Sulla pubblicità dei lavori:
Russo Paolo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANDAMENTO DEI PREZZI NEL SETTORE AGROALIMENTARE
Audizione delle organizzazioni professionali agricole Anpa, Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri, delle associazioni delle cooperative agricole Agci-Agrital, Fedagri-Confcooperative, Legacoop/Agroalimentare e Unci-Ascat, delle organizzazioni sindacali del settore agricolo FAI-CISL, FLAI-CGIL, UILA-UIL e UGL Agroalimentare e dell'associazione industriale Federalimentare:
Russo Paolo, Presidente ... 3 6 10 21 25
Beccalossi Viviana (PdL) ... 12
Bellotti Luca (PdL) ... 19
Caporaso Onofrio, Vicepresidente dell'Anpa ... 9
Dal Moro Gian Pietro (PD) ... 17
Dima Giovanni (PdL) ... 16
Fiorio Massimo (PD) ... 15
Fogliato Sebastiano (LNP) ... 10
Marini Sergio, Presidente della Coldiretti ... 6 23
Mattei Paolo, Segretario nazionale dell'UGL Agroalimentare ... 9
Oliverio Nicodemo Nazzareno (PD) ... 10
Rainieri Fabio (LNP) ... 14
Servodio Giuseppina (PD) ... 20
Vecchioni Federico, Presidente di Confagricoltura ... 3 21
Zucchi Angelo (PD) ... 13
ALLEGATO: Documento di posizione comune consegnato dal presidente di Confagricoltura ... 27
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto in via preliminare che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'andamento dei prezzi nel settore agroalimentare, l'audizione delle organizzazioni professionali agricole Anpa, Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri, delle associazioni delle cooperative agricole Agci-Agrital, Fedagri-Confcooperative, Legacoop/Agroalimentare e Unci-Ascat, delle organizzazioni sindacali del settore agricolo FAI-CISL, FLAI-CGIL, UILA-UIL e UGL Agroalimentare e dell'associazione industriale Federalimentare.
Sono presenti: per Anpa, il presidente Furio Venarucci, e il vicepresidente Onofrio Caporaso; per Coldiretti, il presidente Sergio Marini, il responsabile dell'Area azione sindacale Gaetano Varano e il responsabile relazioni esterne Paolo Falcioni; per Confagricoltura, il presidente Federico Vecchioni, e il direttore generale Vito Bianco; per Cia, il coordinatore di giunta Alberto Giombetti e la responsabile della segreteria del presidente Cristina Chirico; per Copagri, il vicepresidente vicario Francesco Verrascina; per Agci-Agrital, il presidente Giampaolo Buonfiglio; per Fedagri-Confcooperative, il presidente Paolo Bruni, il responsabile dipartimento economico-normativo Ugo Menesatti e il direttore Fabiola Di Loreto; per Legacoop/Agroalimentare, il direttore generale Giuseppe Piscopo; per Unci-Ascat, il presidente Antonio Fronzuti e il coordinatore Fabio Padoano; per FAI-CISL, i segretari nazionali Stefano Faiotto e Sergio Retini; per FLAI-CGIL, i
segretari nazionali Idilio Galeotti e Salvatore Lo Balbo; per UILA-UIL, il funzionario della segreteria nazionale dottor Pierluigi Talamo; per UGL Agroalimentare, il segretario nazionale Paolo Mattei; per Federalimentare, il responsabile dei rapporti con il Parlamento Bruno Nobile.
Da questa audizione la Commissione si aspetta non soltanto indicazioni di criticità, ma anche ipotesi di soluzioni utili al fine di migliorare la performance e tentare di abbassare i prezzi.
Do la parola agli auditi.
FEDERICO VECCHIONI, Presidente della Confagricoltura. Signor presidente, intervengo anche in rappresentanza di Cia,
Copagri, Federalimentare-Confindustria, Confcooperative, Legacoop, Agci, Unci, FAI-CISL, FLAI-CGIL e UILA-UIL, le undici sigle che hanno, in questi mesi, trovato un percorso comune e che mi portano questa sera ad affrontare, così come da convocazione, il tema che abbiamo ampiamente dibattuto e che in queste settimane, così come i componenti di questa Commissione sanno, è stato oggetto di un'attenzione mediatica certamente significativa. Quest'ultima ha determinato un certo risveglio dell'attenzione anche da parte dei consumatori, mentre per noi rappresenta un motivo di riflessione in ordine a quella che, in alcuni casi, è stata considerata l'agflazione, cioè l'inflazione determinata dagli aumenti riconducibili alla produzione agroalimentare italiana.
