Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL MERCATO IMMOBILIARE
Audizione di rappresentanti della Federazione industrie prodotti impianti e servizi per le costruzioni (FINCO):
Alessandri Angelo, Presidente ... 3 15 19 23
Artale Angelo, Direttore generale della FINCO ... 4 7 8 9 11 13 15
19 20 21
Danzi Anna, Funzionario della FINCO ... 10 11 13
Francescangeli Tullio, Funzionario della FINCO ... 14
Gherardi Gabriella, Vicepresidente della FINCO ... 3 8 13 14 22
Stabiumi Margherita, Componente della giunta esecutiva della FINCO ... 6 7 8 9
Zamparutti Elisabetta (PD) ... 20
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul mercato immobiliare l'audizione di rappresentanti della FINCO.
Sono con noi la dottoressa Gabriella Gherardi, vicepresidente, la dottoressa Margherita Stabiumi, componente della giunta esecutiva, il dottor Angelo Artale, direttore generale, l'architetto Tullio Francescangeli, consulente, e i funzionari Anna Danzi e Katia Serrauro.
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.
GABRIELLA GHERARDI, Vicepresidente della FINCO. Buongiorno, presidente. Intanto, la ringrazio a nome della FINCO di quest'audizione, che ci immette proprio nella parte formativa delle decisioni del Parlamento su questo argomento di grandissima importanza, sotto il profilo non solo sociale, ma anche della ripresa economica del Paese.
Poiché l'argomento ha connotati tecnici di rilievo, passerò subito la parola al direttore generale della FINCO perché illustri tutti gli aspetti tecnici.
Per parte mia, mi limiterò a svolgere una sola segnatura a questa Commissione: indipendentemente da quali saranno le vostre decisioni in ordine a questo importante tema, vi invito a tenere conto dell'aspetto delle manutenzioni. Gli aspetti manutentivi, sia degli immobili, sia delle infrastrutture, sia delle strade, non sono tenuti in questo Paese nel debito conto: né dai privati, magari anche per problemi economici, né, il che è più grave, dal pubblico, dallo Stato stesso, il quale, nonostante sia obbligato dagli articoli 822 e seguenti del Codice civile a effettuare la manutenzione del proprio patrimonio demaniale, in realtà non la effettua.
Non è solo un notazione ictu oculi, perché vediamo tutti lo stato delle strade e di certi immobili. Lo dimostrano le stesse carte del Ministero dell'economia e delle finanze, che, nell'ultima relazione svolta dall'ispettorato competente, contenente tutti i dati afferenti il patrimonio dello Stato, hanno evidenziato un decremento di valore di oltre il 17 per cento.
Ciò significa che non si fa nulla per combattere la vetustà e per mantenere il valore dei beni affidati. Se non se ne occupa lo Stato, immaginiamoci i privati, che fanno ancora di meno, fatta eccezione per le società immobiliari o per le compagnie di assicurazione che hanno negli investimenti immobiliari una fonte di investimento e, quindi, sono costrette per ragioni finanziarie a tenerli aggiornati.
Questo, a mio modo di vedere, è un importante argomento, quasi sempre tralasciato, che, parlando di ambiente in particolare, dovrebbe essere tenuto in grandissimo conto.
Cedo ora la parola al direttore generale, dottor Angelo Artale.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. I nostri ringraziamenti sono già stati portati dalla dottoressa Gherardi.
Abbiamo bisogno di un po' di tempo per focalizzare un aspetto per noi importantissimo. Il nostro obiettivo, al quale ormai abbiamo dedicato negli ultimi quattro anni altrettanti convegni, è, in sostanza, quello di rilanciare l'economia nazionale attraverso le costruzioni e fare in modo che tale rilancio passi attraverso un'edilizia improntata all'efficienza energetica.
Su questo siamo d'accordo tutti; non credo di aver sentito negli ultimi anni una voce difforme o dissonante. Fatto sta che il cosiddetto «Piano casa 2», quello individuato dall'accordo Stato-regioni del 31 marzo scorso, che prevedeva - come ella ben sa, ma lo ricordo ai fini dello stenografico - la possibilità di abbattere e ricostruire col bonus del 35 per cento di volumetria in esito a un incremento energetico oppure di aumentare le superfici del 20 per cento delle unità mono e bifamiliari, di fatto non è partito.
Noi individuiamo le ragioni di questa mancata partenza, che è assai grave, perché il nostro settore - sentiremo poi anche alcuni esponenti industriali - è veramente in crisi, in diversi fattori.
Il primo di essi è la burocrazia. È un modo di dire, se volete, un po' vago, però è un dato di fatto vero.
Il secondo è che il bonus volumetrico non sempre, nell'attuale tenore del 35 per cento, assicura un ritorno tale da rendere conveniente l'investimento in questa misura. Per essere più chiari, non sempre con il 35 per cento di aumento volumetrico ci si rifà delle spese di abbattimento di un immobile. Questo sicuramente può avvenire in zone di alto pregio, come nel centro di Roma, dove tuttavia questa operazione non si può compiere. Dove, invece, la si potrebbe fare, per esempio nella periferia urbana di Bari, il costo dell'abbattimento non viene ristorato dalla ricostruzione di un palazzo più alto - visto che di questo si tratta quando parliamo di sostituzione urbana, ossia di non occupare altro spazio, ma di sostituire e, quindi, di svilupparsi spesso in altezza -.
Infine, anche se siamo molto sensibili al federalismo fiscale e ad altre forme di federalismo, sotto il profilo urbanistico, viceversa, la difformità delle normative regionali, superate le quali ci sono gli strumenti urbanistici comunali, superati i quali a volte ci sono addirittura le misure circoscrizionali, non si è rivelata per il momento in grado di far partire il Piano casa. Di fatto, oggi in Italia abbiamo - credo - 400 domande. In questa città abbiamo un solo esempio di abbattimento e ricostruzione, il quartiere Giustiniano Imperatore, realizzato a suo tempo dal sindaco Veltroni, ma perché stava crollando e non per altri motivi.
In sintesi e per esser seri - non si può esaurire in poco tempo questa discussione - volevamo proporre a questa spettabile Commissione di farsi interprete di un'esigenza. Un aspetto che non viene sufficientemente considerato è l'informazione ai cittadini, la quale è bene che venga promossa. Tale informazione deve essere promossa da parte di un organismo bipartisan, che abbia un istituzionale prestigio e un'alterità rispetto a questi problemi e che noi individueremmo in questa Commissione. Le vorremmo, dunque, proporre di patrocinare uno studio, nel quale vorremmo coinvolgere anche il CNEL, sugli effetti potenziali e tecnici del Piano casa. Al riguardo, vorrei sottolineare un aspetto particolare, magari inimicandomi il Ministero dello sviluppo economico, che è il seguente: lei sa, presidente, che ogni anno vengono spiccate multe dall'Antitrust per quanto riguarda la tutela dei consumatori, cioè vengono multate le
grandi aziende, che magari fanno cartello o altro. I fondi di queste multe, che sono ingenti, vengono
poi distribuiti ogni anno su un capitolo apposito a favore dell'informazione per i consumatori, che in questo caso sono anche gli utenti.
Poiché il primo problema da risolvere quando si promuove un'iniziativa è trovare la copertura finanziaria, questo potrebbe essere un capitolo a cui attingere. Aggiungo che si tratta dello stesso capitolo a cui si è attinto per svolgere adesso la ricerca che viene effettuata dal ministero e dall'ENEA, in vista della prossima finanziaria, sugli effetti delle agevolazioni fiscali (cosiddette «55 per cento») per la riqualificazione energetica degli edifici. Solleciteremmo, dunque, un ruolo attivo di questa Commissione in questo senso e ci riserviamo di produrre una documentazione, che oggi non abbiamo ma che produrremo quanto prima, in merito a questo tema.
Oggi abbiamo consegnato solamente un documento riguardante il 55 per cento, data l'urgenza di porre un punto fermo su questo aspetto, evidenziando che, nel complesso delle misure che attengono al nostro settore, abbiamo l'IVA agevolata del 10 per cento sui materiali e il bonus del 36 per cento sulle ristrutturazioni, che l'anno scorso ha fatto registrare più di 400 mila domande e, quindi, un buon andamento, e che è stato prorogato, come lei ben sa, fino al 2012.
L'IVA sui materiali è stata resa stabile. Tuttavia, sul 55 per cento il Governo tace, a parte il Sottosegretario Casero, che ha fatto una dichiarazione in cui sosteneva che sarebbe stato preso in considerazione, e il direttore generale del Ministero dello sviluppo economico, Bianchi, il quale, al nostro convegno, ha affermato che non essendo un politico non spetta a lui dirlo, ma che ci sono buone intenzioni, al momento a fine anno il 55 per cento cessa. Per adesso, quindi, abbiamo consegnato soltanto un documento sul 55 per cento, perché è veramente importante che questa misura venga prorogata, se non stabilizzata.
Infine, abbiamo individuato uno strumento per la declinazione dello sviluppo del territorio e del Piano casa in chiave di efficienza energetica, che abbiamo denominato ecoprestito. Lasceremo poi agli atti della Commissione una lettera che la dottoressa Marcegaglia ha scritto ieri alla Presidente Giavarini per rassicurare sulla volontà della Confindustria di svolgere ulteriori pressioni sull'Esecutivo a favore di questa misura. Riteniamo, tuttavia, che quest'audizione in sede parlamentare, questa occasione di dialogo con il potere legislativo, sia altrettanto importante anche in chiave di prospettive. Riteniamo infatti che ci stiamo abituando a parlare sempre con l'Esecutivo, il che è necessario, ma dobbiamo pensare anche un po' in prospettiva.
