Sulla pubblicità dei lavori:
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO
Audizione di rappresentanti delle Comunità ebraiche in Italia:
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2 5 7 9 11 13 14
16
Boniver Margherita (PdL) ... 14
Carucci Benedetto, Preside della Scuola ebraica di Roma ... 7 15
Colombo Furio (PD) ... 10 11
Corsini Paolo (PD) ... 9
Farina Renato (PdL) ... 13
Gattegna Renzo, Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia ... 2 16
Pacifici Riccardo, Presidente della Comunità ebraica di Roma ... 5 15
Pianetta Enrico (PdL) ... 11
Tempestini Francesco (PD) ... 12
Volpi Raffaele (LNP) ... 13 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.
Comitato di indagine sull’antisemitismo
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 8,35.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti delle Comunità ebraiche in Italia nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'antisemitismo.
Do quindi il benvenuto e ringrazio per la disponibilità, anche in considerazione dell'orario mattiniero di questa audizione, resosi necessario a causa di un'improvvisa calendarizzazione di voti in Assemblea a partire dalle 9,30: Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, e rav Benedetto Carucci, preside della Scuola ebraica di Roma, nonché vittima dell'attacco alla sinagoga di Roma nel 1982.
In occasione dello Yom HaShoah che si è svolto in Israele due giorni orsono, è stato presentato un nuovo rapporto sull'antisemitismo nel mondo. Questo rapporto sul numero degli incidenti antisemiti e sulle loro caratteristiche si riferisce soprattutto ai Paesi dell'Europa occidentale.
Nel 2009, si è registrato un incredibile fiorire di episodi antisemiti, giungendo a 2.000 incidenti, ovvero al loro triplicarsi. I Paesi in cui essi sono più spaventevolmente aggressivi e sono maggiormente cresciuti di numero sono soprattutto la Gran Bretagna, dove si è registrato un incremento del 69 per cento con 924 episodi, e la Francia, dove si è registrato un incremento del 75 per cento con 832 episodi. L'Italia rientra in questa categoria dei Paesi occidentali in cui il numero degli incidenti antisemiti è grandemente salito. È stata stilata una sorta di graduatoria, in cui, dopo questi due Paesi, troviamo Austria, Belgio, Germania, Grecia e Italia, insieme all'Olanda, ai Paesi del nord Europa e alla Spagna. Nessuno si salva quindi da questa ondata di attacchi antisemiti.
Questo dà particolare attualità e particolare senso al nostro lavoro odierno, in cui indaghiamo le cause, il significato e conseguentemente la maniera in cui combattere questo fenomeno antico, ma purtroppo rinnovatosi nel corso di questi ultimi anni.
Non avanzo adesso nessuna analisi, ma lascio la parola ai nostri importanti interlocutori, che delineeranno un quadro dell'attuale situazione italiana, mentre nelle prossime settimane avremo un'audizione a carattere internazionale. Invito quindi a porre tutte le domande che possano aiutare a illuminarci sulle caratteristiche del fenomeno in Italia.
Do ora la parola a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia.
RENZO GATTEGNA. Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia. Ringrazio
tutti per essere presenti a quest'ora. Ringrazio il presidente, la cara amica Fiamma Nirenstein, con la quale in passato abbiamo spesso collaborato.
Vorrei innanzitutto esprimere una considerazione generale, che prende spunto da episodi recenti e allarmanti, diversi fra loro, che si sono verificati in Italia e in Europa. Mi riferisco alle recenti dichiarazioni del vescovo emerito di Grosseto, monsignor Babini. Non che sia una grande personalità, ma quanto ha dichiarato è sintomatico. Riferendosi all'Olocausto, pur definendolo una vergogna, ne fa poi risalire la responsabilità alle vittime, gli ebrei. Si è trattato di affermazioni molto gravi, che, anche se poi confusamente smentite da lui stesso e dalla Conferenza episcopale, ci confermano che persiste anche in Italia e anche in ambienti non incolti un radicato pregiudizio antisemita.
C'è stato poi in Europa il successo elettorale del partito dell'ultradestra ungherese, che ha raccolto oltre il 15 per cento dei consensi alle recenti elezioni, diventando il terzo partito di quel Paese. Si tratta di un partito che è contro le minoranze, gli zingari e più velatamente anche contro gli ebrei. Utilizza una propaganda e un linguaggio che ricordano da vicino le ideologie criminali sviluppatesi in Europa negli anni Venti e Trenta del secolo scorso.
Un altro grave episodio si è verificato a Mosca con l'assassinio di un magistrato particolarmente impegnato nel perseguire gruppi razzisti colpevoli di numerosi reati, tra i quali anche l'omicidio a sfondo razziale.
Desidero infine segnalare un episodio di portata più modesta. Un ragazzo italiano, recatosi in visita con la scuola al campo di sterminio di Mauthausen, ha rilasciato un'intervista a un giornale confessando di aver spesso usato nel parlare con gli amici la frase spregiativa «sporco ebreo». Il ragazzo ha riferito che lo diceva per scherzo, perché lo fanno tutti, ma l'episodio fa pensare a una certa diffusione di insulti a sfondo razziale nel linguaggio comune dei giovani per mancanza di strumenti culturali. È da sottolineare come il ragazzo abbia poi espresso pentimento e vergogna, avendo solo ora, con la visita di un lager, preso coscienza della vera natura delle persecuzioni e della Shoah.
È difficile analizzare ed esporre anche sommariamente la natura e le caratteristiche di un fenomeno così antico e così complesso come l'antisemitismo. Questo ha tante origini e tante sfaccettature, ma deriva da un substrato culturale generico, che coincide con l'odio e la repulsione per il diverso chiunque esso sia, un odio e una diffidenza verso chi non rinuncia a se stesso, alla propria cultura, alle proprie tradizioni, pur volendo vivere nella società e non volendone essere escluso.
L'antisemitismo si è sempre facilmente diffuso nei luoghi dove prevalgono religioni che praticano il proselitismo e quindi tendono a convertire gli altri imponendo il proprio credo, o in Paesi governati da regimi totalitari.
L'ebreo è sempre stato un perfetto capro espiatorio, sempre parte di un gruppo minoritario, sempre militarmente indifeso. Nei secoli si è rivelato utilissimo per i potenti avere un gruppo contro cui scagliare la frustrazione e l'odio di masse spesso analfabete e facilmente indottrinabili. L'antisemitismo quindi è stato tanto più virulento quanto più le condizioni sociali della popolazione erano gravi e pesanti. Gli ebrei sono pertanto favorevoli all'evoluzione della società in senso liberale e democratico. La democrazia è infatti l'unica forma di governo in grado di contrastare le peggiori derive dei regimi dittatoriali e totalitari.
Oggi, però, almeno in Italia, la situazione è diversa rispetto ai periodi storici precedenti. Ritengo che notevoli progressi siano stati determinati dal miglioramento dei rapporti interreligiosi con la Chiesa cattolica, che sono iniziati cinquanta anni fa sotto il Pontificato di Giovanni XXIII, con il Concilio Vaticano II, la dichiarazione Nostra aetate e sul piano politico con l'indebolimento di forze politiche estreme, sia di destra che di sinistra.
