quasi 130 mila posti di lavoro, il 15 per cento del totale, che si aggiungono ai 490 mila del Centro-Nord;
si è, dunque, di fronte al rischio concreto di una profonda de-industrializzazione di tutta l'area del meridione d'Italia. Un'eventualità questa che avrebbe effetti catastrofici sull'economia di tutto il Paese;
altro dato su cui riflettere è quello relativo al credito: il tasso di interesse, al Sud nel 2010, si è attestato al 6,2 per cento, contro il 4,8 per cento del Centro-Nord. Resta, quindi, invariato il divario di 1,4 punti percentuali, quale riflesso dell'elevata rischiosità delle imprese meridionali;
di fronte a tale scenario, è necessario focalizzare quei processi di riforma che sarebbero necessari per adeguare il sistema produttivo del Paese, e in particolare del Meridione, alle nuove condizioni competitive determinate dalla globalizzazione e dall'adesione all'euro. Appare plausibile ritenere che il processo di declino del meridione d'Italia potrà essere interrotto solo in presenza dello sviluppo di un'adeguata domanda privata e pubblica, capace nel breve periodo di attenuare gli effetti della crisi attuale e, nel medio periodo, di favorire una ripresa duratura della produzione che avrebbe come conseguenza la creazione di posizioni lavorative stabili e efficienti. Il pericolo è che, mancando tale stimolo, la perdita di tessuto produttivo diventi permanente, aggravando i divari territoriali già marcati nel Paese;
in questo contesto, è necessario e non più differibile mettere in campo una politica industriale finalizzata a sviluppare e ramificare sul territorio una matrice tecnologica e produttiva, in particolare in settori strategici, capace di dimostrarsi autonoma e di rigenerarsi sul territorio, al fine di creare e sostenere nuova occupazione. Bisogna in questo senso far superare la congenita tendenza al «nanismo» delle piccole imprese del Mezzogiorno, irrobustire la piattaforma logistica che vede il Sud naturalmente punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente ed intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, di quegli agglomerati urbani densamente popolati;
quanto all'occupazione, se si analizzano gli andamenti trimestrali (con riferimento agli ultimi dieci anni) emerge che la crisi è iniziata prima al Sud e lì sembra durare più a lungo. Gli occupati al Sud sono, quindi, tornati ai livelli di dieci anni fa. In Campania lavora meno del 40 per cento della popolazione in età da lavoro, in Calabria è il 42,4 per cento, in Sicilia il 42,6 per cento;
caso unico in Europa, l'Italia sul fronte migratorio continua a presentarsi come un Paese spaccato in due: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla;
dal 2000 al 2009 ben 583 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel solo 2009 sono partiti dal Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa risulta la Campania, con una partenza di 33.800 abitanti, circa il 30 per cento dell'emigrazione interna; segue la Sicilia con 23.700 partenze; la Puglia con 19.600; la Calabria con 14.200. In direzione opposta, dal Nord al Sud, si sono mosse, invece, solo 67 mila persone. In Italia lavora meno di una donna su due, ma al Sud la percentuale crolla al 30 per cento. Nel 2010 il tasso di occupazione del Nord è risultato (dati Istat) più elevato di oltre venti punti rispetto a quello dell'area meridionale (43,9 per cento). Nel caso delle donne si passa dal 56,1 per cento del Nord, al 30,5 per cento del Mezzogiorno;
a rendere più evidente il divario tra il nord e il sud del Paese, interviene un altro fattore: la forte sperequazione territoriale nell'offerta dei servizi sociali (in particolare da parte dei comuni) che costituisce un elemento di particolare criticità. Nelle regioni del Sud e delle isole si riscontrano, infatti, livelli di spesa sociale sensibilmente più bassi rispetto al Centro-Nord, con un welfare locale che nel Mezzogiorno è fortemente connotato da quote rilevanti di finanziamento proveniente da Stato e regioni;
si è, dunque, di fronte ad un quadro preoccupante: a) per il forte restringimento della base occupazionale; b) per la crescita del tasso di disoccupazione più che doppia in confronto al Nord; c) per l'allargamento dei fenomeni di scoraggiamento ed esasperate difficoltà di inclusione dei giovani nel mercato del lavoro; d) per la bassa partecipazione delle donne alla vita lavorativa, dovuta anche ai più forti ostacoli alla conciliazione tra l'impegno lavorativo e quello da dedicare alla famiglia e alla quotidianità. Queste condizioni impongono una politica economica e sociale a favore del Mezzogiorno, ma non solo nell'interesse del Meridione;
in uno scenario così critico emergono, comunque, parziali elementi positivi, come, ad esempio, quello rappresentato dal ruolo della cooperazione, peraltro riconosciuto dalla Costituzione. Si tratta di una realtà associativa solida, di un modello organizzativo di coesione e di espressione genuina del territorio, con forti elementi di dinamicità economica e occupazionale, che può rappresentare una grande opportunità di crescita per l'intera area meridionale;
non si tratta di reclamare un nuovo intervento speciale bensì di ripensare l'intera politica economica nazionale in funzione dello sviluppo del Sud: unica condizione per avviare una crescita dell'intero Paese. Solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e, di conseguenza, riequilibrare il debito pubblico;
è interesse dell'Italia il decollo duraturo dell'economia delle regioni meridionali. È interesse, soprattutto, delle aree più sviluppate del sistema Italia, ormai, fin troppo costipate. Esse sarebbero le prime a giovarsi della ripresa e del rilancio dell'area mediterranea d'Italia, sia in termini di nuovi investimenti possibili, sia in termini di minori costi di produzione;
il sud d'Italia sconta l'impossibilità di competere sul piano della «fiscalità generale» con le altre aree depresse dell'Unione europea, soprattutto dell'Est, che offrono alle imprese condizioni fiscali durature e decisamente più favorevoli. L'opposizione dell'Unione europea all'adozione di una fiscalità differenziata all'interno di uno stesso Paese, in un regime di moneta unica nel quale Stati e regioni sono posti sullo stesso piano, oggi non ha più motivo d'essere. Appare opportuno, dunque, riflettere sulla possibilità di insistere in questa direzione pensando a interventi che della fiscalità di vantaggio ripetano i pregi (la semplicità e l'immediatezza del beneficio, la differenziazione rispetto alle aree sviluppate, la vigenza pluriennale anche se limitata nel tempo), ma che abbiano caratteristiche tecniche nuove e diverse per vecchie e nuove imprese;
il Governo e il Parlamento in queste settimane sono impegnati ad approvare provvedimenti di liberalizzazione e semplificazione. Ebbene, il ruolo della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli (lo Stato, le regioni, gli enti locali) può rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante per veicolare, attraverso investimenti, soprattutto infrastrutturali, lo sviluppo delle aree meridionali, nell'interesse - è bene ripeterlo - non solo delle aree direttamente interessate, ma dell'intero sistema Paese e di quelle aziende non certo e non solo localizzate nel sud d'Italia. Esse, infatti, potrebbero essere coinvolte in un piano di investimenti sul territorio;
in questo senso appare ineludibile la necessità che le amministrazioni pubbliche, nel loro complesso, rappresentino un punto di riferimento certo ed affidabile, che siano, cioè, capaci di far fronte ai propri impegni finanziari. Purtroppo, allo stato, così non è perché versano in uno stato di profonda illiquidità e di forte indebitamento. Bisogna intervenire sull'oggettiva impossibilità delle regioni e degli enti locali del Sud ad onorare le erogazioni derivanti da impegni assunti per forniture di beni e servizi. Se in Lombardia, in Veneto o in Emilia Romagna le aziende che hanno un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione riescono a dare continuità alle proprie attività, in Campania, in Calabria o in Sicilia le aziende che hanno un rapporto con la pubblica amministrazione sono costrette a chiudere le proprie attività per mancanza di liquidità o addirittura per l'insolvenza degli enti locali. In Lombardia, infatti, gli enti locali erogano i loro impegni derivanti da forniture di beni e servizi mediamente con 120 giorni di ritardo; in Campania pagano i loro fornitori con 365 giorni di ritardo; in Calabria si raggiungono addirittura i 600 giorni di ritardo. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura;
fino a poco tempo fa le regioni potevano utilizzare i fondi di riequilibrio, o comunque potevano ricorrere all'indebitamento. Oggi, nessuna delle due ipotesi è più percorribile. Inoltre, è necessario tenere conto del patto di stabilità, in virtù del quale alcune regioni italiane, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa;
recentemente è stata avanzata l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate da alcune regioni possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia di cui il Governo sia garante per i pagamenti delle autonomie locali. Non si tratta di utilizzare le risorse di determinate regioni per sostenerne altre. La gran parte, infatti, delle risorse accantonate e inutilizzate è rappresentata da trasferimenti dello Stato, mentre solo una piccola parte di queste provengono dalla finanza locale. Anche alla luce di questa osservazione, l'opportunità avanzata merita di essere vagliata con la giusta attenzione, in quanto potrebbe rivelarsi una risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, incoraggiando, così, in una certa misura gli investimenti privati nelle aree depresse del nostro Paese, ovviamente, non solo in quelle meridionali;
in questo scenario si tenga presente che proprio un ritrovato slancio della pubblica amministrazione, a tutti i suoi livelli, può rappresentare lo strumento, probabilmente l'unico, attraverso il quale mettere in campo interventi concreti per i necessari interventi infrastrutturali di cui il Meridione ha assolutamente bisogno. Si pensi, ad esempio, alla necessità impellente di portare a termine i lavori sul tratto autostradale della Salerno-Reggio Calabria;
