Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FINANZA LOCALE
Seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
ALLEGATO: Documento conclusivo approvato dalla Commissione ... 5
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,25.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla finanza locale, il seguito dell'esame del documento conclusivo.
La proposta di documento conclusivo presentata nella seduta del 21 settembre scorso è stata integrata inserendo due capoversi nel paragrafo relativo alle osservazioni conclusive, al fine di recepire le proposte di modifica formulate dall'onorevole Ciccanti. Il testo così modificato è in distribuzione.
Non essendovi richieste di intervento, pongo in votazione la proposta di documento conclusivo nel testo modificato (vedi allegato).
(È approvata).
La Commissione ha approvato il documento conclusivo all'unanimità dei deputati presenti.
Dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle 14,30.
Introduzione: il programma e gli obiettivi dell'indagine.
La V Commissione ha ritenuto necessario svolgere un'indagine conoscitiva sulla finanza locale al fine di valutare le criticità emerse nelle ultime legislature soprattutto in ragione della situazione di stallo del processo di superamento della natura derivata della finanza locale e di riconoscimento agli enti locali di entrate proprie di natura tributaria. Nel corso dell'indagine tale processo ha peraltro registrato una brusca accelerazione ad opera della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, nonché della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di contabilità e di finanza pubblica.
Sul processo di riconoscimento dell'autonomia finanziaria degli enti locali, avviato dal legislatore ordinario nel 1992 e riaffermato al livello costituzionale con la riscrittura dell'articolo 119 della Costituzione, operata nel quadro della riforma costituzionale del 2001, ha inoltre inciso l'intervenuta abolizione dell'ICI sull'abitazione principale, attuata nella presente legislatura, dopo che nella precedente era stato prevista una detrazione fiscale parziale del relativo importo, che ha fatto venir meno uno dei pilastri del sistema impositivo comunale. Neanche la riforma del Patto di stabilità interno, anch'essa avviata nella scorsa legislatura e proseguita nell'attuale, ha garantito agli enti locali quella effettiva maggiore autonomia finanziaria richiesta dal dettato costituzionale.
I due provvedimenti legislativi prima richiamati hanno ora mutato radicalmente il quadro e rendono opportuno focalizzare su di essi l'attenzione di tutti i soggetti istituzionali ed in particolare del Parlamento, chiamato a svolgere un ruolo di primo piano nell'attuazione dei medesimi.
In questo quadro, la V Commissione, nel predisporre il programma dell'indagine conoscitiva, ha ritenuto opportuno che con la stessa fossero approfondite alcune tematiche particolarmente rilevanti connesse alla finanza locale, quali, in primo luogo, la valutazione dei trasferimenti erariali corrisposti agli enti locali - con riferimento alla relativa classe dimensionale, all'area geografica di appartenenza e ad alcuni indicatori significativi della situazione economico-sociale - nonché l'analisi dell'effettiva gestione economica e finanziaria degli enti locali, anche al fine di valutare l'adeguatezza dei controlli previsti nell'ordinamento.
Inoltre, la V Commissione ha ritenuto di approfondire, per la loro rilevanza, le tematiche concernenti il Patto di stabilità interno, analizzando in particolare gli effetti della mancata stabilizzazione dello stesso - a distanza di un decennio dalla sua istituzione - ed i problemi emersi anche dopo la scelta, intervenuta nel 2007, di un sistema basato sui saldi di bilancio.
Ulteriori aspetti qualificanti dell'indagine sono stati individuati nella necessità di approfondire sia il fenomeno dell'indebitamento degli enti locali sia il processo di esternalizzazione e di conseguente trasferimento delle funzioni dagli enti locali a società esterne.
Si è, inoltre, ritenuto opportuno svolgere un esame dei profili di armonizzazione e di coordinamento della finanza locale con la finanza statale e regionale,
anche nella prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale.
È, infine, apparso opportuno svolgere anche un'analisi di tipo comparato dei sistemi di finanza locale e delle relative forme di controllo in Francia, Germania e Regno Unito, al fine di acquisire ulteriori elementi di valutazione alla luce delle esperienze maturate nei principali Paesi europei.
L'indagine è stata deliberata il 28 gennaio 2009, individuando come data di conclusione il mese di novembre dello stesso anno, poi prorogata al 31 luglio 2010.
Nell'ambito dell'indagine, la V Commissione ha svolto un articolato ciclo di audizioni, che hanno avuto inizio nel novembre 2009 e si sono concluse nel mese di maggio 2010, nel corso delle quali sono intervenuti:
nella seduta del 4 novembre 2009, il dottor Giancarlo Verde, direttore generale della Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno;
nella seduta del 20 gennaio 2010, i rappresentanti della Corte dei conti, e in particolare, i presidenti Gian Giorgio Paleologo e Maurizio Meloni, i consiglieri Francesco Petronio, Enrico Flaccadoro e Cinzia Barisano e il primo referendario Giancarlo Astegiano;
nelle sedute del 28 gennaio 2010 e dell'11 febbraio 2010, il dottor Edoardo Grisolia, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria generale dello Stato;
nella seduta del 4 febbraio 2010, i rappresentanti dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), e in particolare: il presidente, Sergio Chiamparino; i due vicepresidenti, Osvaldo Napoli e Roberto Reggi, sindaci rispettivamente di Valgioie e di Piacenza; Alessandro Cosimi, sindaco di Livorno; Maurizio Leo, assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma; Angelo Rughetti, segretario generale, e i funzionari Silvia Scozzese, Pasquina Petrelli e Valerio Matteo. Nella stessa seduta sono intervenuti anche i rappresentanza dell'Unione delle province d'Italia (UPI), e in particolare: Dario Galli, presidente della provincia di Varese e responsabile per il federalismo fiscale e la finanza provinciale dell'UPI; Antonio Rosati, assessore alle politiche finanziarie e di bilancio della provincia di Roma e coordinatore degli assessori provinciali al bilancio; Piero Antonelli, direttore generale, e i funzionari Luisa Gottardi e Barbara Perluigi;
nella seduta del 10 febbraio 2010, la professoressa Fabrizia Lapecorella, direttore generale delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze;
nella seduta antimeridiana del 14 aprile 2010, il professor Luca Antonini, presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale;
nella seduta pomeridiana del 14 aprile 2010, Lidia D'Alessio, professore ordinario di economica aziendale presso l'Università degli studi Roma Tre, e Stefano Pozzoli, professore ordinario di ragioneria generale presso l'Università degli studi Napoli Parthenope;
nella seduta del 21 aprile 2010, il dottor Domenico Mastroianni, capo dell'Ispettorato generale di finanza della Ragioneria generale dello Stato, e Luca Anselmi, professore ordinario di economia aziendale presso l'Università di Pisa;
nella seduta del 12 maggio 2010, Gérard Terrien, Segretario generale aggiunto della Corte dei conti francese.
Nel corso dell'indagine, infine, è stato acquisito attraverso le rispettive ambasciate un documento relativo ai modelli di finanza locale presenti in Germania e in Gran Bretagna.
1. Finanza locale e finanza pubblica.
1.1 Il Patto di stabilità interno.
L'esigenza di coinvolgere le amministrazioni locali nel perseguimento degli
obiettivi di finanza pubblica derivanti dai vincoli europei ha motivato, a decorrere dalla legge finanziaria per il 1999, l'introduzione di regole fiscali specifiche, differenziate per le regioni e gli enti locali, codificate nel cosiddetto Patto di stabilità interno. Tali regole, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, hanno subito frequenti modifiche nel corso del tempo e sono attualmente definite, salvo alcune limitate modifiche successivamente intervenute, con riferimento al triennio 2009-2011, dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazione, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Per gli enti locali l'ambito applicativo del Patto di stabilità interno è limitato agli enti di maggiori dimensioni (le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti). Il vincolo è riferito al saldo finanziario, definito secondo il criterio della cosiddetta competenza mista (ovvero con vincoli posti in termini di competenza giuridica sulla spesa corrente e in termini di cassa sulla spesa in conto capitale), allo scopo di approssimare il saldo contabile applicato per il Patto di stabilità interno a quello rilevante in sede europea ai fini del Patto di stabilità e crescita. Gli enti in disavanzo sono tenuti a ridurre progressivamente il deficit, mentre agli enti in avanzo sono consentiti margini di peggioramento, secondo parametri prefissati. È prevista la possibilità per le regioni di «adattare» le regole per gli enti locali, fermo restando l'obiettivo determinato complessivamente per il
proprio territorio. Accanto a misure di carattere sanzionatorio per il mancato rispetto degli obiettivi del Patto, soggette peraltro a numerose deroghe, sono previste misure premiali, correlate a determinati parametri di «virtuosità». Le misure premiali sono state oggetto di alcuni rilievi critici, emersi anche nel corso dell'indagine in esame, in quanto sono risultati assegnatari di premi alcuni enti in stato di dissesto e non altri enti in equilibrio di bilancio, nonostante la loro posizione di sottodotazione nei trasferimenti (Grisolia, audizione del 28 gennaio, pag. 5, e audizione dell'11 febbraio, pagg. 9 e 11; ANCI e UPI, pagg. 15, 22 e 25). Il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recante la manovra correttiva di finanza pubblica per il periodo 2010-2013, ha pertanto previsto la temporanea disapplicazione, per l'esercizio 2010, del predetto meccanismo premiale, a copertura della parziale
proroga a tale esercizio di una misura, già prevista per il 2009, volta a consentire maggiori spazi per l'utilizzo dei residui in conto capitale.
In tale quadro, fra le altre regole di finanza pubblica previste per gli enti locali appaiono in particolare significative le misure finalizzate al contenimento della dinamica dello stock di debito e al contenimento dei prelievi sui conti della tesoreria statale e la sospensione per il triennio 2009-2011, ovvero fino all'attuazione del federalismo fiscale, del potere di utilizzo della leva fiscale locale (cioè del potere di aumentare le imposte locali).
1.2 Le principali problematiche emerse in sede di gestione del Patto di stabilità interno.
Nella prima fase successiva alla sua introduzione (dal 1999 al 2005), il Patto di stabilità interno si è rivelato scarsamente efficace, nonostante il suo rispetto da parte della quasi totalità degli enti ad esso soggetti, fondamentalmente a motivo del carattere parziale delle voci di bilancio soggette a vincolo.
A partire dal 2006, l'efficacia del Patto è risultata via via più stringente (Corte dei conti pag. 38), sia a causa della progressiva stratificazione delle manovre restrittive, il cui carattere cumulativo ha progressivamente eroso i margini di manovra degli enti, sia a causa dell'aumento, considerevole soprattutto a decorrere dal 2007, delle poste di bilancio soggette a vincolo. Ciò ha ridotto sensibilmente la possibilità degli enti locali di avvalersi di escape clauses, imponendo un effettivo contenimento della dinamica del deficit, i cui effetti si sono registrati anche nei dati di contabilità nazionale. Tuttavia, pur contribuendo negli
ultimi anni al contenimento degli andamenti della finanza pubblica locale, l'applicazione del Patto ha determinato alcuni effetti distorsivi, di seguito riassunti.
Al Patto è stata innanzitutto affidata la gestione di più obiettivi di finanza pubblica, fra cui:
il risanamento dei bilanci degli enti in deficit;
il concorso di tutti gli enti alla realizzazione delle manovre di finanza pubblica;
il contenimento della pressione fiscale.
Tale ultimo obiettivo ha motivato la scelta di concentrare, per alcuni anni, le regole del Patto esclusivamente sul lato della spesa. La successiva estensione di tali regole al saldo di bilancio degli enti, accompagnata dal contestuale divieto di utilizzo della leva fiscale, fa sì che il vincolo continui a gravare, sostanzialmente, sul lato della spesa.
All'eccesso di obiettivi posti a carico del Patto di stabilità interno - essenzialmente idoneo, in quanto regola di bilancio, a perseguire unicamente il primo dei predetti obiettivi - possono ricondursi i seguenti effetti:
il carattere stringente dei coefficienti del Patto, conseguente all'obiettivo della manovra, e il contestuale congelamento dell'uso della leva fiscale, hanno determinato una forte compressione della spesa per investimenti degli enti locali: quest'ultima, per il suo carattere discrezionale, è risultata di fatto la componente di spesa maggiormente penalizzata dal vincolo (Corte dei conti pag. 10 e ss. e pag. 39; ANCI e UPI pag. 6);
dal momento che il Patto di stabilità interno è formulato in termini di competenza mista, si è determinata una forte compressione dei pagamenti della spesa per investimenti. Non essendo i corrispondenti impegni soggetti a vincoli specifici, ciò ha concorso in maniera determinante all'incremento dei residui di conto capitale (Grisolia, 28 gennaio 2010, pag. 3). Al fine di limitare tale fenomeno, oltre alle disposizioni riguardanti il parziale sblocco dei residui, è stata introdotta una norma che consente ai funzionari l'adozione di atti di impegno solo a condizione che possa essere garantito il pagamento in base alla programmazione dei flussi finanziari (Grisolia 28 gennaio 2010, p. 4);
l'utilizzo del Patto allo scopo di ottenere il concorso alla manovra da parte di tutti gli enti di maggiori dimensioni, inclusi quelli con i conti già in equilibrio, ha determinato la progressiva emersione di posizioni di avanzo da parte dei comuni, con effetti negativi sia sul fronte dell'efficiente allocazione delle risorse, che su quello della tenuta del vincolo nel lungo periodo (ANCI e UPI, pag. 3). Per ovviare, parzialmente, a tale inconveniente, sono state introdotte alcune disposizioni miranti, da un lato, a consentire limitati margini di peggioramento dei saldi agli enti che nel 2007 esponevano posizioni di avanzo, dall'altro a introdurre principi di flessibilizzazione del Patto a livello regionale, la cui effettiva implementazione ha avuto finora portata contenuta (Corte dei Conti pagg. 9 e 43, Grisolia, 28 gennaio 2010, pag. 5, ANCI e UPI pag. 23).
Le scelte operate con il decreto-legge n. 78 del 2010 sembrano in una qualche misura prendere atto dell'eccesso di obiettivi finora perseguiti mediante i vincoli sul bilancio previsti dal Patto di stabilità interno. In questo caso, infatti, il concorso alla manovra delle amministrazioni locali è ottenuto mediante uno strumento diverso, quello del taglio dei trasferimenti, senza apportare sostanziali modifiche alla disciplina vincolistica sui bilanci già prevista dal vigente Patto di stabilità interno, prevedendo quindi obiettivi finanziari ancora più rigorosi. Un'ulteriore restrizione dei predetti vincoli, a parità di trasferimenti, avrebbe infatti incrementato ulteriormente l'emersione di avanzi di amministrazione.
Contestualmente allo strumento del taglio dei trasferimenti, il Governo ha inoltre
utilizzato lo strumento della revisione dell'assetto proprietario del patrimonio immobiliare dello Stato, mediante l'adozione, nell'esercizio della prima delle deleghe previste dalla legge n. 42 del 2009, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, riguardante l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio. Tale provvedimento destina in via prioritaria gli incassi da alienazione dei cespiti all'ammortamento del debito, sia dello Stato (per una quota pari al 25 per cento degli incassi), sia delle amministrazioni locali; queste ultime possono utilizzare la parte eventualmente restante per spese di investimento. In un contesto di forte riduzione delle risorse disponibili, conseguente al taglio dei trasferimenti, le predette risorse, computabili ai fini degli obiettivi del Patto di stabilità interno, potrebbero aiutare gli enti a conseguire i previsti obiettivi di saldo (Antonini, 14 aprile 2010, pag. 12).
Ulteriori profili problematici appaiono intrinsecamente connessi alla struttura stessa del Patto di stabilità interno, la quale, formulando gli obiettivi in termini differenziali rispetto ai risultati conseguiti in esercizi pregressi, piuttosto che con riferimento a valori ottimali verso cui tendere progressivamente, produce inevitabilmente un effetto di trascinamento delle distorsioni connesse alla diversa base di partenza dei diversi enti.
Tale formulazione tende infatti a penalizzare le amministrazioni più efficienti che, avendo ottenuto in passato buoni risultati di bilancio, si vedono vincolate a conseguire risultati comparativamente migliori rispetto ad amministrazioni meno efficienti, il cui obiettivo finanziario risente di una base di partenza meno virtuosa (Grisolia, 11 febbraio 2010, pag. 7; Corte dei conti, pag. 11).
