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Resoconti delle Giunte e Commissioni

Resoconto della V Commissione permanente
(Bilancio, tesoro e programmazione)
V Commissione

SOMMARIO

Giovedì 24 marzo 2011


SEDE CONSULTIVA:

Misure contro la durata indeterminata dei processi. Nuovo testo C. 3137 , approvato dal Senato (Parere alla II Commissione) (Esame e conclusione - Nulla osta) ... 49

Disciplina dell'attività di costruttore edile e delle attività professionali di completamento e finitura edilizia. C. 60 e abb.-A (Parere all'Assemblea) (Esame di emendamenti - Parere) ... 50

ATTI DEL GOVERNO:

Schema di decreto legislativo recante norme in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti. Atto n. 332 (Esame ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e conclusione - Parere favorevole) ... 51

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA:

5-04441 Toccafondi: Iniziative per il reintegro del capitolo di bilancio relativo ai contributi per le scuole paritarie ... 52
ALLEGATO 1 (Testo della risposta) ... 68

5-04442 Bitonci e Montagnoli: Limitazioni alle spese per sponsorizzazioni sostenute dagli enti locali ... 53
ALLEGATO 2 (Testo della risposta) ... 69

5-04443 Rubinato, Baretta e Misiani: Disciplina delle sanzioni per gli enti locali per il mancato rispetto dei vincoli del Patto di stabilità interno ... 53
ALLEGATO 3 (Testo della risposta) ... 70

SEDE CONSULTIVA:

Istituzione della Soprintendenza del mare e delle acque interne e organizzazione del settore del patrimonio storico-culturale sommerso nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali. Nuovo testo C. 2302 (Parere alla VII Commissione) (Seguito dell'esame e rinvio) ... 53

Istituzione di un sistema di prevenzione delle frodi nel settore assicurativo. Testo unificato C. 2699-ter e abb., approvato dal Senato (Parere alla VI Commissione) (Esame e rinvio) ... 54

DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO:

Schema di decreto legislativo recante attuazione delle direttive 2009/72/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, 2009/73/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE, e 2008/92/CE, concernente una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica. Atto n. 335 (Rilievi alla X Commissione) (Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, e rinvio) ... 56

Schema di regolamento sull'esclusione del Comitato per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita dagli organismi soggetti a riordino operanti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Atto n. 336 (Rilievi alla XII Commissione) (Esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, e conclusione - Valutazione favorevole) ... 56

INDAGINE CONOSCITIVA:

Indagine conoscitiva nell'ambito dello schema di decreto legislativo recante attuazione dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Deliberazione) ... 58

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi. COM( 2011 )11 definitivo (Seguito dell'esame e rinvio) ... 59

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

ATTI DEL GOVERNO:

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. Atto n. 317 (Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e conclusione - Parere favorevole con osservazioni) ... 59
ALLEGATO 4 (Proposta di parere presentata dagli onorevoli Borghesi e Cambursano) ... 71
ALLEGATO 5 (Proposta di parere approvata) ... 91

V Commissione - Resoconto di giovedì 24 marzo 2011


Pag. 49

SEDE CONSULTIVA

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Alberto Giorgetti.

La seduta comincia alle 14.

Misure contro la durata indeterminata dei processi.
Nuovo testo C. 3137, approvato dal Senato.
(Parere alla II Commissione).
(Esame e conclusione - Nulla osta).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Giuseppe Francesco Maria MARINELLO (PdL), relatore, nel rappresentare che il provvedimento non presenta profili problematici di carattere finanziario, formula la seguente proposta di parere:
«La V Commissione,
esaminato il nuovo testo del progetto di legge C. 3137, recante misure contro la durata indeterminata dei processi, approvato dal Senato;
rilevato che il provvedimento non determina apprezzabili effetti di carattere finanziario,
esprime

NULLA OSTA».

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI concorda con la proposta di parere formulata dal relatore.

Maino MARCHI (PD), pur concordando sostanzialmente con la relazione svolta dal'onorevole Marinello sull'impatto finanziario diretto del provvedimento in esame, esprime la contrarietà del suo gruppo nel merito dell'iniziativa. Rileva inoltre come, modificando norme procedurali, come quelle relative alla durata dei processi ed alla prescrizione, possano derivare effetti indiretti a carico della finanza pubblica, essendo stato dimostrato, anche nel corso delle audizioni che si sono svolte in II Commissione, come l'attuale assetto organizzativo della giustizia italiana non consenta di sopportare l'impatto delle richiamate disposizioni. Per tali ragioni, annuncia il voto contrario del suo gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore.


Pag. 50

Renato CAMBURSANO (IdV), associandosi alle considerazioni di carattere tecnico formulate dall'onorevole Marchi, annuncia il volto contrario del gruppo Italia dei Valori sulla proposta di parere formulata dal relatore. Nel sottolineare, inoltre, come, per quanto attiene al merito del provvedimento, il proprio gruppo si opponga con decisione al testo della proposta di legge in discussione, esprime comunque il proprio convincimento che, anche qualora essa dovesse esse approvata dalle Camere, finirebbe per essere dichiarata incostituzionale della Corte costituzionale.

La Commissione approva la proposta di parere del relatore.

Disciplina dell'attività di costruttore edile e delle attività professionali di completamento e finitura edilizia.
C. 60 e abb.-A.
(Parere all'Assemblea).
(Esame di emendamenti - Parere).

La Commissione inizia l'esame delle ulteriori proposte emendative riferite al provvedimento.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, in sostituzione del relatore, segnala che l'Assemblea ha trasmesso tre emendamenti approvati dalla Commissione di merito. Con riferimento agli stessi, ritiene opportuno acquisire chiarimenti dal Governo in merito ai possibili effetti finanziari derivanti dalla proposta emendativa 10.100, che specifica che il diritto di iscrizione di cui all'articolo 10 per il primo anno abbia valore anche di diritto annuale. In particolare, ricorda, infatti, che il diritto di prima iscrizione è stabilito in misura fissa, mentre il diritto annuale è determinato per ciascun esercizio in modo da garantire la copertura integrale dei nuovi o maggiori oneri derivanti dall'attuazione della presente legge. Rileva che gli emendamenti 1.100 e 2.100 non sembrano presentare profili problematici dal punto di vista finanziario. Al riguardo, ritiene opportuna una conferma da parte del Governo.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI concorda sulla neutralità finanziaria degli emendamenti 1.100 e 2.100 della Commissione, esprimendo invece una valutazione contraria sull'emendamento 10.100 della Commissione, la cui formulazione non garantisce, ad avviso del Governo, l'integrale copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'articolo 10.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, alla luce delle precisazioni fornite dal rappresentante del Governo, formula la seguente proposta di parere:
«La V Commissione,
esaminati gli emendamenti, contenuti nel fascicolo n. 2, riferiti al progetto di legge C. 60 e abb.-A, recante disciplina dell'attività professionale di costruttore edile e delle attività professionali di completamento e finitura in edilizia;
preso atto dei chiarimenti forniti dal Governo,
esprime

PARERE CONTRARIO

sull'emendamento 10.100;

PARERE FAVOREVOLE

sui restanti emendamenti contenuti nel fascicolo n. 2, non compresi nel fascicolo n. 1.»

La Commissione approva la proposta di parere formulata dal presidente, in sostituzione del relatore.

La seduta termina alle 14.10.


Pag. 51

ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Alberto Giorgetti.

La seduta comincia alle 14.10.

Schema di decreto legislativo recante norme in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti.
Atto n. 332.
(Esame ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e conclusione - Parere favorevole).

La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto.

Roberto SIMONETTI (LNP), relatore, con riferimento agli articoli da 1 a 7 recanti disposizioni per l'accesso al pensionamento anticipato per i lavoratori addetti ad attività usuranti, fa presente che, alla luce della prudenzialità dei parametri e delle ipotesi adottati dalla relazione tecnica, gli effetti della disciplina in esame appaiono riconducibili entro i limiti di spesa prefissati dalla legge delega, pur essendo la norma di copertura del provvedimento in esame formulata in termini di previsioni di spesa. Con riferimento all'applicazione della normativa a regime, osserva che la tenuta di tali limiti di spesa resta comunque affidata anche all'effettiva idoneità del meccanismo di salvaguardia ad operare un contenimento degli accessi al pensionamento pur in presenza di un numero di soggetti titolari dei requisiti prescritti che superi eventualmente quello programmato. Per quanto riguarda la copertura finanziaria, rileva che la norma di copertura è formulata in termini di previsione di spesa, mentre l'articolo 1, comma 3, lettera f), della legge n. 247 del 2007 stabiliva un limite di spesa, pur prevedendo, successivamente, alla lettera g) che, qualora nell'ambito della funzione di accertamento del diritto, dal monitoraggio delle domande presentate e accolte, emerga il verificarsi di scostamenti rispetto alle risorse finanziarie stanziate, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale ne dia notizia tempestivamente al Ministro dell'economia e delle finanze ai fini dell'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Ricorda che, successivamente, l'articolo 1, comma 2, della legge n. 183 del 2010 ha precisato che i decreti legislativi per la revisione della disciplina in tema di lavori usuranti recano, ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, una clausola di salvaguardia, volta a prevedere che, qualora nell'ambito della funzione di accertamento del diritto al beneficio emergano scostamenti tra gli oneri derivanti dalle domande accolte e la copertura finanziaria prevista, trovi applicazione un criterio di priorità, in ragione della maturazione dei requisiti agevolati, e, a parità degli stessi, della data di presentazione della domanda, nella decorrenza dei trattamenti pensionistici. Sottolinea che tale meccanismo è sostanzialmente riprodotto nell'articolo 3 dello schema in esame. Con riferimento al Fondo del quale è previsto l'utilizzo ricorda che le relative risorse sono iscritte nel capitolo 4377 dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per un importo pari a 995 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI, con riferimento alle osservazioni formulate dal relatore, fa presente, in primo luogo, che la riduzione della platea dei soggetti effettivamente interessati all'anticipo del pensionamento, per effetto della dinamica incrementativa nel tempo dei requisiti di accesso, è corretta, in quanto la valutazione della platea potenzialmente interessata è effettuata considerando che siano applicati alla base assicurativa requisiti anagrafici costanti, come espressamente indicato nella relazione tecnica.


Pag. 52

Osserva quindi che la considerazione, nel computo degli effetti finanziari, di differenti importi medi, peraltro ispirati a criteri prudenziali, come indicato dal relatore, deriva dalla circostanza che vengono prese in considerazione coorti che maturano i requisiti in diversi anni e, quindi, si tiene conto della dinamica incrementativa degli importi medi. Con riferimento all'anno 2011, evidenzia che l'onere e la relativa copertura sono assolutamente capienti per garantire la liquidazione, senza ovviamente tenere conto di ratei arretrati, in quanto non dovuti, come espressamente previsto dall'articolo 1, comma 9, per tutti i soggetti che all'entrata in vigore del decreto legislativo hanno diritto alla liquidazione del trattamento anticipato. Ribadisce inoltre che il meccanismo di salvaguardia, di cui all'articolo 3, è effettivamente idoneo a garantire il rispetto degli oneri programmati. Evidenzia che, come indicato nella relazione tecnica, trattasi di procedura endogena alla complessiva disciplina della concessione del beneficio in esame che da un lato opera in via automatica garantendo il rispetto della spesa programmata nel settore pensionistico e dall'altro consente, comunque, ai lavoratori destinatari della normativa in esame, il godimento del beneficio dell'anticipo dell'accesso al pensionamento rispetto ai requisiti generali. Fa presente che, nei termini sopra esposti, il meccanismo endogeno introdotto configura i benefici in esame come condizionati nell'ampiezza alla disponibilità di risorse e risulta operare all'inizio della fase procedimentale. Infine, circa le attività di cui all'articolo 5 e all'articolo 2, conferma che le medesime, quando riferite a pubbliche amministrazioni, sono sostenibili a valere sulle risorse ordinariamente disponibili.

Roberto SIMONETTI (LNP), relatore, formula la seguente proposta di parere:

«La V Commissione bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante norme in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti (atto n. 332);
preso atto dei chiarimenti forniti dal rappresentante del Governo in ordine all'effettiva idoneità del meccanismo di salvaguardia previsto dall'articolo 3 dello schema, che riprende sostanzialmente quello individuato, in sede di delega, dall'articolo 1, comma 2, della legge 4 novembre 2010, n. 183,
esprime

PARERE FAVOREVOLE».

La Commissione approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 14.20.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Alberto Giorgetti.

La seduta comincia alle 14.20.

Giancarlo GIORGETTI presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata anche tramite la trasmissione attraverso l'impianto televisivo a circuito chiuso. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-04441 Toccafondi: Iniziative per il reintegro del capitolo di bilancio relativo ai contributi per le scuole paritarie.

Gabriele TOCCAFONDI (PdL) illustra l'interrogazione in titolo.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).


Pag. 53

Gabriele TOCCAFONDI (PdL), replicando, si dichiara soddisfatto per la risposta fornita dal rappresentante del Governo, esprimendo l'auspicio che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, richiamato nella risposta fornita dal sottosegretario Alberto Giorgetti, possa essere adottato in tempi rapidi e possa fornire risposte adeguare al settore delle scuole paritarie. Sottolinea in proposito che i 245 milioni di euro previsti dalla legge di stabilità rappresentano meno della metà dell'originaria dotazione del fondo, che i contributi vengono erogati trimestralmente e che quindi dal ritardo derivano importanti difficoltà per gli istituti beneficiari.

5-04442 Bitonci e Montagnoli: Limitazioni alle spese per sponsorizzazioni sostenute dagli enti locali.

Alessandro MONTAGNOLI (LNP), in qualità di cofirmatario dell'interrogazione, illustra l'interrogazione in titolo.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

Alessandro MONTAGNOLI (LNP), replicando, prende atto della circostanza che il rappresentante del Governo ha sostanzialmente confermato la volontà di non modificare la vigente disciplina legislativa in materia di limitazioni alle spese per sponsorizzazioni. Nel dichiararsi, pertanto, non soddisfatto della risposta fornita, fa presente che in mancanza di un'iniziativa del Governo, specifiche proposte di modifica in materia saranno presentate in sede parlamentare.

5-04443 Rubinato, Baretta e Misiani: Disciplina delle sanzioni per gli enti locali per il mancato rispetto dei vincoli del Patto di stabilità interno.

Simonetta RUBINATO (PD) illustra l'interrogazione in titolo.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

Simonetta RUBINATO (PD), replicando, sottolinea che, dal monitoraggio effettuato, emerge che il comparto degli enti locali abbia contribuito con risorse aggiuntive per circa 700 milioni di euro al risanamento della finanza pubblica e che gli enti che non hanno rispettato i vincoli imposti dal patto di stabilità sono relativamente pochi. Ritiene che, pur essendo giusta la preoccupazione del Governo, sul mantenimento degli obiettivi relativi ai saldi di finanza pubblica, essa è eccessiva nei confronti del comparto degli enti locali che ha dimostrato di avere dato il proprio contributo. Ritiene necessario quindi il ripristino dei meccanismi sanzionatori e premiali vigenti prima dell'adozione del decreto-legge n. 78 del 2010.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

La seduta termina alle 14.35.

SEDE CONSULTIVA

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI, indi del vice presidente Roberto OCCHIUTO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Alberto Giorgetti.

La seduta comincia alle 14.35.

Istituzione della Soprintendenza del mare e delle acque interne e organizzazione del settore del patrimonio storico-culturale sommerso nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali.
Nuovo testo C. 2302.
(Parere alla VII Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento rinviato, da ultimo, nella seduta del 1o marzo 2011.


Pag. 54

Giancarlo GIORGETTI, presidente, ricorda che nella seduta del 1o marzo 2011, la Commissione ha deliberato di richiedere al Governo la trasmissione di una relazione tecnica sul provvedimento entro il termine di 20 giorni. Essendo decorso tale termine, chiede pertanto se sia disponibile la richiesta relazione tecnica.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI rappresenta che, con riferimento alla richiesta di relazione tecnica sulla proposta di legge in esame, il Ministero per i beni e le attività culturali ha comunicato che non è possibile procedere alla redazione della medesima e, quindi, ad un'attendibile quantificazione dei relativi oneri, atteso che il Ministero non dispone dei necessari elementi informativi.

Marco MARSILIO (PdL), relatore, si dichiara stupito del tenore della risposta del Ministero per i beni e le attività culturali, testé comunicata dal sottosegretario Giorgetti, osservando come sia estremamente difficile immaginare che il Ministero competente non disponga degli elementi necessari per quantificare gli oneri di un provvedimento che attiene ad una limitata modifica dell'organizzazione del medesimo Ministero. Nel ritenere, pertanto, che sia perfettamente possibile procedere ad un quantificazione degli oneri derivanti dalla proposta in esame, almeno nella loro misura minima e massima, osserva su un piano più generale che il comportamento del Ministero per i beni e le attività culturali preclude sostanzialmente al Parlamento la possibilità di concludere l'iter legislativo di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, che - al di là di ogni valutazione sul merito della proposta, che può anche essere non condiviso - dovrebbe esse oggetto di una considerazione pari a quella prestata ai progetti di legge di iniziativa governativa. Nel rilevare come la Commissione bilancio non sia nelle condizioni di esprimere un parere in merito al provvedimento in questione, ritiene che sia opportuno che il presidente si attivi per informare la presidenza della Commissione cultura della situazione che si è creata.

