INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1741 RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GESTIONE DELLE CRISI AZIENDALI
Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio sulle crisi d'impresa e del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nonché del professore Luigi Foffani, ordinario di diritto penale, e del professore Massimo Fabiani, ordinario di diritto processuale civile:
Bongiorno Giulia, Presidente ... 2 13 14 16
Abrignani Ignazio (PdL) ... 7 9 14 16
Capano Cinzia (PD) ... 13 14
Celentano Paolo, Consigliere presso la Corte d'appello di Napoli ... 2 5 7
Di Carlo Alfonso, Professore ordinario di economia aziendale presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 2 15
Fabiani Massimo, Professore ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi del Molise ... 10 14
Ferranti Donatella (PD) ... 14
Foffani Luigi, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia ... 11
Pusterla Giulia, Componente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 7
Ragaglia Edi, Presidente della sezione fallimentare presso il tribunale di Ancona ... 3 15 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS
Ausonia.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 11,50.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame del disegno di legge C. 1741 recante disposizioni in materia di gestione delle crisi aziendali, l'audizione di rappresentanti dell'Osservatorio sulle crisi d'impresa e del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nonché del professore Luigi Foffani, ordinario di diritto penale, e del professore Massimo Fabiani, ordinario di diritto processuale civile.
Rammento che nelle precedenti audizioni sono stati auditi i rappresentanti dell'ABI, dell'Organismo unitario dell'avvocatura, dell'Associazione italiana giovani avvocati, dell'Unione camere penali, di Confapi e del Consiglio nazionale forense.
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.
PAOLO CELENTANO, Consigliere presso la Corte d'appello di Napoli. Sono stato incaricato dall'OCI di coordinare questo piccolo gruppo di lavoro di tre persone, con i quali ci siamo divisi i compiti. Mi occuperò principalmente dell'aspetto penalistico.
Non so se vogliamo trattare congiuntamente o separatamente l'articolo 1 e l'articolo 2.
In ogni caso partirei dall'articolo 1. Lascio subito la parola al professor Di Carlo, che si è incaricato del primo punto della legge delega che abbiamo rilevato come critico, riguardante i presupposti e gli obiettivi della nuova procedura di amministrazione straordinaria.
ALFONSO DI CARLO, Professore ordinario di economia aziendale presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Vorrei rapidamente svolgere alcune considerazioni sull'insolvenza. Non ci sono dati disponibili sull'insolvenza nelle procedure di amministrazione straordinaria, ma, stando alla posizione della giurisprudenza e della dottrina, e a un'indagine svolta a tappeto su un campione ampiamente rappresentativo di tribunali italiani svolto dall'OCI, abbiamo puntualizzato che l'insolvenza viene adesso intesa come manifestazione sintomatica di alcuni elementi.
Questi, ordinati dalla dottrina e considerati dalla giurisprudenza, portano a non sbagliare mai, laddove arriva a essere chiamata insolvente un'impresa che è quasi totalmente priva di valore.
Questo è molto diffuso e costituisce la maggioranza dei casi nelle ipotesi delle altre procedure concorsuali. Probabilmente, riprendere questo termine sull'insolvenza nei termini in cui può essere ripreso e la stessa dichiarazione del Ministro all'interno del disegno di legge secondo
cui spesso il commissario può essere portato a tentare un piano di risanamento molto improbabile, perché era quello proposto, mi induce a fare una riflessione di carattere economico-aziendale: probabilmente, con questa procedura si intende scindere quello che è l'unitario concetto di azienda, per separare l'attivo, che magari può essere ancora recuperabile, sia pure in parte in parti di azienda o di beni, dal passivo, che evidentemente ha una sua strada propria e autonoma.
Sotto questo profilo, quindi, rimanendo ancorati all'insolvenza diviene problematico conseguire questo rilancio dell'impresa e il recupero in termini di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale.
Vorrei fare una riflessione sempre di carattere economico-aziendale sulla necessità di tutela del credito, rinviando agli interventi successivi i profili giuridici. Il credito è un elemento fondamentale dell'economia, specialmente se uno degli obiettivi strategici del Paese è quello della crescita dimensionale per garantire alle imprese una maggiore possibilità di concorrenza a livello europeo. Evidentemente, deve essere tutelato, perché, se le imprese non vedono possibilità di concedere credito di fornitura, credito mercantile, viene meno una delle leve caratteristiche che può portare alla crescita dimensionale, al relativo sviluppo e alla possibilità di essere più competitivi sul piano internazionale.
Un'ultima considerazione in campo economico-aziendale si riferisce alla prassi. Nei vari Paesi, soprattutto quelli anglosassoni, accade che, nel momento in cui si inserisce una nuova procedura, si cerchi di instaurare una best practice o una accountability, ossia la possibilità di informare tramite gli strumenti contabili di riferimento tutto il circuito, che può essere interessato a quelle procedure. A livello di sistema Paese, questo in Italia non accade e probabilmente non è accaduto neanche su queste procedure.
Forse, sotto questo profilo si potrebbe migliorare, cominciando a prevedere intanto una forma di pubblicità dei piani, che potrebbero essere trattati alla stessa stregua dei piani delle operazioni straordinarie, cioè il progetto di fusione e tutti quanti gli altri documenti che sono indispensabili, anche se strategici, ma di particolare rilevanza; a prevedere una forma di controllo specialistica, nel senso di dettare i criteri perché venga effettuato il controllo, in modo da delimitare le responsabilità dei soggetti sottoposti al controllo, prevedendo magari report anche sintetici sulla base delle short form di certificazione americana, cioè dei testi predefiniti, dai quali è possibile vedere eventualmente gli scostamenti fra programmato e rendiconto, fra quanto viene previsto e quanto viene realizzato. Un minimo di report deve essere salvaguardato, con tempi che si possono stabilire, ad esempio ogni sei
mesi.
Probabilmente, è possibile anche normalizzare, cioè standardizzare, il tipo di domanda che viene fatta, prevedendo l'indicazione di una serie di categorie minime. L'imprenditore evidenzia dove è ancora il valore nell'attivo, quali sono i beni che hanno un valore, quali sono le parti di azienda che possono essere trattate come parti di valore, utilizzando grandezze economiche aziendali, che potrebbero essere il margine operativo lordo, il reddito operativo, il reddito prima delle imposte, il reddito dopo le imposte. Con questa forma di report riesce anche agevole un confronto tra i presupposti, gli obiettivi della procedura, e i risultati che si riescono a conseguire.
