Sulla pubblicità dei lavori:
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANTISEMITISMO
Audizione della professoressa Dina Porat, direttrice dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell'Università di Tel Aviv:
Nirenstein Fiamma, Presidente ... 2 7 9 12
Colombo Furio (PD) ... 9
Corsini Paolo (PD) ... 7
D'Antona Olga (PD) ... 12
Pianetta Enrico (PdL) ... 8
Porat Dina, Direttrice dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell'Università di Tel Aviv ... 2 9
Volpi Raffaele (LNP) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.
Comitato di indagine sull’antisemitismo
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11,10.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagini conoscitiva sull'antisemitismo, l'audizione della professoressa Dina Porat, direttrice dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell'Università di Tel Aviv.
Nel dare il benvenuto alla professoressa Porat, voglio spendere una parola sulla nostra ospite. La professoressa Porat ha definito per prima, con alcune ricerche approfondite e senza precedenti, quello che oggi chiamiamo il nuovo antisemitismo. È questo il tema su cui oggi ci spiegherà un punto di vista intensamente nutrito di dati e di ricerche compiuti a livello accademico attraverso l'università.
I suoi dati non sono relativi a particolari zone del mondo; il suo studio dell'antisemitismo è, al contrario, onnicomprensivo e riguarda, quindi, anche tutta l'Europa, compresa l'Italia. La sua importanza consiste proprio nel fatto di aver categorizzato e definito scientificamente i parametri in base ai quali si distingue il nuovo antisemitismo da quello antico, nazifascista, di cui siamo abituati a parlare. Si tratta di un contributo che ritengo fondamentale.
La professoressa Porat ha scritto moltissimi testi, che ora non elenco, ma di cui sarà facile trovare la lista, tutti molto degni di consultazione e di lettura. È membro del Comitato scientifico di Yad Vashem, il museo dell'Olocausto, e fa parte del board dell'International Center for Holocaust Studies. Si tratta dei centri più qualificati dal punto di vista accademico per lo studio della materia.
Cedo ora con molto piacere la parola alla professoressa Porat e invito i colleghi a svolgere tutte le loro osservazioni in seguito.
DINA PORAT, Direttrice dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell'Università di Tel Aviv. Grazie per avermi invitato qui oggi a partecipare all'audizione odierna. Come sapete, quest'audizione e il lavoro del vostro Comitato fanno parte di un impegno internazionale avviato a Londra - anche Fiamma Nirenstein, presidente di questo Comitato, era presente alla conferenza di fondazione - allo scopo di creare in ogni Parlamento un Comitato di indagine sull'antisemitismo. Gli eventi hanno avuto inizio a Londra e continueranno a Ottawa, in Canada, tra tre settimane. Il vostro lavoro quindi si inserisce nell'ambito di tale progetto.
Vorrei partire, però, dall'inizio, ricordando che tutti coloro che sono coinvolti in questo lavoro internazionale considerano l'antisemitismo non solo sul piano delinquenziale, ma nel contesto di tutto ciò che accade in Europa, nel mondo e anche in relazione ad altre minoranze, alla xenofobia, alla legislazione e a problemi culturali ed economici. Cerchiamo, quindi, di considerare l'antisemitismo inserendolo in contesti il più possibile ampi.
Vorrei partire con alcuni accenni all'Italia, che abbiamo inserito in questa analisi generale. Porrò poi alcune domande fondamentali che sono in discussione oggi, alle quali cercherò di trovare una risposta con l'ausilio di una breve presentazione, formulando anche, se me lo consentite, alcuni suggerimenti.
Innanzitutto, voglio partire con un sunto di tutti gli episodi antisemiti violenti avvenuti nel 2009, un anno molto difficile per tutto il mondo. Molti nel mio istituto, che è stato citato gentilmente da Fiamma Nirenstein, affermano che siamo l'unico posto al mondo che raccoglie dati provenienti da tutto il mondo in diverse lingue e li classifica elettronicamente. Al termine vi darò un biglietto da visita su cui sarà indicato il sito che potrete consultare e sul quale potrete navigare liberamente.
Questo è, dunque, un sunto di quanto accaduto nel 2009. Come vedete, l'Italia è tra i Paesi dove si è registrato un basso numero di episodi violenti, otto, la maggior parte dei quali sono stati caratterizzati da vandalismo, abuso di proprietà e danni ai monumenti commemorativi dell'Olocausto.
Nel complesso, dunque, posso affermare che l'Italia non rientra tra i Paesi in cui l'antisemitismo, anche violento, è molto diffuso, forte o visibile. Vorrei anche ricordare che nel 2009, che, come abbiamo anticipato, è stato un anno molto difficile, il più difficile dal secondo conflitto mondiale, si sono verificati complessivamente solo 53 episodi, tra violenti e non violenti, mentre nel 2008 il numero in Italia era stato più alto, con 69 casi.
In un anno, tra il 2008 e il 2009, in cui c'è stato un aumento in tutto il mondo di tali episodi violenti, in Italia, invece, il loro numero è calato e adesso siamo a un livello basso. Nel Regno Unito si registra quasi sempre il numero di episodi più alto degli ultimi 10-15 anni.