Torno all'ecoprestito. Abbiamo assistito nel decreto-legge n. 40, in corso di conversione, a incentivi sulle eco-case, equivalenti complessivamente a 60 milioni di euro, che, divisi in bonus medi di 6 mila euro - svolgiamo conti molto pratici - corrispondono a contributi per l'acquisto di 10 mila appartamenti. La mia presidente, che è di San Secondo Parmense, diceva che equivalgono sì e no agli alloggi del suo paese. In sostanza, se dividiamo quanto messo a disposizione con questi bonus - fino a un massimo di 5 mila euro se di classe B e di 7 mila se di classe A -, alla fine, si arriva a 10 mila appartamenti. Inoltre, occorre considerare che questi contributi si traducono in un immediato aumento della spesa pubblica: sono soldi materialmente dati. Noi, invece, proponiamo un ecoprestito a tasso zero, fino a 30 mila euro, che poi viene rimborsato, e, quindi, il costo per lo Stato è limitato al costo degli interessi, a carico della Cassa
depositi e prestiti - che, peraltro, prende i soldi dei cittadini e in questo modo glieli restituisce - e, speriamo, delle fondazioni bancarie, che dispongono dei soldi e che nei loro statuti hanno l'obbligo di essere sensibili al benessere del territorio.
Perché parliamo in prospettiva? Siamo un Paese dove nel 1951 l'aspettativa di vita era di 67 anni, mentre oggi è di 81; nel 1951 - parliamo dell'ultimo mezzo secolo
- le persone sotto i 19 anni erano il 35 per cento della popolazione, mentre oggi gli ultra-sessantacinquenni sono diventati di più degli ipo-diciannovenni.
In una situazione di questo tipo, che ci vede diventare, bene o male, sempre più ricchi e sempre più vecchi, o meglio, con più aspettativa di vita e, quindi, sempre più in grado di vedere soddisfatte le nostre aspettative di qualità di vita, puntare solo sulle prime case e sulle nuove costruzioni è poco lungimirante; dobbiamo anche guardare al patrimonio edilizio già costruito. Per questo motivo, secondo noi, la proposta dell'ecoprestito, oltre che essere meno onerosa per lo Stato, è anche più lungimirante.
Per quanto riguarda gli aspetti industriali, passerei la parola alla dottoressa Stabiumi. Eventualmente riprendiamo poi la riflessione, perché si pone anche un problema dei materiali e dei prodotti italiani che concorrono a fare qualità nel nostro mercato.
MARGHERITA STABIUMI, Componente della giunta esecutiva della FINCO. Il settore delle costruzioni è costituito a monte dalle aziende che producono i materiali per costruzioni. Fortunatamente, in Italia abbiamo o, meglio, possiamo ancora avere un'industria veramente eccellente dal punto di vista del prodotto e delle modalità di produzione, vale a dire dei parametri e del livello di performance ambientale delle produzioni.
La crisi ci ha colpito esattamente nell'ottobre del 2008 in modo violento e inaspettato. Io rappresento il tondino per cemento armato, cioè gli acciai di rinforzo. Quando si parla di cemento armato, si intendono il cemento (in realtà non è cemento, ma calcestruzzo), gli additivi, gli aggregati e il tondino, ciò che arma la struttura. In FINCO abbiamo rappresentanti di tutti gli altri materiali, le piastrelle, il legno, tutto ciò che sta a monte.
Sostanzialmente, il nostro mercato è totalmente inchiodato e non si è ripreso affatto, nonostante il settore delle costruzioni sia stato individuato come la chiave di volta per uscire dalla crisi. Siamo tutti d'accordo, ma purtroppo non abbiamo visto nulla di nuovo, non è partito un solo cantiere, gli sforzi sono stati compiuti a livello cartaceo, con il Piano casa, ma non sta partendo nulla.
Per i pochi cantieri che continuano, si pone inoltre un problema di pagamenti, uno dei cavalli di battaglia di FINCO, su cui bisogna però intendersi bene: il discorso sui pagamenti non mira a far progredire, ma a conservare il settore, ragion per cui una misura assolutamente urgente e necessaria è quella di fare in modo tale che i pagamenti delle stazioni appaltanti pubbliche vengano regolarizzati. Dico regolarizzati perché non è vero che le stazioni appaltanti pubbliche pagano in ritardo, anche se si continua a sostenerlo sui giornali. Solo alcune stazioni appaltanti, soprattutto quelle relative ai comuni, pagano in ritardo; le altre, devo dire la verità, no. Purtroppo, la questione è che noi non siamo pagati direttamente dalla stazione appaltante, ma dall'appaltatore che ha vinto la gara d'appalto. E il problema è che noi, e con noi i nostri clienti o i clienti dei nostri clienti, non veniamo pagati secondo le nostre
condizioni contrattuali. Per questo, alla fine, tutta la catena si indebolisce e ne risentiamo noi stessi.
Porto un esempio: l'appaltatore è obbligato, per ricevere il successivo stato di avanzamento dei lavori (SAL), come recita l'articolo 118, comma 3, del Codice degli appalti, a far vedere quietanziate le fatture dei cottimisti, una categoria di soggetti che giustamente ha necessità e merito di essere tutelata, e dei subappaltatori. Questi ricevono le loro fatture, vengono pagati, e noi, o meglio, i nostri clienti o i clienti dei nostri clienti, invece, no. Questi vengono pagati a tre mesi, un anno, un anno e mezzo: è una situazione che sta facendo saltare tutto. Si propone - è una materia che abbiamo sottoposto più volte negli ultimi 6-8 mesi - che, come si è fatto per i cottimisti, anche i fornitori con posa in opera di materiali vengano inseriti nell'ambito di questo circuito virtuosissimo:
l'appaltatore dimostra che ha pagato e, quindi, si incassa il SAL successivo. Non chiediamo niente a nessuno, ma solo il rispetto delle condizioni contrattuali, per il bene nostro, ma soprattutto per i nostri clienti e per i clienti dei nostri clienti, che sono la nostra stessa forza.
Questo serve, ripeto, non per far progredire il settore delle costruzioni, ma semplicemente per conservarlo e cercare di non cadere tutti insieme. Avevamo presentato la proposta di modifica del Codice degli appalti in più circostanze e siamo stati sfortunati. È di vitale importanza; non so chi è contro e non ci interessa, ma è una questione di equità e deve essere attuata subito. Mi pare che ci sia un decreto-legge in corso di conversione, quello sugli incentivi...
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Noi ci abbiamo provato in relazione all'approvazione di tre provvedimenti diversi...
MARGHERITA STABIUMI, Componente della giunta esecutiva della FINCO. Questo deve essere fatto subito.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Adesso stiamo anche guardando alla possibilità di inserirla nell'ambito della direttiva europea contro i ritardi nei pagamenti commerciali.
MARGHERITA STABIUMI, Componente della giunta esecutiva della FINCO. No, la procedura sarebbe troppo lunga. Il provvedimento deve essere varato subito, altrimenti non abbiamo più i nostri clienti, i nostri clienti non hanno più i loro clienti, noi rimaniamo senza mercato (quel poco che è rimasto, che è praticamente nullo) e l'export non esiste più, né per noi del tondino, né per altri, perché non riusciamo ad competere sui prezzi: perciò, almeno questo, è assolutamente necessario.
La testimonianza che tale sistema funziona sta nel fatto che in cantieri dove la stazione appaltante applica tale protocollo, come per esempio l'ANAS, i nostri clienti, che sono fornitori con posa in opera e quindi parificati ai cottimisti, sono pagati nei tempi dovuti dalla stessa impresa, che, però, in altri cantieri, paga quando ha voglia, se ne ha voglia.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Un fatto paradossale è che l'impresa appaltatrice ha incassato i soldi e non paga, invece, chi ha svolto effettivamente il lavoro.
MARGHERITA STABIUMI, Componente della giunta esecutiva della FINCO. La verità è che in questo modo paradossale l'impresa appaltatrice riesce a gestire bene i propri impegni, non applica ribassi eccessivi o sconti impropri: insomma, si comporta bene.
Dunque, noi non chiediamo niente di più di quello che ho detto. Non costa nulla e tutti a parole sono d'accordo. Bisogna farlo attuare, però, altrimenti non si procede.
Quanto ai volumi d'affari, non esistono. Non è ripartito proprio nulla. Penso che tutti stiano pensando a come incentivare, sicuramente, ma speriamo che si arrivi a un risultato.
Il terzo argomento riguarda il problema dell'import. A noi interessa che si costruisca di più, perché oggi siamo ai minimi termini, ma soprattutto che lo si faccia con materiale italiano e ciò non sempre avviene, per diversi motivi.
Sotto questo aspetto, rilevo anzitutto che spesso in sede progettuale si inventano soluzioni costruttive strane, ragion per cui, poi, bisogna andare a prendere necessariamente i materiali in Germania, i montatori giapponesi e via elencando. Secondo me, dunque, è necessario in primo luogo porre un'attenzione al progetto, sia architettonico, sia costruttivo.
In secondo luogo, la produzione italiana si coniuga perfettamente con le esigenze ambientali: proprio quando si considera la dimensione ambientale la produzione italiana dimostra la propria eccellenza e, di conseguenza, il prodotto italiano deve essere preferito.
Mi sembra che questa sia la sede giusta per parlarne. Infatti, la dimensione ambientale aiuta prima di ogni altra cosa a far sì che il prodotto usato sia quello vicino, ossia locale. Inoltre, la produzione italiana è, quasi per definizione, la migliore, in quanto dispone di un corpus di normative ambientali (di cui noi imprenditori non possiamo non tener conto) che la pone, necessariamente, ad un livello superiori ai prodotti turchi, ucraini, cinesi e via elencando. Infine, esistono normative internazionali, volontarie, come la certificazione LEED, le ISO 14021, 14025 e via elencando, che vanno nella stessa direzione.
