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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 14 giugno 2012

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 14 giugno 2012.

  Antonione, Barbieri, Bergamini, Bindi, Bongiorno, Boniver, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Chiappori, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fava, Fedi, Gregorio Fontana, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, Leone, Lombardo, Lupi, Mazzocchi, Mecacci, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Mosca, Mura, Mussolini, Nucara, Leoluca Orlando, Paniz, Pisacane, Pisicchio, Recchia, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Antonione, Barbieri, Bergamini, Bindi, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Chiappori, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fava, Fedi, Gregorio Fontana, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, Leone, Lombardo, Lupi, Mazzocchi, Mecacci, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Mosca, Mura, Mussolini, Nucara, Leoluca Orlando, Pisacane, Pisicchio, Recchia, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci, Vitali.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 13 giugno 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   MAZZUCA e MARINELLO: «Riduzione dell'imposta sul reddito dovuta dalle imprese aventi sede nei territori delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, colpiti dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012» (5277);
   DAMIANO e DE PASQUALE: «Interpretazione autentica delle disposizioni dell'articolo 2120 del codice civile concernenti la richiesta di anticipazione sul trattamento di fine rapporto, in relazione alle indennità di buonuscita o di fine servizio previste per i pubblici dipendenti» (5278).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di una proposta di legge d'iniziativa regionale.

  In data 13 giugno 2012 è stata presentata alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione, la seguente proposta di legge:

   PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO: «Nuova disciplina per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e conseguente modifica dei testi unici di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533» (5279).

  Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   VII Commissione (Cultura):
  DE MICHELI ed altri: «Istituzione del Fondo nazionale per l'impiantistica sportiva scolastica e disposizioni per la costruzione, la ristrutturazione e l'adeguamento di impianti sportivi presso le scuole» (5104) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   X Commissione (Attività produttive):
  CALVISI ed altri: «Attuazione delle disposizioni della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, in materia di pagamenti delle pubbliche amministrazioni, e norme in favore dei contribuenti soggetti a ritardi di pagamento da parte delle medesime» (5222) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   XII Commissione (Affari sociali):
  DE MICHELI: «Disposizioni in materia di diffusione dei defibrillatori semiautomatici esterni presso le strutture e gli impianti sportivi» (5145) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal ministro della difesa

  Il ministro della difesa, con lettera del 14 giugno 2012, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno Maurizio TURCO ed altri n. 9/4865-B/5, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 23 febbraio 2012, concernente il rispetto del termine per il rinnovo dei consigli della rappresentanza militare e la piena attuazione della normativa in materia di trattamento economico di missione per il personale delegato COCER.
  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla IV Commissione (Difesa) competente per materia.

Trasmissione dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 14 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibere CIPE, che sono trasmesse alle Commissioni sottoindicate:
   n. 13/2012 del 20 gennaio 2012, concernente «Legge n. 97 del 1994: Approvazione dei criteri di riparto e ripartizione tra le regioni e le Province autonome del Fondo nazionale per la montagna per l'anno 2009» – alla V Commissione (Bilancio);
   n. 20/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001). Interventi programma “Grandi stazioni”. Opere complementari della stazione di Bari centrale. Approvazione variante» – alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti);
   n. 22/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Assegnazione di risorse al “Nodo di Torino e accessibilità ferroviaria; opere di prima fase – Stazione di Rebaudengo”» – alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti);
   n. 28/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Hub portuale di Ravenna. Assegnazione programmatica di 60 milioni di euro» – alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti);
   n. 29/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Strada statale n. 172 “dei Trulli”. Assegnazione programmatica di 9 milioni di euro» – alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente);
   n. 36/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Fondo per lo sviluppo e la coesione. Assegnazione a favore di INVITALIA – Agenzia per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa – Misure agevolative per autoimprenditorialità e autoimpiego» – alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive);
   n. 37/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Fondo per lo sviluppo e la coesione. Assegnazione a favore di ISMEA – Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare – Misure agevolative per la nuova imprenditorialità in agricoltura (decreto legislativo n. 185 del 2000)» – alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura);
   n. 46/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Piano irriguo nazionale. Rimodulazione del programma di completamento per le regioni del Centro Nord. Modifica delibera n. 69 del 2010» – alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura);
   n. 49/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Fondo sanitario nazionale 2010. Finanziamento per borse di studio in medicina generale: terza annualità triennio 2008-2011, seconda annualità triennio 2009-2012 e prima annualità triennio 2010-2013» – alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).

Trasmissione dal Garante del contribuente della regione Abruzzo.

  Il Garante del contribuente della regione Abruzzo ha trasmesso la relazione sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica fiscale riferita all'anno 2011, predisposta ai sensi dell'articolo 13, comma 13-bis, della legge 27 luglio 2000, n. 212.

  Questa documentazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).

Richieste di parere parlamentare su proposte di nomina.

  Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 13 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 luglio 1997, n. 249, e dell'articolo 2, comma 7, della legge 14 novembre 1995, n. 481, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del professor Angelo Marcello Cardani a presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (146).

  Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla IX Commissione (Trasporti).

  Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettere in data 13 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 37, comma 1-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dell'articolo 2, comma 7, della legge 14 novembre 1995, n. 481, le richieste di parere parlamentare sulle proposte di nomina del professor Mario Sebastiani a presidente dell'Autorità di regolazione dei trasporti (147) nonché del presidente Pasquale de Lise (148) e della dottoressa Barbara Marinali (149) a componenti della medesima Autorità.

  Tali richieste sono assegnate, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla IX Commissione (Trasporti).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 2156 – DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E DELL'ILLEGALITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 4434-A); ED ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE: DI PIETRO ED ALTRI; FERRANTI ED ALTRI; GIOVANELLI ED ALTRI; TORRISI ED ALTRI; GARAVINI; FERRANTI ED ALTRI (A.C. 3380-3850-4382-4501-4516-4906)

A.C. 4434-A – Articolo 7

ARTICOLO 7 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4434 NEL TESTO DELLE COMMISSIONI

Art. 7.
(Modifica al codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

  1. All'articolo 135, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo le parole: «passata in giudicato» sono inserite le seguenti: «per i delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, comma 1, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale, nonché».

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 7 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 7.
(Modifica al codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163).

  Al comma 1, dopo le parole: 319-ter aggiungere le seguenti: , 319-quater
7. 251. Ferranti, Andrea Orlando, Rossomando, Tenaglia, Capano, Cavallaro, Samperi, Picierno.
(Approvato)

A.C. 4434-A – Articolo 15

ARTICOLO 15 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4434 NEL TESTO DELLE COMMISSIONI

Art. 15.
(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231).

  1. Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) all'articolo 25 sono apportate le seguenti modificazioni:
    1) al comma 3, dopo le parole: «319-ter, comma 2,» sono inserite le seguenti: «319-quater»;
    2) nella rubrica, dopo la parola: «Concussione» sono inserite le seguenti: «, induzione indebita a dare o promettere utilità»;
   b) all'articolo 25-ter, comma 1, dopo la lettera s) è aggiunta la seguente:
   «s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 15 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 15.
(Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231).

  Sopprimerlo.
15. 250. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

  Al comma 1, sopprimere la lettera a).
15. 60. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

A.C. 4434-A – Articolo 16

ARTICOLO 16 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4434 NEL TESTO DELLE COMMISSIONI

Art. 16.
(Modifica alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).

  1. All'articolo 133, comma 1-bis, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 16 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 16.
(Modifica alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).

  Sopprimerlo.
16. 61. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

  Aggiungere, in fine, il seguente comma:

  2. Dopo il comma 2 dell'articolo 308 del codice di procedura penale è inserito il seguente:
   «2-bis. Nel caso si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, le misure interdittive perdono efficacia decorsi sei mesi dall'inizio della loro esecuzione. In ogni caso, qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini previsti dall'articolo 303».
16. 10. Giovanelli, Andrea Orlando, Ferranti.

  Aggiungere, in fine, il seguente comma:

  2. Dopo il comma 2 dell'articolo 308 del codice di procedura penale è inserito il seguente:
   «2-bis. Nel caso si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, comma 1, e 320 del codice penale, le misure interdittive perdono efficacia decorsi sei mesi dall'inizio della loro esecuzione. In ogni caso, qualora esse siano state disposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione anche oltre sei mesi dall'inizio dell'esecuzione, fermo restando che comunque la loro efficacia viene meno se dall'inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al triplo dei termini previsti dall'articolo 303».
16. 10.(Testo modificato nel corso della seduta) Giovanelli, Andrea Orlando, Ferranti.
(Approvato)

A.C. 4434-A – Articolo 17

ARTICOLO 17 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4434 NEL TESTO DELLE COMMISSIONI

Art. 17.
(Modifiche all'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356).

  1. All'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al comma 1, dopo le parole: «319-ter,» sono inserite le seguenti: «319-quater,»;
   b) al comma 2-bis, dopo le parole: «319-ter,» sono inserite le seguenti: «319-quater,».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 17 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 17.
(Modifiche all'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356).

  Sopprimerlo.
17. 62. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

  Al comma 1, lettera a), aggiungere, in fine, le parole: e dopo le parole: «322-bis», è inserita la seguente: «, 323».

  Conseguentemente, alla lettera b), aggiungere, in fine, le parole: e dopo le parole: «322-bis», è inserita la seguente: «, 323».
17. 93. Ferranti, Andrea Orlando, Rossomando, Tenaglia, Capano, Cavallaro, Samperi, Picierno.

  Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere la seguente:
   c)
al comma 4-bis, primo periodo, sono aggiunte, in fine, le parole: «e ai delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322 e 322-bis del codice penale».
17. 250. Ferranti, Andrea Orlando, Garavini, Rossomando, Tenaglia, Capano, Cavallaro, Samperi, Picierno.

  Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere la seguente:
   c)
all'articolo 48, comma 3, lettera c), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo le parole: «o sociali» sono aggiunte le seguenti: «, con particolare riferimento ai beni confiscati ai sensi di quanto previsto dall'articolo 322-ter del codice penale e dall'articolo 12-sexies, comma 2-bis, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,».

  Conseguentemente, alla rubrica, aggiungere in fine, le parole: e al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
17. 94. Rossomando, Ferranti.

  Dopo l'articolo 17, aggiungere il seguente:
  Art. 17-bis. – (Modifiche all'articolo 110 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, riguardante l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata). – 1. All'articolo 110, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, lettere c) ed e), sono aggiunte, in fine, le parole: «nonché per i delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322 e 322-bis del codice penale».
17. 0250. Ferranti, Andrea Orlando, Garavini, Rossomando, Tenaglia, Capano, Cavallaro, Samperi, Picierno.

A.C. 4434-A – Articolo 18

ARTICOLO 18 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4434 NEL TESTO DELLE COMMISSIONI

Art. 18.
(Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).

  1. Al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) all'articolo 58, comma 1, lettera b), dopo le parole: «319-ter (corruzione in atti giudiziari),» sono inserite le seguenti: «319-quater, primo comma (induzione indebita a dare o promettere utilità),»;
   b) all'articolo 59, comma 1, lettera a), dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 18 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 18.
(Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267).

  Sopprimerlo.
18. 1. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

  Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
  2. Il provvedimento di revoca di cui all'articolo 100, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è comunicato dal prefetto all'Autorità nazionale anticorruzione di cui all'articolo 1 della presente legge, che si esprime entro trenta giorni. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace, salvo che l'Autorità rilevi che la stessa sia correlata alle attività svolte dal segretario in materia di prevenzione della corruzione.
18. 600. Governo.
(Approvato)

A.C. 4434-A – Articolo 19

ARTICOLO 19 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4434 NEL TESTO DELLE COMMISSIONI

Art. 19.
(Modifica alla legge 27 marzo 2001, n. 97).

  1. All'articolo 3, comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97, dopo le parole: «319-ter» sono inserite le seguenti: «, 319-quater».

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 19 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 19.
(Modifica alla legge 27 marzo 2001, n. 97).

  Sopprimerlo.
19. 1. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

  Dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
  2. Dopo l'articolo 5 della legge 27 marzo 2011, n. 97, è inserito il seguente:
  «Art. 5-bis. – (Divieto di ricoprire incarichi direttivi e dirigenziali a seguito di condanna definitiva). – 1. Nel caso di sentenza di condanna definitiva, ancorché intervenuta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per alcuno dei delitti previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo, ivi compresi quelli assunti ai sensi dell'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono svolgere incarichi direttivi e dirigenziali, anche se elettivi o di nomina, in unità operative o in strutture altrimenti denominate.
  2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l'amministrazione di appartenenza procede, nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, alla revoca degli eventuali incarichi dirigenziali nonché all'attribuzione di nuove funzioni, in ogni caso non dirigenziali e non corrispondenti, per settore, a quelle connesse o comunque inerenti il procedimento penale per cui siano stati condannati».
19. 3. Barbaro, Bocchino, Briguglio, Consolo, Giorgio Conte, Della Vedova, Di Biagio, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Menia, Moroni, Muro, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto, Di Pietro.

  Dopo l'articolo 19, aggiungere il seguente:
  Art. 19-bis. – (Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159). – 1. All'articolo 108 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:
  «2-bis. Sono affidate in via esclusiva alla Direzione investigativa antimafia le indagini nelle ipotesi di reato previste dagli articoli 314, 317, 317-bis, 318, 319, 319-bis e 320 del codice penale, qualora ricorrano le circostanze aggravanti di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203».
19. 01. Di Biagio, Barbaro, Bocchino, Briguglio, Consolo, Giorgio Conte, Della Vedova, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Menia, Moroni, Muro, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto.

  Dopo l'articolo 19, aggiungere il seguente:
  
Art. 19-bis. – (Trasparenza nelle nomine degli enti locali). – 1. Dopo l'articolo 10 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto il seguente:
  «Art. 10-bis. – (Trasparenza nelle nomine negli enti locali). – 1. Nei comuni superiori a 15.000 abitanti e nelle province, lo statuto o il regolamento dispongono le procedure per garantire la trasparenza delle procedure di nomina e designazione di rappresentanti del comune e della provincia di cui agli articoli 42, comma 2, lettera m), e 50, commi 8 e 9, assicurando in ogni caso il rispetto dei termini stabiliti dalla legge.
  2. A questo fine, le posizioni da ricoprire sono pubblicate sul sito web dell'ente, indicando i requisiti richiesti e un termine adeguato entro il quale tutte le persone interessate possono comunicare la propria disponibilità, corredata da ogni documentazione ritenuta utile.
  3. Lo statuto e il regolamento disciplinano altresì le modalità di composizione di un comitato, formato da membri di elevata professionalità, moralità ed indipendenza di giudizio, chiamato ad esaminare le comunicazioni di disponibilità pervenute ed i relativi titoli. Il comitato può comprendere anche magistrati e funzionari dello Stato.
  4. Il comitato, a seguito dell'esame delle candidature pervenute, presenta proprie motivate indicazioni in ordine al nominativo o ai nominativi ritenuti più adeguati, per studi compiuti o per esperienze realizzate, in riferimento a ciascuna nomina.
  5. Il consiglio comunale o provinciale e il sindaco o il presidente della provincia procedono alle nomine di rispettiva competenza nell'esercizio delle proprie responsabilità, tenendo conto delle valutazioni non vincolanti espresse dal comitato.
  6. I requisiti e i titoli dei candidati nominati e quelli dei candidati indicati dal comitato sono pubblicati nel sito web dell'ente.
  7. I comuni superiori a 15.000 abitanti e le province adeguano le proprie normative a quanto previsto dal comma 1 entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
19. 02. Zaccaria, Melis, Ferranti, Bressa, Giovanelli.

  Dopo l'articolo 19 aggiungere il seguente:
  Art. 19-bis. – (Incarichi di collaborazione con la pubblica amministrazione). – 1. Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici in generale, compresi gli enti pubblici economici, non possono attribuire incarichi di collaborazione o consulenza, di qualunque specie e comunque denominati, a tempo indeterminato o parziale, neanche a titolo gratuito, a persone che si trovino in una delle seguenti condizioni:
   a) condannati, con sentenza anche non definitiva, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, ovvero per delitti contro la pubblica amministrazione o per uno dei delitti previsti dagli articoli 629, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale;
   b) sottoposti, nei cinque anni precedenti al conferimento dell'incarico, a misura cautelare personale, non soggetta ad annullamento per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, per uno dei reati indicati nella lettera a);
   c) sottoposti ad applicazione di misure di prevenzione personali o patrimoniali, ancorché non definitive, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575.

  2. Al momento dell'attribuzione formale degli incarichi di cui al presente articolo, il beneficiario dichiara all'amministrazione o all'ente conferente, sotto la propria responsabilità, di non trovarsi in alcuna delle ipotesi previste al comma 1. In caso di false dichiarazioni, il dichiarante è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da diecimila a centomila euro. Nell'ipotesi che precede il rapporto di collaborazione è immediatamente revocato.
*19. 03. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

  Dopo l'articolo 19 aggiungere il seguente:
  Art. 19-bis. – (Incarichi di collaborazione con la pubblica amministrazione). – 1. Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici in generale, compresi gli enti pubblici economici, non possono attribuire incarichi di collaborazione o consulenza, di qualunque specie e comunque denominati, a tempo indeterminato o parziale, neanche a titolo gratuito, a persone che si trovino in una delle seguenti condizioni:
   a) condannati, con sentenza anche non definitiva, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, ovvero per delitti contro la pubblica amministrazione o per uno dei delitti previsti dagli articoli 629, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale;
   b) sottoposti, nei cinque anni precedenti al conferimento dell'incarico, a misura cautelare personale, non soggetta ad annullamento per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, per uno dei reati indicati nella lettera a);
   c) sottoposti ad applicazione di misure di prevenzione personali o patrimoniali, ancorché non definitive, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575.

  2. Al momento dell'attribuzione formale degli incarichi di cui al presente articolo, il beneficiario dichiara all'amministrazione o all'ente conferente, sotto la propria responsabilità, di non trovarsi in alcuna delle ipotesi previste al comma 1. In caso di false dichiarazioni, il dichiarante è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da diecimila a centomila euro. Nell'ipotesi che precede il rapporto di collaborazione è immediatamente revocato.
*19. 04. Barbaro, Bocchino, Briguglio, Consolo, Giorgio Conte, Della Vedova, Di Biagio, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Menia, Moroni, Muro, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto.

  Dopo l'articolo 19 aggiungere il seguente:
  Art. 19-bis. – (Divieto di concessione o erogazione di contributi o finanziamenti). – 1. Fermo quanto previsto dal decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, e successive modificazioni, e dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico, le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico non possono concedere o erogare contributi, finanziamenti o mutui agevolati né altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, per lo svolgimento di attività imprenditoriali, quando la persona richiedente, ovvero taluno tra i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dell'ente richiedente, ha riportato condanna ovvero è stata applicata nei suoi confronti la pena ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale, con sentenza divenuta irrevocabile, salvi gli effetti degli articoli 178 del codice penale e 445 del codice di procedura penale:
   a) per uno dei delitti previsti nel Titolo II, Capo I, e nel Titolo VII, Capo III, del libro secondo del codice penale, per uno dei delitti di cui agli articoli 353, 355, 356, 416, 416-ter, 589 e 590, ove aggravati dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, 640, secondo comma, 640-bis, 644, 648, 648-bis, 648-ter del medesimo codice penale, per uno dei delitti indicati all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, per uno dei delitti indicati agli articoli 2621 e 2622 del codice civile, 216, 217 e 223 del regio decreto-legge 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero per uno dei reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
   b) alla pena della reclusione per un tempo non inferiore a tre anni per un qualunque altro delitto non colposo.

  2. Nei casi in cui le situazioni ostative di cui al comma 1 intervengano dopo la concessione o l'erogazione, totale o parziale, dei contributi o dei finanziamenti, le amministrazioni, enti o società di cui al medesimo comma 1 procedono alla revoca della concessione o dell'erogazione.
  3. Costituiscono causa di sospensione della erogazione di agevolazioni o incentivi:
   a) la pronuncia di una sentenza non definitiva di condanna, o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, nelle ipotesi di cui al comma l, lettere a) e b), del presente articolo;
   b) l'emissione di un provvedimento provvisorio di divieto di ottenere le erogazioni di cui al comma 1 emessa dal tribunale ai sensi dell'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.

  4. Nei casi previsti dal comma 1, il passaggio in giudicato delle sentenze di cui alla lettera a), ovvero la definitività del provvedimento applicativo della misura di prevenzione comportano la revoca delle concessioni o erogazioni eventualmente disposte. La sospensione è revocata anche d'ufficio se, a seguito di annullamento o riforma delle sentenze di cui alla lettera a), ovvero a seguito di revoca o modifica del provvedimento provvisorio di cui alla lettera b) del comma 3 del presente articolo, è accertata la mancanza delle situazioni ostative previste dal comma 1, lettere a) e b).
  5. La persona o l'ente richiedente attesta l'insussistenza delle cause ostative alla concessione o erogazione di cui ai commi 1 e 2 e delle cause di sospensione di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo mediante dichiarazione sostitutiva, in conformità alle disposizioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni.
  6. Nella dichiarazione, prevista dal comma 1, il richiedente indica anche i provvedimenti giudiziari iscrivibili nel casellario giudiziale ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, e successive modificazioni, e gli altri procedimenti penali di cui sia a conoscenza.
  7. Ai fini dell'accertamento delle cause di cui al comma 1 del presente articolo, si applica l'articolo 43 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. In sede di verifica delle dichiarazioni del richiedente, le amministrazioni, enti o società di cui al comma 1 richiedono al competente ufficio del casellario giudiziale i certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti previsti dall'articolo 21 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313.
  8. Fermo quanto previsto dal decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, e successive modificazioni, le disposizioni dei commi precedenti non si applicano ai soggetti nei cui confronti sia stata emessa sentenza di applicazione della pena, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, prima della data di entrata in vigore della presente legge.
19. 06. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

A.C. 4434-A – Articolo 20

ARTICOLO 20 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 4434 NEL TESTO DELLE COMMISSIONI

Art. 20.
(Clausola di invarianza).

  1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  2. Le amministrazioni competenti provvedono allo svolgimento delle attività previste dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 20 DEL DISEGNO DI LEGGE

ART. 20.
(Clausola di invarianza).

  Sopprimerlo.
20. 3. Di Pietro, Palomba, Favia, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

  Sostituirlo con il seguente:
  Art. 20. – (Costi della lotta alla corruzione). – 1. Le entrate delle amministrazioni pubbliche corrispondenti al pagamento di sanzioni pecuniarie, amministrative, penali o contrattuali, connesse al compimento di reati contro la pubblica amministrazione o a violazioni di regole di comportamento fissate nella legge, nei codici di comportamento o in contratti di diritto privato sono destinate in via esclusiva al finanziamento della lotta alla corruzione, con particolare riguardo al finanziamento dell'Autorità nazionale anticorruzione e degli altri organi di cui all'articolo 1, comma 1, individuati nel Piano nazionale anticorruzione di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b).
20. 15. Melis, Zaccaria, Ferranti, Bressa, Giovanelli.

  Sostituirlo con il seguente:
  Art. 20. – (Misure di prevenzione in riferimento ai proventi di attività delittuose contro la pubblica amministrazione). – 1. All'articolo 6 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:
  «3-bis. Qualora le attività delittuose di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), siano compiute nello svolgimento delle funzioni o del servizio, al pubblico ufficiale od all'incaricato di pubblico servizio è altresì applicata la misura di prevenzione della sospensione temporanea dall'amministrazione dei beni, alle seguenti condizioni:
   a) che i beni o le altre utilità di cui il soggetto abbia la proprietà o la disponibilità, a qualsiasi titolo, risultino di valore non proporzionato al proprio reddito o alla propria capacità economica. A tal fine le indagini e verifiche, di cui al comma 1 del citato articolo 34, prendono a base di riferimento gli emolumenti annuali resi pubblici ai sensi dell'articolo 21 della legge 18 giugno 2009, n. 69, e dell'articolo 76 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché le dichiarazioni reddituali rese pubbliche ai sensi dell'articolo 69, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600;
   b) che la pericolosità sociale sia valutata anche in rapporto al corretto andamento della pubblica amministrazione;
   c) che il soggetto non sia in grado di giustificare la legittima provenienza dei beni o altre utilità di cui alla lettera a).

  2. All'articolo 2, comma l, lettera b), ed all'articolo 10, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, le parole: «come da ultimo modificato dall'articolo 4 della legge 3 agosto 1988, n. 327» sono sostituite dalle seguenti: «e successive modificazioni».
20. 2. Tassone, Rao, D'Ippolito Vitale, Mantini, Ria.

  Dopo l'articolo 20, aggiungere il seguente:
  Art. 21. – (Disciplina generale del conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali nelle amministrazioni pubbliche. Limitazioni allo spoils system). – 1. In tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli incarichi dirigenziali che comportano l'adozione, in via esclusiva, degli atti amministrativi e di gestione non hanno carattere fiduciario, hanno durata maggiore del mandato degli organi di governo che li conferiscono, possono essere revocati con atto motivato e solo nei casi di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non sono soggetti a decadenza automatica in occasione del rinnovo degli organi di governo.
  2. In tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli incarichi di carattere fiduciario, tra i quali quelli relativi a uffici di diretta collaborazione, al coordinamento generale dell'azione amministrativa o alla rappresentanza esterna dell'amministrazione, devono essere preventivamente individuati negli atti generali di disciplina degli uffici di ciascuna amministrazione. Tale disciplina regola le procedure di conferimento e revoca degli incarichi, individuando quelli conferibili in base a criteri esclusivamente fiduciari e quelli che devono essere conferiti in base a requisiti di nomina predeterminati e con l'attivazione di procedure di valutazione comparativa della competenza professionale degli aspiranti all'incarico e che possono essere revocati solo con atto motivato. Tutti gli incarichi fiduciari decadono in occasione del rinnovo degli organi di governo che li hanno conferiti.
20. 01. Zaccaria, Melis, Ferranti, Bressa, Giovanelli.

