Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FINANZA LOCALE
Audizione del professor Luca Antonini, presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 10 11 18
Antonini Luca, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ... 3 11 12 15 17
Causi Marco (PD) ... 11
Ciccanti Amedeo (UdC) ... 7 12
Duilio Lino (PD) ... 8 14
Galletti Gian Luca (UdC) ... 9
Misiani Antonio (PD) ... 16
Polledri Massimo (LNP) ... 9
Rubinato Simonetta (PD) ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,05.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla finanza locale, l'audizione del professor Luca Antonini, presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale.
Nel corso della presente indagine conoscitiva si sono già svolte, in questa Commissione, le audizioni dei rappresentanti della Corte dei conti, del dottor Grisolia, della dottoressa Lapecorella, del dottor Verde e dei rappresentanti di ANCI e UPI.
Oggi abbiamo l'onore di avere come nostro ospite il professor Luca Antonini, che, come certamente saprete, è il presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ed è sicuramente un esperto della materia.
Ricordo che sono presenti, in rappresentanza del Governo, il Ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli e il sottosegretario per la semplificazione normativa Francesco Belsito.
Do la parola al professor Antonini, che ringrazio per essere intervenuto.
LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Inizio tracciando un quadro generale dei lavori all'interno della Commissione che presiedo, la quale è stata istituita con l'articolo 4 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale ed attivata con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 luglio 2009, iniziando, quindi, i suoi lavori.
La nostra Commissione ha istituito al suo interno sei gruppi di lavoro, dei quali il primo è dedicato ai bilanci delle regioni e degli enti locali, il secondo alle entrate delle regioni e degli enti locali, il terzo ai fabbisogni e ai costi standard - e, quindi, ai LEA (livelli essenziali di assistenza), ai LEP (livelli essenziali delle prestazioni) e alle funzioni fondamentali - il quarto alla perequazione, il quinto ai trasferimenti da sopprimere, agli interventi speciali e alla perequazione infrastrutturale, il sesto al coordinamento della finanza pubblica tra i differenti livelli di Governo. È disponibile materiale di documentazione sul sito internet della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF).
Sono state tenute diverse riunioni. I compiti della Commissione, in base a ciò che stabilisce la legge n. 42 del 2009, consistono nel fornire al Governo dati quantitativi condivisi tratti dalle basi informative finanziarie, economiche e tributarie, nonché nel promuovere la rilevazione e le attività necessarie per soddisfare
gli eventuali ulteriori fabbisogni informativi. Essa svolge anche attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di comuni, province, città metropolitane e regioni e delle relazioni finanziarie tra i livelli di governo.
Il primo problema emerso all'interno della Commissione è la mancanza di una lingua comune tra i bilanci dei diversi enti territoriali. Ci siamo trovati dunque ad affrontare, in primo luogo, il problema del cosiddetto federalismo contabile.
Dal 2001 l'armonizzazione dei bilanci pubblici è materia di competenza concorrente, il che, evidentemente, crea problemi alla Commissione, la quale deve avere a disposizione dati uniformi, elemento necessario per poter calcolare i costi e i fabbisogni standard.
In termini generali, iniziare a lavorare sul federalismo fiscale ha fatto emergere una serie di problemi all'interno del nostro sistema e ha rappresentato l'occasione per cominciare ad affrontarli.
Una questione problematica emersa - riguardante la finanza locale - è stata quella concernente la valutazione delle esternalizzazioni, i cui criteri di contabilizzazione variano da comune a comune. Di fatto, sul fronte sia dei dati regionali, sia di quelli relativi a comuni e province, abbiamo avuto a disposizione dati difficilmente confrontabili.
Il primo passaggio che si è reso necessario, dunque, è stato quello di tentare di unificare i dati. Purtroppo, con la riforma del 2001, si è verificata un'assenza di federalismo fiscale, compensata, però, dal federalismo contabile, chiaramente antitetico rispetto a quello fiscale e a quello vero. Il federalismo vero implica, infatti, che il dato di bilancio sia unico.
In Germania, dove il federalismo fiscale vige ormai da decenni, le regole contabili sono uniche. D'altra parte, una società per azioni applica le regole uniche del Codice civile, ma non per questo è minata nella sua autonomia. L'autonomia è piena, però la regola contabile è unica, perché serve anche a garantire trasparenza e informazione al cittadino. Lo spirito del federalismo fiscale è proprio quello di garantire la trasparenza dei bilanci e la confrontabilità delle politiche; l'elettore poi vota e premia o punisce le amministrazioni territoriali a seconda delle politiche che hanno tenuto.
Il problema di cui ci siamo resi conto immediatamente è che nel 2001 avevamo avviato un processo di federalismo, ma incompiuto, con alcuni gravi difetti all'interno, perché i dati non erano uniformi. Si è, quindi, tentato di rimediare a questo problema.
Il primo atto a cui la Commissione che presiedo ha dato vita è stato quello di approvare una codifica unitaria dei dati. È stata inviata una lettera al Governo precisando che era necessario tradurla anche a livello di atto legislativo. Con l'adozione del cosiddetto decreto Ronchi (decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009) essa è stata prevista come obbligatoria dall'articolo 19-bis - introdotto in sede di conversione - con il quale si è richiesto alle regioni di inviare alla COPAFF i dati di bilancio, riclassificati secondo tale codifica unitaria.
Contemporaneamente, è stata raggiunta l'intesa in Conferenza unificata su tale codifica. Si è trattato, quindi, di un processo condiviso e, in accordo con il Ministero dell'interno, si è provveduto a rielaborare la modalità di contabilizzazione delle esternalizzazioni.
L'altro punto che è stato affrontato dalla Commissione, anche per incarico del Ministero dell'economia e delle finanze, è stato quello di svolgere un lavoro di ricostruzione e ricognizione in ordine a quanto disposto dall'articolo 77, comma 2-ter, del decreto-legge n. 112 del 2008, concernente il cosiddetto fondo unico, istituito dal comma 2-bis del medesimo articolo 77. Tale comma 2-ter prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri vengano individuati i trasferimenti erariali attribuiti alle regioni per finanziare le funzioni di competenza regionale, che dovranno confluire in un fondo unico da costituire, a partire dall'anno 2010, presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
Il predetto fondo unico riveste un'importanza fondamentale nell'ambito dell'attivazione dell'articolo 119 della Costituzione, come delineato dalla legge n. 42 del 2009 che prevede la sostituzione dei trasferimenti erariali con un'autonomia impositiva. È necessario, dunque, operare una ricognizione dei trasferimenti statali alle regioni e capire l'ammontare dei trasferimenti che devono essere fiscalizzati.
Evidentemente, tutto il modello attuale, costruito dal 2001 dal punto di vista costituzionale e dal decreto legislativo n. 56 del 2000 in materia di federalismo fiscale, e più complessivamente tutto il sistema della finanza decentrata, sono un modello di finanza derivata, nel quale il punto critico è rappresentato proprio dai trasferimenti. I trasferimenti significano, infatti, finanza derivata, il che implica la possibilità di spesa irresponsabile. Laddove la finanza è derivata, non vi è la tracciabilità del tributo e il cittadino non è in grado di valutare con il voto l'operato delle amministrazioni. Una delle grandi coordinate su cui si muove il disegno della legge n. 42 del 2009 è l'abolizione dei trasferimenti e la loro trasformazione in autonomia. Tale legge prevede, all'articolo 8, comma 1, lettera a), numeri 1 e 2, la sostituzione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento sia delle spese per
funzioni fondamentali sia di quelle non riconducibili a tali funzioni, con forme di fiscalità regionale.
