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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione VI
6.
Giovedì 19 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO):

Audizione dei rappresentanti di Federcasse:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 7 11 13 17 20 22
Azzi Alessandro, Presidente di Federcasse ... 3 12 17 20 21
Carella Renzo (PD) ... 16
Causi Marco (PD) ... 14
Cornelli Federico, Direttore operativo di Federcasse ... 7 11
D'Antoni Sergio Antonio (PD) ... 16
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 15
Gatti Sergio, Direttore generale di Feder-casse ... 7 10 12 20
Pagano Alessandro (PdL) ... 16
Pennisi Iris, Responsabile del servizio rischi e controlli di Federcasse ... 8 11
Ventucci Cosimo (PdL) ... 13

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Federcasse ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 19 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 11.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei rappresentanti di Federcasse.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione dei rappresentanti di Federcasse.
Sono presenti l'avvocato Alessandro Azzi, presidente della Federazione italiana delle banche di credito cooperativo, il dottor Sergio Gatti, direttore generale, il dottor Federico Cornelli, direttore operativo, la dottoressa Iris Pennisi, responsabile del servizio rischi e controlli, e il dottor Marco Reggio, responsabile dell'ufficio stampa e rapporti istituzionali.
Do la parola al presidente Azzi e agli altri ospiti presenti per lo svolgimento della relazione.

ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione.
Mi propongo di tracciare, innanzitutto, un breve profilo, che dia conto dell'attuale consistenza del sistema del credito cooperativo italiano, ossia delle banche di credito cooperativo, e di svolgere, in seguito, alcune considerazioni in merito alle problematiche principali che suscitano, dal nostro punto di vista, gli atti comunitari all'esame della Commissione.
Infine, lascerò la parola, con il suo consenso, signor presidente, ai dirigenti che mi accompagnano, affinché approfondiscano alcuni temi più rilevanti.
Cercherò di essere sintetico nell'esposizione, facendo riferimento alla documentazione che abbiamo consegnato.
In Italia operano, attualmente, 412 BCC-CR, con oltre 4.400 sportelli, pari al 13,1 per cento del totale degli sportelli delle banche operanti nel nostro Paese, circa 1.100.000 soci e oltre 6,7 milioni di clienti.
Le BCC-CR operano in 101 province e in 2.704 comuni, costituendo, in oltre 500 di essi, l'unica presenza bancaria. Siamo presenti soprattutto in centri di piccole dimensioni e operiamo con clientela cosiddetta retail. Sosteniamo molto le piccole imprese.
I dipendenti delle banche di credito cooperativo sono circa 32.000. A questi si aggiungono circa 5.000 dipendenti e collaboratori delle società di servizi del credito cooperativo. Il tema della rete e,


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quindi, delle società di servizi è fondamentale per la presenza e per la stessa sopravvivenza delle nostre piccole banche, che altrimenti non sarebbero in condizione, singolarmente, di far fronte alla concorrenza degli altri soggetti che fanno parte del sistema bancario. Il numero dei nostri dipendenti è cresciuto in questi ultimi anni, in controtendenza rispetto al resto del mondo bancario.
Anche le nostre quote di mercato sono cresciute in maniera consistente negli ultimi anni.
In diverse zone del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, le banche di credito cooperativo sono le uniche banche locali presenti e, molto spesso, le uniche banche meridionali.
Sotto il profilo operativo, continuiamo a caratterizzarci per una forte specializzazione nell'attività di intermediazione tradizionale, basata sul modello originate-to-hold, e su relazioni durature di natura fiduciaria.
Abbiamo una rete associativa, ovvero 15 federazioni locali, una federazione nazionale, che ho l'onore di rappresentare, e una serie di società di servizi, la più significativa delle quali è Iccrea. Il Gruppo bancario Iccrea è il supporto operativo delle BCC-CR.
Gli investimenti e le economie di scala, che le singole banche sul territorio non possono realizzare, sono garantiti, appunto, dalla rete industriale di servizio.
Alla fine del 2011 abbiamo registrato una raccolta di circa 150 miliardi di euro, con impieghi di entità quasi analoga, gran parte dei quali indirizzati verso le piccole imprese con meno di venti dipendenti. La quota di mercato del credito cooperativo, con riferimento a tale clientela, tipicamente italiana, va dal 15 al 20 per cento (e anche oltre, in alcuni settori).
I fattori alla base della nostra crescita degli ultimi anni, di un così protratto periodo di espansione, sono costituiti, soprattutto, dai vantaggi correlati alla nostra capacità di fornire credito, operando in maniera anticiclica proprio nell'epoca della crisi: abbiamo voluto e saputo farlo perché l'abbiamo ritenuto coerente con la nostra missione, con il senso della nostra presenza. In ciò siamo stati certamente avvantaggiati dalla conoscenza del territorio e dei sistemi economici locali, dall'attitudine alla valutazione diretta delle iniziative dei piccoli imprenditori e da una struttura organizzativa in grado di rispondere in tempi rapidi, e in forme non burocratiche, alle esigenze delle piccole imprese e delle famiglie.
Questo lavoro non è rimasto senza effetti, e la coerenza ha pagato in termini di reputazione - il nostro ruolo è stato apprezzato da tutti -, ma alcuni tradizionali punti di forza possono diventare fattori di debolezza. È nota, ad esempio, la tradizionale liquidità delle casse rurali e delle banche di credito cooperativo. Ebbene, in tempi come quello che stiamo vivendo, quando la raccolta costa sempre di più e gli impieghi crescono, talvolta, più della raccolta, si determina, di fatto, una carenza di liquidità.
Le BCC-CR continuano, ciò nonostante, a essere molto patrimonializzate. Come formichine, abbiamo messo fieno in cascina negli anni difficili: il nostro core tier 1 medio, del 14,1 per cento, è decisamente importante. Tuttavia, continuando a fare impieghi, anche il dato fondamentale del patrimonio comincia a diventare meritevole di particolare osservazione, anche in considerazione delle maggiori difficoltà a realizzare utili e dell'indisponibilità di forme alternative di capitalizzazione, dal momento che non possiamo andare sul mercato a raccogliere capitale di rischio.
Come loro sanno, il Testo unico bancario prevede che l'attività bancaria possa essere esercitata anche da società cooperative, nell'ambito delle quali si distinguono le banche popolari, che la Commissione ha ascoltato in audizione ieri, e le banche di credito cooperativo, le uniche a mutualità prevalente. Tale caratteristica si traduce in alcuni limiti societari e operativi: sotto il profilo del reclutamento della compagine sociale, i soci devono risiedere, avere sede o operare con carattere di continuità nel territorio di riferimento della singola banca di credito cooperativo, statutariamente identificato; la partecipazione


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al capitale sociale non può avere un valore nominale superiore a 50.000 euro; il voto è capitario; almeno il 50 per cento dell'attività di impiego deve essere rivolto ai soci; per quanto riguarda la competenza territoriale e l'operatività fuori zona, il 95 per cento dell'attività di finanziamento deve svilupparsi obbligatoriamente nel territorio di competenza; inoltre, almeno il 70 per cento degli utili di esercizio deve essere destinato a riserva legale. Questo spiega i livelli di patrimonializzazione che negli anni abbiamo saputo raggiungere.
Ci stiamo dando regole di governance particolarmente significative e originali nel panorama creditizio italiano. In tale ambito, un'iniziativa molto importante è rappresentata dal Fondo di garanzia istituzionale, costituito ai sensi delle previsioni in materia di schemi di garanzia istituzionale di cui alla direttiva 2006/48/CE. Lo Statuto del Fondo di garanzia istituzionale è stato approvato dalla Banca d'Italia nello scorso mese di dicembre. Il Fondo di garanzia suggella la capacità di autoregolamentazione del sistema e fornisce un'esclusiva forma di protezione alla clientela delle BCC-CR. Aderendo al fondo, le banche di credito cooperativo si sottoporranno a forme più incisive di controllo e di monitoraggio, ricevendo in cambio alcuni benefici, tra i quali la ponderazione zero dei rapporti con gli altri aderenti (in particolare, con gli istituti di secondo livello), e l'efficientamento dei controlli e della gestione della liquidità interna di sistema.
Il Fondo di garanzia istituzionale si sviluppa sulla base dell'esperienza del Fondo di garanzia degli obbligazionisti del credito cooperativo. Ammonta a circa 50 miliardi di euro il valore delle obbligazioni delle BCC-CR sottoscritte dai risparmiatori italiani. Tali obbligazioni sono garantite, appunto, dal predetto Fondo di garanzia, che abbiamo costituito nel 2005.
Nel 2011 abbiamo dato vita a un impegnativo lavoro di modifica dello statuto tipo. Tutte le 412 BCC-CR adottano, infatti, il medesimo statuto, che è stato modificato con l'obiettivo di favorire ulteriormente la partecipazione dei soci alla vita della cooperativa bancaria. Le principali innovazioni riguardano l'incompatibilità del ruolo di amministratore con incarichi politici e amministrativi pubblici, la previsioni di limiti alla misura dei fidi concedibili e statuizioni rigorose in ordine all'affidamento di appalti a parti correlate di amministratori e direttori, volte a definire un criterio cristallino di operatività per chi vuole fare l'amministratore di una BCC-CR sul territorio.
Devo ricordare, inoltre, che lo scorso anno abbiamo subìto pesanti interventi normativi di natura fiscale. La nostra doppia anima, di banche e di cooperative, ha fatto sì che ricevessimo un duplice colpo: è stato per noi un privilegio, per così dire, caratterizzarci rispetto alle altre banche e alle altre cooperative.
In particolare, all'aumento dell'IRAP, che ha riguardato tutte le banche, si è aggiunto l'incremento, per le cooperative - e, di conseguenza, non per le banche diverse da quelle a struttura cooperativa -, dell'imponibile ai fini IRES della quota di utili accantonati a riserva.
In questo contesto, che è difficile anche per noi, ribadiamo con forza la nostra essenza di banche locali, autonome e mutualistiche. Intendiamo continuare a essere, e siamo fiduciosi di poterlo fare, il punto di riferimento per PMI e famiglie. Per tali ragioni, oltre che per evidenti motivi di equità, chiediamo parità di condizioni nell'eventuale accesso a misure pubbliche volte a favorire la stabilità e la liquidità del sistema creditizio, ovvero a incentivi allo sviluppo dell'economia.
Terminata, spero in termini sufficientemente chiari, la rappresentazione dell'attuale realtà delle banche di credito operativo italiane, passo ad alcune considerazioni puntuali sui temi specifici oggetto dell'audizione odierna.
Il primo è conseguente alla rappresentazione che ho fin qui cercato di svolgere.
Noi riteniamo che un sistema finanziario avanzato, qual è e deve essere quello italiano, debba essere improntato a una logica pluralistica: l'operatività bancaria e


