XVI LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 27 marzo 2012.
Albonetti, Alessandri, Ascierto, Bergamini, Bindi, Bocci, Bongiorno, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cicchitto, Cimadoro, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Dozzo, Evangelisti, Fava, Gregorio Fontana, Anna Teresa Formisano, Tommaso Foti, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Grassano, Iannaccone, Leo, Leone, Libè, Lombardo, Lucà, Lulli, Lupi, Lussana, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Monai, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Pisicchio, Rainieri, Stefani, Stucchi, Tortoli, Valducci, Vico, Volontè.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Albonetti, Alessandri, Ascierto, Bergamini, Bindi, Bocci, Bongiorno, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Casini, Castagnetti, Cicchitto, Cimadoro, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Dozzo, Evangelisti, Fava, Gregorio Fontana, Anna Teresa Formisano, Tommaso Foti, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Grassano, Iannaccone, Jannone, Leo, Leone, Libè, Lombardo, Lucà, Lulli, Lupi, Lussana, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Monai, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Pecorella, Pisicchio, Rainieri, Stefani, Stucchi, Tortoli, Valducci, Vico, Volontè.
Annunzio di proposte di legge.
In data 26 marzo 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
FAENZI: «Agevolazione fiscale in favore dei proprietari di cavalli sportivi utilizzati nell'esercizio dell'attività agonistica» (5087);
FAENZI: «Istituzione di un Fondo di solidarietà per l'erogazione di contributi ai piccoli imprenditori in caso di rigetto di richieste di credito o di revoca di affidamenti da parte di banche o intermediari creditizi» (5088);
BOBBA: «Modifiche al decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, in materia di pubblicità ingannevole realizzata mediante alterazione dell'apparenza fisica delle persone rappresentate» (5089).
Saranno stampate e distribuite.
Adesione di un deputato a una proposta di legge.
La proposta di legge AMICI ed altri: «Disposizioni per promuovere la rappresentanza di genere nei consigli regionali e degli enti locali» (3466) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Bossa.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
III Commissione (Affari esteri):
DI STANISLAO e EVANGELISTI: «Disposizioni per la riorganizzazione della cooperazione allo sviluppo e delle politiche di solidarietà internazionale, istituzione dell'Agenzia per la cooperazione allo sviluppo e della Consulta per la cooperazione allo sviluppo e norme in materia di commercio equo e solidale, di microcredito e di sostegno e adozione a distanza» (5016) Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, X, XI, XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
VI Commissione (Finanze):
CAMBURSANO ed altri: «Disposizioni e delega al Governo per il contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale nonché introduzione dell'articolo 12-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, in materia di destinazione del conseguente maggior gettito alla riduzione della pressione fiscale» (5011) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X, XI e XIV.
VII Commissione (Cultura):
TREMONTI: «Modifica all'articolo 45 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, in materia di trasmissione di opere cinematografiche in lingua originale inglese» (5047) Parere delle Commissioni I, V e IX.
Assegnazione del disegno di legge comunitaria e della relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, ai sensi dell'articolo 126-ter del regolamento.
A norma degli articoli 72, comma 1, e 126-ter, comma 1, del regolamento, il seguente disegno di legge è assegnato, in sede referente, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali:
«Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2012» (4925).
A norma dell'articolo 126-ter, comma 1, del regolamento, è altresì assegnata alla XIV Commissione, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, la relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2011 (doc. LXXXVII, n. 5).
Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
sentenza n. 40 del 21 novembre 2011-23 febbraio 2012 (doc. VII, n. 733) con la quale:
dichiara che spettava al Presidente del Consiglio dei ministri emettere le note del 3 dicembre 2009, n. 50067/181.6/2/07.IX.I, e del 22 dicembre 2009, n. 52285/181.6/2/07.IX.I, con le quali è stata confermata, nei termini ivi indicati, l'esistenza del segreto di Stato opposto da Nicolò Pollari e da Pio Pompa nel corso di un procedimento penale a loro carico:
alla I Commissione permanente (Affari costituzionali);
sentenza n. 55 del 5-9 marzo 2012 (doc. VII, n. 739) con la quale:
dichiara estinto il processo concernente il giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 13, e 6, comma 5, della legge della regione Lazio 22 aprile 2011, n. 6, recante «Disposizioni urgenti in materia sanitaria. Modifiche alla legge regionale 28 dicembre 2007, n. 26 Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2008 (articolo 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)» e successive modifiche, alla legge regionale 10 agosto 2010, n. 3 «Assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2010-2012 della regione Lazio» e successive modifiche e alla legge regionale 24 dicembre 2010, n. 9 «Disposizioni collegate alla Legge finanziaria regionale per l'esercizio finanziario 2011 (articolo 12, comma 1, Legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)». Promozione della costituzione dell'istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) di Tor Vergata. Salvaguardia dei livelli occupazionali nella sanità privata»:
alla XII Commissione permanente (Affari sociali);
sentenza n. 58 del 7-19 marzo 2012 (doc. VII, n. 740) con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 335 del codice penale, sollevata, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal tribunale di Nola in composizione:
alla II Commissione permanente (Giustizia);
sentenza n. 63 del 7-21 marzo 2012 (doc. VII, n. 743) con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 30, comma 4, dello statuto della regione Molise, approvato, in prima lettura, con deliberazione del consiglio regionale n. 184 del 19 luglio 2010, confermato, in seconda lettura, con deliberazione n. 35 del 22 febbraio 2011, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della regione n. 7, edizione straordinaria, del 2 marzo 2011, in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera l), e 123 della Costituzione, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 53, comma 4, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera l), e 123 della Costituzione, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 67, comma 1, del predetto statuto, in riferimento agli articoli 117, quinto comma, e 121, secondo e terzo comma, della Costituzione, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla I Commissione permanente (Affari costituzionali);
sentenza n. 64 del 7-21 marzo 2012 (doc. VII, n. 744) con la quale:
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi da 1 a 4 dell'articolo 2 e del comma 2 dell'articolo 14 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), promosse, in riferimento agli articoli 14, lettera o), 36 e 37 dello statuto speciale della regione siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) ed alle «relative» norme di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia finanziaria), nonché agli articoli 81 e 119, quarto comma, della Costituzione e alla «autonomia finanziaria dei comuni», dalla regione siciliana;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle «ulteriori disposizioni del medesimo decreto ad essi correlati che possono pregiudicare l'autonomia finanziaria della regione», promosse, in riferimento agli articoli 36 e 37 dello statuto speciale della regione siciliana ed alle «relative» norme di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1074 del 1965, nonché agli articoli 81 e 119, quarto comma della Costituzione e alla «autonomia finanziaria dei comuni», dalla regione siciliana:
alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze).
La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
con lettera in data 9 marzo 2012, sentenza n. 50 del 5-9 marzo 2012 (doc. VII, n. 734), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5 della legge della regione Umbria 30 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni collegate alla manovra di bilancio 2011 in materia di entrate e di spese), in quanto riferito agli anni 2011 e 2012;
dichiara cessata la materia del contendere con riguardo al giudizio concernente l'articolo 5, comma 1, della legge della regione Umbria n. 4 del 2011, in quanto riferito agli anni successivi al 2012, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 30 della legge della regione Umbria n. 4 del 2011, promossa, in riferimento agli articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
alla VI Commissione permanente (Finanze);
con lettera in data 9 marzo 2012, sentenza n. 51 del 5-9 marzo 2012 (doc. VII, n. 735), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11, commi 1 e 10, della legge della regione Molise 24 marzo 2011, n. 6 (Norme sull'organizzazione dell'esercizio di funzioni e compiti amministrativi a livello locale. Soppressione delle comunità montane):
alla XI Commissione permanente (Lavoro);
con lettera in data 9 marzo 2012, sentenza n. 52 del 5-9 marzo 2012 (doc. VII, n. 736), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 4 e 5, della legge della regione Marche 4 aprile 2011, n. 4 (Criteri di premialità connessi alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nelle procedure di aggiudicazione di lavori od opere pubblici di interesse regionale), nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall'articolo 22 della legge della regione Marche 31 ottobre 2011, n. 20 (Assestamento del Bilancio 2011);
dichiara l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell'articolo 2, comma 4, della legge della regione Marche n. 4 del 2011, nel testo sostituito dall'articolo 22 della legge della regione Marche n. 20 del 2011:
alla VIII Commissione permanente (Ambiente);
con lettera in data 9 marzo 2012, sentenza n. 53 del 5-9 marzo 2012 (doc. VII, n. 737), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5 della legge della regione Piemonte 29 aprile 2011, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 28 luglio 2008, n. 23 (Disciplina dell'organizzazione degli uffici regionali e disposizioni concernenti la dirigenza e il personale) in attuazione del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e adeguamento al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in materia di organizzazione e contenimento della spesa del personale»:
alla I Commissione permanente (Affari costituzionali);
con lettera in data 9 marzo 2012, sentenza n. 54 del 5-9 marzo 2012 (doc. VII, n. 738), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 3, della legge della regione Molise 21 aprile 2011, n. 7 (Disposizioni in materia di produzione di energia), nella parte in cui prevede il divieto di installazione sul proprio territorio di depositi di materiali e rifiuti radioattivi:
alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);
con lettera in data 21 marzo 2012, sentenza n. 61 del 7-21 marzo 2012 (doc. VII, n. 741), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1230 (Trasferimento in proprietà all'Opera per la valorizzazione della Sila di terreni di proprietà di Prever Ada fu Giovanni, in comune di Santa Severina - Catanzaro), in quanto ha compreso nella espropriazione particelle di terreno non appartenenti al soggetto espropriato:
alla VIII Commissione permanente (Ambiente);
con lettera in data 21 marzo 2012, sentenza n.62 del 7-21 marzo 2012 (doc. VII, n. 742), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, dell'articolo 5 e dell'articolo 9, comma 1, della legge della regione Puglia 20 giugno 2011, n. 11 (Gestione del servizio idrico integrato. Costituzione dell'Azienda pubblica regionale «Acquedotto pugliese - AQP»), oggetto delle questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 6, lettera g), della legge della regione Puglia 30 maggio 2011, n. 9 (Istituzione dell'Autorità idrica pugliese), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione:
alla VIII Commissione permanente (Ambiente);
con lettera in data 23 marzo 2012, sentenza n. 66 del 19-23 marzo 2012 (doc. VII, n. 745), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12 della legge della regione Veneto 26 maggio 2011, n. 10 (Modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 «Norme per il governo del territorio» in materia di paesaggio):
alla VIII Commissione permanente (Ambiente);
con lettera in data 23 marzo 2012, sentenza n. 67 del 19-23 marzo 2012 (doc. VII, n. 746), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della regione siciliana 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l'applicazione nella regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere), in combinato disposto con la legge della regione siciliana 26 agosto 1992, n. 7 (Norme per l'elezione con suffragio popolare del sindaco. Nuove norme per l'elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l'introduzione della preferenza unica), nella parte in cui non prevedono che la carica di sindaco o di assessore di comuni con popolazione superiore a ventimila abitanti sia incompatibile con la carica di deputato dell'assemblea regionale:
alla I Commissione permanente (Affari costituzionali);
con lettera in data 23 marzo 2012, sentenza n. 68 del 19-23 marzo 2012 (doc. VII, n. 747), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 630 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità:
alla II Commissione permanente (Giustizia).
Trasmissione dalla Corte dei conti.
La Corte dei conti - sezione del controllo sugli enti - con lettera in data 23 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione riferita al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Rete autostrade mediterranee (RAM) Spa, per l'esercizio 2010. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (doc. XV, n. 400).
Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).
Trasmissione del ministro per gli affari europei.
Il ministro per gli affari europei, con lettera in data 22 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, e successive modificazioni, la relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2011 (doc. LXXXVII, n. 5).
Questo documento sarà stampato.
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 26 marzo 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Proposta di regolamento del Consiglio sull'esercizio del diritto di promuovere azioni collettive nel quadro della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (COM(2012)130 final) e proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (COM(2012)131 final), nonché il relativo documento di accompagnamento - Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2012)64 final), che sono assegnati in sede primaria alla XI Commissione (Lavoro);
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori per quanto attiene alla commercializzazione di batterie portatili e di accumulatori contenenti cadmio destinati a essere utilizzati negli utensili elettrici senza fili (COM(2012)136 final) e relativo documento di accompagnamento - Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2012)65 final), che sono assegnati in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente);
Proposta di decisione del Consiglio concernente la conclusione dell'Accordo tra l'Unione europea e la Repubblica moldova relativo alla protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli e alimentari (COM(2012)138 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).
Le predette proposte COM(2012)130 final, COM(2012)131 final e COM(2012)136 final sono altresì assegnate alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 27 marzo 2012.
Annunzio di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea.
Il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 16 marzo 2012, ha trasmesso le seguenti sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, adottate a seguito di domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un'autorità giurisdizionale italiana, che sono inviate, ai sensi dell'articolo 127-bis del regolamento, alle sottoindicate Commissioni competenti per materia nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Causa C-135/10: sentenza della Corte (Terza sezione) del 15 marzo 2012. Domanda di pronuncia pregiudiziale: Corte di appello di Torino. Diritto d'autore e diritti connessi nella società dell'informazione - Applicabilità diretta nell'ordinamento giuridico comunitario della Convenzione internazionale sulla protezione degli artisti interpreti o esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione, dell'Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs) e del Trattato dell'Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale sulle interpretazioni ed esecuzioni e sui fonogrammi (WPPT) - Interpretazione dell'articolo 3, n. 2, della direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione - Nozione di «comunicazione al pubblico» - Radiodiffusione e comunicazione al pubblico di fonogrammi in uno studio dentistico (doc. LXXXIX, n. 156) - alla VII Commissione (Cultura);
Causa C-157/11: sentenza della Corte (Sesta sezione) del 15 marzo 2012. Domanda di pronuncia pregiudiziale; tribunale di Napoli. Politica sociale - Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato - Direttiva 1999/70/CE - Clausola 2 - Nozione di «un contratto o un rapporto di lavoro definito dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascun Stato membro» - Ambito di applicazione dell'accordo quadro - Clausola 4, punto 1 - Principio di non discriminazione - Persone che svolgono «lavori socialmente utili» presso amministrazioni pubbliche - Normativa nazionale che esclude l'esistenza di un rapporto di lavoro - Normativa nazionale che prevede una differenza tra l'indennità pagata ai lavoratori socialmente utili e la retribuzione percepita dai lavoratori a tempo determinato e/o indeterminato assunti dalle stesse amministrazioni e che svolgono le medesime attività (doc. LXXXIX, n. 157) - alla XI Commissione (Lavoro).
Trasmissione dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni.
Il presidente dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), con lettera in data 20 marzo 2012, ha trasmesso il rapporto - aggiornato al 31 dicembre 2011 - sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, predisposto ai sensi dell'articolo 46, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.
Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).
Trasmissione dal Consiglio nazionale degli utenti.
Il presidente del Consiglio nazionale degli utenti, con lettera in data 16 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 28, della legge 31 luglio 1997, n. 249, una proposta concernente l'introduzione di norme per l'eliminazione della pubblicità televisiva, dei messaggi promozionali, delle sponsorizzazioni e degli spot aventi ad oggetto il gambling nelle fasce protette per la tutela dei minori.
Questa documentazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze), alla VII Commissione (Cultura) e alla XII Commissione (Affari sociali).
Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 21 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 12 e 24, comma 1, della legge 15 dicembre 2011, n. 217, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo concernente modifiche e integrazioni alla legge 9 luglio 1990, n. 185, recante «Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», in attuazione della direttiva 2009/43/CE che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all'interno della Comunità di prodotti per la difesa, come modificata dalla direttiva 2010/80/CE per quanto riguarda l'elenco di prodotti per la difesa (449).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 6 maggio 2012. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 16 aprile 2012.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 22 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 21 e 24, comma 1, della legge 15 dicembre 2011, n. 217, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2009/50/CE sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (450).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 6 maggio 2012. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 16 aprile 2012.
Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 22 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e dell'articolo 3, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente la realizzazione del progetto denominato «Autostrada A27 Mestre-Belluno. Nuovo svincolo autostradale e stazione di Santa Lucia di Piave (Treviso)» (451).
Tale richiesta è assegnata, d'intesa con il Presidente del Senato, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 16 aprile 2012.
Il ministro della difesa, con lettera in data 14 marzo 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 306, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale concernente il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo della difesa per gli anni 2010 e 2011 (452).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla IV Commissione (Difesa), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 16 aprile 2012.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
INTERROGAZIONE
Elementi e iniziative in merito alle protesi al seno di tipo poly implant prothese (pip) - 3-01995
A)
BINETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in Francia trentamila donne che hanno avuto impiantata una protesi al seno di tipo poly implant prothese (pip) sono state richiamate dalle autorità sanitarie per rimuoverle, perché a rischio di poter sviluppare tumori;
tutto è iniziato quando la Pip, con sede a La Seyne sur Mer, ha chiesto l'autorizzazione per produrre e commercializzare protesi al seno circa dieci anni fa. Il marchio europeo è stato rilasciato per un certo tipo di silicone adatto ad un uso medico, ma è stato utilizzato nella forma originariamente prevista solo agli inizi. Poi, l'aumento delle richieste e l'evidente desiderio di un maggiore guadagno a più bassi prezzi di costo ha indotto la ditta ad utilizzare un materiale più scadente, inadatto all'uso negli impianti mammari, destinati in parte a persone operate di tumore al seno e, nella maggiore parte dei casi, per interventi di chirurgia estetica;
dal 2001, infatti, nel sud est della Francia è stato usato un gel di silicone diverso da quello previsto a norma di legge per gli usi in sanità, tanto da far moltiplicare negli ultimi anni le segnalazioni di problemi e costringere l'agenzia francese ad un'ispezione nei laboratori della Pip;
le protesi fabbricate dall'azienda francese Pip possono lacerarsi, provocando notevoli danni, che vanno dalle infiammazioni, alle possibili forme tumorali; recentemente poi si è aggiunta anche una vera e propria sindrome da stress nelle donne portatrici di queste protesi, perché esse temono da un momento all'altro che esplodano all'interno del loro organismo;
la decisione presa dalle autorità sanitarie francesi non ha precedenti; il Governo di Parigi non ha dubbi sul rapporto tra il difetto della protesi (che si può rompere diffondendo il liquido nel corpo della paziente) e la comparsa dei processi infiammatori o di un possibile cancro;
benché fuori dal mercato italiano da circa due anni, l'allerta si è rapidamente diffusa anche in Italia, dove un numero non ben identificato di donne ha una protesi di questo tipo;
il Ministro interrogato ha convocato d'urgenza il Consiglio superiore di sanità. Un vertice finalizzato a fare il punto sulle protesi finite sotto accusa, poiché fabbricate con silicone destinato a usi industriali -:
se non ritenga necessario avviare un'indagine volta a rilevare con certezza il numero delle donne colpite da rischio cancerogeno a seguito dell'operazione chirurgica e quali urgenti iniziative intenda mettere in atto per procedere alla sostituzione di queste protesi, oltre che per impedire che sul mercato italiano vengano immesse protesi che non siano a norma e presentino un alto rischio cancerogeno.
(3-01995)
(10 gennaio 2012)
DISEGNO DI LEGGE: S. 3174 - CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 27 FEBBRAIO 2012, N. 15, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL MAGGIO 2012 (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 5049)
A.C. 5049 - Parere della V Commissione
PARERE DELLA V COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE
NULLA OSTA
sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.
A.C. 5049 - Articolo unico
ARTICOLO UNICO DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO
1. È convertito in legge il decreto-legge 27 febbraio 2012, n. 15, recante disposizioni urgenti per le elezioni amministrative del maggio 2012.
2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
ARTICOLI DEL DECRETO-LEGGE NEL TESTO DEL GOVERNO
Art. 1.
(Modifiche transitorie ai termini di presentazione delle liste).
1. In occasione del turno annuale ordinario delle elezioni amministrative della primavera 2012, i termini per la presentazione delle liste e delle candidature previsti dagli articoli 28, ottavo comma, e 32, ottavo comma, del testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, e successive modificazioni, sono anticipati e decorrono dalle ore 8 del trentaquattresimo giorno alle ore 12 del trentatreesimo giorno antecedenti la data della votazione. Conseguentemente, il termine di cui all'articolo 33, terzo comma, del predetto testo unico, è anticipato al trentesimo giorno antecedente la data della votazione.
2. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 2.
(Entrata in vigore).
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
A.C. 5049 - Proposte emendative
PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE AGLI ARTICOLI DEL DECRETO-LEGGE
ART. 1.
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. In attuazione della disposizione di cui all'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, il commissario per gli organi provinciali è nominato nella persona del presidente in carica della medesima amministrazione provinciale in scadenza di mandato elettorale.
1. 1. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. In attuazione della disposizione di cui all'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, il commissario per gli organi provinciali nominato ai sensi dell'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è individuato nella persona del presidente in carica della medesima amministrazione provinciale in scadenza di mandato elettorale.
