Sulla pubblicità dei lavori:
Russo Paolo, Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DEI MERCATI DELLE SEMENTI E DEGLI AGROFARMACI
Audizione dei rappresentanti dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme):
Russo Paolo, Presidente ... 2 9 10 14
Angileri Roberto, Consigliere dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme) ... 13
Cenni Susanna (PD) ... 9
Delfino Teresio (UdCpTP) ... 9
Di Giuseppe Anita (IdV) ... 9
Fogliato Sebastiano (LNP) ... 10
Lucconi Enrico, Rappresentante dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme) ... 2 10
ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme) ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.
[Avanti] |
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11,35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione dei mercati delle sementi e degli agrofarmaci, l'audizione dei rappresentanti dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme).
Sono presenti Roberto Angileri, costitutore settore grano duro e consigliere dell'Asseme, in rappresentanza del Presidente Scelfo, Silvestro Murtas, costitutore e operatore sementiero nel settore riso e socio Asseme, ed Enrico Lucconi rappresentante dell'Asseme.
Do subito la parola agli auditi. Al loro intervento potranno far seguito eventuali domande da parte dei colleghi.
ENRICO LUCCONI, Rappresentante dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme). Grazie presidente. Mi accingo a svolgere la mia relazione, ringraziando dell'invito che ci avete rivolto.
Riteniamo nostro dovere, come Asseme, Associazione sementieri mediterranei di Roma, in rappresentanza della categoria dei sementieri e dei costitutori italiani, informare con obiettività la Commissione Agricoltura della Camera dei deputati sulla situazione del mercato delle sementi e degli agrofarmaci e sulla loro sostenibile qualità, al fine di contribuire all'indagine conoscitiva in atto.
Ci riferiamo, in particolare, al fatto che Asseme è l'unica associazione di categoria radicalmente contraria all'introduzione e alla coltivazione degli organismi geneticamente modificati (OGM) sul territorio nazionale, non potendosi comprendere come la qualità, la quantità, l'integrità, la propagazione e il miglioramento dei nostri vegetali convenzionali biologici possano coesistere con la coltivazione degli OGM, ossia di vegetali che, introdotti nell'ambiente, inquinano irreversibilmente le aree agricole, senza restituire al produttore, al coltivatore, al costitutore, al sementiero e al consumatore vantaggi di sorta, né in termini economici, né in termini agronomici e ambientali.
Signor presidente, come associazione seguiamo la nostra attività sementiera con il sistema della tecnica della riproduzione tradizionale, con incroci di tipo mendeliano. Per questo motivo ci siamo permessi di annunciare questa posizione.
In concreto, risulterebbe inutile ogni indagine sulla situazione nazionale del mercato delle sementi e degli agrofarmaci se non si ponesse come premessa imprescindibile la salvaguardia del territorio
italiano dagli OGM, che, al di là di ogni altra considerazione, oltre a inquinare le aree e ad azzerare la biodiversità vegetale, minerebbero alla radice la buona fama della nostra produzione agricola di qualità convenzionale biologica, sementi comprese.
Non è una preoccupazione fuori tema, se si pensa che nel 2005 il Governo allora in carica fu capace di emanare addirittura un decreto-legge con cui si permetteva la coltivazione a cielo aperto di tutti i vegetali geneticamente modificati, grano compreso.
Solo l'intervento responsabile della Corte costituzionale ha evitato il disastro. Infatti, se essa non fosse intervenuta, non saremmo qui a parlare di mercato nazionale delle sementi, perché le multinazionali di turno nel settore avrebbero provveduto a monopolizzarlo di fatto.
Se i sementieri e i costitutori italiani possono ancora intervenire per quanto riguarda la ricerca e la produzione di sementi, anche in campo internazionale, è perché il territorio italiano è ancora integro e non inquinato dagli OGM. È una realtà della quale il legislatore si deve rendere conto per comprendere il da farsi e sulla quale non può nutrire dubbi.
Parafrasando una storica e drammatica esortazione, senza gli OGM nulla è perduto, ma con gli OGM tutto può esserlo. Per ogni approfondimento in merito rinviamo a quanto contenuto nella nota allegata alla presente relazione, precisando, peraltro, che la nostra associazione è già stata consultata sugli effetti degli OGM da questa Commissione nel dicembre 2004 e dalle Commissioni riunite 7a e 9a del Senato della Repubblica nell'audizione dell'11 giugno 2009.
Quanto alla rappresentatività dell'Asseme, i quasi 50 associati sono quasi tutti attivi nella produzione di semi di grano duro e di riso, le due maggiori eccellenze italiane, e in misura minore nel settore delle leguminose e delle foraggere.
In particolare, più del 60 per cento della quantità dei semi di grano duro certificato, ascrivibile all'attività degli associati ai sindacati di categoria, è prodotto dai soci dell'Asseme. Per il riso essi producono circa il 40 per cento delle sementi italiane. Sia per l'uno, sia per l'altro settore sono qui presenti due rappresentanti.
Alcuni soci sono attivi, altresì, come costitutori di varietà e come ricercatori, nonostante la forte concorrenza internazionale e le crescenti difficoltà interne.
Circa la progressiva riduzione delle varietà di frumento, avvenuta dalla fine dell'Ottocento ad oggi, pur condividendo le preoccupazioni avanzate in questa sede da altri, dobbiamo far rilevare, tuttavia, come la ricerca sulla semente convenzionale abbia contribuito in maniera determinante a elevare la qualità e la quantità del prodotto finale. Tale ricerca nazionale potrebbe rapidamente degradare a tutto vantaggio della concorrenza estera e delle multinazionali, se non si intervenisse per sostenerla con interventi pubblici robusti e immediati.
Si aggiunge, con riguardo alla semente di grano duro, che, venuto meno il premio comunitario per l'utilizzo della semente certificata, per l'Italia assegnato dall'Ente nazionale sementi elette (ENSE), sta cedendo anche la qualità del prodotto finale, il grano duro italiano, considerando come l'agricoltore sia spinto a reimpiegare come seme la granella prodotta, ovvero il seme acquistato come uso zootecnico.