Emerge, inoltre, l'esigenza di non penalizzare eccessivamente gli enti locali che nell'esercizio preso a base di riferimento per il calcolo degli obiettivi abbiano eventualmente registrato entrate di carattere straordinario, imponendo loro il conseguimento di obiettivi di saldo commisurati a quelli conseguiti in passato solo grazie ad entrate non riproducibili negli anni successivi (Grisolia, 11 febbraio 2010, pag. 5; ANCI e UPI, pagg. 6 e 18).
Per far fronte a tale esigenza sono state, da ultimo, seguite due strade: quella dell'esclusione delle predette entrate straordinarie dalla base di calcolo, e quella della ridefinizione della base di riferimento per il calcolo degli obiettivi su un arco di tempo più ampio rispetto al solo esercizio in cui si sono registrate le entrate di carattere straordinario (Grisolia, 11 febbraio 2010, pag. 4).
La presenza di diverse basi di partenza cui commisurare i vincoli, ha reso necessaria, per ogni anno di vigenza del Patto, l'introduzione di deroghe finalizzate a limitare l'effetto penalizzante delle norme per taluni enti o gruppi di enti. La continua previsione di deroghe, oltre a presentare a sua volta profili critici per il diseguale trattamento dei casi oggetto di deroga rispetto agli altri, rende necessaria una valutazione dell'incidenza dei relativi effetti finanziari e, laddove si registri una riduzione dei risparmi attesi, di provvedere altresì all'individuazione di forme compensative idonee.
Ulteriori aspetti problematici sono riconducibili ad una pluralità di fattori, fra cui, in primo luogo, la notevole diversità nelle dimensioni degli enti soggetti al medesimo vincolo. Si segnala in particolare l'esigenza di contemperare i vincoli di finanza pubblica con la necessaria flessibilità volta a consentire, in particolare per gli enti di media dimensione soggetti al Patto, compensazioni sia in termini geografici (come in parte attuato mediante l'introduzione di principi di flessibilizzazione del Patto a livello regionale), sia in termini temporali (mediante la definizione dell'obiettivo di bilancio su un arco temporale pluriennale, consentendo variazioni compensative fra più esercizi). Per le entità territoriali di medie dimensioni, infatti, le spese di investimento non presentano un andamento uniforme nel tempo, ma determinano picchi che possono risultare incompatibili con un vincolo di pareggio riferito al singolo esercizio.
In merito agli enti e alle amministrazioni non soggetti a vincolo, emerge, da un lato, l'esigenza di coinvolgere nelle procedure di controllo degli andamenti di finanza pubblica i comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti, che rappresentano circa il 15 per cento della spesa complessiva; dall'altro l'esigenza di estendere il controllo pubblico a soggetti privati, facenti sostanzialmente capo, per proprietà societaria o per rapporti contrattuali, ad amministrazioni locali, al fine di evitare forme di esternalizzazione che presentino un rischio eccessivo di ricadute sulla finanza pubblica (Corte dei conti, 20 gennaio 2010, pagg. 13 e 31 e seguenti; Antonini, 14 aprile 2010, pag. 4).
Tali esigenze sembrano essere alla base di alcune disposizioni del citato decreto-legge n. 78 del 2010 che prevedono l'esercizio obbligatorio in forma congiunta di alcune funzioni degli enti di piccole dimensioni, nonché l'estensione di talune misure di controllo della spesa agli enti e alle società facenti capo, sotto il profilo sostanziale, a pubbliche amministrazioni.
1.3 Il concorso degli enti locali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
La crisi economica che ha colpito le economie avanzate già nel 2008 ha fortemente condizionato il quadro della finanza pubblica. Secondo i dati forniti dall'ISTAT nel comunicato del 28 giugno 2010, ricostruttivo degli andamenti della finanza pubblica nel 2009, in Italia il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche mostra un peggioramento dell'incidenza dell'indebitamento netto sul PIL, quasi raddoppiata nel 2009 rispetto all'anno precedente, passando dal 2,7 al 5,3 per cento (era l'1,5 per cento nel 2007). In valore assoluto, l'indebitamento risulta pari a 80.800 milioni di euro, con un incremento di 38.225 milioni rispetto al 2008.
Analizzando l'andamento dei conti economici delle amministrazioni locali nel 2009, i dati che emergono mostrano un andamento migliore rispetto a quello nazionale. L'indebitamento delle amministrazioni locali, secondo la definizione di contabilità nazionale la quale include anche le regioni, risulta sostanzialmente stabile nel triennio 2007-2009 e contenuto in media nell'ordine dello 0,27 per cento del PIL. L'esame dei risultati delle gestioni economiche e finanziarie degli enti locali svolto dalla Corte dei conti con riferimento agli anni 2007 e 2008 evidenzia un netto miglioramento del contributo da questi offerto al riequilibrio della finanza pubblica, più rilevante di quanto previsto nei documenti programmatici, da attribuire anche alla stabilità delle entrate degli enti locali, nel cui ambito si è sensibilmente accresciuta la quota dei trasferimenti pubblici.
|
|
|
|
|
|
|
PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI |
-48.572 | -61.432 | -49.403 | -23.191 | -42.575 | -80.800 |
per cento del PIL | -3,5 | -4,3 | -3,3 | -1,5 | -2,7 | -5,3 |
AMMINISTRAZIONI LOCALI |
-13.638 | -11.916 | -14.659 | -1.954 | -5.083 | -5.418 |
per cento del PIL | -0,98 | -0,83 | -0,99 | -0,13 | -0,32 | -0,36 |
PIL | 1.391.530 | 1.429.479 | 1.485.377 | 1.546.177 | 1.567.851 | 1.520.870 |
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT, Conti ed aggregati economici delle Amministrazioni pubbliche - Anni 1980-2009 (28 giugno 2010)
Per l'anno 2010, il concorso degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica risulta particolarmente significativo dal punto di vista quantitativo, richiedendosi un miglioramento aggiuntivo dei saldi, rispetto agli obiettivi previsti per il 2009 (1.650 milioni), di ulteriori 1.250 milioni, in termini di indebitamento netto.
Per fare fronte agli effetti della crisi economica, gli obiettivi originariamente prefissati per l'anno 2009 sono stati tuttavia ridimensionati. Da un obiettivo inizialmente prefissato in 1.650 milioni di euro in termini di indebitamento netto, la manovra dell'estate del 2009 ha riconosciuto agli enti locali una misura di alleggerimento, riconoscendo la facoltà di escludere dal Patto i pagamenti in conto capitale per un importo pari al 4 per cento dei residui passivi in conto capitale rilevati al 31 dicembre 2007, equivalente a 2.250 milioni di euro. Rispetto ai 1.650 milioni di euro, ovvero al concorso chiesto inizialmente, il settore ha pertanto beneficiato, di fatto, per il 2009, di una manovra espansiva, giudicata comunque dall'ANCI non idonea a bilanciare i vincoli derivanti dal Patto, pari a 600 milioni di euro, risultante dalla differenza tra i predetti pagamenti non considerati dal Patto, pari a 2.250 milioni di euro, e il valore dell'obiettivo inizialmente
previsto pari a 1.650 milioni di euro (Grisolia, 28 gennaio 2010, pag. 3 e, Chiamparino 4 febbraio 2010, pagg. 23-24).
Tale misura si è resa necessaria in considerazione della difficoltà per gli enti locali, a causa delle regole del Patto, di effettuare investimenti pubblici, ivi inclusi i pagamenti riferiti ad impegni regolarmente assunti negli anni precedenti, per il finanziamento di opere già progettate o per il proseguimento di lavori già iniziati, e ciò nonostante gli enti avessero a disposizione le occorrenti risorse finanziarie. I dati relativi agli investimenti fissi hanno evidenziato, infatti, nel 2008, una riduzione del 5 per cento rispetto ai valori del 2007.
Per quanto stringenti, gli obiettivi del Patto di stabilità interno risultano infatti rispettati dalla gran parte degli enti locali che vi sono assoggettati: secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato (Grisolia, 28 gennaio 2010, pag. 9), sia nel 2007 che nel 2008, il comparto ha prodotto risultati finanziari superiori alle attese. Nel 2007, su 2.059 enti locali assoggettati al Patto, 256 non avevano raggiunto l'obiettivo, pari ad un'incidenza percentuale del 12,4 per cento; nel 2008, i risultati sono stati migliori: su 2.045 enti, soltanto 109 non hanno conseguito l'obiettivo, con un'incidenza del 5,3 per cento.
Riguardo ai comuni, è stato in particolare evidenziato (ANCI, pag. 2) come, nonostante la debolezza ciclica e la frenata consequenziale del risanamento dei conti pubblici nazionali, si registri un apporto fortemente positivo dato da tale livello di governo al contenimento dei saldi. Rispetto al peggioramento del deficit della PA osservato nel 2008, pari a quasi 20 miliardi di euro rispetto al 2007, il deficit dei comuni si è ridotto di oltre 1,2 miliardi di euro. Per il 2009, alla stima di ulteriore deterioramento del saldo della PA di circa 35 miliardi di euro, si contrappone un miglioramento del saldo dei comuni di circa 300 milioni di euro. Il dato confermerebbe un trend di lungo periodo che, nel periodo 2004-2008, ha determinato un miglioramento del saldo di bilancio dei comuni di oltre 2,5 miliardi di euro rispetto al 2008, quasi la metà del miglioramento complessivo registrato dall'intera Pubblica amministrazione nello
stesso periodo, che è pari a 5,6 miliardi di euro. Dalle cifre riportate risulta evidente che il contributo al contenimento del disavanzo di bilancio offerto dai Comuni è stato maggiore rispetto al peso relativo che il bilancio del comparto ha sul totale delle amministrazioni pubbliche, pari al 4,8 per cento, se si considera l'incidenza sulle entrate, e al 9,2 per cento, se si confrontano le uscite al netto degli interessi.
CONTO ECONOMICO CONSOLIDATO P.A |
|
|
|
|
|
|
ENTRATE COMPLESSIVE | 619.227 | 631.967 | 680.997 | 724.416 | 732.061 | 718.054 |
USCITE COMPLESSIVE | 667.799 | 693.399 | 730.400 | 747.607 | 774.636 | 798.854 |
INDEBITAMENTO NETTO | -48.572 | -61.432 | -49.403 | -23.191 | -42.575 | -80.800 |
CONTO ECONOMICO DEI COMUNI |
|
|
|
|
|
|
ENTRATE COMPLESSIVE | 58.143 | 58.339 | 61.905 | 62.685 | 65.772 | 68.380 |
USCITE COMPLESSIVE | 61.832 | 61.311 | 63.055 | 64.426 | 66.943 | 68.699 |
INDEBITAMENTO NETTO | -3.689 | -2.972 | -1.150 | -1.741 | -1.171 | -319 |
CONTO ECONOMICO DELLE PROVINCE |
|
|
|
|
|
|
ENTRATE COMPLESSIVE | 10.018 | 10.621 | 11.284 | 12.264 | 12.092 | 12.225 |
USCITE COMPLESSIVE | 11.986 | 12.078 | 12.579 | 12.803 | 13.241 | 12.840 |
INDEBITAMENTO NETTO | -1.968 | -1.457 | -1.295 | -539 | -1.149 | -615 |
Fonte: ISTAT, Conti ed aggregati economici delle Amministrazioni pubbliche - Anni 1980-2009 (28 giugno 2010).
A determinare l'andamento virtuoso della finanza comunale rispetto agli altri livelli di governo, ha contribuito essenzialmente il controllo della spesa. Nel quinquennio 2004-2009, la spesa è aumentata in ogni comparto della Pubblica amministrazione, in rapporto al PIL, di 1,2 punti percentuali, ad eccezione delle amministrazioni regionali (al netto della spese relative alla sanità) e comunali, dove invece si è registrata, in entrambi i casi, una frenata di 2 decimi della spesa complessiva. Tale riduzione della spesa dei comuni, a pressione fiscale invariata, è frutto dell'andamento contrapposto della spesa corrente, cresciuta nello stesso periodo di un decimo, e di quella in conto capitale, che invece si è ridotta di 3 decimi di PIL. Complessivamente, dunque, nel confronto con gli altri livelli di governo e con il totale della PA i comuni si confermano un settore allineato al conseguimento degli obiettivi di risanamento dei conti
pubblici il quale per raggiungere questi risultati, ha tuttavia dovuto sacrificare una cospicua parte della spesa per investimenti, giacché il solo contenimento della spesa corrente non avrebbe garantito il raggiungimento degli obiettivi richiesti.
Sebbene si registri un contributo assai significativo della finanza locale alla salvaguardia degli equilibri di bilancio a livello nazionale, è stato sottolineato come esso sia determinato da tendenze di fondo della spesa non prive di connotazioni negative (Corte dei conti, pag. 4). I risultati relativi agli anni 2007-2008, riportati dalla Corte dei conti, mettono in luce che le spese correnti in conto competenza, pur manifestando un certo rallentamento, continuano a crescere in media del 3,7 per cento, mentre si accentua il calo delle spese in conto capitale, ridottasi nel complesso del 2,4 per cento. Se si scompone
il dato aggregato per meglio valutare i comportamenti dei diversi centri di spesa (Regioni, province e comuni), si osserva che le amministrazioni comunali hanno ottenuto, nel complesso, i risultati migliori in termini di saldi, ma a fronte di una accentuazione delle modalità negative alla base del miglioramento dei saldi. Il dimezzamento - rispetto al 2007 - del disavanzo dei comuni è, infatti, da imputare ad una crescita molto sostenuta delle entrate complessive, in presenza di una forte accelerazione della spesa corrente e della caduta della spesa in conto capitale. Andamenti meno positivi si riscontrano nei conti delle province, per le quali il disavanzo risulta in aumento rispetto al 2007.
|
|
|
PROVINCE | ||
Entrate totali | 12.399 | 12.840 |
Spese totali | 12.608 | 13.339 |
di cui: spese correnti spese conto capitale |
8.454 3.512 |
8.738 3.985 |
COMUNI | ||
Entrate totali | 52.958 | 54.123 |
Spese totali | 53.285 | 54.975 |
di cui: spese correnti spese conto capitale |
36.832 13.717 |
38.231 13.858 |
Fonte Corte dei Conti, Relazione sui primi esiti dell'esame dei rendiconti di comuni e province per l'anno 2008 (31 marzo 2010).
Il quadro della finanza locale che emerge dalle analisi sui rendiconti di comuni e province (attraverso la banca dati SIRTEL) risulta dunque, in parte, diverso da quello della contabilità nazionale (Corte dei conti, pag. 4). In particolare, dai consuntivi 2008 risulta un rallentamento del percorso di riequilibrio della finanza degli enti locali. Il saldo tra entrate e spese correnti di competenza fa emergere, sia nelle province che nei comuni, la riduzione della situazione di avanzo. Il dato, per i comuni, conferma l'incapacità di finanziare con le sole entrate correnti, oltre che le correlate spese, la quota capitale dei prestiti in scadenza. Questa tendenza è pressoché presente in tutte le aree del Paese.
Pertanto, come sottolineato dalla Corte dei conti (Paleologo, pag. 3), l'ampio adempimento degli enti locali agli obiettivi imposti dal Patto e il pieno raggiungimento del risultato complessivo da parte del comparto non devono indurre ad una valutazione positiva senza riserve del risultato raggiunto nel 2008. I risultati emersi dalle recenti analisi condotte dalla Corte dei conti sui rendiconti delle amministrazioni comunali e provinciali evidenziano infatti le distorsioni indotte dall'esigenza di rispettare i vincoli imposti dal Patto di stabilità interno. In particolare, l'obiettivo del Patto risulta centrato, nella generalità dei casi, attraverso correzioni decisamente non soddisfacenti delle tendenze strutturali della spesa, perdurando, come accennato, una dinamica sostenuta delle spese correnti al netto degli interessi e, di contro, manifestandosi una flessione, ormai cronica, delle spese per investimenti.
2. Il quadro di riferimento della finanza locale.
2.1 Struttura dei bilanci e trasferimenti statali
Sul piano strutturale, i bilanci degli enti locali hanno subito un forte irrigidimento in ragione di incrementi di spesa concentrati su voci - le spese per il
personale e per la prestazione di servizi - che rappresentano, nei comuni, circa il 75 per cento e, nelle province, il 66 per cento del totale delle spese correnti.
