Sulla pubblicità dei lavori:
Colombo Furio, Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA
Audizione del portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Laura Boldrini:
Colombo Furio, Presidente ... 2 7 10 12
Boldrini Laura, Portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ... 2 10 11
D'Amico Claudio (LNP) ... 8
Mecacci Matteo (PD) ... 7
Migliori Riccardo (PdL) ... 7
Pistelli Lapo (PD) ... 10
Touadi Jean Leonard (PD) ... 8
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,05.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione del portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Laura Boldrini.
Oggi abbiamo la presenza, che io considero, e spero che voi condividiate, una circostanza preziosa e fortunata, del portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Laura Boldrini, che desidero vivamente ringraziare anche a nome vostro.
La dottoressa Boldrini è accompagnata dalla dottoressa Micaela Malena.
Do la parola alla dottoressa Boldrini per lo svolgimento della relazione.
LAURA BOLDRINI, Portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Ringrazio il presidente e i deputati presenti per questo invito. Penso che questo sia un incontro importante per l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, proprio nell'ottica di far chiarezza su quanto sta avvenendo a livello umanitario, in particolar modo in Libia.
Di fatto nei media si parla molto della situazione in Libia, ma il focus è quasi tutto concentrato sulle attività militari. Ogni giorno sappiamo chi ha guadagnato terreno e chi l'ha perso. Stiamo familiarizzando con queste località, dove si svolgono le operazioni ma quasi sempre in termini militari.
Io vorrei portare la vostra attenzione, invece, sui termini umanitari. Noi siamo presenti ai confini della Libia e raccogliamo le testimonianze di chi fugge dal Paese. Queste testimonianze parlano sicuramente di una situazione molto difficile, di migliaia di persone in fuga all'interno del Paese, che hanno perso le loro abitazioni, che non hanno un posto dove ripararsi. Temiamo anche che ci siano persone intrappolate nelle zone dei combattimenti. È difficile, però, effettuare una stima di quante possano essere queste persone.
Sappiamo, però, che in alcune zone del Paese le reti di telefonia mobile sono inattive e questo crea molta ansia tra le persone, che non riescono più a contattare le famiglie. Sappiamo anche che la situazione del sistema sanitario è molto critica, perché molti medici e molti infermieri erano stranieri e, dunque, hanno lasciato la Libia. Sappiamo anche che scarseggiano le medicine e che i beni di prima necessità
al mercato hanno costi elevatissimi, il che causa un problema alla popolazione che ha bisogno di procacciarsi tali beni.
L'Alto Commissariato, come ricordavo, non è ancora potuto entrare in Libia. Siamo in attesa di avere un via libera da New York, dalla sede delle Nazioni Unite, perché quello della sicurezza è un tema che viene trattato a livello di Nazioni Unite e, dunque, stiamo attendendo l'autorizzazione almeno per l'entrata nella parte orientale del Paese.
Nel frattempo non stiamo a guardare. Abbiamo già inviato tre convogli umanitari nei giorni precedenti a Bengasi. Sono donazioni che abbiamo effettuato alla Mezzaluna rossa egiziana, che, a sua volta, ha consegnato questi aiuti alla Mezzaluna rossa libica. Oggi, mentre stiamo parlando, altri tre convogli stanno arrivando nella località di Bengasi, con lo stesso tipo di accordo, in cui la Mezzaluna rossa egiziana consegna alla Mezzaluna rossa libica.
È importante adesso soffermarci sul flusso in corso anche fuori dalla Libia. Come ricordavo prima, c'è un flusso interno difficile da quantizzare e le uniche evidenze che abbiamo sono basate sulle testimonianze. Conosciamo bene, invece, la portata del flusso dalla Libia verso i Paesi confinanti. Sappiamo che a oggi 440.000 persone hanno lasciato la Libia e sono fuggite principalmente verso la Tunisia e l'Egitto. In particolare, vi fornisco alcuni numeri: 218.000 persone si sono riversate in Tunisia e 174.000 in Egitto. Non finisce qui: 27.000 sono arrivate in Niger, 11.000 in Algeria, 4.800 in Ciad, 2.800 in Sudan.
Vediamo che la pressione principale è sulla Tunisia e sull'Egitto, che hanno i loro problemi interni, come ben sappiamo, ma che hanno voluto lasciare le loro frontiere aperte. È una decisione meritevole proprio perché questi due Paesi vivono una transizione molto delicata.
Ci sono stati giorni in cui alla frontiera con la Tunisia entravano 20.000 persone al giorno, che attraversavano il confine. Il ritmo adesso è diverso. Negli ultimi giorni è di circa 3.000 persone, sia verso la Tunisia, sia verso l'Egitto.
Negli ultimi tempi, lo sottolineo, sono arrivate molte più famiglie libiche e molte persone di competenza dell'Alto Commissariato. Parliamo di rifugiati già presenti in Libia, cioè somali, eritrei e sudanesi che erano già residenti in Libia.
Noi abbiamo subito avuto dalla parte dei due Governi, tunisino ed egiziano, la richiesta di intervenire. Il Governo tunisino ci ha immediatamente sollecitato e la nostra risposta è stata quella di mandare subito alcuni team di operatori umanitari alla frontiera e di avviare un ponte aereo, che ha portato sia in Egitto, sia in Tunisia, centinaia di tonnellate di aiuti umanitari.