Oggi, avvertiamo meno opprimente la presenza del pregiudizio e della discriminazione rispetto ad altri momenti della
storia italiana. Al contempo, la situazione non è rosea in molti altri Paesi. Come inizialmente ricordato dal presidente Nirenstein, un recente rapporto dell'Università di Tel Aviv ha diffuso alcuni dati preoccupanti sull'antisemitismo nel mondo. Nel 2009, rispetto al 2008 gli episodi sarebbero praticamente raddoppiati, passando da 559 a 1.129. Un apice è stato registrato durante il conflitto militare a Gaza tra Israele e Hamas in Gran Bretagna, Francia e Canada, Paesi nei quali si è notata la presenza di organizzazioni costituite da attivisti dell'estrema sinistra insieme con immigrati musulmani.
Secondo il rapporto, un numero assai elevato di episodi antisemiti non viene denunciato e dunque sfugge alla nostra conoscenza. Il numero reale è quindi presumibilmente molto più alto. Questi fenomeni meritano attenzione e non è il caso di abbassare la guardia.
Vorrei ragionare su altri aspetti rilevanti, che possono fornire spunti di riflessione. In Europa, stiamo vivendo da sessantacinque anni un periodo storico di pace, di stabilità e di democrazia. Questa condizione ha prodotto benefici e positivi effetti sugli Stati, sulle società e sulla condizione degli ebrei.
Nei secoli scorsi, raramente gli ebrei si erano trovati in una situazione più favorevole e legalmente paritaria. Nei secoli passati, infatti, gli ebrei sono stati spesso discriminati attraverso leggi approvate dai diversi Stati. In Italia, i ghetti furono abbattuti solo con l'emancipazione avvenuta con l'Unità d'Italia nel 1870, mentre per secoli - solo per stare all'esempio italiano - gli ebrei erano rinchiusi nei ghetti, quartieri sottoposti a costante emarginazione e discriminazione.
A parte l'essere considerati cittadini con pari diritti e pari doveri grazie alla moderna cultura democratica e allo sviluppo sociale, economico e culturale, le società occidentali si sono evolute e il pregiudizio antiebraico si è decisamente affievolito. Oggi, sarebbe molto più difficile la diffusione di un falso storico, quale I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, se non altro per la rozzezza degli argomenti che incontrerebbero decisamente una minor diffusione e un terreno culturale e democratico più solido.
Considero necessario non sottovalutare né drammatizzare i campanelli d'allarme che spesso squillano, e inquadrare il problema nella giusta prospettiva storica, con la consapevolezza di come fortunatamente nel mondo occidentale oggi le minoranze, compresa quella ebraica, non siano sottoposte in linea generale a particolari vessazioni.
Mi sembra fondamentale analizzare e sottolineare anche come lo Stato di Israele sia talvolta centrale nel catalizzare le pulsioni antiebraiche, che sono ancora presenti in vari Paesi del mondo. Non voglio equiparare l'antisemitismo al diritto di critica, che ovviamente esiste ed è legittimo in società libere, rispetto alla politica dei Governi dello Stato di Israele. Segnalo, tuttavia, che il pregiudizio antiebraico si nutre oggi di ragioni anti-israeliane, e non è raro trovare espresse nei media opinioni del tutto non equilibrate, che fanno pensare a una forma pregiudiziale di ostilità nei confronti dello Stato ebraico.
In tali casi, la linea di separazione fra antisemitismo e antisionismo diventa labile. Chi critica lo Stato di Israele non è per forza un antisemita, ma certamente lo è chi nega allo Stato di Israele il diritto di esistere e chi, come i governanti iraniani, ne minaccia l'annientamento con armi non convenzionali e contemporaneamente nega che sia avvenuta in passato la Shoah.
Per quanto riguarda il ruolo dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane nella lotta all'antisemitismo e al razzismo, l'Unione delle comunità è impegnata in prima linea nel monitoraggio e nel contrasto, che avviene con l'ausilio di analisi, interventi, proteste e talvolta, nei casi più gravi, con denunce alle autorità preposte di coloro che sono protagonisti di attacchi antisemiti particolarmente violenti.
Ragionando a monte sulle cause dell'antisemitismo e del razzismo, riteniamo che per ovviare alle forme di pregiudizio che tutt'oggi sussistono si debba combatterle con un'arma specifica, sempre vincente: quella della conoscenza. L'antisemitismo
e il pregiudizio, che pure permangono in diversi strati e in diversi modi nella società, possono essere combattuti alla radice solo con la cultura e con la conoscenza. È molto importante che ciò avvenga, ed è quanto l'Unione delle comunità tenta costantemente di fare.
È necessario non sottovalutare in questo senso l'utilizzo di Internet, che per i più giovani è forse la prima fonte di conoscenza e di informazione, ma che è affollata di cattivi maestri, che devono essere contrastati con determinazione sul piano culturale.
Non dimentichiamo mai che la Shoah è avvenuta meno di settant'anni fa nel cuore del nostro continente, che allora era considerato il più civilizzato, moderno e colto nel mondo.
PRESIDENTE. Grazie, presidente Gattegna. Do ora la parola a Riccardo Pacifici, il quale tra l'altro è stato vittima di ripetuti attacchi di antisemitismo, in particolare nel 2009 con striscioni, scritte sui muri e minacce personali.
RICCARDO PACIFICI, Presidente della Comunità ebraica di Roma. Vi ringrazio di questa opportunità e mi permetto di provare a cambiare la prospettiva di questo nostro incontro e di guardarlo da un'altra angolazione.
Dobbiamo innanzitutto definire cosa intendiamo con il termine «antisemitismo», perché, se non è chiaro lo spirito con il quale vogliamo affrontare questo tema e la terminologia utilizzata, si rischia di dare linfa a organizzazioni che, aggirando questo ostacolo, presentano nuove forme di antisemitismo praticandole oggi.
In particolare, mi riferisco alla lodevole iniziativa, che risale ormai a molti anni fa, della legge Mancino, che oggi viene elusa nella rete, problema grave sul quale ci dovremo misurare nei prossimi anni, in quanto manca un'adeguata legislazione che impedisca ai gruppi antisemiti di proliferare. Quando sporgiamo denuncia, la polizia postale è assolutamente pronta, riesce a individuare con estrema velocità gli autori e gli estensori di questi attacchi che avvengono mediante la rete. Il problema è che, chiusi i siti, questi sono in grado di replicarsi, dal momento che a livello internazionale non esiste una legge in grado di colpire questi gruppi.
Il problema di fondo, su cui spesso dibattiamo in ordine a vicende sulle quali sono state condotte indagini, nasce dal fatto che le sedi legali da cui spesso partono i siti, replicati anche in più lingue, con lo stesso schema e le stesse foto, si trovano nei cosiddetti «Stati canaglia», noti per la loro virulenta attività anti-israeliana e certamente anche antisemita. Questo avviene in alcuni Paesi arabi e in alcuni Paesi del Sudamerica, ove trovano ospitalità tutte le organizzazioni antisemite e neonaziste del mondo. La mancanza di collaborazione fra le polizie impedisce ogni tipo di azione.
