Sulla pubblicità dei lavori:
Bongiorno Giulia, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1741 RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GESTIONE DELLE CRISI AZIENDALI
Audizione del professore Stefano Ambrosini, ordinario di diritto commerciale, nonché dei rappresentanti di Confindustria, della Banca d'Italia e dell'Associazione nazionale magistrati:
Bongiorno Giulia, Presidente ... 3 5 8 9 10 11 14
16 18 19
Ambrosini Stefano, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale ... 3 9 11
Bianco Magda, Titolare della divisione economia e diritto della Banca d'Italia ... 11 16
Ferranti Donatella (PD) ... 8 9 14 15
Follegot Fulvio (LNP) ... 9
Kraus Daniel, Vicedirettore generale di Confindustria ... 5 10
Marcucci Monica, Rappresentante del servizio consulenza legale della Banca d'Italia ... 12 14
Miccio Fabio, Componente dell'Associazione nazionale magistrati ... 18
Palamara Luca, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 16 18
Rossomando Anna (PD) ... 14
Vico Ludovico (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11,35.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto, se non vi sono obiezioni, che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame del disegno di legge C. 1741, recante disposizioni in materia di gestione delle crisi aziendali, l'audizione del professore Stefano Ambrosini, ordinario di diritto commerciale, nonché dei rappresentanti di Confindustria, della Banca d'Italia e dell'Associazione nazionale magistrati.
Innanzitutto, vorrei ringraziare il professor Stefano Ambrosini per aver accolto il nostro invito e segnalargli le modalità organizzative dei nostri incontri. Sarebbe auspicabile che lei svolgesse una relazione introduttiva sui temi oggetto della nostra indagine di una decina di minuti circa, in merito alle sue posizioni e in base anche alla sua esperienza personale. Sappiamo infatti che lei è particolarmente esperto in questa materia. Successivamente potrà rispondere alle eventuali richieste di approfondimento dei nostri commissari..
Do quindi il benvenuto ai rappresentanti di Confindustria, che stanno ora facendo ingresso nell'aula della Commissione: il dottor Daniel Kraus, vice direttore generale; la dottoressa Patrizia La Monica, direttore rapporti istituzionali; il dottor Marco Ravazzolo dell'area affari legislativi e la dottoressa Anna Candeloro del settore comunicazione e stampa.
Inoltre, ricordo che sarà redatto il resoconto stenografico dell'intera audizione odierna.
Do ora la parola al professor Ambrosini.
STEFANO AMBROSINI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale. Presidente, lei ha cortesemente alluso alla mia esperienza. In effetti, sto svolgendo il ruolo di commissario straordinario di una serie di società, principalmente la Bertone che abbiamo venduto alla FIAT l'estate scorsa, con l'intero salvataggio dei 1.200 posti di lavoro, come prevede il contratto firmato con Marchionne nell'agosto scorso e poi il consorzio Asa.
Ho la ventura di essere anche il legale di una quindicina di amministrazioni straordinarie e, da ultimo, ho avuto il privilegio di essere stato inserito nel cosiddetto «Comitato di saggi» - presunti saggi nel mio caso - scelti dal Ministro dello sviluppo economico e coordinati dal professor Maffei Alberti, che è il decano della nostra materia, del diritto fallimentare.
Prima di citare dai dati empirici, che possono forse offrire un qualche contributo di riflessione, vorrei svolgere una piccolissima analisi sinottica del disegno di legge nella sua presentazione, l'atto Camera 1741 così come formulato e le proposte emendative che abbiamo formulato noi.
Mi pare infatti che il punto nodale sia la questione del ruolo dell'autorità giudiziaria.
Sappiamo bene che vi sono forti resistenze - basti pensare al parere negativo reso dal CSM - sul ridimensionamento del ruolo dell'autorità giudiziaria nella gestione delle grandi imprese in crisi. In effetti, l'atto camera, come formulato, contiene a nostro avviso un possibile profilo di illegittimità costituzionale, perché individua, quale provvedimento iniziale della procedura, il decreto di ammissione alla medesima da parte del ministro.
Chiaramente, non è possibile prescindere da un provvedimento giudiziale, vuoi di accertamento della sussistenza delle soglie per l'ammissione alla procedura, vuoi sullo stato di insolvenza, pena una sorta di esproprio in via amministrativa. Questo il motivo per cui abbiamo previsto che ciò sia possibile solo nel caso in cui l'impresa stessa lo chieda - una sorta di ficta confessio dello stato di insolvenza - e il tribunale verifichi la sussistenza dello stato di insolvenza stesso e i requisiti per l'ammissione alla procedura.
A nostro avviso, quindi, in questo modo sono salvaguardate le garanzie anche costituzionalmente presidiate.
Un altro aspetto criticato ab externo è quello del superamento della cosiddetta «struttura bifasica». Oggi abbiamo una fase giudiziale a cui segue, quasi sempre, il passaggio a una fase amministrativa, sotto l'egida dell'autorità vigilante che è appunto il Ministero dello sviluppo economico.
Sulla carta, quella del 1999 era una buona legge. Nell'esperienza pratica, tuttavia, la doppia fase è oggettivamente foriera di inefficienze, perché il tribunale ci mette del tempo, talora troppo, a trovare l'occasione per esaminare la conversione dalla fase giudiziale a quella amministrativa. A tutto questo, segue poi il passaggio alla firma del ministro, che notoriamente non è cosa breve. Quindi, l'idea cardine è quella di eliminare la struttura bifasica, passando direttamente, omisso medio, all'amministrazione straordinaria. L'esperienza ci conforta in questa impostazione.
Particolarmente significativa, a mio avviso, è la decisione di consentire anche all'imprenditore stesso di presentare un proprio piano di risanamento e ristrutturazione. Allo stesso modo, è particolarmente opportuna l'eliminazione della bipartizione tra il programma di cessione delle aziende e quello di ristrutturazione. Sto empiricamente constatando la validità di tale discorso nella vicenda Mariella Burani, di cui mi occupo su incarico del tribunale di Milano.
A mio modo di vedere, nel nostro articolato vi è anche una congrua previsione, in ordine alle azioni revocatorie fallimentari. Come è noto, si tratta di un tema comprensibilmente caro agli stakeholder interessati; banche e Confindustria soprattutto. Noi abbiamo previsto che non sia possibile esperire l'azione revocatoria, a meno che il programma non preveda la restituzione dell'impresa all'imprenditore insolvente. Abbiamo assunto tale decisione, in considerazione di tutta la tematica del divieto di aiuti di Stato. Quindi, se è previsto che l'imprenditore rientri in possesso della propria impresa, la revocatoria costituirebbe uno strumento distorsivo della concorrenza.
È stata inoltre accolta la mia proposta di prevedere una congrua riduzione del periodo sospetto dell'azione revocatoria, relativamente ai cosiddetti atti intercompany, cioè compiuti nei confronti delle imprese del medesimo gruppo.
Siccome mi restano tre o quattro minuti, con il consenso della presidente, vorrei fare un accenno al discorso penale. Pur non essendo assolutamente un esperto in materia, nutro personalmente il timore che l'aver agganciato il vagone del penale al treno della riforma delle grandi imprese in crisi, in una eterogenesi dei fini, possa in realtà tradursi in una zavorra. A mio
avviso, quindi, sarebbe molto opportuna la riscrittura della disciplina penale. Non v'è alcun dubbio.
Mi domando sommessamente - ma non è un tema di mia appartenenza - se ciò non sia più di ostacolo che di aiuto al percorso della parte civilistica nella riforma sull'amministrazione straordinaria. In altri termini, dal mio personale angolo visuale, vedo difficoltosa una riforma di più ampio respiro. Al tempo stesso, però, considero indefettibile un intervento su alcune fattispecie penali che comporti soprattutto l'inapplicabilità delle norme sulla bancarotta nei casi di accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani di risanamento attestato. In altri termini, ogni qualvolta l'imprenditore si proponga il risanamento, in un perimetro, in un contesto di sicurezza e di garanzie per tutti i soggetti coinvolti, non si può poi pensare di applicare la norma - parlo davvero ad esperti e dunque sono in imbarazzo - della bancarotta semplice sull'aggravamento del dissesto, di cui all'articolo 217, n. 4; e neppure, a
fortiori, le fattispecie sulla bancarotta fraudolenta.
