XVI LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 643 di lunedì 4 giugno 2012
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI
La seduta comincia alle 18.
GUIDO DUSSIN, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 28 maggio 2012.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Caparini, Cicchitto, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Leone, Lupi, Milanato, Moffa, Mogherini Rebesani, Mosca, Leoluca Orlando, Rigoni e Stefani sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ventiquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Nella giornata di lutto nazionale per le vittime del terremoto in Emilia.
PRESIDENTE. Prima di iniziare i nostri lavori, desidero ricordare che oggi è stato proclamato il lutto nazionale per le vittime del terremoto in Emilia.
Il Presidente della Camera ha già reso omaggio, nella seduta del 29 maggio scorso, alle vittime di questa terribile tragedia manifestando, altresì, a nome di tutti i colleghi, la vicinanza alle popolazioni interessate. In quell'occasione l'Assemblea fu anche chiamata ad osservare un minuto di silenzio.
Desidero ribadire anche oggi in quest'Aula il più profondo cordoglio per i famigliari di coloro che hanno perso la vita e la più viva solidarietà per tutti quelli che sono stati colpiti dal sisma che ha martoriato e, purtroppo, continua a martoriare l'Emilia e le regioni limitrofe.
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 12 maggio 2012, n. 57, recante disposizioni urgenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese. (A.C. 5194-A) (ore 18,06).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 12 maggio 2012, n. 57, recante disposizioni urgenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 5194-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che le Commissioni XI (Lavoro) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la Commissione Lavoro, onorevole Boccuzzi, ha facoltà di svolgere la relazione.
ANTONIO BOCCUZZI, Relatore per la XI Commissione. Signor Presidente, le Commissioni riunite XI e XII, al termine dell'esame in sede referente, propongono all'Assemblea l'approvazione del decreto-legge n. 57 del 2012, con le modificazioni apportate dalle Commissioni stesse. Si ricorda, infatti, che il decreto-legge in esame, nel suo testo originario, apportando modifiche al decreto legislativo n. 81 del 2008, che reca norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, è volto essenzialmente, come si evince dalla relazione illustrativa, a scongiurare i rischi che si sarebbero venuti a creare a seguito dell'abrogazione delle discipline speciali relative ai settori ferroviario, marittimo e portuale.
Infatti, il decreto legislativo n. 81 del 2008 prevedeva l'adozione, entro il 15 maggio scorso, di regolamenti di coordinamento tra la disciplina recata dal medesimo decreto legislativo e le normative speciali concernenti i citati settori. Decorso tale termine sarebbero state abrogate le discipline speciali di settore, con conseguente e immediata applicazione delle disposizioni tecniche contenute nel suddetto decreto legislativo, ritenute assolutamente incompatibili con gli standard tecnici attualmente adottati nei richiamati settori. Questo è, appunto, il rischio che attraverso il decreto-legge in esame si è inteso evitare.
Come evidenziato anche nella relazione svolta presso le Commissioni riunite, il provvedimento prevedeva originariamente due distinti interventi: nel disegno di legge di conversione, all'articolo 1, accanto alla consueta formula di conversione e alla clausola di entrata in vigore, di cui ai commi 1 e 3, vi era anche un comma 2, che conteneva una disposizione di carattere sostanziale, volta a novellare l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008, poiché ciò rappresentava una vera anomalia nell'ambito dei disegni di legge di conversione, come ha anche rilevato il Comitato per la legislazione nel proprio parere. Le Commissioni riunite hanno deciso di sopprimere tale comma 2 e di trasferire parte del contenuto all'interno del decreto-legge medesimo.
Nel decreto-legge, invece, vi è l'articolo 1, recante modifiche allo stesso decreto legislativo n. 81 del 2008. Il contenuto di questo articolo è rimasto sostanzialmente invariato dopo l'esame da parte delle Commissioni riunite, salvo che per l'aggiunta di un inciso di cui si darà conto nel seguito della presente relazione.
Passo, dunque, ad illustrare il testo che le Commissioni propongono all'Assemblea. Per quanto riguarda il contenuto del richiamato comma 2 dell'articolo unico del disegno di legge di conversione, faccio notare che le Commissioni, nel trasferirlo all'interno del decreto-legge, hanno apportato le seguenti modifiche.
Hanno soppresso la parte che prevedeva di espungere dall'articolo 3, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo n. 81 del 2008, l'inciso «e non oltre» con riferimento al termine di 36 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008, entro il quale devono essere individuate le particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative di cui occorre tenere conto per l'applicazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008 in particolari settori. Hanno quindi mantenuto l'ulteriore differimento del termine per l'adozione dei regolamenti di delegificazione previsti dall'articolo 3, comma 2 secondo periodo, del decreto legislativo n. 81 del 2008, finalizzati a consentire il coordinamento tra le disposizioni dello stesso decreto con la legislazione speciale relativa alle attività lavorative a bordo delle navi, in ambito portuale e per il settore delle navi da pesca, nonché l'armonizzazione delle disposizioni tecniche di cui ai titoli dal II al XII del medesimo decreto legislativo n. 81 del 2008, con la disciplina in tema di trasporto ferroviario. In questo caso, tuttavia, la proroga che il Governo proponeva - di ulteriori dodici mesi - è stata ridotta a sette mesi, a seguito dell'approvazione di Pag. 3un emendamento dei relatori. Il nuovo termine quindi verrà in scadenza il 15 dicembre prossimo.
Prima di passare all'illustrazione degli altri commi dell'articolo 1 del decreto-legge, vorrei ricordare che sul punto dell'emanazione delle discipline speciali, il Governo ha anche spiegato alle Commissioni riunite, di aver predisposto un disegno di legge delega di imminente trasmissione alle Camere, che avrà il compito di coordinare normative di rango primario. Si tratta di un compito attualmente affidato dall'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008, a regolamenti di delegificazione per l'adozione dei quali il disegno di legge di conversione prevede - come detto - l'ulteriore differimento del termine già più volte differito.
Per questa ragione, avendo il Consiglio dei ministri approvato un disegno di legge di delega il cui oggetto coincide, in sostanza, con il compito affidato ai regolamenti stessi, sarà presentato un ordine del giorno nel seguito della discussione in Aula, che il Governo si è già impegnato ad accogliere per assicurare che i termini per la presentazione del disegno di legge delega e, una volta concluso, l'iter parlamentare per l'emanazione dei relativi decreti delegati siano quanto mai rapidi ed idonei, in ogni caso a consentire l'entrata in vigore delle nuove norme entro la fine dell'anno.
Segnalo peraltro che le Commissioni riunite hanno anche apportato, con l'inserimento dell'inciso prima richiamato, una modifica al comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge in esame, prevedendo l'espressione del parere parlamentare sui predetti regolamenti di delegificazione.
Infine, ricordo che il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 57, al quale non sono state apportate variazioni, modificando l'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, nelle more della definizione delle procedure standardizzate di effettuazione della valutazione dei rischi di cui al medesimo articolo 29, comma 5, proroga - dal 30 giugno 2012 al 31 dicembre 2012 - il termine entro il quale i datori di lavoro che occupano fino a 10 dipendenti possono effettuare l'autocertificazione della valutazione dei rischi. Secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa, in assenza di tale proroga, tali datori di lavoro saranno obbligati - a decorrere dal 1o luglio 2012 - ad elaborare il documento di valutazione dei rischi secondo le procedure ordinarie, in assenza delle procedure standardizzate specificamente previste per le piccole imprese.
A questo proposito si segnala che le Commissioni riunite hanno affrontato un ulteriore problema, legato al citato comma 2, che riguarda le lettere di messa in mora che la Commissione europea ha inviato all'Italia, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nell'ambito della procedura di infrazione 4227 del 2010, per non corretto recepimento nel decreto legislativo n. 81 del 9 aprile del 2008, della direttiva della Comunità europea n. 391 del 1989, relativa all'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro. Tra i rilievi della Commissione si segnalano, in particolare, le osservazioni in merito all'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008. La Commissione ritiene infatti che la disposizione secondo cui i datori di lavoro delle imprese con meno di dieci dipendenti non sarebbero tenuti alla redazione del documento di valutazione dei rischi, ma solamente ad una mera autocertificazione dell'avvenuta valutazione, fino a quando il decreto interministeriale, di cui ai commi 6 ed 8, lettera f), del decreto legislativo, non entri in vigore, nonché la possibilità che, ai sensi della vigente formulazione dell'articolo 29, comma 5, tale situazione si prolunghi fino al 30 giugno 2012, siano in palese contrasto con l'articolo 9, comma 1, lettera a), della direttiva della Comunità europea n. 391 del 1989, secondo cui il datore di lavoro, tra i suoi vari obblighi, è tenuto a disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro.
Secondo la Commissione europea, inoltre, l'articolo 29, comma 5 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, violerebbe Pag. 4altresì l'articolo 10 paragrafo 3 lettera a) della direttiva 89/391/CE relativa al diritto di informazione dei lavoratori. L'articolo 10 della direttiva impone infatti ai datori di lavoro di garantire a coloro che hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, l'accesso, per l'espletamento delle loro funzioni alla valutazione dei rischi e alle misure di protezione. La Commissione osserva in proposito che un'autocertificazione potrebbe essere priva di contenuto sostanziale e non fornire pertanto un'adeguata informazione.
Proprio su tale argomento le Commissione riunite hanno avuto ampie rassicurazioni dal Governo, che ha garantito che il decreto interministeriale che disciplinerà la materia, è ormai nella fase di definitiva emanazione, avendo già ricevuto il parere della Commissione consultiva prevista dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ed essendo stato ormai avviato il concerto fra le amministrazioni interessate. Per questa ragione, anche in tal caso, i gruppi presenteranno un ulteriore ordine del giorno - che il Governo ha dichiarato di voler accogliere - diretto ad assicurare tempi rapidissimi di emanazione del provvedimento.
Alla luce delle considerazioni svolte e visti chiaramente i chiarimenti resi dal Governo alle Commissioni, ritengo che si possa procedere con l'approvazione del provvedimento all'esame dell'Aula. In proposito vorrei solo ricordare che il testo, come risultante dagli emendamenti approvati, ha avuto il parere favorevole e il nulla osta di tutte le Commissioni competenti in sede consultiva e che si attende a breve il parere per l'Aula da parte della V Commissione.
Credo così di avere illustrato tutte le complesse questioni legate al decreto-legge al nostro esame e vorrei soltanto concludere questa relazione introduttiva spendendo un'ultima parola sulla sicurezza e salute dei lavoratori, per dire che, alla luce dei drammatici avvenimenti verificatisi a causa del sisma in Emilia, dobbiamo sempre tenere alta la guardia sui temi che rappresentano una sfida per i Governi e i Parlamenti contemporanei, in una fase in cui la tutela del lavoro non può essere mai messa in secondo ordine rispetto ai sia pur rispettabili obiettivi di crescita ed incremento della produzione; infatti occorre sempre ricordare che la salvezza di una vita umana, soprattutto quando questa vita è spesa sul posto di lavoro, deve essere la finalità prioritaria per qualsiasi sistema socio-economico.
PRESIDENTE. Il relatore per la XII Commissione (Affari sociali), onorevole Sarubbi, ha facoltà di svolgere la relazione.