La Francia ne conta di meno e il Canada meno della Francia. Questi dati non si possono paragonare con quelli dell'Italia, dove si registrano otto episodi. Nell'Europa orientale, se guardiamo la Russia e l'Ucraina, sono attestati numeri più bassi. Anche l'America Latina è presente nella lista.
L'Italia si comporta bene anche rispetto a questi altri Paesi. Nella maggior parte dei casi si registrano alcuni episodi di vandalismo e ci sono graffiti, anche violenti, che rappresentano un insulto per la comunità ebraica e per Israele, che viene sempre collegato agli ebrei: circolano espressioni, barzellette e poi, come ha affermato di recente il professor Moffa - conoscete la storia - vi è la tendenza alla negazione.
Gli 1,2 milioni di musulmani che fanno parte della comunità musulmana in Italia rappresentano una percentuale più bassa rispetto a quella di altri Paesi europei e dell'Europa occidentale in particolare.
Come ha ricordato Fiamma Nirenstein, ora parliamo di un nuovo antisemitismo, iniziato negli ultimi dieci anni. È nuovo sul piano geografico perché ci si è spostati verso l'Europa occidentale, verso l'America settentrionale, e anche perché si è verificato un cambiamento di origine, di iniziativa, passando dal mondo cristiano a quello islamista.
Voglio sottolineare l'espressione «islamisti» e non «musulmani», perché mi riferisco agli estremisti, ai radicali che sottolineano con forza l'identità musulmana e sono contrari a Israele, agli ebrei, all'America e agli Stati Uniti.
Si verifica anche un nuovo tipo di violenza, che non si registra in Italia: si tratta di una violenza contro le persone identificate come ebree, che camminano per strada, come studenti delle scuole superiori o universitari.
Sono queste le caratteristiche del nuovo antisemitismo, che includono anche una confusione tra antisemitismo e antisionismo.
Si tende a identificare Israele con le comunità ebraiche all'estero come un unico popolo ebraico e ad attribuire a Israele i tratti caratteristici degli ebrei. Israele è uno stato ebraico e, dunque, è come gli ebrei.
L'Italia si trova in una situazione favorevole, in cui si registra un piccolo numero di episodi violenti. La maggior parte delle espressioni proviene soprattutto da rappresentanti del mondo intellettuale e della politica, in particolare della sinistra.
Tracciando un'analisi generale, vorrei esaminare con voi alcune questioni con l'ausilio di un'altra parte della mia presentazione. Suggerirei, a questo punto, di occuparci di alcune domande.
La prima è la seguente: l'antisemitismo va di pari passo e cresce con l'atteggiamento nei confronti della discriminazione verso altre minoranze, come i lavoratori stranieri o gli immigrati che arrivano? C'è un aumento del numero di episodi di antisemitismo insieme a un aumento di atteggiamenti negativi nei confronti anche di altre minoranze oppure no?
Se oggi si registra una tendenza, come accade nel Regno Unito, un po' di più in Francia e, in particolare, negli Stati Uniti, contro i musulmani radicali, è in atto anche una nuova tendenza a considerare la posizione che la comunità musulmana ha acquisito in termini numerici all'interno della società, in posizioni accademiche e nei media. Si cerca di capire se si può continuare a favorire questa situazione o se bisogna tentare di fermare il fenomeno.
Non so se avete sentito parlare ieri Angela Merkel, la quale ha affermato specificamente, nel suo stile sempre molto chiaro, che il multiculturalismo è fallito in Germania. Chiunque voglia trovarsi in Germania e far parte della società tedesca deve integrarsi, acquisire l'identità locale e non mantenere la propria.
Questa è la mia seconda domanda: c'è oggi una tendenza contro gli islamisti e che impatto ha sull'antisemitismo? Vanno di pari passo oppure no?
La terza domanda è la seguente: il Medio Oriente, con tutti i suoi conflitti, soprattutto quello israelo-palestinese, è a sua volta una fonte di antisemitismo?
Mi riferisco al Medio Oriente perché, quando gli Stati Uniti attaccarono l'Iraq nella prima Guerra del Golfo, la catena scatenata all'epoca fu che Israele, attraverso le comunità ebraiche e la comunità ebraica negli Stati Uniti, aveva motivato gli Stati Uniti ad attaccare l'Iraq per difendere Israele stesso. Una guerra, quindi, che in sostanza non aveva nulla a che fare con Israele, creò subito una catena nella quale entrarono gli ebrei e Israele. Per questo motivo mi riferisco ai conflitti in Medio Oriente in generale e non soltanto alla questione israelo-palestinese.
Se vorrete, potrete ovviamente sollevare altre domande, cui sarò lieta di rispondere. Vorrei, se possibile, mostrarvi, però, un grafico, che illustra alcune significative manifestazioni violente verificatesi in tutto il mondo dal 1989 al 2009, un periodo che copre un arco di vent'anni.
Abbiamo cominciato il nostro lavoro all'inizio del 1992, seguendo dapprima la dissoluzione dell'Unione Sovietica, del blocco orientale, e poi l'unificazione della Germania. Abbiamo considerato questi due eventi storici come una pietra miliare per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti delle minoranze in generale e in relazione all'antisemitismo in particolare. Siamo tornati indietro di alcuni anni, iniziando con il 1989.