Chiudo con un caveat. A mio avviso, è da valutare con attenzione l'inapplicabilità delle norme penali, segnatamente quelle sulla bancarotta, alla fattispecie del concordato preventivo. Da più parti, infatti, si invoca anche il superamento della sanzione penale nel caso di imprese ammesse al concordato preventivo.
Avendo scritto tre libri su tale tema, potrei tediare la Commissione in maniera intollerabile, pertanto mi limito a dire che a mio avviso è opportuno un intervento, anche sul versante penale, in tema di concordato preventivo, con alcune doverose eccezioni: allorquando il concordato venga revocato per atti di frode, articolo 173 legge fallimentare, e allorquando il concordato venga risolto o dichiarato annullato dal tribunale, articoli 185-186 della medesima legge fallimentare.
PRESIDENTE. Vista l'importanza dei contributi che oggi ci vengono offerti, invito i commissari a preparare delle domande da porre ai nostri ospiti.
Do la parola al dottor Daniel Kraus, vice direttore generale di Confindustria.
DANIEL KRAUS, Vicedirettore generale di Confindustria. Desideriamo ringraziare il presidente e i membri della Commissione per averci dato l'occasione di essere ascoltati nella seduta odierna.
La regolamentazione delle crisi di impresa è stata oggetto, negli ultimi anni, di alcuni interventi importanti di riforma che sicuramente l'hanno avvicinata ai Paesi più evoluti. La riforma del 2006 ha adottato una nuova concezione della crisi di impresa che vede nell'insolvenza, e nella conseguente uscita dell'impresa dal mercato, un evento fisiologico del ciclo vitale dell'industria.
Il processo naturale di evoluzione, infatti, conosce una fase di nascita di nuove imprese e una di consolidamento, con il realizzarsi dei processi di aggregazione, nonché l'uscita di alcune imprese dal mercato.
In quest'ottica, il legislatore della riforma ha approntato meccanismi di liquidazione sicuramente più rapidi ed efficaci per consentire alle imprese insolventi, che non presentano prospettive di mercato e di recupero della redditività, di uscire rapidamente dal mercato stesso e ai creditori, nel contempo, di massimizzare la soddisfazione dei propri crediti. Tutto ciò ha anche eliminato le sanzioni personali sul fallito.
Se da un lato sono stati valorizzati i meccanismi di liquidazione più rapidi ed è stata abbandonata l'ottica punitiva del fallimento; dall'altro, la riforma ha introdotto strumenti negoziali per favorire il risanamento delle imprese che versano in situazioni di crisi irreversibili. Sono stati così disciplinati alcuni istituti che giudichiamo innovativi, come gli accordi di ristrutturazione e i piani di risanamento attestati. Inoltre, è stata profondamente modificata la disciplina del concordato preventivo.
Confindustria dà una valutazione molto positiva a tali riforme, alle quali tuttavia non hanno fatto seguito interventi organici di revisione della disciplina dell'amministrazione straordinaria, interessata invece,
nel corso degli anni, da provvedimenti specifici adottati per gestire alcuni grandi dissesti e reati fallimentari.
Le mancate riforme dunque hanno determinato forti asimmetrie tra i principi innovativi che imperano nel nuovo sistema fallimentare e le discipline citate che sicuramente vanno corrette.
La riforma della disciplina dell'amministrazione straordinaria e la modernizzazione delle norme sui reati fallimentari sono quindi interventi assolutamente indifferibili e il disegno di legge 1741 rappresenta, a nostro giudizio, un'iniziativa determinante che va portata a compimento.
La disciplina dell'amministrazione straordinaria, come detto, è stata oggetto di diversi interventi nel corso degli ultimi anni che hanno interessato alcuni aspetti specifici: i parametri di accesso, le misure applicabili, il potere del commissario e ancora altro. A seguito di tali interventi, la procedura è diventata molto articolata e diversamente strutturata a seconda delle dimensioni delle imprese e della dimensione delle crisi.
Tale disciplina va invece semplificata, come previsto dallo stesso disegno di legge, all'esame e ricondotta ad unità, prevedendo una regolamentazione omogenea e di carattere eccezionale, per i grandi dissesti che abbiano un impatto sociale di particolare rilevanza.
L'amministrazione straordinaria deve, infatti, essere configurata quale rimedio di carattere eccezionale, applicabile esclusivamente a quei grandi dissesti che destino un grave allarme sociale e il cui risanamento, quando sia possibile, richiede competenze e strumenti particolari che le procedure concorsuali non consentono di utilizzare: l'intervento dell'amministrazione, operazioni straordinarie e quant'altro.
Ricordo anche che la natura del posizionamento dell'impresa sul mercato è dato essenziale. Quindi, non può essere considerata solo la rilevanza sociale, ma bisogna anche esaminare quante quote di mercato l'impresa ha sui mercati; nella fattispecie quello europeo, perché parliamo del mercato interno.
Questa concezione dell'amministrazione straordinaria come rimedio eccezionale è quindi residuale e tanto più giustificata alla luce della nuova imposizione della legge fallimentare.
Infatti, mentre la disciplina fallimentare del 1942 non consentiva di tutelare tutti gli interessi che ruotavano intorno alle crisi delle grandi imprese (salvaguarda della produttività delle grandi imprese, degli indotti, tutela dei creditori e dei livelli occupazionali); con la riforma del 2006, la procedura fallimentare ha fatto propri alcuni principi caratterizzanti dell'amministrazione straordinaria, ovvero la valorizzazione delle possibilità di risanamento, la massimizzazione della tutela dei creditori, la salvaguardia dei livelli occupazionali. In questo modo, nella gran parte dei casi, viene meno l'esigenza di assoggettare tale crisi ad una procedura straordinaria rispetto a quelle disciplinate dalla legge fallimentare.
L'applicazione dell'amministrazione straordinaria deve inoltre essere limitata alle sole ipotesi in cui il grande complesso produttivo presenti serie e concrete prospettive di risanamento e di recupero.
In caso contrario, a nostro giudizio, non sussistono ragioni per sottrarre tale crisi alle regole dettate per la liquidazione fallimentare, la cui nuova disciplina consente ormai - come abbiamo visto - l'utilizzo di tecniche moderne e idonee a valorizzare i complessi e i beni aziendali oggetto di liquidazione.
La nuova amministrazione straordinaria dovrà quindi trovare applicazione a situazioni che presentino specifiche criticità da un punto di vista dell'impatto sociale e particolare rilevanza, in considerazione della necessità di risanamento e conservazione dei grandi complessi produttivi. In questi casi, le potenzialità e gli strumenti utilizzabili dovranno essere ampliati anche al fine di riconoscere una maggiore discrezionalità agli organi della procedura.
Gli attuali criteri di delega, previsti nell'articolo 4 del disegno di legge, non sembrano, tuttavia, in grado di realizzare appieno tali finalità. Tali criteri, infatti,
oltre a presentare alcuni profili di criticità, che andrebbero sicuramente corretti, dovrebbero essere integrati con alcuni ulteriori principi.
In primo luogo, le misure previste non delineano con esattezza il perimetro per l'applicazione delle nuove disposizioni, in modo che essi siano rivolti solo ai grandi dissesti che ingenerano esigenze e richiedono valutazioni diverse da quelle prese in considerazione dalla legge fallimentare.
A questo scopo è quindi necessario rivedere e unificare le soglie dimensionali di ammissibilità che dovranno tener conto dell'eccezionalità delle procedure. Le nuove soglie potrebbero continuare a fare riferimento al numero dei lavoratori occupati e all'indebitamento, così come oggi previsto, ma anche a un criterio aggiuntivo relativo al volume di affari, quale ulteriore indice rivelatore della pluralità degli interessi che ruotano intorno alle imprese in crisi.
