Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)
Audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Francesco Profumo:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 11 15
Borghesi Antonio (IdV) ... 11
Cambursano Renato (Misto) ... 9 12
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 9
Commercio Roberto Mario Sergio (Misto-MpA-Sud) ... 9
Marchi Maino (PD) ... 8
Nannicini Rolando (PD) ... 8
Profumo Francesco, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 3 11 13 14
Vannucci Massimo (PD) ... 10 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling;
Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 8,45.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professor Francesco Profumo.
Il Ministro è accompagnato dal capo di gabinetto, dottor Luigi Fiorentino e dal portavoce, dottor Guido Schwarz, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al Ministro Profumo.
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Vi ringrazio dell'invito.
Credo che sappiate che, dal punto di vista della ricerca, uno degli elementi di criticità di questi ultimi anni è stata la limitata capacità di riacquisire in modo sostanziale le risorse che il nostro Paese investe in Europa. In termini numerici, infatti, abbiamo un deficit tra dare e avere di circa 5 miliardi all'anno. Su questi 5 miliardi, il contributo negativo della ricerca in quanto tale è di circa 500 milioni all'anno.
Le ragioni sono abbastanza diversificate. A livello di singoli ricercatori abbiamo una qualità buona, in alcuni casi ottima sia nel confronto internazionale che europeo. La nostra debolezza si evidenzia nel momento in cui è necessario formalizzare collaborazioni e confrontarsi con team molto più aggreganti di noi.
Sul settimo programma quadro, il programma di riferimento per la ricerca, la Commissione ha investito 50 miliardi di euro e il contributo del nostro Paese è del 15 per cento. Alla fine del 2013, probabilmente, riporteremo a casa l'8,5 per cento.
La prospettiva futura è ancora più complicata. Come sapete, in questo momento è in discussione Horizon 2020, l'ex programma quadro, e il suo budget iniziale è di 80 miliardi. Probabilmente, al termine del settennato 2014-2020 il budget reale sarà di circa 90 miliardi. Il contributo del nostro Paese è sempre del 15 per cento circa. Se manterremo l'attuale capacità attrattiva, perderemo tra 800 e 900 milioni di euro l'anno. Tenendo presente che l'investimento nazionale per le università è di circa 7 miliardi, e quello per gli enti di ricerca è pari a circa 1,7 miliardi, i 500 milioni di perdita attuali e i 900 milioni futuri sono e saranno numeri importanti.
Un altro elemento è che in termini di capacità di spesa - non voglio spendere
parole sulla qualità della stessa - nell'ambito dei fondi strutturali siamo al ventiseiesimo posto su ventisette; dopo di noi c'è la Romania. Credo sappiate che i fondi strutturali sono dieci volte i fondi per la ricerca. Questa situazione ci mette in gravissima difficoltà perché nel prossimo settennato la distribuzione dei fondi strutturali, che si chiameranno fondi per la coesione, avverrà sulla base di due criteri.
Il primo sarà la base storica, cioè la capacità e la qualità della spesa del settennato precedente; il secondo, criterio questo che merita grandissima attenzione, non sarà più predefinito per Paese o per regione, ma richiederà una competizione tra i territori, competizione che sarà determinata sulla base di progettualità. La situazione, quindi, già abbastanza complicata, lo diverrà sempre più nel prossimo avvenire.
Chiarito il contesto, vengo ad illustrarvi le operazioni che ho messo in atto e che mi auguro condividerete, pur essendo molto disponibile ad accettare vostri suggerimenti e vostre osservazioni. La prima è una mia presenza costante a Bruxelles in questa fase di definizione delle linee prioritarie di Horizon 2020 e di allocazione delle risorse. In particolare, sono tre i temi sui quali il nostro Paese punta in questo momento: il patrimonio culturale, che non è stato previsto come priorità; la social innovation, cioè l'uso della tecnologia a fini sociali, il che può significare un ritorno di 4 o 5 euro per ogni euro investito in tecnologia sul tema Paese; e l'health and food.
Su questi tre temi c'è una grande attenzione da parte del nostro Paese. Naturalmente non si può fare da soli, ma sono necessarie alleanze perché si possa ottenere il risultato voluto. Per questo sono stato più volte a Bruxelles dove ho incontrato i parlamentari italiani. Sono stato anche a Copenaghen perché questo è il semestre danese e una parte importante delle attività si svolge in Danimarca.
È un momento molto importante. C'è stata una prima riunione per l'elaborazione del documento finale il giorno 27 febbraio, ce ne sarà una seconda all'inizio del mese di maggio e una terza alla fine di maggio. Abbiamo presentato una serie di emendamenti in stretta collaborazione con la Spagna, con la Germania, con l'Inghilterra e con tutti i Paesi con i quali possiamo individuare politiche comuni. Da soli si è perdenti, quindi bisogna compiere questo lavoro preventivo per arrivare al momento della decisione con una forte condivisione.
È previsto che il primo voto si tenga nell'autunno del 2012 e il voto definitivo nei primi mesi dell'anno prossimo, probabilmente a febbraio. Buona parte del lavoro, però, verrà svolta in questo semestre di presidenza danese, che è un semestre forte, mentre il semestre successivo sarà quello cipriota, molto meno forte. Il lavoro reale bisogna, quindi, farlo adesso e ci vuole grande partecipazione.
Il secondo punto è che dal 2014 al 2020 i fondi per la ricerca e i fondi per la coesione, invece di percorrere due strade parallele, saranno, per una parte importante, coincidenti proprio sul tema della social innovation. Dobbiamo pertanto attrezzarci dal punto di vista della ricerca, ma anche dal punto di vista dei fondi per la coesione. È un tema sul quale il Paese deve fare una riflessione profonda perché, come dicevo prima, l'allocazione non sarà più a priori, ma dovremo conquistare i fondi su base competitiva e purtroppo ci sono Paesi che hanno la «pancia meno piena» della nostra e l'appetito in questi casi aiuta non poco.
