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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
9.
Mercoledì 7 marzo 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)

Audizione del Presidente di Mediaset Spa, Fedele Confalonieri:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 8 9 12
Cambursano Renato (Misto) ... 8
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 8
Confalonieri Fedele, Presidente di Mediaset Spa ... 2 9 12
D'Amico Claudio (LNP) ... 8
De Micheli Paola (PD) ... 8
Giordani Marco, Chief financial officer di Mediaset Spa ... 12
Marinello Giuseppe Francesco Maria (PdL) ... 9
Nieri Gina, Direttore degli affari istituzionali di Mediaset Spa ... 11
Simonetti Roberto (LNP) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 7 marzo 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente di Mediaset Spa, Fedele Confalonieri.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del Presidente di Mediaset Spa, Fedele Confalonieri.
Il dottor Confalonieri è accompagnato dalla dottoressa Gina Nieri e dal dottor Marco Giordani, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al dottor Confalonieri.

FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset Spa. Vi ringrazio per l'invito.
Mediaset è il maggior gruppo televisivo commerciale del Paese, indiscusso leader nella televisione free commerciale e digitale in Italia e in Spagna, attraverso Mediaset España di cui detiene circa il 42 per cento. È attivo anche nel mercato della televisione a pagamento in Italia, attraverso il marchio Mediaset Premium, e in Spagna, attraverso l'operatore satellitare Canal , di cui Mediaset España detiene una quota del 22 per cento.
È un'azienda quotata alla Borsa di Milano dal luglio 1996. Il suo capitale è posseduto per il 40,07 per cento dal gruppo Fininvest, mentre il capitale flottante, pari a circa il 60 per cento del totale, è per la metà in mani straniere, soprattutto fondi americani. Dall'ultima distribuzione del dividendo risulta che siano ancora oltre 250.000 i piccoli investitori di Mediaset.
I ricavi netti dell'anno 2010 sono 4.292,5 milioni di euro. Di questi, 3.438,3 sono prodotti in Italia; il resto, 855,1 milioni, proviene dal consolidamento di Mediaset España. I dipendenti del gruppo, al 31 dicembre 2010, erano 6.285, di cui oltre 4.700 in Italia, con un indotto diretto di oltre 3.500 persone circa.
In Italia le tre reti storiche hanno una percentuale di autoprodotto di oltre il 45 per cento sul totale delle ore emesse, di cui il 19 per cento per l'informazione.
Fanno parte del gruppo Mediaset anche Medusa, società di produzione cinematografica, e Tao2 Film specializzata nella fiction e nelle serie televisive.
Nel 2010 sono stati investiti oltre 1,2 miliardi di euro in prodotto italiano ed europeo, di cui 111 milioni in opere cinematografiche - e in particolare 96 milioni di euro nel cinema italiano - e 212 milioni in fiction e serie televisive. Il settore televisivo italiano è stato caratterizzato negli ultimi anni dalla transizione dalla tecnologia analogica a quella digitale. Mediaset ha investito nel digitale terrestre


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oltre 2 miliardi di euro, di cui la metà per frequenze e digitalizzazione e il resto in diritti.
Negli ultimi dieci anni Mediaset ha distribuito oltre 3,7 miliardi di euro e il gruppo ha pagato imposte per oltre 2,6 miliardi di euro. Inoltre, ogni anno Mediaset versa oltre 20 milioni di euro per canone di concessione, circa 4 milioni di euro per mantenimento dell'Agcom, circa 55 milioni di euro alla SIAE per diritti d'autore, circa 16 milioni di euro a SIAE e IMAIE per l'equo compenso e 3 milioni di euro all'AFI.
Recentemente Mediaset, tramite un'operazione di fusione, ha dato vita a EI Towers, la tower company quotata di cui possiede il 65 per cento. Mediaset in Italia, seguendo la propria vocazione di fornitore e produttore di contenuti, ha declinato la propria attività in tutte le forme consentite dalla nuova tecnologia digitale: oltre alle tre reti generaliste storiche, Canale 5, Italia 1 e Rete 4, ha lanciato sette reti tematiche free - l'ultima in ordine di tempo è TGCOM 24, la nostra all news - e un'offerta di pay-tv di calcio, film e serie chiamata Premium Play, che consente anche un catalogo in over the top tv di contenuti non lineari.
Sul web, Mediaset ha circa 7,2 milioni di utenti unici, che vedono i nostri prodotti legalmente. Sono 3,3 milioni le nostre application scaricate su smartphone o tablet.
Molto attiva è la presenza del gruppo anche in iniziative di formazione per giovani, che vedono la realizzazione di tre master annuali: master in giornalismo, corso di formazione alla carriera di giornalista professionista in cui IULM e Mediaset uniscono le rispettive competenze sulla comunicazione e l'informazione; master in management multimediale, progettato per formare manager per le imprese multimediali, professione per cui è richiesta la padronanza di molteplici competenze; master in marketing and sales management di Publitalia '80. Quest'ultimo istituito nel 1988 è ormai una tradizione nel mondo dei master a disposizione dei giovani laureati che ambiscono a un futuro professionale nel marketing, nel sales management e nella comunicazione, con particolare attenzione al mondo aziendale e ai settori dei beni di largo consumo.
Con questi dati ho cercato di segnare il perimetro di un'azienda di successo che ha saputo conservare il core business, ma anche di innovarsi profondamente con l'entrata nell'era digitale. Un'azienda profittevole, con alta occupazione molto specializzata, un indotto concentrato in settori strategici per l'audiovisivo, un impatto virtuoso e irrinunciabile sulla produzione nazionale, un potentissimo aiuto per le imprese italiane e un'abitudine per il pubblico.
Nello stesso tempo, un'azienda parte integrante del cambiamento che sta coinvolgendo l'intero sistema di media e telecomunicazioni, in cerca di un posizionamento nuovo e trasversale alle diverse piattaforme tecnologiche, ancora quasi completamente finanziata da pubblicità e per questo maggiormente esposta ai mutamenti del contesto macroeconomico e alle decisioni di politica monetaria ed economica del governo.
Un'azienda fortemente ancorata all'ambito nazionale di due Paesi europei, Italia e Spagna, che negli ultimi due anni hanno vissuto un periodo di rallentamento economico indotto da vicende extra europee, ma che hanno trovato in questi due Paesi uno sfogo negativo inaspettato. Un'azienda grande in Italia, media se comparata con i gruppi mondiali di televisione o con i mercati televisivi e pubblicitari di altri Paesi europei. Un'azienda, per finire, che ha investito moltissimo in tecnologie ed è stata sempre all'avanguardia nel testare e sperimentare nuovi modelli di business.
Non vi è dubbio che il cambiamento dello scenario macroeconomico che sta coinvolgendo molti Paesi europei rischia di togliere alcune delle sicurezze di cui l'azienda ha profondamente bisogno. Mediaset, come ho appena descritto, fonda il suo modello di business sulla salute e sulla crescita economica del Paese. In tutte le economie occidentali esiste uno stretto rapporto fra l'andamento del PIL e quello del mercato pubblicitario. In Italia, in