La Commissione concorda.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, nel segnalare che provvederà a scrivere alla presidente della Commissione cultura per informarla di quanto emerso nell'odierna seduta. Rinvia, quindi, il seguito dell'esame del provvedimento.

Istituzione di un sistema di prevenzione delle frodi nel settore assicurativo.
Testo unificato C. 2699-ter e abb., approvato dal Senato.
(Parere alla VI Commissione).
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Roberto OCCHIUTO, presidente, in sostituzione del relatore, con riferimento agli articoli 1, 4 e 5 relativi alla struttura di prevenzione delle frodi assicurative e misure di contrasto alla contraffazione dei contrassegni, evidenzia, in via preliminare, che il provvedimento, pur recando una formula di copertura degli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni in esso contenute, non determina l'ammontare di detti oneri. Fa presente che a questi ultimi occorrerà far fronte con le maggiori entrate derivanti dall'incremento del contributo di vigilanza per le imprese di assicurazioni interessate. In proposito, segnala che l'articolo 335 del Codice delle assicurazioni private stabilisce un limite superiore all'aliquota di prelievo del contributo di vigilanza dovuto annualmente dalle imprese di assicurazione e che le disposizioni di cui all'articolo 6 del provvedimento non prevedono una deroga alla disposizione. Osserva che tale circostanza determina l'esigenza di disporre di una ricognizione delle voci di costo relative agli adempimenti derivanti dall'attuazione degli articoli 1 e 4 del provvedimento, dei soggetti pubblici sui quali gravano tali voci, nonché di una valutazione dell'ammontare dei relativi oneri, al fine di verificare se l'incremento di aliquota di prelievo del contributo


Pag. 55

di vigilanza necessario per compensare tali oneri sia compatibile con il limite di prelievo imposto dall'articolo 335, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica. Sottolinea che tale analisi andrebbe tra l'altro condotta con riferimento agli effetti finanziari connessi alle disposizioni di cui all'articolo 4, per la parte in cui prevedono l'adeguamento tecnico dei dispositivi per il controllo a distanza delle violazioni al codice della strada ovvero dei dispositivi per il controllo a distanza dell'accesso alle zone di traffico limitato ai fini del processo di dematerializzazione dei contrassegni assicurativi. Ritiene infatti che tali disposizioni appaiano suscettibili di determinare oneri sia per gli enti locali che per gli enti appartenenti al perimetro della pubblica amministrazione cui spetta la gestione delle tratte stradali. Ritiene opportuno che il Governo chiarisca inoltre se il contributo di vigilanza, in quanto direttamente connesso all'attività esercitata dalle imprese di assicurazioni, sia deducibile ai fini della determinazione del reddito delle imprese stesse. Ritiene, infatti, che in caso affermativo, un incremento di tale contributo determinerebbe un effetto di minore gettito a titolo di IRES, che andrebbe, pertanto, quantificato nel suo ammontare e provvisto di idonea copertura. Sia ai fini attuativi che ai fini della valutazione della congruità della copertura proposta, giudica che andrebbe chiarito se per le imprese autorizzate ad esercitare l'attività assicurativa anche in rami diversi da quello RC-Auto l'incremento del contributo si applichi ai soli premi incassati nell'esercizio dell'attività di assicurazione per il ramo responsabilità civile autoveicoli terrestri, ovvero all'ammontare di tutti i premi incassati annualmente. Riguardo alla copertura degli oneri di cui all'articolo 4, comma 2, posti a carico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per la compilazione e la gestione dell'elenco dei veicoli non coperti da assicurazione, ritiene che andrebbe verificata la coerenza, anche sotto il profilo degli effetti di cassa, tra spese e mezzi di copertura, atteso che il versamento all'entrata del bilancio dello Stato e la successiva riassegnazione allo stato di previsione del suddetto dicastero delle relative risorse dovranno necessariamente verificarsi nel secondo semestre di ciascun esercizio, successivamente al versamento del contributo di vigilanza da parte delle imprese, dovuto entro il 31 luglio di ciascun anno. Osserva che l'articolo 1 dispone, al comma 9, che la struttura di prevenzione si avvalga della collaborazione delle forze di polizia, chiamate ad eseguire le verifiche e gli accertamenti richiesti. Ritiene opportuno acquisire un chiarimento, dal Governo, circa la portata applicativa di tale previsione, che potrebbe determinare aggravi di carattere organizzativo e conseguenti possibili effetti onerosi, anche in considerazione della formulazione del testo, che non sembra configurare la predetta collaborazione come meramente facoltativa. Giudica infine necessario acquisire elementi volti a confermare l'effettiva neutralità finanziaria della norma con cui viene istituito un gruppo di lavoro presso la struttura anti frodi. Infatti, pur essendo il testo corredato di una specifica clausola di non onerosità, non appare chiaro se l'organismo debba operare o meno nell'ambito di una struttura ministeriale preesistente e se l'istituzione del gruppo medesimo richiederà l'approntamento di apposite dotazioni logistiche e informatiche. Infine andrebbe chiarito con quali mezzi finanziari si farà fronte all'utilizzo delle figure di esperti previste dal testo. In merito ai profili di copertura finanziaria, rileva che l'articolo 6 dispone che agli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 1 e dell'articolo 4, provvede a valere sulle maggiori entrate determinate dal comma 2 del presente articolo. Il suddetto comma autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISVAP, con proprio decreto ad incrementare il contributo di vigilanza a carico delle imprese di assicurazione autorizzate ad esercitare il ramo responsabilità civile autoveicoli terrestri di cui all'articolo 2, comma 3, numero 10), del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, secondo le procedure di cui all'articolo 335


Pag. 56

del medesimo codice. Fa presente che la disposizione specifica, inoltre, che, ai fini della copertura degli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 4, comma 2, quota parte delle maggiori entrate delle quali è previsto l'utilizzo sia versata all'entrata del bilancio dello Stato, per essere successivamente riassegnata, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare sentito il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Osserva, infine, che si prevede che sia fatto divieto alle imprese richiamate al comma 2 di traslare l'onere della maggiorazione del contributo sui premi assicurativi. A tal fine, l'ISVAP vigila sull'osservanza della disposizione di cui al primo periodo e riferisce annualmente al Ministro dell'economia e delle finanze. Al riguardo, segnala l'opportunità di specificare a quali oneri faccia riferimento il comma 1, dal momento che gli articoli 1 e 4 recano delle specifiche clausole di neutralità finanziaria.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI chiede di rinviare il seguito dell'esame del provvedimento per fornire gli elementi di chiarimento richiesti dal presidente, in sostituzione del relatore.

Roberto OCCHIUTO, presidente, preso atto della richiesta del rappresentante del Governo, rinvia il seguito dell'esame del provvedimento ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.45.

DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del vice presidente Roberto OCCHIUTO, indi del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Alberto Giorgetti.

La seduta comincia alle 14.45.

Schema di decreto legislativo recante attuazione delle direttive 2009/72/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, 2009/73/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE, e 2008/92/CE, concernente una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica.
Atto n. 335.
(Rilievi alla X Commissione).
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di regolamento, rinviato nella seduta del 23 marzo 2011.

Massimo POLLEDRI (LNP), relatore, chiede di rinviare il seguito dell'esame del provvedimento per approfondire ulteriormente alcuni aspetti del provvedimento, con particolare riferimento al coordinamento del testo con la normativa europea in materia di condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica e tariffazione, per gli eventuali effetti finanziari che ciò possa comportare.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI concorda con la proposta del relatore.

Roberto OCCHIUTO, presidente, rinvia il seguito dell'esame del provvedimento ad altra seduta.

Schema di regolamento sull'esclusione del Comitato per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita dagli organismi soggetti a riordino operanti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Atto n. 336.
(Rilievi alla XII Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, e conclusione - Valutazione favorevole).

La Commissione inizia l'esame dello schema di regolamento in oggetto.


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Massimo POLLEDRI (LNP), relatore, rileva che le norme recate dall'articolo 1, comma 2, e dall'articolo 2, comma 1, primo periodo, sembrerebbero finalizzate a stabilire che anche le dotazioni del Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita siano soggette a riduzione nonostante l'esclusione del Comitato dal processo di riordino. Sul punto ritiene opportuna una conferma da parte del Governo. Con riferimento alle norme recate dall'articolo 2, comma 1, secondo periodo, che prevede che, per l'anno 2010, la riduzione operi in misura proporzionale rispetto al periodo intercorrente tra l'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e il 31 dicembre 2010, giudica necessario un chiarimento circa i profili applicativi della disposizione anche al fine di verificarne la eventuale portata derogatoria, stante la peculiarità dell'assetto contabile della Presidenza del Consiglio. Rileva, in ogni caso, che la disposizione sembra suscettibile di produrre effetti di carattere finanziario che potrebbero risultare non conformi a quelli scontati, ai fini dei saldi, in sede di approvazione del decreto legge n. 112 del 2008. Fa presente che la relazione tecnica allegata all'articolo 68 del decreto-legge n. 112 del 2008, in materia di riordino degli organismi, ipotizzava, infatti, che le disposizioni recate dai commi da 1 a 4 producessero i loro effetti finanziari a regime a decorrere dal 2009, mentre la relazione tecnica in esame prefigura, limitatamente agli organismi esistenti presso la Presidenza del Consiglio, un effetto finanziario pari al 50 per cento di quello atteso per l'anno a 2010 e, a regime, dall'anno 2011. Ritiene, dunque, necessario che il Governo fornisca gli elementi necessari ad accertare che i risparmi ipotizzati dalla relazione tecnica riferita all'articolo 68, commi da 1 a 4, del decreto-legge n. 112 del 2008 risultino comunque conseguiti a decorrere dal 2009, anche ai fini dei saldi di cassa.

Il sottosegretario Alberto GIORGETTI sottolinea che l'articolo 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, nel disporre la riduzione del 30 per cento della spesa rispetto a quella sostenuta nell'anno 2005, ha, altresì, previsto il riordino degli organismi collegiali operanti nelle amministrazioni pubbliche da effettuarsi anche mediante soppressione o accorpamento delle menzionate strutture. Evidenzia che il comma 2 del citato articolo 29 del decreto-legge 7 luglio 2006, n. 233, abbia poi, previsto che si dovesse dare esecuzione a tale disposto utilizzando lo strumento dei regolamenti di delegificazione per gli organismi istituiti e disciplinati da leggi o regolamenti e con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per i restanti. Attese le specifiche competenze ex lege attribuite al Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita, in fase di attuazione del menzionato articolo 29, ritiene, per mere ragioni precauzionali, di sottoporre anche il predetto Comitato alle procedure di riordino, nonostante fosse nota la sua peculiarità. Rappresenta che, in effetti, il Comitato è stato istituito in attuazione di normative comunitarie e, nel corso degli anni, gli sono state conferite ulteriori specifiche competenze in attuazione di trattati internazionali che si sono sommate a tutti i peculiari ambiti scientifici di coordinamento e di supporto alle politiche governative già allo stesso attribuiti. Fa presente che, a seguito alcuni pareri emessi dal Consiglio di Stato in tale ambito di materia e, da ultimo, a seguito delle considerazioni enucleate nell'ambito del parere n. 2358 del 2010, espresso nell'Adunanza del 19 maggio 2010, si è potuto rilevare la condivisione, in linea ermeneutica, degli orientamenti ivi espressi con i convincimenti da sempre nutriti nei confronti del Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita. Sottolinea che, a motivo di ciò, a questo punto, con il confronto di tali numerosi pronunciamenti, si è provveduto ad attivare la procedura richiesta per la modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 84, del 14 maggio 2007, richiedendo la soppressione della lettera a) del comma 1, dell'articolo 3 del menzionato provvedimento.


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Rappresenta che il Consiglio di Stato, all'uopo interessato, accogliendo integralmente le motivazioni esposte nella relazione illustrativa, si è esplicitamente pronunciato con proprio parere n. 5632 del 2010, adottato in Adunanza generale il 23 dicembre 2010, ritenendo che, a motivo della propria configurazione istituzionale, il menzionato Comitato, pur potendo essere oggetto di interventi normativi o amministrativi volti a modificarne la composizione o la durata oppure a sostituirlo con organismi equipollentinon è, tuttavia, sottoponibile al disposto dell'articolo 68, del decreto-legge n. 112 del 2008. Rappresenta quindi che le riduzioni operate sui capitoli di bilancio di interesse, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006, sono state comunque effettuate al fine di garantire gli obiettivi di contenimento della spesa imposti dall'articolo 68, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, nonostante la consapevolezza che tale disposizione fosse da applicarsi esclusivamente agli organismi soggetti a proroga. Segnala che peraltro, il limite di spesa entro il quale la Presidenza del Consiglio dei ministri era chiamata ad operare è stato considerato nel suo complesso e, quindi, comprensivo di tutti i centri di responsabilità che si riferiscono al Segretariato generale ed ai Ministri senza portafoglio.

Massimo POLLEDRI (LNP), relatore, formula la seguente proposta:
«La V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato, per quanto di competenza, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, lo schema di regolamento sull'esclusione del Comitato per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita dagli organismi soggetti a riordino operanti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (Atto n. 336);
preso atto dei chiarimenti forniti dal Governo,

VALUTA FAVOREVOLMENTE

lo schema di regolamento.»

La Commissione approva la proposta formulata dal relatore.

La seduta termina alle 14.50.

INDAGINE CONOSCITIVA

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI.

La seduta comincia alle 14.50.

Indagine conoscitiva nell'ambito dello schema di decreto legislativo recante attuazione dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali.
(Deliberazione).

Giancarlo GIORGETTI, presidente fa presente che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 23 marzo 2011, ha deliberato, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 3, di svolgere un'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante attuazione dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (atto n. 328). Nell'ambito dell'indagine conoscitiva è prevista l'audizione del Ministro per i rapporti con le Regioni e per la coesione territoriale, di rappresentanti della Corte dei conti, della Banca d'Italia, del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, della SVIMEZ, dell'ANCE, di Invitalia S.p.A., del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009 e di esperti della materia. Avverte che, come per le più recenti indagini conoscitive deliberate nell'ambito dell'esame di schemi di decreto legislativo attuativi della legge 5 maggio 2009, n. 42, le audizioni previste dall'indagine


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conoscitiva, ad esclusione di quella dei rappresentanti di Invitalia S.p.A., avrebbero luogo congiuntamente alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ed eventualmente della Commissione bilancio del Senato della Repubblica.
Comunica che, essendo stata acquisita l'intesa del Presidente della Camera prevista dall'articolo 144, comma 1, del Regolamento, la Commissione è nelle condizioni di procedere alla formale deliberazione dell'indagine. Pone quindi in votazione la proposta di svolgimento dell'indagine sulla base del programma concordato.

La Commissione delibera lo svolgimento dell'indagine conoscitiva secondo il programma indicato.

La seduta termina alle 14.55.

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Alberto Giorgetti.

La seduta comincia alle 14.55.

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'analisi annuale della crescita: progredire nella risposta globale dell'UE alla crisi.
COM(2011)11 definitivo.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame della Comunicazione, rinviato, da ultimo, nella seduta del 23 marzo 2011.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, fa presente che, rispetto al dibattito svoltosi nella seduta di ieri è sopravvenuto un fatto nuovo, in quanto il Ministro dell'economia e delle finanze ha comunicato la propria disponibilità a intervenire nell'ambito dell'indagine conoscitiva deliberata dalla Commissionenell'ambito dell'esame della Comunicazione. Avverte che l'audizione dovrebbe verosimilmente svolgersi nella serata di martedì 29 marzo 2011 en che, in quella sede, il Ministro potrebbe fornire informazioni alla Commissione in merito all'andamento della riunione del Consiglio europeo in corso di svolgimento in queste ore. Alla luce di tale circostanza, ritiene che l'esame della Comunicazione potrebbe proseguire dopo l'audizione del Ministro. Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame della Comunicazione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15 alle 15.10.

ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 24 marzo 2011. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli.

La seduta comincia alle 18.20.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
Atto n. 317.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).

La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno, rinviato, da ultimo, nella seduta del 23 marzo 2011.


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Giancarlo GIORGETTI, presidente, fa presente che, presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, si è concluso l'esame dello schema di decreto legislativo con l'approvazione della proposta di parere presentata dall'onorevole Corsaro come risultante dalle proposte emendative approvate e, quindi, è possibile fare riferimento, in questa sede, al testo che risulterebbe dall'accoglimento delle condizioni contenute in tale proposta di parere, sulle quali il Governo ha espresso avviso favorevole.

Massimo VANNUCCI (PD) osserva che la relazione tecnica trasmessa dal Governo non ha potuto tenere conto delle modifiche apportate alla proposta di parere nella seduta odierna.