1. 2. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. Il Ministro dell'interno nomina come commissari degli enti provinciali il cui mandato elettivo è in scadenza gli attuali presidenti di provincia fino al momento in cui gli organi di governo delle province saranno rinnovati secondo le modalità previste dalla legge statale di cui all'articolo 23, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2012.
1. 3. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. In attuazione della disposizione di cui all'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, i commissari degli enti provinciali il cui mandato elettivo è in scadenza sono individuati negli attuali presidenti di provincia fino al momento in cui gli organi di governo delle province saranno rinnovati secondo le modalità previste dalla legge statale.
1. 4. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. Ai fini di garantire la continuità amministrativa per le attività delle province in scadenza di mandato elettivo, il Ministro dell'interno nomina commissari degli enti provinciali, ai sensi dell'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, i presidenti di provincia attualmente in carica.
1. 5. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. Sono nominati commissari degli enti provinciali il cui mandato elettivo è in scadenza gli attuali presidenti di provincia, fino al momento del rinnovo degli organi di governo delle province, secondo le modalità previste dalla legge statale di cui all'articolo 23, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2012.
1. 6. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. Sono nominati commissari degli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 gli attuali presidenti di provincia in corso di mandato elettivo, secondo le modalità di cui all'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214 e sino al 31 marzo 2013.
1. 7. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. In deroga alle disposizioni di legge e regolamentari che disciplinano la raccolta delle sottoscrizioni per uso elettorale, cessa l'obbligo di indicare preventivamente sui moduli cartacei il nome e cognome del candidato o dei candidati, il luogo e la data di nascita di ciascuno.
1. 8. Scilipoti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
1-bis. Dopo il terzo comma dell'articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, recante norme per l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, è inserito il seguente:
«Al di fuori dei casi previsti nei precedenti commi, il pubblico ufficiale che certifica falsamente l'autenticità di sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati non essendo presente all'apposizione della sottoscrizione ovvero forma falsamente in tutto o in parte liste di elettori o di candidati, è punito con l'arresto fino a nove mesi o con l'ammenda da 600,00 a 2.400,00 euro. Chi non possiede la qualifica di pubblico ufficiale e concorre nel reato, è punito con la stessa pena diminuita di un terzo. Ogni ipotesi di concorso formale con il reato di cui all'articolo 479 del codice penale, è esclusa».
1. 9. Scilipoti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere i seguenti:
1-bis. Dopo il terzo comma dell'articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, recante norme per l'elezione degli organi delle Amministrazioni Comunali, è inserito il seguente:
«Al di fuori dei casi previsti nei precedenti commi, il pubblico ufficiale che certifica falsamente l'autenticità di sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati non essendo presente all'apposizione della sottoscrizione ovvero forma falsamente in tutto o in parte liste di elettori o di candidati, è punito con l'arresto fino a nove mesi o con l'ammenda da 600,00 a 2.400,00 euro. Chi non possiede la qualifica di pubblico ufficiale e concorre nel reato, è punito con la stessa pena diminuita di un terzo. Ogni ipotesi di concorso formale con il reato di cui all'articolo 479 del codice penale, è esclusa».
1-ter. In deroga alle disposizioni di legge e regolamentari che disciplinano la raccolta delle sottoscrizioni per uso elettorale, cessa l'obbligo di indicare preventivamente sui moduli cartacei il nome e cognome del candidato o dei candidati, il luogo e la data di nascita di ciascuno.
1. 10. Scilipoti.
(Inammissibile)
Dopo il comma 1, aggiungere i seguenti:
1-bis. Dopo il terzo comma dell'articolo 100 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, recante norme per le elezioni della Camera dei Deputati, è inserito il seguente:
«Al di fuori dei casi previsti nei precedenti commi, il pubblico ufficiale che certifica l'autenticità di sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati non essendo presente all'apposizione della sottoscrizione ovvero forma falsamente in tutto o in parte liste di elettori o di candidati, è punito con l'arresto fino a nove mesi o con l'ammenda da 600,00 a 2.400,00 euro. Chi non possiede la qualifica di pubblico ufficiale e concorre nel reato, è punito con la stessa pena diminuita di un terzo. Ogni ipotesi di concorso formale con il reato di cui all'articolo 479 del codice penale, è esclusa».
1-ter. Dopo il terzo comma dell'articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, recante norme per l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, è inserito il seguente:
«Al di fuori dei casi previsti nei precedenti commi, il pubblico ufficiale che certifica falsamente l'autenticità di sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati non essendo presente all'apposizione della sottoscrizione ovvero forma falsamente in tutto o in parte liste di elettori o di candidati, è punito con l'arresto fino a nove mesi o con l'ammenda da 600,00 a 2.400,00 euro. Chi non possiede la qualifica di pubblico ufficiale e concorre nel reato, è punito con la stessa pena diminuita di un terzo. Ogni ipotesi di concorso formale con il reato di cui all'articolo 479 del codice penale, è esclusa».
1-quater. In deroga alle disposizioni di legge e regolamentari che disciplinano la raccolta delle sottoscrizioni per uso elettorale, cessa l'obbligo di indicare preventivamente sui moduli cartacei il nome e cognome del candidato o dei candidati, il luogo e la data di nascita di ciascuno.
1. 11. Scilipoti.
(Inammissibile)
Dopo l'articolo 1, aggiungere il seguente:
Art. 1-bis. - 1. Al fine di garantire la continuità dell'azione amministrativa per le province giunte in scadenza di mandato elettorale, in attuazione della disposizione di cui all'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214, il commissario per gli organi provinciali nominato ai sensi dell'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, è individuato nella persona del presidente di provincia attualmente in carica.
1. 01. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo l'articolo 1, aggiungere il seguente:
Art. 1-bis. - 1. Al commissariamento degli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si provvede, sino al 31 marzo 2013, mediante la nomina degli attuali presidenti di provincia in corso di mandato elettivo, secondo le modalità di cui all'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214.
1. 02. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo l'articolo 1, aggiungere il seguente:
Art. 1-bis. - 1. Il Ministro dell'interno nomina, come commissari degli enti provinciali il cui mandato elettivo è in scadenza, gli attuali presidenti di provincia fino al momento in cui gli organi di governo delle province saranno rinnovati secondo le modalità previste dalla legge statale di cui all'articolo 23, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
1. 03. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo l'articolo 1, aggiungere il seguente:
Art. 1-bis. - 1. I commissari degli enti provinciali il cui mandato elettivo è in scadenza sono individuati negli attuali presidenti di provincia fino al momento in cui gli organi di governo delle province saranno rinnovati secondo le modalità previste dalla legge statale di cui all'articolo 23, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2012.
1. 04. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
Dopo l'articolo 1, aggiungere il seguente:
Art. 1-bis. - 1. Al commissariamento delle amministrazioni provinciali in scadenza di mandato elettivo si provvede con la nomina degli attuali presidenti di provincia, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come sostituito dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214.
1. 05. Vanalli, Pastore, Bragantini, Volpi, Meroni, Simonetti.
(Inammissibile)
A.C. 5049 - Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
i recenti dibattiti e le vicende giudiziarie relative alle modalità di raccolta delle sottoscrizioni per uso elettorale, ripropongono all'attenzione del Legislatore due aspetti del problema: il primo riferito all'obbligo per i partiti ed i gruppi politici di indicare fin da subito, sui moduli, i nominativi dei candidati; il secondo relativo alla severità delle sanzioni in caso di riscontrate irregolarità, sanzioni che il Parlamento aveva attenuato votando la legge 2 marzo 2004 n. 61, dichiarata, successivamente, parzialmente incostituzionale;
la Corte con sentenza n. 394 del 2006 ha infatti ritenuto che le pene minori previste dalla citata legge fossero in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, sottolineando come vi fosse «una palese dissimmetria tra il trattamento sanzionatorio riservato a dette falsità e quello previsto, in termini generali, dalle norme del codice penale in tema di falso, richiamate (nella stessa legge) a fini di descrizione delle condotte incriminate»;
in altri termini la legge 61 del 2004 è stata censurata non perché ha trasformato il reato di falso elettorale da delitto in contravvenzione attenuandone la pena (discrezionalità che come è noto rientra nelle prerogative del Legislatore), ma per aver «agganciato» l'ipotesi punitiva a norme di carattere generale che prevedono pene più severe per la stessa tipologia di reati;
l'esigenza di introdurre sanzioni meno afflittive aveva trovato ampi consensi nei due rami del Parlamento perché è notorio che la raccolta delle sottoscrizioni è attività assai delicata che può avere pesanti ricadute sugli organizzatori della lista e sugli autenticatori, che assai di frequente operano in condizioni difficili;
a tal proposito non va sottaciuto che è prassi mettere in uso moduli per la raccolta delle sottoscrizioni privi dei nomi dei candidati, per poi procedere ad una regolarizzazione postuma; se però si considera che il periodo di raccolta delle sottoscrizioni ha una durata di sei mesi è facile immaginare che qualche cambiamento o integrazione nelle liste debba e possa avvenire e che quindi l'attuale regolamento è concepito per essere violato e così esporre organizzatori ed autenticatori a conseguenze sia amministrative (ricusazione lista) che penali,
impegna il Governo
a valutare la possibilità di ripresentare un testo che rispettoso delle indicazioni della Corte costituzionale si collochi in modo equilibrato tra la dismessa legge n. 61 del 2004 (per la parte dichiarata incostituzionale) e le gravi sanzioni previste dall'articolo 100 decreto del Presidente della Repubblica 30 febbraio 1957 n. 361 (elezione della Camera dei deputati) e dall'articolo 90 decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1990 n. 570 (elezione delle amministrazioni comunali);
a valutare l'ipotesi, per essere in sintonia con la pronuncia della Consulta, che i reati di falsità riferiti alle liste ed alle sottoscrizioni elettorali conservino la loro «natura speciale» rispetto alle fattispecie ordinarie previste dal codice penale (falso ideologico e falso materiale) e, conseguentemente, per eliminare ogni dubbio, valutare se introdurre un inciso normativo che escluda per legge il concorso formale tra reato «elettorale» ed il reato «generalizio» di falso ideologico (articolo 479 del codice penale);
a valutare la possibilità di rivedere la norma che prevede che i moduli per la raccolta delle sottoscrizioni debbano contenere in modo preventivo anche il nome o i nomi dei candidati.
9/5049/1.Scilipoti.
La Camera,
premesso che:
è stato emanato il decreto per le elezioni amministrative del prossimo 6-7 maggio con decreto del Ministero dell'interno del 24 febbraio 2012;
il Governo ha emanato il decreto-legge 27 febbraio 2012, n. 15 «Disposizioni urgenti per le elezioni amministrative del maggio 2012», per consentire le modifiche transitorie ai termini di presentazione delle liste, in considerazione del periodo festivo pasquale;
non sono previste le elezioni per il rinnovo dei consigli provinciali, a causa di quanto disposto dall'articolo 23, commi 14-20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
il comma 20, in particolare, prevede il commissariamento delle amministrazioni provinciali che sarebbero dovute andare al voto nelle elezioni amministrative del prossimo 6-7 maggio;
tali disposizioni avranno effetti devastanti sulle economie locali poiché non è garantita la continuità amministrativa per le attività delle province che hanno un più forte impatto sul territorio, soprattutto relativamente alte spese di investimento e ai progetti di carattere pluriennale,
impegna il Governo
affinché assuma l'iniziativa per il procedimento di nomina, come commissari degli enti il cui mandato elettivo è ormai giunto a scadenza, degli attuali presidenti di provincia, fino al momento in cui gli organi di governo delle province saranno rinnovati secondo le modalità previste dalla legge statale di cui all'articolo 23, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, come convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2012.
9/5049/2.Vanalli, Giovanelli.
MOZIONI PALAGIANO ED ALTRI N. 1-00384, BINETTI ED ALTRI N. 1-00874, MARTINI ED ALTRI N. 1-00897, LIVIA TURCO ED ALTRI N. 1-00900, PALUMBO ED ALTRI N. 1-00904, STAGNO D'ALCONTRES ED ALTRI N. 1-00917, D'ANNA ED ALTRI N. 1-00919 E PALAGIANO, BINETTI, MARTINI, LIVIA TURCO, DE CAMILLIS, STAGNO D'ALCONTRES, D'ANNA ED ALTRI N. 1-00974 CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL POTENZIAMENTO DELLA «MEDICINA DI GENERE»
Mozioni
La Camera,
premesso che:
nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini (nel 2006 la loro speranza di vita alla nascita era di 84 anni, contro i 78,3 anni degli uomini), ma spesso vivono peggio; si recano dal medico molto più degli uomini (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna) e lo fanno, nella maggior parte dei casi, per affrontare patologie non tipicamente femminili;
secondo i dati del Ministero della salute, il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3 per cento degli uomini; il 9 per cento soffre di osteoporosi contro l'1 per cento degli uomini; il 7,4 per cento di depressione contro il 3 per cento degli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come, ad esempio, l'artrite reumatoide e questo dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile. Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: osteoporosi (+736 per cento), malattie tiroidee (+500 per cento), depressione e ansietà (+138 per cento), cefalea ed emicrania (+123 per cento), Alzheimer (+100 per cento), cataratta (+ 80 per cento), artrosi e artrite (+49 per cento), calcolosi (+31 per cento), l'ipertensione arteriosa (+30 per cento), il diabete (+9 per cento), le allergie (+8 per cento) e alcune malattie cardiache (+5 per cento);
secondo l'ultima indagine Istat su «Condizione di salute e ricorso a servizi sanitari», un'indagine che viene svolta con cadenza quinquennale, le donne di età media hanno, rispetto agli uomini, una percezione negativa del proprio stato di salute. In effetti, esse sono affette con maggiore frequenza degli uomini da quasi tutte le patologie croniche e, in particolar modo, come si è visto, da patologie osteo-articolari, malattie neurodegenerative, diabete, disturbi della funzione tiroidea, ipertensione arteriosa, vene varicose, osteoporosi e cefalea;
la scoperta che uomini e donne differiscono tra loro, non solo per quanto riguarda l'apparato riproduttivo, sembra essere piuttosto recente in campo medico. Infatti, fino a «ieri» ciò che valeva per l'uomo si riteneva valido anche per la donna. Con i progressi della ricerca scientifica sono emerse, però, delle differenze sostanziali tra i generi e più gli studi vanno avanti, maggiori difformità tra uomini e donne emergono. Partendo dal dna, molecola base della vita, che è espresso in modo diverso a seconda del sesso e passando per lo studio di molte malattie - in particolare approfondendo il dolore e le sue terapie - si è, quindi, individuata una branca della medicina ancora poco conosciuta nel nostro Paese: «la medicina di genere»;
nel mese di ottobre 2010, a Padova, si è svolto il secondo congresso nazionale sulla medicina di genere, organizzato dal Centro studi nazionale su salute e medicina di genere e dalla Fondazione Giovanni Lorenzini;
donne e uomini presentano, nell'arco della loro esistenza, patologie differenti o differenti sintomi di una stessa patologia e, quindi, si ritiene necessario un approfondimento scientifico della medicina dedicata alla donna;
la «medicina di genere» rappresenta il tentativo di approfondire la diversità tra i sessi applicandola alla medicina, così da garantire ad entrambi il miglior trattamento possibile. Questo concetto si evidenzia, infatti, a livello anatomico, ma anche e soprattutto a livello biologico, funzionale, psicologico, sociale, ambientale e culturale;
sebbene numerose e consolidate siano le evidenze scientifiche e nonostante diversi siano gli specialisti che si dedicano al tema, l'approccio di genere non rientra ancora nelle scelte di programmazione per gli interventi a tutela della salute nel nostro Paese e nemmeno nei libri di testo o nei programmi universitari. Ancora esistono stereotipi e pregiudizi di genere, nella ricerca biomedica e nella medicina: dallo studio delle cause ai fattori di rischio per la salute, dai sintomi alla diagnosi;
il problema di individuare un approccio alla medicina basato sul genere nasce dal fatto che tutti gli studi sperimentali sui farmaci sono sempre stati condotti considerando come fruitori i maschi, perché sono fisiologicamente più stabili e per la difficoltà scientifica a portare avanti una sperimentazione nel sesso femminile. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un difetto alla base: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile, che sottovaluta le peculiarità femminili e, in particolare, il ruolo degli ormoni;
la medicina di genere permette, dunque, di evidenziare anche nel campo della ricerca farmacologica, le diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile, che, per esempio, sembrano essere più inclini a reazioni avverse. Sarebbe, pertanto, auspicabile uno studio mirato di questo tipo in tempi brevi, considerando che il consumo dei farmaci da parte delle donne è percentualmente più elevato rispetto a quello degli uomini. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
la prima sperimentazione farmacologica riservata alle donne risale solamente al 2002 quando, presso la Columbia University di New York fu istituito il primo corso di medicina di genere, «a new approach to health care based on insights into biological differences between women and men», per lo studio di tutte quelle patologie che riguardano entrambi i sessi. Anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito la medicina di genere nell'equity act a riprova che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere;
nelle sperimentazioni dei medicinali, in effetti, vengono utilizzate quasi esclusivamente soggetti di sesso maschile, questo perché le donne, a causa del loro complesso sistema ormonale, prolungano i tempi necessari per una sperimentazione, necessitano di regole ben più precise, devono usare un anticoncezionale per evitare gravidanze durante lo studio e così creano troppi problemi alle lobby, per cui più semplicemente non vengono inserite nelle sperimentazioni farmacologiche;
proprio per questo, però, è da non sottovalutare il fatto che gli ormoni femminili possono interferire con l'efficacia di molti farmaci, come gli antistaminici, gli oppiacei, gli antibiotici e gli antipsicotici; di conseguenza, gli effetti farmacologici ne potranno risultare amplificati o ridotti. In sostanza, molto spesso, vengono prescritti farmaci di cui si conosce perfettamente il meccanismo d'azione sull'uomo ma non sulla donna, rischiando di non curare o curare in maniera sbagliata le patologie di cui è affetta la donna;
anche i medicinali più comuni, in base a recenti studi scientifici, possono avere degli effetti diversi su donne e uomini. Tra tutti, l'esempio che più ha fatto discutere negli ultimi anni è, senza dubbio, l'aspirina. Alcune ricerche, la più importante delle quali è quella condotta nell'ottobre 2007 da Tood Jerman della University of British Columbia, hanno scoperto che la terapia a base di aspirina potrebbe essere inutile per le donne nella protezione dall'infarto del miocardio. In questo studio è stato dimostrato, infatti, attraverso 23 trial con oltre 100.000 pazienti in quarant'anni, che l'aspirina riduce il rischio di infarto del miocardio negli uomini, ma nelle donne questo effetto di prevenzione è fortemente ridotto;
il dolore cronico colpisce le donne in maniera maggiore e spesso del tutto differente rispetto agli uomini. In Italia, secondo uno studio epidemiologico svolto dalla International association for the study of pain (Iasp), il dolore cronico interessa il 26 per cento della popolazione, di cui il 56 per cento è rappresentato da donne. Tra uomini e donne cambia sia la frequenza, sia l'intensità, sia il tipo di dolore. Emicrania, fibromialgia, cefalea e artrite reumatoide - tutte patologie il cui sintomo prevalente è il dolore e che per questo necessitano di una adeguata terapia - sono molto più frequenti nel sesso femminile;
uno studio del 2009, condotto dal dipartimento di anestesiologia della seconda università di Napoli in collaborazione anche con l'università di Siena e quella di Chieti, ha valutato l'importanza degli ormoni gonadici (testosterone, estradiolo) nella terapia del dolore. In particolare, è stato dimostrato che l'uso di alcuni oppioidi può avere effetti diversi sulle donne a seconda dell'età riproduttiva e sugli uomini, mentre altri farmaci della stessa categoria possono non agire sull'asse ipotalamo-ipofisi-gonadico;
gli ormoni femminili influenzano anche altri tipi di malattie, ad esempio quelle dello stomaco. Dall'ulcera gastrica, che colpisce prevalentemente le donne rispetto agli uomini, si può guarire con più facilità grazie all'azione degli ormoni femminili, in particolare grazie al progesterone, che inibisce la formazione dei succhi gastrici, e agli estrogeni, che nella fase pre-menopausale, o meglio ancora in quella della gravidanza, garantiscono la protezione della mucosa dello stomaco;
secondo gli ultimi studi condotti dai ricercatori della New York University school of medicine, il rischio di morte per malattie cardiache è complessivamente molto più alto nelle donne che negli uomini. In Italia, circa 33 mila donne ogni anno restano vittime di un attacco cardiaco. Anche in questo caso sono coinvolti gli ormoni femminili che, in età fertile, proteggono l'apparato cardiocircolatorio, mentre, col sopraggiungere della menopausa, tale effetto protettivo viene a mancare;
in Italia, nel 2005, è nato l'osservatorio Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) che si occupa della salute della donna e che collabora con tutti gli istituti preposti a livello nazionale, per studiare, informare, educare e stimolare ad una grande attenzione su queste tematiche;
senza un orientamento di genere, le misure politiche a tutela della salute risultano metodologicamente scorrette, oltre che discriminanti. Per questo motivo la medicina di genere è ormai una realtà dalla quale non si può prescindere,
impegna il Governo:
a prevedere il potenziamento, omogeneo sul territorio nazionale, della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, al fine di tutelare realmente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, la salute di tutti i cittadini, donne comprese, poiché estromettere la donna dalla sperimentazione farmacologica è un errore che non può più essere commesso;
a promuovere l'inserimento della «medicina di genere» nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione;
a incentivare e promuovere la realizzazione di master dedicati a chi, nel post laurea, voglia approfondire questa materia, facendo sì che la medicina possa finalmente raggiungere obiettivi più precisi e per meglio incidere sulla cura e sulla prevenzione delle malattie;
ad individuare percorsi che garantiscano, all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, l'esistenza o la realizzazione di un dipartimento dedicato alla medicina di genere al fine di avere un approccio migliore di fronte alle numerose richieste di assistenza delle donne italiane.