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particolare, questo rapporto ha mostrato sempre un leggero ritardo nella propria evoluzione rispetto a Paesi tradizionalmente più evoluti, quali Germania Francia e Regno Unito. A causa della crisi recente questo gap si è ampliato, scavando un profondo solco tra le economie del nord Europa e quelle del sud Europa.
La salute e il benessere di un'economia in termini di vivacità e prospettive di crescita non può prescindere da investimenti pubblicitari dinamici e improntati alla fiducia nello sviluppo futuro. L'onda lunga della crisi, che è partita da lontano ma che poi è arrivata con molta violenza all'interno dei nostri confini, può essere rappresentata da un dato semplice, ma molto efficace: nel 2011 il mercato pubblicitario italiano in euro correnti è stato simile a quello del 2002. È facile comprendere come un mercato che in dieci anni non cresce in termini nominali imponga alle aziende che ne fanno parte scelte a volte difficili, ma comunque più di carattere recessivo che orientate allo sviluppo.
Se non ci sono prospettive di ripresa, tagliare il nostro miliardo di euro di investimenti e ridurre i nostri due miliardi di euro di costi diventa indispensabile. Non mi soffermo per brevità sulle ovvie conseguenze di queste azioni sui livelli occupazionali e sull'indotto. Intendiamoci: questo non è quello che vogliamo e non è quello che faremo, ma abbiamo bisogno che il sistema Paese si renda conto di questo e che ognuno faccia la propria parte.
Il conseguimento del pareggio di bilancio previsto per il 2013 è stato inserito tra gli obiettivi principali di questo Governo ed è stato imposto dalla pressione senza precedenti che il sistema internazionale ha esercitato sull'Italia alla fine dell'anno scorso. È altresì evidente che, dovendo agire in emergenza e con rapidità, tutti gli strumenti messi in campo avevano poche alternative e non si sono potute fare scelte filosofiche su come raggiungere questi obiettivi ambiziosi e sfidanti.
Oggi che il clima non è tornato completamente sereno, ma almeno la fase di massima emergenza sembra concedere una tregua, mi sembra indispensabile fermarsi a ragionare per elaborare una strategia di medio termine che coniughi gli obiettivi sopracitati anche con delle prospettive di sviluppo.
La Commissione europea suggerisce di agire sulla riduzione delle spese piuttosto che sull'aumento delle entrate. Crediamo che questo sia un atteggiamento corretto e giustificato per affrontare una crisi senza precedenti, come quella che stiamo vivendo, ma non crediamo sia una ricetta che possa essere applicata per lungo tempo, pena un inevitabile avvitamento dell'economia nazionale, con evidenti risvolti di carattere sociale ed economico.
Mediaset opera nel settore della comunicazione e della pubblicità, un settore che fonda le proprie radici economiche sulla fiducia, sull'ottimismo e sul benessere. Siamo già passati attraverso momenti difficili anche nel passato e la nostra azienda - e l'Italia intera - ne è uscita guardando al futuro con impegno, con speranza e con ottimismo. Non vediamo un modello diverso per uscire dalla crisi neanche questa volta.
Bene tutte le manovre sulla spesa, bene le nuove tasse, bene il pareggio di bilancio, ma adesso deve partire una stagione nuova che comunichi al Paese fiducia nelle proprie capacità e che dia ai giovani gli strumenti per guidarci fuori dalla crisi e renderci più forti nel futuro.
Stiamo vivendo un periodo di emergenza ed è comprensibile che si debba agire senza tentennamenti, a volte in maniera indiscriminata, puntando all'obiettivo e lasciando da parte i sentimentalismi. Anche in questa fase non possiamo, però, scordare che tutto il benessere creato dalle economie occidentali si è fondato sulle prospettive di sviluppo. Queste prospettive devono essere concrete, ma soprattutto devono essere comunicate con professionalità e costanza per infondere la necessaria fiducia e certezza nel futuro alle imprese e ai lavoratori, che sono la base di ogni ricetta di sviluppo.
Sto facendo riferimento più al «come» che al «cosa», visto che il «cosa» ci è stato più o meno imposto dall'esterno. Ridurre la spesa e i privilegi di alcuni