Dal punto di vista della coesione, insieme al Ministro Barca, abbiamo incontrato il Commissario per la coesione, Hahn, che è stato a Roma e in Campania. Insieme abbiamo individuato un percorso per anticipare, rispetto al settennato 2014-2020, alcune azioni che ci consentano di allenare il Paese e nello stesso tempo definire alcune strategie che, unitamente ad altri Stati membri, potrebbero essere prioritarie nella distribuzione o nella competizione per i fondi.
In tema di scuola, il documento del Governo del mese di dicembre individuava tre priorità: la sicurezza degli edifici scolastici e in generale l'edilizia scolastica, gli apprendimenti e la scuola del futuro. I primi due sono legati alla situazione attuale, mentre il terzo tema riguarda gli sviluppi futuri. In merito, c'è stato un primo investimento del Governo di circa 900 milioni di euro e, nella riunione del CIPE del 20 gennaio, è stata adottata un'ulteriore delibera di 550 milioni destinati alla sicurezza e alle nuove scuole.
L'obiettivo è quello, da una parte, di migliorare la situazione e, dall'altra, di avviare un una sperimentazione che veda le nuove scuole come centri civici. La scuola deve essere pensata come strettamente correlata al territorio e deve, quindi, essere molto più aperta rispetto al modello attuale. La tipologia dell'aula-corridoio sarà superata in termini di spazi modificabili nel corso della giornata affinché agli studenti sia consentito partecipare anche a momenti di formazione non strutturati nel modo tradizionale.
A questo riguardo, studi ormai abbastanza consolidati spiegano che a scuola, nella forma tradizionale, gli studenti imparano solo una percentuale dell'apprendimento totale. È quindi necessario trovare modalità di stimolo e di trasferimento della conoscenza diverse rispetto al passato. Basta pensare agli input che ricevono i nostri figli oggi rispetto a quelli che ricevevamo noi e a quante informazioni non organizzate siano soggetti per capire che oggi è molto più importante avere una struttura di tipo logico-deduttivo, piuttosto che l'informazione, che può essere, invece, acquisita in altro modo.
Si tratta di un tema interno alla scuola che implica un guscio fatto in modo diverso e insegnanti con una formazione o una riqualificazione differente rispetto al passato. Il risultato dovrebbe essere un maggiore stimolo per gli studenti, soprattutto in previsione del ritardo naturale che c'è tra la formazione e il momento dell'inserimento nel mondo del lavoro. È una questione complicata. Bisognerebbe avere la sfera di cristallo per sapere quali competenze sono necessarie nel momento in cui una persona entra nel mondo del lavoro.
Quando ero rettore del Politecnico ho riflettuto a lungo su questo. Allora il delay naturale era di cinque anni, ma dal 2007 il mondo è davvero cambiato. Come capite, nei processi di formazione, è molto complicato prevedere quello che succederà. Se un qualsiasi oggetto non funziona, generalmente, in un periodo di tempo molto ridotto rispetto al momento in cui è prodotto, lo stesso va incontro alla cosiddetta mortalità infantile. Nei processi di formazione c'è un naturale ritardo dovuto alla durata del percorso, dopo di che sono necessari almeno cinque anni dall'inserimento dei laureati nel mondo del lavoro per valutare quale sia il risultato della formazione sulla persona e sul suo inserimento nella società.
Errori di questo genere determinano situazioni di profonda criticità nei Paesi. Estendendo il calcolo a tutto il ciclo di formazione, fin dalla scuola dell'infanzia, passano circa vent'anni. La complicazione è evidente ed è necessaria una profonda riflessione in merito.
Prima dell'estate, o subito dopo, sarebbe opportuno un momento pubblico di riflessione sulla scuola, che, partendo dalla fotografia attuale inizi a disegnare la scuola del futuro. Nel passato, questa riflessione è stata attuata attraverso i cosiddetti stati generali. Oggi probabilmente esistono modalità diverse, molto più moderne, ma credo che il significato debba essere lo stesso. Il Paese deve confrontarsi su questo tema e cercare il contributo delle persone migliori, ma anche dei più giovani. L'ascolto dei giovani è più che mai necessario. Probabilmente in questi anni lo abbiamo un po' dimenticato, anche per difficoltà nelle modalità di comunicazione. I modelli di comunicazione sono cambiati nel tempo e una riflessione su questo punto mi sembra opportuna.
Invece di essere aperta dalle 8 alle 14, la scuola potrebbe diventare il centro civico del quartiere o del paese e, quindi potrebbe rimanere aperta dalle 7 alle 22 offrendo attività diversificate. Come sapete,
le scuole primarie e le scuole dell'infanzia sono di proprietà dei comuni, mentre scuole medie e scuole superiori sono di proprietà delle province. Se riuscissimo a convogliare le risorse utilizzate da comuni e province per le attività culturali o per la formazione di personale adulto o per altre attività di tipo educativo non strutturate, credo che, dal punto di vista dell'investimento il tutto assumerebbe un altro significato. Sperimenteremo questo nuovo modello in una decina di scuole - forse otto - distribuite nel Paese per poter individuare le linee guida che potrebbero essere trasferite alle diverse realtà. Anche questo è un tema di grande importanza.
Nei giorni scorsi il Viceministro Grilli, il Ministro Barca e io abbiamo incontrato il dottor Lucibello dell'INAIL per approntare un piano straordinario, con più di un miliardo di risorse, per dare avvio alle nuove scuole. Il processo è lungo, ma ha ritorni di grandissimo interesse per lo sviluppo del Paese. Oggi le scuole occupano 64 milioni di metri quadri, una quantità enorme. È l'equivalente di 64.000 alloggi di 100 metri quadri che ospitano tre o quattro persone, vale a dire una città di 250.000 mila abitanti. Questo vi dà la dimensione di tutta l'operazione.
