Sulla pubblicità dei lavori:
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO
Audizione del professor Renato Mannheimer, presidente dell'Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (ISPO):
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2 5 8 9 10 11
Boniver Margherita (PdL) ... 9
Mannheimer Renato, Presidente dell'ISPO ... 2 6 7 9 10
Parisi Arturo Mario Luigi (PD) ... 7 9
Pianetta Enrico (PdL) ... 5
Tempestini Francesco (PD) ... 7 9
Volpi Raffaele (LNP) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.
Comitato di indagine sull’antisemitismo
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10,05.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'antisemitismo, l'audizione del professor Renato Mannheimer, presidente dell'Istituto per gli studi sulla pubblica opinione (ISPO).
Do il benvenuto al professor Mannheimer, docente di analisi e tecniche dell'opinione pubblica presso l'Università degli studi di Milano Bicocca, sociologo famosissimo ed editorialista del Corriere della Sera, che tutti conosciamo, sia per la sua produzione scritta, sia per i programmi televisivi di informazione. I suoi sondaggi non solo creano opinione pubblica, ma anche grandi ondate politiche.
Il professor Mannheimer guida l'ISPO, l'Istituto per gli studi sulla pubblica opinione, un istituto di ricerca sociale, economica e di opinione con sede a Milano, che, dagli anni Ottanta, svolge la sua opera. Abbiamo invitato il professore presso il nostro comitato di indagine sull'antisemitismo perché alcune indagini da lui svolte in Italia in materia sono tra le più importanti e quelle che hanno guidato maggiormente l'azione legislativa dei politici.
Intendiamo avvalerci della sua audizione proprio perché ci siamo preposti il compito di seguitare in un'azione non solo di comprensione del tema, ma anche, come abbiamo affermato altre volte e come ribadisco in questa occasione, di preparazione, in seguito ai risultati che otterremo, di provvedimenti che possano essere funzionali a combattere l'antisemitismo.
Annuncio che il professore è disponibile fino alle 11. Lo invito, dunque, a contenere la relazione, in modo che ci sia il tempo per eventuali domande.
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. Signor presidente, sarò brevissimo. Innanzitutto, ringrazio il Comitato per l'onore che mi ha usato, invitandomi. Sono veramente contento di poter illustrare in questa sede alcune, poche, considerazioni sull'antisemitismo in Italia.
Devo premettere che, come tutti gli atteggiamenti e i sentimenti, l'antisemitismo è difficilmente percepibile e misurabile. Ne esistono decine di definizioni diverse e io ne presenterò alcune. È difficile, quindi, parlarne nei termini con cui di solito a me tocca affrontare i fenomeni sociali, cioè quelli della misurazione.
Ho cercato di misurare l'antisemitismo in Italia, dandone una definizione articolata in tre sottotipi, che adesso vi illustrerò, avendo avuto la fortuna di poter effettuare, ormai quasi un anno fa - non dispongo di dati più recenti - un sondaggio
in cui ho cercato di misurare tale atteggiamento.
Ribadisco e sottolineo ancora, scusandomi per la ripetizione, che, come per tutti gli atteggiamenti, la misurazione è complessa, perché dipende molto dalla definizione. I contorni della nozione di antisemitismo sono, infatti, oggetto di un dibattito molto forte ancora oggi nella sua definizione e, per di più, quello del sondaggio è uno strumento che misura le cose in modo approssimativo, come voi sapete bene. È un po' come il termometro che utilizziamo per misurare la febbre e che ogni volta segna una misura diversa, anche se lo rimettiamo subito dopo.
Ho effettuato, dunque, un sondaggio, in cui ho cercato di misurare tre tipi di antisemitismo.
Il primo è quello tradizionale, che possiamo definire come quello per cui gli ebrei sono deicidi, legato cioè alle questioni di carattere più «religioso». Gli ebrei deicidi è la definizione più corretta.
La seconda modalità di antisemitismo, che almeno noi abbiamo nella nostra idea sul tema, vede gli ebrei non principalmente come in chiave religiosa, ma come gruppo organizzato che pensa solo ai propri interessi e si aiuta strettamente al suo interno, tramando contro il resto della società. Si tratta di un antisemitismo di carattere più moderno rispetto a quello classico.
Porto alcuni esempi di affermazioni che abbiamo usato come item nel sondaggio: si ritiene che essi controllino e muovano la politica, i media, la finanza, che siano più fedeli a Israele piuttosto che al Paese in cui sono nati, che si aiutino sempre tra di loro. Questo è un secondo tipo di antisemitismo, non tanto legato all'aspetto religioso, quanto all'organizzazione degli ebrei, che sarebbero un gruppo organizzato che trama.