La COPAFF è stata incaricata di procedere a un'istruttoria sui lavori relativi alla soppressione dei trasferimenti statali. Da questo punto di vista, il lavoro è a uno stadio molto avanzato, poiché il Ministero dell'interno ha provveduto a consegnare alla COPAFF la rielaborazione dei dati dei comuni con le esternalizzazioni riclassificate, le regioni hanno inviato i dati di bilancio riclassificati secondo la codifica unitaria che era stata approvata e i lavori sul fondo unico sono stati sostanzialmente ultimati.
A questo punto, la COPAFF dispone di una data room completa, che le permette di affrontare tutte le questioni relative al federalismo fiscale. Abbiamo una base informativa condivisa che consente il passaggio successivo, cioè quello delle quantificazioni, anche in vista della relazione che il Governo dovrà presentare al Parlamento entro il prossimo 30 giugno e che dovrà illustrare gli impatti finanziari, le simulazioni e le ipotesi di attuazione del federalismo fiscale.
Per quanto riguarda i bilanci, va segnalata, ovviamente, la legge n. 196 del 2009 di riforma della contabilità dello Stato, che, tra l'altro, all'articolo 2, comma 6, lettera c), ha sostituito il comma 6 dell'articolo 2 della legge n. 42. Tale modifica ha permesso che il primo decreto legislativo da emanare secondo la legge sul federalismo fiscale non fosse più quello sull'armonizzazione dei bilanci pubblici, ma quello sul federalismo demaniale, il cui schema è stato approvato dal Governo nel dicembre del 2009 ed è attualmente all'esame della Commissione parlamentare sul federalismo fiscale.
Il termine per la presentazione della citata relazione, che la legge n. 42 del 2009 prevedeva fosse contestuale all'adozione del primo decreto, è stato spostato al 30 giugno 2010, anche per la mancanza della base informativa unitaria necessaria per l'attuazione del federalismo fiscale.
La nuova legge di contabilità ha modificato le disposizioni della legge n. 42 relative ai bilanci delle regioni e degli enti locali, in modo da rendere questo processo di revisione più uniforme con quello della contabilità dello Stato. Non mi dilungo sulla nuova legge di contabilità generale, la cui ambizione è comunque quella di stabilire un quadro normativo unico e coerente per tutti i soggetti che compongono l'aggregato cui fa riferimento.
Il target generale è quello del governo unitario della finanza pubblica, per conseguire il quale i due strumenti identificati dalla legge sono il controllo della finanza pubblica e la qualità della spesa, unitamente alla trasparenza dei documenti ufficiali dell'amministrazione e della gestione dei costi.
Riguardo al primo profilo, si vuole rendere coerente l'attuazione dell'obbligo costituzionale di copertura con i criteri e
i parametri adottati in sede comunitaria, nonché più stringente e automatica la clausola di salvaguardia introdotta con il decreto-legge n. 194 del 2002. Vengono rafforzati i meccanismi e gli strumenti per il controllo quantitativo e qualitativo della spesa, adottando un maggiore orientamento alla misurazione e alla valutazione dei risultati e sono migliorati i contenuti informativi dei documenti programmatici di finanza pubblica, attraverso previsioni di entrata e di spesa articolate per sottosettori. Le informazioni più consistenti permetteranno al Parlamento di svolgere il proprio ruolo di indirizzo con maggiore consapevolezza, potendo anche disporre di dati sull'effettivo impiego delle risorse negli esercizi precedenti e sui risultati conseguiti.
Per quanto riguarda le modifiche apportate dalla legge n. 196 del 2009 alla legge n. 42 sul federalismo fiscale, oltre allo spostamento del termine per la presentazione della relazione e al fatto che il primo decreto non debba più essere necessariamente quello sui bilanci, segnalo le altre disposizioni dell'articolo 2 della legge n. 196. Modificando quanto previsto originariamente dalla legge n. 42, vengono previsti, infatti, princìpi che devono tendere ad armonizzare la contabilità e i bilanci di regioni e province sul modello della contabilità dello Stato.
Ricordo, in particolare, che l'articolo 2, comma 6, lettera b) della legge n. 196, sostituendo l'articolo 2, comma 2, lettera h) della legge n. 42, dispone quanto segue: «adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato; adozione di comuni schemi di bilancio articolati in missioni e programmi coerenti con la classificazione economica e funzionale individuata dagli appositi regolamenti comunitari in materia di contabilità nazionale e relativi conti satellite; adozione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllati, secondo uno schema comune; affiancamento, ai fini conoscitivi, al sistema di contabilità finanziaria di un sistema e di schemi di contabilità economico-patrimoniale ispirati a comuni criteri di contabilizzazione; raccordabilità dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali con quelli adottati in ambito europeo
ai fini della procedura per i disavanzi eccessivi; definizione di una tassonomia per la riclassificazione dei dati contabili e di bilancio per le amministrazioni pubbliche di cui alla presente legge tenute al regime di contabilità civilistica, ai fini del raccordo con le regole contabili uniformi; definizione di un sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi di bilancio, costruiti secondo criteri e metodologie comuni ai diversi enti territoriali; al fine di dare attuazione agli articoli 9 e 13, individuazione del termine entro il quale regioni ed enti locali devono comunicare al Governo i propri bilanci preventivi e consuntivi, come approvati, e previsione di sanzioni, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera e), in caso di mancato rispetto di tale termine».
Il nuovo testo dell'articolo 2, comma 2, lettera h) della legge n. 42 riproduce, in sostanza, quanto previsto dai primi due commi dell'articolo 2 della legge n. 196 del 2009 in relazione all'adeguamento dei sistemi contabili e di bilancio delle amministrazioni pubbliche diverse dalle regioni e dagli enti locali. Il legislatore ha uniformato i princìpi di delega relativi ai bilanci di regioni ed enti locali a quelli delle amministrazioni pubbliche.
Il Governo dovrà, quindi, esercitare entro il 31 dicembre 2010 la delega prevista dalla legge n. 196, in tema di bilanci delle amministrazioni pubbliche diverse da regioni ed enti locali, ed entro il 21 maggio 2011 quella prevista dalla legge n. 42, in tema di bilanci delle regioni e degli enti locali. Si tratta di un lavoro tecnico, che deve essere condotto in modo unitario su due versanti. Lo conferma la stessa legge n. 196, stabilendo - all'articolo 2, comma 7 - che il Comitato dei princìpi contabili, previsto dalla legge di riforma della contabilità, agisca in reciproco raccordo con la COPAFF.