Secondo noi, quindi, nelle stazioni appaltanti importanti bisogna fare in modo che i capitolati tengano in considerazione anche questi aspetti, sia dell'opera, sia del prodotto stesso. In questo senso, immagino un sistema industriale che a monte si organizzi con le EPD (Environmental product declaration), che rappresentano il biglietto da visita del prodotto dal punto di vista ambientale. Pertanto, la stazione appaltante, anche tramite marchi volontari, come stiamo facendo noi per il tondino, dovrebbe stabilire l'EPD di ogni azienda e le performance ambientali dei prodotti. Noi, come autoprotocollo, dovremmo invece stabilire il contenuto di riciclato e le emissioni di CO2 per una unità di prodotto. Sono tutte normative che già esistono; basta soltanto metterle insieme.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Questo punto ha molto a che vedere con la qualificazione del mercato immobiliare. Come vede, infatti, presidente, qui il problema non è tra piccole e grandi aziende. Del resto, l'azienda della dottoressa Stabiumi fattura 1,2 miliardi di euro...
MARGHERITA STABIUMI, Componente della giunta esecutiva della FINCO. ...Fatturava. Adesso purtroppo no.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Comunque, è un'acciaieria piuttosto grande. Il problema rappresentato qui è tra appaltatori e subappaltatori e tra appaltatori e posatori in opera. Certo, dottoressa, è anche vero che le stazioni appaltanti a volte non pagano...
MARGHERITA STABIUMI, Componente della giunta esecutiva della FINCO. Quelle importanti pagano.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Comunque, il problema vero è che le grandi imprese spesso non pagano le imprese subappaltatrici o fornitrici. Sotto il cappello dello Stato che non paga si nasconde anche questa realtà, un comportamento del general contractor difforme dall'approvazione dello Small business act, che tutela le piccole aziende e addirittura dovrebbe riservare loro quote di appalto.
GABRIELLA GHERARDI, Vicepresidente della FINCO. Su questo argomento, che ritengo molto importante, vorrei rilevare che il fenomeno si è aggravato proprio in virtù, dal 2002 ad oggi, dell'affermarsi della figura del general contractor.
Precedentemente, le aziende specializzate, di cui noi siamo portatori per la grande parte, avevano un mercato dedicato, quello delle opere specialistiche, quindi appalti dedicati. Con l'affermarsi del general contractor, non si hanno quasi più appalti specializzati per singole categorie di opere specialistiche, ma tutto finisce praticamente in subappalto da parte del general contractor, una figura che ha distrutto, in questi pochi anni, il mercato dedicato alle opere specialistiche.
Noi riteniamo che lo Stato italiano - è stato il Parlamento a istituire la figura del general contractor - avrebbe dovuto anche seguirne l'impatto su questo mercato, il che non è stato fatto: il mercato delle opere specialistiche non è stato accompagnato e il general contractor è diventato un signore assoluto che detiene lo ius vitae necisque e può decidere tutto, mentre il subappaltatore subisce l'effetto che ha ben evidenziato la dottoressa Stabiumi nel dettaglio.
Ciò comporta che non si ha più accesso ai pagamenti nei tempi giusti e, aspetto ancora più grave, ciò avviene con riferimento alle aziende specializzate, che hanno un investimento iniziale e un costo di manodopera superiore a quello delle aziende meno specializzate. La sofferenza di non rientrare di investimenti più costosi è molto più forte rispetto a quella di un soggetto che possiede una semplice azienda edile con alcuni muratori e basta.
MARGHERITA STABIUMI, Componente della giunta esecutiva della FINCO. I nostri clienti o i clienti dei nostri clienti non sono imprenditori avventati: hanno fatto il loro dovere, cioè hanno preso lavori e oggi stanno «saltando», alcuni addirittura sono proprio falliti, ma non per colpa loro: il fatto è che non sono stati pagati.
È inutile star lì a litigare sul fatto se i lavori per la realizzazione delle infrastrutture siano partiti oppure no. Siamo tutti in buona fede: diciamo che partiranno. Questa, invece, è l'unica iniziativa che non costa niente, ma che deve essere assolutamente attuata per far sì che il settore non si autodistrugga, perché è assolutamente questo il rischio.
Peraltro, noi, come acciaio, abbiamo purtroppo un ulteriore problema particolare: siamo esposti al livello dei prezzi internazionali, perché la nostra materia prima, il rottame, ha un prezzo internazionale. Quello prodotto da Rotterdam esce e va in Turchia (e questo è un altro problema a livello europeo, perché non si capisce perché una materia strategica come il rottame possa seguire tale trafila).
Con la crisi, il prezzo del nostro prodotto purtroppo si era ridotto fino a un terzo. Ora il rottame sta risalendo moltissimo, è già tornato ai livelli elevati del maggio-giugno 2008, e il nostro prodotto, pur avendo margini zero - noi abbiamo margini negativi ormai da un anno e mezzo e stiamo perdendo soldi - si sta ponendo più in alto. Continuiamo a perdere, ma la capienza di fido assicurativo dei nostri clienti è sempre la stessa in termini di ammontare massimo. Dunque, la quantità che riusciranno a ritirare è sempre inferiore.
Questo problema, da oggi in poi, in virtù del fatto che i prezzi stanno aumentando per effetto di un gioco internazionale, diventerà drammatico: il nostro cliente non riuscirà a ritirare perché la compagnia di assicurazione non concederà il fido, in quanto esso è stato esaurito dall'aumento dei prezzi. Anche per questo, l'intervento contro i ritardi nei pagamenti commerciali è un intervento che bisogna attuare subito.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Questo discorso vale un po' per tutti i materiali.
Voglio chiarire che noi non intendiamo creare una questione sul Codice degli appalti, né criminalizzare il subappalto, che è un istituto validissimo e utile per tanti aspetti. Tuttavia, notiamo che sulle opere specialistiche c'è la tendenza addirittura a derogare dal quadro normativo vigente e che ogni occasione è buona per farlo. Non voglio attribuire colpe, però, in occasione dell'emergenza del terremoto in Abruzzo si fa una deroga e la categoria prevalente si può subappaltare, invece che per il 30, per il 50 per cento; nel Piano carceri si fa un'altra deroga e, invece che per il 30, di nuovo si può subappaltare per il 50 per cento. Bisogna stare attenti a questi aspetti, perché determinano la qualità del mercato.
Un altro aspetto che determina la qualità del mercato, su cui cederei la parola alla dottoressa Danzi, è il problema della sicurezza, che a noi interessa almeno sotto quattro aspetti. Nessuno si spaventi: oggi non li toccheremo tutti e quattro, ma solo due, ossia «i lavori in quota» e «le macchine per movimento terra».
Per concludere, salvo ovviamente eventuali domande da parte dei componenti della Commissione, un altro aspetto riguarda il fatto che a noi non piace il vecchio, ma l'antico. Nell'abbattere per ricostruire prestiamo anche attenzione agli aspetti di ristrutturazione delle parti di
pregio - di questo argomento vi parlerà l'architetto Francescangeli - che riguardano le città italiane, che rappresentano un patrimonio importante. Non so se sia vero che il 50 per cento del patrimonio culturale mondiale è nel nostro Paese, ma lo è una quota parte molto alta.
ANNA DANZI, Funzionario della FINCO. Il dottor Artale parlava di alcune nostre osservazioni, che poi illustreremo nel documento complessivo che presenteremo. Ora fornisco, dunque, solo alcuni spunti e idee di massima.
Uno dei principali argomenti che ci sta a cuore è quello della sicurezza, innanzitutto sismica. Quando si riedificano e si riqualificano alcune aree, quando si portano avanti, come noi auspichiamo, progetti di riqualificazione importante, quale può essere quello diretto a consentire di abbattere edifici per ricostruire o quello noto come Piano casa, una delle principali preoccupazioni, insieme al risparmio energetico, è sicuramente la sicurezza sismica, perché abbiamo un territorio altamente sismico.
Gli interventi per mettere in sicurezza le abitazioni da un punto di vista sismico si possono effettuare anche con interventi parziali. Sono, però, interventi che comunque gravano sul proprietario dell'abitazione e, quindi, è estremamente importante un occhio di sostegno da parte del soggetto pubblico anche alla riqualificazione sismica degli edifici, a livello di sicurezza generale.
Entrando più nello specifico, un edificio presenta diverse problematiche. Per esempio, un problema che non molti conoscono è quello delle cadute dall'alto. Il 40 per cento degli infortuni che si verificano durante le manutenzioni di un edificio sono proprio le cadute dall'alto, perché, nel momento in cui gli edifici vengono predisposti, non dispongono degli accorgimenti tecnici che poi consentiranno a un operatore qualsiasi, che sia quello che ripara il tetto, l'antennista o chi ripara la grondaia, di poter intervenire in sicurezza.
Il problema sembra banale, ma alcune regioni, come la Lombardia, l'hanno già affrontato con precisi obblighi a carico dei condomini di prevedere la predisposizione di questi strumenti, di questi presidi tecnici minimali, a partire dalla costruzione dei nuovi edifici per i quali sarebbe molto più semplice. Adesso tutti gli edifici nuovi devono rispettare alcuni parametri energetici; se dovessero rispettare anche norme minime per la sicurezza, come quella degli agganci che si devono prevedere nei casi di manutenzione, ciò rappresenterebbe un costo minimo con benefici enormi, perché cadute o infortuni del genere hanno costi pesantissimi per la sanità pubblica.
Mi pare che in Lombardia, già a livello di ristrutturazione di un condominio, sia diventato obbligatorio predisporre gli agganci sulla facciata esterna. Per migliorare la qualità complessiva del costruito, questa è, dunque, un'iniziativa che sicuramente dovrebbe essere tenuta in considerazione.
