Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FINANZA LOCALE
Audizione di rappresentanti della Corte dei conti:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 10 12 14
Astegiano Giancarlo, Primo referendario della Corte dei conti ... 13
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 12
Meloni Maurizio, Presidente di sezione della Corte dei conti ... 13
Paleologo Gian Giorgio, Presidente di sezione della Corte dei conti ... 3
Rubinato Simonetta (PD) ... 11
Simonetti Roberto (LNP) ... 10
ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Corte dei conti ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla finanza locale, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti. Sono presenti i presidenti Gian Giorgio Paleologo e Maurizio Meloni, i consiglieri Francesco Petronio, Enrico Flaccadoro e Cinzia Barisano e il primo referendario Giancarlo Astegiano.
Do la parola al dottor Gian Giorgio Paleologo, presidente di sezione della Corte dei conti.
GIAN GIORGIO PALEOLOGO, Presidente di sezione della Corte dei conti. Grazie, presidente. Leggerò soltanto una sintesi del documento che vi abbiamo consegnato, mentre per tutte le notizie di dettaglio non posso che richiamare il predetto documento.
I temi trattati nello schema introduttivo dell'indagine conoscitiva sono numerosi e di grande rilievo. La Corte riferisce periodicamente sugli andamenti e sulle problematiche relative alla finanza locale sia nei referti annuali resi al Parlamento sia, ove si prevedano interventi normativi riguardanti gli enti locali, nel corso delle audizioni sulle manovre finanziarie e nelle relazioni quadrimestrali sulle leggi di spesa. Si tratta di lavori che si basano sui dati relativi alle gestioni trasmesse dagli enti e sugli esiti delle analisi svolte attraverso le sezioni regionali della Corte, che sono oggi impegnate in un delicato lavoro di controllo a livello decentrato. La base informativa della Corte è naturalmente a disposizione del Parlamento per gli approfondimenti che si riterranno necessari.
In questa breve esposizione ci si limita quindi a richiamare i dati più recenti, che permettono di aggiornare il quadro tendenziale della finanza locale. Ci si sofferma sulle principali questioni attinenti ai temi dell'indagine, che emergono sia dall'esame dei conti, sia dall'attività di controllo esercitata attraverso le sezioni regionali, con un sintetico cenno ai profili evolutivi della normativa di riferimento.
Per quanto concerne la finanza locale nel 2008 e i risultati di contabilità nazionale, l'esame dei risultati delle gestioni economiche e finanziarie degli enti locali evidenzia negli ultimi esercizi un netto miglioramento del contributo da questi offerto al riequilibrio della finanza pubblica. Tale miglioramento si accompagna, tuttavia, al confermarsi di vecchi squilibri e all'emergere di crescenti criticità.
Nel biennio 2007-2008, l'ultimo per il quale si dispone di dati di consuntivo, il disavanzo delle amministrazioni locali, secondo la definizione di contabilità nazionale,
è stato contenuto in entrambi gli anni nello 0,2 per cento del PIL, se misurato al netto di un'operazione rilevante, ma meramente contabile, che ha riguardato la riclassificazione di Equitalia.
Il risultato appare nettamente più favorevole di quanto previsto nei documenti programmatici. Esso è tuttavia derivato da tendenze di fondo della spesa e delle entrate non prive di connotazioni negative. Perdurano, infatti, la dinamica sostenuta delle spese correnti al netto degli interessi e, per converso, la flessione ormai cronica delle spese per investimenti. Sul fronte delle entrate, il rallentamento delle imposte indirette, determinato dagli sgravi e dalle esenzioni approvate dal Parlamento con riferimento all'IRAP e all'ICI, è solo in parte compensato dal gettito, ancora in aumento nel biennio 2007-2008, delle addizionali sulle imposte dirette.
Le amministrazioni comunali hanno ottenuto, nel complesso, i risultati migliori in termini di saldi, ma a fronte di un'accentuazione delle modalità negative alla base del miglioramento. Il dimezzamento - rispetto al 2007 - del disavanzo dei comuni è infatti imputabile a una crescita molto sostenuta delle entrate complessive in presenza di una forte accelerazione della spesa corrente e della caduta della spesa in conto capitale. Andamenti meno positivi si riscontrano nei conti delle province, per le quali il disavanzo risulta in aumento rispetto al 2007.
I risultati emersi dalle analisi condotte dalla Corte dei conti sui rendiconti di comuni e province, di recente acquisiti nella banca dati SIRTEL, offrono un quadro in parte diverso da quello della contabilità nazionale, basato sull'andamento della gestione finanziaria di competenza. La situazione che si trae dai consuntivi per il 2008 è indicativa del rallentamento del percorso di riequilibrio della finanza degli enti locali. Il saldo tra entrate e spese correnti di competenza fa emergere sia nelle province che nei comuni la riduzione della situazione di disavanzo. Il dato negativo e in forte peggioramento del saldo economico finanziario corrente conferma per i comuni l'incapacità di finanziare con le sole entrate correnti, oltre che le correlate spese, la quota capitale dei prestiti in scadenza.
Anche i differenziali di competenza dell'esercizio 2008 (saldo tra entrate finali e spese finali al netto della riscossione e concessione di crediti) risultano in complessivo peggioramento, per effetto della sfavorevole gestione di parte corrente. Tale tendenza, riscontrata a livello nazionale, è confermata in modo pressoché uniforme in tutte le aree geografiche del Paese sia per i comuni che per le province.