Tale effetto era stato ampiamente annunciato nel passato dall'Asseme al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, eppure nessun provvedimento di rettifica fu assunto, né appare all'orizzonte.
Per di più bisogna considerare che solo un terzo del grano duro necessario per produrre pasta può essere offerto dal mercato italiano e che il restante deve essere importato. Non si comprende come tutto ciò possa permettere ai pastifici di etichettare come pasta italiana una produzione che per due terzi utilizza grano duro estero. Da una parte, quindi, meniamo vanto della qualità di quanto produciamo e dall'altra facciamo di tutto per minare alla base tale qualità.
Le sementi certificate di grano duro convenzionale rappresentano il primo anello della filiera di fabbricazione della pasta di eccellenza. Nella produzione agroalimentare, infatti, sono diversi i momenti della qualità da garantire, controllare e mantenere: la qualità delle sementi, la qualità della produzione agricola, la qualità dello stoccaggio, la qualità commerciale, la qualità del mulino, cioè della prima trasformazione, e la qualità del pastificio, cioè della seconda trasformazione.
In connessione con tutto ciò, l'obiettivo primario dell'industria sementiera del settore resta quello di assicurare varietà nuove e di qualità certificata per rispondere al meglio ai bisogni degli agricoltori e dei consumatori finali del prodotto.
Se l'obbligo della certificazione delle sementi viene meno, come garantire questa qualità e quella degli altri momenti descritti? Cade la credibilità dell'intera filiera, né hanno più senso le successive certificazioni ed etichettature, comprese quella di pasta italiana.
È stato fatto presente da altri in questa sede, inoltre, che su un ettaro di coltura a mais e ibrido pesano circa 30-33 dollari di sperimentazione e di ricerca, e che per il frumento, pianta autogama autofecondante, questi costi crollano, sempre ad ettaro, a circa 3,3 dollari.
La notizia, però, va spiegata compiutamente. In realtà, i citati costi includono anche le ricerche sui semi geneticamente modificati e su quelli ibridi (e su altre tecniche che stanno sviluppandosi), che, non essendo più riproducibili, perché di fatto sterili, impediscono agli agricoltori di reimpiegarli in una generazione successiva, costringendo gli agricoltori a riacquistarli ogni anno, se vogliono coltivare.
È chiaro che, se questi sono i fatti, cresce pesantemente l'oligopolio delle multinazionali, con spese insopportabili per tutti, coltivatori per primi, e a scapito anche, bisogna rilevarlo, della qualità della semente e del prodotto finale.
Il prezzo delle sementi viene normalmente stabilito sulla base del costo delle materie prime, che aumenta più del 50 per cento il costo del prodotto (su ciò il ragionier Angileri potrà essere più preciso).
Per il grano, però, la realtà è diversa. Non siamo ancora pervenuti alla creazione di ibridi sterili stabili che ridurrebbero ulteriormente e drasticamente il parco varietale, ma nel momento in cui ciò avverrà non possiamo sapere che cosa accadrà al mercato mondiale e a quello nazionale. È questo uno dei motivi per cui i sementieri italiani chiedono al Governo di sostenere la ricerca privata e pubblica sul settore convenzionale con ogni energia e senza più indugiare, con una ricerca pubblica di ausilio a quella privata che fino a pochi decenni fa era il nostro vanto anche a livello internazionale.
Si aggiunge, al di là di quanto espresso e chiarito nella memoria allegata sugli OGM, che non si comprende come tali prodotti, considerando i costi indicati, possano agevolare un'agricoltura di economia e sfamare gli indigenti.
Il pericolo non finisce qui, però, perché da notizie di stampa si apprende che la multinazionale Syngenta e il CYMMIT, un istituto pubblico di ricerca messicano, hanno stipulato un accordo per la promozione di tecnologia applicata al frumento riguardante sia la selezione convenzionale - al che credo poco - sia quella ottenuta tramite modificazione genetica. La Syngenta e il CYMMIT - si afferma - «sono determinate a trasformare la produzione di grano nel mondo creando nuove piattaforme tecnologiche per stabilire standard qualitativi di rendimento senza precedenti».
Dal mais e dalla soia si passa, quindi, al grano ibrido transgenico, ma attenzione: il grano non è il mais o la soia.
Per l'Italia e per l'intera Europa, che operano e vivono nel bacino mediterraneo, il settore del frumento è strategico e vitale. Pertanto, esso non può essere lasciato in mano a operatori senza remore. Ribadiamo allora che l'Italia e l'Unione europea devono intervenire tempestivamente per favorire la ricerca nel settore e mantenere, nel contempo, la qualità del seme
ai più alti livelli, premiando l'utilizzo da parte degli agricoltori di semente certificata.
Da rilevare ancora è che sta emergendo una tecnica produttiva, definita cisgenica. Interpellato in merito, il professor Pietro Perrino, genetista e agronomo indipendente di primo piano, ha dichiarato quanto segue: «La cisgenica e la transgenica sono implicitamente la medesima cosa, perché la tecnica è la stessa, l'ingegneria genetica».
Il risultato finale - sia che si tratti di transgeni, sia di cisgeni - è un DNA transgenico o cisgenico instabile, ma legato al resto del genoma. Una volta libero, esso si può ricombinare con altri DNA, dando origine a nuovi virus, nuovi batteri e nuovi funghi, secondo quello che si chiama trasferimento orizzontale.
In altre parole, per operare queste trasformazioni genetiche o cisgeniche in forma rapida ed economica, secondo alcuni, si usano alcuni virus, cosiddetti innocui, che, ricombinati con altri occasionali virus o batteri, possono produrre (e spesso producono) effetti devastanti sulla salute di uomini o di animali.
Per esempio, il virus 35S promoter, utilizzato in ingegneria genetica per la produzione di OGM, è un retrovirus che ha creato grosse preoccupazioni in campo medico, perché genera leucemie e tumori.
