Sulla pubblicità dei lavori:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO, LA DIFESA DEL SUOLO E IL CONTRASTO AGLI INCENDI BOSCHIVI
Audizione di rappresentanti delle Autorità di bacino di rilievo nazionale:
Alessandri Angelo, Presidente ... 3 10 12 13
Checcucci Gaia, Segretario generale dell'Autorità di bacino del fiume Arno ... 3
Mariani Raffaella (PD) ... 10
Nucara Francesco (Misto LD-R) ... 11 12 13
ALLEGATO: Nota consegnata dai rappresentanti delle Autorità di bacino di rilievo nazionale ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10,05.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incedi boschivi, l'audizione di rappresentanti delle Autorità di bacino di rilievo nazionale.
Ringrazio gli auditi per la loro presenza e do subito la parola alla dottoressa Checcucci, segretario generale dell'Autorità di bacino del fiume Arno.
GAIA CHECCUCCI, Segretario generale dell'Autorità di bacino del fiume Arno. Ringrazio e saluto gli onorevoli deputati. Esporrò a nome dei colleghi, ovviamente in un arco di tempo che vi consenta di porre domande, una relazione che vi consegniamo subito, anche per essere eventualmente allegata al resoconto dell'audizione. Inoltre, ciascuna Autorità di bacino ha predisposto una relazione di dettaglio sulle attività specifiche portate avanti in questi anni, che sottoponiamo all'attenzione della Commissione e che, se lo desiderate, in coda al mio intervento, ciascun rappresentante potrà esporre.
La relazione generale che mi accingo ad illustrarvi riguarda temi condivisi da tutte le Autorità di bacino nazionali presenti stamattina, mentre le relazioni dettagliate preparate dagli altri rappresentanti sono riservate a chi avrà volontà, tempo e desiderio di approfondire l'argomento anche nei suoi aspetti più specifici e territoriali, che interessano magari ciascuno di voi a seconda della propria regione di provenienza.
Ringrazio nuovamente la Commissione, anche a nome degli altri colleghi, per l'opportunità che ci è data stamattina, e che noi interpretiamo come un'occasione che ha una duplice valenza: innanzitutto, poiché stamani siamo auditi nel corso dell'indagine conoscitiva che questa Commissione sta portando avanti da tempo, è nostra volontà rendere edotti il più possibile il presidente e gli onorevoli deputati sullo stato dell'arte dell'attività di prevenzione e delle pianificazioni nel nostro Paese; in secondo luogo, per contestualizzare l'incontro di stamattina, desideriamo cogliere l'occasione di parlare del decreto-legge n. 208 del 2008, in corso di conversione, che allo stato attuale ci riguarda in modo parziale ma che, se alcuni emendamenti saranno approvati, riguarderà in misura maggiore il nostro status, la nostra natura di enti misti e le nostre attività.
Mi riferisco all'attuale testo dell'articolo 1 del decreto-legge n. 208 del 2008, nel quale si sancisce la proroga delle Autorità di bacino nazionali che, come forse molti
di voi sanno, si è resa necessaria a causa della vacatio che si è creata dopo che il decreto legislativo n. 152 del 2006 ne aveva previsto la decadenza, in vista della futura creazione delle autorità di distretto con uno specifico DPCM. Tale DPCM non è stato, però, mai emanato, e le autorità di distretto non sono state, di conseguenza, mai create. Negli ultimi due anni, questa situazione ha oggettivamente creato qualche problema, risolto dapprima con un parere autorevole dell'Avvocatura dello Stato e poi - a mio giudizio - sanato del tutto dal decreto-legge n. 208 del 2008, il quale sancisce in modo inequivocabile e incontestabile la proroga delle Autorità di bacino, attribuendo loro formalmente il compito di proseguire nelle proprie attività di pianificazione così come sancito ai sensi della legge n. 183 del 1989.
Prendendo spunto anche da quanto appreso dalla lettura del report che ci è stato inviato come sintesi dell'indagine conoscitiva portata avanti da questa e dalle precedenti Commissioni, la legge n. 183 rappresenta il primo tentativo del legislatore di fornire, in un quadro normativo che fino a quel momento era stato settoriale, stratificato e variegato, una disciplina il più possibile organica in materia di difesa del suolo, sia dal punto di vista precettivo che dal punto di vista organizzativo.
La legge n. 183 è una legge di obiettivi: per la prima volta, la difesa del suolo viene concepita ed intesa come una finalità alla quale soggetti diversi, vari livelli istituzionali, preposti ad attività diverse con diverse funzioni e ruoli, devono tendere per il raggiungimento degli obiettivi indicati. La legge si poneva lo scopo di assicurare «la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi», stabilendo espressamente che, per il conseguimento di queste finalità, la pubblica amministrazione svolgesse ogni opportuna azione di carattere conoscitivo, di programmazione e pianificazione degli interventi e della loro esecuzione, in conformità alle disposizioni di legge e secondo le rispettive competenze - si citano i vari livelli istituzionali coinvolti in questa
attività: Stato, regioni, province, comuni, comunità montane, consorzi di bonifica -, in un rapporto che viene espressamente definito «di collaborazione e cooperazione in vista del raggiungimento di un obiettivo comune».