Per quanto riguarda il significato della parola «antisemitismo», oggi in Italia è facile trovare consenso comune e unanime sulla condanna di ogni sua anche più banale manifestazione, e credo che questo sia frutto di un lavoro che ormai dura da circa 15-20 anni, essendo iniziato con la legge Mancino.
Il volto dell'Italia è positivamente cambiato soprattutto grazie all'istituzione nel 2000 in questo Paese del Giorno della memoria. L'onorevole Furio Colombo e l'allora senatore Athos De Luca furono promotori di questa legge nel Parlamento italiano, e li ringraziamo. Credo che non esista nel mondo una nazione come l'Italia, così attiva, prodiga e assolutamente capillare nelle iniziative svolte in tutto il Paese, dalle isole fino ai confini del nord Italia, da ogni tipo di organizzazione, soprattutto nelle scuole, nelle istituzioni, nei sindacati e oggi anche nelle forze militari.
Credo che questo grande merito debba essere riconosciuto, perché - il presidente Gattegna ne è testimone - ormai non è più il Giorno della memoria, ma è diventato una sorta di settimana, se non il mese della memoria, tante sono le richieste a cui le nostre comunità devono rispondere.
Considero importante chiarire cosa intendiamo con la parola «antisemitismo», perché quando, come è successo, in Italia
si manifestano degli atti, la condanna è totale. Il problema nasce quando l'antisemitismo si manifesta nella condanna e nell'attacco al diritto all'esistenza dello Stato di Israele, che non è, come ha ribadito giustamente il presidente Gattegna, la legittima critica mossa anche dagli stessi israeliani alle scelte compiute da un certo governo, ma si traduce in iniziative bizzarre, che a volte trovano complici professori e rettori delle università, in azioni che vogliono negare per esempio il diritto alla cooperazione scientifica fra università italiane e università israeliane. Questo modello di approccio di negazione del diritto di Israele a esistere anche nell'aspetto della ricerca scientifica trova poi l'aggiramento della legge Mancino.
Se infatti oggi una persona si dichiara apertamente antisionista o contraria al diritto all'esistenza dello Stato di Israele, non trova alcun tipo di condanna o di riprovazione, né nessun giudice può intervenire su queste azioni, tanto che oggi i siti antisemiti più sofisticati con grande attenzione sostituiscono il termine «ebreo» con «sionista». Con questo possono poi procedere, anche se i cosiddetti «sionisti» sono gli stessi ebrei o magari i leader delle comunità. Considero importante compiere un'attenta analisi su questo, per capire come stanare questi gruppi.
Dobbiamo intervenire sul pericolo del nuovo antisemitismo rappresentato dall'antisionismo, non solo costruendo nel Paese, come è avvenuto con il Giorno della memoria, un comune senso di condanna quando questo si manifesti, ma facendo il possibile per ovviare al pericoloso mix tra gruppi dell'estrema destra e dell'estrema sinistra non solo in Italia.
Questo sta già avvenendo in Francia, in Gran Bretagna e in altri Paesi, che trovano ispirazione per la loro azione «politica» e in alcuni casi scientifica nelle tesi assunte per esempio da uno Stato canaglia come l'Iran, da Ahmadinejad, ovvero da una parte la negazione della Shoah, che motiva la presenza dei gruppi dell'estrema destra, e dall'altra la cancellazione dello Stato di Israele, in cui entrano in gioco i gruppi dell'estrema sinistra. Tale mix si ritrova in convegni e attività comuni, è per noi motivo di inquietudine, sul quale bisognerebbe intervenire con maggiore determinazione.
La vicenda del noto convegno che si sarebbe dovuto svolgere a Teramo organizzato dal professor Moffa - sicuramente domani sarò oggetto di querela - testimonia come quel tipo di modello di iniziative parascientifiche trovi ispirazione e probabilmente anche finanziamenti da gruppi certamente non italiani, ai quali in futuro dovremmo prestare maggiore attenzione.
Il nostro appello è quello di prendere atto delle attuali paure degli ebrei in Italia. Se lo si chiede a un qualunque giovane ebreo che ha avuto la fortuna di non conoscere la Shoah, il terrore, la paura, l'ansia sono dovuti al pericolo che sta vivendo lo Stato di Israele e alle minacce nucleari dell'Iran. Al riguardo, probabilmente bisognerebbe compiere un'azione senza alcuna ipocrisia, per verificare se effettivamente vengano applicate nel nostro Paese le sanzioni contro l'Iran, se esista ancora uno sviluppo apparentemente ad uso civile di attività economiche fra Italia e Iran. Purtroppo, infatti, sappiamo che vengono acquistate tecnologie a uso civile per poi essere trasformate a uso militare per cancellare lo Stato di Israele. Bisognerebbe prendere atto che questo è il nostro problema.
Potremmo anche produrre mille giornate della memoria, ma, se non entriamo nel pericolo di oggi, nella nuova Shoah che potrebbe prodursi con la cancellazione dello Stato di Israele grazie ad armi atomiche, rischiamo di vanificare tutto il lavoro finora svolto.
Un altro aspetto è legato all'immigrazione. Sarebbe quasi folle non prendere atto del motivo per il quale in alcuni Paesi quali la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio - in Italia questo non è ancora avvenuto, non c'è alcuna azione violenta di attacco alle istituzioni da parte di organizzazioni islamiche -, grazie all'immigrazione islamica ormai diffusa e alla saldatura tra alcune organizzazioni islamiche e gruppi neonazisti, vengano compiute
azioni ostili alle comunità ebraiche, alle loro sinagoghe, alle loro scuole, ai loro cimiteri.
Considero quindi importante approfondire questo fenomeno dell'emigrazione islamica, non sottovalutarlo, evitare l'ipocrisia del buonismo, stanare le organizzazioni legate al fondamentalismo islamico, metterle all'indice, per meglio aiutare invece quei gruppi delle comunità islamiche - e ce ne sono, sia chiaro - che vengono a vivere nel nostro Paese e nel nostro continente in pace, e che probabilmente, se trovassero sponda e aiuto, non sarebbero ostaggio di questi gruppi ostili non solo alle nostre comunità, ma anche ai valori su cui si fondano il nostro Paese e l'Europa.
Credo che una delle ricette propositive, accanto alla legislazione per contrastare il fenomeno dell'antisemitismo, sia legata al rafforzamento dei legami tra le comunità ebraiche e le altre comunità, verificando anche quello che si può fare per migliorare la cooperazione universitaria. Una legge che favorisse la cooperazione scientifica fra le università italiane e israeliane potrebbe rappresentare una delle prime, migliori e più esemplari risposte civili che il nostro Paese possa dare a chi, come avvenuto nelle scorse settimane, ha promosso in tutto il mondo, anche a Roma e in Italia, il boicottaggio delle università israeliane.
Su questo dovremmo compiere un lavoro più attivo, contattare i rettori, metterli alla prova e verificare se per paura, essendo stati oggetto di minacce, non promuovano nulla per non urtare la suscettibilità di nessuno. Su questo dovremmo intervenire nei prossimi anni.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pacifici per aver portato alla nostra attenzione due temi nuovi rispetto a quelli finora affrontati: il nuovo incitamento allo sterminio, che è una novità di questi ultimi anni, dopo quello che Robert Vistricht, lo studioso che verrà qui in audizione, definisce l'intervallo dopo la Shoah, e l'incremento di un antisemitismo di matrice islamista estrema, di cui l'Italia ancora non ha testimonianze. Mi corre tuttavia l'obbligo di rammentare che l'UCOII comprò una pagina intera di giornale, il cui contenuto preferisco non ricordare.