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finanziaria deve fondarsi sulla presenza di molteplici soggetti, aventi forme, caratteristiche e finalità diverse.
Non abbiamo la presunzione di affermare che siamo il modello di riferimento, quello più virtuoso. Riteniamo che non esista, in realtà, un modello di intermediazione bancaria che costituisca l'optimum in ogni circostanza. Al contrario, la coesistenza di differenti modelli di intermediazione bancaria svolge un ruolo fondamentale per la stabilità e l'efficienza del sistema finanziario ed economico. Le caratteristiche di frazionamento dell'operatività imprenditoriale italiana danno un ruolo ancor più particolare e significativo alla nostra presenza.
Ogni iniziativa di riforma della regolamentazione bancaria, a fortiori se precipuamente indirizzata a omogeneizzare le regole a livello internazionale, dovrebbe salvaguardare la diversità nel sistema bancario.
Il secondo tema è quello della proporzionalità. Per quanto concerne le BCC-CR, avendo già richiamato le principali caratteristiche che danno origine a un particolare modello di governance e di struttura proprietaria, mi basta ricordare che tali caratteristiche sono alla base del nostro peculiare modello di presenza e di business.
Il principio di proporzionalità, di estrema importanza per assicurare una corretta applicazione delle norme, è necessario, ma forse non sufficiente per garantire un'adeguata considerazione delle nostre specificità. In alcuni casi, la declinazione normativa del principio è oggettivamente difficile. In altri, il principio non è applicabile del tutto. Sono emblematici, da questo punto di vista, gli effetti prodotti dall'applicazione dei principi contabili internazionali. In sostanza, noi siamo piccole imprese bancarie, le quali hanno bisogno di un quadro normativo semplificato e di oneri burocratici non eccessivamente appesantiti.
Il terzo tema riguarda la definizione delle regole comuni. A nostro avviso, le peculiarità delle banche della categoria e della loro organizzazione non trovano adeguato riconoscimento. Una caratteristica peculiare e fondamentale della nostra operatività è l'organizzazione a rete. Le altre banche, comprese quelle di piccole dimensioni, non hanno un'esigenza di riconoscimento e di valorizzazione del ruolo delle strutture di categoria che sostengono la loro operatività sul territorio.
Taluni ambiti regolamentari risultano discriminanti per le BCC-CR, con potenziali effetti negativi sul loro modello di governance e di business.
Il principio di proporzionalità, sebbene non rappresenti sempre la soluzione adeguata, assume un'importanza fondamentale in un contesto normativo improntato alla massima armonizzazione. L'obiettivo di definire regole comuni non può essere interpretato in termini di «taglia unica per tutti» (one size fits all). La legislazione primaria deve sancire in modo esplicito che le disposizioni di attuazione emanande dalla Commissione, su proposta dell'EBA, garantiscano un'applicazione coerente con le dimensioni, le caratteristiche e la complessità operativa delle banche. Ad esempio, misure indirizzate a banche rilevanti da un punto di vista sistemico non possono essere estese tout court anche a tutte le altre banche. Questo è un aspetto della massima importanza per le banche commerciali di minori dimensioni, come le BCC-CR, per le quali i costi di conformità normativa hanno un'incidenza significativamente maggiore e non possono ridursi, a prescindere da tutte le nostre peculiarità e dalla nostra stessa missione.
Da ultimo, merita una considerazione l'esigenza di contestualità applicativa. Se lo scopo del nuovo framework di Basilea 3 è migliorare la resilienza delle banche e la stabilità dei mercati, esso può essere raggiunto soltanto assicurandone la contestuale applicazione in tutti i principali Paesi che partecipano al sistema finanziario globale.
Riteniamo necessario, pertanto, che gli organi legislativi comunitari contemplino l'opzione del rinvio della data di entrata in vigore di alcune delle disposizioni in caso di non contestuale applicazione da parte di altri ordinamenti; in caso contrario, si


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creerebbe un dislivello concorrenziale che non sarebbe equo, e che non riusciremmo a gestire.
Vi ringrazio per l'attenzione e, con il permesso del presidente, passerei la parola al direttore generale, Sergio Gatti.

PRESIDENTE. Prego, dottor Gatti.

SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Isoleremo ora, sia pure in maniera molto schematica e sintetica, alcuni punti che riteniamo di particolare interesse per la sopravvivenza di un modello culturale di fare banca nel nostro Paese e, soprattutto, di un modello culturale tipico del capitalismo di territorio che ci contraddistingue. I nostri rilievi sono impostati, naturalmente, sulla base di un contesto di riferimento mirato a salvaguardare una visione dell'economia che caratterizza ormai da centotrent'anni le nostre banche.
In particolare, abbiamo individuato alcune questioni puntuali in relazione alle quali abbiamo formulato alcuni emendamenti, che ci siamo permessi di lasciare agli atti. Per essere pragmatici e immediatamente operativi, abbiamo scritto gli emendamenti in lingua inglese, affiancandoli, in una tabella a due colonne, al testo degli articoli o dei commi delle proposte di regolamento e di direttiva che proponiamo di modificare.
Un concetto per noi fondamentale - in tal senso è la nostra costante invocazione - è che il regolatore internazionale possa mettere alla prova la propria capacità di discernimento.
La patrimonializzazione, come sapete, è uno dei passaggi fondamentali delle regole di Basilea 3: il patrimonio di vigilanza deve essere di buona qualità. Infatti, la prima battaglia culturale che abbiamo combattuto a livello europeo negli ultimi tre anni, insieme all'Associazione bancaria europea delle banche cooperative, è stata quella di far rientrare nel core tier 1 le azioni delle banche cooperative. In questo momento, abbiamo ottenuto lo scopo, come esposto più diffusamente nel paragrafo 4.1 del documento che abbiamo consegnato. Temiamo, però, che un intervento dell'EBA possa rimettere in discussione il punto di equilibrio raggiunto.
Sapete che le azioni delle banche cooperative sono geneticamente diverse da quelle delle banche aventi natura di società per azioni. L'intenso confronto, di natura culturale, che abbiamo intessuto con gli organi comunitari ha fatto sì che, in questo momento, le azioni delle banche cooperative, siano esse a mutualità prevalente, come le BCC-CR, ovvero a mutualità non prevalente, come le banche popolari, siano comprese nel patrimonio di qualità primaria.
Ora vorremmo che questo risultato, conquistato con non poca fatica, non fosse messo in discussione. Nel documento, a pagina 10, esprimiamo l'auspicio che non siano introdotti ulteriori requisiti dall'Autorità bancaria europea e che le azioni emesse dalle nostre banche continuino a essere computate nel core tier 1. Questo risultato non deve essere rimesso in discussione. Temiamo che si torni indietro, considerata la variabilità che ha caratterizzato ultimamente gli orientamenti dell'EBA. Si tratta di un punto fondamentale. Ricordo che abbiamo preparato, a tale riguardo, un apposito emendamento in lingua inglese.
Un altro aspetto fondamentale, oltre al patrimonio, è la liquidità. Sul punto specifico lascerei la parola al dottor Cornelli.

PRESIDENTE. Prego, dottor Cornelli.

FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. La gestione della liquidità nelle BCC-CR è un esempio straordinario di efficienza del modello di integrazione in rete. In piccolo, essa simula un sistema monetario (come quello europeo, ad esempio). Come funziona? Le nostre piccole banche effettuano raccolta e impieghi nel sistema e nel piccolo comune. Ognuna di esse, se ha avanzi di liquidità, li deposita presso l'Istituto centrale di categoria - ossia presso il Gruppo bancario Iccrea, il Gruppo cassa centrale banca o la Cassa centrale Raiffeisen dell'Alto Adige - che funge da bacino centrale.


