Sulla pubblicità dei lavori:
Bruno Donato, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 103 E ABBINATE, RECANTI NUOVE NORME IN MATERIA DI CITTADINANZA
Audizioni di rappresentanti di organizzazioni che operano nel settore interessato, di rappresentanti delle autonomie locali, nonché di esperti della materia:
Bruno Donato, Presidente ... 3
Zaccaria Roberto, Presidente ... 15 17 19 20 22 23 24
26 27 38 41 44 45 46
Allam Khaled Fouad, Professore diSociologia del mondo musulmano, storia e istituzioni dei Paesi islamici e islamistica ... 38
Angelelli Marco, Esperto in materia di immigrazione ... 5
Angiolini Vittorio, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 22
Aureli Francesco, Rappresentante dell'organizzazione Save the children ... 32
Badescu Ramona, Delegato del sindaco di Roma per i rapporti con la comunità rumena ... 34
Bazzoni Giacomo, Rappresentante dell'ANCI ... 40 41
Belardinelli Sergio, Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi ... 31
Bertolini Isabella (PdL) ... 45
Bouchaib Gamal, Rappresentante del movimento Musulmani moderati ... 17 19
Bressa Gianclaudio (PD) ... 27 44
Campisi Silvana, Rappresentante dell'associazione Prodomed ... 19
Chabib Samira, Rappresentante di Saadia - Associazione donne marocchine ... 36
Dachan Mohamed Nour, Rappresentante dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia ... 16 17
Di Lecce Franca, Rappresentante del Servizio rifugiati e migranti della Federazione chiese evangeliche italiane ... 13
Elzir Izzedin, Rappresentante dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia ... 16
Frosini Tommaso, Professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 35
Giorgis Andrea, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 14
Intrivici Maria Carla, Rappresentante dell'associazione Nessun luogo è lontano ... 20
Iurcovich Ezequiel, Rappresentante dell'organizzazione Rete G2 - Seconde generazioni ... 10
Khaline Bouchaib, Presidente del Consiglio cittadini stranieri e apolidi della provincia di Bologna ... 41
La Manna Giovanni, Rappresentante dell'associazione Centro Astalli ... 32
Lippolis Vincenzo, Professore ordinario di diritto pubblico comparato ... 43
Loy Guglielmo, Rappresentante del Servizio politiche migratorie della UIL ... 23
Miraglia Filippo, Rappresentante dell'ARCI ... 3
Morozzo Della Rocca Paolo, Rappresentante della Comunità di Sant'Egidio ... 24
Mounia Saber, Rappresentante dell'Associazione minori non accompagnati ... 39
Ocmin Liliana, Rappresentante della CISL ... 4
Oussaifi Maruan, Rappresentante dell'Associazione nazionale oltre le frontiere ... 7
Panella Carlo, Giornalista e scrittore ... 27
Perego Giancarlo, Rappresentante della fondazione Migrantes ... 10
Porro Marina, Rappresentante della UGL ... 9
Russo Antonio, Rappresentante delle Acli e del Forum del terzo settore ... 29
Sarubbi Andrea (PD) ... 44
Soldini Pietro, Rappresentante della CGIL ... 12
Stracquadanio Giorgio Clelio (PdL) ... 26 27 44
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e
Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,20.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva nel quadro dell'esame delle proposte di legge C. 103 e abbinate, recanti nuove norme in materia di cittadinanza, l'audizione di rappresentanti di organizzazioni che operano nel settore interessato, di rappresentanti delle autonomie locali, nonché di esperti della materia.
Ricordo che, atteso l'elevato numero dei soggetti invitati a partecipare all'audizione, ciascun intervento dovrà essere contenuto entro i cinque minuti.
Comunico che diverse associazioni, alcuni professori e alcuni esperti della materia hanno già depositato delle memorie scritte che sono in distribuzione. A tal proposito, faccio presente che sarà gradita la trasmissione di eventuali ulteriori memorie scritte da allegare agli atti dell'indagine.
I nostri lavori si svolgeranno fino alle ore 14 circa e non sono previste interruzioni.
Do la parola agli auditi.
FILIPPO MIRAGLIA, Rappresentante dell'ARCI. Innanzitutto ringrazio, a nome dell'ARCI e del mio presidente, la Commissione affari costituzionali per l'invito all'audizione odierna.
Dirò poche cose nel tempo che mi è concesso, ma come ARCI ci riserviamo di inviare successivamente spiegazioni più dettagliate in relazione alle nostre osservazioni.
Vorrei partire dalla considerazione relativa al fatto che l'Italia, stando ai dati messi a disposizione da Eurostat, è oggi uno degli ultimi Paesi dell'Unione europea per acquisizioni di cittadinanza: è al diciottesimo posto in relazione all'acquisizione di cittadinanza per la popolazione straniera e al ventunesimo posto per la popolazione residente in generale. La gran parte dei Paesi europei dispone di una legislazione che consente con maggiore facilità l'acquisizione della cittadinanza.
Ricordo, inoltre, che negli ultimi anni gli stranieri residenti in Italia sono aumentati ogni anno di circa 400.000 unità. Considerato che circa un decimo di questo numero corrisponde, invece, all'acquisizione della cittadinanza, nel nostro Paese si rileva un numero enorme di stranieri ogni anno. Questo vuol dire che l'Italia nei prossimi anni si accinge a diventare sempre meno italiana e sempre più piena di stranieri.
Per questo, poiché esiste una volontà espressa da tanti stranieri, crescente negli ultimi anni, di voler acquisire la cittadinanza, pensiamo che sia opportuno modificare la legislazione in modo da renderla più accessibile a chi vuol diventare
italiano. Credo che l'espressione di volontà di diventare italiani, insieme, ovviamente, al rispetto delle regole sancite dalle nostre leggi e dalla nostra Costituzione - che noi riteniamo sia l'unica Carta a cui è necessario fare riferimento - sia sufficiente per definire delle regole certe per l'accesso alla cittadinanza.
Tutte le statistiche ci dicono che nei prossimi anni, per motivi che molti dei presenti conoscono meglio di me, ci sarà un aumento della presenza di stranieri. Ebbene, pensiamo che a questo aumento debba corrispondere una legislazione che consenta con maggiore facilità e meno discrezionalità l'accesso alla cittadinanza.
Per queste ragioni, chiediamo che la modifica della legislazione oggi in discussione preveda, innanzitutto, uno ius soli senza condizioni. Riteniamo, infatti, che un bambino o una bambina che nascono in Italia debbano essere italiani fin dalla nascita, a prescindere dalle condizioni dei genitori. Del resto, introdurre condizioni relative alla famiglia sarebbe contrario a quanto sancito dall'articolo 3 della nostra Costituzione, che parla di uguaglianza delle persone. Più volte la Corte costituzionale ha chiarito che l'articolo non si riferisce soltanto ai cittadini italiani, ma più in generale a tutte le persone.
Pensiamo, inoltre, che anche il processo di naturalizzazione che avviene con l'anzianità di residenza o le altre vie attraverso le quali le persone possono accedere alla cittadinanza, debba essere reso più trasparente e che le condizioni debbano essere meglio precisate, sia per quanto riguarda lo straniero sia per quanto riguarda gli obblighi da parte dello Stato.
Sussiste oggi un'estrema incertezza riguardo ai tempi, alle procedure e alle modalità, e ciò lascia spazio a un'eccessiva discrezionalità della scelta. Crediamo che le condizioni da porre debbano essere verificabili e debbano rimandare a obblighi, sia per lo straniero sia per lo Stato, che non possono essere demandati all'amministrazione, ma debbono essere inseriti in maniera molto precisa nella legge.
Gli elementi intorno ai quali, a nostro parere, deve ruotare una modifica della legislazione devono essere uno ius soli senza condizioni e una trasparenza della procedura, accompagnata da tempi certi e da un abbassamento del periodo di residenza, come unica condizione per poter richiedere la naturalizzazione, che oggi pensiamo possa essere riportato allo stesso periodo della carta di lungo soggiorno già prevista per gli stranieri, ovvero a cinque anni.
Come già detto, invieremo nei prossimi giorni una nota scritta e più dettagliata.
LILIANA OCMIN, Rappresentante della CISL. Ringrazio la Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera dei deputati per averci dato l'occasione di partecipare a questa audizione.
Avverto l'esigenza di contestualizzare l'immigrazione, che in questi ultimi anni è mutata e ha portato mutamenti sociali. Non dobbiamo dimenticare che l'oggetto della revisione, la legge n. 91 del 1992, corrisponde a un momento storico risalente a circa venti anni fa. Quindi, un cambiamento e una revisione sono necessari, perché da venti anni a questa parte molte cose nella società sono cambiate, non soltanto per la presenza degli immigrati, ma anche per i fattori a essa collegati.
Con la presenza degli immigrati oggi possiamo dire che siamo davanti a una società interculturale, che lo diventerà sempre di più. Questo non va visto come uno spettro, come un elemento negativo, dal momento che le società più ricche e più evolute sono proprio quelle che hanno saputo valorizzare la diversità culturale, le differenze che, oltretutto, sono portatrici di ricchezze.
Proprio per queste ragioni, come CISL siamo convinti che è giunto il momento di attuare un ripensamento maturo, ragionato e funzionale alla necessità che una società complessa come la nostra non può e non deve omettere.
Oggi la classe politica è chiamata a un senso di responsabilità molto alto: cogliere questi cambiamenti e trovare la prospettiva consolidata di una società che non
deve essere fondata sui conflitti sociali né legata a un trattamento di discriminazione. Oggi prendiamo atto che gli oltre 800.000 ragazzi nati in Italia o venuti in tenera età, che si sentono italiani a tutti gli effetti, vivono in un limbo. Non credo che la classe politica oggi possa non prendere atto e assumersi la responsabilità di dare una risposta calzante a quella esigenza. La speranza negli occhi di questi ragazzi non è di poter accedere ad automatismi, ma di veder riconosciuto lo status, quella situazione che di fatto è legata a una cittadinanza che sentono dentro. Non credo che non ci sia l'esigenza di porre alcuni paletti.
Sicuramente, insieme alla condizione necessaria che questi figli siano nati da genitori stranieri residenti, deve esserci anche un'esigenza di altra natura, che potrebbe garantire quel processo di maturità, di consolidamento e di arricchimento del processo di integrazione, evitando la logica semplificata di un automatismo dal quale noi siamo lontani. Non pensiamo, infatti, che l'automatismo possa garantire l'eguaglianza. Non dimentichiamo l'esperienza europea in merito.
Credo che le fondamenta della società multiculturale passino attraverso l'investimento di una società sulle cosiddette «seconde generazioni», che la CISL intende sostenere fino in fondo.
Abbiamo fatto alcune osservazioni rispetto alle proposte del testo unificato adottato dalla Commissione e, in particolare, sul comma 2 dell'articolo 4. La CISL ritiene che sia accoglibile la modifica che introduce criteri più rigidi rispetto all'attuale legge nei confronti dei minori nati in Italia e regolarmente residenti fino a 18 anni.
La nostra proposta, invece, prevede che l'attribuzione della cittadinanza sia riconosciuta secondo il principio dello ius soli ai minori stranieri che nascono sul territorio italiano da nuclei familiari stabili; che i minori stranieri nati all'estero, ma giunti in Italia prima del compimento della maggiore età, divengano cittadini italiani se regolarmente residenti in Italia al termine di un ciclo scolastico formativo.
Crediamo che offrire l'opportunità a questi ragazzi di vivere quella situazione, che di fatto è una condivisione di valori culturali, dia loro la possibilità di mettere le fondamenta in una società che sarà sempre interculturale e di trovare un'identità all'interno di essa. Non dimentichiamo, infatti, che parliamo di una fascia d'età in cui gli adolescenti hanno bisogno di punti di forza e che il rischio cui andiamo incontro nel non rispondere a questa esigenza è di renderci responsabili - dobbiamo esserne a questo punto consapevoli - delle conseguenze nefaste che da questa situazione possono derivare.
Vi è una richiesta specifica che da anni avanziamo - illustrata nella relazione molto puntuale che abbiamo depositato - perché abbiamo a cuore anche la situazione degli italiani all'estero. Non abbiamo trovato, a questo proposito, nessun riferimento nel testo unificato adottato dalla Commissione. La revisione della legge n. 91 era l'occasione per ripristinare - ed è ciò che chiediamo - la possibilità, per molti cittadini all'estero che hanno perso la cittadinanza, che torni a essere valido il parametro con scadenza al 2007, per la riacquisizione della cittadinanza per i figli delle donne italiane. Crediamo, infatti, che ciò potrebbe garantire pari opportunità alla generazione di uomini e donne che, purtroppo, non hanno potuto presentare la domanda entro il 2007.
Le nostre ulteriori considerazioni sono svolte in modo ben dettagliato nel documento consegnato alla presidenza. Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.
MARCO ANGELELLI, Esperto in materia di immigrazione. Signor presidente e signori deputati, desidero ringraziarvi innanzitutto per avermi dato questa opportunità.
Il principio che guida la riforma della legge 5 febbraio 1992, n. 91 per cui l'acquisto della cittadinanza non deve essere solo un meccanismo burocratico, automatico, dopo un numero determinato di anni di permanenza nel nostro Paese si può e si deve condividere. La cittadinanza è infatti il riconoscimento di appartenenza
alla Nazione, di integrazione con il suo popolo, di condivisione dei valori sociali e politici, di conoscenza della storia, del rispetto dei princìpi posti a fondamento della Costituzione e dell'ordinamento dello Stato in generale.
È imprescindibile e non negoziabile accettare le regole, che stanno alla base delle istituzioni del patto sociale e di fedeltà alla Repubblica italiana. Il riconoscimento formale della cittadinanza non può quindi che essere il punto di arrivo di un percorso qualitativo di integrazione, compiutamente realizzato da parte dello straniero. È quindi necessario passare da un'ottica quantitativa a un'ottica qualitativa.
Le regole per l'acquisto della cittadinanza rappresentano il nucleo fondamentale dello Stato e tramite esse viene stabilita la condizione giuridica di un cittadino entro lo Stato, la sua identità civica, nonché le modalità di partecipazione alla vita politica, sociale ed economica, e l'insieme di diritti e di doveri cui ottemperare in relazione all'acquisizione del diritto di voto attivo e passivo.
Entrando nel merito del testo unificato adottato dalla Commissione, non si notano sostanziali novità rispetto alla legge n. 91 del 1992. La concessione della cittadinanza rimane ferma alla soglia dei dieci anni di residenza legale, sebbene si abbia una maggiore certezza dei tempi, quando sarebbe invece auspicabile - come indicato dalla proposta n. 2904 dell'onorevole Sbai - la riduzione a otto anni come da modello tedesco.
Il deficit più pregnante risulta però essere la tanto auspicata attenzione a bambini e ragazzi in età scolastica. La tutela di minori deve avere la priorità, come sottolineato anche dalla VII Commissione della Camera nell'esprimere il suo parere favorevole, indicando però la necessità che i minori nati in Italia o che abbiano completato un ciclo di studi in Italia figli di genitori non italiani legalmente residenti in Italia da almeno cinque anni siano riconosciuti cittadini italiani.
La proposta Sbai n. 2904 offre una preziosa indicazione in merito a un percorso per cui i minori stranieri nati in Italia o qui giunti per ricongiungimento familiare devono acquisire pari diritti dei loro coetanei cittadini italiani, con cui condividono il ciclo scolastico e il percorso di crescita e formativo, evitando che bambini e adolescenti nati da genitori stranieri subiscano pericolose estraniazioni. Già in possesso del permesso di soggiorno per l'iscrizione alla scuola, dopo il completamento del ciclo scolastico obbligatorio possono acquisire la cittadinanza italiana su richiesta dei genitori o del titolare della patria potestà.
Pari considerazione va data ai figli minori di genitori stranieri entrati in Italia in età superiore a quella in cui si termina il ciclo scolastico obbligatorio. Ove sia riconosciuto dallo Stato italiano il titolo di studio conseguito nei Paesi di origine, essi acquistano la cittadinanza se hanno completato l'intero corso di istruzione secondaria di secondo grado presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale idoneo al conseguimento di una qualifica professionale equipollente.
Ove il titolo di studio conseguito nei Paesi di origine non sia riconosciuto dallo Stato italiano, devono completare il necessario ciclo scolastico obbligatorio. Si tratta di un giusto riconoscimento, che tiene conto dei requisiti didattici e professionali relativi sia alla scuola dell'obbligo sia a livelli diversi da questa.
Il percorso di integrazione proposto dal testo unificato delle proposte di legge in esame, adottato dalla Commissione come testo base, su proposta del relatore, l'onorevole Bertolini, che viene intrapreso dallo straniero a due anni dalla maturazione dei requisiti dei 10 anni, ha sicuramente la sua validità, soprattutto se è supervisionato da istituzioni quale la Regione, dando così all'amministrazione pubblica il compito di curare l'integrazione dei nuovi cittadini prima ancora di verificarla.
In conclusione, questo testo unificato pecca di poco coraggio. Invito i membri della Commissione e il relatore a osare di più. L'Italia è ormai una nazione multietnica
e multiculturale, con più di 4 milioni di stranieri che vi risiedono regolarmente, con la seconda generazione di immigrati che sta mettendo alla luce la terza e soprattutto con 40.000 neocittadini solo nel 2009, che hanno acquisito la cittadinanza italiana, come se una città come Rieti diventasse di colpo italiana.
MARUAN OUSSAIFI, Rappresentante dell'Associazione nazionale oltre le frontiere. Ringrazio il presidente e la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati per aver invitato l'ANOLF, Associazione nazionale oltre le frontiere, affinché possa fornire il proprio contributo in materia di diritto di cittadinanza, ambito del quale ben conosciamo la rilevanza morale e civica, oltre che pratica.
Sono trascorsi diciotto anni dalla riforma organica della materia ed è sentire comune che, soprattutto a causa delle mutate condizioni del tessuto sociale, la normativa, nello specifico la legge n. 91 del 1992, debba essere rivista e aggiornata. Negli ultimi dieci anni, in Italia l'immigrazione è stata un fenomeno epocale per quantità di arrivi, molteplicità di diverse nazionalità e soprattutto per le positive influenze demografiche sulla popolazione, in particolare sull'aumento del tasso di natalità rilevato grazie alle famiglie immigrate.
Non sfugge certo al legislatore quale apporto economico e culturale abbiano dato e continuino a dare gli immigrati e le loro famiglie all'Italia. Spesso, questi sono stati e continuano a essere oggetto di strumentalizzazione politica e mediatica, facendo leva più su paure e pregiudizi di buona parte della popolazione che su dati reali.
Si dimentica infatti che essi producono per il nostro Paese una ricchezza pari al 10 per cento del PIL nazionale, per un valore di oltre 148 miliardi di euro, e nel 2009 hanno versato tasse per quasi 9 miliardi di euro. Scarsa considerazione è data al loro apporto in settori e mansioni lavorative non più ambiti dagli italiani, e all'arricchimento che altre culture, in un processo di reciproco riconoscimento e confronto, possono offrire.
La politica nazionale, da destra a sinistra al centro, non è stata all'altezza di questa sfida, consapevole o non consapevole che in Italia ci sono 4,5 milioni di immigrati che mandano a scuola 620.000 seconde generazioni, i figli degli immigrati, un'Italia che conta quasi 900.000 seconde generazioni, che potrebbero essere abitanti di una nuova regione virtuale, che non si trova sulle carte geografiche. Non sono stranieri, ma lo diventeranno, se non saremo abbastanza lungimiranti e generosi da abbattere la barriera invisibile che li separa dai loro coetanei italiani, giovani che sono italiani, ma che si sentono alieni nel Paese dove sono nati e al quale sentono di appartenere senza essere corrisposti. Non sono infatti riconosciuti legislativamente dal Paese che loro riconoscono senza difficoltà e con molta naturalezza come loro patria, laddove i requisiti della procedura per l'acquisto della cittadinanza sembrano fatti apposta per tenerli il più possibile
distanti dal diventare cittadini.
Non siamo immigrati, non veniamo da altri Paesi, non abbiamo attraversato frontiere: noi siamo qui fin dall'inizio della nostra vita. Si tratta di ragazzi che nella maggioranza dei casi non hanno mai visto il Paese di origine dei loro genitori, non ne parlano la lingua e molto probabilmente si perderebbero più facilmente nelle vie delle città natali del proprio padre, piuttosto che a Roma o a Milano.
Si tratta di una risorsa tutt'oggi inutilizzata, perché discriminata e non valorizzata, una risorsa giovane, sulla quale ancora non si è deciso di investire, un capitale fermo. Basterebbe riflettere su come sia più facile diventare cittadini se si è sconosciuti, apolidi o ignoti, piuttosto che nati e cresciuti in Italia, condividendo cultura, tradizioni e valori di quella italianità che ormai vediamo espressa da molte seconde generazioni nella loro quotidianità.
La legge sulla cittadinanza attualmente appare ai nostri occhi ancor più in contraddizione con i cambiamenti che l'Italia
sta vivendo. Basterebbe ascoltare le diverse e numerose testimonianze sulle difficoltà di acquisizione della cittadinanza, e ci si dovrebbe domandare se in una Italia multietnica siano ancora validi i criteri con cui venne promulgata la legge sulla cittadinanza degli anni '90.