Questo è il quadro complessivo su cui si sta lavorando dal punto di vista della riforma del sistema. È un dato che assume
un'importanza fondamentale all'interno del disegno di razionalizzazione della spesa pubblica rappresentato dal federalismo fiscale. La condivisione dei dati, la trasparenza dei bilanci, la tendenziale unitarietà delle regole nella redazione dei bilanci sono il cuore del federalismo fiscale, che deve permettere la confrontabilità fra le politiche, e, soprattutto, di quel federalismo fiscale delineato dalla legge n. 42, che si basa su costi e fabbisogni standard. Occorrono, dunque, elementi contabili e di bilancio confrontabili, perché questo è il meccanismo che permette, in seguito, il controllo del cittadino.
Un altro elemento molto importante della legge n. 42 è il fatto che essa preveda - all'articolo 2, comma 2, lettera i) - che i bilanci degli enti locali e delle regioni devono essere pubblicati su internet con l'individuazione della spesa pro capite, il tutto secondo una codifica unitaria. Si tratta di un elemento fondamentale per il federalismo fiscale, dal momento che esso implica il controllo dell'elettore.
Da questo punto di vista, credo che ciò sia una grande risposta ai problemi attuali della finanza locale in termini di controllo, poiché il primo controllo è quello democratico, dell'elettore sulle politiche di bilancio, quando queste diventano confrontabili. Il passaggio da un sistema di finanza derivata a uno di autonomia, basato sui costi standard, presenta il grande vantaggio di permettere la trasparenza e il controllo dell'elettore, che non è possibile allo stato attuale. È difficile, infatti, che un elettore, prima di andare a votare, vada a vedere i bilanci del comune o della regione, eppure la prima operazione che compie qualsiasi privato che deve comprare azioni è quella di andare a vedere i bilanci delle società che gli interessano.
Nel sistema politico che si è creato, ciò oggi non avviene. Evidentemente, c'è un gap da recuperare, estremamente importante in termini di trasparenza. Il disegno della legge n. 42 è quello di realizzare la trasparenza a livello contabile e, poi, di consentire che il primo controllo attuato sia quello dell'elettore. Tende, dunque, a mettere in atto tutti i meccanismi che permettano la realizzazione di tale controllo democratico.
Oggi, invece, come ho messo in evidenza precedentemente, con il meccanismo del federalismo contabile e la mancanza di regole contabili unitarie, la situazione è molto difficilmente controllabile.
La legge sul federalismo fiscale è una razionalizzazione della spesa pubblica dal punto di vista dell'introduzione dei costi e dei fabbisogni standard, ma, nello stesso tempo, è un grande rafforzamento del controllo democratico dell'elettore, che oggi, in un sistema che effettua sistematicamente ripiani a piè di lista e in cui l'elettore non è in grado di controllare il bilancio di un ente locale o di una regione, non esiste.
Questo è il processo che è stato avviato e quelle che ho indicato sono le azioni poste in essere per creare il sistema trasparente su cui si può sviluppare il federalismo fiscale.
PRESIDENTE. Ringrazio il professor Antonini. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
AMEDEO CICCANTI. Ringrazio il professor Antonini, che ci ha ricordato come è articolata la legge sul federalismo fiscale e come essa si compenetri con la legge n. 196 del 2009. In realtà, abbiamo attuato la razionalizzazione dei bilanci più con la legge n. 196 che non con la legge sul federalismo fiscale.
Pongo due domande. La prima, che poi approfondiremo sicuramente, perché è un tarlo che ho in testa, riguarda il tema del federalismo demaniale. Il trasferimento dei beni agli enti locali mi fa sorgere un dubbio per quanto riguarda la garanzia del debito pubblico. Se abbiamo, nel conto del patrimonio, un dato ineludibile, ossia una patrimonializzazione dello Stato che è superiore al debito pubblico e, in qualche modo, questo alto debito pubblico è garantito, trasferire beni agli enti locali non comporta anche il trasferimento di una
quota del debito pubblico? Nella riorganizzazione del sistema contabile che si va attuando con il federalismo fiscale si è tenuto conto di questo aspetto? Nella sua relazione non ne ho trovato cenno.
Vengo alla seconda questione. Lei ci ha presentato una relazione su tutto quanto abbiamo realizzato come legislatori. Dal momento che lei è presidente di una delle più importanti commissioni che si occupano di federalismo fiscale, le faccio presente che non ci ha riferito se il legislatore deve intervenire ulteriormente, se ci sono questioni irrisolte, meccanismi che non riescono ancora a funzionare, se avete incontrato ulteriori difficoltà. Tutto quanto previsto funziona perfettamente, oppure ci sono aspetti ancora da mettere a punto?
LINO DUILIO. La ringrazio per questa sua comunicazione professor Antonini. Credo che il fatto che si sia cominciato a lavorare da poco non le abbia consentito di offrirci elementi un po' più di merito, che costituissero oggetto di un confronto interessante in questa Commissione.
Sostanzialmente, lei, in modo molto utile, ci ha ripetuto il contenuto della legge e gli obiettivi da realizzare, ovverosia confrontare i bilanci, «internalizzare» le esternalizzazioni da parte delle diverse amministrazioni, sopprimere i trasferimenti statali sostituendoli con la fiscalità regionale, declinare i concetti insiti nella legge di stabilità che abbiamo approvato, conferire un significato vero alla clausola di salvaguardia - problema molto serio, sul quale ci stiamo interrogando anche noi e su cui ci piacerebbe che lei ci offrisse alcuni elementi di merito, essendo una questione, a mio avviso, e credo non solo mio, molto complicata - razionalizzare la spesa pubblica, anche questo un concetto che ci appartiene da tempo, ma che bisogna trovare il modo di attuare.
Il federalismo fiscale comporta, dunque, alcuni aspetti in termini di positiva rappresentazione di un futuro nel quale tutti amiamo ritrovarci, perché evidentemente tutti amiamo un futuro positivo.
Mi scuso se ho formulato questa osservazione, che non vuole essere assolutamente polemica. Ci troviamo alla vigilia di un tentativo di attuazione, che speriamo diventi realtà con il contributo di tutte le forze politiche. Noi abbiamo cercato di esprimere la nostra opinione con un atteggiamento positivo anche in Parlamento; come lei sa, ci siamo astenuti come opposizione e speriamo che ci sia la stessa sensibilità anche da parte della maggioranza, che, sinceramente e non per la prima volta, vedo piuttosto assente in questa Commissione, a parte la Lega Nord, che è presente in forze.
Dopo queste considerazioni politiche, vorrei tornare al merito più tecnico, perché mi interessava svolgere un confronto tecnico. Questo era il senso della mia premessa.
Vorrei porle alcune domande, che non scontano i risultati del lavoro della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, la quale, se non ho capito male, ha cominciato a lavorare da poco e non è in grado di fornirci molti elementi, perché il lavoro deve ancora essere completato e approfondito nei diversi gruppi di lavoro. Mi limito, dunque, a formulare alcune domande, in modo che, se ritiene, lei possa fornirci una sua opinione, allo stato non so quanto suffragata dal lavoro della Commissione stessa.
Una prima questione sulla quale troveremo difficoltà, trattandosi di uno dei punti chiave della riforma in senso federalista dello Stato, è quella dei costi standard. Evidentemente, essa dovrà incorporare, in termini di fatica concettuale per la definizione, alcune condizioni molto differenziate esistenti sul nostro territorio: ci sono aree del Paese che presentano un dato livello di servizi e altre in cui sappiamo benissimo che la situazione è diversa.