Nella gestione di parte capitale riprende vigore la quota di indebitamento. A fronte del risultato finanziario di gestioni di segno negativo e in peggioramento, il dato dell'avanzo di amministrazione risulta invece sostanzialmente positivo, ma con un andamento leggermente decrescente della parte disponibile, che è quella che potrebbe sostenere nuove decisioni di spesa. I risultati della gestione, non positivi, confliggono con quelli di amministrazione, che traggono vantaggio dai discutibili criteri di rettifica e di conservazione in bilancio dei residui attivi.
Ad avviso della Corte, un maggior rigore nella contabilizzazione di tali poste attive migliorerebbe l'attendibilità dei bilanci e limiterebbe la riscontrata incoerenza. Pari attenzione dovrebbe essere riservata anche alle regole per il ricorso a nuovo indebitamento, in quanto la sola parametrazione alle mere entrate correnti non offre sufficienti garanzie di sostenibilità.
Scendendo a un'analisi delle diverse componenti, si osserva che, sul fronte delle entrate correnti, sia per le province che per i comuni, gli accertamenti di competenza risultano ancora in crescita, anche se in misura ridotta rispetto al biennio precedente. Per entrambe le categorie di enti, le entrate tributarie flettono, dopo anni di espansione, con un'inversione di tendenza che si apprezza con più evidenza per il dato riferito ai comuni.
Sia nelle province che nei comuni, l'andamento di competenza risulta sostenuto dai trasferimenti e dalle entrate extratributarie,
con un calo dei livelli di autonomia finanziaria lieve nelle Province, ma ben più sostenuto nei comuni.
L'andamento delle entrate tributarie nei comuni si manifesta in calo deciso, perdendo rilievo il ruolo trainante dei tributi propri, in quanto il gettito dell'ICI, a seguito dell'esclusione delle abitazioni principali, flette drasticamente. La flessione di competenza delle entrate tributarie comunali trova riscontro in un aumento di trasferimenti, dovuto in particolare alle compensazioni per la perdita di gettito ICI. Tale situazione, che ha comportato una flessione del livello di autonomia tributaria, dovrebbe essere superata con l'attuazione del federalismo fiscale. Sul fronte della spesa corrente, si rileva un aumento degli impegni, che nei comuni ( 3,8 per cento) risulta più elevato rispetto a quello delle province ( 3,4 per cento).
Sul piano strutturale, i bilanci degli enti locali subiscono un ulteriore irrigidimento in ragione del fatto che gli incrementi di spesa che presentano maggiore consistenza riguardano le spese per il personale e la prestazione di servizi, e cioè voci che rappresentano nei comuni circa il 75 per cento e nelle province il 66 per cento della spesa corrente.
Mentre il livello degli impegni correnti risulta in crescita, al di sopra dell'andamento del PIL nominale, la spesa per investimenti, al netto delle concessioni di credito e di anticipazioni, nei comuni risulta in moderato sviluppo. Ben diversa è la situazione delle province, nelle quali gli impegni per investimenti crescono in modo deciso.
Sul fronte delle entrate in conto capitale, cresce la quota delle entrate da indebitamento, mentre si riduce l'apporto di quelle da trasferimento e dismissioni. La ripresa del ricorso al nuovo indebitamento si verifica contestualmente a segnali di sviluppo delle iniziative di investimenti diretti, che nelle Province assumono una dimensione rilevante. Le difficoltà nell'erogazione della spesa di investimento, connesse alla disciplina del patto di stabilità interno, determinano dunque un netto scostamento tra impegni (in crescita) e pagamenti per investimenti (in calo). Vigendo le attuali limitazioni, la forbice tra impegni e pagamenti è tendenzialmente destinata a permanere.
L'analisi fin qui tratteggiata spinge quindi a guardare con maggiore attenzione e preoccupazione alle tendenze della finanza locale, soprattutto in coincidenza con l'impegnativa fase di attuazione del federalismo, in cui il processo di decentramento della spesa sarà completato da una maggiore autonomia fiscale.
La Corte dei conti ha accompagnato questo processo, che ha reso necessario un ruolo più incisivo degli strumenti di controllo della spesa a livello territoriale, anche adeguando la propria struttura e la propria attività per corrispondere ai nuovi compiti assegnati dal legislatore. La legge n. 131 del 2003, di attuazione della legge costituzionale n. 3 del 2001, ha esplicitato - nel nuovo quadro ordinamentale - le funzioni di controllo sugli andamenti generali della finanza regionale e locale ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
A integrazione e completamento di tale quadro normativo, la legge finanziaria 2006 ha incentrato il controllo sulla gestione finanziaria degli enti locali e sull'analisi dei loro bilanci preventivi e consuntivi. A tale scopo, la Corte si avvale dei dati e delle informazioni forniti - secondo criteri e linee guida che la Corte stessa annualmente definisce - mediante apposita relazione e questionari a cura degli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali.
Le verifiche effettuate dalle sezioni regionali sulla gestione finanziaria delle province e dei comuni hanno permesso di individuare sia i principali problemi che gli enti affrontano nell'ambito della loro ordinaria attività, sia le anomalie che caratterizzano la gestione di alcuni di essi. In relazione a queste ultime, le sezioni hanno indirizzato specifiche segnalazioni agli enti con delibere motivate, al fine di stimolare processi di autocorrezione da parte degli enti stessi, così come previsto dall'attuale sistema normativo.