A.C. 4434-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto della Commissione riporta che in Italia la diffusione della corruzione nella pubblica amministrazione ha assunto proporzioni di assoluta gravità. Nel Rapporto GRECO (Group of States against corruption) del 2011 si legge che la corruzione è profondamente radicata in diverse aree della pubblica amministrazione, nella società civile, così come nel settore privato. Il pagamento delle tangenti sembra pratica comune per ottenere licenze e permessi, contratti pubblici, finanziamenti, per superare gli esami universitari, esercitare la professione medica, stringere accordi nel mondo calcistico, ecc. (...). La corruzione in Italia è un fenomeno pervasivo e sistemico che influenza la società nel suo complesso;
    altresì, un sondaggio del 2009 di Eurobarometro mostra che la percentuale di cittadini italiani che hanno ricevuto la richiesta o l'offerta di una tangente negli ultimi 12 mesi di riferimento è pari al 17 per cento (quasi il doppio della media dei paesi UE pari invece al 9 per cento);
    una rilevazione del Global corruption barometer 2010 di Transparency International indica che, tra il 2009 e il 2010, il 13 per cento dei cittadini (a fronte della media del 5 per cento nei Paesi dell'Unione europea) ha dichiarato di aver pagato – direttamente o tramite un familiare – tangenti nell'erogazione di diversi servizi pubblici (nello specifico, il 10 per cento nei contatti col sistema sanitario; il 3,8 per cento con la polizia; il 6,4 per cento per il rilascio di licenze e permessi; l'8,7 per cento per utilities; il 6,9 per cento con il fisco; il 13,9 in procedure doganali; il 28,8 col sistema giudiziario). Quanto alle motivazioni che hanno indotto alla dazione, il 2,8 per cento ha pagato la tangente per evitare problemi con le autorità; l'1,5 per cento per accelerare le procedure; l'1,3 per cento per ottenere un servizio cui aveva diritto;
    per quanto riguarda il settore della prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, il Gruppo di Stati contro la Corruzione (GRECO) presso il Consiglio d'Europa chiede al nostro Paese: 1) l'elaborazione di un piano nazionale anticorruzione con la previsione del suo monitoraggio e la valutazione della sua efficacia; 2) che il SAeT (Servizio anticorruzione trasparenza che opera presso il Dipartimento della funzione pubblica) si veda attribuita l'autorità e le risorse necessarie per valutare sistematicamente l'efficacia dei sistemi amministrativi generali progettati per prevenire e rilevare la corruzione, di rendere pubbliche tali valutazioni, e di formulare raccomandazioni per cambiamenti sulla base di tali valutazioni; 3) l'uniforme adozione di un codice di condotta per tutte le persone che svolgano funzioni amministrative (compresi i dirigenti e i consulenti); 4) l'adozione di un codice di condotta per i membri del Governo; 5) l'adozione di standard uniformi in materia di conflitto di interesse per le persone che svolgono funzioni amministrative (compresi i dirigenti e i consulenti); 6) l'adozione di misure in tema del passaggio di funzionari dal settore pubblico al privato; 7) un adeguato sistema di protezione per coloro che, in buona fede, segnalino i casi sospetti di corruzione all'interno della pubblica amministrazione;
    la Corte dei conti, nel febbraio 2010, ha valutato l'ammontare della corruzione, divenuta sistemica, in 50/60 miliardi di euro, cifra sottratta alla collettività, ai servizi, alle opere pubbliche e agli investimenti;
    inoltre, la Direzione generale delle politiche regionali della Commissione europea ha affidato uno studio comparato alla Facoltà di scienze politiche dell'Università di Goteborg. Lo studio – effettuato tra dicembre 2009 e febbraio 2010 contattando 200 alti funzionari di ogni Stato per costruire l'indice nazionale e 34 mila cittadini europei (4.095 in Italia) per costruire un indice regionale – è stato reso noto a febbraio 2011. Sedici le domande su tre grandi aree: istruzione, sanità e giustizia. Si tratta, come recita testualmente il dossier, «della più corposa ricerca mai fatta al mondo». L'Italia è considerata tra le sei nazioni nelle quali si registrano le più alte variazioni all'interno dei confini (le altre sono Belgio, Spagna, Portogallo, Romania e Bulgaria). Tra le regioni più corrotte in Europa ci sono Campania e Calabria;
    da tempo, un gruppo di associazioni e di singoli cittadini, riunitisi presso la Federazione nazionale della stampa, ha deciso di aprire un dibattito pubblico sull'esigenza di un maggiore riconoscimento del diritto all'informazione, con l'introduzione di una legge sul Freedom of information simile a quella introdotta negli Stati Uniti nel 1966 (FOIA) e da tempo esistente nei Paesi democratici;
    negli Usa, in particolare, il FOIA è uno degli strumenti più importanti per controllare gli uffici pubblici ed è servito per limitare affari poco chiari, oltre che a permettere ai cittadini di partecipare al momento giusto ai meccanismi decisionali. In questo modo sono stati evitati gli inspiegabili ritardi negli iter dei procedimenti, la non trasparenza volta a privilegiare alcuni a discapito di altri, sono state semplificate le procedure e soprattutto è stato ridotto il fenomeno della corruzione che, secondo Transparency International (una ong che pubblica un rapporto annuale sul livello di corruzione nei diversi Paesi del mondo), viene limitato proprio dal libero accesso all'informazione;
    il principio del Freedom of information obbliga la pubblica amministrazione a rendere pubblici i propri atti e rende possibile a tutti i cittadini di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo,

impegna il Governo:

   ad avviare maggiori e più incisive iniziative, anche legislative, atte ad allentare il legame sempre più forte tra corruzione, clientelismo e mafia nella pubblica amministrazione;
   a mettere in atto le raccomandazioni rivolte all'Italia da parte degli Organismi internazionali che operano in contrasto alla corruzione e a valutare la possibilità di avviare uno studio e un dibattito sulla trasparenza amministrativa tenuto conto che una maggiore chiarezza delle procedure contribuirebbe ad arginare il fenomeno della corruzione, sempre più esteso nel nostro Paese;
   a valutare l'opportunità di introdurre nel nostro ordinamento, tramite ulteriori iniziative normative di propria competenza, disposizioni simili a quanto previsto dal Freedom of information Act, la legge introdotta negli Stati Uniti nel 1966 (FOIA) e da tempo esistente nei Paesi democratici, tenendo conto anche dell'Agenda digitale italiana – ADI, che prevede tra i suoi principali obiettivi la definizione di una normativa in materia di «e-government/open data», cui è dedicato uno specifico gruppo di lavoro.
9/4434-A/1Di Stanislao, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    è essenziale estendere al massimo possibile l'applicazione dei criteri di efficienza, economicità e trasparenza amministrativa a tutti i contratti pubblici e, quindi, anche a quelli assai numerosi e consistenti per importo complessivo, relativi ai servizi ed alle pubbliche forniture;
    è quanto mai opportuno avere un unico sistema di qualificazione per tutte le tipologie di appalti superiori ai 150.000 euro, in quanto si alleggerirebbe notevolmente, in tal modo, il carico di lavori delle stazioni appaltanti e si ridurrebbero gli oneri a carico della finanza pubblica, poiché cesserebbe l'attuale differente disciplina tra lavori pubblici da un dato e pubbliche forniture e servizi dall'altro,

impegna il Governo:

   ad estendere, anche in altro provvedimento, la disciplina prevista dall'articolo 40 del codice dei contratti pubblici, relativa alla qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici, anche ai servizi ed alle forniture pubbliche al fine di tutelare la trasparenza e l'efficienza dell'azione amministrativa, nonché di ridurne gli oneri;
   a disporre, di conseguenza, che tutti i soggetti ammessi alla partecipazione di gare pubbliche, siano essi di lavori, di servizi o di forniture superiori a 150.000 euro, configurino la loro attività nel rispetto dei principi di qualità, di professionalità e di correttezza e dimostrino di possedere la cosiddetta «attestazione di qualificazione» che, al pari di quanto già avviene per i lavori pubblici, dovrà essere rilasciata dalla Società organismo di attestazione (SOA), al fine di accertare ed attestare in capo ai soggetti esecutori, l'esistenza di adeguati requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari.
9/4434-A/2Abrignani.


   La Camera,
   premesso che:
    il controllo è l'essenza stessa della democrazia: la possibilità da parte dei cittadini di esercitare il controllo su chi li governa è elemento fondativo di un sistema democratico;
    oggi, grazie alla rivoluzione digitale e a Internet, è tecnicamente possibile recuperare il rapporto diretto tra elettori ed eletti, a tutti i livelli istituzionali; rapporto che i mezzi di comunicazione di massa hanno in parte pregiudicato, a vantaggio spesso di una politica opaca o di facciata;
    diviene pertanto improcrastinabile l'istituzione dell'Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati perseguita dal movimento radicale fin dall'ingresso dei primi eletti in parlamento nel 1976. I quattro eletti di allora basarono infatti la loro azione politica sulla possibilità concreta da parte dei cittadini di essere messi nelle condizioni di conoscere ciò che avveniva nelle istituzioni: la creazione di Radio Radicale con la diretta – allora vietata – delle sedute d'aula è stato il primo importante passo nella direzione di questa fondamentale riforma democratica;
    ed è proprio in questa direzione che si è mossa e si muove la proposta radicale di istituire un'anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati: uno strumento della democrazia diretta che pone il candidato e l'eletto sotto la lente dell'elettore, in modo che questi possa conoscerlo, seguirlo nella sua attività politica, monitorare le sue scelte e anche i suoi interessi;
    sotto l'aspetto patrimoniale, reddituale e degli interessi economici dei titolari di cariche elettive o direttive nella pubblica amministrazione, si tratta di riformare radicalmente la legge 5 luglio 1982, n. 441, colmando tutte quelle lacune nella legislazione che fino ad oggi hanno impedito di perseguire l'obiettivo dell'effettiva conoscibilità da parte dei cittadini;
    persino in questa Camera alla richiesta della delegazione radicale di pubblicare on line, sul sito istituzionale, la situazione patrimoniale e reddituale dei deputati, è stata opposta la necessità di dover passare dalla modifica della legge n. 441 del 1982 che, pur prevedendo la pubblicità dei dati in questione, ne limitava la pubblicità su un apposito bollettino difficilmente consultabile dai cittadini; d'altra parte, all'epoca era agli albori la rivoluzione digitale che ha marcato gli ultimi trent'anni della storia umana. L’escamotage che si è trovato in questo ramo del Parlamento – replicato poi ai Senato – per dare seguito alla richiesta della delegazione radicale è stato quello di prevedere la pubblicazione dei dati solo dietro una liberatoria sottoscritta dal deputato,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente un'iniziativa normativa volta a prevedere una radicale riforma della legge 5 luglio 1982, n. 441, che detti disposizioni in materia di pubblicità degli interessi personali e della situazione patrimoniale e reddituale dei titolari di cariche di governo o elettive, o di cariche direttive in alcuni enti.
9/4434-A/3Bernardini, Zamparutti, Mecacci, Farina Coscioni, Beltrandi, Maurizio Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    il controllo è l'essenza stessa della democrazia: la possibilità da parte dei cittadini di esercitare il controllo su chi li governa è elemento fondativo di un sistema democratico;
    oggi, grazie alla rivoluzione digitale e a Internet, è tecnicamente possibile recuperare il rapporto diretto tra elettori ed eletti, a tutti i livelli istituzionali; rapporto che i mezzi di comunicazione di massa hanno in parte pregiudicato, a vantaggio spesso di una politica opaca o di facciata;
    diviene pertanto improcrastinabile l'istituzione dell'Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati perseguita dal movimento radicale fin dall'ingresso dei primi eletti in parlamento nel 1976. I quattro eletti di allora basarono infatti la loro azione politica sulla possibilità concreta da parte dei cittadini di essere messi nelle condizioni di conoscere ciò che avveniva nelle istituzioni: la creazione di Radio Radicale con la diretta – allora vietata – delle sedute d'aula è stato il primo importante passo nella direzione di questa fondamentale riforma democratica;
    ed è proprio in questa direzione che si è mossa e si muove la proposta radicale di istituire un'anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati: uno strumento della democrazia diretta che pone il candidato e l'eletto sotto la lente dell'elettore, in modo che questi possa conoscerlo, seguirlo nella sua attività politica, monitorare le sue scelte e anche i suoi interessi;
    sotto l'aspetto patrimoniale, reddituale e degli interessi economici dei titolari di cariche elettive o direttive nella pubblica amministrazione, si tratta di riformare radicalmente la legge 5 luglio 1982, n. 441, colmando tutte quelle lacune nella legislazione che fino ad oggi hanno impedito di perseguire l'obiettivo dell'effettiva conoscibilità da parte dei cittadini;
    persino in questa Camera alla richiesta della delegazione radicale di pub-blicare on line, sul sito istituzionale, la situazione patrimoniale e reddituale dei deputati, è stata opposta la necessità di dover passare dalla modifica della legge n. 441 del 1982 che, pur prevedendo la pubblicità dei dati in questione, ne limitava la pubblicità su un apposito bollettino difficilmente consultabile dai cittadini; d'altra parte, all'epoca era agli albori la rivoluzione digitale che ha marcato gli ultimi trent'anni della storia umana. L’escamotage che si è trovato in questo ramo del Parlamento – replicato poi ai Senato – per dare seguito alla richiesta della delegazione radicale è stato quello di prevedere la pubblicazione dei dati solo dietro una liberatoria sottoscritta dal deputato,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente un'iniziativa normativa volta a rendere attuale ed effettivamente applicabile la legge 5 luglio 1982, n. 441, che detti disposizioni in materia di pubblicità degli interessi personali e della situazione patrimoniale e reddituale dei titolari di cariche di governo o elettive, o di cariche direttive in alcuni enti.
9/4434-A/3. (Testo modificato nel corso della seduta) Bernardini, Zamparutti, Mecacci, Farina Coscioni, Beltrandi, Maurizio Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 13, comma 1, lettera r), del disegno di legge in esame aggiunge al codice penale l'articolo 346-bis (Traffico di influenze illecite), a norma del quale chiunque, fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie. Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita;
    sarebbe necessario procedere all'integrazione dell'articolo 346-bis ampliando le fattispecie «traffico di influenze illecite» anche per altri tipi di vantaggio estrinsecabili nei casi di raccomandazione su atti o comportamenti commissivi o omissivi o commissioni di reati,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, in ulteriori provvedimenti legislativi, di integrare l'articolo 346-bis come introdotto dal disegno di legge in esame, ampliando le fattispecie ivi previste anche ad altri tipi di vantaggio estrinsecabili nei casi di raccomandazione su atti o comportamenti commissivi o omissivi o commissioni di reati.
9/4434-A/4Scilipoti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene sulla disciplina di contrasto alla corruzione e all'illegalità nel settore pubblico, predisponendo un quadro di prevenzione generale, controlli mirati e rinnovate sanzioni;
    un ruolo determinante nell'ambito delle attività di contrasto alla criminalità è svolto dalla Direzione investigativa antimafia (DIA), istituita nell'ambito del dipartimento della pubblica sicurezza con la legge n. 410 del 1991. La DIA si configura come un organismo investigativo con competenza monofunzionale, composta da personale specializzato a provenienza interforze, con il compito esclusivo di assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione mafiosa o comunque ricollegabili all'associazione medesima;
    tra le attribuzioni della DIA rientra in via esclusiva la competenza in materia di segnalazioni di operazioni sospette (legge n. 231 del 2007) attinenti alla criminalità organizzata che costituiscono una spia di indebite operazioni finanziarie, incluse quelle corruttive;
    negli ultimi mesi la DIA è stata oggetto di un processo di indebolimento retributivo e funzionale, unito ad un graduale depotenziamento delle strutture della Direzione sul territorio;
    rispetto a quanto sancito dalla legge istitutiva, la Dia risulta ancora una sorta di progetto incompiuto, elemento questo che sottolinea quanto sia significativo il potenziale inesplorato della struttura;
    il depotenziamento finanziario oltre che organizzativo messo in atto con gli ultimi provvedimenti rischia seriamente di compromettere una struttura fiore all'occhiello del sistema di controllo e di lotta all'illecito italiano, con il rischio di disattendere in maniera palese quanto auspicato da Bruxelles e di sfaldare in maniera vistosa un sistema virtuoso ed efficace strutturato in venti anni di sacrifici, passione e duro lavoro,

impegna il Governo

a consentire, attraverso specifici provvedimenti, la definizione di misure orientate alla completa attuazione della legge n. 410 del 1991, i cui contenuti sono poi confluiti nel decreto legislativo n. 159 del 2011, al fine di valorizzare la Direzione investigativa antimafia, anche attraverso la modifica degli interventi normativi che fino ad oggi hanno contribuito a depotenziarla sotto il profilo organizzativo, funzionale e retributivo.
9/4434-A/5Di Biagio, Della Vedova, Bocchino, Menia, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Barbaro, Consolo, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Moroni, Muro, Paglia, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto, Siragusa.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene sulla disciplina di contrasto alla corruzione e all'illegalità nel settore pubblico, predisponendo un quadro di prevenzione generale, controlli mirati e rinnovate sanzioni;
    un ruolo determinante nell'ambito delle attività di contrasto alla criminalità è svolto dalla Direzione investigativa antimafia (DIA), istituita nell'ambito del dipartimento della pubblica sicurezza con la legge n. 410 del 1991. La DIA si configura come un organismo investigativo con competenza monofunzionale, composta da personale specializzato a provenienza interforze, con il compito esclusivo di assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione mafiosa o comunque ricollegabili all'associazione medesima;
    tra le attribuzioni della DIA rientra in via esclusiva la competenza in materia di segnalazioni di operazioni sospette (legge n. 231 del 2007) attinenti alla criminalità organizzata che costituiscono una spia di indebite operazioni finanziarie, incluse quelle corruttive;
    negli ultimi mesi la DIA è stata oggetto di un processo di indebolimento retributivo e funzionale, unito ad un graduale depotenziamento delle strutture della Direzione sul territorio;
    rispetto a quanto sancito dalla legge istitutiva, la Dia risulta ancora una sorta di progetto incompiuto, elemento questo che sottolinea quanto sia significativo il potenziale inesplorato della struttura;
    il depotenziamento finanziario oltre che organizzativo messo in atto con gli ultimi provvedimenti rischia seriamente di compromettere una struttura fiore all'occhiello del sistema di controllo e di lotta all'illecito italiano, con il rischio di disattendere in maniera palese quanto auspicato da Bruxelles e di sfaldare in maniera vistosa un sistema virtuoso ed efficace strutturato in venti anni di sacrifici, passione e duro lavoro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, attraverso specifici provvedimenti, di definire misure orientate alla completa attuazione della legge n. 410 del 1991, i cui contenuti sono poi confluiti nel decreto legislativo n. 159 del 2011, al fine di valorizzare la Direzione investigativa antimafia, anche attraverso le necessarie modifiche normative.
9/4434-A/5. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Biagio, Della Vedova, Bocchino, Menia, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Barbaro, Consolo, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Moroni, Muro, Paglia, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto, Siragusa.


   La Camera,
   premesso che:
    la corruzione è un fenomeno sociale endemico e così fortemente condizionante il sistema delle autonomie locali, le strutture pubbliche e private, le società e gli organismi di gestione, che si sviluppa e si alimenta delle debolezze nella struttura economica ed istituzionale di un Paese, mettendone a rischio lo sviluppo democratico, la crescita economica e, soprattutto, la trasparenza delle procedure e dei processi amministrativi;
    la corruzione, la concussione ed ogni forma di illegalità vanno combattute creando una conoscenza condivisa del fenomeno che implica il coinvolgimento dell'intera società, dalle istituzioni ai cittadini, al fine di rendere quest'ultimi pienamente consapevoli degli strumenti volti a prevenire e smascherare i fenomeni corruttivi da un lato e a favorire la diffusione della cultura della legalità e della trasparenza all'interno della pubblica amministrazione dall'altro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative affinché siano previsti, nell'ambito della pubblica amministrazione: la rotazione biennale dei dirigenti preposti alla gestione di settori particolarmente esposti alla corruzione; il deposito annuale della loro dichiarazione patrimoniale e reddituale; la programmazione di un piano formativo, volto a fornire ai dirigenti responsabili della gestione tutte le conoscenze legislative, amministrative e procedurali per un sano e corretto svolgimento delle funzioni cui sono preposti, dando attuazione ai principi costituzionali dell'intangibilità morale dei dirigenti e della trasparenza e piena legalità all'interno della pubblica amministrazione.
9/4434-A/6Mario Pepe (PD).


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
    l'articolo 54, secondo comma, della Costituzione, nello stabilire che i cittadini chiamati a svolgere funzioni pubbliche devono adempierle «con disciplina ed onore», impone non solo il rispetto della «legalità formale», ma anche l'osservanza di ineludibili principi etico-morali, di cui sente urgente bisogno il popolo italiano;
    dalla citata norma costituzionale discende, tra l'altro, l'obbligo per coloro che ricoprono incarichi istituzionali di servire la Nazione, di adempiere le proprie funzioni con imparzialità, indipendenza e nel rispetto della legge, di perseguire l'interesse pubblico, di collaborare lealmente con i diversi poteri dello Stato, di ispirare i propri comportamenti alla sobrietà, alla serietà ed alla morigeratezza che si conviene a quanti sono chiamati a rappresentare il Paese e le sue istituzioni democratiche;
    stanno crescendo nell'opinione pubblica, ormai già da alcuni anni, sentimenti di profondo disagio e di diffusa insofferenza per la condotta di uomini politici, appartenenti a diversi schieramenti, che tengono comportamenti per più versi riprovevoli, diretti ad assicurare a sé o ad altri indebiti vantaggi dall'esercizio delle funzioni pubbliche o ad abusare dei propri poteri e delle risorse loro affidate in ragione dell'ufficio che ricoprono;
    l'allarmante «crisi morale» della politica italiana si ripercuote negativamente anche sul piano istituzionale ed economico: non vi è dubbio, infatti, che lo smarrimento di saldi valori etici accresca il distacco tra cittadini e istituzioni, renda queste ultime meno credibili ed affidabili ed alimenti la sfiducia degli operatori economici nella capacità del Paese e dei suoi governanti di reagire efficacemente alla crisi in atto;
    appare dunque necessario dotare con urgenza anche l'ordinamento italiano di credibili e trasparenti sistemi di valutazione e garanzia dell'etica pubblica e dell'integrità della classe dirigente politica, introducendo un complesso di regole deontologiche e di meccanismi di controllo e sanzione in grado di garantire la correttezza e la moralità dei comportamenti di coloro che ricoprono, a tutti i livelli, cariche elettive o di nomina politica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere – nel rispetto delle prerogative e dell'autonomia costituzionalmente riconosciute a ciascuna Camera, nonché alle regioni ed enti locali ed in coordinamento con l'autonomia di ciascuno di tali enti – iniziative di carattere normativo volte ad assicurare la compiuta attuazione dell'articolo 54, comma secondo, della Costituzione, prevedendo in particolare l'adozione di una pluralità di norme che costituiscano un «codice etico» per coloro che ricoprono cariche pubbliche.
9/4434-A/7Binetti.


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema dei controlli negli enti locali è stato riformato tra il 1997 e il 2001 con due interventi normativi: l'eliminazione del controllo preventivo di legittimità del CORECO (prima ridimensionato con la legge n. 127 del 1997, poi eliminato con la riforma del Titolo V della Costituzione) e la riforma della figura del segretario comunale, scelto oggi dal sindaco sulla base di un rapporto fiduciario e non più considerato l'occhio vigile dello Stato;
    i controlli di legittimità sono stati messi in discussione sin dall'inizio degli anni Novanta a ragione della loro inidoneità a prevenire fenomeni di illegalità;
    alla luce dei fatti di cronaca giudiziaria registratisi in maniera sempre più crescente in questi anni, appare oggi necessario riconsiderare la reintroduzione del controllo di legittimità per alcuni atti fondamentali e per assicurare una migliore correttezza dell'azione amministrativa;
    occorre a tal proposito valutare quale sia l'organo istituzionale che nel nostro sistema amministrativo possa svolgere, in piena indipendenza, il controllo preventivo di legittimità,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative volte ad affidare ad un organo giurisdizionale e indipendente il controllo preventivo di legittimità su alcuni atti fondamentali.
9/4434-A/8Tassone.


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema dei controlli negli enti locali è stato riformato tra il 1997 e il 2001 con due interventi normativi: l'eliminazione del controllo preventivo di legittimità del CORECO (prima ridimensionato con la legge n. 127 del 1997, poi eliminato con la riforma del Titolo V della Costituzione) e la riforma della figura del segretario comunale, scelto oggi dal sindaco sulla base di un rapporto fiduciario e non più considerato l'occhio vigile dello Stato;
    i controlli di legittimità sono stati messi in discussione sin dall'inizio degli anni Novanta a ragione della loro inidoneità a prevenire fenomeni di illegalità;
    alla luce dei fatti di cronaca giudiziaria registratisi in maniera sempre più crescente in questi anni, appare oggi necessario riconsiderare la reintroduzione del controllo di legittimità per alcuni atti fondamentali e per assicurare una migliore correttezza dell'azione amministrativa;
    occorre a tal proposito valutare quale sia l'organo istituzionale che nel nostro sistema amministrativo possa svolgere, in piena indipendenza, il controllo preventivo di legittimità,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative volte ad affidare ad un organo in posizione di terzietà il controllo preventivo di legittimità su alcuni atti fondamentali.
9/4434-A/8. (Testo modificato nel corso della seduta) Tassone.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia si colloca al 90o posto su 145 nella graduatoria dei Paesi che consentono alle donne pari partecipazione e opportunità economiche;
    secondo quanto emerge dall'ultima relazione annuale di Banca d'Italia (in cui è stato inserito, per la prima volta, un capitolo sulle differenze di genere), ad una più elevata presenza di donne tra gli amministratori pubblici corrispondono livelli di corruzione più bassi;
    nelle imprese con almeno 50 dipendenti è donna il 12 per cento dei dirigenti, mentre a ricoprire un ruolo di alta dirigenza nei consigli di amministrazione di imprese con oltre 10 milioni di fatturato c’è solo un 9 per cento di donne, con qualche miglioramento nell'ultimo anno nelle società quotate,

impegna il Governo

a verificare il rispetto delle disposizioni già esistenti e ad adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a favorire una maggiore presenza femminile nella vita politica ed economica del Paese, in conformità con gli standard europei.
9/4434-A/9D'Ippolito Vitale.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 13, comma 1, lettera r), del provvedimento in esame introduce nel codice penale la fattispecie di traffico di influenze illecite;
    la formulazione della norma citata evidenzia una pericolosa genericità che contrasta palesemente con la necessità di tipizzazione delle condotte penalmente sanzionabili;
    tale genericità appare foriera di condotte che potrebbero creare effetti distorsivi nell'applicazione della norma stessa, segnatamente con riguardo alla individuazione dei comportamenti leciti e di quelli illeciti;
    si profila il rischio concreto che, mancando nel nostro ordinamento una specifica disciplina in materia di lobbying, tale norma dia luogo ad uno scontro permanente sia dal lato politico che da quello giudiziario totalmente estraneo alle finalità insite nel provvedimento in esame;
    non sono mancati casi in cui il legislatore ha rinunziato alla previsione normativa di fattispecie penali proprio per la difficoltà, se non impossibilità, di individuare puntualmente le condotte illecite,

impegna il Governo

a predisporre tempestivamente un provvedimento teso ad introdurre nel nostro ordinamento una disciplina specifica in materia di lobbying, anche al fine di circoscrivere la discrezionalità nell'applicazione della norma di cui al citato articolo 13, comma 1, lettera r).
9/4434-A/10Garagnani.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame dell'Aula introduce nuove ed efficaci misure per il contrasto della corruzione, sia in sede amministrativa che penale, in attuazione della Convenzione ONU del 2003 e al fine di prevenire e punire più efficacemente un fenomeno che in Italia, secondo stime della Corte dei Conti, si aggira su un valore di circa sessanta miliardi di euro, con un preoccupante inquinamento della vita economica, sociale e politica;
    l'articolo 10 delega il Governo ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo in materia di incandidabilità al Parlamento europeo, nazionale, e ai consigli regionali, provinciali e comunali e in altri ruoli amministrativi e di governo, per coloro che hanno subito condanne definitive per gravi reati;
    attualmente l'incandidabilità è prevista dalla normativa vigente per i consigli comunali, provinciali e regionali, ma non per il Parlamento e ciò costituisce un vulnus, incomprensibile per i cittadini, sia alla luce della parità tra i diversi livelli in cui si articola la Repubblica, ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione, e sia sotto il profilo dell’«onorabilità» della funzione parlamentare, alla luce degli articoli 51 e 54 Costituzione,

impegna il Governo

ad esercitare la delega in tema di incandidabilità in Parlamento dei condannati con sentenza definitiva per gravi reati in tempo utile affinché le norme possano essere vigenti e applicabili entro la scadenza naturale dell'attuale legislatura e prima delle elezioni previste per l'anno 2013.
9/4434-A/11Mantini.