Come ben sapete, a Ras Jehdir, una località in Tunisia a sette chilometri dalla frontiera, in collaborazione con le autorità tunisine, l'Alto Commissariato ha allestito un campo di transito per circa 15.000 persone.
È stata compiuta anche un'altra operazione molto importante. Insieme all'organismo internazionale per la migrazione e ad altri Governi abbiamo facilitato l'evacuazione umanitaria delle persone, dei lavoratori migranti che uscivano dalla Libia e non avevano alcuna intenzione di attraversare il Mediterraneo, ma volevano tornare a casa. Abbiamo organizzato 409 voli umanitari, riportando a casa 86.000 persone giunte in Tunisia e in Egitto, ma con altre destinazioni.
L'Italia ha messo a disposizione sei voli per trasferire migranti verso l'Egitto, il Mali e il Bangladesh.
Vi voglio anche mettere a parte di una nota positiva: i colleghi che lavorano ai confini con la Libia hanno notato anche una grande solidarietà da parte delle comunità tunisine ed egiziane nell'accogliere le persone che arrivavano. Non erano necessariamente connazionali tunisini ed egiziani, ma cittadini del Bangladesh, del Mali, della Nigeria, della Cina, della Turchia. C'è stata una grande mobilitazione spontanea delle comunità che andavano comunque a portare aiuti, povere cose chiaramente, come coperte, biscotti e tè. È una situazione che ancora perdura.
Certamente una situazione di questo genere non può essere gestita solo con la
spontaneità e con la solidarietà, ragion per cui l'Alto Commissariato ha lanciato un appello alla comunità internazionale per raccogliere 65,7 milioni di dollari con cui fornire aiuti a circa 90.000 persone in Libia e nei Paesi confinanti. C'è stata una risposta buona, ma non sufficiente. Mancano ancora all'appello oltre 20 milioni di dollari.
Parliamo di chi sono le persone sfuggite dalla Libia, perché poi questo tema ci porta in Italia. Le persone fuggite dalla Libia, sono principalmente migranti economici, che a causa dell'insicurezza hanno avuto timore di rimanere in Libia a lavorare e hanno deciso di tornare a casa e sono di diverse nazionalità. Inoltre sono ritornati a casa anche 30.000 tunisini che in Tunisia si ritroveranno disoccupati. Sono tornati a casa anche 80.000 egiziani, cioè 80.000 nuovi disoccupati in Egitto. Anche 80.000 libici sono scappati e si sono fermati nei Paesi confinanti, Egitto e Tunisia.
C'è un punto che mi preme sottolineare in questa sede, signor presidente, ossia quella che noi definiamo «la crisi nella crisi». In Libia non c'erano solo i lavoratori migranti, che hanno potuto in gran parte uscire dalla Libia per raggiungere i loro Paesi di origine, ma c'erano anche, e ci sono tutt'ora, cittadini provenienti da Paesi dai quali erano fuggiti, cioè rifugiati fuggiti dalla Somalia, dall'Eritrea, dall'Iraq, dal Sudan, che certamente non hanno potuto rivolgersi alle loro ambasciate per tornare a casa.
Si tratta di persone che hanno rischiato e che stanno rischiando moltissimo, specialmente gli africani che vengono facilmente scambiati per mercenari. Sono settimane che riceviamo telefonate di gente disperata, di rifugiati in Libia terrorizzati da quanto sta accadendo. Ci sono state persone che, uscendo di casa a cercare viveri, sono state malmenate e picchiate, casi di violenze sessuali, irruzioni notturne. Si tratta di una situazione veramente di estrema difficoltà per questi rifugiati.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha più volte sollecitato la comunità internazionale a non dimenticarsi di queste persone, specialmente quando stavano evacuando i propri cittadini, ma la risposta è stata piuttosto esigua. Mi fa piacere, però, comunicarvi che l'Italia ha risposto a questo nostro appello con due voli, portando nel proprio territorio circa un centinaio di eritrei che si trovavano a Tripoli in questa situazione.
L'Alto Commissariato ha anche elaborato alcune raccomandazioni per tutti gli Stati confinanti con la Libia, cioè sia per quelli in Nord Africa, sia per gli Stati europei, riguardo alla possibilità di fughe massicce dalla Libia.
La fuga massiccia di migranti di Stati terzi c'è già stata, ma non in tutti i Paesi. In questo caso parliamo di cittadini libici che potrebbero, e nei Paesi confinanti già lo stanno facendo, mettersi in salvo e andare in altri Paesi. L'Alto Commissariato chiede intanto che vengano mantenute aperte le frontiere terrestri, aeree e marittime e che, quindi, ci sia l'accesso al territorio per queste persone, che venga predisposta poi l'accoglienza e, nel caso di cittadini libici, una forma di protezione temporanea. Nel caso di arrivi dalla Libia di cittadini di Paesi terzi, come gli eritrei e i somali, chiede per loro l'accesso alla procedura d'asilo. Se poi ci sarà un flusso consistente anche di questi cittadini di Stati terzi, l'UNHCR chiede anche a loro l'estensione della protezione temporanea.
Queste raccomandazioni sono state rese in un documento e distribuite a tutti gli Stati del Mediterraneo e anche agli Stati membri europei. Chiaramente nel documento si sollecita anche uno spirito di solidarietà e di condivisione della responsabilità verso gli Stati più esposti a questo flusso.