EDI RAGAGLIA, Presidente della sezione fallimentare presso il tribunale di Ancona. Signor presidente, passo a esaminare l'articolo 1. Tra i primi aspetti che avevamo rilevato c'è il criterio dell'attualità della scelta di una procedura amministrativa quale quella dell'amministrazione straordinaria all'interno del nostro sistema, a seguito della riforma delle norme sul diritto fallimentare, in particolare il convincimento che la procedura di amministrazione straordinaria in luogo di
quella giudiziaria rappresenti ancora uno strumento efficace per la risoluzione delle crisi d'impresa.
Vorremmo evidenziare questo particolare aspetto proponendo un'indagine metodologica. Se siamo a un progetto di riforma dell'amministrazione straordinaria che tende a individuare un sistema organico, sarebbe necessario e opportuno verificare la tenuta concreta del sistema sul piano della sua efficacia e della sua attualità all'interno del nostro ordinamento.
In particolare, quali operatori sul campo, vorremmo portare la nostra esperienza per rilevare che le procedure amministrative non si qualificano e caratterizzano ad oggi proprio per un particolare livello di efficienza. Non parliamo delle liquidazioni coatte amministrative, che sono caratterizzate dalla totale inadeguatezza e sono le procedure più amministrativizzate, dove l'intervento del giudice è completamente limitato. Poiché è in atto questa riforma, sarebbe opportuno muovere proprio da un rilevamento statistico e verificare una volta per tutte l'incidenza della procedura, il metodo scelto, se sia veramente efficiente, se sia efficiente solo in alcuni casi, e individuare un ambito di intervento limitato e particolare delle procedure stesse.
Il riordino del sistema fallimentare consente oggi la possibilità di intervento e di risanamento a vari livelli. La presenza di concordati preventivi, di procedure di definizione della crisi sono già strumenti che possono individuarsi come idonei per la risoluzione delle situazioni di crisi.
Soprattutto la procedura di amministrazione straordinaria si caratterizza come una particolarità italiana nello scenario internazionale, che potrebbe porre di nuovo a rischio di infrazioni anche lo Stato italiano, soprattutto perché nel tentativo di unificare la procedura, per rendere questo modello snello sul presupposto della legge Marzano, non della Prodi bis, tentativo di unificazione che sottrae il controllo iniziale giurisdizionale, la procedura istruttoria davanti al tribunale, il disegno di legge non individua in modo chiaro se permanga - elemento non chiaro nella delega - la dichiarazione di insolvenza in capo al tribunale stesso, e se il presupposto di accesso alla procedura rimanga lo stato di insolvenza o sia più in generale lo stato di crisi.
Questo è un elemento fondamentale, perché, ove fosse individuato più in generale lo stato di crisi e non lo stato di insolvenza, ci troveremmo davanti a un intervento eventualmente amministrativo che rischia di configurarsi come un intervento di aiuto dello Stato all'impresa, che potrebbe essere passibile di infrazione comunitaria, così come anche un intervento limitativo, fuorviante del sistema di concorrenza.
Qualora mancasse l'accertamento dello stato di insolvenza da parte del Tribunale, quindi dell'autorità giudiziaria, l'accertamento dello stato insolvenza o dell'altra situazione di crisi, che sarà il presupposto del piano stesso, sarà contenuto all'interno del decreto di ammissione. Questo farebbe sì che il ricorso spetti all'autorità amministrativa, spostando tutto il piano del controllo giurisdizionale dal giudice ordinario al giudice amministrativo.
Non c'è una pregiudiziale da parte del giudice italiano a non volere il controllo, ma c'è un problema in termini di efficienza e di semplificazione, perché dove il controllo giurisdizionale venisse spostato tutto sul giudice amministrativo avremmo non una semplificazione della procedura, ma tempi più lunghi e soprattutto perdita di certezza: non avremmo mai un giudicato sostanziale, perché qualsiasi atto presupposto potrebbe determinare l'annullamento dell'intera procedura.
Questo è un rischio, per cui è necessario chiarire se l'accertamento dello stato di insolvenza permanga in capo al giudice ordinario. Questo comporta anche un problema di valutazione dei rapporti con i creditori, perché in questo sistema la tutela dei creditori verrebbe affidata esclusivamente all'autorità amministrativa, che è non deputata al controllo delle valutazioni soggettive e dei diritti soggettivi. Se spostiamo l'accertamento e l'insolvenza in
capo a questo organo, non abbiamo una forma di tutela della valutazione dei diritti soggettivi. Il problema riguarda quindi la convenienza della procedura e soprattutto la sua armonizzazione con il diritto fallimentare.
Riteniamo che ad oggi l'esperienza dimostri che è venuta meno quella pregiudiziale negativa posta a fondamento dell'emanazione delle procedure di amministrazione straordinaria, che erano determinate da una procedura fallimentare appesantita. Oggi, la procedura fallimentare è molto più veloce. Mettiamo a disposizione gli studi e le rilevazioni statistiche condotti anche dall'OCI sul concordato preventivo e sulla dichiarazione di insolvenza e possiamo renderci conto che al contrario oggi la risposta è giudiziaria e tempestiva, ed è tempestiva in termini di ammissione e di procedure.
Il momento di stasi si incontra nella fase della liquidazione per fatti esterni alla procedura stessa, per situazioni di mercato, per incaglio nelle azioni giudiziarie, situazioni che però qualsiasi tipo di procedura con amministrazione straordinaria verrebbe a incontrare.
Altro elemento particolare è il piano individuato. Esponiamo elementi tesi a valutare questo piano flessibile, che viene previsto con possibilità di grande ampliamento dei poteri dei commissari nella fase di liquidazione, un piano liquidatorio e di ristrutturazione. Se però il piano è liquidatorio, non è più un piano, ma diventa solo una procedura, una modalità di liquidazione, non è un piano di risanamento.
Qui sorge lo stesso problema di prima, per cui rischieremmo di avere un'ammissione alla procedura, altro elemento da valutare a livello di tenuta europea comunitaria della norma, in assenza di un piano stesso. Il piano diventa quindi il momento formale di ammissione alla procedura, dopodiché, l'ampia possibilità di liquidazione immediata, cessione di beni, formulazione, discostandosi completamente dalla prospettiva di risanamento e di tenuta economica dell'impresa stessa, che non viene più valutata e valorizzata nel decreto ministeriale per il venir meno di questi criteri individuati nella Prodi all'articolo 27, fa sì che si rischi di avere un'ammissione alla procedura senza piano.
Il problema dei controlli e della partecipazione dei creditori dovrebbe essere precisato. Rimando comunque all'elaborato scritto per tutte le considerazioni. In particolare, non sono previste forme di partecipazione dei creditori. Ci troviamo di fronte a una procedura che viene a ledere diritti soggettivi, che viene a tutelare l'esistenza di presupposti e di interessi generali, che possono essere gli interessi di salvaguardia di particolari settori dell'economia, ed è questo che quindi dovrebbe essere l'oggetto delimitato dell'intervento a specifici e particolari settori dell'economia, perché si tratta comunque di una normativa che viene a incidere sulla tutela dei diritti soggettivi.