Antonio BORGHESI (IdV) deposita una proposta di parere a nome del suo gruppo (vedi allegato 4). Nel richiamare le ragioni che hanno indotto l'Italia dei Valori a votare contro la proposta di parere approvata dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, sottolinea come il decreto sia stato usato in modo strumentale, senza tenere conto della legge delega, per reintegrare le regioni che avevano subito i tagli dei trasferimenti erariali. Osserva che, con il provvedimento in esame, vi è il rischio di un aumento del prelievo a carico dei cittadini, come peraltro previsto dalla Corte dei conti, nel corso dell'attività conoscitiva svolta dalle Commissioni. Ricorda di avere proposto un meccanismo di tipo automatico volto a vietare alle regioni di aumentare il proprio prelievo fiscale in mancanza di una corrispondente riduzione, attestata dall'ISTAT, del livello della pressione fiscale nazionale, al fine di garantire almeno la neutralità fiscale per i cittadini. Osserva inoltre che il sistema per l'individuazione dei costi e dei fabbisogni standard, basato sulla media tra le regioni di riferimento, comporterà inevitabilmente un aumento dei fondi assegnati a talune ragioni, oltre il rispettivo livello di spesa attuale. Evidenzia che in caso di maggiori disponibilità, rispetto al livello attuale, queste dovrebbero essere destinate al fondo perequativo, non certo a finanziare livelli di spesa maggiori. Nel sottolineare la contrarietà del testo in esame, rispetto allo spirito del federalismo fiscale, preannuncia un atteggiamento contrario del suo gruppo rispetto ad un parere sostanzialmente analogo a quello approvato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.

Massimo VANNUCCI (PD) esprime, in via preliminare, il proprio disagio per il ruolo che la Commissione bilancio è chiamata a svolgere nell'esame dei provvedimenti attuativi delle deleghe contenute nella legge n. 42 del 2009, sottolineando come, solo nella mattina di oggi, i componenti della Commissione siano stati messi nella condizione di esaminare la relazione tecnica della proposta di parere formulata presso la Commissione bicamerale dal relatore Corsaro e solo da pochi minuti è disponibile il testo della proposta di parere approvata presso tale Commissione. Evidenzia come, in questo modo, il ruolo della Commissione bilancio sia del tutto secondaria e sarebbe, pertanto, preferibile che la Commissione si esprimesse seguendo una procedura analoga a quella prevista per l'esame in sede consultiva dei progetti di legge. In questo modo, infatti, la Commissione potrebbe formulare alla Commissione bicamerale precise condizioni volte a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, che poi la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale dovrebbe valutare per modificare ed integrare la propria proposta di parere. Pur dichiarandosi consapevole del fatto che si tratta di un procedimento complesso e oneroso, ritiene che vada fatto ogni sforzo per tutelare le prerogative della Commissione.

Amedeo CICCANTI (UdC) chiede di rinviare il seguito dell'esame del provvedimento, al fine di svolgere i necessari approfondimenti, anche alla luce della relazione tecnica trasmessa dal Governo, posticipando l'espressione del parere alla giornata di martedì.


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Roberto Mario Sergio COMMERCIO (Misto-MpA-Sud) si associa alla richiesta di rinvio formulata dall'onorevole Ciccanti.

Il Ministro Roberto CALDEROLI esprime parere contrario alla proposta di rinvio e ricorda che il Governo ha già consentito una proroga del termine per l'espressione del parere, con l'impegno delle Commissioni a deliberare il parere entro la giornata di mercoledì 23 marzo, sottolineando come tale deliberazione sia stata poi rinviata alla giornata odierna sulla base di una richiesta di un gruppo di opposizione. Ricorda inoltre che il 2 aprile 2011 scadrà il termine per l'espressione del parere sullo schema di decreto relativo alla perequazione infrastrutturale e che quindi occorre concludere l'esame del provvedimento, al fine di poter consentire di incardinare il successivo.

Amedeo CICCANTI (UdC) osserva come il provvedimento in esame, anche nella formulazione che risulterebbe dal recepimento della proposta di parere approvata dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, presenta rilevanti profili di criticità. In proposito, rileva che, per quanto concerne la parte più strettamente ordinamentale, una prima questione riguarda la composizione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e le modalità di rappresentanza in quella sede. A suo avviso, infatti, in quel contesto andrebbe previsto uno specifico ruolo del Governo non soltanto per quanto attiene alla verifica delle relazioni tra le Regioni, ma anche per quanto riguarda le specifiche opzioni di finanza che si renda necessario adottare. Osserva, poi, come rimanga sostanzialmente irrisolta la questione del ripiano dei tagli effettuati con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 112 del 2010, essendosi intervenuti sostanzialmente solo per le questioni attinenti al trasporto pubblico locale. Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato, a suo avviso, dalla previsione della manovrabilità delle aliquote dell'addizionale IRPEF da parte delle regioni. Ritiene, infatti, che tale manovrabilità sia difficilmente compatibile con la diversa dinamicità della leva fiscale, che non risulta omogenea nei diversi territori né appare correlata alla diversa incidenza della popolazione. Osserva, pertanto, che l'impatto sui singoli territori delle previsioni relative alla manovrabilità delle aliquote potrebbe essere molto differenziato. Ritiene, quindi, che sarebbe stato preferibile circoscrivere la manovrabilità dell'addizionale IRPEF regionale alla sola aliquota, evitando di incidere sulla struttura dell'imposta, vale a dire sulle detrazioni, sugli scaglioni e sulla base imponibile. Esprime, inoltre, forti perplessità anche sulle disposizioni relative alla manovrabilità dell'IRAP, con particolare riferimento alla facoltà di azzeramento di tale imposta, che - a suo avviso - ha finalità essenzialmente propagandistiche e rischia di determinare inutili, se non dannosi, fenomeni di concorrenza fra le diverse Regioni. A suo avviso, sarebbe stato preferibile prevedere una più precisa disciplina per la manovrabilità dell'IRAP, introducendo quantomeno procedure di coordinamento tra le regioni, per scongiurare il rischio di una concorrenza fiscale che rischia di determinare danni enormi, specialmente alle Regioni meridionali. Segnala inoltre che nella proposta di parere si sarebbe dovuto stabilire che l'aliquota dell'addizionale IRPEF di base fosse stabilita nel testo del provvedimento e non rinviata a futuri provvedimenti. Rammenta, in proposito, che nella legge n. 42 del 2009, il gettito dell'addizionale IRPEF è destinato alla perequazione delle capacità fiscali, mentre la perequazione dei fabbisogni è affidata alla compartecipazione IVA, che andrebbe pertanto utilizzata fin da ora per tale finalità, in attesa che si determinino i fabbisogni per le spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e quelle non rientranti in tale categoria di spese, per le quali, in ogni caso, dovrebbe stabilirsi la quota di perequazione riferita alle diverse capacità fiscali. Ritiene, poi, che il provvedimento non chiarisca in


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modo soddisfacente la distinzione, che ha valore sostanziale, tra il fabbisogno sanitario nazionale, che è determinato in modo esogeno, in coerenza con i vincoli di finanza pubblica, e il fabbisogno nazionale standard, che deriva invece dai fabbisogni regionali, per la cui costruzione dovrebbero meglio definirsi gli indicatori rilevanti. A suo avviso, sarebbe pertanto stato necessario coordinare, con i conseguenti adattamenti, i criteri per la costruzione dei fabbisogni standard nei settori dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale con quelli impiegati per il settore sanitario. In relazione alla questione dell'IRAP e della sua manovrabilità, ritiene che debba tenersi conto delle conseguenze negative che deriveranno da un diverso regime dell'imposta in termini di competitività nei diversi territori. A suo avviso, sarebbe stato preferibile un assetto in cui si prefiguri la possibilità di differenziare l'imposta stessa per i diversi settori produttivi, prevedendo altresì un coordinamento da parte della Conferenza Stato - Regioni, al fine di evitare deleteri fenomeni di concorrenza fiscale. Per quanto concerne la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, anche per i comparti diversi dalla spesa sanitaria, a suo giudizio sarebbe, comunque, opportuno fare riferimento alle regioni di riferimentoindividuate per il settore della sanità. Deve, infatti, considerarsi in proposito il rischio che in questo settore persista, secondo quanto emerge dallo schema di decreto, un atteggiamento di eccessiva prudenza che potrebbe precludere o vanificare gli sforzi tesi a una maggiore razionalizzazione delle misure destinate all'aumento della qualità dei servizi. I costi standard appaiono, infatti, indicatori di scarsa incisività al fine di avviare un percorso di misurazione della qualità dei servizi nei territori di riferimento, ed è pertanto assolutamente necessario delineare un più significativo ruolo dei medesimi costi standard. Con riferimento alla questione dei costi standard e dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai settori diversi della sanità - ossia l'istruzione, l'assistenza e il trasporto pubblico locale con riferimento alle spese in conto capitale - ritiene che non possa trascurarsi che per tali settori è prevista la copertura integrale del fabbisogno, calcolato sulla base dei costi standard. A suo avviso, non si è tuttavia ancora chiarito in modo sufficiente come sia possibile conciliare tale previsione con il vincolo di finanza pubblica. Ritiene, infatti, che non sia ancora chiaro se le risorse che verranno destinate a tali settori saranno sufficienti a garantire l'integrale copertura degli oneri derivanti dal riconoscimento di un livello essenziale di servizio uniforme su tutto il territorio nazionale, dal momento che allo stato le caratteristiche dell'erogazione dei medesimi servizi nelle diverse aree del territorio nazionale appaiono molto differenziate. Quanto ai fondi perequativi, a suo avviso, vi è il rischio che la manovra rappresenti solo un mero rinvio dell'istituzione degli stessi; mentre occorrerebbe stabilire fin da ora la disciplina delle modalità del loro funzionamento e della loro alimentazione. Sottolinea, poi, l'opportunità di introdurre nel procedimento di calcolo dei costi standard specifici indicatori di condizione socio-economica nonché, nel campo sanitario, di estendere il numero delle regioni assunte come riferimento in quanto, come emerso anche nel corso di alcune audizioni, ciò potrebbe eliminare taluni effetti distorsivi presenti nel calcolo del divario tra nord e sud. Segnala, poi, la necessità di definire specifici e rigorosi criteri sulla compartecipazione all'IVA, ritenendo che andrebbe precisato che essa dovrà tenere conto dell'attività svolta dagli enti locali in tema di lotta all'evasione, come del resto riconosciuto nel decreto legislativo relativo al cosiddetto federalismo municipale. Ritiene, infatti, che sia del tutto evidente come, se la compartecipazione viene attribuita senza tenere conto dell'azione di contrasto all'evasione fiscale svolta dagli enti territoriali, venga meno un importante stimolo ad operare in tal senso. Osserva, inoltre, che la riduzione dei trasferimenti in favore delle province, che ha interessato circa il 40 per cento del totale delle risorse destinate a tali enti, sta


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determinando evidenti difficoltà per le amministrazioni provinciali nella gestione dei servizi al territorio, come indicato anche dai rappresentanti dell'UPI nel corso della loro audizione. In questo quadro, esprime inoltre il timore che le disposizioni del provvedimento non consentiranno di compensare la riduzione di gettito derivante dal ridimensionamento o dalla soppressione di altre tipologie di entrata, previsti nell'ambito della riforma in discussione. Conclusivamente, esprime un giudizio critico sullo schema in esame, ribadendo come tanto il provvedimento che il parere approvato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale siano complessivamente insoddisfacenti e lacunosi.

Maria Teresa ARMOSINO (PdL), relatore, valuta positivamente l'istanza di una maggiore partecipazione della Commissione nel procedimento consultivo sugli schemi di decreto legislativo attuativi della legge n. 42 del 2009, rilevando tuttavia come l'odierna situazione sia stata però determinata anche da rilievi svolti in Commissione sui rapporti tra questa e la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. Sottolinea inoltre come vi sia anche una certa sovrapposizione tra i componenti delle due Commissioni. Ritiene comunque che vi sia stato un dibattito molto acceso e propositivo e ricorda come siano state accolte molte proposte avanzate dall'opposizione, giungendo in tal modo alla realizzazione di un lavoro più soddisfacente di quello relativo al decreto sul federalismo municipale. Chiede quindi una breve sospensione per formulare la sua proposta di parere.

La seduta, sospesa alle 19.10, riprende alle 19.20.

Maria Teresa ARMOSINO (PdL), relatore, formula la seguente proposta di parere:
«La V Commissione bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, trasmesso ai sensi dell'articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (atto n. 317),
nel presupposto che, in sede di applicazione dell'articolo 9, comma 6, sia garantito l'allineamento quantitativo e temporale tra le esigenze finanziarie derivanti dai compiti affidati alla Sose S.p.A e l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 23, della legge n. 220 del 2010;
preso atto del parere approvato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 24 marzo 2011, con l'avviso favorevole del Governo;
esprime, sul testo del provvedimento risultante dal recepimento del richiamato parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:
valuti il Governo l'opportunità di precisare all'articolo 9, comma 6 che è compito della Sose S.p.A effettuare una ricognizione delle prestazioni attinenti ai livelli essenziali che le Regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi;
valuti il Governo l'opportunità di precisare, all'articolo 11, comma 5, che, con riferimento alle spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni in materie diverse dalla sanità, il parametro della spesa storica deve intendersi rapportato esclusivamente alla spesa erariale per le predette prestazioni e, quindi, ai trasferimenti statali soppressi. Tale precisazione dovrebbe riguardare anche il finanziamento nel primo anno delle funzioni non essenziali;


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valuti il Governo l'opportunità di precisare che la disposizione di cui all'articolo 24-ter, comma 3, non ha effetti retroattivi e che si applica solo ai trasferimenti di funzioni amministrative disposti in data successiva alla data di entrata in vigore del decreto legislativo;
valuti il Governo l'opportunità di precisare all'articolo 24-octies, comma 2, il numero dell'unità del contingente preposto alla specifica struttura di segreteria della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, al fine di escludere che tale contingente assuma dimensioni tali da determinare problemi di funzionalità per le amministrazione di provenienza del relativo personale;
valuti il Governo se dall'applicazione del comma 3, dell'articolo 26-bis, non derivino effetti finanziari negativi a carico della finanza pubblica, non valutati con riferimento alle risorse del Fondo di cui all'articolo 1, comma 29, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, per i quali occorra provvedere un'apposita compensazione;
valuti il Governo l'opportunità di prevedere anche per le province e i comuni un meccanismo atto ad assicurare il reintegro delle riduzioni dei trasferimenti disposte ai sensi del decreto-legge n. 78 del 2010.».

Massimo VANNUCCI (PD) ritiene che il parere della Commissione non dovrebbe rimettere al Governo la valutazione in ordine alla sussistenza di eventuali nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il Ministro Roberto CALDEROLI esprime l'avviso favorevole del Governo sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Bruno CESARIO (IR), nell'annunciare il voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore, sottolinea come il provvedimento recepisca un accordo con tutte le regioni italiane e come rappresenti una svolta positiva nell'interesse dei cittadini rispetto ad un tema importante come la sanità, che ha fatto registrare notevoli problemi in talune regioni, come la Campania.

Gioacchino ALFANO (PdL), nell'annunciare il voto favorevole del proprio gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore, esprime un ringraziamento al Ministro Calderoli, al relatore e a tutti i componenti della Commissione, con particolare riferimento a quelli appartenenti ai gruppi dell'opposizione, che hanno dimostrato un atteggiamento di grande responsabilità nell'esame del provvedimento.

Roberto SIMONETTI (LNP) rileva che il decreto risponde correttamente al dettato della legge delega: autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario; autonomia delle entrate delle province e delle aree metropolitane; perequazione; costi e fabbisogni standard nel settore sanitario ed infine norme finali ed abrogazioni sono le articolazioni, i cinque capi, in cui si articola muovendosi sulla via della soppressione dei trasferimenti statali. Osserva come a ciò si affianchi la definizione dei fabbisogni che devono essere ovunque garantiti per la resa dei servizi primari di utilità sociale, la individuazione del costo standard necessario per lo svolgimento dei servizi e il riconoscimento agli enti territoriali della capacità fiscale necessaria per finanziare l'offerta dei servizi, svolta per il tramite della fiscalizzazione dei trasferimenti sin qui erogati dallo Stato. Ritiene che siano anche importanti le modalità delle misure perequative, atte a garantire un'idonea capacità di spesa anche per i territori che non riescono a disporre in proprio delle risorse necessarie ad offrire i principali servizi. Evidenzia come, in sostanza, il decreto, alla luce del parere approvato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, divenga equilibrato, completo, omogeneo e condiviso, superando i dubbi che erano emersi durante


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le audizioni e la discussione. Per tali ragioni annuncia il voto convinto e favorevole del suo gruppo.