Per ciò che concerne la spesa per investimenti, dal punto di vista degli impegni, essa risulta, sia nei comuni sia nelle province, in moderato sviluppo. Le difficoltà nell'erogazione della spesa di investimento, connesse alla disciplina del Patto di stabilità interno, hanno determinano, tuttavia, un netto scostamento tra impegni (in crescita) e pagamenti per investimenti (in calo). Vigendo le attuali limitazioni, la forbice è tendenzialmente destinata a permanere.
Sul fronte delle entrate correnti, sia per le province che per i comuni, gli accertamenti di competenza risultano ancora in crescita, anche se in misura ridotta rispetto al biennio precedente. Ma sia nelle province che nei comuni l'andamento di competenza risulta sostenuto dai trasferimenti e dalle entrate extratributarie, con un calo del livello di autonomia finanziaria lieve nelle province, ma ben più sostenuto nei comuni. La reintroduzione del blocco della leva fiscale e, per i comuni, l'esclusione dall'ICI delle unità immobiliari adibite ad abitazione principale, hanno determinato un'inversione della direzione di sviluppo delle entrate tributarie.
Nella valutazione del dato relativo ai trasferimenti per l'anno 2008 e, segnatamente, di quelli dallo Stato, che hanno avuto un peso determinante nel segnalato incremento, è opportuno considerare che, ad una sostanziale invarianza del contributo ordinario (che anzi ha subito decurtazioni, quali la quota stimata dei risparmi sui «costi della politica»), così come del contributo consolidato e perequativo (ove spettante), fa riscontro un elevato incremento degli altri contributi di carattere generale, per effetto dei trasferimenti compensativi dei minori introiti ICI riferiti all'abitazione principale. Una puntuale analisi dei trasferimenti erariali attualmente corrisposti a comuni e province, che assumono particolare rilevanza alla vigilia dell'attuazione del federalismo fiscale, è stata effettuata dal Ministero dell'interno (Verde, pag. 3 e ss.). Nel complesso, i trasferimenti dello Stato agli enti locali sono risultati sostanzialmente stabili
da alcuni anni, sebbene si sia modificata e moltiplicata la tipologia dei contributi, ed ammontano attualmente a circa 16 miliardi di euro.
|
|
|
|
|
|
||
CAP. |
|
||||||
1316 | Fondo ordinario | 2.516 | 2.926 | 6.786 | 4.659 | 6.911 | 7.035 |
1317 | Fondo perequativo | 922 | 922 | 953 | 998 | 998 | 998 |
1318 | Fondo consolidato | 1.436 | 1.416 | 2.412 | 2.480 | 2.450 | 2.480 |
1320 | Compartecipazione all'IRPEF | 6.600 | 6.600 | 1.263 | 1.263 | 1.046 | 1.116 |
1321 | Trasferimenti compensativi minori introiti ICI | - | - | 904 | 2.604 | 4.280 | |
1322 | Trasferimenti compensativi minori introiti a titolo di addizionale comunale | - | - | 1 | 25 | 37 | |
TOTALE | 11.474 | 10.594 | 11.414 | 10.305 | 14.034 | 15.946 | |
CAP. |
|
||||||
7232 | Fondo sviluppo investimenti comuni e province | 1.492 | 1.276 | 1.128 | 2.493 | 863 | 864 |
7233 | Fondo sviluppo investimenti comunità montane | 15 | 16 | 16 | 15 | 15 | 15 |
7236 | Fondo nazionale ordinario investimenti | - | 50 | 50 | 72 | 72 | - |
TOTALE | 1.507 | 1.342 | 1.194 | 2.580 | 950 | 879 | |
TOTALE PARTE CORRENTE E CONTO CAPITALE | 12.981 | 11.936 | 12.608 | 12.885 | 14.984 | 16.825 |
Fonte: Bilancio di previsione dello Stato per i relativi esercizi finanziari.
Le spettanze, che in passato si definivano ad inizio di anno e mutavano nel corso dello stesso solo in dipendenza di nuove disposizioni normative, da circa un decennio sono diventate invece provvisorie, in quanto si modificano frequentemente durante l'anno in relazione alle numerose attività certificative cui gli enti sono stati assoggettati. Molte somme sono infatti dovute agli enti come «rimborso di minori entrate» (minore ICI sui fabbricati D, rimborso ICI sull'abitazione principale, modifiche all'ICI «rurale», taglio dei costi della politica). Per un verso, quindi, si sono nuovamente moltiplicati i contributi erariali, dall'altro è intervenuto un meccanismo particolare di recupero di somme nei confronti degli enti locali, ovvero di attribuzione di risorse in ragione di attestazioni fornite dagli enti stessi. Appaiono quindi sostanzialmente cambiate le modalità di gestione della finanza locale e questo si riverbera sulla
certezza dei bilanci, sui loro equilibri, determinando talvolta difficoltà e rigidità nell'azione degli enti locali. In sintesi, ad inizio d'anno, tenendo conto della legislazione vigente e di eventuali novità apportate dalla legge finanziaria, si fissa il quadro complessivo dei trasferimenti che saranno assegnati, mentre, in corso d'esercizio e con il concludersi delle diverse attività di certificazione, vengono a definirsi le ulteriori contribuzioni o la misura dei recuperi.
Va in particolare ricordato come la legge finanziaria per l'anno 2008 abbia disposto un taglio dei trasferimenti di 313 milioni di euro (251 per il comparto comuni), al fine di indurre gli enti locali a realizzare risparmi per quanto riguarda i costi della politica. Limitatamente al 2008, il fondo è stato reintegrato di 100 milioni (80 per il comparto comuni), consolidando il taglio di 251 milioni di euro per gli anni successivi. Come per la precedente disposizione sui fabbricati ex rurali, la decurtazione effettuata risulta di gran lunga superiore al risparmio effettivamente conseguito dai comuni, che, in base alle certificazioni prodotte, ammonta a 25 milioni di euro. Ad oggi risultano mancanti quindi 146 milioni per il 2008 e 226 milioni dall'anno 2009. A questa riduzione, va sommata quella prevista dalla legge finanziaria per il 2010 che, per gli anni 2010-2012, dispone un taglio complessivo di 216 milioni per tutti i comuni in cui è previsto il rinnovo del
consiglio.
La situazione descritta è destinata tuttavia ad essere superata a seguito dell'adozione dei decreti legislativi che daranno attuazione al federalismo fiscale, ferma restando la necessità di non considerare a tal fine, in sede di definizione della dotazione finanziaria degli enti locali, i tagli operati con il decreto-legge n. 78 del 2010. In proposito, deve infatti ricordarsi che l'articolo 11 della legge n. 42 del 2009 dispone la soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle spese degli enti locali (comuni, province, città metropolitane) e la loro sostituzione con risorse fiscali. Non si provvederà tuttavia alla soppressione dei trasferimenti aventi la natura di «contributi speciali», vale a dire diretti a finanziare, congiuntamente ai finanziamenti dell'Unione europea e ai cofinanziamenti nazionali, gli interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo. 119, quinto comma, della Costituzione,
che sono oggetto di apposita delega legislativa. Conseguentemente, l'8 giugno 2010, la Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (di seguito COPAFF) ha presentato una «Prima relazione sui trasferimenti agli enti territoriali», nella quale è stata fornita una prima quantificazione dei trasferimenti statali e regionali agli enti locali da considerare ai fini della «fiscalizzazione», ossia da sostituire con entrate proprie. In particolare, per i comuni, i trasferimenti cosiddetti permanenti e generali da parte del Ministero dell'interno che possono ritenersi da fiscalizzare ammontano complessivamente a circa 14 miliardi di euro, mentre quelli diretti alle province sono pari a 1,3 miliardi.
Con riguardo al tema delle entrate degli enti locali, è stato ricordato (ANCI pagg. 31-34) come dal 2007 una serie di novità riguardanti le entrate comunali abbiano determinato una significativa riduzione delle entrate proprie e dei trasferimenti erariali, e sia stato inoltre disposto il
blocco delle aliquote dei tributi locali fino alla completa attuazione del federalismo fiscale (decreto-legge n. 93 del 2008 e decreto-legge n. 112 del 2008). Al riguardo, è stato in particolare ricordato come il decreto-legge n. 93 del 2008 abbia generalizzato l'abolizione del pagamento dell'imposta Comunale sugli immobili ICI a valere sull'abitazione principale, compensando il minore gettito con trasferimenti statali. L'ANCI ha contestato da subito l'insufficienza della copertura stanziata con il suddetto decreto-legge n. 93, pari a 2.604 milioni di euro, dichiarando che l'obiettivo da perseguire doveva essere il totale ristoro ai comuni del mancato gettito ICI. A seguito delle certificazioni inviate dagli enti, che indicavano come il minore gettito ammontasse a 3 miliardi e 364 milioni di euro, il Ministero dell'economia e delle finanze ha effettuata una verifica in esito alla quale, prima con il decreto-legge n. 154 del 2008 e quindi con la legge finanziaria per il
2010, il trasferimento compensativo è stato elevato a 3.020 milioni di euro; mentre, a decorrere dall'anno 2009 si è provveduto alla totale compensazione del minore gettito. L'ANCI ha peraltro rilevato come non sia stata considerata la dinamicità dell'imposta (da stime dell'Agenzia del territorio la base imponibile ha infatti un andamento annuo crescente pari al 3,8 per cento).
Nel corso delle audizioni è stato altresì segnalato il disagio dei comuni, emerso solo di recente, dovuto alla perdita di gettito ICI in dipendenza della riclassificazione catastale degli immobili classificati nel gruppo D (Leo, pag. 45). Le modalità di rimborso dei minori introiti, a partire dal 1998, sono state oggetto di numerosi provvedimenti legislativi che hanno tuttavia recepito solo in parte le richieste dei comuni a riguardo.
Con riferimento al tema delle entrate degli enti locali, sono state tra l'altro affrontate le questioni relative alla definizione della tariffa di igiene ambientale (TIA) ed alla tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2009, la quale ha chiarito che la tariffa è un tributo ad ogni effetto, dovendosi quindi applicare tutte le regole proprie del diritto tributario (Leo, pag. 45). Ciò pone innanzitutto il problema di come affrontare il pregresso, a partire dal rimborso degli importi IVA versati dagli utenti finali. Sul punto, è di recente intervenuto l'articolo 14, comma 33, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale, con una disposizione di interpretazione autentica, ha escluso la natura tributaria della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, rimettendo la decisione su eventuali controversie all'autorità giudiziaria ordinaria.
Per quanto riguarda le entrate delle province, è stato considerato come tali enti abbiano una fiscalità propria, legata in maniera quasi esclusiva al mondo dell'automobile. In questi ultimi anni, peraltro, la profonda crisi del mercato dell'auto e alcuni mutamenti nelle abitudini degli automobilisti (pagamenti mensili e telematici che possono sfuggire ai controlli), hanno influito negativamente sulle entrate provinciali. In particolare, nello scorso anno, si è registrata una riduzione del 12 per cento degli introiti legati all'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi (RC auto) e una riduzione 13 per cento delle entrate derivanti dall'imposta provinciale di trascrizione (IPT). È stato tra l'altro rilevato come le Province si limitino a ricevere quota parte di un'imposta ma si trovino nell'impossibilità di effettuare ogni forma di verifica o semplicemente un'indagine statistica (Galli, pagg. 6 e 7). Al fine di ovviare a
tale stato di cose, è stato in particolare auspicato l'avvio di un diverso rapporto con l'ACI che si limita attualmente a trasferire alle province il 12,5 per cento della RC auto corrisposta sul territorio provinciale (Leo, pag. 5).
In linea generale, è stato inoltre rilevato come le tassazioni maggiormente legate alla stanzialità e alla famiglia - quindi l'IRPEF, che è la tassa personale - dovrebbero avere una partecipazione significativa da parte dei comuni, mentre tasse, contributi e imposte legati ad attività di più ampio respiro, quali le attività imprenditoriali, commerciali o comunque di
tipo economico - come l'IVA - dovrebbero essere legate in maniera significativa ad ambiti provinciali (Galli, pag. 8).
È stato conclusivamente evidenziato come l'evidente debolezza dell'autonomia tributaria delle province rappresenti un forte elemento di incertezza soprattutto nella fase di avvio del federalismo fiscale, poiché tale circostanza incide principalmente sul finanziamento delle funzioni fondamentali.
2.3. La distribuzione territoriale del gettito tributario
Durante lo scorso anno, il Dipartimento delle finanze ha svolto un'intensa attività progettuale, finalizzata a definire gli strumenti necessari per realizzare analisi e studi sulla distribuzione territoriale del gettito tributario (Lapecorella, 10 febbraio 2010, pag. 5). Il Dipartimento è da anni impegnato nello studio della regionalizzazione delle entrate erariali, al fine di definire la ripartizione del gettito delle imposte erariali - rispetto alla base imponibile delle regioni - per ogni anno finanziario.
La metodologia per la ripartizione regionale delle entrate erariali è stata costruita dal Dipartimento attraverso il confronto con i tecnici della Banca d'Italia e dell'ISAE, e rende evidente quali tributi erariali possano essere agevolmente regionalizzati. Si è in tal modo verificato il diverso effetto, sulla regionalizzazione delle entrate erariali, della scelta dei criteri di regionalizzazione. Una simile esperienza, sviluppata dal Dipartimento per fini propri, meriterebbe di essere adeguatamente valorizzata nella fase di attuazione del federalismo fiscale (Lapecorella, 10 febbraio 2010, pagg. 5 e 6).
Un'altra attività progettuale avviata durante lo scorso anno è stata diretta alla costruzione di una banca dati integrata della fiscalità immobiliare. Nella realizzazione di questo progetto sono emersi i profili relativi alla condivisione dei dati tra Stato ed enti locali. In particolare, si è ritenuto necessario: implementare il patrimonio informativo dell'Anagrafe tributaria con i dati attualmente mancanti, che si riferiscono alla gestione dei tributi territoriali; condividere con le regioni e con gli enti locali i dati attualmente già presenti; condividere con le regioni e con gli enti locali le soluzioni gestionali e gli strumenti di analisi. Con particolare riferimento ai comuni, lo scorso anno è stata effettuata la rilevazione elettronica dei dati relativi al gettito dell'ICI, dalla quale è derivato, in seguito, il progetto di implementazione della banca dati della fiscalità immobiliare. Relativamente alla
trasmissione dei dati puntuali dalla periferia al centro e viceversa, la finalità ultima di tale attività è quella di condividere l'intera banca dati e gli strumenti di analisi dei dati con gli enti territoriali in modo da poterla meglio sviluppare insieme agli utilizzatori (Lapecorella, 10 febbraio 2010, pag. 8).
Nell'alimentare la banca dati sono emerse notevoli difficoltà dovute anche al fatto che ogni ente locale può riscuotere le imposte di propria competenza sia con il modello F24, sia attraverso i concessionari delle riscossioni, sia direttamente tramite la Tesoreria. Ciò rende complicata la ricognizione del patrimonio informativo e pertanto, in previsione dell'attuazione del federalismo fiscale, si è proposto di cercare di canalizzare quanto più possibile la riscossione dei tributi locali in modalità uniche, ad esempio attraverso il versamento con il modello F24, in quanto ciò darebbe maggiori garanzie alle informazioni acquisite dall'amministrazione e, quindi, più fondamento a tutte le loro successive utilizzazioni.
Altro notevole risultato al quale si è pervenuti è stata la correlazione stabilita tra le informazioni rilevate a livello di singolo contribuente e le risultanze delle corrispondenti voci di bilancio degli enti territoriali, evidenziandosi l'importanza di sviluppare strumenti di analisi che possano essere utili per l'indirizzo delle attività di contrasto all'evasione e per massimizzare i vantaggi che derivano dalla disponibilità di questi dati. Anche a tal fine, appare necessario raccordare questo lavoro con quello svolto dall'Agenzia delle
entrate per quanto riguarda l'attività di accertamento (Lapecorella, 10 febbraio 2010, pag. 9).
