Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011) 815 DEFINITIVO)
Audizione di rappresentanti dell'ABI:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 16
Occhiuto Roberto, Presidente ... 5 10
Cambursano Renato (Misto) ... 5 7 12
Chiorazzo Vincenzo, Responsabile dell'ufficio analisi economiche dell'ABI ... 12
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 8
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 6
Mantovano Alfredo (PdL) ... 9
Nannicini Rolando (PD) ... 10 15
Sabatini Giovanni, Direttore generale dell'ABI ... 2 7 11 12 15
Simonetti Roberto (LNP) ... 10
Vannucci Massimo (PD) ... 7 16
ALLEGATO: Nota consegnata dal direttore generale dell'ABI, dottor Giovanni Sabatini ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud
Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 12,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione di rappresentanti dell'ABI.
È presente il dottor Giovanni Sabatini, direttore generale dell'ABI, accompagnato dai suoi collaboratori, i dottori Gianfranco Torriero, Vincenzo Chiorazzo, Carlo Capoccioni e Gianluca Smiriglia, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al direttore generale dell'ABI, dottor Giovanni Sabatini.
GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Grazie, presidente, grazie onorevoli deputati. Per noi il tema oggi trattato è fondamentale, giacché il tema della crescita è per le banche un tema rilevante, perché dalla crescita della nostra economia dipendono anche le prospettive della nostra industria e anche la nostra capacità di produrre risultati positivi.
La comunicazione della Commissione oggetto della presente audizione evidenzia cinque priorità: il risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita; il ripristino della normale erogazione di prestiti all'economia; la promozione della crescita e della competitività; la lotta contro la disoccupazione e, infine, la modernizzazione della pubblica amministrazione.
Cercherei di trattare questi vari temi raggruppandoli in tre blocchi tematici: il primo è quello che riguarda il risanamento dei conti pubblici, il secondo è il tema della crescita e della competitività, il terzo è quello relativo all'andamento dell'erogazione del credito.
La crisi del debito sovrano e la virulenza che questa ha avuto soprattutto nello scorso autunno evidenziano in maniera inequivocabile come l'idea che la crescita economica possa essere perseguita attraverso i deficit di bilancio appartenga ormai soltanto al passato.
Da questo punto di vista, le azioni che il Governo sta continuando a promuovere mostrano che la determinazione nel processo di risanamento è ormai un dato acquisito dal Paese e i miglioramenti che stiamo osservando in questi giorni anche nell'andamento dello spread tra i titoli di Stato italiani e i titoli di Stato tedeschi mostrano che questa azione sta dando risultati positivi. Cominciamo, infatti, a osservare un andamento positivo dello spread, che rimane intorno ai 350 basis point.
Ci sembra quindi che gli obiettivi che sono stati posti, a partire da quello dell'azzeramento del disavanzo nel 2013, siano fondamentali per garantire la stabilità
dei conti pubblici, che non è soltanto, comunque, un'azione di mera riduzione del deficit, laddove riteniamo sia rilevante anche la gestione qualitativa delle poste di bilancio. Il contenimento della spesa potrà avere un effetto benefico sull'efficienza del sistema soprattutto se sarà efficace lo screening attento e sistematico dei singoli capitoli di bilancio, quindi se sarà efficace quella attività di spending review nella quale il Governo è impegnato.
Nella documentazione che abbiamo depositato agli atti è presente anche una nostra analisi dell'andamento del rapporto tra il dato della spesa corrente primaria e il tasso di crescita del PIL, misurati in termini reali, quindi abbiamo ricostruito la vicenda dei vari aggiustamenti fiscali. Non starei qui a ripercorrere tutto questo tema, ma evidenzierei soltanto come, oggi, sembrino ravvisarsi le condizioni perché il periodo 2012-2014 possa essere positivo per quanto riguarda il rapporto tra spesa pubblica e crescita, con una situazione che, pur a fronte di un modesto aumento del PIL (circa l'1 per cento nel periodo), vede per la prima volta scendere la spesa pubblica corrente a un tasso medio annuo dell'1,5 per cento.
Riteniamo che il risanamento fatto di contenimento e di selezione della spesa pubblica risponda anche alla richiesta della Commissione europea di un risanamento orientato alla crescita economica, che è l'altro tema fondamentale. Risanamento e crescita sono, infatti, nella nostra logica due obiettivi da perseguire contemporaneamente, in quanto l'uno non può esistere senza l'altro, anche perché soltanto con il recupero della crescita, e quindi con una dinamica del PIL più sostenuta, saremo capaci di riassorbire le rilevanti sacche di disoccupazione soprattutto giovanile e femminile.
La crescita è il problema dell'Italia, che ha registrato uno scarto di crescita rispetto alla media europea negli ultimi dieci anni di 0,7 punti percentuali. Collegato al tema della crescita, l'indicatore che evidenzia e sintetizza la riduzione di capacità di forza competitiva del nostro Paese è quello rappresentato dal costo del lavoro per unità di prodotto, cioè il rapporto tra costo di lavoro unitario e produttività. Se consideriamo per il periodo dall'introduzione dell'euro al 2011 l'andamento del costo del lavoro per unità di prodotto, osserviamo come questo sia cresciuto a un ritmo medio annuo del 2,2 per cento, quindi leggermente superiore al tasso di inflazione, non discostandosi da quanto accaduto in altri Paesi (in Francia è cresciuto dell'1,9 per cento). In Germania, però, questo valore è aumentato a un tasso medio annuo dello 0,5 per cento.
Se quindi cumuliamo questo scarto nell'arco temporale considerato, 1999-2011, abbiamo l'indicazione della perdita di competitività del Paese rispetto alla Germania. Il costo del lavoro per unità di prodotto risultava, infatti, più alto di quello tedesco di oltre il 25 per cento, e ovviamente, questo, in presenza di un cambio fisso, significa che i nostri prodotti oggi costano il 25 per cento in più di quelli tedeschi rispetto alla situazione vigente nel 1998.
Abbiamo quindi un problema forte di produttività, perché l'indicatore è dato appunto dal rapporto tra costo del lavoro unitario e produttività, quindi occorre agire in senso migliorativo sui fattori che lo determinano, e il problema principale risiede forse nella scarsa crescita della produttività, e quindi nel denominatore di questo rapporto.
Se la produttività non cresce, i salari non possono crescere, l'occupazione non può crescere, i profitti non possono crescere, quindi nella sostanza non può crescere su solida base la speranza di un domani migliore, di una società più giusta e più mobile. È quindi importante che siano adottate le misure che possano far aumentare la produttività.
Da questo punto di vista, il programma di liberalizzazioni è sicuramente importante e supportiamo l'azione del Governo in questo settore, anche se dobbiamo notare che a volte nei confronti dell'industria bancaria il concetto di liberalizzazioni si declina in maniera differente attraverso l'imposizione di vincoli amministrativi, prezzi amministrati e quindi misure che
non sembrano coerenti con l'obiettivo di una maggiore concorrenza del settore. Un problema questo che riguarda la produttività del Paese, non soltanto del lavoro, ma anche quella totale dei fattori, su cui incide una serie di variabili, a cominciare dalla ridotta dimensione delle imprese.