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Le banche che hanno bisogno di liquidità attingono da tale bacino; quelle che dispongono di liquidità in eccesso, ve la fanno confluire. L'istituto centrale di categoria, quindi, garantisce il bilanciamento della liquidità all'interno della rete: è esattamente ciò che fa la BCE all'interno dell'Eurosistema.
Possiamo dire, quindi, che il Gruppo bancario Iccrea, o un altro Istituto centrale di categoria, è un banchiere centrale di banchieri. In più, esso svolge per le BCC-CR alcuni servizi (quali pagamenti, gestione degli assegni, bonifici internazionali). In tal modo, anche una piccola banca, che ha soltanto tre sportelli a Otranto, può offrire tutti i servizi bancari e soddisfare qualsiasi necessità, anche della clientela di tipo imprenditoriale.
Come rilevava il direttore Gatti, nella fase di elaborazione della regolamentazione di settore si pensa sempre alla banca di investimento o, comunque, alla società per azioni o al gruppo bancario, mentre non si considera in maniera adeguata il fenomeno dell'integrazione in rete di tante piccole banche.
Per quanto riguarda i requisiti in materia di liquidità, viene in considerazione, innanzitutto, il liquidity coverage ratio. La denominazione inglese non deve portarci fuori strada: si tratta di una vecchia regola italiana, inventata da Luca Pacioli nel 1400, secondo la quale, semplificando, se avrò una serie di uscite nei prossimi mesi, devo avere un po' di soldi in cassa, cioè devo essere liquido rispetto alle mie future esigenze.
Gli scenari di stress contemplati da Basilea 3 si basano su assunzioni estremamente distanti dalla realtà operativa delle BCC-CR. Tali assunzioni presuppongono che le banche prendano a prestito il denaro l'una dall'altra e che, di conseguenza, vi sia una chiusura degli scambi tra gli intermediari. Se questo è vero per le banche che sono tra loro concorrenti - immaginiamo che la banca x abbia depositato denaro presso la banca y -, non è ugualmente vero nel nostro mondo, dove la relazione tra l'Istituto centrale di categoria e le BCC-CR è molto più solida e completamente diversa.
La normativa, in questo caso, non tiene conto del nostro modo di operare in rete: la banca di credito cooperativo di Otranto deposita presso il Gruppo bancario Iccrea, perché quest'ultimo le fornisce anche tutta una serie di servizi che essa non acquisterebbe fuori.
Quando si effettuano gli stress, non si tiene adeguatamente conto del fatto che il nostro mondo è comunque, da centocinquant'anni, una rete che poggia anche su sistemi contrattuali. Avendo riguardo, ad esempio, ai sistemi di reti d'impresa, noi siamo il miglior esempio di sistema di rete d'impresa, e gestiamo proprio la liquidità di tutti.
Omettendo di dare il giusto risalto a tale caratteristica, la CRD IV produce uno svantaggio competitivo per le imprese che decidono di lavorare in rete rispetto a quelle che fanno parte di un gruppo bancario. Sono svantaggiate le piccole cooperative, che si devono unire, rispetto alle grandi Spa, che magari sono il risultato di fusioni.

IRIS PENNISI, Responsabile servizio rischi e controlli di Federcasse. Cercherò di approfondire alcuni punti critici evidenziati dal presidente Azzi nella relazione introduttiva.
Innanzitutto, facciamo un passo indietro e torniamo al tema della patrimonializzazione.
È stato già osservato come le azioni delle banche cooperative siano ricomprese nel capitale di qualità primaria, in quanto assimilabili, per stabilità, alle azioni emesse dalle società per azioni. Tuttavia, le nostre sono azioni non quotate sui mercati regolamentati. Ciò incide sulla capacità delle banche di credito cooperativo di procedere a incrementi della base patrimoniale in tempi rapidi.
Questo è uno dei motivi, ma non l'unico, per cui suscita grande preoccupazione la previsione del regolamento secondo la quale, in relazione agli strumenti di patrimonializzazione diversi dalle


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azioni, quali le passività subordinate (queste ultime sono la forma tipica di incremento del patrimonio, ulteriore rispetto all'appostazione di utili, cui può ricorrere una cooperativa), sono necessarie clausole che ne prevedano la cancellazione in via permanente oppure la conversione in azioni nel momento in cui l'emittente venga a trovarsi in una situazione di non continuità aziendale.
La norma trae origine dalle evidenze critiche emerse nella gestione delle crisi di grandi operatori internazionali, quali Lehman Brothers. Essa è stata giustamente sviluppata per rispondere a simili esigenze, ma è assolutamente sproporzionata ove si pretenda di applicarla indistintamente anche alle piccole banche locali, che, per produrre gli stessi effetti critici sul sistema finanziario, dovrebbero fallire tutte simultaneamente.
Fatta questa premessa di metodo, che riguarda il fondamento della previsione, il punto critico è che la norma rischia di inibire del tutto il ricorso, da parte delle BCC-CR, a strumenti di additional tier 1 e di tier 2, oppure, ove vi facciano ricorso, di incidere sulla struttura del loro modello organizzativo. Infatti, nel caso delle banche a mutualità prevalente, la conversione automatica in azioni è resa impossibile dai rigidi criteri per l'ammissibilità dei soci e anche dai limiti alla detenzione di strumenti di capitale, sia in numero, sia in valore. Inoltre, bisogna considerare che la nostra clientela di riferimento, presso la quale collochiamo i nostri strumenti di capitale e i nostri titoli di debito, è clientela retail. Si rischia, quindi, anche di determinare un contrasto con la disciplina MiFID relativa alla valutazione di adeguatezza e appropriatezza per la clientela retail.
Una previsione parimenti problematica, sia per il modo in cui incide sul nostro modello giuridico, sia perché non tiene conto, nella sua estensione alle BCC-CR, dei meccanismi di garanzia che già adesso la normativa italiana impone a queste ultime, deriva dalla misura macroprudenziale che richiede la costituzione di un cuscinetto di capitale aggiuntivo, accumulato nei periodi positivi, che può essere utilizzato nelle fasi di tensione economica.
Sotto questo profilo, occorre osservare che le nostre banche sono già soggette a un meccanismo di accumulazione del capitale, essendo tenute ad allocare a riserva legale il 70 per cento degli utili prodotti. Inoltre, il meccanismo della «porta aperta», che caratterizza la struttura del capitale delle BCC-CR, comporta, in un determinato periodo di riferimento, afflussi e deflussi dovuti all'uscita dal capitale e all'ingresso di nuovi soci. L'insorgenza di vincoli al rimborso delle azioni, a causa del mancato rispetto del cuscinetto di capitale, inciderebbe in modo improprio su tale caratterizzazione.
Ugualmente problematica è la predisposizione, da parte delle BCC-CR che non rispettano il requisito di buffer, di un piano di incremento del capitale da sottoporre all'approvazione dell'Autorità di vigilanza nazionale. Nel nostro caso, attesi i limiti strutturali alla capacità di porre in essere, nel breve periodo, operazioni di aumento del capitale, la risposta obbligata sarebbe una restrizione del credito, il che contrasterebbe non soltanto con la nostra vocazione, ma anche con il nostro DNA. Chiediamo, pertanto, che la direttiva, diversamente da quanto previsto, lasci ampi spazi di discrezionalità all'Autorità di vigilanza nazionale, la quale, nella valutazione del piano e dei tempi di attuazione dello stesso, dovrebbe ispirarsi al principio di proporzionalità e dovrebbe tenere conto delle specificità delle BCC-CR.
La seconda misura macroprudenziale è il cosiddetto countercyclical capital buffer, cioè la riserva di capitale anticiclica, finalizzata al contenimento dell'accumulo del rischio sistemico durante le fasi di eccessiva espansione economica. La misura funziona bene per le grandi banche operanti a livello transnazionale, le quali possono beneficiare di una possibilità di diversificazione, poiché il buffer è calcolato sulla media delle esposizioni detenute nei diversi Paesi. Invece, l'applicazione della misura rappresenterebbe il classico colpo di grazia per la banca a vocazione locale che si trovasse a operare in un'area caratterizzata


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da un'attività economica non in espansione ma in contrazione, in controtendenza rispetto all'andamento nazionale.
Anche in questo caso chiediamo, quindi, che le autorità nazionali abbiano la facoltà di limitare l'applicazione del countercyclical capital buffer a livello regionale, salvaguardando i contesti locali bisognosi di trattamenti differenziati. Fare diversamente significherebbe penalizzare, in tali contesti, non soltanto le banche, ma anche il tessuto imprenditoriale da esse servito.
Concludendo, è importante, per noi, mantenere la nostra capacità di sostegno alla clientela di riferimento, costituita dalle piccole e medie imprese.
Riassumendo le principali criticità, le nuove misure sono molto più restrittive per quanto riguarda la computabilità dei mezzi patrimoniali. Con le nuove regole, di fatto, il patrimonio di vigilanza sarà diminuito, non fosse altro che per la diversa considerazione delle partite da portare in deduzione. Peraltro, l'obbligo di mantenimento del capital conservation buffer comporterà un incremento di oltre il 31 per cento della complessiva dotazione patrimoniale, che si tradurrà in un significativo restringimento delle leve operative delle banche nelle operazioni di impiego alla clientela.
Poiché le piccole banche commerciali e la loro clientela di riferimento, cioè le piccole e medie imprese, hanno dimostrato, in questi anni, di meritare il beneficio di una ponderazione del rischio più mite, già ottenuto con il framework di Basilea 2, abbiamo fortemente appoggiato, unitamente alle altre associazioni di categoria, bancarie e imprenditoriali, la richiesta di introdurre un fattore correttivo, da applicare alle esposizioni nei confronti delle predette imprese ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali, in modo da ripristinare il precedente fattore di ponderazione del rischio.

SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Se posso aggiungere una notazione, avete già sentito da vari soggetti che è stata sottoposta alla Commissione europea la proposta di introdurre un fattore correttivo del 76,19 per cento, da applicare in luogo del 100 per cento, ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali, alle esposizioni nei confronti delle piccole e medie imprese.
Com'è noto, la Commissione europea ha incaricato l'EBA di un'analisi degli attuali fattori di ponderazione del rischio e della redazione, entro il 1o settembre 2012, di una relazione nella quale si valuti la possibilità di una loro mitigazione, a partire da uno scenario di riduzione di un terzo rispetto alla situazione attuale. Si tratta di fare in modo, adesso, che l'EBA faccia propria una simile misura, che va a vantaggio dell'economia reale non soltanto italiana, ma dell'intero continente. Il Commissario Barnier sembra ben disposto; tuttavia, bisogna attendere che l'EBA concluda i necessari approfondimenti tecnici, sperando che si tenga conto della realtà.
A pagina 16 del documento consegnato a codesta Commissione facciamo rilevare la nostra leadership anche nel finanziamento all'economia sociale, in particolare alle cooperative sociali, che sono una parte dell'economia reale, ma anche del welfare partecipato. Investiamo più del resto dell'industria bancaria nel comparto delle cosiddette istituzioni sociali private, anche sulla base degli straordinari risultati in termini di meritevolezza. Infatti, il terzo settore fa registrare, per quanto riguarda le BCC-CR, soltanto lo 0,8 per cento di sofferenze. Tale settore, apparentemente fragile, ha, in realtà, un'importanza crescente, a fronte di un arretramento dello Stato, della mano pubblica, rispetto ai temi del welfare.
Ebbene, riteniamo che il predetto fattore correttivo debba essere esteso anche alle ONLUS e, in particolare, alle cooperative sociali. Così facendo, daremmo una spinta al mantenimento dei livelli occupazionali (forse, anche al loro incremento) e ci porremmo sempre più nella condizione di far fronte ad alcune esigenze, come quelle derivanti dall'innalzamento della


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speranza di vita, attraverso strutture private con finalità sociali e radicamento territoriale.

FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. L'importanza dell'introduzione del coefficiente di correzione può essere colta attraverso un esempio che prende spunto dall'attualità.
Immaginiamo una banca che decida di approfittare dell'asta straordinaria della BCE, di cui siete a conoscenza. In tal modo, la banca in questione ottiene liquidità, e voi sapete che avere liquidità è, oggi, un risultato importante. Tuttavia, se il meccanismo di cui è stato detto non sarà corretto, com'è stato proposto anche da noi, potrà esserci il rischio che, pur avendo ottenuto liquidità, la banca non possa aumentare la quantità di credito da erogare, perché bloccata dall'assorbimento patrimoniale.
Se, un domani, dovessimo venire a sapere che le banche, pur avendo ricevuto i fondi, non si sono comportate come ci saremmo aspettati, cioè non hanno incrementato i finanziamenti, il motivo di tale comportamento sarà da individuare nel maggiore assorbimento patrimoniale da parte degli istituti di credito, assoggettati a iper-regolamentazione, sia per quanto attiene al conto economico, sia per quanto concerne lo stato patrimoniale (che viene in considerazione in questo caso), in un momento in cui acquisire patrimonio è estremamente complicato, come testimoniano gli aumenti di capitale lanciati da società italiane quotate.

PRESIDENTE. Dottor Cornelli, potrebbe chiarire il passaggio relativo al capital conservation buffer, che ho trovato piuttosto interessante?

FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. Considerando l'obbligo di mantenimento del capital conservation buffer, Basilea 3 imporrà una complessiva dotazione patrimoniale del 10,5 per cento.
Cosa succederà? Soprattutto la piccola impresa come noi, ma, in genere, le banche italiane e tedesche, avranno un assorbimento patrimoniale e, quindi, non potranno più erogare come prima. Se, ad esempio, la mia banca aveva il 10,5 per cento, poteva fare nuova erogazione, perché il requisito minimo era 8 e, quindi, aveva il 2,5 da mettere in gioco; invece, portando il requisito al 10,5 per cento, non potrà disporre più di quel 2,5.
La proposta italiana è di applicare una specie di sconto, da 76 a 51 - entro nel tecnico -, in modo tale che, se il risultato finale è 10,5, si lavora in modo che la piccola impresa abbia un assorbimento di capitale minore.
Penso che la proposta interessi a molti. In particolare, Italia e Germania potrebbero fare lobby per modificare il meccanismo di calcolo.
Spero di essere stato chiaro.

IRIS PENNISI, Responsabile del servizio rischi e controlli di Federcasse. Per quanto riguarda i giudizi delle agenzie di rating, la CRD IV invita esplicitamente a uscire dalla logica dell'eccessivo affidamento su di essi.
Non possiamo non condividere tale obiettivo, anche alla luce di ciò che sta avvenendo.
Mi riferisco, in particolare, a un emendamento, presentato alla proposta di regolamento, il cui testo è veramente inquietante. L'emendamento, contenuto nel progetto di relazione presentato dall'europarlamentare Karas, il 16 dicembre scorso, alla Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, propone che la Commissione europea presenti una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio recante proposte di opzioni per adeguare la ponderazione del rischio per i titoli di Stato - attualmente, dello zero per cento -, poiché la crisi del debito sovrano e la dichiarazione del 26 ottobre 2011 dei Capi di Stato o di Governo degli Stati membri la cui moneta è l'euro avrebbero dimostrato che essa non corrisponde più alla realtà economica. Una simile misura avrebbe conseguenze, non soltanto sull'industria bancaria, che non necessitano di essere commentate.


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Tornando ai rating, la direttiva non precisa quale debba essere l'alternativa all'affidamento ai giudizi esterni nell'ambito del metodo standardizzato, applicato dalle piccole banche. Il nostro auspicio è che queste soluzioni, queste diverse modalità di misurazione dei rischi, non generino oneri operativi impropri per le piccole banche, le quali non possono certo adottare metodologie sofisticate, assimilabili a quelle dei modelli IRBA e dei grandi istituti a dimensione nazionale.
Da ultimo, la CRD IV pone limiti molto stringenti alla possibilità di cumulo degli incarichi nell'ambito degli intermediari bancari. Se l'obiettivo è condivisibile, per noi dovrebbe essere stabilito a quali tipologie di incarichi si applica il predetto limite.
Non è tutto. Purtroppo, non hanno ricevuto considerazione le nostre peculiari modalità di governance. Il credito cooperativo è un sistema di aziende individualmente autonome, basato sul fatto che la governance delle strutture di primo livello, le banche di credito cooperativo, si riflette nella governance delle strutture di secondo livello. Ciò è fondamentale, perché consente di perseguire in modo coordinato e condiviso i medesimi obiettivi, soprattutto valoriali. Questa possibilità sarebbe compromessa se non fosse riconosciuta anche alle reti di banche cooperative, ai network, la stessa deroga concessa, per il cumulo delle cariche, nell'ambito dei gruppi bancari.
È molto importante che ci sia uno sforzo nel senso dell'estensione ai network - o almeno ai network che istituiscono strumenti di garanzia quale il nostro Fondo di garanzia istituzionale, i quali attuano, di fatto, una forma di condivisione dei rischi e di organizzazione del loro monitoraggio - delle stesse deroghe e facilitazioni riconosciute ai gruppi bancari. Mi riferisco, tra l'altro, alla possibilità di derogare alla regola generale dell'obbligo di deduzione delle partecipazioni in società finanziarie nell'ipotesi in cui tale partecipazione ricade all'interno del gruppo.

SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Prima di lasciare la parola al presidente Azzi, ritengo opportuno aggiungere a quanto già detto un'ulteriore considerazione.
Se il cumulo degli incarichi è ammesso nei gruppi gerarchicamente organizzati, cioè quelli verticali, tradizionalmente più noti, questo meccanismo rischia di non essere più applicato in un network di tipo orizzontale che cerca di riprodurre nella governance della rete lo stesso modello di democrazia economica applicato a livello della singola banca, secondo il quale i soci scelgono gli amministratori all'interno della compagine sociale.
Per essere amministratori della nostra federazione regionale, o di una banca di secondo livello - compito che, come abbiamo visto, è particolarmente delicato - occorre essere, in questo momento, anche amministratori di una banca locale. Ciò fa sì che il governo di queste strutture sempre più complesse da parte dei soci, e dei loro rappresentanti, sia costante e non sia affidato a un management operativo esterno e, in qualche modo, sofisticato.
Se il predetto cumulo è ammesso nei network verticali, deve essere ammesso anche in quelli di tipo orizzontale, perché rappresenta una garanzia ulteriore di democrazia economica.

ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Prima di passare ad alcune conclusioni rapide, è necessario segnalare a una questione di estremo interesse, attesi i rischi che ne derivano per le banche italiane e per lo stesso Stato. Essa nasce, nell'attualità recentissima (per questo motivo non vi è alcun accenno in proposito nel documento consegnato alla Commissione), da una riflessione di origine anglosassone - tanto per cambiare - relativa alla regola della ponderazione zero per i titoli di Stato.
In base alle regole vigenti, a un investimento in titoli di Stato (ad esempio, in BTP) è associata una ponderazione del rischio pari a zero, che non genera assorbimenti di capitale. Ciò facilita sia la gestione di tesoreria delle banche sia le


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emissioni del debito pubblico, poiché lo Stato può contare su acquirenti importanti come le banche.
Nel caso in cui la suddetta regola fosse modificata, ad esempio legando la ponderazione del rischio al rating, i banchieri sarebbero indotti a investire soltanto nei titoli degli Stati con rating AAA (è il caso, tra gli altri, dei Bund tedeschi), abbandonando gli investimenti in titoli nazionali, al fine di evitare ponderazioni tecniche comportanti accantonamenti di capitale.
Occorre evitare, quindi, ogni modifica della vigente regola di ponderazione del rischio per i titoli di Stato, sia per evitare che si accresca il potere delle agenzie di rating, sia per prevenire situazioni di stress nelle aste dei titoli di debito sovrani.
Passando alle conclusioni, la nostra relazione rafforza la constatazione, penso generalizzata, che l'origine della crisi si colloca al di fuori del modello tradizionale di banca commerciale e locale, il quale ha avuto, e ha tuttora, un ruolo chiave nella crescita del tessuto economico europeo e, in particolare, italiano.
Tutto ciò conferma il senso della nostra presenza e il ruolo di alcune migliaia di cooperatori non professionisti, prezioso supporto alla gestione delle finanze locali e alla crescita, anche sotto i profili della coesione sociale, dell'impegno e della partecipazione.
Affinché tale sostegno possa proseguire appare necessario, tuttavia, confermare e consolidare alcuni presupposti. La crisi comincia a lasciare tracce visibili nei bilanci delle banche di credito cooperativo, pur tradizionalmente solide. Nel biennio 2009-2010 i margini reddituali si sono ridotti significativamente, la pulizia del credito - problematico, proprio perché abbiamo sostenuto con coerenza l'economia locale - ha inciso sui conti economici e il risultato di gestione e l'utile netto hanno registrato una significativa contrazione (probabilmente, lo stesso avverrà per il terzo anno consecutivo).
Non abbiamo la possibilità di procedere ad aumenti di capitale sociale nel breve termine, perché non possiamo quotarci, né possiamo alterare il senso della nostra presenza o la logica del modello cooperativo, secondo la quale la partecipazione in una BCC-CR risponde a finalità mutualistiche di servizio, non di investimento di capitale.
In circostanze sfavorevoli, la riduzione della leva finanziaria, determinata dalle nuove e più restrittive misure sul capitale, potrebbe produrre una contrazione, anche significativa, della capacità di finanziamento e sostegno dell'economia di una categoria di banche che ha garantito il ricorso al credito, in misura sicuramente determinante, anche nel periodo più avverso della crisi.
Senza indulgere alla retorica, chiediamo che regole pensate da una tecnocrazia sempre più lontana dai territori non strozzino la possibilità di ripresa del nostro Paese e la presenza di banche locali a partecipazione democratica. Noi proseguiremo nel nostro sforzo verso un'autoregolamentazione responsabile e propositiva, confidando che esso sia accompagnato da un'adeguata considerazione delle nostre specificità, da parte di chi emana le regole e di chi ne controlla l'applicazione.
Crediamo che l'idolatria del breve termine abbia creato fin troppi guai alla finanza, all'economia internazionale e, quindi, al nostro Paese. Siamo orgogliosi di essere banche che, a prescindere dalle dimensioni, sono state costituite, in molti casi, alla fine dell'Ottocento e adottano una proiezione di lungo termine, a servizio delle comunità e delle persone che le compongono.
Grazie per l'attenzione.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

COSIMO VENTUCCI. Presidente Azzi, mi sarebbe piaciuto vedere la reazione dei colleghi della Lega quando lei ha paventato che una tecnocrazia sempre più lontana dai territori finisca con lo strozzare le possibilità di ripresa del nostro Paese.
La disciplina vigente, con riferimento al reclutamento della compagine sociale, alla partecipazione al capitale sociale, al diritto


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di voto, ai vincoli all'operatività con i soci, ai limiti alla competenza territoriale e all'operatività fuori zona vi contraddistinguono come banche localistiche e costituiscono, nel contempo, anche una forma di tutela rispetto a scenari di possibile dissesto. Leggendo velocemente il documento consegnato, sono questi i dati essenziali che se ne ricavano per quanto riguarda gli aspetti societari e operativi.
Su un piano più generale, mi domando come la vostra competenza territoriale possa essere scissa da quello che sta succedendo nel mondo intero, come le vostre istanze possano essere coordinate con un contesto così ampio come quello dell'Unione europea, composta da 530 milioni di abitanti.
Fondamentalmente, il messaggio che lei ha lanciato, presidente, è il seguente: lasciateci continuare a svolgere il compito cui ci dedicavamo già nel 1800, prendendo atto delle nostre caratteristiche, e non ci mettete nella stessa condizione in cui si trovano, a causa del Patto di stabilità interno, alcuni comuni, i quali, pur avendo denaro in cassa, non possono impiegarlo in maniera produttiva.
Le chiedo se, rispetto a ciò che sta avvenendo, sia realistico immaginare una possibilità di «sganciamento». È in atto, infatti, un processo di progressivo assoggettamento a un diritto di matrice anglosassone, estraneo alla nostra cultura e appartenente a un corpo sociale presso il quale lo stesso concetto di libertà è inteso in maniera molto diversa. La nostra società è fortemente ancorata a basi solidaristiche, sulle quali poggia, nel settore del credito, l'attività di cooperazione a carattere mutualistico cui si dedicano le BCC-CR.
Vorrei sapere, quindi, se siano praticabili percorsi alternativi e se, in particolare, il Parlamento possa fare qualcosa per attenuare i pericoli da voi segnalati. Peraltro, mi sembra che il documento da voi consegnato contenga un cahier de doléances simile a quello illustratoci ieri dall'Associazione nazionale fra le banche popolari.

MARCO CAUSI. Presidente Azzi, nel ringraziare lei e tutti i suoi collaboratori per la relazione, che considero esaustiva e molto convincente, desidero dire, innanzitutto, che accogliamo con grandissima simpatia e attenzione le considerazioni da voi svolte. Aggiungo che faremo di tutto, sia in sede nazionale, sia nell'ambito dei rapporti con l'Europarlamento e con i parlamentari europei eletti in Italia, affinché le vostre istanze possano trovare accoglimento all'interno del procedimento finalizzato alla definizione, tra l'altro, di una nuova disciplina in materia di requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento.
La vostra illustrazione è stata così completa da stimolare alcune domande.
In primo luogo, avete perfettamente ragione nel sostenere che la crisi è stata originata da un'attività finanziaria totalmente diversa da quella storicamente e tradizionalmente svolta dalle BCC-CR. Tuttavia, proprio perché si occupa di un finanza «diversa», il credito cooperativo è molto più legato al ciclo economico. Ad esempio, qual è, sul vostro versante, l'andamento delle sofferenze? I dati aggregati mostrano che, negli ultimi due anni, esse sono aumentate. Si tratta, quindi, di un elemento di difficoltà che sembra connesso non tanto al tipo di attività finanziaria svolta, quanto al legame tra sistema bancario nel suo complesso e ciclo economico.
La seconda domanda è dettata, più che altro, dalla mia ignoranza. Per quanto ne so, le cooperative dispongono di strumenti di capitalizzazione diversi dai conferimenti dei soci. Le BCC-CR non possono farvi ricorso per non perdere la caratteristica di mutualità prevalente? Inoltre, quali strade si potrebbero praticare, in futuro, per consentire al sistema delle BCC-CR di avvalersi di strumenti di capitalizzazione analoghi a quelli che già esistono nel mondo delle cooperative? Da questo punto di vista, è molto interessante - e potrebbe suscitare un'apposita riflessione, da non sviluppare necessariamente oggi - il ragionamento sviluppato a proposito del fatto che, pur essendo rete, e