È sintomatico, peraltro, il fatto che, da quando si sono introdotte queste tecniche, con regolarità impressionante sono scoppiate pandemie sconosciute e incontrollabili fino al presente, mai prima di queste introduzioni verificatesi con tale frequenza e virulenza.
A ogni buon conto, per meglio comprendere lo stato attuale della produzione sementiera italiana di grano duro è opportuno precisare che i quantitativi di sementi ufficialmente certificati di questo cereale, secondo le proiezioni elaborate dall'ENSE - ora confluito nell'INRAN - nella campagna di certificazione 2010-2011, sono stati pari a circa 1.800.000 quintali circa, ossia il 33 per cento in meno della campagna di certificazione 2009-2010 e a sua volta in calo del 20 per cento sulla precedente campagna, 2008-2009, con ciò perdendo in sole due campagne di certificazione più del 50 per cento della produzione.
Ricordo, invece, che nel 2003-2004, poco prima dell'ingresso della riforma della Politica agricola comune (PAC), il seme di grano duro ammontava a 4.470.000 quintali. Da quell'epoca, quindi, c'è stato un vero tracollo dovuto evidentemente alla soppressione dell'obbligo di impiegare semi certificati per il frumento duro tramite i decreti ministeriali di attuazione dei Regolamenti comunitari in merito.
La spontanea domanda che da tutto ciò deriva è: a che serve la legge sull'etichettatura obbligatoria per le materie prime utilizzate per verificare la tracciabilità delle produzioni finali che arrivano ai consumatori? Ciò non significa che poi tale legge sarà rispettata ovvero che i controlli saranno puntuali ed efficaci.
Abbiamo visto come per fabbricare la cosiddetta pasta italiana, per i due terzi il grano duro utilizzato non è italiano. Ma anche per quel terzo utilizzato, quanto all'origine proviene da seme certificato? Non vorremmo che questa sbandierata qualità fosse solo una montagna di carte e di etichette senza alcun riscontro e contenuto.
Depotenziato l'ENSE, depotenziata la certificazione, la produzione di semi di qualità, la produzione di grano di duro, che cosa ci aspettiamo, che questi vuoti non vengano occupati da altri? Allora la situazione sarebbe come quella dei romani quando dicevano che Annibale era alle porte! Le multinazionali, sperando che facciano la stessa fine di Annibale, nel frattempo si sono accampate sotto le mura di Roma. Dobbiamo, però, privarle degli elefanti e dei promoter, quali virus incontrollabili, nazionali e comunitari, ma come riuscirci e a chi rivolgerci?
Per concludere, nell'immediato e nel concreto, per quanto concerne il settore del grano duro, si suggerisce di promuovere l'inserimento del sostegno specifico all'uso del seme certificato delle misure collegate all'articolo 68 del Regolamento
CE/73/09 con il relativo premio; di sostenere fin d'ora la funzione e l'utilizzo di seme certificato di grano duro nel dibattito e nelle decisioni per la futura PAC che verrà attuata a partire dal 2013, considerando che il grano risulta non solo per l'Italia, ma anche per l'Unione europea una produzione strategica e vitale per molte zone, il cui mercato non può essere lasciato alla mercé di imprese multinazionali non interessate alla reale ed elevata qualità del prodotto finale.
Nell'individuare gli obiettivi dell'indagine conoscitiva la Commissione ha osservato, tra l'altro, che, a ulteriore conferma dell'esistenza di un regime di oligopolio nel settore delle sementi e degli agrofarmaci, vi è da rilevare che le stesse sei imprese multinazionali operanti nel settore delle sementi sono presenti anche nel comparto degli agrofarmaci e, nel loro complesso, detengono quasi l'80 per cento delle quote di mercato a livello mondiale.
Questi risultati devono molto del loro successo anche al fatto che dette imprese vincolano gli acquirenti degli OGM o di semi derivati da altre tecniche di produzione all'utilizzo dell'erbicida più venduto al mondo, il Roundup, prodotto dalle stesse, in particolare dalla Monsanto.
Le indagini reiterate fin dagli anni Novanta di scienziati indipendenti hanno dimostrato che il glifosato presente nel Roundup causa, peraltro, malformazioni negli animali da laboratorio (rane, polli, topi e altri). La Commissione europea è a conoscenza di questi effetti, eppure non è intervenuta a tutela del consumatore.
Appare allora chiaro che ci sia stata una deliberata volontà di coprire simili evidenze, inspiegabile e ingiustificabile, a tutto detrimento della salute pubblica. Il Roundup, peraltro, non viene utilizzato solo in agricoltura, ma anche nel giardinaggio, nei parchi e nelle aree verdi delle scuole.
Di questo pericolo sembra si sia finalmente accorta anche la stessa Commissione europea, per spostare, tuttavia, la validità dell'autorizzazione a utilizzare il glifosato dal 2012 al 2015. Gli interessi della Monsanto, dunque, per ora non si toccano.
A questo punto ci domandiamo che cosa facciano l'Italia, i nostri legislatori, e quale ruolo svolgano a livello comunitario, se siano autorizzati nel loro mandato a disporre anche della salute dei cittadini. Il principio di precauzione applicato agli OGM in Italia non doveva valere anche per i pesticidi e gli erbicidi, in questo caso il glifosato come il Roundup venduto ai nostri coltivatori, se gli effetti sono quelli citati?
In merito al riso, altro settore di eccellenza italiana in Europa e da sempre, questa associazione condivide quanto altre associazioni di categoria hanno già fatto rilevare circa il pericolo di un degrado rapido della qualità della semente di riso certificata, considerando che dal 2012, dopo la PAC, non saranno più erogati aiuti comunitari per la sua produzione.