La difficoltà delle piccole imprese di sfruttare economie di scala tipiche delle innovazioni tecnologiche, e quindi di concentrare su innovazioni di processo la difficoltà di sopportare i costi fissi dell'attività progettuale, determina sicuramente un peggioramento della produttività totale dei fattori. Cito soltanto un dato: la Banca d'Italia stima che l'aumento del 10 per cento della dimensione media delle imprese comporterebbe un incremento della produttività dello 0,2 per cento. Sicuramente sulla produttività totale dei fattori pesa anche una serie di arretratezze nell'infrastruttura sia materiale sia immateriale del Paese. Il Paese dovrebbe garantire un ambiente favorevole all'investimento tecnologico. È necessario dare enfasi alla modernizzazione della nostra pubblica amministrazione, a cominciare da un efficientamento della giustizia civile. Su questo mi permetto di ricordare lo sforzo che l'Associazione bancaria
italiana e l'industria bancaria hanno fatto, finanziando la telematizzazione del processo civile e supportando anche un progetto pilota, portato avanti dal tribunale di Milano, con il cosiddetto progetto sull'ufficio del giudice.
Venendo poi al tema dell'andamento dell'erogazione del credito, vorrei accennare innanzitutto al nuovo accordo per le misure a sostegno del credito alle piccole e medie imprese, che è stato siglato ieri dall'Associazione bancaria italiana e da tutte le associazioni di imprese, e che consente di mettere in campo una serie di iniziative senza paragoni nel resto d'Europa, per continuare a sostenere le imprese nel 2012, anno particolarmente difficile.
È stata in particolare riproposta la sospensione per dodici mesi del rimborso della quota capitale dei mutui per le piccole e medie imprese; sono state previste sospensioni sempre per dodici mesi del pagamento della quota capitale implicita nei canoni di operazioni di leasing immobiliare e mobiliare. Per le imprese che hanno già potuto usufruire in passato della sospensione delle rate del mutuo e per le quali quindi non era possibile riproporre questa misura, è stato previsto un percorso accelerato per la rinegoziazione dei mutui, prevedendo un allungamento delle scadenze fino a un raddoppio della durata residua del mutuo. Sono state previste misure anche per sostenere la ricapitalizzazione delle imprese, nella logica di aiutare la crescita dimensionale attraverso la patrimonializzazione delle piccole e medie imprese.
Credo che questa misura - se raccordata anche con la misura fiscale, la cosiddetta ACE, prevista dall'articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, che consente di dedurre dal reddito di impresa l'onere figurativo legato a operazioni di capitalizzazione - rappresenti anche un intervento molto importante nella direzione del sostegno alla crescita. Tra l'altro, questa moratoria fa seguito anche alla proroga della moratoria nei confronti delle famiglie, quindi degli interventi a sostegno dell'economia reale in quello che si presenta come un anno difficile, al momento, tecnicamente, di recessione.
A fronte di questo, non possiamo però non osservare come alcuni elementi di contesto rendano più difficile l'erogazione del credito all'economia, in particolare anche misure adottate a livello europeo. Ricordo soltanto brevemente il recente esercizio dell'Autorità bancaria europea, che ha richiesto una ricapitalizzazione a fronte dell'intensificarsi della crisi del debito sovrano, un esercizio che lo stesso Governatore della Banca d'Italia ha definito attuato non secondo una corretta sequenza temporale.
Rispetto a questo c'è poi il tema più generale, anche se con tempi più lunghi, del quadro delle nuove regole di Basilea, in corso di recepimento nell'ambito della Capital Requirements Directive (CRD IV), rispetto alle quali evidenziamo ulteriori profili critici per l'industria bancaria tradizionale,
che fa dell'erogazione del credito a imprese e famiglie la sua missione privilegiata.
In particolare, sembra che l'errore concettuale che noi abbiamo evidenziato come grave nell'esercizio dell'EBA, cioè quello di valutare a prezzi di mercato i titoli di Stato, anche quelli detenuti fino alla scadenza, venga oggi riproposto attraverso emendamenti da inserire nel quadro delle nuove norme di Basilea.
A questo punto, quindi, il problema della valutazione a prezzi di mercato dei titoli di Stato, che ha pesato gravemente nell'accentuare la crisi alla fine dello scorso anno, si riproporrebbe in misura strutturale all'interno del quadro di Basilea. Riteniamo che anche il quadro generale delle regole debba tener conto dei diversi modelli di banca. Sicuramente le banche commerciali non hanno creato la crisi, non hanno determinato questa caduta della crescita mondiale, ma, anzi, soprattutto in Italia, hanno contribuito e stanno contribuendo a superare la crisi e a mettere le basi per la ripresa economica.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Sabatini. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
RENATO CAMBURSANO. Oggi la Banca centrale europea dovrebbe aprire nuovamente il cordone della borsa con una seconda tranche di finanziamento alle banche. Vorrei chiederle - a consuntivo - di quanto della prima tranche di finanziamento abbiano usufruito le banche italiane.
Come lei ha già detto in parte, i problemi che nascono dalle nuove regole di Basilea, soprattutto quelle della EBA, mettono in forte difficoltà il nostro sistema. Sappiamo che tre erano gli obiettivi, almeno per il sistema finanziario bancario italiano, nell'acquisizione di quei finanziamenti dalla BCE: ricapitalizzare e patrimonializzare le banche, stimolare l'acquisto di titoli sovrani, e quello che ci interessa maggiormente per la crescita nel 2012 ossia favorire il credito. Rispetto a questo ultimo aspetto ci interessa soprattutto sapere quanto di quel sistema finanziario erogato dalla BCE stia ricadendo in termini operativi sul sistema imprese e famiglie italiane. Continuiamo a leggere sui giornali che le imprese esprimono pesanti lamentele nei confronti del sistema bancario. Leggo, invece, a pagina 11 della sua relazione scritta, che nel corso del 2011 gli impieghi in favore di imprese italiane sono aumentati del 2,5 per cento contro una media della zona
dell'euro dell'1,1 per cento; gli impieghi in favore di famiglie italiane sono cresciuti del 3,7 per cento contro una media dell'1,5 per cento. Quindi, evidentemente, c'è qualcosa che non funziona. Mi verrebbe da dire che forse non sono vere le notizie giornalistiche - non me ne voglia, direttore -, ma ne dubito fortemente, anche perché lei riferisce in Parlamento, quindi nella istituzione più alta di questo Paese, e presumo non voglia essere smentito dai fatti.
La raccolta fatica, perché la concorrenza dei titoli sovrani è alta, le sofferenze sugli impieghi aumentano, quindi è ovvio che coniugare le due cose non sarà impresa facile. Prendo atto positivamente dell'accordo di ieri, che fa qualche passo avanti. Vorrei sapere esattamente come stiano le cose rispetto a questa contestazione.