ANDREA SARUBBI, Relatore per la XII Commissione. Signor Presidente, solo due parole in aggiunta a quanto detto dal collega Boccuzzi, per dire che in effetti questo provvedimento ci è arrivato con alcuni difetti di origine, il primo relativo proprio alla tempistica, nel senso che probabilmente il Governo, distratto da un altre cose che apparivano più urgenti, aveva portato sino alla scadenza questa storia dei regolamenti, quindi insomma è arrivato un po' in ritardo, e ha richiesto un esame piuttosto rapido; il secondo, già evidenziato dal collega Boccuzzi, è relativo al Comitato per la legislazione che ha fatto questa osservazione, certamente non formale; il terzo è relativo all'infrazione comunitaria. Io direi che su tutti questi tre punti le Commissioni hanno svolto un buon lavoro e sono riusciti in qualche modo a superarli; due di essi in particolare - ovvero quello sulla tempistica e quello relativo all'infrazione comunitaria - il Governo si è impegnato a risolverli nei tempi più brevi possibili.
Rimane aperto, come al solito, il problema di questo equilibrio difficile fra la sicurezza dei lavoratori e il peso forte della burocrazia che ha visto, nell'esame che abbiamo svolto in sede di Commissioni congiunte, due tipi di emendamenti presentati: da una parte gli emendamenti di alcuni colleghi - del Partito Democratico, per esempio - che chiedevano un giro di vite per una maggiore sicurezza dei lavoratori; dall'altra invece degli emendamenti Pag. 5presentati dal collega Vignali del Popolo della Libertà, che chiedevano una sburocratizzazione, per così dire, che quindi avrebbero potuto comportare un rischio maggiore per il lavoratore stesso, qualora determinate procedure fossero state fatte saltare.
In sede di Commissione alcuni emendamenti sono decaduti mentre altri sono stati ritirati, e adesso vedremo cosa accadrà in Aula; noi, in quanto relatori - mi sento di parlare anche a nome del collega Boccuzzi - riteniamo che questo testo rappresenti il migliore equilibrio possibile in questo momento, e crediamo che anche il Governo - senza voler anticiparne i pareri - possa essere d'accordo sulle nostre posizioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
CECILIA GUERRA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, solo due parole per sottolineare l'importanza del tema che è oggetto del provvedimento che stiamo considerando.
Condivido le osservazioni fatte a questo proposito dagli onorevoli che mi hanno preceduto e colgo anche l'occasione per ringraziarli, e ringraziare con loro le Commissioni, per il lavoro svolto, che sicuramente ha contribuito a migliorare il testo che era stato presentato dal Governo.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ceccacci Rubino. Ne ha facoltà.
FIORELLA CECCACCI RUBINO. Signor Presidente, dal 1o gennaio al 1o giugno di quest'anno, sono morti sui luoghi di lavoro 241 lavoratori; e sarebbero oltre 460, se si aggiungessero anche i lavoratori deceduti in itinere o sulle strade, che di solito vengono esclusi da questo conteggio. È un triste e drammatico «bollettino di guerra», su cui spesso è intervenuto con parole forti il Capo dello Stato, chiedendo al Governo e al Parlamento di intervenire con politiche della sicurezza sul lavoro più efficaci. Oggi abbiamo l'occasione di dare seguito ai moniti del Presidente della Repubblica, approvando la conversione in legge del decreto-legge n. 57 del 2012, che apporta modifiche al decreto legislativo n. 81 del 2008, concernente norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono modifiche rese necessarie per scongiurare l'abrogazione delle discipline speciali sulla sicurezza relative ai settori ferroviario, marittimo e portuale, nonché a quello delle microimprese. Infatti, il decreto legislativo n. 81 del 2008 prevedeva l'adozione, entro un termine che è di fatto scaduto il 15 maggio scorso, di regolamenti di coordinamento tra la nuova disciplina disposta dal medesimo decreto legislativo e le normative speciali concernenti i citati settori. Decorso tale termine, anche in assenza di regolamenti di coordinamento, sarebbero comunque state abrogate le discipline speciali di settore, con conseguente immediata applicazione delle disposizioni tecniche contenute nel suddetto decreto legislativo, che però nei fatti sono incompatibili con i criteri tecnici ad oggi adottati nei richiamati settori.
Per evitare i rischi di una normativa inadeguata, il Governo ha deciso di intervenire con un decreto-legge che, anche con le modifiche introdotte nelle Commissioni riunite XI e XII, provvede a differire il termine per l'adozione dei regolamenti di delegificazione previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008, finalizzati a consentire il coordinamento tra le disposizioni dello stesso decreto con la legislazione speciale relativa alle attività lavorative a bordo delle navi, in ambito portuale e per il settore delle navi da pesca, nonché l'armonizzazione delle disposizioni tecniche di cui ai titoli dal II al XII del medesimo decreto legislativo n. 81 del 2008, con la disciplina in tema di trasporto ferroviario. Con le modifiche apportate dalle Commissioni al testo, la proroga scadrà quindi il 15 dicembre prossimo. Inoltre, si dispone che le normative di settore non entreranno comunque in vigore se non dopo l'emanazione dei suddetti decreti. Pag. 6
Il Governo nel corso dell'esame presso le Commissioni riunite, ha precisato di aver avviato un percorso per il conferimento di una delega legislativa volta a consentire di superare i problemi sinora emersi in relazione all'adozione dei decreti attuativi. Viene modificato, inoltre, l'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, dove si proroga dal 30 giugno 2012 al 31 dicembre 2012, il termine entro il quale i datori di lavoro che occupano fino a dieci dipendenti, possono effettuare l'autocertificazione della valutazione dei rischi. Si tratta di una proroga molto importante, in assenza della quale, i datori di lavoro con meno di dieci dipendenti, sarebbero obbligati ad elaborare il documento di valutazione dei rischi secondo le procedure ordinarie, in assenza delle procedure standardizzate specificamente previste per le piccole imprese. Questa proroga - il Governo ce l'ha assicurato, impegnandosi ad accogliere un apposito ordine del giorno diretto all'accelerazione dell'iter - serve a consentire la definitiva emanazione del decreto interministeriale per le procedure standardizzate.
Proprio su questo terzo punto, nei lavori delle Commissioni riunite si è approfondito il problema della procedura di infrazione comunitaria aperta nei confronti dell'Italia per il non corretto recepimento nel decreto legislativo n. 81 del 2008, della direttiva 89/391CEE, relativa all'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro. In particolare, la Commissione europea ha posto in dubbio: la disposizione del decreto legislativo n. 81 del 2008, secondo cui i datori di lavoro delle imprese con meno di dieci dipendenti non sarebbero tenuti alla redazione del documento di valutazione dei rischi, ma solamente ad una mera autocertificazione dell'avvenuta valutazione; la possibilità che tale situazione si prolunghi fino al 30 giugno 2012, perché in palese contrasto con l'articolo 9, comma 1, lettera a) della direttiva, secondo cui il datore di lavoro, tra i suoi vari obblighi, è tenuto a disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro; l'articolo 29, comma 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008 perché violerebbe altresì l'articolo 10, paragrafo 3, lettera a) della direttiva relativa diritto d'informazione dei lavoratori. L'articolo 10 della direttiva impone, infatti, ai datori di lavoro di garantire a coloro che hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori l'accesso per l'espletamento delle loro funzioni alla valutazione dei rischi e alle misure di protezione. In sostanza la Commissione europea teme che l'autocertificazione, essendo priva di contenuto sostanziale e non fornendo una adeguata informazione, possa essere pregiudizievole dei diritti dei lavoratori.
Come ho già detto il Governo ci ha fornito rassicurazioni dicendo che il decreto interministeriale che disciplinerà la materia è ormai nella fase di definitiva emanazione. C'è stato infatti anche il parere della Commissione consultiva prevista dal decreto legislativo n. 81 del 2008 ed è partito l'iter per la firma dei diversi Dicasteri. Proprio per questo il nostro gruppo intende approvare un ordine del giorno, che il Governo ha dichiarato di voler accogliere, per garantire tempi rapidi di emanazione del provvedimento, coniugando le legittime esigenze di protezione dei lavoratori con quelle di semplificazione degli adempimenti, evitando di sottoporre a inutili procedure burocratiche le nostre imprese, soprattutto per le attività produttive a basso rischio di incidenti. Non posso che esprimere quindi, a nome del mio gruppo, apprezzamento per l'impegno del Governo a risolvere definitivamente questa impasse normativa che oltre ad andare contro gli interessi delle imprese e dei lavoratori ci ha messo nuovamente in difficoltà con l'Europa per l'ennesima procedura di infrazione nei nostri confronti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini. Ne ha facoltà.
Pag. 7
MARCO RONDINI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge giunto in Aula per l'approvazione e la conversione in legge, nel recare disposizioni urgenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese è finalizzato a salvaguardare le discipline di specifici settori quali il marittimo, il ferroviario e portuale. Il decreto-legislativo n. 81 del 2008 (Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro) prevedeva l'adozione entro un certo termine, scaduto il 15 maggio scorso, di regolamenti di coordinamento tra la disciplina recata dal medesimo decreto legislativo e le normative speciali riguardanti i predetti settori. Decorso tale termine sarebbero state abrogate le discipline speciali di settore con conseguente immediata applicazione delle disposizioni tecniche contenute nel suddetto decreto legislativo n. 81 del 2008 ritenute assolutamente incompatibili con gli standard tecnici attualmente adottati nei tre settori citati. Possiamo dunque dire che trattasi di un atto dovuto, quello contenuto nel decreto, perché pur comprendendo e condividendo la necessità di garantire condizioni di sicurezza ai lavoratori è doveroso, specie in questa delicata fase di crisi economica che stiamo vivendo, salvaguardare le aziende da adempimenti burocratici che al momento possono solo creare ulteriori difficoltà al settore delle microimprese, e che sicuramente (tali adempimenti burocratici) non sempre vanno nella direzione di garantire maggiore sicurezza sui posti di lavoro.
In assenza della proroga prevista dal decreto-legge in esame, infatti, i datori di lavoro di tali settori sarebbero obbligati a decorrere dal 1o luglio del 2012 ad elaborare il documento di valutazione dei rischi secondo le procedure ordinarie, in mancanza delle procedure standardizzate specificamente previste per le piccole imprese. Per questi motivi condividiamo le misure recate dal presente decreto-legge ben consapevoli però che si tratta di una proroga e che dunque quanto prima bisogna intervenire in maniera sostanziale. A tal fine auspichiamo che il Governo mantenga gli impegni presi in sede di dibattito nelle Commissioni riunite lavoro e affari sociali, e cioè di adottare in tempi rapidi il decreto interministeriale che recepisca le procedure standardizzate specificatamente previste per le piccole imprese.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gatti. Ne ha facoltà.
MARIA GRAZIA GATTI. Signor Presidente, prima di affrontare il contenuto specifico del decreto-legge n. 57 e del disegno di legge di conversione vorrei provare a riflettere su cosa significhi intervenire sulla salute e sulla sicurezza nei posti di lavoro oggi a pochi giorni dal terremoto che ha colpito l'Emilia (all'inizio della seduta lei ha già ricordato che oggi è il giorno del lutto nazionale) e nel pieno di una crisi che Giorgio Squinzi nella sua prima relazione annuale da nuovo presidente di Confindustria dice essere la più lunga e la più profonda dal crollo del 1929. Sul primo punto vorrei anzitutto esprimere il cordoglio per le vittime del terremoto che ha colpito uno dei territori italiani più ricco di piccole e medie imprese.