Per di più, le nuove tecniche produttive introdotte in questi ultimi tempi - ci riferiamo al metodo Clearfield - stanno ampliando le difficoltà e le preoccupazioni dei sementieri e dei risicoltori per l'impossibilità di difendersi dal moltiplicarsi di un nuovo tipo di riso crodo infestante, che rende inutile anche l'utilizzo del riso Clearfield, perché l'erbicida associato alla sua coltivazione per eliminare l'infestante stesso non appare più in grado di farlo, essendo esso divenuto resistente a tale erbicida.
Si pensi che il 20 per cento circa della superficie nazionale a riso è seminata con le varietà Clearfield, Libero, Sirio CL e altre varietà Clearfield di nuova iscrizione, ma anche queste varietà introdotte dalla multinazionale tedesca BASF, pur dichiarate stabili, non si sono rivelate tali, tanto che il seme Clearfield CL 131 è stato ritirato dal commercio, essendo risultato inquinato da geni estranei, dannosi al prodotto e all'ambiente, alle aree agricole e ai consumatori di riso e non per una sola annata, ma per ben tre annate, ossia nel 2005, nel 2006 e nel 2007.
Si tratta, dunque, di una tecnica di modifica genetica che sembra più vicina a quella utilizzata per gli OGM che non a quella naturale di incrocio e selezione, come sostenuto dalla BASF.
Anche un ente pubblico di ricerca, l'Ente nazionale risi, ha provveduto per primo a introdurre sul suolo nazionale tali varietà, senza procedere a necessarie e prolungate verifiche e attendere i risultati relativi, come gli eventi descritti avrebbero dovuto suggerire.
Occorre notare che tale ente non solo ha introdotto intempestivamente le dette varietà in Italia, ma è esso stesso proprietario di alcune di queste varietà, che addirittura moltiplica e commercializza ponendosi in diretta concorrenza con le ditte sementiere che dovrebbe tutelare e controllare. Ciò a dispetto di ogni regola e norma sulla libera concorrenza, sulla correttezza e sulla buona fede.
Il fatto si configura sotto un profilo giuridico, ove si consideri che l'ente in parola è in grado di conoscere annualmente delle imprese sementiere concorrenti ogni dettaglio dell'attività da queste svolta, perché le stesse sono obbligate per legge, per prevenire frodi, a comunicare all'Ente nazionale risi, quale organismo pagatore dell'aiuto UE alle sementi certificate di riso, le operazioni di acquisto, trasformazione e vendita in Italia e all'estero della semente certificata trattata, la quantità prodotta e venduta, la quantità degli stock invenduti, il nome degli acquirenti e degli agricoltori moltiplicatori.
Occorre precisare - per miglior chiarezza - che l'Ente nazionale risi ha regolarizzato la novella posizione di impresa sementiera, chiedendo e ottenendo dall'AGEA l'iscrizione nel registro degli stabilimenti dei costitutori al fine di poter stipulare contratti di coltivazione del seme posseduto con produttori moltiplicatori, non potendo l'impresa non registrata sottoscrivere tali contratti destinatari dell'aiuto UE alla semente certificata di riso, aiuto che viene direttamente corrisposto al sementiero, ove la semente provenga da terreni di proprietà o detenuti alla richiamata moltiplicazione.
L'Ente nazionale risi ha iniziato a svolgere attività di vendita e di produzione della semente di seconda riproduzione, quando fino a due o tre anni fa aveva soltanto le varietà di pre-base, base e prima riproduzione, che venivano concesse alle ditte sementiere, le quali, a loro volta, svolgevano il lavoro dei sementieri moltiplicatori. L'ente è entrato, invece - mi permetterete una battuta calcistica - a gamba tesa in concorrenza con le nostre ditte sementiere.
Ne deriva anche il problema della concorrenza con i semi Clearfield, che ci stanno danneggiando e sul problema delle varietà che si stanno introducendo in un modo vertiginoso e che determinano l'oligopolio che si va a formare.
In quest'ultimo caso l'Ente risi, moltiplicando direttamente il seme posseduto su terreni di sua proprietà o nella sua disponibilità, quale organismo pagatore prescelto per il pagamento all'aiuto alla semente di riso in parola, andrebbe ad assumere nel contempo per le erogazioni di aiuto la veste di ente controllore e di impresa controllata. In altri termini, il controllato è il controllore e il controllore è il controllato.
Ciò vale anche per quanto concerne la verifica della nocività o meno della varietà di riso Clearfield, che l'Ente nazionale risi, ente pubblico di ricerca, possiede e moltiplica direttamente e commercializza. L'evidenza nociva del nuovo tipo di riso crodo infestante è stata, infatti, rilevata dai sementieri e dai risicoltori, non dall'Ente nazionale risi. Appare istituzionalizzato a tutti i livelli un incredibile disordine organizzato a vantaggio di pochi, ma forti e invincibili interessi, a scapito e a detrimento di quelli di tutti, consumatori, risicoltori e sementieri compresi.
Nello specifico gli orientamenti della Commissione UE, ossia l'abolizione dei pagamenti diretti per la riforma della nuova PAC, l'adeguamento distributivo dei fondi per tutti i Paesi membri e la rimodulazione degli importi, rappresenterebbero per le imprese sementiere di riso una forte penalizzazione nel caso di disaccoppiamento,
con conseguente effetto dirompente sull'attività di produzione e di ricerca delle sementi di riso, come già avviene nel settore del grano duro, e con perdita degli investimenti intorno al 50 per cento, come si evince dalla tabella allegata al documento consegnato.
Ricordiamo che gli agricoltori moltiplicatori di semente certificata di riso hanno diritto al premio comunitario solo se il 95 per cento del seme prodotto viene effettivamente venduto attraverso le ditte sementiere e utilizzato per la semina da parte dell'azienda agricola e per la produzione di risone.
Il meccanismo introdotto a partire degli anni ottanta ha favorito la crescita di un'industria sementiera sempre più efficiente e attenta allo sviluppo di nuove varietà per l'Italia e per l'esportazione, al fine di soddisfare le esigenze del consumatore, determinando anche il successo del riso italiano in Europa.
La mancanza di un sostegno diretto o indiretto farebbe ritornare la produzione di semi di riso certificato a una situazione tipica degli anni settanta-ottanta del secolo scorso.