L'80 per cento di queste scuole sono state costruite prima degli anni Ottanta. Molte di esse, circa il 10 per cento, sono in affitto e molte sono in realtà delle non scuole. L'avvio di un processo di revisione del sistema delle scuole è certamente un elemento di crescita del Paese, tenendo anche presente che moltissimi edifici attualmente sono costruiti in classe «G», che dal punto di vista energetico è una classe molto debole, mentre nel 2020 ci viene chiesto che siano di classe «A» o «A », con una notevolissima riduzione in termini di costo energetico. Questo dà ulteriore significato all'operazione.
Quello delle scuole è un grande tema. Altro grande tema è quello che riguarda la «palestra». Come vi dicevo, abbiamo due anni, il 2012 e il 2013, per attrezzarci e allenarci per la grande competizione dal 2014 al 2020. Ho pensato, allora, che fosse necessario compiere due operazioni, una collegata al sistema delle università e della ricerca e l'altra al sistema Paese e al sistema industriale degli enti. Del resto, come sapete, gli attori che concorrono a questa grande partita vanno dai ricercatori pubblici ai ricercatori industriali, fino al management. Del resto, la gestione di questi processi è molto complessa.
Nel settore dell'università e della ricerca ho pensato di lanciare due programmi tipici: i progetti di interesse nazionale (PRIN) e i progetti del fondo per gli investimenti nella ricerca di base (FIRB) relativi ai giovani. Nel passato sono stati certamente una palestra molto interessante per il Paese, ma una palestra abbastanza libera. A regime sarà opportuna una certa libertà, ma in questo momento transitorio credo, con estremo pragmatismo, che la priorità sia evitare di perdere 900 milioni di euro all'anno.
In questo momento di transizione, anche sulla base delle mie esperienze precedenti, non si può lasciare libertà completa. Il PRIN è di 170 milioni, che per noi sono tanti, ma dal 2014 al 2020 contribuiremo con 1.700.000.000 all'anno. Trattandosi di un aumento del rapporto da uno a dieci, potete capire le ragioni per le quali l'argomento sia per me di grande attenzione. In primo luogo, ho quindi ritenuto opportuno identificare alcune priorità per i settori coinvolgibili. Poiché alcune scienze sociali non sono coinvolgibili, è opportuno lasciare libertà, ma nei settori della tecnologia o della medicina è giusto focalizzare l'attenzione. In secondo luogo, poiché questi fondi con il 2012 verranno cancellati, dobbiamo assolutamente impegnarli o spenderli entro il 2012.
Nell'edizione precedente del PRIN avevamo ricevuto circa quattromila domande. Per compierne una revisione corretta, con esperti prevalentemente stranieri, bisogna svolgere 12.000 revisioni. Supponendo che ciascun revisore abbia mediamente tre progetti da valutare, occorrono quattromila revisori. Avendo ora a disposizione non più 90 milioni di euro come allora,
ma 170 milioni, abbiamo stimato che le proposte potrebbero essere settemila, il che significa 21.000 revisioni.
Ritenendo che la cosa più importante sia l'obiettivo, ho deciso di dividere il processo in due fasi, responsabilizzando le università e facendo compiere loro una pre-valutazione. Le università non amano queste situazioni. Sono autonome, ma le responsabilità sono sempre di altri. Io credo però che questa sia la strada giusta e, a parte i mugugni, che non costano niente, mi pare che l'operazione stia funzionando abbastanza bene.
Ho detto chiaramente che i progetti finanziati non saranno 600 o 700, ma solo i migliori, circa 150-170. Ciascuno sparerà le cartucce che vuole. Potrà scegliere le migliori o utilizzare altre logiche, ma, poiché i soldi potrebbero anche non arrivare, non ci sarà grande dispersione di energie. È un problema di cultura. Nel 2014 ci confronteremo con i tedeschi, con gli inglesi e così via. O impariamo da soli o perderemo risorse. Poiché credo che in questo momento non sia possibile perdere risorse, abbiamo avviato questo processo.
Stiamo compiendo un'operazione analoga anche nel settore della ricerca industriale, attraverso tre programmi che sono in fase di lancio. Il primo riguarda le città intelligenti ed è indirizzato alle aree della convergenza, cioè Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, alle quali abbiamo aggiunto quattro regioni, Sardegna, Basilicata, Abruzzo e Molise, che hanno deciso di partecipare.
Si tratta di 260 milioni di euro, quindi le risorse non sono poche. La filiera parte dalla domanda pubblica su alcuni temi pilota: la scuola, la mobilità, il governo, l'energia, l'ambiente, il turismo, la cultura, la sanità. Sono otto grandi temi sui quali ciascuna regione avrà un progetto pilota. La parte hard rimarrà sul territorio, mentre la parte soft sarà riportata a livello di cloud, in modo tale che l'esperimento diventi prima prototipo e poi Paese.
L'obiettivo è quello di creare le condizioni affinché il Paese si avvii verso un progetto complessivo di miglioramento della qualità della vita dei cittadini, attraverso il tema della social innovation. Il bando sarà aperto nei prossimi giorni. Come dicevo, si parte dalla domanda pubblica per avere una risposta di ricerca industriale attraverso associazioni temporanee di impresa e questo determinerà certamente la creazione di microimpresa sul territorio.
Per evitare che rimanga microimpresa di tipo technology-based, abbiamo pensato di investire un capitale di rischio per farla crescere e darle la possibilità di sviluppare una capacità di marketing strategico, di prodotto industriale e di commercializzazione. Accanto a questo, realizzeremo un cluster, in modo tale che le imprese, sia quelle più strutturate sia quelle neonate, abbiano la capacità di competere prima sul mercato nazionale e poi - ci auguriamo - sul mercato internazionale.