Naturalmente, qualcuno può pensare che lo siano davvero e forse la definizione di antisemitismo, per chi coltiva queste opinioni, può essere messa in discussione. Noi l'abbiamo chiamato antisemitismo, ma è più un giudizio negativo sugli ebrei. Ho trovato persone che sostengono che si tratti di un giudizio fondato e che sia vero. Nella mia vita, non ho mai trovato traccia, in quanto ebreo, di aiuti particolari da parte di altri ebrei o della mafia ebraica, ma alcuni sostengono che ciò avvenga.
Poi abbiamo trovato un terzo tipo - passerò poi a quantificare rapidamente le tipologie - di antisemitismo, legato alla questione di Israele. La situazione è molto delicata perché esiste, naturalmente, una quota di popolazione che, secondo me legittimamente, critica le posizioni del Governo di Israele. A mio avviso, ciò non configura antisemitismo, ma si tratta di una mia opinione personale.
Esiste, tuttavia, una fascia di persone che critica gli ebrei in quanto tali, per l'eccessivo appoggio che offrono a Israele in modo acritico. Per esempio, abbiamo provato i seguenti item, come si chiamano i punti che si adottano in un sondaggio: tutti gli ebrei strumentalizzano la Shoah per giustificare la politica di Israele, oppure tutti gli ebrei parlano troppo delle loro tragedie, trascurando quelle degli altri, o ancora gli ebrei - non gli israeliani - si comportano da nazisti. Abbiamo utilizzato affermazioni di questo genere.
A questo punto, si può discutere se questo sia antisemitismo o meno - ne possiamo parlare insieme - ma si tratta, comunque, di atteggiamenti ostili verso gli ebrei. Dico che si può discutere perché alcuni hanno obiettato che l'estensione agli ebrei di alcune pretese responsabilità del Governo israeliano non configurino antisemitismo. Di questo possiamo discutere insieme: noi abbiamo collocato tale atteggiamento come antisemitismo.
Abbiamo trovato, quindi, pregiudizi di tipo classico, sugli ebrei deicidi, di tipo moderno, per cui gli ebrei sono tutti organizzati tra di loro, sono una setta che trama i destini del mondo e ha in mano la finanza, e uno di tipo contingente, legato all'estensione agli ebrei delle responsabilità vere o presunte, di cui non ne discutiamo in questa sede, delle politiche del Governo di Israele.
Abbiamo provato a misurare la quantità degli «antisemiti» di questi tre tipi. Ribadisco ancora una volta che la misurazione
è complicata, perché abbiamo sottoposto a un campione di popolazione alcune frasi che evocavano questi atteggiamenti e misurato il loro accordo con tali frasi. Ve ne ho riferite alcune, ma posso fornire al Comitato gli atti di tutta la ricerca, in cui troverete l'elenco completo.
Le frasi sono state scelte da un comitato di studiosi, provate e riprovate: abbiamo cercato di seguire tutti i metodi scientifici possibili, ma, evidentemente, possono essere messe in discussione. La misurazione è stata, cioè, il più obiettiva possibile, ma risente della nostra impostazione metodologica. Tuttavia, la stesura del questionario è stata controllata da diverse università e abbiamo ritenuto che fosse obiettiva.
Passo ai risultati. Prima di tutto, il 56 per cento degli italiani è estraneo a tutti i pregiudizi illustrati: abbiamo provato a misurare il pregiudizio classico, quello moderno e quello contingente e abbiamo trovato che, per la maggioranza degli italiani, una maggioranza piuttosto risicata, del 56 per cento - sta a voi esprimere giudizi; io vi riporto i dati - ne è completamente estranea.
In particolare, un 12 per cento è fortemente estraneo, cioè respinge con più forza di altri tali pregiudizi. Tra costoro figurano soprattutto i laureati e le persone con pochi preconcetti rispetto ad altre minoranze. Di solito, infatti, chi nutre pregiudizi nei confronti degli ebrei, li ha molto spesso, e talvolta più fortemente, anche nei confronti di altre minoranze. Esiste, quindi, un atteggiamento generale di pregiudizio verso il diverso, che caratterizza le persone di cui vi parlerò, ma che esce forse dalla nostra discussione di questa mattina.
Esiste poi una quota di persone che si sente completamente estranea a tutto l'argomento e non prende alcuna posizione e, infine, un 44 per cento della popolazione italiana che assume alcuni atteggiamenti che ho chiamato antisemiti.