La mia domanda è se, a suo parere, la costruzione di questi indici, a cui si dedica, se non ho capito male, un gruppo di lavoro della Commissione, dovrà e sarà in grado di tenere conto di questa situazione, in modo tale che la costruzione dei costi standard incorpori e sia effettivamente
rappresentativa della condizione del nostro Paese. La questione di sempre, oserei dire storica, è quella di differenze territoriali, sia in termini di organizzazione dello Stato sul territorio, sia di risorse fruibili, perché per raggiungere determinati obiettivi occorrono risorse. Non casualmente, lei affermava che un gruppo di lavoro lavorerà anche sulla perequazione.
Sui costi standard volevo solo sapere se ci sono già alcuni lineamenta che hanno istruito il lavoro di questi gruppi di lavoro o se essi hanno incominciato a lavorare senza che si stia ragionando su alcune premesse.
Lo stesso discorso potrebbe riguardare i livelli essenziali delle prestazioni, ma mi interessa di più porle una domanda, con la quale chiudo, sul tema della razionalizzazione della spesa. Ritengo gli altri elementi, sinceramente, piuttosto scontati: quando ho sostenuto l'esame di ragioneria generale, nel 1969, a Napoli, mi spiegavano già che la contabilità doveva presentare elementi di chiarezza e di trasparenza; non è un merito del federalismo fiscale, basta sostenere l'esame di ragioneria al primo anno di università per saperlo, anche se può essere utile ad adiuvandum.
L'aspetto che mi interessa di più, invece, anche alla luce della domanda che vorrei porle - non so se esistano e se abbiate svolto analisi comparate rispetto ad altri Paesi che hanno realizzato un'organizzazione federale dello Stato, magari procedendo in modo esattamente rovesciato rispetto a noi - è il seguente: vorrei capire se, almeno nella fase iniziale, a livello di risultato complessivo, la spesa è aumentata oppure è diminuita.
Poiché la razionalizzazione di cui lei parlava comporta inevitabilmente il fatto che qualcuno dovrà avere di più e qualcuno di meno, se dobbiamo risparmiare laddove si spreca, esiste, però, una fase iniziale in cui non sarà facilissimo realizzare tutto ciò.
Volevo sapere se, a suo avviso, tenendo conto anche di esperienze comparate, in un processo che sarà fisiologicamente di una certa lunghezza per arrivare all'obiettivo della razionalizzazione piena, non si rischia - non essendo stata fornita una cifra su questo tema in Parlamento, né dal Ministro dell'economia e delle finanze, né da altri - almeno in una fase iniziale, che la spesa aumenti, invece che diminuire, in un Paese in cui - Dio solo sa, e anche noi lo sappiamo - dovremmo avere una situazione esattamente rovesciata, cioè spendere di meno e incassare di più, piuttosto che spendere di più e incassare di meno. Grazie.
MASSIMO POLLEDRI. Ringrazio il professor Antonini e giudico confortante la sua relazione: si sta producendo e mi sembra che i pilastri messi dal Parlamento siano ben presenti. Mi pare sia ben presente soprattutto il principio della tracciabilità e del controllo democratico.
Ho, però, una domanda sulla contabilità delle regioni, soprattutto in materia sanitaria. Sappiamo che ci sono alcune regioni, di cui non facciamo i nomi, che non hanno un bilancio della sanità. Non esiste un bilancio delle aziende sanitarie locali e la voragine è infinita. Visto che, alla fine, la spesa regionale per l'80 per cento è concentrata lì, a che punto è questa contabilità delle aziende sanitarie? Riusciamo a mettere insieme questi cocci? Alcune regioni hanno percepito che un minimo di controllo deve essere svolto? Si stanno attrezzando? Grazie.
GIAN LUCA GALLETTI. Anch'io mi associo ai ringraziamenti al professor Antonini.
Ricordo che nel 2005 abbiamo chiuso i lavori dell'Alta commissione per il federalismo fiscale e faccio notare due elementi: rischiamo di essere sempre noi a occuparcene, il che va anche bene, ma, soprattutto, mi pare che siamo sempre al punto di partenza. Abbiamo chiuso l'Alta commissione, dopo quattro anni di lavoro, dicendoci che dovevamo trovare un modo per armonizzare i bilanci, perché, senza quel punto di partenza, non saremmo andati da nessuna parte. Se non si riesce ad avere una base di dati condivisa e omogenea, non si può costruire il costo standard e senza questo non si possono
costruire i LEP. Si è, quindi, assolutamente all'inizio del lavoro.
Abbiamo provato più volte ad andare avanti con la metodologia che oggi utilizza la Commissione tecnica e sono curioso di vedere dove arriveremo, perché sono fra coloro che ritengono che tale percorso non ci porti da nessuna parte.
Fino a quando continuiamo a pensare di poter consolidare la contabilità economica con quella finanziaria, non andremo da nessuna parte. Oggi, la gran parte delle attività dei comuni è gestita in contabilità economica, perché è esternalizzata in società che soggiacciono alle regole del Codice civile. La contabilità finanziaria non si parla con quella economica; hanno criteri completamente diversi, perché soddisfano esigenze diverse. A mio giudizio, se vogliamo passare altri cinque anni a chiederci come far parlare queste due contabilità, non compiamo passi in avanti.
Visto che, chiaramente, non possiamo obbligare le società a utilizzare la contabilità finanziaria - siamo in Europa e nel mondo e dobbiamo starci - probabilmente dobbiamo compiere uno sforzo per avvicinarci molto, anzi per passare definitivamente o, prima, a una doppia contabilità o a una contabilità unica economica anche in ambito pubblico, almeno a livello locale. Diversamente, non andremo da nessuna parte.
Occorrono, dunque, già in questo momento, un'armonizzazione con la contabilità economica e alcuni princìpi contabili. Se non vengono individuati venti princìpi contabili a cui tutti i comuni debbono sottostare, con sanzioni da comminare se non li rispettano, al fine dell'imputazione dei costi, non concluderemo nulla.
Un altro aspetto riguarda il consolidato, l'ultimo anello della catena, cui arriviamo solo dopo aver raggiunto una contabilità che ci permetta di consolidare. D'altronde, se oggi si indica il debito che un comune ha registrato nella sua contabilità, esso non corrisponde al debito effettivo, perché non comprende i derivati e le società partecipate, neanche le partecipazioni all'80 per cento e non solo quelle in società quotate. Sono, dunque, dati che non hanno significato.
Il giorno in cui si dovrà costruire un costo standard, lo si potrà fare con la contabilità finanziaria? Nutro forti dubbi al riguardo e avverto la preoccupazione che il percorso che abbiamo intrapreso ci farà stare fermi ancora per molto tempo. Poi vedremo.
Un'ultima considerazione: anch'io sono curioso di sapere quali saranno i prossimi passi, professor Antonini. Oggi stiamo parlando di armonizzazione, problema che abbiamo ormai sviscerato da mille parti. Abbiamo compiuto passi in avanti sui costi standard? Cominciamo ad avere un'idea di quanto può costare il federalismo fiscale? Questo è il dato che tutti ci attendiamo per poter procedere ai prossimi passi.