Adesso vorrei portare l'attenzione sui flussi in Italia. Penso che sia necessario fare chiarezza sul fatto che a oggi in Italia sono giunte via mare 22.627 persone dall'inizio dell'anno. Di queste oltre 21.000 sono tunisini e 1.864 sono persone giunte dalla Libia.
Per quanto riguarda i tunisini, noi abbiamo parlato con loro, sia a Lampedusa, sia nei centri dove sono stati trasferiti,
ed emerge chiaro il fatto che questi giovani tunisini siano mossi principalmente da motivi economici. Sono giovani tra i 18 e i 35 anni che temono che quest'anno ci sia una crisi economica ancora più aspra e vogliono esercitare la loro libertà andando all'estero. Per loro la libertà significa anche questo, ossia andare in Europa e cercare un lavoro per mandare i soldi a casa. Questo è il profilo più frequente di questo gruppo.
C'è anche un'esigua minoranza che ha presentato una domanda d'asilo, ma effettivamente si tratta di un gruppo minoritario.
Come si è sviluppato questo flusso di tunisini? Devo ricordare che, senza che in molti se ne occupassero, è iniziato a metà gennaio. Piccoli gruppi partivano dalla Tunisia e arrivavano a Pantelleria, a Lampedusa o sulle coste siciliane. Da metà gennaio al 9 febbraio sono giunti in Italia 950 tunisini. Essi sono stati poi trasferiti nei Centri di identificazione ed espulsione dislocati sul territorio nazionale.
Poi la situazione è cambiata. Dal 10 al 13 febbraio a Lampedusa sono arrivati tutti insieme 4.500 tunisini, in un momento in cui il centro di accoglienza di Lampedusa era chiuso. Queste persone sono state, quindi, alloggiate alla meno peggio dal centro per l'emodialisi, dalla riserva marina, dalla Casa della fraternità di Don Stefano Nastasi e alcuni non sono stati proprio collocati, perché non c'era più posto. Hanno dormito al molo.
Domenica 13, quando già c'erano più di 4.500 tunisini a Lampedusa, è stata presa la decisione di riaprire il centro d'accoglienza, il che ha rappresentato un sollievo, perché comunque ci ha permesso di far defluire queste persone al centro. Nei giorni a seguire sono anche aumentati i trasferimenti fuori dell'isola e quindi la situazione è migliorata, salvo poi peggiorare i primi di marzo, fino ad arrivare al 18 marzo, in cui era diventata assolutamente insostenibile. Il 18 marzo abbiamo visto circa 3.000 persone dormire all'addiaccio, ripararsi sotto i TIR, dormire nelle barchette in disuso. Abbiamo visto questi giovani dormire per terra, riscaldarsi nella famigerata collina, accendendo fuochi. Abbiamo visto 2.000 persone veramente ammassate nel centro di accoglienza, che ha una capacità di 850 persone.
Non esito a definire questa una situazione senza precedenti I migranti si sono sentiti veramente non rispettati nei loro diritti, nella loro dignità di persone. È stata una situazione che ha posto moltissima pressione sulla popolazione di Lampedusa, che ha creato un'enorme frustrazione tra gli operatori umanitari, i quali non riuscivano a prestare un'assistenza dignitosa, e che ha posto anche in affanno le forze dell'ordine.
Tale situazione si è creata perché fino a pochi giorni fa non era stato compiuto lo sforzo logistico di trasferire fuori dell'isola più persone di quante ne arrivassero e questo ingranaggio mancante ha fatto inceppare l'intera macchina.
In questo contesto, sabato 26 marzo è arrivata la prima barca dalla Libia. A oggi dalla Libia sono arrivate 1.864 persone di diversa nazionalità. Gli ultimi sono arrivati questa mattina. Tra di loro ci sono molte famiglie e molti bambini piccoli. Non sarà sfuggito sicuramente il fatto che sulla prima barca sia stato anche dato alla luce un bambino.
Queste 1.864 persone sono sicuramente poche, ma, il numero potrebbe essere una prima avvisaglia di un flusso più grande, che noi dobbiamo considerare, anche volendo tener presente quanto sta accadendo in Libia e il flusso verso i Paesi confinanti. È importante, dunque, predisporre piani di intervento mirati a queste persone che hanno bisogni umanitari.
È importante anche che io menzioni una questione che ci sta molto a cuore e che ci preoccupa, cioè la ricerca delle persone in mare, il lavoro di ricerca e soccorso in mare. Noi stiamo continuamente ricevendo telefonate di parenti che non sanno più nulla dei loro congiunti. Sono partiti dalla Libia, ma mai arrivati. Ci sono almeno due imbarcazioni che non rispondono all'appello, un'imbarcazione con 68 migranti, un gommone, e una con 330. Sono pervenute telefonate da queste
imbarcazioni, che però non sono mai arrivate, e i parenti continuano a chiamare in modo angosciante, perché non sanno più nulla.
Penso che i mezzi della NATO, impegnati nelle operazioni militari, dovrebbero essere sollecitati a collaborare nel soccorso in mare. Ci dovrebbe essere un maggior coordinamento tra i soggetti operanti nel Mediterraneo e tale coordinamento dovrebbe essere svolto allo scopo di salvare vite umane.