Imprese vivaci, tecnologicamente avanzate, con produzioni di eccellenza in settori innovativi o classici nel panorama nazionale. Un territorio operoso, essenziale per l'economia del Paese, un territorio che reagiva alla crisi e che riusciva a fronteggiarla. I giornali hanno titolato «strage di operai» perché delle 17 vittime molte erano lavoratori e lavoratrici, morti durante il lavoro a causa del crollo dei capannoni. Si ripropone qui il concetto largo di sicurezza nei luoghi di lavoro, dove entrano in gioco, non solo i ritmi, le condizioni ambientali, le modalità di svolgimento del lavoro, il rapporto con le macchine, i materiali adoperati, ma anche la stabilità delle costruzioni in cui il lavoro si svolge. Bisognerà indagare sulle responsabilità, sanzionare le colpe, ma bisognerà soprattutto intervenire per ripristinare, sanare e garantire che il lavoro possa svolgersi Pag. 8in condizioni di sicurezza. Solo una nota poi per sottolineare che i lavoratori coinvolti erano di diversa nazionalità e per osservare come questa drammatica vicenda ci parli di convivenza, integrazione e piena ed essenziale partecipazione di questi nuovi cittadini alla nostra vita nazionale.
Sul secondo punto, cioè su cosa significhi garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro durante una crisi così lunga e profonda, partirei dai dati sull'occupazione forniti dall'ISTAT in questi giorni che danno la dimensione concreta della crisi. L'ISTAT ci dice che la disoccupazione ad aprile è al 10,2 per cento, in crescita su marzo e in crescita di 2,2 punti percentuali sull'anno precedente. Ci dice che la disoccupazione giovanile nel primo trimestre del 2012 sale al 35,9 per cento e che la disoccupazione delle giovani donne al Sud tocca il picco del 51,8 per cento. Il rischio che si corre, in una situazione così difficile, è pensare agli interventi che garantiscono luoghi di lavoro sani, modalità di produzione sicure, mezzi di protezione individuali adeguati come costi che le aziende non si possono permettere, soprattutto in periodi di crisi. È questo il rischio che va combattuto.
La sicurezza nei luoghi di lavoro deve essere una precondizione per la produzione ed anche qui vorrei fare riferimento a quanto detto da Giorgio Squinzi, sempre nella stessa relazione già citata. Il nuovo presidente di Confindustria afferma: «Il nostro impegno è di mettere al centro il lavoro per costruire una società più attiva, più dinamica, più giusta, che promuova i valori della solidarietà e il rispetto della persona. È un traguardo al quale dobbiamo tendere con determinazione e impegno. Per questo, dobbiamo investire nella formazione, nella sicurezza e nella tutela della salute delle persone che stanno nei luoghi di lavoro, intensificando le iniziative per promuovere e affermare un'autentica cultura della sicurezza che abbia nella prevenzione il suo più valido e solido fondamento».
È così, signor Presidente, la prevenzione è essenziale e se la nostra legislazione è innervata dalla cultura della prevenzione, i nostri comportamenti lo sono molto meno. Anche in questi anni di profonda crisi, un indicatore resta sempre il numero degli infortuni sul lavoro denunciati e da questo punto di vista si rileva una tendenza alla riduzione. Stiamo parlando di numeri assoluti e la riduzione non è sufficiente se si pensa alla contestuale riduzione, questa sì molto più pesante, relativa alle ore lavorate nei diversi settori.
Solo un inciso per rilevare che, in controtendenza rispetto alla riduzione, è aumentato del 15,4 per cento il numero delle donne morte sul lavoro che sono passate da 78 a 90 nel 2011. Vorrei soffermarmi ancora un po' sul concetto di prevenzione e sugli strumenti per attuarla perché mi sembra che qui ci sia uno dei nuclei di difficoltà più forti per l'affermazione di una pratica efficace di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. I sistemi produttivi sono complessi, non esistono sistemi completamente sicuri. Entrano in gioco fattori molto diversi, dinamici e difficilmente standardizzabili. È per questo che il nucleo fondamentale, su cui si basa il nostro sistema di prevenzione, è il documento di rischio. Si tratta di un documento di base in cui si ripercorre tutto il sistema produttivo, luoghi, macchine, materiali, lingua parlata dai lavoratori e vari altri elementi; se ne rilevano i rischi, si segnalano tecniche e comportamenti per evitarli, si individua il modo più adeguato per comunicarlo ai lavoratori impegnati.
Si tratta di un documento che deve essere periodicamente aggiornato e, comunque, sempre aggiornato quando c'è una modifica del sistema produttivo. È uno strumento che richiede tempo, energie e molta attenzione nella redazione. Questo per essere efficace. È un documento che soprattutto nella parte prescrittiva deve essere conosciuto dai lavoratori. In sostanza è il nucleo, è lo strumento più importante che è stato ipotizzato e messo a disposizione per la prevenzione. Ed è quello che viene colpevolmente interpretato come «burocrazia», «carte da produrre Pag. 9più o meno in serie», magari da tecnici esterni al luogo di lavoro. Insomma, del documento di valutazione del rischio viene data un'interpretazione, questa sì, burocratica che ne vanifica il ruolo e la funzione. Ho il sospetto che sia un problema tipico del nostro Paese. Se qualche prescrizione è ritenuta troppo impegnativa, faticosa e non immediatamente remunerativa viene denunciata come burocratica e questo autorizza a farla diventare burocratica. A oggi non esiste uno strumento che possa sostituire adeguatamente il documento di valutazione dei rischi. Pertanto è essenziale valorizzarlo e ridargli la funzione che ha.
Passiamo ora all'oggetto specifico del provvedimento in discussione oggi. Il provvedimento interviene essenzialmente su due punti: una modifica al decreto legislativo n. 81 del 2008, conosciuto anche come testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, perché tale decreto prevedeva l'adozione entro il 15 maggio scorso di regolamenti di delegificazione finalizzati a consentire il coordinamento tra la disciplina recata dallo stesso decreto legislativo n. 81 e le normative speciali concernenti settori portuali, navali e del trasporto ferroviario.
Decorso tale termine, sarebbero state abrogate le discipline speciali di settore con conseguente immediata applicazione delle disposizioni tecniche contenute nel decreto legislativo n. 81 ritenute assolutamente incompatibili con gli standard tecnici attualmente adottati nei settori che richiamavo in precedenza. Questo era il rischio che si correva. Si è inteso evitare questo vuoto normativo apportando alcune modifiche al decreto legislativo n. 81. Oltre all'intervento precedente il decreto-legge interviene per prorogare il termine entro il quale i datori di lavoro che occupano fino a 10 dipendenti possono effettuare l'autocertificazione della valutazione dei rischi nell'ambito delle procedure standardizzate. Su entrambi i punti vorrei svolgere alcune riflessioni. Sul primo va rilevata l'assoluta specificità delle situazioni dei settori del trasporto ferroviario, del lavoro portuale o del lavoro sulle navi.
Basta pensare, ad esempio, che un'applicazione delle norme del decreto legislativo n. 81, senza interventi di coordinamento, potrebbe provocare nel settore ferroviario problemi per la gestione delle linee elettriche e di alimentazione dei treni, difficoltà nell'ispezione delle linee e così via. E poi nel settore marittimo, per evidenziare la necessità del coordinamento, basta sottolineare la specialità del luogo, le diverse figure di responsabilità, le diverse necessità per la salute delle persone che sono a bordo oppure, nel settore del lavoro portuale, la specificità delle misure necessarie per il carico e scarico delle navi (penso ai portacontainer). Un elemento importante da tenere presente nel coordinamento è quello della parcellizzazione del processo di lavoro, l'intervento di lavoratori appartenenti a ditte diverse, la necessità assoluta di curare le fasi di passaggio del lavoro da una ditta all'altra che sono quelle che possono generare i maggiori e più gravi incidenti. Sono queste le motivazioni per cui bisognava assolutamente evitare un vuoto normativo.
Ma va anche sottolineato che si tratta di un problema che si trascina da quattro anni, e che la legge di conversione propone da una parte un ulteriore differimento del termine per l'adozione dei regolamenti, dall'altra dispone il mantenimento in vigore della legislazione speciale vigente nei settori in questione non più soltanto fino alla scadenza del termine per l'adozione, bensì fino alla loro effettiva emanazione.
In questo modo, come viene sottolineato anche nella scheda tecnica approntata dagli uffici della Camera, viene soppressa la norma di salvaguardia che prevedeva la diretta applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 nel caso di mancata adozione dei regolamenti entro il termine stabilito.
In Commissione - il provvedimento, come è stato già detto, è all'esame congiunto delle Commissioni XI e XII - siamo intervenuti per ridurre il periodo di differimento Pag. 10 e soprattutto abbiamo preso atto con soddisfazione della dichiarazione del Governo in cui si afferma: nella seduta dell'11 maggio 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge governativo contestualmente al decreto-legge che stiamo esaminando, che conferisce al Governo una delega legislativa al fine di predisporre una disciplina organica di coordinamento fra la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro nei settori marittimo, portuale e ferroviario ed il decreto legislativo n. 81 del 2008.
Inoltre, il Governo ha dichiarato che avrebbe dato un parere favorevole ad un ordine del giorno - molto probabilmente uno lo presenteranno i relatori - che nel dispositivo impegni il Governo ad assicurare termini estremamente rapidi per la presentazione alle Camere del disegno di legge delega e, una volta concluso l'iter parlamentare, per l'emanazione dei relativi decreti delegati in modo che, in ogni caso, l'entrata in vigore delle nuove norme possa avvenire entro la fine dell'anno corrente.
Per quanto riguarda, invece, il secondo punto, l'intervento per prorogare il termine entro il quale i datori di lavoro, che occupano fino ai dieci dipendenti, possano effettuare l'autocertificazione della valutazione dei rischi nell'ambito delle procedure standardizzate, c'è da rilevare, come già sottolineato nella scheda preparata dagli uffici, che già dal settembre 2011 la Commissione europea aveva inviato una lettera di messa in mora.
La messa in mora era relativa al non corretto recepimento nel decreto legislativo n. 81 del 2008 della direttiva relativa all'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Nella lettera si fa riferimento esplicito all'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo n. 81 e, a questo proposito, la Commissione europea si esprime sulla disposizione secondo cui i datori di lavoro delle imprese con meno di dieci dipendenti non sarebbero tenuti alla redazione del documento di valutazione dei rischi, ma solamente ad una mera autocertificazione dell'avvenuta valutazione, fino a quando il decreto interministeriale, di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f) del decreto legislativo, non entri in vigore. Fra l'altro l'emanazione di questo decreto è stata poi prorogata (nel decreto inizialmente veniva chiesta la proroga fino al 31 dicembre 2012). La Commissione europea riteneva che vi fosse una violazione relativa agli obblighi del datore di lavoro di disporre una valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza durante il lavoro e, inoltre, una violazione relativa all'articolo della stessa direttiva relativo al diritto di informazione dei lavoratori.
Anche in questo caso, in sede di Commissione, il Governo ha affermato che sono state elaborate in data 16 maggio 2012 da parte della Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro, istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le procedure standardizzate specificatamente previste per le piccole imprese, e che in tempi brevi sarà adottato il decreto interministeriale che recepisce tali procedure.