Sui quotidiani ogni tanto ritornano le critiche pesanti allo strano sistema delle fondazioni bancarie italiane, che sono ancora importanti azionisti del sistema bancario e finanziario del nostro Paese. Sappiamo di ricapitalizzazioni sostenute non senza difficoltà da alcune importanti fondazioni, per esempio quella della mia città, Torino, nei confronti della sua partecipata maggiore, UniCredit, ma sappiamo anche di una riduzione patrimoniale piuttosto pesante in quella fondazione che deteneva - o detiene forse ancora - il controllo della sua banca, Monte dei Paschi di
Siena. Vorrei chiederle, quindi, come legga il ruolo delle fondazioni in questo momento, date le difficoltà del sistema.
GIORGIO LA MALFA. Nella nota dell'ABI, che è stata depositata, viene indicata la più chiara e analitica ragione della crisi dell'euro, come esplicitata nelle pagine 5 e 6 della stessa. Non l'ho mai vista espressa in modo così chiaro.
L'ABI fa osservare che fra il 1999 e il 2011 il costo del lavoro per unità di prodotto italiano è cresciuto del 25 per cento in più di quanto non sia cresciuto in Germania, cioè c'è stata una perdita di competitività dell'Italia rispetto alla Germania del 25 per cento. Fa osservare, inoltre, che la stessa cosa è avvenuta alla maggior parte dei Paesi europei, compresa la Francia.
L'esito di questo andamento è che la Germania, che nel 1999 aveva un saldo negativo delle partite correnti con l'estero pari a 1,5 punti del PIL, nel 2011 si trova ad avere un avanzo di 6 punti percentuali, cioè ha migliorato di 7,5 punti percentuali in rapporto al PIL la sua bilancia dei pagamenti; mentre, come Spagna, Grecia e Portogallo, l'Italia - che nel 1998 aveva un piccolo disavanzo, inferiore a quello tedesco - oggi ha un disavanzo di 4 punti percentuali rispetto al PIL.
Questa è la situazione: la Germania attraverso l'euro ha migliorato la sua competitività in primo luogo rispetto all'Europa, l'Europa ha concesso quote di mercato alla Germania e, oggi, si trova in enorme difficoltà. L'ABI evidenzia, quindi, che l'origine della crisi dell'euro è tutta qui e bisogna intervenire, se si vuole rendere stabile e coerente la moneta unica. Si tratta quindi di una diagnosi di rara lucidità.
Il mio dubbio sorge quando da questa analisi - che non potrebbe essere migliore - vengono le proposte, perché lì il conformismo domina. Bisogna dire che - come lei direttore ha evidenziato - le politiche della finanza pubblica non si possono applicare, o meglio non si possono applicare ai Paesi che più ne avrebbero bisogno, perché voi affermate che questo richiede un giusto mix tra politiche di offerta e politiche di domanda.
Le politiche dell'offerta si devono fare nei Paesi in difficoltà, fra cui l'Italia, mentre le politiche della domanda si fanno nei Paesi che stanno bene e non hanno nessun bisogno di farle. Voi quindi chiedete alla Germania di fare una politica espansiva, di cui la Germania non ha bisogno, perché procede al 3,5 per cento annuo, sta benissimo, quindi si tratta di una predica che giustamente le possiamo rivolgere; tale predica la potete rivolgere voi, la Commissione europea, i dodici Paesi che firmano la lettera sul mercato unico, prediche alla Germania possiamo anche farle, ma «a noi il cilicio e a loro l'auspicio», cioè noi dobbiamo fare una politica restrittiva, loro dovrebbero fare una certa politica e non la faranno.
Seconda osservazione: secondo questa vostra impostazione, l'Italia per stabilizzare dovrà recuperare almeno una parte del 25 per cento della competitività perduta. Lo farà con l'aumento della produttività, che, però, se non sorretto da un'ampia domanda, significa - in ampia misura - diminuzione dell'occupazione. Se producendo la stessa quantità di beni si vuole avere una maggiore produttività, si devono cacciare dei lavoratori.
Se, quindi, non c'è un ampliamento della domanda, aumento della produttività vuol dire maggiore disoccupazione, per cui alle difficoltà di famiglie e imprese - per effetto della restrizione fiscale necessaria per risanare i conti pubblici - aggiungiamo anche gli effetti di una caduta dell'occupazione conseguente all'aumento della produttività.
Mi chiedo come tutto questo possa essere considerato fattibile con le politiche economiche. Considero impossibile offrire ai Paesi un mix di politiche economiche di questo genere, perché significa andare esattamente nella direzione opposta a quella necessaria. Se prendo per buona questa vostra diagnosi e facciamo aumentare la produttività, devo far aumentare la disoccupazione. Non è detto in questi termini, perché non è di buongusto, ma la sostanza è questa: un aumento della produttività
in assenza di un aumento della domanda vuol dire aumento della disoccupazione, perché questa è la matematica.
In queste condizioni bisogna che cambi il consenso internazionale, perché non è possibile andare avanti con questa impostazione, in quanto sappiamo benissimo tutti che anche le misure di liberalizzazione del mercato hanno un effetto di medio periodo, mentre le restrizioni hanno un effetto immediato. O l'Europa si fa carico di aggiungere degli elementi di domanda ai Paesi che debbono fare quell'aumento di produttività, di cui voi giustamente parlate, oppure questi Paesi devono farlo da soli, quindi l'Europa deve attenuare i criteri sulla finanza pubblica.
Propongo, quindi, di cominciare a rovesciare la vecchia impostazione: per molti anni abbiamo coperto disavanzi strutturali della finanza pubblica con misure di tipo una tantum, ma potremmo pensare a una cosa diversa. Oggi, noi abbiamo sistemato strutturalmente i conti pubblici, mettendo a posto le pensioni e il sistema fiscale, per cui potremmo concordare con l'Europa la possibilità di usare le misure una tantum a fini di sostegno della domanda.
Oggi, abbiamo realizzato quell'aggiustamento formidabile di cui tutti i Paesi europei ci danno atto, quindi l'Unione europea potrebbe darci la possibilità di usare, una tantum, delle risorse fiscali per sostenere gli investimenti pubblici, per sgravare il costo del lavoro sulle imprese che creano occupazione e per sgravare il costo del capitale per le imprese che fanno investimenti tecnologici.
Abbiamo bisogno di finanza pubblica. Se l'Europa non è disposta a mettere la finanza pubblica al servizio della crescita, bisogna che autorizzi i Paesi membri a farlo, altrimenti noi andiamo verso politiche che, come avete detto con chiarezza e onestà nel vostro rapporto, rendono l'euro insostenibile, perché la vostra è la diagnosi di un euro insostenibile.
MASSIMO VANNUCCI. Grazie, direttore, per il suo contributo. Mi atterrò più a quello che possono fare le banche per favorire la crescita.
Complimenti per la moratoria, speriamo che funzioni e le banche siano conseguenti. Mi rifaccio alle considerazioni dell'onorevole Cambursano. Voi dite che nel corso del 2011 gli impieghi delle imprese italiane sono aumentati di una certa percentuale, ma probabilmente vi riferite al 2010.
GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Il periodo di riferimento è dicembre-dicembre.
RENATO CAMBURSANO. Il periodo di riferimento è dicembre 2010-dicembre 2011.
MASSIMO VANNUCCI. Probabilmente prima del 2010 era successo qualcosa, perché Il Sole 24 Ore ha pubblicato la situazione sulla stretta creditizia, il credit crunch, indicando che il livello di domanda e di offerta presenta un divario molto più alto in Italia che in Germania, giacché le banche italiane sono state meno impegnate sui mercati internazionali. Mi riferisco alla crisi irlandese e alla crisi greca, laddove dobbiamo indagare le vere ragioni di questa situazione italiana rispetto alle altre.
Avete fatto riferimento alle norme dell'EBA sulla patrimonializzazione, che penso non siano ancora operative, e le banche si stanno preparando a tal fine. Su questo ci saranno dei dati sugli impieghi del sistema bancario italiano verso le piccole e medie imprese rispetto alla media europea. Se le banche italiane impiegano il 70 per cento per le piccole e medie imprese e la media europea è del 40 per cento, dovremmo cercare di far valere in sede europea questa particolarità.
Come per la questione concernente il debito pubblico e il debito privato, che è stata un elemento inserito nel dibattito più che nelle decisioni finali, anche questa è una singolarità, perché si può chiedere più patrimonializzazione a chi impiega di meno verso la crescita o lo sviluppo e di meno in rapporto agli impieghi. Su questo ci vorrà anche un impegno più forte del Governo. Quando ponemmo il tema al
Ministro Tremonti, ci rispose che l'accordo Basilea 2 non l'avrebbe mai fatto, ma avrebbe fatto Basilea 1,5, e per questo lo cambiarono da ministro e non si occupò dell'accordo Basilea 3. Questa risposta è a verbale, ma qualcuno deve occuparsene, perché mi sembra il tema fondamentale.
La Repubblica di oggi, a pagina 2, titola: «Debiti dello Stato. Un piano per restituire 20 miliardi alle imprese. Rimborsi anticipati da banche e Bankitalia». Da anni stiamo producendo norme per favorire lo smobilizzo pro soluto dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione, ma queste norme non hanno mai funzionato anche perché a monte c'è questo Patto di stabilità che fa sì che nel momento in cui un ente certifica il proprio debito, lo debba iscrivere, quindi non rispettando più i parametri fissati.
Qui bisogna capirci, perché continuiamo a fare delle chiacchiere e a illudere le persone: nel disegno di legge comunitaria 2011 abbiamo delegato il Governo a recepire - entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa - la direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, ma, se rimane questo vincolo, tecnicamente se le banche pretendono la certificazione e la cessione formale del debito, ciò incide automaticamente nei criteri di calcolo del Patto di stabilità, e il problema non si risolve, perché l'80 per cento di questo debito è di comuni, province e regioni, soggetti al Patto di stabilità interno.
Se le banche non fanno una propria valutazione senza l'atto formale di cessione, non ne usciamo, oppure si dica, a monte, che bisogna cambiare il Patto di stabilità, per cui aumentiamo il debito pubblico: paghiamo o cambiamolo, altrimenti la gente smette di impegnarsi, di fare lavori, di chiedere commesse se materialmente non le può pagare. Gli enti pubblici si preparino a programmare i loro interventi prevedendo nei bandi pagamenti a 36 o 48 mesi, in modo che chi concorre metta nei conti il ritardo nel pagamento.
AMEDEO CICCANTI. Vorrei sapere, innanzitutto, come l'ABI o il sistema bancario possa aiutare il pagamento dei circa 60-70 miliardi di euro di debiti che le pubbliche amministrazioni hanno nei confronti del sistema delle imprese, soprattutto di piccole e medie imprese, appaltatori, piccoli fornitori, nell'ambito dei criteri di contabilità pubblica previsti dal SEC 95, sapendo che ciò va a incidere sul debito pubblico, ovvero se esista una strategia per eliminare, nell'arco di 2-3 anni, questo enorme peso dalle finanze pubbliche.
Noi abbiamo approvato una norma nel disegno di legge comunitaria 2011 che guarda ai prossimi impegni finanziari con le imprese, ma non risolve ciò che è avvenuto in passato, perché c'è da fare una verifica dell'ammontare delle somme. Vorrei sapere, però, se sia possibile affrontare tale questione con il sistema bancario.
Partecipo ai convegni e agli incontri con imprese, CNA e Confartigianato, e tutti si chiedono perché le banche ricevano denaro dalla BCE e poi ridepositino alla BCE il denaro ricevuto. Sicuramente c'è una spiegazione di carattere tecnico all'interno del sistema finanziario, che però le imprese non riescono a capire.
Dalla lettura della vostra relazione ho capito - sarebbe utile anche avere una sequenza di dati e di tabelle per capire meglio - che nel 2011 abbiamo avuto 24 miliardi di euro di raccolta rispetto ai 130 miliardi dell'anno precedente; che il finanziamento dei titoli sovrani ha attinto dal bacino dei risparmiatori; che la raccolta all'estero è diminuita di 50 miliardi di euro, e che l'ampliamento della base patrimoniale dalle banche deciso dall'EBA - che con un atto d'indirizzo presentato alla Camera abbiamo giudicato negativamente, ma che tale è rimasto e il cui termine scade il 30 giugno prossimo - ha richiesto circa 30 miliardi di impegni, quindi il mercato del risparmio già colpito dalla recessione è stato spremuto al massimo.
Di fronte a queste cifre, però, ci sono i 160 miliardi di euro di prestiti da parte della BCE, e se ne prevedono altrettanti. Vorrei chiederle, quindi, se per consentire alle banche di finanziare il sistema economico e, quindi, aiutare la crescita dobbiamo attendere questo ulteriore finanziamento da parte della BCE, oppure il nuovo meccanismo di stabilità, che andrà in vigore dal luglio prossimo in sostituzione dell'EFSM (European Financial Stabilisation Mechanism) che al momento non funziona, mi sembra di capire.
Siccome il finanziamento alla crescita per il sistema di organizzazione a livello di Banca centrale europea può essere effettuato soltanto dal sistema bancario, perché la BCE finanzia le banche e le banche finanziano la crescita, si deve attingere dai prestiti che la Banca centrale europea fa alle banche o da quel fondo che dovrebbe essere di 750 miliardi di euro, a cui le banche e gli intermediari finanziari possono accedere per finanziare la crescita.
Vorrei sapere, quindi, se per ottenerlo dobbiamo aspettare giugno o luglio o il prossimo finanziamento previsto per oggi, che potrebbe essere un'iniezione. Sarebbe opportuno capirlo per dare conforto alle nostre imprese.
Chiudo con una considerazione: è vero che noi vantiamo una serie di parametri migliori di altri Paesi, ma bisogna considerare che il sistema bancario italiano è - per così dire - più pulito, nei propri bilanci, rispetto a quello dei Paesi con cui voi fate i confronti, se è vero che questi hanno dal 33 al 63 per cento di prodotti tossici e noi ne abbiamo il 7 per cento, comportando che una quota di riserve va bloccata lì per garantire quel tipo di vincoli finanziari.