   La Camera,
   premesso che:
    il testo del provvedimento in esame contiene disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
    la questione viene affrontata sia sotto l'aspetto preventivo sia sotto l'aspetto repressivo;
    l'argomento della prevenzione dei fenomeni di corruzione e di altri reati contro la pubblica amministrazione nonché di comportamenti a qualsiasi titolo illegali nel medesimo contesto viene trattato facendo ampio riferimento alla trasparenza dell'attività amministrativa (articolo 2);
    la trasparenza prescritta implica la pubblicazione nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio e di protezione dei dati personali;
    si prevede, inoltre, che nei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni siano altresì pubblicati i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini e che tali informazioni siano pubblicate sulla base di uno schema tipo redatto dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che ne cura altresì la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito istituzionale al fine di consentirne una agevole comparazione;
    è necessario rendere effettivamente accessibili al pubblico i dati direttamente connessi alla trasparenza delle procedure presso i siti istituzionali delle Pubbliche Amministrazioni ed è altresì da considerarsi essenziale il ruolo di controllo da parte del cittadino, strettamente collegato a tali forme di pubblicazione,

impegna il Governo:

   ad individuare con la massima urgenza un sistema informatico predefinito e unico, da applicare ai siti di tutte le pubbliche amministrazioni, che garantisca e faciliti il diritto di accesso riconosciuto al cittadino. Il sistema informatico dovrà essere semplice ed operativo di modo che si giunga in tempi brevi ad una concreta attuazione alle norme sulla prevenzione dell'illegalità nella pubblica amministrazione. Oltre alla predisposizione di una struttura informatica uguale per tutti i siti internet delle Pubbliche Amministrazioni;
   a prevedere un sistema di frequenti controlli a campione sulla effettiva operatività dei citati siti internet nonché, nello specifico, dell'area relativa ai dati e alle informazioni la cui pubblicazione è considerata preventiva rispetto a fenomeni di illegalità.
9/4434-A/12Ria.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
    in particolare, l'articolo 10 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo (a livello centrale, regionale, locale ed europeo), conseguente a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi;
    la finalità del testo unico è, inoltre, quella di disciplinare i casi di decadenza e di sospensione dalle cariche in caso di sentenze definite di condanna successive all'elezione o all'assunzione della carica e di coordinare le norme sull'incandidabilità con quelle vigenti in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all'esercizio del diritto di voto attivo;
    prevedendo, per l'esercizio della delega, il termine di un anno dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, si rischia, tuttavia, di non assicurare l'applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità per i condannati a partire dalle prossime elezioni politiche del 2013, compromettendo, così, in sostanza, la possibilità di escludere effettivamente dalle aule parlamentari i soggetti condannati, anche in via definitiva;
    è evidente che si tratta di temi particolarmente delicati e rilevanti che, se affrontati in maniera efficace e credibile, possono decisamente contribuire all'avvio di una nuova stagione politica e «civile» per il nostro Paese, che richiede un impegno serio, coerente e responsabile da parte di tutte le istituzioni;
    in questo particolare momento storico, caratterizzato da un forte e diffuso senso di sfiducia collettiva nei confronti della politica, che rischia, se non contrastato efficacemente, di delegittimare l'intero sistema istituzionale italiano, è quanto mai urgente e necessario, infatti, dare «segnali» forti e concreti di coerenza, di serietà e di trasparenza,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente il decreto legislativo di cui in premessa, e, comunque, in tempi utili a garantire l'entrata in vigore e l'applicazione delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo, conseguente a sentenze definitive di condanna, a partire dalla prossime elezioni politiche del 2013.
9/4434-A/13Della Vedova, Bocchino, Menia, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Barbaro, Consolo, Di Biagio, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Moroni, Muro, Paglia, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
    in particolare, l'articolo 13, alla lettera r), introduce nel codice penale una nuova fattispecie di reato, il traffico di influenze illecite;
    il nuovo articolo 346-bis del codice penale, infatti, punisce con la reclusione da uno a tre anni «chiunque, fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio»;
    anche nel corso dell'esame del provvedimento nelle commissioni riunite affari costituzionali e giustizia della Camera è stato segnalato un rischio di eccessiva genericità nella tipizzazione del nuovo reato, che si presterebbe ad interpretazioni arbitrarie da parte degli inquirenti e dei giudici; infatti la norma, in assenza di una disciplina che fissi, in maniera chiara ed inequivocabile, il confine tra l'attività lecita, nel campo delle relazioni istituzionali e della rappresentanza di interessi e «l'influenza illecita» rispetto all'attività del decisore pubblico, rischia non solo di arginare l'inquinamento illegale della vita politica e amministrativa, ma di esporre a sospetti e pericoli l'attività quotidianamente svolta, in maniera trasparente, da molti professionisti;
    al fine di introdurre maggiori elementi di chiarezza per qualificare con più concretezza la «mediazione illecita», diventa quanto mai urgente e necessario procedere, in tempi rapidi, all'approvazione di una disciplina legislativa recante un pieno riconoscimento e una puntuale regolamentazione dell'attività di lobbying, in modo da allineare finalmente l'Italia alla maggior parte dei Paesi europei e garantire così la massima trasparenza e la correttezza dell'attività politica, legislativa ed amministrativa, nonché una ampia e diffusa partecipazione ai processi decisionali pubblici,

impegna il Governo

ad attivarsi tempestivamente al fine di adottare provvedimenti normativi volti ad introdurre una disciplina ampia ed organica dell'attività di lobbying e di relazioni istituzionali, fissando requisiti certi ed affidabili per il suo esercizio, nel rispetto dei principi fondamentali di trasparenza, pubblicità, partecipazione, parità di trattamento e pluralismo economico, sociale e culturale.
9/4434-A/14Moroni, Della Vedova, Bocchino, Menia, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Barbaro, Consolo, Di Biagio, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Muro, Paglia, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
    in particolare, l'articolo 13, alla lettera r), introduce nel codice penale una nuova fattispecie di reato, il traffico di influenze illecite;
    il nuovo articolo 346-bis del codice penale, infatti, punisce con la reclusione da uno a tre anni «chiunque, fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio»;
    anche nel corso dell'esame del provvedimento nelle commissioni riunite affari costituzionali e giustizia della Camera è stato segnalato un rischio di eccessiva genericità nella tipizzazione del nuovo reato;
    al fine di introdurre maggiori elementi di chiarezza per qualificare con più concretezza la «mediazione illecita», diventa quanto mai urgente e necessario procedere, in tempi rapidi, all'approvazione di una disciplina legislativa recante un pieno riconoscimento e una puntuale regolamentazione dell'attività di lobbying, in modo da allineare finalmente l'Italia alla maggior parte dei Paesi europei e garantire così la massima trasparenza e la correttezza dell'attività politica, legislativa ed amministrativa, nonché una ampia e diffusa partecipazione ai processi decisionali pubblici,

impegna il Governo

ad attivarsi tempestivamente al fine di adottare provvedimenti normativi volti ad introdurre una disciplina ampia ed organica dell'attività di lobbying e di relazioni istituzionali, fissando requisiti certi ed affidabili per il suo esercizio, nel rispetto dei principi fondamentali di trasparenza, pubblicità, partecipazione, parità di trattamento e pluralismo economico, sociale e culturale.
9/4434-A/14. (Testo modificato nel corso della seduta) Moroni, Della Vedova, Bocchino, Menia, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Barbaro, Consolo, Di Biagio, Divella, Galli, Granata, Lamorte, Lo Presti, Muro, Paglia, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto.


   La Camera
   premesso che:
    l'articolo 10 del provvedimento in esame contempla il conferimento di una delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguente a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi secondo i principi ed i criteri direttivi ivi indicati;
    ritenuto opportuno che tale delega venga attuata in tempo utile per le prossime elezioni politiche e, quindi, in abbondante anticipo rispetto alla presentazione delle candidature,

impegna il Governo

a dare attuazione alla delega in tempo utile per la presentazione delle candidature alle prossime elezioni politiche.
9/4434-A/15Contento, Santelli.


   La Camera,
   premesso che:
    la concessione di favori, favoritismi, fino alla censurabile corruzione, sono purtroppo episodi che funestano le cronache dell'Italia repubblicana, e tale situazione illecita, provata e condannata penalmente in alcuni casi, ma in altri anche solo sospettata e resa di pubblico dominio, ha certamente contribuito in larga parte a nutrire quel generale e diffuso senso di sfiducia che i cittadini provano nei confronti della politica e delle istituzioni;
    nelle maggiori democrazie occidentali, e anche in molti settori privati, è da tempo in uso un impianto legislativo che contempla l'assunzione di comportamenti virtuosi da parte di eletti e dipendenti della P.A. attraverso l'adesione ad un codice di comportamento etico che fissa dei principi di base da cui si sviluppano obblighi di comportamento e vincoli volti a contrastare i fenomeni di corruzione;
    la necessità di adottare norme di comportamento chiare e vincolanti appare oggi più che mai impellente anche nel nostro Paese;
    il provvedimento in esame, a seguito dell'approvazione di alcune proposte emendative nel corso dell'esame in Assemblea, stabilisce che il Governo definisca un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che preveda anche il divieto per tutti i dipendenti pubblici di chiedere o accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, anche con proprio decreto e considerando le proposte di legge attualmente presentate in materia, per predisporre la necessaria normativa in materia di prescrizioni, anche minuziose, sul valore e sulla tipologia di beni o di altre utilità che i tutti i soggetti e funzionari pubblici, nonché titolari di cariche politiche, di alte cariche amministrative, magistrati e docenti universitari possono o non possono accettare sotto forma di regalo, nonché in materia di codice deontologico di comportamento.
9/4434-A/16Galli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10 contiene una delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo conseguente a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi,

impegna il Governo

ad esercitare tempestivamente la delega e comunque in tempo utile affinché le norme in questione si applichino alle prossime elezioni per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica.
9/4434-A/17Giovanelli, Ferranti, Samperi, Lovelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni in ordine alla trasparenza dell'attività delle pubbliche amministrazioni, principio inscindibile dalla prevenzione e repressione dell'illegalità e della corruzione nella pubblica amministrazione;
    il massimo grado possibile di trasparenza nelle relazioni fra l'opinione pubblica, gli interessi privati, e la politica che rappresenta gli interessi generali è imprescindibile, ma il nostro Paese si distingue da molti altri paesi, europei e non, per l'assenza di una disciplina che delinei i margini legittimi di una possibile relazione tra il pubblico e il privato, con ciò sottraendola alla trasparenza e alimentandone la visione convenzionale, tutta nostrana, quale pratica corruttrice volta ad ottenere privilegi attraverso scambi di favori;
    a sua volta, il supposto legame tra l'attività cosiddetta di lobbying e la corruzione sembra aver funzionato quale deterrente ad una regolamentazione dell'attività di rappresentanza di interessi che, nelle società complesse quali quelle contemporanea andrebbe, al contrario, guardata come una forma di partecipazione democratica, da sottoporre a regole che la rendano cristallina;
    occorre che sia affermata una logica di trasparenza a base dell'attività di lobbying posta in essere dai gruppi di interesse, al fine di favorire un maggior controllo sull’iter di formazione del processo decisionale, con ciò contribuendo ad eliminare gli effetti distorsivi tipici di quella attività di lobbying svolta in una «zona grigia»,

impegna il Governo

ad assumere, per quanto di sua competenza, le iniziative, anche legislative, finalizzate all'introduzione di disposizioni e regole chiare e certe in ordine alla definizione e alla regolamentazione delle attività lobbistiche, in particolare attraverso la creazione di un Registro pubblico consultabile on line cui gli operatori debbano iscriversi ed un codice di condotta per l'esplicazione delle loro attività.
9/4434-A/18Cimadoro, Evangelisti, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il testo affronta anche le questioni legate al conflitto di interessi e alle incompatibilità, in particolare quando quest'ultima assume le vesti del divieto a ricoprire determinati ruoli o incarichi in conseguenza di condanne, anche con sentenze non passate in giudicato, per i dipendenti pubblici per delitti contro la pubblica amministrazione;
    il provvedimento non affronta la questione del rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare né introduce un meccanismo diretto e automatico tra di essi nel caso del dipendente pubblico condannato con sentenza definitiva;
    al riguardo, sussiste una ulteriore lacuna normativa in materia di effetti dell'applicazione della pena su richiesta (cosiddetto «patteggiamento»): le norme prevedono che, qualora la pena irrogata con il rito del patteggiamento non superi i due anni, la sentenza non comporta l'applicazione di pene accessorie e ciò ha consentito ad imputati di delitti contro la pubblica amministrazione, dopo aver patteggiato la pena, di essere reintegrati nel posto di lavoro antecedentemente occupato;
    la causa del suddetto effetto – perverso, ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo, in quanto, per i medesimi delitti, alla condanna non inferiore a tre anni, con rito ordinario, consegue l'estinzione del rapporto di lavoro – è determinata dall'assenza di una clausola di salvezza tale che fosse possibile la immediata apertura di un procedimento disciplinare che consentisse poi l'irrogazione della sanzione amministrativa più efficace,

impegna il Governo

a colmare la lacuna normativa indicata in premessa, adottando le iniziative, anche legislative, al fine di equiparare, con riguardo agli effetti sul procedimento disciplinare della pubblica amministrazione, gli effetti della pena non superiore a due anni, irrogata con il rito del patteggiamento, alla condanna, irrogata con rito ordinario, per un tempo non inferiore a tre anni.
9/4434-A/19Donadi, Favia, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il nostro Paese sopporta una zavorra dell'ordine di 60 miliardi annui, a tanto ammonta il costo della nostra corruzione, che nessuna economia può reggere e che altro non è che una tassa occulta sui cittadini estranei all'accordo criminale;
    di fronte a tale contesto, è il momento di imprimere una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa;
    il Presidente della Corte dei Conti ha recentemente sottolineato che «per contribuire ad accrescere la cultura dell'integrità nella p.a. e sfidare la corruzione, un ruolo fondamentale può svolgere l'etica, vale a dire la propria, intima tensione morale del funzionario pubblico al suo corretto agire» – al «funzionario pubblico» possiamo aggiungere la condizione di ogni persona chiamata a ricoprire incarichi pubblici e di rappresentanza – e ha proseguito considerando che «I fenomeni corruttivi vanno perseguiti con rigore perché incidono con conseguenze profondamente negative sulla Comunità, non solo in termini di lesione del principio della concorrenza, con effetti deprimenti sul sistema economico, ma anche sotto il profilo etico-sociale. L'incremento di gravi episodi di illegalità nell'ambito delle pubbliche amministrazioni può minare la credibilità delle istituzioni pubbliche nazionali e comunitarie, favorendo il consolidarsi nella società di atteggiamenti negativi di mancanza di fiducia nel corretto funzionamento dell'ordinamento democratico.»;
    il testo affronta, a fini preventivi, anche ambiti e tematiche che vi sono strettamente connessi, quali, in particolare, attraverso ampia delega, l'applicazione dell'istituto dell'incandidabilità per i soggetti condannati in via definitiva per determinati reati;
    il rapporto tra politica ed illegalità e corruzione costituisce un aspetto preoccupante nel nostro Paese, anche in ordine all'entità dei casi che sono venuti e vengono continuamente alla luce: nella consapevolezza di ciò, due anni orsono, la Commissione parlamentare cosiddetta «Antimafia» ha approvato, all'unanimità, un documento, definito «proposta di autoregolamentazione», da intendersi quale codice etico che impegnava i partiti nella formazione delle proprie liste di candidati, al fine di non candidare né sostenere, neanche indirettamente, soggetti condannati, anche con sentenza non definitiva, per determinati gravi reati – tra i quali, oltre a quelli di grave allarme sociale, l'usura, il riciclaggio, il traffico illecito di rifiuti;
    il peculiare contesto socio-economico che sta vivendo il nostro Paese, unito alla gravità e all'entità del fenomeno corruttivo e dell'illegalità, impone che si imprima un forte segnale di trasparenza e di impegno, da parte dello Stato, ad offrire alla collettività una condizione elettorale più rispondente a questioni di etica pubblica e a sanzionarne le violazioni, dando vita ad un circuito virtuoso tra il contributo pubblico ed il soggetto non indegno a riceverlo,

impegna il Governo

ad introdurre, attraverso iniziative, anche legislative, la previsione della decadenza dal diritto all'ottenimento di risorse e contributi pubblici per i partiti che candidano soggetti per i quali l'ordinamento dispone l'incandidabilità ai sensi della delega di cui all'articolo 10 del provvedimento in titolo.
9/4434-A/20Messina, Di Giuseppe, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il nostro Paese sopporta una zavorra dell'ordine di 60 miliardi annui, a tanto ammonta il costo della nostra corruzione, che nessuna economia può reggere e che altro non è che una tassa occulta sui cittadini estranei all'accordo criminale;
    da un punto di vista economico, una recente ricerca (P. Davigo e M. Arnone, «Arriva la crisi economica? Subito spunta la corruzione»), evidenziata da «Lavoce.info», ha messo in relazione l'interazione tra la variazione percentuale del PIL e l'emersione di vicende corruttive di una certa rilevanza, e ha confermato la tesi generale secondo cui fasi negative del ciclo economico facilitano l'emersione di fenomeni di criminalità politico-affaristica in generale e corruttiva in particolare;
    ciò non significa che la casistica dei reati di corruzione aumenti nei frangenti di crisi economica, anzi è assunto condiviso che gli illeciti tendano a essere costanti nel tempo: si può riscontrare un'improvvisa contrazione solo quando l'emersione degli scandali è tale da innalzare esponenzialmente il «costo del rischio» del mercato illegale, rendendo l'accordo corruttivo «diseconomico». Ad esempio, negli appalti banditi dopo «Tangentopoli» il prezzo pagato dagli enti pubblici è calato in media del 40-50 per cento (dai 300-350 miliardi di lire per km della metropolitana di Milano si è passati a 150-250 miliardi);
    la lotta alla corruzione, specie se viene intesa nel modo più ampio di «malamministrazione», svolge un ruolo chiave per l'economia di un Paese, in quanto consente di liberare energie vitali compresse, che possono aiutare lo sviluppo dei mercati, e favorisce situazioni di emersione delle attività economiche che giovano al sistema generale della fiscalità;
    gli effetti del provvedimento in esame potranno essere valutati in futuro, attualmente è possibile sperare che l'impianto che ne scaturisce e gli strumenti che ha inteso utilizzare possano condizionare il mercato della corruzione;
    è da ritenere, stando anche ai dati di altri Paesi, fortemente efficace nella lotta alla corruzione e l'illegalità un sistema di tutela marcatamente preventivo, severissimo sui controlli di tutti i fattori in gioco,

impegna il Governo

ad adottare misure idonee a rafforzare e rendere più efficiente l'azione della magistratura contabile, in particolare in ordine alle responsabilità e ai risarcimenti per danno all'erario e all'inosservanza dei criteri di sana gestione, di cui alla disciplina vigente, a causa della corruzione e dell'illegalità.
9/4434-A/21Borghesi, Mura, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il testo affronta anche le questioni legate al conflitto di interessi e alle incompatibilità, in particolare quando quest'ultima assume le vesti del divieto a ricoprire determinati ruoli o incarichi in conseguenza di condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, anche con sentenze non passate in giudicato, irrogate a dipendenti pubblici;
    il provvedimento non affronta la questione del rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare: non introduce un meccanismo diretto e automatico tra di essi nel caso del dipendente pubblico condannato con sentenza definitiva, né la questione, pur spinosa, della difformità di trattamento tra la condanna conseguente all'applicazione della pena su richiesta e la condanna con rito ordinario irrogata ai dipendenti pubblici;
    a fronte della pervasività dell'illegalità e della corruzione, è il momento di imprimere una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa;
    il Presidente della Corte dei Conti ha recentemente sottolineato che «per contribuire ad accrescere la cultura dell'integrità nella p.a. e sfidare la corruzione, un ruolo fondamentale può svolgere l'etica, vale a dire la propria, intima tensione morale del funzionario pubblico al suo corretto agire» – al «funzionario pubblico» possiamo aggiungere la condizione di ogni persona chiamata a ricoprire incarichi pubblici e di rappresentanza – e ha proseguito considerando che «i fenomeni corruttivi vanno perseguiti con rigore perché incidono con conseguenze profondamente negative sulla Comunità, non solo in termini di lesione del principio della concorrenza, con effetti deprimenti sul sistema economico, ma anche sotto il profilo etico-sociale. L'incremento di gravi episodi di illegalità nell'ambito delle pubbliche amministrazioni può minare la credibilità delle istituzioni pubbliche nazionali e comunitarie, favorendo il consolidarsi nella società di atteggiamenti negativi di mancanza di fiducia nel corretto funzionamento dell'ordinamento democratico»,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative, anche legislative, necessarie a rendere più incisive le procedure di sospensione dalle funzioni per i dipendenti indagati.
9/4434-A/22Rota, Palagiano, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il testo affronta anche le questioni legate al conflitto di interessi e alle incompatibilità, in particolare quando quest'ultima assume le vesti del divieto a ricoprire determinati ruoli o incarichi in conseguenza di condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, anche con sentenze non passate in giudicato, irrogate a dipendenti pubblici;
    il provvedimento non affronta la questione del rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare: non introduce un meccanismo diretto e automatico tra di essi nel caso del dipendente pubblico condannato con sentenza definitiva, né la questione, pur spinosa, della difformità di trattamento tra la condanna conseguente all'applicazione della pena su richiesta e la condanna con rito ordinario irrogata ai dipendenti pubblici;
    a fronte della pervasività dell'illegalità e della corruzione, è il momento di imprimere una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa;
    il Presidente della Corte dei Conti ha recentemente sottolineato che «per contribuire ad accrescere la cultura dell'integrità nella p.a. e sfidare la corruzione, un ruolo fondamentale può svolgere l'etica, vale a dire la propria, intima tensione morale del funzionario pubblico al suo corretto agire» – al «funzionario pubblico» possiamo aggiungere la condizione di ogni persona chiamata a ricoprire incarichi pubblici e di rappresentanza – e ha proseguito considerando che «i fenomeni corruttivi vanno perseguiti con rigore perché incidono con conseguenze profondamente negative sulla Comunità, non solo in termini di lesione del principio della concorrenza, con effetti deprimenti sul sistema economico, ma anche sotto il profilo etico-sociale. L'incremento di gravi episodi di illegalità nell'ambito delle pubbliche amministrazioni può minare la credibilità delle istituzioni pubbliche nazionali e comunitarie, favorendo il consolidarsi nella società di atteggiamenti negativi di mancanza di fiducia nel corretto funzionamento dell'ordinamento democratico»,

impegna il Governo

a valutare le iniziative, anche legislative, necessarie a rendere più incisive le procedure di sospensione dalle funzioni per i dipendenti indagati.
9/4434-A/22. (Testo modificato nel corso della seduta) Rota, Palagiano, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, nell'ambito delle disposizioni in materia di controlli negli enti locali successivamente stralciate nel corso dell'esame presso il Senato della Repubblica, individua il responsabile della prevenzione della corruzione negli enti locali nel segretario comunale, disponendo altresì che l'eventuale diversa determinazione da parte dell'ente debba essere motivata;

    con ciò al segretario comunale era assegnata una funzione determinante nell'attività di prevenzione della corruzione, in quanto è chiamato a redigere il piano triennale di prevenzione e a definire le procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti che dovranno operare nei settori particolarmente esposti al rischio di corruzione e a vigilare affinché da questi siano svolte le attività nei settori rischiosi individuati – naturalmente conseguono sanzioni di carattere disciplinare nel caso di omissioni;

    in particolare, il segretario comunale, al pari degli omologhi responsabili individuati nelle pubbliche amministrazioni tra i dirigenti amministrativi di prima fascia, risponde personalmente nel caso di commissione di reato all'interno dell'amministrazione di appartenenza, in ordine al mancato raggiungimento degli obiettivi, sul piano disciplinare, per danno erariale e per danno all'immagine della pubblica amministrazione;

    l'attribuzione dei suddetti nuovi compiti al Segretario risulta coerente con i compiti di coordinamento dei dirigenti e di controllo sulla regolarità amministrativa, che spetta loro di diritto nei comuni sprovvisti di dirigenza o nei Comuni nei quali non si applica la distinzione tra competenze degli organi di indirizzo e organi di gestione;

    in particolare, reso dal provvedimento strumento di garanzia e controllo della legalità – e dell'imparzialità – nelle amministrazioni locali, sembrerebbe necessario apportare alcune conseguenti modificazioni alla vigente disciplina dello status del segretario comunale e provinciale,

impegna il Governo

ad adottare, per quanto di sua competenza, le iniziative, anche legislative, finalizzate:
   a) a garantire in maggior misura la posizione di indipendenza del segretario comunale;
   b) a rivisitarne i compiti ed i doveri di comportamento;
   c) a rivedere i criteri di nomina, al fine di ridurne l'attuale tasso di fiduciarietà.
9/4434-A/23Piffari, Porcino, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, nell'ambito delle disposizioni in materia di controlli negli enti locali successivamente stralciate nel corso dell'esame presso il Senato della Repubblica, individua il responsabile della prevenzione della corruzione negli enti locali nel segretario comunale, disponendo altresì che l'eventuale diversa determinazione da parte dell'ente debba essere motivata;

    con ciò al segretario comunale era assegnata una funzione determinante nell'attività di prevenzione della corruzione, in quanto è chiamato a redigere il piano triennale di prevenzione e a definire le procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti che dovranno operare nei settori particolarmente esposti al rischio di corruzione e a vigilare affinché da questi siano svolte le attività nei settori rischiosi individuati – naturalmente conseguono sanzioni di carattere disciplinare nel caso di omissioni;

    in particolare, il segretario comunale, al pari degli omologhi responsabili individuati nelle pubbliche amministrazioni tra i dirigenti amministrativi di prima fascia, risponde personalmente nel caso di commissione di reato all'interno dell'amministrazione di appartenenza, in ordine al mancato raggiungimento degli obiettivi, sul piano disciplinare, per danno erariale e per danno all'immagine della pubblica amministrazione;

    l'attribuzione dei suddetti nuovi compiti al Segretario risulta coerente con i compiti di coordinamento dei dirigenti e di controllo sulla regolarità amministrativa, che spetta loro di diritto nei comuni sprovvisti di dirigenza o nei Comuni nei quali non si applica la distinzione tra competenze degli organi di indirizzo e organi di gestione;

    in particolare, reso dal provvedimento strumento di garanzia e controllo della legalità – e dell'imparzialità – nelle amministrazioni locali, sembrerebbe necessario apportare alcune conseguenti modificazioni alla vigente disciplina dello status del segretario comunale e provinciale,