Si poneva poi un altro problema, legato complessivamente alla sicurezza, ma anche al rispetto dell'ambiente. Riguarda le macchine che operano in un cantiere edile. I costruttori di macchine non hanno idea di quante ne girino per l'Italia, di dove siano e di che tipo di controlli abbiano subìto. Il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro ha previsto controlli periodici per alcune categorie di macchine, che sono quelle che effettuano sollevamento, ma non per tutte. I produttori stessi e i noleggiatori non sanno, quindi, quante macchine ci sono in giro e in che condizioni sono.
Molte macchine vengono importate senza rispettare i limiti minimi di sicurezza che la nostra normativa e la cosiddetta «direttiva macchine» impone alle macchine circolanti e la situazione è piuttosto confusa. La proposta potrebbe essere quella di creare un apposito registro delle macchine da cantiere, una sorta di PRA (Pubblico registro automobilistico), nel quale ogni macchina che viene immessa sul mercato viene immatricolata, in modo da poterle censire tutte sul territorio.
Le macchine hanno, infatti, un tempo di vita e, quindi, a parte le manutenzioni suggerite dal costruttore, che andrebbero
effettuate e non sempre lo sono, hanno un potenziale di inquinamento dal punto di vista sia di emissioni, sia di rumore. Ovviamente, la loro capacità di essere sicure non dura in eterno e deve poter essere controllata.
Occorrerebbe, dunque, l'istituzione di un registro che consenta un monitoraggio. Le associazioni di categoria sono anche assolutamente disponibili a gestire o cogestire tale registro o, comunque, a collaborare in merito. In tal modo, sul lato industriale si avrebbe una panoramica di quello che succede sul mercato e di che tipo di macchine vi entrano, mentre da un punto di vista pubblico, si andrebbero a individuare le macchine obsolete, che inquinano e non sono più sicure per il lavoro nel cantiere. L'idea del registro anagrafico potrebbe complessivamente portare un vantaggio a tutto il costruito.
Vorrei tornare brevissimamente a due considerazioni svolte prima dal dottor Artale. Il risparmio energetico è uno degli argomenti principe ed è fondamentale, in quanto l'Italia è in una situazione energetica difficile, perché importiamo l'85 per cento dei combustibili, le emissioni di CO2 sono altissime e il settore delle abitazioni civili inquina quanto quello dei trasporti.
Paradossalmente, l'industria, che per definizione è fattore di emissione di CO2, ne produce molta meno di quanta se ne produce nelle abitazioni. Un richiamo è, dunque, a fare attenzione affinché il risparmio energetico non si concentri soltanto sul risparmio invernale; esiste infatti la fascia del condizionamento estivo e dei picchi di calore, che in questi anni hanno portato i consumi a livelli stratosferici. Il trend dei consumi nelle abitazioni ormai si sta invertendo: si spende più di raffrescamento che non di riscaldamento. Non siamo ai livelli americani, perché in Italia non c'è la cultura del condizionatore in ogni ambiente, in ogni edificio civile e in ogni appartamento, però ci stiamo arrivando.
Pertanto, una grossa attenzione deve essere posta anche al raffrescamento e, conseguentemente, a tutti gli strumenti che possono concorrere a diminuirne i costi. Un esempio per tutti: una chiusura oscurante, come una tapparella, una veneziana o una tenda, sembra uno strumento banale, ma di fatto consente di ridurre fortemente i consumi di energia elettrica durante l'estate. Non dimentichiamo che negli ultimi anni, ogni tanto, abbiamo avuto black-out estivi, un fenomeno preoccupante e indice che qualcosa sta profondamente cambiando nei nostri quotidiani costumi energetici.
Ci sarebbero molti altri strumenti al momento poco valorizzati, come il teleriscaldamento, che è una forma distribuita di riscaldamento prodotto con fonti energetiche alternative, oppure utilizzando calore di risulta dei processi industriali.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Noi rappresentiamo anche le associazioni del teleriscaldamento.
ANNA DANZI, Funzionario della FINCO. È un tipo di strumento importante, perché è efficiente a livello di distribuzione, utilizza fonti energetiche rinnovabili, residui di riscaldamento che altrimenti andrebbero in atmosfera e sarebbero persi, ma che non trova la giusta valorizzazione. Occorre ricordarsi che esiste anche questo strumento e prevedere la possibilità che possa essere ampiamente diffuso e incentivato.
Esistono poi numerosi piccoli accorgimenti che si potrebbero implementare a livello legislativo, perché ci sono previsioni legislative molto importanti e ottime, ma che a volte creano difficoltà nell'applicazione.
Un esempio per tutti: la misura del cosiddetto «55 per cento» prevede incentivazioni in caso di intervento per la riqualificazione energetica di un edificio. Se si interviene sulla parte trasparente dell'edificio, quindi sugli infissi, o sulla parte impiantistica, quindi sulla sostituzione della caldaia, è relativamente semplice accedere ai benefici fiscali. Intervenire sulla parte opaca, quindi sulle murature, con un cappotto o con un isolamento
particolare, è un meccanismo più complicato.
Con l'auspicio che la misura del 55 per cento venga prorogata, se non addirittura stabilizzata, svolgere anche una riflessione sui meccanismi burocratici che chi effettua tale intervento deve seguire potrebbe essere di grande aiuto.
Di altrettanto aiuto potrebbe essere anche una più precisa politica sui consumi. Le trasmittanze termiche che l'immobile costruito deve rispettare negli ultimi anni stanno cambiando molto spesso. Quando si effettuano interventi di riqualificazione energetica di un edificio, da un anno all'altro, da un semestre all'altro, ci sono cambiamenti tali per cui ogni volta l'edificio deve essere più isolante, quindi la copertura, i piani, la divisione tra di essi, l'involucro esterno.
Una stabilizzazione per un periodo di questi progressivi aumenti aiuterebbe sicuramente gli operatori, dal professionista all'industria che deve adeguare le sue produzioni, a stabilizzarsi e a compiere investimenti più mirati o comunque renderebbe loro la vita un po' più semplice.
Prima di cedere la parola all'architetto Francescangeli, voglio tornare su alcune questioni già menzionate.
La dottoressa Gherardi ha sottolineato l'importanza delle manutenzioni. La manutenzione rappresenta l'anello finale di una catena che comincia molto lontano e che ha come base la programmazione dell'intervento che si deve compiere.
Quando si programma un intervento infrastrutturale, di edilizia di un certo spessore - parliamo in questa sede del settore immobiliare nel suo complesso - occorrerebbe che tutta la catena funzionasse bene e che ci fossero una corretta programmazione, un'adeguata destinazione di risorse, una corretta esecuzione della fase dell'appalto (come già osservato in tutte le considerazioni svolte dal dottor Artale, dalla dottoressa Gherardi, nonché dalla dottoressa Stabiumi, sulla gestione dei rapporti tra i soggetti dell'appalto - ma questo è argomento più complesso -) e una programmazione tale che la manutenzione ne rappresenti l'elemento di chiusura.
In altre parole, non si può avviare un programma costruttivo di qualunque tipo senza rendersi conto dei costi che l'edificio avrà nel tempo. Uno dei maggiori problemi che in questi anni incontrano, per esempio, gli enti che gestiscono le case popolari sono le manutenzioni. L'edilizia sociale convenzionata è partita, in alcuni decenni, con grande impeto e si è costruito senza rendersi conto che poi esistono impianti e facciate da manutenere e che esisteva la necessità di effettuare interventi che adesso risultano estremamente costosi, in alcuni contesti.
È chiaro che in tali contesti, per noi, gli immobili andrebbero abbattuti e ricostruiti. Tuttavia, prestiamo attenzione: bisogna dare una chiara indicazione, un chiaro input che tutto il processo deve essere chiuso. Occorre costruire magari di meno, ma con qualità, e soprattutto prestare attenzione a tutte le fasi della costruzione.
Un ultimissimo flash riguarda i pagamenti. La dottoressa Stabiumi ha chiaramente sottolineato un problema enorme, che sta andando a ritroso su tutta la catena: se lo Stato non paga l'appaltatore, l'appaltatore non paga il subappaltatore e il fornitore, il fornitore non paga il distributore, il distributore non paga il produttore, siamo tutti fermi.
A livello europeo si sta rivedendo la direttiva sui ritardati pagamenti. Non ci sono ancora opinioni ben determinate: si è d'accordo nel sostenere che tra lo Stato e il privato che partecipa a un appalto ci debba essere un tempo massimo per i pagamenti, ma non c'è chiarezza se tale tempo massimo ci debba essere anche tra privati. L'obiezione che molti avanzano, infatti, è che tra privati esiste la libertà contrattuale: dipende dalle forze delle parti e dovrebbero essere queste a decidere.
In Francia, però, hanno emanato una legge su questo tema, perché si sono resi conto che le parti non hanno lo stesso
potere contrattuale. La situazione diventa difficile e l'economia va in crisi perché questa catena, come ricordava la dottoressa Stabiumi, comincia a non funzionare. In questo momento di difficoltà economica, non funziona affatto: le banche non danno credito e la situazione comincia a diventare ingestibile.
Aiuterebbe, dunque, molto il mercato immobiliare se anche noi, come Paese, prendessimo in considerazione l'idea di regolamentare anche i tempi di pagamento tra i privati.