In particolare, il 10 per cento nutre più quelli classici, da quelli religiosi all'affermare che degli ebrei non ci si può mai troppo fidare e che sono sempre vissuti alle spalle degli altri. Questo atteggiamento di pregiudizio classico verso gli ebrei, intesi come coloro che hanno ucciso Gesù o di cui non ci si può fidare, in quanto persone estranee, non necessariamente coincide con l'atteggiamento di tipo contingente verso Israele o con gli altri che vi illustrerò in seguito.
È stata rilevata una quota di popolazione antisemita da tutti questi punti di vista, ma le sottoquote di cui vi sto parlando adesso non sono necessariamente antisemite anche dagli altri punti di vista. Spero di essere chiaro.
In questo 10 per cento vi sono più persone religiose, in senso cattolico, e un po' più di destra, con un 8 per cento in più di accentuazione. Insieme a queste, quelle che nutrono il pregiudizio classico sono quelle che nutrono molti più pregiudizi nei confronti di tutto il diverso, cioè sostengono che non ci si può fidare degli ebrei, come, al tempo stesso, degli arabi o dei neri.
Un altro gruppo della popolazione, grosso modo l'11 per cento, nutre solamente gli stereotipi di tipo moderno, secondo cui gli ebrei controllano la politica, i media e la finanza, ma non altri, ossia apprezza Israele.
Anche in questo caso, secondo il mio parere personale, sostenere che gli ebrei controllano i media, la politica e la finanza è un po' antisemita, perché comunque dà un'immagine degli ebrei come tutti legati tra di loro, ma può rappresentare, invece, soggettivamente, da parte di chi lo esprime, un sentimento di ammirazione. Personalmente, penso che non lo sia, comunque un 11 per cento della popolazione tiene questo atteggiamento.
Un altro 12 per cento mette in relazione l'atteggiamento contro gli ebrei principalmente al loro legame, reale o presunto, con la politica del Governo dello Stato di Israele. In quest'ambito, troviamo un'accentuazione più forte delle persone di sinistra. Insisto nel ricordare che non abbiamo misurato coloro che affermano che lo Stato di Israele si comporta male, ma che sostengono che gli ebrei strumentalizzano
la Shoah per giustificare la politica di Israele, che è un'altra affermazione.
Naturalmente, questo sottogruppo, equivalente più o meno al 12 per cento, è più critico in generale e ostile nei confronti del Governo e, talvolta, anche dello Stato di Israele.
Qualcuno, infine, è antisemita da tutti questi punti di vista insieme, cioè sostiene che gli ebrei hanno ucciso Gesù, sono d'accordo tra di loro, pensano prima a Israele che all'Italia e strumentalizzano la Shoah per favorire il Governo di Israele in ogni modo. Chi rientra in questo gruppo mette, dunque, insieme tutti gli atteggiamenti che vi ho descritto.
Abbiamo misurato tale fenomeno grosso modo nel 12 per cento degli italiani. Tale gruppo presenta una caratteristica: è più accentuato nelle estreme, intendendo le posizioni di coloro che soggettivamente si collocano, nelle loro dichiarazioni, agli estremi dell'arco politico.
Di solito, l'arco politico si può misurare nei sondaggi in molti modi. Un sistema molto classico è quello di porre di fronte all'intervistato una scala, un grafico con dieci caselline, in cui chi è di centro si posiziona in mezzo, chi si sente di estrema destra pone una crocetta sull'estrema destra del suo grafico e chi si sente di estrema sinistra la pone all'estrema sinistra. Chi si autocolloca sulle estreme di destra o di sinistra si mostra, relativamente, più antisemita, secondo la nostra modalità di misurazione.
L'aspetto che ci ha colpito è che esiste un'accentuazione in entrambe le estreme, ma più forte nell'estrema sinistra. Abbiamo, cioè, trovato - purtroppo non ho dati precedenti, ma sono portato a ritenere che sia una novità degli ultimi decenni - un più forte atteggiamento di pregiudizio comprendente tutti e tre gli atteggiamenti antisemiti nell'estrema sinistra. Per estrema sinistra intendo proprio quella estrema, non la sinistra. Anche su questo fronte posso fornire alla Commissione in seguito alcuni dati e grafici.
Vorrei ribadire che, se voi applicate la stessa metodologia di studio verso altre gruppi, per esempio i rom, gli islamici o gli extracomunitari trovate intensità di pregiudizio anche maggiori. Volendo misurare grosso modo la percentuale di popolazione che racchiude tutti insieme i sentimenti antisemiti, essa consiste nel 12 per cento. Sta a voi giudicare se sia tanto o poco.