Dai dati emerge una correlazione tra l'aumento dell'antisemitismo e gli altri problemi che abbiamo citato: legami con il Medio Oriente e con gli atteggiamenti nei confronti di altre minoranze o di grandi gruppi di immigrati. La questione delle nuove tendenze dell'Islam riguarda l'ultimo anno e, quindi, non è presa in considerazione.
All'inizio degli anni Novanta il numero di episodi è ancora molto basso, cresce dopo la prima Guerra del Golfo e aumenta nel 1992-1993, raggiungendo un picco nel 1994.
Il 1994 è un anno negativo a confronto con gli anni precedenti. Nel nostro settore
si parla dell'«estate di Rostock», una piccola città della Germania, dove rom e immigrati, provenienti da diverse parti dell'ex Jugoslavia, furono attaccati. Due di loro furono bruciati vivi. In quell'estate turbolenta si registrarono vari attacchi da parte di gruppi di estrema destra, di neonazisti, nei confronti dei nuovi venuti; le nostre cifre mostrano che ci fu un legame diretto tra tali attacchi e l'aumento dell'antisemitismo.
Oggi non è davvero possibile trovare gruppi estremisti, né a sinistra, né a destra, che siano solo antisemiti. I gruppi esistenti operano contro chiunque non abbia la loro stessa identità o cultura. Operano, agiscono e reagiscono contro gli ebrei e i rom e considerano gli ebrei stranieri, anche se le comunità ebraiche hanno più di mille anni, come nel caso della Germania o dell'Italia (in Italia per fortuna gli ebrei non vengono attaccati). Esiste quindi un legame molto forte tra altri eventi e l'aumento dell'antisemitismo.
Le cifre calano nel periodo 1995-1996-1997-1998. Poi si verifica un nuovo aumento, di cui parlerò tra un attimo, nel 2000.
Dopo l'estate di Rostock forze di polizia, parlamentari e autorità governative decisero che non si poteva più continuare in quel modo, con attacchi contro immigrati e nuovi arrivati indifesi. Fu attuata, dunque, un'azione di polizia e parlamentare, con una forte reazione da parte delle forze di polizia e il varo di alcune norme da parte dei Parlamenti contro azioni di quel tipo, che facevano temere il possibile sovvertimento dell'ordine pubblico. Ciò accadeva soprattutto nei Paesi dell'Europa centrale e occidentale.
Nella normativa austriaca fu introdotto il reato relativo ai negazionisti dell'Olocausto. Sei o sette di loro si ritrovarono in Austria, a Vienna, nella stessa prigione. Avrebbero potuto tenere un seminario tutti insieme sul negazionismo, essendo stati messi in prigione contemporaneamente.
Dobbiamo considerare che i negazionisti dell'Olocausto non sono persone violente. Non commettono violenze di alcun genere, si limitano a parlare pubblicamente e a distribuire materiale.
Vediamo, dunque, che quelli furono anni tranquilli sul piano dell'antisemitismo, che si ridusse perché gli autori dei reati contro le altre minoranze (rom, jugoslavi, ecc.) erano stati imprigionati. Si riduce, quindi, il numero di episodi.
Arriviamo all'anno 2000. Il nuovo antisemitismo di cui abbiamo parlato, che si è spostato verso l'Europa occidentale e centrale e verso il Nord America, ha un'origine essenzialmente islamista, tende a confondere antisemitismo e antisionismo ed ebbe inizio nell'ottobre del 2000, con la seconda intifada. Allora si registrò un'enorme ondata di episodi di violenza. La violenza è aumentata, come potete vedere, a un livello di circa 100 episodi l'anno, ma non è distribuita in modo paritario nel corso degli anni.
Nei mesi di settembre e ottobre, quando cadono Rosh HaShana, Yom Kippur e Sukkot, le tre principali festività ebraiche, si attestano le date fondamentali in cui sono stati compiuti atti di violenza. Avvenivano anche in altri mesi, ma in particolare in coincidenza con quelle tre festività.
Poiché nell'ottobre del 2000 iniziò la seconda intifada, durante un intenso periodo di festività ebraiche, i due fenomeni andarono insieme. Come potete vedere, si è verificato un diretto legame tra un evento nel Medio Oriente e una forte ondata di violenza contro gli ebrei nell'Europa occidentale e, in misura inferiore, in Canada e negli Stati Uniti.
Gli eventi successivi e i motivi di tali eventi trovano, per usare una metafora, il loro fiammifero nel Medio Oriente e la legna da ardere principalmente in Europa. Gli islamisti e la sinistra hanno punti in comune tra loro: sono entrambi antiamericani e contrari alla globalizzazione, sono anticolonialisti - è in corso ora un'era postcoloniale in Europa - antirazzisti, antifascisti ed è stato facile per loro naturalmente colpire gli ebrei, considerandoli coloniali, razzisti e fascisti. Di questo fenomeno parlerò fra breve.
Dal 2001 si è registrato un nuovo aumento, ragion per cui nel 2002 e 2003 ci sono stati livelli più alti.
Nel settembre del 2001 si tenne la prima Conferenza di Durban, in Sudafrica, che ricorderete come la prima cosiddetta Conferenza contro il razzismo. Io vi ho partecipato; ho avuto non il piacere - si è trattato di una Conferenza molto difficile - ma l'onore di far parte della delegazione del Ministero degli esteri israeliano a Durban 1.