Le posizioni che, in sedi diverse, sono state riportate, in alcuni casi possono essere considerate addirittura fuorvianti, in ordine a quelle che sono state effettivamente le criticità che si sono verificate nella filiera. In molti casi, gli aumenti sono stati oggetto di una descrizione assolutamente significativa rispetto all'evento reale che si veniva a verificare, mentre in molti altri si è parlato con grande enfasi dell'aumento dei prezzi e, in un certo qual modo, non ci si è soffermati su quell'aumento dei costi che, per tutta la produzione agroalimentare, in molte situazioni ha raggiunto entità a due cifre.
Mi riferisco, in particolar modo, al costo dell'energia e dei trasporti nonché, per quanto riguarda il settore agricolo, al costo dei mangimi (in particolar modo quelli azotati) che sono stati caratterizzati giustappunto da aumenti a due cifre.
Riassumendo, le criticità della filiera sono state oggetto di un'attenzione per certi versi giustificata, ma anche, in certi casi, caratterizzata da una lettura non sempre corretta.
Direi che l'approccio è stato contrassegnato da notevole emotività, da una forte attenzione mediatica e, in molti casi, non si è rilevata neanche la capacità di distinguere i fenomeni speculativi da quelli che, effettivamente, erano derivanti dal mercato.
La prima considerazione che ci sentiamo di esporre è che questa distinzione, invece, è bene operarla. Tutto ciò che è fenomeno speculativo deve essere perseguito nelle sedi opportune, dalle autorità competenti; deve essere monitorato e individuato e, perciò, non confuso con quelle che, invece, sono le dinamiche di mercato. Queste ultime hanno visto la filiera agroalimentare italiana contrassegnata dalle criticità che derivano anche dal contesto.
Le organizzazioni firmatarie dei documenti in questione segnalano che questi fattori di contesto devono essere oggetto di attenzione nella politica economica del Governo riguardante le scelte di breve e di lungo periodo.
Le scelte di lungo periodo riguardano, inevitabilmente, le criticità storiche del nostro Paese derivanti da una rete infrastrutturale gravemente insufficiente e da difficoltà di collegamento che, in alcune regioni, sono molto forti, ma anche la dinamica dei costi riguardanti il comparto energetico e quello burocratico-amministrativo, che gravano in maniera assolutamente non moderna sul settore della produzione.
Con specifico riferimento alla filiera agroalimentare, ci sentiamo di segnalare proprio ciò che lei giustamente richiamava, cioè la necessità di fissare alcune linee di intervento. Ritengo che l'audizione vada in questa direzione e che l'attenzione di cui essa è oggetto non possa essere considerata esclusivamente formale.
Il settore agroalimentare è stato interessato da svariate riforme, ma una delle motivazioni che sono state richiamate in questi mesi in ordine all'aumento dei prezzi al consumo risiede certamente nell'aggregazione dell'offerta che, in molti casi, non è stata oggetto di particolare efficienza. Questo punto è stato oggetto di riflessione anche da parte delle organizzazioni firmatarie.
In questa direzione, ci sentiamo di suggerire che si ponga mano al decreto legislativo n. 102 del 2005 che, ricordiamolo, non è stato emanato con la volontà di intervenire per decreto sul mercato, bensì per mettere a disposizione delle
imprese alcuni strumenti per intervenire sulle dinamiche e sulla gestione del mercato stesso. Il ruolo dell'interprofessione, a nostro avviso, può essere la sede opportuna (seppure attraverso accordi privatistici) in cui riattivare un meccanismo di filiera soggetto a minori sperequazioni.
Il decreto legislativo n. 102 del 2005 dovrebbe diventare la sede normativa tramite cui favorire, anche attraverso interventi finanziari, lo sviluppo di aggregazioni societarie tra produttori (con particolare riferimento al comparto cooperativo e a quello delle organizzazioni di produttori) che - a nostro avviso - in questi anni hanno rappresentato lo strumento efficace per arrivare a quella «filiera corta» a sostegno della quale molti critici e osservatori hanno sollecitato un intervento.
In materia di filiera corta, segnaliamo che la vendita diretta rappresenta certamente un'opzione interessante per gli imprenditori e i coltivatori agricoli. Riteniamo, altresì, che il percorso della vendita diretta possa avere - come i deputati presenti sanno - declinazioni diverse, che spaziano dai farmers market, alla vendita in azienda o nei mercatini rionali, fino alla distribuzione diretta più volte richiamata, in particolar modo, per il settore lattiero-caseario.