Anche in questo caso i relatori presenteranno un ordine del giorno che impegni il Governo da una parte ad adottare ogni possibile iniziativa idonea a chiudere la procedura di infrazione comunitaria e, dall'altra, ad accelerare l'adozione del decreto interministeriale necessario al più tardi - vedremo se il Governo accoglierà l'ordine del giorno - entro il mese di ottobre 2012. Nella discussione in Commissione, comunque, il Governo ha annunciato un orientamento positivo.
Su questo punto vorrei soltanto sottolineare la necessità e l'urgenza di intervenire, perché il nostro apparato produttivo è caratterizzato da molte piccole aziende. Prima della crisi circa il 90 per cento delle imprese italiane aveva meno di nove dipendenti ed è importante garantire anche a questi lavoratori le condizioni di salute e sicurezza.
L'altra sottolineatura è relativa all'uso del parametro dimensionale, come parametro per semplificare e standardizzare le procedure. Esistono molte piccole e piccolissime aziende che lavorano in ambiti Pag. 11pieni di rischio e anche di rischi gravissimi. Mi sembra importante richiamare a questo proposito la classificazione di aziende ad alto rischio, rischio medio e rischio basso contenuta in un accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, che è stato pubblicato tra l'altro sulla Gazzetta Ufficiale n. 8 dell'11 gennaio 2012 e che appunto definisce rischio alto, rischio medio e rischio basso. È stato fatto un buon lavoro di classificazione, non di tipo dimensionale. Forse andrebbe adoperato di più.
Signor Presidente, un'ultima riflessione, per concludere. Sono convinta che quando questa crisi sarà passata, noi saremo profondamente diversi, perché la crisi ha intercettato altri fenomeni che sono ad un passaggio fondamentale: lo spostamento dell'asse produttivo ad Oriente, l'invecchiamento della popolazione in Europa e, in particolare, in Italia, associata ad una grave crisi di natalità, i cambiamenti climatici e la crescita insostenibile delle disuguaglianze. È per questo che le scelte che compiamo oggi segnano come saremo all'uscita dalla crisi, quali tratti avrà la società italiana, quali elementi vogliamo che continuino a caratterizzare il nostro Paese.
Ecco, noi del Partito Democratico pensiamo che vada preservata nel nostro Paese la civiltà del lavoro. Pensiamo che garantire la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro sia un tratto essenziale per un Paese, la cui Carta costituzionale recita al primo articolo: «L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro» (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 57 del 2012 - che si compone di due articoli, uno dei quali interviene a modificare il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro - ha come evidenza, specialmente così come sottolineato nella relazione introduttiva specifica, il fatto che dall'attuazione del decreto-legge stesso non derivino - per noi era la cosa più importante - nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in quanto non sono previste nuove spese, né minori entrate, né nuovi organi amministrativi, né nuovi compiti per le amministrazioni.
Componendosi di due articoli, credo che il decreto-legge intervenga soprattutto su quello che sono le disposizioni che recano alcune applicazioni e che tengono conto delle effettive e particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative di alcune professioni - ad esempio, alle Forze armate - e non si applicano immediatamente in alcuni ambiti o settori produttivi.
Devo dire, signor Presidente, onorevoli colleghi, che per quanto concerne specialmente questi settori produttivi per i quali si rende necessaria un'armonizzazione normativa - e considerata la specialità di essi -, il decreto legislativo n. 81 ha armonizzato in maniera necessaria alcune evidenze; ma, soprattutto, era necessario per le attività lavorative a bordo delle navi, in ambito portuale e anche per quelle concernenti il trasporto ferroviario. Credo che, al di là di tutto, il movimento - e, quindi, il trasporto ferroviario - sia un tema essenziale per il nostro Paese. Nonostante l'armonizzazione dovesse avvenire già nel 2009, il legislatore ha disposto una serie di proroghe in ordine alle quali, ai predetti ambiti lavorativi, hanno continuato ad applicarsi, fino ad oggi, le previgenti discipline speciali in materia di sicurezza.
In base, poi, all'ultima proroga introdotta nel 2010, il 29 dicembre - con il cosiddetto provvedimento milleproroghe -, il termine per l'armonizzazione scadeva il 15 maggio e, quindi, a tutt'oggi, è scaduto. Considerato il termine in questi settori, si sarebbe, comunque, applicata per intero la disciplina del decreto n. 81, quindi, con conseguente abrogazione della disciplina speciale del settore previgente. Pag. 12
Questa norma introdotta, come anche questo contenuto, sono complessi: infatti, all'articolo 1 del decreto-legge, che interviene a modificare l'articolo 3 del decreto legislativo n. 81 nella stessa parte in cui prevedeva che le disposizioni da esso recate si applicassero, comunque, a bordo delle navi, in ambito portuale e ferroviario, anche in assenza dei regolamenti di armonizzazione, decorso il termine del 15 maggio, con la modifica, viene mantenuto il termine al 15 maggio: tale termine è scaduto, ma si consente di continuare ad applicare la previgente disciplina.
In questo modo, il Governo spera di poter adottare regolamenti in termini brevi, anche se, nella dichiarazione introduttiva, dichiara che, in sede di conversione del decreto-legge, sarà possibile modificare il termine di proroga. Questa dichiarazione sembrava preludere ad una modifica del termine, che è effettivamente intervenuta in Commissione con un emendamento dei relatori, ma che era stata previamente inserita dal Governo, in maniera anomala, all'articolo 1, comma 2, della legge di conversione, che, poi, era stato soppresso.
Il Governo ha dichiarato, altresì, che la previsione, oltre che fugare nell'immediato i rischi denunciati, peraltro insistentemente segnalati dalle associazioni sindacali nonché dagli operatori di tutti i settori del trasporto che, indubbiamente, sono preoccupati per questa problematica e per questa materia, consentirebbe di disporre del tempo strettamente necessario per dare attuazione, con un'adeguata normativa speciale di coordinamento, alle disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008 e alla delega prevista in un separato provvedimento da approvare contestualmente, in seno al Consiglio dei ministri, e resosi necessario anche al fine di introdurre nuove fattispecie penalmente rilevanti. Infatti, anche su questo tema ci dovrebbero essere provvedimenti di questa natura.
Nella relazione di accompagnamento del decreto-legge, da cui sono tratte le informazioni riportate nei periodi che seguono, il Governo dichiara che le disposizioni del decreto legislativo n. 81 sono assolutamente incompatibili con gli attuali standard tecnici di esercizio applicati sull'intera rete ferroviaria nazionale. Inoltre, per espressa previsione dell'articolo 62, comma 2, del citato decreto legislativo n. 81 del 2008, si esclude, in modo esplicito, l'applicabilità del titolo secondo sui luoghi di lavoro ai mezzi di trasporto, con conseguente vuoto normativo derivante dall'assenza di una disciplina per i settori navale, portuale e ferroviario; credo che questo sia, naturalmente, il tema essenziale.
Secondo il Governo l'abrogazione di alcune delle specifiche norme tecniche del settore ferroviario, ad esempio, comporterebbe rilevanti problemi per la gestione delle linee elettriche di alimentazione dei treni; la distanza di sicurezza della linea di contatto di alimentazione dei treni passerebbe, ad esempio, da un metro a tre metri e mezzo, rendendo impossibile l'effettuazione della manutenzione elettrica sulle linee a doppio binario, senza la sospensione totale della circolazione dei treni in entrambi i binari. Di conseguenza, non sarebbe possibile effettuare la vigilanza e i controlli percorrendo i sentieri lungo la linea ferroviaria senza la preventiva sospensione della circolazione dei treni sul binario naturalmente attiguo al sentiero. Inoltre, non sarebbe più possibile far sostare i viaggiatori sul marciapiede alle attuali distanze segnalate dalle strisce gialle sui marciapiedi stessi. Infine, verrebbero meno gli standard tecnici specifici che disciplinano la distanza della linea di alimentazione del treno, quindi la linea di contatto, ed il binario.
In relazione alla tematica del rapporto di lavoro marittimo, invece, l'applicazione del decreto-legge anche nei confronti dei lavoratori marittimi a bordo delle navi, a partire dal 16 maggio 2012, avrebbe trovato, innanzitutto, ostacoli di applicazione in concreto a bordo delle navi trattandosi di un impianto normativo concepito per l'ambiente di lavoro terrestre. Tale normativa fa riferimento, a titolo esemplificativo: alla figura del comandante, figura che non è assimilabile a quella del dirigente Pag. 13prevista dal decreto legislativo; al regime delle visite mediche previsto dal decreto legislativo che si palesa incompatibile con le peculiari esigenze di sicurezza, prevenzione e salute a bordo legate alla specialità del lavoro marittimo, che prevede specificatamente e obbligatoriamente le visite preimbarco prima di ogni imbarco, le visite biennali di idoneità previste per la navigazione, naturalmente per i dipendenti, oltre che a quelle periodiche del medico competente previste nella normativa marittima; ai criteri di formazione e di certificazione per le qualifiche di bordo, soprattutto per quanto concerne i lavoratori non italiani imbarcati a bordo di navi battenti bandiera italiana, che non possono essere conformi a quanto previsto allo specifico riguardo dal citato decreto legislativo; all'inammissibile assimilazione del servizio di prevenzione e protezione (SPP) di terra a quello di bordo che, naturalmente, ha competenze e modifiche variabili completamente diverse. Oltretutto, sarebbe stato oltremodo difficile individuare il soggetto deputato alla predisposizione del piano di valutazione del rischio a bordo della nave, tenuto conto del fatto che il comandante della nave è, nella grande maggioranza dei casi, un soggetto di diritto straniero e quindi non può fornire l'analisi del rischio del luogo di lavoro sulla nave, né tale analisi può essere richiesta dall'impresa terminalistica poiché essa non ha la disponibilità del luogo di lavoro e cioè della nave. Peraltro, ogni nave verrebbe ad essere considerata un diverso luogo di lavoro ad ogni scalo, con la conseguenza che impianti portuali di medie dimensioni sarebbero chiamati a preparare un elevatissimo numero di valutazioni di rischio nell'anno e tutto ciò avrebbe prodotto inefficienza e pesanti rallentamenti operativi, con il rischio di rendere non competitivi i nostri scali e di generare perdite di traffico e naturalmente di lavoro. Questo è quello che avviene; naturalmente, nell'ambito portuale, assolutamente variabile è soprattutto quello che riguarda l'abrogazione delle disposizioni speciali, quelle della legge n. 272 del 1999, che avrebbe segnato il ritorno a pratiche meno sicure e talora inefficienti per il sollevamento e il trasporto di persone a bordo della nave, e in particolar modo, delle navi cosiddette portacontainer.
Quindi, credo si tratti di temi che naturalmente riguardino anche, e specialmente, la parte del secondo comma, quella relativa ai datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori - considerato che si parla di microimprese -, nonché dell'effettuare la valutazione dei rischi in base alle procedure standardizzate e specificatamente previste per le piccole imprese. Quindi, le procedure di standardizzazione non sono mai state adottate. Questo è il vero tema: porre l'urgenza di prorogare il termine per evitare che i datori di lavoro che occupano fino a dieci lavoratori siano obbligati a elaborare il documento di valutazione dei rischi secondo le procedure ordinarie, che determinerebbero un impatto finanziario gravoso su questa tipologia di imprese, in particolare in questi momenti di crisi; credo che questo sia un tema essenziale e determinante.