PRESIDENTE. A me sembra fondamentale, come ho già osservato in alcuni seminari, proprio per dare il via al controllo democratico di cui parlava il professor Antonini, la riconciliazione tra il dato della contabilità finanziaria o economica o, comunque, della contabilità pubblica approvata dall'organo sovrano con quella analitica, che fa maturare la misurazione del costo standard.
Se tale riconciliazione non c'è, parliamo di costi standard costruiti con dati diversi da quelli approvati in modo ufficiale e manca il presidio fondamentale di questa forma di controllo. I dati del bilancio ufficiale devono far nascere naturalmente i dati che alimentano la contabilità industriale o analitica dei costi standard. In mancanza di ciò, a mio avviso, il sistema non può funzionare o, comunque, non può funzionare correttamente un sistema di controllo democratico.
Se si costruiscono i costi standard sulla base di dati forniti da banche dati, fossero anche le più precise del mondo, che però non sono approvate dai soggetti che poi li devono riconoscere, ossia, nel caso specifico, dai consigli regionali, si profila un grosso problema. Il costo standard deve
permettere di risalire al dato che si trova nel bilancio approvato dall'assemblea elettiva, altrimenti non è utile.
Sulle altre questioni sono d'accordo, però questo aspetto non viene mai ricordato, motivo per cui continuo a insistere al riguardo.
MARCO CAUSI. Presidente, prendendo spunto da questa discussione, vorrei apportare un ulteriore contributo e compiere un passo avanti rispetto alle considerazioni sue e dell'onorevole Galletti.
Intorno alla questione dei costi standard - il professor Antonini lo sa benissimo, perché fa parte anche di un dibattito disciplinare - si sono formati, come sempre accade in Italia, due partiti, entrambi fortemente estremistici.
Un partito sostiene che non riusciremo mai a costruire i costi standard, che è impossibile e troppo complicato e che si pone il problema di ricondurre i dati finanziari a quelli economico-patrimoniali. Alla fine, dunque, non potremo fare altro che acconciarci a stabilire alcuni parametri di spesa pro capite adeguatamente ponderati. La legge su questo punto è flessibile, perché, giustamente, il Parlamento, quando esaminò questo punto, tenne aperte entrambe le possibilità, sia quella di un costo standard più «vero», sia quella di un'approssimazione attraverso una spesa pro capite adeguatamente ponderata per alcune variabili territoriali, demografiche e via elencando.
Il secondo partito, a mio avviso altrettanto estremistico, pensa ai costi standard in modo aziendale, come se fossero i costi di produzione aziendale del processo di cui stiamo parlando.
Non pretendo dal professor Antonini una risposta su questa questione, che lascio agli atti, perché è certamente uno dei lavori da svolgere in questi mesi in tema di attuazione del federalismo, ma domando se fra questi due partiti estremi non si possa trovare una strada che metta in campo le risorse della statistica partendo dai microdati.
Il partito di chi sostiene che non si possono costruire i costi standard suggerisce di accontentarsi di medie e di partire da macrodati finanziari. Il partito di chi afferma che i costi standard sono costi di produzione propone di partire dai microdati, anche se probabilmente non si riusciranno mai a ricostruire microdati per tutti i processi produttivi complessi e complicati delle pubbliche amministrazioni.
Il partito intermedio sostiene che abbiamo milioni di microdati e che dobbiamo trovare tecniche statistiche che, a partire dai microdati e quindi utilizzandoli, ci permettano di definire almeno alcune «forchette».
Se ci pensate bene, è un po' quello che succede con gli studi di settore. Anche negli studi di settore si parte da milioni di microdati e poi per settore, per territorio, per categoria, si definiscono le «forchette», che sono ricostruite tenendo conto proprio dei microdati.
Il suggerimento che proporrei al professor Antonini - ne riparleremo anche nella Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale - è quello di procedere, all'interno della vicenda dei costi standard, a un approfondimento sull'uso di tecniche statistiche, di analisi aggregata di milioni di microdati, che ci permettano non tanto di ricostruire il costo di produzione, perché sarà un'impresa epica, quanto adeguate rappresentazioni statistiche, un po' come nel caso degli studi di settore, che però tengano conto dei dati di base.
PRESIDENTE. Do la parola al professor Antonini per la replica.
LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Le questioni sono molto articolate e sarò necessariamente un po' sintetico nelle risposte.
Parto dalla prima. L'onorevole Ciccanti chiedeva del federalismo demaniale. Su questo punto il regime dei beni in molti casi non cambia. Per esempio, se le spiagge vengono assegnate a regioni o a province, rimangono in regime demaniale e, quindi, non possono essere alienate. La garanzia rimane, dunque, attiva.
Attribuire, invece, gli immobili ai comuni vuol dire attribuirli ai soggetti che hanno il potere di produrre ricchezza, perché una variante urbanistica può trasformare il valore di una caserma da uno a dieci. Una caserma inutilizzata in un centro storico, che rappresenta un costo per il bilancio dello Stato, se assegnata a un comune, acquista un valore enorme: in quel caso può diventare una scuola, un asilo e può essere messa sul mercato. Se il comune ne ricava un'entrata, essa può essere destinata alla riduzione del debito pubblico locale. Mi sembra un processo che si armonizza con la questione del debito, perché il regime di demanialità non cambia e laddove cambia, rispetto agli immobili, è funzionale a un processo di valorizzazione che produce ricchezza. Mi sembra, dunque, che l'operazione sia sostenibile.
AMEDEO CICCANTI. Per precisare, la mia domanda riguarda il modo in cui ciò viene tradotto sulle norme di contabilità, che non ci sono, che disciplinano la questione. Del resto, se si va a coprire il debito pubblico degli enti locali, che è una parte del debito pubblico, ciò dovrebbe essere registrato in contabilità, il che non avviene. Non esistono strumenti per registrare in contabilità questo dato.
Era questo il senso della domanda.
LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Non ho ben capito.
AMEDEO CICCANTI. Allo stato attuale, sappiamo qual è il debito pubblico dello Stato, qual è quello degli enti locali e anche come il patrimonio dell'uno e degli altri possa garantirli, tanto che il debito pubblico degli enti locali in qualche modo è garantito da alcuni parametri previsti in contabilità.
Adesso, con tale riparto dei beni, il debito pubblico dello Stato non è più garantito. Poiché le norme di contabilità che abbiamo a disposizione non registrano questa situazione, si pone la necessità di integrarle, oppure si procede soltanto dal punto di vista aritmetico e matematico, senza una legislazione di supporto?
LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Ci sono vincoli che discendono anche dall'Europa in relazione alle alienazioni e che vengono automaticamente rispettati anche a livello locale. Se un comune acquisisce un immobile e lo mette sul mercato, avendolo valorizzato, e riduce il proprio debito, allora anche il patto di stabilità locale registrerà la variazione in positivo.
Ho dato conto non solo della legge, ma anche dei lavori effettivamente svolti dalla COPAFF, perché l'armonizzazione dei dati non è stata un'impresa facile. Il federalismo fiscale ha fatto emergere il problema; nel momento in cui ci si è trovati a doverlo attuare, ci si è resi conto della situazione in cui ci trovavamo.