Queste sono le novità della legge n. 183 del 1989: l'«assemblaggio» della normativa esistente in un'ottica di razionalizzazione e la volontà di sancire in modo chiaro che i vari soggetti, i vari livelli istituzionali, possono e debbono cooperare in vista del raggiungimento degli obiettivi che la legge si propone.
Ovviamente, se questa è la finalità, la legge non poteva non affrontare la ripartizione, la struttura, l'assetto istituzionale necessario per il raggiungimento e lo svolgimento delle attività elencate; da qui nascono, quindi, la suddivisione del territorio in bacini idrografici nazionali - in porzioni territoriali che hanno affinità di tipo idrogeologico, idrologico, morfologico e via dicendo - e l'individuazione degli organismi ai quali affidare il compito di sovrintendere a ciascuno di tali bacini, individuati in sette Autorità di bacino nazionali.
Nelle relazioni troverete maggiori dettagli su questo punto, rispetto al quale preciso solo che i bacini erano undici mentre le Autorità preposte sono sette perché, ad esempio, l'Autorità dell'alto Adriatico comprende nel proprio territorio quattro bacini idrografici, l'Autorità per il Liri-Garigliano e il Volturno ne comprende due, mentre le restanti sono preposte ciascuna ad un bacino idrografico. Abbiamo, quindi, sette Autorità di bacino nazionali che sovrintendono al territorio nazionale ripartito in queste macro-aree e macro-porzioni territoriali.
Le attività di pianificazione di cui la legge n. 183 parla - l'abbiamo citato e virgolettato volutamente - interessano i settori più svariati: si parla di sistemazione, conservazione e recupero del suolo,
ma si parla anche di difesa e regolazione di corsi d'acqua, così come di contenimento dei fenomeni di subsidenza.
Direi, senza dilungarmi su questo punto, che il carattere innovativo della legge è rappresentato dal binomio acqua-suolo e dalla sua inscindibilità. Tale binomio qualifica ancor più l'approccio della legge n. 183 perché viene poi ripreso nelle leggi successive, come la legge n. 36 del 1994, - che, seppure specificatamente in materia di servizio idrico integrato, nell'articolato porta avanti lo stesso approccio acqua-suolo -, oppure il decreto legislativo n. 152 del 1999, il decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto «decreto Ronchi») o il decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto «Codice ambientale») che si propone la riorganizzazione dell'intero settore.
Del resto, anche la direttiva europea sulle acque n. 2000/60/CE, che è di molto successiva rispetto alla legge n. 183 del 1989 - arriva 11 anni dopo - ne abbraccia la filosofia.
In qualche modo, la distrettualizzazione a cui fa riferimento la direttiva n. 2000/60/CE - ovvero la necessità di creazione dei distretti - è una sorta di rilettura aggiornata in termini europei di quello che già la legge n. 183 aveva stabilito con la ripartizione del territorio in bacini idrografici.
Direi che, in qualche misura, sotto questo aspetto la legge n. 183 ha anticipato anche la direttiva n. 2000/60/CE, seppur con le molte criticità presenti che, sempre riferendomi a quanto letto nel report dell'indagine conoscitiva, sono state fra l'altro ben evidenziate nel momento di sintesi dell'indagine.
La legge n. 183 stabilisce, quindi, una pianificazione omnicomprensiva del territorio, da realizzare tenendo conto delle risorse idriche e della difesa del suolo, ma da estendere in prospettiva anche ad ulteriori settori come la disciplina delle attività estrattive, il recupero naturalistico, la protezione civile, la protezione delle coste dall'erosione delle acque marine.
Pertanto, nel piano di bacino, che è il principale strumento di pianificazione previsto dalla legge n. 183 e che l'Autorità di bacino deve redigere, saranno trattati unitariamente in modo integrato tutti i vari aspetti dell'ambiente fisico del bacino, proprio ai fini di un coordinamento con gli strumenti pianificatori e programmatori nazionali, regionali e sub-regionali, sia per quanto concerne l'uso del suolo, sia in merito all'adeguamento degli strumenti urbanistici alle prescrizioni del piano: torno a dire che il punto centrale è dato proprio dal binomio acqua-suolo.
Ecco perché, proprio in questa prospettiva, la legge n. 183 qualifica i piani di bacino come piani territoriali di settore, ed ecco perché anche la stessa legge riconosce ad essi la natura di strumenti conoscitivi, normativi e tecnico-operativi mediante i quali vengono programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate a quegli obiettivi che ho poc'anzi ricordato.