Il Governo ha precisato, nella sua relazione introduttiva, che le procedure standardizzate espressamente rivolte alle cosiddette piccole imprese sono in corso di elaborazione da parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro. Di ciò diamo atto, perché, è stato fatto, e quindi è giusto, quando si lavora, che venga dato atto dell'impegno del lavoro svolto. Quindi, siamo qui per cercare di fare meglio, insieme naturalmente al Governo, e per evitare di doversi trovare nuovamente nella necessità non solo di prorogare i termini, ma anche di stabilire le possibilità di autocertificazione, come quella, ad esempio, prorogata fino alla scadenza del terzo mese successivo della data di entrata in vigore, e comunque non oltre il 31 dicembre 2012, del decreto interministeriale che reca le procedure standardizzate.
A questo proposito, la Commissione europea, nel 2011, riunitasi il 29 settembre, aveva inviato all'Italia una lettera di messa in mora, ai sensi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per il Pag. 14non corretto recepimento di norme con il decreto legislativo n. 81 del 2008, relativo all'attuazione delle misure rivolte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro. Tra i rilievi della Commissione era stato segnalato, in particolare, l'articolo 29 del decreto legislativo n. 81, e quindi la disposizione in cui i datori di lavoro che occupano fino a 10 dipendenti non sarebbero tenuti alla redazione del documento di valutazione dei rischi, ma solamente a una mera autocertificazione dell'avvenuta valutazione, fino a quando, naturalmente, il decreto interministeriale non fosse entrato in vigore.
Sono quindi quelle formulazioni, ma anche, naturalmente, aspetti del decreto interministeriale così come dei decreti legislativi entrati in vigore, e le possibilità esistenti con le vigenti formulazioni di avere delle situazioni prolungate, che erano in palese contrasto con l'articolo 9, secondo cui i datori di lavoro, tra i vari obblighi, erano tenuti a disporre una valutazione dei rischi, per la sicurezza sui luoghi di lavoro, secondo termini completamente diversi. Quindi, credo che la Commissione europea aveva valutato e aveva anche imposto che venissero emanate norme in rispetto, soprattutto, della direttiva riguardante i datori di lavoro e di quelle che avevano specialmente la funzione di protezione in materia della sicurezza e della salute dei lavoratori.
Quindi, poi, sulla legge di conversione - l'articolo 1, infatti, conteneva la consueta formula di conversione - e poi dopo, nella realtà, per la clausola successiva a quelle che erano disposizioni di carattere sostanziale volte a novellare gli articoli che si sono poi succeduti nel decreto legislativo, il Comitato per la legislazione, nel proprio parere, aveva espresso e aveva considerato una vera anomalia, nell'ambito dei disegni di legge di conversione. Ciò proprio perché ha formulato una condizione con cui chiede la soppressione di quella disposizione, e quindi di norme che regolano norme e che indubbiamente si intrecciano attraverso dei percorsi che, nella realtà, poi non riescono a produrre l'effetto che tutti si vuole, cioè che si cerchi di migliorare attraverso dei percorsi legislativi, ma anche governativi, e che hanno degli effetti combinati fra i vari articoli, gli ulteriori differimenti che sono stati effettuati nell'arco di questi 12 mesi e anche in quelli precedenti, nonché, specialmente, i temi per l'adozione dei regolamenti di delegificazione finalizzati a consentire il coordinamento fra le disposizioni dello stesso decreto. Infatti, il vero tema era questo: il coordinamento fra le disposizioni, del vero decreto con la legislazione speciale, che era relativa alle attività lavorative e, quindi, applicabili anche a bordo delle navi, nell'ambito portuale per il settore delle navi da pesca, nonché l'armonizzazione delle disposizioni tecniche che riguardavano la disciplina del trasporto ferroviario.
Ecco, concludo dicendo che anche le Commissioni XI e XII hanno rilevato innanzi tutto l'anomalia, cui si è dato conto in precedenza, corretta poi con emendamenti dei relatori. Questi ultimi hanno cercato di intervenire sul disegno di legge di conversione prevedendo, accanto alla consueta formula di conversione, una clausola di entrata in vigore delle applicazioni di carattere sostanziale che mancava nel provvedimento.
Mi auguro, per l'appunto, che con questa norma si riesca a mettere un termine a questa giungla che fino ad oggi ha imperversato negli aspetti che ho qui testé sottolineato. Mi auguro anche si risolva il problema dei vuoti normativi, ma sopratutto che la parte attuativa - sono quattro anni che i decreti devono essere fatti - finalmente riesca ad essere emanata, evitando tutti, con la buona volontà, quello che testé abbiamo detto.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.
PAOLA BINETTI. Signor Presidente, colleghi, mi sembra che la premessa importante, quando si discute un disegno di legge che ha come oggetto la sicurezza sui posti di lavoro, debba essere l'affermazione che, qualunque tipo di costo si Pag. 15affronta per garantire questa sicurezza, questo non è un costo che possa essere spostato dalla colonna vera, che è quella degli investimenti.
Tutto ciò che si fa per prevenire, contenere il rischio ed ottenere quel punto di tendenza a cui tutti quanti noi teniamo particolarmente, che è il rischio zero (sapendo bene che il rischio zero non è possibile ottenerlo), siamo obbligati moralmente, materialmente ed io credo anche dal punto di vista proprio giuridico e legislativo a farlo, in modo che il rischio possa essere il più possibile volto allo zero.
Quando però poi leggiamo che un disegno di legge - che modifica non solo la legge n. 626 del 1994, ma mi piace ricordare prima di tutto questa legge che nel campo costituisce una sorta di magna mater di quello che è stato un itinerario culturale che ha messo solidamente le basi della prevenzione e della sicurezza sui posti di lavoro - modifica una legge e non tiene conto del vuoto normativo che si crea contemporaneamente, viene di fatto di chiedersi se quella sicurezza sui posti di lavoro è sufficientemente supportata da una competenza normativa tale da tenere presenti quelli che possono essere i rischi che capitano quando si modifica una legge senza tener conto delle conseguenze possibili.
Mi chiedo, infatti, se legiferando in questo senso, modificando quella legge, si sia cercato di farlo insieme alle categorie corrispondenti. Quando penso a queste ultime, penso evidentemente alle categorie che riguardano il mondo dei trasporti, quanto è stato detto anche poco fa in quest'Aula sul trasporto su ferrovia, ma anche al trasporto su nave e tutta quella che è la vita sulle navi. Sembra che nella modifica della legge non si sia tenuto conto di una serie di conseguenze che lasciavano proprio la norma come se fosse una sorta di grande formaggio groviera.
Questo cosa ci fa dire? Ci fa dire che sono contrarie alla sicurezza sui posti di lavoro non soltanto l'incompetenza tecnica di chi non è in grado di garantire questa sicurezza, non solo l'avidità di coloro che pensano di risparmiare sulla sicurezza nei posti di lavoro - prima la collega Gatti faceva riferimento ad alcune delle conseguenze drammatiche che abbiamo registrato con la caduta, nel senso della polverizzazione, dei capannoni durante il terremoto in Emilia Romagna - ma anche quella che è una vera e propria forma di superficialità normativa, una normativa inadeguata.
Credo che questo debba richiamare, in modo particolare, la nostra attenzione di legislatori. Nel momento in cui andiamo a modificare una legge, dobbiamo chiederci fino in fondo, sia pure nel groviglio della normativa italiana, che è fatta di continui rimandi, come delle scatole cinesi, l'una dentro l'altra, per cui è difficile riuscire a mantenere ben chiaro e ben fermo il bandolo della matassa, quali sono le situazioni meritevoli, che pur stiamo in qualche modo peggiorando, e invece effettivamente quello che è l'obiettivo di ogni legge e quali sono le cose negative che stiamo davvero migliorando.
Questo lo dico perché ci apre un po' la strada anche a due riflessioni che riguardano l'attuale disegno di legge.
La prima è la riserva, che è stata sollevata anche dai colleghi, a proposito dell'autocertificazione quando, per esempio, su una nave si dovessero trovare a vivere e a lavorare meno di dieci persone. La sostituzione della certificazione del rischio con una sorta di autovalutazione sembra un po' spostare il tema da quello che è l'oggettivo controllo della situazione a quella che è una soggettiva denuncia o descrizione di come stanno le cose. Noi abbiamo sempre più bisogno di andare a vedere come stanno le cose e non come ci viene raccontato che le cose stanno.
Questa norma di prudenza è quella che ha in fondo dietro di sé la lunga storia di questi errori, la lunga storia di quelle famose «morti bianche» che hanno afflitto e che affliggono tuttora fin troppo spesso la nostra esperienza nel campo del lavoro. Il documento di rischio, che non può essere liquidato semplicemente in una sorta di autocertificazione, è un documento che non ha nulla di burocratico. Al contrario, è quel documento che ripercorre Pag. 16ex post tutte le fasi del lavoro, con tutte le implicazioni delle responsabilità e con tutte le buone pratiche che dovrebbero garantire l'effettivo raggiungimento di tutti i risultati, non solo i risultati di quel lavoro con i suoi obiettivi specifici, ma i risultati che sono volti alla garanzia delle persone che compiono quel lavoro.
Potremmo dire che in ogni lavoro gli obiettivi fondamentali sono due: uno, l'obiettivo del lavoro, a che cosa tende quel lavoro; l'altro, potremmo dire, il perfezionamento, la soddisfazione e la sicurezza di coloro che compiono quel lavoro. In una mera autocertificazione il rischio che chi compila quel documento possa in fondo compiere quello che è un atto meramente autoreferenziale, quindi quello di un'estrema soggettività che non dà conto dei rischi effettivi che corrono le persone, è una delle cose sulle quali la Comunità europea ha richiamato l'attenzione dell'Italia e l'ha richiamata forse anche alla luce di una non sempre rigorosa capacità di garantire nella certificazione quello che la garanzia della vita delle persone richiederebbe.
In questo senso voglio sottolineare poche cose ma che mi sembrano abbastanza importanti. Una riguarda il valutare l'opportunità di verificare la necessità della proroga del termine per l'adozione del regolamento di delegificazione, per di più inserita nell'ambito del disegno di legge di conversione piuttosto che nel decreto-legge. Non c'è dubbio che questo nostro Parlamento ama molto di più evidentemente i disegni di legge che non i decreti-legge. Noi soffriamo molto una sorta di penalizzazione sistematica per cui il decreto-legge si sostituisce a quella che è la prassi ordinaria del legislatore. Quindi, anche in questo caso noi avremmo voluto la possibilità di muoverci secondo la linea del disegno di legge di conversione, perché il disegno di legge di conversione permette a tutti noi di intervenire in modo molto più efficace, molto più concreto e molto più costante a correggere quei punti che possono sembrarci non perfettamente coerenti con gli obiettivi stessi della normativa.
L'altra cosa che mi sembra interessante sottolineare in questa riflessione che stiamo svolgendo è il fatto che una delle cose che rimangono scoperte è che parlando - lo dico tra virgolette - «di sicurezza sui posti di lavoro con particolare attenzione ai trasporti e ai trasporti marittimi», dimentichiamo anche che in questa espressione generica sono compresi molti altri particolari settori. Qui vengono segnalate le Forze armate e di polizia, il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico, della difesa civile, dei servizi di protezione civile nonché nell'ambito delle strutture giudiziarie e penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali anche ad altre forme in cui la vita di gruppo è particolarmente importante, come possono essere, per esempio, le università e le altre istituzioni.