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non gruppo, ambireste ad applicare alcune regole proprie dei gruppi anche alla vostra organizzazione. In effetti, è vero che, quando il dirigente di un gruppo entra nel consiglio d'amministrazione di una controllata, non riceve alcuna remunerazione aggiuntiva, perché si tratta pur sempre di incarichi da svolgere all'interno del gruppo.
Come applicare a un sistema basato sull'integrazione in rete talune delle regole di governance dei gruppi di società? Il tema è molto interessante, anche perché sembra che lo sviluppo delle attività di rete sia fondamentale per assicurare la competitività delle BCC-CR. Bisogna capire, quindi, come coniugare la vostra tradizione di ancoraggio locale con lo sviluppo di una rete che, in fondo - forse, non dovremmo avere paura di affermarlo con chiarezza - presenta caratteristiche proprie dei gruppi.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Anch'io ringrazio per la bella esposizione l'avvocato Azzi e tutto il gruppo dei rappresentanti di Federcasse.
Più che porre una domanda, vorrei semplicemente ribadire un concetto che è già stato espresso dai colleghi in merito all'influsso positivo che le banche di credito cooperativo hanno esercitato sul territorio. Da operatore del diritto sul territorio - mi occupo di consulenza fiscale -, ho avuto modo di constatare personalmente, in modo particolare al Nord, ma il discorso si ripropone nei medesimi termini a livello nazionale, come il concetto di banca territoriale, nel vero senso della parola, costituisca l'essenza della filosofia cui si ispira l'operato del credito cooperativo.
Ieri, peraltro, in occasione dell'audizione dei rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le banche popolari, il presidente Fratta Pasini ha svolto considerazioni che, per molti aspetti, echeggiano la medesima filosofia, anche se le problematiche dei due settori sono parzialmente diverse.
Mi ero preoccupato per l'assenza di riferimenti alle società di rating, che, alla fine, avete chiamato in causa. A tale proposito, il collega Ventucci mi ha mostrato una notizia di agenzia che riferisce di un accesso della Guardia di finanza presso gli uffici milanesi di Standard & Poor's, per compiere accertamenti su delega della procura della Repubblica di Trani.
Al di là della precedente notazione, destano preoccupazione anche negli operatori che seguono professionalmente le piccole e medie imprese - i quali hanno avuto modo di verificare in maniera diretta, sul territorio, la correttezza, la serietà, la razionalità e l'impegno che connotano il vostro operato, mai strumentale o speculativo - l'evoluzione della situazione economica nazionale ed europea, nonché i pesantissimi vincoli imposti al sistema bancario, che rischiano di mettere in difficoltà, in particolare, le banche cooperative. Quali sono, in tale contesto, le prospettive?
Come sottolineava il collega Causi, faremo ogni sforzo affinché, anche tramite i parlamentari europei, si tenga conto delle peculiarità del credito cooperativo, perché le proiezioni suscitano una sensazione di forte disagio. Se è necessario pensare a un assetto più razionale, in un contesto di decrescita sostenibile - nel mondo, in particolare in Europa, certe abitudini ed esigenze sono cresciute anche troppo negli ultimi tempi -, a maggior ragione servono banche che abbiano un'impostazione come la vostra.
Più che porre domande, ripeto, ho preferito esprimere solidarietà e condivisione a chi svolge, a livello economico e sociale, un ruolo importante. Credo, quindi, che si debba insistere nel senso indicato dal collega Causi, benché nutra qualche preoccupazione sulle prospettive dei prossimi anni.

PRESIDENTE. Caro Fogliardi, può darsi che, prima o poi, la procura di Trani notifichi un invito a presentarsi al Presidente Obama. Ormai, ne abbiamo viste di tutti i colori!


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SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Poiché i miei colleghi hanno già trattato il cuore del problema, porrò una sola, semplice domanda.
Vorrei sapere di più circa la Banca del Mezzogiorno, idea lanciata molti anni fa e che oggi sembra appartenere all'archeologia bancaria. Lasciando perdere le battute di spirito, per quanto ne sappiamo - e vorremmo delucidazioni al riguardo - Poste Italiane ha comprato il Mediocredito centrale, che dovrebbe essere l'asse fondamentale della predetta Banca, nella quale anche voi dovreste essere protagonisti, anche se non si capisce dove, quando e in quale modo.
Poiché, peraltro, ce ne occuperemo a partire da domani, potrebbe esserci una separazione di BancoPosta da Poste Italiane, questo riaprirebbe tutta la partita, perché, a quel punto, BancoPosta diventerebbe una vera e propria banca.
Non è questo il momento per discuterne, ma posso anticipare che nutro molte perplessità al riguardo, perché, se Poste Italiane perde il braccio operativo, non si capisce come potrà svolgere un servizio universale.
Posso sottoporre al vostro giudizio, invece, l'evoluzione della vicenda. Premesso che mi è sempre sembrata più uno spot che un'iniziativa seria, al punto in cui siamo, dal momento che Poste Italiane ha effettuato l'acquisto di Mediocredito centrale, vorrei sapere quali siano il vostro ruolo e il vostro rapporto con Poste Italiane. Pur mantenendo le mie perplessità, la Banca del Mezzogiorno potrebbe rafforzare la vostra funzione nei territori interessati.

RENZO CARELLA. A proposito dell'iniziativa della procura della Repubblica di Trani, osservo, brevemente, che un intervento della procura di Milano, dove ha sede la borsa, o di quella di Roma, dove hanno sede gli organi dello Stato che emettono i titoli del debito sovrano, sarebbe stato molto più convincente di quello che può apparire come un tentativo di ricerca di notorietà da parte di una piccola procura.
Naturalmente, esprimo la mia simpatia nei confronti delle banche di credito cooperativo e delle banche popolari, perché, svolgendo la propria attività nel territorio di competenza, hanno conoscenza dell'imprenditoria locale e, di conseguenza, sono in grado di sostenerla anche in un momento difficile come quello che stiamo attraversando.
Il collega Causi osservava che una banca cooperativa ha difficoltà a trovare nuovi capitali, se non attraverso la sottoscrizione delle azioni da parte dei soci. Premesso che condivido le considerazioni già svolte, si nota spesso, anche quando una banca di credito cooperativo si espande in una nuova piazza, una certa resistenza all'acquisizione di nuovi soci, che non favorisce la diffusione delle BCC-CR (potrei portare alcuni esempi, soprattutto riferiti al Lazio, ma non è necessario scendere nei dettagli). Ciò avviene per non turbare gli equilibri esistenti, a livello di città e di gruppi fondatori? L'eliminazione di queste resistenze non potrebbe essere, invece, un modo per ricapitalizzare le banche medesime?

ALESSANDRO PAGANO. Presidente Azzi, stiamo notando con piacere che, pur essendo diversa l'appartenenza politica, c'è una visione comune, segno di un grande riconoscimento dell'attività che svolgete anche a livello sociale.
Partendo dal presupposto che c'è la volontà di difendere l'interesse dell'Italia - perché, difendendo voi, difendiamo l'Italia -, desidero sottolineare che l'audizione dell'EBA non è stata un'esperienza esaltante: è stata inquietante, in particolare, la mancanza di disponibilità a un ragionamento complessivo. Ebbene, quanto è successo ci ha fatto comprendere che soltanto un Governo autorevole può lavorare per modificare una situazione di assoluta dipendenza di taluni organi comunitari da qualcuno che, evidentemente, non è in Italia. Per un verso, siamo avvantaggiati dalle recenti dichiarazioni del presidente della BCE e dal contesto complessivo.
Dopo la brillante relazione che abbiamo ascoltato, non mi sembra che ci


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siano da porre ulteriori domande di tipo tecnico. Avrei bisogno, invece, di comprendere - lo dico con assoluta umiltà - quali strategie si possano mettere in campo rispetto a un'esigenza vera. Posto che il Governo deve certamente essere coinvolto, ho sentito accennare ad alleanze con banche straniere. Sarebbe interessante, quindi, sapere da voi, nei limiti del possibile, quali strategie potrebbero essere utili per il raggiungimento dell'obiettivo evidenziato nella relazione, che sta a cuore, ovviamente, a tutto il Paese.

PRESIDENTE. Non so quanto possa essere utile stringere alleanze con le Landesbanken tedesche.
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Ringrazio tutti i deputati intervenuti. Mi confortano la solidarietà e la simpatia che essi hanno voluto esprimere per il percorso che stiamo sviluppando e per gli impegni che ne conseguiranno.
Dare risposta alle domande che sono state poste significa, a mio avviso, non soltanto dare ad esse un riscontro puntuale, ma anche esporre la nostra visione attuale e le prospettive riguardanti la presenza e la crescita sia delle singole BCC-CR, sia dell'intero sistema del credito cooperativo.
Come ho accennato nell'intervento introduttivo, uno degli aspetti caratterizzanti delle BCC-CR, sia rispetto ad altre piccole banche organizzate in forma di società di capitali, sia rispetto alle banche popolari, è da individuare nel ruolo delle strutture di servizio, le quali consentono ai 4.400 sportelli esistenti sul territorio di reggere la concorrenza di filiali e agenzie delle altre banche, segnatamente di quelle che dei grandi volumi e delle economie di scala fanno un punto di forza.
È evidente che la singola banca di credito cooperativo non è, da sola, in condizione di mettere in campo risorse pari a quelle su cui possono contare i grandi gruppi. È evidente, altresì, che non avremmo potuto praticare la soluzione dell'accorpamento, perché, in tal modo, avremmo perduto il nostro legame con il territorio e, con esso, il nostro coinvolgimento e il primato della persona.
Il percorso complesso che abbiamo scelto di sviluppare in Italia è stato quello di mantenere le banche locali e, nello stesso tempo, di rafforzare la rete a loro servizio. In ciò siamo stati confortati dalle analoghe esperienze compiute con successo in altri Stati europei. Esistono esempi importanti di cooperazione nel settore del credito in Francia (Crédit Agricole, Crédit Mutuel e le banche popolari), in Germania (Volksbank e Raiffeisen) e in Olanda (Rabobank).
Insomma, le banche cooperative sono presenti anche nei territori di Stati economicamente molto avanzati, caratterizzati dalla presenza di banche capitalistiche molto importanti, dinamiche e competitive. Ciò conforta la nostra visione, secondo la quale anche nel settore del credito è utile, oltre che possibile, attuare un pluralismo basato su modelli organizzativi diversi. Il grande gruppo bancario può esercitare un forte richiamo sotto il profilo della standardizzazione dei prodotti e della conseguente economicità dell'offerta, ma non riuscirà mai ad avere l'appeal di una banca il cui radicamento nel territorio si traduce in una speciale capacità di relazione, di dialogo e di coinvolgimento delle persone, che è capace di produrre effetti sul piano strettamente economico e che, inoltre, consente di praticare forme di responsabilizzazione sociale e di partecipazione democratica alla vita economica, mediante le quali le comunità hanno la possibilità di gestire le risorse del territorio. Questo è un fattore di crescita, da tutti i punti di vista.
Uno degli slogan delle nostre campagne di comunicazione che più mi è piaciuto era, più o meno, del seguente tenore: «Quando vai a ritirare i tuoi soldi in banca, chiedi dove sono stati, a cosa sono serviti, quale percorso hanno seguito». La banca di territorio raccoglie le risorse dei piccoli risparmiatori sul territorio e li reinveste nello stesso luogo, perché questo è previsto dalla normativa vigente: è nel