impegna il Governo

a valutare, per quanto di sua competenza, le iniziative, anche legislative, in materia di:
   a) posizione di indipendenza del segretario comunale;
   b) compiti e doveri di comportamento;
   c) criteri di nomina, al fine di ridurne l'attuale tasso di fiduciarietà.
9/4434-A/23. (Testo modificato nel corso della seduta) Piffari, Porcino, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il nostro Paese sopporta una zavorra dell'ordine di 60 miliardi annui, a tanto ammonta il costo della nostra corruzione, che nessuna economia può reggere e che altro non è che una tassa occulta sui cittadini estranei all'accordo criminale;
    il provvedimento in titolo introduce norme «minime», ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, di carattere preventivo per combattere corruzione ed illegalità nella pubblica amministrazione con riguardo alla posizione dei dipendenti pubblici – tra queste, il principio della rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione, la previsione dell'incompatibilità con determinati incarichi e posizioni per i dipendenti condannati, anche in via non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione, una disciplina che ha l'obiettivo di scongiurare l'insorgenza di conflitti d'interesse;
    il Presidente della Corte dei conti ha recentemente sottolineato che «per contribuire ad accrescere la cultura dell'integrità nella p.a. e sfidare la corruzione, un ruolo fondamentale può svolgere l'etica, vale a dire la propria, intima tensione morale del funzionario pubblico al suo corretto agire» – al «funzionario pubblico» possiamo aggiungere la condizione di ogni persona chiamata a ricoprire incarichi pubblici e di rappresentanza – e ha proseguito considerando che «I fenomeni corruttivi vanno perseguiti con rigore perché incidono con conseguenze profondamente negative sulla Comunità, non solo in termini di lesione del principio della concorrenza, con effetti deprimenti sul sistema economico, ma anche sotto il profilo etico-sociale. L'incremento di gravi episodi di illegalità nell'ambito delle pubbliche amministrazioni può minare la credibilità delle istituzioni pubbliche nazionali e comunitarie, favorendo il consolidarsi nella società di atteggiamenti negativi di mancanza di fiducia nel corretto funzionamento dell'ordinamento democratico.»;
    sotto questo aspetto, il testo affronta anche le questioni legate al conflitto di interessi e alle incompatibilità dei dipendenti pubblici, in particolare quando quest'ultima assume le vesti del divieto a ricoprire determinati ruoli o incarichi in conseguenza di condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, anche con sentenze non passate in giudicato, irrogate a dipendenti pubblici;
    a fronte della pervasività dell'illegalità e della corruzione dovuta alla «malamministrazione», è il momento di imprimere una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative, anche legislative, finalizzate all'introduzione del divieto per le pubbliche amministrazioni – nella loro accezione più larga, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 – di conferire incarichi di collaborazione o consulenza o assimilati, anche a tempo parziale o a titolo non oneroso, a coloro che sono stati condannati, con sentenza anche non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione, prevedendo la decadenza immediata dall'incarico per chi lo abbia illegittimamente ricevuto e l'applicazione di sanzioni disciplinari per il soggetto che lo ha autorizzato.
9/4434-A/24Monai, Leoluca Orlando, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il nostro Paese sopporta una zavorra dell'ordine di 60 miliardi annui, a tanto ammonta il costo della nostra corruzione, che nessuna economia può reggere e che altro non è che una tassa occulta sui cittadini estranei all'accordo criminale;
    il provvedimento in titolo introduce norme «minime», ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, di carattere preventivo per combattere corruzione ed illegalità nella pubblica amministrazione con riguardo alla posizione dei dipendenti pubblici – tra queste, il principio della rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione, la previsione dell'incompatibilità con determinati incarichi e posizioni per i dipendenti condannati, anche in via non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione, una disciplina che ha l'obiettivo di scongiurare l'insorgenza di conflitti d'interesse;
    il Presidente della Corte dei conti ha recentemente sottolineato che «per contribuire ad accrescere la cultura dell'integrità nella p.a. e sfidare la corruzione, un ruolo fondamentale può svolgere l'etica, vale a dire la propria, intima tensione morale del funzionario pubblico al suo corretto agire» – al «funzionario pubblico» possiamo aggiungere la condizione di ogni persona chiamata a ricoprire incarichi pubblici e di rappresentanza – e ha proseguito considerando che «I fenomeni corruttivi vanno perseguiti con rigore perché incidono con conseguenze profondamente negative sulla Comunità, non solo in termini di lesione del principio della concorrenza, con effetti deprimenti sul sistema economico, ma anche sotto il profilo etico-sociale. L'incremento di gravi episodi di illegalità nell'ambito delle pubbliche amministrazioni può minare la credibilità delle istituzioni pubbliche nazionali e comunitarie, favorendo il consolidarsi nella società di atteggiamenti negativi di mancanza di fiducia nel corretto funzionamento dell'ordinamento democratico.»;
    sotto questo aspetto, il testo affronta anche le questioni legate al conflitto di interessi e alle incompatibilità dei dipendenti pubblici, in particolare quando quest'ultima assume le vesti del divieto a ricoprire determinati ruoli o incarichi in conseguenza di condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, anche con sentenze non passate in giudicato, irrogate a dipendenti pubblici;
    a fronte della pervasività dell'illegalità e della corruzione dovuta alla «malamministrazione», è il momento di imprimere una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa,

impegna il Governo

a valutare le iniziative, anche legislative, relative all'opportunità di introdurre un divieto per le pubbliche amministrazioni – nella loro accezione più larga, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 – di conferire incarichi di collaborazione o consulenza o assimilati, anche a tempo parziale o a titolo non oneroso, a coloro che sono stati condannati, con sentenza anche non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione, prevedendo la decadenza immediata dall'incarico per chi lo abbia illegittimamente ricevuto e l'applicazione di sanzioni disciplinari per il soggetto che lo ha autorizzato.
9/4434-A/24. (Testo modificato nel corso della seduta) Monai, Leoluca Orlando, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame è intervenuto a modificare la vigente disciplina sul ricorso ad arbitri per la risoluzione delle controversie derivanti da concessioni, appalti, contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
    le modifiche introdotte non intaccano la vigente possibilità di ricorso ad arbitri da parte delle pubbliche amministrazioni, bensì prevedono l'individuazione dell'arbitro tra i dirigenti pubblici, salvo che non sia possibile far ricorso a tali risorse interne, e l'indicazione dell'importo massimo spettante al dirigente pubblico per l'attività arbitrale, la cui eventuale differenza rispetto all'importo spettante agli arbitri nominati nel relativo collegio è acquisita al bilancio della pubblica amministrazione che ha indetto la gara;
    le norme in commento sono state oggetto di incessanti modifiche, ultima delle quali la recente reintroduzione del ricorso all'arbitrato nelle controversie delle pubbliche amministrazioni, accompagnata dalle perplessità avanzate dalla medesima Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici;
    i costi degli arbitrati sono altissimi per la pubblica amministrazione: con riguardo agli ultimi dati pubblicati dall'Autorità, riferiti al 2010, si evince che si va dai 2.933.048,47 euro spesi dall'amministrazione per i compensi dei collegi arbitrali, ai 475.869.668,44 euro, somma che riassume tutte le condanne delle stazioni appaltanti, dunque comprensiva di compensi degli arbitri (e più in generale le spese per il funzionamento del collegio), condanna nel merito, spese per consulenze tecniche etc.;
    tali enormi cifre si spiegano alla luce di un altro dato essenziale: l'amministrazione pubblica soccombe nei giudizi arbitrali il 99,98 per cento delle volte, cioè secondo i giudizi degli arbitri il soggetto pubblico ha sempre torto, e al torto consegue la condanna al pagamento delle spese di funzionamento del collegio a carico del soccombente;
    le ragioni dell'introduzione del divieto erano da ricercarsi nella constatazione fattuale dell'insuccesso dell'istituto dell'arbitrato, infatti l'Autorità di vigilanza aveva stimato che la percentuale di soccombenza della pubblica amministrazione, sia negli arbitrati amministrati, sia in quelli liberi, era sempre fortemente elevata così come risultava eccessivamente elevata la durata media degli arbitrati stessi;
    la recente reintroduzione è stata motivata con il presupposto che i tempi veloci per la soluzione delle controversie, dovuti alle clausole compromissorie – che il testo in titolo sottopone ad autorizzazione – si traducessero in un risparmio economico,

impegna il Governo

a monitorare e a riferire in Parlamento, con cadenza almeno semestrale, sull'impatto economico-finanziario delle modifiche introdotte dal testo in esame in materia di arbitrati.
9/4434-A/25Favia, Di Pietro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame è intervenuto a modificare la vigente disciplina sul ricorso ad arbitri per la risoluzione delle controversie derivanti da concessioni, appalti, contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
    le modifiche introdotte non intaccano la vigente possibilità di ricorso ad arbitri da parte delle pubbliche amministrazioni, bensì prevedono l'individuazione dell'arbitro tra i dirigenti pubblici, salvo che non sia possibile far ricorso a tali risorse interne, e l'indicazione dell'importo massimo spettante al dirigente pubblico per l'attività arbitrale, la cui eventuale differenza rispetto all'importo spettante agli arbitri nominati nel relativo collegio è acquisita al bilancio della pubblica amministrazione che ha indetto la gara;
    le norme in commento sono state oggetto di incessanti modifiche, ultima delle quali la recente reintroduzione del ricorso all'arbitrato nelle controversie delle pubbliche amministrazioni, accompagnata dalle perplessità avanzate dalla medesima Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici;
    i costi degli arbitrati sono altissimi per la pubblica amministrazione: con riguardo agli ultimi dati pubblicati dall'Autorità, riferiti al 2010, si evince che si va dai 2.933.048,47 euro spesi dall'amministrazione per i compensi dei collegi arbitrali, ai 475.869.668,44 euro, somma che riassume tutte le condanne delle stazioni appaltanti, dunque comprensiva di compensi degli arbitri (e più in generale le spese per il funzionamento del collegio), condanna nel merito, spese per consulenze tecniche etc.;
    tali enormi cifre si spiegano alla luce di un altro dato essenziale: l'amministrazione pubblica soccombe nei giudizi arbitrali il 99,98 per cento delle volte, cioè secondo i giudizi degli arbitri il soggetto pubblico ha sempre torto, e al torto consegue la condanna al pagamento delle spese di funzionamento del collegio a carico del soccombente;
    le ragioni dell'introduzione del divieto erano da ricercarsi nella constatazione fattuale dell'insuccesso dell'istituto dell'arbitrato, infatti l'Autorità di vigilanza aveva stimato che la percentuale di soccombenza della pubblica amministrazione, sia negli arbitrati amministrati, sia in quelli liberi, era sempre fortemente elevata così come risultava eccessivamente elevata la durata media degli arbitrati stessi;
    la recente reintroduzione è stata motivata con il presupposto che i tempi veloci per la soluzione delle controversie, dovuti alle clausole compromissorie – che il testo in titolo sottopone ad autorizzazione – si traducessero in un risparmio economico,

impegna il Governo

a monitorare e a riferire in Parlamento, con cadenza almeno annuale, sull'impatto economico-finanziario delle modifiche introdotte dal testo in esame in materia di arbitrati.
9/4434-A/25. (Testo modificato nel corso della seduta) Favia, Di Pietro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il nostro Paese sopporta una zavorra dell'ordine di 60 miliardi annui, a tanto ammonta il costo della nostra corruzione, che nessuna economia può reggere e che altro non è che una tassa occulta sui cittadini estranei all'accordo criminale;
    di fronte a tale contesto, è il momento di imprimere una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa;
    la lotta alla corruzione, in particolare quando intesa quale lotta alla «malamministrazione», svolge un ruolo chiave per l'economia di un Paese, in quanto consente di liberare energie vitali compresse, che possono aiutare lo sviluppo dei mercati, e favorisce situazioni di emersione delle attività economiche che giovano al sistema generale della fiscalità;
    è da ritenere, stando anche ai dati di altri Paesi, fortemente efficace nella lotta alla corruzione e all'illegalità un sistema di tutela marcatamente preventivo, severissimo sui controlli di tutti i fattori in gioco: le pubbliche amministrazioni costituiscono, nel loro insieme, un grande motore per tutte le imprese del Paese, in particolare per quelle piccole e medie, ma ciò deve essere accompagnato, a fini preventivi, da una rigorosa selezione degli operatori economici;
    i princìpi della trasparenza, della correttezza dell'agire, dell'affidabilità dell'imprenditore e dell'impresa, la lotta alla concorrenza sleale determinata dalle imprese e dagli imprenditori che agiscono nell'illegalità, debbono guidare le pubbliche amministrazioni nella scelta del soggetto privato cui affidare l'esecuzione di lavori, servizi o forniture,

impegna il Governo

per quanto di sua competenza, ad assumere iniziative, anche legislative, finalizzate ad introdurre la risoluzione automatica del contratto di appalto in seguito all'accertamento, anche in corso d'opera con riguardo all'incarico ricevuto, di responsabilità dell'impresa per reati di corruzione e altri gravi reati, nonché ad introdurre, quale sanzione, la previsione dell'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione.
9/4434-A/26Palagiano, Piffari, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame ha l'obiettivo di combattere, prevenendole e reprimendole, la corruzione e l'illegalità nella pubblica amministrazione;
    il nostro Paese sopporta una zavorra dell'ordine di 60 miliardi annui, a tanto ammonta il costo della nostra corruzione, che nessuna economia può reggere e che altro non è che una tassa occulta sui cittadini estranei all'accordo criminale;
    di fronte a tale contesto, è il momento di imprimere una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa;
    la lotta alla corruzione, in particolare quando intesa quale lotta alla «malamministrazione», svolge un ruolo chiave per l'economia di un Paese, in quanto consente di liberare energie vitali compresse, che possono aiutare lo sviluppo dei mercati, e favorisce situazioni di emersione delle attività economiche che giovano al sistema generale della fiscalità;
    è da ritenere, stando anche ai dati di altri Paesi, fortemente efficace nella lotta alla corruzione e all'illegalità un sistema di tutela marcatamente preventivo, severissimo sui controlli di tutti i fattori in gioco: le pubbliche amministrazioni costituiscono, nel loro insieme, un grande motore per tutte le imprese del Paese, in particolare per quelle piccole e medie, ma ciò deve essere accompagnato, a fini preventivi, da una rigorosa selezione degli operatori economici;
    i princìpi della trasparenza, della correttezza dell'agire, dell'affidabilità dell'imprenditore e dell'impresa, la lotta alla concorrenza sleale determinata dalle imprese e dagli imprenditori che agiscono nell'illegalità, debbono guidare le pubbliche amministrazioni nella scelta del soggetto privato cui affidare l'esecuzione di lavori, servizi o forniture,

impegna il Governo

per quanto di competenza, a valutare iniziative, anche legislative, finalizzate a stabilire le conseguenze sul contratto di appalto e sulla capacità di contrattare con la pubblica amministrazione derivanti dall'accertamento, anche in corso d'opera con riguardo all'incarico ricevuto, di responsabilità dell'impresa per reati di corruzione e altri gravi reati.
9/4434-A/26. (Testo modificato nel corso della seduta) Palagiano, Piffari, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la corruzione costa ai cittadini tra i 50 e i 60 miliardi di euro. È una tassa occulta, che trasforma risorse pubbliche, destinate a servizi e opere, a noi cittadini, in profitti illeciti. È una zavorra ancora più insopportabile in una fase di crisi economica e di tagli alla spesa dello Stato;
    secondo l'ultimo rapporto di «Transparency International», il nostro Paese è al 67o posto per trasparenza nelle decisioni pubbliche. L'intero valore dei beni sequestrati e confiscati alla mafia negli ultimi due anni (18 miliardi) non basta a coprire neppure un quinto di ciò è stato contemporaneamente sottratto ai cittadini come costo della corruzione;
    secondo il rapporto 2010, sono ai primi posti della classifica molti paesi europei, tra cui Romania, Bulgaria, Grecia, Italia, che scavalcano paesi africani come il Ruanda e il Ghana. Lo scorso anno la Corte dei conti ha stimato in 60 miliardi di euro (+30 per cento in più rispetto al 2009) il costo della corruzione in Italia. Inoltre, uno studio realizzato dalla Banca d'Italia, presentato alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie, ha evidenziato come la presenza mafiosa in quattro regioni (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) abbia prodotto un ritardo, in termini di mancato sviluppo economico, pari al 15 per cento del Prodotto interno lordo;
    nelle quattro regioni ad alta densità mafiosa le indagini relative alle diverse attività processuali mettono in luce il forte condizionamento della pubblica amministrazione, concentrato soprattutto negli appalti pubblici, nella gestione dei finanziamenti comunitari, nello smaltimento dei rifiuti e nel settore sanitario. Un condizionamento che spiega il nesso tra corruzione e criminalità organizzata e il consolidamento del rapporto tra mafia, affari e politica. Lo studio della Banca d'Italia parla di rischio infiltrazione mafiosa in territori «non tradizionali», evidenziando così l'esigenza di un impegno da parte dello Stato che, oltre a contenere la «pervasività» della criminalità organizzata e a condurre un'efficace azione di contrasto, si orienti verso un'efficace azione sul piano sociale ed economico per distruggere il suo «brodo di coltura»: il sottosviluppo;
    sebbene i dati sul numero di condanne (6), di denunce e di arresti per corruzione ne tratteggino un trend decrescente, almeno dal 2000 al 2007, sembra che questi stessi dati, dal 2008 in poi, abbiano fatto registrare una controtendenza e che la «qualità» della corruzione, ossia la sua pervasività ai più alti livelli istituzionali, il suo utilizzo costante da parte delle organizzazioni criminali e la sua percezione sociale siano cresciuti notevolmente;
    inoltre, i dati sul Corruption Perception Index, dal 2005 al 2011, mostrano come la corruzione percepita nel settore pubblico, legata principalmente al numero di casi esistenti ma non scoperti (c.d. «numero oscuro»), sia aumentata in maniera evidente;
    in quest'ottica, lo scambio corruttivo si manifesta attraverso una serie di reati (dazione o sollecitazione di tangenti, riciclaggio, traffico di influenze, peculato, malversazione, abuso di poteri, illecito arricchimento). Le convenzioni internazionali sulla corruzione cercano di punire gli intermediari della corruzione e di dare rilievo, di conseguenza, ad un rapporto trilaterale (corrotto-corruttore-intermediario) piuttosto che ad un rapporto bilaterale tradizionale;
    la corruzione si sconfigge, attraverso delle leggi che facilitino il compito di chi denuncia le tangenti e, soprattutto, non lo rendano vano visti i tempi attuali della giustizia;
    oggi, denunciare la corruzione è rischioso perché porta molto spesso all'isolamento e soprattutto non garantisce che i colpevoli siano realmente puniti;
    ecco perché le operazioni di pulizia e le continue indagini sui casi di corruzione sembrano solo proclami elettorali o tentativi improduttivi di giustizia perché nulla hanno a che fare con una reale lotta alla corruzione e con una pena certa per i corrotti;
    se i colpevoli continuano ad essere assolti (e in alcuni casi godono anche di vitalizi per le loro attività parlamentari), si diffonde tra i cittadini una sensazione di impunità che li spinge a non denunciare la corruzione e anzi a considerarla l’exploit di alcuni furbi,

impegna il Governo

a valutare ogni iniziativa normativa atta all'introduzione della figura del collaboratore di giustizia anche per i reati di corruzione, così come già avviene per quelli di mafia.
9/4434-A/27Evangelisti, Cimadoro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno della corruzione non è solo un atto individuale di illegalità. In molti paesi è diventato un vero e proprio sistema organizzato che interviene in molti settori della vita pubblica alterando le regole della democrazia, della trasparenza e della concorrenza, oltre a rappresentare un costo per l'economia in termini di risorse materiali, immateriali e umane;
    oltre al costo diretto, ci sono dei costi indiretti e nascosti. Se l'Italia si trova sulla soglia del fallimento è anche dovuto alla corruzione dilagante, che è montata dopo mani pulite, con il picconamento costante contro la magistratura ed istituzioni della legalità;
    di recente, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione contro la corruzione, chiedendo nuove sanzioni e sollecitando gli Stati membri a fare rispettare le norme in vigore. In Europa esistono leggi contro la corruzione, ma non tutti i paesi membri le applicano. Inoltre, Germania, Austria non hanno ratificato la Convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione, mentre la ratifica della Convenzione Ocse contro la corruzione è ignorata da Cipro, Lettonia, Lituania, Malta e Romania;
    secondo le stime della Commissione europea, i costi della corruzione in Europa superano i 120 miliardi l'anno, quasi l'uno per cento del Pil. Cifre che – fanno notare gli eurodeputati – farebbero bene all'Europa, specie in tempi di crisi. «La ripresa economica degli Stati membri colpiti dalla crisi finanziaria – si legge nella Risoluzione approvata – è ostacolata proprio dalla corruzione, dall'evasione fiscale, dalla frode fiscale e da altri reati economici». «La corruzione – si legge ancora più avanti – conduce a un uso improprio dei fondi comunitari forniti dai contribuenti e causa distorsioni del mercato». Per tutte queste ragioni il Parlamento europeo chiede l'introduzione di «sanzioni da applicare uniformemente sul territorio dell'Unione» per i paesi colpevoli di non perseguire adeguatamente i casi di corruzione al loro interno;
    ogni anno Transparency international, network con sede a Berlino, al quale aderiscono oltre 90 associazioni nazionali, pubblica un resoconto analitico sul cosiddetto Indice di percezione della corruzione, attribuendo a ciascun paese un voto che varia da 0 (massima corruzione) a 10 (assenza di corruzione), ottenuto mediante l'analisi incrociata dei dati forniti da esperti locali e internazionali, università e centri di studio;
    secondo il rapporto 2010, sono ai primi posti della classifica molti paesi europei, tra cui Romania, Bulgaria, Grecia, Italia, che scavalcano paesi africani come il Ruanda e il Ghana. Lo scorso anno la Corte dei conti ha stimato in 60 miliardi di euro (+30 per cento rispetto al 2009) il costo della corruzione in Italia. Inoltre, uno studio realizzato dalla Banca d'Italia, presentato alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie, ha evidenziato come la presenza mafiosa in quattro regioni (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) abbia prodotto un ritardo, in termini di mancato sviluppo economico, pari al 15 per cento del Prodotto interno lordo;
    nelle quattro regioni ad alta densità mafiosa le indagini relative alle diverse attività processuali mettono in luce il forte condizionamento della pubblica amministrazione, concentrato soprattutto negli appalti pubblici, nella gestione dei finanziamenti comunitari, nello smaltimento dei rifiuti e nel settore sanitario. Un condizionamento che spiega il nesso tra corruzione e criminalità organizzata e il consolidamento del rapporto tra mafia, affari e politica. Lo studio della Banca d'Italia parla di rischio infiltrazione mafiosa in territori «non tradizionali», evidenziando così l'esigenza di un impegno da parte dello Stato che, oltre a contenere la «pervasività» della criminalità organizzata e a condurre un'efficace azione di contrasto, si orienti verso un'efficace azione sul piano sociale ed economico per distruggere il suo «brodo di coltura»: il sottosviluppo;
    su questa materia la convenzione di Strasburgo del 1999 – che prevede l'introduzione nel codice penale di reati importanti come il traffico di influenze illecite (cioè la corruzione realizzata con favori e regalie, invece che con la classica mazzetta), la corruzione fra privati, l'autoriciclaggio, sarebbe importante l'introduzione nel nostro ordinamento della concreta attuazione alle norme che prevedono l'uso sociale dei beni confiscati ai corrotti, come già accade per quelli sottratti alle mafie;
    sono state elaborate convenzioni internazionali e direttive europee in materia di lotta alla corruzione cui occorre che l'Italia dia concreta attuazione mediante la ratifica e/o il recepimento con propria legislazione. Tra queste ricordiamo la Convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione, sottoscritta a Strasburgo dagli stati membri nel 1999 e la legge 25 febbraio 2008, n. 34 (legge comunitaria per il 2007) che aveva delegato il Governo a dare attuazione, inter alia, alla decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato;
    è quanto mai urgente che il Governo e il Parlamento riconoscano la priorità di realizzare un sistema di norme chiare, con strumenti e sanzioni efficaci in grado di contrastare al meglio il diffondersi della corruzione, un'autentica piaga economica e sociale, quali la confisca e l'uso sociale dei beni sottratti ai corrotti (introdotta dall'articolo 1, comma 220, della legge finanziaria 2007 – legge 296/2006 – che ha esteso la confisca di valori ingiustificati ai reati contro la pubblica amministrazione), l'istituzione di un'autorità anticorruzione autonoma e indipendente dall'esecutivo, dotata di reali poteri ispettivi e di controllo, e il recepimento della direttiva europea che prevede l'estensione del reato di corruzione anche ai rapporti tra privati, indispensabile in un contesto di privatizzazione della gestione di servizi pubblici attraverso la costituzione di società di diritto privato controllate e/o partecipate da istituzioni pubbliche;
    diversi sono gli appelli promossi dalle associazioni Avviso Pubblico e Libera, finalizzati a rinnovare l'attenzione su un fenomeno che minaccia la credibilità e il prestigio delle istituzioni, corrode il senso civico, distorce gravemente l'economia e sottrae risorse notevoli alle comunità in un momento di particolare difficoltà per la finanza pubblica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire per dare concreta attuazione ai trattati, alle convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie in materia di lotta alla corruzione, nonché alle norme introdotte con la legge finanziaria per il 2007 e di introdurre nel nostro ordinamento disposizioni che prevedono l'uso sociale dei beni confiscati ai corrotti come già accade per quelli sottratti alle mafie.
9/4434-A/28Mura, Zazzera, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    soltanto di recente, anche a seguito della profonda crisi che coinvolge le più avanzate economie mondiali, la lotta alla corruzione è diventata una priorità nelle agende politiche internazionali;
    è noto, infatti, che la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi interessati. I mercati corrotti non attraggono flussi di capitali e sono conseguentemente caratterizzati da dinamiche di bassa crescita;
    se non combattuta adeguatamente, la corruzione produce quindi costi enormi, destabilizzando le regole dello stato di diritto e del libero mercato, veri pilastri delle democrazie moderne. Inoltre, la corruzione spesso facilita le attività criminali, come il traffico di droga ed il riciclaggio e alimenta il crimine transnazionale e i conflitti socio-politici che minacciano la sicurezza regionale e globale;
    non meraviglia pertanto che i Paesi del G8, nel corso del Summit de l'Aquila (luglio 2009), abbiamo posto all'ordine del giorno la necessità dell'adozione di efficaci politiche di contrasto per limitare gli effetti negativi generati dalla corruzione sulle economie mondiali;
    sempre a L'Aquila, i Paesi del G8 hanno poi espressamente riconosciuto come le politiche di prevenzione della corruzione rappresentino uno dei principali parametri per misurare l'efficacia delle azioni di contrasto al fenomeno da parte delle moderne democrazie. In sintesi, la lotta alla corruzione non può fondarsi soltanto o prevalentemente su misure repressive ma deve fare perno anche e soprattutto su efficaci azioni di prevenzione. Si è a tal fine convenuto che il cd. «2009 Accountability Report», rapporto sullo stato dell'arte dei paesi G8 in materia di lotta alla corruzione, includesse un approfondimento proprio sulle misure preventive anticorruzione adottate da ciascun paese membro;
    l'importante political statement del G8 in materia di lotta alla corruzione conferma come l'azione di contrasto alla corruzione abbia ormai trasceso gli ambiti nazionali per assumere una dimensione internazionale, o meglio, transnazionale;
    efficaci politiche di contrasto alla corruzione devono quindi necessariamente combinare la prevenzione con la repressione e la cooperazione internazionale;
    quanto all'impegno italiano nel settore, vanno qui richiamati i principali fora internazionali che vedono l'attiva presenza del nostro Paese: il GRECO e il WGB che, come detto, rappresentano i due più importanti meccanismi di lotta alla corruzione istituiti presso altrettante organizzazioni internazionali. Inoltre, dopo la citata legge di ratifica del 3 agosto 2009 n. 116, l'Italia partecipa con full status ai lavori della Conferenza degli Stati Parte della Convenzione ONU contro la corruzione;
    va subito detto come la partecipazione del nostro Paese a queste importanti iniziative non riveste un carattere meramente formale ma comporta il preciso impegno ad assumere concrete iniziative per contrastare la corruzione:
    in Europa esistono leggi contro la corruzione, ma non tutti i Paesi membri le applicano. Inoltre, Germania, Austria e Italia non hanno ratificato la Convenzione penale del Consiglio d'Europa sulla corruzione, mentre la ratifica della Convenzione Ocse contro la corruzione è ignorata da Cipro, Lettonia, Lituania, Malta e Romania;
    su questa materia la convenzione di Strasburgo del 1999 – che prevede l'introduzione nel codice penale di reati importanti come il traffico di influenze illecite (cioè la corruzione realizzata con favori e regalie, invece che con la classica mazzetta), la corruzione fra privati, l'autoriciclaggio –, sarebbe importante l'adozione di misure quali l'allontanamento obbligatorio automatico e definitivo dagli enti pubblici (Parlamento compreso) per chi è stato condannato per reati contro la pubblica amministrazione, la previsione di un risarcimento dei danni alla P.A. in caso di imperizia (o colpa grave) anche solo se conclamato in sede civile,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa anche normativa atta a modificare gli articoli 28 e 29 del codice penale, per allontanare definitivamente dai pubblici uffici quanti siano stati condannati in via definitiva per peculato, malversazione, concussione, corruzione, turbativa degli appalti, frode nelle pubbliche forniture, usura e traffico illecito di rifiuti.
9/4434-A/29Aniello Formisano, Rota, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    soltanto di recente, anche a seguito della profonda crisi che coinvolge le più avanzate economie mondiali, la lotta alla corruzione è diventata una priorità nelle agende politiche internazionali;
    è noto, infatti, che la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi interessati. I mercati corrotti non attraggono flussi di capitali e sono conseguentemente caratterizzati da dinamiche di bassa crescita;
    se non combattuta adeguatamente, la corruzione produce quindi costi enormi, destabilizzando le regole dello stato di diritto e del libero mercato, veri pilastri delle democrazie moderne. Inoltre, la corruzione spesso facilita le attività criminali, come il traffico di droga ed il riciclaggio e alimenta il crimine transnazionale e i conflitti socio-politici che minacciano la sicurezza regionale e globale;
    il dibattito circa l'utilità e l'attualità dei presidi che il nostro ordinamento pone a tutela e prevenzione del riciclaggio di denaro sporco è sempre vivo;
    il riciclaggio rappresenta una vera e propria necessità per le organizzazioni mafiose. Mediante l'immissione nel circuito ordinario del denaro proveniente dall'attività delittuosa, lo ripuliscono e lo rendono spendibile;
    trattandosi poi di profitto illecito, proveniente da facili guadagni e destinato tuttavia ad essere necessariamente investito in attività legali e paralegali, esso, in mancanza di un normale costo di produzione, non teme concorrenza e finisce per alterare le regole di mercato ed il regime della libera concorrenza;
    come per ogni reato, anche per l'immissione nel circuito dell'economia legale di ricchezze illecitamente accumulate ci si deve misurare, più che con coloro che ne sono rei o partecipi, con le valutazioni sulla giustezza della pena, sull'efficacia dei mezzi di repressione, delle strategie di contrasto, delle risorse a vario titolo messe in campo;
    è vero, poi, che le esigenze di «prevenzione» debbano prevalere su quelle repressive, perché a far prima si spende indubbiamente meno e si conseguono tendenzialmente più risultati;
    le tre direttive comunitarie sulla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio riprendono, ovviamente, la gran parte dei principi enunciati in sede internazionale, e li modellano sugli ordinamenti europei;
    il corpus normativo attuale è costituito da numerosi provvedimenti susseguitisi nel tempo anche in ragione delle dette disposizioni di derivazione comunitaria. Da ultima, la direttiva n. 2005/60/CE del 26 ottobre 2005 (la cosiddetta III direttiva antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo), modificata dalla direttiva n. 2008/20/CE dell'11 marzo 2008, recepita in Italia dal decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109 (contro il finanziamento del terrorismo) e dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (antiriciclaggio);
    il decreto legislativo n. 231 del 2007 ha il merito di aver introdotto, oltre all'adempimento dell'adeguata verifica (di natura più ampia rispetto a quello di identificazione), i principi di «collaborazione attiva» e di «risk based approach», i quali richiedono un maggiore sforzo di responsabilità ai destinatari della normativa. Questi principi, fra l'altro, permeano anche il decreto legislativo n. 109 del 2007 con cui si cerca di contrastare in modo sempre più efficace il finanziamento del terrorismo;
    il decreto n. 231 del 2007, nei quasi tre anni di vigenza, ha conosciuto diverse modifiche e integrazioni. Fra le più recenti e significative ricordiamo quelle apportate dal decreto legislativo n. 151 del settembre 2009. Con questo decreto il legislatore è intervenuto sui compiti e sui poteri dell'Unità di informazione finanziaria. Grande sensibilità il legislatore ha mostrato anche nei confronti delle succursali e filiazioni degli intermediari situate in Stati extracomunitari; ciò, probabilmente, anche in ragione della crescente attenzione che stanno attirando su di sé i «paradisi fiscali». Nuovi adempimenti sono stati previsti per la figura del cosiddetto «titolare effettivo» del rapporto o dell'operazione. Si è poi modificata anche la definizione di «operazione frazionata», rendendone più difficile la concretizzazione ai fini di dissimulare transazioni finanziarie più consistenti;
    altro intervento di spessore, questo ad integrazione del citato decreto n. 231, è il provvedimento sulla tenuta dell'Archivio unico informatico emanato dalla Banca d'Italia con delibera n. 895 del 23 dicembre 2009. Il provvedimento mira a fornire le prescrizioni operative cui i destinatari devono attenersi nell'effettuazione del delicato adempimento della registrazione;
    nel corso del 2010, poi, sono stati pubblicati gli indicatori di anomalia per i professionisti e per gli intermediari finanziari. Il primo dei due provvedimenti (indicatori per i professionisti) è stato emanato il 16 aprile 2010 con decreto del Ministro della giustizia; il secondo (indici per gli intermediari), invece, è stato emanato con delibera della Banca d'Italia del 24 agosto 2010. Con tali interventi normativi (cd. «di secondo livello») si mira a fornire dei veri e propri «indici spia» che gli obbligati possono considerare nell'individuazione di operazioni sospette, cioè a rischio riciclaggio;
    fra le novità più recenti in tema di prevenzione del riciclaggio non può dimenticarsi il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (cd. «manovra d'estate»), con il quale, fra l'altro, è stata riportata ad euro 5.000 la soglia limite per l'utilizzo del contante e dei titoli al portatore;
    molti, come si vede, sono gli interventi che nel corso del tempo si sono succeduti per integrare, modificare o soltanto chiarire le disposizioni del decreto legislativo n. 231 del 2007;
    in questo senso, già nel 2007, con l'istituzione di una Commissione ad hoc presso il Ministero dell'economia e delle finanze, si è cercato di sistematizzare la materia grazie alla redazione di un testo unico antiriciclaggio;
    la Commissione, però, non è riuscita, causa la fine anticipata della precedente legislatura, a completare l'articolato, comunque consegnato in versione provvisoria ai competenti uffici del Dicastero;
    la complessità della materia ed il numero elevato di soggetti interessati (non ci si riferisce solo ai destinatari del decreto n. 231, ma anche alle istituzioni ed alle autorità coinvolte) suggerirebbero di tornare sul progetto;
    altro aspetto rilevantissimo dell'azione di contrasto al riciclaggio è quello che riguarda le norme penalistiche di repressione di tale fenomeno, nonché le problematiche legate alla introduzione nell'ordinamento della fattispecie dell'autoriciclaggio;
    l'ordinamento prevede il reato di riciclaggio all'articolo 648-bis codice penale, la cui attuale formulazione è il risultato di un travagliato iter legislativo. Nella prima versione prevista dal decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, il testo non riportava la dizione propria di «riciclaggio» ma quella di «sostituzione di danaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione». In questa prima formulazione, la norma prevedeva espressamente un numerus clausus di reati presupposto senza la commissione dei quali il reato base non poteva essere commesso. Si sottolinea come già in questa prima versione la norma prevedesse la clausola di riserva «fuori dai casi di concorso nel reato» in modo da escludere la fattispecie di autoriciclaggio e, quindi, per evitare che i soggetti attivi dei reati presupposto rispondessero altresì per il reato base (ove la loro condotta avesse integrato anche tale ultima fattispecie);
    con la legge 19 marzo 1990, n. 55, il legislatore modificava l'originaria formulazione della fattispecie di riciclaggio. Per la prima volta il delitto in parola veniva rubricato con il termine di riciclaggio e veniva inserita nell'ordinamento la figura del reato di «impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita» all'articolo 648-ter del codice penale. La modifica del 1990 comportò anche l'allargamento delle fattispecie di reato previste quali reati presupposti;
    l'attuale formulazione dell'articolo 648-bis del codice penale è stata introdotta dalla legge 9 agosto 1993, n. 328. La formulazione del reato di riciclaggio prevede ora l'ampliamento delle condotte che possono integrarlo («sostituzione», «trasferimento» e «altre operazioni») sempre che le stesse siano tali da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Altra modifica rilevante riguarda l'eliminazione dell'elenco dei reati presupposto dai cui proventi può scaturire l'attività di riciclaggio. Al momento, infatti, sono reati-presupposto tutti i delitti non colposi. Resta, invece, la clausola di riserva «fuori dai casi di concorso nel reato» garantendo così, il cd. «privilegio di autoriciclaggio»;
    allo stato attuale della legislazione l'autore del reato presupposto non può però essere punito anche per il riciclaggio;
    non v’è chi non veda quanto illogica e foriera di gravi conseguenze sia sul piano pratico e della lotta alle mafie simile esclusione di sanzionabilità, tanto più se si considera che un conto è l'impiego nei consumi ordinari delle somme provenienti dal reato, altro è il sistematico ricorso a pratiche od operazioni finanziarie finalizzate ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei capitali. Trattasi all'evidenza di un quid pluris bisognevole di punizione, senza timore alcuno di incorrere in una duplicità di sanzione per un preteso post factum non punibile;
    la positiva esperienza di altri Paesi, richiamata anche nel 2005 dal Fondo Monetario Internazionale, suggerirebbe pertanto di allineare la nozione penale a quella amministrativa, introducendo anche nel nostro ordinamento penale il reato di «autoriciclaggio»;
    il numero delle segnalazioni di operazioni sospette è passato da 840 nel 1997 a oltre 37.000 nel 2010, tutte provenienti da intermediari finanziari. Ancora deludente l'apporto dei liberi professionisti, che hanno inoltrato nel 2010 solo 223 segnalazioni. I provvedimenti di sospensione di operazioni sospette adottati dalla Uif sono stati ben 32. Da evidenziare anche il numero di ben 406 segnalazioni nel 2009 per operazioni sospette di finanziamento del terrorismo, passate a 274 nel 2010;
    il numero delle segnalazioni trasmesse agli organi investigativi (quindi, segnalazioni che hanno avuto seguito) è passato da 101 nel 1997 a circa 23.000 nel 2010;
    gli esiti ottenuti dall'attività di contrasto, dunque, non possono che essere di stimolo e di incoraggiamento affinché anche in ambito penalistico, con l'introduzione della fattispecie di autoriciclaggio, possano ingenerarsi riscontri effettivi contro la criminalità;
    a complemento delle indagini in questo ambito, l'utilità della cosiddetta «Anagrafe dei rapporti» si è rivelata strategica. La possibilità, sia per le forze dell'ordine che per i magistrati, di conoscere in tempo reale la collocazione fisica dei rapporti finanziari dei soggetti investigati ha evitato l'affastellarsi di richieste cartacee agli istituti di credito, con notevole risparmio di costi ed impegno in termini di uomini e mezzi;
    da ultimo deve essere segnalato che un notevole incremento di reati informatici deve preoccupare per la facilità con la quale la criminalità organizzata ha avuto (ed ha) di utilizzare il canale internet per il cosiddetto «cyber laundering», il riciclaggio informatico, così come per le svariate casistiche di frodi informatiche, perpetrate a seguito di furti d'identità o di estremi di conti bancari e carte di credito;
    su tutta questa complessa materia è senza dubbio auspicabile la revisione del meccanismo sanzionatorio previsto dal decreto legislativo n. 231 del 2007, ad oggi considerato troppo blando per un'efficace azione di contrasto attraverso i soggetti deputati ai controlli sulle operazioni finanziarie (banche ed intermediari finanziari),