Questa operazione la replicheremo al centro-nord prima dell'estate con un bando analogo del valore di circa 700 milioni di euro, coinvolgendo dodici regioni. In questo caso una quota sarà a fondo perduto e una quota in fondo rotativo. Apriremo poi un bando per i cluster, quelli che una volta venivano chiamati distretti industriali, anche in questo caso cercando di focalizzarli per evitare che nel Paese si crei un eccesso di offerta e una moltiplicazione.
Io mi auguro che anche attraverso questa seconda fase gli attori dei fondi per la coesione sviluppino maggiore capacità di competere e di confrontarsi con le realtà con le quali il confronto inevitabile non è più rinviabile. Le risorse non saranno più allocate direttamente, ma dovremo guadagnarcele e il rischio vero è non riuscirci.
Concludo qui e resto a disposizione per rispondere alle eventuali domande.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Profumo. E sottolineo che, in un momento nel quale le risorse disponibili sono scarse, occorre approfittare di quelle disponibili presso l'Unione europea e che fino a oggi sono state gestite in modo non efficiente.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.
ROLANDO NANNICINI. Buongiorno, Ministro, e grazie per il suo intervento.
Vorrei ritornare a un tema molto più nazionale, cioè decisione di finanziamento e capacità di spesa. Sia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia il Ministero della pubblica istruzione hanno promosso un piano straordinario - il titolo è roboante - di interventi urgenti sul patrimonio scolastico finalizzati alla messa in sicurezza, alla prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi, anche non strutturali, degli edifici scolastici, che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 settembre 2010.
Si parla di 358 milioni di euro, suddivisi tra le venti regioni italiane, per 1.706 interventi. Mi sono permesso di fare alcune verifiche a campione e ancora non vi è nemmeno il rapporto fra enti spesa destinatari dei contributi e Ministero, anche se la convenzione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale prevedeva l'anticipo del 45 per cento delle risorse dopo sessanta giorni dalla firma dell'atto convenzionale. Oltre a ciò, prevedeva che, all'esaurimento di questo 45 per cento, quando fosse stato raggiunto il 36 per cento delle opere, si stanziasse l'altro 45 per cento e poi il 10 per cento.
Le dico questo, Ministro, perché le servirà anche per il nuovo programma, che dovrà essere legato alla speditezza dei rapporti. Le carte non devono rimanere nei cassetti, sia che si tratti di un ingegnere o di un architetto comunale sia che si tratti di un erogatore di finanziamento del Ministero. Se verificherà l'attuazione di questa delibera, che, come ripeto, è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 14 settembre 2010, constaterà la diversità delle misure e la velocità dell'Italia, ma sarà anche stupito di scoprire che alcune aree classicamente considerate incapaci di fare hanno reagito bene e hanno presentato i propri programmi. Si sta procedendo a macchia di leopardo.
Questo discorso si lega anche ad alcuni interventi che la Commissione bilancio, sulla base della legislazione nazionale, si è permessa di proporre al CIPE in materia di sicurezza e di edilizia scolastica. Non voglio dire che il Parlamento è bravo, ma tutti i piani straordinari che il CIPE ha approvato in base alle deliberazioni delle Commissioni bilancio di Senato e Camera sono quasi terminati o procedono velocemente. Paragonati ai 1.706 interventi che le ho segnalato e ad altri ancora, si nota una certa speditezza e una diversa tipologia di burocrazia. Eppure qualcuno parla di questi interventi come «legge mancia».
La mia domanda è la seguente. Vorrei sapere quando il Ministero si interesserà di questo. Non si tratta di mance, ma di interventi che hanno una propria rilevanza.
MAINO MARCHI. Mi soffermo anch'io sull'edilizia scolastica. Credo che il modo più efficace per sviluppare un piano di edilizia scolastica sia fare in modo che comuni e province possano effettivamente intervenire e investire in quella direzione. Oggi sono però bloccati dal Patto di stabilità interno.
La legislazione in materia di Patto di stabilità interno si è talmente aggrovigliata in questi anni che è difficile districarla, ma se ci fosse almeno un primo intervento che lasciasse operare fuori dal Patto di stabilità gli investimenti su relativi all'edilizia scolastica, alla protezione civile, ai beni confiscati alla mafia e ai progetti cofinanziati dall'Unione europea, forse daremmo un impulso forte all'edilizia scolastica, casomai attraverso un rifinanziamento della «legge Masini», che aveva funzionato molto meglio di tanti altri strumenti individuati su questo versante.
In secondo luogo, è vero che la ricerca pubblica ha un ruolo fondamentale per raggiungere gli obiettivi di spesa per ricerca rispetto al PIL che l'Unione europea ha fissato, ma altrettanto fondamentale è la ricerca privata. Credo che occorrerebbe interagire per utilizzare al massimo livello possibile lo strumento del credito di imposta per le imprese. Si tratta, infatti, di uno strumento automatico che non richiede le solite procedure della pubblica amministrazione.
Tra l'altro potrebbe anche favorire l'attività dell'università. Nell'ultima versione, ad esempio, solo i progetti delle imprese che conferiscono la ricerca all'università vengono finanziati. Io credo che non debbano essere privilegiati i progetti delle università per le imprese, ma certamente l'università ha una voce importante anche in questa direzione.
Credo, quindi, in altri termini che sia fondamentale un lavoro congiunto sulla ricerca pubblica e su quella privata.
ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Vorrei ricollegarmi al brillante intervento dell'onorevole Nannicini sulla messa in sicurezza delle scuole. Io vivo in Sicilia e so bene cosa significhi abitare in un territorio ad altissimo rischio.
Ovviamente parliamo della messa in sicurezza delle scuole pubbliche di proprietà di comuni e province. Esiste però un piano che preveda la messa in sicurezza degli edifici privati che ospitano popolazione scolastica? Cosa fare in quella circostanza? Un'alta percentuale di studenti trova alloggio in strutture private soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. Mi piacerebbe peraltro conoscere questi dati.