(1-00384)
«Palagiano, Mura, Di Giuseppe, Donadi, Borghesi, Evangelisti».
La Camera,
premesso che:
donne e uomini sono uguali rispetto al diritto alla salute e di fronte ai servizi socio-sanitari. Proprio per questo occorre parlare di salute della donna e di salute dell'uomo: la parità del diritto richiede la diversificazione dei modi nella sua tutela. È importante ricordare che la medicina di genere non significa medicina delle donne. Un approccio di genere significa prendere in considerazione uomini e donne al di là degli stereotipi e promuovere, all'interno della ricerca medica e farmacologica, l'attenzione alle differenze biologiche, psicologiche e culturali che ci sono tra i due sessi;
per questo si ha bisogno di parlare di medicina di genere che non si identifica con le malattie delle donne e degli uomini, ma cerca di capire come curare, diagnosticare e prevenire le malattie comuni ai due sessi, che incidono diversamente su uomo e donna per la differenza di genere e che sono, in realtà, il lavoro quotidiano del medico nel territorio e nell'ospedale: lo scompenso cardiaco, le aritmie cardiache, l'infarto del miocardio, i tumori del colon e del polmone, le malattie infettive epidemiche e poi il dolore, le cefalee, le malattie gastroenterologiche e altre. Con questa necessaria reimpostazione concettuale ci si è perfino resi conto che la donna non è immune dalle malattie che si è sempre ritenuto dovessero colpire prevalentemente l'uomo, come le malattie del cuore e dei vasi (infarto e ictus), o i tumori del polmone; addirittura si deve prendere conoscenza che le malattie cardiovascolari portano a morte più donne che uomini e che gli effetti collaterali dei farmaci sono molto diversi nei due generi;
nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini - nel 2006 la loro speranza di vita alla nascita era di 84 anni, contro i 78,3 anni degli uomini - ma spesso la loro qualità di vita e di salute è minore: si recano dal medico molto più degli uomini e lo fanno, nella maggior parte dei casi, per affrontare patologie non tipicamente femminili (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna);
la scoperta che uomini e donne differiscono tra loro, non solo per quanto riguarda l'apparato riproduttivo, sembra essere piuttosto recente in campo medico. Infatti, fino a pochi anni fa si riteneva che ciò che valeva per l'uomo fosse valido anche per la donna. Con i progressi della ricerca scientifica sono emerse, però, differenze sostanziali tra i generi e quanto più procedono questi studi, tanto più emergono concrete difformità tra uomini e donne: dal dna, molecola base della vita, che si esprime in modo diverso a seconda del sesso, a molte malattie, che hanno spinto a creare una nuova branca della medicina ancora poco conosciuta nel nostro Paese: «la cosiddetta medicina di genere»;
con l'espressione «medicina di genere» si intende la distinzione in campo medico delle ricerche e delle cure in base al genere di appartenenza, non solo da un punto di vista anatomico, ma anche secondo differenze biologiche, funzionali, psicologiche e culturali, oltre che di risposta alle cure. Una serie ormai vasta di studi dimostra che la fisiologia degli uomini e delle donne è diversa e tale diversità influisce profondamente sul modo in cui una patologia si sviluppa, viene diagnosticata, curata e affrontata dal paziente. Per questo chi lavora nel campo della salute - medici, ricercatori, aziende farmaceutiche, ma anche istituzioni pubbliche e società scientifiche - devono preoccuparsi che le risposte e le soluzioni - assistenza, terapie, farmaci - siano adeguate alle caratteristiche della persona, incluse quelle di genere;
la medicina di genere applica alla medicina il concetto di bio-diversità per garantire a tutti, uomini o donne, il migliore trattamento auspicabile in funzione delle specificità di genere. Questo oggi non avviene ancora in misura soddisfacente in diversi ambiti della medicina e della farmacologia: ad esempio, per minimizzare i rischi di una nuova molecola sulle donne in età fertile se ne limita la partecipazione negli studi clinici. Se questo tutela correttamente le donne in età fertile, non permette di acquisire un livello di conoscenze adeguate sulla risposta specifica delle donne ai farmaci, anche in tempi diversi da quelli dell'età fertile;
donne e uomini presentano nell'arco della loro esistenza patologie differenti o differenti sintomi di una stessa patologia e, quindi, si ritiene necessario un approfondimento scientifico della medicina dedicata alla donna; la «medicina di genere» rappresenta il tentativo di approfondire la diversità tra i sessi applicandola alla medicina, così da garantire ad entrambi i sessi il miglior trattamento possibile. Questo concetto si evidenzia, infatti, a livello anatomico, ma anche e soprattutto a livello biologico, funzionale, psicologico, sociale, ambientale e culturale; l'ottica di genere, difatti, non è ancora pienamente utilizzata per programmare gli interventi di promozione della salute e ancora persistono pregiudizi di genere nello studio dell'eziologia, dei fattori di rischio, nelle diagnosi e nei trattamenti. Proprio perché è stato fatto pochissimo - e si è ancora lontani da una politica sanitaria che rispetti le distinzioni di genere - la Commissione europea ribadisce la necessità che, quanto prima, si promuova una politica in difesa della salute tenendo conto della diversità di genere ed il Consiglio dell'Unione europea sollecita una maggior conoscenza da parte degli operatori sanitari per affrontare le disuguaglianze nella salute e garantire la parità di trattamento e di accesso alle cure. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
l'approccio di genere non rientra ancora nelle scelte di programmazione per gli interventi a tutela della salute nel nostro Paese e nemmeno nei programmi universitari. Esistono ancora stereotipi e pregiudizi di genere, nella ricerca biomedica e nella medicina: dallo studio delle cause ai fattori di rischio per la salute, dai sintomi alla diagnosi. La medicina di genere (mdg) non è, quindi, una nuova etichetta della medicina della donna ma un percorso trasversale tra le discipline mediche; un nuovo approccio non più rimandabile di cui l'organizzazione sanitaria deve prendere atto per agire di conseguenza;
c'è bisogno di un nuovo approccio scientifico al genere che si traduca in una ricerca biomedica sempre più capace di indagare la complessità biologica della differenza di sesso, accanto alla necessaria attenzione alla differenza con cui i due generi sono interpretati nell'organizzazione sanitaria, per evitare diseguaglianze che ricadono sulla sofferenza dell'individuo e sui costi della sanità. La spesa sanitaria viene sempre più considerata un investimento per la salute e, quindi, come uno dei principali determinanti della crescita di un Paese. Il livello di diseguaglianza di genere, soprattutto nell'erogazione di servizi, non corrispondente alle esigenze dei fruitori, è considerato un indice della qualità di vita di una nazione. Un'appropriatezza di genere nella protezione della salute dell'uomo e della donna può essere misurata con indicatori economici;
l'invito pressante dell'Onu-World health organization (Who) e, in particolare, l'articolazione del terzo Millennium development goal - MDG3 (che richiama attenzione e impegni più costanti non solo nell'empowerment della donna, e al miglioramento educativo della stessa, ma anche sugli interventi sulla salute che estendano l'aspettativa di vita dell'uomo in modo comparabile con la donna), ha stentato nel trovare una risposta nel fertile terreno italiano, storicamente abituato ad affrontare nella realtà di tutti i giorni la necessità di superare distanze o differenze culturali e di intervento, per esempio, sulla salute e la sua protezione. Il concetto di pari opportunità non è di ieri e risale a indirizzi ben chiari nella Costituzione della Repubblica (ormai oltre i sessanta anni di età). Pur tuttavia, le classifiche ultime vedono la posizione italiana scendere progressivamente al settantaquattresimo posto in una classifica ideale di livello di pari opportunità;
secondo i dati del Ministero della salute, il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3 per cento degli uomini; il 9 per cento soffre di osteoporosi contro l'1 per cento degli uomini; il 7,4 per cento di depressione contro il 3 per cento degli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come, ad esempio, l'artrite reumatoide e questo dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile. Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: osteoporosi (+736 per cento), malattie tiroidee (+500 per cento), depressione e ansietà (+138 per cento), cefalea ed emicrania (+123 per cento), Alzheimer (+100 per cento), cataratta (+80 per cento), artrosi e artrite (+49 per cento), calcolosi (+31 per cento), l'ipertensione arteriosa (+30 per cento), il diabete (+9 per cento), le allergie (+8 per cento) e alcune malattie cardiache (+5 per cento);
secondo gli ultimi studi condotti dai ricercatori della New York University school of medicine, il rischio di morte per malattie cardiache è complessivamente molto più alto nelle donne che negli uomini. In Italia, circa 33 mila donne ogni anno restano vittime di un attacco cardiaco. Anche in questo caso sono coinvolti gli ormoni femminili che, in età fertile, proteggono l'apparato cardiocircolatorio; con il sopraggiungere della menopausa, tale effetto protettivo viene a mancare. Comunque, la malattia cardiovascolare resta il killer numero uno per la donna e supera di gran lunga tutte le cause di morte. Anche la diagnosi è sottostimata e avviene in uno stadio più avanzato rispetto agli uomini, la prognosi è più severa per pari età ed è maggiore il tasso di esiti fatali alla prima manifestazione della malattia. Nonostante ciò, è sempre stata invece considerata una malattia maschile e questo ha creato un pregiudizio di genere che riguarda l'approccio ai problemi cardiovascolari delle donne. La conseguenza è che l'intervento preventivo, a differenza degli uomini, non si rivolge verso gli stili di vita delle donne, ma fondamentalmente al controllo di quello che è considerato il principale fattore di rischio, e cioè la menopausa, con la somministrazione di ormoni che a lungo hanno esposto le donne ad altri fattori di rischio;
una differenza esiste anche per quanto riguarda l'obesità e le sue conseguenze: infatti, pur se tale patologia interessa in egual misura uomini e donne, tra le donne obese la complicanza diabetica è molto più marcata rispetto agli uomini. Le patologie psichiche sono prevalenti e in crescita tra le donne. In particolare, la depressione è la principale causa di disabilità delle donne tra i 15 e i 44 anni: essa presenta una prevalenza dell'11 per cento nei dati di Health Search. Una ricerca effettuata tra i medici di medicina generale rivela che il 20 per cento delle donne del campione usa ansiolitici contro il 9 per cento degli uomini, e il 15 per cento usa farmaci antidepressivi, ssri (inibitori del reuptake della serotonina) contro il 7 per cento degli uomini. Anche negli Stati Uniti i farmaci psicotropi vengono prescritti per i 2/3 alle donne e numerose ricerche hanno evidenziato che essi tendono a provocare loro maggiori effetti collaterali, in considerazione del fatto che le variazioni ormonali cicliche mensili, oltre a quelle indotte dall'uso contemporaneo di terapia contraccettiva o sostitutiva ormonale, possono avere un'azione negativa sul tipo di farmaco, sulla dose necessaria per ottenere l'effetto ricercato e sul tipo di risposta. In realtà, andrebbe verificato quanto spesso nelle ricerche, nei risultati dei trial clinici, nella valutazione degli effetti collaterali dei farmaci, si tenga conto della differenza di genere, soprattutto considerando il fatto che le donne consumano più farmaci rispetto agli uomini;
infine, quando si parla di salute della donna, non si può dimenticare, come purtroppo spesso avviene, l'entità del problema «violenza» a tutti i livelli. La violenza sessuale, fisica, psicologica, economica contro le donne rappresenta ormai una grande emergenza e una grande questione di civiltà. I dati 2006 dell'Istat dimostrano che in Italia le donne tra 16 e 70 anni vittime di violenza, nel corso della vita, sono stimate in quasi 7 milioni. Il 14,3 per cento delle donne, che abbiano o non abbiano avuto un rapporto di coppia, ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, ma solo il 7 per cento la denuncia. La violenza contro le donne ha una forte rilevanza sanitaria, per le conseguenze immediate delle lesioni fisiche e per gli effetti secondari: depressione, ansia e attacchi di panico, disturbi dell'alimentazione, dipendenze, disturbi sessuali e ginecologici, malattie sessualmente trasmissibili, disturbi gastrointestinali e cardiovascolari;
secondo l'ultima indagine Istat su «Condizione di salute e ricorso a servizi sanitari», un'indagine che viene svolta con cadenza quinquennale, le donne di età media hanno, rispetto agli uomini, una percezione negativa del proprio stato di salute. In effetti, esse sono affette con maggiore frequenza degli uomini da quasi tutte le patologie croniche e in particolar modo, come si è visto, da patologie osteo-articolari, malattie neuro-degenerative, diabete, disturbi della funzione tiroidea, ipertensione arteriosa, vene varicose, osteoporosi e cefalea;
il problema della medicina di genere nasce anche dal fatto che gli studi di nuovi farmaci, di nuove terapie e dell'eziologia e dell'andamento delle malattie sono stati condotti considerando sempre come fruitori i maschi. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un vizio di fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile che sottovaluta le peculiarità femminili. Le caratteristiche specifiche della salute delle donne vengono sottovalutate anche all'interno di una ricerca medica che è prevalentemente centrata sull'uomo. Sussiste una sorta di pregiudizio scientifico che considera le malattie delle donne come una derivazione biologico-ormonale di quelle degli uomini con una prevalente derivazione socio-ambientale e lavorativa;
il problema di individuare un approccio alla medicina basato sul genere nasce dal fatto che tutti gli studi sperimentali sui farmaci sono sempre stati condotti considerando come finitori i maschi, perché sono fisiologicamente più stabili e per la difficoltà scientifica a portare avanti una sperimentazione nel sesso femminile. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un difetto alla base: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile, che sottovaluta le peculiarità femminili e, in particolare, il ruolo degli ormoni;
la medicina di genere permette, dunque, di evidenziare anche nel campo della ricerca farmacologica, le diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile, che, per esempio, sembrano essere più inclini a reazioni avverse. Sarebbe, pertanto, auspicabile uno studio mirato di questo tipo in tempi brevi, considerando che il consumo dei farmaci da parte delle donne è percentualmente più elevato rispetto a quello degli uomini. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
la prima sperimentazione farmacologica riservata alle donne risale al 2002 quando, presso la Columbia University di New York fu istituito il primo corso di medicina di genere. La prima volta che in medicina venne menzionata la cosiddetta «questione femminile» fu nel 1991, quando Bernardine Healy, direttrice dell'Istituto nazionale di salute pubblica, sulla rivista New England journal of medicine parlò di «yentl syndrome» a proposito del comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti della donna. Solo 10 anni dopo, però, venne avviata una sperimentazione riservata alle donne, nel 2002, quando la Columbia University di New York istituì il primo corso di medicina di genere, «a new approach to health care based on insights into biological differences between women and men». Un corso dedicato allo studio di tutte quelle patologie che in modo diverso riguardano entrambi i sessi. La stessa Organizzazione mondiale della sanità ha inserito poi la medicina di genere nell'equity act a testimonianza che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere. Recentemente ci si è resi conto di significative differenze nell'insorgenza, nello sviluppo, nell'andamento e nella prognosi delle malattie. Gli organi e gli apparati che sembrano differire maggiormente sono il sistema cardiovascolare, il sistema nervoso e quello immunitario. Per esempio, la malattia cardiovascolare, considerata da sempre una malattia più frequente nell'uomo, è in realtà il killer numero uno per la donna tra i 44 e i 59 anni. Eppure, esiste ancora la tendenza a sottovalutare l'approccio ai problemi cardiovascolari delle donne;
senza un orientamento di genere, la politica della salute risulta metodologicamente scorretta, oltre che discriminatoria. Per esempio:
a) l'interesse per la salute femminile è prevalentemente circoscritto agli aspetti riproduttivi: la medicina materno-infantile è parte integrante e prioritaria della medicina di genere, ma non esclusiva;
b) le donne sono al primo posto nel consumo di farmaci, ma sono poco rappresentate negli studi clinici o farmacologici. Di conseguenza, sono maggiormente esposte a possibili reazioni avverse al momento dell'assunzione di farmaci dopo l'immissione in commercio, con l'evidenziazione di riscontri di una minore efficacia nel loro uso, con effetti collaterali e indesiderati più frequenti e più gravi rispetto agli uomini;
c) rispetto alle condizioni di lavoro, sono state considerate sino ad oggi quasi esclusivamente le caratteristiche del lavoratore maschio. Delle donne si parla soltanto nel periodo della gravidanza, in rapporto esclusivamente ai rischi del nascituro. Gli infortuni e le malattie professionali che riguardano le donne (come le dermatosi e i disturbi muscolo-scheletrici) non sono sufficientemente presi in considerazione;
d) non viene prestata attenzione agli eventi patologici connessi con il lavoro domestico, in particolare gli infortuni;
e) non si considera il maggior rischio psico-sociale che colpisce le donne e che è dato dal doppio carico di lavoro;
nelle sperimentazioni dei medicinali, in effetti, vengono utilizzate quasi esclusivamente soggetti di sesso maschile, questo perché le donne, a causa del loro complesso sistema ormonale, prolungano i tempi necessari per una sperimentazione, necessitano di regole ben più precise, devono usare un anticoncezionale per evitare gravidanze durante lo studio e così creano troppi problemi alle lobby, per cui, più semplicemente, non vengono inserite nelle sperimentazioni farmacologiche;
proprio per questo, però, è da non sottovalutare il fatto che gli ormoni femminili possono interferire con l'efficacia di molti farmaci, come gli antistaminici, gli oppiacei, gli antibiotici e gli antipsicotici; di conseguenza, gli effetti farmacologici ne potranno risultare amplificati o ridotti. In sostanza, molto spesso, vengono prescritti farmaci di cui si conosce perfettamente il meccanismo d'azione sull'uomo ma non sulla donna, rischiando di non curare o curare in maniera sbagliata le patologie di cui è affetta la donna;
anche i medicinali più comuni, in base a recenti studi scientifici, possono avere degli effetti diversi su donne e uomini. Tra tutti, l'esempio che più ha fatto discutere negli ultimi anni è, senza dubbio, l'aspirina. Alcune ricerche, la più importante delle quali è quella condotta nell'ottobre 2007 da Tood Jerman della University of British Columbia hanno scoperto che la terapia a base di aspirina potrebbe essere inutile per le donne nella protezione dall'infarto del miocardio. In questo studio è stato dimostrato, infatti, attraverso 23 trial con oltre 100.000 pazienti in quarant'anni, che l'aspirina riduce il rischio di infarto del miocardio negli uomini, ma nelle donne questo effetto di prevenzione è fortemente ridotto;
il dolore cronico colpisce le donne in maniera maggiore e spesso del tutto differente rispetto agli uomini. In Italia, secondo uno studio epidemiologico svolto dalla International association for the study of pain (Iasp), il dolore cronico interessa il 26 per cento della popolazione, di cui il 56 per cento è rappresentato da donne. Tra uomini e donne cambia sia la frequenza, sia l'intensità, sia il tipo di dolore. Emicrania, fibromialgia, cefalea e artrite reumatoide - tutte patologie il cui sintomo prevalente è il dolore e che, per questo necessitano di una adeguata terapia - sono molto più frequenti nel sesso femminile;
uno studio del 2009, condotto dal dipartimento di anestesiologia della seconda università di Napoli in collaborazione anche con l'università di Siena e quella di Chieti, ha valutato l'importanza degli ormoni gonadici (testosterone, estradiolo) nella terapia del dolore. In particolare, è stato dimostrato che l'uso di alcuni oppioidi può avere effetti diversi sulle donne a seconda dell'età riproduttiva e sugli uomini, mentre altri farmaci della stessa categoria possono non agire sull'asse ipotalamo-ipofisi-gonadico;
gli ormoni femminili influenzano anche altri tipi di malattie, ad esempio quelle dello stomaco. Dall'ulcera gastrica, che colpisce prevalentemente le donne rispetto agli uomini, si può guarire con più facilità grazie all'azione degli ormoni femminili, in particolare grazie al progesterone, che inibisce la formazione dei succhi gastrici, e agli estrogeni, che nella fase pre-menopausale, o meglio ancora in quella della gravidanza, garantiscono la protezione della mucosa dello stomaco;
in Italia, nel 2005, è nato l'osservatorio onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), che si occupa della salute della donna e che collabora con tutti gli istituti preposti a livello nazionale, per studiare, informare, educare e stimolare una grande attenzione su queste tematiche; senza un orientamento di genere, le misure politiche a tutela della salute risultano metodologicamente scorrette, oltre che discriminanti. Per questo motivo, la medicina di genere è ormai una realtà dalla quale non si può prescindere,
impegna il Governo:
a predisporre iniziative di prevenzione sostenute da periodiche campagne informative centrate, di volta in volta, su obiettivi chiave: incidenti domestici, obesità, patologie cardiovascolari, tumori del seno, violenza femminile e altro;
ad assumere iniziative volte a consigliare l'uso di acido folico alle donne in periodo fertile e a valutare l'utilità dell'assunzione di iodio nelle donne gravide;
a promuovere il potenziamento, omogeneo sul territorio nazionale, della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, al fine di tutelare realmente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, la salute di tutti i cittadini, ponendo al centro dell'attenzione del sistema socio-sanitario la medicina materno-infantile, senza per questo estromettere la donna dalla sperimentazione farmacologica;
a promuovere l'inserimento della «medicina di genere» nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione come un modo di favorire l'interdisciplinarietà nell'ottica di genere, anche attraverso successivi master dedicati a chi, nel post laurea, voglia approfondire questa materia, per incidere sulla cura e sulla prevenzione delle malattie;
a promuovere percorsi che garantiscano, all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, l'esistenza o la realizzazione di un dipartimento dedicato alla medicina materno-infantile e alla medicina di genere per avere un approccio migliore di fronte alle numerose richieste di assistenza delle donne italiane;
ad incentivare la pratica degli screening (pap test e mammografia), con particolare riguardo alle donne immigrate che molto spesso non ne sono a conoscenza;
a ricercare strategie di stimolazione degli stili di vita preventivi (contrasto del fumo/attività fisica/dieta) specifici per le donne, posto che le motivazioni per cui esse fumano, non praticano sport, mangiano troppo o bevono, sono diverse da quelle degli uomini, che ben il 47 per cento delle donne non pratica alcuna forma di attività fisica e solo il 16 per cento dichiara di fare sport con continuità a causa degli impegni familiari (principalmente la cura dei figli e della casa).