A questo proposito, sono, però, necessarie due osservazioni. Deve, innanzitutto, essere messo in luce come ampia parte degli enti abbia accolto i rilievi delle sezioni regionali e, in base ai controlli effettuati successivamente, si sia accertato che sono stati attuati interventi correttivi, anche mutando le prassi gestionali in relazione alle successive attività. Deve essere segnalato, però, che ove l'ente non intervenga a porre rimedio alle irregolarità rilevate dalla Corte, l'attuale disciplina legislativa non prevede l'adozione di adeguate misure, neppure in caso di reiterato accertamento di anomalie nell'ambito della gestione finanziaria e di mancata adozione di interventi correttivi.
Le informazioni raccolte dalla Corte consentono, comunque, di effettuare specifiche segnalazioni al Parlamento, così da disporre di un quadro preciso in ordine alle ricadute dei provvedimenti normativi sugli enti, anche per adottare eventuali interventi correttivi.
Alla richiamata normativa generale sono seguite disposizioni specifiche intese a sottoporre a più attento esame settori critici gestionali e di spesa. La Corte ha attivato le specifiche forme di controllo via via demandate dal legislatore, definendo, in via di massima, uno schema procedimentale che, al fine di limitare l'aggravio dell'attività degli enti territoriali, tende a raccogliere i dati e le informazioni necessari allo svolgimento delle nuove attività di controllo per il tramite dei già ricordati questionari compilati dagli organi di revisione.
Il ruolo svolto dalla Corte risulta arricchito anche da un ampio esercizio della funzione consultiva, attivata con crescente frequenza dalle amministrazioni locali in base a quanto previsto dalla stessa legge n. 131 del 2003. Le indicazioni contenute nelle delibere delle sezioni regionali costituiscono uno strumento utilizzato non solo dagli enti richiedenti, ma anche da quelli che si trovano in situazioni analoghe, fornendo in questo modo un importante ausilio alle attività degli enti territoriali.
Le più recenti disposizioni (articolo 11 della legge n. 15 del 2009) hanno inteso sviluppare il carattere concreto e ravvicinato dei controlli sulle gestioni, anche per quanto riguarda il livello territoriale, prefigurando le modalità per la possibile adozione da parte degli organi di governo e amministrativi di rapidi interventi correttivi volti a prevenire o a far cessare situazioni di irregolarità e disfunzioni pregiudizievoli per la finanza pubblica.
Nella stessa linea si pongono i recenti interventi normativi volti a contrastare la crescita della spesa per il personale della pubblica amministrazione e in particolare di quella correlata alla contrattazione collettiva integrativa, coinvolgendo anche direttamente la Corte, particolarmente nel caso di accertato superamento dei vincoli finanziari, cui consegue il dovere delle amministrazioni di recupero delle eccedenze di spesa nella tornata contrattuale successiva.
A tali disposizioni si è dato pronto seguito mediante appositi indirizzi interpretativi e applicativi. L'attività delle sezioni regionali della Corte è diventata nel tempo sempre più complessa. Alcuni dati possono dare conto dello sforzo richiesto. Nel 2009, sono state emesse 4.505 pronunce sulla gestione finanziaria e contabile degli enti locali. Nel 2008, erano state 2.524. Sono stati adottati - sempre nell'anno 2009 - circa 670 pareri, 494 nel 2008.
Questa attività si è aggiunta a quella di referto sulla gestione di regioni ed enti locali (189 deliberazioni), nonché all'esame dei regolamenti in materia di conferimento di incarichi a soggetti esterni all'amministrazione (1.049 delibere).
La sintesi delle esperienze maturate sul territorio e delle analisi condotte dalle sezioni centrali ha consentito di evidenziare, da un lato, le criticità che hanno accompagnato l'ampliamento dell'autonomia degli enti territoriali e, dall'altro, i successi ma anche i limiti delle politiche per il coordinamento della finanza pubblica. Tra le problematiche rientrano le modalità di utilizzo delle esternalizzazioni e il crescente ricorso a finanziamenti esterni, con la ricerca di forme di finanziamento
in grado di garantire liquidità nel breve periodo, ad esempio, i prodotti derivati.
L'esternalizzazione di servizi e di attività da parte degli enti territoriali è stata negli ultimi anni un fenomeno in continua crescita, sospinto talvolta non solo dalla ricerca delle migliori e più efficienti formule organizzative, ma anche dallo scopo di aggirare vincoli normativi e di controllo delle spese ritenute dagli enti troppo rigidi. Da tale tendenza sono derivate distorsioni sul piano della significatività dei dati contabili e, spesso, anche un uso improprio degli strumenti in concreto adottati.
L'esternalizzazione di servizi e di attività ha assunto principalmente la forma della costituzione e partecipazione in organismi societari. Le società di capitale, censite dalla Corte nel 2009, sono passate da poco più di 2.700 nel 2005 a oltre 3.000 nel 2007 (ultimo dato al momento disponibile). A tale tendenza ha corrisposto un diffuso riscontro di perdite di esercizio direttamente incidenti, attraverso il risultato della gestione operativa, sugli squilibri di bilancio degli enti locali. Lo studio condotto dalla Corte nel 2008 sulle risultanze dei questionari relativi all'esercizio 2005, riferiti a tutte le partecipazioni societarie delle province e dei comuni, ha messo in evidenza risultati di esercizio in perdita nel 37,4 per cento dei casi rilevati.