È quindi opportuno prevedere quantomeno una forma di partecipazione dei creditori in tutti i casi in cui la procedura non sia più una procedura di risanamento, ma, se si tratta di una procedura liquidatoria, la giustificazione del sacrificio dei creditori non ha più ragione di sussistere. Si sacrifica l'interesse solamente nei limiti in cui si segue una procedura diversa. Dove la procedura persegue le stesse finalità di un'altra procedura liquidatoria e quindi di una procedura fallimentare, a quel punto, se vuole rimanere una procedura di amministrazione straordinaria per quelle particolari imprese per cui sarà individuata, è necessario comunque prevedere forme di partecipazione dei creditori, che possono essere voto, consultazione, tutte quelle garanzie di conoscenza che oggi la legge fallimentare impone e ha individuato e catalogato, mancano completamente in questa norma.
PAOLO CELENTANO, Consigliere presso la Corte d'appello di Napoli. Mi occupo degli aspetti penalistici. L'articolo 2 si occupa della riforma del diritto penale fallimentare, una riforma sicuramente auspicata e necessaria, perché l'attuale assetto delle disposizioni penali contenute
nella legge fallimentare è incoerente rispetto a quello che è avvenuto con la riforma della legge fallimentare varata tra il 2005 e il 2007.
Mi soffermo sinteticamente su alcuni punti. Il primo punto che balza subito agli occhi, anche se si colloca in coda al testo normativo in gestazione ed è peraltro stranamente privo di qualsiasi spiegazione nella relazione illustrativa dei ministri proponenti, è quello di cui alla lettera r) del comma 4 dell'articolo n.2, che demanda al Governo di limitare l'equiparazione della dichiarazione dello stato di insolvenza alla dichiarazione di fallimento, ai fini della punibilità delle condotte illecite, quindi lesive dei diritti del ceto creditorio, tenute nel corso della procedura di amministrazione straordinaria sia dall'imprenditore sia dai commissari straordinari o giudiziari alle sole ipotesi in cui la procedura sia convertita in fallimento o sia stata aperta sulla base di falsi presupposti.
Tale norma ci sembra introdurre una sorta di immunità degli imprenditori e dei commissari nel corso della procedura per comportamenti illeciti e puniti, se commessi nel corso della procedura da altri soggetti come dal commissario nel concordato preventivo o dal curatore fallimentare. Per cui non si spiega questa immunità, questa sorta di zona franca lasciata a imprenditori e commissari nel corso della procedura di amministrazione straordinaria.
Potrebbe avere un senso, se i presupposti dell'amministrazione straordinaria fossero diversi da quelli delle altre procedure concorsuali, ma non sembra così, perché non è chiaro se il presupposto sia l'insolvenza o la crisi, ma comunque anche nel concordato preventivo il presupposto è la crisi e il commissario che commetta reati durante la procedura è punito come un curatore fallimentare. Questo è il primo aspetto che ci sembra gravemente discriminatorio per gli altri, imprenditori e curatori fallimentari e commissari, che vengono trattati molto più gravemente, quindi di sospetta incostituzionalità.
Il secondo punto che mi preme sottolineare riguarda la definizione della condotta incriminata dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta preferenziale. Dopo la profonda riforma dell'istituto, c'è una certa difficoltà nell'individuare ciò che deve essere considerato ancora illecito quando si parla di pagamenti preferenziali, quindi non di atti di distrazione del patrimonio, ma di atti dovuti. La legge delega individua la condotta incriminata nell'esecuzione di pagamenti o altre prescrizioni estintive di obbligazioni indebiti o non giustificati sotto il profilo giuridico-economico, ovvero la simulazione dei titoli di prelazione.
Lasciando da parte la simulazione dei titoli di prelazione, che esisteva già nella vecchia previsione normativa, per il resto la nuova previsione sembra peccare sia per eccesso che per difetto. Finisce infatti inspiegabilmente per riservare un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto a quello previsto per i condotti di bancarotta fraudolenta patrimoniale agli adempimenti indebiti, che in realtà sono distrazioni, quindi non ha senso considerarle delle fattispecie di bancarotta preferenziale. Pagare chi non deve avere rappresenta infatti una distrazione, non un pagamento preferenziale. Si può parlare di pagamento preferenziale se un debito esiste.
Sotto questo profilo, quindi, questa previsione erode l'ambito della bancarotta fraudolenta patrimoniale, creando problemi anche di coerenza sistematica. D'altra parte, non capiamo a cosa si riferiscano i pagamenti non giustificati sotto il profilo giuridico o economico. Non si riesce francamente a individuare l'ubi consistam di questi pagamenti. È evidente che l'adempimento di un debito è sempre giustificato dal punto di vista giuridico. Dal punto di vista economico, però, non so che cosa possa significare.
Se vogliamo ridefinire, come mi sembra necessario, la fattispecie della bancarotta fraudolenta preferenziale e non addirittura abolirla, come si potrebbe anche ipotizzare, e lasciare solo alla bancarotta fraudolenta patrimoniale il compito di
coprire i casi più gravi, si può pensare di contenere l'area della punibilità, la zona di rischio penale connessa ai pagamenti, limitando la bancarotta fraudolenta preferenziale ai pagamenti che non vengono eseguiti in conformità dei piani concordatari, dei piani attestati e degli accordi di strutturazione dei debiti, collegando la disciplina della bancarotta fraudolenta preferenziale a tutto il sistema oggi previsto dalla legge fallimentare in tema di piani attestati.
Sarebbe facile stabilire che è ancora punibile il pagamento fatto con il fine di favorire un creditore in danno di altri, però con l'esclusione dei pagamenti eseguiti in conformità di piani attestati, di piani concordatari o di accordi di ristrutturazione dei debiti.
Questa configurazione della bancarotta fraudolenta preferenziale sarebbe rafforzata se si pensasse a introdurre, cosa che non è stata fatta dai ministri proponenti, una disciplina apposita delle fattispecie o una norma a fattispecie alternative, che preveda la punibilità delle falsità commesse dal professionista attestatore.
Oggi, il ruolo di questo professionista è fondamentale, perché su questa attestazione si dovranno basare fin quando non ne viene svelata la falsità sia il Tribunale nel momento in cui ammette l'imprenditore alla procedura di concordato preventivo, sia i creditori che poi devono votare sulla base di questa proposta.
Prevedere un sistema sanzionatorio rigoroso a carico del professionista attestatore e contemporaneamente collegare la bancarotta fraudolenta preferenziale a questo sistema, nel senso di punire i pagamenti preferenziali effettuati fuori dai piani attestati, in questo modo garantiti, mi sembra dare un equilibrio sufficiente al sistema.