Sapete che, quando la Conferenza di Durban finì, l'8 settembre, tre giorni dopo ci fu l'11 settembre. Ovviamente, esso fu il frutto di una strategia di preparazione non elaborata nel giro di tre giorni, ma simbolicamente cade pochi giorni dopo la fine della Conferenza di Durban.
Da allora si registra un aumento di episodi antisemiti - si è verificato un picco nel 2004 - e devo dire che le elezioni in Francia nell'estate del 2004 hanno contribuito al verificarsi di molti di essi. La spiegazione era davanti a tutti: 6-7 milioni di musulmani rappresentano un bene elettorale, mentre una comunità di 600 mila ebrei non vale così tanto.
Il 2004 è stato un anno molto difficile. Si è verificato poi un calo quando Sarkozy era ministro dell'interno e operò un giro di vite in merito a questa situazione.
Nel 2005 e 2006 si registra un calo e poi vi è un nuovo aumento, con l'avvento di un nuovo fenomeno, l'islamofobia. A Durban 1, durante la Conferenza, il termine islamophobia, paura dei musulmani, era stato già citato e menzionato, ma eravamo prima dell'11 settembre.
Dopo tale data esso acquisì una connotazione molto più forte, divenne più diffuso e venne utilizzato parallelamente agli episodi di antisemitismo. Si tratta di un fenomeno interessante perché gli islamisti sono contrari agli ebrei, eppure, quando si registra un aumento degli episodi di islamofobia, abbiamo visto che anche gli episodi di antisemitismo sono aumentati. Questo avviene ancora una volta perché gli islamofobi sono contrari a chiunque non faccia parte della loro società e ritengono davvero che le società debbano essere omogenee. Lo saprete meglio di me.
Tale desiderio di omogeneità non è appannaggio solo dell'estrema destra. Molte persone comuni, che non hanno un impegno politico o un'identità politica, ritengono che il loro Paese sia stato loro quasi sottratto. Ci sono nuove persone, con nuovi legami e nuove abitudini.
I sondaggi d'opinione in Svizzera mostrano che l'opinione pubblica, quindi né l'amministrazione né il Governo, è disturbata dalla presenza di tanti musulmani nella sua vita.
Il numero più alto di episodi, come potete vedere, si è registrato nel gennaio del 2009, soprattutto durante l'operazione Piombo fuso.
Voglio concludere con alcune indicazioni. Nel gennaio del 2009 il numero di episodi è raddoppiato, ha subìto un'impennata rispetto all'anno prima, con casi violenti in tutto il mondo. Le manifestazioni di protesta iniziarono alcune ore dopo l'avvio dell'operazione, il che significa che in questo caso non si trattava di Israele che aveva fatto qualcosa e della reazione all'azione di Israele. Poche ore dopo l'inizio dell'operazione non si può avere ancora un'idea di dove si voglia andare a parare.
Tutto fu, dunque, ben preparato prima. In un secondo momento commissioni e conferenze, organizzate sia da islamisti sia da forze della sinistra, provarono che tutto era stato preparato. Uscirono allora slogan, nelle manifestazioni di protesta in Brasile, in altri posti e anche in Italia. Lo slogan principale fu che il Governo italiano sosteneva Israele e aveva buone relazioni con Israele e con gli Stati Uniti e, quindi, doveva essere condannato. Questi erano gli slogan delle manifestazioni in Italia.
Questa ondata fu, quindi, ben preparata e dimostrò chiare tendenze politiche. Le manifestazioni seguirono un tema che sarebbe poi diventato centrale, legato all'Olocausto, per cui i palestinesi, non più gli ebrei, vennero considerate le vittime ultime di tutto. I palestinesi venivano presentati
come vittime degli israeliani, che sostengono gli ebrei. Come nel caso dei nazisti, gli israeliani divennero il male. Ancora una volta si è verificata una connessione diretta tra gli eventi nel Medio Oriente e gli episodi contro gli stranieri e le altre minoranze in tutto il mondo.
Vorrei concludere la mia presentazione con tre suggerimenti.
Alle manifestazioni di protesta si vedono giovani che portano in giro striscioni. La maggior parte di essi non ha una conoscenza della storia del sionismo e del Medio Oriente. Questi ragazzi non sanno nulla della storia del popolo ebraico. Hanno ricevuto un simbolo facile per identificare il male e lo seguono, ma non hanno capacità di analisi, né un'opinione personale.
Il mio suggerimento sarebbe quello di aumentare l'istruzione, l'educazione di questi giovani. Occorre una più approfondita conoscenza della storia. Non voglio dire che questi argomenti debbano essere spiegati in modo più approfondito di quelli relativi all'Unione Sovietica o agli Stati Uniti, ma sono comunque fondamentali per capire meglio gli eventi contemporanei.
Abbiamo visto che l'Italia gode di un'ottima forma. Questo Comitato, che sta conducendo un'indagine conoscitiva nell'ambito dell'impegno internazionale, può avere un peso nell'incitare l'azione di altre personalità importanti, come il presidente della Repubblica o il vostro ministro degli esteri, che hanno sempre tenuto ottimi discorsi. Voi, anche nella persona del vostro presidente, potete esercitare un'influenza su altri organi parlamentari in altre sedi e in altri posti.