Il disegno di legge non prevede poi strumenti di risanamento adatti alle situazioni straordinarie, quale l'insolvenza di un gruppo di imprese che, invece, dovrebbero caratterizzare la procedura di amministrazione straordinaria rispetto ad altre procedure concorsuali. Occorre, quindi, prevedere meccanismi che consentano il contestuale accesso alla procedura di tutte le imprese insolventi del gruppo, sulla base di un unico piano industriale di risanamento che preveda anche la possibilità di realizzare operazioni straordinarie, quali ad esempio fusioni, scissioni, scorpori, costituzione di newco e trasferimenti infragruppo, finalizzati al riequilibrio finanziario, concessioni di garanzia, finanziamenti, cessioni di crediti, accolli e quant'altro.
L'attuale disciplina consente invece la sola estensione della procedura alle altre imprese di gruppo, sulla base di distinti piani di risanamento.
Inoltre, sebbene il disegno di legge confermi la tradizionale natura mista della procedura giurisdizionale e amministrativa, i principi di delega non appaiono idonei ad assicurare il giusto equilibrio tra i poteri dei giudici e i poteri dell'amministrazione. L'equilibrio tra tali esigenze va realizzato affidando alle autorità giudiziarie tutte le valutazioni di legittimità e legalità che riguardano la procedura, compresa quella relativa alla sua apertura e all'autorità amministrativa, tutte le valutazioni di carattere economico gestionale, funzionali al programma di risanamento.
Va poi certamente modificata la disciplina delle azione revocatorie, allineandole alle nuove previsioni della legge fallimentare, rendendola così meno penalizzante per le imprese. L'esercizio delle revocatorie fallimentari va peraltro limitato alle sole ipotesi di risanamento mediante liquidazione, al fine di evitare un ingiustificato arricchimento dell'imprenditore sottoposto alla procedura in caso di attuazione di un programma di risanamento senza liquidazione. In questi casi, la dichiarazione di inefficacia degli atti posti in essere dall'imprenditore andrebbe unicamente ad incrementare il suo patrimonio, senza alcun vantaggio per i suoi creditori e con indubbi riflessi negativi sul piano della concorrenza e della parità di trattamento tra imprenditori e tra imprese.
Tra i criteri di delega andrebbe infine introdotta una disciplina che sottragga dalle azioni revocatorie e dalle responsabilità penali l'immissione di nuova finanza, come il caso dei finanziamenti ponte, nella fase che precede l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria in presenza di adeguate garanzie, ad esempio attestazioni, predisposizione di un progetto di Piano industriale e preliminare e quant'altro.
A nostro giudizio, l'immissione di nuova finanza molto spesso altro non è che l'anticipazione dell'entrata di nuovi attori, tra cui anche importanti banche d'affari internazionali che, attraverso la finanza ponte, garantiscono successivamente l'acquisto e il subentro nell'azienda.
Si tratta infatti di operazioni che, come dimostrato dalle recenti esperienze, consentono all'impresa di evitare un aggravamento del dissesto nella pendenza dei termini necessari per la dichiarazione dello stato di insolvenza e l'ammissione alla procedura. Anche la revisione dei reati fallimentari richiede un coordinamento
con nuovi precetti civilistici della legge riformata, al fine di garantire la corrispondenza di tali reati con la reale pericolosità e offensività delle condotte penalmente rilevanti.
Confindustria da tempo ha sottolineato la necessità e l'urgenza di una loro revisione per eliminare le divergenze tra la disciplina civilistica, improntata ad un approccio più attento all'esigenza di una moderna economia di mercato, e quella penale, fondata su una visione ormai superata del fallimento.
L'esigenza di una riforma in materia si è manifestata anche per ragioni di carattere pratico. La mancata regolamentazione dei profili penali ha reso più difficoltosa la diffusione e l'utilizzo dei nuovi strumenti di composizione negoziale della crisi, ovvero gli accordi di ristrutturazione e i piani attestati di risanamento.
L'utilizzo di questi strumenti, allo stato attuale, continua a non esentare i partecipanti all'accordo dall'applicazione di sanzioni penali, nell'ipotesi di insuccesso del piano e successiva dichiarazione di fallimento. Si pensi alle ipotesi di bancarotta preferenziale nei casi di pagamenti effettuati a favore di creditori aderenti all'accordo, ovvero la diversa fattispecie di ricorso abusivo al credito. Quanto ai creditori partecipanti all'accordo, non è remoto il rischio di vedersi colpiti, a titolo di concorso, per i reati compiuti dal debitore dichiarato fallito.
In considerazione della rilevanza che i nuovi istituti di gestione della crisi di impresa sono determinati ad assolvere, si giudica pertanto non più rinviabile un intervento che, ferma restando l'esigenza di assicurare un'adeguata deterrenza e che quindi non faccia venir meno i presidi a ciò necessari, contempli una precisa e moderna regolamentazione dei profili penali, in linea con i principi applicati dalla disciplina civilistica.
Presidente, abbiamo descritto la nostra posizione su tutti gli articoli del testo. Lasceremo tale documentazione scritta agli atti delle Commissioni.
PRESIDENTE. Grazie, metteremo subito in distribuzione il documento per i commissari.
Do la parola ai deputati che vogliano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
LUDOVICO VICO. Vorrei chiedere al professor Ambrosini quale sia la sua opinione in ordine al c.d. decreto-incentivi che è in discussione attualmente alla Camera. In tale decreto, che arriverà in Aula oggi pomeriggio, all'articolo 3, comma 3, si prevede l'estensione della legge Marzano alle società di riscossione dei tributi locali. Qual è la sua valutazione in proposito?
PRESIDENTE. Non sembra possibile porre tale quesito, perché riguarda un provvedimento diverso da quello che oggi è in discussione.
LUDOVICO VICO. La domanda non verte su un altro provvedimento, ma sulla ammissibilità dell'estensione della legge Marzano alle società di riscossione dei tributi locali. Non intendo ovviamente chiedere l'opinione del professore sul provvedimento nel suo complesso, come è ovvio.
PRESIDENTE. Quindi, lei non chiede al professore di esprimere un giudizio sul decreto incentivi. È consapevole che è un tipo di richiesta che inerisce a questo provvedimento.
LUDOVICO VICO. Chiedo anche di conoscere l'opinione del professore sulla vicenda Eutelia-Agile per la quale vi è stata la dichiarazione di insolvenza alcuni giorni fa. Nel contempo, inoltre, in base alla legislazione vigente non si è potuto accedere all'amministrazione straordinaria.
DONATELLA FERRANTI. Quando sono arrivata, il professor Ambrosini stava specificando la questione riguardante la fase giurisdizionale e stava esponendo la sua proposta per evitare profili di illegittimità costituzionale della procedura, in quanto nella delega si dice che si dà l'avvio
con il decreto del ministro. Ebbene, vorrei sapere se è possibile chiarire meglio la sua posizione su tale questione, almeno per me che sono arrivata a metà della sua interlocuzione.
Inoltre, vorrei sapere, anche alla luce delle audizioni che abbiamo tenuto in precedenza, se non ritiene necessario stabilire criteri selettivi di accesso alla procedura, in maniera che non siano soltanto quantitativi e di dimensioni, ma magari, come è stato suggerito nell'intervento del professor Fabiani, anche per settori produttivi, quali quelli dell'energia, della difesa, dei servizi pubblici e via dicendo.
Un ulteriore elemento che è emerso nelle riflessione - non so se lei ne abbia parlato o meno nel suo intervento - riguarda il fatto che l'apertura della legittimazione sembra spettare solo all'imprenditore e non sia delineato un ruolo dei creditori.
FULVIO FOLLEGOT. Intanto, ringrazio gli intervenuti anche per la chiarezza con cui hanno esposto il loro pensiero.
Vorrei porre una domanda al professor Ambrosini. Ovviamente, in dieci minuti è difficile parlare di tutto. Egli ha toccato i temi principali. Tuttavia, a noi interessano anche le conseguenze di questi tipi di scelte. In particolare, volevo capire in quale fase e in quale maniera sarebbe possibile far intervenire nelle procedure l'indotto, e soprattutto i lavoratori dipendenti.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
STEFANO AMBROSINI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale. Comincerei a fornire le mie risposte, partendo da un tema cruciale per il loro lavoro, ossia quello del rischio di genericità della delega. In effetti, ci siamo interrogati - chi vi parla più di altri - su questo rischio. Il nostro articolato stabilisce espressamente che siano individuati requisiti di ammissione alla procedura compatibili con la sua natura e le relative finalità, ivi compresa la continuazione dell'attività di impresa. Quindi, effettivamente, questa proposta di legge delega non prevede l'enucleazione di requisiti dimensionali.