I controlli svolti dalla Corte attraverso le proprie sezioni regionali sono stati mirati a evidenziare anche il ricorso improprio alle esternalizzazioni. Le analisi svolte hanno posto in rilievo come ciò sia avvenuto, in alcuni casi, per ampliare la capacità di spesa corrente almeno nel breve termine, per aggirare i limiti di indebitamento o eludere gli altri obblighi di legge stabiliti sia in ambito comunitario che nazionale relativamente al tema della concorrenza, alle regole di affidamento in house, al rispetto della disciplina prevista dal patto di stabilità, ai vincoli di spesa riferiti al personale.
Tra le operazioni con tali caratteristiche sono da menzionare quelle che prevedono il ricorso a partecipazioni finanziarie e a organismi che, pur avendo peculiarità formali e strutturali non compatibili con caratteristiche tipicamente commerciali, vengono comunque «piegati» a un utilizzo di tipo sostanzialmente societario.
Si sta, ad esempio, diffondendo negli enti il ricorso a fondazioni che, non dotate di sufficiente patrimonio, di frequente generano perdite, esito incongruo per tali organismi. Queste devono poi essere naturalmente ripianate. La tendenza a trasformare l'ente locale da erogatore di servizi a soggetto regolatore, che opera come holding (o attraverso holding), modifica radicalmente il quadro di riferimento. Ciò - a sua volta - richiederebbe la sollecita attuazione di interventi correttivi, anche in attuazione di recenti disposizioni della legge n. 196 del 2009.
Si richiama, in particolare: la necessità che, per garantire effettività al controllo sotto il profilo qualitativo, quantitativo, finanziario e contabile, si eviti la concentrazione nel medesimo soggetto pubblico delle funzioni di regolatore e azionista; l'esigenza di pervenire a sistemi di consolidamento dei documenti contabili dell'ente locale, che, se non integrati quantomeno da un piano di conti unico, non danno una visione completa e trasparente della gestione; l'opportunità che sia previsto un sistema di governance in grado di orientare le decisioni verso opzioni determinate dal rispetto dei princìpi di legalità, buon andamento, trasparenza e pubblicità, che governano l'azione delle pubbliche amministrazioni.
L'esame dei dati relativi all'ammontare del debito di ciascun ente, alla sua evoluzione nel corso degli anni e al rapporto con le entrate, ha permesso di evidenziare le principali questioni relative all'indebitamento e, più in generale, alla sua gestione da parte degli enti territoriali. In relazione alla verifica dell'andamento dell'indebitamento, particolare attenzione è dedicata dalla Corte alla gestione di tesoreria degli enti, che è elemento estremamente significativo per l'analisi della complessiva situazione finanziaria.
Più frequente è - al riguardo - il caso degli enti che, contravvenendo al divieto di
cui all'articolo 222 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, hanno utilizzato in via continuativa, per tutto l'esercizio, o anche per più anni, elevati importi a titolo di anticipazione di tesoreria. Dalle analisi compiute in relazione a queste situazioni, si è anche visto che si tratta di enti che, generalmente, presentano squilibri gestionali, che, se non modificati, possono condurre al dissesto e comunque alla formazione di fatto di un debito occulto.
Un altro aspetto significativo, preso in esame soprattutto nell'ultimo anno, è quello dell'eventuale utilizzo del debito nell'anno successivo a quello del mancato rispetto del patto di stabilità interno, in violazione dell'articolo 76 del decreto-legge n. 112 del 2008, che ha reintrodotto alcune limitazioni amministrative in capo agli enti che non osservano una disciplina vincolistica.
Se è dato riscontrare una generale osservanza del divieto, almeno dal punto di vista formale, va, tuttavia, segnalato come alcuni enti puntino a eludere lo stesso, utilizzando impropriamente alcuni strumenti contrattuali o gestionali di per sé leciti e ammessi dall'ordinamento, e come agli stessi ricorrano anche altri enti, al fine di rispettare, sempre dal punto di vista formale, la disciplina del patto di stabilità interno.
Dagli accertamenti compiuti, gli strumenti contrattuali e gli istituti che sembrano prestarsi maggiormente a queste finalità, che risultano adottati in concreto da alcuni enti, sono, principalmente, il leasing immobiliare per la realizzazione di opere pubbliche, il project financing e i procedimenti di valorizzazione dei beni immobili degli enti territoriali. Al riguardo, è necessario precisare preliminarmente che si tratta di strumenti previsti dall'ordinamento, il cui utilizzo è sicuramente lecito, in linea generale. I problemi si pongono quando si ricorre ad essi con finalità elusiva della disciplina relativa all'indebitamento, ovvero del rispetto del patto di stabilità.
Il leasing immobiliare per la realizzazione di opere pubbliche costituisce un'opportunità di coinvolgimento di capitali privati, sempre che vengano mantenute ferme le caratteristiche essenziali del contratto, che la realizzazione riguardi un'opera suscettibile di proprietà privata e che l'ente pubblico abbia la facoltà e non l'obbligo di riscattare il bene al termine del contratto. Qualora non ricorrano queste caratteristiche e, di fatto, l'ente sia tenuto a riscattare il bene, al di là della qualificazione giuridica, si è in presenza di un'operazione di finanziamento, che rientra a tutti gli effetti nell'ambito del debito dell'ente territoriale interessato. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli interventi normativi diretti a favorire operazioni di valorizzazione di beni immobiliari anche degli enti territoriali. Al riguardo, basti pensare alla previsione di carattere generale contenuta nell'articolo 58 del decreto-legge n.
112 del 2008.