Questa iniziativa assume, per noi, una valenza che risente certamente della valutazione soggettiva dell'imprenditore. Tuttavia, sotto il profilo strategico, si deve pur tenere presente che nel nostro Paese l'80 per cento del prodotto agroalimentare viene veicolato al consumatore attraverso la distribuzione organizzata.
Da ciò nasce la necessità di stipulare accordi con la grande distribuzione, tenendo presente, però, che se esiste una volontà delle organizzazioni a instaurare un'aperta collaborazione con la distribuzione organizzata, esiste anche la convinzione che il percorso che vede il prodotto alimentare passare dal campo alla tavola debba esser oggetto di maggiore trasparenza.
Da qui la volontà di una proposta sul doppio prezzo, tesa a fornire al consumatore un ulteriore strumento di valutazione di quanto avviene nella filiera.
Valutiamo questo percorso anche sotto il profilo sperimentale e riteniamo che le rigidità che hanno contrassegnato, in termini di ricarichi, i rapporti tra industria alimentare, mondo della produzione, mondo cooperativo e mondo delle organizzazioni di produttori, debbano essere superate con un approccio responsabile ed equilibrato anche da parte della grande distribuzione. L'azione di quest'ultima, in alcuni casi, è stata certamente caratterizzata da una certa rigidità, che ha determinato la forbice che noi tutti abbiamo conosciuto in queste settimane; in particolar modo mi riferisco alle produzioni di derivazione cerealicola e, quindi, alla pasta.
In definitiva, la filiera agroalimentare italiana si sente pronta, in termini normativi, ad affrontare le modifiche che vorrete apportare al decreto legislativo n. 102 del 2005, se riterrete opportuno questo percorso. Si sente pronta anche ad affrontare, in maniera congiunta, una rivalutazione del potere d'acquisto delle famiglie italiane, mantenendo tuttavia come presupposto essenziale la ricaduta della nostra filiera sul prodotto interno lordo del Paese: quel 15 per cento che non è solo agricolo, ma che è anche trasformazione e distribuzione.
Tutto questo è in ordine a una riflessione strategica, sul ruolo della distribuzione, che non può che trovare, dal nostro punto di vista, una valorizzazione. Infatti, andare ad incidere sulla filiera agroalimentare per migliorare il potere d'acquisto, significa anche essere consapevoli che ciò mantiene il ruolo produttivo del nostro Paese. Del resto, proprio sotto il profilo della produzione, non si può sottacere la ricaduta occupazionale implicita nella stabilità del lavoro che la filiera agroalimentare ha garantito, sino ad oggi, all'economia italiana.
Concludo, quindi, col dire che le organizzazioni che mi hanno conferito il mandato ad esprimere la posizione appena
illustrata hanno siglato un documento - che consegno alla Commissione - all'interno del quale, in maniera molto più articolata, si individuano, sotto il profilo normativo e sotto il profilo delle dinamiche, quelle che possono essere, dal nostro punto di vista, considerate delle indicazioni tese a migliorare il percorso del prodotto dal campo alla tavola.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Vecchioni non solo per la relazione che ci ha offerto, ma anche per l'opportunità di sintesi rispetto alle undici sigle che ha qui ritenuto e voluto utilmente rappresentare. Il documento consegnato sarà allegato al resoconto della seduta odierna.
SERGIO MARINI, Presidente della Coldiretti. Signor presidente, in un momento particolare per il Paese e per tutto il nostro continente, in cui la crescita è vicina allo zero, l'inflazione è abbastanza alta, non sappiamo in prospettiva cosa attenderci e i costi, soprattutto energetici, sono molto alti, penso che questa sia la sede giusta per riconoscere all'agricoltura un grande senso di responsabilità, serietà e professionalità.
Generalmente, il nostro è un settore visto come poco competitivo, marginale, che con difficoltà riesce a stare sul mercato. A me preme invece ricordare che l'agricoltura sta sul mercato con i prezzi internazionali e con i costi di produzione di questo Paese e di questo continente. Ciononostante, abbiamo un PIL che aumenta del 3,5 per cento a fronte di un PIL nazionale che non cresce e un PIL europeo poco sopra alla crescita zero. Abbiamo inoltre in Italia un valore aggiunto per ettaro mediamente superiore (dal 70 al 100 per cento) rispetto a quello degli altri Paesi europei, che vivono nello stesso contesto competitivo. Abbiamo un export che aumenta, anche al netto dell'inflazione. In definitiva, visto che veniamo da un periodo in cui all'agricoltura e ai prezzi dei prodotti agricoli di base è stata attribuita, almeno inizialmente, la maggiore responsabilità per l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, l'agricoltura sta continuando -
nonostante le tante difficoltà - a dare il proprio contributo.