Forse è giunto il momento di adottare un criterio moderno della cittadinanza, onde evitare un pericoloso malcontento all'interno delle nuove e future generazioni, visto che ormai per la prima generazione è un capitolo a parte, una vicenda ancora più sofferta, dato che molti di loro ancora sono legati a un permesso di soggiorno, così come i loro figli. Forse, l'unico sollievo sarebbe per loro il riconoscimento della cittadinanza ai loro figli.
Il nuovo e strategico impegno dell'istituzione e della politica deve essere quello di far sentire l'Italia come patria anche a coloro che vengono da Paesi lontani. È quindi fondamentale sciogliere il nodo della cittadinanza, perché influisce sulle identità delle seconde generazioni, che si sentono italiane di fatto, partecipano attivamente e lealmente alla vita collettiva, fanno propri i valori della Repubblica, ne condividono gli obiettivi e contribuiscono alla loro realizzazione, anche se a livello burocratico non sono italiani.
È pertanto indispensabile che vi sia il massimo di coincidenza tra quella che viene definita «cittadinanza sostanziale» e la cittadinanza formalmente intesa. Il nostro sistema giuridico non può e non deve lasciare che i figli di immigrati nati o cresciuti in Italia vivano nell'incertezza fino a diciotto anni, provando un divario tra cittadinanza di fatto e di diritto. Bisogna comprendere che oggi un ragazzo nato qui è ancora legato a un permesso di soggiorno, a un permesso di vivere in questo Paese.
È necessaria quindi - lo ribadisco ancora - la riforma della legge sulla cittadinanza con l'introduzione di uno ius soli temperato, perché sia più aperta nei confronti delle seconde generazioni. L'accesso alla cittadinanza è l'unica via che consente ai figli degli immigrati di essere realmente considerati alla pari e uguali nei diritti e nei doveri e di trovarsi appieno nei valori della carta costituzionale, evitando il rischio che molti di essi si trovino in un vuoto valoriale e possano facilmente essere coinvolti in pericolosi estremismi politici o religiosi (la storia ci insegna).
L'ANOLF ha accolto con soddisfazione insieme ai suoi giovani la posizione espressa dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale, auspicando una larga convergenza delle forze politiche e del Parlamento verso le modifiche alla legge sulla cittadinanza, ha individuato nell'attribuzione di tale diritto il vero asse portante dell'interazione delle nuove generazioni nel nostro Paese.
Sono questioni che ancora oggi non trovano risposte nel futuro dei nuovi italiani, che per miopia politica non viene riconosciuto. Il testo unificato adottato dalla Commissione su proposta del relatore, onorevole Bertolini, guarda al passato e chiude gli occhi verso il presente e il futuro. Ci chiediamo per quanto tempo ancora il nostro Paese farà finta di nulla e questi ragazzi vivranno nell'invisibilità.
Al di là di tutte queste difficoltà, è palese come un processo di legittimazione culturale sia in atto, ma d'altro canto è altrettanto chiaro come vi sia un'ondata di razzismo e di paura nei confronti del diverso, che si alimenta tra le persone e nei talk-show.
Noi giovani dell'ANOLF auspichiamo che una legge sulla cittadinanza venga approvata il prima possibile nell'ambito di questa legislatura e senza vaghe promesse. Riteniamo che l'idea da parte dei politici o ministri sull'acquisizione di una cittadinanza legata ai punteggi o a fatti di presunta integrazione tendano soltanto a creare confusione.
Agli immigrati deve essere riconosciuta una semplificazione nella domanda di cittadinanza per residenza, mettendo in atto una norma che preveda la presentazione della stessa due anni prima della scadenza dei dieci anni previsti. Non stiamo quindi parlando dei cinque anni.
Su questa proposta di legge a volte si è molto speculato sulla cittadinanza. Per gli immigrati siamo d'accordo sui dieci anni
di residenza, ma a dieci anni dobbiamo dare la cittadinanza, dando loro l'opportunità di presentare domanda a otto anni e risolvendo questa questione burocratica. Oggi, dobbiamo affrontare la questione dei minori, dei ragazzi che sono nati qui.
Nel 2011, cade il 150o anniversario dell'Unità d'Italia, un processo di costruzione della Nazione che continuò sviluppandosi fino ai giorni nostri, anche attraverso tragedie collettive come la prima guerra mondiale o momenti di crescita come il miracolo economico. Riconoscere ai giovani figli di immigrati nati o cresciuti nel nostro Paese il diritto di essere italiani non solo di fatto, come già avviene, ma anche formalmente, significa capire che il processo di unificazione nazionale oggi continua aggregando non più nuovi territori, bensì nuovi cittadini.
Continueremo a portare avanti questa battaglia di civiltà e di democrazia al fianco di tanti figli di immigrati e italiani per una giusta legge sulla cittadinanza, che conferisca loro dignità di essere considerati cittadini. È necessario evitare di lasciare questi ragazzi nella terra di nessuno. Uno dei nostri ragazzi, Amin di Ascoli, afferma: «Noi ragazzi della seconda generazione offriamo le menti, le nostre capacità al nostro Paese. L'Italia che cosa ci offre?». Una ragazza di Padova di origini senegalesi dice: «L'immagine che mi rispecchia è l'albero: le radici sono le mie origini e i rami la mia Italia. Come l'essenza dell'albero sono le radici e i rami, così la mia essenza sono il Senegal e l'italianità. Amo questo Paese, mi riconosco in questo Paese e aspetto combattendo pacificamente che arrivi il momento in cui gli italiani autoctoni si riconoscano in me come loro concittadina».
MARINA PORRO, Rappresentante della UGL. Abbiamo consegnato una memoria, per cui farò un'esposizione sintetica nel tempo utile a mia disposizione.
Come sindacato, abbiamo tempi ben diversi da quelli della politica. Questa discussione sulla cittadinanza è stata molto lunga e riscontriamo che le esigenze quotidiane delle persone sono ben diverse e non possono sempre aspettare i passi e i tempi della politica.
Per noi esistono primariamente alcuni diritti della persona umana, che vanno riconosciuti a tutti indistintamente, ragion per cui, essendo passati circa 20 anni dalla legge del 1992 e soprattutto dal Regolamento di esecuzione di tale legge, che è estremamente farraginoso e continua a creare impicci e pastoie burocratiche per chi richiede la cittadinanza, dovremmo riuscire a portare - perlomeno il Parlamento dovrebbe riuscirci - condizioni di maggiore facilitazione e di riconoscimento per coloro che si sentono italiani.
Indubbiamente la seconda generazione di persone che abita sul nostro territorio spesso e volentieri non ha mai conosciuto la città, la nazione dei propri genitori e non ne ha alcun ricordo; o forse magari queste persone sono state sei mesi dai nonni quando avevano due anni, il che crea un ostacolo per l'assunzione e la richiesta di naturalizzazione, in quanto non possono dimostrare i 18 anni ininterrotti di soggiorno sul territorio italiano.
A questo punto, nel rispetto soprattutto delle persone che magari richiedono la cittadinanza perché il loro Paese d'origine dà la possibilità da pochissimo tempo della doppia cittadinanza o dei canali privilegiati, così come per i cittadini italiani è la richiesta del passaporto d'urgenza, osservo che facciamo aspettare due anni e mezzo, con le stesse procedure di chi è arrivato da poco tempo, una persona che da 30 anni abita in Italia, che vive in Italia, che è perfettamente italiana e che, qualora appartenga a un Paese che prima non riconosceva la possibilità della doppia cittadinanza, può avere motivazioni per tenere anche la cittadinanza d'origine. Ci sembra molto strano.
Chiaramente i tempi, i dieci anni fissati nel 1992, a nostro parere, sono abbreviabili tranquillamente, purché ci sia l'intendimento da parte della persona che non ha ancora la cittadinanza italiana a mantenere in Italia il centro dei propri interessi e della propria vita e non la consideri una semplice questione di passaggio.
Per noi le procedure vanno snellite. Si deve anche pensare che il Parlamento possa trovare, alla fine di questa lunghissima discussione e in tempi anche piuttosto brevi, una sintesi, perché, a nostro parere, le persone che aspettano la cittadinanza italiana sono una grande risorsa. Non riteniamo che ci possano essere divisioni perché questo è un argomento che non ha colore, né politico, né di parte.
EZEQUIEL IURCOVICH, Rappresentante dell'organizzazione Rete G2 - Seconde generazioni. Signor presidente, onorevoli parlamentari, grazie dell'opportunità, a nome della Rete G2 - Seconde generazioni, di intervenire oggi in questa sede. Noi della Rete G2 ci proponiamo in questa discussione di fare fermare un attimo la Commissione a riflettere sui temi di cui stiamo parlando.
Si parla di un milione di ragazzi minorenni, seconde generazioni, figli di cittadini stranieri immigrati nel nostro Paese, che vanno a scuola con i nostri figli e con i nostri fratelli. Un milione sembra un numero molto grande, ma in realtà si tratta di un milione di persone sparse, che vivono in tutto il nostro Paese, sono nate in Italia o vi sono arrivate da piccole.
Come seconde generazioni, noi ci consideriamo italiani e parliamo ovviamente la lingua, ma queste tematiche ormai sono alla portata di tutti, compresi i mezzi di informazione.
Chiediamo alla Commissione affari costituzionali, della Presidenza del consiglio e interni e al Parlamento di rivedere profondamente la logica e la filosofia che hanno ispirato la legge n. 91 del 1992, affinché prenda atto non dei cambiamenti e dei grandi flussi migratori che ci sono stati in questo Paese, ma proprio della necessità di pensare al futuro dell'Italia da qui a 50 anni, non a un anno o a due e di persone che sono nate in questo Paese, pur provenendo dalle origini più diverse, si sentono parte di esso, vogliono contribuire al suo successo e vogliono poter essere avvocati, medici, giornalisti, maestri e professori. Vogliono poter essere cittadini a tutti gli effetti e non ospiti temporanei o anche permanenti. Parliamo della carta di soggiorno e dell'accordo di integrazione. Noi siamo italiani e ci sentiamo tali a tutti gli effetti, io per primo, e non vogliamo più sentirci considerati italiani con il permesso di soggiorno, alberi senza
radici.
Si parla, anche a proposito, di concessioni della cittadinanza da erogare secondo alcuni criteri, come il rispetto delle leggi e di alcune normative. Quello che chiediamo è una modifica sostanziale, che vada a favore soprattutto dei minori, non di quelli che sono già in Italia, ma di quelli che ancora devono nascere. Pensiamo al futuro del nostro Paese.
Come Rete G2 - Seconde generazioni, puntiamo a un cambiamento sostanziale della filosofia con la quale vengono approcciati non solo l'immigrazione, ma anche il concetto stesso di italianità. Italiano è chi nasce su questo territorio, o almeno dovrebbe esserlo; italiano è chi va a scuola in Italia, con o senza profitto, altrimenti dovremmo pensare che il sei politico è veramente tale e debba essere attribuito per questi criteri; italiano è chi nasce in questo territorio e sente di appartenere all'Italia anche senza essere nato qui da genitori italiani, ma semplicemente per il fatto di vivere, andare a scuola, crescere in questo Paese e sentirsi parte di questa comunità.
L'appello che rivolgiamo come Rete G2 all'intero Parlamento è quello di modificare la legge per la concessione della cittadinanza in senso positivo, pensando al futuro di tutti i bambini che nasceranno in questo Paese, che ne faranno parte da ora ai prossimi 90 anni e che vogliono essere considerati italiani anche dalla legge e da quello che figurerà sulle loro carte di identità, dove già è scritto «nati ad Andria; nati a Milano; nati a Trieste; nati a Cagliari».
GIANCARLO PEREGO, Rappresentante della fondazione Migrantes. Signor presidente, anch'io la ringrazio a nome della Fondazione Migrantes per l'invito a quest'audizione sul tema della cittadinanza. È un tema particolarmente importante in relazione all'effettivo ed efficace percorso
di integrazione delle persone e delle famiglie immigrate nel nostro Paese e dei loro figli, nonché alla tutela dei diritti delle persone, che spesso vengono invece indeboliti proprio dalla cittadinanza e dalla residenza.
Svolgerò alcune osservazioni, lasciando alla nota scritta trasmessa alla presidenza un approfondimento delle stesse.
Una prima osservazione riguarda la legge del 1992, che aveva aumentato gli anni di residenza richiesti per ottenere la cittadinanza, passando da cinque a dieci anni per i non comunitari rispetto alla precedente legge del 1912. Dieci anni sono il limite massimo previsto dalla Convenzione europea sulla cittadinanza. Prevedere il ritorno a cinque anni di residenza per ottenere la cittadinanza, alla luce anche delle misure del piano integrazione in discussione, significa adeguarsi agli standard internazionali e favorire partecipazione e inclusione sociale.
Passo a una seconda osservazione. La legge del 1992 prevede un'istruttoria che, di fatto, mediamente porta a tre anni, oltre ai dieci anni richiesti per legge, i tempi ulteriori di attesa tra il momento della presentazione della domanda in prefettura e l'accettazione della stessa, lasciando molto alla discrezionalità.
Servono tempi brevi e standard oggettivi su cui rispondere alla richiesta di cittadinanza. La situazione, poi, si è aggravata con l'approvazione del pacchetto sicurezza, che non ha reso automatica la cittadinanza a una persona straniera in seguito a matrimonio, facendola slittare a dopo due anni di matrimonio. Ciò significherà che nel 2010 si passerà da 40 mila a 20 mila assegnazioni di cittadinanza, il che ci porterà a diventare l'ultimo Paese europeo per riconoscimento della cittadinanza.
La terza osservazione è che, alla luce dei ricongiungimenti familiari e delle nascite sempre crescenti - come dimostrano i recenti dati dell'ISTAT - di minori figli di genitori immigrati in Italia, la preminenza del principio dello ius sanguinis e la considerazione di eccezionalità del legame rappresentato dal fatto di essere nati nel nostro territorio comportano, di fatto, l'esclusione e la differenziazione sociale di quasi mezzo milione di minori nati in Italia da genitori immigrati. Sembra, pertanto, tempo, come del resto hanno scelto di fare la maggior parte degli Stati europei, di introdurre l'elemento dello ius soli, cioè l'acquisto della cittadinanza italiana per nascita sul territorio.
Tale diritto spetta anche ai bambini nati sul territorio italiano da genitori immigrati regolarmente presenti sul territorio italiano, in linea con l'articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
Naturalmente, tale passaggio giuridico comporta anche alcune tutele successive da introdurre nel nostro ordinamento, sia in riferimento ai genitori, sia ai membri della famiglia.
Con il decreto ministeriale del 22 novembre 1994 la rinuncia alla cittadinanza originaria veniva posta come condizione per la naturalizzazione. Tale rinuncia, oltre che essere difficilmente accolta, pone questioni non secondarie in relazione alla vita familiare personale e patrimoniale. Pertanto, correttamente, già il Ministero dell'interno, con il decreto del 7 ottobre 2004 dal titolo «Nuove norme sulla cittadinanza» aveva abolito la necessità della rinuncia della cittadinanza straniera al momento della richiesta di acquisizione di quella italiana.
Credo che sia importante che la conoscenza essenziale della lingua italiana e la sottoscrizione della Carta costituzionale siano la base dell'accesso alla cittadinanza italiana. A tal fine, diventano importanti i percorsi di alfabetizzazione connessi e riconosciuti contemporaneamente al lavoro e allo studio, come i percorsi di advocacy, che rendano consapevoli i soggetti della parità di diritti e doveri.
Un'ultima osservazione riguarda il fatto che l'accesso alla cittadinanza di chi nasce in Italia, come anche la riduzione dei tempi per il riconoscimento della cittadinanza italiana, porta con sé un'immediata o più veloce accessibilità alla partecipazione
al voto e allo svolgimento del servizio civile da parte dei giovani tra i 18 e i 28 anni, due strumenti importanti per la crescita della responsabilità e per una completa inclusione nella vita italiana, che favoriscono la crescita della democrazia e della coesione sociale.
PIETRO SOLDINI, Rappresentante della CGIL. Anch'io ringrazio la Commissione e il presidente, sia personalmente, sia a nome della mia organizzazione, per questa opportunità.
Vorrei brevemente partire dal fatto che da almeno tre legislature la Commissione affari costituzionali, della Presidenza del consiglio e interni è alle prese con numerosi progetti di riforma in materia di cittadinanza. Quella di oggi, per quello che mi riguarda, è la terza audizione su questo tema. Credo che abbiamo la necessità tra di noi di assumere anche responsabilmente un impegno alla franchezza per riferirci quale sia davvero la situazione reale.
In ogni circostanza di queste audizioni, tutte le associazioni e le organizzazioni sindacali, senza eccezione, hanno espresso un giudizio unanime e determinato nel richiedere con urgenza una riforma della legge sulla cittadinanza che contenga sostanzialmente tre princìpi fondamentali. Il primo è la certezza e la trasparenza dei tempi e delle procedure; il secondo un abbassamento dei tempi di naturalizzazione, allineandoci alla media dei Paesi europei; il terzo l'introduzione dello ius soli per riconoscere la cittadinanza ai bambini nati in Italia da famiglie straniere ivi residenti o giunti in Italia in tenerissima età a seguito delle famiglie e che abbiano frequentato nel nostro Paese le nostre scuole.
In questa terza audizione intendo sostanzialmente ribadire tali princìpi, aggiungendo che sono contenuti, anche se con sfumature diverse, in molti dei disegni di legge all'esame di questa Commissione. Tra questi, uno in particolare è stato presentato da numerosi deputati appartenenti a gruppi sia di maggioranza che di opposizione. Stranamente, però, tali princìpi non sono contenuti nel testo licenziato a maggioranza dalla Commissione alla fine dello scorso anno e approdato in Aula.
Naturalmente, il mio giudizio su questo testo è negativo, in quanto peggiorativo, per alcuni aspetti, anche della stessa legislazione vigente, che tutti sosteniamo debba essere riformata.
Aggiungo che bene ha fatto, a mio avviso, la Camera dei deputati a rinviare il testo in Commissione e spero che questa possa trovare una sintesi più coerente con le proposte originarie, che contenga i tre princìpi che prima ho richiamato.
Del resto, così come abbiamo sentito dagli interventi che mi hanno preceduto, in particolare dei rappresentanti della rete G2 e dell'ANOLF, la nostra esigenza è di rispondere alle aspettative di circa 800.000 minori - che sono a tutti gli effetti nuovi cittadini italiani, tranne che per la legge - e di qualche milione di immigrati che vivono stabilmente nel nostro Paese.
Il rapporto dell'ISTAT pubblicato in questi giorni rivela che gli immigrati presenti illegalmente sul nostro territorio sono il 7 per cento della nostra popolazione. Sembrerebbe una percentuale alta, ossia che in pochi anni, così come si legge sui giornali e nella letteratura corrente, l'Italia abbia superato la media europea, avvicinandosi alla percentuale della Francia, che è di circa l'8,5-9 per cento.
Se, però, esaminiamo questo dato alla luce delle norme sulla cittadinanza, ci accorgiamo che esso è abbastanza distorto, perché in Italia gli stranieri sono tanti in quanto rimangono stranieri. Se, invece, si considera il dato dei cittadini francesi di origine straniera, essi corrispondono al 23 per cento della popolazione, perché gli stranieri diventano francesi con più facilità rispetto a quanto gli stranieri in Italia possono diventare italiani.
Inoltre, l'accento che viene posto da parte di alcuni sulla necessità che gli stranieri che richiedono la cittadinanza conoscano la lingua italiana e la nostra Costituzione sembra quanto mai strumentale, utilizzato in modo un po' agitatorio, quasi come una minaccia. Questi requisiti,
in realtà, sembrano degli ostacoli, degli impedimenti, mentre a mio avviso dovrebbero essere concepiti come incentivi.
Personalmente, ad esempio, non conosco un immigrato che si rifiuti di parlare l'italiano. Eppure per lavoro frequento migliaia di immigrati. Ebbene, gli immigrati o parlano italiano oppure sono disponibili a compiere qualsiasi sacrificio per impararlo. Quindi, il compito dello Stato è di offrire servizi e opportunità formative per bambini e per adulti.
In conclusione, non nascondo un certo pessimismo rispetto al fatto che il Parlamento possa varare una soddisfacente riforma della cittadinanza che risponda a criteri di integrazione dei nuovi cittadini nella comunità nazionale di fatto e di diritto, ma spero vivamente di essere smentito.
FRANCA DI LECCE, Rappresentante del Servizio rifugiati e migranti della Federazione Chiese evangeliche italiane. Vi ringrazio dell'opportunità di intervenire in questa sede.
Il percorso di integrazione dei migranti è un percorso a tappe in cui la persona, in base alla durata della permanenza, acquisisce un crescente numero di diritti, accompagnati da misure di inserimento sociale - dalla scuola al lavoro, alla casa, alla sanità, alla partecipazione alla vita pubblica - che la rendono via via attore protagonista nella società italiana.