A seguito delle attività di verifica, è emerso come alcuni enti abbiano posto in essere operazioni triangolari con società partecipate, con la finalità esclusiva di reperire risorse finanziarie, senza giungere a un'effettiva vendita del patrimonio. In alcuni casi, le società partecipate sono ricorse all'indebitamento per acquisire i beni immobili e versare il corrispettivo agli enti di riferimento. Se si tiene conto che gli enti locali hanno rilasciato fideiussione per garantire il mutuo concesso dagli istituti di credito alle società partecipate, ci si rende conto di come in questi casi si sia in presenza non di effettive operazioni di valorizzazione del patrimonio, ma di attività destinate a ottenere risorse da parte di enti che, presumibilmente, non potevano ricorrere al debito.
In relazione alla gestione del debito, uno dei principali strumenti utilizzati in questi anni dagli enti territoriali è stato il ricorso a operazioni di finanza derivata. In attesa che venga emanato il regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, previsto dall'articolo 62 del decreto-legge n. 112 del 2008, come riformulato dall'articolo 3, comma 1, della legge finanziaria per il 2009, la Corte ha proseguito nel
monitoraggio e nella verifica delle operazioni concluse negli anni scorsi dagli enti territoriali.
Rimandando alle analisi contenute nella memoria depositata dalla Corte nel corso dell'audizione svoltasi il 18 febbraio 2009, dinanzi alla VI Commissione permanente del Senato, è opportuno rilevare che in costanza del divieto normativo di concludere nuove operazioni e di procedere a rinegoziazione di quelle in essere, numerosi enti hanno approfittato dell'andamento più favorevole dei mercati finanziari per addivenire alla chiusura dei contratti.
L'ultima parte della relazione è dedicata al patto di stabilità interno. A un decennio dalla sua introduzione, il patto di stabilità interno, strumento attraverso il quale le autonomie territoriali vengono chiamate a concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, non sembra aver ancora raggiunto la sua forma definitiva. Sottoposto a periodiche revisioni, ha sempre esaurito i suoi effetti nell'ambito nella manovra finanziaria annuale.
Anche per il 2009, le modifiche disposte dal decreto legge n. 112 del 2008, pur mirando a graduare gli obiettivi sulla base di differenti livelli di «virtuosità» degli enti (determinati dalla combinazione di due variabili, il rispetto del patto 2007 e un saldo di «competenza mista» positivo) non hanno consentito di pervenire a un assetto stabile. Si sono resi necessari molteplici aggiustamenti, al fine di porre rimedio alle persistenti disfunzioni nell'allocazione delle risorse (accumulo di avanzi di cassa) nonché alle forti tensioni sui pagamenti per la spesa in conto capitale, oltre che all'emergere di alcune problematiche specifiche (rilevanti processi di dismissione immobiliare e così via).
Le misure adottate per meglio calibrare gli obiettivi del patto, per riqualificare la spesa e dare maggiore impulso agli investimenti, sembrano aver avuto, finora, effetti piuttosto limitati rispetto alle aspettative. Gli investimenti, in particolare, non hanno mostrato segnali di ripresa.
Alla luce delle analisi svolte dalla Corte, anche le modifiche introdotte nel 2009 per contrastare i principali effetti distorsivi potrebbero avere un impatto inferiore alle attese. È il caso del meccanismo previsto dal decreto-legge n. 5 del 2009 e di quello introdotto dal decreto-legge n. 78 del 2009. Nel primo caso, gli effetti sono limitati in ragione sia dei requisiti soggettivi di virtuosità richiesti per poter accedere alla misura, sia, soprattutto, dal delimitato margine per le regioni di concedere spazio agli investimenti locali, assicurando al tempo stesso il rispetto del proprio obiettivo di patto.
Inferiore alle attese, almeno in termini di impulso alle spese in conto capitale, potrebbe rivelarsi anche la modifica introdotta dall'articolo 9-bis del citato decreto-legge n. 78 del 2009, che consente di escludere dalle spese finali rilevanti per il patto i pagamenti in conto capitale seguiti fino al 31 dicembre 2009 nei limiti di un ammontare pari al 4 per cento della massa di residui totali di spesa per investimenti rendicontati nel 2007.
A livello aggregato, l'alleggerimento dei vincoli è rilevante: esso è stato quantificato in un importo (2.200 milioni) superiore alla manovra correttiva richiesta al comparto dei comuni per il 2009 (1.650 milioni). Il rilievo a livello dei singoli enti risulta comunque molto differenziato.
Il riferimento al solo rispetto del patto 2008 fa sì che il provvedimento rappresenti un alleggerimento del contributo a carico degli enti e non una forma di incentivo per quelle amministrazioni che presentano gestioni più virtuose. La considerazione del volume complessivo dei residui non consente, infatti, di distinguere le amministrazioni per le quali residui elevati segnalino buone capacità di investimento e una positiva propensione alla spesa produttiva da quelle che presentino una notevole mole di residui passivi a ragione di inefficienze gestionali.
Anche i primi dati relativi all'esercizio che si è chiuso sembrano confermare tali timori. Se nel primo semestre 2009 la spesa in conto capitale aveva dato segnali di ripresa, crescendo del 13 per cento
rispetto allo stesso periodo dell'esercizio precedente, i primi dati di consuntivo dell'anno 2009 sembrano indicare una sostanziale invarianza rispetto al già contenuto risultato del 2008.