Amedeo CICCANTI (UdC) annuncia il voto contrario del gruppo dell'UdC sulla proposta di parere formulata dal relatore Armosino, sottolineando come tale voto recepisca l'orientamento già espresso dal proprio gruppo nell'ambito della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. In proposito, sottolinea che il provvedimento in esame è sostanzialmente privo di indicatori numerici che consentano di verificarne l'effettivo impatto economico e finanziario e determinerà un sostanziale vuoto legislativo nel quale potrà alternativamente realizzarsi un incremento della pressione fiscale ovvero una compressione significativa dei servizi riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. In questo contesto, giudica probabile una riduzione dei servizi offerti in materia di istruzione, assistenza e trasporto pubblico locale, con particolare riferimento al finanziamento della parte in conto capitale, che potrebbe essere compensato solo attraverso l'acquisizione di maggiori risorse conseguente ad un incremento della pressione fiscale. Ritiene, infatti, che le risorse disponibili rappresentino una coperta troppo corta per garantire le esigenze di invarianza della pressione fiscale ed il raggiungimento degli obiettivi di servizio nelle materie rientranti nell'ambito dei livelli essenziali costituzionalmente tutelati. Ribadisce, inoltre, la propria contrarietà all'introduzione di meccanismi competitivi tra le regioni in materia fiscale attraverso il riconoscimento alle regioni del potere di ridurre, fino all'azzeramento, le aliquote dell'IRAP. Osserva come tale previsione, che ha costituito uno dei cavalli di battaglia dell'attuale maggioranza in campagna elettorale, è destinata a determinare un approfondimento delle sperequazioni esistenti tra il nord e il sud del nostro Paese, danneggiando in particolare le regioni caratterizzate da un più rilevante indebitamento in materia sanitaria. Le disposizioni in questione rischiano, infatti, di determinare la sottrazione di importanti risorse al sistema produttivo delle regioni meridionali, incidendo sensibilmente anche sui lavoratori residenti in tali aree del Paese. Invita, quindi, i parlamentari eletti nel sud a considerare attentamente la gravità della scelta che si sta compiendo con questo provvedimento. Su un piano più generale, osserva come l'iter del provvedimento in esame non si sia sostanzialmente distinto da quello dello schema di decreto legislativo relativo al cosiddetto federalismo municipale, chiedendosi, quindi, come sia possibile non formulare anche in questo caso una valutazione negativa sullo schema di decreto legislativo. Come già lo schema di decreto legislativo relativo all'autonomia di entrata dei comuni, infatti, il provvedimento in esame prevede un ampio rinvio della disciplina fiscale a futuri provvedimenti attuativi, prefigurando una profonda delegificazione della disciplina dell'imposizione sulle persone fisiche, che non assicura adeguate garanzie per i cittadini. Sottolinea, infatti, che deve essere il Parlamento il luogo nel quale viene definita la misura della contribuzione dei singoli cittadini al funzionamento della Repubblica, osservando come rappresenti un debole correttivo la previsione dell'espressione di un parere da parte delle Commissioni parlamentari, dal momento che anche la recente esperienza dello schema di decreto legislativo relativo al cosiddetto federalismo municipale ha dimostrato quanto l'attuale Governo non presti particolare attenzione ai pareri formulati dalle Camere. Nel ritenere che con l'approvazione del provvedimento in esame si stia imboccando un vicolo cieco, ribadisce il voto contrario del proprio gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore.

Francesco BARBATO (IdV) esprime il disappunto del suo gruppo nell'annunciare il voto contrario sulla proposta di parere presentata dal relatore, ricordando che l'Italia dei Valori aveva votato a favore della legge n. 42 del 2009, ritenendo il


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federalismo fiscale uno strumento essenziale per migliorare le amministrazioni locali e l'efficienza della spesa pubblica. Ricorda che il suo gruppo aveva già espresso un voto contrario sul decreto relativo al federalismo municipale, ritenendo inopportuno trasformare gli enti locali in esattori dei tributi erariali. Ricorda che è stato recentemente presentato negli Stati Uniti d'America uno studio, realizzato da una fondazione, che ha visto un declassamento del nostro Paese rispetto alla libertà economica. In particolare, rileva che manca la certezza delle regole, considerato uno dei fattori principali in tale valutazione. Osserva che con il provvedimento in esame, rinviando a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, la successiva attuazione, si crea un quadro di incertezza. Ritiene inoltre contraddittorie le disposizioni sull'autonomia impositiva delle regioni ed evidenzia il rischio che siano i cittadini, già penalizzati da una cattiva amministrazione in regioni come la Campania, a dover pagare il conto dell'attuazione della riforma.

Roberto Mario Sergio COMMERCIO (Misto-MpA-Sud) sottolinea, preliminarmente, che la posizione della propria componente politica sul federalismo fiscale è chiara, in quanto coerentemente essa ha partecipato attivamente al dibattito parlamentare che ha portato all'approvazione della legge n. 42 del 2009 e ha sostenuto i contenuti di tale legge, pur esprimendo talvolta valutazioni critiche su specifici temi, come ad esempio sulle questioni relative alla disciplina della perequazione infrastrutturale. Anche di recente, quindi, la propria forza politica ha ritenuto di astenersi in materia, dovendosi interpretare tale astensione come un'apertura di credito al Governo e una sospensione del giudizio in attesa della definizione di questioni di particolare rilevanza, quali quelle attinenti all'individuazione del regime applicabile alle regioni a statuto speciale. In questo quadro, sottolinea la necessità di assicurare puntuale attuazione agli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto della Regione siciliana che, come noto, è norma di rango costituzionale. Confermando questo atteggiamento di sospensione di giudizio anche con riferimento al provvedimento oggi all'esame, annuncia l'astensione della propria componente politica Movimento per le autonomie - Alleati per il Sud sullo schema di proposta di parere formulata dal relatore.

Pier Paolo BARETTA (PD), sottolineando come il parere espresso dalla Commissione non sia servente rispetto a quello reso dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, rileva che il lavoro della Commissione è stato, in questa occasione, sacrificato rispetto a quello della Commissione bicamerale, anche per la sovrapposizione personale di taluni componenti. Rileva che l'onorevole Corsaro, relatore del provvedimento nella Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e membro della Commissione, avrebbe dovuto avere la sensibilità di essere presente alla discussione che si sta svolgendo. Con riferimento all'osservazione contenuta nella proposta di parere dell'onorevole Armosino, relativamente all'articolo 26-bis, ritiene che occorra meglio specificarne la formulazione. Ricorda che il suo gruppo ha votato contro il decreto sul federalismo municipale, a suo avviso sbagliato, mentre rileva che il testo all'esame della Commissione è stato significativamente migliorato, oltre che per la disponibilità del Ministro Calderoli, per il significativo apporto propositivo del Partito Democratico. Evidenzia, tuttavia, come esso si inquadri nell'ambito di una riforma complessa rispetto alla quale permangono talune perplessità. Ricorda in particolare che il suo gruppo è contrario ad un federalismo che comporti un aumento della pressione fiscale per i cittadini, come quello realizzato con il decreto sul federalismo municipale. Nel rilevare che nel testo in esame vi sono maggiori garanzie al riguardo, annuncia l'astensione del suo gruppo sulla proposta di parere presentata dal relatore, sottolineando che si tratta di un'apertura di credito verso la riforma del federalismo


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fiscale e non nei confronti della maggioranza o di una sua parte.

Maria Teresa ARMOSINO (PdL), relatore, concordando con quanto osservato dall'onorevole Baretta, presenta una nuova formulazione della propria proposta di parere (vedi allegato 5).

La Commissione approva la proposta di parere del relatore, come da ultimo riformulata, risultando conseguentemente preclusa la proposta di parere presen- tata dagli onorevoli Borghesi e Cambursano.

La seduta termina alle 19.50.

V Commissione - Giovedì 24 marzo 2011


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ALLEGATO 1

5-04441 Toccafondi: Iniziative per il reintegro del capitolo di bilancio relativo ai contributi per le scuole paritarie.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Toccafondi, chiede al Governo di assicurare il totale reintegro delle dotazioni finanziarie relative alle istituzioni scolastiche non statali per un importo pari ad euro 245 milioni, come indicato nell'elenco 1 allegato alla legge 13 dicembre 2010, n. 220.
Al riguardo, si fa presente che lo stanziamento di euro 245 milioni risulta assegnato dall'articolo 1, comma 40, della legge n. 220 del 2010 e sarà destinato alle finalità previste al menzionato elenco 1 con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al momento in corso di perfezionamento.
Ne consegue che soltanto dopo il perfezionamento del citato decreto potrà provvedersi alle occorrenti variazioni di bilancio per l'anno corrente negli stati di previsione delle Amministrazioni interessate per l'attribuzione delle risorse finanziarie di rispettiva competenza.
Si precisa, inoltre che in applicazione dell'articolo 1, comma 13, della predetta legge di stabilità, sono state accantonate somme sul capitolo n. 1477 «Contributi alle scuole paritarie comprese quelle della Valle d'Aosta» per euro 28.304.555. Pertanto, attualmente risultano iscritte in bilancio, al netto degli accantonamenti di cui sopra, risorse per euro 252.537.738.


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ALLEGATO 2

5-04442 Bitonci e Montagnoli: Limitazioni alle spese per sponsorizzazioni sostenute dagli enti locali.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione gli onorevoli Bitonci e Montagnoli nell'evidenziare l'estrema importanza per gli enti locali di poter usufruire dell'istituto della sponsorizzazione e valutato, altresì, come il taglio esteso anche alle spese per manifestazioni, mostre e rappresentanza si traduca anche in una limitazione dell'autonomia dei comuni chiedono se non si ritenga di assumere iniziative volte a rivedere le limitazioni di cui trattasi.
Con riferimento alle spese di sponsorizzazione, occorre premettere che dalla deliberazione della Corte dei conti - Sezione Regionale di controllo per la Lombardia - adunanza del 20 dicembre 2010, di cui è cenno nell'interrogazione, emerge che dovrebbe ritenersi escluso dal concetto di sponsorizzazione e, quindi dal divieto posto dal comma 9, dell'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 «il sostegno di iniziative di un soggetto terzo, rientranti nei compiti del Comune nell'interesse della collettività».
Tuttavia, si è dell'avviso che l'esclusione degli enti locali dall'applicazione delle misure di contenimento stabilite dall'articolo 6 (in particolare, i commi 8 e 9) del citato decreto-legge n. 78 del 2010 non possa che essere attuata mediante un intervento normativo, atteso che in base alla vigente formulazione le citate disposizioni devono ritenersi applicabili in via diretta ai predetti enti, non esclusi dalla clausola di cui al comma 20, del medesimo articolo 6.


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ALLEGATO 3

5-04443 Rubinato e altri: Disciplina delle sanzioni per gli enti locali per il mancato rispetto dei vincoli del Patto di stabilità interno.

TESTO DELLA RISPOSTA

Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Rubinato ed altri chiedono un intervento normativo per rivedere la disciplina delle sanzioni applicabili agli Enti Locali per il mancato rispetto del patto di stabilità interno.
In particolare, gli interroganti rappresentano che l'articolo 14, comma 3 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nel prevedere la riduzione dei trasferimenti per gli enti locali inadempienti al patto di stabilità interno in misura pari alla differenza fra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico, ha, di fatto, determinato un drastico inasprimento delle sanzioni che, unitamente al taglio dei trasferimenti erariali di cui al comma 2 del richiamato articolo 14, comporterà numerosi problemi agli enti locali. Gli interroganti, inoltre, nel precisare che tale modifica normativa del sistema sanzionatorio, pur applicandosi in relazione al mancato rispetto del patto di stabilità interno 2010, è intervenuta alla fine del mese di maggio, ovvero ad approvazione dei bilanci di previsione già avvenuta e, dunque, in un contesto di più contenute sanzioni dettate dalla previgente normativa, rappresentano le difficoltà che molti comuni dovranno affrontare nell'approvare i nuovi bilanci di previsione 2011.
Gli interroganti chiedono, pertanto, l'assunzione di iniziative normative volte a modificare la disciplina delle sanzioni per gli enti locali, di cui al citato articolo 14, comma 3 del decreto-legge n. 78 del 2010, prevedendo, con particolare riferimento al mancato rispetto del patto di stabilità interno 2010, l'applicazione delle sanzioni in vigore alla data di approvazione dei bilanci di previsione - di cui all'articolo 77-bis, comma 20, del decreto-legge n. 112 del 2008 - o, quantomeno, un alleggerimento delle stesse sanzioni, modificando, conseguentemente, il nuovo meccanismo premiale di cui all'articolo 1, comma 122, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011).
Al riguardo, nel condividere la preoccupazione che, in determinate circostanze, il vigente quadro normativo potrebbe creare difficoltà per alcuni enti locali nell'approvazione dei bilanci di previsione 2011, si rappresenta che la richiesta di modifica dell'attuale sistema sanzionatorio, comporterebbe oneri finanziari, qualora non si operasse una conseguente modifica del comma 122 dell'articolo 1 della legge n. 220 del 2010, che prevede la riduzione degli obiettivi programmatici 2011 per un valore complessivo pari allo sforamento registrato dagli enti non rispettosi del patto di stabilità interno per il 2010.
Infatti, la predetta riduzione degli obiettivi è finanziata con i maggiori spazi finanziari rinvenienti dall'applicazione della sanzione in parola. Conseguentemente, si ritiene che la modifica possa aver corso purché sia contestualmente apportata una modifica al richiamato comma 122 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2011, volta a ridurre gli spazi finanziari da utilizzare per la riduzione degli obiettivi 2011.


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ALLEGATO 4

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).

PROPOSTA DI PARERE PRESENTATA DAGLI ONOREVOLI BORGHESI E CAMBURSANO

La V Commissione Bilancio,
esaminato lo Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario;
premesso che:
«in base al nuovo testo dell'articolo 119, le Regioni - come gli enti locali - sono dotate di "autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (primo comma) e godono di "risorse autonome" rappresentate da tributi ed entrate propri, nonché dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (secondo comma). E per i territori con minore capacità fiscale per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo "senza vincoli di destinazione" (terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali "di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" (quarto comma). Non di meno, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato può destinare "risorse aggiuntive" ed effettuare "interventi speciali" in favore "di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni" (quinto comma)» (così, tra gli altri, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 423 del 2004);
il presente schema di decreto legislativo contiene una serie di snodi fondamentali della riforma del cosiddetto «federalismo fiscale»: il sistema tributario delle Regioni, il sistema dei tributi provinciali, il meccanismo perequativo regionale e quello dei Comuni e delle Province, i fabbisogni standard in sanità. La determinazione dei fabbisogni standard è una questione intimamente connessa a quella dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti per quantità e qualità su tutto il territorio nazionale, di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione repubblicana. I costi ed i fabbisogni standard dovrebbero, pertanto, essere definiti in stretto riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni. L'esplicito legame tra la determinazione dei livelli delle prestazioni ed i diritti civili e sociali rappresenta peraltro un «ponte» di collegamento tra la Prima e la Seconda parte della Costituzione, identificando nella potestà legislativa statale uno dei principali strumenti di armonizzazione del principio di autonomia con il principio di uguaglianza, affidando a questa clausola il compito di definire il punto di equilibrio tra le esigenze di uniformità e le ragioni del decentramento e dell'autonomia. Pertanto,


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l'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione rappresenta - senza alcun dubbio - un punto fermo per la salvaguardia delle condizioni di eguaglianza dei diritti dei cittadini da ogni tendenza discriminatoria e quindi disgregatrice. I livelli essenziali delle prestazioni assumono, quindi, anche una funzione di tutela dell'unità economica e della coesione sociale nazionale;
è attraverso la «determinazione degli standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale» (cosi la Corte costituzionale, da ultimo, nella sentenza n. 207 del 2010) che prende forma il vero contenuto del principio di uguaglianza formale e sostanziale, nonché il presupposto per la partecipazione dei cittadini alla vita sociale, politica, economica del Paese (articolo 3 della Costituzione);
la questione dei fabbisogni standard costituisce, in vero, l'architrave su cui dovrebbe poggiare l'intero impianto del cosiddetto «federalismo fiscale». Dalla loro esatta determinazione deriverà e dipenderà - direttamente - la concreta salvaguardia dei diritti civili e sociali che danno corpo alla cittadinanza repubblicana, come sanciti nella parte prima della Costituzione;
in riferimento allo schema di decreto in oggetto, come peraltro rilevato dalla Conferenza delle e delle Province Autonome, «le criticità più rilevanti possono essere considerate quelle relative alla mancata determinazione dei LEA/LEP, per tutte le materie di cui all'articolo 117 della Costituzione, lettera m), che assumono un rilievo importante per l'individuazione del fabbisogno sanitario e che, pertanto, dovrebbero essere definiti all'interno del decreto legislativo. Analogamente il rinvio ad altri provvedimenti di carattere amministrativo (quando la delega ne affidava, invece, la definizione al presente decreto legislativo) su questioni rilevantissime quali: (1) modalità di convergenza ai costi standard e alla capacità fiscale; (2) quantificazione della minore dimensione demografica; (3) quantificazione del livello di perequazione; (4) perequazione infrastrutturale;
il contenuto normativo del presente schema di decreto risulta peraltro fortemente intrecciato alla definizione dei fabbisogni standard: questione tuttora segnata da incertezza ed indeterminatezza. Sebbene, infatti, sia già stato emanato, in tal senso, il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, esso si occupa esclusivamente della metodologia attraverso cui individuare tali fabbisogni, senza alcuna puntualizzazione concreta né fattuale. Pertanto, il germe dell'indeterminatezza che infettava il precedente decreto legislativo si traspone, inevitabilmente e in tutta evidenza, anche nel presente provvedimento;
in merito, inoltre, al Fondo perequativo dello Stato - cuore «sociale» del provvedimento - si rileva, infatti, come la definizione dei meccanismi perequativi sia strettamente dipendente dalla determinazione dei fabbisogni standard, quale parametri di riferimento cui ancorare il finanziamento delle spese degli enti locali, in sostituzione del criterio della spesa storica;
la Corte dei Conti, in sede di audizione, ha rilevato come «Se molte delle soluzioni adottate, coerenti con i capisaldi previsti nella delega, hanno il pregio, in continuità con quanto costruito e sperimentato nel decennio trascorso, di offrire spazi per una effettiva autonomia finanziaria, non si può non sottolineare come il ridisegno complessivo che emerge si presenti particolarmente complesso e di difficile gestione. Su almeno tre fronti sono rintracciabili elementi di criticità: (1) la definizione dei confini del processo di passaggio da una fiscalità derivata ad una propria; (2) la carenza nella definizione degli elementi costitutivi dei livelli essenziali delle prestazioni; (3) l'approssimazione e l'incompletezza della base informativa e l'inadeguatezza del sistema informativo su cui si fonda il processo»;
considerato, in particolare, che:
lo schema di decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle


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Regioni a statuto ordinario e delle Province si presta ad un duplice ordine di considerazioni: di carattere generale, il primo, concernente la portata e rimpianto generale dell'intervento; di ordine puntuale, il secondo, relativo alle singole previsioni. Con riguardo al primo ordine di considerazioni, si può fin da subito evidenziare il carattere parziale, limitato e riduttivo dell'intervento in esame, il quale si limita, nei fatti, a riconfermare il sistema fiscale e, più in generale, il modello di finanziamento attualmente vigente per Regioni e Province. Con riguardo alle Regioni, in particolare, è ribadita - ancorché implicitamente - la centralità dell'Irap. Addirittura - come si vedrà - il decreto sembra compiere dei passi indietro rispetto alla disciplina in vigore. Sempre con riguardo alle Regioni, poi, se è vero che vengono soppressi alcuni tributi, come anche che viene espressamente riconosciuta la possibilità per le Regioni di istituire tributi propri, nonché tributi locali, va evidenziato che, stante il vincolo per le Regioni di non tassare presupposti già «occupati» dai tributi erariali, con ogni probabilità i tributi soppressi saranno reintrodotti come tributi propri. Infine, e proprio con riguardo al potere delle Regioni di istituire tributi propri e tributi locali, appare particolarmente grave la mancata previsione di ogni indicazione, criterio o parametro, utile a circoscrivere, ma anche ad indirizzare e coordinare, l'esercizio in concreto di simile potere. Cosa che, di contro, ci si sarebbe aspettati da un provvedimento normativo che, nelle intenzioni, dovrebbe segnatamente fissare i principi generali di coordinamento della finanza pubblica (articolo 119 della Costituzione);
anche per le Province viene confermato rassetto vigente. La principale novità, sul piano strettamente tributario, attiene all'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore: tale imposta, di cui fino ad ora è stata prevista l'attribuzione del gettito alle Province, diventerà tributo proprio delle stesse, che potranno modificarne (solo) le aliquote. A ben vedere, difatti, le principali novità per le Province interessano, piuttosto, le compartecipazioni: viene soppressa la compartecipazione provinciale al gettito IRPEF e viene istituita una compartecipazione all'accisa sulla benzina, nonché una compartecipazione alle tasse automobilistiche regionali; viene altresì soppressa l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica;
si comprende, da ciò, che il decreto in esame, in realtà, finisce per confermare non solo e semplicemente l'assetto dei tributi di Regioni e Province quanto, più in generale, l'intero sistema di finanziamento di tali enti o, almeno, la ratio ispiratrice. Particolarmente significativo è, al riguardo, quanto previsto in tema di trasferimenti. I trasferimenti, sia statali sia regionali verranno infatti soppressi (articoli 6 ed 8). Sennonché, i trasferimenti saranno sostituiti da compartecipazioni a tributi erariali, le quali - come noto - costituiscono strumenti di finanziamento altrettanto opachi e deresponsabilizzanti dei trasferimenti (a meno di prevedere incentivi e/o disincentivi legati all'andamento del gettito dei tributi compartecipati, sulla falsariga di quanto previsto per i Comuni per la lotta all'evasione; incentivi che, però, non sono contemplati). Sicché, stante l'assoluta centralità che le compartecipazioni verranno ad assumere nel sistema di finanziamento delle Regioni e delle Province, si è portati a concludere che la novella in discussione non apporterà sostanziali novità al modello attuale di finanziamento di tali enti. Questo sul lato delle entrate. Ma anche sul lato delle spese il decreto in esame si mostra largamente deficitario. A parte le spese sanitarie, di cui il decreto, potendo contare sull'esperienza maturata con i Patti per la salute, si occupa diffusamente, per le altre spese - che la legge n. 42 del 2009 qualificava come relative a prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale (assistenza sociale, istruzione scolastica e trasporto pubblico) - non viene dettata alcuna previsione di dettaglio. Per queste


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spese, difatti, la determinazione dei costi standard e dei livelli essenziali delle prestazioni è rinviata ad atti e momenti successivi. È emblematico, a proposito, il tenore dell'articolo 9, dove, addirittura, si rinvia ad una legge statale (neppure più ad un decreto legislativo di attuazione della legge n. 42 del 2009) per la disciplina delle procedure per la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni: non dei Lep e dei Lea, peraltro, ma addirittura delle procedure per la loro determinazione. Un rinvio ed un'assenza di disciplina cui non rimedia, certamente, la previsione secondo per cui, fino alla loro determinazione, i Lep ed i Lea sono quelli già fissati dalla legislazione statale vigente; ciò, per la semplice ragione che una simile determinazione si ha solo in materia sanitaria;
lo schema di decreto in esame rimane, insomma, largamente deficitario, trascurando di fissare termini e modalità per l'individuazione dei Lep, dei Lea e dei costi standard (per i quali, l'articolo 24 rinvia ad un distinto decreto legislativo), pur presupponendone la puntale determinazione (come in sede di disciplina dei fondi perequativi). Sennonché, in mancanza di una misurazione ed individuazione di tali parametri, riesce poi difficile, se non impossibile, ipotizzare il funzionamento del Fondo perequativo di cui all'articolo 11. Così, sebbene l'attivazione di tale Fondo è rinviata al 2014, è evidente che il suo concreto funzionamento resta condizionato alla previa individuazione dei Lep e dei Lea, almeno per le materia individuate come fondamentali: in loro mancanza, anche il predetto Fondo non è in grado di operare;
sempre in tema di Fondi perequativi va poi osservato che il decreto si limita a riprodurre la lettera della legge n. 42 del 2009, in questo modo di fatto operando un rinvio, per l'elaborazione e l'introduzione della relativa disciplina (fonti di finanziamento, modalità di erogazione, criteri di riparto eccetera), a futuri decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Ciò è palese per il Fondo di cui all'articolo 19 (che, per inciso, dovrebbe essere già stato recepito nell'articolo 7-quater del decreto sul fisco municipale), che riproduce, pedissequamente, il testo dell'articolo 13 della legge n. 42 del 2009. Sennonché, la legge delega, nel dettare l'articolo 13, si è espressa in termini di «definizione di modalità», palesando con ciò chiaramente l'intendimento di assegnare segnatamente al legislatore delegato il compito di dettagliare le modalità di attuazione dei criteri direttivi enucleati. Ma se ciò è vero, ecco allora che lo schema in esame non rispetta la delega: il decreto, infatti, limitandosi a riprodurre il testo della legge delega, non fa che conferire una delega ulteriore al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; ciò, nonostante la legge delega abbia indirizzato i criteri al legislatore delegato, affinché li attuasse mediante decreti legislativi, da emanare secondo la particolare procedura di cui all'articolo 2 della legge n. 42 del 2009. Non certo con atti regolamentari, dove peraltro, stando all'articolo 19, non è previsto neppure un confronto in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie;
in conclusione, non solo viene lasciata tutta ancora da scrivere la disciplina di tali fondi; soprattutto si opera uno sviamento rispetto alla fonte normativa a tal fine ipotizzata dalla legge delega: questa, invero, non sarà, come voluto dalla legge delega, un decreto legislativo, da adottare con la particolare procedura prevista dalla legge n. 42 del 2009 stessa, bensì un regolamento, da emanare con la relativa procedura. Alla luce di simili considerazioni, il giudizio sul decreto in esame non può che essere critico. Ciò, segnatamente, nella misura in cui si è preferito conservare piuttosto che innovare. Senza dimenticare, poi, che il testo contiene una disposizione che, da sola, mette in discussione la ragione stessa dell'intervento. Il riferimento è all'articolo 26 laddove stabilisce, testualmente, che «l'esercizio dell'autonomia tributaria non può comportare, da parte di ciascuna Regione, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente». Una simile previsione è, infatti, contraddittoria,


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dal momento che l'esercizio di un'autonomia tributaria deve scontare, inevitabilmente, la possibilità di un aumento della pressione fiscale. Il discorso è ovviamente diverso se - come del resto previsto dalla legge delega - l'aumento, che si vuole scongiurare, è quello della pressione fiscale complessiva: ma allora, occorre prevedere strumenti idonei a fa sì che l'aumento della pressione fiscale, presso un certo livello di governo, venga bilanciato da una corrispondente diminuzione, della medesima, presso un altro e diverso livello. La previsione citata, tuttavia, non menziona un simile bilanciamento (evocato invece, ad esempio, dall'articolo 2), lasciando con ciò intendere che - nelle intenzioni del Governo - l'obiettivo di realizzare un federalismo senza aumentare la pressione fiscale generale dovrà essere, totalmente, a carico delle Regioni. In questo modo, però, l'intero provvedimento, almeno nella filosofia ispiratrice, si pone in contraddizione con l'idea stessa di federalismo fiscale, ossia di autonomia politica, prima che finanziaria, degli enti sub statali. Per certi versi, peraltro, si pone in contrasto anche con la legge delega. L'articolo 28 della legge n. 42 del 2009, invero, ha collocato l'obiettivo «di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nella fase transitoria» nel quadro di una «determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo». Vero è che l'articolo 26 dello schema prevede che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (ancora da istituire), avvalendosi della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, debba monitorare gli effetti finanziari del decreto, e ciò proprio al fine di garantire il rispetto del limite della pressione fiscale complessiva. Sennonché, quella prevista è solo un'attività di monitoraggio, destinata a segnalare al Governo le eventuali misure correttive. Fuori, quindi, da un quadro condiviso. Questo, nel momento in cui, invece, il vincolo per le Regioni di non aumentare la pressione fiscale a carico del contribuente, viene affermato in modo categorico, e non condizionato ad un bilanciamento nel quadro della pressione fiscale globale;
in definitiva, l'impressione che si ritrae dalla lettura dello schema di decreto in esame è quella di un intervento di stampo conservativo, teso a regolamentare l'assetto esistente, piuttosto che a dettare le linee portanti di una riforma. Il sistema dei tributi di Regioni e Province viene fondamentalmente riconfermato: le novità ipotizzate appaiono di impatto limitato e, comunque, lontane da un'idea di vero federalismo, concepito come modello di finanziamento fondato sulla responsabilità e la trasparenza delle scelte di prelievo. Lo stesso si può dire, del resto, per l'impianto complessivo dei finanziamenti che saranno messi a disposizione di Regioni e Province: nella misura in cui le principali risorse finanziarie deriveranno dalle compartecipazioni, si replicherà di fatto il modello vigente, largamente deresponsabilizzante, posto che le compartecipazioni mantengono la medesima opacità dei trasferimenti, e non si possono evidentemente intendere come strumenti di finanziamento responsabilizzanti per gli enti sub statali;
sotto il profilo del merito puntuale del provvedimento si osserva che:
l'articolo 2 (tralasciando i commi 2 e 3, che si riferiscono al tema della spesa sanitaria e che, per tale ragione, sarebbero da trasporre nel Capo IV) detta disposizioni in tema di addizionale Irpef per le Regioni. Dell'addizionale, peraltro, si occupa anche il successivo articolo 5, motivo per cui è opportuno attendere ad una lettura congiunta delle due norme. L'addizionale Irpef per le Regioni è confermata come anche l'aliquota base dell'addizionale, pari allo 0,9 per cento (articolo 5). Aliquota base che, tuttavia, ai sensi dell'articolo 2, dovrà essere rideterminata, in misura tale da assicurare alle Regioni entrate corrispondenti ai trasferimenti da sopprimere ed alla compartecipazione all'accisa sulla benzina (assegnata alle Province). Le Regioni, inoltre, riacquistano il


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potere di variare l'aliquota dell'addizionale. Potere, questo, che era rimasto sospeso per effetto del comma 7 dell'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 e, successivamente, del comma 123, articolo 1, legge 13 dicembre 2010, n. 220, sino - appunto - all'attuazione del federalismo fiscale. Si tratta, certamente, di una soluzione in linea con il tema del federalismo fiscale. L'addizionale, invero, rappresenta una forma di finanziamento trasparente e responsabilizzante. Peraltro, potendo contare sulla disciplina applicativa propria del tributo base, ha il vantaggio di non moltiplicare i costi di adempimento per i contribuenti. Va ricordato, tuttavia, che dalla base imponibile resteranno esclusi i redditi soggetti alla nuova cedolare secca sui canoni di locazione. L'articolo 2, comma 1, prevede, altresì, che nel determinare l'aliquota base dovranno essere contestualmente ridotte le aliquote Irpef di competenza statale; ciò, con l'obiettivo di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente. Sennonché, tale previsione appare riferita solo all'aliquota base e non pure alle eventuali maggiorazioni, che potranno essere disposte dalle Regioni: se così è, tuttavia, l'intero meccanismo rischia di restare paralizzato, in ragione del successivo articolo 26, ai sensi del quale «l'esercizio dell'autonomia tributaria non può comportare, da parte di ciascuna Regione, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente». Il decreto pone poi una serie (corposa) di vincoli alle Regioni per l'esercizio del potere di variare l'aliquota, che appaiono in contraddizione con lo spirito di una riforma in senso federale della fiscalità regionale. Il primo vincolo è di ordine temporale. Ai sensi dell'articolo 5, il potere di variare l'aliquota dell'addizionale incontra delle soglie, che si innalzano nel corso del tempo: al 0,5 per cento sino al 2013; all'1,1 per cento, per il 2014; al 2,1 per cento a decorrere dal 2015. A parte una malcelata diffidenza verso le Regioni, i motivi di questa gradualità nell'innalzamento restano oscuri, almeno in una prospettiva di federalismo fiscale. Soprattutto, nella misura in cui non sono previsti strumenti di bilanciamento della pressione fiscale complessiva. Sul punto, si condivide il rilievo espresso nella relazione predisposta dal servizio studi della camera dei deputati, per cui andrebbe meglio chiarito che gli incrementi sono punti percentuali che si aggiungono, incrementano, all'aliquota base e non la percentuale della stessa. Il secondo limite attiene, invece, alla possibilità stessa di aumentare le aliquote. Si prevede, infatti, che le Regioni che abbiano ridotto l'aliquota base Irap, ai sensi dell'articolo 4, non possano aumentare l'aliquota dell'addizionale oltre lo 0,5 per cento. Anche questo limite non trova però ragione in un modello di autentico federale fiscale, nel quale dovrebbero essere lasciati all'autonomia politica delle Regioni il potere e la responsabilità di decidere come ripartire il carico tributario tra imprese e persone fisiche. Peraltro, si prevede che l'aumento dell'aliquota oltre lo 0,5 per cento non deve comportare un aggravio, sino ai due primi scaglioni di reddito, a carico dei titolari di redditi da lavoro dipendente e da pensione in relazione ai predetti redditi. Tralasciando le perplessità dovute alla formulazione di tale limite (sembra di capire che possano beneficiare di tale misura solo i titolari esclusivamente di redditi di lavoro e da pensione, posto che la garanzia di invarianza della pressione fiscale va circoscritta ai predetti redditi) e la difficoltà che potrebbe incontrare la sua realizzazione pratica (per le modalità di attuazione si rinvia, comunque, ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia), resta la perplessità di un limite che, ancora, collide con l'idea stessa del federalismo fiscale. Perché anche qui, in ultima analisi, è lo Stato che decide (limitandola) come le Regioni debbono esercitare la loro autonomia tributaria. Un ulteriore limite attiene alla possibilità per le Regioni di rendere l'addizionale progressiva. Le Regioni possono infatti differenziare le aliquote, ma esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalle leggi. Non possono, pertanto, prevedere una progressività