Alcune delle più importanti leggi successive alla legge n. 183 del 1989 in materia di difesa del suolo - ad esempio il decreto-legge n. 180 del 1998, il cosiddetto «decreto Sarno» - prevedono anche, in termini funzionali, la possibilità di articolazione dei piani di bacino in piani stralcio, tanto è vero che, come potrete leggere nelle relazioni allegate, tutte le Autorità di bacino nazionali hanno predisposto piani stralcio sul bilancio idrico, sul rischio idrogeologico, sul rischio idraulico e via dicendo. Per l'approfondimento dei contenuti di questa pianificazione che, torno a ripetere, prende avvio con il decreto-legge n. 180 del 1998, vi rimando alle relazioni di dettaglio che ognuno di noi ha predisposto.
Ho ritenuto doveroso fare questa premessa sulla legge n. 183 del 1989 - e mi scuso se è ripetitiva rispetto alle vostre conoscenze sulla filosofia di questa legge - perché è importante, dal momento che poi il decreto legislativo n. 152 del 2006 (il cosiddetto «Codice ambientale»), la riprende, e la ritroveremo anche nella direttiva comunitaria n. 2000/60/CE e nella recentissima direttiva comunitaria
n. 2007/60/CE (la cosiddetta «direttiva alluvioni»). Questa introduzione, quindi, è stata doverosa ma anche utile per il ragionamento che vorremmo affrontare adesso.
I miei colleghi ed io desidereremmo cogliere l'occasione - come dicevo all'inizio - di contestualizzare questo incontro alla luce del decreto n. 208 del 2008, attualmente in sede di conversione, che, all'articolo 1 fa espressamente riferimento alle Autorità di bacino. Il punto di partenza della nostra riflessione è dato al fatto che, oltre a sancire con chiarezza e in modo definitivo - ovviamente se verrà convertito in legge - la prosecuzione della nostra attività, ribadendo la continuità operativa e la pienezza dei poteri delle Autorità di bacino, il decreto-legge n. 208 del 2008 lancia l'incipit per affrontare anche altri aspetti che coinvolgono i nostri enti misti, e che vorrei porre alla vostra attenzione.
In primo luogo, l'esigenza di far proseguire l'attività delle nostre Autorità e quella di ribadire la continuità operativa e la pienezza dei poteri delle Autorità di bacino sono dettate anche dall'esigenza - inutile nasconderlo - di rispettare una precisa scadenza comunitaria. Infatti, ai sensi della direttiva n. 2000/60/CE, il 31 dicembre 2009 - nove anni dopo tale direttiva - rappresenta il termine entro il quale dovranno essere predisposti e pubblicati i piani di gestione, ovvero la pianificazione cardine della direttiva n. 2000/60/CE. Da questo punto di vista, quindi, la prosecuzione della nostra attività è un intervento cautelativo, una sorta di tampone ad una scadenza comunitaria impellente perché, come vi sarà facile comprendere, quando si parla di mesi in temi ambientali si parla di scadenze a ridosso, come se si parlasse di ventiquattro ore dopo.
In secondo luogo, reputo anche che la ratio che ha ispirato il legislatore nel definire in modo puntuale e con grande chiarezza la prosecuzione a pieni poteri delle Autorità di bacino e delle attività che esse svolgono sia anche una sorta di riconoscimento della bontà del loro operato, fondato sulla consapevolezza che queste strutture devono poter continuare ad assolvere i molteplici compiti che ad esse sono stati e sono tuttora attribuiti dalla legislazione vigente.
A costo di sembrare eccessivamente puntigliosa - ma ritengo che una riflessione sulla natura di questi soggetti sia di estrema attualità in questo momento - vorrei ricordare che le Autorità di bacino, al cui interno presenziano Stato e regioni al 50 per cento, sono l'ente misto nazionale per eccellenza. Le Autorità di bacino hanno due riferimenti, potremmo dire due «azionisti», se volessimo usare un termine che si usa per la società: Stato e regione, in pari misura, sono entrambi rappresentati all'interno del comitato istituzionale, ovvero dell'organo di indirizzo politico che approva le linee guida in materia di difesa del suolo. All'interno di questo organo lo Stato è presente attraverso i rappresentanti delle cinque amministrazioni competenti, diretti dal Ministro dell'ambiente, ma anche le regioni sono presenti con i rappresentanti delle regioni territorialmente contigue rispetto ai bacini che quelle Autorità
sovrintendono. Pertanto, quando si parla, ad esempio, di Autorità di bacino del Po, si fa riferimento a un comitato istituzionale costituito dai rappresentanti di quattro ministeri più il dipartimento della Protezione civile, ma anche dai rappresentanti delle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, più la provincia autonoma di Trento, ovvero delle istituzioni territoriali che sono afferenti al bacino del Po. La natura di ente misto dell'Autorità di bacino, la sua bontà e strategicità sono state ribadite, del resto, all'indomani della legge n. 183 del 1989, da una sentenza della Corte costituzionale che noi citiamo perché ci sembra interessante e di grande attualità, nella quale si afferma che «la difesa del suolo ha una finalità il cui raggiungimento coinvolge funzioni in materia assegnate sia alla competenza statale che alla competenza regionale» e si
ribadisce che la cooperazione
deve essere intesa come «coordinamento dell'esercizio delle rispettive funzioni» e come creazione e valorizzazione di organismi misti in cui siano rappresentate entrambe le parti. In tal modo, quindi, si sottolinea l'importanza di una rappresentanza contestuale dello Stato e delle regioni all'interno dello stesso ente.