Do ora la parola al rabbino Carucci, che nel 1982, insieme ad altre quaranta persone, venne ferito a seguito dell'attentato alla sinagoga di Roma, in cui rimase vittima il bambino Stefano Gay Tachè. L'abbiamo invitato, oltre che per le sue caratteristiche di studioso e quindi per una riflessione sul tema, anche come protagonista di quel terribile episodio, fortunatamente senza precedenti e senza seguito nella città di Roma.
BENEDETTO CARUCCI, Preside della Scuola ebraica di Roma. Vorrei proporre una riflessione che parte dai dati espressi dai due presidenti e dal presidente Nirenstein, che testimoniano la triplicazione dei fenomeni antisemitici, problema di cui bisogna tener conto.
I numeri sono rubricati nel fenomeno antisemitismo, nonostante si debba definire in che senso questi sono fenomeni antisemitici. In termini scientifici e di studio, si potrebbe affermare che il fenomeno antisemita ha tre declinazioni possibili: la declinazione religiosa antigiudaica, la declinazione razziale antisemita e la nuova declinazione già tratteggiata, che mi permetterei di non definire «antisionismo», che è un termine ideologico totalmente legittimo, ma «anti-israelismo», termine bruttino, ma più corretto in questo contesto.
Il problema è che queste tre declinazioni tendono a scivolare una sull'altra. Dal punto di vista dello studio, è possibile distinguere le tre le definizioni, mentre dal punto di vista dei fenomeni è molto più complesso; spesso i fenomeni si pongono dal punto di vista dell'identificazione nella saldatura tra queste tre definizioni.
Partendo infatti dall'esperienza personale, infatti, mi chiedo come rubricare tecnicamente un attentato a una sinagoga. Dal punto di vista dell'intenzione degli attentatori, è stato chiaramente un attentato contro Israele, ma fu fatto di fronte a una sinagoga nei confronti di coloro che
avevano partecipato a una preghiera, a un evento prettamente religioso. Questo fenomeno dimostra quindi concretamente come avvenga una saldatura tra i diversi piani dell'atteggiamento negativo nei confronti degli ebrei, perché non si può individuare l'aspetto prevalente. Nell'intenzione di chi lo compie l'aspetto prevalente è abbastanza chiaro, ma dal punto vista simbolico, ovvero da parte di chi lo vede, non è così evidente.
Non esiste alcuna ragione logica per cui come fedele che esco dalla sinagoga dovrei essere oggetto di un attentato contro Israele, a meno che non si definisca il fenomeno come un costante scivolamento e una costante saldatura tra i tre aspetti della questione.
Nel momento in cui avviene questa saldatura, quando una delle tre dimensioni viene legittimata vengono legittimate di fatto nel sentire collettivo anche le altre. Nel momento in cui è legittimo sostenere che lo Stato di Israele non ha legittimità di esistenza, nel sentire comune e nella percezione simbolica questo di fatto legittima anche le altre due dimensioni, ovvero quella apparentemente e solamente razziale e quella apparentemente e solamente religiosa.
È interessante la considerazione espressa dal presidente Pacifici, cui aveva accennato anche il presidente Nirenstein: quando oggi si vuol parlare della longa manus ebraica, si usa regolarmente il termine «sionista». In recenti affermazioni è stato sostenuto che la propaganda sionista stia agitando nei confronti del Pontefice Benedetto XVI una campagna relativa alla tematica della pedofilia. Sono evidenti quindi la sovrapposizione e lo scivolamento, che diventano un terreno di cultura perfetto per aumentare l'atteggiamento negativo nei confronti degli ebrei e quindi un atteggiamento di fatto antisemitico.
Credo che su questa questione si debba riflettere con profonda attenzione, perché può motivare la triplicazione dei fenomeni antisemitici. Evidentemente, qualcosa è successo, e mi sembra che una delle possibili interpretazioni sia che, se a livello internazionale uno Stato come l'Iran legittima in maniera assoluta l'idea che non ci sia possibilità di esistenza dello Stato di Israele, con un'automatica saldatura con tematiche classicamente antisemitiche, con riferimenti alla negazione della Shoah, questo atteggiamento, che è evidentemente ripreso in un sentire diffuso, legittima anche gli altri tipi di atteggiamento.
Il fenomeno è dunque estremamente complesso, e forse bisognerebbe pensare a un incuneamento per distinguere i fenomeni, sebbene gli aspetti simbolici e il modo in cui la gente percepisce i fenomeni sono sempre estremamente confusi, fatto che probabilmente è all'origine di una triplicazione dei fenomeni antisemitici.
Vorrei aggiungere qualche considerazione di carattere generale. Non sono completamente sicuro che sia una questione solamente di ignoranza e di assenza di cultura. Mi sembra infatti evidente che questo non si possa applicare nei confronti degli accademici. Credo che in alcuni casi si tratti di un atteggiamento di ignoranza, mentre in altri di atteggiamenti ideologicamente costruiti e assolutamente coscienti, quindi più gravi e più difficili da superare. Se la ricetta consistesse solamente nel diffondere la cultura e l'informazione, il percorso sarebbe abbastanza semplice, cosa che non è affatto.
Un'altra osservazione molto generale riguarda lo specifico dell'atteggiamento negativo nei confronti degli ebrei, che ritengo sia la irriconoscibilità degli ebrei nel mondo occidentale. Dal punto di vista identitario, infatti, gli ebrei sono estremamente forti, ma dal punto di vista della loro riconoscibilità esterna assolutamente non identificabili. In un certo senso, questo genera quello che si potrebbe chiamare il «perturbamento», perché è molto più perturbante un diverso non identificabile rispetto a un diverso identificabile. Gli ebrei non sono identificabili. Questo è un punto su cui vale la pena di riflettere.
In un suo saggio Freud parla di fenomeno perturbante nel momento in cui incontro un essere che non riesco a identificare se è un uomo o un meccanismo. Prendeva spunto da un racconto di Hoffmann
in cui c'erano marionette che sembravano esseri umani. Ritengo che la percezione nel mondo occidentale degli ebrei sia perturbante per questo, perché l'ebreo è da una parte l'altro e dall'altra l'identico, quindi è molto più perturbante del diverso assolutamente identificabile. Se mi tolgo la kippah, non sono identificabile come ebreo, e questo è in fondo all'origine di questa estrema difficoltà di rapporto che il mondo occidentale ha storicamente nei confronti dell'ebreo, più che dell'ebraismo.
Ritengo che le questioni siano assai complesse e che forse dovrebbero essere derubricate in maniera distinta, per intervenire in maniera più efficace. Considero la meritoria iniziativa del Giorno della memoria e le numerosissime iniziative nei confronti della memoria della Shoah molto importanti, ma anche rischiose, perché si risolve tutto ricordando la Shoah, e in questo senso ci si lava la coscienza. Si offre il proprio contributo alla memoria ricordando la Shoah e visitando Auschwitz, giacché ogni comune e provincia italiana organizza i viaggi della memoria, e in questo modo si considera risolto il problema del rapporto con gli ebrei, mentre non lo è affatto.
