Sulla pubblicità dei lavori:
Ventucci Cosimo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AI REQUISITI PRUDENZIALI PER GLI ENTI CREDITIZI E LE IMPRESE DI INVESTIMENTO (COM(2011)452 DEFINITIVO) E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO SULL'ACCESSO ALL'ATTIVITÀ DEGLI ENTI CREDITIZI E SULLA VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2002/87/CE (COM(2011)453 DEFINITIVO)
Audizione dei rappresentanti di Confindustria:
Ventucci Cosimo, Presidente ... 3 5 8 11
Barbato Francesco (IdV) ... 5
Boccia Vincenzo, Vicepresidente di Confindustria e Presidente Piccola Industria con delega per il credito e la finanza per le PMI ... 3 9
Fluvi Alberto (PD) ... 7
Montagnoli Alessandro (LNP) ... 6
ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Confindustria ... 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud
Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 12.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (COM(2011)452 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 2002/87/CE (COM(2011)453 definitivo), l'audizione dei rappresentanti di Confindustria.
Do la parola al dottor Vincenzo Boccia, vicepresidente di Confindustria e presidente di Piccola industria con delega per il credito e la finanza per le PMI.
VINCENZO BOCCIA, Vicepresidente di Confindustria e Presidente di Piccola industria con delega per il credito e la finanza per le PMI. Grazie, signor presidente.
Le imprese stanno vivendo con molta preoccupazione la restrizione del credito in atto. Secondo i più recenti dati della Banca d'Italia, il tasso di crescita su base annua del credito alle imprese mostra un forte rallentamento: a dicembre si è verificata una contrazione di circa 20 miliardi di euro.
È necessario, quindi, evitare che la mancanza di credito impedisca la ripresa e la crescita dell'economia.
La situazione attuale è collegata con i più elevati requisiti patrimoniali imposti da Basilea 3 e dall'Autorità bancaria europea (EBA), che, contrariamente alle intenzioni sottese alla loro introduzione, non stanno diffondendo fiducia.
La crisi dei debiti sovrani aggiunge a tale quadro critico un ulteriore elemento di debolezza.
È fondamentale, pertanto, attenuare l'impatto dei nuovi requisiti patrimoniali sui portafogli dei crediti alle piccole e medie imprese.
La nostra proposta, che abbiamo formulato insieme all'ABI e ad altre organizzazioni imprenditoriali, consiste nel riservare un trattamento prudenziale meno stringente alle esposizioni nei confronti delle piccole e medie imprese, introducendo un moltiplicatore definito «PMI supporting factor». Si tratta di un indice in grado di ridurre la quantità di capitale che le banche, indipendentemente dai metodi di valutazione adottati, devono accantonare a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese. La previsione del predetto moltiplicatore consentirebbe agli istituti di credito di recuperare liquidità, limitando, in tal modo, le restrizioni nell'erogazione del credito.
L'impegno della Commissione europea e dell'EBA è apprezzabile. Tuttavia, a nostro avviso, si deve fare di più, sostenendo la modifica del fattore di ponderazione del rischio in relazione alle esposizioni verso le piccole e medie imprese.
Un ulteriore obiettivo da perseguire deve essere quello di ridurre la prociclicità della regolamentazione. Sia i parametri di Basilea 3, sia il buffer di capitale imposto dall'EBA a dicembre dello scorso anno hanno un carattere eccessivamente prociclico in una fase recessiva: accelerano la crisi, anziché rallentarla.
Andrebbero considerate, quindi, alcune opzioni anticicliche, in rapporto sia alla specificità europea, sia a quella italiana.
È cruciale, innanzitutto, tenere conto della specificità delle banche italiane. Poiché dagli studi effettuati dall'EBA e da altre istituzioni finanziarie è emerso che i criteri e la metodologia seguita per ponderare i rischi degli attivi sono molto diversi tra banche e tra Paesi, la prima proposta è di armonizzare i criteri e i metodi di valutazione dei rischi e di allineare i criteri con cui le autorità di vigilanza nazionali autorizzano i sistemi di valutazione delle banche.
Tali divergenze non soltanto determinano significative distorsioni concorrenziali tra banche e tra Paesi, ma vanificano anche l'obiettivo fondamentale della regolamentazione, che è quello della stabilità del sistema finanziario.