A questo si ispirò la legge delega dalla quale è poi promanato il decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto «Codice ambientale»), che non fa altro che ribadire questa impostazione, non sovvertendo bensì valorizzando la presenza dello Stato e delle regioni all'interno delle Autorità di bacino, future autorità di distretto.
In questa prospettiva, ai sensi di quanto richiesto dalla citata direttiva comunitaria n. 2000/60/CE sui distretti idrografici, il processo di razionalizzazione funzionale alla creazione di tali distretti ha fatto perno, non a caso, sui bacini idrografici nazionali esistenti, riconducendo alle porzioni di territorio comprese in tali bacini ulteriori porzioni di territorio ad esse contigue ed affini, dal punto di vista morfologico, geomorfologico, idrogeologico e via dicendo, senza per questo cancellare e stravolgere l'impianto esistente.
Non a caso nel decreto legislativo n. 152 del 2006 si parla di Autorità di bacino distrettuali, quasi a voler dire che esse rappresentano il cuore imprescindibile delle future autorità di distretto.
In quest'ottica, con questo approccio e questo spirito, il decreto legislativo n. 152 del 2006 individua nel territorio nazionale i vari distretti: il distretto idrografico delle Alpi orientali, che ricomprendeva l'attuale alto Adriatico ed il bacino dell'Adige; il distretto idrografico padano, coincidente più o meno con il bacino del Po; il distretto idrografico dell'Appennino settentrionale, coincidente più o meno con l'attuale bacino dell'Arno; il distretto idrografico pilota del Serchio, che riguarda la zona dell'attuale bacino del Serchio; il distretto idrografico dell'Appennino centrale, il Tevere, quello dell'Appennino meridionale, che corrisponde all'attuale bacino del Liri-Garigliano ed in più quelli Sardegna e della Sicilia, per un totale di sette distretti che riprendono essenzialmente la ripartizione della legge n. 183 del 1989 aggiungendo ulteriori porzioni di territorio, con un criterio che non è nostro compito giudicare condivisibile
o meno.
Quello che a noi preme ribadire è far capire la ratio che, ispirando il decreto legislativo n. 152 del 2006, ha in qualche modo indirettamente ulteriormente valorizzato l'impianto istituzionale della legge n. 183 del 1989 e l'attività delle Autorità di bacino nazionali.
Come ho detto prima, probabilmente questo è da ricondursi anche al fatto che la distrettualizzazione a cui ci richiama la direttiva n. 2000/60/CE in qualche modo è anticipata dalla legge n. 183 del 1989.
Sempre riferendomi ai contenuti del report dell'indagine conoscitiva, credo corra l'obbligo di sottolineare che anche nella sintesi elaborata dalla Commissione si ribadisce, in un certo modo, la bontà della struttura e della natura di ente misto quale ruolo importante di cerniera - si usa proprio questo termine - fra tutti i soggetti coinvolti nella difesa e del suolo, in primis Stato e regione.
In attesa dell'attuazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 - non solo dell'individuazione e della creazione delle autorità di distretto, quindi della previsione di ciò che dovrebbero essere, ma anche della loro piena operatività - alcuni emendamenti che a nostro parere sono assolutamente fortemente condivisibili riconoscono alle Autorità di bacino un fondamentale ruolo di coordinamento nella predisposizione dei piani di gestione.
Ci stiamo riferendo agli emendamenti che abbiamo visto discutere nella Commissione del Senato e che forse sono già all'attenzione della vostra Commissione. Vorremmo soffermarci su un punto in particolare: l'individuazione del ruolo di coordinamento delle Autorità di bacino, specificatamente nell'elaborazione e nella redazione del piano di gestione, conferma quanto abbiamo cercato di esporre fin qui, ovvero che nell'impianto del decreto-legge n. 208 del 2008 vi sono alcuni spunti e
opportunità molto interessanti in prospettiva, oltre all'esigenza estremamente opportunistica - lo dico in termini positivi - di far fronte a una scadenza comunitaria importante come quella del 31 dicembre 2009. Peraltro, con riferimento a tale scadenza, non bisogna dimenticare che la conformità della normativa nazionale alla normativa comunitaria, sia nel settore di cui ci stiamo occupando ma, ovviamente, anche in altri settori, è condizione per l'accesso ai fondi comunitari per le politiche di coesione, così come l'approvazione del piano di gestione è presupposto necessario per l'accesso ai fondi comunitari di sviluppo rurale a supporto degli agricoltori, in attuazione delle misure che la direttiva n. 2000/60/CE prevede e richiede specificatamente.