Questo tipo di iniziative sembra quasi far passare l'idea che il tema ebraismo sia risolvibile solamente con il tema dello sterminio, principio inaccettabile per gli ebrei, che non intendono autoriconoscersi solamente come discendenti delle vittime e di sentirsi solamente sopravvissuti.
Credo che queste iniziative evidentemente molto importanti dovrebbero essere sempre accompagnate, questo non avviene sempre - ho partecipato ad alcune di esse - da parallele iniziative di conoscenza dell'ebraismo contemporaneo, della produzione e della vita degli ebrei oggi e di Israele.
Cito solo un esempio. Negli ultimi anni, ho avuto modo di partecipare a una di queste iniziative organizzata dalla regione Lazio e pensata in maniera abbastanza significativa. I ragazzi dovevano presentare un lavoro sulla memoria, concentrato sui giusti che hanno salvato gli ebrei. Il premio per i migliori lavori era una visita a Yad Vashem in Israele, quindi una visita non sui luoghi dello sterminio e dell'annientamento, ma nei luoghi in cui viene ricordato, ma simbolicamente in maniera molto efficace in una prospettiva di prosecuzione della vita ebraica.
Credo che su questo elemento sia opportuno riflettere, perché il rischio dell'esasperazione della memoria, che pure è estremamente importante e meritoria, consiste nell'avvertire di aver risolto i propri conti e di essersi lavati la coscienza. Forse, nel nostro Paese questo atteggiamento rappresenta una scorciatoia, per cui non si fanno i conti con tutte le questioni e si risolvono le proprie dimensioni interiori in maniera non risolutiva.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
PAOLO CORSINI. Considero particolarmente preziosa l'audizione di questa mattina, dalla quale ricaviamo tre guadagni, in ordine anche alle prerogative degli organismi parlamentari.
Il primo guadagno è di ordine culturale. Condivido la teoria della sovrapposizione in corso tra antisemitismo e antisionismo sino all'identificazione operativa delle due categorie, fenomeno particolarmente pericoloso. Per quanto attiene ai nostri compiti parlamentari, condivido il suggerimento in ordine alla necessità di una produzione legislativa sul tema di Internet, che giudico oggi cruciale in ragione del ruolo che la rete assume nell'ambito della comunicazione e della formazione diretta e spesso inconscia delle coscienze.
Trovo particolarmente interessante anche il suggerimento di interrogarci circa l'opportunità di contribuire a un rapporto di collaborazione tra le università italiane e le università israeliane, soprattutto in ragione delle preoccupanti e angoscianti vicende che emergono da alcune sedi universitarie italiane, dove la cultura alla fine nega se stessa.
Ho seguito con grande interesse anche la relazione del rabbino Carucci, che ha
enucleato in modo assolutamente sintetico, ma del tutto convincente le tre categorie attorno alle quali gioca la nostra riflessione. Aggiungerei antigiudaismo, oltre ad antisemitismo e ad antisionismo. Mi interesserebbe un approfondimento e magari anche un'indicazione saggistico-bibliografica sul tema della irriconoscibilità dell'ebreo in quanto altro e identico, che trovo particolarmente stimolante e fecondo.
Avendo avuto in passato responsabilità in campo amministrativo, condivido l'idea che nell'ambito della promozione dei viaggi della memoria e dell'attivazione dell'itinerario che porta a commisurare la coscienza dei giovani con la Shoah gli amministratori diano continuità alle loro iniziative, perché, per un fenomeno che investe non soltanto i giovani, ma si diffonde a livello della coscienza di massa, una volta assolti i doveri verso il passato, ci si libera del presente e delle responsabilità che esso comporta.
Questo è un tema che sotto il profilo dell'iniziativa formativa ed educativa delle amministrazioni pubbliche meriterebbe di essere perseguito con grande consapevolezza e determinazione.
FURIO COLOMBO. Ringrazio il presidente e questo Comitato, perché l'evento di oggi, che appare normale e ovvio, in realtà mette a contatto attraverso questo organo parlamentare l'opinione pubblica italiana con l'ebraismo italiano, mentre di solito, a partire dai giornali e dai mezzi di comunicazione di massa, l'ebraismo è qualcosa di mondiale, per cui subisce difese e attacchi, ma avviene altrove e l'Italia appare sempre il posto buono in cui il problema non c'è, perché viene accantonato.
Il fatto di incarnarlo in quest'aula della Commissione affari esteri come un fatto vero, italiano, quotidiano: la casa di Riccardo Pacifici che all'improvviso diventa target di attacco o di pericolo, ci riporta alla vita quotidiana di questo Paese, che presenta molti aspetti positivi, ma anche alcuni aspetti drammatici e tragici.
Come già fatto dal presidente Gattegna, vorrei ricordare quanto allarme possa nascere, nonostante la consolazione delle parole di monsignor Paglia, dalla posizione del vescovo emerito di Grosseto Babini, perché lo svolgimento del tema presentato è poi apparso nello stesso tempo vecchio e suo, tradizionale e suo, ma la premessa alla prima domanda di Babini è stata condivisa da molti altri prelati, anche molto più rilevanti.
Decine di interviste televisive finivano infatti chiedendosi cosa vi fosse dietro. Una persona per cui nutro grande stima e che conosco bene, l'arcivescovo di Torino Poletto, ha terminato la sua intervista al TG3 continuando a dire «dovete domandarvi cosa c'è dietro, cosa c'è dietro, cosa c'è dietro». Questa era certamente una domanda allarmante e insinuante.
Sappiamo che per fortuna la Chiesa cattolica italiana è probabilmente molto più rappresentata dalle parole pronunciate da monsignor Paglia, il vescovo di Terni, immediatamente dopo Babini, e da un'infinità di persone simili a quelle che operano nella Comunità di Sant'Egidio, rispetto a cose infelicemente apparse e affiorate. Sono però infelicemente apparse e affiorate.
Chi non condivide la vita quotidiana della Chiesa cattolica si trova in particolare imbarazzo, perché non può insegnare agli altri quello che devono fare, ma politicamente e culturalmente si vedono frontiere allarmanti. Lo stimolo positivo è quello di rafforzare i legami culturali e di amicizia con persone come monsignor Paglia e come la Comunità di Sant'Egidio, per ribadire che dei punti di riferimento esistono e devono essere sviluppati.
Sono grato a Riccardo Pacifici per aver ricordato il Giorno della memoria, a proposito del quale vorrei ricordare un merito non mio, bensì di questo ramo del Parlamento italiano, la Camera, che ha approvato all'unanimità la legge sul Giorno della memoria.
Mi avete fatto ricordare quanta gratitudine devo personalmente come membro del Parlamento a gruppi che non erano affatto affini o vicini, perché ho avuto il
voto da quella che era allora Forza Italia e il sostegno di AN nell'ottenimento di quell'unanimità, che mi sembrava preziosa in sé ed è stata certamente molto importante. È stata una pagina bella del Parlamento, ma è proprio a questa Camera che va il merito di quella legge.