Con riguardo all'accesso ai dati dell'Anagrafe tributaria da parte degli enti territoriali, è stato affermato che la fornitura integrale dei dati presenti nell'Anagrafe tributaria non appare utile all'elaborazione di politiche fiscali locali, soprattutto in quanto le competenze, le infrastrutture tecnologiche e la capacità amministrativa degli enti territoriali sono assai differenziate nel territorio nazionale. Si ritiene più importante mettere a disposizione degli enti territoriali il patrimonio di cui dispone l'Anagrafe tributaria, fornendo specifiche soluzioni e applicazioni informatiche, sulla base delle quali gli enti possano adottare autonomamente le loro scelte finanziarie, evitando lo sviluppo di sistemi «proprietari» da parte degli enti territoriali, che non garantirebbe l'omogeneità dei criteri nell'utilizzazione dei dati presenti nell'Anagrafe.
La realizzazione a livello centrale di soluzioni omogenee, da rendere disponibili secondo le necessità a tutti gli enti interessati, consentirebbe di contenere i costi, di disporre da parte di tutti gli enti territoriali dei medesimi strumenti operativi per le politiche e la gestione della fiscalità e di assicurare allo Stato centrale il presidio e l'integrazione della fiscalità nel suo complesso, anche ai fini della definizione delle politiche centrali. Al riguardo, si è osservato come le informazioni presenti nell'Anagrafe tributaria, di rilievo per la finanza locale, potranno utilmente confluire nella banca dati unitaria delle pubbliche amministrazioni, prevista dall'articolo 13 della legge n. 196 del 2009, secondo le regole che saranno fissate nei decreti attuativi (Lapecorella, 10 febbraio 2010, pag. 10).
3. L'armonizzazione dei sistemi contabili e l'attuazione del federalismo fiscale.
L'intero sistema della finanza locale è destinato a profonde trasformazioni a seguito dell'attuazione del federalismo fiscale. Nel corso dell'indagine è stato pertanto tracciato (Antonini, pag. 3) un quadro generale dei lavori della COPAFF, istituita ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 42 del 2009, nell'ambito del quale è stato dato conto dei filoni di approfondimento intrapresi in vista dell'adozione dei decreti delegati.
La Commissione ha istituito al suo interno sei gruppi di lavoro:
a) bilanci delle regioni e degli enti locali; b) entrate delle regioni e degli enti locali; c) fabbisogni e costi standard e, quindi, LEA (livelli essenziali di assistenza), LEP (livelli essenziali delle prestazioni) e funzioni fondamentali; d) perequazione; e) trasferimenti da sopprimere, interventi speciali e perequazione infrastrutturale; f) coordinamento della finanza pubblica tra i differenti livelli di governo.
Secondo quanto riferito dal suo Presidente, il primo problema emerso all'interno della COPAFF è stato quello della mancanza di una linguaggio comune tra i bilanci dei diversi enti territoriali. La condivisione dei dati, la trasparenza e la tendenziale unitarietà delle regole nella redazione dei bilanci sono un asse portante del federalismo fiscale, che deve permettere la confrontabilità fra le politiche, e ciò è particolarmente vero per un modello di federalismo fiscale, quale quello delineato dalla legge n. 42 del 2009, che si basa su costi e fabbisogni standard. In particolare, si è segnalata l'esigenza di elaborare un quadro univoco delle grandezze contabili utilizzate dagli enti territoriali, in modo da consentire la piena confrontabilità di tali dati a livello territoriale, nonché una più agevole aggregazione a livello nazionale, ai fini della verifica del rispetto dei saldi di finanza pubblica richiesti a livello europeo per l'adesione alla moneta unica. Si è ritenuto, infatti, prioritario superare le criticità derivanti da un assetto finanziario, delineatosi nell'ultimo decennio, nel quale ai ritardi nell'attuazione del federalismo fiscale ha corrisposto l'affermarsi di quello
che è stato definito un «federalismo contabile» (Antonini, pag. 4), che ha finora impedito la confrontabilità e l'aggregazione dei dati di bilancio degli enti territoriali, con evidenti ricadute negative sulla trasparenza dell'intero sistema della finanza locale.
Nella fase di avvio del processo di attuazione della legge n. 42 del 2009, un'attenzione particolare è stata pertanto dedicata alle problematiche di natura contabile, connesse all'esigenza di disporre di informazioni uniformi, aggregabili e consolidabili riguardanti tutti i livelli di governo. In particolare, grazie all'attività di un gruppo di lavoro tra amministrazioni centrali e territoriali costituito presso la Ragioneria generale dello Stato, sono state individuate:
le modalità per acquisire tempestivamente i dati contabili di consuntivo delle regioni e degli enti locali, necessari per la predisposizione dei decreti legislativi previsti dalla legge n. 42 del 2009;
le regole e le metodologie contabili condivise che garantiscano, per il futuro, la predisposizione di bilanci omogenei, confrontabili ed aggregabili secondo una classificazione uniforme, economica e funzionale, necessaria per consentire, a regime, l'attuazione del federalismo fiscale.
Le soluzioni proposte per l'acquisizione dei dati contabili sono state condivise dalla COPAFF e recepite in via legislativa in sede di conversione del decreto-legge n. 135 del 2009, che all'articolo 19-bis ha previsto, per le Regioni, l'obbligo di trasmettere i dati sulla base di uno schema di codifica unitaria entro 30 giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione (legge 20 novembre 2009, n. 166).
Per quanto riguarda gli enti locali, la COPAFF ha sollecitato la riclassificazione dei certificati di consuntivo di comuni e province, considerando anche quelle esternalizzazioni che costituiscono ormai una parte rilevante dei bilanci degli enti locali.
Questa indicazione si è tradotta nel comma 2 del citato articolo 19-bis del decreto-legge n. 135 del 2009, il quale ha disposto che, a decorrere dall'esercizio 2008 e fino a tutto l'anno 2011, le certificazioni concernenti il rendiconto al bilancio degli enti locali rechino anche le sezioni riguardanti il ricalcolo delle spese per funzioni e le esternalizzazioni dei servizi. Per i bilanci degli enti locali particolare rilievo assume la disomogeneità determinata dalle differenti modalità di applicazione della classificazione funzionale prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194, e dal diversificato ricorso alle esternalizzazioni dei servizi e delle funzioni. In particolare, l'elevata incidenza delle spese della funzione «Funzione generali di amministrazione, di gestione e di controllo» sulle spese correnti, fa ritenere che gli enti locali abbiano adottato il criterio della prevalenza, allocando nella
funzione le spese che sarebbero invece da riferire, in via diretta, ad altre funzioni finali e non strumentali dell'ente. La non corretta rappresentazione in bilancio della ripartizione funzionale delle spese condiziona significativamente l'attuazione del federalismo fiscale che, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 21, comma l, lettera e), della legge n. 42, nella fase transitoria, farà riferimento alla ripartizione funzionale della spesa degli enti locali risultante nell'ultimo certificato di conto consuntivo alla data di predisposizione dei decreti legislativi di attuazione della delega. Si è pertanto proceduto ad integrare, a partire dall'esercizio 2008, i certificati dei conti consuntivi, in modo tale da acquisire una disarticolazione delle spese in questione che, escludendo l'adozione del criterio della prevalenza, consenta di appostare le spese seguendo una corretta applicazione della classificazione funzionale.
Come risulta dalla relazione sull'attuazione del federalismo fiscale, recentemente adottata ai sensi dell'articolo 2, comma 6, della legge n. 42 del 2009, i dati concernenti i predetti rendiconti sono stati trasmessi dal Ministero dell'interno alla COPAFF e ciò ha permesso di avviare un processo di convergenza delle informazioni, che sarà definitivamente completato dallo specifico decreto legislativo di attuazione
della legge delega n. 42 del 2009 sulla armonizzazione dei bilanci pubblici.
A tale ultimo riguardo, occorre ricordare come la recente legge di riforma della contabilità (legge n. 196 del 2009) abbia completato il quadro normativo, allineando i principi di delega per l'armonizzazione dei sistemi contabili delle amministrazioni statali e degli enti territoriali e prevedendo al contempo la costituzione di una banca dati unitaria delle amministrazioni pubbliche funzionale a dare attuazione e stabilità al federalismo fiscale. In questo contesto gli esperti auditi nel corso delle audizioni hanno concordemente sottolineato l'esigenza di valorizzare adeguatamente le rilevazioni degli aspetti economico-patrimoniali della gestione attraverso lo sviluppo delle forme di contabilità economica anche di tipo analitico, che rispetto alla contabilità di tipo finanziaria consente una più puntuale verifica dei costi sostenuti dall'ente locale, in particolare per i servizi alla cittadinanza assicurati dall'ente medesimo.
Particolare rilievo assume in questo contesto il criterio di delega contenuto nell'articolo 2, coma 2, lettera h), della legge n. 42 del 2009, come modificato dalla citata legge n. 196 del 2009, il quale, nello stabilire il principio dell'adozione di regole contabili uniformi, impone agli enti locali la redazione di un bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri organismi controllati. Una delle principali ragioni che hanno contribuito a determinare l'attuale situazione di scarsa trasparenza in ordine agli andamenti della finanza pubblica, non solo a livello locale, è infatti stata individuata, come accennato, nel crescente ricorso per la gestione di risorse pubbliche ad enti strumentali, che in molti casi assumono la veste giuridica di soggetti di diritto privato e, con particolare riferimento agli enti coinvolti nella gestione di servizi, di società (Antonini, pag. 4). Come emerge dai risultati di una recente indagine della Corte
dei conti (indagine sul fenomeno delle partecipazioni in società ed altri organismi da parte di comuni e province, approvata dalla sezione delle Autonomie della Corte con deliberazione n. 14/AUT/2010/FRG), dai questionari inviati a oltre 6.500 comuni nell'arco temporale 2005-2008 risulta l'esistenza di 5.860 organismi partecipati da 5.928 enti tra comuni e province e, in particolare, di 3.787 società e 2.073 organismi diversi (in prevalenza consorzi, ma anche fondazioni e, in misura minore, istituzioni, aziende speciali, aziende di servizi alla persona). La grande articolazione dei soggetti operanti a livello locale rende quindi estremamente complessa la ricomposizione di un quadro contabile unitario, anche in considerazione della circostanza che i soggetti di diritto privato si avvalgono di una contabilità civilistica, che è improntata a principi e regole diversi rispetto a quelli della contabilità pubblica.
Inoltre, in presenza del fenomeno delle esternalizzazioni, i bilanci dei singoli enti possono fornire informazioni incomplete, non rappresentative delle attività e delle funzioni complessivamente svolte e, a parità di servizi resi alla collettività, presentano situazioni del tutto differenti. Infatti, nel caso in cui con il servizio o l'attività risultino «esternalizzate» anche le relative fonti di finanziamento, i bilanci delle Amministrazioni pubbliche che esternalizzano indicano solo una quota della spesa. Nel caso limite in cui le entrate correlate al servizio esternalizzato fossero in grado di finanziare la spesa, nel bilancio dell'amministrazione pubblica trasferente non risulterebbe alcuna voce relativa all'attività svolta (Grisolia, 28 gennaio 2010, pag. 28).
Su un piano più generale, peraltro, il ricorso a soggetti che operano in regime di diritto privato ha destato nel legislatore la preoccupazione per l'ampliamento delle aree sottratte ai tradizionali strumenti di controllo e di contenimento degli oneri per la finanza pubblica, soprattutto con riferimento alle spese di personale, e ha spinto all'introduzione nell'ultimo quinquennio di numerose disposizioni volte a rafforzare la disciplina pubblicistica applicabile a tali organismi. Particolarmente rappresentative appaiono in tal senso le disposizioni contenute nel decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, volte a
prevedere l'estensione dei vincoli posti dal Patto di stabilità interno agli affidatari di servizi pubblici locali «in house» e dei soggetti che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale ovvero attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica.
4. La gestione del debito degli enti locali
Dall'esame da parte della Corte dei conti dei dati relativi all'ammontare del debito di ciascun ente e della sua evoluzione (Corte dei conti, pag. 16 e ss.), è stata inoltre riscontrata una crescente progressione del debito degli enti locali, benché le violazioni alla regola del ricorso al debito per spese diverse da quelle di investimento siano in numero estremamente ridotto. Le cause di questa tendenza sono indicate dalla Corte nei frequenti casi di utilizzo, in via continuativa e anche per più anni, di elevati importi a titolo di anticipazione di tesoreria, in violazione del divieto di cui all'articolo 222 del TUEL. Si tratta in prevalenza di enti che presentano squilibri gestionali che possono condurre al dissesto e, comunque, alla formazione di fatto di un debito occulto. Soprattutto nell'ultimo anno, inoltre, è stato riscontrato il ricorso al debito in violazione alle limitazioni amministrative degli enti che non rispettano la disciplina
vincolistica del Patto, come prescritto dall'articolo 76 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008.
In particolare, la Corte segnala i possibili casi di elusione del divieto formale di ricorso al debito attraverso l'utilizzo improprio di alcuni strumenti contrattuali o gestionali, di per sé ammessi dall'ordinamento, quali il leasing immobiliare per la realizzazione di opere pubbliche, il project financing e i procedimenti di valorizzazione dei beni immobili degli enti territoriali. In relazione alla gestione del debito, la Corte sottolinea, inoltre, che uno dei principali strumenti utilizzati negli ultimi anni dagli enti territoriali è stato il ricorso ad operazioni di finanza derivata. Al riguardo, si è in attesa del regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze previsto dall'articolo 62, comma 3, del citato decreto-legge n. 112 del 2008, come riformulato dall'articolo 3, comma 1, della legge finanziaria per il 2009 (legge 22 dicembre 2008, n. 203). Ai fini del contenimento della dinamica del debito, la Corte propone il rafforzamento
del limite di indebitamento degli enti territoriali, confermando l'impostazione già assunta per il 2010 con il citato decreto-legge n. 112 del 2008, che ha introdotto tra le norme del Patto un tasso di riferimento individuato con apposito decreto ministeriale.
Con riferimento alle questioni sul debito degli enti locali, oltre che per una effettiva leggibilità dei risultati gestionali nei documenti contabili degli enti, viene altresì sottolineata dalla Corte la necessità di una celere attuazione delle disposizioni contenute nella legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale che prevedono forme di consolidamento dei dati degli enti con quelli delle società controllate. Nel caso dell'utilizzo di strumenti finanziari, infine, si prospetta l'opportunità di introdurre regole stringenti riguardo alle informazioni da rendere disponibili per una valutazione della spesa e dell'indebitamento effettivo degli enti.
Durante l'audizione dell'ANCI (ANCI, pagg. 36-37), è stato altresì sottolineato come, nel medio-lungo periodo, si renda necessaria l'individuazione di un meccanismo che, al fine di consentire agli enti locali di continuare a svolgere la funzione a loro assegnata nel quadro costituzionale secondo il principio dell'equilibrio di bilancio, consenta di programmare un ricorso al debito sostenibile. In sintesi, ogni comune dovrebbe raggiungere l'equilibrio di parte corrente, in modo da non contribuire al disavanzo, ed avere un obiettivo stringente di debito, coerente con gli obiettivi fissati a livello europeo. In questo modo l'ente risulta in grado di programmare la spesa in conto capitale, di rispettare gli impegni presi con le imprese e con i cittadini e di avere un bilancio sano di parte corrente.
Per l'UPI (UPI, pag. 49), invece, risulta fondamentale consentire alle province l'impiego dell'avanzo di amministrazione per il finanziamento delle spese di investimento, anche nell'ottica di una diminuzione del ricorso all'indebitamento, con immediate conseguenze positive sullo stock di debito complessivo della PA.
Con riferimento alla gestione del debito da parte degli enti locali, dall'indagine conoscitiva sono emerse alcune proposte di modifica del Patto di stabilità interno (Grisolia, 28 gennaio 2010, pag. 24) finalizzate a prevedere, a fronte di vincoli stringenti sulla spesa corrente, vincoli indiretti sulla spesa in conto capitale mediante il controllo del ricorso al debito. Ciò al fine di limitare la possibilità che le regole del Patto inducano gli enti locali a contrarre maggiormente la spesa in conto capitale, piuttosto che quella corrente.