infine, un aspetto su cui è necessario porre l'attenzione è quello dell'urbanizzazione del Meridione. Dal confronto con la realtà settentrionale emerge che mentre il sistema urbano del Nord è evoluto, nelle sue componenti principali e nelle grandi aree del Nord-est, la realtà urbana meridionale è rimasta invece nello stadio di «sub urbanizzazione». Secondo un noto economista americano, «per essere vincenti nella competitività urbana, le città devono essere in grado d attrarre quei lavoratori creativi che portano con sé investimenti e crescita economica. Devono essere quindi capaci di offrire loro dei luoghi piacevoli ed amichevoli, dotati di quartieri nei quali l'interazione quotidiana avvenga in modo fluido, facile ed immediato grazie ad un'offerta completa d'infrastrutture per lo svago ed il relax». Evidentemente si è molto lontani da questo obiettivo;
la città, in una società contemporanea, competitiva ed inclusiva, non può che essere il centro nevralgico della spinta produttiva. È intorno alla città che si deve creare quel tessuto articolato di insediamenti che rappresenta la piattaforma necessaria per lo sviluppo e la produzione di una determinata area. Ebbene, è necessario investire sullo sviluppo della rete urbana del Mezzogiorno, una direzione questa indicata più volte dall'illustre meridionalista Francesco Compagna. Una necessità che si sarebbe dovuta affrontare e superare da decenni e che, invece, continua ad essere ancora una questione irrisolta, un'incredibile emergenza. In particolare, appare necessario intervenire per sostenere le aree metropolitane densamente popolate come quella di Napoli, facendone il centro nevralgico per lo sviluppo e promozione di una concreta politica economica del meridione;
questa necessità si inquadra nell'ottica degli obiettivi della Commissione europea che già nel 1999, in merito al processo di integrazione del continente, specificava che uno degli obiettivi principali era la «creazione di zone dinamiche di integrazione distribuite equamente sul territorio europeo e costituite da reti di regioni metropolitane di facile accesso internazionale e da città e zone rurali ad esse collegate»;
recentemente la Commissione europea ha deciso di modificare alcune delle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti nelle aree depresse. L'Italia potrà abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento: si rendono, così, disponibili ben otto miliardi di risorse europee, un'opportunità importante che non si può sprecare,
impegna il Governo:
a delineare, attraverso il confronto con le diverse realtà produttive economiche, sociali ed istituzionali che possono essere coinvolte, un piano organico di interventi che abbia come obiettivo strategico, in chiave nazionale, lo sviluppo del Sud, unica condizione questa per avviare una crescita dell'intero Paese, poiché solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e di conseguenza può essere riequilibrato il debito pubblico;
ad investire una quota rilevante delle risorse rese disponibili dalla Commissione europea attraverso l'abbassamento della quota di cofinanziamento, specificatamente per il rafforzamento delle reti urbane con particolare interesse al potenziamento delle aree metropolitane del Mezzogiorno;
a sviluppare interventi organici, anche tramite una sostenibile fiscalità di vantaggio, finalizzati al potenziamento, in particolare dell'iniziativa privata, affinché si ramifichi nel territorio, superando la congenita tendenza al nanismo del sistema imprenditoriale del Meridione;
ad irrobustire la piattaforma logistica che vede il sud d'Italia quale naturale punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente;
ad intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, degli agglomerati urbani densamente popolati;
a sviluppare un piano di interventi infrastrutturali, affinché il sud d'Italia non resti di fatto separato dal resto del Paese e dall'Europa, non essendo possibili turismo, commercio, sviluppo, occupazione senza l'esistenza di trasporti e vie di comunicazioni efficienti;
a sviluppare interventi organici finalizzati a valorizzare il ruolo e l'incidenza del modello cooperativo, facendone uno dei possibili pilastri su cui costruire una strategia politico-economica complessiva per il rilancio del Meridione.
(1-00930)
«Ossorio, Nucara, Brugger».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
il Governo italiano ha assunto, in sede europea, l'impegno ad attuare una serie di misure di politica economica volte a sostenere la crescita dell'economia, individuando tra queste la revisione strategica dei programmi - nazionali e regionali - cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 che determini una maggiore concentrazione sugli investimenti in grado di determinare effetti diretti sulla competitività e la crescita del Paese ed un maggior orientamento delle politiche ai risultati;
non è più eludibile imprimere ogni utile impulso alla crescita dell'Italia e la politica di coesione offre un ampio potenziale contributo ancora inespresso per elevare il tasso di crescita dell'economia italiana;
nel corso dell'ultimo anno è stato costruito un proficuo rapporto di cooperazione istituzionale rafforzata tra il Governo e le regioni che ha consentito di avviare a realizzazione il piano nazionale per il Sud, approvato il 26 novembre 2010, e di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati 2007-2013, scongiurando il rischio di disimpegno delle risorse comunitarie al 31 dicembre 2011;
al fine di sostenere lo sviluppo dell'occupazione nel Meridione d'Italia, con l'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha previsto il credito di imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno;
il 6 ottobre 2011 la Commissione europea ha comunicato al Governo italiano l'approvazione del credito d'imposta previsto dal «decreto sviluppo» per l'assunzione a tempo indeterminato nelle aree del Sud Italia;
il 7 novembre 2011 è stato sottoscritto, con il Commissario europeo alla politica di coesione Hahn, il piano d'azione coesione che, in attuazione del primo impegno assunto dal Governo italiano con la Commissione europea con la lettera del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2011, dettaglia le azioni di revisione strategica dei programmi cofinanziati, stabilisce un calendario di esecuzione preciso e promuove quel miglioramento dell'efficacia dei programmi cofinanziati, che è necessario per accrescere il loro contributo alla crescita del Paese e sostenere lo sforzo che l'Italia sta compiendo per assicurare condizioni di stabilità alla propria economia;
il 15 dicembre 2011 sono stati definiti gli interventi puntuali che saranno, in attuazione del piano d'azione, finanziati sui quattro assi strategici relativi a istruzione, banda larga, occupazione e ferrovie;
il 7 febbraio 2012 è stato inviato alla Commissione europea l'aggiornamento del piano d'azione e coesione che tiene conto delle attività istruttorie compiute dal nucleo di valutazione e verifica del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico e dell'unità valutazione della direzione generale della politica regionale della Commissione europea, con l'obiettivo di «rappresentare anche quantitativamente la teoria del cambiamento alla base della strategia»;
il decreto legislativo n. 88 del 2011, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione) ha:
a) ridefinito la finalizzazione del fondo per le aree sottoutilizzate, che ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione;
b) introdotto nuove regole di responsabilizzazione dei soggetti pubblici titolari dell'utilizzo di tali risorse;
c) previsto, per accelerare la realizzazione degli interventi e garantire la qualità degli investimenti, il «contratto istituzionale di sviluppo», che destina le risorse aggiuntive e definisce responsabilità, tempi e regole di realizzazione degli interventi programmati, le sanzioni per eventuali inadempienze e le condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 ha disposto il finanziamento, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, di interventi prontamente cantierabili riguardanti le grandi opere strategiche nazionali e regionali ferroviarie e viarie essenziali per ricucire Nord e Sud del Paese. In particolare, la citata la delibera assegna 1,6 miliardi di euro a favore di interventi strategici nazionali e 5,8 miliardi di euro a favore di 128 infrastrutture di rilievo interregionale e regionale, riguardanti non soltanto strade e ferrovie, ma anche schemi idrici, porti e interporti, aree d'insediamento produttivo, banda larga;
la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, ha approvato un programma di investimenti nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno, che assegna complessivi 1.027 milioni di euro, di cui circa 150 milioni di euro a favore di tre poli di ricerca di eccellenza in Calabria/Sicilia, Campania e Puglia, e 877,4 milioni di euro in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia, per il finanziamento di infrastrutture quali laboratori didattici e di ricerca, biblioteche, mense, attrezzature tecnologiche e informatiche, case dello studente, ristrutturazioni e nuove costruzioni di edifici universitari;
il Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012, confermando l'impianto generale della delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 e senza alterare le assegnazioni totali e l'articolazione regionale dei finanziamenti, ha previsto modifiche riguardanti alcuni interventi, in particolare nelle regioni Campania e Calabria;
il Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012 ha assegnato circa 750 milioni di euro, a carico della programmazione regionale del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il completo finanziamento degli interventi rientranti in specifici accordi di programma già sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le singole regioni del Mezzogiorno per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 ammontano a circa 7,5 miliardi di euro, che consentono di attivare un volume di investimenti di circa 30 miliardi di euro;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 ammontano a circa 1 miliardo di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 1,2 miliardi di euro;
complessivamente le risorse assegnate dal Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012 per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno ammontano a circa 680 milioni di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 750 milioni di euro;
la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 è stata registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 ed è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale il 31 dicembre 2011;