Riteniamo che per mantenere la qualità del riso nazionale convenzionale attuale, non Clearfield, attraverso l'uso del seme certificato, l'importo UE spettante all'Italia - il plafond destinato alla produzione di sementi come aiuto specifico è di circa 7.700.000 euro come media triennale - debba essere ripartito per tutta la superficie nazionale di riso, che si aggira intorno a 230-240 mila ettari.
I corrispondenti per questo valore hanno un valore medio di 32,27 euro all'ettaro e, quindi, per equità dovrebbe essere concesso detto premio a tutti i produttori di risone e non solo ai soli 300 riproduttori moltiplicatori storici di semente, come si vorrebbe continuare a fare.
In concreto, per evitare effetti negativi produttivi e di mercato e tenuto conto della rilevanza strategica agroambientale delle risaie, l'Asseme propone di mantenere fino al 2013 l'attuale assetto normativo comunitario, sia per le sementi, sia per la coltivazione di risone, tenendo conto che la tecnica di riproduzione del seme tecnico di riso - ossia di pre-base, di base e di prima riproduzione - impone ai sementieri un periodo di preparazione e di programmazione non inferiore ai due anni prima della commercializzazione. Per questo motivo, se ciò viene introdotto immediatamente, salterebbero del tutto i programmi di ricerca e di investimenti che abbiamo già elaborato.
La richiesta di tale rinvio è giustificata, in altre parole, dal fatto che i programmi di ricerca e gli investimenti già anticipati, necessari per rispondere alle richieste dei produttori agricoli, sarebbero vanificati nel caso in cui le disposizioni adottate dalla riforma della PAC del 2009 entrassero in vigore, come stabilito, dal 1o gennaio 2012.
In via subordinata, si potrebbe introdurre nell'articolo 68, già citato, un sostegno specifico al miglioramento della qualità del riso per i risicoltori che utilizzano semente certificata, sempre escludendo il riso Clearfield.
Concretamente l'Asseme auspica che il sistema dell'uso di seme certificato, attualmente limitato a poche specie, sia introdotto ed esteso a tutte le sementi convenzionali, perché solo in questo modo ci si adegua seriamente alla politica della qualità, della trasparenza e della tracciabilità del prodotto finale che si afferma reiteratamente e a tutti i livelli di voler perseguire.
In conclusione, siamo convinti, per la nostra esperienza di costitutori e sementieri, che la natura, a patto che non sia violentata, possa con i suoi attuali prodotti convenzionali garantire salute e benessere a tutti, a condizione che ci si impegni per conservare l'arte del coltivare a noi tramandata dalla saggezza contadina, diffidando di mirabolanti traguardi pseudo-scientifici e di promesse che poco hanno a che vedere con la natura stessa e con i suoi ritmi, ricordando che il sistema agroalimentare ha nelle sementi un grande potere e che tale potere, a sua volta, è riportato attraverso le multinazionali.
Ringrazio e chiedo scusa se mi sono dilungato.
PRESIDENTE. La ringrazio per essere stato nei tempi e anche per la documentazione consegnata, che renderà il nostro lavoro sicuramente più agevole. Ne autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ANITA DI GIUSEPPE. Buongiorno e grazie di essere con noi. Vi ho ascoltato attentamente e, da quanto ho capito, voi siete sicuramente sostenitori di un'agricoltura di qualità e di identità. Fate di tutto per difendere questo tipo di agricoltura attraverso sementi che siano di qualità e, quindi, non siete d'accordo sulla manipolazione che viene prodotta attraverso gli OGM, soprattutto perché non si conoscono, in effetti, quali siano i loro risultati sulla salute, sugli animali e sull'ambiente.
Qualcuno, però, sostiene che le coltivazioni di organismi geneticamente modificati potrebbero essere gestibili attraverso un piano di coesistenza.
Vorrei sapere che cosa ne pensate, precisando subito che il Gruppo al quale appartengo, l'Italia dei Valori, è chiaramente contrario all'impiego degli OGM, proprio per gli effetti negativi che si possono avere attraverso l'utilizzo di questi organismi. Noi siamo per un'agricoltura convenzionale, ma che venga anche rapportata alla qualità. La mia domanda riguarda, quindi, i piani di coesistenza di cui si parla tanto e su cui vorremmo sapere di più.
SUSANNA CENNI. Ringrazio per l'esaustiva comunicazione che l'associazione ha voluto rendere a questa Commissione. Condivido completamente l'impostazione che avete illustrato, a partire dalla convinta contrarietà all'introduzione degli OGM, ma soprattutto di sementi, con tutti i rischi che ciò comporta per la biodiversità. Non a caso, su tale tema la Commissione Agricoltura ha avviato la discussione di alcune proposte di legge.
Ho apprezzato le ampie considerazioni che avete svolto e la documentazione che ci lascerete, ma volevo conoscere la vostra valutazione sullo scenario che si può aprire dopo la sentenza del TAR del Lazio che, come voi sapete, ha annullato il decreto del Ministro Zaia, anche in conseguenza delle gravi vicende accadute nel Friuli-Venezia Giulia, dove illegalmente si è proceduto alla semina di mais geneticamente modificato, con tutti i rischi di contaminazione del caso.
Pensate che la posizione assunta dalle regioni italiane, che richiedono con forza al Governo l'assunzione della clausola di salvaguardia, possa sufficientemente rispondere a questa esigenza e alle possibili difficoltà che si possono aprire?
TERESIO DELFINO. Rivolgo un cordiale saluto agli intervenuti anche da parte del gruppo al quale appartengo. Essendo arrivato un po' in ritardo, mi permetterò, dopo, di svolgere un'attenta rilettura del documento, anche perché il dottor Lucconi, per risparmiare tempo, andava molto velocemente.