Ho concluso. Avrò poi il piacere di inviare alla Commissione un testo scritto.
PRESIDENTE. Assolutamente, anzi, è indispensabile.
Il primo dato che si ricava è che, se il 56 per cento non rientra nell'antisemitismo, il 44 per cento ci rientra, il che mi sembra un dato piuttosto rilevante. Un altro dato di rilievo consiste nel fatto che il 12 per cento, degli intervistati sia antisemita da tutti i punti di vista elencati dal professore, il che si va a sommare agli altri dati preoccupanti che abbiamo raccolto in questo periodo.
Prima di cedere la parola ai colleghi, voglio ricordare che nell'ultima settimana si sono verificati due grossi incidenti antisemiti. Nel primo, un uomo di 42 anni è stato pugnalato a Strasburgo mentre camminava per la strada, perché portava la kippah, nell'altro un signore anziano di oltre ottant'anni è stato attaccato e ridotto in gravi condizioni di fronte alla sinagoga di Nimes.
Queste vicende confermano il dato che proviene dall'Università di Tel Aviv, che abbiamo sottolineato anche in una precedente occasione, insieme all'enorme crescita dell'antisemitismo sui siti online, che ci parlano di una presenza sconosciuta rispetto a tutte le annate precedenti, dal dopoguerra in avanti, anzi, da prima della guerra, addirittura, secondo l'Università di Tel Aviv, ossia dal 1939 in avanti.
Questo è il quadro generale. Ringraziando il professore, do la parola ai colleghi che intendano prendere la parola per porre quesiti o formulare osservazioni.
ENRICO PIANETTA. Signor presidente, pongo una domanda veloce. I dati che ci ha fornito sono stati ricavati sulla base di un sondaggio avvenuto recentemente? La domanda è la seguente: secondo lei, sulla
base della storia dei sondaggi che ha potuto condurre su questi argomenti, l'andamento in Italia è crescente o decrescente? Come avviene una modifica all'interno di questi tre tipi, di cui ci ha parlato?
RAFFAELE VOLPI. Professore, sempre all'interno di questa ricerca, mi interesserebbe avere alcuni dati in più sull'età degli interessati al fenomeno.
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. Purtroppo queste sono sempre ricerche di ampie dimensioni, che richiedono notevoli sforzi e investimenti.
Ho potuto condurre questa ricerca intorno alla fine del 2008 e, quindi, ha già due anni. Ne avevo svolte di precedenti e più piccole, ma questa ha coperto un campione molto ampio, di 4 mila casi. L'ampiezza del campione in sé, come sapete, non è garanzia della sua scientificità, perché dipende da come esso viene estratto, ma in questo caso è stato estratto con tutti i rigorosi criteri scientifici.
Dopodiché, ho avuto occasione di porre le domande che vi ho illustrato a piccoli campioni. La mia impressione è che non ci sia un andamento crescente negli ultimi tempi, anche se ho visto la crescita di un'altra modalità di misurazione dell'antisemitismo, di cui avete già parlato, cioè le scritte e le manifestazioni antisemite.
Io studio gli atteggiamenti, altri studiano le manifestazioni e gli attacchi. In particolare, so che avete sentito i colleghi del CDEC (Centro di documentazione ebraica contemporanea), che misurano le manifestazioni concrete di antisemitismo e hanno trovato un'intensità maggiore del fenomeno.
Sul piano degli atteggiamenti, credo che ci sia una sostanziale stabilità, ma, al tempo stesso, una forte crescita, ormai da più di dieci anni, di quello che io misuro come antisemitismo, cioè l'estensione, a opera dell'estrema sinistra, a tutti gli ebrei dell'antisemitismo di tipo contingente, cioè delle «colpe» dei Governi che si sono succeduti nello Stato di Israele. Su questo aspetto si è verificata una forte accentuazione, non tanto negli ultimi anni, quanto nel decennio precedente. La mia impressione - vorrei, però, disporre delle risorse per condurre nuovamente la ricerca - è di una sostanziale stabilità in queste cifre. Certo, sono cifre diverse da quelle che si sono ottenute con strumenti meno raffinati vent'anni fa, dove però l'antisemitismo di tipo contingente non figurava.
Vorrei sottolineare come gli atteggiamenti si influenzino l'uno con l'altro. Chi svolge riflessioni negative sugli ebrei riferite allo Stato di Israele, finisce anche, e questo è il caso del nostro 12 per cento di antisemiti più «cattivi», per svolgere riflessioni sugli ebrei in generale, affermando che si alleano tutti tra di loro, controllano l'economia e muovono le borse. È un sistema, in qualche misura, di vasi comunicanti.