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settori, incidendo in principal modo sulle classi sociali medie o medio-basse, non ci sembra che possa essere la base della politica di risanamento del sistema Paese Italia. Quando si parla di spese improduttive della pubblica amministrazione, non si può pensare di intervenire su voci inefficienti, quali i dipendenti della stessa, o sulle spese indirizzate alle famiglie dal reddito medio o medio-basso. Si deve prioritariamente intervenire sugli sprechi che generano grandi guadagni per pochi, talvolta del tutto immeritati.
Faccio riferimento alle voci di spesa più materiali, quali gli investimenti e i grandi appalti. In questo ambito, la ricerca di nuove professionalità per la gestione delle spese e il massiccio utilizzo dei sistemi informatici deve poter consentire una spending review efficace e foriera di risultati in breve periodo.
Tutto ciò però non può bastare, perché, come ricordavo in precedenza, la riduzione della spesa porta sì al risanamento, ma con un grave rischio di indurre recessione, rendendo ogni sforzo fatto inutile. Tutto quanto produca cali dei consumi o del reddito disponibile può essere accettabile nel breve, ma non può essere la ricetta per uscire dalla crisi. Crediamo che ci si debba focalizzare maggiormente su interventi che portino a liberare risorse da dedicare all'occupazione giovanile, al miglioramento delle infrastrutture e allo sviluppo della produttività.
In questi ambiti credo esistano spazi enormi di miglioramento, che possono infondere agli italiani fiducia e aspettative di miglioramento della propria condizione.
Il semplice spostamento di fiscalità da imposizione diretta a imposizione indiretta può servire a gestire l'emergenza occupazionale, ma non stimola la crescita e non crea valore. Inoltre, una crescita del sistema economico italiano non può prescindere dall'attenta gestione del fenomeno della disoccupazione.
Tutte le manovre poste in essere negli ultimi mesi portano, come accennato in precedenza, effetti recessivi sull'economia e un inevitabile aumento della disoccupazione. A prescindere, quindi, dall'ovvio rafforzamento degli ammortizzatori sociali necessari per evitare effetti indesiderati in termini di clima sociale, un'attenzione particolare va riposta sui temi strutturali che riguardano l'occupazione. Non è il momento di fare della teoria riguardo ai benefici di un maggiore liberismo nei rapporti fra le parti sociali e le imprese. È piuttosto il momento di guardare con concretezza e professionalità alle prospettive di impiego degli italiani.
Un'azienda come Mediaset, in una fase di rallentamento della dinamica dei ricavi, con conseguente forte contrazione dei profitti, ha deciso di non intaccare i propri livelli occupazionali. Ma è evidente che, se non si pongono le basi per una ripresa dell'economia e del mercato pubblicitario, sarà inevitabile farlo e, come Mediaset, molte altre aziende italiane saranno costrette a farlo. Anziché dedicare risorse mediatiche e politiche a battaglie sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, bisognerebbe in concreto agire per ottenere obiettivi di breve termine, quali l'aumento della produttività del lavoro e il miglioramento delle condizioni ambientali per facilitare l'insediamento in Italia di nuove attività portatrici di impiego.
Per quanto riguarda la produttività, si dovrebbe trattare di interventi orientati a modificare l'atteggiamento culturale dei lavoratori italiani, che spesso preferiscono redditi minori per non modificare i propri comportamenti in termini di orario o di sedi di lavoro. Non si tratta di abolire i princìpi di civiltà che regolano le democrazie del XXI secolo. Si tratta di avvicinare il modo di impiegare le risorse umane alle modificate condizioni dei mercati, che impongono flessibilità non nei volumi di risorse impiegate, ma nei modi, nei tempi e nei luoghi di impiego.
Altro ambito di manovra, sul fronte occupazionale, dovrebbe essere quello che riguarda la fertilizzazione dell'Italia ad accogliere le nuove imprese o le nuove attività delle imprese esistenti. È evidente che è antistorico richiamare valori quali il protezionismo, ma è opportuno dedicare più tempo e magari più risorse per incentivare l'insediamento all'interno del territorio italiano di attività che oggi trovano più efficiente collocazione all'estero.