Ho colto, però, rispetto al tema in discussione, alcuni punti. È chiaro che l'arte del coltivare è un'esperienza che matura nella storia, nella grande tradizione del nostro Paese, dove la qualità è progressivamente diventata l'elemento distintivo. Occorre evitare, quindi, che la qualità non sia soltanto un'affermazione retorica, ma fare in modo che incida sul reddito reale dei produttori agricoli. Altrimenti è soltanto un'affermazione priva di conseguenze.
Volevo chiedere, rispetto al tema della ricerca sulle sementi - essendo convinto che la questione degli OGM debba, almeno sul piano della coesistenza, garantire coloro che vogliono produrli, ma assicurare anche ai consumatori un prodotto «OGM-free» - se voi rispetto alla ricerca ritenete che ci debba essere in futuro una più forte attenzione nell'ambito delle politiche di sostegno comunitario, in modo da garantire sempre meglio chi vuole sviluppare
produttività e, nello stesso tempo, anche la qualità «OGM-free».
Ho preso atto, non senza un pensiero, del fatto che sostanzialmente avete chiesto di bloccare l'avvio delle modifiche apportate nel 2009. L'arco di tempo relativo all'approvazione di questa modifica è di oltre due anni (dal 2009 al 1o gennaio 2012). Al di là delle motivazioni che avete espresso, quali sono le ragioni per cui - avendo un meccanismo valido, che voi avete confermato, e che sarebbe bene conservare fino al 2013 per la nuova PAC - si è approvata la modifica nel 2009, mentre voi ritenete che possa partire al massimo con la nuova PAC 2014-2020?
Passo a un'ultima questione. Nel corso delle audizioni di questa indagine siamo stati naturalmente attenti alle segnalazioni e alle denunce che sono venute rispetto al monopolio del mercato delle sementi. Avete indicazioni da fornirci al riguardo?
SEBASTIANO FOGLIATO. Ringrazio i rappresentanti dell'Asseme per essere presenti a questa audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione dei mercati delle sementi e degli agrofarmaci.
Ringrazio per il contributo che avete portato ai lavori di quest'indagine conoscitiva, che nasce soprattutto per cercare di capire se nell'ambito dei mezzi tecnici che servono alla produzione agricola e a fattori come la semente, che è la base fondante del settore, da parte delle aziende produttrici ci sia un abuso della loro posizione dominante per la fissazione dei prezzi.
Noi ritenevamo che sul seme e sugli agrofarmaci tale abuso ci fosse da parte di queste multinazionali ed esso, nell'ambito di questa indagine conoscitiva, è stato ormai accertato anche da parte di autorevoli esponenti che hanno fatto riferimento a un oligopolio messo in atto proprio da queste aziende produttrici di seme.
Ciò non riguarda forse il frumento, che presenta ancora una dinamica diversa, ma per la stragrande maggioranza dei semi che l'agricoltore deve acquistare si è rilevata innanzitutto una posizione dominante da parte delle aziende produttrici e poi un abuso sul prezzo. Oltre ad incidere sulla produzione e sulla commercializzazione delle sementi e degli agrofarmaci, queste multinazionali abusano della loro posizione dominante per la fissazione del prezzo di vendita di questi fattori, che sono i mezzi tecnici di produzione di cui l'agricoltore si deve servire in modo obbligato. Abbiamo riscontrato che tra gli aumenti dei costi di produzione nell'agricoltura ci sono queste componenti, tra le quali il seme. Ovviamente, quando parliamo di seme, non ci riferiamo a tutto il comparto. Siamo consapevoli che con riferimento al frumento non esiste questo abuso indiscriminato, ma su alcune varietà di semi esso esiste.
Vi ringrazio anche per il contributo che avete dato in materia di OGM. Anche il Gruppo della Lega non condivide l'uso di tali organismi perché riteniamo che non si adattino ai nostri territori e alla tipologia delle nostre aziende agricole. Infatti, la produzione agricola tramite OGM riguarda più un'agricoltura con estensioni di terreno ben maggiori delle nostre, come in America, in Brasile e in Argentina, dove si produce circa l'80 per cento con semi OGM.
Negli Stati Uniti l'azienda agricola produttrice di mais più piccola è di 250 ettari. In Italia la superficie media aziendale è di 7,6 ettari e il 70 per cento delle aziende ha una superficie inferiore ai 5 ettari. Si tratta, dunque, di un modello di agricoltura che non si adatta al nostro sistema.
Mi fa piacere che ci sia questa consapevolezza, questa presa di posizione anche da parte della vostra associazione. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.
ENRICO LUCCONI, Rappresentante dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme). L'onorevole Di Giuseppe ha chiesto che cosa pensiamo dei piani di coesistenza. Noi ci opponiamo ai piani di coesistenza, non per partito preso, ma perché - come ho detto e come è riportato anche nella memoria allegata - gli OGM
hanno un effetto dominante nella fecondazione di un'altra pianta e, quindi, trasferiscono alla generazione successiva il proprio gene. Ce lo ritroviamo, quindi, sempre; è irreversibile. O si coltiva l'uno o si coltiva l'altro.
Una volta introdotti, chi ci garantisce la possibilità di controllare i piani di coesistenza? Provi a immaginare un'azienda agricola in cui il vicino, prima di coltivare, deve comunicare che coltiverà OGM.
Chi vi parla - non lo dico per presunzione - è figlio di un contadino, si è laureato in agraria e specializzato in scienze alimentari. Ho lavorato per cinque anni presso una multinazionale europea di mais e ibridi destinati all'ottenimento dell'amido, quindi all'industria alimentare. Producevamo un mais particolare, chiamato mais waxy, ed era a carattere recessivo, non dominante.
Per tornare alla genetica, nel modo in cui le multinazionali ce la vogliono far credere, madre natura ha inventato un mais interamente di produzione amilopectinica, non contenente la frazione amilosica. I cereali, le patate, il riso, il mais comune contengono il 75 per cento di componente amilopectinica e il 25 per cento di amilosica.