Come Federazione delle Chiese evangeliche in Italia sottolineiamo, in particolare, tre strumenti complementari per il riconoscimento e l'esercizio graduale dei diritti sociali, economici, civili e politici dei nuovi cittadini: la cittadinanza, il diritto di voto e la libertà religiosa.
Come Chiese evangeliche riteniamo fondamentale che si torni nuovamente ad aprire la discussione sulla riforma dell'attuale legge sulla cittadinanza e auspichiamo che tale processo porti a un ampliamento del diritto e non a una sua contrazione o restrizione.
Come Federazione delle Chiese evangeliche manifestiamo forti perplessità sul testo base approvato dalla Commissione in sede referente, discusso in Aula il 22 dicembre 2009 e rinviato in Commissione affari costituzionali a gennaio, soprattutto in merito a tre punti, che vi illustro.
In primo luogo, sulla situazione dello straniero nato in Italia viene introdotto un elemento che suscita alcune preoccupazioni, che è già stato richiamato da rappresentante della Rete G2: al requisito della residenza viene aggiunto quello dell'aver frequentato con profitto scuole riconosciute dallo Stato italiano. Tale aspetto ha un contenuto discriminatorio e fortemente riduttivo, perché subordina la possibilità dell'ottenimento della cittadinanza a un buon rendimento scolastico.
Sappiamo anche che da più parti e da tempo viene sottolineato il problema del rendimento e della dispersione scolastica degli alunni stranieri, che siamo convinti richieda altri e adeguati strumenti di prevenzione. È inoltre da sottolineare che spesso l'appartenenza a due culture si traduce in una ricchezza di competenze che dovrebbero essere riconosciute e valorizzate adeguatamente.
Il secondo punto sul quale manifestiamo perplessità è l'introduzione del possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo come requisito per l'accesso alla cittadinanza. Questo ci sembra discriminatorio, perché si subordina l'accesso alla cittadinanza al possesso di un tipo di permesso che non è obbligatorio possedere e che, tra l'altro, non è accessibile a tutti. Ad esempio, alle persone riconosciute beneficiarie di protezione sussidiaria non è consentito richiedere questo tipo di permesso.
Il terzo punto è quello della subordinazione dell'accesso alla cittadinanza al possesso di un effettivo grado di integrazione sociale. Inoltre, il rispetto, anche in ambito familiare, delle leggi dello Stato ci pare un po' rischioso. Cosa significa e come si misura il rispetto delle leggi in ambito familiare?
Alla luce di questi aspetti critici, riteniamo che il ritorno del testo in Commissione
affari costituzionali abbia rappresentato una scelta opportuna, perché la riforma della legge sulla cittadinanza è un punto cruciale per il futuro del nostro Paese.
In conclusione, ribadiamo alcuni aspetti di carattere generale che il testo di riforma deve considerare. In primo luogo, è importante che sia un testo leggibile. In merito ai tempi delle pratiche, è indispensabile fissare tempi precisi per l'acquisto della cittadinanza e rendere meno lunga l'attesa. Riteniamo che fissare un tempo massimo di durata della pratica significhi anche rispettarlo.
La questione dei minori è fondamentale, perché spesso i minori che hanno trascorso dieci o quindici anni in Italia - e sono «costati» anche allo Stato in termini economici e nel senso di relazioni umane e di radicamento sul territorio - sono l'anello cruciale su cui investire per una futura convivenza civile e sostenibile nella nostra società.
Per questo, come Chiese evangeliche auspichiamo un capovolgimento di approccio, dallo ius sanguinis allo ius soli.
Anche la questione della doppia cittadinanza che è stata già richiamata, ci pare rilevante. Mantenere la doppia cittadinanza, laddove è possibile, è un elemento assolutamente positivo, perché permette agli immigrati di inserirsi pienamente nel Paese di arrivo senza dover rinunciare alla propria identità, evitando strumenti di frustrazione e lasciando comunque aperta la possibilità di rientrare nel Paese di origine.
Auspichiamo, quindi, che si arrivi presto a una riforma della legge sulla cittadinanza, che vada al di là di ogni schieramento politico e possa diventare uno strumento vero ed efficace di coesione e convivenza pacifica nel nostro Paese.
ANDREA GIORGIS, Professore ordinario di diritto costituzionale. Vi ringrazio dell'invito. Nel mio breve intervento mi soffermerò su un solo aspetto di carattere essenzialmente teorico, rinviando alla relazione scritta consegnata alla presidenza un'analisi più dettagliata delle proposte di legge all'esame della Commissione.
Vorrei, in particolare, mettere in luce come il tema della cittadinanza - e la disciplina legislativa della cittadinanza - sia innanzitutto un tema di diritto costituzionale, che dovrebbe indurre il legislatore a riflettere sui presupposti fondamentali dell'ordinamento costituzionale contemporaneo.
A me sembra importante mettere in luce come l'esplosione del fenomeno migratorio riproponga, in una nuova e inedita versione, pressoché in tutti i Paesi dell'Europa continentale, una situazione che per certi aspetti era tipica dell'ordinamento feudale e cetuale pre-rivoluzione francese. Intendo dire che persone che stabilmente convivono e lavorano nello stesso contesto materiale e sociale sono sottoposte a regimi giuridici differenziati. Oggi abbiamo di fronte questa situazione: persone che stabilmente convivono, che sono sottoposte ai medesimi princìpi giuridici e che, tuttavia, vivono condizioni di status differenti. Questa situazione materiale si pone in tensione con due fondamentali princìpi di diritto costituzionale: il principio democratico e il principio dell'universalità dei diritti fondamentali.
È noto che uno dei profili del principio democratico è proprio quello di far corrispondere l'insieme dei soggetti sottoposti alla sovranità dell'ordinamento con l'insieme dei soggetti che concorrono alla definizione delle leggi e dell'ordinamento medesimo. Questa è l'essenza del principio democratico: la corrispondenza tra l'essere sottoposti alla legge e il poter prendere parte alla sua definizione.
Altro profilo di diritto costituzionale assolutamente saliente è quello dell'universalità dei diritti fondamentali, ovvero quello di porre le condizioni perché la comunità dei sottoposti all'ordinamento giuridico sia una comunità di uguali nell'esercizio dei diritti.
L'attuale disciplina sulla cittadinanza sconta il momento storico in cui venne predisposta. È una disciplina pensata per una realtà sociale e materiale profondamente
diversa da quella che oggi conosciamo. A me pare importante cogliere questa tensione e questa contraddizione e, nel tentativo di ridefinire la disciplina giuridica della cittadinanza, cercare il più possibile di considerare questa fondamentale necessità di ordine costituzionale.
Il legislatore è libero - nel rispetto dei princìpi fondamentali che conosciamo sulla libertà di soggiorno e sull'asilo - di definire chi è parte dell'ordinamento, ossia chi può entrare a far parte dell'ordinamento giuridico, chi può vivere stabilmente in Italia. Da questo punto di vista, a mio parere, il legislatore gode di una significativa discrezionalità; ma una volta che ha stabilito chi può entrare a far parte dell'ordinamento giuridico, chi può vivere stabilmente in Italia, il grado di discrezionalità si riduce perché, a quel punto, diventa prioritario far sì che tutti coloro che stabilmente sono ammessi a vivere nell'ordinamento italiano siano sottoposti alla stessa disciplina giuridica.
Questo mi sembra un problema di ordine costituzionale che rinvia alle ragioni d'essere delle Costituzioni contemporanee, a quelle che, se vogliamo, sono le esigenze di fondo e le caratteristiche dell'unità che i princìpi costituzionali vogliono realizzare.
A questo proposito, non è irrilevante segnalare come il tema della cittadinanza riproponga le considerazioni circa la venuta meno del tradizionale principio di sovranità. Discutendo di cittadinanza si può toccare con mano quanto sia vero che l'ordinamento costituzionale prefigura la sovranità dei princìpi costituzionali più che la sovranità del popolo, inteso come comunanza di passato.
Vorrei fare solo un brevissimo accenno a ciò che comporta, dal punto di vista tecnico, questa prospettiva. Credo che insistere sulla possibilità o sulla necessità di accertare un effettivo grado di integrazione sociale - quanto viene specificato, ad esempio, alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 9-ter che il testo unificato approvato dalla Commissione propone di introdurre nella legge n. 91 del 1992 - tradisca un'idea lontana dalla realtà e dalla prospettiva che la Costituzione suggerisce, innanzitutto perché forse l'integrazione non è mai un profilo misurabile e accertabile sulla base di valutazioni oggettive.
L'integrazione è l'obiettivo dei princìpi costituzionali. Le Costituzioni del secondo dopoguerra sono un tentativo di definire le condizioni per i processi di integrazione. Richiedere, allora, all'interno di una legge, che l'integrazione sia il presupposto per il riconoscimento della cittadinanza significa ribaltare la prospettiva degli stessi princìpi costituzionali, dal momento che l'integrazione è innanzitutto un obiettivo da perseguire, un processo quotidiano di ricerca. Si potrebbe dire che l'integrazione è un atteggiamento, oltre che un compito delle istituzioni.
In questo atteggiamento, forse, un'idea di cittadinanza coerente con il quadro materiale e i princìpi costituzionali è un'idea che insiste prevalentemente sulla ricerca di una comunanza di futuro, di processo di integrazione politico-costituzionale, più che - secondo il paradigma ottocentesco - su di una comunanza di passato.
L'idea di cittadinanza che a me sembra trasparire da una lettura dei princìpi costituzionali e del loro voler porre le condizioni per l'unità e l'unificazione, è quella di una disciplina che pone innanzitutto al centro la verifica di una comunanza di futuro, quindi ad esempio l'adesione ai princìpi costituzionali con conseguente giuramento, il rispetto della legislazione, più che - lo ribadisco - la misurazione di una già compiuta integrazione che, in realtà, è quasi impossibile da certificare e rappresenta, invece, la ragion d'essere profonda dei nostri princìpi costituzionali.
PRESIDENTE. Dobbiamo ora audire l'Unione delle Comunità islamiche d'Italia, presente con due rappresentanti. È un'eccezione alla regola adottata per tutte le altre associazioni invitate, ma è stata chiesta, in sede di ufficio di presidenza, dal rappresentante di un gruppo presente in Commissione.
Chiederei ai rappresentanti dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia, il presidente attuale e il presidente onorario, la cortesia di dividersi il tempo, per una esigenza di sobrietà e di equità con i tempi concessi alle altre associazioni.
IZZEDIN ELZIR, Rappresentante dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia. Grazie, presidente, per questo invito.
Anche io non entro nel dettaglio, anche perché abbiamo trasmesso alla presidenza una memoria dettagliata. Certamente, la questione della cittadinanza è molto importante per il nostro Paese, in particolare dopo che è stata modificata la legge nel 1992, ormai quasi vent'anni fa.
Crediamo che ormai tutti gli stranieri, tutti i nuovi arrivati vivano come cittadini di fatto, però manca quel riconoscimento per far veramente sentire loro in maniera piena che sono cittadini al pari di tutti, come recita la nostra Costituzione.
La questione tocca particolarmente i nativi, perché i nostri figli che nascono in Italia non sanno se sono italiani, nonostante parlino come lingua madre l'italiano e frequentino una scuola che consentirà loro l'inserimento nella società. Tuttavia, quando tornano dai loro familiari si trovano in difficoltà, perché non sanno se sono italiani o appartengono ad altre realtà. Sicuramente apprezzano di essere riconosciuti come cittadini nati sul territorio italiano, perché oltre a essere italiani di fatto lo sono anche per il modo di vivere.
Questa realtà è molto importante anche per far sì che nel nostro Paese non si creino dei ghetti. Con la cittadinanza italiana, infatti, diventano tutti cittadini di questo Paese, mentre senza di essa ogni etnia, ogni comunità diventerebbe un ghetto. Certamente non oggi, ma nel futuro avremmo dei problemi da risolvere, per la presenza di etnie e culture ghettizzate.
Ormai siamo nella realtà della globalizzazione e credo che si debba andare avanti, al di là della cittadinanza effettiva, quella che si vive quotidianamente, sulla strada della semplificazione del processo di acquisizione della cittadinanza, dal momento in cui si chiede fino a quando non viene concessa.
Non mi dilungo con altre considerazioni sull'importanza della cittadinanza, molte delle quali sono già state espresse, in particolare dai rappresentati delle associazioni di giovani intervenuti in precedenza. Sono state ricordate dal professor Giorgis le questioni che toccano alcuni aspetti della nostra Carta costituzionale. Spero che il Parlamento possa accogliere quanto è stato detto fino a ora il più rapidamente possibile, in modo che si possa dare subito la cittadinanza ai 900.000 ragazzi che si trovano nel nostro Paese.
Vi sono certamente dei punti presenti in alcuni dei disegni di legge all'esame della Commissione che non condividiamo. Uno, ad esempio, è quello per il quale uno straniero per chiedere la cittadinanza debba pagare un contributo di 1.500 euro. Credo che a una persona che vive da dieci anni in un Paese e paga le tasse non si debba chiedere un ulteriore contributo per ottenere la cittadinanza.
Altro punto importante riguarda la doppia cittadinanza. Non tutti i Paesi del mondo la accettano. È importante che il nostro Paese accetti di concederla.
MOHAMED NOUR DACHAN, Rappresentante dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia. Signor presidente, onorevole Bertolini, cari onorevoli, nel nome di Dio unico che ci ha creati tutti, solo Lui, e ci ha fatto nascere da un padre unico e da una madre unica, ci ha fatto crescere su un unico pianeta, che solo successivamente, per i capricci degli uomini, ha visto sulla terra gli uomini divisi per zone geografiche, per colore di pelle e per altro ancora. La natura che Dio ha creato è rimasta e rimarrà sempre una.
Ogni popolo vede il sole e pensa che sia suo; ogni popolo vede la luna e pensa che sia sua. Tutti, però, riflettono e capiscono che il sole, la luna, così come tutti gli altri pianeti, appartengono a tutti, a ognuno nello stesso tempo e periodo.
Cari onorevoli, pensate per un momento alla sorgente di un grande fiume.
Se non scorre farà annegare quelli che gli abitano vicino e provocherà siccità in altre zone, a causa della quale gli uomini e le loro opere patiranno. Solo rispettando la natura di questa terra tutti gli uomini vivranno felici e in pace. Dove sorge l'acqua godono tutti gli uomini e le terre dove essa scorre.
Facciamo in modo che il grande fiume della legalità, della condivisione e della pace scorra accanto a noi, rendendo fertile la nostra società e felice la nostra vita. Il diritto di cittadinanza è per noi il riconoscimento della necessità che le sorgenti preziose della tolleranza e dell'amore fraterno tra gli esseri umani possano rendere fertile di diritti e di doveri il nostro mondo. È questo il principio che ci ispira ed è ciò di cui abbiamo la responsabilità tutti insieme.
Onorevoli deputati, ho depositato un testo con le proposte dell'UCOII sul diritto di cittadinanza, presentato già nel 2007 all'onorevole Giuliano Amato, all'epoca Ministro dell'interno. Potete leggerlo e valutarne ogni aspetto secondo la vostra competenza.
Qui mi preme manifestare in poche parole...
PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Dachan, avete parlato come rappresentanti dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia già per sette minuti. La relazione scritta da lei consegnata alla presidenza è agli atti, quindi la pregherei di concludere.
MOHAMED NOUR DACHAN, Rappresentante dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia. Concludo invitandovi a guardare una foto che ho consegnato alla presidenza. La foto mostra la bandiera italiana, per la prima volta nella recente storia, alla Mecca nel periodo del pellegrinaggio. L'abbiamo portata noi. Questo significa che cittadinanza concessa significa cittadinanza sfruttata per il bene dell'Italia.
GAMAL BOUCHAIB, Rappresentante del movimento Musulmani moderati. Ringrazio per l'invito. Non voglio essere polemico, ma vorrei rilevare che l'Unione delle Comunità islamiche d'Italia è rappresentata da due soggetti. I musulmani moderati hanno un solo rappresentante e non mi sembra corretto.
MOHAMED NOUR DACHAN, Rappresentante dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia. Noi siamo 130 realtà. Vorrei proprio conoscere la sua realtà.
GAMAL BOUCHAIB, Rappresentante del movimento Musulmani moderati. Io non l'ho interrotta e lei non deve farlo. Rispetti le persone.
PRESIDENTE. Ricordo che le persone da audire sono segnalate dai gruppi presenti in Commissione. Se gli auditi vogliono esaurire il tempo concesso facendo una polemica, è una questione che a noi non interessa.
Lei, dottor Bouchaib, parli del tema proposto. I criteri utilizzati nell'audizione sono governati dalla Commissione. Non impieghi il tempo a sua disposizione per polemizzare con un altro audito, ma si rivolga alla presidenza.
GAMAL BOUCHAIB, Rappresentante del movimento Musulmani moderati. Mi sono limitato a osservare, senza voler fare polemica, che la modalità adottata non mi sembra giusta, né corretta.
Vorrei ringraziare per l'invito perché per la prima volta è stato indirizzato al diretto interessato, ovvero gli stranieri. In questo Paese, infatti, si è parlato di stranieri per anni inseriti in una realtà decisionale, si è parlato di immigrazione senza immigrati. Quindi, il mio è un ringraziamento davvero forte a tutti perché si vede una volontà di integrare l'immigrazione in un contesto decisionale, che da vent'anni a questa parte non c'è mai stata.
In un contesto nazionale tracciato da grandi mutamenti sociali, culturali ed economici il fenomeno immigratorio nel nostro Paese è diventato una grande sfida, che caratterizzerà i prossimi vent'anni. Se l'Italia è un progetto in divenire, non ci sarebbe futuro nazionale per un popolo
che evitasse di affrontare le sfide del domani, non riuscisse a ridisegnare la propria identità. Ecco perché parlare di cittadinanza oggi è ridefinire l'Italia di domani, senza stereotipi o rappresentazioni obsolete, ma con politiche lungimiranti, che non sono state fatte ieri, ispirate all'idea di una Italia dinamica ed evolutiva.
La cittadinanza è un concetto dinamico, la sua estensione attuale rappresenta i risultati di un processo di espansione del suo contenuto, i diritti, che si è protratto per secoli.
Il ruolo degli immigrati all'interno del tessuto sociale italiano è destinato ad aumentare: parliamo di 4,5 milioni, con un'incidenza del 7,2 per cento, rispetto a quella europea del 6,2 per cento.
La popolazione residente in Italia ha superato per la prima volta nella storia i 60 milioni di abitanti grazie alle natalità degli stranieri. Gli stranieri hanno contribuito al PIL nazionale per il 10 per cento, secondo il dossier Caritas-Migrantes.
Non è quindi retorica che l'immigrazione residente in Italia sia una risorsa per il nostro Paese. Ecco perché un'integrazione, purché sia sana, può essere incentivata da una nuova legge sulla cittadinanza, destinata a quegli immigrati che si sentono parte integrante della nostra società, condividendo i valori e i princìpi di fondo della nostra Costituzione.
La cittadinanza è una conquista per chi si è già integrato, è il culmine di un processo di integrazione e non può essere diversamente, altrimenti cadiamo nell'archetipo della pietà, del buonismo, dell'assistenzialismo, che è il peggior nemico dell'integrazione.
La disciplina della concessione della cittadinanza riguarda anche la fissazione delle regole, la padronanza della lingua, la conoscenza dei fondamenti istituzionali e giuridici, la fedina penale pulita, un lavoro regolare, in base a cui uno straniero può diventare cittadino italiano e collocarsi alla fine di un lento e progressivo percorso di integrazione.
La democrazia per funzionare ha bisogno di lealismo civico, di quelle virtù civiche che non discendono semplicemente dalla formale concessione di un diritto di cittadinanza, ma esigono l'identificazione con una comunità. La cittadinanza presuppone il senso di appartenenza a una comunità.
Bisogna spostare il baricentro della concessione della cittadinanza dai profili meramente cronologici e quantitativi a quelli valutativi qualitativi, perché l'acquisizione della cittadinanza italiana non può essere frutto di un processo burocratico legato al trascorrere del tempo, ma deve essere un traguardo raggiunto dopo aver dimostrato di meritare di diventare cittadini.
L'adozione di tale nuova impostazione appare particolarmente importante nell'attuale fase storica, caratterizzata dai flussi migratori provenienti da Paesi assai distanti non solo geograficamente, ma soprattutto in senso culturale, sociale e religioso. Nel nuovo contesto, il procedimento di concessione della cittadinanza dovrebbe essere maggiormente focalizzato sulla verifica degli elementi in grado di attestare l'avvenuta integrazione del richiedente. Occorrerebbe indurre i criteri di carattere qualitativo, in modo da valorizzare la concessione della cittadinanza come strumento di sviluppo e crescita della comunità nazionale.
Il semplice decorso del tempo, per quanto esteso, costituisce un indicatore abbastanza approssimativo di tale profilo. In particolare, un termine fisso e uguale per tutti gli aspiranti cittadini rischierebbe di essere troppo breve in alcuni casi o troppo lungo in altri. Sarebbe opportuno definire criteri di carattere qualitativo per integrare il criterio meramente quantitativo della durata della residenza.