Inoltre, l'uniformità nell'applicazione delle regole deve essere estesa agli Stati Uniti, dove la regolamentazione è stata sostanzialmente ignorata. Differenze nell'applicazione delle regole creano asimmetrie tra imprese e alterano le condizioni della competizione. Insomma, rispetto alle piccole e medie imprese europee, quelle statunitensi godono degli effetti benefici derivanti dalla vigenza di parametri meno stringenti, come abbiamo sottolineato anche al Commissario europeo Barnier. Tra Europa e Stati Uniti c'è asimmetria, sotto il duplice profilo del rigore e del rispetto delle regole.
La seconda ragione è che il sistema basato sulla valutazione ponderata degli attivi penalizza le banche che, come quelle italiane, concentrano la propria operatività sulle attività commerciali più tradizionali. Occorrerebbe tenere conto delle differenze tra le nostre banche e quelle più orientate alla finanza. Il paradosso, illustrato nella tabella che trovate a pagina 7 del documento analitico che abbiamo consegnato, è che le banche italiane, orientate verso le attività commerciali più tradizionali, e quindi più attente nei confronti dell'economia reale, si vedono applicati fattori di ponderazione superiori a quelli adottati per le banche che si dedicano maggiormente alla finanza. In altre parole, le banche italiane devono accantonare una maggiore quantità di capitale, nonostante si concentrino, in prevalenza, sull'economia reale, cioè sulle piccole e medie imprese. A ciò si sono
aggiunte le richieste di ulteriore rafforzamento patrimoniale dell'EBA.
In terzo luogo, è necessario prevedere un più ampio utilizzo, nell'ambito della valutazione del merito di credito, delle variabili cosiddette qualitative. Dare un maggiore peso agli elementi qualitativi - tra i quali, ad esempio, la rete di distribuzione, la qualità del management, i brevetti, l'organizzazione, i dati relativi alla crescita - significa valutare anche la dimensione futura di un'impresa, non soltanto il suo passato, fermo restando, ovviamente, il rispetto dei fondamentali delle imprese bancarie. Attualmente, il peso degli elementi qualitativi non supera il 25 per cento, essendo preponderante, nella valutazione del merito di credito, il ricorso a criteri quantitativi. Ci attenderemmo, quindi, che la predetta valutazione fosse condotta in maniera più approfondita, attribuendo una maggiore rilevanza agli elementi qualitativi, in modo da non penalizzare le imprese in termini complessivi.
Altre questioni connesse alla specificità italiana - le segnalo solo per titoli, poiché ci portano un po' fuori traccia rispetto al tema dell'audizione odierna - sono quelle dell'emergenza creditizia e della capacità di ripresa.
Quanto alla prima, occorrerebbe attenuare l'approccio basato sull'eccessiva prudenza, che da qualche anno caratterizza l'attività creditizia. Anche se ci rendiamo
conto che una certa ansietà pervade, ormai, il mondo dell'economia, dovremo definire, per affrontare il problema a breve, una nuova moratoria con l'ABI, le altre associazioni e il Governo. Inoltre, è necessario migliorare e ampliare il sistema di garanzia pubblico, attraverso il rafforzamento del Fondo di garanzia e una maggiore attenzione al sistema dei confidi. Appaiono rilevanti, da tale punto di vista, le disposizioni recate dall'articolo 39 del decreto-legge n. 201 del 2011, il quale prevede che al capitale dei confidi possano partecipare non soltanto le PMI, ma anche enti pubblici e grandi imprese non finanziarie.
Ribadisco l'importanza di invertire la tendenza in atto, andando oltre l'emergenza e, in particolare, mettendo in campo strumenti anticiclici idonei a compensare gli effetti prociclici derivanti dalla regolamentazione europea.
Occorre, innanzitutto, risolvere la questione dei ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, recependo la direttiva 2011/7/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (cosiddetta direttiva Late payment).
È necessario, inoltre, ripensare i criteri per la destinazione del TFR, che rappresenta un importante flusso finanziario per le imprese. Attualmente, i lavoratori delle imprese con oltre cinquanta dipendenti non possono decidere di trattenere il TFR all'interno dell'azienda: esso è trasferito al fondo privato o all'INPS, ma non può restare presso le imprese. Si tratta di un flusso di qualche miliardo di euro, che esce dalle imprese per raggiungere altre destinazioni.