la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 è stata registrata alla Corte dei conti il 9 gennaio 2012 ed è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale il 21 gennaio 2012;
il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha escluso dalla riduzione disposta dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 11, le risorse destinate alla programmazione regionale nell'ambito del fondo per le aree sottoutilizzate;
le delibere Cipe n. 62 e 78 prevedevano la sottoscrizione dei contratti istituzionali di sviluppo, quale strumento attuativo per la definizione delle responsabilità, dei tempi e delle regole di realizzazione degli interventi programmati, delle sanzioni per eventuali inadempienze e delle condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
la delibera Cipe riguardante gli interventi per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno è in corso di formalizzazione;
l'effettivo utilizzo del credito di imposta per l'occupazione stabile nel Mezzogiorno è subordinato all'adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, che, oltre a stabilire i limiti di finanziamento garantiti da ciascuna delle regioni, dovrà stabilire le disposizioni di attuazione, così come stabilito dal comma 8 dell'articolo 2 dello stesso decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70;
pur in presenza di un grande e utile sforzo da parte delle autorità regionali e nazionali responsabili dell'attuazione dei programmi cofinanziati, permangono potenziali rischi connessi all'andamento della spesa che potrebbero determinare disimpegni automatici al 31 dicembre 2012,
impegna il Governo:
a sottoscrivere nel più breve tempo possibile i contratti istituzionali di sviluppo o, in alternativa, ad individuare gli strumenti più efficaci per avviare concretamente la realizzazione degli investimenti previsti nelle delibere del Cipe n. 62 e 78 e di quelli relativi al contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno;
a sottoporre alle prossime riunioni del Cipe tutti i progetti, in attesa di approvazione, relativi alle opere finanziate con le delibere del Cipe n. 62 e 78, al fine di avviare concretamente la realizzazione degli stessi;
ad assegnare nel più breve tempo possibile alle regioni del Mezzogiorno le risorse residue del fondo per lo sviluppo e la coesione valutabili in oltre 6,7 miliardi di euro;
ad adottare nel più breve tempo possibile il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, che dovrebbe stabilire i limiti di finanziamento garantiti da ciascuna delle regioni e le disposizioni di attuazione del credito d'imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno;
a confermare il meccanismo di accelerazione nell'attuazione dei programmi cofinanziati previsto dalla delibera del Cipe n. 1 del 2011 e fissato dalla decisione del Comitato nazionale per il coordinamento e la sorveglianza della politica regionale unitaria in termini di impegni giuridicamente vincolanti assunti al 31 maggio 2012, pari al 100 per cento dell'importo di spesa in scadenza al 31 dicembre 2012, di spesa da certificare, pari al 70 per cento dell'importo di spesa in scadenza al 31 dicembre 2012, e di impegni giuridicamente vincolanti assunti al 31 dicembre 2012, pari al 60 per cento dell'importo della spesa in scadenza al 31 dicembre 2013.
(1-00932)
«Cicchitto, Fitto, Baldelli, Cosenza».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
attraverso la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione, negli ultimi anni l'azione dell'Unione europea ha cercato di favorire la diminuzione dei tassi di disoccupazione, rafforzando le misure volte non solo a proteggere i posti di lavoro esistenti, ma anche a creare nuove opportunità: oltre 10 miliardi di euro, infatti, vengono investiti ogni anno a titolo del fondo sociale europeo per migliorare l'occupabilità della popolazione;
a dodici anni dalla strategia di Lisbona, le istituzioni comunitarie si rendono conto che c'è ancora molto da fare e che gli indici in essa previsti sono difficili da raggiungere;
nel nostro Paese, in questa particolare congiuntura economica, le aziende in difficoltà hanno prodotto un crescente esercito di disoccupati e le fasce che hanno risentito e risentono di più della mancanza di opportunità lavorative sono i giovani, in generale, e quelli delle aree sottoutilizzate del Paese, in particolare;
a gennaio 2012 il tasso di disoccupazione si è attestato al 9,2 per cento, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di un punto rispetto al 2011. Il tasso di disoccupazione giovanile, ovvero l'incidenza dei 15-24enni disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, è pari al 31,1 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011;
secondo il rapporto Svimez 2011 sull'economia del Mezzogiorno, due giovani su tre sono senza un'occupazione e la crescita dei senza lavoro riguarda, soprattutto, la componente femminile. Alla fine del 2011 il tasso di disoccupazione delle giovani donne che risiedono al Sud era pari al 39 per cento, quindi, quasi quattro ragazze su dieci. Aumentano, inoltre, i giovani «neet» (not in education, employment or training) con alto livello di istruzione: quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30 per cento dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori dal sistema formativo e del mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e Calabria;
sempre secondo il rapporto Svimez 2011, su 533 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281 mila sono stati nel Mezzogiorno. Con meno del 30 per cento degli occupati italiani, al Sud si concentra, dunque, il 60 per cento della perdita di posti di lavoro. Particolarmente forte è la diminuzione in Basilicata (dal 48,5 al 47,1 per cento) e in Molise (dal 52,3 al 51,1 per cento). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore diminuzione si registrano in Calabria (42,2 per cento) e Sicilia (42,6 per cento);
questi sono i dati drammatici di un'emergenza nazionale e, soprattutto, meridionale senza precedenti, che non può più essere sottovalutata. Il Mezzogiorno e, in particolare, i giovani del Sud continuano ad essere penalizzati ed esclusi dal mondo del lavoro. Se poi a questi dati, si aggiungono quelli altrettanto allarmanti delle famiglie in condizioni di povertà, che secondo l'Istat sono allocate soprattutto al Sud, lo scenario diventa ancora più preoccupante;
non è un caso che tra il 2001 e il 2011 si è registrata una ripresa dell'emigrazione verso il Nord con un flusso migratorio di circa 600 mila residenti dal Mezzogiorno;
gli interventi in favore del Mezzogiorno adottati negli ultimi anni non hanno prodotto gli effetti desiderati e non sono apparsi in grado di frenare l'emorragia di posti di lavoro e di rilanciare l'economia nelle regioni del Mezzogiorno;
di fronte a questi dati occorre considerare quali strumenti possono venire in soccorso per cercare di invertire una tendenza che penalizza i ragazzi italiani, specie se si confrontano le esperienze maturate in altri Paesi membri dell'Unione europea, dove le politiche attive per il lavoro sono certamente un passo avanti rispetto a quanto avviene nel nostro Paese;
il trattato istitutivo dell'Unione europea vieta gli aiuti concessi dagli Stati alle imprese sotto qualsiasi forma, in quanto incompatibili con il mercato comune. Tuttavia, esistono delle possibilità, delle eccezioni previste dall'ordinamento comunitario, che consentono di utilizzare le preziose risorse finanziarie europee. Basti considerare che le risorse destinate dal fondo sociale europeo all'Italia per il periodo 2007-2013 ammontano ad oltre 15 miliardi di euro;
una di queste eccezioni è rappresentata dagli aiuti concessi alle imprese in regime di de minimis destinati a favorire lo sviluppo economico delle aree sottoutilizzate in cui ci sia una grave forma di disoccupazione;
una volta accertata la presenza di un sistema di aiuti praticabile occorre stabilire quale sia lo strumento più idoneo; a tale riguardo tornano utili le recenti dichiarazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che ha definito il contratto di apprendistato il modello contrattuale di ingresso nel mondo del lavoro, così come anche auspicato nel documento che sindacati e imprese avevano consegnato al Governo tempo fa,
impegna il Governo:
ad assumere le iniziative necessarie per definire a livello nazionale un quadro di norme finalizzato a rendere interamente fruibili dai giovani, donne e uomini delle regioni meridionali del nostro Paese, le risorse attualmente disponibili a valere sui fondi dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per prevedere, in particolare, un nuovo sistema di agevolazioni finalizzato alla formazione e al lavoro che responsabilizzi in maniera diretta i giovani in cerca di occupazione, utilizzando precipuamente lo strumento del contratto di apprendistato;
ad adottare concrete iniziative finalizzate alla riqualificazione del capitale sociale del Sud, anche attraverso consistenti investimenti nella scuola, nell'attività di contrasto alla cultura dell'illegalità e alle mafie, tali da generare un tessuto più favorevole alla crescita economica e allo sviluppo del Mezzogiorno;
a considerare l'opportunità di riprogrammare concretamente l'utilizzo delle risorse comunitarie in progetti strategici, soprattutto in reti infrastrutturali di trasporto e di collegamento propedeutiche ad abbattere le barriere allo sviluppo delle regioni del Sud;
a promuovere l'effettivo utilizzo del credito d'imposta per i nuovi occupati al Sud, attualmente ancora non operativo a causa dei ritardi della Conferenza Stato-regioni, che non ha ancora individuato l'ammontare delle risorse da destinare a questo importante intervento;
a considerare l'opportunità di indirizzare le nuove politiche industriali di sviluppo nel Mezzogiorno verso settori emergenti, soprattutto nel campo della green economy e del turismo;
ad utilizzare le maggiori risorse provenienti dall'esclusione della quota nazionale dei fondi cofinanziati dal patto di stabilità, destinandole in via principale all'attuazione di forme di fiscalità di vantaggio nelle aree sottoutilizzate del Paese;
a dar seguito all'applicazione dell'articolo 2-bis del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, che prevede, in coerenza con la decisione assunta nel «Patto Europlus» del 24-25 marzo 2011 e con il piano per il Sud approvato dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010, l'uso del credito d'imposta per gli investimenti nelle aree sottoutilizzate, attraverso l'utilizzo dei fondi strutturali europei, già nella disponibilità delle regioni del Sud.