Nella nuova direzione di questa cittadinanza di qualità, ispirata al modello tedesco che mantiene invariato il principio dello ius sanguinis, la proposta del testo base adottato dalla Commissione rappresenta una mediazione intelligente e ragionevole tra l'attuale legge sulla cittadinanza di dieci anni, che si protrae con i tempi burocratici fino a quindici o diciotto anni, e le proposte di legge sui cinque anni,
riducendo i tempi quantitativi in tempi qualitativi - otto anni di permesso di soggiorno e otto di carta di soggiorno - sottoscrivendo da parte dello straniero, alla richiesta del permesso di soggiorno, un accordo d'integrazione esistente in tutta Europa senza che nessuno si scandalizzi (si propone in Italia e partono le polemiche), già attuato in altri Paesi europei con risultati molto positivi, e con il possesso di requisiti come percorsi formativi di ordine linguistico, civico, culturale, requisiti abitativi, reddituali, lavorativi e assenza di carichi pendenti.
In questo contesto di appartenenza a una nazione bisogna delineare un punto fondamentale del futuro del nostro Paese: quello della seconda generazione. I minori nati o giunti in Italia dopo il completamento del ciclo scolastico obbligatorio possono acquisire la cittadinanza italiana. Con questa modalità si può scongiurare il pericolo che essi cadano nelle mani degli estremisti. Essendo presidente dei Musulmani moderati e membro del Comitato dell'Islam italiano presso il Viminale, posso aggiungere che per evitare un uso improprio del riconoscimento della cittadinanza occorre anche una revoca della cittadinanza a chi lede i princìpi fondamentali della Costituzione, della convivenza civile e del rispetto dello Stato.
Sono a conoscenza di cittadini bigami, poligami, pratica non ammessa nel nostro Paese, perché materia regolamentata dall'articolo 86 del codice civile. La cronaca ci insegna che non mancano cittadini coinvolti in organizzazioni terroristiche o attentati alla sicurezza dei trasporti. Una legge in materia di revoca della cittadinanza è importante per regolamentare un fenomeno come quello dell'estremismo, al quale è necessario prestare maggiore attenzione.
PRESIDENTE. La prego di concludere e di consegnare alla presidenza la sua relazione.
GAMAL BOUCHAIB, Rappresentante del movimento Musulmani moderati. Va bene. Per queste ragioni, soltanto una maggiore caratterizzazione in senso qualitativo del concetto dell'istituto della cittadinanza e dei suoi meccanismi di concessione e di revoca permetterà di rendere tale strumento non solo coerente con una corretta idea della Nazione e dei suoi caratteri, ma anche funzionale alle esigenze di crescita e di rafforzamento del Paese e della sua identità.
Un'equilibrata disciplina del riconoscimento della cittadinanza al cittadino straniero potrà inoltre garantire nell'ambito della comunità nazionale, e sottolineo tale termine, una migliore interazione tra individui provenienti da diverse culture, tutelando il fattore centrale per una civile convivenza: la tutela dell'interesse nazionale.
SILVANA CAMPISI, Rappresentante dell'associazione Prodomed. Signor presidente, ringrazio lei e la Commissione per averci invitato. La nostra Costituzione è stata redatta subito dopo la seconda guerra mondiale, quindi riflette le condizioni italiane del tempo, cioè i flussi migratori di italiani verso l'estero, per cui all'articolo 35 si riconoscono la libertà di emigrazione e di tutela di lavoro all'estero, mentre solo all'articolo 10 si prevede il diritto di asilo agli stranieri, ma solo per ragioni politiche.
Da allora lo scenario è completamente cambiato. Bisogna prendere atto degli scenari esistenti in tutte le società contemporanee, ed è, a nostro avviso, compito della politica non subire passivamente gli eventi, ma orientarli verso gli obiettivi che si intendono raggiungere.
Le nostre città sono sempre più colorate: questo è il segno che qualcosa veramente sta cambiando. Ci si chiede se queste trasformazioni sociali possano essere considerate una reale opportunità di sviluppo e di arricchimento per tutti. Riteniamo necessario tendere verso questo obiettivo. Nel coesistere delle diversità all'interno di valori condivisi da tutti s'individuano i fondamenti di una nuova società interculturale, interetnica, interreligiosa.
I nostri progetti nascono dalla considerazione della rilevanza del ruolo delle donne immigrate sia in ambito familiare, soprattutto verso i figli, sia nel sociale e nella consapevolezza della loro delicata e straordinaria funzione di mediazione e di integrazione. Oggi, come società civile siamo chiamati non a suggerirvi percorsi legislativi costituzionali, che forse non ci competono, ma per riportarvi le nostre esperienze nel campo della vita sociale. Come associazione, andiamo quotidianamente a combattere problemi che vengono dal reale contatto con queste persone.
Avendo lasciato alla presidenza una memoria scritta, desidero focalizzare la vostra attenzione su due punti in particolare. Tanti degli intervenuti hanno parlato dei bambini, mentre vorrei affrontare il tema della prima generazione. Abbiamo sentito parecchie idee, anche quella della ricerca nel futuro. L'acquisizione della cittadinanza italiana da parte di chi sia giunto in Italia da adulto e vi abbia risieduto legalmente avviene secondo percorsi certi e trasparenti. Non si può però non ricordare, come già detto da alcuni degli auditi, che la cittadinanza è il riconoscimento di appartenenza alla nazione italiana e implica una forte integrazione già nel popolo italiano, comporta la condivisione di valori sociali e politici, richiede la conoscenza almeno a grandi linee della storia d'Italia e soprattutto esige il rispetto e l'osservanza, a nostro avviso, dei princìpi che stanno a fondamento della Costituzione, l'assenza dei quali
genera, per quanto ci risulta, disastri e tutto quello che non accettiamo.
Lo Stato deve farsi garante e custode dei nostri valori culturali, e anche i simboli devono essere garantiti, perché significano quei valori intorno ai quali tutto un popolo si è riconosciuto. Se i simboli non vengono difesi, marciscono le nostre stesse radici, che nel corso dei secoli hanno dato origine alla nostra identità culturale, che ha portato a una civilizzazione nel Mediterraneo, a Stati di diritto e di libertà.
La vera responsabilità dello Stato è preparare questi percorsi di cittadinanza e di orientamento, che possono essere di quattro più quattro, alla fine dei quali, però, la concessione della cittadinanza non può tradursi in una mera valutazione burocratica, ma deve essere un modello progressivo a cui devono corrispondere percorsi e riscontri periodici.
Consideriamo importante segnalarvi la possibilità della revoca della cittadinanza nel caso degli uomini a cui faceva prima riferimento chi è intervenuto prima di me. Emerge infatti come motivo di sofferenza e dolore, violenze fisiche e morali provengano per le donne immigrate, residenti nel nostro Paese dalla violazione della normativa vigente per il ricongiungimento familiare dei parenti più stretti, che gli uomini immigrati utilizzano per ricongiungere famiglie allargate.
L'idea fasulla di tolleranza e uguaglianza ha minato le basi della nostra cultura, ma anche della cultura degli immigrati. La causa di degrado di una civiltà non può essere ascritta solo a motivi economici, ma a questi devono aggiungersi quelli culturali, che d'altra parte hanno portato a favorire questa civilizzazione.
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ma prendendo più tempo lo sottrae agli altri, per cui mi vedo costretto a interromperla. Grazie.
MARIA CARLA INTRIVICI, Rappresentante dell'associazione Nessun luogo è lontano. Ringrazio anch'io il presidente e i deputati della Commissione per l'opportunità di essere auditi oggi su questo tema molto importante.
Sin dall'anno della sua costituzione nel 1998, e successivamente attraverso gli anni con iniziative, audizioni e campagne realizzate, «Nessun luogo è lontano» intende fare la propria parte per mettere al centro delle vicende politiche e istituzionali del Paese la questione dei diritti civili e politici. L'obiettivo è quello di proporre nuove prospettive e accrescere la consapevolezza sociale sui temi della rappresentanza e della partecipazione, dell'integrazione e della legalità.
In particolare, per quanto concerne la cittadinanza, renderne più flessibili le modalità
di acquisizione, secondo il principio dello ius soli, valorizzare l'appartenenza fisica e sociale alla comunità e favorire l'adesione dei princìpi costituzionali rappresentano elementi fondanti del nostro pensiero.
In un contesto in cui la mobilità rappresenta un fenomeno strutturale, in una società sempre più multietnica e multiculturale, riteniamo non abbia più senso ancorare i diritti di cittadinanza alla sola nazionalità di nascita. Si auspica una nuova forma di cittadinanza, che leghi l'acquisto di tale diritto all'effettiva partecipazione degli individui alla vita economica, sociale e politica del Paese, nonché al rilevante apporto di ciascuno allo sviluppo della società in cui vive.
La cittadinanza deve essere intesa come il punto di arrivo di un processo di inclusione sociale condiviso, partecipato e formativo dello straniero, un percorso di conoscenza e di adesione al bagaglio culturale e normativo del nostro Paese. È necessario rendere questo cammino accessibile, certo ed effettivo.
In questa prospettiva, ciò che si auspica è una significativa revisione della legislazione in materia, finalizzata a valorizzare lo ius soli accanto allo ius sanguinis, a ridurre il periodo di tempo necessario per l'acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione da dieci a cinque anni e a prevedere procedure di accesso più semplici e inclusive.
In particolare, riteniamo molto importante la valorizzazione dello ius soli. «Nessun luogo è lontano» ha diversi centri per l'adolescenza italiana immigrata, luoghi di incontro e confronto, di conoscenza reciproca e dialogo tra minori di diverse nazionalità e differenti età. È un microcosmo, espressione della più ampia realtà, che ha consentito di conoscere e cogliere la questione delle seconde generazioni.
La mancata previsione normativa dell'acquisizione della cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori stranieri o per minori non italiani arrivati qui in giovane età rischia di innescare processi di estraniazione di tali soggetti dal contesto sociale di inserimento, con ricadute negative in termini di integrazione. Tutto ciò può portare inoltre allo svilupparsi di comportamenti ostili, soprattutto da parte degli adolescenti, verso una comunità da cui non si sentono accolti e che non offre loro uguaglianza di trattamento e pari opportunità.
Alla luce di questo scenario, si è sempre sostenuta la necessità di rendere possibile l'acquisizione della cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori stranieri stabilmente e legalmente presenti sul territorio nazionale, acquisizione da prevedere anche per i minori che, anche se non nati in Italia, abbiano partecipato nel nostro Paese a un ciclo scolastico e formativo.
In concomitanza, riteniamo molto importante l'adozione di politiche di accompagnamento alla piena cittadinanza, nel senso che l'auspicata riforma in materia, a nostro avviso, non deve tradursi semplicemente in un più facile e generoso accesso alla cittadinanza. La concessione di una cittadinanza formale non crea inclusione. Di qui l'importanza di supportare la riforma con adeguate politiche sociali, con interventi di regolarizzazione del mercato del lavoro, con idonee politiche scolastiche e con misure volte a colmare le disuguaglianze economiche e sociali e a garantire pari opportunità di accesso.
Vorrei fare un breve riferimento a un tema per me molto importante: il riconoscimento del diritto di voto amministrativo, sia passivo, sia attivo. Riteniamo necessario coordinare l'auspicata revisione della legislazione in materia di cittadinanza con la nuova normativa sul diritto di voto attivo e passivo a livello amministrativo per gli stranieri. Ciò perché occorre sancire in modo esplicito che il migrante contribuisce alla crescita della comunità in cui è inserito anche nel caso in cui non ne sia cittadino e non desideri diventarlo.
La mancanza volontaria o meno di questo status non può essere ostacolo al riconoscimento di un diritto fondamentale, qual è il voto, connesso alla sua legittima presenza sul territorio e al suo apporto
alla collettività di cui è parte. La strada per noi è la ratifica del Capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 1992.
Le questioni che ho esposto in modo sintetico sono comunque state approfondite in un documento già trasmesso alla Commissione.
PRESIDENTE. Ringrazio lei come tutti coloro che ci hanno fornito documenti, perché aiutano anche i colleghi che, per ragioni diverse, non sono potuti intervenire a prendere visione delle vostre idee e proposte.
VITTORIO ANGIOLINI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Ringrazio la Commissione dell'onore di questo invito. Sarò molto rapido, anche perché ho consegnato un testo scritto.
Mi sono soffermato, naturalmente, sui testi all'esame della Commissione e mi pare che, in linea generale, ci debba essere un apprezzamento, perché tali testi, pur molto diversi - alludo al testo di maggioranza Bertolini e a quello di minoranza Bressa - condividono un'idea di cittadinanza come inserimento sociale e culturale, elemento in passato non acquisito nei dibattiti, anche parlamentari, su questi temi.
Il rilievo generale che va, però, espresso a questo proposito riguarda il grado di inserimento sociale e culturale che si può chiedere ragionevolmente per acquisire la cittadinanza. Non dobbiamo dimenticare, sotto questo profilo, che viviamo in un Paese, ma anche in un'Europa, in cui ormai la gran parte dei diritti sono considerati diritti inviolabili dell'uomo, da garantirsi indipendentemente da cittadinanza e nazionalità.
A me non pare, quindi, ragionevole chiedere un'assimilazione totale, peraltro anche su versanti come quello politico o dei valori politici, a persone che, come tali - non come cittadini italiani, ma ancor prima come persone - hanno diritti non solo come quelli alla libertà personale e alla vita privata, ma anche alla manifestazione del pensiero e alla libertà religiosa. Esiste, quindi, un quadro di libertà complessive da rispettare.
Da questo punto di vista, a me pare che alcune disposizioni potrebbero essere corrette avvicinando anche le soluzioni della maggioranza a quelle della minoranza, se si tiene conto di questo rilievo di fondo.
Anzitutto, per il problema della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri, ma residenti in modo non precario in Italia; mi pare che non sia tanto ragionevole l'idea di posticipare l'acquisto della cittadinanza per tali soggetti alla maggiore età, con il presupposto che vada accertato ciò che si può chiedere di accertare per un minore, ossia la frequenza ai corsi di istruzione obbligatoria.
Ricordo che l'istruzione obbligatoria, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, della Costituzione, secondo cui la scuola è aperta a tutti, vale sicuramente anche per gli stranieri residenti. Mi parrebbe, quindi, curioso poi verificare alla maggiore età l'eventuale elusione di un obbligo di cui lo Stato italiano avrebbe dovuto garantire l'esecuzione e che ciò condizioni il minore, che dalla violazione di quest'obbligo - voglio sottolinearlo - è da considerarsi danneggiato.
Mi pare che si potrebbe superare questo aspetto e tornare a una soluzione più ragionevole, ossia quella di prevedere la cittadinanza fin dalla nascita per il minore nato in Italia da genitori residenti, dando per presunto che l'obbligo scolastico verrà, ovviamente, assolto. Peraltro, considerare il minore come cittadino italiano faciliterebbe la sua protezione in situazioni, anche familiari, difficili.
Il secondo rilievo, di carattere più generale, riguarda il percorso di cittadinanza che si delinea nel progetto di maggioranza della Commissione. Come prima osservazione, vorrei sottolineare che non è chiaro come il percorso che è necessario compiere per acquisire la cittadinanza per residenza protratta si raccordi con la nuova legislazione del 2009, in particolare con la legge 15 luglio 2009, n. 94 che ha introdotto nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'articolo 4-bis sull'accordo
di integrazione. Quante prove di integrazione si debbono compiere e come si coordinano? Lo dico con una battuta: stiamo attenti a non far frequentare alla stessa persona cinque corsi di lingua italiana, sei di storia e via elencando.
Il percorso di cittadinanza, inoltre, comprende - mi sembra che questo punto debba essere oggetto di una riflessione critica - anche elementi, come il rispetto dei diritti degli altri all'interno della famiglia o degli obblighi tributari, che francamente lo Stato deve sempre garantire. Sarebbe ben strano che si preoccupasse di verificare tutto ciò solo al momento della richiesta di cittadinanza.
In ultimo - mi fermo su questo aspetto - è legittimo, a mio avviso, chiedere il possesso dei requisiti per il permesso per lungo soggiornanti per l'acquisizione della cittadinanza, proprio per la funzione che hanno tali requisiti anche nel diritto europeo. Mi sembra molto curioso chiedere il possesso di questo titolo di soggiorno per l'acquisizione della cittadinanza, in quanto esso ha effetti autonomi e potrebbe non essere stato richiesto, anche in presenza dei requisiti, per le più diverse ragioni.
Infine, ed è davvero l'ultima notazione, che rimanda a quella cui facevo riferimento all'inizio: credo che il Parlamento si prefigga di rivedere la legge sulla cittadinanza anche per adeguarla a un contesto europeo, in cui esistono diritti inviolabili conferiti a tutti, alcuni dei quali rimangono ai cittadini. Si tratta di modulare in modo ragionevole i criteri per diventare cittadini, in modo che tali diritti non siano poi negati in modo ingiustificato.
In questa logica, a me sembra curioso che, in un contesto come questo, combinando gli attuali termini per residenza protratta con il percorso di cittadinanza, si possa pensare di aggravare i requisiti per ottenere la cittadinanza stessa.
Offro, quindi, queste valutazioni, che mi pare possano essere utili in un contesto nel quale - ripeto - tra le diverse proposte avanzate in Commissione ci sono forse molti elementi comuni. Emergono diversità nel declinarli, ma molte di esse potrebbero essere abbattute.
PRESIDENTE. Vorrei salutare i parlamentari D'Antona, Sarubbi, Calderisi, De Torre, Bressa, Touadi, Giovanelli, Sbai e Stracquadanio, presenti dall'inizio della seduta. Non tutti prenderanno la parola, dati i tempi stretti, però a loro va il mio ringraziamento.
GUGLIELMO LOY, Rappresentante del Servizio politiche migratorie della UIL. Ringrazio la Commissione per averci consentito non solo di portare il nostro contributo ai lavori della Commissione stessa su un tema così importante, ma anche di poter ascoltare le opinioni di molte realtà importanti della società organizzata e del volontariato, che sono impegnate da anni su un tema del genere, con idee non sempre collimanti, ma tutte tese a cercare di trovare una soluzione a un problema sintetizzato efficacemente da molti interventi: il mondo è cambiato e il quadro legislativo è sostanzialmente rimasto lo stesso.
Sarò brevissimo. Abbiamo mandato una nota e, ovviamente, anche alla luce delle considerazioni che abbiamo ascoltato, invieremo ulteriore documentazione alla Commissione, entrando nello specifico delle proposte di modifica e dei suggerimenti per eventuali emendamenti.
In sintesi, noi pensiamo che, proprio perché si è evoluto il fenomeno migratorio nel mondo e nel nostro Paese, vadano aggiornate le regole con cui si affronta un fenomeno tanto complesso. Riteniamo anche che il nostro Paese, avendo vissuto tale fenomeno in tempi relativamente brevi rispetto ad esperienze di altri Paesi, necessiti di un aggiornamento del quadro normativo e legislativo, che conseguirebbe ad un'innovazione che vi è stata nella società, che vede oggi il nostro Paese composto di cittadini e cittadine entrati negli ultimi anni, che hanno radicato la loro presenza nei modi che sappiamo e che gli studi e le analisi sottolineano da tempo, e che vede ormai la terza generazione pienamente protagonista di tale fenomeno. Sono, dunque, assolutamente necessarie innovazioni di carattere normativo e legislativo.
Gli obiettivi sono la maggiore integrazione e il riconoscimento dei diritti e delle tutele, in un equilibrio, come si usa dire sempre, tra diritti e doveri. Noi vogliamo sottolineare, essendo un'organizzazione sindacale, anche quanto una mancata regolamentazione efficace incida sulle dinamiche di natura più strettamente economica e sociale. Stiamo vivendo un fenomeno paradossale, in questa fase di crisi molto violenta che colpisce il mondo del lavoro. Vi sono dei paradossi che continuiamo a sottolineare, e vediamo con favore che anche la politica ha cominciato a ricordarli. Tra questi cito la mancanza, nel nostro Paese, di un titolo di presenza diverso dal permesso di soggiorno, che di fatto impedisce a molti cittadini lavoratori, pur in presenza di ammortizzatori sociali estesi anche a queste persone, di poterne usufruire, in quanto vi è un nesso con la permanenza nel nostro Paese legata all'esistenza di un rapporto di lavoro. Pertanto, ad esempio,
un'indennità di disoccupazione che dura più di sei mesi è teoricamente inesigibile, in quanto dopo sei mesi di perdita del posto di lavoro queste persone sarebbero costrette a lasciare il nostro Paese.
È un esempio che indica come persone che pure sono da anni nel nostro Paese, dove lavorano, non essendovi un titolo diverso dal permesso di soggiorno, rischiano situazioni che sono drammatiche per le persone e paradossali per il nostro Paese.
In sintesi, anche noi siamo favorevoli a un allargamento delle condizioni della concessione della cittadinanza, il cosiddetto ius soli, a una riduzione dei tempi, il che non vuol dire cittadinanza facile, ma equa e un po' più certa per le persone che autonomamente la richiedono.