Riteniamo anche che debba essere razionalizzato il sistema degli incentivi pubblici, in particolare nel Mezzogiorno. Nelle otto regioni del Sud esistono, infatti, 1.200 strumenti di agevolazione. Occorrerebbe semplificare, prestando particolare attenzione al credito d'imposta per investimenti, una misura che ha almeno una duplice valenza: etica, perché ne farebbe uso chi paga le tasse; di politica industriale, perché agevolerebbe investimenti capital intensive innovativi.
Chiediamo, altresì, di valorizzare il ruolo della Cassa depositi e prestiti, per sostenere gli investimenti e calmierare i tassi di interesse, nonché di migliorare gli strumenti finanziari a disposizione delle PMI, come le cambiali finanziarie.
Infine, bisogna ridurre il debito dello Stato, che indirettamente influenza lo spread tra i titoli del debito pubblico italiano e quelli di altri Paesi.
La seconda parte della relazione ha reso più organica l'esposizione, permettendoci di integrare la specificità italiana nel contesto europeo. Sebbene si tratti di aspetti intimamente connessi, le misure da ultimo indicate dipendono soltanto da noi, mentre le altre hanno bisogno del consenso europeo.
PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente Boccia e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
FRANCESCO BARBATO. Ringrazio, anche a nome di Italia dei Valori, il vicepresidente Boccia e gli altri rappresentanti di Confindustria presenti all'audizione odierna.
In questi giorni si sta parlando molto di abolizione della cosiddetta certificazione antimafia, che il procuratore nazionale antimafia Grasso ritiene essere, invece, uno strumento importante, da far funzionare meglio.
Molte associazioni di imprese - ad esempio, l'ANCE siciliana - vedrebbero di buon occhio l'introduzione, in alternativa alla certificazione antimafia, di un rating antimafia, cioè di un premio per le imprese che decidono di denunciare il racket e di stare dalla parte dello Stato.
Mercoledì scorso ho trascorso qualche ora, davanti alla sede del Ministero dell'interno, in compagnia di alcuni imprenditori testimoni di giustizia, i quali si sentono abbandonati dallo Stato. Può immaginare, dottor Boccia, quanto sia difficile continuare a fare impresa a Reggio
Calabria, a Caserta o a Palermo. Ebbene, è pensabile premiare coloro che hanno deciso di stare dalla parte dello Stato, come questi imprenditori, aiutandoli a rinunciare all'attività imprenditoriale, che non possono continuare, e assorbendoli nella pubblica amministrazione, come manager o, quanto meno, come dipendenti dello Stato? Si tratterebbe di uno dei pochi casi di accesso agli uffici pubblici senza concorso e, nel contempo, di una sostanziale modifica a un sistema di protezione che mostra alcune crepe, malgrado la grande attenzione dedicata al contrasto alle mafie.
Passando al tema oggetto dell'audizione, condivido le sue critiche alle recenti decisioni dell'EBA e ad alcuni aspetti di Basilea 3, soprattutto perché le banche italiane sono trattate in maniera deteriore rispetto a quelle di altri Paesi.
In questi giorni, il quotidiano Il Sole 24 Ore ha molto insistito sul credit crunch. A tale proposito, non ritiene che la restrizione del credito alle imprese sia determinata anche dal fatto che esse hanno un'insufficiente capitalizzazione e dimensioni minime? Ho il sospetto che la scelta di mantenere dimensioni piccole sia operata in funzione delle agevolazioni, anche di natura fiscale, di cui è possibile godere in tale condizione. Tuttavia, quando si tratta di avanzare richieste di credito, le imprese piccole non si presentano nel modo migliore.
Continuiamo a riscontrare, inoltre, un problema di trasparenza. Il 17 febbraio scorso ricorreva il ventennale di «Mani pulite». Purtroppo, abbiamo constatato che la tangente pagata da un imprenditore costituisce un danno non per l'imprenditore stesso, ma per la collettività. In Italia, ad esempio, realizzare le linee ferroviarie veloci costa quattro volte di più che in Francia. La corruzione grava sempre sulle spalle della collettività.
Non sarebbe meglio per tutti, quindi, avere aziende più solide, più forti e, soprattutto, più trasparenti? Ha fatto bene alle imprese, ad esempio, l'indebolimento delle sanzioni penali previste per il delitto di falso in bilancio, oppure sarebbe opportuno ripristinare la pena della reclusione, per evitare la costituzione di fondi neri e le operazioni off-shore?