Per esempio, in questi ultimi otto mesi abbiamo avuto una diminuzione del prezzo dei cereali oscillante fra il 35 e il 40 per cento: è evidente che, più di questo, l'agricoltura non poteva fare e il dato diventa ancora più significativo e importante se si considerano i costi di produzione che aumentano.
Dico ciò perché ritengo che, in un momento in cui il Paese (ma non solo il Paese) si interroga sulle sue prospettive, mai come oggi la centralità dell'agricoltura possa essere rimessa all'attenzione di tutti.
Vengo al tema all'ordine del giorno, di grande attualità da più di un anno: l'aumento dei prezzi.
Penso che tale tema vada scisso, poiché molto spesso si fa confusione tra la questione nazionale e quella internazionale.
Dobbiamo trarre qualche insegnamento da quello che sta succedendo nel mondo. Abbiamo avuto un aumento importante del prezzo delle materie prime, che oggi sta di nuovo scendendo. Non voglio trarre analisi e conclusioni da questo punto (poiché mi interessa maggiormente trattare la questione nazionale, rispetto a quella internazionale), ma in ogni caso sulle questioni alimentari serve «più politica» e non «meno politica». Anche il nostro giudizio sulla politica comunitaria rifletterà questa affermazione. È evidente che la politica riveste un ruolo importante in un settore nel quale sia la domanda che l'offerta sono fortemente rigide, per cui bastano piccoli cambiamenti dell'una o dell'altra per creare oscillazioni dei prezzi estremamente pericolose.
Questa posizione diverge da quella di tutti coloro che pensano che, invece, a livello internazionale, sui temi alimentari, la politica non debba svolgere alcun ruolo.
Come idea personale, ritengo che la politica debba intervenire soprattutto per rendere più flessibile la curva dell'offerta e per cercare di contenere i fenomeni speculativi internazionali.
La seconda conclusione che porto, rispetto a questo scenario internazionale, è che mai come oggi si può dire che forse la
causa maggiore dell'aumento dei prezzi delle materie prime alimentari sia stata soprattutto il troppo elevato numero di anni in cui i prezzi delle stesse materie prime alimentari sono rimasti bassi.
È noto a tutti che, quando i bassi prezzi durano per un periodo troppo lungo, si arriva a una destrutturazione del settore. È evidente che un settore come quello agricolo - torno a dire - in cui è molto rigida anche l'offerta, nel momento in cui bisogna reagire ad una domanda che, come tutti sappiamo, cambia e cresce, va incontro a enormi difficoltà. Tutto ciò ci deve servire per capire che non possiamo mai pensare che la soluzione a tutti i problemi sia quella di ridurre, sempre e comunque, il prezzo delle materie prime agricole: non è questa la soluzione cui dobbiamo arrivare.
Riguardo al contesto internazionale vi faremo pervenire una nota integrativa su questo tema, poiché mi voglio soffermare di più sulle questioni nazionali.
Penso che non ci si possa limitare ad affermare che esiste un problema di forbice che si allarga tra la produzione e il prezzo al consumo, che la colpa non è di nessuno e che pertanto non si può far altro che rimettere il tutto alla politica la quale, comunque, qualcosa dovrà pur escogitare.
La politica non può far molto su questo piano, a meno che non ci vogliamo prendere in giro spostando semplicemente il problema e passandolo, tal quale, alla politica che, in un mercato libero e competitivo, ha certamente il dovere di fornire qualche orientamento, ma non può sostituirsi all'imprenditore.
Siamo di fronte a una forbice che si allarga, con gravissimi danni noti a tutti: il consumatore ha difficoltà ad arrivare a fine mese, ma anche il produttore si trova di fronte a redditi sempre più bassi. Ci siamo abituati, in questi ultimi mesi, a parlare del problema degli alti prezzi delle materie prime, ma oggi questi sono tornati a un livello tale per cui il tema centrale diventa, invece, l'aumento del costo di produzione. Se a ciò si aggiunge la riduzione dei consumi, capite che quel grande sforzo che l'agricoltura ha fatto e sta continuando a fare, per rispondere alle nuove esigenze del Paese (in tutti i sensi, anche in quello della crescita), evidentemente potrebbe essere messo in discussione.