Chiediamo che a tutto questo sia connessa una revisione degli altri due titoli per la permanenza nel nostro Paese. Insomma, deve esservi una visione armonica di come si regolamenta la presenza nel nostro Paese, rivisitando il ruolo del permesso di soggiorno, in alcuni casi allungandone la durata, soprattutto in base all'anzianità di presenza nel nostro Paese. La carta di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo è uno strumento che potrebbe avere una sua funzione e una sua utilità, anche sdrammatizzando dal punto di vista quantitativo il tema della cittadinanza, che preoccupa molte parti della politica.
È una tensione che comprendiamo, sebbene possiamo anche non condividerla, ma credo che il Paese possa affrontarla con maggiore serenità, se questa strumentazione più armonica è realmente efficace e anche burocraticamente esigibile per i problemi che conosciamo sulla nostra capacità, come Paese e come tessuto amministrativo, di riconoscere quanto spesso la legge teoricamente permette, ma la burocrazia in qualche modo ritarda.
PRESIDENTE. La ringrazio. Prima ho salutato e ringraziato i parlamentari presenti. Non ho ringraziato, ma era implicito, la relatrice, onorevole Isabella Bertolini, che sta seguendo con grande attenzione tutti i vostri suggerimenti.
Siccome uno dei capitoli di forte interesse della Commissione è quello della cittadinanza ai minori, chi di voi avesse elementi più tecnici da sottolineare con riferimento a questo aspetto, darebbe un contributo per noi molto utile.
PAOLO MOROZZO DELLA ROCCA, Rappresentante della Comunità di Sant'Egidio. Molto opportunamente, il documento preparatorio per la 46a settimana sociale dei cattolici italiani sottolinea la necessità di fare spazio, nella società italiana, ai figli degli immigrati, i quali però, a differenza dei loro genitori, non sono immigrati, essendo nati o comunque cresciuti nel nostro Paese.
Di loro sappiamo che sono giovanissimi, che pensano in italiano, che sognano in italiano, che parlano veneto in Veneto e siciliano in Sicilia, e che hanno una gran voglia di riscatto e di far meglio dei loro genitori.
Li attendono - come sottolinea il documento che ho appena citato - numerose difficoltà comuni a tutti i giovani in Italia, cui se ne aggiunge una, quella di riuscire
a riconciliare la loro quotidianità italiana con un'identità costruita, purtroppo, nel dubbio di non vedersi riconosciuta la cittadinanza. Eppure, l'Italia è l'unico Paese nel quale questi ragazzi possono davvero identificarsi, a condizione che non ne siano tenuti ai margini.
È, comunque, un Paese dal quale non andranno più via, né per scelta, né per obbligo, essendo peraltro inespellibili sia in punto di fatto che in punto di diritto. Sarebbe bene, perciò, non trattarli né come ospiti né come immigrati.
È giusto sottolineare che la cittadinanza deve essere desiderata e amata, e molti l'hanno fatto in questo ultimo periodo. È quanto chiediamo anche noi sia agli adulti italiani che agli adulti stranieri che domandano di divenire italiani. Peraltro, non sono così tanti gli adulti stranieri che domandano di diventare italiani.
Sarebbe, invece un grave errore continuare a negare la cittadinanza ai bambini e ai ragazzi che crescono da italiani. Se chiediamo a un bambino peruviano di 6 anni, nato in Italia, di quale Paese sia, ci risponderà certamente che lui è italiano, e che la madre è peruviana. Quello stesso bambino divenuto sedicenne potrebbe non rispondervi più, avendo ormai sperimentato l'essere suo malgrado straniero, oppure potrebbe rispondervi arrabbiato.
L'ISTAT ci dice che nel nord del Paese, nel 2009, il 20 per cento dei nati erano di nazionalità straniera. Dunque, se lasceremo immodificata la normativa attuale, nel 2015 vi saranno normalmente, e non eccezionalmente, classi elementari composte per il 35-40 per cento da stranieri, che però, in realtà, per la maggior parte saranno nati e sempre vissuti in Italia. Mi chiedo come si possa pensare, in queste condizioni, di poter garantire o almeno aiutare il senso di comunità, che è la vera ricchezza storica del nord dell'Italia. Come possiamo pensare di educare alla cittadinanza intere classi, che nel loro insieme saranno così poco italiane, pur essendo composte da minori da sempre residenti in Italia? Ecco perché l'attuale legge sulla cittadinanza, almeno riguardo ai bambini che nascono o comunque crescono in Italia, andrebbe cambiata introducendo nuove regole.
Noi non siamo favorevoli a un passaggio secco dallo ius sanguinis allo ius soli. Riteniamo, però, che occorra introdurre una regola di «ius domicili», cioè di uno ius soli non da solo, ma combinato o alternato dal requisito di stabile dimora.
Credo vi sia un inganno terminologico e culturale a parlare di ius soli quando si chiede la cittadinanza del minore nato in Italia con genitori già stabilmente residenti in Italia; in questo caso, il vero requisito è la residenza della famiglia e l'elemento della nascita si aggiunge a questo dato di fatto della residenza. Considererei più onestamente lo ius soli per uno che viene dichiarato cittadino perché nasce qui, magari anche per caso, ma non è questo il senso delle proposte di riforma.
Oggi l'unica significativa disposizione davvero dedicata all'acquisto della cittadinanza da parte delle seconde generazioni è, come sappiamo, quella di cui all'articolo 4 della legge n. 91 del 1992, che consente solo ai nati in Italia di chiedere la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno, ma non più tardi del diciannovesimo, purché dimostrino il possesso continuativo sia del permesso di soggiorno che della residenza anagrafica sin dalla nascita. Questa è una norma che funziona poco e malissimo, di cui suggeriamo in ogni caso una modifica migliorativa.
Le poche proiezioni disponibili ci dicono, infatti, che su 100 ragazzi nati in Italia e qui ancora residenti al compimento del diciottesimo anno di età, 12 sono già diventati italiani da minorenni per effetto della naturalizzazione del padre o della madre, 46 esercitano positivamente l'opzione di cittadinanza, ma sono ben 42 quelli che rimangono stranieri anche dopo la maggiore età, nonostante l'intera vita trascorsa in Italia, o perché non hanno la continuità di residenza anagrafica e di soggiorno per tutti i diciotto anni, oppure perché i loro genitori non erano ancora regolarmente soggiornanti al momento della nascita, diciotto anni prima.
Questo è un dato preoccupante, perché significa che per ogni anno che passa diverse migliaia di diciottenni stranieri, nati e vissuti in Italia, rimangono stranieri. Parliamo forse di 13.000 giovani sul totale dei diciottenni nati nel 1990, ma saranno 30.500 nella ben più copiosa classe dei nati nel 2008.
Un grande fenomeno, dunque, di decrescita di cittadinanza sulla popolazione giovanile da sempre in Italia ci attende nel prossimo futuro e credo che questo sia esattamente il contrario di ciò di cui avremmo bisogno.
È vero che il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato è solo una condizione, necessaria ma non sufficiente per una piena interazione e integrazione delle seconde generazioni nella società italiana; non sufficiente, certo, ma appunto necessaria ad evitare lacerazioni nel tessuto connettivo della cittadinanza vivente.
Per questa ragione, abbiamo ancora di recente lanciato un appello per una nuova legge nell'interesse del Paese, che vede insieme, tra i promotori, Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, ACLI, Comunità di Sant'Egidio, Fondazione Centro Astalli e Comunità Papa Giovanni XXIII. È un appello che ha viaggiato e ancor più viaggerà su tutto il territorio nazionale, e che speriamo venga accolto.
Vorrei concludere dicendo che questo appello viaggerà ben al di là del confine degli organismi cattolici che si occupano di immigrazione, di stranieri o di cittadinanza. Ritengo, senza presunzione, di poter dire che su questo argomento sarà portata avanti una battaglia profondissima che, comunque, non si fermerà alla contingenza politica di questo momento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Stracquadanio.
GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor presidente, non so come siano state formulate le convocazioni dei nostri cortesi ospiti di oggi, ma vorrei ricordare, innanzitutto a me stesso, a lei e agli ospiti che siamo in sede di indagine conoscitiva. Ora, l'indagine conoscitiva serve ad acquisire elementi di informazione e di conoscenza sui fenomeni in ordine ai quali dobbiamo legiferare, avendo noi già un processo legislativo in corso, che si trova in una fase avanzata.
Ho seguito i lavori, anche prima di arrivare in Aula, sia dal canale satellitare che dalla radio, e ho ascoltato - purtroppo, signor presidente - un largo numero di interventi che non ha dato nessun elemento di conoscenza, ma si è dedicato a valutare e a giudicare la bontà o meno del processo legislativo in cui il Parlamento è impegnato, l'opportunità o meno del rinvio in Commissione, l'opportunità o meno di certe disposizioni e di certe visioni.
Siccome il Parlamento è rappresentativo della società, e lo è attraverso un processo chiamato «elezioni», noi non possiamo trasformare una sede conoscitiva in una sede di discussione assembleare pubblica, che non ha nessuna congruenza con i lavori parlamentari.
Stiamo utilizzando del danaro pubblico, secondo una procedura già ben fissata, per ascoltare opinioni che sono liberamente esprimibili, ma non in sede di indagine conoscitiva. Se fossimo in un'assemblea esterna, convocata da una qualunque forza politica o anche solamente da un gruppo di parlamentari, per ascoltare il punto di vista di chi vogliamo, tutto questo sarebbe legittimo. Io mi attenderei, però, dai soggetti che sono stati convocati per le loro competenze e per le loro esperienze, che ci portassero numeri, informazioni e dati, e non valutazioni su come debba essere scritta o meno la legislazione.
La pregherei, signor presidente, di far rispettare questa indicazione, altrimenti ci troveremo a non poter utilizzare tutto quello che è stato detto. Nel processo legislativo, infatti, le audizioni non servono ad acquisire i punti di vista di qualcuno, perché per quello ci sono le elezioni. Il fatto di avere un numero più o meno
variabile di associazioni che propendono per una tesi o per l'altra è irrilevante ai fini delle nostre deliberazioni.
Se vogliamo andare avanti per conoscere, gli auditi ci devono fornire informazioni. Nel suo intervento, ad esempio, il rappresentante della CGIL si è permesso di sindacare su come abbiamo proceduto nei lavori in tre legislature. Mi consenta, si può benissimo candidare alle prossime elezioni e vedere se riesce a ottenere il consenso per partecipare ai lavori parlamentari.
Lei, presidente, ha delle responsabilità. Si sventolano sempre le Costituzioni per chiederne il rispetto ed io la sto sventolando perché il Parlamento sia rispettato nelle sue prerogative.
Se avessi voluto ascoltare le opinioni di tanti illustri signori, avrei potuto farlo in tanti modi; e l'ho già fatto acquisendo i loro giornali, le loro pubblicazioni, le loro opinioni, in assemblee pubbliche estranee a questa sede.
Signor presidente, vorrei che richiamasse tutti all'ordine: o i nostri ospiti hanno elementi di conoscenza da riferire, dati, informazioni, numeri, prospezioni internazionali o altro, oppure, se intendono annunciare appelli, possono farlo, ma fuori da questa sede.
PRESIDENTE. Do la parola al collega Bressa, che ha chiesto di intervenire anche lui sull'ordine dei lavori.
GIANCLAUDIO BRESSA. La pur rispettabilissima opinione del collega Stracquadanio è una sua opinione personale sui procedimenti di consultazione della Camera.
GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Non conosco opinioni collettive, onorevole Bressa. È una chiosa inutile...
GIANCLAUDIO BRESSA. La cosa inutile è quella che ha detto lei, collega; se lei avesse un'esperienza parlamentare maggiore o se si fosse occupato di precedenti indagini conoscitive, saprebbe che questa non è affatto diversa dalle altre centinaia che abbiamo svolto. È troppo poco rispettoso che la sua opinione personale venga contrabbandata come una regola parlamentare, perché così non è.
PRESIDENTE. Vorrei anch'io fare una breve osservazione. Credo che, sostanzialmente, ci stiamo comportando secondo le regole seguite per tutte le audizioni. Abbiamo il dovere anche di cortesia di ascoltare le opinioni. Abbiamo chiesto alle persone di partecipare per questa ragione.
CARLO PANELLA, Giornalista e scrittore. Da alcuni mesi, attraverso articoli di giornale, sto cercando di fare in modo che chi si occupa di immigrazione e in particolar modo il dibattito sulla cittadinanza tenga conto di un dato di fatto incontrovertibile: si sta parlando di un fenomeno che non si conosce, di cui si dà per acquisita da molte parti - e in molti interventi che ho sentito qui oggi - una dinamica falsa.
Se si pensa che gli immigrati, oggi 4 milioni e mezzo, domani 7 milioni, saranno destinati a rimanere nel nostro Paese per tutta la vita, secondo il modello di Coney Island, Stati Uniti d'America, di fine Ottocento, dell'Argentina e dell'Australia, si deve impostare l'attività legislativa di cui stiamo parlando e la soluzione dei vari problemi in un determinato modo, soprattutto per quanto riguarda i minori. Se, infatti, si ha certezza che un bambino nato in Italia vivrà in Italia per tutta la sua vita, ovviamente ci si regolerà rispetto al problema dello ius soli o dello ius sanguinis in un certo modo. Se, invece, si è certi che quel bambino, quella famiglia rimarrà in Italia soltanto per il periodo necessario ad acquisire risparmi sufficienti a un ritorno in patria, l'impostazione del problema cambia radicalmente, soprattutto - lo ripeto - per quanto riguarda la concessione della cittadinanza ai minori.
Vorrei notificare al Parlamento, attraverso questa sede, una realtà drammatica: state legiferando sulla base di statistiche inesistenti o inaffidabili. Credo di poter provare in qualsiasi sede questo dato di fatto. Infatti, non esiste, da parte dell'ISTAT,
un modello specifico di rilevazione dei flussi dell'immigrazione. L'ISTAT riferisce delle informazioni sulla dinamica dell'immigrazione basate su un dato assolutamente inattendibile, ovvero le registrazioni anagrafiche. Ora, chiunque operi nell'ambito dell'immigrazione sa che se cerca di mettersi in contatto con gli immigrati per i vari programmi che ci sono - ad esempio ne parlava il responsabile dell'infortunistica - attraverso i dati anagrafici trova il vuoto. Questo accade perché i dati anagrafici non vengono aggiornati dai comuni, per una ragione semplicissima: non votando gli immigrati, non c'è un'attenzione da parte degli uffici a tenere aggiornati i dati anagrafici. Se un cittadino italiano va da un comune all'altro o si trasferisce all'estero, il comune, essendo quello un cittadino italiano, svolge questa operazione.
Lavoriamo, quindi, su dati che ci offrono un'immagine che è quella che ha influenzato il lavoro legislativo, mentre tutti i dati economici, così come la volontà soggettiva degli immigrati interpellati attraverso un sondaggio effettuato dal Ministero dell'interno, durante la gestione di Giuliano Amato, ci danno una realtà opposta.
I dati strutturali ci dicono che l'immigrazione in Italia è simile - potrei dire anche identica - nelle sue linee fondamentali a quella della Germania, che io studio ormai da circa quaranta anni, ragione per cui sono qui oggi. La Germania ha un modello di rilevazione statistica specifica, un ufficio specifico fin dagli anni Sessanta. Proprio recentemente si è tenuto un bellissimo convegno organizzato dalla Caritas e dalla Ebert Stiftung, i cui atti sono stati pubblicati su Internet, che ha rilevato che nell'arco di 55 anni, dal 1952 al 2007, in Germania sono entrati 36 milioni di immigrati e ne sono usciti 26 milioni. Ci viene fornito soprattutto un dato preziosissimo: la permanenza media degli immigrati in Germania - Paese che, come l'Italia, non ha ex rapporti coloniali o imperiali, Commonwealth o altro, e come l'Italia ha il 52 per cento di immigrati che provengono dall'Europa e non dai Paesi dell'Africa o del sottosviluppo - è di 17 anni. È un
dato preziosissimo, perché ci indica, su 36 milioni e per l'arco di 55 anni, il periodo medio di accumulazione di risparmio per il ritorno a casa.
Lo stesso vale per i cittadini italiani: 2,5 milioni di persone sono andate in Germania e ne sono tornate 1,5 milioni. La permanenza è sempre la stessa; gli italiani in Germania sono 500-600.000, ma non sono gli stessi Mario Rossi, sono cambiati, sono diventati Giovanni Bianchi.
Questo elemento strutturale trova un suo riscontro nei dati, che trovate sul sito del Ministero dell'interno, dell'unica indagine seria condotta in Italia, durante la gestione di Giuliano Amato, affidata alla Makno, che chiede, tra altre cose, cosa gli immigrati desiderano. Tra quelli che rispondono - ovviamente un 15-20 per cento non lo fa - il 69 per cento dice di voler tornare in patria; solo il 31 per cento vuole restare in Italia per tutta la vita. C'è addirittura una percentuale molto alta di immigrati che non auspicano affatto una maggiore integrazione, ma chiedono di essere aiutati ad andare all'estero.
Cito un dato per capire quanto sia importante questo problema. Una piccola organizzazione che eroga mutui ne ha organizzato la concessione per la costruzione di case in Romania. Ne concedono trenta al mese, secondo quanto riferiscono da Casamutui. Il fenomeno è questo.
Chiedo innanzitutto al Parlamento, all'opinione pubblica, ai partiti e a queste organizzazioni di fare un accordo prima di legiferare per capire il fenomeno dell'immigrazione. Vi do un suggerimento che spero tutti accogliate. Abbiamo una eccezionale fonte di dati che ci può dire esattamente quali sono i flussi dell'immigrazione, l'INAIL, la quale ci riferisce quanto l'immigrato è stato alle dipendenze di qualcuno, e quindi residente in quella città. Tutti gli immigrati regolari - 3.700.000 lavoratori a oggi - sono assicurati. Per favore, chiedo che il Parlamento, le associazioni e via elencando facciano sì che l'INAIL utilizzi la sua fantastica miniera
di dati e la elabori, facendo in modo che non si tratti più di dati nominativi, ma di massa.
Questo elemento sarebbe determinante per capire esattamente qual è la rotazione, che peraltro sfugge alle rilevazioni dell'ISTAT non solo per il fenomeno richiamato prima, ma perché il 52 per cento degli immigrati è in Italia solo da cinque anni, e quindi il ritorno non è ancora maturato.
Chiudo sul tema della cittadinanza ai minori. Credo che ci sia un problema costituzionale: lo dico al presidente, che di questo è espertissimo. Riferendomi ai dati che forniva il collega della comunità di Sant'Egidio, non è che quel 42 per cento che non diventa cittadino italiano è dovuto al semplice fatto che il genitore non vuole diventare cittadino italiano, e che quindi, pur vivendo da dieci anni in Italia, ha deciso di non chiedere la nazionalità? Questo è il punto. Che cosa facciamo? Diamo la cittadinanza a un bambino nato in Italia o dopo dieci anni che vive in Italia, laddove suo padre o sua madre, che vivono da dieci anni in Italia, non chiedono la cittadinanza? Creiamo all'interno della famiglia una divaricazione tra chi vuole tornare in patria, legittimamente e come libera scelta, e il minore che, avendo la cittadinanza, è ancora più teso a rimanere in Italia?
Questo è un elemento di non secondaria importanza.
ANTONIO RUSSO, Rappresentante delle ACLI e del Forum del terzo settore. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito. Le ACLI hanno prodotto una memoria scritta che è agli atti della Commissione, quindi tenterò di essere il più sintetico possibile. Intervengo anche a nome del Forum del terzo settore.
Sono agevolato dal fatto che molte persone sono intervenute prima di me, quindi sono stati sfrondati diversi argomenti. Come è noto - mi attengo alle cifre, visto che prima è stata fatta una esplicita richiesta - il nostro Paese è divenuto più compiutamente, nell'arco degli ultimi 20 anni, un Paese di immigrazione, con tutta la complessità che questo comporta. Do per assodate, quindi, le considerazioni che fanno del nostro un Paese, secondo me, già multiculturale, multietnico e anche attraversato da profonde trasformazioni sociali e antropologiche. D'altronde, questa mattina abbiamo sentito gli interventi anche di rappresentanti di associazioni straniere in Italia.
Forse vale la pena ricordare che degli oltre 4,5 milioni di cittadini stranieri regolari, pari al 7 per cento della popolazione residente, il 12,6 per cento è rappresentato da bambini che nascono nelle nostre città. Sono minori stranieri nati in Italia, circa 900 mila - siamo quasi vicini al milione, come già è stato detto - e costituiscono il 23 per cento di tutti gli stranieri. Uno straniero su cinque, quindi, è minorenne. Nel 2007 600.000 ragazzi stranieri si sono laureati nel nostro Paese. Dunque, l'Italia è di fronte a un processo di immigrazione che, se nel primo decennio ha coinvolto la generazione adulta di immigrati, oggi interessa, invece, più precisamente la seconda generazione e forse già anche la terza.
I nati nel nostro Paese sono circa 520 mila e costituiscono - per continuare a fornire dei numeri, sperando che possano essere utili ai lavori parlamentari e anche a quelli della Commissione - il 7 per cento dell'intera popolazione scolastica. Questi ragazzi, come è stato già detto da Roberto Morozzo della Rocca, della Comunità di Sant'Egidio, condividono con i nostri figli gli impegni, i desideri, le difficoltà, i sogni e sovente soffrono l'incomprensibile situazione di una cittadinanza dimezzata.