(1-00933)
«Occhiuto, Tassone, D'Ippolito Vitale, Nunzio Francesco Testa, Zinzi, Cera, Ruggeri, Ria, Carlucci, Mereu, Naro, Poli».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo;
nel Mezzogiorno risiede un terzo della popolazione, si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane. Un innalzamento duraturo del tasso di crescita di tutto il Paese non può prescindere dal superamento del sottoutilizzo delle risorse al Sud;
le prime valutazioni effettuate dalla Svimez ipotizzano per il 2012, in un quadro di recessione, un ulteriore ampliamento del divario tra Nord e Sud, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale, che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo di oltre l'1 per cento;
anche le misure economiche degli ultimi anni, miranti al necessario aggiustamento dei conti pubblici, non hanno tenuto conto delle diversità territoriali, determinando effetti maggiormente negativi nel Mezzogiorno;
negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
il Mezzogiorno italiano è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo. In uno Stato autenticamente federale tutte le regioni devono essere dotate degli stessi strumenti e delle stesse infrastrutture. La realizzazione di una perequazione infrastrutturale rappresenta un elemento essenziale del federalismo e condizione necessaria per un federalismo fiscale equo. Prima di determinare il flusso delle risorse standard occorre livellare i servizi, rendendo omogenea la loro offerta su tutto il territorio e dotando, quindi, tutte le regioni di infrastrutture di pari livello;
esiste il pericolo reale che il federalismo fiscale, disgiunto da una compiuta perequazione infrastrutturale, si traduca in uno strumento di svantaggio ed impoverimento, trasferendo risorse dalle aree più povere a quelle più ricche, e che il divario tra queste due da incolmato divenga incolmabile;
la crisi ha colpito in particolar modo il Sud e le politiche congiunturali, davanti alle stringenti necessità della finanza pubblica, hanno anche utilizzato risorse assegnate allo sviluppo del Mezzogiorno, come il fondo per le aree sottoutilizzate, distraendole dalle finalità proprie. Per lungo tempo si è assistito a dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura, non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, il Sud può svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale. Per il Sud italiano, così come per altri Sud europei, potrebbe aprirsi una prospettiva inedita, rappresentata dai crescenti flussi commerciali e finanziari provenienti dall'Asia e dall'Africa, da Medio Oriente, Cina, India, Giappone, Oceania e che potrebbero trasformarlo in uno dei principali poli dello sviluppo mondiale di questo nuovo secolo;
i dati sull'andamento dell'occupazione hanno evidenziato come proprio nelle regioni del Sud si siano concentrate le riduzioni più significative di posti di lavoro, legate, soprattutto, al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti, sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari. Inoltre, è al Sud che vive un esercito di oltre due milioni di giovani, i cosiddetti «neet» (acronimo che sta per «not in education, employment or training», ovvero che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione), che sono praticamente invisibili poiché vivono in una zona grigia fatta di lavoro irregolare, occupazione estemporanea e lavori saltuari e che rappresentano la faccia più impietosa della crisi economica;
la stessa crisi ha evidenziato la distanza tra soggetti tutelati e lavoratori precari privi di garanzie; una polarizzazione che si riflette anche a livello territoriale, tra Nord e Sud, dove sono numerose le famiglie monoreddito. Problemi che richiedono un'attenzione particolare, anche rispetto alle politiche sociali, rendendo necessario superare definitivamente quella visione puramente assistenzialistica e risarcitoria, che fino ad oggi ha caratterizzato le scelte delle politiche del welfare;
la disoccupazione ufficiale al Sud è quasi 2,5 volte quella del Nord: secondo l'ultimo dato ufficiale diramato dall'Istat si aggira attorno al 35/40 per cento, dato che, però, non tiene conto di coloro i quali, ed al Sud sono tanti, scoraggiati, non si iscrivono alle liste di collocamento. Ciò alimenta quella parte di disoccupazione definita «grigia», nella quale confluisce chi non cerca lavoro: inoccupati impliciti e lavoratori potenziali, serbatoio naturale per i fenomeni di occupazione illegale;
soprattutto, preoccupa quello che la Svimez ha definito «spreco generazionale inaccettabile», cioè il dato che vede in crescita nelle regioni meridionali la quota dei giovani neet con alto livello di istruzione. Oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo (36,6 per cento), rispetto al 21,9 per cento del Centro e al 15,5 per cento del Nord. Addirittura la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34. Al Sud la percentuale arriva addirittura al 38,5 per cento, al Centro è meno della metà (18,3 per cento), al Nord meno di un terzo (12,5 per cento);
un altro recente dossier Svimez, «La condizione e il ruolo delle donne per lo sviluppo del Sud», denuncia che nel 2010 nel Mezzogiorno ha lavorato regolarmente meno di una giovane su quattro, con un tasso di occupazione fermo al 23,3 per cento, e che le donne meridionali laureate, anziché essere oggetto di politiche di sviluppo, restano a casa con bambini e anziani, prigioniere di un welfare che ostacola la conciliazione lavoro-famiglia, nonostante, sempre nel 2010, le meridionali laureate sono state il 18,9 per cento sul totale della popolazione tra i 30 e i 34 anni, quasi 7 punti in più dei maschi (12,3 per cento);
i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali che terminano la loro carriera accademica hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» (brain drain) che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile;
con riferimento alle imprese del Mezzogiorno, il sistema produttivo è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo. Tra le condizioni di contesto capaci di favorire, nel medio periodo, la crescita del sistema economico meridionale c'è senza dubbio anche la crescita degli investimenti in ricerca ed innovazione, unica risposta lungimirante rispetto alla perdita di competitività delle produzioni e dei servizi rispetto a quelle dei Paesi emergenti e a quelle dei Paesi tecnologicamente più avanzati;
occorre, pertanto, mettere a regime forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nell'ambito di un più vasto sistema di fisco premiale per le imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
la mancata soluzione al problema della sicurezza complica ogni ipotesi di sviluppo per le regioni meridionali. Permane, infatti, una forte presenza della criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività d'impresa, e della microcriminalità, che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sociale. Questa situazione richiede un impegno forte da parte dello Stato per assicurare condizioni di legalità e di sicurezza alle imprese ed ai cittadini;
occorre salvaguardare e rilanciare il patrimonio produttivo meridionale, scongiurando la fuga dell'industria manifatturiera e l'ampliarsi dei fenomeni di delocalizzazione e intervenendo sulla promozione d'impresa, sostenendo con servizi innovativi i settori d'eccellenza, quali il turismo sostenibile, l'agroalimentare tipico, le attività ad alto contenuto tecnologico;
la capacità di realizzare politiche di sviluppo mirate, in particolare ottimizzando l'utilizzo dei fondi europei, è divenuta il principale motore della crescita di molti Paesi europei, simili al Mezzogiorno per storia, tradizioni, condizioni economiche e collocazione geografica;
il dualismo del sistema economico italiano continua ad essere una costante, che ha, però, assunto negli ultimi anni valenze differenti, in considerazione dei vincoli e delle opportunità connessi ai processi di integrazione europea e di globalizzazione;
tutti gli indicatori economici lasciano presagire che nel prossimo biennio le regioni centro-settentrionali saranno caratterizzate da un forte impulso produttivo, che permetterà loro di raggiungere le performance europee, mentre il Mezzogiorno resterà penalizzato, dati i ritardi strutturali che da sempre ne condizionano lo sviluppo economico;
oltre alla presenza di divari «verticali» a livello nazionale, anche all'interno dello stesso Mezzogiorno vi sono differenti livelli di crescita. Alcune regioni, infatti, traggono benefici dalle risorse turistiche e da forme d'industrializzazione leggera, mentre altre permangono in situazioni di carenza infrastrutturale o di diffusa criminalità che rendono difficile un percorso univoco di sviluppo;
si rende necessario individuare formule di intervento verso il Mezzogiorno efficaci e, soprattutto, capaci di supportare la ripresa di uno sviluppo durevole e non assistenzialistico,
impegna il Governo:
a promuovere una politica di sviluppo che, sulla base della rilevata inefficacia degli interventi effettuati per il Mezzogiorno nell'ultimo decennio, tenda a privilegiare interventi infrastrutturali in una logica di concentrazione settoriale delle risorse;