Il mare mi porta a svolgere una considerazione sul dibattito pubblico. Più che sul grande cambiamento in corso nei Paesi del Nord Africa, più che sulle opportunità di questa transizione democratica in corso, il dibattito in Italia è completamente focalizzato sugli arrivi via mare, in un modo che desta preoccupazione, perché il fenomeno viene presentato solo come una pericolosa invasione.
Il fenomeno invece presenta tanti altri aspetti, che non possono essere trascurati, se vogliamo essere giusti e se vogliamo aiutare l'opinione pubblica a capire ciò che sta succedendo. In questo clima non dobbiamo meravigliarci che sul territorio ci siano manifestazioni di ostilità, che ostacolano anche l'organizzazione della stessa accoglienza. Lo stiamo vedendo in diverse parti del Paese.
È giusto che l'opinione pubblica conosca la portata di questo fenomeno, ma ritengo che sia altrettanto giusto non alzare troppo i toni, perché ciò potrebbe diventare un boomerang nella gestione dell'emergenza.
Noi, come è noto, ci occupiamo di richiedenti asilo e di rifugiati e, quindi, mi sembra doveroso portare alla vostra attenzione una recente decisione del Ministero dell'interno di trasferire i richiedenti asilo già presenti in Italia negli otto centri CARA, Centri di accoglienza per richiedenti asilo, verso il centro di Mineo.
A oggi questi trasferimenti creano alcune preoccupazioni. Circa 600 persone già in accoglienza in altri centri sono state trasferite a Mineo. In questi centri CARA tali persone avevano già avviato un percorso di accoglienza e di tutela. Trasferendole è stato interrotto tale percorso.
Oltre al fatto che ciò sta creando molti problemi organizzativi e logistici. Vorrei inoltre sottoporre alla vostra attenzione che la decisione di raggruppare i richiedenti asilo nel solo centro di Mineo rimette in discussione l'intero sistema di asilo, che a oggi in termini di procedure è regolato dalla legge Bossi-Fini.
Voi sapete che la legge Bossi-Fini ha avuto il merito di creare un decentramento nella procedura di asilo. Sono state istituite dieci Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, otto Centri per richiedenti asilo e tutto ciò ha dato risultati positivi. Il decentramento è un elemento che non possiamo perdere, perché abbiamo visto che i centri più piccoli, sono più gestibili e che con le 10 Commissioni territoriali, i tempi di attesa sono più brevi ed è migliore la qualità delle audizioni
Trasferire i richiedenti asilo nell'unico centro di Mineo rischia di farci tornare molti anni indietro, al tempo in cui esisteva una sola Commissione a Roma con lunghissimi tempi di attesa. Immaginatevi anche che cosa significhi per la Commissione di Siracusa dover audire 1.500-2.000 richiedenti asilo. Se poi ci fossero ricorsi, essi andrebbero al tribunale di Catania, con tutte le conseguenze che ciò implicherebbe.
In conclusione, negli ultimi tempi si è parlato di Europa, si è evocata l'Europa in ogni dibattito. Io ritengo che, infatti, ci sia una connotazione europea in questo flusso di tunisini, se non altro perché, la maggior parte di loro vuole andare in altri Paesi europei, in Francia, in Belgio e in Germania. C'è una connotazione europea, dunque, ma, oltre al fatto che sarebbe auspicabile una maggiore cooperazione, abbiamo preso atto che finora la disponibilità europea è più che altro concentrata su un fondo di emergenza, che non su una possibile suddivisione delle persone che stanno arrivando in Italia.
Il dibattito è ancora in corso, però vorrei far presente anche che i Paesi dell'Unione europea, i 27 Stati membri,
finora hanno ceduto molto poca sovranità rispetto alle materie dell'immigrazione e dell'asilo. In Europa a oggi esistono 27 diverse legislazioni in materia di immigrazione e di asilo e, quindi, le istituzioni europee hanno ricevuto una delega molto ristretta rispetto alla gestione della materia.
Noi crediamo che ci sia ancora molta strada da compiere per mettere in atto effettivamente un'armonizzazione concreta, nonché per arrivare a un'unica politica di immigrazione e di asilo. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Boldrini, per questa ampia rassegna di fenomeni. I tempi, come sapete, sono stretti per noi, purtroppo. È il dramma che ci accade continuamente.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
RICCARDO MIGLIORI. Ringrazio molto per questa relazione esaustiva, quanto impegnativa, perché drammatica. Mi limiterò solo ad alcune velocissime domande, in modo tale da permetterle di fornire le sue risposte.
Lei ha parlato anche adesso di raccomandazioni che sono state rivolte agli Stati, particolarmente a quelli più interessati dal fenomeno. Lei sa che da alcune settimane la Francia rifiuta l'applicazione del Trattato di Schengen. C'è una specificità di iniziativa nei confronti del Governo francese da parte delle Nazioni Unite e dell'UNHCR?
La seconda questione, poiché i dati sono oggettivi e non possono essere oggetto di polemica, vorrei capire da lei se è vero che il nostro Paese è uno di quelli che dà più velocemente fine all'iter per i richiedenti asilo rispetto agli altri Paesi europei e se la cifra dell'anno scorso del numero di asili politico ha superato nel nostro Paese le 40.000 unità. Se così è, penso che la questione di Mineo sia figlia dell'emergenza e non di una modifica della strutturazione decentrata che ha portato a questi risultati.