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nostro DNA, ed è il senso dalla nostra esistenza. Quasi inevitabilmente, contribuiamo, quindi, alla crescita dell'economia del territorio, perché non abbiamo, e non vogliamo avere, alternative. Il nostro modello è antico e moderno nello stesso tempo. Esso trae origine, alla fine dell'Ottocento, da istanze localistiche e da motivazioni etiche di ispirazione cattolica, negli anni in cui l'enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII diveniva il manifesto del movimento cattolico sociale. A tale proposito, mi piace ricordare che la lettera enciclica Caritas in veritate, di Papa Benedetto XVI, fa espresso riferimento alle molte esperienze nel campo della cooperazione di credito, laddove ribadisce la necessità che tutta l'economia e tutta la finanza siano utilizzate in modo etico.
Come ho già detto, nella nostra presenza si esprime la partecipazione popolare alla gestione delle risorse finanziarie dei territori.
Non chiediamo trattamenti di favore, né sconti rispetto alle altre banche. Chiediamo, però, che si abbia consapevolezza delle peculiarità delle BCC-CR. L'obiettivo di definire «regole comuni» (cosiddetto single rulebook) non può essere interpretato in termini di «taglia unica per tutti» (one size fits all). Non è possibile che standard tecnici sviluppati dalla tecnocrazia guardando al modello della banca capitalistica di grandi dimensioni, magari vocata alla finanza speculativa, debbano essere calate su tutti i soggetti operanti nel settore del credito, prescindendo dalle dimensioni di questi ultimi, dalla partecipazione della gente e dalla missione perseguita.
Come accennavo, la coerenza paga in termini di reputazione, ma ha un costo. Coerentemente con la nostra missione, noi sosteniamo l'economia reale ma, se questa ha difficoltà, inevitabilmente la qualità del credito peggiora, senza che ci sia data la possibilità di ricorrere a soluzioni alternative. Non potendo compensare gli accantonamenti o le perdite su crediti con altre forme di ricavi, i nostri conti economici ne risentono. È vero che, avendo accumulato patrimonio negli anni, possiamo permetterci di affrontare una brutta stagione anche di lunga durata, ma non so fino a quando.
La percentuale di crescita delle sofferenze del credito cooperativo, anno su anno, è stata del 24 per cento, inferiore alla media di sistema, ma comunque di rilievo se confrontata con l'incremento degli impieghi, cioè dei prestiti, che è stato all'incirca del 5 per cento, e con quello della raccolta, che ha superato di poco lo zero per cento. La nostra politica potrebbe sembrare dissennata. In realtà, se presto più di quello che raccolgo e ho più perdite di quanto incremento gli impieghi, non devo essere necessariamente considerato matto, perché so di svolgere un certo ruolo per un dato periodo, da misurare in anni, non in mesi. Tuttavia, com'è evidente, tale comportamento non potrà durare oltre determinati limiti: potremo stare in apnea per un certo tempo, ma prima o poi dovremo tornare in superficie per respirare.
Qual è il nostro percorso strategico? Enfatizzando un po', noi siamo un movimento di banche locali che sta divenendo sempre di più sistema, ma non vogliamo rinunciare a essere movimento. Poiché questi concetti, e le parole che li esprimono, non sono usati dagli altri banchieri, devo spiegarne il significato, che si può desumere, peraltro, da quanto ho già detto in precedenza. La parola «movimento» designa il fenomeno, la cui storia parte dall'Ottocento e si proietta negli anni Duemila, per il quale le comunità esprimono la loro banca, che diventa sistema integrato grazie ad alcuni strumenti e strutture. Non mi riferisco soltanto a quelli tradizionali di supporto, come ICCREA, ma anche al Fondo di garanzia istituzionale, che è sostanzialmente un istituto di garanzie reciproche circolari tra BCC-CR e banche di secondo livello, il quale offre vantaggi in termini di controllo sul rischio della singola BCC-CR. Noi garantiamo ai risparmiatori la presenza anche della più piccola banca di credito cooperativo, che è sì autonoma e, quindi, potenzialmente a rischio, ma, nello stesso tempo, inserita in una rete di solidarietà. Aderendo al


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Fondo, le banche della categoria ricevono una serie di benefici, tra i quali, oltre a quelli derivanti dalla gestione della liquidità di sistema, la ponderazione zero dei rapporti con le altre aderenti, successivamente all'ottenimento della specifica autorizzazione dell'Autorità di vigilanza.
Il problema dell'assorbimento patrimoniale è fondamentale anche per noi. I margini, proprio per quel lungo percorso di difficoltà di cui abbiamo detto, stanno cominciando a diventare oggetto di attenzione anche da parte nostra.
Noi siamo banche cooperative, ma riteniamo di dover sviluppare alleanze con le banche popolari, perché non vogliamo arroccarci, con la presunzione di essere gli unici soggetti virtuosi. Per la prima volta, dopo una storia ultracentenaria, abbiamo sottoscritto un patto di consultazione, sapendo che ci sono fattori comuni, come il voto capitario, ma anche elementi di diversità, non soltanto sotto il profilo dimensionale (le banche popolari sono tendenzialmente più grandi); infatti, le BCC-CR sono cooperative a mutualità prevalente, almeno il 50 per cento degli impieghi deve essere rivolto ai soci, la partecipazione al capitale è limitata e il 95 per cento dell'attività di finanziamento deve svilupparsi in ambiti territoriali delimitati statutariamente.
Ci differenziamo, quindi, rispetto alle banche popolari, ma riteniamo utile, oltre che giusto, allearci con loro, perché alcuni fattori comuni ci caratterizzano rispetto alle banche Spa, con le quali, tuttavia, pure dialoghiamo: in quanto aderenti all'ABI, facciamo la nostra parte anche all'interno dell'Associazione.
Siamo banche un po' noiose, perché non realizziamo grandi operazioni e, di conseguenza, non attiriamo l'attenzione della stampa. Talvolta siamo tirati in ballo, a proposito o a sproposito, in relazione a iniziative che ci interessano fino a un certo punto e che viviamo, se le pratichiamo, secondo una logica di servizio.
Arrivo, così, alla domanda riguardante la Banca del Mezzogiorno. Quando il Ministro dell'economia e delle finanze dell'epoca mi chiese se fossimo disponibili a impegnarci in un'operazione di quel tipo, gli risposi che saremmo stati disponibili, a patto che non fossero alterate le nostre logiche, le nostre caratteristiche e le nostre capacità: siamo consapevoli dei nostri limiti, ma orgogliosi delle nostre specificità.
Se quell'iniziativa si fosse potuta tradurre in un ulteriore forma di supporto alle banche locali del Mezzogiorno, che sono isole di virtù e di capacità industriale, operanti in ambienti dove è più difficile fare banca rispetto al Nord - credo che si colga il mio accento bresciano -, saremmo stati disponibili a partecipare, e l'avremmo fatto anche volentieri.
Non credevamo, invece, che potesse nascere, ed essere calata dall'alto, una struttura di credito industriale in zone dove le banche sono presenti, e fanno quello che possono in contesti sicuramente più difficili. In altre parole, se la nostra partecipazione avesse avuto il significato di uno scouting, di un accompagnamento, di un migliore utilizzo delle provvidenze nazionali e comunitarie, di un'ulteriore diffusione e coinvolgimento del credito cooperativo nel Meridione, avremmo contribuito con entusiasmo a tale progetto.
La comparsa sulla scena del Mediocredito centrale Spa ha introdotto nella vicenda un elemento interessante, ma in parte deviante rispetto all'obiettivo. A quel punto, abbiamo cominciato a manifestare alcune riserve sul modello che si andava realizzando: pur avendo una sua logica, esso era estraneo alle nostre sensibilità. In seguito, la palla è passata nelle mani di Poste Italiane Spa, che ha acquisito l'intera proprietà di Mediocredito centrale Spa. Noi abbiamo continuato a dichiarare la nostra disponibilità, con un ruolo non più di primo piano e rispettando le nostre logiche.
Abbiamo anche coinvolto le banche popolari, insieme alle quali avremmo messo a disposizione del progetto, che avrebbe avuto un altro protagonista principale, i nostri sportelli nel Mezzogiorno. Tale disponibilità è sta confermata sia da parte nostra sia dalle banche popolari. Ora aspettiamo di sapere se Poste Italiane Spa sia ancora interessata.