Quando parliamo di sicurezza, io penso anche alla messa a norma di aule, palestre e laboratori. A me consta che molte strutture non abbiano il minimo di sicurezza che le leggi dello Stato italiano richiedono. Abbiamo aule piccolissime con ventinove e trenta studenti. In questi casi, non pensiamo soltanto alla tragedia del terremoto. Messa in sicurezza significa far vivere ragazzi, docenti e corpo non docente in condizioni ottimali di tutela.
Mi piacerebbe conoscere il pensiero del Ministro e sapere se c'è un progetto in tal senso.
RENATO CAMBURSANO. Grazie, Ministro, per la sua ottima relazione, anche se il quadro che ci ha rappresentato - ahimè, reale - è una storia che ci portiamo appresso da lungo tempo e non ci lascia dormire sonni tranquilli, se è vero, come è vero, che gli abbandoni scolastici nella scuola dell'obbligo stanno aumentando, se è vero, come è vero, che gli abbandoni dell'università stanno aumentando e, se è vero, come lei ci ha descritto, che, a fronte di una contribuzione ai fondi europei pari al 15 per cento, riusciamo a malapena a portare a casa il 50 per cento di quanto spendiamo.
Ovviamente immagino che questo sia dovuto alla nostra incapacità di progettare e di presentare le nostre proposte nei modi opportuni alle sedi europee. La sfida è sul 2012, per proiettarci al prossimo settennato, 2014-2020.
La mia domanda parte da una considerazione. Tanti Presidenti del Consiglio hanno affermato che il nostro Paese non ha grandi patrimoni, ma ha sicuramente quello dei giovani studenti che si proiettano verso il futuro. Ahimè, in questo Paese i giovani non si proiettano più verso il futuro, tant'è che i migliori - esagero, ma voglio farmi capire - stanno valutando o hanno già attivato una fuga dal Paese. A tale riguardo, non possiamo non ricordare quanto scrisse un paio di anni fa in un libretto un noto presidente di una università privata, che, sotto forma di lettera aperta, consigliò al proprio figlio di lasciare questo Paese. Lo smentì, ma il libro fu pubblicato.
Come intende agire, Ministro, a fronte della disoccupazione o precarizzazione dei nostri studenti laureati, le migliori intelligenze di questo Paese soprattutto guardando al futuro, e a fronte dell'abbandono del Paese stesso, che si impoverisce? So che come rettore del Politecnico di Torino aveva sperimentato azioni positive di collegamento tra scuola, ricerca e impresa.
Credo che sia l'unica strada che ci possa portare al coinvolgimento di questi ragazzi, se non vogliamo che lascino il Paese.
AMEDEO CICCANTI. Ringrazio il signor Ministro per la relazione. Non ho capito se questa era un'audizione sulla relazione annuale o sul programma europeo per il 2020 e sulla crescita. Le due cose si intersecano, ma la sua è stata una relazione a metà strada.
Prendiamo tutti e due gli aspetti. Sul primo francamente, signor Ministro, nelle sue proposte e nel lavoro che sta compiendo ho notato una formula un po' vecchia, per così dire, perché andiamo ancora avanti con i cosiddetti «finanziamenti a fondo perduto». Si sposano progetti come quelli per le città intelligenti di cui parlava prima - non ci ha detto nulla delle procedure con cui saranno assegnati, ma immagino che il tutto avverrà in modo trasparente -, ma è come una lotteria. Qualcuno ha la fortuna di partecipare e gli altri rimangono fuori. È così per il finanziamento di un miliardo di euro che sta attivando molto proficuamente con INAIL ed è così per il finanziamento di 550 milioni di euro per la sicurezza, oltre ai 900 milioni già definiti dal CIPE. Sostanzialmente, sono finanziamenti che alcuni prenderanno ma dai quali altri rimarranno fuori.
Perché, allora, invece di distribuire 900 milioni o 550 milioni, come diceva il collega Marchi, non si liberano risorse a favore di chi sarà titolare della gestione delle scuole? Perché concedere finanziamenti a fondo perduto e non consentire, invece di liberare i residui passivi detenuti in enorme quantità dagli enti territoriali ? Nell'indagine che abbiamo condotto sulla finanza pubblica è risultato che nelle casse degli enti territoriali ci sono circa 240 miliardi di residui passivi. Certo, questo incide sul fabbisogno, ma il fabbisogno è determinato anche dalla componente degli interventi a fondo perduto.
Se noi permettessimo ai comuni e alle province, che hanno e non possono spendere a causa del Patto di stabilità interno, di liberare risorse da destinare, per esempio, alla sicurezza delle scuole, lo Stato non dovrebbe tirare fuori un soldo. Perché non lasciare questa libertà a tutta l'Italia e soprattutto al sud? Lei è andato nel quartiere Zen di Palermo e si è reso conto della situazione. Ha chiesto al sindaco quanti residui passivi aveva, ma non poteva spendere per soddisfare i bisogni delle scuole, a causa delle limitazioni del Patto di stabilità interno?
Vorrei fare un'ultima considerazione sulla ricerca. Noi abbiamo l'obiettivo del 3 per cento, signor Ministro. Molte aziende potrebbero fare accordi con le università, aiutandone i bilanci e soddisfacendo le proprie necessità di ricerca. Anziché erogare fondi per la ricerca, perché non ricorrere al credito d'imposta o ad altre forme di sovvenzione diretta?
MASSIMO VANNUCCI. Signor Ministro, uno dei fattori determinanti per la crescita è il capitale umano, e la sua audizione ha questo scopo.