Pertanto, è evidente che l'approvazione del piano di gestione rispetto a questa scadenza non è un atto da intendersi formalisticamente, ma un atto con risvolti sostanziali importanti perché l'opportunità di ottenere dei finanziamenti - o il fatto di perderli, ovviamente - rappresenta per il territorio una differenza non da poco.
In quest'ottica, quindi, è da leggere anche il ruolo di coordinamento attribuito alle Autorità di bacino sul piano di gestione. È ovvio che, in questa prima fase caratterizzata dall'urgenza, il coordinamento di natura essenzialmente tecnica deve esplicarsi nel raccordare, in una cornice di bacino distrettuale, tutti gli atti di pianificazione elaborati dai soggetti che a ciò erano proposti, ovvero le regioni e gli altri enti competenti in materia.
Desidero sottolineare che il ruolo che negli emendamenti in discussione al Senato è previsto in capo alle Autorità di bacino non è un ruolo di redazione ulteriore rispetto a piani già esistenti, bensì un ruolo di assemblaggio funzionale. Si tratta di un'opportuna rilettura dei piani esistenti, nell'ottica di ricondurre ad una unità di intenti, rispetto alle finalità che la citata direttiva comunitaria prevede, il contenuto dei piani di gestione; tuttavia, ciò non si pone in antitesi rispetto alla pianificazione già esistente sul territorio come, ad esempio, il piano di tutela, che è e resta in capo alle regioni. È naturale, inoltre, che i contenuti dei piani di tutela regionali rappresentino una parte sostanziale dei futuri piani di gestione.
Al tempo stesso, l'attività di coordinamento posta in capo alle Autorità di bacino è una sorta di raccordo nella nuova e più ampia visione distrettuale e, al contempo, è un doveroso tentativo di fornire criteri, indirizzi e direttive per elaborare e adeguare la pianificazione agli obiettivi e alle finalità del distretto.
Credo che, in tal senso, si ponga anche un atto di indirizzo di prossima emanazione, elaborato dal Ministero dell'ambiente, che ribadisce l'obbligo di adeguare lo stato delle acque agli obiettivi comunitari e di redigere entro le scadenze comunitarie cui facevamo riferimento i piani di gestione disciplinati dal decreto legislativo n. 152 del 2006.
Il piano di gestione è qualcosa di diverso rispetto ai piani di tutela, ma non perché si ponga in contraddizione o in antitesi con essi ma perché, agli attuali quattordici piani di tutela esistenti, elaborati da altrettante regioni, occorre aggiungere e integrare opportunamente altri due aspetti: l'analisi economica e la pianificazione quantitativa e qualitativa.
Per quanto riguarda il primo aspetto, vorrei dire che l'analisi economica è un capitolo molto complesso, che richiederà un enorme lavoro non essendoci precedenti né in Italia né a livello comunitario. Nelle riunioni a cui ognuno di noi ha avuto modo di partecipare in sede di implementazione della direttiva n. 2000/60/CE, ci siamo accorti - e possiamo riferirlo con estrema sincerità - che in tema di analisi economica ci sono pochissimi precedenti a livello europeo; pertanto, questa attività richiederà un grande sforzo non soltanto in termini conoscitivi e di assemblaggio, ma anche in termini di elaborazione e di traduzione in formule econometriche di dati che sono innanzitutto da reperire sul territorio e che andranno derivati dalle regioni per la pianificazione di tutela ma anche dalle autorità
d'ambito e dagli enti - mi riferisco, ad esempio, ai consorzi di bonifica - preposti all'utilizzo irriguo.
Quanto invece all'aspetto relativo alla pianificazione che si occupa ad esempio degli aspetti quantitativi in materia di bilancio idrico, segnalo che essa fa capo all'Autorità di bacino ma è già raccordata e coerente rispetto alle previsioni del piano di tutela perché, come è scritto nella norma e come ovviamente già avviene, gli obiettivi ambientali fissati dalle Autorità di bacino ai sensi dell'articolo 121, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 sono obiettivi che il piano di tutela deve per forza recepire; pertanto, l'attività delle Autorità di bacino in termini di tutela quantitativa va di pari passo e ben si integra rispetto agli obiettivi di natura qualitativa a cui tende il piano di tutela.
In realtà il raccordo c'è già; si tratta semplicemente di valorizzarlo e reinterpretarlo in chiave distrettuale alla luce delle previsioni del piano di gestione, con l'importante addendum rappresentato proprio dall'analisi economica di cui ho parlato e che, sottolineo ancora volta, è probabilmente il capitolo più spinoso sul quale siamo leggermente più indietro rispetto ad altre esperienze comunitarie che forse qualche passo in più di noi lo hanno compiuto.