(1-00874)
«Binetti, Mondello, D'Ippolito Vitale, Capitanio Santolini, Carlucci, Anna Teresa Formisano, Nunzio Francesco Testa, Calgaro, De Poli, Delfino».
La Camera,
premesso che:
nella programmazione sanitaria e sociale è inderogabile uno specifico ambito di riflessione ed intervento a favore dell'universo femminile, sia sotto il profilo medico-scientifico che dal punto di vista socio-culturale, atto ad una presa in carico mirata;
la promozione della salute delle donne rappresenta un obiettivo strategico per la promozione della salute di tutta la popolazione, in quanto indicatore della qualità, dell'efficacia ed equità del sistema sanitario italiano;
è indispensabile prendere coscienza del fatto che il «genere» è un fattore determinante essenziale nella valutazione dei percorsi di salute, poiché il benessere della persona e la sua percezione, l'insorgenza delle malattie e il loro decorso, il rischio sanitario nelle diverse fasi della vita, gli approcci terapeutici e la loro efficacia sono stati scientificamente evidenziati con una variabilità soggettiva che trova ulteriore diversificazione tra le donne e gli uomini;
il «genere» nella programmazione sanitaria e nell'approccio di cura delle patologie non è ancora pienamente diffuso e ancora persistono stereotipi nella ricerca biomedica, nella medicina, nello studio dell'eziologia e dei fattori di rischio o protettivi per la salute, nella valutazione dei sintomi, nell'elaborazione della diagnosi, nei programmi di riabilitazione fino alla valutazione dei risultati;
riconoscere le differenze non solo biologiche ma anche relative alla dimensione sociale e culturale di «genere» è essenziale per delineare programmi ed azioni, per organizzare l'offerta dei servizi, per indirizzare la ricerca, per analizzare i dati statistici;
studiare e capire le differenze di genere è, quindi, elemento essenziale per il raggiungimento delle finalità stesse del sistema sanitario italiano, per garantire che vengano identificati gli indicatori di equità di genere, che si ritengono fino ad oggi non riconosciuti o sottostimati;
la dimensione di «genere» nei percorsi di salute si evidenzia come una necessità metodologica, analitica, ma risulta essere anche strumento di governance di un sistema che ha come riferimento qualità ed equità;
la letteratura scientifica ha dimostrato che la fisiologia degli uomini e delle donne è diversa e tale diversità influisce profondamente sul modo in cui una patologia si sviluppa, viene diagnosticata, curata e affrontata dal paziente;
la medicina di genere permette di evidenziare, anche nel campo della ricerca farmacologica, le diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile;
la conoscenza delle differenze di genere favorisce una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
la specificità dell'universo femminile nel più ampio contesto della programmazione socio-sanitaria si esprime sotto due distinti profili: per la presenza di patologie e problematiche di ordine sanitario, che, per la loro natura o la loro incidenza statistica, sono legate alla donna, nelle sue diverse età e fasi evolutive; per lo specifico rilievo che le patologie e le problematiche socio-sanitarie comuni ai due generi assumono in rapporto all'universo femminile;
secondo i dati dell'indagine Istat presentata il 2 marzo 2008, l'8,3 per cento delle donne italiane denuncia un cattivo stato di salute contro il 5,3 per cento degli uomini. La disabilita è più diffusa tra le donne (6,1 per cento contro il 3,3 per cento degli uomini). Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono le allergie (+8 per cento), il diabete (+9 per cento), la cataratta (+80 per cento), l'ipertensione arteriosa (+30 per cento), patologie della tiroide (+500 per cento), artrosi e artrite (+49 per cento), osteoporosi (+736 per cento), calcolosi (+31 per cento), cefalea ed emicrania (+123 per cento), depressione e ansia (+138 per cento), Alzheimer (+100 per cento);
l'Organizzazione mondiale della sanità è più volte intervenuta ufficialmente denunciando una palese condizione di svantaggio delle donne rispetto agli uomini per quanto riguarda la tutela della salute. Un documento dell'Organizzazione mondiale della sanità, dipartimento per la salute della donna, evidenzia l'importanza e la complessità del tema della diversità femminile sottolineandone l'ancora sostanziale misconoscenza e sottovalutazione;
adottare in campo medico una prospettiva di genere e ridisegnare la ricerca come strumento di conoscenza delle specificità femminili è, quindi, una necessità e, nel contempo, un passaggio fondamentale per pensare ad una salute anche a misura di donna;
la prima volta in cui in medicina si parla della «questione femminile» - e quindi di medicina di genere - risale al 1991, quando l'allora direttrice dell'Istituto nazionale di salute pubblica americano, Bernardine Healy, in un famoso editoriale della rivista New England journal of medicine parlò di «yentl syndrome» in riferimento al comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti del sesso femminile;
nel nostro Paese, nell'ambito degli studi universitari, in particolare nelle facoltà di medicina e chirurgia, ad eccezione di alcune eccellenze, tra cui si cita la facoltà di medicina dell'università di Padova, poco è stato fatto per implementare la «medicina di genere», cioè una medicina che tenga conto delle fisiologiche differenze tra uomini e donne sia nella teoria che nella pratica clinica;
la consapevolezza dell'esistenza di una scienza medica integrata dal punto di vista di genere in ogni aspetto della pratica sanitaria ha avuto i suoi albori negli Stati Uniti d'America, ma ha presto attraversato l'intero mondo medico scientifico;
la Comunità europea, seppur con anni di ritardo, fin dal 1998 ha incluso all'interno dei programmi di ricerca un focus dedicato alle donne e allo sviluppo della medicina di genere. Recentemente, la sede europea dell'Organizzazione mondiale della sanità ha organizzato un ufficio, denominato Department of gender, women and health, con lo scopo di mettere in evidenza il punto di vista di genere in tutte le tematiche della salute;
nell'ambito della programmazione socio-sanitaria al femminile, appare prioritaria anche una riflessione sulla salute psicologica delle donne, che, secondo studi recenti, presentano un rischio tre volte più elevato degli uomini di sviluppare una depressione, fenomeno ricondotto alla loro particolare esposizione alle dinamiche e alle sollecitazioni di una società sempre più complessa e che richiede alle donne un impegno costante su più fronti fuori e dentro casa;
l'esigenza di uno sguardo mirato alle patologie e alle problematiche socio-sanitarie legate all'universo femminile nell'ambito della programmazione nazionale deve trovare il proprio naturale e necessario compimento a livello regionale, in quanto le regioni, con il contributo degli enti locali per la parte di più specifico rilievo sociale, hanno una responsabilità diretta nei confronti della tutela e della garanzia dei bisogni sanitari emergenti della popolazione femminile,
impegna il Governo:
a sviluppare una programmazione delle politiche sanitarie finalizzata a prevedere una diffusione omogenea su tutto il territorio nazionale dell'attività di ricerca medica, scientifica e farmacologia nell'ambito della medicina di genere;
a promuovere l'inserimento della medicina di genere nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione;
a promuovere, per quanto di competenza, l'istituzione nelle strutture sanitarie pubbliche di dipartimenti dedicati alla medicina di genere;
a promuovere nel nostro Paese una maggiore consapevolezza e a sottolineare l'importanza dell'implementazione della medicina di genere a tutti i livelli istituzionali;
a promuovere la piena attuazione, a livello regionale, delle politiche integrate di sviluppo della medicina di genere elaborate a livello nazionale, attraverso il ricorso ad intese ed accordi da stipularsi presso la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, quale strumento di definizione di comuni obiettivi e linee di indirizzo atte a garantire più elevati livelli di salute;
a promuovere, nella programmazione sanitaria nazionale, il consolidamento di un approccio mirato in materia di medicina di genere, al fine di offrire risposte efficaci ed appropriate alle patologie, favorendo in ambito medico l'educazione continua in medicina (ecm) in materia di medicina di genere, attraverso percorsi volti a sviluppare maggiori competenze specifiche nei confronti delle esigenze assistenziali delle donne in rapporto alla diversa intensità dei bisogni, con particolare rilevanza del ruolo dei medici di medicina generale;
a valorizzare gli interventi di prevenzione e di diagnosi precoce delle patologie attraverso la sempre maggiore diffusione dei programmi di screening volti ad offrire alle donne opportunità di allungamento della vita media in buona salute, con particolare riferimento anche al loro benessere psicofisico;
ad istituire, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, un osservatorio nazionale sulla medicina di genere che abbia, tra i propri compiti, anche quello di presentare annualmente al Parlamento una relazione relativa all'evoluzione di servizi in materia di medicina di genere nelle varie regioni;
a stipulare un accordo con la rappresentanza associativa dei produttori di farmaci affinché, nelle fasi di sperimentazione clinica dei farmaci in cui sono coinvolti gruppi di persone che si sottopongono volontariamente, venga obbligatoriamente introdotta una percentuale pari al 50 per cento di soggetti di genere femminile al fine di valutare scientificamente il follow up e l'impatto del farmaco con una visione di genere.
(1-00897)
«Martini, Dozzo, Laura Molteni, Rondini, Fabi, Montagnoli, Fogliato, Lussana, Fugatti, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fava, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Meroni, Molgora, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
La Camera,
premesso che:
«la salute delle donne è il paradigma dello stato di salute dell'intera popolazione». Con questa dichiarazione l'Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato la sua sfida per una rivalutazione complessiva delle politiche sanitarie e sociali in tutte le aree del pianeta;
sempre l'Organizzazione mondiale delle sanità ha stabilito che, in medicina, il concetto di equità si associa alla capacità di curare l'individuo, in quanto essere specifico e appartenente a un determinato genere;
è opinione ormai acquisita che proprio la differenza di genere identifichi esigenze diverse sul fronte delle terapie, oltre a influenzare in modo sensibile l'accesso, la qualità e l'aderenza alle cure stesse;
la medicina di genere è una branca recente delle scienze biomediche che ha l'obiettivo di riconoscere e analizzare le differenze derivanti dal genere di appartenenza sotto molteplici aspetti: a livello anatomico e fisiologico, dal punto di vista biologico, funzionale, psicologico, sociale e culturale e nell'ambito della risposta alle cure farmacologiche;
nel riconoscere questa diversità di esigenze, la medicina di genere considera prioritario il diritto delle donne e degli uomini a un'assistenza sanitaria e farmacologica specifica, che si basi su un diverso modo di interpretare e valutare la programmazione e la produzione normativa in ambito farmaceutico, sanitario e socio-assistenziale;
è stato ormai dimostrato da molteplici studi che le differenze di genere, nella fisiologia umana e nei fattori sociali-culturali (ad esempio, è più facile che una donna riconosca e chieda aiuto per un disturbo psicologico rispetto ad un uomo), in caso d'insorgenza di malattia, si riflettono significativamente sulla genesi, la prognosi e la compliance degli individui;
sono molteplici le differenze di «genere» nell'ambito delle patologie, come, ad esempio quelle cardiovascolari, per le quali è stato dimostrato che il 38 per cento delle donne colpite da infarto muore nel giro di un anno contro il 25 per cento degli uomini, così come per l'ictus in relazione al quale i 12 mesi successivi sono più a rischio per le donne (i decessi ne colpiscono il 25 per cento contro il 22 per cento degli uomini); differenze vi sono anche nelle patologie polmonari o in quelle neurodegenerative (nell'ambito delle quali il Parkinson colpisce da 1,4 a 2 volte più gli uomini delle donne e l'Alzheimer una donna su 6 rispetto agli uomini) in cui il rapporto è di 1 a 10; ed ancora differenze vi sono nelle patologie dell'apparato digerente o nelle patologie psichiatriche, nell'ambito delle quali la depressione colpisce le donne due volte più degli uomini, e nelle sindromi dolorose quali l'emicrania, la cefalea muscolo tensiva, l'artrite reumatoide, molto più frequenti nella donna che nell'uomo, al contrario di altre sindromi come la cefalea a grappolo che sono più diffuse nel sesso maschile;
le donne sono le principali consumatrici di farmaci, ne prendono mediamente circa il 40 per cento in più rispetto agli uomini, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 15 e i 54 anni. Eppure una buona parte delle molecole, come ad esempio alcuni psicofarmaci, non è stata sperimentata sulla popolazione femminile, nonostante che tra uomini e donne esistano diverse differenze che influenzano il metabolismo dei farmaci. Le donne, poi, pesano in media il 30 per cento meno degli uomini e, poiché il dosaggio dei farmaci non sempre viene calcolato in relazione al peso, può succedere che le donne assumano una maggiore quantità di principio attivo rispetto agli uomini. Anche nei meccanismi d'azione dei farmaci la ricerca ha individuato delle differenze tra uomini e donne, a seconda delle diverse patologie. Nella depressione, per esempio, le donne sembrano rispondere meglio agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (ssri), mentre gli uomini trarrebbero maggiori benefici dagli antidepressivi triciclici (tca) 31;
la differenza di genere influenza anche la risposta alle vaccinazioni, secondo una metanalisi condotta sugli studi scientifici esistenti relativi a una serie di vaccini: da quello antinfluenzale a quelli per malattie come varicella, morbillo, febbre gialla. Sulle donne i vaccini funzionano meglio, dal momento che sembrano garantire una migliore risposta immunitaria dopo la somministrazione, tanto da suggerire la possibilità di usare dosi minori di vaccino nel sesso femminile;
già nel 2008 il progetto «La medicina di genere come obiettivo strategico per la salute pubblica: l'appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna» presso l'Istituto superiore di sanità nacque dall'esigenza di individuare la necessità di dedicare risorse per conoscere, in maniera più specifica, le differenze tra uomo e donna per offrire anche alle donne una medicina basata sull'evidenza, al fine di aderire alle raccomandazioni della Organizzazione mondiale della sanità, dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, e dell'Unione europea;
la medicina di genere è il modo per rendere universalistico il diritto alla salute e le numerose e significative differenze anatomiche e fisiologiche tra uomo e donna si riflettono nell'insorgenza, nello sviluppo, nella storia naturale, sulla prognosi, sugli esiti e sui percorsi terapeutici delle singole patologie, per cui vi è l'assoluta necessità di conoscere le differenze;
nonostante i progressi in campo medico compiuti in questi ultimi anni, c'è ancora una scarsa conoscenza dell'influenza del genere sulla salute,
impegna il Governo:
ad inserire, fra gli obiettivi strategici del prossimo piano sanitario nazionale, la promozione ed il sostegno della medicina di genere;
a sviluppare la ricerca e la medicina di genere al fine di promuovere l'appropriatezza terapeutica e la personalizzazione delle terapie;
ad individuare tutte le risorse finanziarie ed economiche necessarie affinché il progetto «La medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l'appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna» possa essere rifinanziato con risorse adeguate;
ad instaurare una commissione nazionale che individui le priorità nell'ambito della ricerca di genere e le metodologie più appropriate per la ricerca di genere;
a lanciare e finanziare un piano di ricerca clinica e preclinica che veda coinvolti i Ministeri della salute e dell'istruzione, dell'università e della ricerca e per gli affari regionali, il turismo e lo sport;
ad assumere iniziative normative per offrire incentivi fiscali alle industrie che producono ricerca con disegni e protocolli mirati alla medicina di genere;
a promuovere l'inserimento della materia della medicina di genere nei corsi di formazione del personale medico ed infermieristico, affinché vi sia una piena e completa presa di coscienza della tematica in questione.
(1-00900)
«Livia Turco, Miotto, Lenzi, Argentin, Bossa, Bucchino, Burtone, D'Incecco, Grassi, Murer, Pedoto, Sarubbi, Sbrollini, Froner».
La Camera,
premesso che:
la medicina di genere studia le differenze e le somiglianze tra uomo e donna, dal punto di vista biologico e funzionale, ma anche i comportamenti psicologici e culturali, che traggono le loro origini dalle tradizioni etniche, religiose, educative e sociali;
ancora oggi, la moderna medicina presenta una grave carenza dovuta al fatto che la maggior parte della ricerca medica viene condotta sull'uomo e le azioni mediche sono, di fatto, trasferite dall'uomo sulla donna, senza considerare le differenze di genere;
la prima volta in cui in medicina si menzionò la «questione femminile» fu nel 1991 quando Bernardine Healy, direttrice dell'Istituto nazionale di salute pubblica, sulla rivista New England - Journal of medicine parlò di «yentl syndrome» a proposito del comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti della donna. Bisognò attendere, però, più di dieci anni perché fosse avviata una sperimentazione riservata alle donne, esattamente fino al 2002 quando, presso la Columbia University di New York è stato istituito il primo corso di medicina di genere, «A new approach to health care based on insight into biological differences between women and men», per lo studio di tutte quelle patologie che riguardano entrambi i sessi;
l'Organizzazione mondiale della sanità riconosce alle differenze sessuali (dati biologici) ed a quelle di genere (dati sociali e culturali) importanti ruoli quali determinanti lo stato di salute e per la prevenzione di malattie specifiche (dell'uomo e della donna) e, pertanto, in sanità le differenze di genere e di sesso devono essere adeguatamente considerate e di conseguenza ha inserito la medicina di genere nell'equity act per promuovere cure più appropriate;
la Commissione europea ha ribadito la necessità di promuovere una politica in difesa della salute che tenga conto della diversità di genere, per favorire una migliore appropriatezza della terapia e una maggiore tutela della salute;
la medicina di genere non è da considerare una nuova branca medica riservata alla donna, ma una disciplina trasversale tra le diverse aree mediche e, soprattutto, un nuovo approccio di interventi di programmazione sanitaria incentrata sulla persona per delineare migliori criteri di erogazione di servizio sanitario di eccellenza e, quindi, nuovi livelli essenziali di assistenza;
un'appropriatezza di genere nella protezione della salute dell'uomo e della donna può essere misurata con indicatori economici;
è necessario un cambiamento culturale per favorire la formazione degli operatori ospedalieri e dei medici;
la medicina di genere richiede il coordinamento e la cooperazione stretta tra università, ospedali, aziende sanitarie;
la programmazione del Ministero della salute riconosce indicatori principali per le prestazioni specialistiche e farmaceutiche per area, rapportate a età, genere e profilo della popolazione totale e, quindi, la medicina di genere può diventare un'area ove detti strumenti possano essere validati e quindi meglio utilizzati,
impegna il Governo:
a inserire tra gli obiettivi del piano sanitario nazionale 2013-2015 la medicina di genere;
a promuovere la ricerca sanitaria su popolazioni diversificate per genere e con parametri di valutazione migliori nella sperimentazione farmacologica e nella ricerca di fattori di rischio, con il concorso degli enti vigilati dal Ministero della salute, come l'Istituto superiore di sanità, l'Aifa (Agenzia italiana del farmaco), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di enti di ricerca, università e aziende sanitarie;
a istituire in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità un osservatorio nazionale per la medicina di genere che possa raccogliere, coordinare e trasferire dati epidemiologici e clinici, al fine di assicurare il raggiungimento dell'equità nell'esigibilità del diritto alla salute;
a promuovere incentivi fiscali per la ricerca in ambito della medicina di genere;
a garantire che i prodotti e i servizi derivanti dalla ricerca siano efficaci e sicuri in funzione delle accertate differenze di reattività di genere;
a garantire la possibilità ai pazienti e agli operatori sanitari di accedere ai dati relativi alle differenze di genere, per migliorare la consapevolezza della diversità nell'uso dei farmaci, dei dispositivi medici e di altri approcci terapeutici;
a garantire attraverso adeguate forme di comunicazione la diffusione di una corretta informazione volta a migliorare le conoscenze riguardanti tali diversità.