Il permanere di condizioni di incertezza sui contenuti del patto, oltre a incidere negativamente sulla gestione delle amministrazioni locali, rischia di alimentare ulteriori distorsioni, assecondando un progressivo calo della dotazione infrastrutturale o incidendo sugli equilibri economico-finanziari degli enti. È pertanto indispensabile pervenire a una formulazione organica e stabile delle regole di coordinamento, rafforzandone la credibilità e consentendone una piena collocazione nell'ambito della programmazione territoriale.
Nella costruzione del nuovo sistema si dovrà considerare, innanzitutto, che l'esperienza maturata nel primo decennio di vita del patto mette in evidenza le difficoltà di prevedere un meccanismo in grado di tener conto delle differenti caratteristiche di un universo di riferimento molto ampio (oltre 2.400 enti), con caratteristiche gestionali e strutturali molto differenziate. Le recenti esperienze di gestione del patto a livello regionale potrebbero costituire una preziosa base di riferimento. Una gestione del patto su scala territoriale consentirebbe di ridurre la rigidità del sistema e di ottimizzare la ripartizione delle quote di indebitamento tra amministrazioni locali.
La legge n. 42 del 2009, di delega al Governo in materia di federalismo fiscale, conferma questo ruolo regionale. Andrebbe, poi, rafforzato, rispetto a quello contenuto nel Testo unico, il riferimento al limite di indebitamento degli enti territoriali, confermando l'impostazione già assunta per il 2010 con il decreto-legge n. 112 del 2008, che ha introdotto tra le norme del patto un tasso di riferimento per la dinamica del debito. Anche sotto questo aspetto, oltre che per una effettiva leggibilità dei risultati gestionali nei documenti contabili degli enti, andrebbero celermente attuate le disposizioni contenute nella legge n. 42 del 2009, che prevedono forme di consolidamento dei dati degli enti con quelli delle società controllate.
Come nel caso dell'utilizzo di strumenti finanziari, si tratterebbe di introdurre regole stringenti riguardo alle informazioni da rendere disponibili per una valutazione della spesa e dell'indebitamento effettivo degli enti. La definizione di un sistema organico dovrebbe infine accompagnarsi all'individuazione di meccanismi sanzionatori e premiali adeguati. Negli ultimi anni, la stratificazione di interventi derogatori e di emergenza ha determinato un affievolimento dell'efficacia dei meccanismi sanzionatori, penalizzando la credibilità dell'intero sistema del patto e mettendo in crisi il principio generale di responsabilizzazione finanziaria di cui all'articolo 2 della legge n. 42 del 2009. Per sviluppi, esempi e dati si rinvia alla nota depositata. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, la nota è stata messa in distribuzione, e i relativi allegati forniscono ulteriori elementi di valutazione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, in primo luogo all'onorevole Simonetti, che è anche presidente di provincia.
ROBERTO SIMONETTI. Grazie presidente, le province vanno peggio di altri enti, poiché c'è poca autonomia finanziaria per gli enti locali di secondo grado quali le province. I comuni hanno maggiori possibilità, a parte adesso il trasferimento dell'ICI prima casa, che dava la possibilità di intervento. L'ICI comunque rimane, come anche i tributi diretti e gli oneri di urbanizzazione. Le province rimangono vincolate a tre filoni: l'IPT, l'imposta sull'assicurazione per la responsabilità civile e l'addizionale ENEL, che tutte le province hanno già al massimo, e, purtroppo, la congiuntura fa sì che le mancate immatricolazioni causino minori entrate.
L'IRPEF che viene incassata in misura maggiore viene purtroppo compensata con
un minor trasferimento e c'è una totale ingessatura delle entrate correnti da parte degli enti locali e delle province. È chiaro, dunque, che viene meno la spesa di investimento, perché o si sceglie di pagare solo gli stipendi e di demandare a terzi l'attività amministrativa delle province o si concede spazio economico agli amministratori affinché svolgano il loro mandato. Purtroppo, quindi, viene a mancare una serie di investimenti, che in alcune parti producono problematiche talvolta anche per spese correnti. Alcune sentenze della sezione della Corte dei conti dell'Umbria limitano l'utilizzo dei proventi derivanti da mutui per interventi che possono essere considerati straordinarietà ma, vista questa sentenza, creano problemi agli enti locali quali «scarifiche» e asfaltature delle strade. Se infatti anche queste non possono più essere pagate con mutui, la provincia non serve a niente, perché non ha
più soldi per attuare nessun tipo di politica di gestione territoriale.
La vostra relazione certifica - a mio avviso - la necessità di cambiare radicalmente il sistema tributario, il sistema delle entrate degli enti locali, perché in questa situazione le province non riescono più a lavorare.
Non per fare una polemica elettorale relativa all'attuazione del federalismo fiscale, ma evidenzio come, essendo presidente della provincia di Biella dall'agosto dello scorso anno, chiuderò l'esercizio con meno 1 milione di euro. Sto infatti redigendo il bilancio preventivo, che non riesco a chiudere proprio perché le entrate non consentono alcuna azione. Riusciamo solo a pareggiare con le spese obbligatorie, a pagare gli stipendi e i mutui accesi. Di discrezionale non vi è nulla e per quanto riguarda gli investimenti, se l'accensione dei mutui sarà sempre più limitata da parte della sezione della Corte dei conti, la provincia sarà considerata un semplice pagatore di stipendi degli amministratori e dei dipendenti, priva di una forte azione politica sul territorio. Volevo testimoniare un'esperienza personale e tangibile dell'attuale situazione degli enti locali.
SIMONETTA RUBINATO. Considero molto utile questa relazione, che ci dà un inquadramento di tipo generale sulla situazione della finanza locale.