a concentrare nello strumento del credito d'imposta gli interventi rivolti ad aiutare le imprese del Sud e a superare le strozzature alla loro crescita, e a promuovere il ricorso alla fiscalità di vantaggio;
ad attuare un piano di recupero di efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, attraverso la realizzazione ed il completamento definitivo di opere infrastrutturali di indubitabile importanza sotto il profilo della riduzione dei costi logistici totali di mobilità di merci e persone, integrate con le reti infrastrutturali di regioni e Paesi del Mediterraneo, grazie alle quali il Mezzogiorno potrebbe realmente rappresentare un'area strategica di operatività logistica a servizio non solo del sistema endogeno meridionale ed italiano, ma principalmente quale territorio di concentrazione e smistamento di traffico lungo le direttrici Asia-Europa e Asia-Medio Oriente-Nord-Africa;
ad assumere iniziative per riformare i programmi regionali del fondo per le aree sottoutilizzate, modificando, al contempo, la governance dell'utilizzo dei fondi e introducendo lo strumento del contratto istituzionale di sviluppo che definisce tempi, modalità e responsabilità per l'attivazione degli investimenti finanziati con i fondi europei e nazionali destinati alle politiche di sviluppo e coesione territoriale, così come delineato nei documenti della Commissione europea relativi all'approvanda riforma della politica regionale dell'Unione europea;
ad assumere iniziative volte a promuovere, all'interno delle regole del patto di stabilità interno, meccanismi premiali finanziati con le risorse del fondo europeo per lo sviluppo regionale a favore delle regioni meridionali che si impegnano a ridurre la spesa corrente a favore di quella in conto capitale;
ad assumere un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
a favorire lo sviluppo nelle regioni meridionali di un sistema creditizio e finanziario che sia in grado di accompagnare e promuovere la crescita dimensionale delle imprese, l'innovazione e l'internazionalizzazione;
a qualificare e semplificare, per quanto di competenza, la pubblica amministrazione, specie nelle aree meridionali, in maniera tale che diventi fornitrice di servizi efficienti alle imprese e ai cittadini;
a definire progetti finalizzati al rientro nelle regioni di provenienza dei giovani ad alta ed altissima qualificazione universitaria e post-universitaria, contribuendo in tal modo ad invertire i consistenti flussi di emigrazione che coinvolgono in modo preoccupante le migliori energie intellettuali del Mezzogiorno.
(1-00934)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
nel corso di una recente audizione del presidente della Svimez in Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, sono stati illustrati, da un lato, lo scenario che si sta delineando a partire dalla crisi del 2008 fino al 2011 e, dall'altro, la proiezione per i prossimi anni, alla luce delle manovre di finanza pubblica del 2011, in termini di sviluppo dell'economia e, quindi, di crescita del Nord e del Sud del Paese;
per il 2011 le previsioni a livello nazionale, a consuntivo, sono dello 0,5-0,6 per cento, il che conferma un ritardo di crescita rispetto a Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna: si conferma ancora una differenza tra il Mezzogiorno - che rimane allo 0,1 per cento di crescita del prodotto interno lordo - e il Nord che, rispetto all'1,7 per cento del 2010, rallenta allo 0,8 per cento nel 2011;
per il 2012 le previsioni sono di una flessione generalizzata del prodotto interno lordo dell'1,5 per cento, che si aggiunge al 6 per cento circa dei due anni di crisi più intensa, e con un Centro-Nord anch'esso in flessione dell'1,3 per cento. I divari si accentuano, dunque, sia in crescita sia in riduzione;
se il Mezzogiorno continuasse, all'interno del sistema, a registrare variazioni negative di questo genere, potrebbe tornare a raggiungere i livelli del 2007 tra trenta o quarant'anni. Il sistema italiano, invece, li raggiungerebbe in sette o otto anni;
il quadro che emerge è, dunque, quello di una forte debolezza del sistema italiano - al Nord come al Sud - che si sta aggravando nel senso di un deterioramento delle parti più deboli del sistema, ma che lo coinvolge nel suo insieme. L'idea, che tuttora circola, che il Nord sia relativamente forte e viva una crisi per così dire «congiunturale», mentre il Sud sia debole e abbia problemi strutturali è un'idea estremamente pericolosa;
il presidente della Svimez ha ribadito che l'approccio al «problema Mezzogiorno» deve essere un approccio radicalmente diverso da quello degli ultimi anni. Bisogna considerare, cioè, quali siano gli elementi che possono rendere il Mezzogiorno - che, a parole, è riconosciuto come il comparto dell'economia che ha più potenzialità di crescita - un attore della ripresa e della crescita a livello nazionale;
questo non avverrà spontaneamente. Ad avviso della Svimez, tutte le misure che passano sotto l'etichetta di «liberalizzazioni» sono genericamente coerenti con una razionalizzazione del contesto e quindi, indirettamente, sono elementi promotori di una potenziale accelerazione della crescita, ma, certamente, non inducono la stessa e, soprattutto, non rimuovono quei fattori strutturali che bloccano il sistema almeno da quindici anni. Non è facendo una bella cornice che il quadro cambia: occorre cambiare il quadro;
è necessaria, dunque, una sollecitazione a identificare forti elementi di potenzialità di crescita sui quali puntare, per passare, poi, alla seconda fase di cui si parla: il rilancio della crescita del sistema Italia. Peraltro, il pareggio di bilancio sarà veramente complicato da raggiungere se la crescita non riprende;
per quando riguarda la produttività del lavoro in Italia, la sua dinamica molto lenta e tutto ciò che è ad essa correlato, secondo la Svimez, molto dipende da un aspetto strutturale, cioè la specializzazione italiana e meridionale, che è particolarmente sfavorevole alla dinamica della produttività nel Mezzogiorno. Dunque, occorre puntare su settori nuovi, maggiormente capaci di produrre una dinamica di competitività nel complesso favorevole;
contemporaneamente, bisogna tener conto del fatto che oggi si ha un mercato del lavoro anche eccessivamente flessibile, prodotto da leggi che a partire dal 1998 e passando per la «legge Biagi», sono state fatte per garantire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Tuttavia, la scelta di rincorrere il recupero di produttività con quei metodi non ha dato risultati, se non quello di far emergere una componente dell'economia sommersa, che necessariamente porta a contenere la dinamica della produttività;
occorre, dunque, avere alcune idee strategiche sulle quali puntare. Il Mezzogiorno è in prima fila per essere protagonista di questa svolta strategica, sia direttamente - con gli operatori locali - sia, soprattutto, come responsabilità di un Esecutivo che dovrebbe dare queste indicazioni;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il Mezzogiorno è stato, nella sostanza, dimenticato dall'azione del Governo precedente. Sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa, serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo, agisca sul contesto. Lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
la previsione del 2012, per quello che riguarda il prodotto interno lordo, è di una diminuzione del 2 per cento nel Mezzogiorno, dell'1,3 per cento al Centro-Nord e dell'1,5 per cento per l'intera Italia. Le unità di lavoro evidenziano un'ulteriore caduta, con una flessione pari all'1,6 per cento al Sud, allo 0,7 per cento al Centro-Nord, quindi di nuovo una caduta quasi doppia del Sud, e allo 0,5 per cento nell'intero Paese. Gli investimenti segnalano una previsione di caduta dell'8 per cento al Sud e del 6 per cento in media in Italia. Tenendo conto che si tratta di investimenti fissi lordi, se ne evince che il sistema sta «decumulando» capitale ben al di là dell'8 per cento, perché gli investimenti netti, cioè l'incremento di capitale, sarebbero negativi di ben più dell'8 per cento o del 6 per cento citati;
è un sistema bloccato in cui, su circa 600 mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2010, oltre il 50 per cento sono unità di lavoro perse nel Mezzogiorno, il quale contribuisce al totale dell'occupazione nazionale con meno del 30 per cento. Si sta intaccando, quindi, la parte più debole del Paese, con conseguenze facilmente comprensibili, anche in termini di equilibri sociali che si stanno deteriorando;
facendo un computo della disoccupazione esplicita, ossia di quella rilevata formalmente dall'Istat, dei disoccupati impliciti, cioè quelli che non si presentano per l'effetto scoraggiamento, e di quelli in cassa integrazione guadagni, nel Mezzogiorno si raggiungono tassi di disoccupazione del 25-26 per cento, mentre il medesimo tasso nel Centro-Nord è del 10 per cento circa. A livello femminile, giovanile e così via, questi tassi sono molto diversificati tra Nord e Sud, con cifre negative estremamente più rilevanti nel Mezzogiorno;