GABRIELLA GHERARDI, Vicepresidente della FINCO. È molto interessante il modo in cui la dottoressa Danzi ha rappresentato il processo costruttivo, anche per le infrastrutture, dall'inizio alla fine. Noi abbiamo l'abitudine - parlo degli operatori, ma anche delle istituzioni - di sfuocare i lati, ossia le parti iniziali e finali. La parte finale è la manutenzione programmata - la manutenzione da sola non serve a niente - un'operazione complessa, che prevede determinate tappe e tecnologie, diverse da quelle della fase costruttiva. È importante, però, anche la fase iniziale, che non consiste soltanto nel progetto e nemmeno solo nell'analisi di impatto, che tutto sommato anche in Italia cominciamo a essere abituati a effettuare, almeno negli aspetti e nei corpi regolamentari, ma è il concetto di fabbisogno, che sta ancora più a monte.
Troppe opere, in particolare opere pubbliche, vengono costruite in virtù di priorità - parola che spesso si tinge di significati più politici che fattuali - e i fabbisogni vengono dimenticati. Le opere vanno eseguite se effettivamente servono, se servono oggettivamente, cioè dopo avere analizzato il territorio. La questione dei fabbisogni è un antecedente di tutto il processo e bisogna prenderla in considerazione. Inviterei il legislatore a tener conto di questo problema.
Poi viene il progetto, poi occorre regolamentare, poi vanno effettuate le analisi di impatto e il processo continua via via fino alla manutenzione programmata. Questa è la visione che vorremmo porre davanti a voi.
Compiamo ancora un ultimo passo indietro. Nei fabbisogni occorre anche far riferimento alle compatibilità. Nel costruire, troppo spesso ci si dimentica della viabilità: non c'è più un rapporto di coerenza fra l'abitare e le vie d'accesso. Anche questo è grosso problema, legato agli aspetti afferenti i fabbisogni. È un antecedente logico di analisi del territorio, mancando il quale il costruire case o infrastrutture può diventare inutile o addirittura dannoso.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Per completezza della Commissione, specifichiamo che parliamo di strade, anche perché FINCO rappresenta le dotazioni di sicurezza passiva, cioè coloro che producono la segnaletica, le barriere, gli asfalti e via elencando.
Vorrei fare una battuta sui pagamenti, sui quali so che la Commissione è molto sensibile. Dobbiamo anche precisare - siamo in seduta formale e non scenderò troppo in dettaglio - che anche al nostro interno abbiamo alcune contraddizioni, perché il problema della libertà negoziale vede contrapposte, evidentemente anche a livello di Confindustria europea, le grandi aziende con le piccole. Così, se da un lato si pone il problema dei pagamenti della pubblica amministrazione verso le aziende, dall'altro esiste il problema dei pagamenti tra le aziende, su cui, ad esempio, anche il rappresentante tedesco si è opposto, affermando che non si deve imporre tempi di pagamento alle grandi aziende e, più precisamente, che si può imporre allo Stato, ma non alle grandi aziende, perché il rapporto tra le aziende rientra nella libertà negoziale.
Noi abbiamo accettato questa libertà, che però non deve essere arbitrio, perché la libertà dovrebbe finire quando mette a repentaglio la vita di altre aziende.
ANNA DANZI, Funzionario della FINCO. Prima si parlava di tutela del made in Italy, del prodotto locale. È assolutamente
fondamentale. Non vogliamo un protezionismo, però il settore delle costruzioni non delocalizza, rimane sul territorio italiano con manodopera nazionale. Tutelare i prodotti locali non significa bloccare la libera circolazione delle merci, ma attribuire un senso anche alla valorizzazione del territorio. Un prodotto locale energeticamente è ben più sostenibile rispetto a uno che deve arrivare dall'altro capo del mondo.
A questo proposito, svolgo un brevissimo inciso su una norma del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi, che prevede per le stazioni appaltanti la facoltà di rifiutare le forniture allorquando più del 50 per cento del materiale fornito viene da un Paese terzo che non abbia stipulato con l'Unione europea accordi commerciali.
La norma ha un senso e discende dalla direttiva europea, ragion per cui è giustissima. Auspichiamo, però, che le stazioni appaltanti l'applichino un po' più spesso, perché garantire il rispetto della soglia del 50 per cento, per evitare che oltre tale quantità di materiale arrivi da Paesi terzi, con i quali non abbiamo alcun accordo commerciale che ci garantisca nel reciproco rispetto delle normative di sicurezza, per l'industria italiana è molto importante.
TULLIO FRANCESCANGELI, Funzionario della FINCO. I temi sono molti e gli approfondimenti rischiano di essere sempre insufficienti.
Ricollegandomi alle considerazioni precedenti e, in particolar modo, alla penultima riflessione della dottoressa Gherardi, in termini di mobilità e, in particolare, di mobilità carrabile, uno dei temi essenziali è che essa debba far parte di una progettazione iniziale.
Nei centri storici, ma anche nelle città già costruite, ci rendiamo conto delle difficoltà di rappresentare le superfici necessarie e sufficienti per la mobilità carrabile. Ciò comporta sicuramente un tema relativo alla sicurezza dell'utenza, dei pedoni, che sono l'anello più debole, ed è, inoltre, favorevole a livello di pianificazione urbanistica.
In merito, anche sulla pianificazione dei dimensionamenti carrabili, che fa parte di tutto il pacchetto che confeziona l'infrastruttura, si pone la questione del trasporto pubblico. Se abbiamo sedi idonee, possiamo garantire un trasporto pubblico efficiente ed evitare un grande trasporto privato, abolendo mobilità carrabili anche indotte da una carenza di servizi. Questo è uno dei temi che favorisce e pianifica la città.
GABRIELLA GHERARDI, Vicepresidente della FINCO. Nei centri storici il discorso della carrabilità, in quasi tutta Europa ormai, ha preso la strada delle isole. Si va a percorsi del tutto o semi pedonali, che rappresentano percorsi vivibili, costruiti sulle esigenze dell'uomo e non per la velocità commerciale. I due aspetti vanno contemperati, perché è difficile portare una carrabilità in centri storici che dobbiamo conservare.
TULLIO FRANCESCANGELI, Funzionario della FINCO. Non se ne pone neanche la necessità, del resto. Abbiamo svolto anche in passato alcuni studi, secondo i quali una mobilità pedonale - i temi sono complementari: esistono una carrabilità e una pedonalità - risolve diverse questioni molto significative.
Per esempio, in alcune città che hanno una matrice ottocentesca, dove tutti gli isolati sono perimetrati da strade e stradine, è risultata da diversi studi assolutamente inutile una carrabilità di tali strade e stradine. Al contrario, una pedonalizzazione, la realizzazione di isole pedonali, garantisce una vivibilità assolutamente migliore. Ne abbiamo testimonianze, anche se molto simboliche, qui a Roma.
È un tema sostanziale, anche perché la pedonalità ridarebbe significati importanti ed essenziali anche ad alcune piccole attività commerciali e di servizio, oltre che alla realizzazione di siti assolutamente pedonalizzati.
Tale tema introduce la considerazione principale che avrei dovuto e che vorrei
affrontare, ma soltanto come enunciazione, perché chiaramente necessita di un approfondimento ulteriore. Mi riferisco alla questione dei centri storici.
Abbiamo visto che l'iniziativa legislativa si dirige verso la demolizione e la ricostruzione di edifici. Tuttavia, l'aspetto vocazionale italiano, che in massima sintesi potrebbe essere riassunto in qualità ambientale, ma anche architettonica e archeologica, non viene, di fatto, mai valorizzato. Abbiamo una grande ricchezza, ma, alla fine, la messa in moto di un meccanismo reale, che verrebbe quasi forse più spontaneo di altre iniziative imprenditoriali o di rilanci economici, non viene mai presa in considerazione.
Ci domandavamo perché nei centri storici non fosse prevista alcuna iniziativa che potesse, con tutte le attenzioni del caso, rimettere in moto attività di tipo edilizio nel rispetto della storia e dell'architettura, attraverso anche la rilettura di alcuni percorsi legati alla storia delle nostre città.
Per esempio, per Roma potrebbe trattarsi del ripristino e della ripresentazione di un'identità storica. Questa semplice ripresentazione di alcune identità porterebbe a una valorizzazione, attraverso la storia dell'architettura, e, quindi, attraverso una riconferma di identità storica, di tali siti. Ciò porterebbe a una manutenzione in quella direzione storica, oltre che apportare un grande indotto a livello turistico-ricettivo e a ripristinare il senso culturale che tale segmento richiede, di vivibilità in sito di alcune esperienze non soltanto pagane, ma anche religiose, e di alcuni temi di epoche medievali.
Noi subiamo i centri storici un po' quando ci sono restrizioni stradali e in realtà non li esaltiamo mai. Invece, sarebbe il caso di spendere alcune energie per rilanciare questa specificità, vissuta però come qualità e non subìta come un limite dimensionale o fisico.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Se lei è d'accordo, presidente, nello studio che presenteremo inseriremo anche una parte riguardante questo, perché, rappresentando anche le opere specialistiche di qualità, è un aspetto ci interessa.
PRESIDENTE. Avete fornito numerose sollecitazioni. Peraltro, il 99 per cento non erano inerenti a questa audizione, perché riferite ai problemi dell'edilizia. Tuttavia, abbiamo approfittato volentieri della vostra presenza. Inoltre, il 99 per cento dei temi sollevati sono questioni che stiamo già affrontando. Faccio un po' di critica e mi piace ogni tanto stilettare anche Confindustria. Svolgevo queste considerazioni già quindici anni fa e Confindustria era il mio primo nemico, perché continuava a sostenere che non fossero problemi.
Penso alle osservazioni svolte sulla Turchia, sulla Cina, tutte questioni su cui abbiamo combattuto e cercato di attirare l'attenzione. Quando le cose vanno bene, in momenti di vacche grasse, questi problemi non vengono mai presi in considerazione; quando comincia a esserci un po' di crisi, si vanno a vedere in dettagli e si inizia a sostenere che forse sarebbe stato il caso di occuparsene quindici anni fa.