La verità, cioè, è che scopriamo come le carenze del disegno di legge originario, nel momento in cui poneva la soppressione di alcune parti della normativa e che adesso noi andiamo a sospendere nuovamente, non aveva tenuto conto di tutte queste cose, ossia aveva liquidato in maniera abbastanza superficiale un itinerario di sicurezza. Quindi, aveva vanificato con un tratto di penna quella che era stata una costruzione progressiva, fatta dall'esperienza professionale in contesti diversi, mancando di quella capacità di coordinamento che avrebbe dovuto servire a dare una visione di insieme dell'intero progetto di sicurezza in questi campi.
Credo che il disegno di legge che approveremo domani (di cui discuteremo in Aula e, quindi, saranno proposti anche degli emendamenti) debba rappresentare per noi un'esigenza di recuperare e ristrutturare facendo un passo indietro rispetto a quello che funzionava meglio prima di quanto noi non siamo riusciti a fare nel 2008.
Non mi stupisco, quindi, che dal 2008 ad oggi siano mancati i decreti attuativi, tenendo conto di quante aree scoperte venivano lasciate. Prima, quindi, procediamo a completare questo disegno di Pag. 17legge modificandolo negli aspetti più deficitari e poi ben vengano anche i decreti attuativi.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 5194-A)
PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Moffa, Antonino Foti, Damiano, Fedriga, Poli, Paladini ed altri n. 1-01034 concernente iniziative a tutela dei lavoratori esposti all'amianto nello stabilimento Goodyear di Cisterna di Latina e dei familiari delle vittime (ore 19,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozione Moffa, Antonino Foti, Damiano, Fedriga, Poli, Paladini ed altri n. 1-01034 concernente iniziative a tutela dei lavoratori esposti all'amianto nello stabilimento Goodyear di Cisterna di Latina e dei familiari delle vittime (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che l'onorevole Fedriga ha ritirato la firma dalla mozione n. 1-01034 e, in data odierna, ha presentato la mozione Fedriga ed altri n. 1-01067 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Moffa, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01034. Ne ha facoltà.
SILVANO MOFFA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, questa mozione porta la mia prima firma in quanto presidente della Commissione: come lei testé ha ricordato è firmata da tutti i rappresentanti dei gruppi nella XI Commissione (Lavoro) della Camera. Ha una sua particolare urgenza oltre che un significato profondo.
Ha una sua urgenza perché segue una risoluzione che non molto tempo fa la stessa Commissione ha adottato a seguito di evidenti ragioni che scaturivano dal mancato rispetto di una sentenza di condanna nei confronti di dirigenti della Goodyear di Cisterna. Tale sentenza prevedeva e prevede anche un risarcimento di danno abbastanza consistente nei confronti delle vittime e di coloro i quali per l'esposizione all'amianto in quell'opificio industriale hanno contratto patologie molto gravi.
Occorre svolgere una premessa di ordine generale: noi ci troviamo ad operare in un sistema normativo che non è assolutamente adeguato rispetto all'emergenza amianto. Al momento, abbiamo ancora in giacenza al Senato (mi auguro che la nostra mozione serva anche a sensibilizzare il Senato a muoversi) per adeguare il quadro normativo. C'è una proposta di legge. In Commissione si sta già lavorando al Senato, però ci sono dei ritardi che - mi permetto di dire con la dovuta premura, ma anche con il dovuto rispetto - francamente non sono giustificati di fronte ad un fenomeno che ha assunto negli ultimi tempi dimensioni molto ampie e profonde.
La Goodyear ne è un esempio eclatante: qui ci troviamo di fronte ad un'azienda che si installò nell'area di Cisterna di Latina nel lontano 1964. Si tratta di una Pag. 18delle aziende più importanti di quel territorio sia per il livello della produzione che per la quantità dei dipendenti che in quell'opificio prestavano la loro opera. È un'azienda, fra l'altro, che si è installata lì utilizzando anche fondi importanti da parte dello Stato.
Nel corso degli anni ha beneficiato di qualcosa come 166 miliardi di vecchie lire per produrre pneumatici garantendo, almeno fino al 1998, anche un adeguato livello occupazionale. Poi, nel 2000, improvvisamente questa azienda decide di chiudere e dietro di sé ha lasciato in eredità, in un certo senso, morti e sofferenze. Si tratta di morti e sofferenze che sono stati all'interno di un processo che ha fatto anche clamore, perché ha portato ad una condanna in primo grado di numerosi dipendenti e ha condannato la Goodyear, che è una multinazionale, a risarcire i danni. La particolarità sta nel fatto che l'azienda, nonostante la condanna, si rifiuta di pagare il risarcimento e ci troviamo così ancora oggi. Qualche giorno prima, il 6, avremo l'appello su questa sentenza, mentre le cronache ci dicono che si è aperto un altro filone di indagine che riguarda altri dirigenti e altre morti. Riguarda, in particolare, altri venti operai, di cui 19 sono morti per tumore. Di fronte a tale inerzia da parte dell'azienda e dinanzi, credo, al legittimo e doveroso atteggiamento e interesse che deve assumere il Governo e il Paese, non solo verso la garanzia dei diritti ma anche, in un certo senso, soprattutto quando ci si trova di fronte a morti e a conseguenze così gravi per la salute dei lavoratori, è evidente che non si può rimanere inerti.
Abbiamo chiesto al Governo più volte, anche con la risoluzione approvata all'unanimità in Commissione, di attivare un tavolo di confronto, indipendentemente dai percorsi giudiziari, perché in altre circostanze ci risulta che tavoli di questa natura abbiano portato a risultati, in qualche modo, tesi a individuare un equilibrato ristoro dei danni, anche se il danno economico certamente non ripara alla perdita di una vita umana né alle sofferenze che colpiscono lavoratori e famiglie dei lavoratori. Nel caso di specie abbiamo una cronaca davvero molto ampia di un dolore profondo, che ha attraversato queste famiglie e quest'area.
Pur tuttavia, riteniamo che il Governo debba fare qualcosa e la mozione, sostanzialmente, impegna a questo, vale a dire ad aprire un tavolo di confronto. Tra le tante particolarità, infatti, vi è anche il tentativo, davvero subdolo e inaccettabile, di una multinazionale che, nel momento in cui ha subito una condanna, cosa fa? Cambia la sua ragione sociale per non rispondere più dei danni ai quali è stata condannata! Questo è inaccettabile, trattandosi di una multinazionale che, come dicevo all'inizio del mio breve intervento, ha goduto di finanziamenti dello Stato. Non credo che abbiamo, come Paese, finanziato interventi per procurare morti e per essere anche beffati da chi si nasconde dietro, in un certo senso, al diritto americano quando ha operato in costanza di diritto civile italiano.
Dunque, è per questa ragione che credo sia importante attivare un tavolo a livello governativo, non solo per richiamare alle responsabilità chi di quelle responsabilità è stato imputato e individuato nella sua oggettiva e soggettiva responsabilità, ma anche perché vi sia su questa questione dell'amianto, partendo da Cisterna, un'attenzione più profonda da parte del Parlamento italiano (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Munerato, che illustrerà la mozione Fedriga ed altri n. 1-01067, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
EMANUELA MUNERATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, tutti noi sappiamo quanto pericoloso e nocivo sia l'amianto e quali siano le patologie che può contrarre chi ne è esposto: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, e il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione anche di pochissime fibre. Pag. 19
Con la legge 27 marzo 1992, n. 257, si è disciplinata la cessazione dell'impiego di amianto nelle attività produttive di qualsiasi tipo, allo scopo di tutelare il lavoratore dalla fonte di rischio, in quanto è stato riconosciuto che l'esposizione all'amianto è fortemente nociva poiché provoca tumori maligni della pleura e del peritoneo.
Purtroppo, sono molte ancora le aziende - soprattutto multinazionali - che hanno continuato ad utilizzare tale pericolosa sostanza senza preoccuparsi della salute dei propri impiegati ed in barba alla vigente legislazione nazionale a tutela dei lavoratori. Basti pensare all'eternit, quel pericolosissimo fibrocemento a base di amianto, responsabile di milioni di morti in tutto il mondo, a quel processo durato oltre due anni ed alla storica sentenza del febbraio 2011, che ha condannato Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, ed il novantenne barone belga, Louis de Cartier, con l'accusa di disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
Ai dirigenti sono state contestate le morti di oltre 2 mila persone e le malattie che hanno colpito oltre 800 persone nelle zone degli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).
La Goodyear italiana è stata condannata, nell'estate del 2008, dal Tribunale di Latina per le morti causate dall'esposizione all'amianto nello stabilimento di Cisterna di Latina, che produce pneumatici.
Le aziende non pagano, non risarciscono le vittime ed i loro familiari e purtroppo in Italia c'è ancora l'amianto, e tanto.
La lettura delle sentenze non spaventa e non sempre mette la parola fine. Secondo le stime del Centro Nazionale delle Ricerche e dell'ISPESL, Istituto superiore prevenzione e sicurezza del Lavoro ci sono ancora sui tetti ben 32 milioni di tonnellate di amianto e un miliardo circa di metri quadri di coperture in eternit.
La stima sui decessi è allarmante: 4 mila persone ogni anno perdono la vita a causa dell'amianto. Secondo lo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento dell'Istituto superiore di sanità, ci sono almeno una quarantina di luoghi di interesse per una bonifica d'amianto.
Per questo motivo, chiediamo al Governo di attivarsi, a tutti i livelli, affinché si proceda ad un monitoraggio di tutte le questioni ancora aperte ed irrisolte perché è dovere delle istituzioni intervenire a salvaguardia della salute dei lavoratori ed in aiuto delle famiglie delle vittime perché non siano vittime due volte: delle aziende killer e dello Stato che li ha abbandonati.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.
GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, la società multinazionale Goodyear ha attuato durante il periodo della propria presenza in Italia una politica industriale sostanzialmente impostata su un'attività concentrata in stabilimenti, collocati in un'area del nostro Paese a basso tasso di sviluppo anche in modo da usufruire delle agevolazioni fiscali della Cassa per il Mezzogiorno. Quando queste condizioni economiche ed imprenditoriali del nostro Paese non hanno più consentito alla società di sviluppare in modo adeguato la propria produzione, la Goodyear non solo ha scelto di abbandonare l'Italia ed in particolare lo stabilimento di Cisterna di Latina, ma ha anche smantellato i macchinari soprattutto utilizzati negli stabilimenti italiani che sono stati coibentati nell'amianto, che sono poi stati trasferiti in Paesi in via di sviluppo che possiedono delle normative più deboli in materia di sicurezza del lavoro.
Molti Paesi hanno normative che devono essere adeguate: In Italia il quadro normativo - lo diceva prima l'onorevole Moffa, presidente della Commissione Lavoro - deve essere adeguato attraverso un complesso normativo ancora più rigido e importante ed anche noi ci auguriamo che al Senato si attui questo modello. Soprattutto noi siamo qua - ha ragione sempre il primo firmatario della mozione, l'onorevole Moffa, Pag. 20sul fatto che la risoluzione era stata adottata a seguito di questa sentenza di condanna. Il nostro è un Paese, molte volte, un po'strano anche se io lo amo e lo rispetto anche per le sue contraddizioni.