Vorrei chiederle anche dell'acquedotto libico, perché Gheddafi ha parlato di una potenziale ulteriore bomba. Se ci sono notizie, penso che servirebbero a tranquillizzarci in merito. Grazie.
MATTEO MECACCI. Anch'io pongo brevemente alcune domande, ringraziando il portavoce dell'Alto Commissariato per il lavoro che ha svolto nel corso di questi mesi e anni su questo tema, che credo molti in Parlamento abbiano apprezzato.
Le rivolgo una domanda sull'assistenza umanitaria in loco. Lei ha parlato dei vostri campi e delle vostre attività. L'Unione europea su questo punto ha una competenza specifica. Esiste una struttura proprio demandata all'assistenza umanitaria. In Tunisia e in Egitto, senza parlare della questione dell'immigrazione, l'assistenza umanitaria dell'Unione europea è adeguata rispetto alle cifre che lei ci ha dato? Lei ci ha parlato di 440.000 persone fuggite dalla Libia.
Mi chiedevo anche se, rispetto alle persone di nazionalità diversa da quella tunisina ed egiziana, che potrebbero essere oggetto anche di protezione internazionale, esiste un'ipotesi di valutare anche in loco la possibilità di garantire l'accesso e, quindi, di prevedere una dislocazione di questi rifugiati prima che essi attraversino il Mediterraneo? Mi sembrerebbe la soluzione più sicura anche per queste persone, per evitare che si imbarchino in questo tipo di avventura.
Mi interessava poi sapere un'altra questione. All'inizio di questa crisi in Tunisia abbiamo avuto un'audizione con il Ministro Maroni, il quale ci aveva parlato di alcune migliaia di tunisini nei confronti dei quali era stata aperta la procedura di asilo. Che numeri abbiamo su questo punto? Parlando sostanzialmente di migranti economici, vorrei capire quali sono i rapporti tra le due tipologie.
Stante la cifra di 440.000 fuggiti dalla Libia, un Paese che conta 6 milioni di persone, che erano sostanzialmente la manodopera dei libici, domando se esistono stime su quanti altri potenziali richiedenti esilio ci siano in Libia, non cittadini libici, che potrebbero essere oggetto di questa migrazione.
JEAN LEONARD TOUADI. Mi associo anch'io ai ringraziamenti alla rappresentante dell'Alto Commissariato dell'UNHCR. Pongo due brevi domande.
La prima riguarda i migranti in Libia, soprattutto quelli dell'Africa subsahariana che provengono da zone in guerra, quindi quelli che eventualmente sono arrivati dal Sudan, dalla Somalia e dalla sconvolta Eritrea. Non so se si possa ipotizzare un'azione specifica nei loro confronti, attraverso la frontiera sia con la Tunisia, sia con l'Egitto, anche eventualmente in collaborazione con le antenne dell'UNHCR che si trovano in Africa per venire in soccorso in modo specifico a queste categorie, che stanno trovando poca protezione sul versante europeo.
La seconda domanda riguarda di più l'Italia. Noi siamo nella regione Lazio e uno dei centri CARA che è stato svuotato è a Castelnuovo di Porto. Vorrei sapere qual è lo Statuto delle persone che si trovano a Mineo in questo momento riguardo al processo che avevano avviato e che le avrebbe portate al riconoscimento dello status di rifugiato. Ci sono altri casi, a vostra conoscenza, in tutta Italia di travasi di persone che erano impegnate in un programma di integrazione verso questo centro, che non ha uno Statuto ben delineato rispetto alla loro specifica condizione? Grazie.
CLAUDIO D'AMICO. Una discussione così interessante meriterebbe forse più tempo anche per potersi esprimere, porre domande e magari svolgere un secondo giro dopo le domande, con alcune considerazioni. Mi sembrava importante poter svolgere anche alcune considerazioni e non solo porre domande. Cercherò comunque di condensare il tutto.
Innanzitutto saluto la dottoressa. In questo momento è importante avere notizie il più possibile aggiornate e, quindi, ritengo interessante quest'audizione. Passo subito alla parte delle domande e poi alle considerazioni.
Ho visto che sul vostro sito c'è una sezione in cui si parla del dislocamento dei rifugiati nei diversi Paesi, toccando soprattutto Paesi dell'Unione europea. La volevo invitare, in questo caso, desiderando sentire che cosa ne pensa, a considerare un metodo diverso per attribuire un valore al numero di persone accolte da uno Stato.
Voi tenete conto della dislocazione in base al numero di abitanti di un Paese ricevente. Se un Paese conta 60 milioni di abitanti, come l'Italia, e ha 100.000 rifugiati, ha un tot di rifugiati ogni 1.000 abitanti. Se un Paese come la Svezia conta 5 milioni di abitanti, ha un numero di rifugiati rispetto ai 1.000 abitanti molto più alto.
Io ritengo, però, che questo sia un concetto errato, perché dovrebbe essere ponderato con la dimensione territoriale di un Paese. In Paesi molto abitati come il nostro, con un territorio relativamente piccolo, ci sono situazioni che diventano quasi di emergenza.