Ritengo che il lavoro svolto fino a oggi sia stato molto utile, perché il processo di creare dati puliti e confrontabili, che prima non avevamo, è stato il sale del federalismo fiscale. Non è una questione meramente estetica o formale, ma il problema dei problemi, che è stato affrontato anche sollecitando l'intervento governativo e parlamentare, tanto che la codifica unitaria approvata dal Parlamento nel citato decreto Ronchi ha risposto a quest'esigenza.
È stata un'operazione molto importante ed era la prima da cui bisognava seriamente partire per affrontare, a cascata, tutti gli altri problemi. Non avendo risolto questo, rimaneva impossibile svolgere i passaggi successivi. È una questione che nasce da lontano, dai difetti della riforma del 2001, che rende l'armonizzazione dei bilanci pubblici materia di competenza legislativa concorrente, generando questo tipo di problemi.
Questo lavoro è stato, dunque, fondamentale e senza di esso non si sarebbe potuto entrare nel merito. Tenete conto che non c'è solo il costo standard, ma anche il fabbisogno standard. Tutte le funzioni degli enti locali devono, infatti,
essere impostate secondo i fabbisogni standard, perché l'80 per cento di quelle funzioni va al fabbisogno standard. In assenza dei dati unitari rispetto a queste dinamiche, l'operazione era estremamente difficile, anzi impossibile.
Per quanto riguarda la seconda domanda, relativa al costo standard, innanzitutto la legge prevede un periodo transitorio, che accompagna il passaggio dalla spesa storica al costo standard. Sono, inoltre, previsti nella legge n. 42 del 2009 meccanismi di compensazione, come la perequazione infrastrutturale. Ci sono infatti alcuni deficit infrastrutturali nel nostro Paese, che non sono stati adeguatamente considerati finché la legge n. 42, grazie anche all'apporto dell'opposizione, ha previsto il meccanismo della perequazione infrastrutturale.
Questo può essere un grande vettore di accompagnamento del passaggio dalla spesa storica al costo standard, compensando il deficit di infrastrutture. Piuttosto che utilizzare la spesa sanitaria come ammortizzatore sociale, è preferibile un recupero del gap di infrastrutture, che permette un rilancio della produttività del sistema. Penso anche al sud. Rientra in un processo di razionalizzazione, che identifica il binario su cui è possibile uno sviluppo reale; non si tratta di usare la spesa pubblica come ammortizzatore sociale, ma per colmare il gap di infrastrutture. Mi sembra un fattore di riequilibrio importante.
Veniamo alla domanda sulla diminuzione o l'aumento della spesa nel primo periodo. Nei processi di federalismo, quello che può far aumentare la spesa è il momento in cui si attua la devoluzione di funzioni: si devolvono funzioni, ma lo Stato centrale non si ridimensiona e, quindi, si verifica il fenomeno della duplicazione.
Abbiamo avuto questo problema nel 1998, con la riforma Bassanini, e nel 2001, con quella del federalismo legislativo. Non l'abbiamo al momento del federalismo fiscale; anzi, l'espansione della spesa pubblica deriva da quei processi a cui è mancato il federalismo fiscale, che è un meccanismo che non interviene sulle funzioni, che sono legate alla spesa, ma sulla responsabilizzazione della spesa.
Oggi, in Italia, abbiamo una spesa pubblica che, tolta quella per interessi e pensioni, si riparte a metà tra lo Stato, da una parte, e regioni, province e comuni, dall'altra. La responsabilità impositiva di regioni, province e comuni viene calcolata da un dato. Se andiamo a vedere quella reale, per esempio, un professore di scienza delle finanze come Giarda sostiene che essa corrisponde all'11 per cento. Di fatto, uno spende, ma paga un altro. Questo è il meccanismo che ha fatto aumentare la spesa pubblica.
Il federalismo fiscale, quindi, non interviene sul lato delle funzioni di spesa, perché non dà ulteriori funzioni, mantenendo quelle attribuite nel 1998 e nel 2001. Interviene, invece, sulla razionalizzazione della spesa, facendo sì che la funzione di spesa diventi una funzione di cui rispondere all'elettore e non da giocare in un sistema di finanza derivata, nel quale c'è il ripiano statale, non c'è la tracciabilità dei tributi e, quindi, la fiscalità generale copre quanto si spende a livello locale.
Il federalismo fiscale introduce un meccanismo di razionalizzazione della spesa attraverso il controllo dell'elettore, il controllo democratico, il principio della tracciabilità del tributo, come è successo in altri ordinamenti.
Lei, onorevole Duilio, chiedeva un'analisi comparata. Per esempio, in Spagna si è presentato l'identico problema. Quando, alla fine degli anni Ottanta, la Spagna ha avviato il federalismo, i suoi conti pubblici erano saltati, perché non aveva introdotto il federalismo fiscale. Il rimedio è stato appunto il federalismo fiscale, che ha portato a un processo di razionalizzazione della spesa pubblica. Il processo è partito dalla fine degli anni Ottanta e oggi, in Spagna, le comunità autonome gestiscono il 30 per cento dell'IRPEF. È partito, dunque, un processo di federalismo fiscale molto accentuato, che ha permesso di razionalizzare la spesa pubblica.
Gli spagnoli avevano avuto, dunque, lo stesso identico problema: un federalismo senza federalismo fiscale, che aveva mandato fuori controllo la spesa, perché mancava il controllo democratico, cioè il sistema funzionava sui ripiani a piè di lista, in cui, se un comune è inefficiente nella gestione, chiede allo Stato e non ai propri elettori di ripianare i conti. Il meccanismo del federalismo fiscale è, invece, tale per cui, se si è inefficienti, si chiede ai propri elettori e non alla fiscalità generale.
Teniamo conto che il federalismo fiscale introduce anche meccanismi sanzionatori molto forti, come il fallimento politico, che implica l'ineleggibilità a ogni livello dell'ordinamento per un sindaco che mandi un comune in dissesto finanziario. A livello regionale - per rispondere anche alla domanda dell'onorevole Polledri - si è inoltre stabilito che la situazione di dissesto finanziario diventi una delle gravi violazioni di legge per cui, ai sensi dell'articolo 126 della Costituzione, può essere rimosso il presidente della giunta regionale e, quindi, si torna al voto.
Il meccanismo sanzionatorio adesso diventa fortissimo; non era mai esistito in questa forma nel nostro sistema.
LINO DUILIO. Professore, mi scusi, ma la mia domanda verteva sulle questioni tecniche e strutturali di questo processo, i cui pregi - se vogliamo, possiamo chiamarli così - almeno quelli potenziali, credo che ci trovino tutti piuttosto d'accordo. Siamo tutti d'accordo sul principio che l'amministratore locale debba essere sottoposto ad un controllo sociale e democratico e che la miglior forma di controllo è verificare, disponendo dei dati, peraltro utilizzabili con la massima trasparenza, l'esito di un'amministrazione e poi, eventualmente, cambiarla. È uno dei princìpi, direi quasi un elemento della grammatica, della democrazia, purtroppo non sempre realizzato.