L'industria si è domandata: perché effettuare una doppia lavorazione per separare le due catene dell'amido? Esiste in natura la varietà waxy, che tuttavia era una varietà recessiva, perché prendeva il polline delle altre. Io ho attuato per cinque anni ciò che prescriveva la raccomandazione di Bruxelles, la quale mi ha fatto ridere, perché diceva che bisognava coltivare, pulire la macchine, osservare le distanze, il sottovento e il sopravvento, le varietà precoci e tardive.
Quando andavo in azienda, negli anni 1975-1980, mi tacciavano di essere prepotente e chiedevano che ci andassi a fare. Dovevo realizzare il mais waxy, ma, poiché esso sfortunatamente era recessivo, veniva contaminato. Mi fu offerto un seme gratis a un prezzo migliore e avrei potuto costituire anche io un'azienda. Parlo del Nord Italia, un'area dove forse neanche l'autostrada riesce a separare le produzioni di mais.
In cinque anni non sono riuscito a realizzare una partita di mais puro allo zero per cento, perché il polline viaggia. I piani di coesistenza, dunque, non riescono a fermarlo. La scelta è tra l'uno o l'altro e, quindi, siamo contrari.
C'è poi un tentativo da parte delle multinazionali di nascondere o di giustificare il conflitto, perché è di un conflitto che si tratta: quello tra uomo e natura. Lo nascondiamo, ma noi uomini siamo dentro la natura. Che cosa vogliamo? Questo conflitto ha ormai raggiunto livelli insopportabili e lo vediamo da tutte le situazioni di tipo farmaceutico.
L'industria petrolchimica e chimico-farmaco-agroalimentare, tramite la voce di Henry Kissinger, nel 1970 - perdonatemi lo sfogo - premio Nobel per la pace, ha affermato che chi governa il petrolio, governa una nazione. In merito posso essere d'accordo. Poi ha continuato, affermando che chi controlla il cibo, controlla l'intero mondo. Di qui gli OGM.
Sono figlio di contadini. Fino a ieri i nostri nonni che cosa hanno mangiato? Dovevano avere per forza il biotecnologico? Mi è stato riferito che ieri a New York, nel salone americano sul food, mostravano come si preparava il formaggio con la polvere. In quello stand, tuttavia, non c'era nessuno, mentre lo stand italiano era pieno.
Che tipo di cibo vogliamo? Come ha affermato Ippocrate, il cibo è la tua medicina, ossia la farmacia, e la farmacia sarà il tuo cibo. Ci vuole tanto a capirlo? Allora dietro gli OGM ci sono alcuni interessi.
Nel nostro documento - potete consultare anche quello prodotto per il Senato - affermiamo che siamo contrari ai piani di coesistenza. Anche in un convegno organizzato dal Comitato delle regioni nelle Marche nel 2009, al quale ci presentammo, ci dichiarammo contrari. Il motivo è logico e semplice: si viene a stravolgere il mercato fondiario.
O è tutto OGM e allora finisce il problema, oppure, se c'è una coesistenza, come si deve gestire il vicino che non coltiva OGM? Per di più, oltre al polline, anche il terreno subisce una contaminazione tramite gli effluvi radicali. E allora cosa accade? Si deprezza il terreno a fianco e lo si compra. Che vantaggio c'è?
Vengono, quindi, superati l'articolo 44 della Costituzione, che esprime il concetto di poter portare e garantire la fertilità in agricoltura al suolo, nonché l'articolo 32, sulla salute, e l'articolo 9, sulla ricerca.
Noi abbiamo parlato del principio di precauzione, ma è un mito. Quando fa comodo, lo usiamo, altrimenti no. Tale concetto è basato sul rischio zero. In questo senso diventa un concetto di proibizione. Non so se ho risposto alla domanda.
Passo adesso alla domanda dell'onorevole Cenni, che ringrazio di condividere il nostro pensiero, riguardo alla posizione del TAR del Lazio. Esso ha espresso la sua valutazione. Mi pare che il Ministro Romano - non so se l'abbia già fatto o se lo stia facendo (noi al riguardo gli abbiamo inviato anche la nostra nota) - stia per applicare la clausola di salvaguardia. Mi sembra che in questi giorni sia circolata una notizia secondo cui il presidente del Parlamento europeo abbia proposto che ogni Stato può decidere se diventare OGM-free.
Non è questo il problema, anzi, io proporrei che l'Italia diventasse un'isola felice per conservare la biodiversità. Non a caso, il nostro territorio in questa condizione orografica ci ha permesso di avere alcune eccellenze. Si va dal grano, ai cereali, alle leguminose e ai prodotti alimentari da essi derivati.
Il TAR del Lazio ha adottato la sua decisione e noi vedremo come possiamo comportarci. Come Asseme, nel 2004 abbiamo presentato alla Corte costituzionale, pur non avendone il diritto come associazione privata, una documentazione a sostegno del ricorso della regione Marche. La relativa sentenza, la n. 116, ci ha dato ragione in parte, insieme alla regione stessa.
L'onorevole Delfino parla della qualità e della ricerca. I nostri costitutori del grano duro e del riso sono presenti oggi non tanto per fare un'esperienza nel Parlamento, ma per dimostrarvi che fino a oggi noi siamo in grado di produrre e di ricercare. Esiste la banca dell'Istituto del germoplasma di Bari, che conserva 60-70 mila semi. Noi attingiamo a quella banca per poter migliorare la qualità. Sono semi presi in tutto il mondo.
Un noto breeder, che peraltro lavora per il gruppo della Proseme, il professor Calcagno, mi ha riferito che le varietà e il seme si realizzano in campagna, dove si prende il sole, altrimenti ci dobbiamo mettere le tute e andare in laboratorio. Quando si lavora con i virus e con i genomi, mi pare che ci sia una dissonanza forte, proprio perché noi siamo dentro la natura. Al fine di migliorare la ricerca occorre dunque continuare questo approccio.