È stato quindi sottolineato come l'applicazione della predetta regola di carattere generale non appaia immediatamente adottabile in quanto gli enti locali nel loro complesso, attualmente, dispongono di avanzi elevati e di liquidità utilizzabile, che renderebbe inefficace un controllo delle spese in conto capitale effettuato attraverso un limite al ricorso al debito. La spesa in conto capitale potrebbe, infatti, essere sostenuta senza il ricorso al finanziamento mediante debito, vanificando il meccanismo di controllo indiretto di tale tipologia di spesa, con effetti negativi sull'indebitamento netto di notevole dimensione e difficilmente quantificabili. Ne è derivata la proposta di introdurre un meccanismo che consenta il ricorso al debito in funzione delle esigenze di investimento in rapporto ad un fabbisogno standardizzato espresso da ciascun ente, determinato per fasce demografiche sulla base anche di caratteristiche economiche e territoriali che tengano
conto delle diversità tra gli enti locali. L'esclusione delle spese per investimenti dalle regole del Patto e una loro dinamica che segua regole più adeguate alle reali esigenze di ogni singolo ente, dovrebbe inoltre richiedere il supporto delle regioni che, al pari di quanto stanno già effettuando nella rideterminazione degli obiettivi di Patto degli enti locali, dovrebbero rendere il sistema dei fabbisogni standardizzati ancora più elastico, disponendo l'utilizzo di eventuali eccessi di fabbisogno evidenziati da alcuni enti locali a favore di quegli enti che abbiano necessità di disporre di un maggior potenziale di spesa in conto capitale.
5.1 Tendenze evolutive del sistema: dai controlli esterni ai controlli interni.
Con riferimento al sistema dei controlli, le audizioni svolte hanno in primo luogo consentito di ricostruire il quadro della disciplina vigente, che rappresenta il frutto di una evoluzione incessante compiutasi negli ultimi venti anni, a partire dalla riforma dell'ordinamento delle autonomie locali del 1990. In questo contesto, si è rilevato (D'Alessio, 14 aprile 2010, pag. 3) come negli ultimi quindici o venti anni gli enti locali abbiano rappresentato una dei comparti più dinamici delle pubbliche amministrazioni per quanto attiene all'evoluzione della governance e della disciplina sui controlli, che sono stati continuamente aggiornati e arricchiti nelle loro tipologie e finalità.
La valorizzazione dell'autonomia degli enti territoriali ha trovato una sanzione a livello costituzionale nel nuovo testo dell'articolo 114 della Carta fondamentale, che - a seguito della revisione del 2001 - individua negli enti locali un elemento costitutivo della Repubblica e postula un rafforzamento il ruolo dei controlli interni e un progressivo adattamento dei controlli di carattere esterno al nuovo quadro delle competenze, attraverso un mutamento degli strumenti e delle finalità.
Per quanto attiene ai controlli interni, le disposizioni di riferimento sono contenute nell'articolo 147 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), che prevede una articolazione del sistema in quattro tipologie di controllo:
a) il controllo di regolarità amministrativa e contabile, volto a garantire la
legittimità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa;
b) il controllo di gestione, teso verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa e a garantire il miglior rapporto tra costi e risultati;
c) la valutazione delle prestazioni della dirigenza;
d) la valutazione e il controllo strategico, volti a valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani e dei documenti programmatici che determinano l'indirizzo politico dell'ente, con particolare riferimento alla congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti.
Su un piano generale, il sistema dei controlli interni risultante dalla disciplina normativa introdotta negli ultimi venti anni si caratterizza per uno spostamento dell'asse dei controlli effettuati da un livello eminentemente giuridico-formale, e con finalità di carattere preventivo, ad un esame degli aspetti sostanziali della gestione economica, attuato attraverso interventi di carattere diretto e concomitante, che - secondo quanto evidenziato dalla dottrina e confermato anche nel corso dell'indagine (Anselmi, 21 aprile 2010, pag. 5) - rappresentano la forma più efficace di controllo, in quanto consentono di intervenire proprio nel momento in cui vengono poste in essere le attività oggetto del controllo.
Tuttavia, come risulta anche dalle audizioni degli esperti svolte nell'ambito dell'indagine, è opinione largamente condivisa che le finalità che si proponeva il legislatore con la riforma del sistema dei controlli non siano state integralmente raggiunte per il concorso di una molteplicità di fattori riconducibili, da un lato, alle difficoltà emerse nell'affermarsi di una nuova mentalità volta a privilegiare una analisi di tipo economico delle attività svolte dagli enti locali e, dall'altro, all'insufficiente adeguamento delle prassi amministrative e dei sistemi informativo-contabili. Un efficace sistema di controllo e di verifica dei risultati ottenuti e dell'efficienza ed economicità delle gestioni deve infatti necessariamente basarsi su un sistema contabile che assicuri la rilevazione di dati non solo veritieri e trasparenti, ma anche significativi ai fini della valutazione dell'andamento e dei risultati della
gestione.
Quanto al primo profilo, alcuni degli esperti consultati (Pozzoli, pag. 6 e D'Alessio, pag. 3) hanno rilevato come, su un piano generale, l'implementazione del sistema dei controlli non abbia rappresentato una priorità politica per gli amministratori degli enti locali e, pertanto, in molti casi i controlli interni non sono riusciti ad assumere con pienezza il ruolo di strumento di governo dell'ente territoriale ad essi attribuito dal legislatore, contribuendo a determinare il rischio di una progressiva separazione tra le attività di indirizzo politico e le attività di gestione.
D'altra parte, per quanto attiene ai controlli relativi alla gestione dell'ente, è opinione sostanzialmente condivisa che il disegno normativo, che intendeva promuovere la costituzione, all'interno dei singoli enti, di un sistema integrato di programmazione degli obiettivi e di controllo dei risultati raggiunti non è riuscito, tuttavia, ad affermarsi nella realtà dei singoli enti, che hanno dovuto confrontarsi in molti casi con la mancanza di un reale contenuto programmatorio dei documenti deputati a tale finalità, e con l'assenza di un sistema di rilevazioni adeguato a sorreggere un'attività di controllo efficace (Anselmi, 21 aprile 2010, pag. 24 e D'Alessio, pag. 5).
In particolare, sin dalla prima attuazione della legge n. 142 del 1990, i controlli si sono concentrati essenzialmente sulla gestione finanziaria degli enti locali, dal momento che i principali controlli regolamentati nell'ambito del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, quali quelli affidati al collegio dei revisori, non hanno, specificamente, ad oggetto l'economicità della gestione degli enti locali.
Sotto il profilo della programmazione, si è rilevato come non sempre i documenti programmatori siano stati adeguatamente
collegati ai sistemi informativi e alla predisposizione dei documenti di bilancio degli enti di riferimento, non essendo state sviluppate le sinergie necessarie a monitorare l'intero andamento della gestione nei suoi aspetti generali e particolari, e a verificare conseguentemente il raggiungimento degli obiettivi stabiliti e il loro rapporto con i costi sostenuti.
È stata inoltre evidenziata (Anselmi, 21 aprile 2010, pag. 6) come i controlli interni, se da un lato esaltano l'autonomia degli enti locali, dall'altro incontrano il limite rappresentato dalla loro dimensione spesso assai ridotta, che negli enti locali con minore popolazione può rendere difficoltoso il reperimento di professionalità adeguate allo svolgimento di analisi di rilevante contenuto tecnico.
Per altro verso, nelle audizioni si è altresì rilevata l'assenza, nell'ambito delle disposizioni in materia di controlli, di una specifica disciplina finalizzata a promuovere una revisione degli assetti organizzativi dell'ente locale, attraverso interventi di controllo organizzativo più volte raccomandati dalla dottrina, che ha evidenziato come tale tipologia di controllo sia propedeutica all'effettuazione di più efficaci controlli di gestione e strategici, nonché alla valutazione delle prestazioni della dirigenza (Anselmi, 21 aprile 2010, pag. 6).
Su un piano generale, nelle audizioni (Pozzoli, pag. 10 e D'Alessio, 14 aprile 2010, pag. 16) sono stati inoltre segnalati aspetti di criticità nei meccanismi di selezione degli organismi di controllo interno, con particolare riferimento ai soggetti preposti ai controlli di regolarità amministrativa e contabile. A tale riguardo, si è anche sottolineata l'esigenza di prevedere un rafforzamento delle tutele per il responsabile dei servizi finanziari, che dovrebbe essere posto in una condizione di maggiore terzietà rispetto all'amministrazione dell'ente locale ed essere configurato alla stregua dei segretari comunali nell'ordinamento previgente o, comunque, di un rappresentante dell'amministrazione centrale, piuttosto che come un soggetto legato da uno stretto rapporto con la dirigenza politica dell'ente (Pozzoli, 14 aprile 2010, pag. 9). Analogamente, si è rilevata l'esigenza di una adeguata qualificazione professionale per i responsabili dei
servizi finanziari, così come per i componenti del collegio dei revisori.
Per quanto riguarda i controlli di carattere esterno, deve in primo luogo rilevarsi che, per quanto attiene alla disciplina dei controlli in materia di finanza pubblica, lo Stato mantiene una competenza legislativa esclusiva limitatamente alla disciplina del sistema tributario e contabile dello Stato, mentre la materia dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario viene attribuita, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, alla legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni. Tale assetto competenziale ha determinato l'esigenza di un riorientamento del sistema dei controlli esterni sulla finanza locale, che sempre più hanno assunto un'ottica di carattere collaborativo.
In questo quadro, che ha visto la scomparsa di controlli di tipo tradizionale, quali quelli affidati al Comitato regionale di controllo (CO.RE.CO.), il legislatore, anche al fine di assicurare il rispetto degli equilibri di bilancio discendenti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, ha in primo luogo proceduto ad un rafforzamento e ad un aggiornamento del ruolo di controllo della spesa a livello territoriale assegnato alla Corte dei conti.
In particolare, con la legge n. 131 del 2003, in attuazione della revisione costituzionale realizzata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, alla Corte dei conti è stata assegnata una funzione di controllo sugli andamenti generali della finanza regionale e locale ai fini del coordinamento della finanza pubblica, che ha comportato anche un adeguamento della sua struttura, in particolare con la previsione di una generalizzazione dell'istituzione di sezioni regionali di controllo, e delle attività svolte. Conformemente al dettato costituzionale
e ad integrazione e completamento del quadro normativo descritto, la legge finanziaria 2006 ha previsto l'obbligo degli organi di revisione contabile degli enti locali di trasmettere alle Sezioni regionali della Corte dei conti una relazione sul bilancio preventivo ed una sul rendiconto. Tali relazioni devono essere redatte secondo criteri e linee guida definite annualmente dalla Corte stessa.
Questa forma di controllo che la Corte dei conti esercita con il concorso degli organi di revisione si connota per il carattere collaborativo. In particolare, infatti, è stato ricordato come le sezioni della Corte dei conti indirizzano specifiche segnalazioni agli enti con delibere motivate, al fine di stimolare processi di autocorrezione da parte degli enti stessi, così come previsto dall'attuale sistema normativo e il dato reale ha mostrato che un ampia parte degli enti stessi ha accolto i rilievi delle sezioni regionali e, in base ai controlli effettuati successivamente, si è accertato che sono stati attuati interventi correttivi, anche mutando le prassi gestionali in relazione alle successive attività.
Tuttavia, proprio da tale fisionomia dei controlli emerge, come è stato messo in evidenza nell'audizione dei rappresentati della stessa Corte dei conti, anche un'importante criticità insita in tale tipologia di controllo. Infatti, qualora l'ente non intervenga per porre rimedio alle irregolarità rilevate dalla Corte, l'attuale disciplina legislativa non prevede l'adozione di adeguate misure, neppure in caso di reiterato accertamento di anomalie nell'ambito della gestione finanziaria e di mancata adozione di interventi correttivi.
Il panorama dei controlli previsto dalla richiamata normativa generale si è progressivamente arricchito anche grazie a numerose disposizioni specifiche adottate dal legislatore e volte a sottoporre ad un più attento esame i settori ritenuti più critici sotto il profilo gestionale e di spesa. Tali controlli sono stati definiti in via di massima, sulla base di uno schema procedimentale che, al fine di limitare l'aggravio dell'attività degli enti territoriali, tende a raccogliere i dati e le informazioni necessari allo svolgimento delle nuove attività di controllo per il tramite dei già ricordati questionari compilati dagli organi di revisione.
Il ruolo svolto dalla Corte si è ulteriormente rafforzato, sempre alla luce di quanto previsto dalla stessa legge n. 131 del 2003, anche con riferimento all'esercizio di funzioni di tipo consultivo. Tale funzione è sempre più frequentemente richiesta dalle amministrazioni locali, e dalla stessa traggono beneficio non solo gli enti richiedenti, ma anche quelli che si trovano in situazioni analoghe.
La normativa più recente, in particolare l'articolo 11 della legge n. 15 del 2009, ha sottolineato il carattere concreto e ravvicinato dei controlli sulle gestioni, in modo da consentire agli organi di governo e amministrativi di intervenire tempestivamente al fine di prevenire o a far cessare situazioni di irregolarità e disfunzioni pregiudizievoli per la finanza pubblica.
Sempre lungo questo solco, possono essere ricondotti i recenti interventi normativi volti a contrastare la crescita della spesa per il personale della pubblica amministrazione e in particolare di quella correlata alla contrattazione collettiva integrativa. In particolare, la Corte è stata direttamente coinvolta nel caso di accertato superamento dei vincoli finanziari. In tali casi, infatti, le amministrazioni interessate hanno l'obbligo di procedere al recupero delle eccedenze di spesa nella tornata contrattuale successiva.
Da tale articolato quadro normativo discende come l'attività delle sezioni regionali sia diventata nel tempo sempre più complessa e tali considerazioni sono confermate dai dati reali, riportati nel corso dell'audizione della Corte dei conti e che mostrano come nel 2009 siano state emesse 4.505 pronunce sulla gestione finanziaria e contabile degli enti locali, a fronte delle sole 2.524 del 2008. L'incremento dell'attività della Corte dei conti è confermata anche dai dati relativi all'esercizio della funzione consultiva. Infatti, nell'anno 2009 sono stati adottati circa 670 pareri, a fronte dei 494 del 2008.
Accanto alla Corte dei conti, operano, poi, i Servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato, che svolgono forme di controllo che appaiono prevalentemente riconducibili all'area dei controlli amministrativo contabili: come evidenziato anche nel corso dell'indagine (Mastroianni, 21 aprile 2010, pag. 2) la missione dei controlli della Ragioneria generale dello Stato è quella di verificare, con obiettività e neutralità, la regolarità e la proficuità della spesa.
Come per la Corte dei conti, anche per i suddetti Servizi ispettivi, il quadro normativo si è progressivamente evoluto nel corso del tempo, registrandosi un progressivo ampliamento della portata dei controlli effettuati ed una accentuazione del carattere collaborativo degli stessi.
In particolare, con riferimento al progressivo allargamento dell'oggetto dei controlli, nell'indagine è stato ricordato come questo abbia inizialmente interessato le spese di personale, per poi rivolgersi principalmente alla verifica degli equilibri di bilancio, con particolare riferimento ai vincoli imposti dall'appartenenza all'Unione europea.
La particolare attenzione al controllo e al monitoraggio conti pubblici è stata confermata dall'articolo 14, comma 1, lettera d), della nuova legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009), che prevede che il Ministero dell'economia e della finanza pubblica - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato - effettui tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica verifiche sulla regolarità della gestione amministrativa contabile delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano. In ogni caso, per gli enti territoriali, i predetti servizi effettuano verifiche volte a rilevare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica.
Al di là del dato normativo, i servizi ispettivi, in via di prassi, svolgono, da oltre un decennio, autonomamente o in collaborazione con il dipartimento della funzione pubblica, verifiche presso gli enti locali anche su specifica delega della Corte dei conti. Infine, nell'oggetto delle attività dei Servizi ispettivi rientra anche la tematica delle diverse forme di indebitamento contratto dagli enti locali, con particolare riferimento all'utilizzo di strumenti finanziari derivati, quali gli interest rate swap.