Ci sono differenze per età - mi scuso per non averle citate - molto interessanti e significative. L'antisemitismo di tipo classico, sugli ebrei deicidi o che si sentono più ebrei che italiani, appartiene più alle persone più anziane, soprattutto a quelle che conoscono poco l'argomento. Sapete che le persone meno giovani sono anche, in una determinata misura, coloro che frequentano di più le funzioni religiose cattoliche.
Tra le persone più giovani, invece, sia all'estrema destra, sia all'estrema sinistra, si trovano atteggiamenti più di tipo contingente, cioè derivati o collegati all'esistenza o alla politica dello Stato di Israele.
In sintesi, quindi, i dati hanno più di un anno. Non penso che siano cambiati molto; per la mia piccola esperienza in questo genere di ricerche, gli atteggiamenti sociali in generale non cambiano molto velocemente nel tempo ed è raro assistere a mutamenti tanto rapidi. In realtà - apro una piccola parentesi - neanche quelli politici cambiano tanto velocemente nel tempo.
Esiste, dunque, una differenza tra età: i più giovani sono più mossi nei loro sentimenti antisemiti, se vogliamo considerare antisemitismo tutto l'insieme delle
categorie che vi ho riferito, da motivazioni legate alla contingenza degli avvenimenti recenti sul piano internazionale.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Vorrei alcune informazioni per valutare i dati. Peraltro, avevamo già considerato dati di fonte internazionale in Comitato, che avevano messo a fuoco il tema. Questo sondaggio riguarda l'Italia in particolare.
La mia prima domanda è la seguente: il campione consiste nella popolazione adulta dopo i 18 anni? Chiedo, inoltre, se ci sono incroci per età, visto che non è possibile effettuare un'analisi longitudinale che consenta di vedere dentro le fasce d'età come si sviluppa il fenomeno.
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. Tra i più anziani vi è un antisemitismo più di tipo classico, tra i più giovani, relativamente di più, un antisemitismo di tipo contingente, legato alla questione di Israele. Francamente, non so se ciò sia indice di uno sviluppo del fenomeno o meno, perché dispongo di una sola rilevazione.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Dentro l'unica rilevazione esiste un incrocio per età che consenta di vedere il fenomeno, sempre in riferimento al gruppo coerente dal punto di vista dell'antisemitismo, ossia che condivide sia antisemitismo religioso, sia sociale, sia politico?
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. C'è un'accentuazione di giovani.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. È quello che temevo.
Sono state poste domande, oltre che attitudinali, anche relazionali e comportamentali? In altri termini, è stato chiesto agli intervistati se conoscono ebrei nell'ambito dei loro parenti e amici?
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. Non ho con me tutti i dati. Abbiamo posto questo quesito, nonché la solita domanda, ossia se gli intervistati sapessero quanti sono gli ebrei, una domanda molto difficile a cui rispondere, per la verità.
In generale, il sentimento di antisemitismo cresce insieme alla non conoscenza degli ebrei e ciò vale di più per l'antisemitismo di tipo classico, cioè quello che sostiene che gli ebrei siano tutti legati tra di loro. Esso cresce tra le persone meno colte, che, tendenzialmente, conoscono meno ebrei. Vi è una relazione inversa.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Esiste, quindi, anche un rapporto tra città o non città.
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. Sì, esiste certamente un rapporto tra città o non città.
FRANCESCO TEMPESTINI. Secondo questo sondaggio, si può capire qualcosa di più su quale può essere la vera linea di confine tra antisemitismo e critica allo Stato di Israele? Vorrei una sua riflessione.
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. È la domanda più difficile. Abbiamo, a torto o a ragione, stabilito una linea di confine nel momento in cui la critica alla politica del Governo dello Stato di Israele viene estesa come critica a tutti gli ebrei, cioè quando abbiamo trovato qualcuno che risponde che gli ebrei, nel loro insieme, usano la Shoah per giustificare la politica di Israele. Abbiamo pensato che questo fosse un atteggiamento ostile agli ebrei nel loro insieme.
Devo riconoscere, tuttavia, che la questione è discutibile, perché è estremamente difficile tracciare un confine. Siamo certi, però, che in alcuni soggetti la critica, secondo me legittima, verso le politiche del Governo dello Stato di Israele abbia portato psicologicamente a un'estensione dell'atteggiamento critico verso tutti gli ebrei in generale.