Vorrei ricordare come tra i princìpi fondamentali della nostra Costituzione si annoveri il riconoscimento espresso del valore delle autonomie locali, non semplicemente nella seconda parte della Costituzione che concerne l'organizzazione della Repubblica. Mettere in condizione le autonomie locali di fare la loro parte, come richiesto dalla Costituzione, significa - da un lato - fare in modo che queste abbiano le risorse necessarie per conseguire con efficienza ed economicità gli obiettivi che l'ordinamento assegna loro e, dall'altro - trattandosi di enti politici a tutti gli effetti, quindi con finalità generali nel nostro ordinamento - di poter rispondere ai loro bisogni, permettendo loro di perseguire uno sviluppo locale.
Tutto questo è scritto nel nostro splendido ordinamento della Repubblica, ma la vostra relazione certifica, con grande autorevolezza, l'esistenza di un problema sul fronte delle entrate, come ribadito anche da un rappresentante della maggioranza. Questo è dovuto al fatto che la sperequazione tra enti in questo Paese è stata più volte oggetto di analisi e anche di risposte normative, sempre però sospese e mai portate a pratica efficacia. Le norme del 1992, che sono state sospese, prevedevano, ad esempio, meccanismi di riequilibrio - all'interno del comparto - per quanto riguarda i trasferimenti dello Stato.
Oggi, si deve certificare che anche gli enti locali virtuosi (è difficile stabilire in questo Paese il significato del termine «virtuosi», anche per voi della Corte, penso) che non hanno mai creato disavanzi e che hanno cercato di spendere quello che avevano, rispondendo con efficienza ai bisogni delle comunità locali, siano in estrema difficoltà.
Le norme vengono scritte, modificate e riscritte nel tentativo - mi auguro - di migliorare la situazione, ma il risultato è assolutamente peggiorativo. Non ci sono fasi di sperimentazione della legislazione, verifica dei dati ed eventualmente correzioni,
ma c'è un continuo affastellarsi di normative sull'impellenza e sulla necessità di correggere meccanismi assolutamente mortificatori dell'autonomia locale. È allarmante, infatti, constatare come si mortifichino gli enti che si comportano bene. Anche il meccanismo di premialità - creato da ultimo dal legislatore - non offre alcuna garanzia di centrare l'obiettivo di premiare chi si comporta bene e di punire chi si comporta male.
Le dinamiche di controllo della spesa, puniscono, bloccano la spesa per investimenti, i tentativi di legge di allargare la possibilità di spesa, allargano - in realtà - la capacità di spesa di enti, che - territorialmente collocati - hanno una spesa corrente molto elevata, laddove si dovrebbe tenere sotto controllo la spesa relativa al personale in rapporto alla popolazione, che non viene mai toccata in questi provvedimenti quasi fosse un parametro che non incide, mentre gli enti nei quali la spesa relativa al personale è bassa - in rapporto alla spesa complessiva e alla popolazione - vengono puniti con vincoli maggiori alla spesa per investimenti.
A prescindere dai Governi, quindi, si assiste al fallimento di un patto di stabilità che dovrebbe portare alla concorrenza della finanza locale e al risanamento della finanza pubblica, contributo che peraltro c'è stato, sebbene mal distribuito e mal premiato.
Come abbiamo rilevato, sin dalla fine del 2008, il modo peggiore per affrontare una crisi economica - come quella che stiamo ancora vivendo - consiste nel bloccare gli investimenti dei comuni e delle province, che in realtà sono fermi, al di là dei dati che avete portato. Conosco la situazione di alcuni enti locali della provincia da cui provengo: un ente locale che aveva una media di investimenti annuale di circa 10 milioni di euro, oggi si attesta su 2 milioni di euro per il contenimento dei pagamenti; un ente locale che aveva una spesa per investimenti media annuale di 3 milioni di euro, oggi si attesta su 700.000 euro di investimenti l'anno, con l'assoluta impossibilità anche solo di manutentare il patrimonio stradale, gli edifici pubblici, le scuole e quanto è indispensabile per funzioni fondamentali.
Appare, quindi, necessario realizzare urgentemente, oltre che l'attuazione del federalismo fiscale - che può essere un'occasione di riequilibrio nella distribuzione delle risorse e di responsabilità, oltre che di aumento dell'autonomia, tenendo presente che attualmente gli enti locali hanno il totale blocco della loro autonomia tributaria (e per il legislatore italiano è una fortuna che i comuni non possano adire direttamente la Corte costituzionale) - il cambiamento serio delle regole, non sulla base di pressioni localistiche, corporativistiche o politiche.
Sarà opportuno prevedere una fase di sperimentazione per verificare e correggere tali regole ed eventualmente riconoscere che, quando esse sono sbagliate, le sanzioni sono doppiamente sbagliate. È inaccettabile che comuni e province virtuosi siano esclusi da una lista che premia chi invece - come voi avete rilevato - è in situazione pressoché di dissesto, che viene ripianato da trasferimenti aggiuntivi dello Stato. Non è questo il modo per mettere ordine nella nostra finanza locale e per far funzionare il Paese.