Il mio ambiente professionale, che non è questo e che tornerà a essere diverso, è quello di tecnico della manutenzione, del risanamento, dell'isolamento, della sicurezza, essendo anche coordinatore della sicurezza, e di subappaltatore.
Ho vissuto tutti questi problemi sulla mia pelle, li conosco tutti, e spesso ho avuto grandi problemi sui pagamenti con le aziende di Confindustria, con le quali si devono concordare bonifici a 210 giorni, che, alla scadenza, non emettono il bonifico e a cui si devono inviare lettere su lettere, attendendo, in alcuni casi, altri 210 giorni.
La mancata tutela del credito riguarda tutta la filiera, ma tutti dobbiamo fare la nostra parte. Non si tratta di un problema solo se riguarda un'azienda associata a voi, ma di un problema che riguarda tutti, dalla pubblica amministrazione all'ultimo anello della catena. Dovremmo metterci seduti a un tavolo e valutare alcune proposte
che vadano in queste direzioni: credo che tutto il mondo lavorativo fuori lo stia aspettando con molta attenzione.
Poi c'è l'investimento sul territorio. Parto dall'ultimo tema. Solo negli ultimi due mesi ho tenuto 184 comizi parlando del ruolo dei centri storici e sto ricevendo anche una notevole attenzione su questo tema, il che avviene quando si va a solleticare le corde del sentimento, del cuore, più che della ragione.
I centri storici per me rappresentano l'identità, la cultura di un popolo. Una persona si riconosce come romana, padana, milanese, veneziana quando ritorna nel suo paese, quando rivede le sue mura, il negozietto tipico, la piazza, la statua, la chiesa: sono quei punti di riferimento che la fanno ancora sentire parte di qualcosa, di una comunità.
Se ci pensiamo, tutto ciò quindici anni fa è sparito, l'abbiamo fatto scomparire completamente; siamo un popolo che ormai si chiude in casa alle nove di sera, blindato, un po' per la sicurezza, un po' perché non c'è più attività.
Ricordo che nel mio paesino, Guastalla, che conta 14 mila abitanti, tutte le sere c'era attività: i bar erano aperti, si tenevano iniziative e la comunità si ritrovava. Eravamo famosi perché da noi c'erano il liscio e lo gnocco fritto; eravamo una comunità allegra. Oggi, invece, siamo tristi, ma questo avviene anche nelle grandi città, al centro-sud come al centro-nord, in maniera piuttosto diffusa. Credo che politicamente ci sia stata un'indicazione - penso a Reggio Emilia, che conosco bene, ma ovviamente in tante altre città la situazione è molto simile - tesa a voler fare dimenticare chi siamo. È anche il gioco di chi detiene il potere quello di cercare di togliere un po' di identità, cominciando dal farci stare sempre più lontani dai centri storici.
Nelle città ormai i centri storici sono inaccessibili: ci sono parcheggi a pagamento e vigili urbani messi lì non per garantire sicurezza, ma solo per comminare multe. Lentamente si deprezzano - era questo il motivo dell'audizione - i valori dei centri storici, che hanno invece un valore intrinseco molto più alto rispetto alla periferia, e il cittadino tende a non sapere dove andare se ha bisogno.
Sono state costruite alcune alternative, dal punto di vista concreto, rappresentate dai centri commerciali, dove però consumiamo, ma non viviamo. I centri commerciali sono un'altra realtà. Certo, lì si costruisce il parcheggio comodo, con lo svincolo; grazie a Bersani, vi sono state portate anche le pompe di benzina, le farmacie, i panettieri. Chiudono, invece, i locali di prossimità e l'antropizzazione commerciale del centro storico tende a sparire, insieme anche a un investimento.
Il riferimento che svolgevate è, secondo me, il punto da cui bisogna partire: andare a riappropriarci dei centri, che sono il cuore delle città. Se riparte il centro, lo fa anche la periferia e nelle vene ricomincia a scorrere il sangue.
Penso, per esempio, a Vienna, che ha avuto un coraggio che Roma non ha e che mi piacerebbe vedere anche qui, perché è una città che meriterebbe un investimento di questo genere. Il centro di Vienna è chiuso al traffico, è un'isola pedonale con attrazione turistica enorme, che poi diventa anche commerciale: ritorna a vivere, ritornano gli avvenimenti, ritornano le partecipazioni.
Si potrebbe cominciare con un piano che esisteva già 35 anni fa - parliamo di Roma - ossia portare tutti i palazzi della politica fuori dalla città, creare una città della politica, come Washington, magari vicina a Fiumicino. Possono essere riprese molte idee.
Muovendo una critica anche a questo palazzo, l'aria condizionata in estate è eccessiva: si arriva da 40 gradi, perché fuori c'è una cappa di caldo bestiale, poi si entra qui e ci si becca un accidente. Sono questioni che si possono trattare su piccola e grande scala.
Abbiamo predisposto due disegni di legge, che stiamo portando avanti e che mi auguro di riuscire anche a chiudere, che vanno in due direzioni. Sono entrambi usciti dalla mia Commissione e poi siamo
riusciti a portarli dentro in maniera piuttosto veloce. Ci sono alcuni aspetti da limare negli ultimi giorni, se riusciamo a farlo velocemente.
Uno riguarda la necessità di professionalizzare il settore dell'edilizia, anche se poi si rischia sempre di emanare una legge che vada a creare ulteriori problemi. Come tutte le leggi, si emanano e poi si cerca di aggiustarle.
L'altro, invece, riguarda il sistema casa qualità, che dà una risposta a molte delle questioni che avete sollevato. Sia nella ristrutturazione, sia nel nuovo, non si tratta tanto di incentivare la classe A, perché in effetti è facile barare o comunque indicare numeri che possono essere a uso e consumo. Abbiamo mutuato, invece, alcuni parametri dall'esperienza di Casa Clima di Bolzano, riferiti a investimenti sulla casa, in particolare il cappotto, e a materiali utilizzati a risparmio energetico. Sono d'accordo - peraltro, è tutto know-how padano - ragion per cui faremmo lavorare le nostre aziende e rilanceremo il nostro settore con materiali che vanno dal mattone, al solaio, ai serramenti, al cambio della caldaia.
Per ora non abbiamo riconfermato il 55 per cento per un motivo piuttosto semplice. Avevamo una previsione del Governo Prodi di 3 milioni di minori entrate, inizialmente, perché era un esperimento. L'anno scorso ci siamo ritrovati il povero Tremonti, il quale si è visto arrivare improvvisamente oltre 200 milioni di minori entrate.
Ciò ha due significati: da un lato, che comunque l'abbiamo riconfermato e proseguirà fino a fine di quest'anno, dall'altro che la gente ci ha creduto, che ha cambiato la caldaia, i serramenti, ha compiuto investimenti, perché ha creduto che potesse essere utile migliorare la casa.
In questa logica, dobbiamo andare oltre. Magari la proposta dell'ecoprestito può essere interessante, perché è la formula che dobbiamo trovare per far sì che lo Stato possa venire incontro in questo senso.
L'informazione, tuttavia, deve partire prima di tutto dalle associazioni professionali e di categoria, perché sono quelli che interloquiscono con il cittadino: l'architetto, l'ingegnere, il geometra, il tecnico in generale è colui che può avanzare la proposta al cittadino e indicargli che esistono alcune opportunità.
Questa mi sembra la catena più diretta per arrivare direttamente al singolo utente, che ha la casa, il fabbricato, il terreno e lo vuole ristrutturare. Su questi aspetti di solito si va a chiedere consiglio direttamente al tecnico.
Inoltre, questo sistema deve essere premiante: va premiato chi usa il sistema dell'acqua riciclata, invece di buttare nello sciacquone 7 litri d'acqua lavorati con corrente elettrica, potabile, che si buttano via; chi si dota di autosufficienza energetica e con il solare anche dell'acqua calda; chi ha usato materiale a risparmio (il primo modo per produrre energia, come sapete bene, è quello di risparmiarla). Anche la domotica è una grande eccellenza del territorio, è un prodotto molto italiano come tecnologia, che può essere utilizzata per il benessere nella vita quotidiana, perché aiuta a vivere meglio, a spendere meno e a ottimizzare tutta la casa, dall'uso della lampadina fino alla corretta gestione delle dispersioni di calore. Si dovrebbero prevedere diversi pacchetti premianti che diano punteggi.
Si tratta di un sistema molto più facile anche da controllare e verificare rispetto all'attuale classe A da raggiungere, composta da parametri che un tecnico deve certificare. In questo caso, invece, ci sono elementi oggettivi, che devono essere state implementati. Ci sono fatture. Forse è anche un sistema più serio, che farebbe capire come l'Italia crede che si debbano costruire case di qualità.
In questa logica, arriverei anche all'aspetto, già menzionato da voi, dell'housing sociale. Una proposta che ho presentato un anno fa ha riscosso un po' di successo fra gli operatori, ma non si è
mosso nulla. La rilancio anche a voi. Magari emergono alcune idee che possono anche essere fattive.
Ho ben presente come furono costruite le case popolari negli anni Settanta. La logica di costruire a basso costo case di bassa qualità, di solito in zone lontano dagli occhi e in quartieri completamente popolari, era, a mio parere, un sistema che a posteriori si può anche definire razzista. Infatti, si realizzavano case popolari per confinare la gente che presentava problemi sociali lontano dal resto della comunità.
Questo è avvenuto in un dato momento, al punto che chi aveva difficoltà, andando nelle case popolari diventava ancora più isolato socialmente dal resto della comunità. Il degrado in quelle zone è diventato anche superiore rispetto a quello che la famiglia normale poteva affrontare. Del resto, la dignità peggiora quando si vive in un ambiente che non consente di poterla esprimere.