(1-00904)
«Palumbo, De Camillis, Di Virgilio, De Nichilo Rizzoli, Armosino, Saltamartini, Lorenzin, Centemero, Cicu, Patarino, Fucci, Lazzari, Lamorte, Antonio Pepe, Scelli, Cassinelli, Pianetta, Formichella, Bernini Bovicelli, Mannucci, Barani, De Luca, Nunzio Francesco Testa, Abrignani, Mancuso, Sisto».
La Camera,
premesso che:
numerose organizzazioni internazionali (Organizzazione mondiale della sanità, Onu, Food and drug administration, National institutes of health e Commissione europea), nei processi di prevenzione e cura, richiamano l'attenzione non solo sulle differenze e somiglianze biologiche, ma anche sulle differenze sociali capaci di influenzare in maniera significativa la salute;
negli ultimi anni la conoscenza dei fattori biologici e socioculturali che influenzano salute e assistenza sanitaria per uomini e donne ha fatto progressi significativi, venendo, di fatto, a definire un campo scientifico innovativo noto come «medicina di genere»; essa costituisce il modo per rendere universale il diritto alla salute; le numerose differenze anatomiche e fisiologiche tra donne e uomini si possono riflettere sulla prognosi, sugli esiti e sui percorsi terapeutici delle singole patologie;
la «medicina di genere» si occupa di studiare, nelle scienze biomediche, le differenze legate al genere di appartenenza, non solo da un punto di vista anatomico e fisiologico, ma anche secondo le differenze biologiche, funzionali, psicologiche, sociali e culturali;
un'analisi di genere permette una più ampia comprensione dei meccanismi che diversificano i sintomi, i risultati e le reazioni alle malattie, con il vantaggio di incoraggiare trattamenti accurati e mirati;
il «genere» nella programmazione sanitaria e nell'approccio di cura delle patologie non è ancora pienamente diffuso;
questa nuova area di ricerca applica alla medicina il concetto di «diversità tra generi» per garantire a tutti, uomini o donne, il migliore trattamento auspicabile in funzione delle specificità di genere;
la sfida attuale è fornire ai ricercatori strumenti concettuali e pratici in grado di assimilare la dimensione «sessuale» e quella di «genere» nei programmi di ricerca biomedica e sanitaria,
impegna il Governo:
ad organizzare iniziative di promozione di una cultura di genere per la prevenzione e la tutela della salute;
a promuovere una pianificazione dell'attività formativa professionale, con l'obiettivo di favorire la conoscenza di problematiche specifiche di genere;
a promuovere iniziative che prevedano all'interno delle strutture sanitarie pubbliche la realizzazione di un dipartimento dedicato alla medicina di genere;
a sostenere lo sviluppo della ricerca scientifica medica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, per tutelare la salute di tutti i cittadini.
(1-00917)
«Stagno D'Alcontres, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Miccichè, Pugliese, Soglia, Terranova, Mario Pepe (Misto-R-A)».
La Camera,
premesso che:
la ricerca scientifica ha ormai ampiamente dimostrato che esistono differenze derivanti dal genere di appartenenza, sia nell'assetto della salute che della malattia, e tali differenze di genere esistono non solo, come ben noto, a livello anatomico e funzionale, ma anche a livello psicologico, sociale e culturale, per il ruolo delle tradizioni etniche, educative e sociali, nonché nell'ambito della risposta alle cure;
donne e uomini, che sono uguali rispetto al diritto alla salute ed all'accesso ai servizi socio-sanitari, di fatto mostrano differenti esigenze di tutela ed assistenza della propria salute, nonché della propria qualità della vita, espressa nelle sue quattro dimensioni, fisica, psicologica, sociale e lavorativa;
esiste da tempo una branca della medicina di sanità pubblica, chiamata «medicina di genere», che opera trasversalmente tra numerose aree mediche per capire ed applicare la conoscenza su come curare, diagnosticare e prevenire le malattie, considerando donne e uomini sulla base delle differenze biologiche, psicologiche e culturali che ci sono tra i due sessi, e per promuovere, nella ricerca e nell'assistenza, gli appropriati modi per tutelare la salute, per quanto necessario, in modo diversificato tra i generi;
l'approccio di genere, purtroppo, non è, allo stato, formalmente riconosciuto nel nostro Paese, né a livello di programmazione sanitaria, né a livello di formazione universitaria e post-universitaria;
nel campo della tutela dell'appropriatezza degli interventi sanitari, accade che prestazioni appropriate per un genere ma non per l'altro siano considerate inappropriate per tutti, così danneggiando una larga parte della popolazione, poiché è ben noto che l'inappropriatezza può essere data dall'erogare a carico del servizio sanitario nazionale prestazioni inutili, ma anche dal non erogare, da parte del servizio sanitario nazionale, prestazioni utili;
sempre in materia di appropriatezza, la Commissione europea ha indicato, come mezzo per assicurare «una migliore appropriatezza della terapia e una maggiore tutela della salute», la necessità di tenere conto della diversità di genere nell'ambito delle scelte politiche in difesa della salute;
è possibile, sia nella definizione dei nuovi livelli essenziali di assistenza che negli atti di programmazione sanitaria, definire e regolamentare il concetto della «appropriatezza di genere», legata a differenti, specifici indicatori, relativi a determinati aspetti nella protezione della salute dell'uomo e della donna, e tale forma di appropriatezza può essere misurata con indicatori economici, oltre che sanitari;
la mancanza di conoscenza ed applicazione dell'approccio di genere costituisce, peraltro, una violazione del dovere di garantire equità ai cittadini-utenti del servizio sanitario nazionale, in quanto anche la stessa Organizzazione mondiale della sanità indica che una delle dimensioni dell'equità è la capacità di «curare l'individuo in quanto essere specifico e appartenente a un determinato genere»;
un formale riconoscimento della medicina di genere, sia in sede di formazione, che di ricerca e assistenza, migliorerebbe sia la qualità dell'assistenza erogata dal servizio sanitario nazionale che la qualità della vita dei cittadini, in quanto renderebbe più equo, oltre che realmente «universalistico», il modo in cui lo Stato italiano tutela il diritto alla salute,
impegna il Governo:
a inserire tra gli obiettivi del piano sanitario nazionale 2013-2015 la medicina di genere, quale attività da svolgersi a mezzo di apposite unità, operanti a supporto di tutte le unità assistenziali per la cui attività sia necessario tenere conto delle differenze di genere;
a definire e regolamentare, nei livelli essenziali di assistenza e nel piano sanitario nazionale, il concetto della «appropriatezza di genere», quale forma di appropriatezza legata ai differenti, specifici aspetti nella protezione della salute dell'uomo e della donna, e ad istituire appositi indicatori economici e sanitari per misurarla;
a promuovere il potenziamento della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, nonché a promuovere incentivi fiscali per favorire tale ricerca;
a promuovere l'inserimento della medicina di genere nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione;
a programmare, coinvolgendo tutti gli erogatori di prestazioni del servizio sanitario nazionale, a qualunque titolo operanti, campagne di prevenzione, comprendenti iniziative di educazione sanitaria e di screening, da mirare ai temi più rilevanti in termini di sanità pubblica, quali - ad esempio - incidenti domestici, rischio cardiovascolare, rischio oncologico, disturbi del comportamento alimentare, stress e salute.
(1-00919)
«D'Anna, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
La Camera,
premesso che:
nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini (nel 2006 la loro speranza di vita alla nascita era di 84 anni, contro i 78,3 anni degli uomini), ma spesso vivono peggio; si recano dal medico molto più degli uomini (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna) e lo fanno, nella maggior parte dei casi, per affrontare patologie non tipicamente femminili;
secondo i dati del Ministero della salute, il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3 per cento degli uomini; il 9 per cento soffre di osteoporosi contro l'1 per cento degli uomini; il 7,4 per cento di depressione contro il 3 per cento degli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come, ad esempio, l'artrite reumatoide e questo dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile. Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: osteoporosi (+ 736 per cento), malattie tiroidee (+ 500 per cento), depressione e ansietà (+ 138 per cento), cefalea ed emicrania (+ 123 per cento), Alzheimer (+ 100 per cento), cataratta (+ 80 per cento), artrosi e artrite (+ 49 per cento), calcolosi (+ 31 per cento), l'ipertensione arteriosa (+ 30 per cento), il diabete (+ 9 per cento), le allergie (+ 8 per cento) e alcune malattie cardiache (+ 5 per cento);
secondo l'ultima indagine Istat su «Condizione di salute e ricorso a servizi sanitari», un'indagine che viene svolta con cadenza quinquennale, le donne di età media hanno, rispetto agli uomini, una percezione negativa del proprio stato di salute. In effetti, esse sono affette con maggiore frequenza degli uomini da quasi tutte le patologie croniche e, in particolar modo, come si è visto, da patologie osteo-articolari, malattie neurodegenerative, diabete, disturbi della funzione tiroidea, ipertensione arteriosa, vene varicose, osteoporosi e cefalea;
la scoperta che uomini e donne differiscono tra loro, non solo per quanto riguarda l'apparato riproduttivo, sembra essere piuttosto recente in campo medico. Infatti, fino a «ieri» ciò che valeva per l'uomo si riteneva valido anche per la donna. Con i progressi della ricerca scientifica sono emerse, però, delle differenze sostanziali tra i generi e più gli studi vanno avanti, maggiori difformità tra uomini e donne emergono. Partendo dal dna, molecola base della vita, che è espresso in modo diverso a seconda del sesso e passando per lo studio di molte malattie - in particolare approfondendo il dolore e le sue terapie - si è, quindi, individuata una branca della medicina ancora poco conosciuta nel nostro Paese: «la medicina di genere»;
nel mese di ottobre 2010, a Padova, si è svolto il secondo congresso nazionale sulla medicina di genere, organizzato dal Centro studi nazionale su salute e medicina di genere e dalla Fondazione Giovanni Lorenzini;
donne e uomini presentano, nell'arco della loro esistenza, patologie differenti o differenti sintomi di una stessa patologia e, quindi, si ritiene necessario un approfondimento scientifico della medicina dedicata alla donna;
la «medicina di genere» rappresenta il tentativo di approfondire la diversità tra i sessi applicandola alla medicina, così da garantire ad entrambi il miglior trattamento possibile. Questo concetto si evidenzia, infatti, a livello anatomico, ma anche e soprattutto a livello biologico, funzionale, psicologico, sociale, ambientale e culturale;
sebbene numerose e consolidate siano le evidenze scientifiche e nonostante diversi siano gli specialisti che si dedicano al tema, l'approccio di genere non rientra ancora nelle scelte di programmazione per gli interventi a tutela della salute nel nostro Paese e nemmeno nei libri di testo o nei programmi universitari. Ancora esistono stereotipi e pregiudizi di genere, nella ricerca biomedica e nella medicina: dallo studio delle cause ai fattori di rischio per la salute, dai sintomi alla diagnosi;
il problema di individuare un approccio alla medicina basato sul genere nasce dal fatto che tutti gli studi sperimentali sui farmaci sono sempre stati condotti considerando come fruitori i maschi, perché sono fisiologicamente più stabili e per la difficoltà scientifica a portare avanti una sperimentazione nel sesso femminile. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un difetto alla base: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile, che sottovaluta le peculiarità femminili e, in particolare, il ruolo degli ormoni;
la medicina di genere permette, dunque, di evidenziare anche nel campo della ricerca farmacologica, le diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile, che, per esempio, sembrano essere più inclini a reazioni avverse. Sarebbe, pertanto, auspicabile uno studio mirato di questo tipo in tempi brevi, considerando che il consumo dei farmaci da parte delle donne è percentualmente più elevato rispetto a quello degli uomini. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;
la prima sperimentazione farmacologica riservata alle donne risale solamente al 2002 quando, presso la Columbia University di New York fu istituito il primo corso di medicina di genere, «a new approach to health care based on insights into biological differences between women and men», per lo studio di tutte quelle patologie che riguardano entrambi i sessi. Anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha inserito la medicina di genere nell'equity act a riprova che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere;
nelle sperimentazioni dei medicinali, in effetti, vengono utilizzate quasi esclusivamente soggetti di sesso maschile, questo perché le donne, a causa del loro complesso sistema ormonale, prolungano i tempi necessari per una sperimentazione, necessitano di regole ben più precise, devono usare un anticoncezionale per evitare gravidanze durante lo studio e così creano troppi problemi alle lobby, per cui più semplicemente non vengono inserite nelle sperimentazioni farmacologiche;
proprio per questo, però, è da non sottovalutare il fatto che gli ormoni femminili possono interferire con l'efficacia di molti farmaci, come gli antistaminici, gli oppiacei, gli antibiotici e gli antipsicotici; di conseguenza, gli effetti farmacologici ne potranno risultare amplificati o ridotti. In sostanza, molto spesso, vengono prescritti farmaci di cui si conosce perfettamente il meccanismo d'azione sull'uomo ma non sulla donna, rischiando di non curare o curare in maniera sbagliata le patologie di cui è affetta la donna;
anche i medicinali più comuni, in base a recenti studi scientifici, possono avere degli effetti diversi su donne e uomini. Tra tutti, l'esempio che più ha fatto discutere negli ultimi anni è, senza dubbio, l'aspirina. Alcune ricerche, la più importante delle quali è quella condotta nell'ottobre 2007 da Tood Jerman della University of British Columbia, hanno scoperto che la terapia a base di aspirina potrebbe essere inutile per le donne nella protezione dall'infarto del miocardio. In questo studio è stato dimostrato, infatti, attraverso 23 trial con oltre 100.000 pazienti in quarant'anni, che l'aspirina riduce il rischio di infarto del miocardio negli uomini, ma nelle donne questo effetto di prevenzione è fortemente ridotto;
il dolore cronico colpisce le donne in maniera maggiore e spesso del tutto differente rispetto agli uomini. In Italia, secondo uno studio epidemiologico svolto dalla International association for the study of pain (Iasp), il dolore cronico interessa il 26 per cento della popolazione, di cui il 56 per cento è rappresentato da donne. Tra uomini e donne cambia sia la frequenza, sia l'intensità, sia il tipo di dolore. Emicrania, fibromialgia, cefalea e artrite reumatoide - tutte patologie il cui sintomo prevalente è il dolore e che per questo necessitano di una adeguata terapia - sono molto più frequenti nel sesso femminile;
uno studio del 2009, condotto dal dipartimento di anestesiologia della seconda università di Napoli in collaborazione anche con l'università di Siena e quella di Chieti, ha valutato l'importanza degli ormoni gonadici (testosterone, estradiolo) nella terapia del dolore. In particolare, è stato dimostrato che l'uso di alcuni oppioidi può avere effetti diversi sulle donne a seconda dell'età riproduttiva e sugli uomini, mentre altri farmaci della stessa categoria possono non agire sull'asse ipotalamo-ipofisi-gonadico;
gli ormoni femminili influenzano anche altri tipi di malattie, ad esempio quelle dello stomaco. Dall'ulcera gastrica, che colpisce prevalentemente le donne rispetto agli uomini, si può guarire con più facilità grazie all'azione degli ormoni femminili, in particolare grazie al progesterone, che inibisce la formazione dei succhi gastrici, e agli estrogeni, che nella fase pre-menopausale, o meglio ancora in quella della gravidanza, garantiscono la protezione della mucosa dello stomaco;
secondo gli ultimi studi condotti dai ricercatori della New York University school of medicine, il rischio di morte per malattie cardiache è complessivamente molto più alto nelle donne che negli uomini. In Italia, circa 33 mila donne ogni anno restano vittime di un attacco cardiaco. Anche in questo caso sono coinvolti gli ormoni femminili che, in età fertile, proteggono l'apparato cardiocircolatorio, mentre, col sopraggiungere della menopausa, tale effetto protettivo viene a mancare;
in Italia, nel 2005, è nato l'osservatorio Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna) che si occupa della salute della donna e che collabora con tutti gli istituti preposti a livello nazionale, per studiare, informare, educare e stimolare ad una grande attenzione su queste tematiche;
senza un orientamento di genere, le misure politiche a tutela della salute risultano metodologicamente scorrette, oltre che discriminanti. Per questo motivo la medicina di genere è ormai una realtà dalla quale non si può prescindere,
impegna il Governo
a inserire tra gli obiettivi del piano sanitario nazionale 2013-2015 la promozione ed il sostegno alla medicina di genere quale approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche, al fine di delineare migliori criteri di erogazione del servizio sanitario, che tengano conto delle differenze di genere;
promuovere il potenziamento, omogeneo sul territorio nazionale, della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, con il concorso degli enti vigilati dal Ministero della salute, come l'ISS (Istituto superiore di sanità), l'Aifa (Agenzia italiana del farmaco), gli IRCCS (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico), nonché di enti di ricerca, università e aziende sanitarie, al fine di tutelare realmente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, la salute di tutti i cittadini, promuovendo così l'appropriatezza terapeutica e la personalizzazione delle terapie;
a promuovere l'inserimento della «medicina di genere» nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione al fine di favorire l'interdisciplinarietà nell'ottica di genere, anche attraverso master dedicati;
ad individuare e promuovere, per quanto di competenza, percorsi che garantiscano, all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, la presa in carico del paziente, tenendo conto delle differenze di genere, al fine di ottenere una risposta più specifica ed idonea di fronte alle numerose richieste di assistenza delle donne;
ad incentivare e valorizzare gli interventi di prevenzione e di diagnosi precoce delle patologie attraverso la sempre maggiore diffusione dei programmi di screening, in particolare del pap test, della mammografia e della prevenzione delle malattie cardiovascolari in epoca post-menopausale, includendo le donne immigrate;
a rafforzare gli interventi rivolti all'area materno infantile;
ad assumere iniziative normative volte ad offrire incentivi fiscali per sostenere lo sviluppo della ricerca scientifica medica e farmacologica rivolta alla medicina di genere;
a predisporre linee guida, in collaborazione con l'Aifa e con l'ISS affinché, nelle fasi di sperimentazione clinica dei farmaci in cui sono coinvolti gruppi di persone volontarie (fase 1 e 2), venga obbligatoriamente introdotta una percentuale statisticamente significativa di soggetti di genere femminile al fine di valutare scientificamente il follow up e l'impatto del farmaco con una visione di genere;
a istituire, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, in collaborazione con ISS, un Osservatorio nazionale per la medicina di genere che possa raccogliere, coordinare e trasferire dati epidemiologici e clinici - al fine di assicurare il raggiungimento dell'equità nel diritto alla salute - trasmessi anche attraverso una relazione annuale al Parlamento, evidenziando l'evoluzione dei servizi in materia di medicina di genere nelle varie regioni;
a predisporre iniziative di prevenzione sostenute da periodiche campagne informative al fine di favorire una corretta informazione volta a migliorare le conoscenze riguardanti le diversità di genere in medicina.
(1-00974)
«Palagiano, Binetti, Martini, Livia Turco, De Camillis, Stagno D'Alcontres, D'Anna, Miotto, Murer, Lenzi, Mura, Di Giuseppe, D'Incecco, Bossa, Donadi, Argentin, Burtone, Pedoto, Sbrollini».