impegna il Governo

a valutare la necessità di risolvere le molteplici criticità esistenti nell'azione di contrasto al riciclaggio e quelle che riguardano le norme penalistiche di repressione di tale fenomeno, nonché le problematiche legate all'introduzione nell'ordinamento della fattispecie dell'autoriciclaggio per non lasciare l'Italia esposta a prevedibili ricadute negative sulla immagine e competitività del nostro Paese e quindi sulla sua capacità di attrarre capitali ed investimenti quanto mai importanti nell'attuale fase di crisi economica.
9/4434-A/30Zazzera, Di Pietro, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    soltanto di recente, anche a seguito della profonda crisi che coinvolge le più avanzate economie mondiali, la lotta alla corruzione è diventata una priorità nelle agende politiche internazionali;
    è noto, infatti, che la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi interessati. I mercati corrotti non attraggono flussi di capitali e sono conseguentemente caratterizzati da dinamiche di bassa crescita;
    se non combattuta adeguatamente, la corruzione produce quindi costi enormi, destabilizzando le regole dello stato di diritto e del libero mercato, veri pilastri delle democrazie moderne. Inoltre, la corruzione spesso facilita le attività criminali, come il traffico di droga ed il riciclaggio e alimenta il crimine transnazionale e i conflitti socio-politici che minacciano la sicurezza regionale e globale;
    non meraviglia pertanto che i Paesi del G8, nel corso del Summit de l'Aquila (luglio 2009), abbiamo posto all'ordine del giorno la necessità dell'adozione di efficaci politiche di contrasto per limitare gli effetti negativi generati dalla corruzione sulle economie mondiali;
    il dibattito circa l'utilità e l'attualità dei presidi che il nostro ordinamento pone a tutela e prevenzione del riciclaggio di denaro sporco è sempre vivo;
    il riciclaggio rappresenta una vera e propria necessità per le organizzazioni mafiose. Mediante l'immissione nel circuito ordinario del denaro proveniente dall'attività delittuosa, lo ripuliscono e lo rendono spendibile;
    trattandosi poi di profitto illecito, proveniente da facili guadagni e destinato tuttavia ad essere necessariamente investito in attività legali e paralegali, esso, in mancanza di un normale costo di produzione, non teme concorrenza e finisce per alterare le regole di mercato ed il regime della libera concorrenza;
    come per ogni reato, anche per l'immissione nel circuito dell'economia legale di ricchezze illecitamente accumulate ci si deve misurare, più che con coloro che ne sono rei o partecipi, con le valutazioni sulla giustezza della pena, sull'efficacia dei mezzi di repressione, delle strategie di contrasto, delle risorse a vario titolo messe in campo;
    è vero, poi, che le esigenze di «prevenzione» debbano prevalere su quelle repressive, perché a far prima si spende indubbiamente meno e si conseguono tendenzialmente più risultati;
    le tre direttive comunitarie sulla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio riprendono, ovviamente, la gran parte dei principi enunciati in sede internazionale, e li modellano sugli ordinamenti europei;
    il corpus normativo attuale è costituito da numerosi provvedimenti susseguitisi nel tempo anche in ragione delle dette disposizioni di derivazione comunitaria. Da ultima, la direttiva n. 2005/60/CE del 26 ottobre 2005 (la cosiddetta III direttiva antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo), modificata dalla direttiva n. 2008/20/CE dell'11 marzo 2008, recepita in Italia dal decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109 (contro il finanziamento del terrorismo) e dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (antiriciclaggio) («Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione»);
    il decreto legislativo n. 231 del 2007 ha il merito di aver introdotto, oltre all'adempimento dell'adeguata verifica (di natura più ampia rispetto a quello di identificazione), i principi di «collaborazione attiva» e di «risk based approach», i quali richiedono un maggiore sforzo di responsabilità ai destinatari della normativa. Questi principi, fra l'altro, permeano anche il decreto legislativo n. 109 del 2007 con cui si cerca di contrastare in modo sempre più efficace il finanziamento del terrorismo;
    il decreto n. 231 del 2007, nei quasi tre anni di vigenza, ha conosciuto diverse modifiche e integrazioni. Fra le più recenti e significative ricordiamo quelle apportate dal decreto legislativo n. 151 del settembre 2009. Con questo decreto il legislatore è intervenuto sui compiti e sui poteri dell'Unità di informazione finanziaria. Grande sensibilità il legislatore ha mostrato anche nei confronti delle succursali e filiazioni degli intermediari situate in Stati extracomunitari; ciò, probabilmente, anche in ragione della crescente attenzione che stanno attirando su di sé i «paradisi fiscali». Nuovi adempimenti sono stati previsti per la figura del cosiddetto «titolare effettivo» del rapporto o dell'operazione. Si è poi modificata anche la definizione di «operazione frazionata», rendendone più difficile la concretizzazione ai fini di dissimulare transazioni finanziarie più consistenti;
    altro intervento di spessore, questo ad integrazione del citato decreto n. 231, è il provvedimento sulla tenuta dell'Archivio unico informatico emanato dalla Banca d'Italia con delibera n. 895 del 23 dicembre 2009. Il provvedimento mira a fornire le prescrizioni operative cui i destinatari devono attenersi nell'effettuazione del delicato adempimento della registrazione;
    nel corso del 2010, poi, sono stati pubblicati gli indicatori di anomalia per i professionisti e per gli intermediari finanziari. Il primo dei due provvedimenti (indicatori per i professionisti) è stato emanato il 16 aprile 2010 con decreto del Ministro della giustizia; il secondo (indici per gli intermediari), invece, è stato emanato con delibera della Banca d'Italia del 24 agosto 2010. Con tali interventi normativi (cd. «di secondo livello») si mira a fornire dei veri e propri «indici spia» che gli obbligati possono considerare nell'individuazione di operazioni sospette, cioè a rischio riciclaggio;
    fra le novità più recenti in tema di prevenzione del riciclaggio non può dimenticarsi il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (cd. «manovra d'estate»), con il quale, fra l'altro, è stata riportata ad euro 5.000 la soglia limite per l'utilizzo del contante e dei titoli al portatore;
    molti, come si vede, sono gli interventi che nel corso del tempo si sono succeduti per integrare, modificare o soltanto chiarire le disposizioni del decreto legislativo n. 231 del 2007;
    in questo senso, già nel 2007, con l'istituzione di una Commissione ad hoc presso il Ministero dell'economia e delle finanze, si è cercato di sistematizzare la materia grazie alla redazione di un testo unico antiriciclaggio;
    la Commissione, però, non è riuscita, causa la fine anticipata della precedente legislatura, a completare l'articolato, comunque consegnato in versione provvisoria ai competenti uffici del Dicastero;
    la complessità della materia ed il numero elevato di soggetti interessati (non ci si riferisce solo ai destinatari del decreto n. 231, ma anche alle istituzioni ed alle autorità coinvolte) suggerirebbero di tornare sul progetto;
    altro aspetto rilevantissimo dell'azione di contrasto al riciclaggio è quello che riguarda le norme penalistiche di repressione di tale fenomeno, nonché le problematiche legate alla introduzione nell'ordinamento della fattispecie dell'autoriciclaggio;
    l'ordinamento prevede il reato di riciclaggio all'articolo 648-bis codice penale, la cui attuale formulazione è il risultato di un travagliato iter legislativo. Nella prima versione prevista dal decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, il testo non riportava la dizione propria di «riciclaggio» ma quella di «sostituzione di danaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione». In questa prima formulazione, la norma prevedeva espressamente un numerus clausus di reati presupposto senza la commissione dei quali il reato base non poteva essere commesso. Si sottolinea come già in questa prima versione la norma prevedesse la clausola di riserva «fuori dai casi di concorso nel reato» in modo da escludere la fattispecie di autoriciclaggio e, quindi, per evitare che i soggetti attivi dei reati presupposto rispondessero altresì per il reato base (ove la loro condotta avesse integrato anche tale ultima fattispecie);
    con la legge 19 marzo 1990, n. 55, il legislatore modificava l'originaria formulazione della fattispecie di riciclaggio. Per la prima volta il delitto in parola veniva rubricato con il termine di riciclaggio e veniva inserita nell'ordinamento la figura del reato di «impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita» all'articolo 648-ter del codice penale. La modifica del 1990 comportò anche l'allargamento delle fattispecie di reato previste quali reati presupposti;
    l'attuale formulazione dell'articolo 648-bis del codice penale è stata introdotta dalla legge 9 agosto 1993, n. 328. La formulazione del reato di riciclaggio prevede ora l'ampliamento delle condotte che possono integrarlo («sostituzione», «trasferimento» e «altre operazioni») sempre che le stesse siano tali da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Altra modifica rilevante riguarda l'eliminazione dell'elenco dei reati presupposto dai cui proventi può scaturire l'attività di riciclaggio. Al momento, infatti, sono reati-presupposto tutti i delitti non colposi. Resta, invece, la clausola di riserva «fuori dai casi di concorso nel reato» garantendo così, il cd. «privilegio di autoriciclaggio»;
    allo stato attuale della legislazione l'autore del reato presupposto non può però essere punito anche per il riciclaggio;
    non v’è chi non veda quanto illogica e foriera di gravi conseguenze sia sul piano pratico e della lotta alle mafie simile esclusione di sanzionabilità, tanto più se si considera che un conto è l'impiego nei consumi ordinari delle somme provenienti dal reato, altro è il sistematico ricorso a pratiche od operazioni finanziarie finalizzate ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei capitali. Trattasi all'evidenza di un quid pluris bisognevole di punizione, senza timore alcuno di incorrere in una duplicità di sanzione per un preteso post factum non punibile;
    la positiva esperienza di altri Paesi, richiamata anche nel 2005 dal Fondo Monetario Internazionale, suggerirebbe pertanto di allineare la nozione penale a quella amministrativa, introducendo anche nel nostro ordinamento penale il reato di «autoriciclaggio»;
    il numero delle segnalazioni di operazioni sospette è passato da 840 nel 1997 a oltre 37.000 nel 2010, tutte provenienti da intermediari finanziari. Ancora deludente l'apporto dei liberi professionisti, che hanno inoltrato nel 2010 solo 223 segnalazioni. I provvedimenti di sospensione di operazioni sospette adottati dalla Uif sono stati ben 32. Da evidenziare anche il numero di ben 406 segnalazioni nel 2009 per operazioni sospette di finanziamento del terrorismo, passate a 274 nel 2010;
    il numero delle segnalazioni trasmesse agli organi investigativi (quindi, segnalazioni che hanno avuto seguito) è passato da 101 nel 1997 a circa 23.000 nel 2010;
    gli esiti ottenuti dall'attività di contrasto, dunque, non possono che essere di stimolo e di incoraggiamento affinché anche in ambito penalistico, con l'introduzione della fattispecie di autoriciclaggio, possano ingenerarsi riscontri effettivi contro la criminalità;
    a complemento delle indagini in questo ambito, l'utilità della cosiddetta «Anagrafe dei rapporti» si è rivelata strategica. La possibilità, sia per le forze dell'ordine che per i magistrati, di conoscere in tempo reale la collocazione fisica dei rapporti finanziari dei soggetti investigati ha evitato l'affastellarsi di richieste cartacee agli istituti di credito, con notevole risparmio di costi ed impegno in termini di uomini e mezzi;
    da ultimo deve essere segnalato che un notevole incremento di reati informatici deve preoccupare per la facilità con la quale la criminalità organizzata ha avuto (ed ha) di utilizzare il canale internet per il cosiddetto «cyber laundering», il riciclaggio informatico, così come per le svariate casistiche di frodi informatiche, perpetrate a seguito di furti d'identità o di estremi di conti bancari e carte di credito;
    su tutta questa complessa materia è senza dubbio auspicabile la revisione del meccanismo sanzionatorio previsto dal decreto legislativo n. 231 del 2007, ad oggi considerato troppo blando per un'efficace azione di contrasto attraverso i soggetti deputati ai controlli sulle operazioni finanziarie (banche ed intermediari finanziari),

impegna il Governo

a valutare, anche tramite l'esecuzione di norme comunitarie e pattizie, ogni iniziativa normativa idonea ad assicurare la revisione del meccanismo sanzionatorio previsto dal decreto legislativo n. 231 del 2007, ad oggi considerato troppo blando per un'efficace azione di contrasto attraverso i soggetti deputati ai controlli sulle operazioni finanziarie (banche ed intermediari finanziari).
9/4434-A/31Palomba, Donadi, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    soltanto di recente, anche a seguito della profonda crisi che coinvolge le più avanzate economie mondiali, la lotta corruzione è diventata una priorità nelle agende politiche internazionali;
    è noto, infatti, che la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi interessati. I mercati corrotti non attraggono flussi di capitali e sono conseguentemente caratterizzati da dinamiche di bassa crescita. Se non combattuta adeguatamente, la corruzione produce quindi costi enormi, destabilizzando le regole dello stato di diritto e del libero mercato, veri pilastri delle democrazie moderne merita particolare attenzione il settore dei pubblici dipendenti, con particolare riferimento alla formazione specifica sui temi dell'anticorruzione, alla rotazione per le figure particolarmente esposte al rischio di corruzione (cd. rotation), alla maggiore trasparenza circa la posizione patrimoniale e gli incarichi nonché ad un effettivo sistema di responsabilità disciplinare per i dirigenti e pubblici dipendenti;
    deve però rilevarsi come la proliferazione di Convenzioni imponga di aumentare la cooperazione tra le diverse organizzazioni internazionali coinvolte nella lotta contro la corruzione. Se da un lato, infatti, va ribadita la centralità di efficaci meccanismi di valutazione quali appunto il GRECO ed il WGB in termini di affidabilità, concretezza e partecipazione, bisogna dall'altro affermare con altrettanta forza la necessità di un loro adeguato coordinamento, magari attraverso la istituzione di una «cabina di regia» alla quale partecipino i rappresentati delle varie istituzioni (es. segretariato, presidenza, uffici legali) per evitare inutili duplicazioni tra i vari meccanismi anticorruzione esistenti a livello internazionale;
    quello che si vuole proporre è, in buona sostanza, un coordinamento non soltanto delle attività del GRECO con quelle del WGB ma anche, in prospettiva, un coordinamento dei predetti Gruppi col meccanismo di revisione recentemente istituito in sede di Convenzione ONU contro la corruzione e con l'analogo meccanismo che presumibilmente si realizzerà in sede comunitaria;
    altro discorso riguarda la concreta volontà degli Stati nella lotta alla corruzione sia domestica che internazionale. Sempre più spesso si assiste ad iniziative ad «alta visibilità» quali le adozioni di piani o strategie anti-corruzione o la firma di convenzioni internazionali di contrasto al fenomeno,