Al fine di rendere ancora più efficace l'attività di controllo svolta dai Servizi ispettivi, soprattutto con riferimento allo stato di dissesto degli enti locali, è stata sottolineata l'importanza di consentire interventi tempestivi attraverso la predisposizione di indici sintetici, facilmente misurabili, che consentano di valutare i fattori di rischio, e di prevedere un complesso di sanzioni specifiche e mirate nei confronti degli amministratori locali e del personale dirigenziale che non assumano comportamenti corretti nella gestione delle risorse pubbliche. Si è, infine, evidenziato come tali obiettivi possano essere raggiunti solo attraverso la predisposizione di idonei sistemi di monitoraggio e controllo da assegnare, ad esempio, a collegi dei revisori ai quali attribuire compiti di segnalazione dello stato di dissesto, assicurandone la terzietà e la neutralità attraverso la partecipazione agli stessi di soggetti designati da
altre amministrazioni (quali la Corte dei conti, il Ministero dell'interno e il Ministero dell'economia e delle finanze).
5.3 Le più recenti innovazioni legislative in materia di controlli.
A fronte del descritto quadro normativo e delle criticità rilevate anche nel corso dell'indagine, in numerosi provvedimenti legislativi adottati mentre era in corso l'indagine conoscitiva sono state poste le basi per una profonda revisione della disciplina contabile e del sistema dei controlli. Come si è in parte anticipato, le innovazioni più rilevanti sono contenute:
nella legge 5 maggio 2009, n. 42, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
nella legge 4 marzo 2009, n. 15, recante delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti, e nel successivo decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150, che dà attuazione alla delega legislativa in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni;
nella legge 31 dicembre 2009, n. 196, la nuova legge di contabilità e finanza pubblica.
Non si tratta, peraltro, di un cammino di riforma già concluso. Un'integrale riscrittura delle disposizioni relative ai controlli interni contenute del testo unico sull'ordinamento degli enti locali è, infatti, prevista nell'ambito del disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2010, relativo alla cosiddetta Carta delle autonomie, recentemente approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati.
Su un piano generale, anche nel settore dei controlli, molte attese sono riposte nell'attuazione del federalismo fiscale, in quanto la realizzazione del nuovo assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti territoriali, che si pone l'obiettivo di accentuare la responsabilizzazione delle amministrazioni locali, dovrebbe assicurare un rafforzamento del controllo democratico (Antonini, 14 aprile 2010, pag. 7 e ss.) e del quadro sanzionatorio, anche di carattere politico, stimolando conseguentemente una maggiore attenzione per i risultati dei controlli interni indirizzati alla misurazione delle prestazioni offerte dall'ente. In questo quadro, particolare rilievo assumono le disposizioni di delega contenute nell'articolo 17, comma 1, lettera c), della legge n. 42 del 2009, che prefigurano l'introduzione di un sistema sanzionatorio per gli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica che prevede l'attivazione di misure correttive anche molto
incisive, come l'incremento della tassazione, l'alienazione dei beni dell'ente, il blocco delle assunzioni e delle spese discrezionali, meccanismi automatici di sanzione nei confronti degli organi di governo, che possono contemplare l'ineleggibilità, in caso di dissesto dell'ente, nonché l'interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati.
I soggetti auditi nel corso dell'indagine hanno, in modo sostanzialmente unanime (Lapecorella, Antonini, D'Alessio, Pozzoli), valutato con particolare apprezzamento gli obiettivi perseguiti dalle recenti innovazioni legislative, che si muovono nella direzione di superare molte delle criticità rilevabili nell'attuale quadro normativo in materia di regole contabili.
Per quanto in particolare riguarda la costituzione della banca dati delle amministrazioni pubbliche istituita dall'articolo 13 della nuova legge di contabilità e finanza pubblica, si è rilevato (Pozzoli, pag. 10) che gli adempimenti informativi imposti agli enti territoriali che accumulatisi nel tempo sono estremamente onerosi e, in parte, sovrabbondanti dal momento che, a diversi fini, il medesimo dato deve essere trasmesso a più amministrazioni statali. La razionalizzazione del sistema informativo potrebbe, quindi, costituire l'occasione per un riordino delle disposizioni che comportano obblighi di comunicazione e di informazione, che consenta di superare eventuali duplicazioni e sovrapposizioni e raccogliere in modo unitario le informazioni effettivamente rilevanti ai fini del controllo della finanza pubblica.
A questo processo di riforma si affiancano inoltre numerose disposizioni che incidono sul sistema dei controlli propriamente detto, intervenendo sia sulla disciplina dei controlli interni che su quella dei controlli svolti dalla Corte dei conti e dalla Ragioneria generale dello Stato.
Per quanto attiene ai controlli interni, la ratio dei più recenti interventi legislativi è stata quella di rafforzare e valorizzare i controlli di tipo direzionale volti alla misurazione e al monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi individuati in sede programmatica. Si tratta di una direttrice di intervento di carattere generale, che, ad
esempio, ispira l'intera legge di contabilità e finanza pubblica, che articola la nuova struttura del bilancio in missioni e programmi, ai quali sono correlati precisi obiettivi e indicatori di risultato, il cui raggiungimento sarà valutato in sede di rendiconto. In prospettiva, per effetto delle disposizioni richiamante in materia di armonizzazione dei bilanci, tale struttura sarà estesa anche agli enti locali e, potrebbe, rappresentare un utile strumento per la valutazione delle prestazioni. A tale riforma si lega la disciplina in materia di valutazione delle performance introdotta in attuazione della delega contenuta nella legge n. 15 del 2009, la cosiddetta legge Brunetta, che, non a caso, è più volte richiamata nell'ambito della nuova legge di contabilità. Il decreto legislativo n. 150 del 2009, adottato in attuazione della delega prevista nella legge n. 15 del 2009, prevede una nuova disciplina del controllo delle
prestazioni delle amministrazioni pubbliche, ivi incluse quelle degli enti territoriali limitatamente ai principi della nuova normativa, intesa a garantite una maggiore efficienza, indipendenza e trasparenza delle valutazioni, che sono affidate ad organismi indipendenti di valutazione della performance, che prendono il posto dei servizi di controllo interno, alle cui attività presiede a livello centrale un organismo unitario, con compiti di indirizzo e coordinamento, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche.
Un intervento ancora più radicale è poi contenuto negli articoli 29 e 30 del disegno di legge di riforma dell'ordinamento degli enti locali (C. 3118), che attraverso una serie di novelle al testo unificato in materia riscrive in modo integrale la disciplina dei controlli, ispirandosi tuttavia ad un criterio di continuità con la normativa vigente - e, proprio per questo motivo, nel corso delle audizioni sono state oggetto di alcune valutazioni critiche (Pozzoli, 14 aprile 2010, pag. 10) - e provvede ad un ampliamento della sfera dei controlli, stabilendo l'introduzione, accanto a tipologie di controlli già previste a legislazione vigente, di nuove forme di controllo riferite alla qualità dei servizi e alle società partecipate.
Sul piano dei controlli di carattere esterno, come già segnalato, l'articolo 11 della legge n. 15 del 2009 è intervenuto a rafforzare i poteri di controllo della Corte dei conti, alla quale è permessa l'effettuazione di controlli su gestioni pubbliche anche in corso di svolgimento all'esito dei quali, in presenza di gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione, la Corte individua, in contraddittorio con l'amministrazione, le cause e provvede a darne comunicazione all'autorità di governo dell'ente, che con decreto da comunicare all'assemblea elettiva e alla presidenza della Corte, può disporre la sospensione dell'impegno di somme stanziate sui pertinenti capitoli di spesa. Analoghi poteri sono attribuiti in caso di rilevanti ritardi nella realizzazione di piani e programmi, nell'erogazione di contributi ovvero nel trasferimento di fondi, al fine di sollecitare l'adozione di
provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti riscontrati. Le disposizioni, che trovano applicazione non solo con riferimento alle amministrazioni statali, ma anche quelle territoriali, rappresentano un'innovazione significativa, della quale dovranno valutarsi i risultati alla luce delle esperienze applicative.
Per quanto riguarda i controlli effettuati dalla Ragioneria generale dello Stato, la legge n. 196 del 2009, nel quadro dell'obiettivo di un complessivo rafforzamento degli strumenti di governo della finanza pubblica, provvede a riorganizzare e razionalizzare le attività di controllo e di monitoraggio affidate alla Ragioneria. In particolare, come già osservato, l'articolo 14 della nuova legge di contabilità affida ai servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato il compito di effettuare verifiche volte a riscontrare eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, rispondendo anche a richieste funzionali all'esercizio di poteri sostitutivi statali. In questo quadro, i servizi ispettivi cooperano anche nel monitoraggio
del piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza, che - nel sistema della legge n. 42 del 2009 - dovrà assicurare la riduzione delle differenze esistenti sul territorio nazionale in termini di livelli essenziali delle prestazioni e di svolgimento delle funzioni essenziali.
Si tratta - come può notarsi - di uno scenario assai complesso ed ancora in evoluzione, nel quale sono chiamati ad operare una pluralità di soggetti (organismi di controllo interno, Corte dei conti, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), che, ciascuno con le proprie peculiarità e finalità istituzionali, concorrono alla realizzazione di un sistema unitario dei controlli. In linea con le indicazioni emerse nell'indagine (Anselmi, pag. 5 e ss. e Mastroianni, pag. 22), appare dunque necessario che nell'attuazione delle riforme avviate si individuino ulteriori strumenti per garantire un più efficace raccordo tra i controlli esistenti e realizzare interventi che favoriscano la collaborazione tra i diversi organismi coinvolti, salvaguardandone comunque le specificità.
In questo senso, infatti, nell'indagine si è sottolineato (Anselmi, pag. 5) come, al fine di garantire l'efficacia dei controlli interni, di carattere concomitante, occorra che i controllori di secondo grado, ispettorati della Ragioneria generale dello Stato o Corte dei conti, garantiscano innanzitutto il buon funzionamento dei controlli di primo grado, verificando la concreta attuazione delle diverse disposizioni ed il corretto utilizzo da parte degli enti locali degli strumenti previsti dalla legislazione vigente. Nel senso di una maggiore cooperazione tra controlli interni e controlli di ragioneria sembrano, peraltro, muoversi alcune recenti disposizioni, che prevedono che la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, che ha il compito di coordinare e indirizzare l'esercizio delle funzioni di valutazione, operi in collaborazione con il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (articolo 13 del decreto
legislativo n. 150 del 2009) e che gli organismi di valutazione della performance debbano condividere con la medesima Ragioneria le banche dati e tutte le altre informazioni necessarie alla realizzazione delle attività di analisi e valutazione della spesa (articolo 49, comma 1, lettera b), della legge n. 196 del 2009).
In questo quadro appare importante che nell'ambito dei raccordi sia adeguatamente valorizzato anche il ruolo del Parlamento, in quanto organo rappresentativo della Repubblica, verso il quale dovranno confluire gli esiti dei diversi controlli svolti, al fine garantire una visione unitaria degli andamenti dei diversi settori della finanza pubblica e, quindi, l'efficace svolgimento della funzione di coordinamento in tale materia.
6. La finanza locale nei principali Paesi europei.
Con riferimento al sistema francese della finanza locale, occorre preliminarmente ricordare il quadro finanziario generale nel quale esso si muove attualmente. Le stime per il 2010 fissano in quel Paese il rapporto tra il deficit ed il prodotto interno lordo in circa l'8,2 per cento e quello tra debito e PIL ad oltre l'84 per cento. In tale quadro, circa l'80 per cento del disavanzo è di origine statale, mentre agli enti locali è riconducibile solo il restante 20 per cento, pertanto uno dei maggiori ostacoli alla riforma degli enti territoriali deriva proprio dalla sfasatura che vi è tra le richieste di riduzione delle spese provenienti dal livello nazionale e la percezione di tali enti di contribuire poco alla creazione del deficit di bilancio.
Con riferimento all'autonomia finanziaria degli enti territoriali si riscontrano differenze significative rispetto a quanto previsto dalla nostra Costituzione. Non esiste nel sistema francese una vera autonomia impositiva degli enti territoriali, che sono dotati solo di un potere di decisione finanziaria. La maggior parte delle risorse degli enti territoriali (100 miliardi di euro su 110) derivano dal gettito fiscale e negli ultimi tempi vi è la
tendenza del Governo di sopprimere tributi locali, come ad esempio quelli sulle imprese, al fine di alleggerire il carico fiscale sulle medesime e contestualmente rimpiazzare tali entrate con trasferimenti erariali, calcolati tuttavia sulla base del patto di stabilità interno adottato con legge. Con legge dello Stato sono, inoltre, definiti tutti i meccanismi finanziari degli enti locali.
Tale impostazione si traduce in uno stringente controllo dello Stato nella stessa gestione della finanza locale. Infatti, in ossequio al principio dell'unità della tesoreria degli enti territoriali e dello Stato, tutti i fondi degli enti territoriali sono versati al Tesoro dello Stato, le spese sono regolate a livello nazionale dalla loi de finances e gli agenti contabili degli enti territoriali sono funzionari del Ministero del bilancio.
La criticità maggiore che si riscontra nella gestione del bilancio degli enti territoriali francesi deriva dal fatto che, essendo la maggior parte della loro spesa riconducibile all'attuazione delle politiche sociali, e quindi all'erogazione di prestazioni a fronte di diritti soggettivi, in presenza di una contrazione significativa delle entrate, le spese sono comunque significativamente aumentate.
C'è da segnalare peraltro che, anche nel sistema francese, gli enti territoriali non possono ricorrere all'indebitamento per finanziare spese di carattere corrente, ma solo per gli investimenti.
Particolarmente penetrante si presenta invece il sistema di controllo sulla finanza locale.
Al di là del controllo di tipo politico classico, attraverso il voto dell'assemblea dell'ente che è chiamata a votare il bilancio annuale approvando la gestione del sindaco o del presidente del dipartimento o della regione, vi è un controllo diretto dello Stato ed un controllo contabile e di gestione affidato alla Corte dei conti.
Il controllo dello Stato, esercitato attraverso i prefetti, si basa sul principio costituzionale della supervisione, in capo allo Stato, sull'equilibrio globale del sistema finanziario delle amministrazioni pubbliche. Peraltro i bilanci degli enti locali sono vincolati alla regola dell'equilibrio per cui non possono essere adottati in disavanzo. Le spese di esercizio devono essere compensate dalle entrate di esercizio e i prestiti eventualmente contratti devono poter essere rimborsati con risorse autofinanziate. Oltre al controllo sull'equilibrio del bilancio, il prefetto è chiamato a svolgere anche un controllo dell'esecuzione del bilancio di previsione, che fa scattare una procedura di controllo specifica in caso di sforamento rispetto a soglie prestabilite di disavanzo. In caso di bilanci adottati in squilibrio, il prefetto adisce la sezione regionale dei conti che, nel caso constati lo squilibrio, formula all'ente interessato entro trenta giorni proposte per tornare
all'equilibrio. L'ente deve, a sua volta, deliberare entro trenta giorni.
Oltre al controllo ex post effettuato dal prefetto, in realtà lo Stato, come già accennato, ha anche la possibilità di un controllo in corso di gestione, poiché l'agente contabile degli enti locali è un funzionario dello Stato che può bloccare i pagamenti nel caso di mancanza delle necessarie risorse, trovandosi a gestire un bilancio di cassa. In questi casi si verificano evidentemente problematiche con i fornitori, che vengono pagati in ritardo, dopo aver soddisfatto le spese di funzionamento e per il personale dell'ente. Il funzionario della ragioneria ha tuttavia titolo di intervenire solo dopo aver ricevuto i mandati di pagamento, senza poter esercitare un controllo sulle operazioni di bilancio a monte delle relative assunzioni di impegno, sulle operazioni fuori bilancio e sulle operazioni di inventario che non presuppongono un movimento di tesoreria. Tali peculiarità affidano al funzionario statale un ruolo di
controllore esterno all'ente locale, non riconducibile all'ambito del controllo di gestione interno, che tuttavia è spesso chiamato anche a prestare un'opera di studio o consulenza su richiesta dell'ente o su impulso del Ministero del bilancio.
La Corte dei conti è invece chiamata ad esercitare una duplice funzione. Da un lato, essa svolge il controllo sulla qualità
dei conti degli enti territoriali, sia a livello centrale che a livello di sezioni regionali, anche se tale tipo di controllo non è ancora molto sviluppato, non essendo prevista una certificazione obbligatoria dei conti per le collettività territoriali. Da tale controllo contabile possono tuttavia discendere gravi conseguenze per il funzionario statale tenuto alla trasmissione alla Corte dei bilanci. Infatti, nel caso di irregolarità nel pagamento delle spese, la Corte può dichiarare il funzionario debitore dell'ente e questi dovrà rispondere personalmente del suo illecito contabile.