Vorrei chiederle, infine, se lo Stato, con un sistema di garanzie, possa ripetere l'esperienza che molte regioni hanno fatto con Confidi, cioè di finanziamento alle piccole imprese almeno nel limite del de minimis, che sarebbe utile soprattutto per i commercianti e gli artigiani. Non passerebbe, quindi, come aiuto di Stato sanzionabile dal Trattato, ma garantirebbe una leva finanziaria per queste imprese.
Nelle Marche, con 15 milioni di euro della regione e con tutto l'insieme delle province, abbiamo realizzato un Confidi che ha messo in circolazione oltre 150 milioni di euro ed è stata una delle esperienze migliori a livello nazionale.
ALFREDO MANTOVANO. Vorrei ringraziare i rappresentanti dell'ABI per la loro relazione e per le informazioni fornite, però anch'io rimango sorpreso da quel passaggio della relazione in cui, con riferimento al 2011, si parla di impieghi a imprese italiane aumentati del 2,5 per cento e alle famiglie addirittura del 3,7 per cento.
Non metto in dubbio il dato complessivo, ma vorrei avere gli elementi disaggregati per capire meglio e confrontarci con le associazioni di categoria, che prospettano un quadro totalmente diverso.
Ho letto velocemente l'accordo citato relativo alle nuove misure per il credito alle piccole e medie imprese. Vorrei capire se si immagini un ulteriore sviluppo, perché si dà la dovuta attenzione ai mutui in atto, alle proroghe e a quanto previsto analiticamente, ma mi pare che non ci sia pari apertura verso i mutui da attivare, che in questo momento rappresentano uno dei nodi cruciali. Sempre facendo riferimento non a questi dati complessivi, ma a quanto emerge dalla piccola esperienza quotidiana di ciascuno di noi e a quanto ci dicono le categorie, il rilievo principale che viene mosso agli istituti di credito non è tanto quello della restrizione del credito, che è una scelta di necessità derivante dal divario esistente tra la raccolta e gli impieghi, quanto di una sorta di irrigidimento automatico nel diniego anche a fronte di casi specifici, che richiederebbero invece l'applicazione di criteri modulari, se non addirittura caso per
caso.
Poiché in quest'accordo con le piccole e medie imprese si parla della predisposizione di un meccanismo di monitoraggio relativo alla tipologia di imprese beneficiarie dell'operazione descritta, vorrei chiedervi come valutiate l'idea di riattivare - con tutte le modifiche derivanti dall'esperienza - gli osservatori regionali del
credito, che quindi abbiano una interfaccia istituzionale non soltanto in termini di ricezione delle informazioni - come previsto da questo accordo - ma di parte attiva, di moral suasion, di intervento più propositivo.
Da ultimo, il discorso sui Confidi ha importanza nel quadro problematico complessivo, ma, soprattutto, in alcune zone del territorio nazionale sconta il limite di strutture molto frammentate, troppo piccole e in taluni casi collegate a logiche non esclusive di garanzia. Vorrei sapere se, di là dall'esigenza di consorziarle, abbiate formulato proposte analitiche di dettaglio che vadano in questa direzione.
ROBERTO SIMONETTI. Ringrazio anch'io il direttore dell'ABI per la relazione che ha prodotto. Non ripercorro quanto è già stato espresso dagli altri commissari, che condivido soprattutto per quanto riguarda la tematica del credit crunch, perché i dati dibattuti prima sono in controtendenza rispetto a quelli della Banca d'Italia, secondo cui la crescita su base annua del credito del sistema industriale è in forte rallentamento.
La Banca d'Italia ci dice che dal maggio 2011, in cui era del 6,11 per cento, è sceso, passando al 5,8 per cento di ottobre, al 4,9 per cento di novembre, al 3,1 per cento di dicembre, quindi, non capisco il 2,5 percentuale in più - nell'anno 2011 - indicato dal direttore, ma la domanda è stata già diffusamente posta.
Per quanto riguarda, invece, la crescita della competitività, che lei giustamente ha individuato in una serie di iniziative che le strutture pubbliche devono attuare per snellire il mercato del lavoro - mi riferisco alle liberalizzazioni, alla burocrazia dello Stato, al centralismo e alla modernizzazione - volevo chiederle se il costo del lavoro indicato nella cifra del 25 per cento di gap nei confronti, per esempio, della Germania sia un dato desunto da una media nazionale o sia spalmato su tutto il territorio italiano, per capire se la mancata crescita sia spalmata in maniera uniforme sul territorio o ripartita in vari fattori territoriali.
Vorrei chiederle anche quanto degli importi che le banche hanno ottenuto dalla BCE sia entrato nel circuito degli impieghi.
ROLANDO NANNICINI. Vorrei sapere se sia a vostra disposizione il dato 2009-2010 della riduzione del credito nei confronti delle imprese, perché discutiamo molto del dato 2010-2011 mentre c'è una riduzione notevole nel 2009-2010. Per valutare la diminuzione occorre infatti almeno un trend di tre o quattro anni, e dando un trend di due anni non possiamo valutare l'andamento.
Vorrei riferirmi alla moratoria. Nel primo accordo l'impresa aveva la moratoria per un anno per evitare l'insolvenza e il divieto di procedere al rinnovo della moratoria pagando gli interessi semplici sui mutui, che rimanevano congelati. Vorrei sapere che esperienze abbiate avuto nel sistema bancario, se le imprese abbiano utilizzato la moratoria per un anno e poi non sia stata rinnovata, cosa giustissima perché altrimenti avrebbe rinviato le insolvenze, in quanto più voi rinviavate le insolvenze più questo era anche un vostro interesse - mi scuso per la franchezza - laddove c'era anche l'interesse a «mandare via» le insolvenze per non fare bene i conti.
Vorrei sapere cosa sia successo dopo la moratoria, se le imprese siano andate in insolvenza o vi sia stata una rinegoziazione dei mutui, perché questo elemento interessa molto l'economia locale.
ROBERTO SIMONETTI. Scusi, vorrei chiederle velocemente come abbiate strutturato il costo del lavoro per unità di prodotto, quali addendi portino alla somma totale.
PRESIDENTE. Conclusivamente, vorrei porre anch'io una questione. In questa sede siamo impegnati nell'esame dell'Analisi annuale della crescita per il 2012, per cui questa audizione dovrebbe servirci a fornire indicazioni al Governo nella fase ascendente del semestre europeo per proporre il Programma nazionale di riforma in sede europea.