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Anche in questo ambito, bisogna agire in modo professionale e selettivo. Basta interventi a pioggia totalmente inefficienti, che abbiamo già sperimentato, e che non risolvono i problemi. È preferibile, invece, una concreta e approfondita analisi della politica industriale e delle relazioni industriali che porti a un solo obiettivo: evitare che occupazione e consumi si spostino fuori dei confini nazionali a causa di decisioni miopi o di protezione di antistorici diritti acquisiti.
In questo contesto, la sacrosanta lotta all'evasione, a mio avviso, deve essere accompagnata da una politica di risanamento e di maggiore efficienza della pubblica amministrazione. Sottrarre risorse, oggi illegalmente reimpiegate nel settore privato, per destinarle al sistema pubblico, che non sempre ha dimostrato oculatezza nella gestione delle risorse, ci sembra non solo un errore, ma addirittura un'altra occasione persa. La scommessa che abbiamo di fronte è quella di dimostrare a tutti che l'emersione dall'evasione fiscale non è un ulteriore gettito da gestire in modo poco efficiente, ma una grande opportunità per garantire sviluppo per i nostri figli e maggior benessere per tutti noi.
Anche in questo ambito la comunicazione è essenziale: un atteggiamento che comunica solo repressione, incertezza e paura porta sfiducia e minori certezze nel futuro. Un atteggiamento positivo, garantista ed eticamente inappuntabile, credo possa davvero rappresentare una svolta epocale per il sistema Italia e per le sue potenzialità inespresse.
L'evasione si combatte in primo luogo con un ambito normativo chiaro e indiscutibile, e anche in questo campo crediamo che il Governo debba dedicare maggiori sforzi. Da un contesto normativo chiaro ed equo, la lotta all'evasione può prendere uno slancio nuovo, producendo le risorse necessarie per lo sviluppo. In uno scenario chiaro ed equo anche il messaggio che viene trasmesso non è quello di repressione o minaccia, ma quello di certezza e responsabilità.
Per aziende come la nostra che investono, producono e pagano le tasse in Italia, una normativa chiara e stabile nel tempo non può che restituire certezze sulle quali fondare sviluppi futuri e investire su nuova occupazione. Nel quadro complessivo di oggi è difficile per tutte le aziende, compresa la nostra, pensare allo sviluppo di nuove attività e a investimenti che generino nuova occupazione. Abbiamo bisogno di uno scenario normativo definito, chiaro e stabile e, come tutti, di un sistema finanziario che fornisca le risorse per poter effettuare questi investimenti.
Oggi la disponibilità di risorse finanziarie rimane molto limitata e, sebbene sia maggiore rispetto a quella dell'ultimo trimestre del 2011, non è sufficiente per disponibilità e per costo a costruire uno scenario di certezza e tranquillità che consenta alle imprese di guardare al futuro con ottimismo e razionalità. Molto è stato fatto negli ultimi mesi, ma l'invito che rivolgo è quello di non abbassare la guardia. La disponibilità e il prezzo del credito sono elementi essenziali di ripresa e di sviluppo.
È evidente che il livello di debito pubblico e il costo che lo Stato deve sopportare per poterlo remunerare pesa sul sistema Italia e sulle aziende italiane, che non possono avere accesso al credito alle stesse condizioni dei propri concorrenti esteri.
Anche per aziende tipicamente domestiche come Mediaset la concorrenza è oggi rappresentata da operatori di matrice estera, che competono sui nostri mercati utilizzando risorse finanziarie attinte in altri mercati dove l'accesso al credito non ha i vincoli e le limitazioni del nostro, ma condizioni molto più convenienti. Competere in queste condizioni è sempre più difficile e rende complesso mettere in pratica progetti di sviluppo e di crescita.
Come per l'evasione, la battaglia contro la strutturale abitudine di pagare con ritardo le forniture deve essere combattuta con tenacia, ma anche con un processo lineare e senza scossoni. Oggi il sistema si finanzia con il capitale circolante per ovviare alla mancanza di disponibilità di credito fornito dagli istituti di credito e a causa del cronico ritardo nel pagamento dei crediti verso la pubblica amministrazione. Sperare di rendere più fluido il