Gli obiettivi della strategia dell'Unione europea per il 2020 sono: la riduzione dell'abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento e l'aumento al 40 per cento della popolazione tra i 30 e i 34 anni con istruzione universitaria. Dobbiamo preparare un piano nazionale di riforme e abbiamo davanti questi obiettivi per il 2020. Io avrei voluto sentire azioni in questo senso. L'obiettivo dell'aumento del numero dei laureati nella fascia di età 30-34 anni non basterà, se non riusciremo a indirizzare l'università verso concreti sbocchi nel mercato del lavoro.
Nel ristorante sotto casa mia tra camerieri, personale di cucina e addetti alla cassa non c'è un italiano. Al contrario noi riceviamo molti curricula di ragazzi laureati in scienza delle comunicazione e simili. Servono le scuole tecniche, signor Ministro, per raggiungere questi obiettivi. Io focalizzerei il quadro di interventi su questo piuttosto che su una politica di finanziamenti.
Ancora, l'obiettivo per la ricerca è il 3 per cento. Noi abbiamo introdotto norme piuttosto importanti, come ad esempio il credito di imposta, a favore delle imprese che affidano all'università i propri progetti. La ricerca ovviamente non è solo pubblica, ma dovrebbe essere soprattutto privata. Le chiedo se può dirci che effetti hanno avuto le misure da noi introdotte nei vari decreti-legge per lo sviluppo.
I 600 milioni di euro che avevamo stimato sarebbero arrivati all'università, sono effettivamente arrivati?
ANTONIO BORGHESI. Signor Ministro, le porrò due brevi domande.
Interessa anche me la questione della messa a norma degli edifici scolastici. Siccome il collega Nannicini ha detto che qualcuno ha parlato di «legge mancia» e quel qualcuno sono io, vorrei chiarire, per chiederle di non seguire quella direzione, dal momento che il valore più ricorrente degli interventi deliberati è di 30.000 euro. Vorrei che mi si spiegasse come si può mettere a norma una scuola con 30.000 euro.
Avendo quindici anni fa fatto il presidente di una grande provincia e avendo avviato la messa a norma di una ventina di scuole pubbliche, garantisco che i termini e i costi per la messa a norma sono ben altri. Io mi auguro che finalmente si faccia un provvedimento serio, magari non complessivo, ma capace davvero di realizzare interventi completi e radicali.
Vengo alla seconda domanda. Essendo professore ordinario dell'Università di Verona, alla cui inaugurazione lei è intervenuto la settimana scorsa, l'ho sentita citare una possibile cifra di 400 milioni di euro da attivare per il diritto allo studio universitario. Siccome credo che la vera funzione regolatrice dello Stato sia quella di dare pari opportunità - e si sa quanto ci sia bisogno nell'università di realizzare pari opportunità attraverso un diritto allo studio che garantisca ai meritevoli e ai meno abbienti di andare avanti -, vorrei capire quale concretezza abbia l'intervento da lei citato in quell'occasione.
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e do la parola al Ministro Profumo per la replica.
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Grazie, presidente.
La prima domanda è legata al piano straordinario sull'edilizia pubblicato il 14 settembre del 2010. Credo siano due gli elementi sui quali vale la pena riflettere. Il processo è molto articolato perché coinvolge il Ministero, l'intermediazione delle regioni, i comuni e le province. Probabilmente questo percorso ha bisogno di essere determinato in modo più complessivo per far fronte ai ritardi che conosciamo.
Penso che nel futuro sarà necessario definire in modo più chiaro la relazione tra la regione e gli enti proprietari degli edifici. Il passaggio delle risorse attraverso le regioni consente di avere una visione complessiva, ma purtroppo in questo momento nel quale le stesse regioni sono in difficoltà e qualche volta diventano un tubo ristretto per l'erogazione. È un problema di governance del sistema.
La sensazione che ho avuto parlando con i sindaci e con i presidenti delle province è che debbano essere loro, che conoscono la mappa della situazione delle scuole, il punto di riferimento. Bisogna mantenere, però, il controllo affinché le cose si facciano e si facciano nei tempi dovuti. Questo eccesso di parcellizzazione non è certamente la soluzione migliore per risolvere i problemi, anche se, quando si parla di sicurezza scolastica, si parla di cose eterogenee, da quella strutturale a quella antisismica, a quella interna agli edifici relativamente all'impianto elettrico o antincendio. È difficile, quindi, generalizzare. Bisogna vedere caso per caso e il Ministero sta elaborando l'anagrafe dell'edilizia, tenendo conto degli interventi che sono stati fatti e di quelli che saranno messi in atto nei prossimi mesi. Sarà un'anagrafe pubblica e disponibile sul sito di riferimento: «Scuole in chiaro», con una
direzionalità multipla rispetto a docenti, genitori e studenti. Vorremmo, cioè, creare un canale affinché chi vive quotidianamente la scuola possa mettere in evidenza ciò che funziona e ciò che non funziona. Questo potrebbe anche offrire una spinta maggiore agli interventi in termini di qualità e tempi di realizzazione.
Quanto al piano straordinario del CIPE, come sapete, uno dei problemi è legato al fatto che tra il momento in cui viene adottata la delibera e il momento della pubblicazione i tempi sono lunghi. La situazione è un po' anacronistica.
Credo che tutti noi dobbiamo lavorare per avere un Paese normale in cui, quando si delibera qualcosa, il giorno dopo sia disponibile.
Quella delibera, se ben ricordo, è del 20 gennaio. Siamo quasi al 1o marzo e ancora non è successo nulla. Le semplificazioni di alto livello sono importanti, ma credo che questi aspetti della vita quotidiana dovrebbero diventare il primo impegno di Parlamento, governo e struttura amministrativa. Se fluidificassimo il processo e cercassimo di definire la governance, probabilmente potremmo ottenere risultati migliori, evitando che ci siano residui che non vengono spesi per lungo tempo o situazioni come quelle che sono state messe in evidenza. Credo che su questo dovremmo riflettere tutti.