Vi ringrazio e vi chiedo di fornirci suggerimenti rispetto alla costruzione del patto di stabilità, ai meccanismi premiali e a ulteriori criteri su cui il Parlamento potrebbe lavorare per realizzare un miglioramento, collaborando anche con il Governo.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Ringrazio l'onorevole Rubinato, che ha dimostrato grande attenzione alla nostra relazione. In questa abbiamo tratteggiato alcuni dei possibili interventi che riteniamo utili per ridisegnare il patto. Abbiamo indicato le esperienze di questo anno, esperienze limitate, perché si tratta dell'esperienza lombarda, dell'inizio di quella piemontese, del blocco di quella toscana per l'impossibilità di
trovare risorse aggiuntive, primi tentativi che a noi sembrano muovere in una direzione utile per giungere a una soluzione strutturale per il patto.
Abbiamo evidenziato che il patto dovrebbe far parte della programmazione regionale, non essere di ostacolo a una programmazione per le amministrazioni. In un Paese con 2.400 realtà diverse, che vivono fasi diversificate, il riferimento adottato in passato a medie triennali - relativamente significative - o a un unico anno - per individuare gli obiettivi di contributo degli enti al patto - si rivelano meccanismi generali che, non tenendo conto delle differenze, non possono essere alla base di un nuovo disegno. Dall'esperienza del passato è necessario trarre questo insegnamento e l'impulso a individuare meccanismi che consentano di corrispondere a necessità obiettive della finanza pubblica, che vive momenti complessi a causa dell'andamento congiunturale. Occorre, quindi, rispettare il patto, mantenendo, però, flessibilità per arrivare a forme di gestione a livello territoriale.
Probabilmente - non abbiamo una posizione della Corte, quindi lo affermo da persona che segue questi temi - proposte come quella formulata dall'ANCI di semplificare, di andare su un obiettivo di debito e di pareggio di spesa corrente - come metodi di semplificazione - potrebbero trovare una soluzione più facile a livello territoriale, limitando la spesa di investimento attraverso un meccanismo di tetto all'indebitamento, non di controllo sui pagamenti della spesa. Questa rappresenta, però, non la posizione della Corte, ma la valutazione di chi segue da dieci anni questi meccanismi.
Per quanto riguarda gli altri aspetti, se non si passa rapidamente a una omogeneizzazione e a un consolidamento delle società partecipate all'interno del bilancio degli enti locali, qualunque soluzione sul patto si scontrerà sempre con una disomogeneità di strutture fra gli enti, che renderà difficile non solo la nostra attività di controllo, ma, soprattutto, agli operatori stessi individuare un meccanismo di riparto dell'onere chiesto agli enti quale contributo al Patto di stabilità e crescita europeo, che sia equo e distribuito in maniera coerente con le possibilità degli enti.
Diviene, quindi, fondamentale passare rapidamente a una scrittura delle norme previste dalla legge n. 42 del 2009 e corrette dalla nuova legge di contabilità, per individuare soluzioni che consentano di ridare regole più stabili al bilancio degli enti locali, che sta perdendo significato e leggibilità.
MAURIZIO MELONI, Presidente di sezione della Corte dei conti. Nel rapporto di ausiliarietà della Corte con il Parlamento, queste audizioni - nella V Commissione bilancio - rappresentano occasioni preziose. Le considerazioni del consigliere Flaccadoro hanno già dato risposta alle domande poste dell'onorevole Rubinato. Proprio in questo rapporto di ausiliarietà, che con modestia suggerisce al Parlamento la costruzione di un nuovo sistema, abbiamo evidenziato la situazione così variegata di 2400 enti interessati, con caratteristiche gestionali e strutturali molto differenziate, pensando che si debba andare verso il superamento di quel meccanismo generale che non è stato in grado di tener conto di tali differenti caratteristiche.
Il consigliere Flaccadoro sottolineava l'esigenza che il patto entri in un discorso di programmazione, evitando di calarsi con forza formale più che sostanziale. Questo è il suggerimento formulato dalla Corte in questo rapporto di ausiliarietà con il Parlamento, anche per la costruzione di un nuovo sistema. Auspichiamo che la legge n. 42 del 2009 porti risultati maturi, laddove nella costruzione del sistema questi suggerimenti della Corte potranno avere significato.
GIANCARLO ASTEGIANO, Primo referendario della Corte dei conti. Vorrei avanzare una integrazione alle considerazioni espresse dall'onorevole Simonetti, che, nel rilevare le questioni sulle spese di investimento, ha toccato uno dei nodi più importanti, che nella memoria depositata
abbiamo brevemente tratteggiato. Nel momento in cui la norma costituzionale impone l'utilizzo dell'indebitamento solamente per spese di investimento, diventa decisivo stabilire cosa s'intenda come spesa di investimento. Abbiamo le norme varate dal Parlamento negli anni scorsi, ma non si può decidere tutto.
Il grosso problema che abbiamo rilevato nella verifica quotidiana dei bilanci dei vari enti è la distinzione tra spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria. Per ciò che da un punto di vista economico rientra nella manutenzione straordinaria si può ricorrere al debito, perché trattasi di spesa di investimento, ma non per la manutenzione ordinaria.
La mia esperienza riguarda la Lombardia, ove un comune ha utilizzato un mutuo per tinteggiare la scuola. È evidente che i muri di una scuola debbano essere tinteggiati: è, però, necessario capire se questa tipologia di spesa sia ammessa, modificando previsioni di carattere generale o prevedendo l'applicazione di categorie per chi deve verificare. Questa esigenza dovrebbe essere risolta a monte dal legislatore.
PRESIDENTE. Sì, adesso appare necessario riscrivere i princìpi contabili della contabilità pubblica.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato).
Nel ringraziare i rappresentanti della Corte dei conti, che sempre collaborano con noi nell'approfondimento dei temi oggi affrontati, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,30.
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