IGNAZIO ABRIGNANI. Vorrei fare solo una breve osservazione.
Elimino subito un sospetto: nessun discorso di immunità. La legge fallimentare aveva un suo specifico indirizzo in una logica di liquidazione della società. L'amministrazione straordinaria nasce proprio sul concetto di strutturazione. Molte aziende hanno trasferito occupazione, si sono salvate, perché esiste una differenza di base tra la liquidazione fallimentare e la ristrutturazione aziendale.
Si è inteso sicuramente in maniera perfettibile, tanto che il Presidente Bongiorno sta lavorando sul restringimento della delega, perché è troppo ampia, individuare reati propri dell'amministrazione straordinaria, perché richiamare per fattispecie che hanno proprio una logica diversa la legge fallimentare, comporta che qualsiasi impegno di spesa, si pensi ad un commissario che assuma qualsiasi impegno di spesa ai fini della ristrutturazione dell'azienda, costituisca un reato.
Era necessario intervenire su questo. Senza voler garantire nessuna immunità, si intendeva individuare dei reati propri dell'amministrazione straordinaria, riguardanti il commissario che commetta atti illeciti. Ritengo che, se andassimo a controllare, oggi ogni commissario dovrebbe essere sotto processo. Questa era l'idea dei ministri proponenti. Il Parlamento dovrà operare in maniera consistente, per porre l'accento su questo concetto e non su altri, che lei ha giustamente individuato.
PAOLO CELENTANO, Consigliere presso la Corte d'appello di Napoli. Ho infatti sostenuto questo. Il problema è che, se i presupposti della procedura di amministrazione straordinaria rimangono la crisi o l'insolvenza e l'obiettivo è meramente liquidatorio, non c'è nessuna differenza da un concordato preventivo.
Se limitiamo la procedura di amministrazione straordinaria, nel senso che l'obiettivo deve essere solo conservativo e risanatore, ed escludiamo che la procedura possa servire per intenti liquidatori, allora ci siamo perfettamente.
GIULIA PUSTERLA, Componente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Per gli aspetti più di dettaglio mi rimetto al documento consegnato. Vorrei affrontare brevemente alcune considerazioni di carattere più generale.
Sia la riforma dell'amministrazione straordinaria, sia la riforma della disciplina penale fallimentare sono esigenze molto sentite da tutta la società civile, quindi anche dai commercialisti, ma sentiamo forse più pressante l'esigenza della riforma della disciplina penale fallimentare.
Forse oggi, dopo la riforma, dovremmo parlare di legge della crisi d'impresa, e credo che la direttrice più interessante sia proprio quella che vuole spingere sul risanamento contrapposto alla liquidazione. Tra l'altro, il momento di crisi che l'Italia e tutto il mondo stanno vivendo rende questo più importante e contemporaneo.
Se vogliamo risanare e salvare le imprese in crisi, abbiamo bisogno da un lato di essere tempestivi e dall'altro di nuova finanza. La tempestività è una sfida che si giocano tutte le imprese e i professionisti. Dobbiamo riuscire a individuare i segnali inviati dalla crisi ed essere veloci e tempestivi nel proporre soluzioni che non ci confinino ancora una volta in un utilizzo liquidatorio degli istituti.
Per quanto riguarda la nuova finanza, bisogna aiutare le banche a dare nuova finanza alle imprese per riuscire a risanarle. Sappiamo che senza nuova finanza il risanamento ha le polveri bagnate. Questo nasce dall'esperienza quotidiana delle imprese e dei professionisti che sono a fianco delle imprese, quindi segnatamente i commercialisti.
Le banche hanno trovato una forte tutela a valle con il depotenziamento della revocatoria, ma non hanno un'altrettanto forte tutela a monte, quindi hanno il problema della prededuzione, ma soprattutto temono il rischio penale. È opportuno prevedere una cauterizzazione degli eventuali aspetti penali della nuova finanza erogata dalle banche nel momento in cui si muovono in seno ad articoli attualmente previsti dalla legge della crisi d'impresa, quindi dall'articolo n. 67, comma 3, lettera d), dall'articolo n.182-bis e ovviamente dal concordato preventivo. In questo senso, leggiamo con favore il disegno di legge su questi punti.
Obiter dictum, anche se questa non è la sede, è necessario aggiungere che, se vogliamo far decollare la nuova legge fallimentare, dobbiamo anche porre mano all'aspetto fiscale dell'articolo n. 182-bis, altrimenti non riusciremo mai ad usarlo. Specularmente all'esigenza di mettere al riparo le banche, dobbiamo anche mettere a riparo l'imprenditore dal rischio di una revocatoria preferenziale. Anche questa è una cosa molto sentita.
Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici dell'articolo 2, siamo assolutamente convinti che le condotte debbano rilevare laddove poste in essere solo in costanza di insolvenza. Il concetto del concreto pericolo di insolvenza mi sembra abbastanza indeterminato e quindi pericoloso. Ritengo che sia meglio limitare alla costanza di insolvenza.
Per quanto riguarda il nuovo delitto di falsa esposizione di dati o di informazioni o di altri comportamenti fraudolenti relativi alle cosiddette procedure di composizione negoziale della crisi, voglio sottolineare che, con riferimento all'eventuale concorso del professionista attestatore, bisogna avere riguardo alla particolare attestazione che siamo chiamati a fare, che poi si sostanzia in un giudizio prognostico. Credo quindi che le condotte poste in essere solamente con dolo specifico da parte del professionista attestatore debbano ricadere in questa fattispecie.
In merito all'amministrazione straordinaria, ben venga l'importanza di una reductio ad unum sicuramente sentita, perché credo che il cittadino non sentisse la legge uguale per tutti quando per ogni singolo caso di grande insolvenza si aveva una singola legge. Si aveva proprio l'impressione che la legge non fosse uguale per tutti, ma fosse più uguale per alcuni.
Oggi, con la riforma intervenuta nella legge fallimentare, credo che sia meno pressante l'importanza di una legge come quella dell'amministrazione straordinaria e che si debba assolutamente limitare a quei casi che abbiano rilevanza sociale. Consustanziale a questa osservazione è quella di quali parametri debbano essere
scelti per poter accedere all'amministrazione straordinaria. Sono molto contraria al parametro dell'indebitamento, che serve per individuare non le grandi imprese in crisi, ma le imprese in gravi crisi. Talvolta, più sono indebitate più diventa difficile risanare, e questo è contraddittorio con la finalità a cui lei stesso, presidente, faceva riferimento.