Come per tutti i processi di carattere o di orientamento psicologico, è molto difficile trovare il momento in cui si passa da una parte all'altra, ma abbiamo cercato di
farlo, per quel che potevamo, con gli strumenti rozzi di misurazione a disposizione.
Vorrei svolgere una piccola citazione di carattere personale. Quando, ormai tanti anni fa, Israele invase il Libano, nel 1982, ero iscritto a un partito di sinistra, del centrosinistra, e il mio segretario di sezione mi telefonò la mattina presto, dicendomi: «guarda che cosa hai combinato». Le mie posizioni politiche di allora erano ostili nei confronti delle politiche del Governo dello Stato di Israele, ma lui, nella sua testa, mi riteneva - è uno scherzo - comunque coinvolto nella situazione e me lo fece presente in tono accusatorio.
Naturalmente, si trattava di una battuta tra amici e non di un processo scientifico, ma mi serve a spiegare come il processo di estensione della responsabilità a tutti gli ebrei, anche a quelli, come era il mio caso di allora, critici, a torto o a ragione, verso alcune iniziative del Governo dello Stato di Israele, possa portare poi a un atteggiamento critico nei confronti di tutti gli ebrei, che sarebbero tutti d'accordo tra di loro.
Era quello che cercavo di affermare prima: esistono vasi comunicanti. A partire dalla discussione sulla questione israeliana, si può arrivare all'atteggiamento antisemita.
Come misurare questo passaggio è un problema che ci siamo posti. Vi ho riferito qual è stato il nostro modo e sono pronto a discuterlo.
PRESIDENTE. Non credo che il presupposto sia quello esposto dal professore, ossia non ritengo che il presupposto sia che gli ebrei sono tutti d'accordo. L'antisemita sa benissimo che gli ebrei non sono tutti d'accordo, che uno è religioso e uno non lo è, uno osserva la tradizione e uno no, uno è di sinistra e un altro di destra. Ciò non sfugge all'antisemita, quindi non credo affatto che il presupposto abbia un carattere razionale.
Con riferimento all'episodio che raccontava il professore, era ritenuto colpevole in quanto ebreo. Quando Rosellina Balbi scriveva delle «parole malate», credo che la questione del Libano fosse ben presente nella sua testa, perché era proprio quel periodo.
Secondo me, la questione va esaminata sotto un altro presupposto, ossia quello dell'irrazionalità totale dell'antisemitismo. L'antisemitismo contiene premesse a carattere totalmente irrazionale, rabbioso, non motivate da altro che dall'antisemitismo in sé e per sé. Questo è il mio punto di vista. Credo che non ci sia alcuna motivazione razionale e che su questo dobbiamo lavorare, altrimenti ci illudiamo che chi sa che gli ebrei sono alcuni di destra e alcuni di sinistra poi compia una distinzione tra l'uno e l'altro. Personalmente, non lo credo affatto. Questo è il primo punto.
Passo al secondo punto. Nel 2009 l'antisemitismo è schizzato in alto dappertutto, in seguito alle vicende di Gaza. Ho l'impressione che anche in Italia la situazione si sia modificata. Anche se è vero che l'opinione pubblica cambia lentamente rispetto ad altre questioni, bene o male su quel tema registriamo un'impennata, soprattutto sul terreno europeo e meno negli Stati Uniti, in verità. Forse bisognerebbe cercare di capire che cosa è cambiato adesso in Italia.
Voglio, inoltre, toccare un altro tema di una delicatezza estrema: la crescente presenza islamica in Europa. Nella città di Malmö, per esempio, in cui la presenza musulmana è assai rilevante, la squadra israeliana ha potuto giocare la Coppa Davis, solo a stadio chiuso e con fuori una grande manifestazione, che ha rovesciato le automobili della polizia svedese. È stata una vicenda straordinaria: basta guardare online e la si ritrova facilmente.
Purtroppo vi è una grande fioritura di manifestazioni di antisemitismo che provengono da ambienti di recente immigrazione. Mi domandavo se non sia il caso di introdurre questo elemento di studio quando ce ne occupiamo, altrimenti seguitiamo a ignorare un punto interrogativo molto significativo. Quando Ilan Halimi, il ragazzo ebreo, è stato rapito e ucciso in Francia quattro anni fa, ha circolato lo
slogan «Ho ucciso il mio ebreo». Esiste una sorta di diktat a carattere religioso, estraneo a tutti e tre gli elementi che il professore elencava prima, che certamente desta grande preoccupazione, non tanto nel nostro Paese, quanto a livello europeo.