impegna il Governo

a mettere in atto le raccomandazioni rivolte all'Italia da parte degli Organismi internazionali che operano in contrasto alla corruzione e a valutare la possibilità di avviare uno studio e ogni iniziativa di competenza idonea a valutare la reale volontà politica di contrasto al fenomeno misurandola nel lungo periodo, in termini di risorse umane e finanziarie messe a disposizione per l'attuazione delle riforme.
9/4434-A/32Di Giuseppe, Monai, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    soltanto di recente, anche a seguito della profonda crisi che coinvolge le più avanzate economie mondiali, la lotta corruzione è diventata una priorità nelle agende politiche internazionali;
    è noto, infatti, che la corruzione, minando alla radice la fiducia dei mercati e delle imprese, determina tra i suoi effetti una perdita di competitività per i Paesi interessati. I mercati corrotti non attraggono flussi di capitali e sono conseguentemente caratterizzati da dinamiche di bassa crescita. Se non combattuta adeguatamente, la corruzione produce quindi costi enormi, destabilizzando le regole dello stato di diritto e del libero mercato, veri pilastri delle democrazie moderne merita particolare attenzione il settore dei pubblici dipendenti, con particolare riferimento alla formazione specifica sui temi dell'anticorruzione, alla rotazione per le figure particolarmente esposte al rischio di corruzione (cd. rotation), alla maggiore trasparenza circa la posizione patrimoniale e gli incarichi nonché ad un effettivo sistema di responsabilità disciplinare per i dirigenti e pubblici dipendenti;
    deve però rilevarsi come la proliferazione di Convenzioni imponga di aumentare la cooperazione tra le diverse organizzazioni internazionali coinvolte nella lotta contro la corruzione. Se da un lato, infatti, va ribadita la centralità di efficaci meccanismi di valutazione quali appunto il GRECO ed il WGB in termini di affidabilità, concretezza e partecipazione, bisogna dall'altro affermare con altrettanta forza la necessità di un loro adeguato coordinamento, magari attraverso la istituzione di una «cabina di regia» alla quale partecipino i rappresentati delle varie istituzioni (es. segretariato, presidenza, uffici legali) per evitare inutili duplicazioni tra i vari meccanismi anticorruzione esistenti a livello internazionale;
    quello che si vuole proporre è, in buona sostanza, un coordinamento non soltanto delle attività del GRECO con quelle del WGB ma anche, in prospettiva, un coordinamento dei predetti Gruppi col meccanismo di revisione recentemente istituito in sede di Convenzione ONU contro la corruzione e con l'analogo meccanismo che presumibilmente si realizzerà in sede comunitaria;
    altro discorso riguarda la concreta volontà degli Stati nella lotta alla corruzione sia domestica che internazionale. Sempre più spesso si assiste ad iniziative ad «alta visibilità» quali le adozioni di piani o strategie anti-corruzione o la firma di convenzioni internazionali di contrasto al fenomeno,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di avviare uno studio e ogni iniziativa di competenza idonea a valutare la reale volontà politica di contrasto al fenomeno misurandola nel lungo periodo, in termini di risorse umane e finanziarie messe a disposizione per l'attuazione delle riforme.
9/4434-A/32. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Giuseppe, Monai, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la corruzione incide sulla vita civile, politica ed economica di un Paese, oltre a essere un fenomeno di grave disvalore morale e giuridico;
    i casi di corruzione, in ogni nazione, allontanano i cittadini dalla politica e creano, un pericoloso vuoto democratico;
    la corruzione si sconfigge in tribunale ma anche e soprattutto con la cultura;
    si sottolinea, l'importanza di creare un sistema di prevenzione e repressione dell'illegalità nella Pubblica Amministrazione;
    la corruzione si sconfigge, inoltre, attraverso delle leggi che facilitino il compito di chi denuncia le tangenti e, soprattutto, non lo rendano vano visti i tempi attuali della giustizia;
    oggi, denunciare la corruzione è rischioso perché porta molto spesso all'isolamento e soprattutto non garantisce che i colpevoli siano realmente puniti;
    ecco perché le operazioni di pulizia e le continue indagini sui casi di corruzione sembrano solo proclami elettorali o tentativi improduttivi di giustizia perché nulla hanno a che fare con una reale lotta alla corruzione e con una pena certa per i corrotti;
    se i colpevoli continuano ad essere assolti (e in alcuni casi godono anche di vitalizi per le loro attività parlamentari), si diffonde tra i cittadini una sensazione di impunità che li spinge a non denunciare la corruzione e anzi a considerarla l’exploit di alcuni furbi;
    si dovrebbe ipotizzare una logica premiale, con l'intento di fare fronte ad alcune difficoltà processuali e probatorie prevedendo una speciale causa di non punibilità per il corruttore che entro tre mesi, o comunque prima dell'inizio del procedimento penale, denunci il fatto corruttivo e collabori con l'autorità giudiziaria, nonché metta a disposizione delle autorità giudiziarie una somma pari a quanto versato o ricevuto;
    i vantaggi pratici e le semplificazioni probatorie sarebbero indubbi: ogni prestazione indebita che il privato effettui verso il pubblico ufficiale comporterebbe la punibilità di entrambi (salva la richiesta violenta o minacciosa da parte del pubblico ufficiale, la quale configurerebbe un'estorsione e quindi la punibilità per il solo pubblico ufficiale), senza la necessità di ulteriori indagini volte a chiarire la «posizione» dei vari soggetti;
    la non punibilità garantita al corruttore pentito consentirebbe, inoltre, di spezzare quell'omertà che rende impenetrabili gli accordi corruttivi, data la consapevolezza che si sarà comunque puniti,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di concrete iniziative legislative ispirate ad una logica premiale, prevedendo una speciale causa di non punibilità per il corruttore che comunque, prima dell'inizio del procedimento penale, denunci il fatto corruttivo e collabori con l'autorità giudiziaria, nonché metta a disposizione delle autorità giudiziarie una somma pari a quanto versato o ricevuto.
9/4434-A/33Di Pietro, Palomba, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    la corruzione incide sulla vita civile, politica ed economica di un Paese, oltre a essere un fenomeno di grave disvalore morale e giuridico;
    i casi di corruzione, in ogni nazione, allontanano i cittadini dalla politica e creano, un pericoloso vuoto democratico;
    la corruzione si sconfigge in tribunale ma anche e soprattutto con la cultura;
    si sottolinea, l'importanza di creare un sistema di prevenzione e repressione dell'illegalità nella Pubblica Amministrazione;
    la corruzione si sconfigge, inoltre, attraverso delle leggi che facilitino il compito di chi denuncia le tangenti e, soprattutto, non lo rendano vano visti i tempi attuali della giustizia;
    oggi, denunciare la corruzione è rischioso perché porta molto spesso all'isolamento e soprattutto non garantisce che i colpevoli siano realmente puniti;
    si dovrebbe ipotizzare una logica premiale, con l'intento di fare fronte ad alcune difficoltà processuali e probatorie prevedendo una speciale causa di non punibilità per il corruttore che entro tre mesi, o comunque prima dell'inizio del procedimento penale, denunci il fatto corruttivo e collabori con l'autorità giudiziaria, nonché metta a disposizione delle autorità giudiziarie una somma pari a quanto versato o ricevuto;
    i vantaggi pratici e le semplificazioni probatorie sarebbero indubbi: ogni prestazione indebita che il privato effettui verso il pubblico ufficiale comporterebbe la punibilità di entrambi (salva la richiesta violenta o minacciosa da parte del pubblico ufficiale, la quale configurerebbe un'estorsione e quindi la punibilità per il solo pubblico ufficiale), senza la necessità di ulteriori indagini volte a chiarire la «posizione» dei vari soggetti;
    la riduzione di pena garantita al corruttore pentito consentirebbe, inoltre, di spezzare quell'omertà che rende impenetrabili gli accordi corruttivi, data la consapevolezza che si sarà comunque puniti,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di concrete iniziative legislative ispirate ad una logica premiale, prevedendo una riduzione di pena per il corruttore che comunque, prima dell'inizio del procedimento penale, denunci il fatto corruttivo e collabori con l'autorità giudiziaria, nonché metta a disposizione delle autorità giudiziarie una somma pari a quanto versato o ricevuto.
9/4434-A/33. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Pietro, Palomba, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    nella classifica internazionale di Transparency International sulla percezione della corruzione, da oltre un decennio l'Italia è protagonista di un costante scivolamento, arrivando con la graduatoria del 2010, resa pubblica a fine ottobre, al 67o posto, sopravanzata da Ruanda, Ghana,Tunisia, Lettonia e Namibia per la maggiore trasparenza dei loro processi decisionali nel settore pubblico;
    trattasi del punteggio più basso dal 1995 – l'Italia era al 41o posto nel 2006 – che colloca l'Italia quartultima tra i paesi dell'Unione europea, e prima per deterioramento tra il 2009 e il 2010 tra i 178 considerati da Transparency;
    esiste un legame diretto tra la pratica effettiva della corruzione e le sensazioni diffuse nell'insieme di osservatori privilegiati – esperti, imprenditori, ecc. – impiegato per costruire la graduatoria della corruzione nel mondo;
    un sondaggio di Eurobarometro del 2009 mostra che il 17 per cento dei cittadini italiani nel corso del 2008 si è visto chiedere o offrire una tangente, contro una media europea del 9 per cento. La correlazione tra questa statistica, che misura la corruzione realmente consumata nei paesi dell'Unione europea, e l'indice di Transparency dello stesso anno è altissima, mostrando una sovrapposizione quasi perfetta: i paesi scandinavi sono in vetta alla graduatoria sulla trasparenza, in coda si trovano Bulgaria, Romania, Grecia e Italia;
    il peso della corruzione sui bilanci pubblici, stimato dal procuratore generale della Corte dei conti nel febbraio 2010 intorno ai 50-60 miliardi di euro l'anno, appare sempre più insostenibile a fronte delle difficoltà della finanza pubblica, cui occorre aggiungere la rendita incamerata dai corruttori che con le loro imprese si aggiudicano appalti grazie all'assenza di competizione e di controlli (stimato dalla stessa Transparency in circa il 40-50 per cento in media del valore di opere, servizi e forniture pubbliche) e il costo sociale che discende dai «segnali» distorti che indirizzano le scelte nel mercato e nella società;laddove la corruzione è prassi abituale intacca alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni rappresentative, producendo un costo politico;
    la corruzione, in altri termini, non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici, ma genera un pericoloso deficit di democrazia. In termini pratici, perché va a falsare la competizione elettorale che della democrazia è il meccanismo procedurale per eccellenza, assicurando risorse addizionali e un vantaggio concorrenziale ai corruttori e corrotti, ma anche la violazione di valori democratici fondamentali quali i principi di trasparenza e uguaglianza; negli stessi anni in cui il punteggio dell'Italia, secondo l'indice di Transparency della corruzione percepita, sprofonda, le inchieste giudiziarie segnano il passo, passando dai quasi 2.000 crimini e oltre 3.000 persone denunciate degli anni ’90 alle sole 220 denunce alle forze di polizia del 2009. Ancor più drastica la riduzione delle condanne per reati di corruzione, da un massimo di oltre 1700 condanne per reati di corruzione nel 1996 si giunge alle appena 239 del 2006, con dati particolarmente rilevanti per alcune regioni (da 138 condanne nel 1996 a 5 nel 2006 in Sicilia; da 545 a 43 in Lombardia; da 19 a nessuna in Calabria);
    si è pertanto allargata la forbice tra corruzione praticata e corruzione denunciata, ossia l'ammontare di reati portati a compimento con successo, rafforzando la sensazione di impunità per i suoi protagonisti;
    il cuore della questione della corruzione, per l'Associazione nazionale magistrati, resta la brevità dei tempi di prescrizione dei reati: «L'aumento delle pene da un lato è positivo, ma senza una visione complessiva, con interventi settoriali la questione lascia sempre motivi di insoddisfazione. Bisognerebbe intervenire sulla normativa generale della prescrizione». Un esempio? «Se la pena aumenta da tre a sei anni la prescrizione praticamente non si allunga», ha sottolineato Sabelli,

impegna il Governo

ad adottare iniziative legislative che, considerando la brevità dei tempi di prescrizione dei reati e la settorialità dei precedenti interventi legislativi, intervengano in maniera significativa e con una visione complessiva sulla normativa generale della prescrizione.
9/4434-A/34Paladini, Di Pietro.


   La Camera,
   premesso che:
    nella classifica internazionale di Transparency International sulla percezione della corruzione, da oltre un decennio l'Italia è protagonista di un costante scivolamento, arrivando con la graduatoria del 2010, resa pubblica a fine ottobre, al 67o posto, sopravanzata da Ruanda, Ghana,Tunisia, Lettonia e Namibia per la maggiore trasparenza dei loro processi decisionali nel settore pubblico;
    trattasi del punteggio più basso dal 1995 – l'Italia era al 41o posto nel 2006 – che colloca l'Italia quartultima tra i paesi dell'Unione europea, e prima per deterioramento tra il 2009 e il 2010 tra i 178 considerati da Transparency;
    esiste un legame diretto tra la pratica effettiva della corruzione e le sensazioni diffuse nell'insieme di osservatori privilegiati – esperti, imprenditori, ecc. – impiegato per costruire la graduatoria della corruzione nel mondo;
    un sondaggio di Eurobarometro del 2009 mostra che il 17 per cento dei cittadini italiani nel corso del 2008 si è visto chiedere o offrire una tangente, contro una media europea del 9 per cento. La correlazione tra questa statistica, che misura la corruzione realmente consumata nei paesi dell'Unione europea, e l'indice di Transparency dello stesso anno è altissima, mostrando una sovrapposizione quasi perfetta: i paesi scandinavi sono in vetta alla graduatoria sulla trasparenza, in coda si trovano Bulgaria, Romania, Grecia e Italia;
    il peso della corruzione sui bilanci pubblici, stimato dal procuratore generale della Corte dei conti nel febbraio 2010 intorno ai 50-60 miliardi di euro l'anno, appare sempre più insostenibile a fronte delle difficoltà della finanza pubblica, cui occorre aggiungere la rendita incamerata dai corruttori che con le loro imprese si aggiudicano appalti grazie all'assenza di competizione e di controlli (stimato dalla stessa Transparency in circa il 40-50 per cento in media del valore di opere, servizi e forniture pubbliche) e il costo sociale che discende dai «segnali» distorti che indirizzano le scelte nel mercato e nella società;laddove la corruzione è prassi abituale intacca alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni rappresentative, producendo un costo politico;
    la corruzione, in altri termini, non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici, ma genera un pericoloso deficit di democrazia. In termini pratici, perché va a falsare la competizione elettorale che della democrazia è il meccanismo procedurale per eccellenza, assicurando risorse addizionali e un vantaggio concorrenziale ai corruttori e corrotti, ma anche la violazione di valori democratici fondamentali quali i principi di trasparenza e uguaglianza; negli stessi anni in cui il punteggio dell'Italia, secondo l'indice di Transparency della corruzione percepita, sprofonda, le inchieste giudiziarie segnano il passo, passando dai quasi 2.000 crimini e oltre 3.000 persone denunciate degli anni ’90 alle sole 220 denunce alle forze di polizia del 2009. Ancor più drastica la riduzione delle condanne per reati di corruzione, da un massimo di oltre 1700 condanne per reati di corruzione nel 1996 si giunge alle appena 239 del 2006, con dati particolarmente rilevanti per alcune regioni (da 138 condanne nel 1996 a 5 nel 2006 in Sicilia; da 545 a 43 in Lombardia; da 19 a nessuna in Calabria);
    si è pertanto allargata la forbice tra corruzione praticata e corruzione denunciata, ossia l'ammontare di reati portati a compimento con successo, rafforzando la sensazione di impunità per i suoi protagonisti;
    il cuore della questione della corruzione, per l'Associazione nazionale magistrati, resta la brevità dei tempi di prescrizione dei reati: «L'aumento delle pene da un lato è positivo, ma senza una visione complessiva, con interventi settoriali la questione lascia sempre motivi di insoddisfazione. Bisognerebbe intervenire sulla normativa generale della prescrizione».Un esempio? «Se la pena aumenta da tre a sei anni la prescrizione praticamente non si allunga», ha sottolineato Sabelli,

impegna il Governo

a valutare iniziative legislative che, considerando la brevità dei tempi di prescrizione dei reati e la settorialità dei precedenti interventi legislativi, intervengano in maniera significativa e con una visione complessiva sulla normativa generale della prescrizione.
9/4434-A/34. (Testo modificato nel corso della seduta) Paladini, Di Pietro.


   La Camera,
   premesso che:
    nella classifica internazionale di Transparency International sulla percezione della corruzione, da oltre un decennio l'Italia è protagonista di un costante scivolamento, arrivando con la graduatoria del 2010, resa pubblica a fine ottobre, al 67o posto, sopravanzata da Ruanda, Ghana,Tunisia, Lettonia e Namibia per la maggiore trasparenza dei loro processi decisionali nel settore pubblico;
    trattasi del punteggio più basso dal 1995 – l'Italia era al 41o posto nel 2006 – che colloca l'Italia quart'ultima tra i paesi dell'Unione europea, e prima per deterioramento tra il 2009 e il 2010 tra i 178 considerati da Transparency;
    esiste un legame diretto tra la pratica effettiva della corruzione e le sensazioni diffuse nell'insieme di osservatori privilegiati – esperti, imprenditori, ecc. – impiegato per costruire la graduatoria della corruzione nel mondo;
    ad esempio, un sondaggio di Eurobarometro del 2009 mostra che il 17 per cento dei cittadini italiani nel corso del 2008 si sono visti chiedere o offrire una tangente, contro una media europea del 9 per cento. La correlazione tra questa statistica, che misura la corruzione realmente consumata nei paesi dell'Unione europea, e l'indice di Transparency dello stesso anno è altissima, mostrando una sovrapposizione quasi perfetta: i paesi scandinavi sono in vetta alla graduatoria sulla trasparenza, in coda si trovano Bulgaria, Romania, Grecia e Italia; il peso della corruzione sui bilanci pubblici, stimato dal procuratore generale della Corte dei conti nel febbraio 2010 intorno ai 50-60 miliardi di euro l'anno, appare sempre più insostenibile a fronte delle difficoltà della finanza pubblica, cui occorre aggiungere la rendita incamerata dai corruttori che con le loro imprese si aggiudicano appalti grazie all'assenza di competizione e di controlli (stimato dalla stessa Transparency in circa il 40-50 per cento in media del valore di opere, servizi e forniture pubbliche) e il costo sociale che discende dai «segnali» distorti che indirizzano le scelte nel mercato e nella società; laddove la corruzione è prassi abituale intacca alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni rappresentative, producendo un costo politico. La corruzione, in altri termini, non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici, ma genera un pericoloso deficit di democrazia;
    in termini pratici, perché va a falsare la competizione elettorale che della democrazia è il meccanismo procedurale per eccellenza, assicurando risorse addizionali e un vantaggio concorrenziale ai corruttori e corrotti, ma anche la violazione di valori democratici fondamentali quali i principi di trasparenza e uguaglianza;negli stessi anni in cui il punteggio dell'Italia, secondo l'indice di Transparency della corruzione percepita, sprofonda, le inchieste giudiziarie segnano il passo, passando dai quasi 2.000 crimini e oltre 3.000 persone denunciate degli anni ’90 alle sole 220 denunce alle forze di polizia del 2009. Ancor più drastica la riduzione delle condanne per reati di corruzione, da un massimo di oltre 1700 condanne per reati di corruzione nel 1996 si giunge alle appena 239 del 2006, con dati particolarmente rilevanti per alcune regioni (da 138 condanne nel 1996 a 5 nel 2006 in Sicilia; da 545 a 43 in Lombardia; da 19 a nessuna in Calabria);
    si è pertanto allargata la forbice tra corruzione praticata e corruzione denunciata, ossia l'ammontare di reati portati a compimento con successo, rafforzando la sensazione di impunità per i suoi protagonisti;
    è quanto mai urgente che il Governo e il Parlamento riconoscano la priorità di realizzare un sistema di norme chiare, con strumenti e sanzioni efficaci in grado di contrastare al meglio il diffondersi della corruzione, un'autentica piaga economica e sociale, quali la confisca e l'uso sociale dei beni sottratti ai corrotti (introdotta dall'articolo 1, comma 220, della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006) che ha esteso la confisca di valori ingiustificati ai reati contro la pubblica amministrazione);
    è quanto mai opportuno rinnovare l'attenzione su un fenomeno che minaccia la credibilità e il prestigio delle istituzioni,corrode il senso civico, distorce gravemente l'economia e sottrae risorse notevoli alle comunità in un momento di particolare difficoltà per la finanza pubblica attivare iniziative e momenti di sensibilizzazione al fine della formazione civile contro la corruzione;
    l'articolo 6 della Convenzione ONU contro la Corruzione dal titolo «Organo o organi di prevenzione della Corruzione» dispone che «Ciascuno Stato assicura, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, l'esistenza di uno o più organi, secondo quanto necessario, incaricati di prevenire la corruzione...». Il secondo comma dell'articolo 6 continua statuendo che «Ogni Stato Parte, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, concede all'organo o agli organi di cui al paragrafo 1 del presente articolo, l'indipendenza necessaria a permettere loro di esercitare efficacemente le loro funzioni al riparo da ogni indebita influenza e le risorse materiali ed il personale specializzato necessari, nonché la formazione di cui tale personale può avere bisogno per esercitare le sue funzioni ...»;
    due osservazioni a commento dell'articolo 6: la norma non esclude che all'interno di uno Stato ci sia più di un organo, ufficio etc. che svolga attività di prevenzione della corruzione. La norma richiede però che l'organo o gli organi che svolgano attività di prevenzione della corruzione abbiano la necessaria indipendenza e le risorse umane e finanziare per la loro attività;
    una volta dato conto dell'ineffettività del sistema di tutela penale nei confronti del fenomeno della corruzione, occorre evidenziare che il punto di partenza imprescindibile per una azione di prevenzione realmente efficace dovrebbe essere dato dall'incentivazione del ruolo svolto dai servizi di controllo interno;
    infatti, soltanto i controlli interni possono consentire un costante esercizio del potere di verifica dell'attività svolta all'interno delle varie amministrazione, ciò anche alla luce della disposta abolizione di ogni forma di controllo preventiva sugli atti e sull'attività,

impegna il Governo

a valutare le iniziative normative idonee a potenziare e stanziare risorse umane e finanziare per esercitare efficacemente l'attività. di prevenzione della corruzione.
9/4434-A/35Barbato, Messina, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    nella classifica internazionale di Transparency International sulla percezione della corruzione, da oltre un decennio l'Italia è protagonista di un costante scivolamento, arrivando con la graduatoria del 2010, resa pubblica a fine ottobre, al 67o posto, sopravanzata da Ruanda, Ghana,Tunisia, Lettonia e Namibia per la maggiore trasparenza dei loro processi decisionali nel settore pubblico;
    trattasi del punteggio più basso dal 1995 – l'Italia era al 41o posto nel 2006 – che colloca l'Italia quart'ultima tra i paesi dell'Unione europea, e prima per deterioramento tra il 2009 e il 2010 tra i 178 considerati da Transparency;
    esiste un legame diretto tra la pratica effettiva della corruzione e le sensazioni diffuse nell'insieme di osservatori privilegiati – esperti, imprenditori, ecc. – impiegato per costruire la graduatoria della corruzione nel mondo;
    ad esempio, un sondaggio di Eurobarometro del 2009 mostra che il 17 per cento dei cittadini italiani nel corso del 2008 si sono visti chiedere o offrire una tangente, contro una media europea del 9 per cento. La correlazione tra questa statistica, che misura la corruzione realmente consumata nei paesi dell'Unione europea, e l'indice di Transparency dello stesso anno è altissima, mostrando una sovrapposizione quasi perfetta: i paesi scandinavi sono in vetta alla graduatoria sulla trasparenza, in coda si trovano Bulgaria, Romania, Grecia e Italia; il peso della corruzione sui bilanci pubblici, stimato dal procuratore generale della Corte dei conti nel febbraio 2010 intorno ai 50-60 miliardi di euro l'anno, appare sempre più insostenibile a fronte delle difficoltà della finanza pubblica, cui occorre aggiungere la rendita incamerata dai corruttori che con le loro imprese si aggiudicano appalti grazie all'assenza di competizione e di controlli (stimato dalla stessa Transparency in circa il 40-50 per cento in media del valore di opere, servizi e forniture pubbliche) e il costo sociale che discende dai «segnali» distorti che indirizzano le scelte nel mercato e nella società; laddove la corruzione è prassi abituale intacca alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni rappresentative, producendo un costo politico. La corruzione, in altri termini, non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici, ma genera un pericoloso deficit di democrazia;
    in termini pratici, perché va a falsare la competizione elettorale che della democrazia è il meccanismo procedurale per eccellenza, assicurando risorse addizionali e un vantaggio concorrenziale ai corruttori e corrotti, ma anche la violazione di valori democratici fondamentali quali i principi di trasparenza e uguaglianza;negli stessi anni in cui il punteggio dell'Italia, secondo l'indice di Transparency della corruzione percepita, sprofonda, le inchieste giudiziarie segnano il passo, passando dai quasi 2.000 crimini e oltre 3.000 persone denunciate degli anni ’90 alle sole 220 denunce alle forze di polizia del 2009. Ancor più drastica la riduzione delle condanne per reati di corruzione, da un massimo di oltre 1700 condanne per reati di corruzione nel 1996 si giunge alle appena 239 del 2006, con dati particolarmente rilevanti per alcune regioni (da 138 condanne nel 1996 a 5 nel 2006 in Sicilia; da 545 a 43 in Lombardia; da 19 a nessuna in Calabria);
    si è pertanto allargata la forbice tra corruzione praticata e corruzione denunciata, ossia l'ammontare di reati portati a compimento con successo, rafforzando la sensazione di impunità per i suoi protagonisti;
    è quanto mai urgente che il Governo e il Parlamento riconoscano la priorità di realizzare un sistema di norme chiare, con strumenti e sanzioni efficaci in grado di contrastare al meglio il diffondersi della corruzione, un'autentica piaga economica e sociale, quali la confisca e l'uso sociale dei beni sottratti ai corrotti (introdotta dall'articolo 1, comma 220, della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006) che ha esteso la confisca di valori ingiustificati ai reati contro la pubblica amministrazione);
    è quanto mai opportuno rinnovare l'attenzione su un fenomeno che minaccia la credibilità e il prestigio delle istituzioni,corrode il senso civico, distorce gravemente l'economia e sottrae risorse notevoli alle comunità in un momento di particolare difficoltà per la finanza pubblica attivare iniziative e momenti di sensibilizzazione al fine della formazione civile contro la corruzione;
    l'articolo 6 della Convenzione ONU contro la Corruzione dal titolo «Organo o organi di prevenzione della Corruzione» dispone che «Ciascuno Stato assicura, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, l'esistenza di uno o più organi, secondo quanto necessario, incaricati di prevenire la corruzione...». Il secondo comma dell'articolo 6 continua statuendo che «Ogni Stato Parte, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, concede all'organo o agli organi di cui al paragrafo 1 del presente articolo, l'indipendenza necessaria a permettere loro di esercitare efficacemente le loro funzioni al riparo da ogni indebita influenza e le risorse materiali ed il personale specializzato necessari, nonché la formazione di cui tale personale può avere bisogno per esercitare le sue funzioni ...»;
    due osservazioni a commento dell'articolo 6: la norma non esclude che all'interno di uno Stato ci sia più di un organo, ufficio etc. che svolga attività di prevenzione della corruzione. La norma richiede però che l'organo o gli organi che svolgano attività di prevenzione della corruzione abbiano la necessaria indipendenza e le risorse umane e finanziare per la loro attività;
    una volta dato conto dell'ineffettività del sistema di tutela penale nei confronti del fenomeno della corruzione, occorre evidenziare che il punto di partenza imprescindibile per una azione di prevenzione realmente efficace dovrebbe essere dato dall'incentivazione del ruolo svolto dai servizi di controllo interno;
    infatti, soltanto i controlli interni possono consentire un costante esercizio del potere di verifica dell'attività svolta all'interno delle varie amministrazione, ciò anche alla luce della disposta abolizione di ogni forma di controllo preventiva sugli atti e sull'attività,