Il passaggio alla visione distrettuale, quindi, risulta funzionale a esigenze di razionalizzazione del sistema di competenze. Faccio riferimento anche all'indagine conoscitiva e a quanto in essa mi sembra si evidenziava, ovverosia al fatto che il vero problema consiste nel superare le sovrapposizioni e gli accavallamenti.
Uno dei nodi da sciogliere è proprio la razionalizzazione del sistema di competenze, perché leggendo il report risulta chiaro che non è messa in alcun dubbio o in discussione l'attività o la bontà della attività svolta, nello specifico, dalle Autorità di bacino e degli altri enti che si occupano della difesa del suolo, mentre invece è sicuramente considerato un punto di criticità da superare il ricondurre ad una unità, in un opportuno coordinamento e in una visione unitaria di insieme, le molteplici attività che vengono espletate.
L'Autorità di bacino per noi ha rappresentato e rappresenta questa opportunità e, a maggior ragione, la può rappresentare l'autorità di distretto qualora sia interpretata, individuata, creata e resa operativa tenendo conto di quanto abbiamo finora detto, ovverosia facendo leva sulla valorizzazione dell'Autorità di bacino la quale, non a caso - torno a ripeterlo - nel decreto legislativo n. 152 del 2006 è definita Autorità di bacino distrettuale.
Tornando alle previsioni del decreto-legge n. 208 del 2008 e a quanto contenuto in alcuni emendamenti in discussione, la possibilità di riconoscere la funzione di coordinamento alle Autorità di bacino rappresenta di sicuro anche un risparmio in termini di risorse, nonché l'opportunità di far tesoro delle conoscenze tecniche e dell'esperienza pianificatoria, in termini di programmazione, che le Autorità hanno acquisito in questi anni (vi ricordo che quest'anno, non a caso, ricorre il ventennale della legge n. 183).
Non deve essere tra l'altro trascurato il fatto che la stessa redazione dei piani di gestione, proprio ai sensi della direttiva n. 2000/60/CE, presupponga una analisi accurata delle caratteristiche di ciascun bacino idrografico, anche in termini di bilancio idrico, di minimo deflusso vitale, di valutazione economica degli usi della risorsa, come dicevo prima. È evidente che il possesso di queste informazioni è in capo all'Autorità e che essa, quindi, non può che costituire il punto di partenza per l'elaborazione di quei programmi di misure e di intervento che la direttiva comunitaria espressamente richiede.
Con l'occasione, non possiamo neanche omettere di evidenziare alcune difficoltà: parlavo prima di criticità, una delle quali è sicuramente costituita dalle difficoltà finanziarie in cui si trovano le Autorità. Del resto, anche questo nodo delle risorse finanziarie è un altro degli aspetti ben evidenziati nell'indagine, laddove si fa riferimento a due criticità: una è la necessità di superare la frammentazione attraverso
l'opportuna razionalizzazione del sistema di governance complessivo e della difesa del suolo; l'altra, cui si fa espresso riferimento, è il riconoscere con grande chiarezza l'esiguità delle disponibilità reinvestite nel settore, difficoltà che persistono tuttora.
Questo è, oggettivamente, un aspetto da affrontare, anche perché negli anni sono state fatte delle previsioni e sono stati forniti dei numeri sui quali, tuttavia, io non mi dilungherei, perché in sé e per sé dicono tutto, ma possono anche dire niente.
In questi ultimi anni si è evoluto un diverso approccio nella pianificazione, e si è passati dalla legge n. 183 del 1989, tuttora in vigore, alla recente direttiva comunitaria n. 2007/60/CE (la cosiddetta «direttiva alluvioni»), che, per la prima volta, parla di gestione del rischio e non della sua eliminazione o di una soluzione del problema per sempre; questo sarebbe impossibile e, soprattutto, se tradotto in numeri spaventerebbe chiunque e renderebbe queste pianificazioni di difficile realizzazione, trasformandole in dissertazioni da addetti ai lavori ma poco significative sul piano contenutistico, mancando la possibilità di essere tradotte in azioni concrete.
Dal punto di partenza iniziale, dunque, l'approccio è cambiato, si è evoluto perché si parla di piani funzionali alla gestione del rischio, il che significa non soltanto uno stralcio tematico o territoriale ma anche una opportuna calibratura dell'aspetto economico tale da poter essere accettabile per le finanze di questo Paese.
Mi fermo qui, scusandomi per questa troppo lunga esposizione, sperando almeno di avere fornito elementi di risposta a domande che avreste desiderato sottoporci.
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
RAFFAELLA MARIANI. Ringrazio le Autorità di bacino per avere predisposto questa relazione completa e per averci illustrato la situazione, che in parte conoscevamo già e che oggi trova parte delle risposte nel decreto-legge n. 208 del 2008, in corso di conversione in legge al Senato.