L'altro e probabilmente più interessante controllo svolto dalla Corte è quello sulla gestione. A cadenze regolari, regione per regione, la Corte controlla i bilanci dei diversi enti e trasmette un rapporto ai vertici dell'ente sottoposto a controllo, che verranno auditi dalla Corte. A seguito delle risposte ricevute la Corte comunica le risultanze di tale attività all'assemblea elettiva dell'ente e le pubblica affinché possano essere conosciute dai cittadini. Nell'ambito di tale controllo di gestione la Corte non può naturalmente sindacare l'opportunità delle scelte politiche degli eletti, ma si dovrà concentrare sull'economia dei mezzi messi in opera e sulla loro efficacia.
Da segnalare peraltro che, secondo la Costituzione francese, la Corte dei conti è al servizio del Parlamento e svolge, su richiesta spesso della Commissione finanze, studi ed indagini sulla finanza locale, come quello relativo alle operazioni finanziarie degli enti che avevano acquisito titoli ad alto rischio al fine di conseguire elevati rendimenti.
Sulla base del quadro tracciato, si può dunque affermare che il sistema francese circoscrive in maniera rigorosa l'esercizio dell'autonomia degli enti territoriali nella gestione delle risorse, realizzando un difficile equilibrio tra la libertà di scelta politica degli eletti locali e le rigide regole di bilancio imposte per legge.
Il descritto sistema della finanza locale e dei relativi controlli ha fornito tuttavia una buona prova di sé fino all'insorgere della crisi economica, che ha comportato tagli molto significativi sui bilanci degli enti locali, che si trovano a dovere applicare le rigide regole contabili di cui si è accennato, e fino all'affermarsi di tendenze al decentramento, che sia pure nel quadro di uno Stato come quello francese, tradizionalmente unitario, si sono progressivamente rafforzate. In tale contesto si deve registrare la proposta di riforma delle giurisdizioni finanziarie e del sistema dei controlli sulla finanza locale, presentata alla fine del 2009 all'Assemblea nazionale e ancora non approvata dal Parlamento. Gli obiettivi di tale riforma dovrebbero essere un maggiore rafforzamento del controllo di gestione affidato alla Corte dei conti, che dovrà divenire un grande organismo di audit, che potrà finalmente sindacare la
responsabilità contabile anche dei soggetti ordinanti le spese, e non solo dei funzionari della Ragioneria dello Stato, così da rendere il controllo più efficace e moderno.
Da segnalare, infine, che la riforma costituzionale del luglio 2008 ha valorizzato la missione di controllo e valutazione delle politiche pubbliche del Parlamento, che all'uopo potrà avvalersi di organismi specializzati come la Corte dei conti.
Diversamente dall'esperienza francese, la Germania, avendo un assetto schiettamente federale, è caratterizzata dalla ripartizione delle competenze tra diversi livelli di governo, indipendenti gli uni dagli altri. La Repubblica è costituita, secondo la Legge fondamentale, dallo Stato federale e dai Länder. Nell'organizzazione costituzionale tedesca, un ruolo importante spetta inoltre ai comuni. Questi, pur dipendendo dai Länder, si avvalgono del diritto, concesso dalla Costituzione, di disciplinare, sotto la propria responsabilità, tutte le questioni della comunità locale, in forza dell'autonomia amministrativa, come disciplinata ai sensi dell'articolo 28, paragrafo 2, della Legge fondamentale.
Nella ripartizione delle competenze tra Stato e Länder, il principio fondamentale
è quello in base al quale all'attribuzione di determinate funzioni deve corrispondere l'attribuzione delle risorse necessarie per esercitarle. Il legame fondamentale tra competenza amministrativa e competenza in materia di finanziamento si traduce quindi in una presunzione relativa di competenza dei Länder in materia di finanziamento. Lo Stato federale ha il diritto di finanziare unicamente le funzioni per le quali la Legge fondamentale gli attribuisce espressamente o esplicitamente una competenza amministrativa. La Legge fondamentale attribuisce tuttavia allo Stato federale, al fine di garantire un coordinamento unitario delle funzioni fondamentali e dell'economia, il cofinanziamento di talune funzioni attribuite ai Länder.
Inoltre, in corrispondenza delle proprie competenze legislative, lo Stato federale può mettere a disposizione dei Länder risorse finanziarie per investimenti particolarmente importanti, denominati «aiuti finanziari», ai sensi dell'articolo 104b della Legge fondamentale. Tali aiuti non possono comunque coprire l'intero importo della spesa per investimento, ma possono essere erogati solo come un cofinanziamento, al fine di una maggiore responsabilizzazione dei Länder nella gestione. La Legge fondamentale lega peraltro l'erogazione degli aiuti al ricorrere di particolari presupposti. Con riferimento alla ripartizione delle entrate tra i diversi livelli di governo, si deve osservare che l'ottantacinque per cento circa delle entrate pubbliche sono di origine fiscale. Il sistema fiscale della Repubblica federale di Germania è caratterizzato dal peso significativo dell'imposta sul reddito, compresa l'imposta sui salari, e dell'imposta sulle
società, che rappresentano circa il 42 per cento dell'insieme del gettito fiscale. Un'altra fonte importante di gettito è data dall'imposta sulla cifra d'affari, corrispondente alla nostra imposta sul valore aggiunto, con il 31 per cento del totale.
In Germania, le competenze legislative in materia fiscale sono concentrate in capo allo Stato federale, che disciplina anche le imposte che spettano esclusivamente ai Länder, al fine di preservare l'unità economica e giuridica dell'insieme del territorio federale. Le leggi federali concernenti le imposte spettanti in tutto o in parte ai Länder o ai Comuni sono tuttavia soggette all'approvazione del Bundesrat.
La ripartizione delle entrate tra lo Stato federale e i Länder ha l'obiettivo di consentire l'esercizio delle funzioni assegnati dalla Legge fondamentale ed è effettuata in senso sia verticale, tra lo Stato federale, i Länder ed i Comuni, che orizzontale, all'interno di ciascun Land.
La dotazione delle risorse finanziarie dei Comuni non è disciplinata direttamente dalla Legge fondamentale, ma dipende principalmente dalla responsabilità dei Länder, cui spetta, attraverso le rispettive leggi, l'attribuzione ai Comuni delle proprie funzioni e quindi delle relative risorse. In ogni caso la Legge fondamentale stabilisce comunque l'attribuzione diretta ai comuni di una certa quota delle entrate fiscali, al fine di garantire ai Comuni medesimi un certo margine di manovra in materia di autonomia amministrativa.
Le imposte rappresentano comunque la principale fonte di finanziamento per i Comuni, che possono influire in parte sull'ammontare delle entrate fiscali locali, per esempio esercitando il loro diritto di stabilire l'aliquota di prelievo dell'imposta fondiaria e della tassa professionale e utilizzando la possibilità d'introdurre i propri diritti d'accisa e di consumo locali, la cui importanza fiscale, tuttavia, è secondaria. Al gettito derivante dall'imposizione fiscale si aggiungono i contributi e le tasse, che sono le remunerazioni per le prestazioni comunali fornite ai cittadini e alle imprese. Si basano sul principio di equivalenza e devono essere calcolati per quanto possibile in modo da coprire gli oneri. Le deroghe al principio della copertura degli oneri sono possibili se sono giustificate da considerazioni di carattere sociale. Le dotazioni del Land servono a coprire il fabbisogno finanziario comunale quando le entrate provenienti dalle imposte locali,
dalle tasse e dai contributi non bastano. Ma le dotazioni possono altresì
essere assegnate al finanziamento, da parte del Land, di alcuni investimenti comunali determinati.
Se tutti questi strumenti di finanziamento non sono sufficienti ad assicurare il finanziamento totale delle prestazioni fornite nell'ambito delle missioni comunali, i Comuni hanno la possibilità di ricorrere al prestito. Il diritto di ricorrere al prestito di cui godono i Comuni è tuttavia limitato dalle regole relative alla predisposizione del bilancio previsionale. I prestiti sono in principio autorizzati soltanto per finanziare investimenti e superare delle difficoltà di liquidità, allorché non è possibile finanziare in altro modo gli obiettivi perseguiti. Il prestito comunale deve essere autorizzato dalle autorità di controllo comunali e l'autorizzazione può essere rifiutata se gli impegni finanziari risultanti dal prestito non permettono di garantire la competitività durevole e la corretta gestione in materia di bilancio del Comune. I Comuni non possono fallire. Al fine di evitare l'eccessivo
indebitamento o l'insolvenza, le autorità di controllo comunali obbligano i Comuni interessati a prendere le misure di risanamento finché la loro capacità d'azione finanziaria non sia ristabilita. Benché dispongano in principio di un ampio ventaglio di strumenti di finanziamento, i Comuni si indebitano quasi unicamente con le banche, con le casse di risparmio locali e con associazioni tra banche di compensazione. La possibilità di gestire da soli i propri debiti dipende anzitutto dalla dimensione delle città e dei Comuni, le grandi città godono da questo punto di vista di un vantaggio evidente.
Nell'ambito di ciascun Land è inoltre prevista una perequazione comunale per la ripartizione delle risorse da destinare ai singoli Comuni. A tal fine, ciascun comune riceve una dotazione finanziaria minima che tiene conto delle missioni affidate e della dimensione e successivamente delle risorse aggiuntive volte a compensare i deficit strutturali, ma non quelli dovuti alle responsabilità riconducibili alla cattiva gestione. Nell'assegnazione delle risorse si tiene conto di un costo standard per le diverse funzioni, eventualmente corretto applicando fattori correttivi specifici, come il numero di abitanti.
Con riferimento al sistema dei controlli sulla finanza locale, le soluzioni possono differire da un Land all'altro, quindi è possibile tracciare unitariamente solo una sintesi di massima. Vi è innanzitutto un controllo prioritario dei piani di bilancio in via amministrativa, esercitato, a seconda della dimensione dell'ente, da soggetti diversi, l'autorità di sovrintendenza comunale, l'amministrazione del distretto rurale, il Land, ovvero lo stesso Ministero dell'interno per le grandi città. Obiettivo di tale tipo di controllo è quello di assicurare che i Comuni prendano ogni misura necessaria ad assicurare la predisposizione di piani di bilancio equilibrati e non finanziati ricorrendo al credito. L'efficacia di tale strumento appare comunque relativa, in omaggio al principio di autonomia amministrativa del comune e poiché potranno essere contestate solo spese che già a prima vista risultassero antieconomiche ed
eccessivamente onerose sul lungo termine.
Sul versante dei controlli interni, accanto ai controlli classici effettuati dal consiglio comunale o dalle commissioni da esso nominate, che verificano annualmente i conti, gli enti di maggiori dimensioni dispongono di uffici per la revisione dei conti, formati da funzionari indipendenti dall'amministrazione ordinaria e sottoposti solo al Sindaco.
A livello di enti territoriali intermedi possono essere istituiti uffici di revisori dei conti che collaborano direttamente solo con il Consiglio del Land e i cui dirigenti possono essere nominati solo con il consenso della Corte dei conti. La Corte, da parte sua, esercita un controllo qualificato su questi funzionari e li sostiene nel loro lavoro. Questa forma organizzativa costituisce un ponte tra il controllo interno e quello esterno e si è dimostrata funzionale, permettendo tra l'altro alla Corte dei conti di estendere le proprie funzioni di controllo in misura consistente. La Corte, per parte sua, ha utilizzato questa circostanza per trasferire agli uffici dei revisori
dei conti l'onere del controllo di più piccole unità amministrative locali. I controlli esterni in ambito comunale sono, in diversi Länder, trasferiti alla sezione regionale della Corte dei conti. In altri Länder, tale funzione viene assunta da particolari unità a livello ministeriale, da associazioni di revisione create ad hoc o da enti di diritto pubblico.
L'esperienza inglese si presenta particolarmente interessante, in specie con riferimento al sistema dei controlli. Occorre tuttavia ricordare che la struttura istituzionale ed il contesto giuridico, caratterizzato da un regime di common law, nonché la non adesione all'area dell'euro rendono tale esperienza estremamente peculiare.
L'attuale sistema delle autonomie, che conta circa 500 enti locali di diverso livello, è stato riformato con il Local Government Finance Act del 1982, durante il governo di Margaret Thatcher, ma ha conosciuto ulteriori aggiornamenti durante gli anni in cui è stato Primo ministro Blair. La riforma dei conservatori si è basata sostanzialmente su due pilastri. Da un lato, è stato introdotto, il principio value for money in applicazione del quale il Governo di Londra trasferisce circa un quarto delle risorse finanziarie del Regno agli enti locali, che tuttavia devono dimostrare di utilizzarle correttamente per creare valore. Dall'altro si è sviluppato un sistema di controlli che ha sottratto all'ente locale il potere di nomina dei revisori e ha accentrato tale funzione nella Audit Commission, istituita a livello centrale, chiamata a svolgerla anche attraverso le sue articolazioni territoriali. Con i Governi Major
prima e Blair poi il ruolo dell'Audit Commission è stato ulteriormente sviluppato ed indirizzato all'analisi delle performances e finalizzato a verificare, non solo che le risorse venissero spese correttamente, ma anche producendo i risultati attesi.
Il sistema di finanza locale inglese si basa essenzialmente sui trasferimenti erariali e su una local tax, che vale circa il 7-8 per cento delle risorse locali. Da rilevare inoltre che generalmente l'erogazione dei servizi avviene a fronte di tariffe che garantiscono di norma l'equilibrio finanziario. A tal fine, ciascun ente locale inglese ha l'obbligo di presentare ogni anno il Best Value Performance Plan che rappresenta un'analisi dei risultati conseguiti e degli obiettivi che ci si pone, nel quale si deve altresì chiarire le ragioni di eventuali disallineamenti rispetto al costo standard di un determinato servizio in enti locali paragonabili. Prima ancora di illustrare il sistema di controlli esterni, occorre premettere che il sistema contabile inglese è caratterizzato più dall'applicazione di principi definiti in ambito professionale dalle associazioni di revisori, piuttosto che sulla rigida applicazione di regole
giuridiche, il che appare comprensibile dato il sistema di common law. Inoltre, vale la pena di sottolineare il ruolo del Chief Financial Officer, il responsabile dei servizi finanziari, che è nominato dall'organo assembleare dell'ente, ma riveste una posizione di autonomia rispetto al potere locale.
I controlli esterni sugli enti locali, come accennato, sono svolti dalla Audit Commission, attraverso le sue articolazioni territoriali. La Audit Commission può contare su un organico di circa 2.300 persone e sulla possibilità di assumere soggetti esterni per specifiche missioni. I compiti della Audit Commission sono essenzialmente riconducibili all'ambito dei controlli collaborativi e si esercitano attraverso i revisori da essa nominati ed inviati presso gli enti locali. A livello centrale, l'Audit Commission ha il compito di fissare le regole standard per l'esecuzione della revisione contabile con la predisposizione del Code of Audit Practice, aggiornato ogni anno dalla Commissione e sottoposto ogni cinque anni all'approvazione del Parlamento. La Commissione stabilisce inoltre le tariffe per lo svolgimento dell'attività di revisione e ha il compito di monitorare la qualità della prestazione dei
revisori. I revisori nominati dalla Audit Commission predispongono dei rapporti da presentare
al Consiglio dell'ente locale. Tali rapporti contengono una chiara indicazione delle performances dell'ente e delle previsioni per il prossimi anni. Nel caso in cui riscontrino violazioni di legge, i revisori sono tenuti a riferire alla magistratura competente o, in caso di irregolarità contabili o amministrative, a formulare una dichiarazione di illegittimità per ottenere il ripristino delle condizioni di legittimità.
La particolarità, forse più significativa, di tale sistema è il diritto-dovere per i revisori, nel caso in cui le loro raccomandazioni al Consiglio sul management dell'ente rimangano inascoltate, di redigere un report in the public interest da presentare direttamente all'opinione pubblica. Peraltro vi è l'obbligo di dare adeguata pubblicità a tale rapporto e per i Consigli di rispondere pubblicamente.