I lavoratori impiegati negli anni in questa società, e soprattutto in questi stabilimenti, hanno contato nella loro permanenza in Italia. Essi hanno prestato la loro opera in stabilimenti collocati in aree del Paese a basso tasso di sviluppo, aree a cui serviva un certo lavoro manuale e un impegno da parte delle multinazionali. Non possiamo oggi non evidenziare che questo lavoro - perché di lavoro si deve vivere, non si deve morire - invece non è servito per vivere ma per morire.
Questo è un tema essenziale perché le gravissime patologie derivate dall'esposizione all'amianto sono state riscontrate in modo oggettivo e non contestabile. Molte volte si dice che la politica fa demagogia e che non è oggettiva, ma credo che qui siamo di fronte a patologie riscontrate in modo oggettivo e non contestabile dai competenti organismi sanitari, ma soprattutto accertati da sentenze emesse nel nostro Paese. Il tribunale di Latina ha condannato a 21 anni di reclusione i 9 dirigenti della Goodyear italiana nel processo per le morti, successivamente ci sono state condanne ad altre aziende e altre multinazionali dove si sono evidenziati comportamenti «fortissimi» nel tema naturalmente delle morti di cui abbiamo testé detto.
Soprattutto, nonostante le sentenze, gli eredi delle vittime sono ancora in attesa dell'erogazione del risarcimento, l'azienda si rifiuta di corrispondere il dovuto. Credo che sia un tema non possibile questo, non si può; nonostante i reiterati ordini dei giudici di versare immediatamente le somme indicate ma soprattutto dopo i reiterati ordini delle autorità giudiziarie e l'assoluta carenza dei dispositivi di protezione individuali e collettivi. Queste persone sono state vittime due volte, una volta vittime vere e la seconda volta vittime di un'ingiustizia attraverso percorsi normativi e giudiziari che non portano mai fine a questi temi.
Credo che sia un fatto inaudito, è importante naturalmente intervenire a tutela degli operai ma soprattutto delle decine di operai che sono stati esposti all'amianto e ad altre sostanze. Credo che le prossime sentenze che saranno emesse dal tribunale di Latina nei processi di appello e anche per quello che riguarda altri operai e altri modelli sono di carattere giudiziario ma la politica intende intraprendere tutte quelle azioni che vogliono salvaguardare i diritti che sono legittimamente rivendicati dai lavoratori danneggiati e dai familiari delle vittime, perché i familiari delle vittime sono stati anch'essi defraudati e soprattutto si trovano senza il familiare e senza naturalmente il risarcimento.
Come diceva in precedenza il presidente della Commissione lavoro, è vero che il risarcimento sicuramente non potrà far tornare in vita le vittime e non potrà risolvere il problema, ma almeno vengano tutelate le loro famiglie che si sono viste private dei loro cari e che quindi sono state danneggiate due volte. Quindi credo che bisogna garantire il rispetto delle norme e soprattutto bisogna attivare - mi rivolgo ai rappresentanti del Governo, signor Presidente - un tavolo di confronto istituzionale assolutamente, immediatamente, considerati tutti i soggetti che sono coinvolti, e bisogna intraprendere azioni idonee a salvaguardare questi diritti dei lavoratori danneggiati ed i familiari delle vittime che attendono e con particolare riferimento al caso naturalmente degli impegni, perché non dimentichiamoci che ci stati anche degli impegni, è inutile presentare risoluzioni, mozioni, impegnarsi, venire qui a parlare se poi dopo tutto ciò non porta al fine che questi strumenti hanno.
Quindi, credo che occorra assolutamente assumere degli impegni e fare un tavolo di confronto istituzionale per risolvere immediatamente questo problema.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonino Foti. Ne ha facoltà.
ANTONINO FOTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, oggi siamo chiamati a confrontarci e a chiedere un impegno del Governo su una questione che purtroppo desta un vero e proprio allarme sociale - lo dicevano prima di me i miei colleghi - e che richiede un'urgenza particolare: la sicurezza sul lavoro. È un tema sul quale le istituzioni italiane al più alto livello hanno sempre correttamente espresso la loro attenzione e le loro preoccupazioni. Abbiamo la possibilità, anzi il dovere, di dare un segnale chiaro, dimostrando di essere capaci di schierarci con convinzione a fianco di chi, per lavorare, rischia sempre la propria vita.
Il caso specifico di cui oggi siamo chiamati a discutere è quello dei lavoratori della multinazionale Goodyear, impiegati fino a qualche anno fa nello stabilimento di Cisterna di Latina. Questa azienda, attiva in Italia dal 1965 al 2000, ha investito in zone a basso tasso di sviluppo del nostro Paese, usufruendo di finanziamenti a tasso agevolato sino al 1992, cioè di agevolazioni concesse proprio agli insediamenti nei territori dell'allora Cassa del Mezzogiorno, ottenendo già dal 1965, e sino alla chiusura degli stabilimenti, agevolazioni totali per circa 85 milioni degli attuali euro. Ebbene, quando le condizioni economiche e imprenditoriali non hanno più consentito alla società di sviluppare la propria produzione, la Goodyear ha scelto la strada di abbandonare l'Italia, licenziando, nel solo stabilimento di Cisterna di Latina, oltre 500 dipendenti e smantellando repentinamente i macchinari utilizzati, trasferendoli in Paesi in via di sviluppo che possiedono normative più deboli proprio in materia di sicurezza sul lavoro. Ma il vero dramma per alcuni dipendenti è paradossalmente iniziato tempo dopo il loro licenziamento. Col passare degli anni, infatti, numerosi lavoratori impiegati dalla società in Italia, hanno accusato gravissime patologie causate dall'esposizione all'amianto presente all'interno dello stabilimento, come riscontrato in modo oggettivo e non contestabile dai competenti organi sanitari. Secondo l'autorità giudiziaria, l'assoluta carenza di dispositivi di protezione individuali e collettivi, nonché la violazione delle norme poste a tutela degli operai, hanno determinato la morte di decine di operai, esposti all'amianto, alle ammine aromatiche e ad altre sostanze altamente tossiche. Per questo motivo, nell'estate del 2008, il tribunale di Latina ha condannato a complessivi ventuno anni di reclusione nove ex dirigenti della società. Dopo la sentenza, gli eredi delle vittime restano ancora in attesa dell'erogazione di un risarcimento, perché l'azienda si rifiuta di corrispondere il dovuto, nonostante i reiterati ordini dei giudici, di versare immediatamente le somme indicate. Come diceva il presidente Moffa, tra soli due giorni, il prossimo 6 giugno 2012, è prevista presso il tribunale di Latina una nuova udienza, nell'ambito del processo penale di appello, mentre sta per iniziare, presso il medesimo tribunale, il dibattimento penale cosiddetto Goodyear-bis, con dodici ex dirigenti della multinazionale in questione imputati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose aggravate, nei confronti di altri venti operai, di cui - lo dicevamo prima - diciannove sono già morti di tumore.
In questo quadro, e di fronte a tale scenario, la nostra Commissione, il 15 settembre 2010, ha approvato all'unanimità una risoluzione, con la quale, proprio per far fronte a tale grave situazione, si era impegnato il Governo a mettere in campo le iniziative più opportune, nell'interesse primario dei lavoratori coinvolti e delle loro famiglie, con la prospettiva concreta di portare all'attenzione e monitorare tutte le questioni ancora aperte.
Per tutti questi motivi abbiamo chiesto, e chiediamo, al Governo di attivare immediatamente una concertazione, un tavolo di confronto istituzionale con tutti i soggetti coinvolti, intraprendendo qualsiasi iniziativa idonea a salvaguardare i diritti dei lavoratori danneggiati e dei familiari delle vittime, con particolare riferimento al caso di cui abbiamo discusso in premessa, Pag. 22in ottemperanza agli impegni già assunti nelle competenti sedi parlamentari. Abbiamo il dovere di passare dalle parole ai fatti, di far seguire atti concreti, di uscire dalle Aule parlamentari e far sì che ci siano atti concreti e positivi, e non solo dichiarazioni e proclami, proprio per la soluzione di questi problemi. Per quanto detto riteniamo che il Governo possa impegnarsi a risolvere questi problemi (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.
PAOLA BINETTI. Signor Presidente, mi sembra una positiva coincidenza che questa mozione si discuta proprio subito dopo che abbiamo discusso il disegno di legge sulle disposizioni urgenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, perché evidentemente, in questa faccenda, di tutela per la salute e di sicurezza dei lavoratori, non ve n'è stata alcuna. Quello che colpisce di più però in questa vicenda, sono alcune dimensioni che sorprendono, perché riflettono una sciagurata convergenza di fattori, che è quella che è stata descritta dai colleghi che mi hanno preceduto, come la triplice ferita che viene inferta a queste persone. C'è una prima ferita, che è quella che colpisce e porta a morte i lavoratori stessi della Goodyear. C'è una seconda ferita, che è quella che colpisce i loro familiari quando, davanti ad una condanna della Goodyear, quest'ultima si sottrae alle sue responsabilità. Ma c'è anche una terza ferita, ed è quella (che riguarda lo spirito stesso di questa mozione quando interpella il Governo, dopo che aveva assunto già degli impegni in precedenza con la risoluzione) dovuta al fatto che si trovi una certa resistenza, in materia; facciamo fatica ad ottenere un impegno reale, una messa in campo che tuteli i diritti dei lavoratori che sono stati in qualche modo colpiti da una fame di speculazione.
Non c'è bisogno di dire che quando la Goodyear decide di costruire a Latina utilizzando le risorse della Cassa per il Mezzogiorno (cioè costruendo il più vicino possibile a Roma, il più vicino possibile al centro, quindi nella zona che maggiori risorse poteva offrire e il più a nord possibile per rientrare nell'area d'interesse della Cassa per il Mezzogiorno), certamente intende in questo modo non solo creare posti di lavoro, non solo creare opportunità di intervento nel mercato produttivo, ma per un evidente motivo di interesse aziendale. Chi è che ha favorito questa operazione? Indubbiamente è stato il Governo italiano, che ha permesso loro di costruire là, di godere di aiuti, di godere di politiche che dal punto di vista fiscale indubbiamente agevolavano le cose. Ora chi ha consentito loro questa opportunità, evidentemente lo ha fatto con la speranza che i capannoni in cui si costruivano le gomme, non costituissero una condizione di rischio così grave per i lavoratori.
Certamente non c'era nessuna previsione del danno che si sarebbe creato, però il danno è stato fatto, ed è stato fatto cercando di venire incontro ad una multinazionale, affinché creasse posti di lavoro, ma senza verificare se nelle condizioni con cui si creavano questi posti di lavoro, accanto al vantaggio dell'occupazione creata, si sarebbe creata una condizione davvero di grave pregiudizio per la vita e per la salute di molti lavoratori. Ciò che ci preme sottolineare è che un'azione forte e coraggiosa del Governo italiano in questo senso, dovrebbe impedire alla Goodyear di non fare altro che spostare il proprio centro di produzione, ma anche il proprio centro di profondo disagio per la vita degli altri lavoratori, in zone a basso livello di tutela. La Goodyear cosa fa? Coglie in Italia un'istanza forte di condanna, perché prima di tutto è diminuito il mercato, poi sono venute meno le agevolazioni, ma soprattutto si è, a questi fattori, aggiunta una condanna. E cosa fa? Sposta più in là il fronte del proprio scenario di lavoro, creando in altri luoghi, per altre persone, le stesse condizioni di rischio e di danno.