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più spinta perché articolata su più scaglioni, né, sembrerebbe, introdurre una progressività continua in luogo di quella a scaglioni propria dell'Irpef (come invece avviene attualmente in diverse Regioni). Al comma 4 dell'articolo 5 si prevede, poi, che le Regioni possano disporre detrazioni in favore della famiglia. Una simile possibilità, sicuramente, è coerente con un impianto federalista. Desta non di meno perplessità la soluzione prescelta, ossia di consentire alle Regioni di maggiorare le detrazioni previste dall'articolo 12 del Tuir; ciò per la ragione che le detrazioni in oggetto concorrono al calcolo dell'imposta netta Irpef e, come tali, non incidono sulla misura dell'addizionale. Così formulata, la previsione è ambigua. L'addizionale regionale all'Irpef (prevista dall'articolo 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997) è determinata, difatti, applicando l'aliquota, stabilita dalla Regione dove il contribuente risiede, al reddito complessivo determinato ai fini IRPEF, al netto degli oneri deducibili. L'addizionale, quindi, si applica sul reddito e non sull'imposta, su cui invece incidono le detrazioni di cui all'articolo 12. La misura dell'imposta, ai fini del computo dell'addizionale, è richiamata solo in merito all'an, nel senso che l'addizionale non è dovuta qualora non sia dovuta l'Irpef, una volta scomputate tutte le detrazioni d'imposta. Ecco allora che, volendo riconoscere alle Regioni il potere di concedere agevolazioni alle famiglie, nell'ambito dell'addizionale, lo si deve fare consentendo loro di concedere, oltre che deduzioni, anche detrazioni, ma chiarendo che, pur modulate sulla falsariga di quelle ex articolo 12, queste incidono direttamente sull'importo dell'addizionale e non dell'Irpef. Il testo del comma 4 andrebbe, di conseguenza, riformulato. Un'ultima notazione va fatta con riguardo alla possibilità, riconosciuta alle Regioni, di concedere detrazioni dall'addizionale in luogo dell'erogazione di voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale (comma 5 dell'articolo 5). Si osserva, al riguardo, che il rinvio all'articolo 118 della Costituzione ed al principio di sussidiarietà orizzontale, ivi affermato, non appare corretto. A rigore, infatti, si può parlare di sussidiarietà orizzontale quando il settore pubblico promuove i privati per l'erogazione di servizi (segnatamente nel sociale) di interesse e rilievo pubblico. Nel caso in oggetto, a ben vedere, non si prevede la concessione di agevolazioni ai privati che operano nel sociale, in forma diretta (accordando aliquote minori) o indiretta (consentendo di dedurre eventuali donazioni); s'ipotizza, più semplicemente, di sostituire erogazioni dirette con sconti fiscali e, quindi, essenzialmente di modificare le modalità di intervento pubblico. Senza trascurare che l'erogazione di voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale non sono misure perfettamente fungibili con le detrazioni di imposta, posto che queste ultime, per definizione, presuppongono che vi sia un'imposta da pagare ossia un debito (e quindi un reddito) capiente: in mancanza, la detrazione non può essere fruita; in merito alla compartecipazione al gettito IVA (articolo 3), dovrebbe essere meglio chiarito che il consumo rilevante è quello finale, del consumatore non soggetto Iva, e non pure gli scambi intermedi nel ciclo economico del bene/servizio. Inoltre, per le prestazioni di servizi si potrebbero riprendere, mutatis mutandis, i criteri di territorialità già dettati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 633/72;
la rubrica dell'articolo 4 è rivelatrice della reale intenzione perseguita dal legislatore delegato. Nella logica di un decreto redatto per fissare le regole generali entro cui collocare l'autonomia tributaria delle Regioni, il tema dell'Irap andava infatti affrontato, non in termini di mera riduzione dell'aliquota, quanto, semmai, nella prospettiva di elaborare i più articolati confini entro cui consentire un pieno e compiuto esercizio della potestà regionale. Ciò, soprattutto, alla luce dei cambiamenti intervenuti nella disciplina di questa particolare imposta. Nel testo in esame si prevede, difatti, solo che le Regioni possano ridurre le aliquote fino ad azzerarle. Il potere di variare l'aliquota in aumento rimane invece quello già previsto


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dall'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997, qui richiamato. Con riguardo al potere di riduzione dell'aliquota, peraltro, sono previsti due limiti. Il primo, integrato dal rispetto del diritto comunitario; il che significa, essenzialmente, ricordare alle Regioni che non potranno (tra l'altro) prevedere riduzioni dell'imposta a carattere selettivo tra le diverse imprese. Sul punto, si segnala che appare quanto meno superfluo evocare esplicitamente gli orientamenti della Corte di Giustizia, dal momento che questi fanno parte integrante del diritto comunitario, che le Regioni sono chiamate (ex articolo 117 Cost.) a rispettare nell'esercizio della propria potestà legislativa. Il secondo limite è rappresentato dal fatto che le Regioni non possono ridurre l'aliquota se aumentano l'addizionale Irpef oltre lo 0,5 per cento. La ratio è chiara: le Regioni non possono spostare il peso fiscale dalle imprese alle persone fisiche. Sennonché, questa costituisce per definizione una scelta politica, di cui dovrebbero restare responsabili le Regioni. Anche questa previsione, quindi, si mostra in palese conflitto con una logica «federalista». Peraltro, non si comprende neppure la ragione di stabilire che, nel caso di aumento dell'addizionale Irpef, resta inibito alle Regioni, non solo l'azzeramento dell'Irap ma, anche, la sua semplice riduzione. A tacer d'altro, una simile soluzione minaccia di aggravare il divario tra le Regioni: tra quelle che si possono finanziare l'abbattimento dell'Irap e, così, attrarre nuove imprese, e quelle che, di contro, non hanno simile possibilità e rischiano, così, di perdere le imprese ivi insediate. Il decreto, in definitiva, non si occupa di rivedere l'Irap in termini di imposta autenticamente regionale; sembra più (e solo) interessato a lanciare e poi ribadire il messaggio della volontà di superare tale imposta. In tal senso, è già significativa la rubrica dell'articolo. Del pari, è significativa la previsione, contenuta all'articolo 11, secondo cui le spese delle Regioni relative ai Lep sono finanziate, tra l'altro, dall'Irap, ma solo fino alla data della sua sostituzione con altri tributi: ebbene, è evidente la portata propagandistica di una simile enunciazione, posto che un tributo può essere fonte di finanziamento di una spesa solo finché resta in vigore. Sennonché, il decreto, pur chiaro ed univoco nell'intenzione di superare l'Irap, lascia poi interamente alle Regioni il potere di togliere tale imposta; rectius l'onere, dal momento che, poi, il medesimo decreto ha cura di chiarire che la riduzione o l'azzeramento dell'Irap rimane esclusivamente a carico del bilancio della Regione. Il decreto, difatti, non si preoccupa di fornire strumenti alternativi di finanziamento. A conferma di un approccio troppo sommario del decreto al tema dell'Irap, va poi rilevato che, stando alla lettera della norma, le Regioni possono azzerare l'aliquota Irap ma, a rigore, non ne possono modificare la disciplina. Limite questo che, tuttavia, appare in contrasto con la natura stessa di tale imposta, quale risulta a seguito dell'articolo 1, comma 43, legge 24 dicembre 2007, n. 244, per cui, a decorrere dal 1o gennaio 2009 (termine prorogato al 1o gennaio 2010 dall'articolo 42, comma 7, decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14), l'Irap costituisce tributo proprio della Regione, da istituire con legge regionale. Vero è che la legge ha contestualmente circoscritto il potere delle Regioni, tenendo ferma l'indeducibilità dell'IRAP dalle imposte statali e consentendo alle Regioni di modificare solo l'aliquota, le detrazioni e le deduzioni, di introdurre speciali agevolazioni. Non anche, però, di modificare le basi imponibili. Sennonché, una simile soluzione, di prudenza, come si legge nel citato comma 43, ha trovato specifica giustificazione nell'esigenza di attendere la compiuta individuazione delle regole fondamentali necessarie ad assicurare il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di livello substatuale. Regole che, appunto, dovrebbero/avrebbero dovuto essere introdotte dal decreto in esame. Ebbene, il decreto in commento, non solo non contempla le predette regole, ma disciplina, quale unico potere per le Regioni, quello di modificare le aliquote ovvero di ridurle a zero. La disciplina


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vigente è richiamata, in tema di autonomia normativa delle regioni, ancora e solo limitatamente al potere di variare le aliquote, di cui all'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997. Non si fa invece alcuna menzione ai potere di introdurre deduzioni, detrazioni ed agevolazioni, né a quello di modificare la base imponibile. Soprattutto, non si fa alcun riferimento al fatto che l'Irap dovrebbe, oramai, essere considerata un tributo proprio regionale. L'impressione che si ritrae, insomma, è quella di un testo scritto nella preoccupazione di circoscrivere piuttosto che di ampliare l'autonomia tributaria delle regioni in materia di Irap. Sarebbe pertanto opportuno almeno coordinare il testo del decreto in esame con quanto già previsto dall'articolo 1, comma 43, legge 244 del 2007, sopra richiamato;
nonostante la rubrica, l'articolo 7 si occupa, essenzialmente, di sopprimere taluni tributi regionali. Si tratta - va chiarito - di tributi minori (Tassa per l'abilitazione all'esercizio professionale; Imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo; Tasse sulle concessioni regionali; Imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile; Tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali). Peraltro, l'elenco delle previsioni legislative da sopprimere di conseguenza presenta talune incongruenze (ad esempio l'articolo 18, comma 4, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, in tema di canoni per le utenze di acqua pubblica, è già stato abrogato dall'articolo 175, decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; con riguardo al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1977, n. 616, sembrerebbe invece opportuno abrogare anche l'articolo 120, posto che l'articolo 121 citato si limita a riferire territorialmente il gettito dei prelievi di cui all'articolo 120). Gli altri tributi attualmente riconosciuti alle Regioni (oltre all'IRAP, l'Imposta regionale sulla benzina per autotrazione, l'Imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, il Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, la Tassa regionale per il diritto allo studio universitario, le Tasse automobilistiche regionali) vengono mantenuti (comma 2). Il decreto, al riguardo, si limita solo a prevedere che tali tributi costituiranno tributi propri derivati, senza però chiarire il senso e la portata di tale qualificazione. Si è indotti a ritenere, pertanto, che nei fatti nulla cambierà rispetto alla situazione vigente. Oltretutto, non è chiaro se la predetta qualificazione vada riferita anche all'Irap la quale - come detto - dovrebbe invece considerarsi tributo proprio delle Regioni, ex articolo 1, comma 43, legge 24 dicembre 2007, n. 244. Considerazioni analoghe vanno poi ripetute con riguardo all'articolo 16 in tema di tributi provinciali. L'approccio quanto meno sbrigativo mantenuto dal decreto rispetto al tema della fiscalità delle Regioni trova conferma nel successivo articolo 25, dove si prevede che, a decorrere dal 2013 (non prima, quindi), le Regioni potranno istituire nuovi tributi regionali e/o locali, sebbene limitatamente su presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato. Ebbene, a parte constare che la rubrica dell'articolo 7 («Ulteriori tributi») appare più calzante per il citato articolo 25 (rubricato, invece, con l'anodina formula «Tributi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera q, della legge n. 42», è evidente che il limite rappresentato dal divieto di impiegare presupposti già «sfruttati» dal legislatore statale porterà, con ogni probabilità, le Regioni a reintrodurre, come tributi propri, quelli soppressi dall'articolo 7. Soprattutto, ed è questa la principale critica da muovere alla norma ed al decreto in generale, si omette qualsiasi criterio di coordinamento per la nuova, auspicata, fiscalità regionale. Manca la previsione di modelli ideali di tributo (nell'alternativa tra tasse ed imposte), così come manca l'individuazione di criteri di territorialità, la previsione di regole di continenza, il richiamo all'osservanza del diritto comunitario, l'enunciazione di un divieto di concorrenza sleale tra livelli di governo, l'affermazione dei principi di trasparenza e di responsabilizzazione nelle forme di prelievo. Insomma, mancano quelle regole


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di cornice che, invece, ci si dovrebbe attendere da una legge statale di coordinamento della fiscalità sub statale;
l'articolo 13 non presenta particolari criticità. Del resto, si limita a convertire in tributo proprio derivato delle Province l'imposta sull'RC auto, il cui gettito, fino ad ora, era semplicemente devoluto alle Province. Su tale nuovo tributo proprio derivato le Province avranno riconosciuto anche un (limitato) potere di variare l'aliquota fino a 2,5 punti percentuali. Desta semmai qualche perplessità il comma 4, ai sensi del quale le Province potranno stipulare con l'Agenzia delle entrate apposite convenzioni per l'espletamento, in tutto o in parte, delle attività di liquidazione, accertamento, riscossione dell'imposta, nonché per il relativo contenzioso. Il dubbio nasce dalla previsione per cui, fino alla stipula delle predette convenzioni, le predette funzioni saranno svolte, comunque, dall'Agenzia delle entrate. Così formulata, però, la previsione appare di difficile lettura, in quanto non sembra lasciare alternative alla gestione del tributo da parte dell'Agenzia delle entrate, sia prima che dopo la convenzione;
la disciplina della determinazione dei costi standard per le Regioni a statuto ordinario nel settore sanitario è contenuta nel Capo IV del decreto in esame. Punto di partenza è la determinazione del fabbisogno sanitario nazionale «in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica» (articolo 21). Per ottenere il finanziamento della singola regione si dovrà applicare all'ammontare di finanziamento nazionale cosi predeterminato il rapporto tra il fabbisogno sanitario standard della regione e la somma dei fabbisogni regionali standard risultanti, sia l'uno che gli altri, dalla disciplina di cui all'articolo 22, commi 4-12: (1) a tutte le regioni si applicano i valori di costo rilevati in tre regioni di riferimento (cosiddette «benchmark») le quali devono essere scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra una lista di cinque regioni (individuata dal Ministero della salute, di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze) che hanno garantito i Livelli essenziali di assistenza (Lea) in condizione di equilibrio economico e in condizioni di efficienza e appropriatezza; (2) per ognuno dei tre macrolivelli (assistenza collettiva in ambiente di vita e di lavoro, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera) si calcola un costo standard aggregato come media pro-capite pesata del costo registrato dalle regioni di riferimento, inteso come spesa sostenuta per macrolivello rapportata alla popolazione pesata in funzione della struttura per età temperata «secondo criteri fissati mediante intesa in Conferenza Stato-Regioni, che tengano conto anche di indicatori relativi a particolari situazioni territoriali, ritenuti utili al fine di definire i bisogni sanitari»; (3) questo costo standard viene poi applicato alla popolazione pesata di ognuna delle regioni, ottenendo così il suo fabbisogno standard. Come già detto, si procede infine a calcolare il rapporto tra il fabbisogno standard di ogni regione e la somma dei fabbisogni standard e si applica la quota regionale così ottenuta al fabbisogno nazionale predeterminato in coerenza con le compatibilità macroeconomiche e di finanza pubblica: il risultato fornisce il finanziamento spettante a ogni regione. Le regioni in equilibrio economico sono individuate sulla base dei risultati relativi al secondo esercizio precedente a quello di riferimento e così pure le pesature sono effettuate con i pesi per classi di età relativi a quell'esercizio. La determinazione di costi e fabbisogni standard viene effettuata annualmente dal ministro della Salute, di concerto col ministro dell'economia e delle finanze e d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni (articolo 22, commi 1-2). I criteri indicati dal decreto potranno in futuro essere rideterminati previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, comunque nel rispetto del livello di finanziamento nazionale stabilito. Con decreto legislativo integrativo saranno determinati i costi standard, relativi alle


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materie diverse dalla sanità, associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale (articolo 23);
dall'analisi della disciplina illustrata emergono una serie di punti assai critici:
rispetto alla prima versione del decreto, dove l'unico criterio di pesatura era quello basato sulla struttura per età della popolazione, si introduce ora il riferimento anche ad altri indicatori, relativi a particolari situazioni territoriali, che siano ritenuti utili al fine di definire i bisogni sanitari (articolo 22, comma 6, lettera e) ma tuttavia non si specifica quali essi possano essere, rinviando per la loro definizione a un'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. In particolare si rileva la mancanza di ogni riferimento alle caratteristiche demografiche, orografiche ed alle situazioni infrastrutturali (sia per quanto concerne i collegamenti stradali che quelli ferroviari) dei territori, nonché alla distribuzione delle strutture ospedaliere in rapporto a tali caratteristiche;
il riferimento a un solo esercizio (il secondo precedente l'anno di riferimento) non tiene conto di possibili oscillazioni casuali di spesa regionale;
è rilevabile una discontinuità rispetto all'esperienza avviata con il Patto per la salute del settembre 2006, che prevedeva la predeterminazione per un periodo triennale del fabbisogno sanitario nazionale e delle percentuali di riparto tra le regioni: si costituiva in tal modo un quadro di certezze essenziale affinché Stato e Regioni programmassero su un orizzonte pluriennale la spesa e quindi le azioni di miglioramento dell'organizzazione e gestione del sistema. Il ritorno alla determinazione annuale dei fabbisogni (nazionale e regionali) ripropone anzitutto il rischio di un inseguimento anno per anno della spesa da parte del finanziamento del tipo sperimentato tra il 2001 e il 2006 (con effetti di perdita di controllo sulla spesa) ed inoltre comporta un ritorno alla prassi delle defatiganti trattative annuali tra Stato e Regioni e tra le stesse Regioni circa il riparto del finanziamento nazionale, che in passato ha portato a definire le risorse annualmente a disposizione delle singole regioni a esercizio finanziario già concluso;
non è chiaro se il periodo per la convergenza al sistema a regime (5 anni) abbia inizio nel 2013, primo anno successivo al triennio di riferimento del nuovo Patto per la salute 2010-12, o se abbia inizio con l'entrata in vigore del presente decreto. Nulla si dice circa la procedura di revisione a regime dei criteri di calcolo di costi e fabbisogni standard, disponendosi semplicemente che tale revisione potrà effettuarsi previa intesa in Conferenza Stato-Regioni. Il rischio principale è l'adozione di parametri di valutazione errati facendo derivare i bisogni dalle risorse anziché far derivare la determinazione delle risorse dalla decisione sui bisogni prioritari di salute;
segnatamente, in riferimento all'articolo 22 dello schema di decreto in esame occorre segnalare quanto segue:
la previsione di carattere «annuale» per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard sembrerebbe discostarsi dall'impostazione della programmazione di medio periodo cui hanno fatto riferimento i precedenti Accordi sanitari del 2001 e del 2006. Anche l'Intesa del dicembre 2009 si pone in tale ottica, da un lato, fissando l'ammontare del finanziamento a carico dello Stato su un arco pluriennale, dall'altro, individuando indicatori di carattere strutturale per la valutazione dell'efficienza e dell'appropriatezza delle prestazioni, nonché indicatori dell'equilibrio economico-finanziario delle regioni. Nello schema di decreto in esame i criteri di riparto, pur se rapportati ad un intervallo temporale annuale, sono parametrati su fattori (quali, ad esempio, la consistenza della popolazione regionale e la sua suddivisione in classi di età) non suscettibili di cambiamenti sensibili nel breve termine. Sulla base di tali considerazioni, le variazioni annuali dovrebbero essere il più possibile limitate, e comunque