L'uscita dal Patto di stabilità interno è un tema che emerge in ogni occasione. Alcuni elementi attengono alle regole comunitarie e altri alle regole nazionali. Dobbiamo aver chiaro che purtroppo i più e i meno non si sommano linearmente. Ci sono residui indeterminati in alcuni comuni e province e debiti profondi in altri e l'Europa in questo momento valuta il valore globale del debito. Le regole che ci sono state imposte ci infastidiscono, ma dobbiamo riconoscere con serenità che ci hanno impedito di diventare la Grecia, che non è poi così lontana da noi.
Nonostante il mio auspicio sia quello di andare oltre il Patto di stabilità interno, ci vuole la serenità per considerarlo nel modo giusto. È certamente una questione complessa. Io credo che, nel momento in cui si raggiunga la stabilità di bilancio, si debba procedere verso un superamento, non generalizzato ma riferito ad alcuni elementi come per esempio la sicurezza scolastica, del Patto di stabilita stesso. È vero, come voi dite, che taluni comuni hanno risorse da investire e mi auguro che al più presto possano farlo, ma teniamo presente che il sistema complessivo è ancora in una situazione di criticità e non possiamo tirare troppo la corda.
Il credito di imposta per le imprese è un'altra questione di grandissimo interesse, ma le imprese devono fare utile. Il credito di imposta, infatti, si può adottare se l'impresa è in utile. In questo momento la situazione delle imprese è abbastanza diversificata e per questo motivo il tiraggio è più limitato rispetto a quanto era stato previsto.
Insieme al Ministro Passera stiamo lavorando a regole sul credito d'imposta comuni a tutti i Ministeri. Oggi ogni ministero ha le proprie. Per diventare un Paese normale dovremmo invece avere una regola unica e semplice, tenendo presente che la strada può essere questa solo se il Paese si trova in condizioni di normalità. In questo momento, però, il Paese non è in una condizione di normalità perché purtroppo molte aziende sono in sofferenza e il credito di imposta non possono usarlo. Questo spiega il perché del mix di interventi in una direzione piuttosto che in un'altra.
La messa in sicurezza delle scuole pubbliche e degli edifici privati è un tema complicato. Come vi dicevo, l'80 per cento delle scuole è stato costruito prima degli anni Ottanta e il 10 per cento è in affitto, con una prevalenza nelle regioni del centro-sud. In molti casi gli edifici non sono nemmeno nati come scuole.
Nel comporre l'anagrafe generale, stiamo ragionando sul fatto che i primi interventi sulle nuove scuole potrebbero riguardare proprio le aree in cui le scuole sono in affitto. Poiché l'ente pubblico paga l'affitto, se con un intervento di contribuzione parziale avviassimo questo processo, l'affitto potrebbe ridursi ad una quota. Io credo che dobbiamo affrontare il problema dalla radice. Se una scuola non è una scuola, dobbiamo trovare una soluzione affinché lo diventi. L'investimento inoltre deve essere pubblico e non finalizzato a risistemare un edificio non utilizzabile come scuola.
Per quanto riguarda la lettera di Pier Luigi Celli e il fatto che i nostri ragazzi migliori tendano a lasciare il Paese...
RENATO CAMBURSANO. Non l'ho citato io.
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. L'ho fatto io. Per la verità, io non sono così preoccupato del fatto che i nostri laureati vadano all'estero. Le persone, i ricercatori, e i cittadini si formano meglio se hanno la possibilità di mescolarsi il sangue. Quello che mi preoccupa di più è che non abbiamo capacità competitiva per farli tornare o per far venire i ragazzi di altri Paesi. Credo che il vero tema sia questo e occorre analizzare il perché.
Dal punto di vista della ricerca, certamente intervengono tre elementi. Il primo sono i salari. Per far rientrare un bravo ricercatore bisogna essere competitivi. Diversamente, soprattutto coloro che hanno un proprio «mercato» del lavoro di qualità andranno altrove. Il problema del salario è determinante. Per avere un bravo professore nel settore della medicina molecolare, lo devo pagare, altrimenti andrà da un'altra parte.
Il secondo elemento è l'eccesso di parcellizzazione dal punto di vista delle strutture della ricerca. Abbiamo laboratori di grande qualità, ma non abbiamo mai avuto un piano nazionale. Abbiamo moltiplicazione di laboratori e moltiplicazione di strumentazione, strumentazione che è sottoutilizzata. Credo che questo faccia parte della nostra cultura dei mille comuni. Siamo bravi singolarmente, ma fatichiamo a metterci insieme. Poter concentrare i laboratori significherebbe utilizzare di più la strumentazione, avere maggiori risorse per la manutenzione, che è un fattore importante, e, quindi, creare un riciclo della strumentazione per mantenere un certo livello di modernizzazione.
Il terzo elemento è legato al fatto che siamo un Paese provinciale. Chiamare un professore o un ricercatore dall'estero è complicato. Non voglio essere estremista, ma il bene comune o il bene Paese è altra cosa rispetto al bene locale. Inserire un bravo professionista chiamato da fuori significa passare davanti a qualcun altro e noi abbiamo un numero limitato di posti. Possiamo cambiare il modo di vedere le cose e cercare di competere anche da un'altra parte, ma il problema non è semplice da risolvere.
Io sono molto favorevole e da rettore l'ho fatto, ma vi dico che non è semplice perché in molti casi l'interesse particolare prevale sul bene Paese. Oltretutto, questa è una visione un po' limitata perché una persona di grande qualità porta con sé la propria rete e produce una crescita generalizzata, che sul medio termine sono certo porta risulti. Nell'immediato però chi si vede scavalcato si lamenta e comincia a trovare modi per evitarlo.