La cronaca di queste ultime settimane ha cancellato la vecchia storia per cui la colpa dell'aumento dei prezzi è legata all'aumento del prezzo delle materie prime. Il collegamento tra prezzo delle materie prime e prezzo dei prodotti al consumo è, oggi, davvero marginale. Quindi, il problema risiede dalla produzione in avanti. Ebbene, guardiamoci in faccia: dalla produzione in avanti troviamo la filiera, in cui - senza arrivare a conclusioni tese a colpevolizzare solo qualcuno e volendo soltanto provare a fare qualche ulteriore precisazione utile - evidentemente si sommano più situazioni critiche.
La lunghezza della filiera (i troppi passaggi, soprattutto per alcuni prodotti), pur rappresentando un problema reale sul quale bisogna intervenire, non è l'unica criticità che rileviamo. È un problema vero anche la poca trasparenza della filiera e su questo aspetto occorre recuperare.
Un terzo problema è probabilmente rappresentato dal fatto che dentro la filiera si determinano fasi in cui i costi diventano troppo alti, in quanto legati a situazioni di inefficienza.
Se queste tre componenti coesistono, bisognerà capire come affrontarle tutte e tre insieme, partendo da una prima esigenza: occorre creare più concorrenza all'interno della filiera, a cominciare dai sistemi distributivi.
Oggi sembra di vivere in una filiera in concorrenza perfetta, ma non è vero, poiché abbiamo soltanto un modello distributivo, quello tradizionale, attraverso cui passa il 98 per cento del prodotto agroalimentare. A questa filiera tradizionale se ne potrebbero aggiungere altre di dimensioni diverse, ad esempio la filiera corta.
Attenzione, la filiera corta non è soltanto il farmer market, la vendita diretta o
i gruppi di acquisto, sebbene queste siano tutte strade che si possono percorrere.
Una filiera diversa significa anche costruire un rapporto diverso con la grande distribuzione e arrivare magari ad acquisire spazi, tramite accordi, proprio negli scaffali della grande distribuzione.
È evidente che, per realizzare questa ipotesi, bisogna avere potere competitivo: nessuno cede niente a qualcun altro che non sia capace di competere e concorrere seriamente. Ma allora occorre sollevare il problema della debolezza della nostra filiera agroalimentare.
In Italia, inoltre, non esiste concorrenza tra i prodotti. Esisteva una concorrenza tra marchi, che però oggi è più o meno perduta, a vantaggio della grande distribuzione che si è appropriata anche di questi ultimi.
Questa è la politica che, in qualche maniera, la Coldiretti contesta all'industria agroalimentare italiana: non essersi voluta collegare al territorio, non aver voluto mettere dentro al proprio sistema quei valori distintivi che l'avrebbero portata a proteggere meglio, soprattutto nella competizione con i sistemi distributivi, anche i propri marchi commerciali.
Onestamente, rivolgiamo un po' la stessa contestazione anche alla cooperazione, che avrebbe dovuto sposare in primis il percorso di valorizzazione del territorio e la peculiarità del prodotto legato a quest'ultimo. La cooperazione non ha voluto intraprendere tale percorso e ha preferito seguire la strada - legittima - del sistema industriale. Oggi vediamo che quel sistema, nato per accorciare la filiera, per portare più reddito all'agricoltore e probabilmente anche per offrire un prezzo più equo al consumatore, evidentemente non ha funzionato.
Occorre più concorrenza, sulla quale la politica, però, può intervenire poco.
Diversamente, la legge può intervenire in maniera significativa in favore di un aumento della trasparenza. Ci siamo battuti e continuiamo a batterci per far sì che il consumatore possa venire a conoscenza di tutti i fenomeni del processo produttivo e, come minimo, dell'elemento centrale rappresentato dalla provenienza del prodotto.
La trasparenza è questo, ma è anche il sistema dei controlli, giacché della mancanza di trasparenza si giovano anche quelle situazioni di concorrenza imperfetta legate ai prodotti di bassa qualità (che in questi giorni vanno peraltro diffondendosi, visti gli alti prezzi che permettono di fare business).
Il terzo aspetto da sollevare è quello dell'efficienza.
Non nascondiamoci dietro a un dito: la filiera italiana, non importa di chi sia la colpa, è poco efficiente. Posso ricordare alcuni esempi, che ritengo importanti per illustrare di chi sia la responsabilità di ciò.