Le obiezioni del rabbino Carucci sono assolutamente fondate. D'ora in poi, il Giorno della memoria è per ripensare il Giorno della memoria, per impedire che diventi un mausoleo o una celebrazione in automatico.
Sono accadute cose splendide, ad esempio al Liceo Plauto di Roma, in una periferia romana in cui si immagina una vita dei ragazzi depressa e allo sbando. Tre anni fa, un gruppo di giovani insegnanti ha avuto l'idea di trasformare il Giorno della memoria in anno della memoria, per cui ogni settimana il liceo aveva una nuova iniziativa come la scoperta di un testo, la lettura di un libro, la proiezione di un film, la programmazione di viaggi verso Israele, dopo aver fatto il grande viaggio verso uno dei grandi luoghi tragici, viaggi con temi da sviluppare tornando. È stata un'iniziativa bellissima. Mi capitava di andarli a trovare durante quest'anno della memoria, e ha segnato la vita di quei ragazzi.
È quindi necessario evitare la mummificazione delle celebrazioni. È accaduto con la Resistenza, che era così cara e così profondamente legata alla vita personale di tanti italiani e certamente può accadere se il Giorno della memoria diventa qualcosa che procede con il pilota automatico.
Restano due punti sui quali indagini come questa devono poter lasciare una traccia attiva o come gruppo o per alcuni di noi. Uno consiste nel tentare di sapere che cosa sta accadendo in Europa. La vittoria del partito Jobbik in Ungheria è un segnale pauroso. Ormai abbiamo imparato dalla globalizzazione che le cose che si verificano nel punto A sono perfettamente disponibili per circolare come detriti nel punto B. La frana sul treno in Alto Adige, perché il terreno non era sufficientemente compatto, è purtroppo una metafora di come potrebbe diventare il futuro culturale d'Europa: dovunque il terreno non è culturalmente compatto può crollare addosso e trascinare detriti che credevamo appartenere al passato.
Una particolare attenzione deve essere dedicata al moltiplicarsi di frequenti episodi di boicottaggio di Israele, di eventi israeliani a livello intellettuale. A boicottare Israele sono infatti associazioni di professori universitari, di giornalisti, gruppi di ricercatori in parti d'Europa cui guardiamo con molta ammirazione, come alcune università inglesi o l'associazione dei giornalisti e dei cronisti inglesi, o in proposte che si vedono circolare nel mondo accademico italiano.
Sarebbe auspicabile completare questo lavoro fornendo indicazioni di lavoro successivo, per non lasciare in sospeso gli spunti, gli stimoli, gli apprezzamenti, le constatazioni dolorose tipici del lavoro svolto in quest'aula.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Colombo. Senz'altro l'indicazione verrà raccolta. Lavoreremo per produrre indicazioni e forse anche progetti di legge. Vedremo cosa saremo in grado di fare, ma alla fine di questo nostro lavoro, che deve durare un anno e che sicuramente sarà prolungato, ci accingeremo...
FURIO COLOMBO. Il Parlamento pubblica i suoi libri.
PRESIDENTE. Possiamo farlo, così come possiamo anche trarre da queste indicazioni e da altre una serie di conseguenze prettamente parlamentari.
Abbiamo moltissimi iscritti e ancora solo un quarto d'ora, per cui vi pregherei di contenervi in tre minuti. Lo so che non si può fare, ma oggi non ci è stato possibile articolare i nostri lavori in maniera diversa.
ENRICO PIANETTA. Sarò brevissimo. Desidero ringraziare i nostri ospiti perché i loro interventi sono stati capaci di dare complementarietà a questa questione così complessa.
Poiché abbiamo veramente pochi minuti, vorrei sapere se sia possibile in una prossima occasione invitare ancora i nostri ospiti per approfondire. Strozzare la questione in pochi minuti ci farebbe forse perdere la capacità di avere una loro risposta alle nostre considerazioni e alle nostre valutazioni.
La questione fondamentale è questo mix, queste declinazioni, che indubbiamente sono complesse. Il nostro Comitato affronta il problema dell'antisemitismo, ma in effetti c'è antisemitismo, anti-israelismo, antigiudaismo, antiebraismo, ed è questo mix esplosivo che deve essere chiarito e sciolto. Mi preoccupo sempre come rilevato dall'onorevole Colombo di cosa possiamo fare con questo Comitato. Al di là delle analisi fondamentali, perché bisogna partire dalla conoscenza, come Parlamento ci chiediamo come perseguire il fine di questo Comitato: contribuire a tentare di sciogliere questo nodo e a innescare un processo che combatta la mala bestia dell'antisemitismo.
Esprimo un'unica considerazione. Anche l'aspetto della conoscenza ha una varietà, perché il ragazzo si vergogna di aver usato quelle parole perché ha visto, acquisisce la conoscenza e si vergogna. Credo quindi che un aspetto importante sia dato dalla conoscenza, dallo sviluppo di una conoscenza del passato e soprattutto del nuovo antisemitismo, dell'anti-israelismo. Un elemento è dunque la conoscenza, l'approfondimento, la capacità di far capire che l'esistenza di Israele è un valore fondamentale nell'economia generale del mondo, dell'esistenza della democrazia.
Quando però ci sono un'ideologia e atteggiamenti negativi a livello universitario, non è un problema di non conoscenza, ma di una caratterizzazione di profondità ideologica. Esiste quindi un altro aspetto da mettere in atto come elemento complementare alla conoscenza: la capacità di costruire, di approfondire e di discutere.
Come legislatori, possiamo affrontare il problema dell'università e del rapporto tra le università italiane e le università israeliane, per realizzare un collegamento costruttivo da un punto di vista non soltanto scientifico, ma anche culturale.
Ho voluto toccare soltanto questo tema, ma ce ne sarebbero tanti altri. Credo che la complementarietà della conoscenza debba essere un tema fondamentale del nostro lavoro, perché è una conoscenza poliedrica, e che questo sia un tema fondamentale che dovremmo sviluppare.
FRANCESCO TEMPESTINI. Non c'è molto tempo, per cui, poiché condivido l'impianto del ragionamento sviluppato dall'onorevole Colombo e tremo quando vedo alcuni atteggiamenti di persecuzione ideologica o politica dei diversi, qualunque sia la fonte da cui provengono, ritengo che anche noi in Italia dovremmo avere non dico la reazione dei francesi rispetto a talune, recenti dichiarazioni imprudenti, ma un atteggiamento più forte.
Non mi si venga a parlare di anticlericalismo, perché c'è un tema più generale che affiora ogni tanto, viene smentito e assume caratteristiche varie. È una questione estremamente importante, che però non si può toccare in pochi secondi. Non si risolve con la smentita delle dichiarazioni rese dal vescovo Babini e, con tutto il rispetto, neppure richiamandoci a fondamentali intese interreligiose, dietro le quali rimangono fondi culturali che ogni tanto affiorano e si inseriscono in un contesto più generale, nel quale, se si fa un paragone tra pedofilia e omosessualità, si compiono passi indietro in tutti i sensi.