Vorrei espungere il riferimento al parametro dell'indebitamento, che addirittura potrebbe indurre a comportamenti opportunistici, nel senso di farlo aumentare per superarlo, e limitarmi ad altri parametri, segnatamente quello dei dipendenti, che invece vanno a centrare situazioni meritevoli di una diversa attenzione sociale.
Credo che non ci si possa non porre il problema dell'indotto. È molto difficile definire l'indotto e capire come tutelarlo. Chi, come me, come professionista sul campo non solo dell'amministrazione straordinaria, ma anche dei fallimenti, si scontra giornalmente con questo tipo di problematiche si rende conto che talvolta non vi è alcuna differenza tra un lavoratore dipendente e un piccolo artigiano che rappresenta questo indotto, perché magari nelle fasi precedenti la crisi l'impresa costringe alcuni dipendenti a dimettersi e ad aprire una piccola partita IVA. Non possiamo però considerarli imprenditori, perché sono da assimilare nel trattamento - oggi non nei fatti - a un lavoratore dipendente.
Considero non più differibile il momento di occuparsi seriamente dell'indotto. È molto interessante la previsione che l'impresa stessa si possa presentare già con un piano. Ci si può domandare chi realizzi questo piano. Nella legge fallimentare, l'articolo n. 67, comma 3, lettera d) ritiene che l'attestatore del piano debba essere un avvocato o un commercialista. Qui l'attestazione non è richiesta, ma il facitore potrebbe avere una caratteristica che lo renda più fidefacente nei confronti di tutti gli stakeholder, che lo renda garante di una legalità preventiva. Ritengo quindi che raggiungeremmo una maggiore sicurezza, se prevedessimo che questo piano debba essere predisposto dai soggetti già individuati dall'articolo 67, comma 3, lettera d).
Questo dovrebbe valere anche nel caso degli accordi di ristrutturazione previsti dal disegno di legge approvati dal Ministero dello sviluppo economico nei casi di ricorso al beneficio dei fondi di salvataggio e della ristrutturazione per le imprese in difficoltà. Anche in questi casi, in capo al Ministero dello sviluppo economico resta l'approvazione dell'accordo, però l'attuabilità dell'accordo potrebbe essere attestata dagli stessi soggetti di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d).
L'ultima annotazione riguarda i creditori, che sono molto interessati alla procedura. Mi è piaciuta molto una frase della relazione illustrativa: «in effetti non esiste contrapposizione o almeno si può superare la contrapposizione tra tutela dei creditori e conservazione degli organismi produttivi, posto che quest'ultima rappresenti un valore anche per i creditori». Sicuramente è così: non c'è infatti nessuna contrapposizione fra tutela dei creditori e conservazione degli organismi produttivi, anzi, se riusciamo a conservare gli organismi produttivi, riusciamo a massimizzare il valore a beneficio dei creditori.
Nell'ottica di pensare alla tutela dei creditori, potrebbe essere interessante rifarci all'articolo 104, comma 4 della legge fallimentare, laddove si prevede per il Comitato dei creditori, in caso di esercizio provvisorio, la possibilità di chiudere l'esercizio provvisorio. In questo caso, il Comitato di sorveglianza potrebbe proporre in via autonoma al Ministero dello sviluppo economico, cui spetta ovviamente la decisione finale, la cessazione della procedura. Laddove ritenga contrario ai suoi stessi interessi, il ceto creditorio deve poter proporre in via autonoma e non mediata dal commissario al Ministero dello sviluppo economico la cessazione della procedura.
IGNAZIO ABRIGNANI. La ringrazio della precisa esposizione. Personalmente, presenterò un emendamento sull'indotto,
aspetto su cui sono attento sin dall'inizio e rispetto al quale ho trovato nel collega Lulli, capogruppo dell'opposizione, un punto d'incontro. L'identificazione è perfettibile, perché alcuni dicono il 60 per cento del fatturato, altri il tipo di rapporto. È chiaro che lì si può lavorare soltanto sui privilegi, perché tutte le aziende dichiarano che continuare a lavorare con l'amministrazione dipende dai commissari, ma si potrebbe scegliere di dare a chi dimostri determinati coefficienti che poi il Parlamento deciderà, magari con una forma di privilegio diverso.
MASSIMO FABIANI, Professore ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi del Molise. Innanzitutto ringrazio le due Commissioni riunite per l'invito a partecipare a questa audizione. Non ho presentato un testo scritto, se non degli appunti, in modo da facilitare alcune mie esposizioni, perché era importante segnalare alcuni profili di criticità, ma anche di condivisione con l'elaborato presentato alla Camera. Ho fatto qualche considerazione anche sul testo che la Commissione istituita dal ministro ha nominato lo scorso autunno, perché il presidente della Commissione mi ha fatto avere la bozza del testo.
Questo intervento di riunificazione è necessario. Si tratta però di una legge delega, quindi è importante stabilire il modello di riferimento, perché abbiamo tre normative sull'amministrazione straordinaria, molto diverse le une dalle altre, e la concentrazione del testo dell'articolo 1 non ci indica il modello di riferimento. Credo allora che sia opportuno descriverlo.
L'amministrazione straordinaria è un caso sostanzialmente unico in Europa, ma questo non significa che non possa esistere. Il punto è che deve rimanere una procedura eccezionale per garantire effetti positivi.
È quindi necessario stabilire i criteri selettivi di accesso, che devono andare nella direzione di un restringimento, ovvero di una riduzione delle imprese che possono essere sottoposte ad amministrazione straordinaria. Questo non è detto che dipenda dalle dimensioni, perché possiamo pensare anche a dei settori strategici. Possono esserci aziende con un rilevante interesse pubblico non per le dimensioni, ma perché ad esempio producono armi, sono imprese per la difesa dello Stato, servizi pubblici, energia. Possono quindi essere anche criteri differenziati.
Ricordiamo però un dato esperienziale a livello di tutte le economie occidentali: le imprese in crisi risanabili sono il 10 per cento. Succede in Francia, negli Stati Uniti, in Inghilterra. Purtroppo, è uno zoccolo duro. Oltre quello, possono esserci soluzioni, ma la soluzione vera del risanamento non è percorribile.
Risulta assolutamente decisivo il chiarimento nell'articolo 1, comma 4, lettera b), che fa riferimento al piano. Qui è fondamentale individuare l'obiettivo, che ho esemplificato in una slide, tra risanamento soggettivo e risanamento oggettivo dell'impresa. È difficile pensare che, attraverso l'amministrazione straordinaria, l'imprenditore che governava l'impresa al termine della procedura si sia risanato, ma è un'ipotesi ben determinata. Diverso è il discorso di una riconversione e ristrutturazione, che passi attraverso interventi di terzi o cessioni.