Vale la pena di ricordare che dietro questi dati ci sono le vite delle persone. Questa è la considerazione che voglio fare cercando di rimanere sull'oggetto, cioè sulla questione relativa alla cittadinanza ai bambini.
È vero, questi ragazzi spesso non conoscono altra lingua che l'italiano e rappresentano, per noi delle ACLI e del Forum del terzo settore, una grande possibilità di sviluppo per il nostro Paese che, come sappiamo, oltretutto invecchia più presto rispetto agli altri Paesi europei.
Sottolineo la speranza di futuro che questi ragazzi costituiscono per le nostre comunità e il desiderio di appartenenza che essi dichiarano. Lo affermo non perché abbia la sensazione che lo facciano, ma perché nel contatto quotidiano con questi ragazzi, nelle scuole e nei nostri centri di formazione professionale, il desiderio che dichiarano è quello di diventare cittadini italiani. Noi auspichiamo che la politica sappia favorire un nuovo e migliore approdo legislativo e sostenere il passaggio da una cittadinanza formale a una piena.
A partire da queste brevissime considerazioni, che mi sembravano importanti e che parlano di un Paese che ha conosciuto l'emigrazione - sono emigrati più di 1,5 milioni di italiani nella grande storia di emigrazione del nostro Paese e forse chi interveniva prima faceva riferimento agli stranieri comunitari e non a tutti quelli che sono nel nostro Paese - è forte l'attesa di una legge di riforma sulla cittadinanza che superi l'attuale normativa e che possa accompagnare, naturalmente nel rispetto delle regole della Costituzione, i cittadini immigrati a un più consono processo di inclusione.
Passiamo alle proposte. Nella prospettiva della discussione in Parlamento delle modifiche alla legge n. 91 del 1992 sul diritto di cittadinanza, le indicazioni che offriamo sono maturate nel corso di un dibattito che stiamo animando da alcuni anni a questa parte. Tengono, inoltre, conto della storica esperienza associativa delle ACLI, vissuta soprattutto nei Paesi europei, in cui - come ricordavo prima - l'emigrazione italiana ha avuto il suo peso e, in talune occasioni, ha sofferto gli stessi problemi che stanno soffrendo oggi gli immigrati in Italia.
Le proposte, quindi, si sono consolidate, soprattutto negli ultimi mesi, nel confronto aperto sul tema della cittadinanza, sia con le forze politiche istituzionali di maggioranza e di opposizione, del Governo nazionale e di quelli territoriali, sia con le organizzazioni sociali del lavoro e del volontariato.
Per tutte le considerazioni che fin qui ho svolto, per noi è urgente riformare la legge n. 91 del 1992. In un quadro di sintesi, che abbiamo condiviso anche con un cartello di associazioni di area cattolica (ACLI, Comunità di Sant'Egidio, Caritas, Fondazione Migrantes, Centro Astalli, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII) per noi è fondamentale che un'eventuale riforma sia orientata in primis a una diversa filosofia - è stato ripetuto più volte stamattina - della legge sulla cittadinanza, retta non più dal principio dello ius sanguinis, ma da quello dello ius soli e, meglio, ancora dello «ius domicili».
Assecondando questo orientamento, auspichiamo che nella nuova legge - per quanto noi riteniamo che occorrerà in futuro anche agire in un quadro più complessivo di riforme che riguardino, in senso più generale, i diritti politici e sociali, nonché una diversa accessibilità ai sistemi di welfare locale; pensiamo quindi a una riforma più complessiva, ma ci limitiamo ora all'oggetto della vostra convocazione di oggi - sia attribuita la cittadinanza al momento della nascita al bambino nato in Italia da genitori stranieri già regolarmente soggiornanti, i quali mostrino naturalmente in concreto di volersi inserire nella società italiana.
Auspichiamo poi che al positivo inserimento del minore nel nostro Paese, anche se nato all'estero, corrispondano adeguate modalità di attribuzione della cittadinanza già prima del compimento della maggiore età, rendendo, altresì, disponibili procedure opportunamente agevolate di naturalizzazione nei primi anni dell'età adulta per coloro che siano comunque giunti durante la minore età nel nostro Paese.
Proponiamo, infine, che a coloro che diventano cittadini non venga imposta la rinuncia alla cittadinanza d'origine - questa è l'altra proposta che abbiamo formulato insieme ad altri soggetti associativi - e che ai giovani vissuti in Italia dalla tenera età, ma già divenuti maggiorenni nel momento in cui era in vigore la legge n. 91 del 1992, sia transitoriamente consentito di avvalersi della nuova regola di acquisizione della cittadinanza durante la minore età.
Naturalmente, anche noi riteniamo che occorrerà agire sui tempi dell'acquisizione della cittadinanza, che sono molto lunghi nel nostro Paese.
SERGIO BELARDINELLI, Professore ordinario di sociologia dei processi culturali e comunicativi. Grazie, presidente, per l'invito. Non sono un giurista e quindi l'unico contributo che posso offrire è di tipo socioculturale.
Svolgo brevemente una sola considerazione: mi sembra importante intanto che chiariamo a noi stessi perché il tema di cui stiamo dibattendo è tanto scottante. Sappiamo bene che lo è diventato moltissimo, proprio perché oggi ci troviamo a vivere in un contesto tale per cui uomini appartenenti a culture molto differenti tra loro debbono stare gomito a gomito.
La nuova situazione che si sta configurando, secondo me, ha prodotto una consapevolezza importante sul tema della cittadinanza, ovvero che non riusciamo più a padroneggiare il problema restando dentro gli schemi del sangue, del suolo e forse neanche della lingua. Tale situazione ci spinge a pensare la cittadinanza nell'ottica di una consapevolezza di cittadini che vogliono vivere in un determinato contesto politico, nel rispetto, se si vuole, della propria identità culturale e religiosa, ma anche di quella altrui. Credo che questa consapevolezza sia importante nei discorsi sulla cittadinanza.
Preciserò adesso il motivo per cui le proposte di modifica, tutto sommato, mi sembrano soddisfacenti. La consapevolezza cui facevo riferimento produce un problema, quello della sua verifica: è importante cioè verificare proprio la consapevolezza di voler appartenere a una comunità politica.
È un problema difficile, che scaturisce da una situazione per alcuni versi anche positiva, che ci arricchisce. Ho letto il testo unificato approvato dalla Commissione, con particolare riguardo al percorso di cittadinanza: come ripeto, trovo che sia anche soddisfacente, però non vorrei che la motivazione sconfessasse la mia affermazione. La trovo soddisfacente perché non mi sembra che vada nell'ottica di una richiesta di assimilazione; se così fosse, preciso subito che siamo su una strada, oltre che sbagliata, anche impossibile, perché oggi pretendere assimilazioni nel contesto delle differenze in cui viviamo mi sembra veramente impossibile.
Oltretutto - è la mia ultima considerazione - questa idea sarebbe in contrasto proprio con i motivi per cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 9-ter, introdotto dal testo unificato nella legge n. 91 del 1992, si afferma che questo corso serve a prendere dimestichezza con la cultura italiana, con i princìpi del nostro ordinamento costituzionale e via elencando. Credo che abbiamo tutti davvero bisogno di una prova di fiducia nei confronti dei princìpi del nostro ordinamento, una prova di fiducia che ci faccia capire che esso è capace di gettare ponti tra persone appartenenti a culture molto differenti tra loro e soprattutto - questo punto è importante per i motivi che indicavo all'inizio - di generare rispetto anche in chi appartiene a mondi molto differenti e distanti.
Sono convinto che proprio questo rispetto costituisca la motivazione vera per cui un soggetto chiede di entrare a far parte di una comunità politica e, dal mio punto di vista - lo affermo molto sommessamente - è anche il motivo per cui si può concedere il diritto di cittadinanza, fermo restando che condivido quanto sosteneva il relatore, cioè che occorre maggiore realismo. Non possiamo considerare la cittadinanza come un mezzo di integrazione, o meglio, volendo possiamo anche farlo, però preferisco pensarlo come l'esito di un processo di integrazione per il quale ci siamo già impegnati.
Sviluppo un'ultima considerazione e chiudo. I corsi sono importanti, per carità, però desidero ribadire un concetto che mi sta molto a cuore e che ho sentito comunque emergere questa mattina: il vero percorso di integrazione si fa sul piano dei diritti sociali e civili. A mio modo di vedere, in quell'ambito bisogna essere veramente
aperti e universalistici. Bisogna attribuire subito tutti questi diritti e garantirli adeguatamente.
Una volta garantiti tali diritti, starei per dire che abbiamo anche credito per esigere percorsi di cittadinanza come quelli che stiamo delineando, che, come ripeto, mi sembrano adeguati.
GIOVANNI LA MANNA, Rappresentante dell'associazione Centro Astalli. Grazie per l'invito e per l'ascolto. Non entro nello specifico delle proposte che ci vedono insieme con altri. Quello che mi preoccupa è portare in questa sede la realtà dei fatti. Se siamo qui, forse non forniamo cifre e dati, ma siamo espressione delle persone che non hanno la possibilità di far arrivare la loro voce, ma soprattutto la loro realtà.
Apprezzo l'ascolto e gli attribuisco un valore. Sarebbe interessante, però, per chi ha il potere e la responsabilità di decidere della vita delle persone - ricordo che parliamo di persone - poter vedere come incide una politica o una legge su di esse. L'invito è, quindi, a vedere che cosa succede a una persona all'interno del percorso, che si sta immaginando, che la porta alla cittadinanza.
Più volte si è citato il permesso di soggiorno. Non so quanti abbiano l'esperienza concreta di essere al fianco di una persona straniera in Italia che vive l'attesa o la richiesta del permesso di soggiorno. L'ideale che deve sempre animare chi ha la responsabilità di Governo è di fare i conti con la realtà, avvicinarsi alla realtà. È questo il punto che ci preoccupa.
Vorrei partire dalle parole di Sua Santità, Benedetto XVI, che, già nel 2006, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, ebbe ad affermare che è divenuto necessario predisporre interventi legislativi, giuridici e sociali che facilitino l'integrazione delle famiglie immigrate, con particolare riguardo alle seconde generazioni, ai minori.
La cittadinanza - siamo d'accordo - non deve essere uno strumento, ma mi chiedo realisticamente se disponiamo di percorsi di integrazione. Realisticamente, quanto stiamo investendo nell'integrazione, così da non confondere la cittadinanza con l'integrazione? Quando immaginiamo che deve esservi un percorso, dobbiamo poi immaginare anche che le opportunità di tale percorso possano essere concrete, reali; altrimenti, abbiamo bei documenti, che però non hanno nulla a che vedere con la realtà.
Ricordo che non tutte le persone che avranno a che fare con questa legge decidono liberamente di venire in Italia. Ripeto: non entro nello specifico delle proposte che si trovano nei documenti.
Un'altra preoccupazione è che quando si pensa si è animati da tante intenzioni. Auspico che il tema della cittadinanza miri al bene delle persone straniere e non tanto alla preoccupazione o alla paura che si ha di loro, né tantomeno alla questione della sicurezza, poiché questi sono temi che non possono prevalere sulle persone. Devono essere tenuti in conto, ma la priorità deve essere il bene delle persone. Parliamo tutti di centralità della persona: compiamo uno sforzo perché anche nella legge sulla cittadinanza tale attenzione venga posta.
FRANCESCO AURELI, Rappresentante dell'organizzazione Save the children. Save the children è un'organizzazione nata nel 1919, che opera per promuovere e tutelare i diritti dei minori, quindi ci soffermeremo anche noi sull'aspetto dei minori nel mondo e in Italia.
Riteniamo che la cittadinanza possa essere un fattore che da un lato faciliti l'integrazione ma che, al contempo, la ostacoli. Questo forse è l'aspetto più importante e rilevante che vorremmo mettere in risalto.
A prescindere dalla potenziale intenzione futura di rientrare o meno, la questione è sicuramente legata anche al rispetto dei diritti sociali e civili, che sono importantissimi per l'integrazione.
Riteniamo che questo processo di riforma sia molto rilevante, perché l'attuale normativa non considera, a nostro avviso, la realtà di centinaia di migliaia di minori che sono e si sentono a tutti gli effetti cittadini italiani, anche in base alle esperienze
che abbiamo vissuto con i minori in Italia. La legge continua a ritenerli stranieri, estranei, diversi dai loro coetanei, nonostante il fatto che dovrebbero essere titolari degli stessi diritti riconosciuti dalla Convenzione ONU dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ratificata in Italia vent'anni fa. Dovrebbero essere riconosciuti titolari di questi diritti semplicemente in quanto minori, indipendentemente dal Paese di provenienza.
Il processo di riconoscimento della cittadinanza potrebbe favorire e facilitare l'acquisizione dei diritti e, se non altro, non ostacolarla. Riteniamo, quindi, che questo processo di riforma sia molto importante.
Vorremmo ricordare che, oltre alla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, anche la Convenzione europea sulla cittadinanza, firmata dal Consiglio d'Europa il 6 novembre del 1997, prevede che ciascuno Stato parte faciliti, nel suo diritto interno, l'acquisizione della cittadinanza, sia per le persone nate sul territorio e ivi domiciliate legalmente e abitualmente, sia per le persone che risiedono nel suo territorio legalmente e abitualmente per un periodo iniziato prima dell'età di 18 anni, periodo determinato dal diritto interno dello Stato parte interessato.
Anche il Consiglio d'Europa di Tampere il 15 e il 16 ottobre del 1999 ha approvato l'obiettivo di offrire ai cittadini dei Paesi terzi che vi soggiornano legalmente e in maniera prolungata l'opportunità di ottenere la cittadinanza dello Stato membro in cui risiedono.
La risoluzione del 2 aprile del 2009 del Parlamento europeo sui problemi e le prospettive concernenti la cittadinanza europea, al punto 17), invita gli Stati membri a riesaminare le loro leggi sulla cittadinanza e a esplorare la possibilità di rendere più agevole, per i cittadini stranieri, l'acquisizione della cittadinanza e il godimento dei pieni diritti.
Riteniamo, però, che le proposte del testo unico presentate in Aula alla Camera nel dicembre scorso non siano pienamente conformi a tali princìpi. In particolare, non solo escludono la possibilità che la cittadinanza possa essere acquisita automaticamente a seguito della nascita, iniziativa sulla quale l'associazione che rappresento sarebbe a favore, o della permanenza sul territorio italiano per un determinato numero di anni da parte del minore, ma risultano aggravare l'attuale situazione - se ne è parlato anche prima, ma forse non mettendo l'accento su questo aspetto - dal momento che prevedono, come indicatore di un'effettiva integrazione del minore, l'assolvimento con profitto dell'obbligo scolastico, che verrebbe, pertanto, richiesto come requisito aggiuntivo ed essenziale per il minore di origine straniera nato in Italia e ivi ininterrottamente residente fino alla maggiore età che voglia chiedere l'acquisizione della cittadinanza
italiana.
La precisazione relativa al concetto di frequenza con profitto delle scuole riconosciute dallo Stato pone seri dubbi rispetto alla portata discriminatoria tra studenti italiani, per i quali è previsto l'obbligo scolastico e formativo, e studenti stranieri, per i quali sarebbe, invece, previsto l'assolvimento di tale obbligo «con profitto». Non vi è alcuna ragionevole correlazione, a nostro avviso, tra il possesso della cittadinanza italiana e l'essere studenti particolarmente meritevoli.
Prevedere l'assolvimento con profitto dell'obbligo scolastico come conditio sine qua non per ottenere la cittadinanza al momento del compimento del diciottesimo anno di età comporta, dal nostro punto di vista, almeno due evidenti criticità.
La prima è la seguente: in caso di non attribuzione della cittadinanza per mancato rispetto di tale requisito, il minore potrebbe subire una grave conseguenza, che potrebbe, in realtà, essere attribuita a una condotta illegittima posta in essere da parte di uno dei soggetti che l'ordinamento italiano riconosce come responsabili o tenuti alla vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico. L'ordinamento italiano ritiene responsabili, in particolare, i genitori e i dirigenti scolastici e, quindi, il minore verrebbe a soffrire per responsabilità
che non sono esclusivamente a suo carico, anche per l'ordinamento italiano.
Inoltre, gli studenti stranieri vivono la scuola in generali condizioni di svantaggio, che in tutti i Paesi europei fanno registrare una generale difficoltà anche nel compimento dell'iter scolastico minimo obbligatorio, oltre che l'accesso ad opportunità di istruzione superiore.
Riteniamo, quindi, che ciò possa costituire un'aggravante. In realtà, siamo favorevoli al riconoscimento della cittadinanza al momento della nascita, soprattutto cercando di evitare il dispositivo vigente attualmente, in base al quale anche chi è nato in Italia e vi ha continuamente vissuto fino a diventare maggiorenne non possa ottenere la cittadinanza qualora nell'arco di questo periodo abbia perso, anche solo temporaneamente, l'iscrizione nei registri della popolazione residente. Questo è ciò che avviene oggi.
Per questi motivi riteniamo che una simile proposta di riforma sia da ritenersi discriminatoria, dal momento che, a fronte di una difficoltà di riuscita scolastica, ricadrebbero in capo ai minori conseguenze estremamente negative dipendenti da fattori oggettivi e strutturali della società piuttosto che dalle condizioni soggettive del minore.
Alla luce di queste considerazioni, suggeriamo che il testo unico presentato in Assemblea il 22 dicembre 2009 e tornato all'esame della Commissione Affari costituzionali il 10 gennaio venga rivisto e corretto e che proposte di legge in tal senso più avanzate, nonché condivise da entrambi gli schieramenti politici, vengano assunte come testo base su cui far procedere la discussione parlamentare sulle modifiche da apportare alla legge sulla cittadinanza.
RAMONA BADESCU, Delegato del sindaco di Roma per i rapporti con la comunità rumena. Signor presidente e signori deputati, vi ringrazio per avermi dato la parola.
La mia parola, purtroppo, non è politica, ma sociale. Sto cercando di portare la mia testimonianza e parlare per una comunità che è molto importante e rappresentativa in Italia. I rumeni oggi in Italia sono circa 1,4 milioni, con riferimento alla prima etnia. L'anno scorso, nel 2009, in Italia erano presenti 796 mila rumeni, che rappresentano quindi una realtà molto importante.
Oggi come oggi, è necessario parlare di integrazione da tutti i punti di vista. Non dobbiamo parlare di cittadinanza come punto di arrivo, ma come formazione e percorso. Oggi essere cittadino italiano deve significare avere alcune responsabilità: far capire che cosa vuol dire questo Paese, prima di tutto far leggere la Costituzione, che oggi rappresenta il libro dove sono scritti i diritti e i doveri.
Come straniera integrata con un percorso - sono vent'anni che vivo in questo Paese; sono nata in Romania, il mio Paese d'origine, e sono stata adottata dall'Italia e sono molto grata per questo - ritengo che se la Costituzione potesse essere tradotta in tutte le lingue, oppure nella maggior parte delle lingue delle persone che vivono in questo Paese, sarebbe un'iniziativa straordinaria; potrebbe essere regalata all'aeroporto, quando una persona entra in questo Paese. È importante far capire quali sono i doveri e i diritti, perché la Costituzione è fondamentale.
Quello di accedere alla cittadinanza non deve essere un problema di arrivo, di scopo, di soluzione dei problemi sociali e burocratici. La cittadinanza deve essere acquistata con grande dignità e, anzi, chi non la rispetta potrebbe anche perderla, perché non è detto che debba essere per sempre.
Credo che oggi noi siamo una Comunità europea e ci siamo formati per poter far fronte all'America, dove, ribadisco, che il termine «straniero» non esiste, perché in America non esistono stranieri.
Qui sono ancora vigenti le leggi risalenti all'Unità d'Italia, che vanno sicuramente integrate; vanno avanzate nuove proposte di legge, adeguate ai tempi attuali, ai giovani, ai minori, alle persone che vivono e nascono in Italia. Per me è fondamentale che la persona che nasce in questo Paese debba avere un'appartenenza,
non si debba sentire un oggetto, ma debba avere una dignità sociale, morale e appartenere a una società.
Fino a 16 anni esiste un permesso di soggiorno; a chi domanda a una persona in queste condizioni chi è, questa risponde di essere un «soggiornato», un figlio nato da genitori regolari qui in Italia, che però non sa chi è. Dobbiamo, perciò, far compiere un percorso di dignità e di moralità alle persone che nascono in Italia e che devono sapere chi sono.
La cittadinanza è molto importante e va data assolutamente alle persone che nascono qui, secondo me, anche dall'inizio, almeno con un foglio di permesso che possa conferire loro dignità. Va poi accresciuta nelle scuole: si potrebbe anche creare un esame per ottenere la cittadinanza. Chi nasce qui deve conoscere la Costituzione, le leggi, deve sapere tutto ciò che riguarda l'Italia - storia, geografia, usi, costumi - perché apparteniamo sempre a una Comunità europea, dove ognuno di noi deve portare avanti la cittadinanza, che è importante ed è ciò che ci rappresenta nel mondo.