La mia domanda verteva sulle questioni tecniche, perché di buone intenzioni possono essere lastricate anche le vie dell'inferno, come sappiamo. Per questo motivo, le chiedevo, che cosa può succedere almeno nella fase iniziale, anche alla luce di altre esperienze: almeno da alcune mie letture - potrei aver letto informazioni sbagliate - risulta che nella prima fase i costi sono aumentati e non diminuiti.
A prescindere da questo aspetto, lei sa meglio di me che non si pone solo il problema del trasferimento di funzioni, al quale - nella realtà, che è quella che è - patologicamente non si accompagna il trasferimento del personale e delle altre risorse. Sarebbe illuministico immaginare di trasferire la gente che lavora a Catania, dove magari c'è un rapporto forza/organico del 110 per cento. Vivo a Milano e, dopo la creazione della provincia di Monza e della Brianza, 2.500 persone dalla provincia di Milano si dovrebbero trasferire a Monza. Le posso assicurare che le stime realistiche indicano che il flusso di personale che transiterà dalla sede di via Vivaio a Milano a Monza sarà di circa 250 persone, ossia il 10 per cento di quelle che dovrebbero essere trasferite.
Nel frattempo, dovremo anche decidere di trasferire le funzioni, a meno che non viviamo nel mondo delle nuvole, dove immaginiamo che si scrive tutto sulla carta e la realtà segue appunto quanto abbiamo nella testa. Sarebbe bello, ma la realtà ha anche processi di vischiosità, che non giustifico, ma che bisogna cercare almeno di comprendere, altrimenti viviamo nelle illusioni. Poiché a noi delle illusioni interessa cogliere le implicazioni di natura finanziaria - in questa sede non mi curo delle altre valutazioni - la mia domanda derivava da questa considerazione.
Nel frattempo, dovremo dunque stabilire le funzioni, una volta che avremo chiarito chi fa che cosa. Anche questo aspetto, infatti, non è ancora stato chiarito, vale a dire chi fa che cosa all'interno dello spazio delle autonomie, che dovranno riappropriarsi di alcune funzioni, e, corrispondentemente, avere il supporto finanziario per l'esercizio delle stesse.
Una volta che l'avremo chiarito, ci sarà una fase iniziale - questa era la mia domanda di partenza; non le chiedo di fare l'indovino, ma solo di avere alcuni elementi - in cui temo che i costi possano
aumentare, piuttosto che diminuire. Per queste incrostazioni - chiamiamole come vogliamo, poi ognuno potrà dare il suo giudizio - rischieremo di avere il trasferimento di funzioni, ma non, consequenzialmente, il trasferimento di alcuni fattori, che comportano costi.
Per esempio, le comunità montane sono nella situazione che conosciamo, ma, se andiamo a vedere il rapporto tra il personale che opera nella comunità montana in provincia di Varese e nella comunità montana in provincia di Reggio Calabria - cito fonti de Il Sole 24 Ore, non è una mia opinione personale - vi è una sproporzione del 50 per cento. È inutile nascondercelo: nel nostro Paese, per molti anni, la pubblica amministrazione è stata utilizzata come una via surrettizia di creazione di occupazione, che si è poi riverberata sulla finanza pubblica. Siamo tutti d'accordo sul razionalizzarla, ma farlo è un po' più complicato. Altrimenti, non capirei perché la spesa pubblica continui ad aumentare anche in costanza di un Governo che un giorno sì e l'altro pure afferma che bisogna ridurre la spesa pubblica, mentre nei fatti mi pare che stia accadendo esattamente il contrario.
Non intendo fare polemica, ma solo sottolineare che la situazione è più complicata delle semplici affermazioni. Il federalismo fiscale non è la panacea di tutti i mali.
Del resto, siamo andati a vedere la situazione in Inghilterra, dove la spending review nasce parecchi anni fa. Il processo non è stato ancora completato e non è stato legato a un processo di federalismo fiscale. La stessa Francia, che ha una situazione molto diversa dall'Inghilterra, si è posta il problema della revisione della spesa in tempi non sospetti.
Il problema della spesa pubblica, come lei sa, è serio. Gli americani hanno pensato che bisogna «affamare la bestia» per risolverlo.
Chiudo qui, perché mi sto dilungando troppo. La mia, sinteticamente, era una domanda relativa alle implicazioni tecniche, non tanto alle attese. Tutti ci attendiamo di riuscire ad «addomesticare» la spesa, introducendo elementi di razionalizzazione ma, dal momento che questo obiettivo, che tutti condividiamo, non è facilmente realizzabile, le chiedevo se non vi sia il timore, derivante dal fatto che siamo già nettamente fortemente indebitati, che la spesa, anziché diminuire - almeno nella prima fase - aumenti.
LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Porterò in seguito un esempio, ma intanto ribadisco che il passaggio dalla spesa storica al costo standard rappresenta una razionalizzazione della spesa. La legge n. 42 non prevede funzioni in più, agisce semplicemente sul lato della responsabilizzazione.
Si pone il problema del decentramento e della duplicazione. Perché si afferma che in altri sistemi il federalismo fiscale abbia fatto aumentare la spesa? Perché, contemporaneamente al federalismo fiscale, era in atto il trasferimento di funzioni e, quindi, il processo procedeva in parallelo. Noi abbiamo già effettuato il trasferimento di funzioni; questo problema è già superato, il federalismo in Italia esiste già dal 2001. È mancato, invece, il federalismo fiscale. Questo è una razionalizzazione dell'esistente. Il Codice delle autonomie potrebbe confermare il quadro attuale o, anche, attribuire alcune funzioni in più. Il problema, però, non è il federalismo fiscale, ma il Codice delle autonomie e, quindi, l'ulteriore procedimento di trasferimento di funzioni. Questo fatto potrebbe verificarsi, però, solo nel momento in cui si attui un altro trasferimento di funzioni.
La situazione attuale, secondo me, nasce dal fatto che sono state trasferite funzioni, ma non si è creata una responsabilità impositiva.
Il costo del fabbisogno standard è una misura di razionalizzazione della spesa in sé. Stiamo passando dalla spesa storica al costo standard e la razionalizzazione è nel processo.
Le cifre non potevano essere date prima della determinazione dei costi standard, che sono determinazioni anche politiche, perché devono passare per l'esame
della Conferenza unificata. Non si sa a che livello verrà posta l'asticella dei costi standard: quali regioni si prendono a riferimento, per esempio sulla sanità? Se ne prendono due, quattro, quali? Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana o Lombardia, Veneto, Marche ed Emilia? A seconda delle regioni che si prendono come punto di riferimento, cambia l'asticella del costo standard.
È necessario prima un passaggio, che è anche politico, perché deve essere condiviso dalla Conferenza unificata, di determinazione del costo standard. Solo allora arriva la possibilità di dare le cifre, perché diventa possibile effettuare delle quantificazioni.
Per quanto riguarda la sanità, il nuovo Patto della salute ha già previsto alcune misure che anticipano il federalismo fiscale. Auspicabilmente, dovrebbe introdurre una presa di coscienza da parte delle cosiddette regioni «canaglia». Penso che il processo per cui, se si continua ad avere una sanità di un dato tipo e una contabilità inattendibile, se ne debba rispondere agli elettori attribuisca grande responsabilità.