Ricordo che neppure la legge delega di riforma organica della legge fallimentare del 2006 prevedeva in punto, ex articolo 1, alcunché di preciso ed analitico, se non l'enunciazione del dichiarato intento deflattivo del legislatore: diminuire il numero di fallimenti, e quindi il carico giudiziario.
A mio modo di vedere, per scongiurare - in maniera definitiva, mi auguro - il rischio di genericità della delega, si potrebbe prevedere quanto meno il congruo abbassamento delle soglie stabilite dalla legge Marzano, la n. 39 del 2004, che alludono, come è noto, al numero dei dipendenti e all'entità dell'esposizione debitoria. Se invece si volesse addivenire a una prescrizione più approfondita, si potrebbe dettagliare il numero di dipendenti, le dimensioni dell'esposizione debitoria, o anche il volume d'affari che indubbiamente costituisce un indice rilevante.
Non dobbiamo dimenticarci che si tratta di una legge delega, e quindi non è possibile andare a sindacare queste proposte di legge, proponendo, per esempio, di eliminare il ruolo del tribunale.
Riporto un esempio in merito che, a mio modo di vedere, è paradigmatico. Vale a dire che non è in alcun modo toccato dalla proposta della legge delega il principio sancito dall'articolo 69. Vale a dire che il tribunale, in qualunque momento, può convertire l'amministrazione straordinaria in fallimento. Quindi, c'è la riappropriazione di ruoli e funzioni dell'autorità giudiziaria...
DONATELLA FERRANTI. Il tribunale non può farlo d'ufficio...
STEFANO AMBROSINI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale. L'articolo 69 costituisce una deroga, essendo lex specialis, quindi abbiamo il tema lex posterior generalis non derogat legi priori speciali.
Sull'opzione generale della preferenza per le procedure concorsuali giudiziarie o amministrative, segnalo che la ratio dei nostri lavori, che poi è quella applicata dalla legge Prodi del 1979 in poi, è la tutela dei complessi produttivi e la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Infatti, non è vero che le procedure concorsuali giudiziarie danno gli stessi strumenti. Non li danno in termini di ammortizzatori. Penso alla cassa integrazione e al periodo di fruizione e penso soprattutto - tema che spesso si dimentica, equiparando il concordato preventivo all'amministrazione straordinaria - al mantenimento, per almeno due anni, dei livelli occupazionali da parte dell'acquirente. In altre parole, il cessionario dell'azienda che la compri da un commissario straordinario è obbligato per legge a mantenere alle proprie dipendenze gli stessi lavoratori per almeno due anni.
Quanto al discorso sollevato in precedenza circa l'iniziativa dell'imprenditore stesso, quindi, del diretto interessato, ciò - non me ne vogliano - non è vero oggi, ai sensi dell'articolo 3, primo comma, della Prodi-bis che recita testualmente: «su ricorso dell'imprenditore, di uno o più creditori, del pubblico ministero, ovvero d'ufficio, il tribunale dichiara lo stato di insolvenza». Inoltre, questo non è vero neppure ai sensi del nostro articolato che reca espressamente: «nelle ipotesi in cui l'istanza di ammissione provenga da terzi».
A nostro avviso, per armonia sistematica, andrebbe espunto il riferimento alla declaratoria di ufficio; mentre dubbia è l'opportunità di conservare o meno il ruolo del pubblico ministero che, secondo alcuni di noi, sarebbe bene non eliminare.
Quanto alla domanda sulle società di riscossione, che effettivamente esula in parte dal contenuto dell'articolato, ma è in qualche modo ad esso collegato sul piano tematico, osservo che ciò prescinde dalla singola qualificazione dell'ente, nel senso che il perimetro soggettivo è costituito da imprese commerciali non piccole, tendenzialmente grandi, e private. Per gli enti pubblici, infatti, la procedura non è l'amministrazione straordinaria, bensì la liquidazione coatta amministrativa, articoli 194 e seguenti della legge fallimentare.
Quindi, il problema è piuttosto di qualificazione giuridica della fattispecie. Se si reputa che si tratti di un ente pubblico, questo deve andare in liquidazione coatta; se si considera la società di riscossione alla stregua di una «ordinaria» impresa commerciale, non vi è dubbio che anche questa tipologia di impresa ricada nell'ambito applicativo delle procedure concorsuali, ivi compresa l'amministrazione straordinaria.
Infine, con riferimento all'indotto, vi è già una previsione contenuta nella legge Marzano. Si può effettivamente valutare - ma forse, mi permetto di dire, questo è un tema più di decreto legislativo delegato che non di legge delega - se mutuare il principio contenuto nel comma 3, dell'articolo 3, della Marzano, il quale qualifica come imprese partecipate quelle che intrattengono, in via sostanzialmente esclusiva, i cosiddetti time contracts, rapporti contrattuali con l'impresa sottoposta alle procedure previste dal presente decreto per la fornitura di servizi necessari allo svolgimento dell'attività; comma introdotto dal decreto Alitalia.
PRESIDENTE. Faccio presente ai commissari che è in distribuzione anche la relazione consegnata dai rappresentanti di Confindustria.
DANIEL KRAUS, Vicedirettore generale di Confindustria. Vorrei svolgere essenzialmente due osservazioni. La prima riguarda l'ipotesi secondo la quale i settori strategici dovevano avere un trattamento non dico privilegiato, ma differenziato. In merito, esprimerei assoluta contrarietà e ne spiego i motivi. Troppo spesso, nel nostro Paese, abbiamo visto che i settori strategici vengono completamente e continuamente ridefiniti, salvo diventare contenitori universali. Oggi, il settore dell'energia può essere considerato strategico. Tuttavia, nel settore delle energie alternative opera una pluralità di attori tale per cui non è possibile affermare che le aziende siano strategiche.
Allo stesso modo, ho notato che nel caso dell'applicazione del regime prefallimentare per l'Antonio Merloni di Fabriano era stata presentata la giustificazione dell'eccezionalità, della strategicità dell'impresa.
Tuttavia, il mercato degli elettrodomestici bianchi in Italia è contraddistinto da una sovracapacità produttiva pari al 40 per cento della produzione, quindi non esiste nulla di strategico. Quello che fornisce un'impresa che deve chiudere lo possono produrre altre imprese. Quindi, la nozione della strategicità non ha applicazione.
In altri Paesi, solo il settore della difesa è considerato strategico, perché in questo campo intervengono conoscenze e accordi internazionali in sede NATO che rendono determinante la partecipazione di imprese italiane ai grandi programmi cosiddetti multi-country di difesa. In questi ambiti, tuttavia, non si è mai verificato alcun caso di insolvenza o di crisi di settore.
STEFANO AMBROSINI, Professore ordinario di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale. Presidente, mi sono dimenticato effettivamente di rispondere a una sollecitazione. Prendo solo mezzo minuto, affinché la mia considerazione rimanga a verbale. A mio avviso, la differenziazione della disciplina, sulla base di settori economico-produttivi, appare in controtendenza con l'ambizione di una riforma organica delle grandi crisi che unifichi, e non disarticoli ulteriormente, le varie discipline.
PRESIDENTE. Mi scuso sempre quando vi chiedo di essere sintetici, ma il ciclo di audizioni deve proseguire. Vi ringrazio davvero per la vostra disponibilità, la capacità di sintesi e anche per la chiarezza espositiva.
Do la parola ai rappresentati della Banca d'Italia, con i quali desidero scusarmi a nome delle Commissioni per il ritardo, dovuto a una dilatazione dei tempi della precedente audizione.