Mi sono quindi permesso di ipotizzare una piccola modifica, che giustifica questa previsione logica che trae origine dal decreto-legge Alitalia sulla cessione, ovvero presentare un piano che possa prevedere la ristrutturazione anche tramite la cessione e l'affitto del patrimonio aziendale. Anche ai fini penalistici dell'articolo 2, è fondamentale chiarire che il risanamento soggettivo, che può quindi essere premiale ed evitare le fattispecie penali, è diverso dal risanamento oggettivo, per cui le conseguenze devono essere diverse.
Un profilo interessante che deve essere addizionato all'articolo 1 e deriva anche dalla lettura dei lavori della Commissione, è distinguere le modalità di accesso. Da qui sembrerebbe intuirsi che solo l'imprenditore possa accedere all'amministrazione
straordinaria, mentre dobbiamo garantire la possibilità di accedere all'amministrazione straordinaria anche attraverso una segnalazione dei creditori, perché magari l'imprenditore lo fa in ritardo, e invece abbiamo bisogno che la crisi emerga tempestivamente, quindi attraverso anche una sollecitazione dei creditori.
Da questo punto di vista, la Commissione ha adottato una soluzione singolare, ma che credo abbia una sua razionalità: distinguere quando l'imprenditore chiede l'immediato accesso attraverso un provvedimento del ministro da quando c'è la richiesta del creditore, con il passaggio attraverso il modello giurisdizionale.
Sembra di capire che venga scelta l'opzione del decreto Marzano e quindi dell'abbandono della fase di osservazione. In realtà, la fase di osservazione è stata forse il fiore all'occhiello del decreto legislativo n. 270, ma oggettivamente non ha dato grandi frutti. D'altronde, il periodo troppo breve e una naturale vocazione a conservare ha indotto quasi sempre a disporre l'apertura dell'amministrazione straordinaria e non del fallimento. Anche questo fiore all'occhiello può quindi essere superato.
Le ultime due osservazioni riguardano il ruolo dei creditori, che non può essere completamente diverso a seconda che l'impresa abbia 199 dipendenti o 201. L'occasionalità del dipendente in più o in meno rischia di stravolgere la tutela dei creditori: può essere diversa, ma deve esserci. Se immaginiamo un accesso immediato della procedura di amministrazione straordinaria, dovremmo immaginare che il ruolo dei creditori sopravvenga subito dopo: si sceglie la conservazione, la cessione, la ristrutturazione, ma i creditori devono poter intervenire.
L'ultima osservazione riguarda uno dei temi più caldi delle audizioni precedenti, quello dell'indotto delle piccole e medie imprese, che ruotano attorno all'impresa in amministrazione straordinaria. Credo che non possa tutelarsi la posizione di queste imprese attraverso la necessaria conservazione e prosecuzione dell'attività, perché si tratta di risorse drenate da altri creditori. Non ha quindi senso pensare che la tutela di queste imprese passi per la naturale e quasi obbligatoria prosecuzione, perché significa risorse sottratte a quelle stesse imprese che lavoravano fino al giorno prima. Credo che l'unica soluzione sia quella di un'adeguata rivisitazione delle cause di prelazione.
LUIGI FOFFANI, Professore ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Poiché l'ora è piuttosto tarda, cercherò di essere sintetico rinviando al testo scritto che invierò nei prossimi giorni con considerazioni più dettagliate.
Seguo rapidamente per punti lo schema del progetto, limitandomi all'articolo 2 per questioni di competenza, essendo un penalista. Mi soffermo sui nuovi lineamenti della disciplina penale.
La riforma della più arcaica delle discipline di settore nell'ambito del diritto penale dell'economia in Italia era da tempo attesa e rappresenta un compito che il legislatore deve assolutamente assolvere. La nuova struttura dei delitti di bancarotta fraudolenta presenta aspetti sicuramente apprezzabili. Nella bancarotta fraudolenta patrimoniale, in particolare, abbiamo una buona combinazione di due modelli, che si contendono il campo nell'ambito del panorama comparatistico nella disciplina penale fallimentare, ossia un modello di elencazione analitica di condotte finora dominante nella nostra disciplina, e il modello sintetico, la causa-azione del dissesto.
È opportuno che la bancarotta fraudolenta patrimoniale venga articolata sulla base di questi due modelli, come si legge nella lettera a) così come è opportuno che l'oggetto materiale della condotta richiami chiaramente lo scopo di tutela, cioè il soddisfacimento dei creditori.
Qui abbiamo la novità più significativa: la definizione per la prima volta di una zona di rischio penale, pur con tutte le incertezze che l'individuazione di questa zona può lasciare come anche uno spazio di discrezionalità estremamente ampio, essendo
collegata non solo allo stato di insolvenza, ma anche al concreto pericolo dell'insolvenza. Ovviamente, sarà la giurisprudenza a concretizzare questo elemento anche se sarà particolarmente problematico, ma credo che comunque sia una soluzione perfettibile, ma preferibile all'assoluta incertezza attuale, nell'ambito della quale si poteva andare alla ricerca di condotte di bancarotta risalendo all'indietro in termini assolutamente indeterminati.
Mi sembra anche opportuna l'individuazione di una zona di rischio, questa volta tassativa, nell'ambito della bancarotta fraudolenta documentale, i tre anni precedenti il provvedimento di apertura della procedura concorsuale.
Vengo ora una nota dolente, la bancarotta preferenziale, punto estremamente critico e problematico. Si capisce lo spirito che ha guidato il legislatore nella compilazione del progetto, cioè quello del coordinamento della bancarotta preferenziale con le nuove procedure di concordato preventivo e amministrazione straordinaria. Non mi sembra però che il risultato sia tale da sciogliere le ambiguità, come hanno osservato i colleghi e affermato il CSM.
Quando si parla di pagamenti indebiti o non giustificati sotto il profilo giuridico-economico, anche se è abbastanza confuso che cosa si intenda, si rischia di confondere i confini fra bancarotta preferenziale e distrazione. Queste sono condotte distrattive, dunque bisogna riformulare il necessario collegamento con le procedure di ristrutturazione del debito e stabilire - probabilmente sarebbe la formulazione preferibile - una clausola di esclusione della punibilità per i pagamenti oggettivamente preferenziali, ma posti in essere in esecuzione di un piano concordatario, di accordi di ristrutturazione o di piani di risanamento debitamente attestati secondo le procedure previste dalla legge. Sarebbe opportuno scriverlo espressamente e non lasciarlo a formulazioni ambigue come quella dell'indebito o non giustificato pagamento.
Vorrei fare un rapido appunto sul riferimento nella bancarotta fraudolenta impropria ai «soggetti che svolgono anche di fatto funzioni di amministrazione, direzione e controllo o liquidazione di società». Dubito che tale formulazione si inserisca bene nei settori dei reati societari e in tema di intermediazione finanziaria.