Vorrei pregarvi di ricordare che in Israele e tra gli ebrei, al di fuori dell'Italia, l'Italia e il Vaticano sono un'unica entità. Anche se qui sono due entità separate, l'Italia e il Vaticano sono considerati come un'unica entità e i problemi col Vaticano hanno il loro impatto anche sull'atteggiamento nei confronti dell'Italia stessa.
Vorrei concludere ringraziando ancora una volta tutti gli organizzatori, in particolare Fiamma Nirenstein, per il grandioso evento «La Verità» da lei organizzato, che ha avuto una vasta eco.
PRESIDENTE. Ringrazio la professoressa Porat per la relazione estremamente circostanziata e importante che ha svolto. Non rubo un attimo in più, ma voglio ricordare che eravamo insieme a Durban. Ci incontravamo nei corridoi anche con Margherita Boniver. In quella infelice circostanza tutte e tre, ciascuna a suo modo, eravamo stravolte e impaurite intellettualmente da quella manifestazione, che infatti era il prodromo dell'11 di settembre. Fu esattamente la scritta sul muro che l'11 settembre si stava avvicinando.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
PAOLO CORSINI. Innanzitutto voglio ringraziare la nostra ospite per la chiarezza dell'esposizione, dalla quale credo di aver guadagnato alcune categorie che mi sembrano particolarmente utili per la comprensione del fenomeno dell'antisemitismo, sia in relazione alle tipologie che ha definito, sia in rapporto alla sua contestualizzazione storica nell'ultimo quindicennio.
Pongo tre domande. La prima scaturisce semplicemente da una mia non comprensione iniziale. Nella sua esposizione la professoressa ha fatto un riferimento alla sinistra italiana che mi è sfuggito. L'ha richiamata anche alla fine, ma mentre ho capito il riferimento finale e, peraltro, condivido il giudizio che viene espresso, mi è sfuggito il riferimento iniziale.
Le altre due domande, invece, sono di natura più direttamente sostanziale. Non c'è dubbio che nell'ambito della tipologia del nuovo antisemitismo che la professoressa ha definito ci sia anche un rapporto tra antisemitismo e antisionismo.
In relazione a questo tema vorrei porle due domande. Secondo lei qual è il rapporto che possiamo istituire tra la critica alle scelte politiche del Governo di Israele e l'antisemitismo? Esiste un limite non
valicabile, cioè tale critica può giungere fino a un dato limite e, se lo valica, diventare antisemitismo oppure no?
Nell'ambito sempre di questa richiesta di chiarimento delle sue valutazioni, che rapporto vede lei tra la vittimizzazione palestinese e l'antisemitismo?
RAFFAELE VOLPI. Mi associo in pieno alle domande poste dal collega Corsini. Esprimo anche le motivazioni e vorrei dare prima una spiegazione di partenza, che credo sia importante.
Questa è una Commissione parlamentare composta da membri che provengono sia dalla Commissione affari esteri, sia dalla Commissioni affari costituzionali della Camera dei deputati, i quali possono avere una visione anche differenziata dalle esperienze.
Personalmente, vengo dalla Commissione affari costituzionali e, quindi, ho un quadro decisamente meno articolato rispetto ai colleghi della Commissione affari esteri rispetto ad alcune situazioni.
Credo che i dati, quando sono raccolti, possano essere letti in molti modi e correlati in molte maniere: si possono aggregare, disaggregare e collegare a seconda di come si vuole presentare una situazione.
Il collega Corsini è stato molto diplomatico, come è nella sua natura. Io lo sarò di meno, perché ho l'interesse di capire veramente quali siano i problemi dell'antisemitismo, specialmente in Italia.
Vi sono alcune correlazioni a eventi e situazioni che in Italia non corrispondono al dato generale che lei ha presentato. Non c'è dubbio che ci siano condizioni diverse rispetto alla riproposizione dei numeri che lei ha illustrato e ad alcune tensioni, giuste o sbagliate, di determinate situazioni rispetto al dato collegato all'antisemitismo.
Mi sembra, peraltro, che la sua relazione, aspetto che io non condivido, sia stata tutta incentrata sul collegamento fra antisemitismo e antisionismo. Non che io non lo condivida in senso generale - concordo con lei, invece, nell'ultima parte della sua proposta - ma abbiamo già anche puntualizzato in questo Comitato alcuni passaggi che slegano la conoscenza rispetto alla propaganda. Vi è molto antisemitismo senza che vi sia nemmeno la conoscenza dell'antisionismo, specialmente nelle nuove generazioni.
Visto che noi nutriamo una preoccupazione legata ai dati, che riguarda in particolar modo le nuove generazioni, ciò mi lascia sicuramente preoccupato nel guardare la prospettiva e un po' meno legandola a un presunto antisionismo che dovrebbe essere presente nel nostro Paese.
Trovo la prima domanda posta dall'onorevole Corsini assolutamente adeguata. Ho letto anch'io uno strano collegamento con la sinistra italiana, che assolutamente non trovo e che non condividerei come affermazione. Mi rivolgo anche ai colleghi. All'inizio dell'intervento - l'ha chiesto anche Corsini - almeno a me è stato dato capire che ci fosse quasi un animo recondito di antisionismo in alcune parti della nostra sinistra. Forse abbiamo sbagliato in due a capire, nel qual caso, meglio così.