Rispetto alla nostra organizzazione dei lavori, vorrei fare presente che sarebbe utile, al fine di consentire ai commissari di intervenire successivamente, che l'intervento introduttivo fosse contenuto nei limiti di dieci minuti. Ciò consentirebbe di porvi successivamente richieste di chiarimento e di formulare eventuali osservazioni. Faccio presente ai commissari che è stato depositato dai rappresentanti della Banca d'Italia un documento - tra l'altro particolarmente consistente - che è a disposizione per gli opportuni approfondimenti. Intanto, ringrazio per la presenza la dottoressa Magda Bianco, l'avvocato Monica Marcucci, il dottor Daniele Sabatini, la dottoressa Paola Ansuini e il dottor Francesco Garrone.
MAGDA BIANCO, Titolare della divisione economia e diritto della Banca d'Italia. Ringraziamo innanzitutto le Commissioni per averci dato questa opportunità. Riteniamo che sia molto importante procedere rapidamente per portare a termine, almeno affrontando la parte principale dei nodi che mancano, la riforma del diritto fallimentare. Le osservazioni che faremo in questa sede e che sintetizzeremo si trovano nel testo scritto da noi predisposto. Tra l'altro, se non vi sono obiezioni, chiediamo che tale documento venga anche pubblicato sul sito della Banca d'Italia.
Le osservazioni che vorremmo sintetizzare adesso riguardano solo alcuni punti che riteniamo centrali. In primo luogo, crediamo che sia importante sottolineare la rilevanza di un buon diritto fallimentare, in generale, per la competitività di un sistema, nel favorire la riallocazione delle risorse, quando necessario. Questo discorso vale in particolare in un sistema produttivo come il nostro che, nell'ultimo decennio, ha mostrato gravi difficoltà, quindi probabilmente ha bisogno di meccanismi di riorganizzazione, di riallocazione delle risorse più flessibili e più fluidi. Ovviamente, il tema è ancora più rilevante, in questa fase di crisi generalizzata e anche in una prospettiva di uscita dalla stessa.
I dati che stiamo osservando in modo continuativo servono a noi analisti sia come indicatori per esaminare l'evoluzione della crisi, ma anche per provare a valutare concretamente, attraverso un'analisi
empirica, i risultati della riforma, evidenziano alcuni aspetti che ci sembrano interessanti in questo contesto.
Negli ultimi anni, abbiamo avuto una crescita dei fallimenti, purtroppo. In realtà, tuttavia, vi è stata una crescita ancora più forte dell'uso dei concordati preventivi.
Ovviamente, qualunque analisi non può essere che preliminare a questo stadio, perché la riforma è piuttosto recente. Quello che evidenziamo, però, sulla base di questi primi dati, è che i concordati cominciano a durare meno rispetto al passato. Quindi, vi è un primo segnale di efficacia di questo strumento.
Abbiamo qualche indicatore sull'efficacia dei meccanismi di ristrutturazione. Osserviamo, ad esempio, che solo il 30 per cento delle imprese entrate in una procedura di concordato si trovano ancora sul mercato nei due anni successivi. D'altra parte, tuttavia, quasi l'80 per cento delle imprese che riescono a chiudere un concordato, nei due anni successivi è ancora viva e sul mercato.
Questi sono elementi di valutazione che stiamo approfondendo e che richiedono ulteriori analisi, ma ci aiutano a comprendere meglio come si sta comportando questa riforma nel contesto della struttura produttiva italiana.
Riteniamo che l'efficacia delle procedure potrebbe essere accresciuta con alcuni aggiustamenti della disciplina generale. Ad esempio - nel testo ci sono più dettagli -, penso all'esigenza di predisporre il piano di ristrutturazione con tempi che non siano necessariamente quelli previsti ora dalla disciplina; alla possibilità di accedere a nuova finanza, in qualche modo tutelata, nella fase di negoziazione e di predisposizione del piano, nel caso delle procedure stragiudiziali; al tener conto della struttura di gruppo anche per tutte le imprese, non solo per le grandissime, considerato che la nostra struttura produttiva è caratterizzata da una grande diffusione del fenomeno gruppo.
Considerato tutto ciò, a nostro avviso, è ormai possibile inquadrare la ragione d'essere, la funzione economica attuale dell'amministrazione straordinaria. È uno strumento che ha sicuramente svolto un ruolo rilevante in un contesto passato di disciplina fallimentare nel complesso poco efficiente, poco efficace, poco orientata alla ristrutturazione e non attenta alla struttura di gruppo.
I dati ci raccontano una storia di procedure fallimentari che duravano oltre sette anni e che consentivano il recupero dei crediti intorno al 6 per cento e che quindi erano procedure molto inefficienti. Parliamo di un passato di scarsa disponibilità di meccanismi di ammortizzatori sociali efficaci, quindi di uno strumento che ha consentito la gestione di imprese con rilevanti esternalità, quasi sistemiche, per certi versi evitando altre forme - potenzialmente peggiori, se vogliamo - di salvataggio a tutti i costi delle imprese stesse, con dei meccanismi che nel tempo hanno mostrato affinamenti e miglioramenti nell'efficacia.
Il nostro parere è che questa ragione d'essere oggi possa essere ridimensionata, anche in modo significativo, se riteniamo, sia in linea di principio, sia verificandolo nei fatti, che la nuova disciplina sia effettivamente più efficace ed efficiente, non solo per le piccole, ma anche per le grandi imprese, tenendo conto che essa stessa è stata in parte mutuata dalla disciplina dell'amministrazione straordinaria; se affrontiamo alcuni nodi scoperti mancanti ed eventualmente se completiamo un quadro di ammortizzatori sociali che oggi per le grandi imprese è piuttosto ricco e forse già abbastanza adeguato.
Tenuto conto di un contesto in cui la disciplina dovrebbe essere riservata a casi che riteniamo essenzialmente residuali, si possono svolgere delle osservazioni puntuali che limitiamo solo ad alcuni punti principali di cui si occuperà l'avvocato Monica Marcucci.
MONICA MARCUCCI, Rappresentante del servizio consulenza legale della Banca d'Italia. Dopo aver definito le linee di contesto attuali, possiamo individuare alcuni elementi che, secondo noi, sono particolarmente rilevanti in una valutazione
del disegno di legge delega che tenga conto del ruolo, ormai tendenzialmente residuale, dell'istituto.
Il primo elemento che ci sembra opportuno segnalare riguarda i requisiti soggettivi per l'accesso alla procedura. A questo riguardo, il disegno di legge delega non dà indicazioni specifiche. A noi sembra invece che sia un elemento assolutamente qualificante di un intervento di riforma, in quanto è quello che delimita l'estensione dell'istituto rispetto alla normativa fallimentare generale.
Se pensiamo in particolare alla situazione italiana, è chiaro che è molto importante il requisito più selettivo per l'accesso alla procedura delle imprese. Un requisito ragguagliato ai 500 dipendenti, ad esempio, probabilmente non ha un'efficacia molto selettiva.
Dai dati disponibili, risulterebbe che una platea di 1.300 imprese sarebbe astrattamente legittimata ad avvalersi della procedura di amministrazione straordinaria. Parliamo di una platea che, tra l'altro, si amplierebbe ulteriormente, ove il requisito dimensionale fosse ragguagliato, come è consentito dalla legge, all'impresa considerata come gruppo.
Il secondo aspetto che a noi sembra ugualmente rilevante è quello della scelta del ruolo da attribuire all'autorità amministrativa, rispetto a quello dell'autorità giudiziaria. Forse è il caso di chiedersi se sia effettivamente necessario sottrarre al tribunale, in via generalizzata, la decisione sull'avvio della procedura e se non vi siano dei meccanismi che consentano ugualmente quell'imprescindibile necessità di un intervento efficace e tempestivo, fin dalle prime battute, e un adeguato raccordo con l'autorità amministrativa.
L'altro profilo rilevante è quello del ruolo dei creditori che, al di là di criteri generali, ci sembra non emergere adeguatamente nel testo del disegno di legge delega. Il ruolo attuale è ancora molto residuale ed è comprensibile propendere per un arretramento della tutela degli interessi del ceto creditorio, in nome della salvaguardia di interessi pubblici preminenti, ma forse sarebbe più equilibrato un sistema che riconoscesse ai creditori un ruolo, nei casi in cui non si addiviene a un concordato, almeno in sede di predisposizione del piano, con maggiori poteri di controllo e un più pregnante ruolo consultivo.