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sistema di pagamento dei crediti commerciali è una chimera, se non si risolvono prima le questioni riguardanti l'accesso al credito delle aziende e se non si modificano le abitudini non commerciali della pubblica amministrazione.
Mediaset condivide con il Governo l'obiettivo relativo alla politica di privatizzazioni annunciata, che va portata avanti con l'obiettivo di ridurre lo stock del debito pubblico. Anche in questo caso non si possono effettuare scelte indiscriminate e non selettive. La priorità va data agli asset di proprietà dello Stato che oggi non sono sufficientemente remunerativi ed efficienti. Cedere asset strategici o redditizi sarebbe il più classico degli autogol. La focalizzazione sul patrimonio composto dagli asset oggi improduttivi o addirittura onerosi deve rappresentare un progetto di dismissione da realizzare al più presto.
Per riassumere questo intervento mi sento di suggerire politiche concrete, che combinino il risanamento con lo sviluppo e la crescita, misure di contesto che rendano più produttivo il lavoro e l'impiego del personale, un duraturo intervento di semplificazione dello scenario normativo e azioni efficaci in tema di accesso e costo del credito. So di dire cose che conoscete, ma sono questi i veri problemi.
Venendo ad aspetti economici più specifici del settore televisivo, è opportuno affrontare alcuni argomenti su cui un intervento equo e attento del legislatore farà la differenza per la difesa degli operatori della comunicazione. Intanto, vorrei darvi un dato relativo a quanto pesi l'audiovisivo come settore economico dotato di un forte impatto sociale e culturale: in Europa il fatturato dell'audiovisivo è pari a circa 95 miliardi di euro, 80 dei quali sono riferiti al solo broadcasting, che ne reinveste una media del 45 per cento nella produzione di contenuti originali. In Italia l'industria audiovisiva pesa circa 12,5 miliardi di euro e impiega circa 50.000 lavoratori, con 12.000 imprese attive lungo la filiera produttiva.
C'è un problema importante e grave anche a livello internazionale: quello della pirateria. I dati sono impressionanti. Solo per i video, in Italia si considera che essa abbia un valore in termini di danno di oltre 500 milioni di euro. È fondamentale che il nostro Paese, coordinandosi con l'Europa, affronti con urgenza la questione di una normativa efficace al riguardo. Non si tratta di coartare la libertà della rete o di chi la usa, ma di farla convivere con altre libertà e di affrancarla dal reato che la pirateria origina, per continuare a finanziare una produzione europea di contenuti.
Non ci riferiamo certo a social network e dintorni. Quello che ci preme impedire è che realtà globali alla Google lucrino sulla visione di contenuti illegali, vendendone pubblicitariamente i contatti. Giorni fa qualcuno a un convegno diceva che Google non paga i contenuti che vende pubblicitariamente, non paga le infrastrutture su cui la propria offerta passa e, grazie a una situazione da apolide amministrativo, non paga neppure le tasse. Certo non lo fa in Italia, pur se il fatturato italiano supera il miliardo.
Abbiamo bisogno di un level playing field concorrenziale, dove le regole valgano per tutti. Pensiamo banalmente al rispetto di princìpi di sistema, come la difesa dei minori, il copyright, la privacy o la difesa della cultura europea, a cui la tv è assoggettata, ma la rete no. Il tutto sarà ingestibile senza regole per tutti. Soprattutto, quando a breve faranno il loro ingresso nelle nostre case i televisori connessi a Internet e l'offerta della tv lineare rimarrebbe l'unica regolamentata.
Abbiamo bisogno anche di un legislatore che abbia a cuore più la difesa dei cosiddetti campioni nazionali che istanze punitive o limitative delle dimensioni aziendali. La competizione nei media si è spostata a livello globale ed esistono dimensioni minime capaci di tenerci sul mercato.
Un ultimo accorato appello alla necessità di regole certe: il nostro cammino per la rivoluzione digitale è iniziato nel 2001 con la legge che ci obbligava al nuovo standard. Sono passati undici anni e ancora siamo con il beauty contest; la procedura di assegnazione delle frequenze in grado di chiudere la procedura europea, è sospeso.


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Non è con queste incertezze che le aziende possono andare avanti e non è con la demagogia che potremo continuare a svolgere il ruolo che abbiamo nella società, nell'economia, nell'informazione e nella produzione di contenuti originali.
In conclusione, Mediaset è un'azienda sana, che fa impresa in Italia e che chiede il sostegno del sistema Paese per proseguire nella sua politica di sviluppo, di investimento, di occupazione e di crescita.
Grazie per l'attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Confalonieri e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

AMEDEO CICCANTI. Buongiorno, dottor Confalonieri, e grazie della sua relazione molto aziendale, ma anche foriera di alcuni spunti sullo scenario italiano.
Lei ha criticato il principio che l'anno scorso, in occasione del primo semestre europeo, il Governo Berlusconi e il Ministro Tremonti hanno inserito nel Programma nazionale di riforma per cambiare il nostro sistema fiscale e passare dalla tassazione sulle persone alla tassazione sulle cose. Lei contesta questa impostazione e vorrei capire perché.
Inoltre lei ha criticato il fatto che la comunicazione politica e complessivamente il sistema dei media possono ingenerare sfiducia tenendo atteggiamenti frustranti rispetto alle difficoltà economiche che stiamo vivendo e ha sostenuto che invece bisognerebbe avere un atteggiamento positivo. Ebbene, non ritiene giusto dire la verità agli italiani per responsabilizzarne i comportamenti e i costumi?

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio il dottor Confalonieri. Come non concordare con lei quando dice che bisognerebbe avere a cuore più la difesa dei cosiddetti campioni nazionali, che istanze punitive? È esattamente per questo che svolgiamo le nostre audizioni. Vogliamo capire quali sono i nostri punti di forza e quali, invece, si riteneva lo fossero, ma per la verità non lo sono più. Concordo con questo suo pronunciamento fondamentale.
Vengo alle domande. Se ho capito bene, Mediaset ridurrebbe i propri investimenti data la situazione di mercato, dovuta soprattutto alla caduta del mercato pubblicitario. Si è sempre detto e scritto, e per quanto ci riguarda letto, che invece Mediaset avrebbe usufruito di agevolazioni quasi automatiche e politiche proprio nel mercato della pubblicità. Come coniugare, quindi, la «preferenza» per i competitor locali rispetto ad altri concorrenti e la caduta degli investimenti?
Credo che la seconda domanda se l'aspetti quasi in automatico. L'audizione reca come oggetto la crescita di questo Paese. Per farlo crescere ci sono tanti strumenti e lei li ha elencati. Uno di questi sono gli investimenti, oltre alla lotta all'evasione che porta risorse finanziarie. Ce n'è però un altro, quello sul quale il Ministro competente si è riservato di meditare per qualche mese - speriamo non siano troppi -, cioè accedere alla via pubblica dell'asta o continuare con il beauty contest. Cosa ne pensa?

CLAUDIO D'AMICO. Ringrazio il dottor Confalonieri.
Lei ha parlato della difesa della cultura europea, con riferimento alle produzioni televisive e cinematografiche. Vorrei chiederle di sviluppare meglio questo tema perché lo ritengo fondamentale sia perché può creare indotto sia perché la difesa della cultura europea, in un momento di grande immigrazione in Europa, può essere vincente per mantenere quello che siamo e per spiegare ai nuovi arrivati il luogo dove vivranno e le sue origini.