Nel corso dell'indagine conoscitiva sono state approvate due leggi di sistema, sostenute da un ampio consenso parlamentare, destinate a produrre effetti estremamente significativi sull'assetto della finanza locale. Ci si riferisce in primo luogo alla legge n. 42 del 2009, in materia di federalismo fiscale, ed alla legge n. 196, approvata nel medesimo anno, in materia di contabilità e finanza pubblica. Entrambi i provvedimenti sono volti a dare attuazione a principi contenuti del titolo V della Costituzione e rimasti, per quasi un decennio, privi di riscontro nella legislazione ordinaria. Con la prima di tali leggi è stata riconosciuta agli enti territoriali minori un'effettiva autonomia di entrata e di spesa, in conformità con quanto previsto dall'articolo 119 della Costituzione, prevedendo il venire meno dei trasferimenti statali e dando corpo al principio della piena responsabilità finanziaria di tutti gli enti politici. Con il secondo dei
provvedimenti indicati, sono stati sviluppati, in coerenza con l'assetto federalista della Repubblica anche sotto il profilo fiscale, i principi di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, richiamati dagli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. Nel primo come nel secondo provvedimento, il legislatore ha stabilito di intervenire attraverso un insieme di deleghe legislative tra loro coordinate, in modo da consentire di esaminare compiutamente, sulla base dei necessari approfondimenti istruttori da svolgersi con il concorso di tutti i soggetti interessati, problematiche estremamente complesse e di elevato contenuto tecnico, che richiedono di essere affrontate sulla base di un disegno unitario e coerente.
Va aggiunto come negli ultimi anni, e anche nella legislatura in corso, la finanza locale sia stata interessata da numerosi altri interventi legislativi. Le due leggi prima ricordate, tuttavia, risultano segnare una netta discontinuità rispetto alle misure in precedenza adottate per due ordini di motivi. In primo luogo, è stata colmata, in attuazione del dettato costituzionale, una fondamentale lacuna che rendeva zoppo e strutturalmente inadeguato l'assetto federale della Repubblica, attuando, come si è detto, il principio dell'autonomia e della responsabilità finanziaria degli enti locali. Inoltre, non si è intervenuti, come spesso accaduto in passato, con soluzioni tampone e misure frammentarie, ma attraverso un disegno riformatore organico mirato a precisi obiettivi e destinato a modificare dalle fondamenta il sistema della finanza locale, affrontando una serie di criticità che rendevano poco affidabile e intrinsecamente fragile,
sotto il profilo finanziario, l'attuale assetto. Tale disegno - va ribadito -, che rende il modello italiano più simile a quello tedesco e assai diverso da quello francese, è destinato a realizzarsi gradualmente, attraverso l'esercizio di una serie di decreti legislativi alla luce dei quali dovrà essere verificata la validità degli indirizzi assunti e del percorso tracciato al fine di conferire maggiore solidità e coerenza alla finanza locale e, più ampiamente, alla finanza pubblica nel suo complesso.
Alla luce di tale nuovo quadro legislativo, per quanto ancora in divenire, appare
sicuramente in via di superamento l'attuale configurazione del Patto di stabilità interno, i cui limiti - come si è detto - sono stati messi da più parti in evidenza nel corso dell'indagine. Il Patto, che è nato dall'incontestabile esigenza di assicurare il concorso di regioni ed enti locali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, è apparso sotto più aspetti viziato da una gestione centralistica e paternalistica, che, non considerando le specificità dei singoli enti e, soprattutto, trascurando la diversa base di partenza, penalizza realtà virtuose e risulta per taluni aspetti accomodante con realtà inefficienti, e finisce con il richiedere l'introduzione di continui aggiustamenti volti a rimediare alle distorsioni più evidenti prodotte dall'applicazione delle regole in precedenza stabilite. Tali esiti sono apparsi dovuti ad un limite di fondo del Patto che, pur fornendo un importante
contributo al miglioramento dei conti pubblici, sin dall'origine, concentrandosi sull'individuazione di obiettivi, generali e di comparto, non è risultato idoneo ad incidere in maniera virtuosa sulla gestione della finanza pubblica a livello locale, consentendo di rispettare i vincoli stabiliti senza assicurare, a livello di singoli enti, un'effettiva solidità e stabilità alla finanza locale.
Risulta per altro verso problematico ascrivere effetti duraturi e di tipo strutturale ai tagli ripetuti dei trasferimenti statali giustificati dalla volontà di indurre gli enti locali a realizzare risparmi in determinati settori, ma senza che vi sia stata in precedenza una puntuale individuazione delle misure da assumere e delle spese da ridurre. Tipico è il caso degli interventi sui costi della politica disposti nelle due ultime legislature senza l'indicazione tassativa - nei limiti in cui ciò risulti possibile alla luce dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti locali - dei provvedimenti da adottare.
Ben diverso, e potenzialmente idoneo a mutare natura e caratteristiche del Patto, risulta l'approccio alla finanza locale adottato con la legge n. 42 del 2009. L'obiettivo, in particolar modo del federalismo fiscale, appare infatti quello di vincolare la gestione finanziaria dei singoli enti al rispetto di costi e fabbisogni standard nell'esercizio delle funzioni pubbliche ad essi attribuite e, sulla base di tali criteri, integralmente finanziate attraverso risorse autonome. Attraverso la nozione di costo standard, ben nota ad altri sistemi quali quelli tedesco ed inglese, il legislatore ha inteso pervenire al progressivo superamento del criterio della spesa storica nel finanziamento delle funzioni, che dovrà lasciare concretamente spazio all'applicazione di criteri di economicità e di efficienza, in modo da livellare verso il basso il costo delle funzioni costituzionalmente attribuite, assumendo come riferimento gli enti che dimostrano di sapere
utilizzare al meglio le risorse pubbliche, ferma restando la necessità di determinare e finanziare integralmente i livelli essenziali delle prestazioni. In questo modo potranno tra l'altro realizzarsi correzioni delle tendenze strutturali della spesa, attraverso un contenimento delle spese correnti che, al contrario, come si è visto, in questi anni, sono costantemente cresciute, a detrimento delle spese di investimento, sulle quali si sono concentrate le misure volte al conseguimento degli obiettivi prefissati.
La nuova legge in materia di contabilità e di finanza pubblica introduce a sua volta due importanti innovazione che, se correttamente attuate, potranno concorrere a superare alcuni limiti del Patto. La prima, di carattere procedurale, prevede che l'ipotesi di ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica tra i diversi livelli di governo venga sottoposta al previo parere della Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica e contestualmente trasmessa alle Camere alle quali, in seguito, dovrà pervenire anche il predetto parere. In questo modo dovrebbe essere garantita una discussione ampia a tempestiva sulla ripartizione degli obiettivi (oltre che evidentemente sulla loro entità), attraverso il coinvolgimento delle autonomie e avendo come potenziale stanza di compensazione il Parlamento, in modo da superare una prassi in virtù della quale gli obiettivi sono stati sovente stabiliti unilateralmente
dal Governo nazionale e oggetto di scarso confronto ed approfondimento. La seconda innovazione riguarda l'obbligo per il Governo di formulare gli obiettivi tenendo conto delle determinazioni assunte in sede di definizione del Patto di convergenza, lo strumento attraverso il quale dovrà essere progressivamente raggiunto l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, fatti salvi la definizione e il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni. Con tale previsione il legislatore è sembrato voler indicare un criterio oggettivo, espressione tra l'altro di una procedura di carattere negoziale, da tenere presente nella definizione degli obiettivi del Patto di stabilità. In altri termini, il coordinamento della finanza pubblica dovrà essere attuato alla luce ed in vista dell'attuazione del federalismo fiscale.
Il suddetto metodo, lungi dal concentrarsi esclusivamente sull'obiettivo di assicurare la migliore governance a regime del sistema finanziario in un assetto «multilivello», dovrà necessariamente affrontare in via preventiva alcune questioni e nodi cruciali dalla cui soluzione dipenderà, in buona misura, il successo stesso della riforma.
Si tratta, in primis, del tema della dotazione infrastrutturale e strutturale delle aree meridionali in alcuni settori di spesa direttamente connessi alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni, con particolare riguardo a quelli che afferiscono, per quanto riguarda gli enti locali, al settore dell'assistenza che è afflitto da storiche differenze territoriali nella dotazione di patrimonio immobiliare e tecnologico. L'adeguamento del capitale fisso ai moduli di servizio minimi assicurati dai LEP si renderà, infatti, necessario ad assicurare l'effettiva sostenibilità del nuovo modello finanziario, in un'ottica di uniformità delle prestazioni minime, come emerge inequivocabilmente dall'impianto complessivo della legge n. 42 del 2009.
Un intervento sulla finanza locale nei termini anzidetti comporta una serie di passaggi di rilevante complessità tecnica e politica. Una condizione preliminare per potere attuare efficacemente il federalismo fiscale e soddisfare le sempre più impellenti esigenze di coordinamento della finanza pubblica è rappresentata dall'introduzione di regole uniformi per la redazione dei bilanci dei diversi enti territoriali al fine di assicurarne la piena trasparenza e la confrontabilità. L'attuale disomogeneità delle modalità di redazione degli stati di previsione si riscontra, in particolare, sul piano della classificazione funzionale delle spese che viene diversamente interpretata nonché delle differenti modalità di ricorso all'esternalizzazione dei servizi e delle funzioni che si riflette spesso in maniera incompleta nei bilanci dei singoli enti inficiandone l'unitarietà, l'integrità e la trasparenza.
Andrebbe inoltre attentamente valutata la concorde sottolineatura da parte degli esperti auditi dalla Commissione relativa all'esigenza di valorizzare adeguatamente le rilevazioni degli aspetti economico-patrimoniali della gestione attraverso lo sviluppo delle forme di contabilità economica, anche di tipo analitico. Questo soprattutto nella prospettiva dell'attuazione delle deleghe in materia di federalismo fiscale che, specie con riferimento alla rilevazione dei costi standard per il finanziamento delle funzioni fondamentali, rende necessario disporre di un quadro unificato delle grandezze contabili utilizzate dai medesimi enti, in modo da consentire la piena confrontabilità dei dati a livello territoriale e una più agevole aggregazione a livello nazionale.
Un elemento dei bilanci degli enti locali che occorrerà tenere sotto controllo è costituito dall'indebitamento che risulta consentito, ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, solo per finanziare le spese di investimento. Il limite costituzionale, pur se fondamentale nell'assicurare una corretta gestione della finanza locale, non può tuttavia ritenersi sufficiente a garantire che il ricorso all'indebitamento non pregiudichi gli equilibri finanziari. A riguardo, come evidenziato dalla Corte dei conti, occorrerebbe prevedere che ogni ente raggiunga l'equilibrio di parte corrente
ed assegni obiettivi stringenti di debito, coerenti con gli obiettivi europei. In particolare, l'intero servizio del debito, e quindi sia gli interessi che le quote capitale in ammortamento, dovrebbero trovare copertura nel saldo della gestione ordinaria corrente.
Meritano, inoltre, di essere adeguatamente contrastati i fenomeni di elusione del divieto di ricorso al debito attraverso l'utilizzo improprio di strumenti quali il leasing immobiliare ed il project financing nonché mediante il ricorso ad operazioni di finanza derivata. Sempre al fine di un'efficace monitoraggio dell'indebitamento, occorrerà dare piena attuazione alle disposizioni in materia di federalismo fiscale che prevedono un consolidamento dei dati di bilancio degli enti con quelli delle società controllate.
Particolarmente impegnativa appare altresì la ridefinizione del sistema delle entrate locali attraverso la fiscalizzazione dei trasferimenti statali, oltre che di quelli regionali, attualmente pari a circa 16 miliardi di euro e, secondo la Relazione presentata dal Governo il 30 giugno 2010 in attuazione della legge n. 42 del 2009, suscettibili di essere fiscalizzati nella misura di circa 14 miliardi. È questo, con ogni evidenza, un passaggio ineludibile per realizzare un'effettiva autonomia finanziaria degli enti locali. A questo scopo occorre in primo luogo accelerare gli sforzi per addivenire ad una metodologia condivisa da tutti i soggetti interessati per la ripartizione, a livello regionale e locale, delle entrate erariali, in assenza della quale il riconoscimento di entrate autonome darebbe vita ad un vasto contenzioso. Per analoghe ragioni, appare altresì necessario uniformare quanto più possibile le modalità di riscossione dei
tributi locali. Inoltre, nell'individuazione dei tributi locali, si dovranno perseguire obiettivi di semplificazione concentrandosi sui cespiti maggiormente legati ai territori, in modo, tra l'altro, da agevolare l'attività di riscossione, fermo restando l'obiettivo di mantenere invariata la pressione fiscale.
Un ulteriore ambito nel quale il legislatore, successivamente alla riforma del Titolo V della Costituzione, ha più volte ritenuto opportuno intervenire è quello dei controlli. Il nuovo assetto costituzionale di tipo federale ha determinato un rafforzamento dei controlli interni ed un profondo adeguamento dei controlli esterni. È senz'altro da condividere la scelta di concentrare i controlli interni sugli aspetti sostanziali della gestione economica finalizzandoli ad orientare le attività oggetto del controllo. Occorre tuttavia impegnarsi per modificare la tendenza degli amministratori locali ad utilizzare in maniera assai limitata i controlli interni come strumento di governo, vanificando in tal modo una importante opportunità di incidere sulla gestione amministrativa. Va, parimenti, valutata con favore la scelta di fare assumere un carattere sempre più collaborativo ai controlli esterni sulla finanza locale. Per quanto riguarda
tuttavia l'esercizio dei controlli da parte della Corte dei conti, attuato attraverso le sezioni regionali di controllo, va sottolineata una criticità dell'attuale disciplina che, anche per il caso di reiterate anomalie nell'ambito della gestione finanziaria e di mancata adozione di interventi correttivi, non prevede l'adozione di adeguate misure volte a porre rimedio alle irregolarità segnalate dalla Corte ovvero a sanzionare l'ente inadempiente.
Su tali aspetti si dovrà peraltro ora intervenire in sede di attuazione del federalismo fiscale. Nel quadro di una maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni locali e di un'accentuazione del controllo democratico, alcune disposizioni di delega prefigurano infatti l'introduzione di un sistema sanzionatorio per gli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, prevedendo l'attivazione di misure correttive quali l'incremento della tassazione, l'alienazione dei beni dell'ente, il blocco delle assunzioni e delle spese discrezionali, sino a prefigurare l'irrogazione di sanzioni nei confronti degli stessi organi di governo quali l'ineleggibilità, in caso di dissesto dell'ente, e l'interdizione dalle cariche in enti vigilati e partecipati.
In materia di controlli intervengono inoltre numerose altre disposizioni di recente adozione o il cui iter legislativo è ancora da completare. Va segnalata l'opportunità che l'attuazione di queste diverse normative avvenga in modo coordinato e tale da non appesantire inutilmente le procedure e gli obblighi informativi degli enti locali. Devono, invece, essere tenuti presenti gli obiettivi di fondo di un moderno sistema di controllo in termini di efficacia e di efficienza della gestione economico-finanziaria degli enti. A tal fine dovrà, in particolare, essere ottimizzato, guardando anche all'esperienza di altri Paesi come la Germania, il raccordo tra controlli interni e controlli esterni, valorizzando, tra l'altro, la complessiva riorganizzazione e razionalizzazione delle attività di controllo e monitoraggio affidate alla Ragioneria generale dello Stato prevista dalla legge di riforma della contabilità e della finanza pubblica.
Anche in questo ambito, il Parlamento dovrà essere chiamato a svolgere un ruolo di armonizzazione delle istanze e degli interessi in gioco, garantendo un quadro coerente ed unitario dei diversi settori della finanza pubblica.
Dalle risultanze dell'indagine, è emerso con chiarezza come in questa fase occorra concentrarsi sull'attuazione di un complesso di normative, ed in particolare sull'adozione di una serie di decreti legislativi, destinate ad incidere in profondità sull'assetto della finanza locale. In esito a tale articolato processo, di cui sarà compito fondamentale del Parlamento garantire la tenuta e l'efficacia, la finanza locale sembra destinata ad assumere caratteristiche assai diverse dalle attuali. Tale fase attuativa comporta infatti la necessità di effettuare scelte qualificanti e di sciogliere nodi particolarmente intricati, adottando soluzioni dalle quale emergerà in concreto il nuovo volto della finanza locale.