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circoscritte all'ammontare complessivo di risorse da destinare al finanziamento dei LEA (da definire nell'ambito delle scelte di politica economica, ma sempre nell'ottica di un bilancio pluriennale), limitando le modifiche riguardanti il riparto delle stesse tra le regioni. Tali modalità di determinazione delle risorse da destinare alla sanità andrebbero valutate anche alla luce della considerazione secondo cui la certezza dell'ammontare delle risorse statali e una sostanziale stabilità delle «quote di accesso» al finanziamento rafforzano la capacità programmatoria e organizzativa delle Regioni, agevolando l'adozione di azioni di miglioramento, determinanti, in particolare, nella gestione dei Piani di rientro;
il fabbisogno regionale standard viene determinato in fase di prima applicazione a decorrere dall'anno 2013, utilizzando per tutte le regioni i valori di costo rilevati nelle regioni prese a riferimento (cosiddette regioni benchmark). A tale proposito, il successivo comma 10 stabilisce che il processo di convergenza definito dalla legge 42/2009, ovvero il finanziamento dei servizi erogati dalle Regioni non più in base alla spesa storica ma secondo valori standard di costo e fabbisogno, si compia nell'arco di cinque anni. Non appare chiaro, tuttavia, sulla base di quali parametri, si arrivi all'applicazione a regime del meccanismo descritto nei commi successivi. In particolare, non viene chiarito se e in quale misura nella fase transitoria sia prevista la possibilità di una variazione delle risorse assegnate alle singole regioni, né come il percorso di convergenza verso la fase a regime si coordini con quanto stabilito, per alcune regioni, dai rispettivi Piani di rientro;
riguardo alla metodologia proposta per il calcolo del costo standard, si rileva che l'esclusione dal calcolo delle maggiori entrate derivanti dall'attivazione da parte delle regioni della leva fiscale (cosiddetti extra-gettiti) o delle altre disponibilità di bilancio potrebbe apparire non coerente con l'impianto del sistema basato sull'individuazione delle regioni benchmark, cioè di quelle regioni che si segnalano per l'erogazione efficiente ed appropriata dei Lea. L'avere raggiunto tale obiettivo, infatti, potrebbe dipendere anche dalla scelta di finanziare il sistema sanitario regionale con ulteriori entrate fiscali. Eliminare, pertanto, tale fonte di finanziamento (cui corrisponde un preciso livello di spesa) potrebbe comportare il rischio di erogare i Lea al di sotto degli standard previsti. Si osserva, inoltre, che secondo quanto indicato al comma 6, lettera b), per individuare il livello di spesa rilevante ai fini del costo standard, andrebbero escluse dal calcolo non soltanto gli extra gettiti e le altre coperture fiscali, ma anche la differenza tra entrate proprie effettive e convenzionali: ai fini del calcolo dell'equilibrio economico previsto dal comma 5, le entrate proprie sembrerebbero, invece, pienamente scontate. Si determinerebbe quindi un'asimmetria nel trattamento di tali entrate. Infine, con riferimento alla nettizzazione degli ammortamenti, l'applicazione di tale procedura non appare agevole, data la estrema varietà di regole adottate nella contabilità sanitaria con riferimento a tale voce. L'uniformazione delle regole contabili in materia appare pertanto propedeutica all'effettiva applicabilità della norma in esame;
il sistema di pesi preso in considerazione nello schema di decreto fa sostanziale riferimento alla suddivisione per classi di età, salvo l'integrazione con altri parametri che consentano di tener conto anche delle condizioni socio-economiche di alcune realtà territoriali. Non è chiaro tuttavia se, rispetto al sistema attuale, la pesatura sia da intendersi estesa a tutti i livelli e sotto-livelli di assistenza, anche a quelli attualmente finanziati in base ad una quota capitaria «secca», in quanto corrispondenti a consumi sanitari considerati indipendenti dall'età. Fatta eccezione per la farmaceutica (attualmente vincolata ad un tetto di spesa e per la quale l'esperienza evidenzia una correlazione molto netta tra l'età e il consumo dei


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farmaci), con tale sistema si determinerebbe quindi una «sovra-pesatura» per i restanti livelli;
in riferimento al fondo perequativo regionale il Gruppo Parlamentare «Italia dei Valori» ebbe a presentare un ordine del giorno, in occasione dell'esame della legge n. 42 del 2009. In tale atto di indirizzo - accolto dal Governo e per questo non posto in votazione - si impegnava l'Esecutivo, in sede di attuazione delle disposizioni sulla ripartizione del fondo perequativo regionale per le Regioni con popolazione al di sotto di una determinata soglia da individuarsi con i decreti legislativi, «a tenere conto nella determinazione del fabbisogno standard non solo della dimensione demografica ma anche delle caratteristiche territoriali con particolare riguardo alla presenza di zone montane - delle caratteristiche demografiche, sociali e produttive». Tale impegno a rilevantissimo impatto sociale non sembra essere stato accolto nello schema di decreto in esame, rischiando di inficiare il complesso strutturale del fondo perequativo a sfavore di aree territoriali segnate da particolari caratteristiche sociali e produttive, appunto;
in merito alla copertura finanziaria del provvedimento in esame - ai fini del rispetto di quanto stabilito dall'articolo 81 della Costituzione - si rileva che, a scapito di quanto disposto all'articolo 27, contenente la clausola di neutralità finanziaria dell'intero decreto legislativo, si deve osservare che detto principio di invarianza finanziaria difficilmente sarà rispettato a causa di numerosi profili di criticità rinvenibili in riferimento a diverse disposizioni recate dal decreto stesso. In particolare, anche a seguito dei rilievi mossi dal Servizio di Bilancio della Camera dei deputati, si segnala:
l'articolo 2, commi 1 e 4 intervengono sulla disciplina dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e dell'addizionale regionale all'IRPEF prevedendo modifiche a decorrere dall'anno 2012 La disciplina in esame è contenuta anche nell'articolo 5. In merito ai profili di quantificazione, si osserva, in via preliminare, che la relazione tecnica fornisce esclusivamente un'indicazione sulla natura degli effetti che le diverse misure determinano sui bilanci dei soggetti coinvolti. La relazione non fornisce, con la sola esclusione dell'importo della compartecipazione regionale al gettito dell'accisa sulla benzina per l'anno 2008, una stima degli ammontari movimentati che consenta di verificare l'effettiva neutralità finanziaria delle disposizioni, sia ai fini dei saldi di finanza pubblica che della pressione fiscale complessiva. Il quadro finanziario delle compatibilità non è determinato nella relazione tecnica e la compensatività complessiva degli interventi in esame potrà essere verificata solo a seguito dell'adozione dei decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi delle norme in esame, dei quali le norme stesse non dispongono l'obbligo preliminare di trasmissione alle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, né tali atti sembrano sottoposti agli obblighi di redazione della relazione tecnica riguardanti, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge n. 42 del 2009, gli schemi legislativi attuativi della riforma;
l'articolo 5 reca disposizioni in materia di addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) disciplinando, in particolare, il potere attribuito alle regioni a statuto ordinario di apportare modifiche nell'ambito dell'autonomia ad esse riconosciuta. In merito ai profili di quantificazione, si rileva che le disposizioni, come affermato dalla relazione tecnica, determinerebbero effetti neutrali. Appare, in ogni caso, necessario che il governo fornisca chiarimenti in merito ad alcune delle disposizioni contenute nell'articolo in esame, anche al fine di meglio comprenderne i profili applicativi, ciò vale soprattutto in relazione al comma 4 che concede alle regioni, nell'ambito della addizionale di cui all'articolo in esame, la facoltà di disporre con propria legge detrazioni in favore della famiglia, maggiorando le detrazioni per carichi di famiglia di cui


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all'articolo 12 del TUIR. La norma non appare di chiara formulazione in quanto, da un lato, prevede che la suddetta facoltà operi esclusivamente nell'ambito dell'addizionale IRPEF, dall'altro, dispone che la medesima sia esercitata attraverso una maggiorazione delle detrazioni per carichi di famiglia previste dal TUIR. Si ricorda, in proposito, che le detrazioni di cui all'articolo 12 del TUIR sono, ove spettanti, utilizzate dal contribuente in riduzione dell'IRPEF lorda di competenza erariale. Pertanto, una loro maggiorazione comporterebbe una riduzione del gettito della suddetta imposta;
l'articolo 6 reca la soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario. La relazione tecnica, riassumendo il contenuto della disposizione, ricorda che si prevede la soppressione di tutti i trasferimenti statali di parte corrente e aventi carattere di generalità e permanenza, destinati alle regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni di competenza regionale, compresi quelli finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni. Tale soppressione, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, viene compensata con un incremento dell'addizionale regionale all'Irpef In merito ai profili di quantificazione, si osserva preliminarmente che la relazione tecnica non reca un quadro riepilogativo degli effetti dell'intero provvedimento ed in particolare non fornisce la quantificazione dei trasferimenti soppressi. Inoltre nella fase di prima applicazione della riforma, oltre al vincolo di invarianza del totale delle risorse attribuite rispetto ai trasferimenti soppressi, occorre rispettare anche il vincolo di integrale finanziamento delle funzioni LEP sulla base della spesa storica, attivando i necessari meccanismi di perequazione delle risorse tributarie attribuite;
l'articolo 14 reca la soppressione dei trasferimenti statali alle Province e compartecipazione provinciale all'accisa sulla benzina. La relazione tecnica descrive brevemente la norma precisando che viene prevista, a decorrere dall'anno 2012, la soppressione dei trasferimenti statali destinati alla generalità degli enti e con carattere di permanenza delle province delle Regioni a statuto ordinario, con corrispondente riconoscimento alle stesse di una compartecipazione all'accisa sulla benzina. A tale scopo la relazione tecnica ipotizza che i trasferimenti da considerare ai fini della soppressione siano quelli provenienti dal Ministero dell'interno di tipo A, ossia quelli di natura permanente e generale, identificati in ambito COPAFF. In merito ai profili di quantificazione, si osserva che la relazione tecnica non fornisce informazioni di dettaglio che consentano di ricostruire la stima dei trasferimenti oggetto di soppressione a partire dai dati della relazione Copaff;
l'articolo 19 reca la disciplina del Fondo perequativo per le province e i comuni, ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 42 del 2009, per il finanziamento delle spese dei comuni e delle province, successivamente alla determinazione dei fabbisogni standard collegati alle spese per le funzioni fondamentali. Con riferimento a quanto disposto dall'articolo in esame, che individua in particolare i criteri di ripartizione del fondo perequativo, si evidenzia la necessità di acquisire un chiarimento in merito ai profili di coordinamento tra tale disciplina e quella disposta dal citato schema di provvedimento sul federalismo municipale che disciplina in particolare i criteri di attribuzione di risorse tributarie direttamente ai comuni o al fondo perequativo. Andrebbe in particolare chiarito con quali modalità sia assicurato che tale attribuzione di risorse garantisca comunque il finanziamento integrale dei fabbisogni standard di spesa inerenti alle funzioni fondamentali, da determinarsi secondo gli indicatori di fabbisogno finanziario previsti dal comma 4 dell'articolo in esame;
si deve inoltre segnalare un profilo di criticità in relazione all'eventualità di un aumento della pressione fiscale in seguito all'applicazione dell'articolo 26, comma 2, che affida alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica - non ancora istituita - il


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monitoraggio degli effetti finanziari derivanti dallo schema di decreto in esame, al fine di valutarne i riflessi sul livello della pressione fiscale. Nello svolgimento di tale attività la Conferenza si avvale del supporto della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Alla suddetta Conferenza è altresì attribuito il potere di proposta al Governo delle eventuali misure correttive atte a garantire il rispetto del limite massimo della pressione fiscale complessiva, in coerenza con quanto stabilito con la decisione di finanza pubblica di cui all'articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196;
il comma 2 dell'articolo 26, reca inoltre, al secondo periodo, una ulteriore disposizione di salvaguardia della pressione fiscale stabilendo che l'esercizio dell'autonomia tributaria non può comportare, da parte di ciascuna regione, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente. Al riguardo si segnalano alcuni profili problematici: non è infatti chiaro, in primo luogo, se tale divieto vada riferito alla posizione individuale dei singoli contribuenti o a quella complessiva dell'insieme dei contribuenti della regione. Si osserva inoltre che la norma non specifica con quali modalità sarà verificato il rispetto del predetto divieto e quali sanzioni siano eventualmente previste in caso di mancato rispetto dello stesso;
non è inoltre chiaro come la disposizione in esame si coordini con l'ampliamento della facoltà di aumento delle addizionali regionali all'IRPEF prevista dall'articolo 5. Si segnala infatti che al comma 2 di tale disposizione il divieto di aumento dell'aggravio fiscale è limitato ai primi due scaglioni di reddito in relazione ai soli redditi da lavoro dipendente o da pensione. Si segnala altresì che analogo divieto non sembra sussistere anche per le province, cui l'articolo 13 riconosce, a decorrere dal 2014, più ampie possibilità di manovra delle aliquote dell'imposta sulle assicurazioni RC auto;
da tale incertezza complessiva, così come rilevata, emerge con evidenza l'impossibilità concreta di valutazione degli oneri, ed in tale contesto è quindi indimostrabile la clausola di invarianza finanziaria di cui all'articolo 26 dello schema di secreto in esame;
occorre, inoltre, rilevare che seppur assai parzialmente condivisibili, le modificazioni proposte nel parere del Relatore, non sanano alcune delle rilevanti criticità del testo governativo iniziale: addirittura, talune storture, già evidenziate con riferimento al testo originario, vengono ulteriormente esasperate, anche con riferimento all'aumento potenziale della pressione fiscale complessiva a carico dei contribuenti;
considerato, segnatamente, che nella proposta del Relatore, onorevole Corsaro, presentata in sede di Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, si prevede quanto segue:
con l'articolo 2 è stata prorogata di un anno (dal 2012 al 2013) la rideterminazione dell'addizionale regionale all'Irpef. Si rileva, al riguardo, che sono stati accorpati al 2013 diversi termini, contemplati dallo schema di decreto, che nella versione precedente risultavano scaglionati su anni differenti (al 2013 è stato portato il potere di azzerare l'aliquota Irap, in precedenza fissato al 2014 ex articolo 4; sempre dal 2013, e non più dal 2012, saranno soppressi i trasferimenti ex articolo 6; la trasformazione in tributi propri regionali di taluni tributi derivati è stata anticipata al 2013 ex articolo 7; dal 2013, non più 2014, dovrebbe partire il Fondo perequativo di cui all'articolo 11). Ciò presenta certamente il vantaggio di consentire una visione unitaria delle novità introdotte dalla riforma: vi è da domandarsi, tuttavia, se la portata di taluni interventi (soppressione dei trasferimenti, compartecipazione Iva, Fondo perequativo eccetera) non avrebbe richiesto tempi di attivazione diversi, proprio per poterne monitorare gli effetti ed adeguare di conseguenza gli interventi successivi;
all'articolo 3, in merito ai criteri di territorialità per il riparto della compartecipazione


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Iva, la formulazione proposta è ambigua. Da un lato, con riferimento alle cessioni di beni, prevedere che il luogo del consumo sia quello della cessione non significa molto, posto che tale luogo può essere indistintamente quello in cui avviene la spedizione, la consegna o dove è destinato il bene, ovvero dove viene concluso il contratto. Certamente, tale luogo non dovrebbe poter essere quello in cui è ubicato il bene, dato che la norma si preoccupa di precisare specificatamente che il luogo di consumo è tale nel caso, solo, di cessione di beni immobili. Altra ambiguità si registra con riguardo alle prestazioni di servizio, dove è contemplata la possibilità che il luogo di consumo sia identificato con quello di domicilio del fruitore. Sennonché, non si comprende, da un lato quali possano e/o debbano essere le eventuali alternative (luogo di fruizione del servizio, domicilio del fornitore eccetera), né le ragioni e/o i presupposti per l'esercizio della predetta facoltà. Infine, non è chiara la previsione sui «beni e servizi non di mercato». I soggetti erogatori di tali beni e servizi (pubbliche amministrazioni ed Istituzioni sociali) vengono trattati ai fini del quadro VT come consumatori finali ovvero soggetti Iva, a seconda che l'acquisto dei beni e servizi da loro effettuati siano destinati ad operazioni Iva o meno; al contempo, le erogazioni di beni e servizi fuori mercato, proprio perché tali, sono sottratte ad Iva. Per la definizione dei criteri di riparto territoriale della compartecipazione è previsto un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare solo sentita la Conferenza Stato-Regioni. La novità introdotta nella versione in commento è che dovrà essere sentita anche la Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, se già costituita, la Conferenza permanente, nonché ottenuto il parere delle Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili di carattere finanziario. Come già osservato, non è previsto alcun coinvolgimento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
marginali le novità portate all'articolo 4 tale articolo (anticipata al 2013 la possibilità di azzerare l'Irap). Si rimarca, tuttavia, come si mostri pesante l'assenza di qualsiasi criterio volto a coordinare l'esercizio della potestà impositiva delle Regioni. È così concreto il rischio di una concorrenza fiscale spinta tra Regioni: tra Regioni, riccamente popolose, che si possono permettere di aumentare modestamente l'addizionale Irpef e ridurre grandemente l'aliquota Irap e Regioni, viceversa, scarsamente popolate che, necessariamente, debbono tenere alta l'addizionale Irpef e, per effetto dell'alternatività di cui al già criticato comma 3, non possono, non tanto azzerare, ma neppure ridurre l'aliquota Irap;
correttamente, all'articolo 5 è stato previsto che debbano restare indenni dall'aumento dell'addizionale oltre lo 0,5 per cento i titolari di reddito nelle prime due fasce, indipendentemente dal tipo di reddito: come segnalato, la diversa soluzione, che riservava la garanzia ai soli titolari di redditi di lavoro dipendente e di pensione, appariva discriminatoria, iniqua, difficile realizzazione pratica, incompatibile col dettato costituzionale;
in merito ai trasferimenti statali oggetto di soppressione (articolo 6), si segnala che sono considerati solo quelli di parte corrente e non pure quelli di parte capitale: sennonché, la legge delega, nel prevedere la soppressione dei trasferimenti, non sembra contenere una simile distinzione. Inoltre, va rimarcata la mancata previsione di un periodo transitorio - come invece lasciava intendere la legge delega (articolo 20) - in cui operare la soppressione graduale dei trasferimenti congiuntamente all'attivazione a regime del fondo perequativo. È stato previsto il coinvolgimento delle Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili finanziari, ma non della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
all'articolo 7, correttamente è stata concepita come mera facoltà per le