Lei sa che l'ONU fornisce anche alcuni numeri secondo i quali un territorio può sostenere un tot numero di persone. Noi siamo fuori da tutti questi numeri. La provincia di Milano ha una densità abitativa che è il doppio di quella di Calcutta o di Pechino e penso che non considerare questo aspetto sia un errore, perché in situazioni già altamente abitate inserire nuove persone può essere peggio che inserirle in un Paese completamente o in buona parte deserto o comunque poco abitato, dove sarebbe forse più facile poter permettere a nuove persone di risiedere in modo corretto.
Le chiedo anche se ad altri Paesi mediterranei, magari anche più vicini culturalmente alle persone che si stanno muovendo - per esempio, la Turchia, un Paese mediterraneo e islamico come la buona parte delle persone che si stanno muovendo dal Nord Africa - sia stato chiesto aiuto e se stiano mettendo a disposizione una disponibilità ad accogliere eventuali profughi che scappano da una guerra in Nord Africa. Penso che ognuno debba compiere la sua parte, non solo i Paesi dell'Unione europea.
Essendo componente della delegazione OSCE, di questi temi abbiamo parlato e abbiamo approvato una risoluzione, con le
linee guida per l'assistenza ai rifugiati, nell'Assemblea parlamentare tenutasi a Vilnius nel 2009. Nella dichiarazione di Oslo del 2010 si è approvata, inoltre, una risoluzione sul partenariato per l'assistenza ai rifugiati. Tali dichiarazioni vanno a toccare proprio questi aspetti della divisione, tenendo conto dei rifugiati, della prossimità culturale rispetto al Paese di provenienza, in modo che ci sia una possibilità di integrazione, nonché della densità abitativa.
Bisogna tenere conto anche della popolazione residente nel Paese d'accoglienza. È troppo facile parlare del bisogno di qualcuno che scappa e che poi vediamo che spesso, come ci ha comunicato lei, non scappa perché c'è la guerra. I tunisini che scappano, secondo la sua stessa testimonianza, lo fanno per motivi economici, perché sperano di trovare lavoro nel Paese dei Balocchi, che sarebbe l'Europa, che alla fine non è il Paese dei Balocchi, perché la disoccupazione è alta anche da noi. In questo caso sarebbe molto utile tener conto di questi fattori.
Passo alla seconda domanda. Il Governo italiano si è dato subito da fare in prima persona per allestire un campo in Tunisia. Come giustamente sottolineava l'onorevole Mecacci, le persone che scappano - parliamo dei libici o di chi fugge dalla Libia - e che magari hanno diritto a chiedere di essere riconosciute come rifugiati, si potrebbe evitare che partano su barche gestite da trafficanti.
Ricordiamo che non sono i Governi europei, sotto mandato dell'ONU, che stanno gestendo gli spostamenti delle persone. Queste persone si muovono pagando una media di 1.500 euro a delinquenti, a scafisti, ragion per cui una proposta di legge è quella di aumentare le pene per gli scafisti per creare un deterrente maggiore. Quelle persone pagano illegalmente e il loro viaggio è illegale.
A volte le loro barche affondano e si pone il dramma di chi annega. Per evitare questo dramma dovremmo cercare di aiutare queste persone in loco e, quindi, vorrei capire se esistono nazioni oltre all'Italia, o se l'unica sia stata l'Italia, che abbiano deciso di investire risorse economiche per approntare campi di accoglienza in loco, in Nord Africa. Possono essere in Libia, se il Governo provvisorio che controlla una parte del territorio ce ne dà l'autorizzazione, oppure in Tunisia o in Egitto. Tunisia ed Egitto hanno lasciato le frontiere aperte, allora perché non si sta andando ad approntare campi per tenere lì queste persone?
Volevo sapere quanti ne esistono e se sono sufficienti per contenere tutti. Anche nelle risoluzioni approvate dall'Assemblea parlamentare dell'OSCE si dispone proprio di cercare di approntare l'assistenza nel luogo più vicino al Paese di origine, per fare in modo che, finita l'emergenza, queste persone possano tornare al più presto nelle loro proprie condizioni di vita. Queste erano le mie due domande.
Svolgo poi una considerazione più generale. È giusto parlarne e anche lei ha toccato il dibattito politico in corso in questo momento. Limitiamoci, però, anche perché la sua agenzia ha un mandato, come ha ricordato lei stessa, limitato a tali categorie, ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Il dibattito che può esserci dietro all'arrivo di decine di migliaia di clandestini dalla Tunisia, che non sono persone che scappano da alcuna guerra, ma che non scappano da nulla, hanno solo voglia di venire in Europa e partono pagando soldi ad alcuni scafisti, penso che non debba riguardare il motivo principale della sua agenzia, del suo organismo, che è quello di prestare assistenza ai rifugiati, molto più puntato, quindi, soprattutto dove esiste una guerra e su chi scappa dalla Libia. Grazie.
GIANNI VERNETTI. Evitando di ripetere domande e riflessioni già svolte da altri colleghi, mi associo anch'io nel ringraziare la dottoressa per la relazione. Mi pare che essa abbia riguardato soprattutto una puntuale fotografia dell'esistente e di quanto accaduto in questi mesi.
In particolare, io sono preoccupato su quanto potrà ancora accadere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, soprattutto dall'interno della Libia e, quindi,
le mie domande riguardano il fatto se abbiate uno stretto rapporto con il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, il nuovo organismo che si è insediato a Bengasi e che ha avuto alcuni primi riconoscimenti diplomatici. Anche l'Italia ieri ha compiuto alcuni passi, non ancora formali, ma il ministro ha svolto alcune enunciazioni di aperture di relazioni formali in prospettiva a tempi brevi.