impegna il Governo

a valutare, nei limiti delle risorse disponibili, le iniziative normative idonee a potenziare e stanziare risorse umane e finanziare per esercitare efficacemente l'attività. di prevenzione della corruzione.
9/4434-A/35. (Testo modificato nel corso della seduta) Barbato, Messina, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia la diffusione della corruzione nella pubblica amministrazione ha assunto proporzioni di assoluta gravità. Nel Rapporto GRECO (Group of States against corruption) del 2011 si legge che la corruzione è profondamente radicata in diverse aree della pubblica amministrazione, nella società civile, così come nel settore privato. Il pagamento delle tangenti sembra pratica comune per ottenere licenze e permessi, contratti pubblici, finanziamenti, per superare gli esami universitari, esercitare la professione medica, stringere accordi nel mondo calcistico, ecc. (...). La corruzione in Italia è un fenomeno pervasivo e sistemico che influenza la società nel suo complesso;
    la prima relazione della Commissione anti-corruzione, istituita dal Ministro Patroni Griffi, si è presa la briga di inserire nella proposta di decreto norme relative alla protezione dei whistleblowers;
    con il termine inglese whistleblower viene definito un individuo che denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite o fraudolente all'interno del governo, di un'organizzazione pubblica o privata o di un'azienda. Le rivelazioni possono essere di varia natura: violazione di una legge o di un regolamento, minaccia di interesse pubblico come in caso di corruzione e frode;
    i whistleblowers possono denunciare tali condotte all'interno dell'organizzazione stessa, o renderle pubbliche attraverso i media o le associazioni che si occupano dei problemi in questione. Spesso i whistleblowers si espongono a ritorsioni e rivalse da parte dell'istituzione che hanno accusato o di altre organizzazioni correlate;
    ma, nonostante l'apparente buona volontà della Commissione anticorruzione, il testo è scarso e non dotato di incisività a largo raggio. La proposta all'articolo 4 «prevede a tutela del dipendente che lo stesso non possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria. Si prevede l'obbligo di segretezza dell'identità del segnalante e un regime specifico di segnalazione dell'adozione di misure discriminatorie al Dipartimento della funzione Pubblica»;
    l'articolo 4-bis prevede che «a chiunque segnala all'autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti condotte illecite che cagionano danno erariale o all'immagine della pubblica amministrazione, spetta un premio in denaro non inferiore al 15 e non superiore al 30 per cento della somma recuperata a seguito della segnalazione. Ai fini della determinazione di detta somma si tiene conto del contributo attivo di colui che ha segnalato la condotta illecita. [..] in ogni caso la somma spettante a titolo di premio non può eccedere i due milioni di euro.»;
    si tratta innanzitutto, di una proposta parziale che non mina i patti illeciti dei grandi corrotti. Infatti, la soglia massima dei due milioni di euro non darà alcun incentivo a denunciare i giganteschi traffici d'affari che girano intorno ai grandi appalti. La storia di Mani Pulite ci insegna che il «sistema Chiesa» prevedeva in media il 10 per cento del valore dell'appalto come tangente. Mantenendo per semplicità che le tangenti corrispondono al 10 per cento dell'affare bisognerà valutare l'efficacia di tale proposta al netto delle transazioni di grandi importi, superiori ai 20 milioni di euro, ad esempio quelle che negli ultimi anni hanno caratterizzato gli scandali P3 e P4;
    gli sconti normativi a favore dell'illegalità sono simili a una svendita. L'articolo 4 della proposta prevede la tutela per i dipendenti pubblici, escludendo quindi tutti i dipendenti privati seppure a conoscenza di illeciti;
    questo dettaglio o svista non riduce soltanto l'incisività dell'articolo 4, dato che l'introduzione del reato di corruzione tra privati non potrà contare sull'integrità e la voglia di giustizia di tutti quegli italiani e non impiegati nel settore privato. Ancora una volta, l'Italia o chi per lei gode nel vedere proliferare gli interventi legislativi senza assumersi la responsabilità di un cambiamento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare un'iniziativa legislativa idonea a considerare anche la tutela dei dipendenti impiegati nel settore privato che riferiscano alle autorità attività illecite o fraudolente all'interno del governo, di un'organizzazione pubblica o privata o di un'azienda.
9/4434-A/36Leoluca Orlando, Borghesi, Evangelisti, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'importanza del tema della corruzione è strettamente legata alla sua dimensione economica, sia nazionale che europea, e all'ammontare di risorse che la corruzione drena dal sistema economico. Il settore dei contratti pubblici muove circa il sette per cento del PIL nazionale, il sedici per cento del PIL europeo e assegna ogni anno in Italia circa 125 mila contratti di importo superiore a 40 mila euro. Secondo le stime di Transparency International, del Servizio anticorruzione e trasparenza della Presidenza del Consiglio dei ministri e della Procura generale presso la Corte dei conti, la corruzione «costa» al sistema economico italiano circa 60 miliardi di euro all'anno;
    sebbene i dati sul numero di condanne (6), di denunce e di arresti per corruzione ne tratteggino un trend decrescente, almeno dal 2000 al 2007, sembra che questi stessi dati, dal 2008 in poi, abbiano fatto registrare una controtendenza e che la «qualità» della corruzione, ossia la sua pervasività ai più alti livelli istituzionali, il suo utilizzo costante da parte delle organizzazioni criminali e la sua percezione sociale siano cresciuti notevolmente;
    inoltre, i dati sul Corruption Perception Index, dal 2005 al 2011, mostrano come la corruzione percepita nel settore pubblico, legata principalmente al numero di casi esistenti ma non scoperti (c.d. «numero oscuro»), sia aumentata in maniera evidente;
    in quest'ottica, lo scambio corruttivo si manifesta attraverso una serie di reati (dazione o sollecitazione di tangenti, riciclaggio, traffico di influenze, peculato, malversazione, abuso di poteri, illecito arricchimento). Le Convenzioni internazionali sulla corruzione cercano di punire gli intermediari della corruzione e di dare rilievo, di conseguenza, ad un rapporto trilaterale (corrotto corruttore-intermediario), piuttosto che ad un rapporto bilaterale tradizionale;
    l'articolo 29 del Trattato sull'Unione europea cita la corruzione tra le forme di criminalità, organizzata o di altro tipo, che l'Unione si impegna a prevenire e reprimere per conseguire l'obiettivo della creazione e del mantenimento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia tramite una più stretta cooperazione di polizia, giudiziaria e doganale, nonché, ove necessario, il ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale;
    trascendendo l'aspetto puramente repressivo, nel Piano d'azione contro la criminalità organizzata del 1997 il Consiglio aveva già chiesto che fosse elaborata, tenendo conto dei lavori già svolti in altre sedi internazionali, una politica globale contro la corruzione, incentrata principalmente sulla prevenzione. In particolare, aveva invitato gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione a tener altresì presenti tutti gli aspetti connessi con il corretto funzionamento del mercato interno e le altre politiche interne, nonché l'assistenza e la cooperazione esterne;
    sarebbe auspicabile ogni messaggio che incentivi la disapprovazione collettiva nei confronti degli atti di corruzione con campagne di sensibilizzazione attraverso i mezzi di comunicazione e con la formazione. Il messaggio centrale deve essere che la corruzione non è un fenomeno tollerabile, bensì un reato. La società civile ha un ruolo importante da svolgere nel prevenire e combattere questo problema,

impegna il Governo

a mettere in atto le raccomandazioni rivolte all'Italia da parte degli Organismi internazionali che operano in contrasto alla corruzione e a valutare la possibilità di avviare, anche tramite iniziative normative, la preparazione collettiva nei confronti degli atti di corruzione con campagne di sensibilizzazione attraverso i mezzi di comunicazione e con la formazione.
9/4434-A/37Porcino, Di Stanislao, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'importanza del tema della corruzione è strettamente legata alla sua dimensione economica, sia nazionale che europea, e all'ammontare di risorse che la corruzione drena dal sistema economico. Il settore dei contratti pubblici muove circa il sette per cento del PIL nazionale, il sedici per cento del PIL europeo e assegna ogni anno in Italia circa 125 mila contratti di importo superiore a 40 mila euro. Secondo le stime di Transparency International, del Servizio anticorruzione e trasparenza della Presidenza del Consiglio dei ministri e della Procura generale presso la Corte dei conti, la corruzione «costa» al sistema economico italiano circa 60 miliardi di euro all'anno;
    sebbene i dati sul numero di condanne (6), di denunce e di arresti per corruzione ne tratteggino un trend decrescente, almeno dal 2000 al 2007, sembra che questi stessi dati, dal 2008 in poi, abbiano fatto registrare una controtendenza e che la «qualità» della corruzione, ossia la sua pervasività ai più alti livelli istituzionali, il suo utilizzo costante da parte delle organizzazioni criminali e la sua percezione sociale siano cresciuti notevolmente;
    inoltre, i dati sul Corruption Perception Index, dal 2005 al 2011, mostrano come la corruzione percepita nel settore pubblico, legata principalmente al numero di casi esistenti ma non scoperti (c.d. «numero oscuro»), sia aumentata in maniera evidente;
    in quest'ottica, lo scambio corruttivo si manifesta attraverso una serie di reati (dazione o sollecitazione di tangenti, riciclaggio, traffico di influenze, peculato, malversazione, abuso di poteri, illecito arricchimento). Le Convenzioni internazionali sulla corruzione cercano di punire gli intermediari della corruzione e di dare rilievo, di conseguenza, ad un rapporto trilaterale (corrotto corruttore-intermediario), piuttosto che ad un rapporto bilaterale tradizionale;
    l'articolo 29 del Trattato sull'Unione europea cita la corruzione tra le forme di criminalità, organizzata o di altro tipo, che l'Unione si impegna a prevenire e reprimere per conseguire l'obiettivo della creazione e del mantenimento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia tramite una più stretta cooperazione di polizia, giudiziaria e doganale, nonché, ove necessario, il ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale;
    trascendendo l'aspetto puramente repressivo, nel Piano d'azione contro la criminalità organizzata del 1997 il Consiglio aveva già chiesto che fosse elaborata, tenendo conto dei lavori già svolti in altre sedi internazionali, una politica globale contro la corruzione, incentrata principalmente sulla prevenzione. In particolare, aveva invitato gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione a tener altresì presenti tutti gli aspetti connessi con il corretto funzionamento del mercato interno e le altre politiche interne, nonché l'assistenza e la cooperazione esterne;
    sarebbe auspicabile ogni messaggio che incentivi la disapprovazione collettiva nei confronti degli atti di corruzione con campagne di sensibilizzazione attraverso i mezzi di comunicazione e con la formazione. Il messaggio centrale deve essere che la corruzione non è un fenomeno tollerabile, bensì un reato. La società civile ha un ruolo importante da svolgere nel prevenire e combattere questo problema,

impegna il Governo

a mettere in atto, nei limiti delle risorse disponibili, le raccomandazioni rivolte all'Italia da parte degli Organismi internazionali che operano in contrasto alla corruzione e a valutare la possibilità di avviare, anche tramite iniziative normative, la preparazione collettiva nei confronti degli atti di corruzione con campagne di sensibilizzazione attraverso i mezzi di comunicazione e con la formazione.
9/4434-A/37. (Testo modificato nel corso della seduta) Porcino, Di Stanislao, Paladini.


   La Camera,
   premesso che:
    i fenomeni corruttivi si circoscrivono anche prevenendo il contenzioso e permettendo con maggiore elasticità la partecipazione ai procedimenti amministrativi più complessi, dai quali dipendono scelte significative da parte dei soggetti pubblici, portatori di interessi a livello individuale e diffuso;
    tale partecipazione acquista reale effettività se, per esempio, nei procedimenti di pianificazione territoriale e in quelli di realizzazione delle opere infrastrutturali, si procede secondo la forma dell'udienza pubblica,

impegna il Governo

in sede di applicazione delle norme del presente disegno di legge, e in particolare di quanto contenuto nei primi articoli, a emanare una direttiva tesa a far sì che, nei procedimenti di pianificazione territoriale e in quelli di realizzazione delle opere infrastrutturali, si individuino forme di coinvolgimento sostanziale – privilegiando l'udienza pubblica – dei soggetti portatori di interessi di cui all'articolo 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241, se necessario, rettificando quanto previsto dal regolamento di cui al comma 2 del medesimo articolo.
9/4434-A/38Pagano, Mantovano, Costa.


   La Camera,
   premesso che:
    i fenomeni corruttivi si circoscrivono anche prevenendo il contenzioso e permettendo con maggiore elasticità la partecipazione ai procedimenti amministrativi più complessi, dai quali dipendono scelte significative da parte dei soggetti pubblici, portatori di interessi a livello individuale e diffuso;
    tale partecipazione acquista reale effettività se, per esempio, nei procedimenti di pianificazione territoriale e in quelli di realizzazione delle opere infrastrutturali, si procede secondo la forma dell'udienza pubblica,

impegna il Governo

in sede di applicazione delle norme del presente disegno di legge, e in particolare di quanto contenuto nei primi articoli, a rendersi promotore di una normativa tesa a far sì che, nei procedimenti di pianificazione territoriale e in quelli di realizzazione delle opere infrastrutturali, si individuino forme di coinvolgimento sostanziale – privilegiando l'udienza pubblica – dei soggetti portatori di interessi di cui all'articolo 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241, se necessario, rettificando quanto previsto dal regolamento di cui al comma 2 del medesimo articolo.
9/4434-A/38. (Testo modificato nel corso della seduta) Pagano, Mantovano, Costa.


   La Camera,
   premesso che:
    con una certa frequenza si assiste alla seguente preoccupante scansione: viene adottato un provvedimento amministrativo, è presentato il ricorso contro lo stesso, è annullato l'atto da parte del giudice in quanto ritenuto illegittimo, e quindi viene resa vana la sentenza a seguito di rinuncia al ricorso da parte dell'impugnante prima che la sentenza medesima diventi definitiva. Se la sentenza viene meno, il provvedimento annullato rivive, pur se il giudice amministrativo lo ha censurato;
    il fenomeno si realizza soprattutto nei procedimenti riguardanti gare di appalto: la patologia del fenomeno vede il concorrente escluso dall'aggiudicazione che presenta il ricorso; successivamente egli contratta occultamente con l'aggiudicatario la propria rinuncia al medesimo ricorso, con un «prezzo» che sale a mano a mano che ci si avvicina alla sentenza, e cresce ulteriormente dopo la pronuncia, se accoglie le istanze del ricorrente;
    i fenomeni corruttivi si circoscrivono anche eliminando queste trattative, soprattutto quando deve prevalere l'interesse pubblico a non far rivivere un atto motivatamente annullato,

impegna il Governo

in sede di applicazione delle norme del presente disegno di legge, e in particolare di quanto contenuto nei primi articoli, a emanare una direttiva alle amministrazioni pubbliche tesa a far sì che, con particolare riferimento ai procedimenti di appalto, esse intensifichino l'esercizio dell'autotutela per i provvedimenti colpiti da sentenza di annullamento, ancorché non definitiva, pur quando colui che ha ottenuto soddisfazione in sede giurisdizionale rinunci al ricorso. Ciò in particolare quando vi sia interesse pubblico a non dare esecuzione a un atto dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo.
9/4434-A/39Mantovano, Pagano, Costa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'ammodernamento del nostro sistema giudiziario passa anche attraverso l'adeguamento del diritto – penale, civile e processuale – agli standard comuni europei e internazionali, presupposto necessario e imprescindibile affinché sia meglio coniugata la lotta alla criminalità con la tutela dei diritti fondamentali e prosegua il processo di armonizzazione di istituti e procedure degli Stati membri dell'Unione europea;
    il mancato recepimento di alcune decisioni-quadro dell'Unione europea in materia di giustizia ha determinato un ritardo del nostro Paese nel processo di adattamento e di ridefinizione degli strumenti normativi definiti a livello europeo;
    in particolare, non hanno ancora trovato attuazione la decisione-quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio, e la decisione-quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa al reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, per le quali sono già scaduti i termini di attuazione, e delle quali la finalità principale è di realizzare, in modo uniforme sul territorio europeo, un efficace contrasto alla formazione dei profitti economici della criminalità organizzata;
    la delega per il recepimento della decisione-quadro 2006/783/GAI era contenuta nell'articolo 50 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008), ma il termine previsto dalla medesima legge per l'esercizio della delega è trascorso senza che sia stato adottato dal Governo il necessario decreto legislativo di attuazione;
    anche la Commissione europea, chiamata a controllare l'attuazione della decisione quadro 2006/783/GAI e la sua osservanza da parte degli Stati membri, in una relazione del febbraio 2010 e in una comunicazione dell'agosto 2010, ha invitato i Paesi che non hanno ancora emanato la legislazione a provvedere in tal senso, mettendo in luce come uno scarso livello di attuazione della normativa contenuta nella decisione quadro, unitamente alla permanenza di ostacoli burocratici, impedisca il reciproco riconoscimento delle sentenze concernenti la confisca;
    in altre occasioni parlamentari è stata sollecitata l'urgenza del recepimento di tale decisione quadro; la mancanza di una normativa di attuazione rende difficoltosa la collaborazione fra le nostre autorità giudiziarie e quelle degli altri Stati membri e pregiudica un'efficace azione di contrasto del crimine transfrontaliero; l'esecuzione all'estero dei provvedimenti di confisca dei proventi di reato, compresi i patrimoni della mafia e delle altre organizzazioni criminali, costituisce uno strumento di contrasto fondamentale e insostituibile ed è un obiettivo che l'Italia dovrebbe inserire tra le priorità di azione, anche in considerazione del rientro di cospicue risorse che lo strumento della confisca consente, quanto mai opportuno in un momento di grave crisi economico-finanziaria,

impegna il Governo

a presentare tempestivamente un'iniziativa legislativa volta al recepimento della decisione-quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa al reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, e la decisione-quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio.
9/4434-A/40Garavini, Ferranti, Giovanelli, Bossa, Burtone, Genovese, Marchi, Andrea Orlando, Piccolo, Veltroni, Samperi, Gozi, Lovelli.


   La Camera,
   premesso che:
    visto l'articolo 10 del provvedimento recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
    rilevato come nella rubrica di detto articolo venga fatto espresso riferimento alle condanne in via definitiva per delitti non colposi nel mentre alla lettera b) del comma 2 non figuri il riferimento ai delitti «non colposi»,

impegna il Governo

ad adoperarsi attraverso ulteriori iniziative normative anche urgenti, affinché sia inserito il riferimento ai delitti non colposi anche nel testo dell'articolo.
9/4434-A/41Santelli, Contento.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
    in particolare, l'articolo 10 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo recante un testo unico della normativa in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo (a livello centrale, regionale, locale ed europeo), conseguente a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi;
    la finalità del testo unico è, inoltre, quella di disciplinare i casi di decadenza e di sospensione dalle cariche in caso di sentenze definite di condanna successive all'elezione o all'assunzione della carica e di coordinare le norme sull'incandidabilità con quelle vigenti in materia di interdizione dai pubblici uffici e di riabilitazione, nonché con le restrizioni all'esercizio del diritto di voto attivo;
    è evidente che si tratta di temi particolarmente delicati e rilevanti che, se affrontati in maniera efficace e credibile, possono decisamente contribuire all'avvio di una nuova stagione politica e «civile» per il nostro Paese;
    in questo particolare momento storico, caratterizzato da un forte e diffuso senso di sfiducia collettiva nei confronti della politica che rischia, se non contrastato efficacemente, di delegittimare l'intero sistema istituzionale italiano, è quanto mai urgente e necessario, infatti, dare «segnali» forti e concreti di coerenza, di serietà e di trasparenza;
    è auspicabile, quindi, che tutti i partiti e i movimenti politici, con una seria e coerente assunzione di responsabilità, non candidino nelle proprie liste coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per alcuni reati particolarmente gravi e di particolare allarme sociale, recependo integralmente il codice etico di formazione delle liste delle candidature approvato all'unanimità da tutti gli schieramenti politici presenti in Commissione bicamerale antimafia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tutte le misure di competenza – anche attraverso ulteriori interventi di carattere normativo – volte a recepire nell'ordinamento princìpi introdotti dal codice etico di cui in premessa.
9/4434-A/42Granata, Della Vedova, Bocchino, Menia, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Barbaro, Consolo, Di Biagio, Divella, Galli, Lamorte, Lo Presti, Moroni, Muro, Paglia, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Ruben, Scanderebech, Toto.


   La Camera,
   visto l'articolo 10 del provvedimento legislativo A.C. 4434-A, recante delega al Governo per l'adozione di un testo in materia di incandidabilità (cariche elettive e di governo),

impegna il Governo

ad esercitare la delega in tempo utile per le prossime elezioni.
9/4434-A/43. (Nuova formulazione) Franceschini, Paolini, Mantini, Favia, Della Vedova, Galletti, Corsaro, Fallica.


INTERPELLANZE URGENTI

Tempi per l'adozione dei regolamenti attuativi previsti dall'articolo 99 del «codice antimafia» relativi all'istituzione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia – 2-01523

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro della giustizia, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'analisi storica dei metodi di infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema degli appalti di lavori pubblici e privati ha messo in luce una pericolosa sintonia economica di larga parte di ceti imprenditoriali con le organizzazioni mafiose;
   il triste binomio mafia-appalti rappresenta la sintesi verbale di una modalità di inquinamento della pubblica e privata economia da parte della malavita organizzata, che realizza un'aggressione particolarmente insidiosa delle regole del libero mercato e della libera iniziativa economica privata;
   allorquando sono coinvolti nel sistema anche settori deviati della politica nazionale e locale, l'intreccio verbalmente rappresentato dal trinomio mafia-appalti-politica diventa pericoloso fattore di inquinamento e distorsione dell'assetto democratico, con effetti destabilizzanti che già sono in fase avanzata in varie zone del Paese, assoggettate al potere di associazioni a delinquere o dalle stesse fortemente condizionate;
   il libro II del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 («codice antimafia»), istituisce presso il Ministero dell'interno la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, quale piattaforma tecnologica su cui basare, con funzione di accelerazione, il procedimento di rilascio della comunicazione ed informazione antimafia in vista del potenziamento dell'attività di prevenzione di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'attività d'impresa;
   l'istituzione della banca dati, come da più parti sottolineato, rappresenta l'innovazione più incisiva nel nuovo corpus normativo, poiché, per suo tramite, si realizza una semplificazione delle procedure di rilascio della documentazione antimafia, con evidenti effetti positivi in termini di celerità ed efficienza nel costante monitoraggio delle imprese e nella prevenzione dei tentativi di infiltrazione delle mafie negli appalti;
   l'effettiva entrata in vigore del nuovo sistema normativo è stata, tuttavia, notevolmente differita nel tempo;
   l'articolo 119 dispone, invero, che tutte le disposizioni recate dai capi I, II, III e IV del libro II entreranno in vigore trascorsi 24 mesi dall'entrata in vigore dell'ultimo dei regolamenti sul funzionamento della citata banca dati di cui all'articolo 99, non ancora emanati, così determinando una perpetuatio nell'applicazione delle previgenti disposizioni, destinata a protrarsi per un lungo periodo, ad avviso degli interpellanti, con ulteriori consequenziali problemi di compatibilità con la previsione della legge delega, che consente l'emanazione di decreti integrativi e correttivi nel termine di tre anni dall'entrata in vigore del decreto delegato –:
   se i Ministri interpellati ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza, con la massima urgenza, per dare piena e completa attuazione alla normativa di cui in premessa con l'adozione dei regolamenti previsti dall'articolo 99 del «codice antimafia», all'entrata in vigore dei quali è subordinata, ai sensi dell'articolo 119, quella di tutte le disposizioni recate dai capi I, II, III e IV del libro II, e quali siano, a tutt'oggi, le ragioni del ritardo nell'adozione dei regolamenti.

(2-01523) «Garavini, Bachelet, Brandolini, Fluvi, Luongo, Fiano, Rosato, Peluffo, Ginefra, Carella, Martella, Sani, Pizzetti, Marchi, Cenni, Vaccaro, Zampa, Fogliardi, Veltroni, Madia, Motta, De Biasi, Oliverio, Scarpetti, Pes, Lulli, Marrocu, Coscia, Realacci, Viola, Braga, Bossa, Albonetti».


Elementi in merito alla annunciata soppressione della prefettura di Massa-Carrara – 2-01531

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la prefettura di Massa-Carrara, istituita nel 1859, è una delle più antiche d'Italia; con l'istituzione della prefettura è sempre stata garantita la presenza dello Stato in un territorio di confine tra le culture ligure, emiliana e toscana, caratterizzato da una radicata tradizione anarchica che, negli ultimi due secoli, ha fornito alla storia avvenimenti di eccezionale rilievo storico e politico, la cui eco, ancora oggi, viene percepita con la celebrazione di ricorrenze ed anniversari;
   in una realtà sociale e politica da sempre fortemente conflittuale, la prefettura di Massa-Carrara da sempre svolge un apprezzatissimo ruolo di interlocutore istituzionale privilegiato, aperto a confronti costruttivi con le rappresentanze istituzionali politiche e sindacali e unanimemente riconosciuto come indispensabile fattore positivo nella gestione delle problematiche territoriali;
   in questo momento storico, in cui il territorio della provincia sta vivendo una crisi economico-occupazionale senza precedenti, la funzione dell'ufficio di Governo viene esercitata con rinnovato vigore, sistematicità e rilievo; infatti, continuo è il confronto costruttivo tra prefettura, sindacati, istituzioni locali e centrali, per promuovere iniziative istituzionali atte a contrastare la sfavorevole congiuntura economica che comporta una fortissima tensione sociale con importanti conseguenze per il mantenimento dell'ordine pubblico;
   basta ricordare le più recenti vertenze seguite dalla prefettura: quella relativa alla mobilità dei 320 lavoratori dello stabilimento Eaton di Massa e la vertenza in atto dei Nuovi cantieri Apuania di Marina di Carrara, che con circa 200 dipendenti ed un indotto di circa 500 addetti genera una già delicatissima situazione di criticità sotto il profilo dell'ordine pubblico a causa delle incerte prospettive sul mantenimento dell'importante insediamento produttivo;
   frequentemente, questi lavoratori svolgono manifestazioni pubbliche ed attuano presidi, trovando ascolto e iniziative di mediazione da parte della prefettura, che contribuisce in modo determinante sia a fare sentire vicine alle loro esigenze le istituzioni governative che a stemperare le più forti tensioni esistenti, suscettibili di cagionare gravi conseguenze per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica;
   la situazione dell'ordine pubblico nella provincia di Massa-Carrara presenta problematiche di estremo rilievo rispetto alle altre realtà del contesto toscano, se si considera la presenza attiva sia a Massa che a Carrara di movimenti antagonisti, Carc, centri sociali e altri sodalizi comunque gravitanti nell'area più estrema dei movimenti pseudorivoluzionari, i quali quasi settimanalmente organizzano azioni di mobilitazione che richiedono l'impegno sinergico della prefettura e degli organi di polizia;
   Carrara, peraltro, è storicamente nota per la presenza attiva e operante di movimenti anarchici profondamente radicati nel territorio, in un contesto ideologico attrattivo anche per tutte quelle realtà che in Italia gravitano nel movimento anarchico e che trovano come punto di riferimento il contesto anarchico operante in quella città;
   si consideri che in un siffatto quadro, in cui non è possibile escludere a priori tendenze eversive, l'attività della prefettura si svolge in un ambito estremamente delicato, tanto più, come già ricordato, in presenza di fortissime tensioni sociali dovute alla crisi economica, che costituiscono spesso il motivo per giustificare azioni di forte protesta e in alcuni casi anche violente da parte di tali movimenti;
   la provincia di Massa-Carrara non è neppure un'isola felice sotto il profilo delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico;
   in occasione dei lavori di costruzione della cosiddetta strada dei marmi, la prefettura, d'intesa con la direzione investigativa antimafia, ha disposto più volte accessi ai cantieri e, dall'attività svolta dal gruppo interforze, sono emersi numerosi tentativi di infiltrazione nell'economia locale da parte di sodalizi riconducibili alla ’ndrangheta calabrese;
   dalla lettura dei rapporti della direzione investigativa antimafia è facile comprendere come questo territorio sia fortemente a rischio di attacchi da parte della criminalità organizzata;
   il più recente rapporto della Fondazione Caponnetto, sul rischio d'infiltrazione della criminalità in Toscana, pone la provincia di Massa-Carrara al primo posto, anche per la particolare collocazione geografica di collegamento con la Liguria e l'Emilia, tale da prestarsi a facili raccordi, peraltro accertati in più rapporti dei competenti organi investigativi, con i sodalizi criminali delle regioni limitrofe;
   a questo si aggiunge la fragilità idrogeologica del territorio provinciale e lo stato di abbandono delle zone montane e di alcuni corsi d'acqua che causano frequenti eventi alluvionali, provocando gravi danni alle attività produttive e commerciali e rendendo ancora più difficile la già precaria situazione economica;
   è il caso di ricordare che la provincia di Massa-Carrara per ben tre anni consecutivi ha subito eventi alluvionali di grandissima portata; l'ultimo del 25 ottobre 2011 ha causato purtroppo vittime e ingenti danni ai comuni della Lunigiana. È in corso un protocollo di legalità tra la prefettura e il presidente della regione, nella qualità di commissario straordinario per l'emergenza, per prevenire eventuali tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nelle opere di ricostruzione dei siti danneggiati;
   il territorio è classificato a livello nazionale come una delle zone a più alto rischio sismico e tale situazione si complica a causa del fatto che la maggior parte dei comuni sono montani e per lo più costituiti da borghi storici;
   non va sottovalutato, infine, che l'esigenza di mantenere l'ufficio territoriale del Governo nella provincia apuana è fortemente sentita dagli amministratori locali, dai sindacati, dalle forze sociali ed in genere dalla cittadinanza, che trovano nella presenza dello Stato sul territorio il punto di riferimento indispensabile per ogni loro istanza;
   non si conoscono le motivazioni che inducono il Ministro interpellato ad inserire tra le prefetture da accorpare quella di Massa-Carrara, ad avviso degli interpellanti senza una reale conoscenza delle complesse problematiche del territorio e secondo valutazioni che si rifanno esclusivamente all'entità numerica della popolazione della provincia;
   il Ministro interpellato ha dichiarato di voler mantenere inalterato il livello di sicurezza nelle varie realtà locali e anzi di rafforzare la presenza dello Stato nelle province; l'eventuale soppressione della prefettura di Massa-Carrara non si giustifica alla luce della breve analisi sopraesposta. Infatti, non può sopprimersi un'istituzione di lunga tradizione storica, di secolare presenza nel territorio, assolutamente necessaria per la tenuta del sistema istituzionale e per il mantenimento dell'ordine pubblico e che costituisce sicuramente il centro più importante dell'alta Toscana per la presenza di una realtà portuale di grande rilievo (Marina di Carrara) e di attività produttive ed estrattive, quali il marmo di Carrara, che costituisce la prima realtà mondiale in questo settore;
   l'eventuale soppressione, la cui motivazione appare riconducibile alla spending review, non tiene adeguatamente conto dell'importanza che ha per il territorio dell'alta Versilia e della Lunigiana l'ufficio territoriale del Governo di Massa-Carrara, né, peraltro, tiene conto degli effetti disastrosi che un'incomprensibile quanto immotivata soppressione della citata prefettura provocherebbe sul territorio, che diventerebbe potenzialmente aggredibile dalla criminalità organizzata, indebolendo la rete istituzionale preposta al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, tanto più nella prospettiva di un innalzamento delle tensioni sociali dovuto all'aggravarsi della crisi economica;
   l'esiguo risparmio realizzato dalla soppressione della prefettura di Massa-Carrara, che, secondo un calcolo approssimativo, in eccesso, non supera euro 250.000,00 annui (pari a metà dello stipendio di un alto dirigente pubblico), nel rapporto costi-benefìci non compensa le conseguenze negative sopra illustrate, ma contribuisce ad aggravare anche dal punto di vista istituzionale e della sicurezza l'impoverimento di un territorio già in fase di forte recessione –:
   se il Ministro interpellato abbia valutato attentamente l'iniziativa di accorpare la prefettura di Massa-Carrara, visto che l'eventuale decisione porterà un decremento del livello di controllo e tutela dell'ordine pubblico, susseguente a decisioni che penalizzano oggettivamente la sicurezza dei cittadini e delle imprese;
   se il Ministro interpellato non intenda applicare le leggi esistenti, ovvero creare l'ufficio territoriale del Governo secondo lo spirito con il quale era stato concepito e mai attuato, facendo confluire i vari uffici periferici dello Stato nel cosiddetto ufficio territoriale del Governo, sulla base di criteri di razionalizzazione della spesa pubblica corrente, senza dover stravolgere l'organizzazione gerarchica periferica dello Stato.
(2-01531) «Barani, Girlanda, De Luca, Castellani, Di Virgilio, Bocciardo, Ciccioli, Palumbo, Fucci, Mancuso, Porcu, Abelli, Gioacchino Alfano, Pianetta, Scapagnini, Mussolini, Berruti, Cazzola, De Nichilo Rizzoli, Vincenzo Antonio Fontana, Ascierto, Barba, Bellotti, Boniver, Ceccacci Rubino, Pagano, Rotondi, Scelli, Tortoli, Barbieri, Vessa, Testoni, Bernardo, Gibiino, Germanà, Formichella, De Camillis, Lisi, Roccella, Luciano Rossi, Scandroglio, Giammanco, Garofalo, Crimi, Ceroni, Antonino Foti, Tommaso Foti, Bergamini».