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Regioni la soppressione di taluni tributi derivati, di cui, nella versione precedente, era prevista l'immediata abrogazione. Era evidente, difatti, che in quel modo si sarebbe potuta verificare la necessità, per talune regioni, di reintrodurre i tributi soppressi, con un aggravio nelle procedure ed una complicazione (anche politica) invece evitabili. Semmai, si segnala che la norma, nel prevedere che i tributi elencati, che possono essere soppressi, saranno trasformati in tributi propri, non chiarisce le implicazioni di tale qualificazione né quali sono, in concreto, i poteri di intervento per le regioni sulle discipline dei tributi predetti, che restano di fonte nazionale. La norma non si preoccupa neppure di fissare criteri di coordinamento nonché limiti alle regioni nel modulare la nuova disciplina di tali prelievi ovvero le aliquote, come invece fa con riguardo alla tassa automobilistica regionale. Con riguardo a tale tassa, lascia invece perplessi la qualificazione che ne viene fatta di tributo proprio ex articolo 7, comma 1, lettera b) numero 3, della legge n. 42 del 2009, posto chela disciplina della tassa automobilistica regionale è di fonte statale (decreto del Presidente della Repubblica n. 39 del 1953), che la norma stessa si preoccupa di richiamare e preservare (almeno per i limiti massimi di manovrabilità). Più corretta e coerente era, così, la sua qualificazione come tributo derivato ex articolo 7, comma 1, lettera b) numero 1, salvo voler intendere che, fermi i limiti massimi, le Regioni possono disciplinare il tributo in oggetto in totale e piena autonomia, peraltro in assenza di ogni forma o misura di coordinamento;
nell'articolo 7-bis, di nuovo inserimento, si prevede l'attribuzione alle Regioni del gettito derivante dalla lotta all'evasione fiscale. Tuttavia, al di là delle suggestioni, la previsione in esame riesce di difficile comprensione: il gettito riconosciuto alle Regioni è gettito che già dovrebbe spettare loro, trattandosi del gettito relativo, segnatamente, ai tributi propri derivati, alle addizionali, nonché all'aliquota di compartecipazione Iva. Non è previsto quindi, come per i Comuni, una partecipazione alla lotta all'evasione remunerata con una quota di tributo erariale; viene solo chiarito che, dalla lotta all'evasione, anche le Regioni si possono avvantaggiare, potendo aumentare il gettito dei tributi loro spettanti. Il che è ovvio. Del resto, la norma non condiziona la spettanza delle risorse aggiuntive ad una specifica attività e/o ad un fattivo contributo di ciascuna Regione. La novità, sul punto, appare semmai la previsione che, con Decreto, verranno fissate le modalità di riversamento diretto alle Regioni delle risorse in oggetto;
all'articolo 7-ter si prevede che l'atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 330 del 1999, ossia dell'atto con cui si determinano, annualmente, gli sviluppi della politica fiscale, le linee generali e gli obiettivi della gestione tributaria, nonché le grandezze finanziarie e le altre condizioni nelle quali si sviluppa l'attività delle agenzie fiscali, sia adottato d'intesa con le Regioni. Forse, sarebbe più corretto ipotizzare il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, posto che il coinvolgimento singolo di ciascuna Regione è poi previsto per la stipula delle convenzioni con l'Agenzia delle entrate. Viene altresì previsto il coinvolgimento dell'istituenda Conferenza permanente per il funzionamento della finanza pubblica, senza però che sia dettata la disciplina transitoria da impiegare fino alla sua concreta istituzione;
all'articolo 7-quater, nel prevedere che gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote di tributi regionali derivati possono essere fatte solo con la contestuale adozione di misure compensative, si affida la quantificazione finanziaria di tali misure ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare d'intesa con la Conferenza permanente per il funzionamento della finanza pubblica. Sennonché, non si prevede un regime transitorio per il periodo in cui la predetta Conferenza non sia ancora attiva ed operante. In ogni caso, sembra opportuno prevedere un coinvolgimento


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della Conferenza permanente Stato-Regioni, posto che si tratta di individuare misure compensative di interventi su prelievi integranti risorse proprie delle Regioni;
sarebbe opportuno all'articolo 8 prevedere la contestualità, ossia l'unità ed unicità dei relativi atti, tra la soppressione, a cura delle Regioni, dei trasferimenti regionali ai Comuni - peraltro, anche qui solo di parte corrente - e la determinazione delle compartecipazioni da accordare ai medesimi sui tributi regionali. Lo stesso anche con riguardo all'istituzione del Fondo sperimentale regionale, di cui viene individuata la durata massima (tre anni);
all'articolo 9, l'auspicata disciplina per l'individuazione dei Livelli essenziali delle prestazioni e degli obiettivi di servizio trova finalmente ingresso. Viene così indubbiamente migliorata la versione originaria dello schema di decreto, che si limitava ad un mero rinvio ad una successiva legge. Tuttavia, la disciplina in concreto introdotta presenta indubbie criticità, anche di ordine costituzionale. In primo luogo, perché si rinvia - con Decreto Legislativo - ancora ad una futura legge per la determinazione delle modalità di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie diverse dalla sanità. Una legge futura (come in effetti previsto dall'articolo 20 della legge n. 42 del 2009) di cui, però, sembrerebbero qui fissati soltanto taluni criteri (comma 2). Si prevede, in particolare, una procedura di ricognizione dei Lep ma, parrebbe, solo per la determinazione delle spese in conto capitale (comma 4). Inoltre, non si comprende chi e con quali modalità sia chiamato a stabilire, tramite intesa conclusa in sede di Conferenza unificata, i livelli di servizio da erogare fino alla determinazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni (comma 5). Infine è previsto il coinvolgimento della SOSE ai fini della ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni che le Regioni effettivamente garantiscono e dei relativi costi. Sarebbe però opportuno coordinare meglio le diverse parti della disposizione in commento, chiarendo i diversi momenti in cui s'intende articolare la fissazione dei Lep e degli obiettivi di servizio, nonché la loro implementazione: fase preliminare di ricognizione, semmai affidata alla SOSE, dei costi e dei livelli essenziali; fase elaborativa di tali livelli e costi, con il coinvolgimento, oltre che del Governo, della Conferenza Stato-Regioni e di organi parlamentari; fase di adozione mediante legge; fase attuativa, nell'ambito della legge di stabilità, volta a realizzare la convergenza dei costi e dei fabbisogni standard nonché degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni. Il tutto, con la previsione di una tempistica coerente con l'attuazione delle altre parti della riforma;
all'articolo 11 si disciplina l'istituzione del Fondo perequativo. Ebbene, si dovrebbe prevedere che anche al decreto da adottare per definire le modalità di convergenza della spesa per i servizi essenziali verso i costi standard (comma 5) sia allegata una relazione tecnica, concernente le conseguenze di carattere finanziario, come per il decreto sulla convergenza delle capacità fiscali in merito ai servizi non essenziali (comma 8). Resta peraltro lacunosa la conformazione del fondo perequativo, in particolare di quello di cui al comma 5, di cui restano indeterminati i tempi, le responsabilità e le modalità di concreto funzionamento: qui, peraltro, non è neppure ipotizzata la fonte di simile disciplina;
all'articolo 13 la principale novità attiene alla prospettata revisione dell'Imposta provinciale di trascrizione. Va però evidenziato che viene da subito prevista l'eliminazione della misura fissa, attualmente vigente per gli atti soggetti ad Iva (comma 5-bis): e ciò significa un maggior prelievo a carico dei contribuenti, posto che viene disposta l'applicazione della misura variabile in ragione della potenza o del peso del veicolo. Desta poi perplessità la previsione secondo cui la revisione dell'Imposta provinciale di trascrizione andrà operata, specificatamente con la legge di stabilità (comma 5-ter);


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all'articolo 14 si dispone la soppressione dei trasferimenti statali alle Province nonché la rimodulazione dell'aliquota di compartecipazione provinciale all'Irpef, in modo da assicurare entrate corrispondenti ai trasferimenti soppressi. Ancora una volta, si fa riferimento solo ai trasferimenti di parte corrente. Occorre, al riguardo, prevedere che sia lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, nell'individuare i trasferimenti da sopprimere stabilisca l'aliquota di compartecipazione. Inoltre, sembra opportuno assicurare che l'invarianza di gettito sia a livello di ciascuna singola Provincia. Il comma 6 appare di difficile comprensione, in quanto non chiarisce che la quota del 33 per cento sulla compartecipazione, che viene riservata alla Provincia competente per territorio, è da intendere segnatamente come quota della medesima compartecipazione che non concorre al finanziamento del Fondo sperimentale di riequilibrio di cui al successivo articolo 17. Ciò, infatti, lo si comprende solo dalla lettura dei comma 2 del predetto articolo 17;
all'articolo 16, si dispone (comma 2) che, nell'ambito della revisione dell'imposta di scopo comunale (articolo 6 del decreto sul fisco municipale), venga disciplina altresì l'imposta di scopo provinciale. Non si comprende però come: l'imposta di scopo comunale, che dovrà essere revisionata, è e rimane sostanzialmente un'addizionale all'imposta comunale sugli immobili (in seguito l'Imu), rispetto cui è difficile costruire un'imposta Provinciale, se non nella forma dell'addizionale. Si tratterebbe, però, di un'addizionale sull'addizionale, peraltro - va ricordato - destinata ad essere applicata solo sulle seconde case (stante l'esenzione della prima casa) e gli immobili di imprese e professionisti. In violazione, come ricordato a suo tempo, del principio di continenza;
con riguardo al modello di finanziamento ipotizzato per le istituende città metropolitane (articolo 19-bis), la previsione, si evidenzia solamente che, a fronte della regola generale (comma 1) per cui alle città metropolitane sono attribuiti il sistema finanziario ed il patrimonio delle province in esse «assorbite», la previsione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'attribuzione delle fonti di entrata (comma 2) sembra lasciar intendere che, in realtà, non vi debba poi essere necessaria coincidenza tra queste e quelle che spettavano alle Province assorbite. Non si comprende, poi, la disposizione riferita all'imposta sulle emissioni sonore (comma 2-bis lettera c). Questa, a rigore, dovrebbe essere e restare un tributo regionale (peraltro proprio, ai sensi dell'articolo 7 del testo in commento): ebbene, qui si prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sarà altresì attribuita alle città metropolitane «la facoltà di istituire», tra l'altro, proprio l'imposta sull'emissioni sonore, ma solo nel caso in cui la regione non l'abbia soppressa e, soprattutto, «ne abbia deliberata l'attribuzione del gettito alla città metropolitana». S'ipotizza, insomma, che un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri possa trasformare in tributo proprio un tributo regionale di cui la regione ha deliberato l'attribuzione di gettito alla città metropolitana. Sennonché, se si tratta di tributo regionale, è coerente ipotizzare che vada riservato alla Regione la scelta se attribuire alla città metropolitana il solo gettito ovvero l'intera imposta. Soluzione, questa, che s'impone anche alla stregua della legge delega che, si ricorda, all'articolo 12, lettera g), recita, testualmente, «previsione che le regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, possano istituire nuovi tributi dei comuni, delle province e delle città metropolitane nel proprio territorio, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali, nonché dello stesso testo in discussione che, all'articolo 25, recepisce letteralmente la formula della delega testé riportata.
in particolare:
assumendo che le regioni di riferimento siano realmente quelle che garantiscono i Lea in condizioni di appropriatezza e con i costi più bassi, il riproporzionamento finale dei fabbisogni


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regionali al finanziamento nazionale predeterminato all'inizio del processo determinerà un surplus di risorse a disposizione di alcune regioni, e segnatamente di una o più tra quelle prese a riferimento, ciò che comporterà sicuramente un incremento della spesa in queste regioni - e tale aumento si consoliderebbe vieppiù con l'ampliamento del numero di quelle prese a riferimento - e l'indebolirsi della spinta all'efficienza che si vorrebbe imprimere: sarebbe opportuno introdurre, onde arginare la conseguenza indicata, che, al termine della procedura per il riproporzionamento finale dei fabbisogni regionali, per nessuna delle regioni prese a riferimento possa prodursi un incrementato del suo livello di spesa;
con riguardo alla salvaguardia del livello della pressione fiscale nazionale - che lo schema di decreto in esame formula in maniera ambigua e contraddittoria - sarebbe opportuno prevedere che l'autonomia impositiva regionale sia subordinata al parametro oggettivo formulato dall'Istat, concernente la pressione fiscale nazionale, da integrarsi alle indicazioni contenute nel Documento di Finanza pubblica - già dotato di valore normativo vigente, così come disciplinato dalla nuova legge di contabilità; il fine dovrebbe essere quello di impedire qualunque modifica al rialzo di aliquote da parte delle Regioni in assenza della certificazione da parte dell'Istat di una riduzione della pressione fiscale nazionale: l'accoglimento di tale previsione è dirimente ai fini della valutazione del provvedimento nel suo complesso;
in ordine alla perdurante violazione della norma di cui all'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 - la quale prevede che in sede di attuazione della legge n. 42 del 2010 in materia di federalismo fiscale non si tenga conto di quanto previsto in materia di riduzioni dei trasferimenti - si osserva che lo spirito dell'attuazione del federalismo fiscale sia determinato dalla malcelata volontà di far ricadere sugli enti territoriali oneri e responsabilità che sono tutte del Governo centrale, con la conseguenza di far ricadere il recupero dei tagli e l'equilibrio dei bilanci sulle spalle dei cittadini e dei contribuenti, in termini di servizi e di diritti;
in definitiva, in ordine alle rilevanti perplessità dettagliatamente elencate, in ordine alla sua compatibilità costituzionale, normativa e finanziaria,
esprime

PARERE CONTRARIO.

«Borghesi, Cambursano».


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ALLEGATO 5

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).

PROPOSTA DI PARERE APPROVATA

»La V Commissione bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, trasmesso ai sensi dell'articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (atto n. 317),
nel presupposto che, in sede di applicazione dell'articolo 9, comma 6, sia garantito l'allineamento quantitativo e temporale tra le esigenze finanziarie derivanti dai compiti affidati alla Sose S.p.A e l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 23, della legge n. 220 del 2010;
preso atto del parere approvato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 24 marzo 2011, con l'avviso favorevole del Governo;
esprime, sul testo del provvedimento risultante dal recepimento del richiamato parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale,

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:
valuti il Governo l'opportunità di precisare all'articolo 9, comma 6 che è compito della Sose S.p.A effettuare una ricognizione delle prestazioni attinenti ai livelli essenziali che le Regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi;
valuti il Governo l'opportunità di precisare, all'articolo 11, comma 5, che, con riferimento alle spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni in materie diverse dalla sanità, il parametro della spesa storica deve intendersi rapportato esclusivamente alla spesa erariale per le predette prestazioni e, quindi, ai trasferimenti statali soppressi. Tale precisazione dovrebbe riguardare anche il finanziamento nel primo anno delle funzioni non essenziali;
valuti il Governo l'opportunità di precisare che la disposizione di cui all'articolo 24-ter, comma 3, non ha effetti retroattivi e che si applica solo ai trasferimenti di funzioni amministrative disposti in data successiva alla data di entrata in vigore del decreto legislativo;
valuti il Governo l'opportunità di precisare all'articolo 24-octies, comma 2, il numero dell'unità del contingente preposto alla specifica struttura di segreteria della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, al fine di escludere che tale contingente assuma dimensioni tali da determinare problemi di funzionalità per le amministrazione di provenienza del relativo personale;
valuti il Governo se dall'applicazione del comma 3, dell'articolo 26-bis, non derivino effetti finanziari negativi a carico


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della finanza pubblica, non valutati con riferimento alle risorse del Fondo di cui all'articolo 1, comma 29, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, per i quali occorra, in tale ipotesi, provvedere un'apposita compensazione;
valuti il Governo l'opportunità di prevedere anche per le province e i comuni un meccanismo atto ad assicurare il reintegro delle riduzioni dei trasferimenti disposte ai sensi del decreto-legge n. 78 del 2010.»

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