Infine, perché non cominciate a privilegiare la tendenza alla quotazione in borsa, al ricorso al mercato anziché all'indebitamento? In questo modo, avremmo imprenditori più forti e più capaci. L'imprenditore italiano, peraltro, ha il vezzo antipatico di non voler rischiare il proprio capitale. Quotazione in borsa e capitale di rischio proprio sono elementi ancora troppo rari nell'imprenditoria italiana.
ALESSANDRO MONTAGNOLI. Dottor Boccia, il contenuto della relazione è condiviso dalla Lega Nord, che ha sempre evidenziato le criticità di Basilea 1, 2 e 3. Le mozioni approvate in Parlamento, anche sotto la spinta del nostro movimento, hanno certificato sin dall'inizio della crisi il rischio di restrizione del credito, che voi state denunciando. Esso riguarda soprattutto l'Italia, la quale si trova in una situazione sicuramente diversa da quella di Paesi come la Francia e la Germania, perché il 95 per cento delle aziende italiane ha dimensioni piccole e medio-piccole.
Non ci sta bene, in generale, il modo in cui funziona l'Unione europea, e l'abbiamo sempre detto. Non ricevono infatti considerazione, in sede europea, le differenze tra i Paesi, mentre noi abbiamo da difendere le specificità del nostro mercato e delle nostre imprese, per lo più piccole.
Condividiamo le proposte di Confindustria, e ci auguriamo che trovi consenso a livello europeo, in particolare, la modifica relativa alla ponderazione delle esposizioni nei confronti delle piccole e medie imprese.
Venendo alle domande, la Banca centrale europea ha fornito liquidità alle banche per 456 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento. Le banche italiane hanno ricevuto circa il 25 per cento della somma complessiva, cioè 116 miliardi. Molti ci chiedono se una parte di questi soldi sia stata erogata alle imprese, ma a noi risulta che ciò non è avvenuto. È giusto sostenere
il sistema bancario, ma è altrettanto giusto che i fondi prestati all'1 per cento dalla BCE giungano alle imprese, per sostenerne le attività, al di là dei limiti e delle nuove richieste di Basilea 3.
Come segnala anche Confindustria nella relazione, sembra che siano in scadenza, nel 2012, obbligazioni bancarie per circa 100 miliardi di euro. Non vorremo che la liquidità fornita dalla BCE all'1 per cento servisse alle banche per rimborsare le proprie obbligazioni o per acquistare titoli di Stato a fini di lucro. La nostra preoccupazione è molto forte, soprattutto in un momento in cui le imprese sono al collasso.
Lei, dottor Boccia, ha fatto riferimento ai ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Chiederemo che anche Confindustria si faccia parte attiva nell'unica riforma che riteniamo possa salvare il Paese, ma che il Governo sta dimenticando: il federalismo, con la conseguente applicazione immediata dei costi standard. Come sappiamo, ci sono realtà diverse da Nord a Sud. L'applicazione immediata dei costi e dei fabbisogni standard produrrebbe un risparmio di spesa pubblica e consentirebbe agli enti locali che hanno risorse di eseguire i pagamenti a favore delle imprese. Andrebbe modificato anche il Patto di stabilità interno, derivante, ancora una volta, da norme e vincoli di livello comunitario, distinguendo tra enti virtuosi e non, tra spese e debiti dei vari settori.
Anche su tali temi sono state presentate proposte. Ad esempio, si potrebbero utilizzare i fondi della Cassa depositi e prestiti, che sembra avere circa 100 miliardi di euro di liquidità, oppure le risorse recuperate dal contrasto all'evasione fiscale. A tal proposito, abbiamo cercato, in vari modi, di stimolare il Governo a verificare le aree in cui l'evasione è maggiore. Ad esempio, dai controlli effettuati nei giorni scorsi a Napoli è emerso che l'82 per cento degli esercizi ispezionati non aveva adempiuto gli obblighi fiscali.
In sintesi, mi aspetto una sua valutazione sulla destinazione dei fondi stanziati dalla BCE, ma soprattutto una parola a favore delle piccole e medie imprese, con riferimento a un'eventuale modifica del Patto di stabilità interno, che consentirebbe agli enti locali di favorire una crescita immediata dell'economia. Ci sono comuni, province e regioni che hanno fondi nelle loro casse. Mi risulta, ad esempio, che la Regione Veneto dispone di un miliardo e 400 milioni di euro, che potrebbe spendere subito e che, invece, non può impiegare. A tale proposito, una notazione molto critica riguarda l'articolo 35, commi da 8 a 13, del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto decreto sulle liberalizzazioni), che ha dirottato, diciamo così, le disponibilità liquide esigibili degli enti locali verso la tesoreria statale. Penso che ciò sia sbagliato anche dal punto di vista del sistema bancario, perché si sottraggono fondi alle banche, rendendo
più difficile, di conseguenza, l'attività di finanziamento alle imprese.