Vengo all'ultima domanda che le pongo, sempre collegata a una di quelle poste dall'onorevole Corsini. Lei ha citato il collegamento a eventi internazionali importantissimi, che poi possono portare a una reazione di un determinato tipo da parte, per esempio, dei musulmani. Quanto, invece, gli eventi interni di quell'area sono incidenti rispetto a reazioni che poi si vedono all'esterno?
Mi creda, non sono filo-palestinese e non lo sono mai stato, come non sono filo-israeliano. Un anno fa ho visto in televisione, riproposti due o tre volte, i filmati di un checkpoint organizzato in una delle aree ovviamente calde e pericolose del confine israeliano. Sono rimasto stupito da come non si vedevano tolleranza, diritti umani né un dato tipo di forma di rapporto e di integrazione fra i militari che presiedevano al checkpoint e i palestinesi. Credo che le spiegazioni ad alcune reazioni che si verificano all'esterno a volte debbano ricercarsi anche all'interno.
ENRICO PIANETTA. Anch'io voglio ringraziare la professoressa. Mi ha colpito
il fatto che abbia particolarmente sottolineato la questione di una miscela di violenza contro chi è diverso, per essere sintetico, e quindi anche contro chi è immigrato e contro gli ebrei.
L'aspetto più preoccupante è la conclusione, ossia che i giovani manifestano, ma non hanno una conoscenza precisa della storia. Non conoscono, per esempio, nulla, secondo la professoressa, della storia del popolo ebraico.
Bisogna, quindi, giustamente informare e le scuole devono svolgere una funzione. Tutto ciò, però, ci preoccupa ancora di più; se non c'è una conoscenza specifica o una causa specifica che si possa puntualizzare e combattere attraverso una corrispondente informazione specifica, allora abbiamo di fronte un magma di non conoscenza che forse ci deve preoccupare ancora di più. Questa è la domanda.
FURIO COLOMBO. Vorrei ringraziare la professoressa Porat, il cui intervento è stato chiaro, limpido e completo. La sua presenza le dà anche l'occasione di vedere quanto il tipo di informazione che circola e il tipo di media che nutre l'informazione italiana deformino la percezione persino nelle persone di buona volontà che lei trova intorno a questo tavolo e in questa Comitato.
Quanto all'osservazione giustissima dell'onorevole Pianetta sulla preoccupazione a proposito dei giovani, vorrei però rilevare che l'antisemitismo è sempre stato frutto del non sapere deliberato, seminato e deformato in modo da impedire che passasse l'informazione. Qualunque corretta informazione nei secoli avrebbe impedito la nascita stessa dell'antisemitismo. L'antisemitismo è, dunque, non sapere oppure ispirarsi alle informazioni generiche, capziose e tendenziose che i media distribuiscono a proposito anche del conflitto alle frontiere di Israele.
Siamo qui nell'ambito dell'azione del Comitato di indagine sull'antisemitismo presieduto da Fiamma Nirenstein, che ha fatto un gran bene alla Commissione affari esteri, è stata utilissima e dovrebbe diventare un programma di scuola, di università, di discussione pubblica, di dibattito e nella quale insieme con lei constatiamo quante anomalie di informazione, di percezione e di comunicazione esistano e siano esse stesse causa della formazione dell'antisemitismo.
Su questo tema ho una segnalazione che può essere interessante. Presto sarà tradotto e so che è già in traduzione anche in Israele un libro importante. Uno scrittore italiano, Umberto Eco, sta per pubblicare uno dei suoi grandi libri, dedicato completamente al come nasce - lo esamina soprattutto in forma narrativa, ma con documenti tutti veri - l'antisemitismo.
È già in traduzione e a Francoforte è stato comprato da un major publisher in Israele, nonché da altri trenta editori del mondo. Sono 700 pagine di racconto vero, anche se romanzato, dove ogni personaggio, ogni frase, come precisa l'introduzione del libro, e ogni documento che nel libro appaiono cervellottici, assurdi, folli e inventati sono, invece, tratti dalla storia e non dal romanzo, come lo sono le illustrazioni che compaiono nel libro e che risalgono agli ultimi tre secoli.
Se non altro, questo elemento ci incoraggia a sapere che se l'antisemitismo è così forte, diffuso e vitale, perché è capace di rinnovarsi continuamente, per fortuna lo è anche la lotta all'antisemitismo. Grazie davvero per essere stata con noi.
PRESIDENTE. Do la parola alla nostra ospite per la replica.
DINA PORAT, Direttrice dello Stephen Roth Institute per lo studio dell'antisemitismo contemporaneo e del razzismo dell'Università di Tel Aviv. Innanzitutto grazie per le numerose domande che mi avete rivolto, le quali dimostrano che abbiamo un terreno comune che nutre i nostri interessi e le nostre relazioni.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Corsini in merito al rapporto tra le critiche a Israele e l'antisemitismo e se esista un limite, la nostra squadra, che è molto grande, si è occupata di questa questione e ha riflettuto sull'eventuale esistenza di un limite. Siamo giunti a una
conclusione adottata a livello internazionale. Ho portato del materiale su una definizione internazionale dell'antisemitismo, che non è né ebraica né made in Israel. È stata, invece, il risultato di una collaborazione comune di molti, guidata però dall'Unione Europea.