Si parlava di commissariamento, ma Massimo Bordignon, nel sito lavoce.info, metteva in evidenza che il primo atto di Agazio Loiero come commissario nella regione Calabria è stato quello di attribuire una gratifica del 20 per cento ai direttori delle AASSLL. È chiaro che un meccanismo di questo tipo non può funzionare.
Il processo di federalismo fiscale in cui, se si continua così, si devono aumentare l'addizionale IRPEF e le imposte regionali e non si hanno più ripiani, secondo me è il grande deterrente che costringe alla responsabilizzazione.
Questa è la questione. La sanzione ultima che viene introdotta con questa legge, ossia il fallimento politico, non esisteva. Si sono verificati, anzi, fenomeni di riciclaggio politico: si manda in dissesto un comune, poi si cambia comparto politico e si va avanti. Il fallimento politico non era mai esistito nel nostro sistema e credo che sia un deterrente importante.
Per quanto riguarda la questione dei costi standard, all'interno della Commissione tecnica per il federalismo fiscale si sta lavorando e si sta discutendo per cercare di arrivare, ora che sono disponibili anche i dati uniformi previsti, alle determinazioni delle metodologie. La questione delle metodologie è tecnica, ma ha anche un alto risvolto politico. Pertanto, all'interno della Commissione si stanno ventilando alcune ipotesi, che poi verranno portate all'attenzione del Governo e del Parlamento.
Sulla sanità siamo forse più avanti, mentre un settore dove siamo piuttosto scoperti è quello dell'assistenza sociale. In sanità, infatti, abbiamo i LEA da tempo, mentre sull'assistenza sociale il problema era più aperto. Anche su questo punto, le determinanti che possono essere utilizzate sono particolarmente incidenti: per gli anziani si usa come determinante il ricovero in residenze sanitarie assistenziali (RSA) oppure l'assistenza domiciliare? A seconda della determinante che si usa, si ottiene un risultato diverso.
Giungo alla seguente conclusione: il costo standard ha evidentemente alcune implicazioni tecniche e politiche difficili, che bisogna affrontare. L'alternativa era la capacità fiscale, che, però era un sistema molto meno perequativo rispetto a quello del costo standard. Secondo me, la lungimiranza della legge n. 42 del 2009 è stata quella di avere scelto un sistema che permettesse il passaggio graduale dalla spesa storica a un nuovo criterio, quello del costo standard, il quale, anche se ha una complicazione insita nella determinazione, garantisce un livello di uguaglianza. Tale criterio combatte gli sprechi, ma all'interno di un quadro di uguaglianza.
L'alternativa - lo ripeto - era la capacità fiscale, che avremmo calcolato in due giorni. La scelta politica, però, è stata quella di far diventare il nostro un sistema che combatte l'inefficienza, mantenendo un quadro adeguato di solidarietà nazionale.
ANTONIO MISIANI. Vorrei porre una rapidissima domanda sulla questione della
finanza locale, visto che questi sono i tempi della complicata redazione dei bilanci delle amministrazioni comunali.
Vi sono alcuni elementi di incertezza e vorrei capire quale sistemazione potrebbero trovare nel quadro dell'attuazione del federalismo fiscale.
Il primo riguarda la vicenda dell'ICI e dell'imposizione sugli immobili in generale. Vorrei capire quali sono gli orientamenti che stanno maturando, dal momento che leggiamo sui giornali della possibile unificazione di questi tributi in nuove imposte sui servizi comunali.
Si pone poi la questione della TIA (tariffa di igiene ambientale), che la Corte costituzionale ha riqualificato come tributo, il che sta generando un'enorme incertezza nelle amministrazioni comunali, che non sanno se rimetterla nei bilanci, lasciarla fuori, assoggettarla o meno all'IVA, con pareri diversi tra ANCI, Federambiente e via elencando. Che fine farà, nel futuro, questo tipo di imposta?
Passo poi agli oneri di urbanizzazione, che non sono citati nella legge n. 42 del 2009, ma sono un elemento importante dei bilanci comunali e incidono, soprattutto, per molti comuni, sulla parte corrente, in quanto vengono utilizzati fino al 75 per cento - fino al 2010 - per finanziare servizi e spese correnti. Che fine faranno nel futuro ordinamento della finanza locale?
SIMONETTA RUBINATO. Ho una domanda brevissima, ispiratami dall'ultima affermazione del professor Antonini.
Lei ha parlato, come criterio di finanziamento, della capacità fiscale, da un lato, oppure dei costi standard, dall'altro. Vorrei anche far presente, e sentire il professore in merito, la circostanza che ci ha ricordato il dottor Verde, quando è venuto in audizione - il 4 novembre 2009 - nel corso della presente indagine conoscitiva sulla finanza locale, affermando che ci sono circa 2.950 comuni, o forse enti locali, tra province e comuni, che sono sperequati, in quanto sottodotati nei trasferimenti. Essi dovevano essere rimessi su un piede di parità e di equità rispetto agli altri, che hanno trasferimenti sopra la media, fin dal 1992. Purtroppo, tali enti, a oggi, rimangono sottodotati.
Il tema è che per questi enti sottodotati si pone il problema di trovare in questa fase transitoria le risposte che attendono dal 1992.
LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. Rispetto agli enti che accusano questi problemi, si tratta di un retaggio del meccanismo della spesa storica, che ha creato tali sperequazioni. Nel momento in cui il finanziamento diventa il fabbisogno standard, ogni ente ha garantita la sua possibilità ed è in grado, o tramite l'autonomia o tramite la perequazione, di finanziare le proprie funzioni.
Il problema di cui parlava il dottor Verde nasce, quindi, dal sistema della spesa storica. Il passaggio della legge va verso il fabbisogno standard, con cui tali enti sono garantiti molto di più che non con il sistema della spesa storica.
SIMONETTA RUBINATO. Professore, non ci sono dubbi che, alla fine, gli enti sottodotati staranno meglio. Il problema è che fin dal 1992 stanno peggio degli altri. Probabilmente, in questa fase, occorre pensare al fatto che questi enti sottodotati di risorse in modo iniquo dovranno rispettare anche il patto di stabilità interno. Parlo, in particolare, degli enti del Veneto e della Puglia. Su questo, forse, il Governo deve dare risposte anche prima. Sono consapevole che lei in questa sede non è il Governo, ma solo un consulente.
LUCA ANTONINI, Presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale. La razionalizzazione, però, è insita e il riequilibrio è dato - rispetto alle distorsioni create dalla spesa storica - dal fabbisogno standard e
dalla perequazione, in proporzione, anche col coinvolgimento dei sistemi regionali.
Invece, sulla fiscalità immobiliare, evidentemente è partito un confronto e un lavoro, ma in questo momento non sono in grado di fornire ipotesi e soluzioni.
PRESIDENTE. Colleghi, vi ringrazio per aver partecipato. L'indagine conoscitiva sulla finanza locale prosegue nel pomeriggio con un'audizione di esperti.
Ringrazio anche il professor Antonini. Credo che, dati i temi assolutamente caldi e di interesse comune, ci rivedremo presto e a lungo.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,20.