Sul fronte dell'incremento del numero di laureati, credo esistano due tipi di anomalia. A differenza di altri Paesi, abbiamo un eccesso di studenti liceali. In Europa, pur con denominazioni diverse, il rapporto è circa di 40 a 60, cioè 60 studenti su cento si orientano verso una formazione di tipo più tecnico. In Italia il rapporto è invece di 60 a 40. Eppure il nostro Paese ha una storia di grandissimo valore dal punto di vista della formazione e dell'istruzione tecnica. I nostri istituti tecnici erano estremamente validi, ma questo si è perso nel tempo. Credo che uno dei motivi risieda nel sentire generale perché un figlio al liceo viene considerato in modo diverso.
Dobbiamo, quindi, ricostruire la reputazione della scuola tecnica. Io l'ho fatto a Udine nei giorni scorsi, dove ho visitato un istituto tecnico di grandissimo valore. Credo che ne esistano pochi al mondo della stessa qualità. È, quindi, un processo di tipo culturale. Tra l'altro, gli insegnanti sono molto bravi e gli studenti sono in genere contenti perché fanno quello che amano e a cui sono interessati. Il problema è culturale e riguarda sia la formazione della scuola media superiore sia la formazione post-diploma impartita negli istituti tecnici superiori.
Come sapete, in Italia è in corso una sperimentazione e gli istituti sono una cinquantina. Altri Paesi, come Germania, Francia e Svizzera, hanno avviato questo processo una quindicina di anni fa, ma si tratta di un processo non immediato. Anche i Paesi che hanno una maggiore
capacità di indirizzo hanno impiegato una decina di anni perché il sistema si consolidasse. Nel nostro caso bisogna avviarlo e irrobustirlo e occorre una stretta connessione tra scuola, domanda delle aziende e struttura degli enti.
La mia personale sensazione è che occorra evitare che questo percorso venga governato dalle università perché esse non possiedono le competenze necessarie per questo tipo di formazione. C'è anche un altro problema, in materia, che è relativo alla possibilità di passare da questo percorso all'università, passaggio che richiede una certa formazione di base. È facile da dire, ma più complicato da realizzare. Gli esempi comunque ci sono.
MASSIMO VANNUCCI. Chiedo scusa, Ministro, vorrei suggerirle un'azione concreta, vale a dire reintrodurre negli istituti alberghieri la cucina. Per assurdo laureiamo cuochi avendo tolto dalle scuole la cucina, le padelle e l'attività pratica.
La può ricostruire? Ci vuole poco.
FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. C'è stata una grandissima riduzione delle attività pratiche. Credo che la formazione tecnica superiore meriti una particolare attenzione in questa direzione, ritornando alle attività pratiche e riducendo quelle di tipo teorico. Su questo credo che siamo d'accordo.
L'ultimo tema è quello del diritto allo studio. Come sapete, questo è stato un anno veramente difficile per gli studenti. Tale situazione è stata determinata da due elementi: la contribuzione ridotta del Ministero - circa 110 milioni di euro - e le difficoltà nei bilanci delle regioni, che purtroppo hanno operato tagli. Abbiamo fatto davvero una brutta figura, come Paese. Gli studenti avevano aspettative forti sul piano sia del merito che del reddito. Noi dovremmo dare opportunità a tutti, ma questo non è successo. Credo che dobbiamo rammaricarcene tutti.
Per il futuro stiamo mettendo in atto un accordo sul diritto allo studio, che io amo chiamare welfare, lo «star bene» dello studente. Lo studente oggi più che mai non deve solo andare in aula, ma deve crescere come cittadino e come cittadina. Deve creare un sistema di relazioni sul territorio, probabilmente deve avere opportunità per fruire di cultura e sport e forse deve avere anche l'opportunità di misurarsi con il mondo del lavoro per quanto connesso alla sua attività futura. Io vedo lo studente come una serie di caselle. La somma di queste caselle deve dare una quantità di risorse che gli permettano di vivere bene e diventare un buon cittadino.
Perché questo avvenga, occorre che contribuiscano al sistema tre attori. Prima di tutto occorre il contributo del Ministero e l'anno prossimo questo sarà di circa 170 milioni di euro. Il secondo contributo è quello versato dagli studenti sotto forma di tasse di iscrizione, una quota delle quali è destinata al diritto allo studio. Il terzo è il contributo delle regioni. In Conferenza Stato-regioni ho parlato con il Presidente Errani e con la Vicepresidente Targetti. Dobbiamo capire che in questa visione lo studente per le regioni è come l'elemento di una partita di giro.
Lo studente che viene da un'altra provincia, da un'altra regione o da un altro Paese riporta sul territorio tutte le risorse che gli derivano attraverso questo «star bene» e non se ne mette in tasca alcuna. Anzi, c'è il contributo della famiglia ed è un contributo che viene distribuito sul territorio in modo naturale, comprando il giornale, comprando il latte, comprando un libro o andando al cinema.
In una visione lungimirante, quindi, l'investimento degli enti territoriali sullo studente ha innanzitutto un ritorno sull'economia. Una volte distribuite le risorse, è il mercato a determinarne l'allocazione.
Dal punto di vista di un ente territoriale credo che questo meriti grande attenzione. In modo indotto, ciò significa attirare persone di qualità sul territorio, persone che possono rimanere e contribuire allo sviluppo di quel territorio oppure lasciarlo e restarvi amiche per la vita. Chi ha studiato in un certo posto rimane amico di quel territorio perché ha contribuito alla sua crescita professionale.
Mi piacerebbe, quindi, che riuscissimo a far passare il messaggio che questo deve essere innanzitutto un sistema di welfare per lo studente da guardare con lungimiranza, perché è qui che si costruisce il futuro. È un concetto complesso e capisco che occorra fare i conti con i bilanci.
Mettendo insieme Ministero, studenti e territori si dovrebbe arrivare alla cifra di circa 400 milioni di euro che consentirebbe di dare una risposta a tutti gli idonei sia per merito sia per condizioni di reddito.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Profumo e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.