Non possiamo aspettare mesi o addirittura anni. Abbiamo bisogno di risposte immediate dal sistema bancario e dall'Europa (la quale ha impiegato tre anni per risolvere il caso della Grecia). Non so se l'Europa riuscirà a capire il modello italiano, totalmente diverso da quello che hanno in mente Merkel e Sarkozy.
ALBERTO FLUVI. Vorrei attenermi all'argomento dell'audizione e concentrarmi sulle questioni relative a Basilea 3. Prenderò le mosse da una considerazione di carattere generale, per giungere a una conclusione in merito alla quale mi piacerebbe conoscere, dottor Boccia, anche il suo punto di vista.
Abbiamo riscontrato, in questi mesi, l'esistenza di un particolare rapporto tra le proposte e la realtà. Mentre in sede europea si sta completando l'iter di approvazione delle proposte di regolamento e di direttiva che hanno recepito le indicazioni del Comitato di Basilea, alle quali si è sovrapposto l'esercizio dell'EBA, il mercato ha già dato per acquisiti, di fatto, i nuovi requisiti patrimoniali richiesti. Se, infatti, guardiamo alla tempistica prevista per l'applicazione dei nuovi parametri, ci accorgiamo che siamo già al 2016, sebbene
gli orientamenti del Comitato di Basilea - e lo sottolineo - ancora non siano stati consacrati in atti legislativi perfetti.
Il tema è rilevante, perché si è determinata una sorta di accantonamento del processo democratico. Nel momento in cui il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali discutono i documenti da approvare, il mercato ha già dato tutto per scontato. Quando, alla fine dell'anno prossimo, o all'inizio del 2013, saremo chiamati ad attuare il regolamento e la direttiva, fotograferemo uno stato di fatto. Probabilmente, sul piano dell'attuazione delle regole, saremo già al 2017 o al 2018. Credo che questo problema di carattere generale interessi tutti.
Nelle audizioni svolte abbiamo già ascoltato molti tra i soggetti interessati, dalle banche alle imprese, riscontrando la volontà comune di fare sistema, di selezionare alcuni aspetti più importanti, da indicare in una proposta di documento finale o di mozione. Domani svolgeremo un'audizione cui parteciperanno i parlamentari europei eletti in Italia, ai quali avremo la possibilità di rappresentare le nostre posizioni in merito alle criticità di Basilea 3.
In altre parole, non tradurremo i risultati acquisiti nelle audizioni in un lungo elenco di richieste da trasmettere alla Commissione e al Parlamento europeo (almeno, questa è l'intenzione). Vorremmo concentrarci, invece, su pochi punti fondamentali, per affrontare sia il tema di carattere generale - che attiene al rapporto tra le proposte dei comitati tecnici, la volontà politica e il mercato -, sia alcune questioni relative alle ricadute di Basilea 3 sul nostro sistema economico e produttivo.
Ponendomi in tale ottica, sono due i temi che indicherei.
Il primo è quello delle esposizioni verso le piccole e medie imprese, per le quali è necessario identificare un meccanismo che consenta un minore assorbimento di capitale (la proposta è stata avanzata dall'ABI).
Il secondo riguarda la necessità di differenziare l'applicazione del regolamento e della direttiva in base al modello di business e alla dimensione dell'impresa bancaria. Questa sarebbe una novità, perché, come lei sa, dottor Boccia, Basilea 1, 2 e 2,5 sono applicate in maniera uniforme, in Europa, a tutte le aziende di credito. La situazione è diversa negli Stati Uniti (ancora fermi a Basilea 1), dove la disciplina non è applicata in maniera uniforme a tutto l'universo degli istituti di credito: vi sono soggetti i grandi player di dimensioni internazionali, non le piccole banche a valenza nazionale. Vorremmo puntare, come ho già accennato in precedenza, su una differenziazione in base al modello di business (potremmo aprire, a questo punto, un'altra riflessione sulla validità del modello di banca universale, che ci porterebbe troppo lontano e che, quindi, accantoniamo per una prossima
occasione).