rispetto al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia, il Meridione rappresenta l'area in cui il potenziale di crescita sarebbe maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio nei settori innovativi, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
si deve considerare la necessità di soluzioni innovative, di nuove aziende, di nuovi prodotti, di un nuovo stimolo, di una «frustata» all'economia che non sia - non può esserlo, date le condizioni della finanza pubblica - un'iniezione di pura spesa pubblica, ma la visione di una strategia che nel medio periodo riporti il sistema alla crescita;
sarebbero necessari interventi che aprano a una strategia mirante ad alcuni grandi obiettivi che non possono essere conseguiti nell'immediato, ma che darebbero una prospettiva di modifica della debolezza italiana da un punto di vista strutturale:
a) vi sarebbe un'urgenza e un'ampia possibilità di avere risposte positive dal sistema sul terreno del contenimento dei costi dell'energia e, quindi, dell'avvio di un comparto produttivo nuovo e rilevante, che, curiosamente, è più presente al Sud che al Centro-Nord;
b) occorrerebbe intervenire sul tema della gestione delle risorse naturali, a partire dall'acqua, che è una risorsa da valorizzare, che comporta investimenti, razionalizzazioni ed effetti sulla produttività, sul reddito a livello locale e così via;
c) infine, è necessaria una razionale politica logistica del sistema, partendo dalla premessa che l'Italia dovrebbe essere il nucleo più rilevante, all'interno dell'Unione europea, di una politica rivolta al Mediterraneo, nel senso ampio, dalla Turchia al Nord Africa. Il Mezzogiorno può, invece, rappresentare la grande opportunità italiana, anche per la sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
anche gli interventi sul settore culturale, intesi come valorizzazione dei molteplici beni culturali e come sostegno ed qualificazione delle università e degli istituti di ricerca presenti nel Mezzogiorno, possono costituire stimolo al decollo di imprese innovative e rilanciare il turismo. Si tratta di dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture culturali che oggi mancano, determinando arretratezza e impoverimento;
con riferimento alle energie rinnovabili - soprattutto dopo l'esito del recente referendum sul nucleare, che ha cancellato il precedente obiettivo del 25 per cento di energia prodotta da fonte nucleare - c'è un vuoto che non è stato ancora colmato da un'ipotesi di una qualche strategia. Guardando anche a competitori come la Germania, che già producono il 40 per cento della loro energia attraverso fonti rinnovabili e che stanno abbandonando anche loro il settore energetico nucleare, l'Italia ha un ampio spazio di intervento in questo campo e questo ampio spazio fisicamente si colloca in tutto il Mezzogiorno continentale, soprattutto nella parte tirrenica, che implica interventi in tecnologia, investimenti, ricerca di attrazione di capitali, tutte cose che possono essere messe in atto abbastanza rapidamente;
occorrono, però, politiche attive: le energie rinnovabili non partono da sole o hanno grosse difficoltà a partire da sole, sebbene già ora il Sud sia il produttore più rilevante di energie rinnovabili. Si pensi, in particolare, alla valorizzazione della fonte geotermica, sfruttata in America latina e negli Stati Uniti, di cui l'Italia in Europa e, probabilmente, nel mondo è il più grande réservoir non sfruttato, tenendo conto che al Nord e al Sud il costo dell'energia per le imprese è di oltre il 30 per cento superiore ai competitori stranieri. La Sardegna vede una deindustrializzazione nel settore dell'alluminio, proprio perché tali industrie sono ad alta intensità energetica;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso, infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
la logistica comporta un ragionamento su aspetti esistenti da razionalizzare, che facciano sistema, e, chiaramente, occorre avere delle priorità. Se la priorità è la proiezione in modo nuovo sul Mediterraneo e non solo verso l'Est Europa o verso l'Est, il Mezzogiorno diventa centrale. La Svimez ha individuato sette filiere territoriali logistiche per il Sud, sette aree che mostrano potenzialità di sviluppo come filiere territoriali logistiche rivolte all'internazionalizzazione delle produzioni e alla maggiore apertura ai mercati esteri: area vasta dell'Abruzzo meridionale; area vasta del basso Lazio e dell'alto casertano; area vasta torrese-stabiese; area vasta pugliese Bari-Taranto-Brindisi; area vasta della piana di Sibari; area vasta catanese (Sicilia orientale); area vasta della Sardegna settentrionale;
con un compiuto sistema dei trasporti nel Mezzogiorno e una strategia di sviluppo basata su piattaforme logistiche «di filiera» a larga scala, nelle quali offrire servizi completi di cui necessitano le attività produttive e distributive per affrontare il mercato globale, sarà possibile innescare la ripresa, a partire proprio dal Sud;
la miopia culturale ed economica di una politica di tagli nei settori della formazione e della ricerca è stata denunciata già nel «Manifesto per la ricerca in Europa», promosso nel 1996 dall'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli;
l'Italia possiede il più importante patrimonio culturale al mondo, ma la cultura nel nostro Paese contribuisce per poco più del 2 per cento al prodotto interno lordo, meno della metà di Francia e Germania. Il potenziale di crescita è enorme, ma mancano progetti, capacità e fondi;
per «cultura» si deve intendere una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza; in questo senso il rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale rappresenta un volano per la crescita produttiva e sociale;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione scolastica. Si deve, dunque, promuovere la qualità delle risorse umane attraverso un'offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali;
la strategia di crescita deve essere attivata con urgenza, anche con politiche pubbliche capaci di rimettere in moto questo protagonismo;
ad esempio, la Svimez ha prospettato un'analisi sulla gestione delle acque. Su indicazione dell'Unione europea, l'Italia ha organizzato una rivisitazione della gestione delle acque in due grandi comprensori, Nord e Mezzogiorno continentale. Anche in virtù del passato ruolo che la Cassa del Mezzogiorno ha avuto proprio in questo settore, il Mezzogiorno ha pronti progetti estremamente articolati, con costi ben definiti, immediatamente attivabili, a condizione che le regioni del Sud con le risorse dei fondi strutturali si diano da fare in questa direzione;
anche per la geotermia vale la stessa considerazione: le risorse ci sono, manca uno schema di programmazione, non indicativa in questo caso, in quanto si tratta di risorse pubbliche, su cui occorre riparametrare le priorità e le esigenze e calibrare l'intensità di questi interventi;
per quanto riguarda acque ed energia, pur non essendo risolutiva, se si mette in moto la valorizzazione del geotermico, non ci sarà necessità di finanziamenti statali dopo aver concesso le autorizzazioni e fissato i regolamenti, condizioni assolutamente assenti in questo momento. La regione Campania potrebbe essere paragonata ad un hub di questa questione, ma non c'è un regolamento, ci sono richieste di autorizzazione mai evase da anni e il capitale finanziario di tutto il mondo è perfettamente disponibile a entrare in un business di quel genere a certe condizioni, con certi regolamenti, per dare una risposta. Le risorse, infatti, si possono attrarre, oltre a quelle che si mettono a disposizione come risorse pubbliche;
la fiscalità di sviluppo è il complemento di queste cose, anche se il Governo - come ha rilevato il presidente della Svimez - è guidato da un tecnico che ha sempre duramente negato ogni forma di fiscalità differenziata a favore del Mezzogiorno quando era alla Commissione europea, ma che una volta al Governo ha cominciato con la differenziazione dell'applicazione dell'imposta irap e, quindi, ha abbandonato una posizione che è stato il credo e che per anni ha penalizzato il Sud, con l'inconsistente argomento che vi fosse una violazione dalla concorrenza, quando invece l'Italia è in un'unione monetaria dove esistono politiche fiscali diverse, con buona pace della concorrenza;
la collocazione derivante dall'insularità, che coinvolge un'ampia porzione del territorio meridionale, incide profondamente su tutti gli aspetti - siano essi economici o sociali - e ne rende «diversi» le comunità ed i territori, diversità che ha avuto un riconoscimento giuridico particolare;
in ambito europeo, anche se non c'è ancora stato un provvedimento comune, alcune realtà sono riuscite a ottenere benefici, come la Corsica e le isole britanniche. La questione dell'insularità è stata affrontata più volte nel Parlamento europeo, che, infatti, nel 1997 adottò una risoluzione per avviare «una politica integrata adeguata alla specificità delle regioni insulari dell'Ue» e poi, nel 1998, con il trattato di Amsterdam, con il quale l'Europa riconobbe il principio «che è necessario ridurre il divario esistente tra i livelli di sviluppo dei vari territori e colmare il ritardo delle regioni meno favorite, come le isole». Oltre non si è andati, nell'arco di oltre dieci anni;