Vorrei concludere formulando un'osservazione all'amica e collega Nirenstein. In questa fase, dovremmo focalizzare il tema del mondo intellettuale italiano e non solo. Questa cultura che consente alcuni atteggiamenti in Europa e anche in Italia, nonostante nel nostro Paese non si registrino le punte toccate in altri Paesi, è un mix da approfondire, che non ha le tradizionali provenienze, un mix anche di princìpi di una certa sinistra radicale, del retaggio di un certo antimperialismo. Mi annovero tra coloro che ritengono che Israele in questo momento dovrebbe seguire maggiormente l'opinione degli americani,
ma questo mix di cose ci induce a interrogarci profondamente.
Nelle università italiane, dove studiano i nostri figli, esistono legami culturali che riguardano anche chi parla da questa parte del tavolo; certe questioni, che poi arrivano a conclusioni quali il boicottaggio di ogni iniziativa culturale, la codardia di certa parte del mondo accademico italiano, esigono un approfondimento, avendo il coraggio di guardare come le forme che in alcune parti d'Europa si sono manifestate maggiormente provengano da culture non di destra, ma di sinistra. Dobbiamo quindi affrontare questo tema con grande apertura e con grande senso di responsabilità, perché è molto importante.
RAFFAELE VOLPI. Sono intervenuto solo per chiedere, probabilmente interpretando il pensiero di tutti, l'opportunità di riavere i nostri ospiti.
Sono stato preceduto dall'onorevole Colombo, che ha già sollecitato la possibilità che il nostro Comitato raccolga organicamente tutte le esperienze positive prima citate.
Permettetemi un piccolo orgoglio lombardo: la nostra regione ha una collaborazione fittissima sulla sanità con lo Stato di Israele. Credo che queste siano esperienze importanti per uscire da quel turbamento di normalità o diversità non riconoscibile, perché, al di fuori dell'aspetto più intimo, ritengo che non le manifestazioni o il premio mirato, ma la normalità del quotidiano possa far superare la percezione di diversità che non esistono. Tali esperienze positive possono quindi essere raccolte in proposte che questo Parlamento può formulare, anche a seguito di quel primo grande passo rappresentato dall'istituzione del Giorno della memoria.
Vorrei infine lanciare una provocazione, che considero importante. Credo che questo Comitato abbia l'obbligo di audire anche qualcuno dei detrattori dello Stato di Israele, per verbalizzare quanto viene detto, giacché abbiamo la responsabilità di sentire non solo chi si sente discriminato, ma anche chi ancora oggi fa queste cose.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Farina, mi sembra di poter trarre da tutto questo la proposta di sentire la società italiana, ovvero la gente delle università, eventualmente di dove si sono svolti i boicottaggi, per capire come fioriscano queste iniziative.
Per quanto riguarda la questione della rete, potremmo sentire la Polizia postale. Sarebbe molto importante seguire questa indicazione. Abbiamo bisogno di sentire l'Italia e di sentirla molto bene, in maniera da avanzare poi le nostre proposte.
Nella prossima audizione ascolteremo un personaggio che credo sia l'unico ad avere studiato tutti gli aspetti della rete nel mondo: Andre Oboler, un australiano che viene alla Camera proprio per spiegarci come stanno le cose, insieme a un giovane italiano che ha svolto questo lavoro sull'Italia. Intendiamo quindi lavorare su questo tema, che è stato indicato da molti.
Proseguiremo il nostro lavoro raccogliendo le indicazioni dei colleghi che suggeriscono di lavorare sull'Italia.
RENATO FARINA. Sottolineo l'importanza di queste audizioni. Credo si tratti veramente di imparare e ritengo che attraverso il nostro ascolto ci debba essere, se siamo parlamentari, una comunicazione osmotica con la coscienza nazionale. Considero giusto riservare magari una sessione, un pomeriggio dei lavori dell'Assemblea a questa tematica, perché ritengo che la coscienza della Nazione sia molto implicata nel suo rapportarsi alla presenza dell'ebraismo nel nostro Paese, che viene prima della presenza dell'antisemitismo.
In questo senso, colgo un'importante lezione in quanto ho udito oggi, ovvero la non riducibilità degli ebrei al loro essere vittime, ma la loro presenza deve trasformarsi in un vero arricchimento per tutti, anche per chi parte con alcuni pregiudizi.
Considero quindi importante poter conoscere l'ebraismo. Oggi, fortunatamente i nostri ragazzi nelle scuole imparano tutto
sui fondamenti dell'islamismo, sanno tutto sul Corano e credono magari di ridurre l'ebraismo all'Antico Testamento. È invece importante conoscere la data delle feste ebraiche, non tanto per il politicamente corretto quanto perché hanno una ragione nel cuore della nostra Nazione.
Concordo pienamente sul giudizio espresso sul vescovo «demerito» di Grosseto - e sottolineo il demerito -, che potrebbe riflettere i sentimenti nascosti non in parte della comunità, quanto in uno strato del Paese, perché non ho mai sentito simili affermazioni in una comunità cristiana, mentre le ho recepite altrove, in vari libelli. In questo senso Babini non è stato difeso, a parte la sua smentita e la sua negazione di aver detto queste cose.
Leggo l'inizio dell'articolo di Ferdinando Camon pubblicato oggi su La Stampa, perché non credo che ci sia dietro l'accusa che tutto questo sia guidato dagli ebrei, quanto piuttosto la constatazione di una sorta di cristianofobia, che oggi nel mondo esiste e si accentua sulla figura del Papa: «C'è qualcosa di smodato e d'incontrollato nella marea di accuse che si scaricano sul Papa. Si ha l'impressione che non tutte siano motivate dagli episodi di pedofilia di alcuni preti».
Un'altra espressione è quella di Christopher Hitchens, chiaramente non ebreo, che pretende addirittura l'arresto del Papa e in prima battuta si era reso famoso per gli attacchi a Madre Teresa di Calcutta. Non esiste quindi questo pregiudizio antisemita nel dire che c'è qualcosa di strano negli attacchi al Papa.
Proporrei addirittura un'alleanza in questa lotta ai pregiudizi che, sebbene non debbano essere messi sullo stesso piano, nascono dalla stessa radice. In questo momento esiste anche una diversità di un certo modo di essere cattolico.
MARGHERITA BONIVER. I lavori di questo nostro Comitato possono avvalersi anche di una politica estera del nostro Paese e di questo Governo, che oltretutto ha l'appoggio bipartisan delle Camere, di sostegno allo Stato di Israele e alla sua causa.
Credo che questo sia un elemento di grande spessore, oltre che politico, anche culturale, su cui possiamo basarci per continuare a svolgere questo lavoro essenziale, possibilmente anche studiando le famose formule organizzative che continuano a sfuggirci, perché è pazzesco che Commissioni o Comitati debbano lavorare con tempi così stretti. Apprezzo moltissimo quanto stiamo facendo e dobbiamo continuare su questa strada.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Boniver. Questa mattina, i lavori sono stati ottimi. Prima di lasciare la parola ai nostri ospiti, vorrei brevemente evidenziare come oggi siano emersi due elementi molto importanti dalle vostre parole, per cui sono quelli dell'esperienza quotidiana e della riflessione che nasce proprio dal vivere una situazione, cosa che molti colleghi hanno messo in evidenza.