Qual è la sua opinione, dottor Boccia?
PRESIDENTE. Nel ringraziarla, dottor Boccia, vorrei aggiungere un'osservazione a quanto è stato già detto.
Nella seconda parte della relazione ha indicato alcune misure per affrontare l'emergenza, tra le quali lo sblocco dei ritardati pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, un utilizzo migliore della Cassa depositi e prestiti e della cambiale finanziaria.
Proprio di quest'ultimo strumento ci stiamo occupando in Commissione, sulla base di due proposte di legge. Abbiamo interpellato in merito la Consob, e stiamo aspettando il responso della Banca d'Italia prima di proseguire nell'esame del provvedimento.
Infine, lei indica come priorità la riduzione del debito dello Stato, anche attraverso la dismissione del patrimonio vendibile.
Nella prima parte della relazione, invece, ha giustamente evidenziato, da un lato, i limiti della valutazione degli attivi ponderati per il rischio, nonché la penalizzazione che ne deriva per le banche italiane, la cui operatività è concentrata sulle attività commerciali tradizionali e, di conseguenza, sull'economia reale, e, dall'altro, l'esigenza di implementare la regolamentazione
in materia di requisiti patrimoniali delle banche oltre i confini dell'Europa.
Mi domando - senza alcun intento provocatorio - se l'emanazione di alcune normative europee non sia dovuta all'esistenza di un gruppo di potere poco incline a tenere conto delle peculiarità della nostra economia e delle esigenze dei circa 60 milioni di italiani. Ciò che vediamo accadere è casuale, oppure i nostri rappresentanti nelle istituzioni dell'Unione europea non sono all'altezza di ottenere considerazione per la nostra situazione?
Do la parola al dottor Boccia per la replica.
VINCENZO BOCCIA, Vicepresidente di Confindustria e Presidente Piccola Industria con delega per il credito e la finanza per le PMI. Partirò dalle riflessioni dell'onorevole Barbato.
Per quanto riguarda l'abolizione del cosiddetto certificato antimafia, occorrerebbe capire da cosa sarebbe sostituito. Noi condividiamo l'idea della responsabilità sociale dell'impresa, ma siamo anche convinti della necessità che siano rispettate le regole.
L'onorevole Barbato ha fatto giustamente riferimento ad alcune situazioni anomale. A tale proposito, posso aggiungere che tali situazioni danno luogo anche a fenomeni di concorrenza sleale a danno di chi rispetta le regole e non entra a far parte di certi clan ristretti. Eliminare le anomalie in questione significherebbe favorire la competitività. Dobbiamo capire, quindi, cosa comporti, in termini concreti, l'abolizione del certificato antimafia. Un'eventuale semplificazione dovrebbe in ogni caso salvaguardare la certificazione.
Il rating può essere determinante, ma dovrebbe essere utilizzato in maniera ordinaria. In altre parole, un'azienda che risulta non essere mafiosa non deve, per ciò solo, avere un rating più alto; è quella mafiosa che non deve avere alcun rating. Se un simile strumento può assolvere una funzione di accelerazione, sotto i profili qui considerati, siamo d'accordo ad approfondire il discorso, che riguarda, in definitiva, l'individuazione di una dimensione di normalità dei rapporti, che l'impresa deve assumere come tratto caratterizzante a tutte le latitudini del Paese. Da questo punto di vista, onorevole Barbato, parliamo la stessa lingua.
Per quanto riguarda il rapporto tra banche e imprese, stiamo lavorando sui due fronti dell'emergenza e della ripresa.
Lei ha perfettamente ragione, onorevole Barbato, quando afferma che la dimensione delle imprese italiane è troppo piccola. Si tratta di una particolarità che deriva dalla storia dell'industria italiana, che nasce da produttori, da persone che sapevano «fare», alcune delle quali sono diventate, in seguito, imprenditori. Nel nostro mondo è chiara la differenza tra chi è rimasto produttore, e sa costruire bene un prodotto, e chi, invece, ha compiuto il salto, è diventato imprenditore, avendo compreso di dover fare i conti con la complessità di tutte le funzioni aziendali. Questo dualismo, trasversale nel Paese, è all'origine della condizione dimensionale da lei sottolineata, onorevole Barbato.