Ho eseguito un conto. In molte città - porto l'esempio di Reggio Emilia - ci sono 12 mila case invendute, in questo momento, e si redige un piano regolatore per costruirne altre 15 mila. La domanda che viene spontanea è perché le costruiscono. L'unica risposta che mi do è che o si devono far lavorare le cooperative perché non sanno che cosa fare, e da noi sono forti; oppure si vogliono attrarre capitali della mafia da reinvestire. Per me, costruire case laddove non si vendono non ha senso. Non c'è più mercato immobiliare. Di questo parliamo.
La mia proposta è stata di due tipi e devo riconoscere che qualcosa si sta muovendo. In primo luogo, si dovrebbe effettuare il censimento di tutte le aree dismesse, anche perché abbiamo distrutto molto il territorio nei sessant'anni precedenti e sarebbe forse ora di smettere di farlo, andando appunto a recuperare le aree dismesse.
Non so se voi, come FINCO, avete svolto una valutazione, ma vi invito a farlo. Porto l'esempio di Hammarby, a Stoccolma, un caso illuminante a livello internazionale: si tratta di un'acciaieria, su un'isola, che aveva completamente distrutto, perché era inquinata. Voi conoscete i costi delle bonifiche. Hanno messo in atto un project financing. Anche noi, più che aspettare interventi pubblici, dovremo cominciare ad attrarre soldi privati che con il pubblico creino project financing seri, magari veloci, realizzabili, che ridiano un po' di vita al territorio.
In quel caso, è stata creata la prima isola completamente ecologica. Addirittura non vi passano più i camioncini dei rifiuti, perché tutto va nella filiera corta con posta pneumatica, l'unica soluzione sostenibile, a riciclare la plastica, la carta, il cartone e via elencando. È un modello esemplare, che dà alta qualità e permette ai cittadini di pensare anche in maniera più ottimistica nel vivere all'interno di uno spazio.
A proposito dell'housing sociale, ho pensato che, se abbiamo 12 mila case invendute e un problema di edilizia popolare convenzionata e di richiesta ancora crescente, visto anche il momento di crisi, perché non utilizzare queste 12 mila case invendute? Invece di costruire case popolari nei quartieri popolari, andiamo a collocare le famiglie interessate nel tessuto sociale. In questo modo, si va incontro all'impresa o al privato che ha fatto l'acquisizione della casa e non riesce a venderla, attraverso i soldi che sono stati spesi per costruire edilizia residenziale, e si dà ristoro al mercato; inoltre, queste persone non vengono isolate, ma inserite all'interno di un tessuto sociale sano. Toccherà poi alle amministrazioni elaborare un piano di recupero di questo genere, privilegiando magari le aziende un po' più in crisi.
Si svolgono alcuni ragionamenti importanti anche dal punto di vista sociale. Secondo me, bisogna cominciare a pensare a un modo nuovo di fare la politica sul territorio. Volenti o nolenti - non l'abbiamo approvato noi, ma il Titolo V, con il referendum - l'edilizia oggi è in mano quasi completamente alle regioni, è loro materia esclusiva. Ha sbagliato Berlusconi
a lanciare il proclama: ci ha provato, poi però, se le regioni si mettono di traverso, non c'è nulla da fare, perché giustamente la competenza è esclusivamente loro.
È anche vero, però, che il federalismo dovrebbe portare - come succede nei Paesi federalisti - a una corsa verso l'eccellenza: se la regione Emilia Romagna ha un piano edilizio che le permette di realizzare molte meno iniziative rispetto a quello lombardo, il cittadino emiliano dovrà pretendere e rompere le scatole al suo amministratore perché offra un servizio di pari livello. Mentre l'Italia ha sempre lavorato a giocare al ribasso, a chi faceva peggio, il federalismo - ce lo auguriamo, perché succede nei Paesi federali - crea...
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Con il Piano casa non è successo: in Toscana è andato subito al ribasso...
PRESIDENTE. È colpa anche dei cittadini, perché, se non sono contenti delle proprie amministrazioni, dovrebbero, in teoria, cambiare voto, essendo il voto l'unico metodo per poter esprimere il loro parere. Se, invece, i cittadini da noi si lamentano al bar e non usano l'unico strumento che hanno, non ci si può più fare nulla.
Forse, però, dare più responsabilizzazione all'ente basso non è sbagliato, in questo Paese. Poi ci saranno differenze da regione a regione, da amministrazione a amministrazione. Da noi, in Emilia Romagna, è stato quasi impossibile poter mettere su campi fotovoltaici, mentre in Veneto è facilissimo, come in Puglia.
Esiste una disparità anche di amministrazione nel fare queste concessioni, però credo che il cittadino che ha bisogno si renda conto che da noi è difficile e da altre parti è più facile. Perché è difficile da noi? Credo che un po' più di consapevolezza dei cittadini in merito a quello che avviene nella politica migliori la politica stessa. Il peggioramento della politica è dovuto a quando il cittadino se ne disinteressa completamente: quando si elegge una persona e per cinque anni non si sa che cosa sta facendo, questa persona va a Roma, in questo caso, a curare i propri interessi o quelli degli elettori? Va a farsi esattamente i propri, perché poi non le si chiede di rendere conto del suo operato.
Tutto questo, secondo me, è un circolo virtuoso: occorre cambiare un po' il Paese e farlo con l'attrazione di capitali privati. I capitali ci sono, ma spesso non investono in questo genere di progetti perché non hanno fiducia nel pubblico. Occorre non che emaniamo nuove leggi, ma che semplifichiamo quelle che ci sono adesso, racchiudendole in testi unici e rendendole più snelle e fattive.
Da parte mia, come sapete, vi è la piena disponibilità a ragionare su tutto: ogni vostro suggerimento sarà analizzato. L'altro pomeriggio abbiamo svolto con voi alcuni ragionamenti su un tema specifico e credo che, più o meno, dovremmo aver trovato una mediazione che potrebbe funzionare.
I problemi, però, sono tanti e non li possiamo risolvere tutti in un momento. Credo che tutti dobbiate essere vicini a un momento politico importante: è in atto, o quantomeno è iniziata, una stagione di riforme, che possono essere buone o cattive. Se tutti diamo un contributo, è più facile che il risultato finale sia buono; se invece ce ne disinteressiamo, rischiamo che alla fine esca un prodotto che, volenti o nolenti, dobbiamo sorbirci.
Cominciamo anche - voi avete una certa forza, anche a livello nazionale - a esercitare un po' di pressioni, mandando messaggi anche alle amministrazioni. È inutile parlare dei centri storici, se poi rimangono lettera morta: cominciamo a pretendere o a chiedere che gli amministratori sensibili a questi temi provvedano con atti conseguenti. Lo sottolineo perché molte delle vostre considerazioni odierne sono spesso decisioni che, onestamente, possono prendere le amministrazioni locali, più che il Governo nazionale. Ci sono gli atti di indirizzo, ma poi qualcuno dal basso deve decidere che la data area è adatta per compiere un intervento, elaborare
un progetto, attrarre risorse: è un lavoro più di natura locale. Deve essere una rete. Noi inviamo i messaggi, io li sto dando continuamente, però c'è chi risponde e chi non lo fa. Facciamo in modo che rispondano tutti.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Signor presidente, la ringrazio moltissimo. Ovviamente, non ho alcun commento a quanto da lei detto, ma, off the record, lei parla di Confindustria, ma FINCO è nata nel 1996. Confindustria non è un tutt'uno.
Per esempio, l'aspetto del costo delle aree, che sta molto a cuore ad alcuni, a noi non interessa. Noi siamo perché gli interventi avvengano sul terreno demaniale, siamo per abbattere e ricostruire, e altri no. L'ha visto sulla professione di costruttore edile, sui tempi di pagamento. Non sempre Confindustria sostiene la stessa posizione. I general contractor, per esempio, non stanno da noi. Su alcuni aspetti, come la revisione dei prezzi, andiamo d'accordo, su altri meno.
Quanto all'housing sociale, sicuramente siamo d'accordo, come pure sull'esempio di Stoccolma. Peraltro, l'avevo indirizzata dall'architetto Botta, venuto proprio da quella città.
Una considerazione che mi ero dimenticato di svolgere riguarda il patrimonio immobiliare, che lei giustamente richiamava. Una delle nostre proposte è quella della cedolare secca sugli affitti, un modo di riutilizzarli e farli emergere dal nero e far sì che vengano occupati gli appartamenti sfitti. Se si ponesse una cedolare secca del 12,5 per cento, come per gli strumenti finanziari, questa potrebbe essere una soluzione. In questa sede, per brevità, non l'avevo riferito.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Mi scuso per essere arrivata in ritardo. Mi ha fatto un estremo piacere ascoltare le vostre parole.
Parto dall'osservazione della dottoressa Gherardi, quando ha sottolineato la necessità di seguire la logica del fabbisogno. Credo, infatti, che abbia proprio posto l'accento sul problema del nostro Paese perché, se ho compreso bene, lei per fabbisogno intende riferirsi al gioco della domanda e dell'offerta, sostanzialmente, quindi, alla necessità principale di un sistema complessivamente più libero e liberale, che è poi quello che manca e continua a mancare nel nostro Paese.
Sono una parlamentare radicale, eletta nelle liste del Partito democratico, e, se c'è un merito che riconosco al precedente Governo, sono proprio le liberalizzazioni che Bersani ha tentato di avviare. Penso che l'assenza di una politica liberale nel nostro Paese sia abbinata all'altro grandissimo problema dell'assenza di legalità, dove la legalità non va concepita come «tutti in galera» alla Di Pietro, ma con un altro significato, ossia il rispetto del diritto e delle regole, a partire dalle istituzioni.