PAOLA DE MICHELI. Ho due domande da porre al dottor Confalonieri, una più specifica e l'altra più di contesto.
La prima è relativa a una vostra valutazione di merito circa la norma sulla liberalizzazione dei diritti connessi al diritto d'autore contenuta all'articolo 39, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 1 del 2012, in materia di liberalizzazioni. È una norma che io personalmente, insieme ad alcuni colleghi, ho sostenuto fortemente. Sono convinta che la maggior parte degli artisti potrà utilizzare questo diritto patrimoniale,


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che può rappresentare un salario differito, in maniera più autonoma e libera e si potranno costituire nuove opportunità di impresa. In molti aspetti della vostra attività produttiva voi rappresentate l'interfaccia di questa potenziale, e spero realizzabile, liberalizzazione, una volta che il decreto-legge sarà convertito in legge.
Inoltre, lei affronta la questione della competizione non facile tra i gruppi, come il vostro, che hanno sede in Italia o nei Paesi europei e i concorrenti che operano sulla rete, i quali non hanno la necessità di pagare le tasse in Europa e ai quali si aggiungono regole internazionali meno pressanti e meno ficcanti. Vorrei chiederle quale modello regolatorio immagina a livello europeo, considerato che l'Italia mi sembra limitata come zona geografica e come numero di consumatori, per gestire il rapporto tra aziende europee e aziende globalizzate sulla rete così da favorire la costituzione di nuove imprese e approfittare sul piano occupazionale di un settore nel quale penso ci sia ancora molto spazio di crescita.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Nel ringraziarla per l'esposizione della sua relazione, assolutamente scorrevole, comprensibile e diretta nei contenuti, desidero chiederle di ampliare le sue considerazioni su due concetti.
Lei ha affermato che ridurre la spesa e i privilegi di alcuni settori, incidendo in principal modo sulle classi sociali medie o medio-basse, non sembra poter essere la base della politica di risanamento del Paese Italia. Mi pare un concetto molto importante e significativo, che per certi versi sposa i miei sospetti sulle politiche di questo Governo.
Nella sua relazione ha poi fatto riferimento a possibili soluzioni o aree d'intervento citando voci di spesa più materiali, quali investimenti, grandi appalti, eccetera. Quali interventi in queste macroaree suggerirebbe per reperire risorse da indirizzare verso il risanamento, ma soprattutto verso gli investimenti e lo sviluppo del nostro Paese?

ROBERTO SIMONETTI. Ringrazio il presidente Confalonieri per la sua relazione.
In riferimento alla creazione di nuova occupazione e alla crescita del PIL attraverso investimenti stranieri nel nostro Paese, afferma che si devono creare condizioni ambientali che facilitino gli insediamenti. Che cosa intende per migliori condizioni ambientali: gli sgravi fiscali, una minor burocrazia, un'organizzazione statale differente, la riorganizzazione istituzionale degli enti locali?
Come vede lei, da imprenditore, la possibile creazione di condizioni ambientali migliori affinché un'impresa investa in Italia?

PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset Spa. Comincerei dall'IVA. Io sull'IVA ho delle perplessità. Sono punti di vista, ma la mia ottica è quella del consumatore. I nostri clienti ci dicono tutti, lo sapete meglio di me perché avete le statistiche aggiornate, che i consumatori hanno ridotto gli acquisti. È evidente che gli investimenti ne risentono.
Se a questo si aggiunge l'innalzamento dell'IVA, anche se bilanciato dal fatto che all'imposizione sulle imprese è stato tolto qualcosa, l'effetto immediato è un aumento dei prezzi e quindi un invito a consumare di meno. È il mio punto di vista ed è la ragione per cui abbiamo inserito l'argomento nella relazione. All'università ho studiato Samuelson e conosco la vecchia discussione su imposte dirette e imposte indirette. Ogni tanto i termini della questione si capovolgono e le une sembrano meglio delle altre, ma non voglio salire in cattedra. Dal mio punto di vista, è una penalizzazione.
Quanto alla sfiducia e all'opportunità di dire la verità: Churchill parlava di sangue, sudore e lacrime quando stavano per essere invasi dai nazisti, ma in tempo di pace noi della comunicazione dobbiamo fare un mea culpa perché spesso nel descrivere gli eventi esageriamo.
In questa situazione, cinque minuti di buone notizie su un telegiornale di mezz'ora