MOZIONI BOCCIA ED ALTRI N. 1-00902, COMAROLI ED ALTRI N. 1-00931, IANNACCONE ED ALTRI N. 1-00936, CORSARO ED ALTRI N. 1-00937, BORGHESI ED ALTRI N. 1-00938, CAMBURSANO E BRUGGER N. 1-00939, TABACCI, GALLETTI, DELLA VEDOVA ED ALTRI N. 1-00942 E GIANNI ED ALTRI N. 1-00945 CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALLA DELIMITAZIONE DEI SOGGETTI TITOLATI A PARTECIPARE ALLE ASTE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari (ltro, long term refinancing operation) a favore delle banche della durata di 36 mesi, allo scopo di garantire l'accesso alle liquidità agli istituti di credito, ampliando, altresì, la gamma di titoli che le banche possono fornire come collaterale, ossia come garanzia in cambio di liquidità, includendovi fra l'altro le abs (asset backed securities), i titoli garantiti da attivi come i mutui;
le due aste di rifinanziamento a 36 mesi si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, assegnando fondi a tasso fisso e ammontare illimitato alle banche e consentendo loro l'opzione di ripagare, in tutto o in parte, l'ammontare dopo un anno e successivamente secondo scadenze prefissate;
nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro a favore delle banche commerciali che operano nell'area euro, mentre nell'asta di febbraio 2012 sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro, ammontari che hanno oltrepassato le attese medie; gli istituti che hanno fatto richiesta sono stati, rispettivamente, 523 e 800, incoraggiati dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e dalle banche centrali nazionali ad approfittare dell'offerta «senza alcun timore di suscitare sospetto», per evitare il credit crunch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
tra le ragioni dell'incremento delle richieste, oltre alla forte partecipazione anche di banche medio-piccole e ai minori timori di una ricaduta negativa in termini di reputazione, vi è la possibile partecipazione di soggetti non propriamente bancari: già i numeri della prima asta lasciavano pensare a una platea allargata, dal momento che, normalmente, le controparti che partecipano a operazioni di finanziamento sono circa 200, quindi le 523 dell'asta del 21 dicembre 2011 annoverano tra loro soggetti che non avevano mai usufruito dei programmi della Banca centrale europea, pur avendone diritto;
il 15 febbraio 2012, infatti, la casa automobilistica francese Peugeot - che controlla anche Citroen - aveva avanzato, attraverso la sua divisione bancaria Banque psa finance, una richiesta di prestito collateralizzato alla Banca centrale europea, presentando a tal fine una garanzia superiore a 1 miliardo di euro per poter partecipare all'asta del 29 febbraio 2012; le medesime intenzioni avevano manifestato Volkswagen, Bmw e Siemens, anch'esse dotate di licenze bancarie per il credito al consumo, ovvero per i servizi finanziari che offrono ai clienti che comprano i loro prodotti;
la partecipazione all'asta del 29 febbraio 2012 è stata confermata dalla Renault che ha acquisito un finanziamento per 350 milioni di euro circa, attraverso la sua finanziaria Rci Banque, un'operazione dettata, per stessa ammissione della società, non per bisogno di liquidità ma per approfittare di tassi vantaggiosi; conferme sono giunte anche dalla Volkswagen;
si tratta di operazioni consentite, in quanto riguardano istituzioni finanziarie che devono rispondere a requisiti minimi di riserva attraverso i quali si garantiscono il diritto a partecipare alle operazioni di finanziamento, ma discutibili in una situazione economica come quella attuale;
la competitività dell'asta ltro (long term refinancing operation) è tale da renderla una fonte alternativa di finanziamento a tassi estremamente vantaggiosi, visto che poi alcune aziende useranno come collaterale prestiti al consumo; va, tuttavia, ricordato che il credito che queste aziende ottengono a tasso d'interesse bassissimo non si traduce in maggiore liquidità nel sistema, quindi in credito ad aziende e famiglie, ma in un «carry-trade industriale» a unico beneficio dell'azienda stessa, la quale ottiene finanziamenti per potenziare non solo nuovo credito al consumo verso nuovi clienti a tassi certamente più alti dell'1 per cento che paga alla Banca centrale europea, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento, fusione o partnership;
il fatto che operatori dell'economia reale e non del credito intervengano direttamente nel campo del rischio di operazioni di rifinanziamento porterà con sé l'ulteriore espansione della categoria di offerta collaterale e accettata dalla Banca centrale europea, abbassandone, quindi, lo standard e alimentando il rischio del rialzo della pressione inflazionistica nell'eurozona,
impegna il Governo
a promuovere in sede europea l'esclusione dalle aste della Banca centrale europea delle società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste ai soli istituti di credito, al fine di evitare un'alterazione della concorrenza e un ingiusto drenaggio di risorse finanziarie destinate a garantire liquidità alle imprese e alle famiglie.
(1-00902)
«Boccia, Ventura, Maran, Baretta, Fluvi, Lulli, Gozi, Causi, Misiani, Marchi, Marco Carra».
La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari (LTRO, long term refinancing operation) a favore delle banche della durata di 36 mesi, allo scopo di garantire l'acceso alle liquidità agli istituti di credito, ampliando altresì la gamma di titoli che le banche possono fornire come collaterale, ossia come garanzia in cambio di liquidità, includendovi, fra l'altro le Abs (asset-backed securities), i titoli garantiti da attivi come i mutui;
le due aste di rifinanziamento della Banca centrale europea a favore delle banche si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011 con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, hanno lo scopo di garantire l'accesso alle liquidità agli istituti di credito, ampliando altresì la gamma di titoli che le banche possono fornire come collaterale, ossia come garanzia in cambio di liquidità, includendovi fra l'altro le Abs (asset-backed securities), i titoli garantiti da attivi come i mutui;
l'auspicio è che le banche utilizzino tale ingente liquidità pari a 1000 miliardi di euro al tasso agevolato dell'1 per cento nel sostegno all'economia reale, ossia alle famiglie e alle imprese;
si rileva che nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro a favore delle banche commerciali che operano nell'area euro, mentre nell'asta di febbraio 2012 sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro, ammontari che hanno oltrepassato le attese medie; gli istituti che hanno fatto richiesta sono stati, rispettivamente 523 e 800, incoraggiati dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e dalle banche centrali nazionali ad approfittare dell'offerta «senza alcun timore di suscitare sospetto, per evitare il credit crounch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
risulta, inoltre, che l'aumento delle richieste è dovuto non solo dalla partecipazione delle banche, comprese anche quelle medio-piccole, ma pure di soggetti non propriamente bancari, A tal proposito basta verificare i numeri della prima asta, dove la partecipazione delle controparti che aderiscono ad operazioni di finanziamento è stata di 523, quando di solito le controparti sono circa 200, annoverando tra loro soggetti che non avevano mai usufruito dei programmi della Banca centrale europea;
come, ad esempio, la casa automobilistica francese Peugeot, che controlla anche la Citroen, che ha avanzato una richiesta, attraverso la sua divisione bancaria Banque psa, di prestito collateralizzato alla Banca centrale europea, presentando a tal fine una garanzia superiore a 1 miliardo di euro per poter partecipare all'asta del 29 febbraio 2012;
le medesime finalità le hanno espresse Volkswagen, Bmw e Siemens, anch'esse dotate di licenze bancarie per il credito al consumo, ovvero per i servizi finanziari che offrono ai clienti che comprano i loro prodotti;
si segnala, inoltre, che la Renault ha confermato la partecipazione all'asta del 29 febbraio 2012 e ha acquisito un finanziamento di 350 milioni di euro circa attraverso la sua finanziaria Rci banque, un'operazione dettata, per stessa ammissione della società, non per bisogno di liquidità ma per approfittare di tassi vantaggiosi;
si tratta di operazioni consentite, in quanto si tratta di istituzioni finanziarie che devono rispondere a requisiti minimi di riserva attraverso i quali si garantiscono il diritto a partecipare alle operazioni di finanziamento, ma discutibili in una situazione economica come quella attuale;
la competitività dell'asta LTRO è tale da renderla una fonte alternativa di finanziamento a tassi estremamente vantaggiosi, visto che poi alcune aziende useranno come collaterale prestiti al consumo;
va, tuttavia, ricordato che il credito che queste aziende ottengono a tasso d'interesse bassissimo non si traduce in maggiore liquidità nel sistema, quindi il credito ad aziende e famiglie, ma in un «carry-trade industriale» a unico beneficio dell'azienda stessa, la quale ottiene finanziamenti per potenziare non solo nuovo credito al consumo verso nuovi clienti a tassi certamente più alti dell'1 per cento che paga alla Banca centrale europea, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento, fusione o partnership;
il fatto che operatori dell'economia reale e non del credito intervengano direttamente nel campo del rischio di operazioni di rifinanziamento porterà con sé l'ulteriore espansione della categoria di collaterale offerta e accettata dalla Banca centrale europea, abbassandone quindi lo standard e alimentando il rischio al rialzo della pressione inflazionistica nell'eurozona;
la competitività dell'asta LTRO (long term refinancing operation) rappresenta uno strumento importante per la Banca centrale europea per la lotta contro la crisi economica;
la Banca centrale europea ha sempre dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione; dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie,
impegna il Governo
ad attivarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine di evitare che le aste della Banca centrale europea vadano a sostenere le società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste esclusivamente agli istituti di credito;
ad attivarsi affinché l'erogazione dei prestiti che gli istituti bancari ricevono dalla Banca centrale europea al tasso agevolato dell'1 per cento siano indirizzati prevalentemente al sostegno dell'economia reale, in particolare famiglie e piccole e medie imprese.
(1-00902)
(Nuova formulazione nel testo modificato) «Boccia, Corsaro, Galletti, Della Vedova, Bernardo, Fluvi, Ventucci, Baretta, Ciccanti, Tabacci, Beccalossi».
La Camera,
premesso che:
la Banca centrale europea il 28 febbraio 2012 ha effettuato un nuovo maxi prestito della durata di tre anni: 800 banche europee hanno ottenuto liquidità pari a 529,5 miliardi di euro, di cui 139 miliardi di euro a istituti italiani, al tasso di interesse dell'1 per cento, dopo l'altrettanto importante collocamento del 21 dicembre 2011 con il quale, allo stesso bassissimo tasso di interesse, l'Eurotower aveva prestato 489 miliardi di euro a 529 banche, per un totale di più di mille miliardi di euro iniettati nel sistema bancario quasi gratuitamente per i prossimi tre anni;
la Banca centrale europea ha attuato questa operazione con il preciso obiettivo di limitare la restrizione del credito e attenuare l'impatto della crisi del debito sull'economia reale, nella dichiarata speranza che l'asta faccia affluire i crediti a famiglie e imprese attraverso la liquidità garantita alle banche; proprio per questo la Banca centrale europea, con riguardo ai 7 Paesi nei quali il credit crunch è più sentito, tra cui l'Italia, ha accettato di allargare la lista delle garanzie ammissibili anche ai prestiti bancari con criteri di idoneità nazionali;
per quel che riguarda le banche nazionali, in particolare: Banca Intesa ha ottenuto 24 miliardi di euro «per avere tutte le risorse necessarie per sostenere lo sviluppo del Paese, delle imprese e dello Stato» come ha dichiarato l'amministratore delegato Enrico Tomaso Cucchiani; Unicredit 12,4 miliardi di euro; Monte dei Paschi di Siena tra i 10 ed i 15 miliardi di euro, Ubi Banca 6 miliardi di euro, 3,5 miliardi di euro il Banco Popolare e altrettanti per Mediobanca;
l'asta di febbraio ha determinato un'iniezione di liquidità superiore alle attese della vigilia e ha beneficiato questa volta non solo i colossi ma anche molte banche di minori dimensioni. I piccoli istituti, più radicati al territorio d'origine, hanno, negli ultimi mesi, doppiamente sofferto della crisi di liquidità nel rifinanziarsi verso banche più grandi ed era assolutamente opportuno creare anche per essi una concreta possibilità di accedere ai prestiti dell'Eurotower;
in audizione presso la Commissione bilancio della Camera dei deputati, il direttore generale dell'Associazione bancaria italiana, Giovanni Sabatini, ha garantito che «utilizzeremo la liquidità per finanziare imprese e famiglie»; allo stesso tempo il Vice Ministro dell'economia Vittorio Grilli ha dichiarato «lo scopo dell'operazione della BCE è dare liquidità al sistema che, visto il livello di incertezza, si stava avvitando verso un completo congelamento della liquidità. La finalità è consentire alle banche di prendere decisioni in modo corretto senza distorsioni e di farle continuare a operare normalmente nell'economia reale»;
all'indomani del maxi prestito della Banca centrale europea, tuttavia, le banche hanno depositato, nell'arco di un solo giorno, oltre 300 miliardi di euro presso la Banca centrale europea, cioè buona parte dei 530 miliardi di euro erogati dalla stessa banca centrale nell'asta del 28 febbraio 2012, di fatto una partita di giro che blocca completamente qualunque speranza che tali fondi servissero ad ammorbidire il credit crunch;
è però questo anche un sintomo che la fiducia nel mercato interbancario è bassissima al momento e che i requisiti di liquidità e di capitale imposti alle banche ostacolano il pieno trasferimento di questi fondi all'economia reale;
la pesante crisi economico-finanziaria che ha investito i mercati di tutto il mondo ha evidenziato l'importanza della patrimonializzazione degli istituti di credito e gli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman Brothers di due anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
sicuramente gli effetti della crisi del sistema finanziario avrebbero potuto essere più contenuti se il principio della separazione tra banche commerciali e banche d'affari fosse stato in vigore nel nostro Paese;
solo attraverso questa separazione risulterebbe valorizzata la «banca tradizionale» che raccoglie depositi dai cittadini ed eroga credito ai cittadini stessi e al sistema produttivo. Infatti, il sistema produttivo è la principale vittima del modello di «banca universale» e della crisi finanziaria: il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire pesantemente del fenomeno del credit crunch;
una crisi provocata dalle banche sta distruggendo l'economia reale, sta mettendo in ginocchio la gente comune, colpita da manovre economiche procicliche che aumentano la pressione fiscale diretta ed indiretta, causano l'aumento indiscriminato dei prezzi, anche dei prodotti di prima necessità, con una significativa perdita di potere di acquisto da parte delle famiglie. Se è vero che in questa fase i tassi di interesse sono molto bassi, è vero anche che gli spread sui mutui e sui prestiti sono a livelli mai visti prima: le banche stanno ribaltando sui cittadini e sulle imprese i costi della crisi e delle loro operazioni speculative. Per evitare, quindi, di ricadere nei drammatici errori commessi negli ultimi vent'anni e salvaguardare l'economia reale dalla finanza occorre separare le attività delle banche d'affari;
i nuovi accordi europei in tema di patrimonializzazione delle banche, necessari per tentare di ridare stabilità ad un sistema finanziario sull'orlo del collasso, stanno costringendo le banche a continue ricapitalizzazioni, che, insieme ad un sempre più prudenziale approccio degli istituti di credito, sta strozzando le imprese;
le regole di «Basilea 3», che entro il 30 giugno 2012 prenderanno la forma di una direttiva e di un regolamento, rischiano di contribuire negativamente alla recessione in corso. Accrescendo i requisiti di capitale e rendendo più severe le regole di computazione dei mezzi patrimoniali e di governo e controllo del rischio di liquidità, si pongono le premesse per una probabile, ulteriore, restrizione della concessione del credito alle imprese in generale, alle piccole e medie imprese in particolare, limitando la quantità erogabile o accrescendone il prezzo;
le regole di «Basilea 3» sono definite nella logica, discriminante e arbitraria, della «taglia unica» per corpi diversi. Regole uniche per modelli di attività bancaria molto differenti tra loro (wholesale, retail, investment, universal, commercial), per aziende bancarie con diversa natura giuridica e differente funzione obiettivo (società di capitali e di persone; società per azioni quotate e non quotate; società cooperative a mutualità prevalente e non prevalente), per aziende bancarie di dimensioni diversissime (da 10 mila ad 1 sportello) e, soprattutto, con modelli operativi caratterizzati da livelli diversi di propensione al rischio;
la «taglia unica» sfida frontalmente uno dei caratteri genetici della democrazia economica e della libertà d'impresa tipiche della storia e della cultura europea. È un'impostazione di comodo per i regolatori ed i supervisori europei che non fanno il minimo sforzo per predisporre ed applicare regole proporzionate e adeguate a seconda delle dimensioni, delle finalità, del modello giuridico e di business;
in Europa esistono migliaia di banche di piccole e medie dimensioni, che per dimensioni e struttura difficilmente possono essere la causa di un rischio sistemico al pari di colossi transnazionali che, invece, proprio perché sono «too big to fail», devono essere sottoposti a controlli e discipline molto rigorosi. È bene ribadire, infatti, che la fonte originaria della crisi che si sta attraversando è stata la finanza speculativa, alimentata da banche di investimento internazionali, e consentita nel recente passato da alcune zone d'ombra di applicazione delle norme prudenziali,
impegna il Governo:
ad agire in sede comunitaria affinché possano partecipare ad eventuali future aste a tasso agevolato da parte della Banca centrale europea soggetti scelti non solo in base alle garanzie che sono in grado di offrire, ma anche sulla base dell'impiego che intendono fare di denaro di fatto pubblico, privilegiando con una quota riservata le banche che tradizionalmente dedicano almeno l'80 per cento della propria liquidità al prestito all'impresa, alle famiglie e all'economia reale;
a farsi portavoce in sede comunitaria della necessità di escludere da future aste a tasso agevolato da parte della Banca centrale europea, indipendentemente dalle garanzie e dai requisiti patrimoniali che siano in grado di presentare, gli istituti a prevalente attività speculativa ed il cui portafoglio abbia registrato negli ultimi 5 anni un'attività in derivati superiore al 30 per cento.
(1-00931)
«Comaroli, Dozzo, Giancarlo Giorgetti, Montagnoli, Fogliato, Lussana, Fugatti, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rondini, Rivolta, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
La Camera,
premesso che:
la Banca centrale europea il 28 febbraio 2012 ha effettuato un nuovo maxi prestito della durata di tre anni: 800 banche europee hanno ottenuto liquidità pari a 529,5 miliardi di euro, di cui 139 miliardi di euro a istituti italiani, al tasso di interesse dell'1 per cento, dopo l'altrettanto importante collocamento del 21 dicembre 2011 con il quale, allo stesso bassissimo tasso di interesse, l'Eurotower aveva prestato 489 miliardi di euro a 529 banche, per un totale di più di mille miliardi di euro iniettati nel sistema bancario quasi gratuitamente per i prossimi tre anni;
la Banca centrale europea ha attuato questa operazione con il preciso obiettivo di limitare la restrizione del credito e attenuare l'impatto della crisi del debito sull'economia reale, nella dichiarata speranza che l'asta faccia affluire i crediti a famiglie e imprese attraverso la liquidità garantita alle banche; proprio per questo la Banca centrale europea, con riguardo ai 7 Paesi nei quali il credit crunch è più sentito, tra cui l'Italia, ha accettato di allargare la lista delle garanzie ammissibili anche ai prestiti bancari con criteri di idoneità nazionali;
per quel che riguarda le banche nazionali, in particolare: Banca Intesa ha ottenuto 24 miliardi di euro «per avere tutte le risorse necessarie per sostenere lo sviluppo del Paese, delle imprese e dello Stato» come ha dichiarato l'amministratore delegato Enrico Tomaso Cucchiani; Unicredit 12,4 miliardi di euro; Monte dei Paschi di Siena tra i 10 ed i 15 miliardi di euro, Ubi Banca 6 miliardi di euro, 3,5 miliardi di euro il Banco Popolare e altrettanti per Mediobanca;
l'asta di febbraio ha determinato un'iniezione di liquidità superiore alle attese della vigilia e ha beneficiato questa volta non solo i colossi ma anche molte banche di minori dimensioni. I piccoli istituti, più radicati al territorio d'origine, hanno, negli ultimi mesi, doppiamente sofferto della crisi di liquidità nel rifinanziarsi verso banche più grandi ed era assolutamente opportuno creare anche per essi una concreta possibilità di accedere ai prestiti dell'Eurotower;
in audizione presso la Commissione bilancio della Camera dei deputati, il direttore generale dell'Associazione bancaria italiana, Giovanni Sabatini, ha garantito che «utilizzeremo la liquidità per finanziare imprese e famiglie»; allo stesso tempo il Vice Ministro dell'economia Vittorio Grilli ha dichiarato «lo scopo dell'operazione della BCE è dare liquidità al sistema che, visto il livello di incertezza, si stava avvitando verso un completo congelamento della liquidità. La finalità è consentire alle banche di prendere decisioni in modo corretto senza distorsioni e di farle continuare a operare normalmente nell'economia reale»;
all'indomani del maxi prestito della Banca centrale europea, tuttavia, le banche hanno depositato, nell'arco di un solo giorno, oltre 300 miliardi di euro presso la Banca centrale europea, cioè buona parte dei 530 miliardi di euro erogati dalla stessa banca centrale nell'asta del 28 febbraio 2012, di fatto una partita di giro che blocca completamente qualunque speranza che tali fondi servissero ad ammorbidire il credit crunch;
è però questo anche un sintomo che la fiducia nel mercato interbancario è bassissima al momento e che i requisiti di liquidità e di capitale imposti alle banche ostacolano il pieno trasferimento di questi fondi all'economia reale;
la pesante crisi economico-finanziaria che ha investito i mercati di tutto il mondo ha evidenziato l'importanza della patrimonializzazione degli istituti di credito e gli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman Brothers di due anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
sicuramente gli effetti della crisi del sistema finanziario avrebbero potuto essere più contenuti se il principio della separazione tra banche commerciali e banche d'affari fosse stato in vigore nel nostro Paese;
solo attraverso questa separazione risulterebbe valorizzata la «banca tradizionale» che raccoglie depositi dai cittadini ed eroga credito ai cittadini stessi e al sistema produttivo. Infatti, il sistema produttivo è la principale vittima del modello di «banca universale» e della crisi finanziaria: il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire pesantemente del fenomeno del credit crunch;
una crisi provocata dalle banche sta distruggendo l'economia reale, sta mettendo in ginocchio la gente comune, colpita da manovre economiche procicliche che aumentano la pressione fiscale diretta ed indiretta, causano l'aumento indiscriminato dei prezzi, anche dei prodotti di prima necessità, con una significativa perdita di potere di acquisto da parte delle famiglie. Se è vero che in questa fase i tassi di interesse sono molto bassi, è vero anche che gli spread sui mutui e sui prestiti sono a livelli mai visti prima: le banche stanno ribaltando sui cittadini e sulle imprese i costi della crisi e delle loro operazioni speculative. Per evitare, quindi, di ricadere nei drammatici errori commessi negli ultimi vent'anni e salvaguardare l'economia reale dalla finanza occorre separare le attività delle banche d'affari;
i nuovi accordi europei in tema di patrimonializzazione delle banche, necessari per tentare di ridare stabilità ad un sistema finanziario sull'orlo del collasso, stanno costringendo le banche a continue ricapitalizzazioni, che, insieme ad un sempre più prudenziale approccio degli istituti di credito, sta strozzando le imprese;
le regole di «Basilea 3», che entro il 30 giugno 2012 prenderanno la forma di una direttiva e di un regolamento, rischiano di contribuire negativamente alla recessione in corso. Accrescendo i requisiti di capitale e rendendo più severe le regole di computazione dei mezzi patrimoniali e di governo e controllo del rischio di liquidità, si pongono le premesse per una probabile, ulteriore, restrizione della concessione del credito alle imprese in generale, alle piccole e medie imprese in particolare, limitando la quantità erogabile o accrescendone il prezzo;
le regole di «Basilea 3» sono definite nella logica, discriminante e arbitraria, della «taglia unica» per corpi diversi. Regole uniche per modelli di attività bancaria molto differenti tra loro (wholesale, retail, investment, universal, commercial), per aziende bancarie con diversa natura giuridica e differente funzione obiettivo (società di capitali e di persone; società per azioni quotate e non quotate; società cooperative a mutualità prevalente e non prevalente), per aziende bancarie di dimensioni diversissime (da 10 mila ad 1 sportello) e, soprattutto, con modelli operativi caratterizzati da livelli diversi di propensione al rischio;
la «taglia unica» sfida frontalmente uno dei caratteri genetici della democrazia economica e della libertà d'impresa tipiche della storia e della cultura europea. È un'impostazione di comodo per i regolatori ed i supervisori europei che non fanno il minimo sforzo per predisporre ed applicare regole proporzionate e adeguate a seconda delle dimensioni, delle finalità, del modello giuridico e di business;
in Europa esistono migliaia di banche di piccole e medie dimensioni, che per dimensioni e struttura difficilmente possono essere la causa di un rischio sistemico al pari di colossi transnazionali che, invece, proprio perché sono «too big to fail», devono essere sottoposti a controlli e discipline molto rigorosi. È bene ribadire, infatti, che la fonte originaria della crisi che si sta attraversando è stata la finanza speculativa, alimentata da banche di investimento internazionali, e consentita nel recente passato da alcune zone d'ombra di applicazione delle norme prudenziali,
impegna il Governo:
ad agire in sede comunitaria affinché si privilegino nelle operazioni di rifinanziamento le banche in grado di sostenere al meglio famiglie ed imprese;
a farsi portavoce in sede comunitaria della necessità di escludere da future aste a tasso agevolato da parte della Banca centrale europea, gli istituti a prevalente attività speculativa con attività prevalentemente nel campo dei derivati.