Penso che questi problemi continuino a non essere affrontati e che anche rispetto alle questioni che avete posto ci sia un'inadeguatezza. Mi riferisco, per esempio - per quanto attiene all'edilizia -, all'inconsistenza del cosiddetto Piano casa, che avrebbe dovuto rilanciare il settore. Da radicale, ritengo invece che al nostro Paese occorra un grande piano nazionale di rottamazione edilizia, a partire dall'edilizia postbellica priva di qualità e di criteri antisismici, anche con la delocalizzazione di tutta l'enorme massa enorme di edifici costruiti in zone a rischio dal punto di vista idrogeologico e sismico. Ritengo che questo obiettivo vada sostenuto anche in un'ottica liberale, attraverso aiuti pubblici, ma che anche la logica dell'ampliamento volumetrico, nel caso di delocalizzazione o comunque di abbattimento e di ricostruzione, possa avere una funzione di incentivo e di stimolo al privato, abbinata comunque anche a un riconcepimento della leva
fiscale.
Penso, infatti, che nel nostro Paese la leva fiscale debba essere rivista nel senso di andare a colpire i comportamenti scorretti da un punto di vista ambientale, con tutte le declinazioni che il termine può avere, e magari andare ad alleviare
l'enorme carico fiscale che grava, invece, sui redditi da lavoro e che comporta oneri fiscali per chi lavora, ma anche per chi dà lavoro.
La dottoressa Danzi poneva la questione della sicurezza - prima di tutto sismica - degli edifici e poi è stata sollevata anche quella della manutenzione. Nel nostro Paese si è tentato di introdurre lo strumento del fascicolo del fabbricato. Volevo sapere se tale strumento, a vostro avviso, può essere utile soprattutto per quanto attiene all'aspetto della manutenzione, cioè se introdurre uno strumento come il fascicolo del fabbricato può essere utile anche nella programmazione della manutenzione o comunque in un monitoraggio del patrimonio edilizio esistente in vista quanto meno della sua manutenzione, se non proprio della sua sicurezza, visti i pronunciamenti che ci sono stati in merito.
Una questione importantissima è stata posta riguardo al risparmio energetico, in merito all'attenzione al settore termico. È in corso di decisione il piano che dobbiamo presentare all'Unione europea sulle fonti rinnovabili. Ritengo che, come Commissione ambiente, dobbiamo tenere alcune audizioni su questo tema, perché è un settore importantissimo, rispetto al quale vanno rimodulati anche gli incentivi. Sulla questione del consumo del suolo esiste anche una proposta di legge per l'istituzione di un osservatorio sull'uso del suolo. Vi segnalo anche che è stata approvata una mozione, lo scorso 26 gennaio, che sui temi dell'uso del suolo e della rottamazione edilizia è riuscita a impegnare il Governo su alcuni punti, sempre che ovviamente esso mantenga fede agli impegni assunti davanti alla Camera dei deputati, che pure ha approvato la mozione all'unanimità.
L'altra questione che avete posto è quella relativa alle quote di merci e di materiali che provengono da Paesi rispetto ai quali, se ho capito bene, come Unione europea non ci sono accordi commerciali. Penso che questo sia un discorso interessante, ma che vada posto in sede europea, in termini soprattutto di tassazione di prodotti provenienti dall'estero, da Paesi che non forniscono garanzie in termini di qualità - e penso soprattutto a una qualità legata a criteri di sostenibilità ambientale -, i cui introiti poi possano essere reinvestiti in attività o progetti di sostenibilità ambientale negli stessi Paesi da cui tali prodotti provengono.
Inserirei dunque un discorso di questo genere non tanto in una logica di chiusura del nostro Paese rispetto a quanto viene dall'estero - arrivano anche beni di scarsa qualità - ma nell'ambito di una politica europea che concepisca nuovamente la tassazione anche in questo contesto più ampio, proprio per favorire l'ingresso di merci, che però siano di qualità, il che, secondo me, aiuterebbe il nostro Paese a perseguire politiche più competitive in questo settore.
Mi scuso se mi sono innervosita, ma purtroppo nella nostra Commissione vige un modo di procedere sempre molto sbrigativo quando devono intervenire gli altri.
ANGELO ARTALE, Direttore generale della FINCO. Tenterò di rispondere e poi lascerò la parola ai colleghi.
Per quanto riguarda il problema della sostenibilità, ho letto con attenzione la proposta che l'onorevole Bonino avanzò a suo tempo, nella quale, tutto sommato, non ravviso grandi differenze concettuali con quanto è stato presentato nella proposta di legge Dussin o anche in altre.
Nella proposta dell'onorevole Bonino, che comprendeva un'interessante distinzione tra il vecchio e l'antico, venivano richiamati princìpi di sostenibilità e di sostituzione urbana sui quali, negli ultimi quattro convegni, abbiamo raccolto l'adesione di tutti. Ricordo che l'onorevole Realacci - che, peraltro, ho incontrato poco fa qui fuori - tre anni fa svolgeva già tali considerazioni, le stesse che ci ha riferito Tortoli, mutatis mutandis, due anni fa.
Il vero problema, onorevole Zamparutti, è che non si realizzano le iniziative e questo non è un discorso né di destra,
né di sinistra. Il problema, se vuole, è più burocratico: sulla sostituzione urbana, cioè sul trattare l'Italia come un Paese in cui il territorio è una risorsa limitata non rinnovabile, siamo tutti d'accordo, come pure sulla rottamazione. Esiste addirittura un'associazione, l'AUDIS, che organizza convegni sulla rottamazione dei siti industriali. Il problema è che poi non si fanno le cose dette. Oggi in Italia ci sono 500 domande per abbattere e ricostruire: questa è la realtà. Alcune regioni - mi consenta, non svolgo un excursus politico - più furbe hanno attuato subito il Piano casa per non patire il confronto con l'elettore. Non a caso, i primi ad averlo fatto sono state la Toscana, l'Emilia Romagna e l'Umbria, in modo che i loro cittadini non potessero sostenere che il Veneto aveva fatto meglio. Forse ne riparleremo alle prossime elezioni, perché effettivamente esiste un problema dal
nostro punto di vista.
Lascio perdere la parità dei cittadini, perché, se io abito nel Lazio e ho un cugino che abita in Piemonte, non è giusto che io possa fare più cose di lui. Parlo, invece, della distorsione della concorrenza tra imprese: se un'impresa che sta in Veneto ha un prodotto esportabile, non le interessa nulla, perché comunque lo esporta, in Italia o fuori, ma se ha un prodotto pesante, come per esempio un mattone o un laterizio, il discorso è diverso.
Lei sa che, quando si arriva in una città, le prime esigenze umane sono vestirsi, mangiare e avere una casa, quindi il mattone. Il mattone non si esporta, perché è talmente pesante che si colloca nel raggio di 200 chilometri. In quel caso, una regolamentazione differenziata tra regioni può comportare delle divergenze. Per questo motivo il Governo centrale è importante ed è importante recuperare il suo ruolo attraverso il settore ambientale, che non è in materia concorrente.
Il secondo aspetto riguarda il prodotto locale. È importante perché ci troviamo tra l'incudine e il martello: poiché realizziamo un prodotto locale e non delocalizziamo - i ponti si costruiscono qui e le industrie sono qui - abbiamo il problema che, quando andiamo al Ministero dello sviluppo economico o all'ICE, sostengono che non produciamo il made in Italy, a parte le piastrelle, e che non siamo sostenuti sotto questo aspetto.
Non so se volete approfondire altri aspetti.
GABRIELLA GHERARDI, Vicepresidente della FINCO. Nel mese di giugno, la presidente Marcegaglia si presenterà al Governo e, quindi, al premier, con un pacchetto di richieste che evidenziano le priorità della Confindustria.
Al primo punto, tra i malfunzionamenti di questo nostro Stato, la priorità, secondo noi industriali, va alla pubblica amministrazione. Il problema non risiede tanto nel Parlamento o nella magistratura, ma, a nostro avviso, almeno per ciò che viviamo sulla nostra pelle, il problema è di una pubblica amministrazione che non è aggiornata e va riclassificata. Questo è il primo problema che ci si pone, la priorità delle priorità.
Al secondo posto vi è il problema delle costruzioni e delle infrastrutture, soprattutto di queste ultime, perché, se non si ammodernano le infrastrutture, il nostro Paese sarà sempre deficiente di modernità. Condivido tutte le vostre considerazioni, che sono state svolte in maniera appropriata e molto condivisibile.
Quanto alla questione del rivedere gli aspetti di riclassificazione, noi abbiamo una linea, che va avanti da diversi anni, che si chiama «abbattere per ricostruire». C'è poco da fare: vi sono numerosi edifici che non hanno peso storico, che non sono più in chiave con i tempi e non danno una vivibilità adeguata. Dobbiamo, quindi, abbattere per ricostruire: questo è il cuore della nostra questione e, quindi, siamo perfettamente d'accordo e la ringraziamo per averci offerto il vostro conforto in merito.
Quanto alla questione dei fabbisogni, la ringrazio per averla evidenziata. Il fabbisogno, per conto mio, è proprio la base, il DNA di questo tipo di operare. È stata molto interessante l'idea lanciata dal presidente,
quando ha parlato di pacchetti socio-imprenditoriali segmentati sul territorio e sui fabbisogni.
Quanto alla manutenzione, deve essere obbligatoria anche per i privati, laddove lo è per il pubblico, perché il demanio ha l'obbligo, in virtù dell'articolo 822 e seguenti del Codice civile, di manutenere e per le strade vige l'obbligo analogo, secondo l'articolo 14; sono obblighi sovranamente non applicati, ma esistenti. Il privato dovrebbe essere obbligato, a sua volta, alla manutenzione. È un fatto di civiltà che vedremmo molto bene.
PRESIDENTE. Nel ringraziare i nostri auditi per la disponibilità manifestata, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,50.