Iniziative di competenza volte a chiarire l'applicazione della disposizione che attribuisce il 60 per cento dei seggi alla coalizione vincente nelle elezioni comunali – 2-01521

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   al termine della competizione elettorale per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale di Piacenza del 20 e 21 maggio 2012 (al ballottaggio), alla coalizione vincente è stato attribuito il 60 per cento dei seggi, ai sensi dell'articolo 73, comma 10, del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   la percentuale del 60 per cento corrisponderebbe in realtà alla cifra di 19,2 consiglieri, la quale è stata poi arrotondata per eccesso (20 consiglieri), riconoscendo, pertanto, alla lista o gruppo di liste collegate al sindaco vincente una percentuale superiore al 60 per cento;
   la sentenza del Consiglio di Stato n. 1197 del 2012, che giustificherebbe un arrotondamento per eccesso, è stata sostanzialmente contraddetta da una successiva sentenza dello stesso Consiglio di Stato, la n. 2928 del 2012, la quale statuisce che la percentuale del 60 per cento dei seggi esprime il numero massimo dei seggi attribuibili a titolo di piena governabilità e che, quindi, non si può procedere ad alcun arrotondamento dei decimali all'unità superiore, in quanto la soglia del 60 per cento dei seggi attribuibili alla coalizione legata al sindaco vincente non deve essere superata –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza, anche normativa, al fine di giungere ad un chiarimento sulla materia, in modo da garantire nel miglior modo possibile il principio della rappresentanza, alla luce della recente sentenza del Consiglio di Stato n. 2928 del 2012 sopra citata, così evitando la possibile proliferazione di ricorsi ai competenti organi di giustizia.
(2-01521) «Polledri, Fogliato, Comaroli, Tommaso Foti, Cazzola, Toccafondi, Nizzi, Palmieri, Simonetti, Isidori, Minardo, Lussana, Muro, Iannarilli, Aracri, Pili, Di Vizia, Garofalo, Stradella, Vella, Briguglio, Gidoni, Meroni, Molgora, Callegari, Miserotti, Romele, Follegot, Fabi, Nola, Fugatti».


Chiarimenti in merito alla richiesta di cassa integrazione avanzata dalla Sigma Tau e iniziative volte a salvaguardare la produzione e i livelli occupazionali dello stabilimento di Pomezia – 2-01526

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la Sigma Tau, azienda leader nel settore farmaceutico, con più di cinquant'anni di attività alle spalle e sei società che impiegano un totale di 2.500 lavoratori in tutta Italia (di cui 1.500 nel sito di Pomezia) ha acquisito nel 2011 la società americana Enzon specializzata in orfan drug (farmaci orfani) per 300 milioni di dollari grazie ad una linea di intervento aperta da Banca Intesa (che possiede il 5 per cento di Sigma Tau finanziaria spa);
   il 13 giugno 2011, ad una settimana dalla scomparsa del fondatore del gruppo, Cesare Cavazza, i figli hanno inviato una lettera a tutto il personale rassicurandolo sugli scenari futuri e preannunciandone l'imminente quotazione in borsa;
   il nuovo presidente del consiglio di amministrazione, Andrea Montevecchi, insediatosi dopo la pausa estiva, ha firmato la richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore per 12 mesi per un numero massimo di 569 dipendenti, a decorrere dal 27 dicembre 2011. La lista, che riguarda 112 quadri, 401 impiegati e 56 operai, colpisce due linee di informatori farmaceutici di indubbia eccellenza, e la procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria prevede l'abbandono di alcuni progetti di ricerca e la riduzione della ricerca di base. Inoltre, a dicembre 2011 sono state messe in liquidazione due associate della Sigma Tau, la Prassis di Milano (30 addetti) e la Tecnogen di Caserta (70 addetti). Unitamente alla procedura, l'azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali la disdetta di tutti gli accordi a partire dal 1o gennaio 2012;
   i motivi della richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria, a detta dell'azienda, consistono «nell'effetto combinato della crisi economica mondiale e nelle modificazioni strutturali del mercato farmaceutico, che impongono una profonda revisione della struttura aziendale e del modello di business, certificata del resto dalla perdita di 20 milioni di euro a fine 2010»;
   i sindacati hanno contestato immediatamente i presupposti contabili e industriali della richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria. Infatti, il taglio sullo stabilimento di Pomezia, che fornisce servizi agli altri poli della corporate, sembra poco funzionale alla «diversificazione» invocata dal management aziendale, così come l'investimento sulla Enzon e la contestuale eliminazione delle biotecnologie e della ricerca cardiovascolare, ovvero i due settori di attività strategiche svolti da Prassis e Tecnogen. In sostanza, il piano industriale, preciso sui tagli al personale, risulta inconsistente sul piano delle scelte produttive e strategiche del gruppo: la riduzione della ricerca di base e il ridimensionamento delle attività svolte nel sito di Pomezia alimentano, ad oggi, il sospetto di una lenta delocalizzazione;
   la trattativa sulla procedura, iniziata presso la regione Lazio, su richiesta delle organizzazioni sindacali è approdata al Ministero dello sviluppo economico, per poi tornare alla regione e concludersi con un mancato accordo. Il 18 gennaio 2012 sono arrivate le prime 350 lettere in cui si comunicava la cassa integrazione guadagni straordinaria e sono state annunciate 108 esternalizzazioni: 69 per cessione di ramo d'azienda e 39 per affidamento di alcuni servizi all'esterno del perimetro aziendale;
   da lunedì 6 febbraio 2012 l'azienda ha convocato a più riprese i sindacati, che hanno posto questioni come la rotazione della cassa integrazione guadagni straordinaria, la riconferma degli accordi pregressi, l'integrazione salariale alla cassa integrazione guadagni straordinaria e l'apertura per la procedura della mobilità incentivata volontaria senza addivenire ad oggi ad alcuna intesa, con evidente nocumento per le condizioni materiali dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte;
   l'inchiesta giornalistica sulla Sigma Tau, trasmessa da Presadiretta su Raitre domenica 20 febbraio 2012, ha individuato in alcune operazioni di transfer pricing l'origine dello stato di crisi dichiarato dal gruppo. Come testimonia il «Processo verbale di constatazione» redatto dall'Agenzia delle entrate nel luglio 2010, Sigma Tau avrebbe trasferito quote di valore ad una consociata portoghese, la Defiante, con sede a Madeira, che acquista licenze e brevetti per poi rivenderli a prezzi differenti. Gli ispettori hanno quantificato in 11,55 milioni di euro i minori ricavi che il gruppo ha contabilizzato in Italia: dunque, minori ricavi con un patrimonio che è diminuito da 123 a 34 milioni di euro, mentre la società Defiante ha incrementato il proprio, da 31 a 310 milioni di euro. Il tutto in costanza di un regime fiscale particolarmente vantaggioso a Madeira (aliquote al 3 per cento, iva al 13 per cento contro il 21 per cento vigente in Italia). Ci sono tutti i presupposti per verificare se i minori ricavi sono strumentali al fine di evadere o eludere il fisco italiano –:
   quali verifiche si intendano promuovere in ordine alla legittimità dei presupposti di carattere contabile sui quali Sigma Tau ha incardinato la procedura di cassa integrazione, in considerazione delle contestazioni mosse dall'Agenzia delle entrate ai bilanci del gruppo;
   quali iniziative si intendano attivare per recuperare la trattativa, rimuovendo da tale negoziazione i rilevanti elementi di opacità riscontrati dalle organizzazioni sindacali, riaprendo insieme all'azienda, alle organizzazioni sindacali, ai rappresentanti dei lavoratori e alle istituzioni territoriali interessate un percorso di rilancio dello stabilimento di Pomezia all'interno del perimetro della corporate, anche con il concorso di un rinnovato investimento da parte del Governo nel settore della ricerca e della produzione farmaceutica, al fine di dare certezze ai lavoratori di Sigma Tau.
(2-01526) «Di Pietro, Donadi, Paladini».


Chiarimenti in ordine ai costi per l'allaccio alle reti dei servizi pubblici essenziali nei territori colpiti dai recenti eventi sismici e interventi per il contenimento di tali oneri – 2-01527

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   dalla mattina di domenica 20 maggio fino ad oggi, un susseguirsi di terremoti devastanti continua a colpire l'area delle province di Ferrara, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo;
   sono stati distrutti edifici pubblici e privati e sono crollati chiese e monumenti; sono ingenti i danni agli edifici storici e di culto e alle case coloniche; è stata devastata una serie di aziende agricole e sono crollati molti edifici industriali e capannoni, provocando morti e feriti soprattutto tra gli operai;
   l'accavallarsi delle scosse ha creato un ingente numero di sfollati, superiore a 15.000, molti dei quali hanno trovato rifugio in alloggi di fortuna, roulotte o tende di proprietà privata;
   da notizie riportate dai mass media e dalla viva voce degli sfollati riportata dai telegiornali, sembra che per l'allaccio di tali alloggi di fortuna ai servizi essenziali, ed in particolare alla rete elettrica, i gestori richiedano cifre esorbitanti, che, in alcuni casi, si aggirerebbero intorno ai 400 euro per ciascun allaccio –:
   se tali notizie rispondano al vero e quali interventi immediati il Governo intenda porre in essere per sollevare da tali oneri gli sfollati delle zone interessate dagli eventi sismici.
(2-01527) «Rainieri, Dozzo, Alessandri, Lanzarin, Dussin, Togni, Fava, Polledri, Pini, Munerato, Torazzi, Comaroli, Bitonci, Bragantini, Goisis, Martini, Montagnoli, Negro, Callegari, Dal Lago, Fabi, Forcolin, Gidoni, Stefani, Allasia, Bonino, Buonanno, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio».


Iniziative conseguenti alla chiusura del Palazzo della Sapienza di Pisa e della biblioteca universitaria – 2-01532

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
   l'ordinanza del sindaco di Pisa del 29 maggio 2012 dispone la chiusura del Palazzo della Sapienza di Pisa e della biblioteca universitaria a causa dei problemi di sicurezza legati alla tenuta strutturale dell'edificio, sottoposto alla pressione eccessiva del peso dei volumi, più di 600.000 e sensibile ad ogni minimo movimento del suolo, com’è avvenuto in occasione del recente terremoto in Emilia;
   data la sua specificità, la biblioteca universitaria è di proprietà dello Stato e sotto la competenza del Ministero per i beni e le attività culturali, ma collocata fin dal 1823 in un edificio di proprietà dell'università, sede principale della facoltà di giurisprudenza, e contiene un patrimonio culturale unico e di enorme valore, a partire da manoscritti, incunaboli, cinquecentine e libri del Seicento e del Settecento;
   è urgente intervenire per salvaguardare questo patrimonio e per garantirne la fruizione ai fini di studio e di ricerca, come chiesto anche da un appello firmato da centinaia di docenti e intellettuali, e, d'altra parte, per recuperare all'uso gli spazi dedicati all'attività universitaria; è necessario procedere, comunque, ad un trasferimento dei volumi per consentire i lavori di consolidamento strutturale dell'edificio –:
   come il Ministro interpellato intenda muoversi per l'individuazione di una sede adatta a contenere i materiali della biblioteca nella fase temporanea dei lavori;
   quale sia l'orientamento in ordine al futuro della biblioteca universitaria, ovvero se intenda investire, con quali risorse e in che tempi, sul medesimo Palazzo della Sapienza o se ritenga più agevole pensare ad altra collocazione.
(2-01532) «Fontanelli, Ventura, Realacci, Letta, Gatti, D'Alema, Velo, Coscia, Mariani, Albini, Cenni, Causi, Froner, Sani, Fluvi, Lulli, Cuperlo, Ghizzoni».


Iniziative per garantire un'adeguata gestione integrata del ciclo dei rifiuti in Calabria – 2-01542

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la scorsa stagione, in considerazione anche dell'aumento della produzione dei rifiuti dovuta all'incremento della popolazione turistica presente nel territorio, sono state innumerevoli le situazioni di black out del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani in larga parte delle città calabresi e, in particolare, nelle località turistiche costiere, che hanno portato ad una totale congestione dell'intero ciclo di gestione dei rifiuti dalla raccolta allo smaltimento nell'intero territorio regionale;
   l'insieme del sistema di smaltimento dei rifiuti calabrese composto da sei impianti, oltre un termovalorizzatore, si è rivelato ampiamente deficitario nel trattamento della totalità dei rifiuti solidi urbani prodotti annualmente nella regione, che ammontano a circa 800.000 tonnellate;
   dopo circa un anno e innumerevoli sollecitazioni a porre rimedio ad una situazione divenuta insostenibile, nessuna azione concreta è stata posta in essere per rafforzare il sistema di smaltimento dei rifiuti in Calabria e, in prospettiva dell'imminente stagione turistica, si ripropone lo spettro delle gravi inefficienze riscontrate durante la passata stagione estiva;
   sono ormai più di quattordici anni che la regione Calabria vive una fase emergenziale continua e mai risolta della gestione del ciclo di raccolta e smaltimento rifiuti, malgrado le ingenti risorse umane ed economiche impegnate nel tempo nel tentativo di giungere ad una reale risoluzione di questa emergenza ormai annosa del territorio calabrese;
   una mancata efficace programmazione degli interventi da porre in essere, la disattenzione, ad avviso degli interpellanti colpevole, da parte delle istituzioni locali, l'utilizzo di risorse umane poco professionali hanno portato oggi la regione Calabria sull'orlo del collasso nella gestione del ciclo dei rifiuti, ponendola in condizioni di criticità evidenti anche sotto il profilo dell'immagine del territorio;
   è noto che la Tec spa, gestore del sistema di smaltimento rifiuti in Calabria, composto da cinque dei sei impianti regionali di trattamento dei rifiuti solidi urbani più un termovalorizzatore, ha rescisso nel dicembre del 2011 il contratto concessorio;
   continuare ad affidare a gestioni commissariali, che si succedono senza soluzione di continuità, la risoluzione della problematica dei rifiuti nella regione Calabria costituisce un'ostinazione, ad avviso degli interpellanti, per sfuggire a precise responsabilità politiche e gestionali. Tutto questo rappresenta un «alibi» per non affrontare in termini organici una «anomalia», che in una congiuntura economica grave, come quella che sta attraversando il nostro Paese, rischia di deprimere ancora di più lo sviluppo economico di un territorio già fortemente provato;
   è necessario mettere in atto azioni rapide ed efficaci che assicurino una serie di controlli ed un attento monitoraggio dell'intero processo di gestione integrata del ciclo dei rifiuti, nonché la redazione di un piano strutturale mirato a superare le numerose inefficienze del sistema di gestione dei rifiuti nel territorio calabrese e a chiamare tutti gli attori interessati all'assunzione di responsabilità –:
   con quali strumenti si intenda operare al fine di avviare a soluzione vera e definitiva i problemi sopra esposti;
   se non si ritenga che sia giunto il momento di porre fine alla fase di gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Calabria, che ha mostrato limiti gravissimi e che non ha raggiunto nessuno dei risultati prefissi.
(2-01542) «Tassone, Galletti».


Iniziative volte a salvaguardare il mercato automobilistico italiano, con particolare riferimento al settore delle auto di lusso – 2-01522

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il mercato dell'auto in Italia, nel primo trimestre del 2012, è stato contrassegnato da una flessione che si attesta attorno al -16,9 per cento, risultato di gran lunga peggiore rispetto al -10,88 per cento del 2011;
   il brand Alfa Romeo ha registrato, nel primo scorcio del 2012, un -33,30 per cento seguito da Fiat con -17,66 per cento e da Lancia/Chrysler con -2,39 per cento;
   a gennaio 2012 sono state immatricolate in Italia appena 137.119 auto, cifra scoraggiante che segue il trend negativo di dicembre 2011 pari a -15,3 per cento. Si tratta del livello più basso mai registrato da oltre 20 anni e, rispetto alla media degli ultimi 4 anni, si stima che mancheranno all'appello circa 500.000 unità;
   la mancanza, a tutt'oggi, di un piano di sviluppo dell'ecomobilità che passi attraverso una serie di incentivi all'acquisto differenziato, secondo i livelli di emissione di anidride carbonica, ritarda ulteriormente la ripresa economica del mercato automobilistico e del sistema Paese in generale;
   ulteriore elemento invalidante per il mercato delle auto risulta, anche stavolta, il mancato adeguamento del sistema fiscale riferito al segmento delle auto aziendali agli standard europei, essendo l'Italia l'unico Paese europeo ad aver disposto un ammortamento di 4 anni anziché di 2 come avviene negli altri Stati, e il solo ad aver previsto una quota ammortizzabile ed una detraibilità dell'iva pari al 40 per cento piuttosto che del 100 per cento come accade in Europa;
   una ragguardevole e marcata contrazione in termini di vendite si evidenzia nel settore delle auto di lusso, riduzione imputabile in larga parte all'introduzione del «superbollo» per le auto con potenza maggiore ai 185 chilowatt, così come stabilito dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   le case automobilistiche Ferrari e Maserati hanno registrato negli ultimi tempi rispettivamente un calo delle vendite pari al 51,5 per cento e al 70 per cento, perdite verosimili alla luce dei costi esorbitanti, in termini di imposte, che i possessori si trovano ad affrontare;
   l'incidenza negativa del «superbollo», combinata ad una forte demonizzazione nei riguardi dei possessori delle vetture di lusso, ha prodotto quella che, a detta di molti, può essere considerata una vera e propria fuga dei clienti, che ha, peraltro, compromesso notevolmente anche il mercato dell'usato e prodotto notevoli stock di invenduto presso i concessionari;
   la nuova addizionale porterà nelle casse dello Stato molto meno dei 168 milioni di euro annui stimati dal Governo; infatti, ed è bene sottolinearlo, oltre ad incidere negativamente sui bilanci degli operatori del settore delle auto di lusso (soprattutto a causa del deprezzamento che ne deriva sull'usato), la netta riduzione delle vendite di questa tipologia di vetture determinerà una significativa perdita di getto derivante dall'iva, dall'imposta provinciale di trascrizione e dal bollo (in media, complessivamente più di 15.000 euro per vettura); una perdita erariale che, fin da ora, si ritiene possa raggiungere l'importo totale di 2,5 miliardi di euro;
   il progressivo azzeramento in corso del mercato delle auto di lusso condurrà, a breve, alla chiusura delle concessionarie interessate e, come ulteriore grave contraccolpo, pesanti saranno le ricadute in termini occupazionali se si considera che migliaia sono i cittadini impiegati nel settore in esame;
   il mercato automobilistico rappresenta l'11,4 per cento del prodotto interno lordo, garantisce un gettito fiscale del 16,6 per cento ed occupa, tra indotto ed occupazione diretta 1,2 milioni di addetti; esso va considerato, oggi più di ieri, il volano dell'economia italiana e, come rimarcato dagli esperti del settore, risulta di vitale importanza raggiungere un volume di vendita superiore a 2 milioni di autoveicoli all'anno, che garantisca sostenibilità economica e finanziaria agli operatori del settore –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare al fine di salvaguardare il mercato automobilistico italiano e, in particolar modo, il settore delle auto di lusso considerato la punta di diamante dell'intero comparto a livello mondiale;
   se, alla luce di quanto rappresentato in premessa, non si ritenga conveniente dare seguito ai diversi studi di settore che insistono sulla necessità di un piano di rilancio che miri direttamente allo sviluppo dell'ecomobilità, consentendo fin da subito il recupero di un volume di vendite pari a 230 mila unità, provvedimento che, tra l'altro, non comporterebbe alcun costo per lo Stato, poiché verrebbe compensato dal maggior introito fiscale;
   se, in tema di adeguamento della fiscalità ai parametri europei, si ritenga opportuno assumere iniziative per introdurre correzioni alla vigente normativa, soprattutto per il comparto delle auto aziendali, prevedendo nello specifico un ammortamento anticipato da 4 a 2 anni per le vetture e da 5 a 3 anni per i veicoli commerciali, nonché la soppressione di norme inique come quella soprannominata «iva 40 per cento», caso unico in Europa in cui la detraibilità è del 100 per cento, considerato che l'effetto sarebbe la commercializzazione di oltre 100.000 vetture all'anno con conseguenze positive sui bilanci delle imprese;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per un riordino del superbollo sulle cosiddette auto di lusso, escludendo dall'imposizione le vetture usate o, al limite, assoggettando all'imposta solo quelle con un'anzianità massima di tre anni, in modo da garantire la tutela delle aziende italiane e la salvaguardia di migliaia di posti di lavoro.
(2-01522) «Gibiino, Laffranco, Barba, Armosino, Ghiglia, Vincenzo Antonio Fontana, Barani, De Luca, Girlanda, La Loggia, Tortoli, Murgia, Romani, Mannucci, Minardo, Santelli, Ceroni, Bernardo, Garofalo, De Corato, Luciano Rossi, Germanà, Grimaldi, Ravetto, Pelino, Lorenzin, Landolfi, Nizzi, Distaso, Scilipoti, Simeoni, Repetti, Vignali, Cazzola, Scandroglio, Lunardi, Di Virgilio, Stradella, Giammanco, Ciccioli, Del Tenno, Torrisi, Catanoso».


Criteri adottati per le nomine nel consiglio di amministrazione di EUR Spa da parte del Ministero dell'economia e delle finanze – 2-01544

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   Eur spa è una società per azioni detenuta per il 90 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e per il 10 per cento dal comune di Roma capitale, che si occupa della gestione e della valorizzazione di alcuni beni patrimoniali di cui è titolare dislocati nel quartiere Eur di Roma;
   secondo lo statuto della società, il consiglio di amministrazione è composto da un minimo di tre ad un massimo di sette membri nominati dall'assemblea, sulla base di liste presentate dagli azionisti. Alla lista che ottiene la maggioranza dei voti – quindi, alla lista del Ministero dell'economia e delle finanze – spettano i quattro quinti degli amministratori da eleggere, i restanti membri sono divisi tra le altre liste;
   in base alle vigenti normative, in funzione del patrimonio dell'azienda e dell'ampiezza del suo bilancio, la numerosità del consiglio di amministrazione è fissata in cinque unità;
   l'assemblea ordinaria degli azionisti di Eur spa, riunitasi il 7 giugno 2012, ha confermato alla carica di presidente Pierluigi Borghini, a quella di amministratore della società Riccardo Mancini, a quelle di consiglieri di amministrazione Roberto Sergio e Stefano di Stefano, mentre è stato nominato un nuovo consigliere di amministrazione nella persona di Fabrizio Criscuolo, che subentra a Luigi Lausi;
   si ricorda che l'amministratore delegato Riccardo Mancini nel 1988 ha riportato una condanna ad un anno e nove mesi per violazione della legge sulle armi;
   a quanto si apprende da fonti di stampa, sembrerebbe che lo stesso Riccardo Mancini sia coinvolto negli atti dell'inchiesta sulla corruzione nella Selex: si tratterebbe di «una fornitura di 40 bus Atac che nel 2009 il Campidoglio avrebbe ordinato alla Breda-Menarini, del gruppo Finmeccanica. Una partita del valore di 20 milioni di euro che avrebbe dovuto fruttare 800 mila euro a Lorenzo Borgogni e a Lorenzo Cola, il primo ex dirigente, l'altro ex consulente di Finmeccanica. Intermediario della mazzetta l'amministratore delegato di Eur spa, Riccardo Mancini. Nel racconto di Iannilli l'Atac all'inizio rifiuta di pagare la tangente. Mancini viene tirato in ballo per convincere l'azienda e, stando al commercialista, chiede come contropartita la poltrona di amministratore delegato di Eur spa. L'accordo va in porto: la nomina arriva nel 2009, mentre la tangente, decurtata a 600 mila euro, viene pagata in parte in contanti e in parte con una fattura falsa» (Il Corriere della Sera del 29 aprile 2012);
   in merito ai profili gestionali, si sottolinea che, nonostante l'ingente esposizione debitoria, Eur spa ha costituito recentemente tre nuove società controllate, la Eur congressi Roma srl, la Eur Tel srl e la Eur power srl, per l'erogazione di servizi al comune di Roma capitale, le cui finalità, ad avviso degli interpellanti, non sono del tutto chiare e le cui strutture hanno portato ad un aumento esponenziale del numero di incarichi e personale, con ciò contravvenendo palesemente ai reiterati indirizzi del Governo, del Parlamento e della normativa volti a ridurre il numero di società ed enti nel perimetro della pubblica amministrazione;
   poiché il Governo ha sempre sostenuto che le nomine a incarichi pubblici debbono essere ispirate ai requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, prescritti dallo stesso statuto, all'articolo 14, stupisce che il Ministero dell'economia e delle finanze, in qualità di azionista di maggioranza, abbia proceduto a tali nomine, sia in merito all'adeguatezza di alcuni componenti del consiglio di amministrazione rispetto ai requisiti sopra citati, sia con riferimento alla valutazione dei risultati gestionali –:
   quali criteri e quali valutazioni siano alla base delle scelte che hanno determinato le nomine nel consiglio di amministrazione di Eur spa da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e, in particolare, quella di Riccardo Mancini.
(2-01544) «Causi, Ventura, Argentin, Bachelet, Coscia, Gasbarra, Gentiloni Silveri, Giachetti, Madia, Meta, Morassut, Pompili, Recchia, Tocci».