Non consideriamo la sua una valutazione negativa, onorevole. Sappiamo bene che il ruolo di Confindustria è anche educativo e formativo. Dobbiamo essere capaci, quindi, di aiutare chi è rimasto produttore ad allearsi con chi è diventato imprenditore, o a trasformarsi egli stesso in imprenditore. Chi, invece, ha già compiuto il salto, deve poter crescere. Tuttavia, poiché i mercati in crescita, come Brasile, Russia, India e Cina, sono più lontani dall'Italia rispetto ai mercati storici, c'è bisogno, per affrontare il problema della maggiore distanza, di una dimensione minima superiore a quella che era sufficiente in passato. Questo non dovrebbe essere semplicemente un ruolo di Confindustria, ma anche un indirizzo di politica industriale in grado di orientare le piccole imprese. Essere piccoli non è bello (o, almeno, non più), ma una condizione da superare, attraverso specifici percorsi. Alla questione
dimensionale si lega anche quella generazionale. Se non risolveremo queste due problematiche all'interno del
mondo dell'impresa, gli effetti saranno negativi per l'intero Paese. Un aiuto esterno alla soluzione di tali questioni interne potremo averlo se la direzione che prenderà la politica industriale ed economica del Paese sarà quella giusta.
Onorevole Barbato, lei ha ragione anche a proposito della questione finanziaria. Non a caso, giovedì prossimo, proporremo con l'ABI un vademecum della comunicazione finanziaria tra banche e imprese, che aiuterà i nostri imprenditori a comunicare con il sistema bancario e a rapportarsi con le istituzioni finanziarie.
Aggiungo che abbiamo dato vita, insieme a Borsa italiana, al progetto Élite, una piattaforma di servizi integrati attraverso la quale le imprese con ambizioni di crescita, ancorché piccole e, quindi, non da quotare, intraprendono un percorso di cambiamento culturale e organizzativo - necessario per avvicinarle ai mercati dei capitali, migliorarne i rapporti con il sistema bancario e imprenditoriale e facilitarne l'internazionalizzazione -, con la collaborazione di partner istituzionali, di fondi di private equity italiani e internazionali e di partner equity markets di Borsa italiana.
La finanza diventa strategica, ma anche l'impresa deve cominciare a pensare alla finanza strategica in una logica non di assistenza, non mutualistica: da un lato, rispettando i fondamentali dell'impresa bancaria; dall'altro, mettendosi nella condizione ideale per dialogare con il sistema finanziario.
Venendo all'intervento dell'onorevole Montagnoli, per quanto riguarda la liquidità fornita dalla BCE alle banche italiane, spero che il nuovo avviso comune, da stipulare con l'ABI, ci metta nella condizione di attingere a una parte di quei fondi per far fronte alla situazione di emergenza delle imprese italiane. Ricordo che la prima moratoria ha consentito la sospensione di rate di mutuo per 65 miliardi di euro. Vedremo di quale entità saranno i vantaggi derivanti dall'ulteriore moratoria, ma è chiaro che dobbiamo anche guardare oltre l'emergenza.
Oltre a ciò, è necessario superare al più presto l'attuale crisi di fiducia nel sistema economico italiano.
Lei ha perfettamente ragione, onorevole, quando pone in risalto l'esigenza di fare presto, perché il fattore temporale è effettivamente decisivo.
Condividiamo altresì, onorevole Montagnoli, la proposta di considerare fuori dal Patto di stabilità interno i debiti delle pubbliche amministrazioni, almeno per quanto riguarda i comuni cosiddetti virtuosi. Una tale misura, non di poco conto, creerebbe un flusso anticiclico a favore del sistema delle imprese.
Le vere anomalie del Paese sono l'evasione fiscale, il sommerso e, aggiungo io, gli sprechi, i quali si traducono in fenomeni di concorrenza sleale in ogni parte del Paese. Non possiamo quindi che essere favorevoli a una lotta senza quartiere contro tali anomalie.
Convengo con l'onorevole Fluvi: c'è stata una sottovalutazione - questa è la nostra impressione - degli effetti che i nuovi requisiti di Basilea e l'ulteriore buffer patrimoniale richiesto dall'EBA avrebbero prodotto sull'economia reale. Non si è tenuto conto del ciclo economico: in una fase recessiva, l'adozione di misure procicliche non poteva che accentuare la recessione. Se il ciclo fosse stato espansivo, le regole di cui stiamo parlando non avrebbero suscitato tante critiche.