L'Unione europea, dopo la Conferenza di Berlino del 2004 - ricorderete che il 2004 è stato, come ho ricordato, un anno molto difficile - decise di pervenire a una definizione definitiva, che riassumo così: fintanto che la critica delle politiche di Israele coincida con la critica di un determinato episodio o di una determinata politica in un determinato momento, essa è una legittima critica alla politica di un qualunque Paese. Quando, però, tale critica utilizza espressioni antisemite, che si sa essere tali, e non riguarda specificamente il momento contingente, ma generalizza su Israele e sugli ebrei, non è più critica, ma utilizzo di termini antisemiti per muovere una critica.
Esiste, quindi, una definizione data dall'UE e adottata a Cordova nel 2005 dall'OSCE, l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che conta 55 Stati partecipanti e non i 27 Stati membri dell'UE.
Tale definizione specifica espressamente che i movimenti antisionisti diventano antisemiti quando negano al popolo ebraico quello stesso diritto all'autodeterminazione che viene poi concesso a una qualunque isola del Pacifico, quando applicano due pesi e due misure pretendendo da Israele e dal popolo ebraico comportamenti che non vengono richiesti a nessun altro Paese democratico, quando utilizzano i simboli e le immagini associati all'antisemitismo classico e tracciano confronti tra la politica contemporanea di Israele e quella dei nazisti. Questi confronti sono antisemitismo.
Questo è antisemitismo contemporaneo, il che mi riporta all'altra domanda che mi è stata rivolta e che tocca un punto importante anche per la comunità ebraica in Italia e per qualunque altra comunità, e cioè il fatto di ritenere tutti gli ebrei responsabili delle azioni compiute dallo Stato di Israele. Le comunità ebraiche all'estero non sono responsabili delle politiche di Israele. Sono comunità ebraiche, composte cioè da cittadini dell'Italia, della Francia o di qualunque altro Paese, ed è un gesto di ostilità nei loro confronti sostenere che i loro membri non sono buoni cittadini o che non sono primariamente cittadini italiani, ad esempio, quanto piuttosto cittadini di Israele. Questa è la mia risposta alla Sua domanda.
Rispondo anche a un'altra delle domande che mi sono state poste. Mi è stato chiesto del legame tra la vittimizzazione dei palestinesi e l'antisemitismo.
La questione è diventata incontrollabile e Israele è diventato il centro degli eventi nel mondo. Non ci sono più la Cecenia, il Darfur, il Kashmir, il conflitto indo-pakistano. Non ci sono altri conflitti nel mondo, come in Kenya o in Congo, che abbiano avuto lo stesso numero di vittime. Ci sono soltanto israeliani e palestinesi, che sono diventati il centro della concentrazione generale.
In questo ambito Israele è diventato il simbolo del male e i palestinesi il simbolo della sofferenza. Vorrei sottolineare la questione, se posso, con terminologia cristiana. A seguito dell'Olocausto gli ebrei sono stati le vittime; sono stati torturati, sapete com'è andata la storia. Non è andata avanti così per molto tempo.
Negli ultimi due decenni la tendenza, soprattutto nell'opinione pubblica, non tanto a livello di governi o di pubbliche amministrazioni, è stata quella di sostenere che gli ebrei non sono la vittima vera, ma che ci sono vittime ovunque. Esistono molte altre vittime nel mondo, omosessuali, rom e via elencando, e soprattutto adesso i palestinesi, che hanno subìto torti da parte degli israeliani. Proprio per l'ignoranza di cui avete parlato e che affligge tutti, nessuno sembra pensare alla possibilità di giungere a un accordo e a una soluzione. È sempre Israele dalla parte del torto e, quindi, gli eventi sono diventati incontrollabili e Israele è sempre stato al centro di tutto.
Una volta che i palestinesi sono diventati vittime agli occhi dell'opinione pubblica,
quelli che vittimizzano sono diventati i cattivi e il simbolo del male, proprio come i nazisti nel passato. Per questo motivo la vittimizzazione dei palestinesi causa l'antisemitismo. Come abbiamo affermato, le caratteristiche degli ebrei sono state attribuite allo Stato di Israele.
Non mi sono concentrata sul problema della sinistra. Ho fatto riferimento alla sinistra in generale, alla sinistra britannica. La sinistra oggi è difficile da definire; non è più quella degli anni Settanta e Ottanta, che era più forte e diversa. In Gran Bretagna, per esempio, e, un po' meno, in Francia, all'interno delle università, nei campus americani, esiste una tendenza a essere contrari all'amministrazione, al Governo e a provare simpatia per i palestinesi e, quindi, a considerare eroi coloro che combattono per i diritti e contro i soprusi nei confronti delle minoranze.
Lei ha anche chiesto in che misura le reazioni e gli eventi locali siano influenzati da quelli internazionali, perché ho parlato del quadro internazionale. Oggi siamo tutti un piccolo Paese; tutti sostengono che il mondo è diventato un villaggio globale. Il salvataggio di un minatore in Cile provoca gioia in tutto il mondo e quanto accaduto in Cecenia stamattina è noto a tutti. I media nutrono le nostre opinioni e le alimentano e, quindi, non esiste più una nazionalità locale chiusa all'interno della quale si concentri una determinata reazione.