In conclusione, consideriamo l'intervento assolutamente opportuno, anche se probabilmente è necessario fare una scelta chiara sin dall'inizio su alcuni nodi centrali.
Per quanto riguarda la parte penale, quella che si occupa di adeguare sostanzialmente l'apparato sanzionatorio penale alla riforma che ha riguardato gli istituti civilistici delle procedure concorsuali, l'intervento non solo è utile e importante, ma è anche urgente, visto che sono passati ormai quattro anni dall'entrata in vigore della legge e permane un quadro di estrema incertezza, sia sul perimetro delle condotte sanzionabili, sia per il rischio che certe condotte, rilevanti ai fini della risoluzione della crisi, non siano colpite adeguatamente.
A noi sembra che gli obiettivi principali che l'intervento debba perseguire in quest'ambito siano innanzitutto quello di non cedere, rispetto all'esigenza di razionalizzazione, ad un indebolimento dei presidi sanzionatori. Questi devono essere adeguati. Le pene devono essere adeguate non solo nell'entità, ma anche sul piano dell'enforcement.
Ciò detto, l'esigenza principale è comunque quella di colpire condotte realmente abusive, suscettibili di produrre un danno significativo per i creditori e, sotto altro aspetto, di coordinare, con la disciplina civilistica, condotte ormai valutate come legittime, rispetto a possibili rischi di responsabilità cui potrebbero andare incontro. Alcuni di questi obiettivi ci sembrano soddisfatti dall'attuale testo del disegno di delega.
Vi è una preoccupazione che vorremmo segnalare riguardo alla entità delle pene. Ci impensierisce il permanere di questa doppia forbice che lascia un margine forse troppo ampio al legislatore delegato, rispetto al quale non siamo in grado di valutare se vi siano rischi di svuotamento della tutela, in relazione all'incidenza delle regole
che riguardano la prescrizione. Quindi, vorremmo segnalare l'esigenza di assumere una scelta chiara su questo punto.
Un'ultima considerazione riguarda il coordinamento. Rispetto alle operazioni di finanziamento connesse ai piani di risanamento e agli accordi di ristrutturazione, il criterio inserito nell'ambito della disciplina della bancarotta preferenziale non ci sembra così univoco. Forse sarebbe più efficace una principio che stabilisse la non punibilità di condotte connesse a queste soluzioni stragiudiziali.
Altri aspetti sono approfonditi nel testo. Ad ogni modo, abbiamo in corso ulteriori valutazioni e siamo naturalmente a disposizione per chiarimenti.
PRESIDENTE. Su questi temi, tra l'altro, interverrà l'Associazione nazionale magistrati, che credo focalizzerà l'attenzione proprio sui profili penali. Volevo segnalare ai commissari che in realtà i rappresentanti della Banca d'Italia non hanno semplicemente portato una relazione, ma una vera e propria indagine conoscitiva sul riordino della legislazione in materia di gestione, con degli allegati particolarmente significativi per cui invito tutti ad approfondire la questione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ANNA ROSSOMANDO. Nel breve tempo che ci è concesso, chiederei che si tornasse un momento su quella che voi chiamate la nuova finanza, sulle imprese in crisi. Questo tema molto attuale riguarda le grandi imprese, ma soprattutto quelle medio-piccole. Mi piacerebbe, quindi, che si entrasse maggiormente nel dettaglio della questione.
Inoltre, vorrei sapere se avete indagato e investigato sul rapporto causa-effetti e difficoltà di gestione economica della situazione di crisi, con riferimento a comportamenti di zone grigie o di grave illiceità.
Mi spiego meglio. Ultimamente, con questa crisi dilagante e diffusa, ci troviamo a discutere, anche nell'Aula del Parlamento, di situazioni gravi di crisi che non nascono da un dissesto vero, ma da comportamenti caratterizzati da grave illiceità, perlomeno per come si palesano, e che causano delle situazioni gravissime, soprattutto per i livelli occupazionali, senza che siano nate da una crisi. Pertanto, vi chiedo ulteriori informazioni in proposito, considerando che avete menzionato voi questo aspetto, anche facendo riferimento a una preoccupazione circa una caduta di protezione. Nella scorsa audizione, che abbiamo tenuto nell'Aula della X Commissione, l'associazione Assonime ha posto l'accento sull'esigenza di una non eccessiva criminalizzazione di tutta la fase antecedente al fallimento che, come è noto, è caratterizzata dalla ricerca del reperimento di credito.
Inoltre, mi sembra molto interessante l'altro aspetto che avete toccato - vi chiedo di farvi un ulteriore cenno, in modo che se ci vengono in mente ulteriori domande possiamo porle oggi -, ossia quella che voi chiamate la disciplina specifica per la gestione delle crisi nell'ambito dei gruppi. Mi sembra che abbiate affermato le necessità di una gestione unitaria al fine di evitare una serie di inconvenienti.
DONATELLA FERRANTI. Vorrei porre una sola domanda. Tra gli elementi maggiormente caratterizzanti di questa ragionevole indicazione che risulta sulla delega vi è il diverso trattamento rispetto ai casi di amministrazione straordinaria e la sottoposizione al regime che vale per le imprese sottoposte a fallimento in base alle condotte distrattive. Fate menzione di questo argomento a pagina 15 della vostra relazione, ma vorrei che ci fosse un approfondimento più adeguato anche relativamente alla gravità del fatto.
PRESIDENTE. Do la parola ai rappresentanti della Banca d'Italia per la replica.
MONICA MARCUCCI, Rappresentante del servizio consulenza legale della Banca d'Italia. Mi sembra che il primo quesito sollevato riguardasse il problema della nuova finanza. La nostra valutazione in
merito è che la possibilità di afflusso di nuove risorse, che è un elemento fondamentale per il successo di ipotesi di ristrutturazione, non sia adeguatamente favorita dalla riforma così com'è ora congegnata. Questo vale anche rispetto alla stessa ipotesi di concordato, laddove non si consenta al debitore la possibilità di entrare nella procedura, e quindi di entrare in un regime di salvaguardia previsto dalla moratoria, senza aver già predisposto un piano.
La preoccupazione è rilevante anche rispetto alle ipotesi di ristrutturazione stragiudiziale, per le quali la possibilità di avere accesso alla nuova finanza è fondamentale. Quindi, anche rilevando istanze provenienti dalle imprese o dalle valutazioni che sono state compiute, ad esempio dall'Assonime e dall'Università di Firenze, attraverso anche l'elaborazione di linee guida e che comunque individuano come questo sia un nodo essenziale, perché siano espresse al meglio le potenzialità della riforma, ci è sembrato il caso di valutare se non sia opportuno stabilire un regime ed una procedura ad hoc proprio per la concessione di finanziamenti strettamente connessi all'utilizzo delle ipotesi di risoluzione stragiudiziale delle crisi.
Quindi, si potrebbe stabilire un regime che assicuri adeguati presidi a tutela degli interessi coinvolti, ma che consenta comunque di godere quanto meno dei benefici che derivano da una sospensione delle azioni esecutive e dalla limitazione dell'esercizio della revocatoria rispetto a queste operazioni di finanziamento.
È chiaro che il modello va strutturato e vanno chiariti i presidi, ma ci sembra che questo sia un punto veramente nodale, per poter migliorare effettivamente la performance di questa riforma.
Il discorso dei gruppi è collegato a quelli che abbiamo individuato come i nodi ancora mancanti della riforma. Innanzitutto, sul piano generale, ci sembra che effettivamente avere una conduzione ordinata e coordinata delle procedure, tenendo conto della struttura di gruppo solo per le grandissime imprese, sia poco giustificabile, posto che essa comunque comporta non solo una riduzione di costi, delle sinergie e la possibilità di considerare soluzioni più appropriate avendo riguardo all'impresa come unità economica.