Tutto ciò ha funzionato come acceleratore temporale, determinando un'immediata reazione del mercato. Le nuove regole hanno una dichiarata gradualità temporale, ma il mercato ha reagito prima, per paura che gli obiettivi fissati non sarebbero stati raggiunti alle scadenze stabilite. La reazione dei mercati ha accentuato ancora di più il carattere prociclico di strumenti in sé prociclici: l'ansia di fare subito ne ha incrementato gli effetti.
Condividiamo anche l'idea di intervenire sui nodi dello sviluppo. Le sue considerazioni, onorevole Fluvi, esprimono, a nostro avviso, una visione di alta politica di indirizzo.
Gli errori di impostazione dell'EBA e di Basilea 3 riguardano il ciclo economico, la
prociclicità e la caratterizzazione del sistema industriale e bancario italiano.
Passo rapidamente alla sua seconda domanda, onorevole, perché, quanto alla prima, siamo perfettamente d'accordo: il fattore di correzione da applicare alla ponderazione delle esposizioni verso le piccole e medie imprese è, infatti, uno degli elementi che abbiamo segnalato.
L'idea di distinguere il modello di business delle banche è qualcosa su cui, secondo noi, si potrebbe lavorare.
Se è vero, com'è vero, che l'Europa deve essere attenta all'economia reale e che i problemi sono dipesi dalle speculazioni compiute dalla finanza, a danno dell'economia reale, la penalizzazione dovrebbe essere maggiore per chi si occupa, appunto, di finanza e minore per chi, come le banche italiane, si dedica alle attività tradizionali. Ebbene, dobbiamo riconoscere, per onestà intellettuale, che accade esattamente l'opposto. Questo è, dunque, un terreno su cui è necessario lavorare, per evitare che il sistema bancario italiano risulti penalizzato e, in particolare, che il valore delle banche, già sceso a prezzi da saldi, si svaluti ulteriormente. Bisogna farne una questione di politica industriale europea.
Un altro aspetto chiaro, che non abbiamo mancato di sottolineare, è l'asimmetria con gli Stati Uniti d'America. Non possiamo essere dogmatici e rigidi, per preoccupazioni legate alla stabilità, senza tenere conto degli effetti sull'economia reale delle misure che adottiamo, mentre, dall'altra parte dell'Atlantico, si applica un modello meno rigido. Siccome la concorrenza è globale, le imprese europee saranno penalizzate dalla restrizione del credito, a vantaggio di quelle statunitensi.
Dobbiamo porre una questione di sistema, in modo che il tema italiano diventi un tema europeo. Sarebbe importante che i parlamentari europei eletti in Italia ponessero il problema dell'asimmetria esistente tra Stati Uniti ed Europa a livello comunitario. Ricordo che, qualche mese fa, una delegazione di ABI, Confindustria, Alleanza delle cooperative e Rete Imprese Italia ha presentato a Bruxelles, al commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Barnier, una richiesta congiunta per ridurre al minimo gli effetti collaterali di Basilea 3 sul sistema produttivo.
È chiaramente inutile, presidente Ventucci, affermare che condividiamo la sua posizione sugli strumenti da utilizzare per affrontare l'emergenza. Forse, l'Europa si è preoccupata troppo della stabilità. Benché giusta, visto quanto è accaduto, tale preoccupazione ha avuto un rilievo nettamente preponderante rispetto a quella relativa agli effetti sull'economia reale. Adesso dobbiamo tornare a prestare attenzione all'economia reale. Ciò non significa ritornare al modello dell'assistenza, alla richiesta alle banche di erogare credito secondo criteri «democratici»: significa, piuttosto, chiedere all'Europa attenzione per l'economia reale, insieme a quella per la stabilità.
Non possiamo ragionare di stabilità e di deficit in termini teorici, senza determinare quali effetti produrranno sull'economia reale le misure che intendiamo adottare. Lo diciamo nell'interesse dell'Europa e, innanzitutto, dell'Italia. Vorrei ricordare che, nonostante i suoi vincoli, l'Italia è il secondo Paese manifatturiero dell'Europa, dopo la Germania. Anche per questo è forte, quindi, l'interesse a che l'industria italiana, come auspicato dall'onorevole Barbato, cresca sul piano culturale e dimensionale: è una sfida che dobbiamo vincere insieme.
PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato).
Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 12,50.
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