Alla luce anche di quanto ho sentito negli ultimi due giorni, partecipando come presidente al confronto interparlamentare a Bruxelles, poiché opportunamente la Commissione ha posto tra i cinque punti anche quello del credito, laddove per la ripresa e per lo sviluppo il credito è una questione fondamentale, e poiché spesso accade che in sede comunitaria vengano assunte decisioni standard, pensando che tutte le economie e tutti i sistemi di credito siano uguali mentre così non è, e poiché pare che le decisioni prese in particolare per quanto riguarda il credito in sede comunitaria siano ispirate a modelli diversi dal nostro, se nel nostro documento conclusivo che rimettiamo al Governo dovessimo porre l'accento su una particolare questione da difendere come prerogativa di interesse nazionale nel contesto europeo, quale questione sottolineereste in nero ed evidenziereste in violetto?
Se dobbiamo tirare - per così dire - la giacchetta al nostro Governo su una cosa in particolare per difendere il sistema del credito in funzione del sistema economico, vorrei sapere quale aspetto voi «stressereste».
Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.
GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Siccome alcune domande sono tra di loro collegate, proverò a dare risposte a ciascuno di voi, onorevoli deputati, ma mi consentirete di combinare qualche risposta, in particolare, ad esempio, quelle concernenti il tema delle aste della BCE, quindi delle nuove operazioni denominate LTRO (Long-Term Refinancing Operations).
Nell'asta di dicembre della BCE le banche italiane hanno ricevuto 116 miliardi di euro di liquidità lorda; cioè al netto del rifinanziamento di posizioni già accese con la BCE sono stati «tirati» 57 miliardi di euro netti. Come sono stati impiegati questi 57 miliardi netti? Una breve premessa: nel periodo settembre, ottobre e dicembre si sono completamente chiusi i canali di finanziamento sul mercato all'ingrosso degli investitori privati, quindi anche prestiti di buona qualità, come ad esempio i cosiddetti covered bond, non sono stati più classati sul mercato degli investitori istituzionali, perché per effetto del ribaltamento della sfiducia sui Paesi, quindi dell'incremento della percezione del rischio sovrano sulle banche, le banche non sono state più in grado di classare i loro titoli sugli investitori istituzionali.
La liquidità della Banca centrale europea - anche questa ulteriore che è andata oltre il rinnovo delle precedenti posizioni - è liquidità sostitutiva, non addizionale. Tale liquidità raccolta a fine dicembre ha consentito di sostituire finanziamenti che erano in scadenza nei primi tre mesi di quest'anno.
Nei primi tre mesi di quest'anno c'erano obbligazioni bancarie in scadenza per circa 77 miliardi di euro, quindi questa liquidità ha consentito di poter «matchare» il rimborso di queste obbligazioni bancarie. Questo ha consentito di non avere una riduzione del credito erogato all'economia, perché, se non ci fosse stata questa iniezione di liquidità da parte della BCE, a fronte della scadenza di 77 miliardi di euro di obbligazioni che le banche non avrebbero potuto rifinanziare, collocando titoli presso investitori istituzionali, questi 77 miliardi si sarebbero necessariamente ribaltati su una riduzione del credito erogato all'economia, cosa che invece non si è verificata.
La liquidità della BCE della prima asta ha consentito di non ridurre gli impieghi all'economia, quindi, di fatto, è stata fondamentale per continuare a erogare credito. Guardando al futuro e alla nuova asta di oggi, abbiamo un primo dato aggregato di circa 530 miliardi di euro, però non abbiamo il dettaglio di quanto le banche italiane abbiano potuto ricevere durante quest'asta.
Su tale tema alcune osservazioni: in primo luogo, si dice che le banche raccolgono liquidità e poi la ridepositano presso la BCE. Questo non è il caso delle banche italiane. Ho un dato riferito al totale delle operazioni fatte con la BCE nel corso del 2011, dato per cui, a fronte di
circa 160 miliardi di euro raccolti dalla BCE, sono stati effettuati depositi in BCE per soli circa 11 miliardi.
VINCENZO CHIORAZZO, Responsabile dell'ufficio analisi economiche dell'ABI. Con riferimento alla prima asta di dicembre, fatti pari a 100 i fondi presi in BCE, le banche italiane ne hanno riversati 4, quelle europee 70.
GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. È un fenomeno quindi - quello descritto - che non riguarda le banche italiane. Abbiamo anche fatto delle dichiarazioni come comitato esecutivo dell'ABI, informando che utilizzeremo la liquidità della BCE per finanziare imprese e famiglie.
Un'osservazione sull'acquisto dei titoli di Stato: anche per lo Stato italiano, soprattutto i primi mesi del 2012 sono carichi di scadenze molto impegnative, quindi è fondamentale che, come i dati stanno dimostrando, anche le ultime aste riescano a essere tutte coperte, anzi la domanda sia superiore alla quantità offerta. A questa domanda contribuiscono in parte anche le banche italiane. È evidente che questo è anche un modo per aiutare l'economia italiana.
Se per assurdo un'asta non riuscisse ad essere coperta integralmente, l'impatto sugli spread sarebbe rilevantissimo e questo aumenterebbe immediatamente i costi anche del finanziamento delle imprese; quindi anche l'acquisto di titoli di Stato è un finanziamento all'economia più generale e quindi alla stabilizzazione della situazione del Paese.
RENATO CAMBURSANO. Ma, fatto cento, a quanto corrisponde questa finalizzazione?
GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Possiamo provare a ricostruire il dato, ma non lo abbiamo. L'acquisto di titoli di Stato non sottrae comunque risorse all'economia. Proveremo a ricavare questo dettaglio e a fornirlo alla Commissione, però anche l'acquisto di titoli di Stato permette di avere titoli che, poi, possono essere ridepositati in BCE a fronte di altre operazioni normali, e quindi permette di recuperare liquidità che può essere reinvestita a favore di imprese e famiglie.
I dati della Banca d'Italia evidenziano qualcosa che anche noi abbiamo sempre sostenuto: non c'è una riduzione dello stock di credito, che quindi non subisce una variazione negativa anno su anno. Questo non è stato nel 2011, ma non è stato nemmeno nel 2010 rispetto al 2009.
Quello che si è verificato e che anche i dati della Banca d'Italia evidenziano è che, a fronte di un ciclo economico che sta peggiorando fortemente, c'è un rallentamento nella velocità di crescita dello stock di credito all'economia. In effetti, negli ultimi anni, il tasso medio di crescita dello stock del credito è stato circa dell'8 per cento, mentre il dato che vi abbiamo fornito a fine 2011 evidenzia una crescita soltanto del 2,1 per cento, rallentamento che è stato più marcato nel mese di dicembre.
Questo è quello che viene segnalato e riportato anche nelle dichiarazioni pubbliche o dalle imprese. C'è sicuramente un rallentamento, ma le motivazioni si spiegano con la riduzione del funding disponibile per le banche e con l'incremento del costo del funding per le banche. Purtroppo, abbiamo avuto momenti in cui lo spread è arrivato a oltre 550 basis point rispetto al Bund tedesco e questo si è riflesso sul costo della raccolta delle banche.
Già a giugno 2011, insieme a Confindustria, Alleanza delle cooperative italiane e R.ETE. Imprese Italia facemmo un comunicato in cui evidenziavamo che, in assenza di misure rapide in risposta all'incremento delle tensioni sui mercati finanziari, agli inizi del 2012 ci sarebbero state tensioni sul credito. Purtroppo questo si è verificato.