D'altro canto, indicazioni forti in questo senso ci vengono anche dalle iniziative internazionali in corso. Tanto per citarne una, ricordo che vi è un'analisi molto approfondita, condotta dall'Uncitral, la Commissione che si occupa dell'armonizzazione del diritto in ambito internazionale, che dà delle indicazioni chiare sull'esigenza di pensare a procedure attivate congiuntamente dalle società appartenenti ad un unico gruppo, di rafforzare molto il coordinamento anche tra le autorità giudiziarie, fino ad arrivare all'ipotesi di comitati di creditori unitari nell'ambito di gruppi o comunque strumenti che assicurino un'adeguata cooperazione, nell'ambito della gestione della crisi.
Per quanto riguarda invece gli aspetti penali sul diverso trattamento sanzionatorio fra fallimenti e amministrazione straordinaria non ci è chiara la ratio del criterio che si prevede al riguardo nel disegno di legge delega, perché ci sembra che porti a lasciare impunite delle condotte che sono molto rilevanti.
È vero che si confina l'ipotesi a quelle che possono avvenire nel corso della procedura, però sappiamo che anche in costanza di risanamento possono essere molto lesive e molto gravi condotte distrattive perpetuate dall'imprenditore. Quindi, non si capisce questa esigenza di distinguere il trattamento sanzionatorio. Un'esigenza che forse si comprende rispetto al concordato, ma non rispetto a procedure che già partono dal presupposto di un accertato stato di insolvenza e per le quali comunque la via del risanamento è agevolata, in considerazione degli interessi pubblici preminenti.
DONATELLA FERRANTI. Chiederei una sintetica risposta alla domanda relativa alle zone grigie. Inoltre, vorrei sapere se abbiamo verificato l'esistenza di qualche effetto di comportamenti illeciti rispetto a situazioni di crisi determinate dal contesto esterno.
MAGDA BIANCO, Titolare della Divisione economia e diritto della Banca d'Italia. No, non l'abbiamo ancora verificato. È una delle azioni che intendiamo intraprendere. Non è facilissimo procedere nell'analisi quantitativa dei dati, perché non abbiamo dati diretti sul comportamento. Tuttavia, si possono costruire degli indicatori indiretti per esempio sull'evoluzione della situazione dell'impresa precedente alla crisi che consente di distinguere in parte gli effetti dell'ambiente o del settore, rispetto a comportamenti individuali della singola impresa che potrebbero fornire alcuni suggerimenti per distinguere le due fattispecie, i due casi.
Ad ogni modo, come dicevo, non abbiamo ancora elementi su questo.
PRESIDENTE. Nel ribadire l'importanza del contributo fornito dai rappresentanti della Banca d'Italia, invito i commissari ad approfondire la relazione che ci è stata consegnata.
Ringrazio quindi i rappresentanti dell'Associazione nazionale dei magistrati, che hanno fatto ingresso nell'aula della Commissione, e in particolare il presidente Luca Palamara, la dottoressa Anna Canepa, sostituto procuratore del tribunale di Genova e il dottor Fabio Miccio.
Nel darvi la parola, vi chiediamo una esposizione introduttiva nei limiti di dieci minuti, in modo tale da dare spazio alle eventuali domande dei commissari.
LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Ringraziamo le Commissioni II e X per l'invito a partecipare all'odierna audizione. Ci richiamiamo, innanzitutto, a un parere che la sesta commissione del Consiglio superiore della magistratura ha svolto sul disegno di legge in questione.
PRESIDENTE. Presidente, le faccio presente che nel corso delle precedenti audizioni - così magari ci dà un parere anche su questo - qualcuno ha sostenuto che non fosse molto opportuno inserire in questo tipo di provvedimento le sanzioni penali.
LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Infatti, mi limiterò solo ad evidenziare alcuni spunti di riflessione, svolgendo considerazioni di carattere tecnico e riservandoci poi di presentare un più approfondito elaborato scritto che l'associazione nazionale magistrati in breve tempo farà pervenire a lei, presidente, e a questa Commissione.
Il primo dato sul quale vorrei soffermarmi riguarda fondamentalmente l'unificazione delle procedure delle cosiddette leggi Prodi e Marzano e l'estensione del sistema di avvio della legge Marzano. In particolar modo, vorremmo evidenziare la significativa degiurisdizionalizzazione delle procedure di salvataggio delle grandi imprese in crisi. Proprio l'esperienza maturata da chi è stato chiamato a svolgere importanti attività nei famosi casi dei crack delle aziende Parmalat e Cirio, tra le altre, ha indicato la necessità che questa prima fase di verifica delle condizioni di ammissione alle segnalate procedure debba essere portata alla cognizione e alla valutazione del giudice.
In realtà, il provvedimento in questione segna sul punto una significativa inversione di tendenza, consistente nel sottrarre completamente al potere del giudice la verifica di questi provvedimenti e nell'evitare in questo modo che venga data pubblicità delle situazioni che si sono verificate, soprattutto con riferimento all'assenza di controlli che questa prima delicata fase può comportare. Parliamo dunque di un tema che va chiaramente ad evidenziare la problematica della riduzione dei poteri del giudice sulla materia in questione.
Anche la presenza dei colleghi oggi vuole sottolineare l'importanza di questo movimento di controllo. Seguendo gli standard che la giurisprudenza comunitaria offre sul punto, è bene tenere viva l'attenzione, soprattutto per evitare che la crisi dell'impresa venga metabolizzata in generale dal sistema economico, anziché avviare un vero e proprio percorso di risanamento dell'impresa stessa.
Sicuramente, un aspetto fortemente critico che in questa sede non posso non
rilevare è la previsione sugli articoli 96 e 97 del decreto legislativo n. 270 del 1999. Penso in particolar modo al grave vuoto di tutela penale, anche con riferimento ai processi in corso, che si verrebbe a verificare in virtù della non equiparazione della dichiarazione di insolvenza alla dichiarazione di fallimento, con riferimento agli effetti penali. Tutto questo, oltre a creare irragionevoli disparità di trattamento tra amministratori di piccole e medie imprese e amministratori di grandi imprese - gli uni puniti e gli altri no -, avrebbe sicuramente degli effetti nefasti sui procedimenti in corso. Chiaramente, infatti, in virtù dell'articolo 2 del codice penale, i processi già istruiti, già in corso di svolgimento, verrebbero immediatamente a cessare. Mi richiamo, tra tutti, a quelli di Parmalat e Cirio già pendenti al tribunale di Roma.
Abbiamo svolto tali considerazioni con riferimento alla prima parte del provvedimento, quello che riguarda l'unificazione delle procedure delle grandi imprese in crisi.
È ovvio che il provvedimento in questione contiene altre importanti disposizioni che riguardano più da vicino gli aspetti penali della disciplina dei reati fallimentari, in particolar modo dei reati di bancarotta.
Su questo punto, attese le numerose previsioni normative che vengono contenute nel provvedimento, mi limiterò ad una indicazione sicuramente non esaustiva delle principali problematiche esistenti. La prima tra tutte è quella della cosiddetta potenziale e sensibile riduzione della pena, prevista per la bancarotta fraudolenta, che potrebbe essere determinata nel minimo tra i due e i quattro anni e nel massimo tra gli otto e i dodici anni, incidendo sul sistema attuale che, come è noto, prevede una pena dai tre e ai dieci anni.
Giova sul punto rilevare come un così ampio margine di discrezionalità nella fissazione della pena, con un minimo che può addirittura essere raddoppiato dal legislatore delegato, da due a quattro anni, appare incoerente con le direttive, la medesima lettera i, n. 2 e 3, che invece contengono la delega entro un limite minimo e massimo già predeterminato, oltre che con riferimento all'articolo 67 della Costituzione.
Ulteriori aspetti problematici che in questa sede ci permettiamo di evidenziare riguardano in particolar modo l'eliminazione della fattispecie della bancarotta semplice documentale. Anche in questo caso, potrebbe verificarsi la non punibilità di condotte dell'imprenditore che comunque sono lesive di interessi coinvolti nel distretto.
Possiamo svolgere le medesime considerazioni con riferimento al ridimensionamento del diritto di bancarotta semplice e impropria, in relazione al quale, nella previsione della condotta consistente nel cagionare o aggravare il dissesto mediante condotte o operazioni manifestamente imprudenti o di pura sorte, si limiterebbe la punibilità ai casi commessi in danno solamente di società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffusi dal pubblico in materia rilevante.