Sono d'accordo con lei: le culture, le tradizioni, le abitudini e le religioni locali hanno un impatto. Lei ha ragione, ma dobbiamo considerare che viviamo tutti in un villaggio globale, in cui in un minuto si riesce a sapere tutto e, quindi, si è fortemente influenzati nel giro di poco tempo.
Che cosa si può fare contro l'ignoranza? Lei ha parlato dell'antisemitismo come del prodotto dell'ignoranza sempre e in ogni caso. Ciò non riguarda solo l'antisemitismo: molte nostre opinioni sulle altre minoranze sono influenzate dall'ignoranza. Quanto sappiamo sugli altri? Quanto tempo abbiamo per condurre ricerche e formarci un'opinione solida sui rom, sugli irlandesi o sui tedeschi? Siamo nutriti e alimentati da quanto ci propongono i media e oggi questo vale ancora di più.
Un professore in Israele affermò che con la modernità e la tecnologia pensiamo di avere più conoscenza e di essere meglio equipaggiati per formarci opinioni solide in ogni ambito, ma sbagliamo, abbiamo torto, perché questa inondazione di informazioni è talmente travolgente che non la si regge. Si accende il computer, ci sono Twitter o Facebook e si può trascorrere un'intera giornata navigando senza concludere nulla. Si continua, quindi, a non avere l'informazione solita che si cercava all'inizio. Più tecnologie e più informazioni ci sono, meno solide sono le nostre opinioni, come asseriva un compianto professore israeliano.
In relazione alle vostre osservazioni, ho apprezzato tutte le domande, anche quelle delle persone in disaccordo con me. Vorrei riassumere affermando che stiamo cercando di definire l'essenza dell'antisemitismo e degli atteggiamenti nei confronti delle altre minoranze. Che cosa sappiamo oggi sull'islamismo? Che cosa sapevamo fino a due o tre anni fa? Adesso stiamo cercando di saperne di più e continuiamo la nostra vita.
L'essenza è data dalla discrepanza tra il vero ebreo, il vero altro, e l'immagine dell'ebreo o dell'altro. L'immagine è alimentata da simboli, da timori, dalle necessità politiche, dalle tradizioni, dalla religione, da strati di paura e di invidia, ma il vero ebreo, il vero altro sono diversi.
Vi riporto un episodio banale. Due ebrei siedono in metropolitana a New York. Uno legge un giornale ebraico e l'altro un giornale neonazista. Quello che legge il giornale ebraico dice: «Perché leggi questo giornale in pubblico? Non ti vergogni? Un ebreo che legge un simile giornale!» e l'altro risponde: «Leggi il tuo giornale stamattina: l'economia versa in cattive acque, Israele sta male, gli ebrei stanno male. Nel giornale neonazista si legge, invece, che abbiamo tutto, che stiamo benissimo, che abbiamo i new
media e le nuove tecnologie. Io vado al lavoro e preferisco leggere questo, perché mi sento meglio».
A volte si vorrebbe che la propaganda antisemita avesse un fondamento di verità, perché allora gli ebrei controllerebbero i media!
PRESIDENTE. So che emergono via via altre considerazioni. Può intervenire l'onorevole D'Antona.
OLGA D'ANTONA. Rivolgo molto brevemente un ringraziamento particolare alla professoressa Porat per il suo lavoro, che ci ha comunicato e raccontato in modo chiaro, puntuale ed esplicito.
Mi preme svolgere una piccola puntualizzazione. Esiste una comunità ebraica importante in Italia, in modo particolare a Roma, la cui presenza viene percepita in modo non proporzionale ai suoi numeri effettivi, e non intendo in senso negativo. Viene, cioè, percepita come molto più numerosa di quanto in realtà non sia proprio per la sua presenza, da un lato, culturale e, dall'altro, perché si tratta di italiani, romani, che ormai sono nostri compagni di vita. Non vengono percepiti dai più come diversi, pur avendo una loro cultura, una loro identità e una loro comunità.
Mi premeva puntualizzare un aspetto. Quando la professoressa parla di antisemitismo nella sinistra, forse dovrebbe tenere presente che le manifestazioni di antisemitismo in Italia non vengono dalla sinistra riformista, ma da frange estremiste minoritarie. Credo che sia importante segnalare questo punto, perché la situazione in Italia forse si differenzia un po' dalle altre situazioni europee in questo senso.
Si tratta di frange, prevalentemente giovanili, estremiste e minoritarie, che identificano - gli altri colleghi l'hanno espresso in modo chiaro - con la vittimizzazione della Palestina i palestinesi come i poveri. Israele viene, invece, percepito come il Paese ricco e aggressivo. In realtà non si rendono conto che Israele è un Paese che vive circondato da una costante minaccia e che non è interessato a combattere una guerra, ma a vivere e ad avere la sua casa.
Rinnovo il ringraziamento e chiudo, perché il tempo è limitato. Credo che questo incontro sia stato molto utile soprattutto per il lavoro che svolgeremo in futuro.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti, soprattutto la professoressa Porat. È stata una seduta veramente molto «nutriente», che ci ha portato molti dati nuovi e interpretazioni su cui avremo modo di continuare a riflettere.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 12,25.