A me sembra il caso che, perlomeno dal punto di vista concettuale, esso debba assolutamente essere preso in considerazione, naturalmente con tutta la delicatezza del caso. Vorrei il parere del professore.
MARGHERITA BONIVER. Ascoltando le interessantissime considerazioni e i dati proposti dal professore, mi interrogavo sul sottile crinale che esiste fra gli stereotipi, anche fra di loro. Mi rendo perfettamente conto che una parte di questi stereotipi ha a che vedere, evidentemente, con il tipo di informazione alla quale siamo sottoposti - parlo collettivamente - e che, quindi, esiste il pericolo che il 10-12 per cento che lei ha citato grosso modo per ogni gruppo possa, in un qualsiasi momento dato, avere un picco, salire ed entrare nella categoria dei bigoted. Utilizzo una parola diventata famosa perché ha chiuso ignominiosamente la campagna elettorale di Gordon Brown, il quale ha dato della bigoted a una sua elettrice, il che non ha nulla a che fare con l'essere una beghina, perché bigotry indica l'essere ottusi e, francamente, anche ignoranti.
Questa parte della sua esposizione è particolarmente interessante, proprio perché ha cercato scientificamente di suddividere gli stereotipi e anche i sentimenti apertamente antisemiti da quelli che, invece, deriverebbero da un bombardamento dell'informazione che riguarda Gaza o la posizione di Israele.
Infine, la domanda è se lei ha potuto anche rilevare il dato di antiamericanismo esistente, collegato con l'antisemitismo di critica verso le politiche israeliane. Per intenderci, quando lei citava prima l'estrema sinistra, non possiamo dimenticare una manifestazione proprio qui a Roma, in cui vennero bruciate le bandiere, sia di Israele, sia americane, allo slogan terrificante di «Dieci, cento, mille Nassiriya». Si tratta, quindi, di un tutt'uno molto spesso collegato, io credo, in alcuni ambienti politici estremi, che non so se siano stati oggetto a loro volta di rilevazione.
FRANCESCO TEMPESTINI. Vorrei tornare sull'argomento e porle una domanda più precisa. Dobbiamo definire quello rilevato dopo le vicende di Gaza antisemitismo e in che termini possiamo definirlo tale? Oppure possiamo definirlo, invece, «anti-politica di Israele»? Quanto dobbiamo stare attenti, nell'interesse di tutti, a evitare che si possa utilizzare un giudizio critico su Israele come un elemento di antisemitismo?
Ciò potrebbe determinare problemi molto più profondi e gravi. Naturalmente, questa conclusione parte dal presupposto che prima si dia una risposta alla domanda che ho provato rozzamente a formulare.
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. Se posso partire da quest'ultima considerazione, per passare poi agli altri quesiti, tale pericolo esiste.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Se ci interessiamo di questo argomento in Commissione esteri e non in Commissione cultura, è proprio perché ci chiediamo che relazione esiste tra i due ambiti di fenomeni concretamente, altrimenti esso sarebbe, più correttamente, collocato all'interno di un'altra Commissione.
PRESIDENTE. Sono due le Commissioni che si occupano insieme di questo tema. Il Comitato d'indagine è stato istituito appositamente.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Nasce, però, a partire da questo problema. L'altra Commissione non è la Commissione cultura, ma affari costituzionali.
Il problema che abbiamo di fronte consiste anche nel fatto che il 44 per cento delle persone è coinvolto da una delle
dimensioni che abbiamo ricondotto all'ostilità verso la minoranza che identifichiamo come ebrea.
Abbiamo parlato di una dimensione religiosa, che sarebbe quella più propriamente corrispondente al concetto di antisemitismo, di una di carattere sociale e di una di carattere politico. Sono tre tipologie, se non ho capito male. La relazione tra le tre è quella che poi mette capo, dal punto di vista dell'azione, alla domanda di come si possa evitare che il 12 per cento diventi il 44 per cento. Volevo rafforzare la domanda perché si tratta di una preoccupazione comune.
PRESIDENTE. Sono tutte domande sacrosante, però vorrei ricordare, per far tesoro del lavoro che stiamo svolgendo, che il rabbino Benedetto Carucci in una delle audizioni precedenti, ricordò, molto appropriatamente, che l'attacco alla Sinagoga di Roma, in cui rimase ucciso il bambino Tachè, rappresentava l'epitome di questa problematica. L'attacco alla Sinagoga di Roma era compiuto, cioè, da organizzazioni anti-israeliane come forma di vendetta nei confronti dei fatti che avvenivano Gaza o a Ramallah, per esempio. Disegnando questo scenario, il rabbino tracciava la realtà di una situazione che ha, quindi, un carattere concettuale, ma anche molto concreto.