C'è anche stato, comunque, anche qui spiegato dal ciclo, un forte incremento delle sofferenze e delle perdite su crediti, quindi la qualità del credito sta peggiorando. Il credito oggi viene chiesto, fondamentalmente,
per ristrutturazioni e al massimo per il finanziamento del circolante, non c'è domanda di nuovi investimenti. Questo è il quadro in cui si collocano oggi le dinamiche del credito che abbiamo evidenziato.
Ovviamente, su questo hanno inciso le regole, in particolare il cosiddetto «esercizio dell'EBA», che ci ha penalizzato fortemente. Purtroppo da settembre scorso in poi, da quando l'EBA di fatto ha detto che, ai fini della valutazione del deficit patrimoniale delle banche, occorreva valutare i titoli di Stato a prezzi di mercato, l'EBA ha - sempre di fatto - certificato la convinzione che si stava diffondendo sul mercato a seguito dell'andamento della crisi greca, e cioè che Stati dell'area dell'euro potevano fallire.
Questo ha visto aumentare gli spread e le quotazioni dei cosiddetti credit default swap, quindi ha peggiorato il contesto in cui le banche, specie le banche commerciali, si sono trovate a operare. Ciò ha anche vanificato il lavoro di rafforzamento patrimoniale che le banche italiane avevano intrapreso per prepararsi ai nuovi requisiti dell'accordo Basilea 3.
All'inizio del 2011, quando le tensioni sui mercati finanziari non si erano ancora concretizzate, le banche italiane avevano già avviato importanti processi di patrimonializzazione per circa 20 miliardi di euro, cosa riconosciuta prima dal Governatore Draghi e anche recentemente dal Governatore Visco. Tutto questo sforzo, però, non contribuisce in una fase di ciclo economico negativo a rendere semplice l'erogazione del credito.
Un esponente dell'Autorità di vigilanza britannica, in un'intervista al Financial Times, ha evidenziato come in un momento di ciclo negativo le regole non dovrebbero essere procicliche, ma, anzi, si dovrebbero allentare i parametri per aiutare l'erogazione del credito, specie nei confronti delle piccole e medie imprese.
Rispondo sul tema delle fondazioni bancarie. Qui più che altro mi limito a citare quello che disse il Ministro Padoa-Schioppa nell'ottobre 2006, affermando che in Italia le fondazioni hanno svolto il ruolo degli investitori istituzionali, ma degli investitori istituzionali pazienti, che non hanno guardato alla redditività immediata del loro investimento finanziario, ma hanno consentito alle banche italiane di crescere e di svilupparsi, garantendo anche autonomia del management. Hanno, quindi, contribuito al processo di riorganizzazione e ammodernamento del sistema bancario italiano, portando all'interno della governance delle banche anche la cultura dell'attenzione al territorio, dell'attenzione nei confronti di imprese e famiglie. Credo che sia ben diversa l'attesa di un investitore puramente finanziario - immagino - di un fondo sovrano, che guardi soltanto alla redditività pura e semplice del suo investimento.
Siamo assolutamente d'accordo con lei, onorevole La Malfa, nel riconoscere come sia prioritario che in questo momento l'Europa faccia la sua parte, come ha affermato anche il presidente dell'ABI Mussari in altre occasioni. Non può continuare una situazione in cui un Paese continui a godere di tassi di interesse molto bassi, prossimi allo zero - garantendo un finanziamento a condizioni vantaggiosissime per le sue imprese - crescere e allo stesso tempo godere di un tasso di cambio che non è paragonato alla forza di quell'economia, e questo a danno di un'altra parte dell'Europa. È, quindi, necessario un intervento europeo per arrivare a una soluzione che consenta all'Europa di rimettersi su un sentiero di crescita. Per quanto riguarda la produttività, forse nel documento depositato tale aspetto non è così evidente, ma evidenzierei che oggi in Italia il problema è la produttività totale dei fattori, non soltanto la
produttività del lavoro.
Facevo riferimento alla necessità di investimenti in dotazioni infrastrutturali per recuperare anche il gap tecnologico, il costo dell'energia e tutti gli altri elementi di dotazione infrastrutturale che penalizzano le nostre imprese, perché credo che quello sia il problema. Da questo punto di vista, non riteniamo che il problema sia soltanto la produttività del lavoro.
L'onorevole Vannucci evidenziava l'esigenza di far valere la nostra posizione in Europa e le nostre diversità, e qui mi ricollego anche alla domanda posta dal presidente Giorgetti su cosa chiedere all'Europa. Noi abbiamo sempre sostenuto insieme con le associazioni di imprese italiane che la regolamentazione europea debba maggiormente distinguere i differenti modelli delle banche: la banca di investimento, che è quella che ha effettivamente creato i problemi nella fase iniziale della crisi e ha bisogno di maggiore capitalizzazione, e il modello di banca commerciale, che è estranea alla crisi che si è determinata.
In un tessuto come quello europeo, in cui il maggior contributo alla crescita dell'occupazione viene proprio dalle piccole e medie imprese, soprattutto per le piccole imprese la principale fonte di finanziamento è quella bancaria. Le banche commerciali sono, quindi, un elemento fondamentale nel funzionamento dell'economia reale e hanno bisogno di regole adeguate.
Da questo punto di vista, la nostra proposta concreta che abbiamo presentato al Commissario Michel Barnier e al Commissario Antonio Tajani - che l'hanno giudicata valida - consiste nel ridurre la ponderazione applicata, oggi, alle esposizioni nei confronti delle piccole e medie imprese di un fattore di scala, che, quindi, anche all'interno delle nuove regole di Basilea 3 non peggiori la capacità delle banche di erogare credito. Lo abbiamo chiamato: «Small and medium enterprise supporting factor».
La Commissione europea, pur non avendolo ancora inserito nell'attuale bozza di direttiva sul recepimento dell'accordo di Basilea, ha invitato l'Autorità bancaria europea a portare avanti uno studio per dimostrare che effettivamente c'è una minore «rischiosità» delle piccole e medie imprese, che giustifica un minore assorbimento di capitale.
Come ABI siamo impegnati in un colloquio con l'Autorità bancaria europea, per fornire dati ed evidenze di come non solo il quadro di Basilea sia eccessivo e sproporzionato rispetto all'effettivo rischio che comportano le piccole e medie imprese, ma anche di come il quadro di Basilea 2 richiedesse un'eccessiva ponderazione di queste esposizioni, addirittura, poi, se paragonata all'esposizione in attività finanziarie tossiche che il quadro di Basilea 3 ha aumentato, ma secondo noi, continuando a penalizzare l'erogazione del credito nei confronti delle piccole e medie imprese.
Sul tema dello smobilizzo dei crediti alla pubblica amministrazione stiamo cercando di impegnarci. Purtroppo è vero che, come evidenziato, oggi la certificazione del credito, che sarebbe l'atto formale che rende il credito liquido ed esigibile, crea un problema rispetto poi a un incremento automatico del deficit dello Stato italiano.