l'Europa tiene conto delle variabili nel concedere politiche destinate ad aiutare le isole, proprio seguendo il principio del trattato di Amsterdam, ma ciò non basta, non è bastato agli Stati membri, quando gli stessi hanno deciso di soccorrere, con aiuti e provvedimenti specifici, i territori isolani svantaggiati, a non incappare nelle maglie dei veti in materia di aiuti di Stato;
gli svantaggi strutturali di tali territori sono evidenti - la dipendenza dai trasporti marittimi e aerei con i sovraccosti del tempo perso anche durante i processi produttivi - e l'economia insulare risente sempre della ristrettezza del mercato locale e di una scarsa diversificazione economica, che la rende vulnerabile alle fluttuazioni dei mercati;
occorre, dunque, trovare una soluzione in grado di superare tutti gli ostacoli di natura giuridico-legislativa, in particolare con riguardo ai principi del diritto comunitario;
non si tratterebbe, peraltro, di fiscalità differenziata. Oggi, data la condizione delle finanze pubbliche, si deve fare una fiscalità di attrazione, del tipo irlandese degli anni '90, cioè il greenfield, nuovi investimenti, zero tasse, in cui non si perde nulla, ma si guadagna in prospettiva; quindi, quel tipo di vantaggio fiscale non è un costo per le finanze pubbliche;
il presidente della Svimez, a questo proposito, ha ricordato che nella legge finanziaria per il 2010 ci sono due disposizioni che prevedono che chi fa investimenti, curiosamente aziende che vengono dall'estero, possa scegliere il regime fiscale che considera più appropriato nell'ambito dell'intera Unione europea. Opportunamente, è stato detto che occorre un regolamento, perché ciò sarebbe micidiale. Questo evidenzia come oggi il principio della fiscalità di vantaggio si possa declinare in molti modi;
infine, l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 è un obiettivo molto ambizioso e potrebbe essere difficile da conseguire, se il sistema non manifesta una reattività adeguata in termini di crescita. I dati forniti dalla Svimez dimostrano che le scelte fatte per conseguire il pareggio non devono infierire sull'economia, come invece è stato fatto per mezzo delle ultime cinque manovre, in quanto determinano - guardando alle dinamiche del prodotto interno lordo e dell'occupazione per il 2011 e per il 2012, per il quale si hanno già delle stime abbastanza consolidate - una divergenza tra le aree del Paese;
il conseguimento del pareggio di bilancio e gli avanzi primari necessari per il pareggio del bilancio hanno, dal punto di vista italiano, in un sistema dualistico, una forte conseguenza redistributiva, che penalizza proprio le aree più deboli. Ciò richiede politiche di compensazione. A prescindere da tutto, la situazione di una previsione di lungo periodo di forti avanzi primari equivale a dire che ci sarà una redistribuzione finanziaria dal Sud verso il Nord molto rilevante, tanto più rilevante quanto più il debito italiano sarà in mano ai residenti,
impegna il Governo:
a porre in essere iniziative che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale, creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, rifinanziando in maniera adeguata il credito d'imposta, in particolare nelle regioni meridionali, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono ed a sostegno degli investimenti nelle medesime regioni, utilizzando a tale fine anche le somme derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento nazionale per l'utilizzo dei fondi strutturali da parte dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per il reintegro delle somme sottratte al fondo per le aree sottoutilizzate dai provvedimenti promossi dal precedente Governo;
ad attuare pienamente le norme relative all'istituzione delle zone franche urbane;
a predisporre, per quanto di competenza, iniziative per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
ad assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio meridionale;
ad assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
a promuovere, attraverso un confronto nelle sedi dell'Unione europea, una revisione della normativa comunitaria in merito agli aiuti di Stato, al fine di ottenere la possibilità di applicare nelle regioni meridionali una fiscalità di vantaggio;
a elaborare, finanziare e realizzare progetti di rilancio dei poli museali nel Sud, intesi come azione di valorizzazione dei territori e come fattori di attrazione di investimenti, nonché un piano pluriennale di restauro e recupero dei beni culturali presenti nel Mezzogiorno, intesi come «attrattori culturali», fissando le dovute priorità, ad iniziare dal sito archeologico di Pompei, programmazione alla quale associare finanziamenti congrui e certi, nonché un piano straordinario di manutenzione ordinaria;
a programmare la costruzione - con particolare riguardo al Sud del nostro Paese - di un sistema integrato e trasversale, che coinvolga formazione, università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start-up, turismo, infrastrutture, trasporti e comunicazione;
a coordinare e selezionare con le università, i centri di ricerca, le imprese del Mezzogiorno, i progetti di ricerca prioritari nei settori nei quali l'Italia può diventare leader e sui quali concentrare le risorse finanziarie ed umane, ed a favorire l'insediamento nei territori, anche sulla base dei risultati conseguiti da tali ricerche, di imprese innovative, con capitali reperiti sul mercato;
ad operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana, che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei prodotti italiani di qualità.
(1-00935)
«Aniello Formisano, Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini, Palagiano, Palomba, Messina, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
nel Sud ormai sussiste un'emergenza lavoro ed in particolare per i giovani; secondo i dati raccolti nel rapporto Svimez 2011, due su tre sono senza occupazione, oltre il 30 per cento dei laureati under 34 non lavora e non studia;
nel Mezzogiorno, secondo i dati del rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione giovanile tra i 15 e i 34 anni, è giunto nel 2010 ad appena il 31,7 per cento, il dato medio del 2009 era del 33,3 per cento; per le donne nel 2010 non si raggiunge che il 23,3 per cento, segnando un divario di 25 punti con il nord del Paese che è al 56,5 per cento;
la questione generazionale italiana, segnala la Svimez, diventa quindi emergenza e allarme sociale nel Mezzogiorno; infatti, aumentano i giovani con alto livello di istruzione, quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30 per cento dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Sempre secondo Svimez, sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori dal sistema formativo e dal mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e in Calabria;
in sette anni dal 2003 al 2010, al Sud, gli inattivi, quindi né occupati né disoccupati, sono aumentati di oltre 750 mila unità;
nel Mezzogiorno d'Italia una persona su quattro non lavora, nel 2010 il tasso di disoccupazione nel Sud è stato del 13,4 per cento, contro il 12 per cento del 2008, più del doppio del Centro-Nord che è stato del 6,4 per cento e che nel 2008 era il 4,5 per cento;
se si dovessero considerare tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della cassa integrazione guadagni e che cercano lavoro non attivamente, il tasso di disoccupazione corretto salirebbe al 14,8 per cento, a livello nazionale, dall'11,6 per cento del 2008, con punte del 25,3 per cento nel Mezzogiorno, quasi 12 punti in più del tasso ufficiale, e del 10,1 per cento nel Centro-Nord;
negli ultimi due anni, secondo il rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione è sceso al Sud dal 46 per cento del 2008 al 43,9 per cento del 2010, e al Centro-Nord dal 65,7 per cento al 64 per cento. Su 533 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281 mila si sono persi nel Mezzogiorno. Con meno del 30 per cento degli occupati italiani, al Sud si concentra dunque il 60 per cento della perdita di posti di lavoro;
il prodotto interno lordo in Italia cresce meno della media nell'Unione europea, ma nel Sud si segnala un'evidente difficoltà; in base alle valutazioni della Svimez, nel 2010 il Mezzogiorno ha segnato rispetto all'anno precedente un modesto +0,2 per cento, ben lontano dal +1,7 per cento del Centro-Nord;
per i consumi relativi alle famiglie, nel 2010 l'incremento della spesa nel Mezzogiorno è stato un terzo del Centro-Nord, ovvero +0,4 per cento contro +1,3 per cento; dal 2000 al 2010 la spesa delle famiglie al Nord è cresciuta dello 0,5 per cento, al Sud è scesa dello 0,1 per cento;
il Mezzogiorno continua a scontare, inoltre, un deficit infrastrutturale che impedisce qualsiasi programmazione e idea di sviluppo economico e gli effetti, anche in presenza di una crisi economica che causa recessione, sono devastanti;