Il primo è l'elemento «sterminazionista», una novità assoluta che si affaccia sul proscenio internazionale, ovvero l'idea che gli ebrei possano subire un'altra Shoah. Questa risuona non solo sulla bocca di alcuni personaggi estremisti, ma anche all'interno delle maggiori istituzioni internazionali. Ahmadinejad non la racconta soltanto ai suoi oppure nelle riunioni che compie nei vari rough State, a Damasco o dove capita: lo dice dal palcoscenico dell'ONU e lo ripete ricevendo anche degli applausi, e crea un plafond ideologico su cui poi si appoggiano i più diversi atteggiamenti. È questo l'aspetto impressionante, su cui dobbiamo lavorare, per individuare dove nella realtà dei fatti queste teorie, che a noi appaiono pazzesche, diventino invece plausibili e realistiche.
Sono sicura che in alcuni Paesi dell'Europa del nord le teorie di Ahmadinejad - lo si vede in Finlandia, in Olanda, in Svezia con quello che è successo a Malmö - diventano la speranza quotidiana che dal mondo possano sparire gli ebrei.
Il secondo elemento è relativo all'overlapping sottolineato soprattutto da Benedetto Carucci. Cito un esempio svedese. L'overlapping è un dato di fatto che leggiamo quotidianamente sui giornali. Quando il giornale svedese Aftonbladet ha raccontato che i soldati israeliani - e sottolineo israeliani - sottraggono gli organi ai palestinesi - e sottolineo palestinesi - per venderli (si ricomincia a parlare di ebrei che vendono) significa che allo scontro israelo-palestinese si sovrappone l'idea del blood libel della teoria del sangue.
Questo fatto non è rimasto confinato all'Aftonbladet, ma è diventato un dibattito internazionale. Sembra incredibile, ma non è stato condannato dal Governo svedese. Ho sollevato personalmente la questione con il Ministro degli esteri svedese, trovandomi insieme a lui in una riunione in qualità di vicepresidente della Commissione affari esteri, e mi è stato risposto che lui non vedeva in questo nessun elemento antisemita.
È compito nostro studiare dove questi elementi di overlapping si realizzino, e troveremo moltissimi casi in cui è necessario sciogliere questi nodi. Dobbiamo compiere un grosso lavoro. Lo stesso è avvenuto quando si voleva impedire di organizzare la Fiera del libro a Torino, perché erano invitati gli scrittori israeliani. È evidente che lì c'era dell'antisemitismo, ma dov'era il punto, il nodo?
Do ora la parola ai nostri ospiti per una breve replica.
BENEDETTO CARUCCI, Preside della Scuola ebraica di Roma. Riprenderei le parole dell'onorevole Nirenstein. Mi sembra che la questione sia proprio vedere dove sta la questione e svelare lo scivolamento e l'impasto che spesso ci impediscono di vedere. È esattamente qui il punto. Nel momento in cui non si vede in maniera evidente, di fatto ci si giustifica anche rispetto alla propria coscienza, non solamente rispetto al modo di vedere degli altri.
Quando assumo un atteggiamento apparentemente non antisemitico, mi sono lavato la coscienza, sono civilmente accettabile e tutto procede e prosegue. Credo che il lavoro sia esattamente quello, estremamente complesso, di sciogliere, svelare, trovare il punto e metterlo in luce. Probabilmente, mettendolo in luce anche chi ne è portatore si renderà più conto di come sta agendo. Non sempre è detto, ma può essere. Credo che su questo si possa e si debba riflettere.
Sulla richiesta di indicazioni bibliografiche, mi riserverei di fare avere al presidente qualche indicazione.
RICCARDO PACIFICI, Presidente della Comunità ebraica di Roma. Vorrei formulare un'osservazione di carattere generale, anche perché negli anni mi hanno appassionato gli interventi di Furio Colombo sul ruolo delle università e delle scuole italiane durante il fascismo, aspetto che ha affrontato con grande passione e con grande intensità.
Credo che quanto sta avvenendo adesso, da parte dei docenti più che degli studenti, stia replicando sotto forme diverse qualcosa che porta a un messaggio il cui effetto potrà essere valutato solamente tra qualche anno, ma su cui forse sarebbe bene intervenire, perché è dalle università che si riescono a creare i «presupposti per».
L'onorevole Volpi ha proposto di dare la parola ai detrattori. Non so se sia opportuno invitarli. Non credo che sia corretto - lo dico con estrema sincerità - mettere sullo stesso piano chi propone tesi propositive e chi pone tesi contrarie.
RAFFAELE VOLPI. Non si fa politica conto terzi.
RICCARDO PACIFICI, Presidente della Comunità ebraica di Roma. Giusto. Considero però eccessivo concedere loro l'onore di un'audizione. Forse, sarebbe meglio indagare dove vanno a parlare. Il 21 aprile prossimo, andranno a parlare a cinquanta metri dal Tribunale.
Per quanto riguarda il ponte tra sanità italiana e sanità israeliana, l'esperienza della regione Lombardia è stata splendida.
Sottolineo che Roma ha un ospedale israelitico - che potrebbe diventare l'unico in Europa - che potrebbe essere uno dei punti in cui realizzare tale collaborazione.
Per evitare equivoci, desidero sottolineare che non esiste alcun contrasto - spero di interpretare anche il pensiero del presidente Gattegna - con la Chiesa cattolica. La visita del Pontefice del 17 gennaio alla nostra sinagoga ne è stata la testimonianza. Padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, è tempestivo nelle azioni di replica, di smentita. Non facciamo di tutta l'erba un fascio. Esistono casi isolati, come ne abbiamo anche noi, con persone che sostengono cose inaccettabili sulla Chiesa.
È più importante capire il tipo di alleanza che possiamo costruire con la Chiesa cattolica. Una delle grandi battaglie da portare avanti - me ne farò promotore - è quella di aiutare le vittime cristiane nei Paesi arabi anche portando avanti una battaglia comune sul problema dei missionari torturati e delle suore stuprate. Potremmo svolgere un lavoro anche per combattere l'antisemitismo in Europa.
Vi rivolgo infine un invito. Lunedì sera è la festa di Yom HaAtzmaut, e la nostra comunità sta organizzando il più grande evento in Italia di aggregazione ebraica. Ci sarà una cerimonia alla sinagoga alle ore 20,45 e una grande festa di popolo con migliaia di persone fuori della sinagoga. Ci farebbe veramente molto piacere avervi con noi.
RENZO GATTEGNA. Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia. Sono moderatamente ottimista per il futuro dell'ebraismo in Italia. Ritengo che ci siano segnali positivi, fra cui anche la seduta di oggi, nei rapporti fra gli ebrei e lo Stato italiano e gli enti locali a vari livelli.
Ritengo sia passato il messaggio che gli ebrei non sono un corpo estraneo in Italia. Sono qui da 2.200 anni e sono un elemento fondante e costitutivo della civiltà italiana. Da tempo non mi sento più chiedere perché non torniamo a casa. Noi siamo qui da due millenni e abbiamo contribuito a costituire la cultura e la civiltà italiana. Il tempo è scaduto, ma spero che riprenderemo il discorso in un altro momento.
PRESIDENTE. Se non vi dispiace, vi pregheremo di tornare.
RENZO GATTEGNA. Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia. Siamo a vostra disposizione.
PRESIDENTE. Nel ringraziare gli auditi, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9,55.