La ringrazio moltissimo, presidente, per l'opportunità che mi ha dato di farmi esprimere i miei pensieri. Spero che oggi gli stranieri siano visti come persone umane, integrate, ognuna delle quali potrà apportare la propria cultura, facendo sì che la diversità faccia crescere un Paese, dandogli forza e non accrescendo la paura di non conoscere chi sta vicino a noi.
TOMMASO FROSINI, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Mi atterrò al tempo indicato nella lettera di convocazione, cioè cinque minuti, e mi riserverò poi di far avere una memoria alla Commissione, nella quale prenderò in esame un problema che era stato sollevato poco fa sulla cittadinanza ai minori. In un intervento che mi ha preceduto è stato, infatti, affermato che ci sarebbero problemi riguardo ai minori per i quali i genitori non cittadini italiani chiedessero l'acquisto della cittadinanza in età ancora minorile. Venivano prospettate eventuali ipotesi di incostituzionalità laddove questo fosse consentito e non fosse, invece, rinviato al diciottesimo anno di età, ovvero all'acquisto della maggiore età.
Su questo punto mi riservo di intervenire per iscritto. In ogni caso, in prima battuta possiamo collegare questo problema per analogia a quello che, a mio avviso - cerco di entrare in medias res - è il tema chiave legato alla cittadinanza, vale a dire l'acquisto dell'elettorato.
Ho l'impressione che tutta la tematica della cittadinanza di cui stiamo discutendo non da questa legislatura - ho partecipato infatti ad altre audizioni che attenevano alle questioni relative alla disciplina della cittadinanza nelle precedenti legislature - nasce dalla presa d'atto che non è possibile consentire l'elettorato attivo, e giammai quello passivo, ai non cittadini italiani e farlo con legge. Vi sono state diverse pronunzie giurisprudenziali che hanno rigettato ipotesi per cui alcuni comuni, province o regioni avessero esteso il diritto di elettorato.
Da qui sorge l'esigenza di allargare la sfera del corpo elettorale attraverso una riduzione della cittadinanza, ammettendo quindi il principio costituzionale (ex articolo 48) che ogni cittadino è elettore, quindi collegando l'elettorato all'acquisto della cittadinanza.
Penso che questa sia la ratio che ispira la disciplina normativa di un favor per l'acquisto della cittadinanza, a cominciare dalla riduzione degli anni per consentirne l'acquisto da parte di cittadini stranieri, cioè quella di allargare la sfera del corpo elettorale e consentire, quindi, che vi sia un maggior numero di persone in grado di partecipare attivamente e politicamente, col diritto di voto, a esprimere l'indirizzo politico del nostro Paese.
Ho l'impressione che cittadinanza e immigrazione siano due questioni che procedono in maniera autonoma l'una dall'altra. Tenderei a non collegare la cittadinanza con l'immigrazione, anche perché l'immigrazione ha una sua vocazione temporanea, di mobilità internazionale. L'immigrazione porta, infatti, delle persone a soggiornare in un dato Paese e poi, semmai, a trasferirsi in un altro. La cittadinanza
ha, invece, una sua vocazione permanente, ovvero l'acquisto di un posizionamento territoriale nell'ambito di un preciso Stato.
Non vedo neanche un problema relativo all'integrazione, nel senso che non credo che la cittadinanza serva all'integrazione; semmai, essa è un presupposto dell'avvenuta integrazione, il momento ultimo attraverso cui si viene a solidificare quel rapporto integrativo che lo straniero è riuscito a instaurare all'interno del territorio italiano. Quindi, vedrei i due temi dell'immigrazione e dell'integrazione, sui quali qui si sono sentite considerazioni molto interessanti, tendenzialmente sganciati dal problema della cittadinanza.
Inoltre, non è stato sollevato un problema, sul quale è invece opportuno che la Commissione e il legislatore ragionino: la doppia cittadinanza. Tale problema mette a nudo le debolezze di questa cittadinanza - consentitemi il termine - globalizzata, aperta, tutta fondata sullo ius soli. Essa fa sì che non venga riconosciuta in maniera univoca l'appartenenza a un singolo territorio. Trovo contraddittorio consentire che si possa essere contemporaneamente cittadini italiani e cittadini di un Paese i cui princìpi ispiratori, dal punto di vista della forma di Stato, possono essere antitetici rispetto a quelli italiani.
Mi si dice che ci sono italiani che vivono all'estero e che esercitano diritto di voto - come sappiamo a seguito delle novelle costituzionali - che hanno la doppia cittadinanza. Certo, ma queste persone hanno la cittadinanza italiana e sono gli altri Paesi che hanno consentito che potessero acquisire anche la cittadinanza nel Paese che li ospita. Non è detto che altrettanto possiamo fare noi. Inviterei, dunque, a riflettere sull'uso della doppia cittadinanza, che a me sembra svilire il senso della cittadinanza stessa, che è l'acquisizione di un patto. La cittadinanza non è, infatti, un diritto, ma un patto fra l'aspirante cittadino e la collettività nazionale.
Chiudo citando due esempi di diritto comparato, che è la mia materia di riferimento, ma chiarisco che sul punto l'uso della comparazione deve essere molto delicato e controllato. Sono stati fatti richiami a esperienze straniere. In Germania è vietata la doppia cittadinanza, salvo casi eccezionali; la regola è che non si può essere cittadino tedesco e contemporaneamente cittadino di un altro Stato. Un altro esempio che credo possa presentare alcuni interessi per il legislatore italiano può essere quello che proviene dalla Gran Bretagna. La Gran Bretagna ha assunto una filosofia molto radicale in materia di cittadinanza, tutta fondata sulla cittadinanza meritata e attiva, cioè un passaggio dai profili cronologici e quantitativi a quelli valutativi e qualitativi. È un percorso molto interessante, sul quale mi permetto di invitare alla riflessione il legislatore: mi riferisco a quella che viene chiamata la cittadinanza a punti,
che va cioè meritata sulla base delle capacità a contribuire attivamente all'evoluzione e al progresso sociale del Paese del quale si chiede di poter diventare cittadini.
Su questo punto mi permetto anche di segnalare, laddove la Commissione non ne fosse a conoscenza, un volumetto della Fondazione Magna Carta - che deposito, se il presidente ritiene opportuno - nel quale è espresso proprio il principio della cosiddetta cittadinanza a punti, ossia una cittadinanza che va conquistata sulla base dello svolgimento di specifiche attività di interesse sociale e che può consentire anche una riduzione del tempo necessario per l'acquisizione della cittadinanza stessa.
SAMIRA CHABIB, Presidente di Saadia - Associazione donne marocchine. Signor presidente, onorevoli deputati, il mio intervento si focalizza nello specifico sui minori stranieri all'interno della proposta di legge sull'acquisizione della cittadinanza italiana, questione particolarmente presente nella proposta presentata dall'onorevole Souad Sbai sull'argomento.
I minori stranieri presenti in Italia sono sempre più numerosi e lo saranno sempre di più perché il tasso di natalità italiano è sostenuto particolarmente dalle loro nascite. La cifra si attesta intorno agli 860.000, di cui 500.000 nati in Italia,
600.000 figli di stranieri che studiano nelle nostre scuole, 72.000 nati da genitori stranieri, come è stato riportato anche nella proposta dell'onorevole Souad Sbai.
Circa la metà, dunque, dei minori stranieri sono nati in Italia e conoscono il Paese di origine solo indirettamente. Essi ricadono in quella che comunemente viene definita «seconda generazione», assegnando loro un'etichetta rigida che sottolinea l'eredità di identità che passa di padre in figlio.
Per affermare dei princìpi occorre partire dalla realtà delle cose, perché da qui nascono i problemi ai quali dobbiamo tentare di dare delle soluzioni. Occorre, quindi, aver ben presente che ogni minore ha un mondo alle spalle, una situazione diversa da caso a caso, un percorso migratorio diretto o indiretto, vissuto, subìto o semplicemente respirato in famiglia per essere figlio di immigrati.
Questi giovani non sono immigrati nella società, lo sono nella vita. Essi si trovano in un luogo senza averlo voluto, senza aver deciso nulla. Devono adattarsi alla situazione in cui si trovano e dove spesso i genitori devono strappare i giorni a un avvenire indefinito.
A seconda della condizione di partenza, si possono distinguere situazioni diverse. Una è quella di bambini nati in Italia da genitori con regolare permesso di soggiorno. Questi sono senz'altro nella condizione più favorevole: i piccoli crescono con bambini italiani, imparano facilmente la lingua e la loro socializzazione viene agevolata fin dai primi anni di vita. Non conoscono traumi di separazioni e le loro eventuali difficoltà possono far capo essenzialmente alla gestione delle dinamiche culturali.
L'altro caso riguarda i bambini stranieri giunti in Italia con i genitori. Si tratta di bambini che conoscono il trauma di una separazione dal loro mondo di origine, da persone care e dal contesto in cui sono cresciuti per essere calati in un ambiente nuovo, nei cui confronti spesso sperimentano una sensazione di profonda estraneità.
Dato che i minori affrontano, di fatto, un percorso di integrazione nella vita scolastica e sociale con i loro coetanei italiani, sono dell'opinione che ad essi sia data la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana alla fine del percorso scolastico obbligatorio. Così facendo, si imprime un'identità sostanziale e formale ai minori, si abbatte il rischio di derive identitarie e di discrasie culturali, a patto che ci sia un impegno concomitante delle istituzioni nazionali e locali a educare alle regole della cittadinanza, a diffondere i princìpi della Costituzione italiana e la Carta dei valori.
I luoghi principali per un'azione efficace sono quelli di socializzazione e aggregazione: luoghi di incontro, come le scuole o i luoghi in cui si pratica sport, le associazioni e via elencando. Qui i minori hanno la possibilità di confrontarsi con la nuova realtà in cui sono immersi e di cui saranno loro stessi gli attori.
Si tratta di azioni dovute per la salvaguardia del loro equilibrio psicofisico, che tanto può giocare nella strutturazione di una propria identità. Saper riconoscere i ragazzi in condizioni di maggior svantaggio significa poterne cogliere i segnali di maggior disagio e intervenire per avviare dei percorsi atti a garantirne la tutela. Infatti, i minori immigrati si trovano coinvolti in molteplici passaggi: dal Paese di origine a quello che li ospita, dalla cultura familiare a quella della scuola, dal mondo interno della dimora a quello esterno, dai suoni familiari e affettivi della lingua madre alle parole indecifrabili della seconda lingua. L'integrazione, perciò, è propedeutica all'acquisizione della cittadinanza, nella misura in cui senza di essa non può esservi nessun buon cittadino.
Di certo, occorre evitare contraddizioni evidenti, come quelle che a volte oggi capitano in quei percorsi di cittadinanza dei figli e dei loro padri che, essendo diversi, finiscono per confliggere generando situazioni insostenibili.
Più complesso è il ragionamento per quanto riguarda le persone adulte che hanno scelto l'Italia come seconda patria. Anche in questi casi, però, è fondamentale
che il percorso richiesto sia limpido, con passaggi chiari e perfino reciprocamente esigibile. La cittadinanza non può basarsi sul criterio quantitativo, ma deve essere l'ultimo passo di un percorso qualitativo. Ciò non significa rinunciare alla ricchezza di un bagaglio culturale che comprende l'incontro di diverse culture, quanto piuttosto acquisire la consapevolezza che essere italiani implica diritti e doveri e che alla base della convivenza sociale e del patto di cittadinanza ci sono regole imprescindibili da seguire.
PRESIDENTE. Vorrei salutare l'onorevole Coscia che segue questa audizione.
Do con piacere la parola al professor Khaled Fouad Allam, che è stato nostro collega nella precedente legislatura. Egli scrive libri, è docente di Sociologia del mondo musulmano e storia e istituzioni dei Paesi islamici all'Università di Trieste e di Islamistica all'Università di Urbino.
KHALED FOUAD ALLAM, Professore di sociologia del mondo musulmano. di storia e istituzioni dei Paesi islamici e di islamistica. Cercherò di limitarmi ovviamente ai cinque o ai sei minuti che mi sono concessi per fare il punto su una questione relativamente complessa, che non tocca soltanto il dibattito italiano, ma anche quello europeo.
È vero che non bisogna assolutamente confondere la cittadinanza con l'integrazione, però vorrei anche specificare che, dal punto di vista lessicale, esiste anche un'altra parola per definire la cittadinanza, che si usa soprattutto nel mondo francofono, ovvero «naturalizzazione». Questa parola la dice lunga, perché, in realtà, indica un criterio che non è soltanto giuridico, ma ha a che vedere, in un modo o nell'altro, con questioni molto complesse, legate alla cultura e all'identità, che richiedono la grande questione dell'omogeneità delle popolazioni.
Il trattamento della questione della cittadinanza oggi, nel 2010, è certamente molto diverso da quello che poteva essere ancora 30 o 40 anni fa in Europa, semplicemente perché il tessuto sociale e antropologico delle nostre società è cambiato totalmente. Mentre storicamente, soprattutto in Europa e meno in America, la genesi dello Stato nazione è stata essenzialmente basata sulla relazione stretta fra l'identità e la territorialità nella sua funzionalità politica, oggi assistiamo a un'evoluzione contraria in Europa. Vale a dire che il criterio che viene fuori, sociologicamente parlando, e che necessita ovviamente di un trattamento giuridico-politico, è quello dell'eterogeneità. Assistiamo a una maggiore eterogeneità delle culture che si definisce all'interno di uno spazio pubblico, che diventa ovviamente uno spazio politico.
La cittadinanza, in tutto questo contesto, che ruolo riveste? È vero che si tratta di diritti, evidentemente, ma per riflettere sulla questione della cittadinanza esiste una griglia di lettura non soltanto giuridica, ma anche politica. Quando utilizzo la parola «politica», la intendo nel senso della polis, nel senso etimologico della parola, vale a dire del come vivere insieme. Si pone, dunque, il problema di fondo del rapporto fra coesione sociale, diversità culturale e democrazia.
Come funziona tutto questo insieme, dal momento che le nostre società pongono il problema di quella che sarà l'identità dell'italiano fra 20 o 30 anni? Ho una figlia che conosce perfettamente l'arabo, sta imparando il giapponese, è italiana, ama l'Italia. Fra vent'anni, che cosa sarà l'italiano, quando avrà una discendenza asiatica, africana, araba, dello Sri Lanka?
Tutto ciò è complicato dal fatto che di fronte a un Paese come gli Stati Uniti, non soltanto l'Italia, ma l'Europa in generale hanno un'enorme difficoltà al trattamento della cittadinanza, perché non hanno trovato una reale progettualità politico-giuridica nel mettere insieme sistemi di opposizione legati alla diversità delle culture, alla coesione sociale e alla funzionalità della democrazia.
Uno di questi criteri può essere, ovviamente, quello dei diritti civili e sociali, che sono il vettore portante del sistema dell'integrazione. La cittadinanza, però, può anche essere definita e visualizzata come
un elemento che valorizza l'insieme della nazione. Lo valorizza dal momento che questo insieme è composto da diverse eterogeneità, ovviamente attraverso ciò che potrebbe essere definito, come lo chiamano gli americani, un patriottismo costituzionale, che non abbiamo avuto in Europa, dentro il quale si trovino i valori fondanti della democrazia. I diritti e i doveri dell'individuo sono elementi sui quali costruire il sistema che porterà l'individuo all'accesso alla cittadinanza.
Molti di noi parlano di misure di integrazione. Avevamo lavorato, come lei ben sa, sul progetto di legge Amato e ricordo che avevamo discusso per ore e ore sulla definizione delle misure di integrazione. Come la si misura? Con la macchina della verità? Qualcuno potrebbe pensare che lo si fa attraverso la lingua. Certo, la lingua è un criterio fondamentale, ma io insegno anche a Stanford, in California, dove si parlano 17 lingue.
Come posso definire l'integrazione? Il giuramento è sicuramente un elemento che può aiutare, come pure il tempo di accesso alla cittadinanza: cinque anni è troppo breve, a mio avviso, mentre dieci anni è un po' troppo lungo. È la stessa osservazione che formulo sul progetto di legge: suggerirei di calcolare una media, che per me sarebbe giusta scientificamente, di sette anni.
La misura di integrazione attraverso la cittadinanza è una misura temporale, ma anche una misura che va a monte del processo di integrazione nel definire il rispetto dei valori fondanti sui quali si sono stabiliti un sistema costituzionale e l'assetto politico di una nazione. Su questo punto non bisogna fare economia di un elemento fondamentale.
Al riguardo, sono in disaccordo con alcuni giuristi. La cittadinanza non è soltanto composta di diritti, ma è un insieme di valori, che lo vogliamo o no. Ho lavorato anche sul terrorismo di matrice islamica e so che è possibile avere un passaporto inglese, tedesco o di un'altra nazione e poi sentire quella nazione al di fuori di sé e piazzare bombe. C'è qualcosa che non va, allora.
Certamente, bisogna essere consapevoli che l'atto di cittadinanza - come ha affermato prima il mio collega - è anche un patto fondativo, sul quale si definisce una nazione. Essere italiani, checché se ne dica, è diverso che essere membri di un'altra società, di un'altra nazione, e questo va definito all'interno di una norma che cerchi di conciliare due aspetti che sono difficilmente conciliabili, ma che rappresentano un nodo nascosto e fondamentale, ossia il rapporto fra norme e valori.
Se operiamo una scissione fra norme e valori, si corre un rischio troppo grande di sminuire quella che è la questione del secolo, ovvero il trattamento politico oggi della diversità culturale.
SABER MOUNIA, Rappresentante dell'Associazione minori non accompagnati. Ringrazio la Commissione per aver convocato oggi noi immigrati per farci partecipare in prima linea a questo dibattito.
Come associazione dei minori stranieri non accompagnati, lavoriamo sul terreno accogliendo alcuni casi, molti in verità, in cui si vede la necessità del processo di cittadinanza dopo l'integrazione. Dopo un percorso di integrazione, occorre la cittadinanza come necessità per procedere nella vita.
Trattiamo molti casi in cui si trovano giovani nati in Italia che, al compiere dei diciotto anni, si trovano in situazione di clandestinità; non sono solo residenti in Italia, ma proprio clandestini senza documenti. Sono giovani nati da genitori immigrati regolari, che magari, a seguito di una disgrazia o di un evento - i genitori si separano o il padre abbandona la famiglia - poiché per acquisire la cittadinanza devono avere come requisito anche il permesso di soggiorno dei genitori e molta altra documentazione, non sono in grado di esibirla. In questo caso, essi si trovano, al compimento dei diciotto anni, a essere clandestini e apolidi, perché in caso di abbandono della famiglia da parte del padre non viene loro concessa neanche la cittadinanza del Paese di origine di quest'ultimo. Vi assicuro che ci sono molti casi reali in questo senso.
Vi sono, inoltre, minori che sono in Italia dall'età di un anno o che sono nati in questo Paese, ma che sono stati abbandonati e crescono con una situazione legale temporanea, ospitati negli istituti che si occupano dei bambini non accompagnati.
L'Italia, però, assicura loro la sicurezza e lo studio fino al compimento del diciottesimo anno di età. Dopodiché, non viene loro concesso il permesso di soggiorno. In questo caso, troviamo dunque giovani senza alcuna situazione legale.
Di questa categoria di persone si parla poco ed è dimenticata dal legislatore: nessuna legge in Italia si occupa, infatti, dei minori non accompagnati. Questo è noto.
Vorrei far notare che l'immigrazione massiccia è iniziata una trentina di anni fa in Italia. Oggi troviamo immigrati in età di pensione che vogliono tornare al loro Paese di origine, però i loro figli sono nati e cresciuti qui, hanno studiato in questo Paese e rifiutano di tornare con i genitori.
Secondo alcuni dati, per esempio, in Marocco quest'anno, per la prima volta, sono tornati definitivamente in patria 20 mila marocchini. I loro figli, però, vogliono rimanere qui, perché sono di seconda generazione e si rifiutano di tornare in un Paese che non hanno conosciuto. Sono, quindi, abbandonati dai genitori, che hanno costruito una fortuna, hanno comprato case, hanno compiuto tanti sforzi per tornare in patria. I giovani che rifiutano di tornare si trovano da soli, senza avere i requisiti minimi per ottenere la cittadinanza.
Da quest'anno in poi comincia il rientro di tanti immigrati in patria. Ci sarà tutta una generazione abbandonata per i prossimi dieci anni sia dai genitori, sia dalla loro patria di origine, sia dall'Italia. Lasciamo le porte aperte a certi estremismi.
GIACOMO BAZZONI, Rappresentante dell'ANCI. La ringrazio, presidente, per averci invitato. Sono il presidente della Commissione ANCI del welfare, dove questo problema è per noi materia di prime battaglie.
Preciso subito che per motivi istituzionali l'ANCI non entra nei disegni di legge, ma siamo a favore del fatto che la legge del 1992 sia rimodernata e rivista. Vi consegniamo un documento - che non leggerò integralmente, ma di cui leggerò solo un paio di pagine - in cui trovate tutto il lavoro dell'ANCI, e anche i numeri che venivano richiesti.
Vi verrà consegnato in modo che possiate confrontarvi. C'è la massima disponibilità da parte dell'ANCI di collaborare su questa materia. Come dicevo, la legge del 1992 è già vecchia e bisogna rimodernarla. Leggo solo qualche passo dal documento, che poi vi verrà consegnato.