Se ho ben compreso, avete inviato aiuti umanitari utilizzando soprattutto lo strumento della Mezzaluna rossa fra l'Egitto e la Libia. Volevo sapere se avete un rapporto diretto con la nuova forma governativa.
Peraltro, la Cirenaica mi pare oggi un luogo nel quale le condizioni di sicurezza sono progressivamente migliorate. Oggi il conflitto si svolge intorno ad alcune aree dell'Ovest del Paese, come le città di Misurata e di e Zentan, nelle quali, da quanto si comprende, esiste un rischio di una catastrofe umanitaria, con pericoli enormi per la popolazione residente, che oggi vive in alcuni casi da oltre un mese sotto assedio delle forze di Gheddafi.
Volevo capire che cosa osta a un vostro ingresso in Libia. Vorrei capire su che cosa si fonda la resistenza di New York, della struttura centrale delle Nazioni Unite a non autorizzare un ingresso.
Ritengo che ci sia un enorme problema di prevenzione di potenziali nuovi flussi di rifugiati. Dalle informazioni che si hanno, all'interno della Libia ci sono ancora numerosissimi migranti che non hanno concluso la loro migrazione e, quindi, migranti dall'Africa subsahariana che più o meno stazionano o hanno stazionato in un passato recente in Libia. Mi pare che il tema potrebbe assumere ancora da quel Paese proporzioni decisamente maggiori, di vera e propria catastrofe umanitaria o comunque di aumento del peso sull'intera comunità internazionale della gestione di un possibile nuovo flusso di rifugiati e di migranti.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Pistelli, mi domando se sia pensabile, dottoressa Boldrini, prevedere una seconda puntata di questa nostra audizione per le risposte, ma soprattutto per entrare insieme con lei nel cuore del problema.
LAURA BOLDRINI, Portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Ritengo che lo sia. Non credo di riuscire a rispondere in cinque minuti, perché ogni domanda è complessa.
LAPO PISTELLI. La facilitazione è data dal fatto che molte domande, a mano a mano che si va avanti, sono già state poste dai colleghi. Mecacci e Vernetti hanno già posto domande che avrei voluto porre io. Mi limito a due questioni: una forse è nuova e l'altra è solo una sottolineatura.
Quella nuova riguarda questi numeri piuttosto impressionanti relativi alle facilitazioni dei ritorni a casa dei lavoratori migranti che erano in Libia. Se non ho capito male, noi abbiamo organizzato sei voli verso Egitto, Mali e Bangladesh, ma su un totale enorme di 409 voli. La mia curiosità è sapere quali nazioni si siano particolarmente adoperate, se ci sono dati disponibili, per facilitare i rimpatri nei Paesi di origine.
La seconda, in realtà, è lo stesso nocciolo su cui si è intrattenuto adesso il collega Vernetti. Con speciale riferimento agli eritrei, siamo in presenza, nonostante il Paese sia in conflitto, a un flusso che continua ininterrotto o abbiamo - mi dispiace utilizzare una parola brutta come questa, ma non mi riesce di trovarne una migliore - stock di migranti acquartierati nella parte Sud del Paese in attesa che esistano corridoi per tentare di terminare la loro tragica e lunghissima avventura? In quel caso, sarebbe anche possibile svolgere magari alcune valutazioni preventive su ciò che le prossime settimane possono riservare e non agire sempre in emergenza?
PRESIDENTE. Dottoressa, è chiaro che lei non può rispondere alla quantità di domande, con la loro importanza. La nostra segreteria mi riferisce che abbiamo alcuni minuti in più oltre a quelli che ci
dà l'orologio. Sono pochi, ma sempre una possibilità in più per poterci spiegare. Credo che tutti contiate con me sulla possibilità di svolgere al più presto un secondo incontro, una seconda audizione con la dottoressa Boldrini.
Do la parola alla dottoressa Boldrini per la replica.
LAURA BOLDRINI, Portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Ho appuntato alcune questioni, ma temo non tutte.
Per quanto riguarda la Francia, Schengen e gli strumenti a disposizione per gestire un flusso di irregolari tra Stati membri dell'Unione europea, esistono più strumenti: da un canto c'è Schengen, che regola la circolazione tra gli Stati, e dall'altro una direttiva europea. Inoltre, esistono ancora gli accordi bilaterali tra gli Stati membri.
Di fatto, Schengen sostiene che non ci possono essere controlli sistematici alle frontiere interne. I francesi sostengono, infatti, che non ci sono al momento controlli sistematici, ma a campione. Bisognerebbe capire chi può stabilire quando un controllo è sistematico e che cadenza debba avere e quando, invece, è a campione. Sono comunque controlli di polizia.
A questo si aggiunge il fatto che, se un cittadino irregolare è trovato ad attraversare da uno Stato ad un altro Stato dell'UE, l'accordo bilaterale tra Stati può essere invocato in merito a quale sia lo Stato responsabile per quel cittadino. L'accordo bilaterale del 1997 tra Italia e Francia suggerisce che sia l'Italia, paese da dove l'irregolare è entrato, a doversene far carico. Questo è l'accordo bilaterale, che immagino preveda anche la reciprocità.