Per evitare equivoci, sarebbe opportuno rinviare alla formulazione dell'articolo n. 2639 del codice civile, in cui abbiamo già una definizione compiuta dell'esercizio di fatto di funzioni sociali. Questa formulazione proposta per la bancarotta impropria è più sintetica e rischia di creare ambiguità, ovvero di far presumere che si voglia sostenere qualcosa di diverso da quello che si dice nel settore dei reati societari. Credo che ovviamente non debba essere così, ma bisognerebbe opportunamente chiarirlo.
Quanto alla bancarotta societaria, ritengo opportuno che si sia proceduto a una formulazione differente da quella dell'attuale articolo 223, comma 2, n. 1, uscito dalla riforma societaria, che era forse eccessivamente restrittivo nel richiedere in ogni caso il nesso di causalità. Vi sono fattispecie di reato societario alle quali giustamente si può ricollegare un'incriminazione per bancarotta, ma senza chiedere necessariamente la causa azione del dissesto, anche l'aggravamento o l'occultamento, quindi qui mi sembra che sia da condividere la soluzione legislativa.
Nuove fattispecie delittuose sono l'esposizione di informazioni false, l'omissione di informazioni imposte dalla legge per l'apertura a procedura di concordato preventivo, al fine di potervi accedere. La previsione della punibilità di condotte fraudolente commesse nel corso di tali procedure è opportuna, ma considero necessario chiarire anche la portata effettiva di queste nuove fattispecie che si vogliono introdurre, in particolare se con questo riferimento generico si intenda anche prevedere una nuova fattispecie incriminatrice,
come considererei opportuno, per le ipotesi di falsa attestazione da parte del professionista.
In alcuni casi, potranno essere punibili a titolo di concorso, ma non necessariamente c'è una falsa informazione all'origine della procedura. Vi è spazio per condotte illecite da parte del professionista anche laddove non vi sia necessariamente una fase di informazione ab origine. Credo che questa posizione debba essere necessariamente chiarita.
Per quanto riguarda le previsioni sanzionatorie, nutro qualche perplessità. È opportuna la graduazione dei diversi limiti di pena dato il diverso disvalore delle varie fattispecie, ma mi sembra che un'alternativa inusuale e così ampia fra pena minima da 2 a 4 anni e massima da 8 a 12 lasci margini di discrezionalità troppo ampi al legislatore delegato, il quale potrebbe tanto diminuire quanto aumentare le pene attualmente previste per la bancarotta fraudolenta, scelta che necessariamente il legislatore delegante deve operare. Non può affidare al legislatore delegato la scelta se aumentare o diminuire le pene attualmente previste per la bancarotta fraudolenta, perché si tratta di una scelta troppo delicata e importante.
Vorrei rapidamente accennare al tema dei vantaggi compensativi, la lettera p). Considero opportuno riprendere la clausola relativa ai gruppi già inserita in sede di riforma penale e societaria per il nuovo delitto di infedeltà patrimoniale. La giurisprudenza è tendenzialmente restrittiva o comunque presenta alcune incertezze, ma credo che questa clausola debba essere estesa anche al settore fallimentare, anche se i vantaggi fondatamente prevedibili in una situazione di crisi di impresa possono anche rimanere meramente teorici.
Al di là di questo, sarebbe opportuno prevedere una revisione di questa clausola, che non mi ha mai pienamente convinto, in particolare con riferimento all'infedeltà patrimoniale. A mio avviso, non ha molto senso collegare i vantaggi compensativi all'ingiustizia del vantaggio dell'impresa collegata del gruppo. Un problema di compensazione qui si pone con riferimento al pregiudizio, non già al vantaggio. La formulazione di questa clausola dovrebbe essere quindi riconsiderata.
L'ultimo punto maggiormente critico è la previsione riguardante l'amministrazione straordinaria, che viene sottratta alla disciplina penale fallimentare quando non vi sia stata una conversione in fallimento o non vi sia stata falsità nei presupposti per l'ammissione alla procedura.
Ho ascoltato le parole del presidente e ne capisco lo spirito, ma non mi sembra che si sia tradotto in una felice formulazione normativa. Se si vuole che l'amministrazione straordinaria abbia una disciplina primaria ad hoc, lo si può fare benissimo e potrebbe anche essere la strada più opportuna in astratto. Si può sperimentarla. Deve essere comunque detto chiaramente e non attraverso l'ambiguità di questa formulazione, che sembra stabilire un'oasi di impunità assolutamente irrazionale e inopportuna.
Tra l'altro, mi sembra anche contraddittoria con lo stesso progetto, perché, laddove ci si preoccupa visibilmente di stabilire un coordinamento fra la bancarotta preferenziale e queste procedure, questa clausola appare inammissibile. Tra l'altro, rischierebbe di applicarsi addirittura a quelle condotte fraudolente commesse nel corso di tali procedure, delle quali in una previsione di poco antecedente si richiede l'incriminazione ad hoc. Mi sembra che questa previsione sia inaccettabile e debba essere radicalmente ripensata.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
CINZIA CAPANO. Signor presidente, vorrei porre una domanda di chiarimento. Questa delega tende all'unificazione delle due precedenti discipline ma si fa specifico richiamo alla legge n. 270 e alla legge
n. 347, che, oltre ad avere differenze dimensionali di impresa, hanno anche due opzioni diverse: la prima prevede un sindacato giurisdizionale, mentre la seconda privilegia una strada totalmente amministrativa.
Nel corso della discussione, ho recepito l'unanime preoccupazione relativa alla tutela dei creditori e all'esigenza che i creditori siano tutelati rispetto non solo ai crediti già perfezionati, ma anche alle banche e alla possibilità di innestare finanza nuova per ristrutturare l'azienda, senza la quale non è possibile ipotizzare una fuoriuscita dalla crisi.
La mia domanda è rivolta in particolare al professor Fabiani. Vorrei sapere se il modello che prevede il controllo giurisdizionale iniziale e anche quello della verifica, la possibilità di tornare al fallimento, non sia più utile alla tutela dei terzi creditori, non riconosca un luogo dove i creditori e i terzi possono far valere le loro ragioni anche relativamente a una prognosi negativa sulla possibilità di quella azienda di uscire dallo stato di decozione.
IGNAZIO ABRIGNANI. Desidero precisare che il controllo non è totalmente amministrativo, perché il magistrato interviene anche nel controllo dello stato di insolvenza. Si tratta di un controllo di tipo maggiormente amministrativo...
CINZIA CAPANO. Nella delega non si vedono questi punti.