Anche noi stiamo seguendo la discussione in corso al Senato, sperando di poter apportare qualche modifica al testo del provvedimento d'urgenza in discussione, anche se abbiamo la consapevolezza che non sempre questo è possibile, perché a volte arrivano alla nostra attenzione provvedimenti «blindati» per i quali non riusciamo a fare niente. Questa indagine mantiene tuttavia tutta la sua importanza perché ci ha permesso di ragionare approfonditamente su questo argomento e oggi vorrei dire due cose.
La prima è che la Commissione ha incardinato un provvedimento inerente la riforma della legislazione in materia di governo del territorio e di pianificazione complessiva, che è, in pratica, una riforma dell'urbanistica, con la quale le cose oggetto di questa indagine sono strettamente connesse. Le attività di pianificazione e il coordinamento delle attività di tutti gli enti che si occupano di regole di pianificazione territoriale è un tema molto forte, che tutte le volte ci viene richiamato quando si fa riferimento a ritardi che sono diventati elemento comune di tutti i livelli di governo, territoriali e nazionali.
Questa Commissione aveva fatto una proposta al Governo appena insediato, anche sulla base dell'esperienza della passata legislatura: chiedevamo di porre mano alla modifica del decreto legislativo n. 152 del 2006 - soprattutto la parte relativa alle acque, ovvero quella che vi riguarda direttamente - anche attraverso un'istruttoria condotta in sede legislativa da parte di questa Commissione - essendo quella che se ne è occupata sempre più da vicino, che ha avuto occasione di sentire le vostre richieste -, proprio per avere la possibilità di non dover legiferare con la spada di Damocle dell'urgenza attraverso decreti non dedicati specificamente a questi temi, cosa che, dal nostro punto di vista, non sono certo l'optimum.
C'è stata una discussione - il presidente ne è testimone - anche con il Governo appena insediato, rispetto all'esigenza di considerare questo settore normativo come la parte più importante fra quelle rimaste indietro rispetto agli indirizzi del testo unico e del decreto legislativo n. 152 del 2006, e come quella sulla quale era più urgente fare un approfondimento.
Il Governo ha scelto, invece, un'altra strada, che però lascia molta frammentarietà in una discussione che invece richiederebbe, dal nostro punto di vista, maggior approfondimento ed anche una maggior coerenza negli atti.
La seconda cosa che vorrei sottolineare è che in questi ultimi mesi, da Natale in poi, ci sono stati due o tre provvedimenti nei quali abbiamo provato a inserire il tema dell'inadeguatezza delle risorse finanziarie disponibili. La situazione del dissesto idrogeologico degli ultimi mesi ci ha posto di fronte ad una richiesta fortissima di fondi da parte delle regioni, ma anche per le vostre attività di pianificazione, e all'esigenza di un confronto serrato con la maggioranza sui temi relativi all'individuazione di idonei stanziamenti nei capitoli di bilancio del Dicastero dell'ambiente, ad una opportuna dotazione del fondo sull'assetto idrogeologico così come di quello della protezione civile.
Proprio ieri, in questa Commissione abbiamo approvato una risoluzione che impegna il Governo a trovare una parte di tali risorse e a trovare il modo per incentivare quello che, dal nostro punto di vista, è anche un meccanismo per dare occupazione, per attivare cantieri velocemente e quindi ridare un po' di stimolo, di impulso al sistema economico delle imprese che lavorano in questi settori. In caso contrario, tutto questo si blocca di fronte alla mancanza di risorse. Tuttavia, è giusto porsi il problema da voi evidenziato - e lo faremo anche nella discussione che faremo riguardo al decreto-legge n. 208 del 2008, ma anche per gli altri provvedimenti - di ragionare con le risorse disponibili in un momento così delicato, innanzitutto, provando a semplificare le regole, quindi a vedere se in questa riorganizzazione dei provvedimenti possiamo anche rendere più fluidi e più coerenti alcuni passaggi.
Per questo motivo desidero chiedere se voi ritenete che, al di là della necessità di dare atto alla direttiva comunitaria e quindi anche di rispettare una scadenza che ormai è imminente, è auspicabile anche la predisposizione di norme e regole che riguardino direttamente alcune situazioni come conferenze di servizi, velocizzazione nel rispetto dell'applicazione di alcuni limiti, salvaguardie e via dicendo.
Oggi il Governo pone, in alcuni provvedimenti, misure che dovrebbero in qualche modo accelerare la cantierabilità ma anche la pianificazione e, quindi, le scelte; io vi chiedo se su questo avete dei suggerimenti da dare, perché noi altrimenti ci troviamo più volte a vedere dei conflitti e, tra l'altro, anche a dover tener conto di un Titolo V della Costituzione che rimanda alle regioni, ad esempio, quasi l'80 per cento della pianificazione territoriale, il che naturalmente confligge poi con le competenze delle Autorità di bacino nazionali e qualche volta presta il fianco a strumentalizzazioni politiche che io credo dobbiamo avere il coraggio di ammettere.
FRANCESCO NUCARA. Anche io ringrazio i segretari generali delle Autorità di bacino. Vorrei porre alcune domande concrete per capire se si deve cambiare una legge, come quella del 1989, e, in caso affermativo, quale indirizzo dobbiamo prendere.