(1-00931)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Comaroli, Dozzo, Giancarlo Giorgetti, Montagnoli, Fogliato, Lussana, Fugatti, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rondini, Rivolta, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari in favore delle banche, della durata di 36 mesi, allo scopo di garantire l'accesso alle liquidità a favore degli istituti di credito;
le due aste di rifinanziamento si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, assegnando fondi a tasso dell'1 per cento con regole vantaggiose;
nella prima asta, la Banca centrale europea ha erogato, in totale, 489,19 miliardi di euro a favore delle banche, di cui ben 116 miliardi di euro in favore degli istituti di credito italiani, mentre nell'asta di febbraio 2012 sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro, di cui oltre 100 miliardi di euro in favore delle banche italiane che ne hanno fatto richiesta, seguendo le indicazioni del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e delle banche centrali nazionali ad approfittare di tale opportunità per evitare il credit crunch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
nella seconda asta sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro con un notevole incremento rispetto alla prima dovuto al fatto che, oltre alla partecipazione di banche medio piccole, vi è stata per la prima volta la partecipazione di soggetti non propriamente bancari;
infatti, da notizie assunte dagli organi di stampa del settore, alcune grosse aziende, per il tramite delle società finanziarie controllate e provviste di adeguate licenze bancarie, hanno partecipato, con profitto, alle suddette aste e non, come da loro ammissione, per un bisogno di liquidità ma solo ed esclusivamente per i tassi vantaggiosi praticati dalla Banca centrale europea;
pur trattandosi di operazioni regolari, in quanto hanno ottenuto prestiti istituzioni finanziarie che rispondono ai requisiti previsti dalle normative vigenti, in questo delicato momento economico, con una crisi ancora in atto in tutto il vecchio continente, appare discutibile, anche dal punto di vista etico, un loro coinvolgimento;
lo scopo delle aste, come detto dallo stesso presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, va nella direzione di immettere liquidità in modo da poter far fronte alle richieste di credito delle aziende e delle famiglie, cosa che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non è garantita da tali istituzioni finanziarie, che, invero, utilizzano la liquidità a unico beneficio delle aziende stesse, le quali ottengono finanziamenti per potenziare non solo nuovo credito al consumo verso nuovi clienti a tassi certamente più alti dell'1 per cento che paga alla Banca centrale europea, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento, fusione o partnership;
quanto sopra illustrato non può che portare ad una reale alterazione dell'azione promossa dalla Banca centrale europea sottraendo fondi che dovrebbero essere destinati allo sviluppo delle imprese ed al sostegno alle famiglie;
inoltre, nonostante la Banca centrale europea abbia prestato svariati miliardi di euro agli istituti di credito italiani, allo stato attuale non c'è nessuna apertura alle imprese ed ai privati, disattendendo le indicazioni proprie dello stesso istituto centrale europeo;
è plausibile, quindi, uno scenario da vero credit crunch, che lo stesso presidente della Banca centrale europea Draghi vuol evitare, con un doppio shock sia sulla quantità di credito erogata sia sui tassi praticati. Nella simulazione del Cer, che è basata su un'ipotesi di flessione complessiva nel 2012 del 5 per cento e di un'ulteriore riduzione di un punto e mezzo nel 2013, l'andamento degli impieghi esprime una dinamica violenta: ad aprile 2012 andrà per la prima volta sotto zero, a luglio 2012 precipiterà a -5 per cento, a ottobre 2012 a -9 per cento, fino a sprofondare, a dicembre 2012, a -11 per cento,
impegna il Governo:
ad attivarsi presso le competenti sedi europee affinché le società finanziarie dei gruppi industriali vengano escluse da tali aste della Banca centrale europea, al fine di evitare un'alterazione della concorrenza a danno di altri operatori, soprattutto italiani;
ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché tra i requisiti per la partecipazione alle aste della Banca centrale europea figuri l'impegno da parte degli istituti di credito a fornire un reale sostegno alle imprese e alle famiglie italiane in questo delicato momento di congiuntura negativa, in particolare incentivando le banche a concedere mutui, con un tasso di particolare favore, per le giovani coppie ed evitando che al Sud si impongano tassi di gran lunga superiori rispetto al resto del Paese, mettendo in ginocchio un'economia già in difficoltà.
(1-00936)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».
La Camera,
premesso che:
le due aste di rifinanziamento della Banca centrale europea a favore delle banche che si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, hanno lo scopo di garantire l'accesso alle liquidità a favore degli istituti di credito, ampliando, altresì, la gamma di titoli che le banche possono fornire come collaterale, ossia come garanzia in cambio di liquidità, includendovi fra l'altro le abs (asset backed securities), i titoli garantiti da attivi come i mutui;
l'auspicio è che le banche utilizzino tale ingente liquidità pari a 1000 miliardi di euro al tasso agevolato dell'1 per cento nel sostegno all'economia reale, ossia alle famiglie e alle imprese;
si rileva che, mentre nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro a favore delle banche commerciali che operano nell'area euro, nella seconda sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro. Gli istituti che hanno fatto richiesta sono stati, rispettivamente, 523 e 800;
risulta, inoltre, che l'aumento delle richieste è dovuto non solo dalla partecipazione delle banche, comprese anche quelle medio-piccole, ma pure di soggetti non propriamente bancari. A tal proposito basta verificare i numeri della prima asta, dove la partecipazione delle controparti che aderiscono ad operazioni di finanziamento è stata di 523, quando di solito le controparti sono circa 200, annoverando tra loro soggetti che non avevano mai usufruito dei programmi della Banca centrale europea;
come, ad esempio, la casa automobilistica francese Peugeot, che controlla anche la Citroen, che ha avanzato una richiesta, attraverso la sua divisione bancaria Banque psa, di prestito collateralizzato alla Banca centrale europea, presentando a tal fine una garanzia superiore a 1 miliardo di euro per poter partecipare all'asta del 29 febbraio 2012;
le medesime finalità le hanno espresse Volkswagen, Bmw e Siemens, anch'esse dotate di licenze bancarie per il credito al consumo, ovvero per i servizi finanziari che offrono ai clienti che comprano i loro prodotti;
si segnala, inoltre, che la Renault ha confermato la partecipazione all'asta del 29 febbraio 2012 e ha acquisito un finanziamento di 350 milioni di euro circa attraverso la sua finanziaria Rci banque, un'operazione dettata, per stessa ammissione della società, non per bisogno di liquidità ma per approfittare di tassi vantaggiosi;
è chiaro che queste operazioni sono legali, in quanto si tratta di operatori finanziari che devono avere dei requisiti minimi di riserva attraverso i quali garantiscono il diritto a partecipare alle operazioni di finanziamento, ma non sono opportune in una crisi economica come quella attuale;
la competitività dell'asta ltro (long term refinancing operation) rappresenta uno strumento importante per la Banca centrale europea per la lotta contro la crisi economica, perché assegna prestiti triennali a buon mercato alle banche europee;
la Banca centrale europea ha sempre dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
però, bisogna evitare comportamenti discorsivi, come quelli sopra descritti, da parte della Banca centrale europea nell'uso dei finanziamenti a favore degli istituti di credito, perché il finanziamento che ottengono queste aziende diverse dalle banche a un tasso d'interesse bassissimo non comporta credito ad aziende e famiglie, ma solo un unico beneficio per le aziende stesse, le quali usano il prestito per incrementare non solo il credito al consumo verso nuovi clienti, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento e fusione,
impegna il Governo:
ad attivarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine di evitare che le aste della Banca centrale europea vadano a sostenere le società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste esclusivamente agli istituti di credito;
ad attivarsi affinché l'erogazione dei prestiti che gli istituti bancari ricevono dalla Banca centrale europea al tasso agevolato dell'1 per cento siano subordinati alla loro effettiva destinazione al sostegno dell'economia reale.
(1-00937)
«Corsaro, Baldelli, Ventucci, Bernardo, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino».
La Camera,
premesso che:
nel primo mese del Governo Monti lo spread tra i btp italiani ed i bund tedeschi è sceso e poi risalito. Né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosidette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante. Il Presidente del Consiglio dei ministri è arrivato a dichiarare che le misure di liberalizzazione faranno aumentare il prodotto in terno lordo addirittura del 10 per cento: una valutazione, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, enfatica, non certo da «tecnico», in quanto non sembra avere basi affidabili di misurazione. Eppure lo spread è sceso e sta continuando a scendere;
ciò che ha veramente salvato l'Italia e l'euro dal default è stata, infatti, la decisione presa dalla Banca centrale europea due mesi fa di immettere liquidità, con il programma long term refinancing operation, nelle banche europee, sia per comprare i titoli di Stato dei rispettivi Paesi, sia per compensare le perdite subite. Oltre 1.000 miliardi di euro sono stati immessi ad un tasso dell'1 per cento nelle banche europee, oltre 200 miliardi di euro in quelle italiane, salvandole dal fallimento e permettendole di acquistare una parte rilevante dei titoli di Stato in scadenza. Lo stesso entusiasmo delle borse di inizio anno ha una sola vera ragione d'essere: è l'oceano di liquidità, determinato anche dal «quantitative easing» promosso dalla Federal reserve, in cui galleggia l'economia mondiale;
il rapporto debito/prodotto interno lordo tende a crescere in tutta Europa e la Banca centrale europea sarà costretta ad intervenire ancora. Non potendo la Banca centrale europea, nel quadro dei trattati attuali, agire come una banca centrale a pieno titolo, come garante di ultima istanza, agisce in parte come «prestatore di prima istanza», abbassando i tassi di interesse, e soprattutto come «prestatore di seconda istanza», comprando titoli sul mercato secondario e foraggiando, invece che gli Stati, gli intermediari finanziari, consentendo loro ampi guadagni. Si è, dunque, nuovamente scelta una politica monetarista e liberista;
si sta solo guadagnando tempo. Dovrà essere la crescita vera dell'economia a migliorare i bilanci delle banche, delle imprese e degli Stati. Entro tre anni, comunque, questi prestiti andranno rimborsati e tale operazione sarà tanto più difficile quanto meno l'economia europea sarà uscita dall'attuale recessione, recessione aggravata dalle politiche di bilancio attuate in contemporanea da tutti i Paesi dell'Unione europea. Nemmeno i Paesi europei in avanzo commerciale, infatti, potranno contare su una «locomotiva» americana o cinese, tanto meno sulla capacità di assorbimento degli altri Paesi europei;
il rischio concreto è che l'onere di tale rimborso ricada sui contribuenti, stante che l'articolo 8 del decreto legge n. 201 del 2011 (la cosiddetta manovra Monti «salva-Italia») ha fornito alle banche la garanzia dello Stato sui prestiti ottenuti;
si rinvia ancora la creazione di un fondo europeo per lo sviluppo e gli investimenti e non si pone il problema di una nuova qualità dello sviluppo, fondata sulla creazione di occupazione e rispetto per l'ambiente. Sarebbe, in definitiva, più efficace l'emissione di eurobond, che potrebbero essere emessi dal fondo europeo per gli investimenti, come previsto dal disegno originario della moneta comune e come richiesto da una risoluzione approvata recentemente a larga maggioranza dall'European economic and social Committee, dal nome «Restarting growth in the UE»;
il 29 febbraio 2012 la Banca centrale europea ha prestato 530 miliardi di euro per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita nel dicembre 2011. Soldi che non serviranno, l'esperienza del prestito della Banca centrale europea precedente lo attesta, a finanziare le imprese e le famiglie. Infatti, quell'operazione è servita sopratutto a sostenere la domanda di titoli di Stato;
l'operazione a tre anni del 21 dicembre 2011 vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi di euro che furono tutti assegnati. I prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l'incremento netto di finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea al sistema bancario europeo è stato in realtà molto inferiore: 193 miliardi di euro;
con riferimento al nostro Paese, le banche italiane usufruirono di un finanziamento di 116 miliardi di euro in quell'operazione, ma l'incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d'Italia nel mese di dicembre 2011 è stato della metà, 57 miliardi di euro;
gli istituti di credito usufruiscono del notevole differenziale tra i tassi di approvvigionamento dei fondi (dalla Banca centrale europea all'1 per cento e dai privati con un tasso di poco superiore) e quelli a cui li offrono a prestito. Il problema del credito è diventato, sostanzialmente, più che un problema di costi, una questione di offerta carente in termini di qualità e di quantità, in particolare per le piccole e medie imprese e le famiglie;
si è passati dai salvataggi al finanziamento diretto delle banche di investimento, dall'acquisto dei titoli tossici alla ricapitalizzazione delle banche;
le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico. Nello stesso tempo, hanno stretto l'offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti;
le somme ricevute dalla Banca centrale europea sono state usate anche per rimborsare obbligazioni bancarie, un'operazione che sarebbe stata troppo costosa rinnovare ai tassi di mercato. Nel bimestre dicembre 2011-gennaio 2012, le banche italiane hanno acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi;
una parte del finanziamento ricevuto è stato depositato dagli istituti di credito presso la stessa Banca centrale europea, sottraendo somme significative al sostegno delle famiglie e dell'economia produttiva;
rispetto alle loro consorelle europee le banche italiane soffrono di più, poiché risentono del rischio-Paese che grava sull'Italia: per questo motivo, la raccolta di finanziamenti è divenuta più scarsa e più cara e questo si riflette sui prestiti bancari. Tuttavia, le banche non fanno molto per aiutare la clientela, visto che hanno aumentato il margine che si prendono tra tassi attivi e passivi;
esse, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67 per cento sui mutui, in Italia al 4,6 per cento contro il 3,93 per cento della media dell'Unione europea. Nel gennaio 2012, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d'interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 al 4,15 per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 al 2,7 per cento);
c'è da considerare, inoltre, che se le banche impiegheranno queste risorse aumenteranno ulteriormente la loro leva e, quindi, entreranno clamorosamente in conflitto con le indicazioni di «Basilea 3» che obbligano ad una diminuzione del rapporto tra mezzi propri e credito erogato;
alle aste hanno partecipato istituti di credito legati a grandi aziende europee, in particolare automobilistiche, che mettono in atto una sorta di «carry-trade» nell'ambito del credito al consumo, come d'altronde gli istituti di credito tradizionali,
impegna il Governo:
a sostenere in tutte le sedi europee l'esclusione dalle aste della Banca centrale europea degli istituti di credito specializzati nel credito al consumo e collegati a gruppi industriali e che la partecipazione ad eventuali future aste a tasso agevolato, indette dalla Banca centrale europea, da parte di istituti di credito sia condizionato all'impegno di questi ultimi a destinare una quota non inferiore al 50 per cento delle somme prese in prestito dalla Banca centrale europea al credito, con un tasso di particolare favore, alle famiglie e alle piccole e medie imprese;
in tale ambito, a promuovere in sede europea l'esclusione della possibilità per gli istituti di credito di depositare presso la Banca centrale europea oltre un brevissimo periodo le somme ottenute in prestito a tasso agevolato dalla stessa Banca centrale europea, al fine di ampliare l'offerta di credito alle famiglie e alle imprese.
(1-00938)
(Nuova formulazione) «Borghesi, Barbato, Messina, Donadi, Zazzera, Cimadoro, Monai».