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sarebbero una buona cosa perché la sfiducia crea un certo clima. È vero che non si possono raccontare bugie quando la situazione non è rosea, ma occorre vedere il futuro con più obiettività. Come ripeto, dobbiamo fare mea culpa anche noi e cercare di trovare soluzioni in questa direzione.
Per quanto riguarda gli investimenti, noi non abbiamo nessuna intenzione di diminuirli, così come non abbiamo nessuna intenzione di ridurre il personale. È chiaro, però, che se cala il fatturato e se calano i profitti questo scenario diventa un dato di fatto, una conseguenza quasi fatale per una società quotata in borsa. La mia è un'ipotesi. Vi saremo costretti, se le cose andranno in un certo modo, ma stiamo facendo di tutto per evitarlo. Il nostro lavoro classico riguarda la raccolta pubblicitaria sulle nostre reti generaliste, ma siamo entrati anche nella pay tv e sul web. Come ho detto nella relazione, i nostri siti hanno milioni di utenti. Internet è il presente, ma sarà anche il futuro.
Quella alla questione relativa alla politica di favore per Mediaset nell'ambito della pubblicità è una vecchia polemica che ha fatto il suo tempo. È obsoleta. Il sistema televisivo italiano è basato su un servizio pubblico finanziato da canone e pubblicità. La pubblicità ha un tetto perché altrimenti la tv pubblica avrebbe troppo. In alcuni Paesi non c'è la pubblicità. La BBC ne è priva. In Francia la televisione di Stato ha la pubblicità solo fino alle 20. In Germania in alcuni giorni non c'è pubblicità, eccetera. Le agevolazioni non sono di questo tipo. Il sistema è regolamentato in questo modo da venticinque anni.
Facevo riferimento a Google e a tutti questi colossi perché noi sottostiamo a moltissime limitazioni e regolamentazioni, a cominciare da quella sui minori. Siamo molto regolamentati e respingo questa allusione alle agevolazioni. Il beauty contest, invece, come ho detto anche recentemente, nasce dall'Europa perché il modo in cui la «legge Gasparri» ha regolamentato il passaggio dall'analogico al digitale terrestre mancava di trasparenza, di equità e di non discriminatorietà.
Tra il 2005 e il 2006 si prende in considerazione la procedura di infrazione avviata dall'Unione europea e, sempre in stretta connessione con l'Europa, nel 2008 il Governo decide per il beauty contest. Il beauty contest purtroppo è sembrato essere un regalo e capisco quale impatto demagogico abbia avuto il sostenere che, mentre si tagliavano le pensioni, si regalavano le frequenze. In realtà non è affatto un regalo. Non ci ha mai regalato niente nessuno.
Quel beauty contest era fatto di due multiplex più tre ed era aperto a tutti. Poiché aveva rilevato una discriminazione, l'Europa ci imponeva di aprire anche ai non incumbent, alle new entry. Noi abbiamo restituito il nostro multiplex di Rete 4 perché si potesse fare il digital dividend, così come hanno fatto la RAI e La7. Il sistema era stato creato in ottemperanza alle indicazioni dell'Europa. Certo, parlare di regalo a Berlusconi ha un appeal demagogico, ma in realtà non si regalava niente.
L'assunto era che lo Stato aveva ricavato 3,4 miliardi di euro dall'asta per le telecomunicazioni. Sarebbe un po' lungo da spiegare, ma non si tratta di frequenze immediatamente utili per le telecomunicazioni come quelle messe all'asta poco tempo fa. Sono frequenze che andranno alla televisione, ma la televisione non ha abbastanza quattrini. Quando Telecom compra la frequenza, realizza già il business perché il contenuto è dato dalle telefonate degli utenti. Quando invece è un broadcaster ad acquistare le frequenze, deve adattarle tecnologicamente, come abbiamo fatto noi, e riempirle di contenuti.
Il sistema di assegnazione delle frequenze in Italia è nato dal famoso far west in cui le frequenze erano occupate dalle emittenti locali. Per creare Canale 5 le abbiamo comprate così. Per Italia 1 le abbiamo comprate da Rusconi e per Rete 4 le abbiamo comprate da Mondadori negli anni Ottanta. Quando è stata adottata la legge del Governo Amato, in vigore dal maggio 2001, che consentiva il trading delle frequenze per passare dall'analogico al digitale, abbiamo speso centinaia di milioni di euro per comprare le frequenze


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dalle emittenti locali, da chi aveva un piccolo circuito o una stazione locale. Il prezzo era da uno a sette dollari a persona per tutta la copertura del territorio.
È questo che abbiamo fatto. Comprando, abbiamo consentito che si facesse il digitale. Negli altri Paesi non è stato così. Poiché la riserva delle frequenze è in mano allo Stato, lo Stato le ha date gratis. Inoltre, noi paghiamo circa 23 milioni di euro all'anno, in base al fatturato, per la concessione. Moltiplicato per vent'anni, cioè la durata della concessione, fa 400 milioni di euro. È grosso modo quanto ha speso H3G nell'asta delle frequenze televisive. Forse mi sono dilungato, ma il beauty contest è l'argomento del giorno. Il Ministro ha preso novanta giorni di tempo e vediamo che cosa succederà.
Noi chiediamo alle istituzioni, a chi ha in mano i nostri destini, che il terreno sul quale corriamo, il cosiddetto level playing field, sia omogeneo e che non cambino tutt'a un tratto le condizioni. Al decreto-legge n. 5 del 2012, in materia di semplificazioni, ad esempio, è stato presentato un emendamento con il quale l'onorevole Gentiloni surrettiziamente voleva cancellare una norma della legge che fa riferimento alla delibera n. 181 del 2009 dell'Agcom per cui si ricomincerebbe da capo. La tentazione di chi ce l'ha con Berlusconi, non tanto con Mediaset, di colpire questa realtà imprenditoriale ogni tanto emerge e si cerca di fare ricominciare da capo la partita. Non è corretto. È sempre stato così, ma so che alla fine la ragionevolezza prevale perché le nostre cifre parlano chiaro.
Questa è la realtà. Noi vogliamo essere messi in condizione di gareggiare alla pari con gli altri concorrenti, che non sono pochi. La Rai non è morta. Sky è il frutto italiano del più grande editore di carta stampata e di contenuti audiovisivi e di cinema del mondo, Rupert Murdoch. Google fa tredici volte il nostro fatturato e sul miliardo di euro che fattura qui in Italia non paga una lira di tasse.
Quanto alla difesa della cultura europea, torniamo indietro all'exception culturelle, che è stata una grande trovata dei francesi. Eravamo noi il Google del momento e ci trattavano come dei corsari perché compravamo molti prodotti americani. Quando siamo partiti, serie come Dallas, Dinasty o Falcon Crest hanno fatto la nostra fortuna e ci pesava avere quote di investimento. Erano i francesi a premere. Jack Lang, che era allora era Ministro della cultura, e Jacques Delors, Presidente della Commissione europea, battevano molto su questo tasto.
Onestamente, devo dire chapeau. Qualche mese fa ero ad Avignone per un convegno su questi temi e Sarkozy ha svolto un intervento di due ore a difesa della cultura europea. Non è casuale che in questo momento l'industria audiovisiva e cinematografica più vivace in Europa sia quella francese. Oggi il film campione di incassi è Quasi amici. Benvenuti al Sud e Benvenuti al nord, che abbiamo prodotto noi come Medusa, derivano da un film francese che ha avuto un successo enorme.
Ci diamo da fare, ma certo è che, talvolta, si preferirebbe comprare per mille dollari un film o un telefilm. È più faticoso investire su prodotti che hanno una vita più difficile e che non si sa se avranno successo. Tuttavia, se non la difendiamo, possiamo dire addio alla nostra cultura. È un nostro impegno.
Una storia che appartiene al proprio Paese, se è ben scritta, ben recitata e ben diretta, ha più chance di avere successo presso il pubblico di una storia che arriva da chissà dove.