La legge n. 183 io la ricordo anche con un po' di nostalgia, avendola seguita sia come parlamentare sia, nella sua parte finale, come rappresentante del Governo e credo che se è durata vent'anni, allora deve essere un'ottima legge, dal momento che quando le leggi durano vuol dire che sono fatte bene.
In genere in Italia, ormai, da qualche decennio le leggi durano mediamente non più di due anni, a seconda di come cambia il Governo. La legge di riforma dei lavori pubblici, ad esempio, è stata fatta nel 1994
e, ad oggi, credo siamo alla sua settima versione, mentre il testo fondamentale in materia, che è del 5 maggio del 1895, è durato cento anni. L'alternanza produce pure questo: con questa alternanza ogni tre o quattro anni cambiamo le leggi fondamentali dello Stato.
Io voglio arrivare a un punto. Al di là del fatto che le leggi siano buone o meno, poi è la loro applicazione che conta, cioè il modo come funzionano.
Io chiedo scusa perché forse dirò cose poco in linea con l'indagine conoscitiva che stiamo facendo; tuttavia, dato che sono stato promotore di questa indagine conoscitiva, voglio capire perché le cose non funzionano; perché secondo me non funzionano, questo è il mio punto di vista.
Cominciamo col capire che cosa fanno le Autorità di bacino. Io credo che la pianificazione, quando è fatta sul lungo periodo, non abbia nemmeno bisogno di risorse finanziarie se non di quelle necessarie, in quel momento, alla redazione del progetto di pianificazione.
Tuttavia, a mio avviso le Autorità di bacino dovrebbero dire - e questo è il metodo con cui io cerco di capire la situazione - di che cosa hanno bisogno per avere maggiore autorevolezza. Ad esempio, occorrerebbe chiarire se l'Autorità di bacino, fatto un piano, è in grado di decidere che un'opera, un finanziamento, una risorsa finanziaria, da dovunque provenga, si utilizzi in un posto invece che in un altro.
Io credo che, per certi aspetti, questo tema riguardi più delle Autorità di bacino nazionali quelle regionali. Mi spiego meglio. Se c'è un piano di assetto idrogeologico, io che sono un ignorante guardo quel piano, lo vedo su Internet, tocco un punto, che risulta essere a rischio molto elevato. Me se continuo vedo cinquanta, cento, duemila zone a rischio molto elevato, mentre le risorse finanziarie disponibili sono limitate, quindi si deve stabilire una priorità per quelle a rischio più elevato. Ora, io mi chiedo: questo deve deciderlo la regione, il direttore generale del Ministero dell'ambiente competente in materia di difesa del suolo o il primo che capita? Chi decide che è meglio mettere prima in sicurezza una zona a rischio elevato e non una zona a rischio molto elevato?
Se il Ministero dell'ambiente e la regione Calabria avessero prestato più attenzione a questo modo di procedere, può darsi che non avremmo avuto tre morti sull'autostrada in Calabria.
Mi chiedo come far valere maggiormente la forza decisionale delle Autorità di bacino. Dico questo facendo autocritica, perché le Autorità di bacino non dovrebbero «avere impicci» con la politica. Non dovrebbe accadere che l'assessore difende il suo elettorato di una determinata provincia; può accadere, per esempio, che nella regione Lazio l'assessore di Viterbo scelga di garantire il suo territorio piuttosto che quello di Roma. Inoltre, a mio avviso, ci sono questioni in cui lo Stato e l'Autorità di bacino devono avere più autorevolezza dello stesso Ministro dell'ambiente.
Vorrei prendere ad esempio il fiume Tevere, perché conosco l'ingegner Cesari e perché vivo a Roma da cinquant'anni, ma potrei fare l'esempio del Po, o della subsidenza. Quando l'Autorità di bacino del Po - mi allontano dal Tevere - ha il problema della tutela delle acque...
PRESIDENTE. Onorevole Nucara, devo segnalarle che i membri dell'ufficio di presidenza della Commissione bilancio sono in attesa già da qualche minuto...
FRANCESCO NUCARA. Ma anche noi siamo in riunione...
PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Nucara, ma sapevamo di avere un tempo limitato a disposizione. Se i colleghi sono d'accordo, rinvierei il seguito dell'audizione alla prossima settimana, per avere modo di analizzare più a fondo le questioni poste dalle Autorità di bacino, che reputo molto importanti, e per dare ai colleghi la possibilità di prendere la parola, ponendo le domande che oggi sono rimaste in sospeso. Anch'io, del resto, ho
letto la relazione che ci è stata consegnata e avrei qualche puntualizzazione da fare.
FRANCESCO NUCARA. Concordo sul rinvio, anche perché devo parlare ancora a lungo.
PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti delle Autorità di bacino per la loro presenza e per la nota consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
In ragione della ristrettezza dei tempi, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 10,55.
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