La Camera,
premesso che:
nel primo mese del Governo Monti lo spread tra i btp italiani ed i bund tedeschi è sceso e poi risalito. Né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosidette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante. Il Presidente del Consiglio dei ministri è arrivato a dichiarare che le misure di liberalizzazione faranno aumentare il prodotto interno lordo addirittura del 10 per cento: una valutazione, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, enfatica, non certo da «tecnico», in quanto non sembra avere basi affidabili di misurazione. Eppure lo spread è sceso e sta continuando a scendere;
ciò che ha veramente salvato l'Italia e l'euro dal default è stata, infatti, la decisione presa dalla Banca centrale europea due mesi fa di immettere liquidità, con il programma long term refinancing operation, nelle banche europee, sia per comprare i titoli di Stato dei rispettivi Paesi, sia per compensare le perdite subite. Oltre 1.000 miliardi di euro sono stati immessi ad un tasso dell'1 per cento nelle banche europee, oltre 200 miliardi di euro in quelle italiane, salvandole dal fallimento e permettendole di acquistare una parte rilevante dei titoli di Stato in scadenza. Lo stesso entusiasmo delle borse di inizio anno ha una sola vera ragione d'essere: è l'oceano di liquidità, determinato anche dal «quantitative easing» promosso dalla Federal reserve, in cui galleggia l'economia mondiale;
il rapporto debito/prodotto interno lordo tende a crescere in tutta Europa e la Banca centrale europea sarà costretta ad intervenire ancora. Non potendo la Banca centrale europea, nel quadro dei trattati attuali, agire come una banca centrale a pieno titolo, come garante di ultima istanza, agisce in parte come «prestatore di prima istanza», abbassando i tassi di interesse, e soprattutto come «prestatore di seconda istanza», comprando titoli sul mercato secondario e foraggiando, invece che gli Stati, gli intermediari finanziari, consentendo loro ampi guadagni. Si è, dunque, nuovamente scelta una politica monetarista e liberista;
si sta solo guadagnando tempo. Dovrà essere la crescita vera dell'economia a migliorare i bilanci delle banche, delle imprese e degli Stati. Entro tre anni, comunque, questi prestiti andranno rimborsati e tale operazione sarà tanto più difficile quanto meno l'economia europea sarà uscita dall'attuale recessione, recessione aggravata dalle politiche di bilancio attuate in contemporanea da tutti i Paesi dell'Unione europea. Nemmeno i Paesi europei in avanzo commerciale, infatti, potranno contare su una «locomotiva» americana o cinese, tanto meno sulla capacità di assorbimento degli altri Paesi europei;
il rischio concreto è che l'onere di tale rimborso ricada sui contribuenti, stante che l'articolo 8 del decreto legge n. 201 del 2011 (la cosiddetta manovra Monti «salva-Italia») ha fornito alle banche la garanzia dello Stato sui prestiti ottenuti;
si rinvia ancora la creazione di un fondo europeo per lo sviluppo e gli investimenti e non si pone il problema di una nuova qualità dello sviluppo, fondata sulla creazione di occupazione e rispetto per l'ambiente. Sarebbe, in definitiva, più efficace l'emissione di eurobond, che potrebbero essere emessi dal fondo europeo per gli investimenti, come previsto dal disegno originario della moneta comune e come richiesto da una risoluzione approvata recentemente a larga maggioranza dall'European economic and social Committee, dal nome «Restarting growth in the UE»;
il 29 febbraio 2012 la Banca centrale europea ha prestato 530 miliardi di euro per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita nel dicembre 2011. Soldi che non serviranno, l'esperienza del prestito della Banca centrale europea precedente lo attesta, a finanziare le imprese e le famiglie. Infatti, quell'operazione è servita sopratutto a sostenere la domanda di titoli di Stato;
l'operazione a tre anni del 21 dicembre 2011 vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi di euro che furono tutti assegnati. I prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l'incremento netto di finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea al sistema bancario europeo è stato in realtà molto inferiore: 193 miliardi di euro;
con riferimento al nostro Paese, le banche italiane usufruirono di un finanziamento di 116 miliardi di euro in quell'operazione, ma l'incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d'Italia nel mese di dicembre 2011 è stato della metà, 57 miliardi di euro;
gli istituti di credito usufruiscono del notevole differenziale tra i tassi di approvvigionamento dei fondi (dalla Banca centrale europea all'1 per cento e dai privati con un tasso di poco superiore) e quelli a cui li offrono a prestito. Il problema del credito è diventato, sostanzialmente, più che un problema di costi, una questione di offerta carente in termini di qualità e di quantità, in particolare per le piccole e medie imprese e le famiglie;
si è passati dai salvataggi al finanziamento diretto delle banche di investimento, dall'acquisto dei titoli tossici alla ricapitalizzazione delle banche;
le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico. Nello stesso tempo, hanno stretto l'offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti;
le somme ricevute dalla Banca centrale europea sono state usate anche per rimborsare obbligazioni bancarie, un'operazione che sarebbe stata troppo costosa rinnovare ai tassi di mercato. Nel bimestre dicembre 2011-gennaio 2012, le banche italiane hanno acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi;
una parte del finanziamento ricevuto è stato depositato dagli istituti di credito presso la stessa Banca centrale europea, sottraendo somme significative al sostegno delle famiglie e dell'economia produttiva;
rispetto alle loro consorelle europee le banche italiane soffrono di più, poiché risentono del rischio-Paese che grava sull'Italia: per questo motivo, la raccolta di finanziamenti è divenuta più scarsa e più cara e questo si riflette sui prestiti bancari. Tuttavia, le banche non fanno molto per aiutare la clientela, visto che hanno aumentato il margine che si prendono tra tassi attivi e passivi;
esse, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67 per cento sui mutui, in Italia al 4,6 per cento contro il 3,93 per cento della media dell'Unione europea. Nel gennaio 2012, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d'interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 al 4,15 per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 al 2,7 per cento);
c'è da considerare, inoltre, che se le banche impiegheranno queste risorse aumenteranno ulteriormente la loro leva e, quindi, entreranno clamorosamente in conflitto con le indicazioni di «Basilea 3» che obbligano ad una diminuzione del rapporto tra mezzi propri e credito erogato;
alle aste hanno partecipato istituti di credito legati a grandi aziende europee, in particolare automobilistiche, che mettono in atto una sorta di «carry-trade» nell'ambito del credito al consumo, come d'altronde gli istituti di credito tradizionali,
impegna il Governo:
ad attivarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine di evitare che le aste della Banca centrale europea vadano a sostenere le società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste esclusivamente agli istituti di credito.
(1-00938)
(Nuova formulazione nel testo modificato) «Borghesi, Barbato, Messina, Donadi, Zazzera, Cimadoro, Monai, Paladini».
La Camera,
premesso che:
la Banca centrale europea l'8 dicembre 20111 aveva lanciato il long term refinancing operation, cioè due rifinanziamenti straordinari della durata di 36 mesi, a favore delle banche, allo scopo di garantire loro l'accesso alle liquidità, ampliando la gamma di collaterali, cioè di titoli a garanzia che le banche possono fornire in cambio di liquidità, includendo le abs (asset backed securities), titoli garantiti da attivi come mutui;
due sono state le aste di assegnazione fondi a tasso fisso dell'1 per cento: la prima il 21 dicembre 2011, con scadenza 29 gennaio 2015, la seconda il 29 febbraio 2012, con scadenza 26 febbraio 2015;
nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato circa 490 miliardi di euro a favore di banche commerciali che operano nell'area euro. Nella seconda asta sono stati assegnati circa 530 miliardi di euro;
gli istituti bancari che hanno fatto richiesta sono stati rispettivamente 523 e 800, tutti motivati da nobili scopi: evitare il credit crunch, patrimonializzare le banche, ripianare i bilanci, aiutare le imprese per far ripartire la crescita;
a concorrere all'assegnazione di fondi hanno partecipato, però, anche soggetti diversi da veri e propri istituti bancari, quali la Peugeot attraverso la sua divisione finanziaria, Banque psa finance, la Renault che ha acquisito un finanziamento di 350 milioni di euro, attraverso la finanziaria Rci banque; la Volkswagen ed altre società;
operazioni consentite certamente, ma il fatto che operatori dell'economia reale e non del credito siano intervenuti direttamente in operazioni di rifinanziamento, farà incrementare la categoria di offerta collaterale e accettata dalla Banca centrale europea, abbassandone lo standard e alimentando il rischio di rialzo dell'inflazione nei Paesi dell'eurozona,
impegna il Governo
a farsi promotore, in sede europea, di interventi per evitare l'alterazione della concorrenza e un ingiusto drenaggio di risorse finanziarie destinate a garantire liquidità alle imprese e alle famiglie, assumendo iniziative dirette a fare in modo che le operazioni di finanziamento da parte della Banca centrale europea vadano unicamente a favore di veri e propri istituti di credito e non di gruppi industriali.
(1-00939)
«Cambursano, Brugger, Paladini».
La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011 il consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deliberato di dar corso a due operazioni di rifinanziamento con scadenza a trentasei mesi, di particolare interesse per le condizioni economiche (tasso fisso dell'1 per cento) e normative (qualità di alcuni degli asset backed securities (abs) collaterali e decentramento sulle banche centrali nazionali dell'implementazione delle regole di garanzia con relativa assunzione di responsabilità);
gli obiettivi dichiarati della Banca centrale europea erano:
a) il sostegno dei prestiti bancari;
b) la liquidità nel mercato monetario dell'area euro;
le procedure di rifinanziamento contemplavano due aste, una per fine gennaio 2012 e l'altra a fine febbraio 2012;
nella prima, del 29 gennaio 2012, sono stati assegnati 489,19 miliardi di euro a fronte di 523 richiedenti; nella seconda, 529,53 miliardi di euro, con 800 richiedenti;
l'aumento della partecipazione è risultato notevole se si considera che, generalmente, in operazioni del genere si presentano circa 200 richiedenti;
dal punto di vista della composizione della domanda, si è riscontrato un maggiore accesso da parte delle banche medio-piccole;
in considerazione dei criteri di selezione delle domande che presiedevano ai due esperimenti d'asta, è da valutare il fatto che abbiano partecipato, oltre alle aziende bancarie vere e proprie, anche società finanziarie facenti capo a gruppi industriali e dedicate, anzitutto e in funzione strumentale, al finanziamento dei consumatori dei prodotti del gruppo di riferimento;
la stampa ha dato notizia di manifestazioni di interesse alle aste di rifinanziamento della Banca centrale europea da parte di aziende industriali attraverso proprie finanziarie, non mancando di sottolineare le favorevoli condizioni dei prestiti da poter utilizzare anche per obiettivi interni di gruppo: ristrutturazioni, ricomposizioni societarie ed altro, a condizioni certamente più vantaggiose rispetto a quelle ottenibili sui normali canali di provvista bancaria o sui mercati;
si può osservare che le condizioni e i risultati degli esperimenti d'asta potrebbero non determinare il pieno raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Banca centrale europea, vale a dire il sostegno all'attività creditizia ordinaria delle banche e l'immissione di liquidità erga omnes nei mercati dell'eurozona, per le seguenti considerazioni:
a) le banche potranno destinare la metà circa dei rifinanziamenti concessi al rimborso di analoghi prestiti ottenuti dalla Banca centrale europea ed aventi scadenza nell'anno: circa 560 miliardi di euro (200 nel primo trimestre);
b) con ciò, se si è scongiurato un nuovo possibile rischio di default di alcune banche esposte verso la Banca centrale europea e un complessivo nuovo salvataggio del sistema, non tutto il potenziale d'intervento a sostegno dell'economia reale, riveniente dalle disponibilità, potrebbe essere destinato allo scopo;
c) le condizioni economiche dei rifinanziamenti (tasso e durata), con quelle normative che in materia di rischio attribuiscono responsabilità di ultima istanza alle banche centrali - cui è affidato il compito di autorizzare i criteri di regolamentazione della accettazione dei collaterali - hanno certamente favorito liquidità a prezzi di convenienza per il sistema bancario, il quale, però, potrebbe continuare a trovare preferibile dirottarla verso i più redditizi titoli del debito pubblico;
d) d'altro canto, l'avvenuta riduzione in termini quantitativamente importanti del nostro spread sui bund tedeschi potrebbe sottendere l'aspettativa dei mercati per investimenti delle banche in obbligazioni pubbliche, calmierandone, peraltro, ulteriormente i rendimenti;
e) a ciò devono aggiungersi i fondi che, ottenuti da espressioni dirette e strumentali di gruppi industriali, contribuiscono solo parzialmente al conseguimento degli obiettivi indicati l'8 dicembre 2011 dal consiglio direttivo della Banca centrale europea, sia per la liquidità generale del mercato che per il sostegno all'imprenditoria e alle famiglie in generale, risolvendosi piuttosto in un vantaggio, con provvista a prezzi di favore, da un lato per i clienti dell'azienda soggetti di operazioni di credito al consumo, dall'altro per le proprie necessità di politica industriale,
impegna il Governo:
a considerare le criticità sopra indicate in ordine all'efficacia - rispetto alle finalità del sostegno creditizio alla crescita economica - di operazioni di rifinanziamento della Banca centrale europea, così come sono organizzate;
in tale prospettiva e, conseguentemente, ad operare nelle sedi istituzionali europee per assicurare che le operazioni di rifinanziamento destinate al sostegno in via generale di tutti gli operatori economici, imprese e famiglie, richiedenti credito alle banche, siano regolate da procedure che, fermi restando i requisiti tecnico-operativi in atto, consentano, in sede di definizione dei criteri di selezione delle controparti, l'esclusione di soggetti operanti con finalità industriali di parte proprietaria propria, anche al fine di non incidere, indirettamente, sul corretto dispiegarsi della concorrenza;
a seguire l'esito del monitoraggio che, sia a livello di Banca centrale europea che di Banca d'Italia, potrà essere disposto sulla rispondenza dell'utilizzo della provvista ottenuta con i rifinanziamenti di cui trattasi alle finalità per la quale è stata concessa.
(1-00942)
«Tabacci, Galletti, Della Vedova, Fabbri, Mosella, Pisicchio, Vernetti, Brugger, Occhiuto, Ciccanti, Calgaro, Moroni, Lo Presti».
La Camera,
premesso che:
le banche italiane hanno preso in prestito dalla Banca centrale europea, al tasso dell'1 per cento, 116 miliardi di euro, oltre un quarto dei 489,19 erogati dalla Banca centrale europea nell'asta straordinaria del 21 dicembre 2011;
si tratta di un'iniezione di liquidità che dovrebbe mettere al riparo dalle prossime tempeste monetarie i 523 istituti europei che ne hanno beneficiato;
la seconda asta, tenutasi il 29 febbraio 2012, ha assegnato 529,53 miliardi di euro e gli istituti che ne hanno fatto richiesta, a livello europeo, sono ottocento;
la speranza che una tale iniezione di liquidità servisse, a sua volta, ad allargare la forte stretta creditizia in atto da più di un anno, dando così un po' di ossigeno, soprattutto alle piccole e medie imprese italiane, è stata subito smentita;
lo stesso Ignazio Visco, direttore della Banca d'Italia, in una intervista alla Cnn ha ammesso, seppure con il linguaggio diplomatico proprio del ruolo che ricopre, che «il rischio di una sostanziale difficoltà del credito potrebbe esserci nel finanziare l'economia reale» (la Repubblica del 28 gennaio 2012);
le notizie che si ricavano dalla stampa e dagli addetti al settore dicono che la maggior parte dei fondi delle banche sono riversati nell'acquisto di obbligazioni del debito pubblico, soprattutto italiano, che come è noto possono rendere fino al 7 per cento;
in questo modo gli istituti di credito, di fatto, hanno avuto garantito l'accesso alla liquidità, ma tale operazione non contribuisce certo a rilanciare lo sviluppo e l'occupazione e molte delle aziende italiane si trovano costrette a chiudere la propria attività;
a questo impiego del denaro per la raccolta di titoli pubblici le banche sono state del resto «invitate» dallo stesso presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, quando ha detto che le banche devono sostenere le obbligazioni statali con i nuovi fondi, anche perché la Banca centrale europea non può sostenerli all'infinito;
a tutto ciò si aggiunge un elemento preoccupante, e cioè che di tali prestiti hanno usufruito alcuni dei più grandi gruppi industriali europei (Volkswagen, Bmw, Siemens, Renault), dotati di divisioni bancarie per il credito al consumo;
tale partecipazione non è dovuta alla mancanza di liquidità, ma alla scelta di usufruire dei tassi vantaggiosi di queste operazioni;
tali operazioni sono ovviamente legali, in quanto si tratta di operatori finanziari che hanno i requisiti richiesti per la partecipazione a tali operazioni di finanziamento, ma appaiono inopportune in una situazione di grave crisi economica, come è l'attuale;
infatti, nel nostro Paese, come in tutta Europa, le imprese, soprattutto le piccole e medie aziende, sono in grave difficoltà e non riescono più ad ottenere credito dalle banche e devono pagare anche crediti modestissimi, con sempre più pesanti fideiussioni ed ipoteche;
nella stessa situazione si vengono a trovare moltissime famiglie italiane, che, stante il perdurare della crisi economica, non riescono più ad affrontare le spese familiari e non possono ricorrere a prestiti, se non a condizioni estremamente penalizzanti;
gran parte delle piccole e medie imprese, che, come è noto, costituiscono oltre il 90 per cento dell'economia reale del Paese, non riesce più ad ottenere liquidità nemmeno per pagare i fornitori, l'iva, i contributi e gli stessi dipendenti ed è quindi sulla strada che porta in breve termine alla chiusura;
anche laddove l'economia rimane più dinamica o meno comatosa, come nel Nord-Est, due terzi delle imprese si rivolgono ormai alle banche per ragioni di cassa;
nonostante ciò, il 52 per cento delle aziende vorrebbe ancora che fossero dati fondi per investimenti e per l'innovazione e per affrontare meglio i vecchi e, soprattutto, i nuovi mercati (I Group del 29 gennaio 2012);
in questa situazione, in cui permane una profonda crisi economica, appare indispensabile operare scelte, in sede nazionale ed europea, tese a favorire l'economia reale e a bloccare eventuali operazioni speculative,
impegna il Governo:
ad intervenire presso le competenti sedi dell'Unione europea affinché non sia consentita, nelle aste a tasso agevolato della Banca centrale europea, la partecipazione dei più grandi gruppi industriali europei dotati di divisioni bancarie per il credito al consumo, riservando tali aste esclusivamente agli istituti di credito;
ad assumere le opportune iniziative nelle sedi comunitarie, d'intesa con gli altri partner europei, affinché nelle future aste a tasso agevolato si determinino le condizioni per vincolare la concessione di tali prestiti agli istituti di credito che si impegnino a destinare una quota maggioritaria degli stessi alla concessione di mutui a tassi agevolati a imprese, famiglie e imprenditoria giovanile, contribuendo in tal modo ad un rilancio effettivo dell'economia reale e dello sviluppo.
(1-00945)
«Gianni, Moffa, Calearo Ciman, Catone, D'Anna, Grassano, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
La Camera,
premesso che:
le banche italiane hanno preso in prestito dalla Banca centrale europea, al tasso dell'1 per cento, 116 miliardi di euro, oltre un quarto dei 489,19 erogati dalla Banca centrale europea nell'asta straordinaria del 21 dicembre 2011;
si tratta di un'iniezione di liquidità che dovrebbe mettere al riparo dalle prossime tempeste monetarie i 523 istituti europei che ne hanno beneficiato;
la seconda asta, tenutasi il 29 febbraio 2012, ha assegnato 529,53 miliardi di euro e gli istituti che ne hanno fatto richiesta, a livello europeo, sono ottocento;
la speranza che una tale iniezione di liquidità servisse, a sua volta, ad allargare la forte stretta creditizia in atto da più di un anno, dando così un po' di ossigeno, soprattutto alle piccole e medie imprese italiane, è stata subito smentita;
lo stesso Ignazio Visco, direttore della Banca d'Italia, in una intervista alla Cnn ha ammesso, seppure con il linguaggio diplomatico proprio del ruolo che ricopre, che «il rischio di una sostanziale difficoltà del credito potrebbe esserci nel finanziare l'economia reale» (la Repubblica del 28 gennaio 2012);
le notizie che si ricavano dalla stampa e dagli addetti al settore dicono che la maggior parte dei fondi delle banche sono riversati nell'acquisto di obbligazioni del debito pubblico, soprattutto italiano, che come è noto possono rendere fino al 7 per cento;
in questo modo gli istituti di credito, di fatto, hanno avuto garantito l'accesso alla liquidità, ma tale operazione non contribuisce certo a rilanciare lo sviluppo e l'occupazione e molte delle aziende italiane si trovano costrette a chiudere la propria attività;
a questo impiego del denaro per la raccolta di titoli pubblici le banche sono state del resto «invitate» dallo stesso presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, quando ha detto che le banche devono sostenere le obbligazioni statali con i nuovi fondi, anche perché la Banca centrale europea non può sostenerli all'infinito;
a tutto ciò si aggiunge un elemento preoccupante, e cioè che di tali prestiti hanno usufruito alcuni dei più grandi gruppi industriali europei (Volkswagen, Bmw, Siemens, Renault), dotati di divisioni bancarie per il credito al consumo;
tale partecipazione non è dovuta alla mancanza di liquidità, ma alla scelta di usufruire dei tassi vantaggiosi di queste operazioni;
tali operazioni sono ovviamente legali, in quanto si tratta di operatori finanziari che hanno i requisiti richiesti per la partecipazione a tali operazioni di finanziamento, ma appaiono inopportune in una situazione di grave crisi economica, come è l'attuale;
infatti, nel nostro Paese, come in tutta Europa, le imprese, soprattutto le piccole e medie aziende, sono in grave difficoltà e non riescono più ad ottenere credito dalle banche e devono pagare anche crediti modestissimi, con sempre più pesanti fideiussioni ed ipoteche;
nella stessa situazione si vengono a trovare moltissime famiglie italiane, che, stante il perdurare della crisi economica, non riescono più ad affrontare le spese familiari e non possono ricorrere a prestiti, se non a condizioni estremamente penalizzanti;
gran parte delle piccole e medie imprese, che, come è noto, costituiscono oltre il 90 per cento dell'economia reale del Paese, non riesce più ad ottenere liquidità nemmeno per pagare i fornitori, l'iva, i contributi e gli stessi dipendenti ed è quindi sulla strada che porta in breve termine alla chiusura;
anche laddove l'economia rimane più dinamica o meno comatosa, come nel Nord-Est, due terzi delle imprese si rivolgono ormai alle banche per ragioni di cassa;
nonostante ciò, il 52 per cento delle aziende vorrebbe ancora che fossero dati fondi per investimenti e per l'innovazione e per affrontare meglio i vecchi e, soprattutto, i nuovi mercati (I Group del 29 gennaio 2012);
in questa situazione, in cui permane una profonda crisi economica, appare indispensabile operare scelte, in sede nazionale ed europea, tese a favorire l'economia reale e a bloccare eventuali operazioni speculative,
impegna il Governo:
ad attivarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine di evitare che le aste della Banca centrale europea vadano a sostenere le società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste esclusivamente agli istituti di credito;
ad attivarsi affinché l'erogazione dei prestiti che gli istituti bancari ricevono dalla Banca centrale europea al tasso agevolato dell'1 per cento siano indirizzati prevalentemente al sostegno dell'economia reale in particolare famiglie e piccole e medie imprese.
(1-00945)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Gianni, Moffa, Calearo Ciman, Catone, D'Anna, Grassano, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».