GINA NIERI, Direttore degli affari istituzionali di Mediaset Spa. Sui diritti connessi, c'è sempre stata una rivendicazione.
Cominciamo dai dati. Come ha detto il dottor Confalonieri, noi abbiamo sempre pagato la SIAE e paghiamo, forse unici editori a livello nazionale, l'equo compenso. Ogni volta che viene rifatto un prodotto, c'è una quota di nostro fatturato che viene redistribuita tra attori, interpreti, registi eccetera. Abbiamo sempre tenuto moltissimo a questi aspetti.
Poi c'è tutta la partita dei diritti cosiddetti secondari. C'è una querelle lunghissima tra noi e i produttori televisivi, ma l'Agcom l'anno scorso ha risolto con un regolamento che mette tutti abbastanza


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d'accordo. Il principio è che se il produttore è un produttore vero, nel senso che oltre a curare lo sviluppo esecutivo dell'opera investe anche in minima parte nel finanziamento della produzione, diventando quasi indipendente, ha diritto alla ripartizione dei diritti, non più percepiti in perpetuo, ma divisi con gli altri interpreti e operatori. Noi abbiamo presentato una regolamentazione all'Agcom e stiamo lavorando esattamente con questa modalità, in accordo con i produttori.
In altri termini, nei comportamenti abbiamo anticipato le norme.

FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset Spa. Per quanto riguarda le regole, vorremmo parità. Come dicevo prima, se i contenuti delle nostre televisioni sono minimamente osé nelle fasce protette, si scatena un putiferio, ma Google fa quello che vuole. Questo è l'aspetto più folcloristico, mentre altri aspetti, come il copyright, riguardano regole fondamentali per la sopravvivenza.
Se gli utenti della rete si scambiano contenuti protetti dal copyright, Google sostiene di non avere responsabilità. Ma sarebbe così se non raccogliesse pubblicità. Poiché nel nostro Paese raccoglie un miliardo di euro di pubblicità, dovrebbe pagare il dovuto. Chiediamo regole per un eguale comportamento. Noi ne abbiamo tante, dall'interruzione dei film alla protezione dei minori, al tetto di affollamento, alla pubblicità ingannevole, Questi operatori non ne hanno alcuna. In Francia hanno fatto cose interessanti, ma più dal lato dell'ultimo fruitore.
Crediamo comunque che in materia non sia difficile intervenire.

MARCO GIORDANI, Chief financial officer di Mediaset Spa. Per quanto riguarda retribuzioni e aree di intervento, facciamo sempre riferimento al mondo dei consumi e all'esposizione che il mondo dei consumi ha nei nostri confronti. Semplificare ed efficientare la struttura della pubblica amministrazione tagliando le risorse alle famiglie non ci sembra una manovra in grado di raggiungere l'obiettivo. Crediamo che esistano concentrazioni di ricchezza molto più corpose, che potrebbero liberare risorse più produttive nel breve termine.
Prendersela con gli impiegati della pubblica amministrazione o con famiglie a basso reddito è forse molto demagogico, ma porta poche risorse e incide sui consumi, innescando fasi recessive.

FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset Spa. Quanto alle condizioni ambientali nel nostro Paese, è stato Carli negli anni Settanta a parlare di lacci e lacciuoli. Purtroppo ce ne sono ancora tanti, ma credo che semplificare in Italia sia complicato. È più facile a dirsi che a farsi, però vi invito a darvi da fare. È un compito che tocca a voi. È un grande problema e riguarda tutti i settori. Come sappiamo, ad esempio, lo Stato non paga e la giustizia civile è troppo lunga.
Il Paese è questo e speriamo che se ne esca.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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