DONATELLA FERRANTI. Approfondiremo tutti gli spunti molto interessanti che ci sono stati dati, ma vorrei chiedere un chiarimento. L'amministrazione straordinaria è uno strumento eccezionale, solo italiano, quindi unico rispetto all'Europa, in grado di produrre effetti positivi. Abbiamo avuto tre modelli e ci sono state anche sperimentazioni concrete.
Da parte sia della docenza sia di chi le ha sperimentate sul campo attraverso la giurisdizione, vorrei avere indicazioni su quale modello possa essere più adatto a porsi come momento eccezionale di risanamento, se vogliamo prescindere da quelle situazioni di insolvenza e indebitamento tale da essere paragonato a una ipotesi di fallimento, e quindi rientrare nell'intervento per un risanamento.
Il professor Fabiani evidenziava la possibilità di restringere i criteri selettori di accesso, ma non obbligatoriamente riferiti alle dimensioni dell'impresa. Questo aspetto mi interessa, perché credo che questo discorso si farà più interessante e più efficace nell'impatto sociale ed economico. Vorrei avere quindi qualche suggerimento in proposito.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
MASSIMO FABIANI, Professore ordinario di diritto processuale civile presso l'Università degli studi del Molise. Assicuro brevità assoluta. Quanto al profilo della tutela giurisdizionale come modello di accesso, da un punto di vista astratto, il modello del decreto legislativo n. 270 è sicuramente molto valido, ma nell'esperienza pratica non ha dato questo grande risultato, al di là di una buona costruzione sistematica.
Quando è l'imprenditore che lo chiede, perché altrimenti non può esserci privazione dell'impresa, se non attraverso un procedimento giurisdizionale, non mi scandalizzo della possibilità di un immediato accesso attraverso un provvedimento dell'autorità amministrativa, quando a questo immediato accesso operato, che obiettivamente può assicurare una maggiore tempestività di intervento - il noto caso della Parmalat - faccia seguito nell'immediatezza un controllo giurisdizionale. Si può quindi realizzare un compromesso, non abbandonando la tutela giurisdizionale, ma salvaguardando la possibilità di un accesso immediato.
La seconda questione riguarda l'individuazione dei criteri di accesso alla procedura. Facevo riferimento al fatto che l'amministrazione straordinaria ha un senso perché coinvolge determinati interessi pubblici, maggiori degli interessi collettivi, che normalmente ritroviamo in tutte le procedure concorsuali. Dobbiamo pensare
che ci siano interessi pubblici, oltre che collettivi. Credo quindi che si possa prevedere uno spettro applicativo non necessariamente predeterminato solo sulle dimensioni, ma che possa riguardare anche imprese di dimensioni normali, ma che operano in settori quali quello dell'energia, che necessitano di una struttura di intervento diversa da quella di altri tipi di imprese.
ALFONSO DI CARLO, Professore ordinario di economia aziendale presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. C'è un profilo che è stato adeguatamente messo in evidenza nelle nostre ricerche: grazie anche alla riforma, il fallimento ha avuto una sensibile accelerazione, nel senso che i tempi sono molto più veloci e più rapidi rispetto al passato.
Sulla ripresa dell'impresa in crisi, si devono esprimere due considerazioni. In linea concettuale, una impresa si può sempre salvare: non esiste un'impresa che è morta. È però necessario verificare quanta parte sia rimasta nell'attivo e se la parte rimasta in attivo meriti di essere salvata in relazione al passivo.
L'altro punto fondamentale è un'evidenza empirica, per cui esiste una bibliografia aziendale di riferimento. Nei processi di turn around in cui si inverte la crisi per andare verso l'equilibrio economico, una condizione di base fondamentale è il cambiamento del management. La formula imprenditoriale deve cambiare anche nelle persone che la seguono, altrimenti da questo non si viene fuori. Nelle procedure di dismissione di rami di azienda o di aziende è quindi più facile riprendere il discorso, perché, più che la proprietà, cambia il soggetto dirigente e sotto questo profilo si può pensare a un rilancio dell'impresa.
EDI RAGAGLIA, Presidente della sezione fallimentare presso il Tribunale di Ancona. Ribadiamo telegraficamente quanto già sostenuto all'inizio e ampiamente detto anche dal professor Fabiani circa la necessità di individuare l'oggetto di intervento. La diversità di procedure trova giustificazione solo nella tutela di questi interessi confliggenti, magari generali. Uno degli oggetti potrebbe essere rappresentato dai servizi pubblici essenziali.
Limitare l'oggetto è quindi uno degli elementi fondamentali.
Per quanto riguarda l'operato delle due procedure sul campo, questo è anche poco paragonabile. A parte l'esperienza della Parmalat, caso unico e di scuola, l'eccezione che forse conferma la regola e che quindi ha attribuito bontà a un certo tipo di procedura, queste non sono paragonabili perché intervengono in momenti storici in cui operano procedure completamente diverse.
A parte il caso Parmalat, la Marzano, che si è trovata a operare con la riforma del diritto fallimentare, è stata molto più veloce. Non conosco il dato concreto delle amministrazioni del Prodi-bis, ma attualmente mi trovo a gestire un Prodi-bis e quattro Marzano.
Anche se sui giornali si legge che sono state positive, la mia esperienza - non faccio nomi, ma solo cognomi - nella gestione delle quattro Marzano è che, a distanza di circa ventidue mesi dall'ammissione alla procedura di queste società, il piano non è minimamente partito. Abbiamo avuto un fermo produttivo, lavorando pochissimo, per cui l'unica tutela dell'occupazione ad oggi è stata la cassa integrazione. Adesso c'è stato l'accordo di programma, ma è necessario verificare se verrà attuato in quel modo.
Si sta cominciando a prospettare la prima cessione beni e si stanno cedendo quei beni che in una preventiva domanda di concordato preventivo da parte della società sarebbero stati già venduti, senza determinare neanche il fermo produttivo.
Mi preme sottolineare che questa particolarità è finalizzata a settori particolari, mentre dall'altra parte è sufficiente intervenire con programmi e piani all'interno dei concordati preventivi, laddove potrebbe essere introdotto, accanto alla procedura privata, un aiuto pubblico.
IGNAZIO ABRIGNANI. Mi permetto solo una chiosa finale. Obiettivamente, ipotizzare un concordato preventivo sulla Merloni mi sembra una fantasia. Capisco la difficoltà e il riferimento, giacché questa è una delle procedure più complicate d'Italia per il distretto, per il tipo di industria, per la crisi economica generale in atto.
EDI RAGAGLIA, Presidente della sezione fallimentare presso il Tribunale di Ancona. Ma io mi chiedo se ne verremo fuori. Speriamo!
PRESIDENTE. Nel ringraziare gli auditi, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,10.