a rendere la situazione ancora più drammatica nel Sud è lo stato di dissesto idrogeologico del territorio che, ad ogni calamità o evento, produce danni ingenti e impone l'utilizzo di risorse per affrontare le emergenze, ma che diventa una sottrazione sostanziale di fondi destinati alla programmazione di interventi strutturali;
ad incidere sulle condizioni di vita, ma anche delle relazioni commerciali e della mobilità nel Mezzogiorno è il progressivo e continuo disimpegno da parte di Ferrovie dello Stato italiane spa. Questo, aggiunto al notevole ritardo nell'avvio e completamento di grandi opere, come, ad esempio, il ponte di Messina, che sconta anche una riduzione degli stanziamenti, diventa un ostacolo insormontabile che impedisce lo sviluppo, la nascita e il rafforzamento di piccole e medie imprese, creando di fatto un corto circuito economico;
il Mezzogiorno ha subito, negli ultimi anni, lo storno di ingenti risorse derivanti dai fondi per le aree sottoutilizzate; queste risorse sottratte al Sud e utilizzate per altri scopi risulterebbero essere pari a diverse decine di miliardi euro. Ciò ha inciso profondamente nelle politiche di sviluppo e frenato l'azione delle regioni meridionali interessate. A tal fine, devono essere utilizzate le nuove regole varate dalla Commissione europea in materia di utilizzo dei fondi strutturali;
altri elementi che hanno impedito al Sud di affrontare le problematiche strutturali e quelle derivanti dalla crisi economica sono stati l'arretramento avvenuto per quanto attiene alla possibilità di utilizzare il credito di imposta, in particolare per piccole e medie aziende, nonché la stretta operata dagli istituti di credito, che hanno sottratto alle imprese la possibilità di accedere a liquidità essenziali, in particolare nell'attuale momento vissuto dal nostro Paese. Anche in questo caso, in materia di credito di imposta per le imprese del Sud, va avviato l'utilizzo di fondi strutturali, tenuto conto della decisione in merito presa dalla Commissione europea,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative volte ad reintegrare le risorse prelevate dal fondo per le aree sottoutilizzate ed utilizzate per altri scopi, al fine di sostenere i programmi infrastrutturali ormai improcrastinabili per il Mezzogiorno;
a prevedere l'avvio in tempi rapidi di iniziative di sostegno nel Mezzogiorno alle imprese, in particolare piccole e medie, nonché all'occupazione, attraverso il credito di imposta, utilizzando i fondi strutturali resisi disponibili alla luce delle decisioni della Commissione europea, e ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché il sistema creditizio supporti le imprese nel Mezzogiorno concedendo crediti, essenziali per la vita delle imprese stesse;
a verificare la possibilità di procedere ad un piano straordinario, dotato di un congruo finanziamento, per interventi strutturali di risanamento del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno, anche inteso come volano occupazionale;
ad attuare azioni efficaci nei confronti di Trenitalia affinché garantisca una maggiore e adeguata disponibilità di corse e di convogli per il trasporto di merci e persone tra il Nord e il Sud, evitando la politica di abbandono del Mezzogiorno fino ad oggi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, pervicacemente attuata, anche al fine di garantire la continuità territoriale, tenuto conto che senza un adeguato sistema di trasporto ferroviario non può esserci alcuna forma di sviluppo economico che abbia basi solide.
(1-00940)
«Ruvolo, Moffa, Milo, Taddei, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Scilipoti, Siliquini, Stasi».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)
La Camera,
premesso che:
la crisi economica che tuttora attanaglia l'Italia e l'Europa, seppure con alcuni segnali di lieve ripresa, ha mostrato, in tutta la sua drammatica realtà, il profondo divario economico e strutturale esistente tra il Nord e il Sud del Paese, due «Italie» distinte e separate da un ritardo territoriale accumulato nel corso degli anni e mai colmato;
nelle più alte sedi istituzionali è stata sottolineata l'importanza del contributo che le risorse umane e materiali del Mezzogiorno possono dare alla crescita dell'intero sistema Paese. Da ultimo, in occasione dell'incontro dal titolo «Il Nord e il Sud dell'Italia a 150 anni dall'Unità», promosso dall'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (Svimez), è stato affermato che le prospettive di ripresa del processo di crescita dell'Italia sono strettamente legate alla piena valorizzazione di tutte le nostre risorse, a cominciare da quella del Mezzogiorno, e che tale consapevolezza deve guidare le azioni di risanamento e di riforma da promuovere nel quadro di una nuova visione di più avanzata integrazione e di solidale sviluppo dell'Europa;
ciò nonostante, i dati che costantemente vengono resi noti sulla situazione economica del Meridione mostrano un quadro allarmante;
il protrarsi della crisi e la mancanza di una reale ripresa hanno prodotto conseguenze dannose su molti settori, tra i quali l'occupazione, che già presentava bassi livelli di crescita prima dell'avvento della crisi economica;
secondo i dati del rapporto Svimez del 2011 nel Sud, tra il 2008 ed il 2010 si è registrata un calo dell'occupazione del 4,3 per cento, a fronte dell'1,5 per cento del Centro-Nord. Sono state 533 mila le unità di lavoro perse in Italia e di queste ben 281 mila solo nel Mezzogiorno. Pertanto, pur essendo presenti al Sud meno del 30 per cento degli occupati italiani, è nel Sud che si concentra il 60 per cento delle perdite di lavoro determinate dalla crisi;
i giovani e le donne rappresentano le categorie più penalizzate dalla crisi economica che ha colpito duramente il mercato del lavoro. Sarebbero uno su tre i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni a non avere un'occupazione. Secondo l'Istat, il tasso di disoccupazione giovanile a gennaio è pari al 31,1 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011. Da un'analisi svolta dal centro studi Datagiovani per Il Sole 24 ore, emerge che sono perlopiù i giovani e residenti al Sud le persone che hanno smesso di lavorare nei primi nove mesi del 2011. In particolare, sono circa 300 mila i disoccupati che hanno dichiarato di aver perso il posto nel 2011, di questi circa 124 mila risultano residenti al Sud, il 41,5 per cento del totale, il 39,1 per cento al Nord e il 19,4 per cento al Centro;
è una vera e propria emergenza quella che riguarda i giovani del Sud del Paese: due su tre risultano essere senza un'occupazione. Ma dati ancor più inquietanti sono quelli che fotografano la realtà dell'occupazione femminile: il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30,4 per cento, rispetto al 54,8 per cento del Centro-Nord; per una donna under 34 il tasso scende al 23,3 per cento, pari a meno di una su quattro. Il livello della disoccupazione, invece, se si considerano anche le diverse categorie di donne che si dividono tra ricerche saltuarie e lavoro sommerso, è pari al 30,6 per cento, una cifra doppia rispetto a quella ufficiale;
il 2011 ha segnato un periodo di profonda crisi economica per le piccole e medie imprese: il numero dei fallimenti è risultato il più alto dal 2006. Mentre il Nord-Est ha registrato un dato sostanzialmente stabile rispetto al 2010, l'aumento più forte delle procedure di fallimento ha riguardato il Sud e le isole, con l'11,2 per cento, seguiti dal Centro, con il 9,5 per cento, e dal Nord-Ovest, con l'8,4 per cento;
più dell'80 per cento delle imprese del Mezzogiorno ha subito i contraccolpi della crisi e ora, come nel resto d'Italia, le stesse imprese sono soffocate dalla stretta dei crediti bancari, a cui si sommano i ritardi strutturali e infrastrutturali dell'intera regione meridionale: tale ritardo infrastrutturale non riguarda solo il trasporto ferroviario, ma anche quello su gomma e le diverse infrastrutture per la fornitura dei servizi idrici, energetici e per il trasporto pubblico locale;
dopo un lungo periodo nel quale la questione meridionale sembrava essere stata rimossa dall'agenda nazionale, ci sono stati segnali importanti circa la disponibilità del nuovo Governo ad affrontare tale questione, nel tentativo di colmare quel divario non più tollerabile che separa il Nord dal Sud del Paese, attraverso l'individuazione di un piano di interventi prioritari,
impegna il Governo:
ad adottare tutte le opportune iniziative volte a sostenere l'occupazione nelle aree del Mezzogiorno, con particolare riferimento all'occupazione giovanile e femminile;
a prevedere l'opportunità di intraprendere azioni a favore delle imprese del Sud, anche attraverso misure che garantiscano maggiori possibilità di accesso al credito e sgravi fiscali;
ad avviare con estrema urgenza un piano di interventi strutturali e infrastrutturali a sostegno della crescita e dello sviluppo dell'intera regione meridionale.
(1-00941)
«Versace, Fabbri, Mosella, Pisicchio, Tabacci, Vernetti, Brugger».
(19 marzo 2012)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)