RENATO MANNHEIMER, Presidente dell'ISPO. Risponderò, naturalmente, subito anche alle altre domande, ma vorrei attaccarmi, se posso, a questa discussione.
Siamo passati dall'esposizione dei risultati di un sondaggio di opinione ad alcune valutazioni metodologiche. Non posso far altro che esprimere la mia opinione, la mia posizione da questo punto di vista, al di là dei risultati della ricerca.
È vero che può capitare che ci sia un passaggio mirato alla strumentalizzazione per sostenere che una critica alle posizioni dello Stato di Israele siano espressione di antisemitismo, mentre non lo sono, ma può accadere anche il contrario. Quello che abbiamo studiato noi è esattamente il contrario: abbiamo osservato, cioè, che, attraverso o sulla spinta dell'episodio di Gaza o di qualunque altro, emergano atteggiamenti sottostanti in quest'ampia quota di popolazione - al di là della misurazione, parliamo circa del 40 per cento - che possono venire enfatizzati da questo fatto.
Come si fa a misurare un fenomeno del genere? A me pare, ma posso sbagliarmi, che lo si possa fare nel momento in cui alla critica nei confronti delle politiche del Governo dello Stato di Israele si affianca un altro atteggiamento, ossia una critica verso gli ebrei in quanto tali, sul fatto che sono tutti d'accordo tra di loro, che si organizzano per manovrare il mondo e che non sono italiani fino in fondo. Quando, sull'onda della critica alle politiche del Governo dello Stato di Israele, si affiancano questi pensieri, concezioni e atteggiamenti, si rischia di passare, e in alcuni casi si passa, da una legittima critica a una posizione di antisemitismo.
Questo è un modo di pensare. Personalmente, la penso così e ho potuto verificare, attraverso questa ricerca, che ciò può accadere. Infatti, il 12 per cento che citavo è composto da coloro che non tanto e non solo criticano le politiche del Governo di Israele, ma assumono tutti gli atteggiamenti, anche gli altri che ho riferito, il che capita a una minoranza o a una quota consistente, possiamo considerarla come volete, del campione intervistato, equivalente al 12 per cento.
Come si fa a impedire che il 12 per cento diventi il 40? Probabilmente - è una mia opinione personale - combattendo violentemente quest'estensione. Il CDEC ha reperito alcuni articoli di giornali in cui i due fenomeni sono vicini, in cui le critiche verso le politiche del Governo dello Stato di Israele si estendono a un atteggiamento di tipo più antisemita, nel senso di ostile agli ebrei nella loro interezza, perché poco italiani o più leali allo Stato di Israele che all'Italia. Questo atteggiamento è già più ampio e riflette una posizione assunta da una maggiore quantità di persone.
Esiste, per concludere, il pericolo dell'effetto opposto, cioè che, sulla spinta
della critica diffusa ad alcune posizioni dello Stato di Israele, si passi ad atteggiamenti veramente antisemiti. Questo fenomeno esiste e vorrei ribadirlo. Qualcuno può sostenere che sia troppo enfatizzato, qualcuno che lo sia troppo poco. È molto difficile da misurare, ma abbiamo cercato di farlo e possiamo affermare che il fenomeno assolutamente esiste.
Devo confessare che non dispongo di dati più recenti. Questo è tutto ciò che potevo comunicarvi. Possiamo avanzare alcune ipotesi sul fatto che Gaza abbia influito o meno sull'evoluzione di questi dati, ma, con tutta franchezza e onestà, non so rispondere.
Allo stesso modo, devo riferire che, purtroppo, non abbiamo misurato l'antiamericanismo. Credo che l'ipotesi dell'onorevole Boniver che i due fenomeni sia affianchino sia assolutamente ragionevole e probabile, però nel nostro questionario non questo studio non era previsto.
Sono anche d'accordo sull'importanza della presenza islamica nei diversi contesti, anche se noi non abbiamo studiato gli atteggiamenti delle persone che appartengono all'Islam. Esistono altri studi in circolazione, che voi sicuramente avrete visto. Vi è una notevole documentazione, relativa, fra l'altro, a libri di testo per bambini e via elencando. L'antisemitismo, in quanto tale, in quanto contro gli ebrei, probabilmente in tale contesto è molto più diffuso.
PRESIDENTE. Aspettiamo senz'altro i documenti scritti, che saranno depositati agli atti dell'indagine.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 11.