Perché non abbiamo più finanziato la ricerca di tipo pubblico? Vedo una logica - chiedo scusa dell'espressione - un po' «vetero-complottista». Perché a un certo punto non si erogano più fondi alla ricerca, che era una ricerca neutra, per tutti? È chiaro che, quando la ricerca viene finanziata dalla multinazionale e dal privato, essi vogliono i risultati per sé, perché ricercano il profitto. Ci vuole molto a capirlo?
Se da tremila anni l'Italia riesce ad ottenere prodotti di eccellenza è perché siamo stati bravi? Sì, siamo stati bravi a coltivare e organizzare utilizzando la saggezza contadina, ma abbiamo anche saputo aiutare la natura attraverso il miglioramento genetico tradizionale, convenzionale o mendeliano. Andando oltre si finisce per violare la filogenesi e l'ontogenesi della natura. Noi non lo possiamo fare, perché ne siamo parte. Per questo motivo, sosteniamo il nostro principio e i nostri associati sono qui a difendersi contro le multinazionali, come la BASF.
Vi porto il caso della varietà Almo sementi, una varietà che rappresentava il 30 per cento del mercato nazionale risicolo e anche una buona percentuale del
riso europeo di semente. Essa è stata, se mi permettete l'espressione, rubata, inserendovi il gene del Clearfield. Adesso tale varietà è in declino a favore del nuovo seme, che viene coltivato su 40 mila ettari. A vantaggio di chi? Della BASF. Che cosa introduciamo? Il sistema Clearfield è un sistema per nascondere tutto, un sistema di tecnica molecolare.
Parafrasando una frase di un noto professore candidato al Premio Nobel per la pace, si nasce geni, ma si vive un po' da imbecilli, perché siamo condizionati e non siamo liberi di fare ciò che madre natura ci permetterebbe di fare con la creatività che ci ha dato nel lato destro del cervello.
Poiché io lavoro per la natura, sono figlio di contadini, agronomo, ho lavorato e vivo ancora in questa situazione, faccio di tutto per evitare questo risvolto, perché non è un vantaggio mio, ma degli altri.
Signor presidente, essendo nel settore, ho visto sempre ogni due anni un'innovazione biotecnologica, nelle macchine o nelle sementi. Questo sistema è un trucco per innovare sempre, per rendere vecchio quanto esisteva prima e immettersi nel mercato.
Quando si brevetta un telefonino, va bene. Si tratta di un prodotto tecnologico e per fare concorrenza si fa diventare vecchio il modello precedente tramite un processo chiamato obsolescenza economica e lo si butta fuori dal mercato.
Quando si deve brevettare la natura, però, non si butta, ma si rovina il sistema. Una volta brevettata la novità, la biodiversità finisce e, quindi, si va proprio in senso contrario di quello che è il brevetto.
Quanto alla domanda sui prezzi, l'onorevole Fogliato ha ricordato i prezzi sul frumento e sui cereali. Il frumento duro, che appartiene alle piante autogame, è una pianta nella quale la multinazionale vuole violare la natura, rendendola sterile. Per questo motivo ci sono 3,3 dollari a ettaro, perché ancora non c'è interesse. Si sta investendo molto nell'ottenimento della maschiosterilità per i frumenti in modo da impedire ai coltivatori di inseminare.
Perché mettere in condizione l'azienda agricola di vivere un momento di disagio? Anche se le si dà il seme, essa non lo può sentire suo, perché non lo può riprodurre e per tanti motivi è bloccata. Una volta che il frumento sarà diventato ibrido, fra alcuni anni, costerà 33 euro a ettaro, perché bisogna pagare la ricerca.
ROBERTO ANGILERI, Consigliere dell'Associazione sementieri mediterranei (Asseme). Ieri ho trovato una massima di Eisenhower: «L'agricoltura sembra molto semplice, quando il tuo aratro è una matita e sei a un migliaio di miglia dal campo di grano». È una massima che può essere ben accostata al nostro caso, perché forse oggi sull'agricoltura italiana può decidere qualcuno che il campo non lo vive. Mi auguro che la Commissione agricoltura possa venire un giorno a vedere i campi sperimentali che ogni anno organizza Proseme, azienda leader nel settore del grano duro e che produce varietà frutto di una ricerca decennale.
Se qualcuno conosce la ricerca tradizionale, sa che occorrono dieci anni prima di ottenere una varietà di grano. È un lavoro che sarebbe mortificato qualora una multinazionale potrebbe in brevissimo tempo realizzare un nuovo ibrido, calpestando il lavoro di una ricerca tradizionale avvenuta nel corso degli anni, di mantenimento in purezza e di stabilizzazione della varietà. Non solo, esso è frutto anche di costi e di investimenti per questo gruppo di ricerca, di tasse pagate al Ministero delle risorse agricole alimentari e forestali.
La non obbligatorietà del seme certificato oggi mi fa pensare male. Noi nel 2006-2007, se non anche prima, avevamo circa 4 milioni di quintali di seme certificato. La Proseme nel 2002 ha avuto il vantaggio di produrre varietà oggi leader di mercato. Il Simeto, che è una nostra varietà, ancora oggi è leader di mercato.
Allora perché non introdurre l'obbligatorietà del seme certificato? Quest'anno si è passati dai 4 milioni a 1.300.000 quintali, con una perdita del 66 per cento. Forse dietro questa maschera c'è una logica multinazionale che non vuole la tracciatura di filiera, che noi tutti decantiamo,
dal seme, al grano, alla pasta. Noi vogliamo scrivere «pasta di grano duro italiano» oppure non lo vogliamo?
Pensiamo per un momento a un mercato in cui su un packaging di pasta fosse scritto «pasta prodotta con grano duro geneticamente modificato». Vorrei sapere come risponderebbe il consumatore. Lottiamo insieme per non calpestare la ricerca tradizionale e non consegnare il mercato a quelle poche multinazionali presenti nel mondo.
PRESIDENTE. Ringrazio i cortesi auditi per l'utile sollecitazione che hanno voluto offrire a questa Commissione in merito all'indagine conoscitiva che stiamo portando avanti.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 12,30.
[Avanti] |