Anche in questo caso, quindi, assisteremmo a una disparità di trattamento tra creditori di società quotate e creditori di società non quotate in borsa.
Ulteriori aspetti problematici, dalla lettura del testo del provvedimento, appaiono emergere con riferimento alle fattispecie penali, quali quella del ricorso abusivo del credito, di cui all'articolo 218 della legge fallimentare, così come con riferimento al reato di inosservanza degli obblighi da parte del fallito e del reato di esercizio abusivo dell'attività commerciale ed illecito amministrativo, di cui all'articolo 235 della legge fallimentare e di omessa trasmissione dei protesti cambiari.
Questi sono, in generale, gli aspetti problematici che abbiamo evidenziato. I profili di forte criticità riguardano fondamentalmente due punti: quello della riduzione dei poteri del giudice e quello della esclusione, ai fini penali appunto, della dichiarazione dello stato di insolvenza al reato di bancarotta.
Se per un verso queste situazioni incidono sull'ordinario svolgimento dell'attività del giudice fallimentare, chiamato in prima
battuta, con l'ausilio di professionisti, a valutare il margine di recupero dell'impresa, non possono non essere sottolineate anche con riferimento alle ripercussioni sul sistema economico, ma in generale sulla vita dell'impresa, oltre che sotto il profilo dello svolgimento dei procedimenti in corso con l'indicata esclusione.
Rimaniamo ovviamente a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento.
PRESIDENTE. Anche nelle precedenti sedute qualcuno degli auditi aveva evidenziato, come voi, l'esistenza di una serie di criticità relative alle norme di diritto penale, ma comunque auspicava una modifica di queste norme.
Quale è la vostra opinione in merito? Si tratta solo di criticità, oppure gli istituti vanno bene come sono delineati e non devono essere toccati?
LUCA PALAMARA, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Faccio riferimento al reato di bancarotta. Parliamo di reati fallimentari. Indubbiamente, questa materia richiederebbe una messa a regime della disciplina.
Nel 2005, abbiamo avuto un intervento che sicuramente, attraverso la previsione della dichiarazione del fallimento nei confronti di imprenditori che abbiano investito più di 300.000 euro nell'impresa, ha creato una diversità di situazioni.
Bisogna senza dubbio interagire su due presupposti: quello di un serio coordinamento tra l'attività del giudice delegato e fallimentare e quello dell'attività penalistica, ma soprattutto bisogna evitare un aspetto fondamentale, quello di favorire l'emersione degli aspetti di crisi. Occorre evitare che i danni delle imprese vengano pagati e scontati dalla collettività. Penso, soprattutto, all'unificare e disciplinare il reato di bancarotta preferenziale rispetto al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.
Indubbiamente, questo è un aspetto critico. Inoltre, occorre maggiormente specificare le problematiche che oggi, nello svolgimento dell'attività penalistica, si scontano sotto il profilo del reato di bancarotta documentale, in particolar modo con la duplice previsione del reato di bancarotta fraudolenta documentale e del reato di bancarotta semplice documentale.
Questo, sicuramente, è uno degli aspetti della normativa che andrebbe maggiormente sviluppato, al fine di creare, soprattutto quando si sono verificate non enormi passività, non enormi necessità di soddisfare i creditori, delle situazioni di diversità.
Sotto il profilo civilistico, il collega Fabio Miccio può evidenziare alcuni aspetti che possono riflettersi sulla questione in esame.
FABIO MICCIO, Componente dell'Associazione nazionale magistrati. Penso che si ponga l'esigenza - fortemente avvertita soprattutto nel mondo bancario e di riflesso nel mondo delle imprese - di un coordinamento della normativa penale fallimentare, con riferimento alla riforma dell'azione revocatoria fallimentare ai nuovi istituti del piano attestato degli accordi di ristrutturazione che sono stati introdotti.
In concreto, che cosa accade? Immaginiamo un'impresa in crisi, un'impresa che cerchi di realizzare un piano di risanamento con il concorso dei creditori e degli istituti di credito. Immaginiamo che un istituto di credito eroghi nuova finanza in occasione di questo piano di risanamento e che, in cambio, ottenga una garanzia su un bene dell'impresa in crisi. Immaginiamo, poi, che questo sforzo di risanamento non vada a buon fine e che l'impresa venga dichiarata fallita.
A quel punto, la preoccupazione della banca è che questo contributo, offerto al risanamento dell'impresa sotto forma di erogazione di nuova finanza e di concessione di garanzia, possa essere valutato dal giudice civile, in sede di azione revocatoria fallimentare e dal giudice penale in sede sub specie di reato di bancarotta preferenziale.
È intervenuto il Parlamento con una legge del 2005 e ha dato, attraverso lo strumento del piano attestato e degli accordi di ristrutturazione, un ombrello protettivo
con riferimento all'azione revocatoria fallimentare. Il punto è che non è stato scritto in nessuna norma che questa protezione civilistica, consistente nella non revocabilità dei pagamenti ottenuti dalla banca e delle garanzie concesse in esecuzione di un piano attestato di risanamento, valga anche sul piano penale.
Mi è capitato di partecipare a numerosi seminari e ho notato che questa è una preoccupazione che frena oggettivamente, in taluni casi almeno, la disponibilità degli istituti di credito alla partecipazione a piani di salvataggio.
Per quanto riguarda la parte civilistica sotto il profilo più tecnico, ossia la parte di riorganizzazione della disciplina sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, salutiamo con estremo favore il tentativo del Parlamento di realizzare un testo unificato. Oggi, ci sono varie normazioni stratificate che si collocano in sedi diverse. È giusto, quindi, il desiderio e lo sforzo di realizzare un testo unitario.
Nell'attuale disegno di legge ci sono, però, alcuni punti che necessitano di un chiarimento. Il primo è gia stato affrontato ed è il seguente: la dichiarazione di insolvenza resta in capo al tribunale o si immagina l'apertura di un'amministrazione straordinaria rimessa esclusivamente a un decreto del ministro delle attività produttive? Nel testo questo non si comprende. Noi pensiamo che non possa prescindersi da un passaggio, che può anche essere successivo alla messa in amministrazione straordinaria con decreto ministeriale, ma che avvenga in sede giurisdizionale e che accerti l'esistenza dei presupposti per l'ammissione, quindi i requisiti dimensionali e lo stato di insolvenza.
Vi è ancora un ulteriore aspetto estremamente delicato, un altro nodo che non è sciolto, almeno non sembra esserlo nel disegno di legge, ossia quello della legittimazione a proporre un'istanza di amministrazione straordinaria.
Abbiamo a che fare, infatti, con due modelli diversi. Il modello della legge Prodi consente non soltanto all'impresa, ma anche ai creditori e al pubblico ministero, di chiedere l'amministrazione straordinaria. Il modello Parmalat, ossia legge Marzano, consente invece alla sola impresa in crisi, o in stato di insolvenza, di chiedere l'amministrazione straordinaria. Quale modello scegliere? Pensiamo che la risposta possa derivare da una valutazione della natura degli interessi coinvolti in queste procedure.
In tali procedure, si tutela non tanto e non solo l'interesse dei creditori ad avere il maggiore soddisfacimento possibile del loro credito, quanto l'interesse generale alla continuazione dell'esercizio dell'attività di impresa e alla salvaguardia dei posti di lavoro.
Se l'interesse prioritariamente tutelato è generale, è forse preferibile che non sia rimessa alla sola iniziativa dell'impresa in crisi l'avvio di una procedura di questo genere.
Riporto un esempio concreto in merito. La procedura di amministrazione straordinaria di Eutelia che è stata da poche settimane aperta dal tribunale di Roma è stata avviata su ricorso dei lavoratori, ai quali si è poi aggiunto il pubblico ministero, in virtù della normativa di quella legge Prodi. Se la scelta del legislatore fosse quella di privilegiare l'assetto previsto dalla legge Marzano, modello Parmalat, una soluzione di questo genere non sarebbe stata possibile. Sarebbe stata solo l'impresa in crisi a poter valutare se esperire o meno questo tentativo. Questo è uno dei nodi più importanti che le Commissioni riunite e questo Parlamento dovranno sciogliere.
PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri ospiti per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.