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La settimana scorsa si è tenuta l'ultima riunione del Comitato promotore della Banca del Mezzogiorno, che era stato istituito mediante un provvedimento del Presidente del Consiglio. Il Comitato ha concluso i lavori, inviando al Presidente del Consiglio in carica una relazione sull'attività svolta. Era presente l'amministratore delegato di Poste Italiane Spa, al quale abbiamo riconfermato la nostra disponibilità. È probabile che ci incontreremo, per verificare se i nostri sportelli possano essere ancora utili. Noi riteniamo che possano esserlo, ma credo che l'amministratore delegato di Poste Italiane si stia muovendo in altra direzione.
Mi sarà sicuramente sfuggito qualcosa, e me ne rammarico.

PRESIDENTE. Le è sfuggito l'argomento, forse un po' più spinoso, cui ha fatto riferimento Carella.

ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Si riferisce alla questione relativa all'ingresso di nuovi soci?
Il dottor Gatti conosce molto bene i dati più aggiornati.

PRESIDENTE. Prego, dottor Gatti.

SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Dal 2005 a oggi la compagine sociale è cresciuta del 70 per cento: nel 2005, i soci erano 775.000; oggi sono 1.200.000. Il principio della «porta aperta» riceve, quindi, generale applicazione. È possibile che le politiche seguite a livello di singolo soggetto determinino uno scostamento rispetto alla percentuale indicata - perché ciascun consiglio d'amministrazione è sovrano e risponde di fronte alla Banca d'Italia della sana e prudente gestione anche delle politiche di accesso -, ma la media nazionale conforta la previsione secondo la quale, nel volgere di meno di un decennio, si giungerà al raddoppio della base sociale.
Il dato riferito trova riscontro nella partecipazione alle assemblee, alle quali interviene, in media, il 30 per cento dei soci. Questo è un altro segno di quanto sia chiara, alle famiglie e agli imprenditori, l'importanza di tenersi strette le banche locali e di incidere sulla loro governance.
Probabilmente, in alcune realtà del Lazio può esserci la situazione descritta dall'onorevole Carella. Possiamo approfondire questo aspetto, ma il dato nazionale è di grande conforto e, soprattutto, conferma la nostra modernità.
Se posso, vorrei aggiungere qualche altra considerazione a quelle già svolte dal presidente.
Intanto, desidero rivolgere anch'io un ringraziamento, non di circostanza, per la simpatia e l'apprezzamento che ci sono stati manifestati, di cui siamo orgogliosi. Lo meritano soprattutto coloro che operano nei territori.
Cosa può fare la politica? Noi riteniamo che la politica, e soprattutto i Parlamenti - non lo sottolineo perché siamo in una sede parlamentare -, nei quali siedono i rappresentanti di quegli stessi territori di cui noi siamo l'espressione economico-finanziaria, possano fare molto.
In particolare, abbiamo avvertito molto la mancanza della politica con la «P» maiuscola nelle sedi europee. Quando l'EBA formula le proprie proposte, spetta all'organo politico tradurle in norme. In tal senso, la politica può fare la differenza, se è in grado di discernere una situazione da un'altra, sotto i profili della proporzionalità e dell'opportunità. Si pongono, infatti, un problema di proporzionalità, che è dichiarata, ma non applicata, e uno di opportunità, che nemmeno è dichiarata. Scendendo nel concreto, non ci sembra opportuno applicare determinate misure anche a banche il cui rischio «sistemico» è relativo, al più, alla metà di una provincia o è addirittura inesistente: è un'assurdità, una forzatura. Analogo discorso va fatto in termini di gradualità.
I principi di proporzionalità, opportunità e gradualità costituiscono ingranaggi fondamentali del motore della politica.
Noi siamo consapevoli che il cosiddetto disincanto nei confronti della politica sia una delle grandi debolezze del nostro Paese. Vediamo che imprenditori, grandissimi


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ma anche piccoli, riescono a fronteggiare con le proprie forze il sistema bancario, a volte difendendosi con le unghie, ma a un certo punto sono costretti a fermarsi, perché la politica non è riuscita a rappresentare con maggiore efficacia gli interessi di un grande Paese come l'Italia.
Aggiungo soltanto due osservazioni.
In termini di radicamento locale, onorevole Causi, è chiaro che il nostro modo di vedere le organizzazioni è capovolto. Se la capogruppo nomina a cascata, per noi è esattamente il contrario: è la BCC-CR del Garda che nomina i suoi rappresentanti a livello regionale e a livello nazionale.
La piramide è rovesciata, ma è difficile farlo capire al legislatore, inteso in senso lato (non mi riferisco tanto alla Commissione o al legislatore nazionale, che conosce bene la nostra realtà, quanto al legislatore sovranazionale).
Per favorire la conoscenza del nostro mondo, abbiamo voluto lasciare un segno della nostra battaglia culturale, che è anche della politica. Si tratta di un manuale che riempie un vuoto, pubblicato dalla casa editrice il Mulino, dal titolo «Il credito cooperativo», con elementi di storia, diritto, economia e organizzazione, curato da Alessandro Carretta. Il volume, che può essere considerato una summa degli aspetti e delle particolarità del credito cooperativo, raccoglie i contributi di oltre trenta accademici ed esperti.
Termino con alcuni dati a proposito del Mezzogiorno, della Sicilia in particolare, e della Cassa depositi e prestiti.
In un momento in cui la Sicilia sta soffrendo molto, anche per la protesta che conosciamo, sta per partire un'iniziativa che vedrà protagonista il nostro sistema. Infatti, le banche di secondo livello del credito cooperativo sono riuscite ad aggiudicarsi, in una logica di servizio, come sempre, una gara indetta dalla BEI, nell'ambito del progetto JESSICA (Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas), che prevede l'assegnazione di un ammontare di risorse pari a 52,7 milioni di euro, provenienti dai fondi FESR, da destinare a interventi nei settori dell'efficienza energetica, delle energie rinnovabili e della mobilità sostenibile, a favore delle pubbliche amministrazioni siciliane. Le risorse destinate a sostenere i progetti d'investimento potranno arrivare complessivamente a 147 milioni di euro, grazie all'impegno a costituire un plafond di cofinanziamento assunto da Iccrea Bancaimpresa per 55 milioni di euro e alla disponibilità delle BCC-CR siciliane per ulteriori 40 milioni di euro. La partecipazione delle banche locali possedute e gestite da siciliani, grazie alla struttura di rete, mi sembra un fatto molto concreto, a prescindere dalla Banca del Mezzogiorno, che forse verrà e forse no.
Passando a un altro dato numerico, sapete che la Cassa depositi e prestiti, nell'ultimo anno e mezzo, ha provvidenzialmente messo a disposizione delle PMI una linea di liquidità importante. Su 6 miliardi di euro utilizzati dal sistema bancario, 1,2 miliardi di euro, pari a circa il 20 per cento del totale, sono stati canalizzati attraverso la nostra rete. Ne siamo orgogliosi, perché siamo utili alle politiche economiche intelligenti e, di conseguenza, a coloro che ne usufruiscono.

ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Mi corre l'obbligo di ricordare, in chiusura, che il settore delle BCC-CR, nonostante i riconoscimenti, confermati anche oggi, per l'attività svolta e per l'importante azione di sostegno all'economia del Paese, è stato, nel 2011 la componente bancaria più colpita da alcune misure fiscali che hanno riguardato l'IRAP e l'IRES. Le BCC-CR sono state colpite doppiamente, in quanto intermediari creditizi, ma anche in quanto cooperative. Abbiamo stimato che ad ogni milione di euro in meno di utile che va a patrimonio potranno corrispondere circa 20 milioni di euro in meno di impieghi a favore di famiglie e imprese. Le predette misure fiscali, quindi, non hanno favorito, dal nostro punto di vista, lo sviluppo del Paese.
In secondo luogo, se è vero che almeno il 30-40 per cento dei soci delle BCC-CR partecipa alle assemblee, ciò significa che circa 300.000-400.000 italiani si accingono


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a partecipare alle assemblee delle 412 banche di credito cooperativo. Si tratta di momenti di straordinaria importanza che possono essere assimilati alle tradizionali feste popolari, perché le comunità valutano, verificano e stabiliscono secondo quali linee dovrà svilupparsi la gestione delle risorse dei loro territori, anche nei momenti di crisi. Devo dire, in proposito, che è molto bello assistere a una molteplicità di eventi che si svolgono con il coinvolgimento e con la responsabilizzazione della gente. L'ampia partecipazione indica che ci sono istituzioni, avvertite come tali (una banca, anche piccola, lo è), che meritano la fiducia e il coinvolgimento delle persone. Sotto questo profilo, dalle assemblee delle BCC-CR vengono messaggi importanti e confortanti.
L'ultimo tema degno di menzione è quello del nostro impegno nei confronti dei giovani. Crediamo, infatti, che la nostra proposta sia interessante anche per costoro. A livello superficiale, i giovani potrebbero essere maggiormente attratti dai marchi blasonati e più famosi delle grandi banche; tuttavia, se si fa loro conoscere il senso della presenza delle BCC-CR nel territorio, e le connesse possibilità di coinvolgimento e di responsabilizzazione, che abbiamo avuto modo di riaffermare anche quest'oggi, essi non potranno che essere attratti dal nostro mondo e, auspicabilmente, essere coinvolti nella gestione della banca di credito cooperativo del luogo in cui vivono. Sulla scorta di quanto abbiamo detto finora, è evidente come la sollecitazione che rivolgiamo ai giovani abbia un valore non soltanto economico, ma anche sociale.

PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di Federcasse, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,25.

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