Non c'è dubbio che un'azione forte da parte del Governo italiano è un richiamo a quei Governi perché, prima di concedere agevolazioni e permessi, valutino esattamente Pag. 23in che modo la Goodyear costruirà i suoi stabilimenti, in che modo garantirà la sicurezza sui posti di lavoro e in che modo si assumerà la responsabilità di eventuali conseguenze di ciò che potrebbe accadere. Il problema del coinvolgimento del Governo a tutela dei cittadini italiani, quindi, non è soltanto per questi cittadini che hanno già subito un danno, ma ha un valore preventivo molto forte, è una di quelle istanze di un'Europa unita affinché ciò che è già accaduto da una parte, considerando l'esperienza passata, non accada da un'altra parte.
Da questo punto di vista, un'altra delle cose importanti che mi sembrano da sottolineare, è la seguente: come può una società straniera sottrarsi ad una condanna per una colpa commessa in territorio italiano, basata sulla normativa italiana, in qualche modo individuando come fonte del diritto e, quindi, anche come contesto concreto del giudizio, quello di provenienza della multinazionale? È possibile che ci sia una tale mancanza di collegamento legislativo per un'azienda che viene a produrre in Italia, e che può far riferimento al diritto di un Paese altro, e non al diritto del Paese in cui viene a impiantare il suo servizio? Mi risulterebbe francamente ambiguo se con tutta l'esperienza di multinazionali che abbiamo fatto, ci fosse un vuoto legislativo di questo tipo. Il richiamo del Governo italiano non dovrebbe essere soltanto a quei Paesi in cui la Goodyear andrà a produrre, ma dovrebbe essere rivolto anche a quel Paese da cui la Goodyear proviene. Anche quel Paese dovrebbe obbligare e condannare, in una sorta di congiuntura positiva, di coalizione positiva e di collaborazione internazionale, la Goodyear a pagare.
Questo lo dico perché noi abbiamo bisogno di dare, in questo momento, al nostro Paese, forti segnali di fiducia. Il Paese ci sta chiedendo una cosa, una cosa soltanto: opportunità di lavoro. Il Presidente del Consiglio sta andando in giro per offrire un messaggio quasi di moral suasion a tante aziende, affinché vengano ad investire in Italia; però dobbiamo pensare a quali investimenti vogliamo che vengano fatti in Italia. Chiunque vuole investire in Italia, dovrà farlo sapendo rispettare quello che è uno stile, quella che è una norma, quella che è una cultura della sicurezza sui posti di lavoro, a pieno titolo. Da questo punto di vista, vorrei dire che, proprio perché sarà il 6 giugno, quindi soltanto dopodomani, che inizierà un nuovo giudizio a carico della Goodyear al tribunale di Latina, propongo al presidente Moffa e a tutti coloro che hanno sottoscritto questa mozione, tra i quali mi unisco anch'io, di fare una conferenza stampa che sia chiara, forte, decisa e determinante, che dia voce, anche attraverso i mezzi di comunicazione, a questo triplice appello, un appello che riguarderà i giudici, perché sappiano mantenere il punto con fermezza e forza, avendo ben presenti, non solo i morti, ma anche gli eredi di questi morti, e che suoni come un invito forte al nostro Governo a prendere una posizione chiara e decisa in campo di politica internazionale, sia rispetto ai Paesi da cui provengono le società, e in particolare la Goodyear e, soprattutto, che sia un segnale chiaro, a tutti i cittadini, che in Italia esiste un Governo che li tutela, ed esiste anche un Parlamento che non permette che la tutela dei cittadini venga mai meno (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.
SESA AMICI. Signor Presidente, credo che sia stata molto opportuna questa mozione unitaria della XI Commissione (Lavoro), del cui senso profondo il presidente Moffa ha dato conto a quest'Aula. Si tratta non solo di intervenire in una situazione drammatica che si è già determinata nel contesto della realtà della provincia di Latina; il collega Moffa e gli altri colleghi hanno ricordato le tappe fondamentali della nascita dello stabilimento della Goodyear. Ho il privilegio, ma anche il dramma, di essere di quella provincia e di conoscere molto attentamente la realtà della città di Cisterna. Vorrei svolgere questo intervento pensando proprio esattamente a che cosa è successo e a che cosa Pag. 24ha significato quella fabbrica nel contesto di quella provincia. E se vi capita ancora oggi di passare intorno a quei luoghi, basta vedere la vecchia insegna della Goodyear, ancora lì, che sembra una nave abbandonata, il piede alzato, le otto lettere a caratteri cubitali di un blu stinto, che sovrastano l'enorme scheletro di una fabbrica, quasi 40 mila metri quadrati di un capannone sventrato. Nemmeno un vetro è rimasto in piedi. Lungo il perimetro rotoli di filo spinato e reti metalliche. Fino al 1999 qui si producevano 18 mila pneumatici. Unico stabilimento in Italia del gigante di gomma americano. In questa fabbrica sono passati 2.900 operai. Al momento della chiusura si è registrato ben un centinaio di operai morti a seguito non solo dell'esposizione all'amianto ma di tanti fumi delle vernici che mettevano in discussione il lavoro di quegli operai. Nel 1999 - lo ricordava il collega Moffa - e nell'anno 2000 la Goodyear decide di abbandonare, dopo aver usufruito dei fondi della Cassa per il Mezzogiorno, la realtà del sito di Cisterna. C'è un grande movimento in quel momento: migliaia di operai che si incatenano davanti alla fabbrica perché rappresentava per loro non solo il luogo su cui si sono prodotti le lacerazioni profonde, i mali, il killer dell'amianto. Ma era per loro l'ancora di salvezza di un posto sicuro perché questo aveva rappresentato, in quelle zone nel momento del boom economico, la venuta della Goodyear a Cisterna.
La fabbrica, questo luogo così raccontato nella storia del mondo operaio è il luogo simbolico: il luogo della socializzazione, del posto sicuro, del reddito della famiglia, e quella installazione avveniva dentro un contesto che era quello degli agricoltori che abbandonavano l'incertezza del reddito della campagna e guardavano a quell'installazione della fabbrica come all'idea di un futuro. I 2.900 operai della Goodyear si sono succeduti nel posto da padre in figlio. Quindi, una realtà molto inserita dentro la vicenda della provincia di Latina.
Ci sono voluti anni, il silenzio, la complicità, una fabbrica - basterebbe ripercorrere gli atti giudiziari che hanno portato alla prima sentenza di condanna - che non ha mai fatto velo della sua irresponsabilità. Non esiste alcun libretto di quegli operai in cui mai la fabbrica ha annotato un elemento che riguardava le questioni della sicurezza sul lavoro. Era tutto a posto semplicemente perché i controlli non si facevano.
Credo dunque che sia stato giusto proprio oggi chiedere esplicitamente al Governo che si assuma una responsabilità. La questione dell'amianto è complessa. Non riguarda soltanto la Goodyear di Cisterna ma qui il caso ha una sua particolarità. C'è una sentenza che impone di pagare il risarcimento alle famiglie. La fabbrica, nonostante questa sentenza, si appella. I familiari hanno il doppio grado di ingiustizia e dentro quell'ingiustizia contestualmente si apre un nuovo processo. Credo quindi occorra un atto di grande responsabilità politica. Invito il Governo ad assumere un'iniziativa molto forte che è l'iniziativa di richiamare tutti ad un tema che riguarda la sicurezza del lavoro, la dignità del lavoro, il rispetto di quelle persone che devono essere considerate persone e non semplicemente una merce spendibile per fare il profitto di chi in quelle terre ha fatto profitto e, quando il profitto non c'era più, ha deciso di abbandonarle.
Plaudo perché questa discussione oggi meriterebbe un ampio spettro di ragionamento: l'amianto non sta soltanto in quelle realtà che abbiamo citato. Esistono altre sentenze ed è importante che si siano determinate in questi ultimi mesi. Ed è del tutto evidente - lo dico al presidente Moffa - che questa mozione può aprire una strada. Riapriamo la discussione sull'ampliamento del fondo delle vittime dell'amianto. Siamo rimasti ad un aumento di uno stanziamento avvenuto con il Governo Prodi. Un secondo investimento nel disegno di legge di luglio del 2011 non è sufficiente rispetto ad una malattia che oggi colpisce un numero molto elevato di persone, perché colpisce non solo chi è stato sottoposto a quelle condizioni di lavoro. Infatti è stato trasferito, in maniera Pag. 25del tutto inconsapevole, da quella fabbrica nelle case e dentro quelle case ha colpito anche altri familiari. Proprio per questo dobbiamo aspettarci dal Governo un impegno che sia rigoroso, molto forte ma anche molto deciso a riaprire una discussione così importante per il nostro Paese (Applausi).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di un disegno di legge (ore 19,48).
PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, del seguente disegno di legge, del quale la sottoindicata Commissione, cui era stato assegnato in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
alla I Commissione (Affari costituzionali):
S. 2232. - «Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione» (approvato dalla 1a Commissione permanente del Senato) (4716).
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 5 giugno 2012, alle 11,30:
1. - Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.
(ore 15)
2. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa del disegno di legge C. 4716.
3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 2156 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione (Approvato dal Senato) (C. 4434-A).
e delle abbinate proposte di legge: DI PIETRO ed altri; FERRANTI ed altri; GIOVANELLI ed altri; TORRISI ed altri; GARAVINI; FERRANTI ed altri (C. 3380-3850-4382-4501-4516-4906).
- Relatori: Santelli, per la I Commissione; Angela Napoli, per la II Commissione.
4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 12 maggio 2012, n. 57, recante disposizioni urgenti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dei trasporti e delle microimprese (C. 5194-A).
- Relatori: Boccuzzi, per l'XI Commissione; Sarubbi, per la XII Commissione.
5. - Seguito della discussione delle mozioni Montagnoli ed altri n. 1-00896, Lombardo ed altri n. 1-00901, Fluvi ed altri n. 1-00910, Misiti ed altri n. 1-00911, Crosetto ed altri n. 1-00913, Borghesi ed altri n. 1-00916, Mosella ed altri n. 1-00924, Polidori ed altri n. 1-00929, Cambursano ed altri n. 1-00948, Ciccanti ed Pag. 26altri n. 1-00970, Ossorio ed altri n. 1-01011 e Iannaccone ed altri n. 1-01060 concernenti misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni.
6. - Seguito della discussione delle mozioni Moffa, Antonino Foti, Damiano, Poli, Paladini ed altri n. 1-01034 e Fedriga ed altri n. 1-01067 concernenti iniziative a tutela dei lavoratori esposti all'amianto nello stabilimento Goodyear di Cisterna di Latina e dei familiari delle vittime.
DISEGNO DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA
I Commissione (Affari costituzionali):
S. 2232. - «Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione» (approvato dalla 1a Commissione permanente del Senato) (4716).
La seduta termina alle 19,50.
ERRATA CORRIGE
Nel resoconto stenografico della seduta del 31 maggio 2012:
- a pagina 74, seconda colonna, ventitreesima riga, il numero «17» si intende sostituito dal seguente: «10»; ventiseiesima riga, il numero «10» si intende sostituito dal seguente: «17».
- a pagina 82, prima riga, il numero «17» si intende sostituito dal seguente: «10».
- a pagina 83, prima riga, il numero «10» si intende sostituito dal seguente: «17».