Nell'accordo che abbiamo siglato ieri abbiamo previsto un punto specifico in cui ci impegniamo a lavorare insieme per agevolare un rapido smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione, rendendo operativi i meccanismi che consentano di certificare i crediti, in modo da qualificarli certi ed esigibili, ovvero attraverso altre forme di anticipazioni di tali crediti da parte del settore bancario.
Stiamo cercando di lavorare anche con la Cassa depositi e prestiti, anche in un tavolo con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero dell'economia e delle finanze per trovare una soluzione che contemperi le due esigenze, ma ci sono anche situazioni in cui manca qualunque elemento di certezza rispetto al credito vantato dall'impresa, quindi è un impegno, ci siamo dati due mesi di tempo per trovare delle soluzioni. Purtroppo questo costituisce un problema.
L'onorevole Mantovano sollevava il tema dei Confidi e dei sistemi di garanzia. Sicuramente i meccanismi di garanzia in una fase di crisi sono fondamentali. Fortunatamente a livello centrale è stato rifinanziato il Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese. Stiamo lavorando con il Ministero dello sviluppo economico anche per cercare di rendere
più efficiente il funzionamento del predetto Fondo, ma sicuramente una maggiore capitalizzazione, un efficientamento della struttura dei Confidi sarebbero utili. Siamo consapevoli del tema della struttura frammentata e delle dimensioni troppo piccole, che non consentono di ridurre i costi di gestione delle istruttorie che i Confidi fanno, e anche le commissioni regionali dell'ABI sono impegnate in un confronto con le strutture dei Confidi per cercare di trovare delle soluzioni.
Anche in questo settore abbiamo attivato un tavolo con le associazioni di imprese, per valutare le soluzioni migliori anche dal punto di vista della tecnologia, per migliorare e rendere più efficiente il colloquio informatico tra banca e impresa. Anche questo punto è stato inserito nell'accordo firmato ieri, dove si prevede di valorizzare il ruolo dei Confidi e dei fondi pubblici di garanzia, ai fini di un ampliamento delle possibilità di accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese.
L'onorevole Ciccanti aveva sollevato il tema della tempistica dell'esercizio dell'EBA sui tempi di un allentamento delle condizioni di erogazione del credito. Sono previsti alcuni appuntamenti importanti. Agli inizi del marzo prossimo si terrà un Consiglio europeo che potrebbe anche rivalutare l'esercizio dell'EBA.
Agli inizi di marzo l'EBA comunicherà la sua valutazione sui piani di ricapitalizzazione presentati dalle banche, quindi qui vedremo se imporrà effettivamente degli aumenti di capitale oppure se, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del presidente Andrea Enria, terrà fede all'impegno indicato nel comunicato stampa dell'8 dicembre scorso, in cui prometteva che avrebbe fatto una rivalutazione dell'effettiva necessità e dell'effettiva quantità del cuscinetto di capitale addizionale, alla luce degli effetti sui mercati finanziari delle misure prese a livello europeo di rafforzamento dei meccanismi di stabilità.
A marzo, quindi, vedremo cosa deciderà l'EBA. Una componente importante sarà rappresentata dalla scelta operata nel Consiglio europeo di marzo, laddove la decisione di incrementare la quantità di risorse disponibili per l'European Stability Mechanism (ESM) sarebbe un altro importante segnale che, sommato alla «soluzione del problema greco», potrebbe portare a un ulteriore allentamento delle tensioni sui mercati finanziari.
Ovviamente, tutto questo si rifletterà su una minore tensione sul lato della raccolta da parte delle banche italiane e, quindi, sulle condizioni del credito erogato, anche se prevediamo che la moratoria possa dare di nuovo un contributo importante.
La precedente moratoria ha lasciato nelle imprese 15 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva, è stata utilizzata da oltre 260.000 imprese, e uno studio recentemente pubblicato, disponibile sul sito della Banca d'Italia - che ha effettuato una prima valutazione anche in termini prospettici di questa moratoria - ha evidenziato come, scaduti i dodici mesi della sospensione del rimborso delle quote dei capitali, il 60 per cento delle imprese sia tornato a pagare regolarmente, superando quindi il momento di tensione finanziaria. La moratoria si è quindi presentata come uno strumento importante per superare il momento di difficoltà.
Crediamo che, oggi, la moratoria si indirizzi a una diversa tipologia di imprese, perché, mentre nel 2008 e nel 2009 le più colpite dalla crisi erano state le imprese esportatrici a causa del crollo della domanda mondiale, oggi sono le imprese che operano in Italia a soffrire, in seguito alla caduta della domanda interna. Riteniamo quindi che anche da questo punto di vista questa nuova moratoria possa essere un utile strumento.
ROLANDO NANNICINI. Cosa è successo al rimanente 40 per cento?
GIOVANNI SABATINI, Direttore generale dell'ABI. Per l'ulteriore 40 per cento, proprio in relazione a questo risultato, abbiamo inserito la previsione che le banche adottino una procedura accelerata per rinegoziare il finanziamento, senza sospensioni ma, magari, prevedendo l'allungamento del piano di ammortamento, con cui si abbassano le rate dei rimborsi.
Su questo tema, onorevole Mantovano, abbiamo attivato un meccanismo di monitoraggio, che ci ha permesso di evidenziare il successo dell'iniziativa che abbiamo condiviso nell'ambito del tavolo banche e imprese, trovando in un rapporto diretto tra imprese le soluzioni anche dal punto di vista del monitoraggio.
Ripercorrendo l'esperienza degli osservatori del credito, credo che questi non abbiano aggiunto molto rispetto a quanto fatto autonomamente da banche e imprese nel rapporto reciproco. Il confronto, che, nel 2009, ha portato alle moratorie e, quest'anno, a rinnovare questo avviso comune, credo sia più utilmente gestito in un rapporto privatistico tra imprese, nell'ambito, comunque, della normale attività dei prefetti, che istituzionalmente ricevono informazioni sull'andamento del credito, e le nostre commissioni regionali partecipano agli incontri con i prefetti per fornire dati sull'andamento del credito.
Non credo che l'eventuale riproposizione di queste ulteriori strutture potrebbe fare meglio di quanto non stiamo già facendo direttamente tra banche e imprese. Spero di avere risposto.
PRESIDENTE. Lei ha citato alcuni documenti che i colleghi vorrebbero avere come documentazione.
MASSIMO VANNUCCI. Lei ha fatto riferimento a una proposta che ha inviato ai Commissari europei referenti e all'EBA, e il presidente ha sollecitato indirizzi precisi che noi possiamo inserire nella risoluzione da approvare. Vorremmo chiedervi di inviarcela, rappresentando che il relatore del provvedimento in esame è d'accordo.
PRESIDENTE. Il relatore è l'onorevole La Malfa. Ringrazio i nostri ospiti per essere intervenuti.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della nota consegnata dal direttore generale dell'ABI, dottor Giovanni Sabatini (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,35.
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