La direttiva europea del 2008 sui rimpatri, prevede che la riammissione tra Stati dell'Unione di cittadini di Stati terzi in situazioni irregolari venga effettuata di nuovo sulla base degli accordi bilaterali. Questi sono i tre strumenti a disposizione.
Si parlava di 40.000 domande di asilo in Italia. Io penso che 40.000 domande non ci siano mai state. Nel 2008 si è verificato il picco delle domande d'asilo in Italia, con 31.000 domande presentate, di cui la metà sono state accolte. Sono state esaminate tutte, e metà sono state accolte, nel senso che è stata accordata una forma di protezione.
Penso anche che sia utile ricordare che lo scorso anno, nel 2010, in Francia sono state presentate 48.000 domande di asilo, in Germania - cito alcuni Stati che ci possono interessare - 42.000 e in Italia 8.200. Questo dato mostra già la dimensione dell'impegno dei vari Stati in materia d'asilo, per rispondere anche all'onorevole D'Amico, che mi chiedeva delle percentuali.
Parlando di rifugiati, devo ricordare ugualmente che la Germania ha sul suo territorio 600.000 rifugiati e la Francia più o meno 200.000. Nel Regno Unito siamo a circa 300.000, mentre l'Italia ne ha circa 55.000. Questi numeri evidenziano che l'Italia in materia d'asilo non è tra i Paesi più esposti. Penso che anche questo punto vada ricercata la riluttanza europea all'ipotesi di una suddivisione, perché ci sono alcuni Paesi dell'Unione che hanno numeri ben più importanti di rifugiati e di domande di asilo.
L'iter della procedura d'asilo in Italia è veloce, sempre grazie al fatto che c'è stato un decentramento della procedura. Avere dieci Commissioni territoriali ci ha consentito di abbreviare i tempi d'attesa più o meno a due mesi. La questione dipende da come è regolata la procedura. In Europa ci sono 27 diverse legislazioni. Il nostro iter è veloce, perché c'è stato un decentramento, che adesso viene, però, rimesso in discussione con la decisione di trasferire i richiedenti asilo a Mineo, motivo per cui noi vediamo con scetticismo questa decisione, proprio perché abbiamo visto che decentrare presenta aspetti positivi.
L'onorevole Mecacci suggeriva di valutare in loco i rifugiati. Stiamo vedendo, infatti, che verso la Tunisia e l'Egitto stanno arrivando anche persone di nostra competenza, cioè eritrei, somali, palestinesi e iracheni. Per alcuni di loro stiamo adesso cercando le soluzioni. Esiste nel diritto internazionale la possibilità di attuare un resettlement. Onorevole D'Amico,
si tratta del reinsediamento in Paesi terzi ed è una misura di protezione. Se ci sono rifugiati in un Paese in cui non sarebbero sicuri e in cui non ci sarebbero situazioni possibili di integrazione, l'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati cerca di sollecitare i Paesi della comunità internazionale a offrire alcune quote per accogliere legalmente rifugiati da noi già visti, già auditi. Occorre, però, che i Paesi offrano tali quote.
Stiamo già svolgendo questo esercizio, specialmente alla frontiera con l'Egitto, perché l'Egitto muove alcune resistenze a far uscire della no man's land persone che non hanno documenti e tra queste persone vi sono anche i rifugiati. Anche in questo caso c'è bisogno che ci siano poi disponibilità da parte degli Stati membri, perché, se noi attuiamo questa pratica, stabiliamo i bisogni di protezione, comunichiamo agli Stati quante persone dovrebbero essere reinsediate, ossia resettled, ma poi nessuno si muove, è un esercizio che rischia di essere inutile, di non sortire effetti.
È stato chiesto se i tunisini abbiano presentato domande di asilo. Sì, ci sono tunisini che hanno presentato domanda di asilo. Come ricordavo prima, sono un'esigua minoranza, però ci sono state alcune domande di asilo. Non sappiamo quante siano in questo momento, perché è difficile stare dietro a tutti gli spostamenti che vi sono stati: 500 erano stati portati a Mineo e molto pochi sono rimasti all'interno del centro. Sono scappati quasi tutti prima ancora di presentare la domanda d'asilo.
Altri hanno già presentato la domanda, ma non sono più nei CARA. Sono già andati via dopo l'identificazione e dopo la formalizzazione del formulario C3. Tenere la matematica di questi movimenti non è facile, anzi è quasi impossibile.
L'onorevole Touadi proponeva di compiere un'azione di evacuazione per i rifugiati del Corno d'Africa che si trovano in Libia. È un intervento che noi fin dall'inizio abbiamo chiesto alla comunità internazionale di compiere. A oggi, però, non mi sembra che ci siano molte disponibilità di compiere veramente uno sforzo per queste persone, di portarle fuori dalla Libia in un modo protetto e di riuscire poi a dare loro un'alternativa. Se gli eritrei e i somali fuggono dalla Libia, dove penseremo di metterli, di mandarli in Somalia o di rimandarli in Libia? Evidentemente c'è bisogno di una soluzione. La Tunisia sta già accogliendo la sua parte ma anche altri Stati dovrebbero farlo.
PRESIDENTE. Chiedo scusa alla dottoressa, ma l'Aula ha iniziato i suoi lavori, per cui, apprezzate le circostanze, ringraziando la nostra ospite, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 15,10.