La cittadinanza assume un significato importante anche nell'ottica dei comuni, costituendo un passaggio necessario per permettere al cittadino immigrato di essere e sentirsi a pieno titolo parte della comunità in cui ha scelto di vivere. In particolare, segnaliamo tre questioni strettamente connesse: agevolazioni, in determinate condizioni, dei percorsi di acquisto della cittadinanza; integrazione e coesione sociale; partecipazione e seconde generazioni.
Poiché la dimensione locale è quella che rende concreti i processi di integrazione, permettendo di condividere i diritti e i doveri civici e di definire e di apprendere le regole di convivenza, la riforma dei percorsi di accesso alla cittadinanza è di forte interesse per i comuni. I comuni italiani manifestano nell'opera quotidiana il loro impegno in questo ambito, articolato in una serie di tematiche, quali l'accesso ai servizi, l'integrazione al lavoro, l'autonomia abitativa, l'inclusione sociale, la partecipazione responsabile alla società civile, la sicurezza urbana e la convivenza civile.
In questo senso, l'agevolazione dei percorsi acquisiti dalla cittadinanza sostiene l'impegno dei comuni in questi ambiti, nella misura in cui può muovere e incentivare la regolarità della presenza emigrata, favorendo di conseguenza le azioni volte alla tutela della legalità, quali la lotta al lavoro nero, agli incidenti sul lavoro, alla speculazione sul mercato abitativo.
La questione dell'accesso alla cittadinanza si lega, inoltre, all'altra tematica fondamentale della partecipazione dei cittadini stranieri alla vita civile e politica della comunità di residenza, a partire dal diritto di voto.
La sensibilità delle amministrazioni locali su questo tema cresce in misura proporzionale alla crescita del fenomeno migratorio e risponde alle esigenze di vedere colmato quel vuoto legislativo di fronte alla presenza di persone pienamente attive nella vita sociale ed economica della città che, però, non dispongono di strumenti che consentano di rappresentare, nelle sedi istituzionali appropriate, esigenze e proposte.
L'ANCI ha sostenuto e sostiene le iniziative locali a favore della partecipazione dei cittadini stranieri alla vita politica della città e ha già espresso in passato la necessità di una legge nazionale che renda omogenee le diverse iniziative.
Rimangono, tuttavia, due percorsi distinti: da un lato, quello del diritto di voto alle elezioni amministrative, da garantire anche a chi sceglie di non diventare cittadino italiano; dall'altro, quello più completo della cittadinanza.
La seconda generazione costituisce una categoria sociale cruciale. Si trovano, infatti, nella condizione di poter mediare tra alcune diverse realizzazioni dei legami tra comunità di origine e popolazione locale, che facilita la convivenza e i vantaggi di tutti.
Tuttavia, nei confronti della seconda generazione, si percepisce con maggior profondità il passaggio chiave che rappresenta la titolarità della cittadinanza ai fini del pieno inserimento nella collettività. Chi è cresciuto, se non addirittura nato in Italia, se ne sente parte per aver sviluppato l'istinto, la consapevolezza e la dignità di appartenere a questo Paese, per averne assunto la cultura e lo stile di vita attraverso l'integrazione, fin da bambini, attraverso una necessità consapevole di godere di tutti i diritti. Inoltre, le proposte di agevolazione di acquisto della cittadinanza da parte dei figli di stranieri di seconda generazione vanno incontro alle esigenze dei comuni, anche per ragioni di sicurezza di territorio.
Il mancato riconoscimento della cittadinanza ai ragazzi nati e cresciuti in Italia può, a nostro avviso, favorire la creazione di una cultura...
PRESIDENTE. La pregherei di concludere, visto che ci consegnerà il documento.
GIACOMO BAZZONI, Rappresentante dell'ANCI. Voglio solo precisare che il documento è stato approvato all'unanimità dalla Commissione ANCI.
PRESIDENTE. Il testo scritto resta quindi a disposizione per eventuali chiarimenti.
BOUCHAIB KHALINE, Presidente del Consiglio cittadini stranieri e apolidi della provincia di Bologna. Signor presidente, onorevoli deputati, vi porto i saluti del Consiglio cittadini stranieri e apolidi della provincia di Bologna, costituito da trenta consiglieri eletti democraticamente dai cittadini stranieri residenti nella provincia di Bologna, che ha eletto questo organismo di rappresentanza nel dicembre 2007.
Ringrazio per l'invito a questa audizione, nella quale ho l'onore di poter rappresentare tutti i cittadini stranieri delle diverse cittadinanze presenti nella provincia di Bologna.
Credo che sia fondamentale il protagonismo dei cittadini stranieri - anche come Consiglio è la prima volta che prendiamo parte a un'audizione alla Camera dei deputati - per poter dare un contributo alle discussioni. Credo che sia necessario un cambio di passo, per cui l'immigrato non sia oggetto della discussione, ma soggetto che può anche dare testimonianza della realtà dei fatti al di là delle mura del Parlamento.
Ritengo che sia fondamentale anche tener conto di ciò che sta succedendo, della riforma che riguarda l'immigrazione e della legge attualmente in vigore, ma anche dei percorsi e degli errori che sono stati commessi anche nel passato, e dello stato in cui ci troviamo.
Il Consiglio degli stranieri della provincia di Bologna ha predisposto una proposta di mediazione fra le varie proposte, largamente divergenti, che come abbiamo visto sono state presentate in Commissione. Noi abbiamo cercato, senza sostenere nulla di preciso, di dare comunque un contributo concreto di mediazione sul tema della cittadinanza.
Va detto che, allo stato attuale, ci sono due distinzioni importanti da fare: da una parte, abbiamo i minori cittadini stranieri, cresciuti in Italia, arrivati dall'età di 3 fino a 7, 8 o anche 14 anni (come chi vi parla), e altri che sono nati qui e hanno bisogno di un altro percorso di valorizzazione in quanto cittadini; dall'altra parte, abbiamo stranieri che chiedono la cittadinanza anche per motivi di certezza della permanenza. Credo sia fondamentale anche da parte nostra, in quanto cittadini stranieri, tener conto di quello che succede.
A mio avviso, e ad avviso del Consiglio degli stranieri, diventare cittadino italiano non è un obbligo, ma neanche una scelta obbligata in cui siamo noi a dover dire ai cittadini di diventare italiani. Credo che si tratti anche di una scelta personale, perché diventare cittadino italiano vuol dire sentirsi italiano. È fondamentale, altresì, anche il percorso di partecipazione e di riconoscimento dei valori italiani e dei valori costituzionali.
La questione che riguarda il tema della cittadinanza non può certamente confondersi con quella dell'immigrazione, ma credo che sia importante in questa fase di istruttoria intervenire anche sulla legge sull'immigrazione, perché ci sono persone che rischiano l'espulsione da un momento all'altro e persone che si sentono cittadini italiani al 100 per cento, per i quali la situazione è difficile.
Inoltre, la proposta che il Consiglio ha avanzato è molto vicina a quella presentata dall'onorevole Sbai. Illustrerei alcune ipotesi per le quali credo che la cittadinanza non sia un'omologazione, non possa essere standardizzata, ma è necessario che si approfondisca caso per caso anche la realtà che abbiamo nel nostro territorio.
La prima questione affrontata dal Consiglio è quella di ottenere la cittadinanza italiana se si nasce in Italia, dopo l'espletamento dell'obbligo scolastico. In questo modo si dà la possibilità al cittadino che nasce in Italia, dopo aver completato il ciclo scolastico, di avere la cittadinanza italiana.
Un'altra questione da segnalare, su cui il Consiglio ha ragionato, riguarda la disposizione del testo unificato in base alla quale si dà la possibilità, dopo il compimento della maggiore età, di avere solo un anno per poter decidere. Dal momento che esistono casi di nati in Italia, i cui genitori non chiederanno per loro la cittadinanza e che anzi potrebbero addirittura ostacolarla, credo che sia fondamentale concedere tre anni al nuovo cittadino per fare richiesta.
Un altro aspetto riguarda coloro che arrivano in Italia da piccoli o da giovani, ma che non sono nati nel nostro Paese. Credo che sia fondamentale, ovviamente dopo i cinque anni di residenza, concedere anche a loro la possibilità di chiedere la cittadinanza entro il termine di tre anni dal raggiungimento dei 18 anni.
L'altra proposta prevede come primo requisito il permesso di lungo soggiorno. Noi chiediamo che al momento dell'ottenimento della ex carta di soggiorno il cittadino possa subito avanzare la richiesta di cittadinanza; che in quei primi due anni partecipi a un corso o possa essere esonerato nel caso in cui abbia frequentato le scuole, conseguito la maturità o frequentato l'università; che al termine di questi due anni di preparazione possa sostenere un esame; che all'esito finale positivo dell'esame venga rimandato alla prefettura, che lo inoltrerà al Ministero dell'interno, in modo che entro sette anni possa diventare cittadino italiano. Questa è la proposta che avanziamo.
Per quello che riguarda la revoca della cittadinanza, credo che sia una strada percorribile. Bisogna, però, tener conto di un importante aspetto che riguarda la doppia cittadinanza. Se abbiamo, infatti, Paesi che rifiutano di concedere la doppia cittadinanza, se ad alcune persone viene
revocata la cittadinanza si rischia che diventino apolidi. Bisogna, quindi, valutare attentamente anche questo aspetto.
Ci sono, infine, molti minori che sono cresciuti in Italia e che vorrebbero chiedere la cittadinanza. Tuttavia, poiché non tornano al Paese di origine e si richiede loro il certificato di nascita e il certificato dell'assenza di carichi pendenti emessi nel Paese di origine, ne consegue che essi sono nelle mani dei genitori. Pertanto, se non si recano spesso nel Paese di origine per loro diventa impossibile avere questi due documenti. Credo, quindi, che sia importante la valutazione di quello che succede.
Infine, per quanto riguarda l'analisi statistica richiamata dal giornalista Panella, nella provincia di Bologna esiste un osservatorio sull'immigrazione. Se però ci basassimo solamente sulla statistica e sui numeri dei cittadini residenti o sulle richieste dei permessi di soggiorno, avremmo un dato falso. Dobbiamo guardare, invece, alla realtà dell'impatto dell'integrazione che abbiamo sul territorio.
Anche questa proposta del Consiglio è a vostra disposizione e saremo lieti di contribuire anche in altre circostanze.
VINCENZO LIPPOLIS, Professore ordinario di diritto pubblico comparato. Ho consegnato agli uffici uno scritto in cui è esposto il mio pensiero sul tema della cittadinanza e sul testo approvato dalla Commissione in sede referente. In questo intervento affronterò sinteticamente alcuni punti specifici.
In primo luogo, mi interessa ribadire che non vi è un diritto ad ottenere la cittadinanza per lo straniero che si stabilisce nel nostro Paese. Nonostante recenti tentativi, anche da parte di autorevoli costituzionalisti i quali hanno cercato di ricostruire, sulla base di convenzioni internazionali, una sorta di diritto alla cittadinanza, nel senso di un obbligo dello Stato di accoglienza a favorire l'accesso allo status di cittadino per i migranti, i dati di diritto positivo non suffragano una simile tesi.
Ed anche la storia ci insegna che la cittadinanza viene concessa sulla base di elementi che attengono a lunghi processi di formazione dell'identità nazionale e in relazione all'interesse dello Stato che concede la cittadinanza.
Passando al controverso tema dello ius soli è opportuna una precisazione preliminare alla luce della confusione di idee con la quale l'argomento mi pare affrontato. Non vi è una contrapposizione, un'alternativa tra ius sanguinis e ius soli, perché non vi è nessun ordinamento che non preveda tra i criteri per l'acquisto della cittadinanza lo ius sanguinis. Lo ius soli evidentemente non può che essere complementare allo ius sanguinis. Si tratta di valutare l'estensione di tale complementarietà. Lo ius soli nasce negli ordinamenti anglosassoni e risponde, in caso di Stati di nuova formazione, come gli Stati Uniti, l'Australia e il Canada, all'esigenza di Paesi scarsamente abitati di attrarre popolazione. Esso ha corrisposto, dunque, a esigenze molto concrete di tali Stati.
La discussione sulla previsione dello ius soli nel nostro ordinamento va impostata quindi in maniera più laica, in relazione agli interessi del nostro Paese. Su questo aspetto concordo con la scelta compiuta con il testo unificato sottoposto all'esame dell'Assemblea.
Faccio notare che in Francia - una delle nazioni più aperte in materia di cittadinanza, con una legislazione in tema di cittadinanza fondata sul criterio dell'adesione volontaria e non sull'elemento etnico - i figli degli immigrati che nascono sul territorio della repubblica non divengono cittadini solo in virtù di questo dato di fatto, ma possono richiedere la cittadinanza francese al raggiungimento della maggiore età se hanno risieduto continuativamente nel paese.
Non vedo perché si debba andare oltre l'ordinamento francese. Si potrebbe tutt'al più attenuare questa regola nel senso di consentire una breve interruzione nella residenza, invece che i diciotto anni senza interruzioni.
Mi preoccuperei semmai di fare un'eccezione per chi non è nato sul suolo italiano, ma è giunto in Italia in tenera età (fino a due o tre anni), consentendo che,
raggiunta l'età matura, possa chiedere la cittadinanza italiana. Rispetto a questa ipotesi, infatti, la nascita sul suolo italiano mi appare un mero accidente, che non incide sulla formazione culturale dell'individuo e sulla stabilità del suo rapporto con il nostro paese.
Mi vede concorde, però, l'esigenza che a chi vuole la cittadinanza italiana debba essere richiesta un'adesione a determinati valori imprescindibili della nostra convivenza sociale.
Nello scritto che ho consegnato agli uffici della Commissione avevo prefigurato una forma di «accordo di cittadinanza», che prevedeva diversi elementi. La proposta di legge in esame, all'articolo 3, parla di percorso di cittadinanza, ma la sostanza dei requisiti richiesti per l'ottenimento della cittadinanza non è dissimile, e, quindi, il testo mi trova concorde.
Anche in questo caso potrebbe esserci una maggiore apertura. Posto che il periodo di residenza in Italia necessario per avanzare la richiesta di cittadinanza da parte dello straniero non nato sul nostro territorio rimane fissato a dieci anni, si potrebbe prevedere un accorciamento temporale per coloro che dimostrino una partecipazione particolarmente attiva alla vita della nostra società, come ad esempio, ad attività di volontariato. Una previsione di questo genere non contrasterebbe con l'impostazione generale del testo.
Vorrei, infine, cogliere l'occasione odierna per sollecitare una riflessione sulla eccessiva apertura del nostro ordinamento riguardo alla doppia cittadinanza.
Il problema della doppia cittadinanza va considerato sotto un doppio aspetto: sia riguardo alla concessione della cittadinanza agli stranieri, eventualmente richiedendo la rinuncia alla cittadinanza d'origine, sia riguardo ai discendenti di italiani emigrati all'estero in anni ormai lontani, che, in virtù dello ius sanguinis, mantengono la cittadinanza italiana pur essendo nati all'estero e non avendo alcun legame concreto ed attuale con il nostro Paese.
Il favore per la doppia cittadinanza si è legato con la erronea riforma del voto degli italiani all'estero che ha dato una rappresentanza parlamentare (nella scorsa legislatura decisiva per le sorti del Governo) a persone che sono cittadini italiani, ma che per molti versi, se non completamente, non sono partecipi della condivisione del destino del nostro Paese. È una situazione che contraddice le basi stesse degli istituti della cittadinanza e della rappresentanza politica e che andrebbe affrontata e modificata sotto entrambi gli aspetti.
PRESIDENTE. Abbiamo concluso gli interventi dei nostri ospiti, che ringraziamo anche per aver portato contributi scritti. È stata una giornata molto proficua.
Sono presenti ancora alcuni colleghi parlamentari. Do loro la parola nel caso in cui intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor presidente, mi associo semplicemente ai suoi ringraziamenti.
ANDREA SARUBBI. Signor presidente, intervengo soltanto per notare come, dopo l'intervento dell'onorevole Stracquadanio, non sia di fatto cambiato l'approccio delle nostre associazioni, come è giusto che sia. Ognuna di quelle che sono intervenute o ciascuno degli esperti ha fornito il proprio punto di vista, che si è tradotto, a volte, anche in suggerimenti puntuali sul testo da approvare. Non per questo, però, parlerei di un'ingerenza nei confronti del Parlamento.
Mi sento di notare, sperando di non risultare troppo polemico, che nell'arco della mattinata abbiamo assistito a numerosi interventi - non sono in grado di quantificare se sono stati cinque o di più - di esperti appartenenti tutti alla stessa fondazione. Forse sarebbe stato più opportuno avere un esperto solo della tale fondazione, in maniera da poter sentire una pluralità di voci, anziché diluirne una in diversi esperti.
GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor presidente, l'intervento dell'onorevole
Sarubbi mi costringe ad una precisazione. Non volevo certo richiamare chi è intervenuto a non esprimere un punto di vista, ma ho voluto invitarlo a fornire elementi di conoscenza. Il proprio punto di vista si può certamente aggiungere, ma dopo che si siano forniti tali elementi.
Per quanto riguarda gli esperti, non so a che organismo appartengano, ma tutti gli esperti intervenuti ci hanno fornito elementi di conoscenza sulla legislazione internazionale e sui criteri di formazione delle legislazioni; le loro opinioni sono discese da elementi di natura scientifica, non da quelle che sono state per lungo tempo - e che ho sentito - valutazioni di natura politica, che sono del tutto ammissibili, ma non fanno parte di un'indagine conoscitiva.
Mi limitavo, quindi, in precedenza a voler richiamare il nostro presidente, nonché l'insieme della nostra Commissione, a seguire il metodo parlamentare, per il quale noi non teniamo convegni, ma audizioni per apprendere non esclusivamente i punti di vista, ma soprattutto le informazioni sulle quali, eventualmente, tali punti di vista si siano formati.
Volevo far notare, per esempio, che subito dopo il mio intervento, l'intervento del giornalista Carlo Panella ci ha indicato alcuni elementi di conoscenza per reperire dati e informazioni, segnalandoci la banca dati dell'INAIL come un punto a cui accedere per capirne di più.
Il punto non è tanto sapere che cosa pensi un'associazione o un'altra; la libertà di pensiero non è in discussione, ma lo è il fatto che, se siamo in un'audizione parlamentare che ci serve ad approfondire meglio un tema, non ci interessa conoscere l'opinione degli intervenuti, ma quali sono stati gli approfondimenti, sulla base dei dati e delle valutazioni storico-giuridico e politiche, che portano eventualmente a un'opinione.
Purtroppo abbiamo sentito, soprattutto in una fase iniziale, alcune opinioni addirittura sulla bontà del nostro procedimento legislativo. Richiamo ancora quanto affermato dal rappresentante della CGIL: secondo me, il suo intervento è stato inaccettabile e avrebbe dovuto essere interrotto nel momento in cui egli ha espresso valutazioni sulla bontà e sulla qualità del nostro lavoro in una sede in cui era audito e non c'era un contraddittorio.
PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, le ripeto che ciascun parlamentare è libero di esprimere le proprie valutazioni e di esporre quello che pensa in positivo o in negativo sugli interventi dei presenti. L'audizione può servire a questo scopo.
Come presidente, non mi permetterei mai di interpormi nel merito di un intervento, perché diventerebbe molto scivoloso il tipo di valutazione che si può dare in ordine a questa o a quell'altra situazione. Abbiamo ascoltato tutti, comprese le vostre opinioni valutative finali.
Darei adesso la parola alla relatrice, Isabella Bertolini, che ha preso appunti molto dettagliati nel corso di tutta la riunione, per una replica.
ISABELLA BERTOLINI. Signor presidente, intervengo solo per esprimere un ringraziamento. Ho preso copiosi appunti e leggerò con attenzione anche tutte le relazioni che sono state gentilmente consegnate alla segreteria della Commissione, cercando di approfondire soprattutto le parti che credo siano ancora in discussione, al di là dell'impostazione della legge.
Non credo che siamo qui a farci condizionare dal punto di vista politico. L'audizione, secondo me, era finalizzata ad acquisire elementi concreti e conoscitivi che sono stati apportati. Credo che anche la partecipazione di molti rappresentanti delle comunità straniere sia stata molto utile, come quella del mondo dell'associazionismo.
Non solo utilizzerò i vostri documenti, ma vi richiamerò anche personalmente per avere approfondimenti, perché avete fornito dati tecnici che per il legislatore sono fondamentali. È vero che dobbiamo elaborare una legge di princìpi, ma è altrettanto vero che spesso, come avete sottolineato, la legge si scontra con la burocrazia, l'amministrazione e la reale applicazione.
Poiché vogliamo formulare una legge che sia realmente operativa, innovativa e adeguata anche alle esigenze attuali della nostra società e poiché il legislatore dovrebbe soprattutto legiferare con l'occhio rivolto al futuro e non al passato, cercherò di utilizzare gli elementi che avete apportato a questa discussione. Vi rinnovo, pertanto, i miei ringraziamenti.
PRESIDENTE. Dopo quattro ore di dibattito, nel ringraziare tutti gli intervenuti per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,05.