Il sistema degli aiuti accoppiati non ha stimolato l'efficienza del sistema industriale e produttivo (neppure di quello agricolo, peraltro) e comunque non ha certo stimolato la filiera. Per esempio, l'anno scorso il prezzo industriale degli agrumi era 12 centesimi di euro, di cui 4 centesimi era il prezzo effettivamente pagato al produttore, mentre 8 centesimi era l'ammontare che il sistema accoppiava al produttore.
Quest'anno, finalmente, con il sistema disaccoppiato, si pagano i 12 centesimi che rappresentano il prezzo vero di mercato, per cui non è stato utilizzato il sostegno comunitario per coprire sacche di inefficienza.
Quell'aiuto comunitario deve essere utilizzato, al contrario, per stimolare l'efficienza e la competitività, cosa che non è avvenuta in passato.
Occorre rimuovere gli elementi negativi e a tal riguardo debbo ricordare che la vecchia interprofessione, quella in cui, a un certo punto, la politica cercava inserirsi (parliamo di anni fa) per cercare di mettere qualcosa sul tavolo, era un sistema indiretto per permettere di acquistare la materia prima agricola pagandola meno
Si trattava di un sistema che poteva essere accettato da tutti: sia dal produttore, al quale arrivavano gli stessi soldi, che dal sistema della trasformazione, il quale - più o meno - riusciva a non
trovarsi in difficoltà e non essere obbligato a procedere a processi di ristrutturazione. Ma è acqua passata, per fortuna, e penso che oggi la volontà della politica non sia quella di intervenire per stimolare fenomeni di questo tipo.
Ritengo che, invece, occorra riattivarsi su percorsi diversi, quali la ricerca, l'innovazione, gli investimenti.
Anche per questo, pensiamo che la modulazione possa essere uno strumento utile, almeno entro certi limiti, se i soldi arrivano alle imprese agricole, industriali, di trasformazione, cooperative, insomma a tutto il sistema della filiera, per ristrutturarsi.
Dobbiamo davvero proseguire lungo le tre strade che portano a una maggiore concorrenza, trasparenza ed efficienza, per far sì che la grande anomalia tutta italiana (essendo tale, evidentemente qualche responsabilità italiana deve pur esistere) sia rimossa.
A tal riguardo, ponendo uguale a 100 l'intervento da eseguire, penso che il ruolo della politica si possa fermare a 20, mentre il restante 80 per cento dipende dalla volontà dell'impresa di stare sul mercato e di competere tenendo a mente soltanto gli interessi del Paese, dei cittadini e dei consumatori, senza soffermarsi per tentare di portarsi a casa questo o quel finanziamento pubblico.
PAOLO MATTEI, Segretario nazionale dell'UGL Agroalimentare. Signor presidente, svolgerò un intervento brevissimo, volto a sottolineare alcuni aspetti non marginali del processo di cui stiamo trattando. In primis, come rappresentanti del mondo del lavoro, notiamo come il fenomeno dell'aumento dei prezzi (di cui, oggi, non si parla soltanto, essendo vissuto sulla pelle dei lavoratori) generi anche effetti negativi sotto il profilo occupazionale.
Compiendo una piccola analisi, per esempio, relativa al comparto della pasta, secondo i dati forniti dall'ISTAT, il prezzo della pasta sulla tavola dell'utente finale risulta pari al 360 per cento del prezzo del prodotto «grano».
Questo effetto dovrebbe portare le imprese della pasta ad aumentare, nel loro complesso, quantomeno il loro volume occupazionale, grazie alla redditività elevata.
Invece ciò non succede, come si può vedere in alcune regioni caratterizzate da piccole aziende di questo settore, in cui la speculazione del mercato dei cereali costringe a scarsi approvvigionamenti quelle aziende che non riescono ad avere i capitali necessari per farne di notevoli, con il conseguente disagio occupazionale.
Dall'altro lato, si osserva il mondo del lavoro a reddito fisso che si trova costantemente a fare i conti con la quarta o anche la terza settimana, che non riesce più ad andare avanti e che sente in pieno, sulla propria pelle, l'aumento dei prezzi.
Come UGL Agroalimentare crediamo che tutto quello di cui si va parlando, dalla «spesa low cost» recentemente evocata dal Ministro Zaia, al «carrello a chilometri zero» della Coldiretti, rappresenta un insieme di proposte che, viste nella loro complessità e globalità, possono sicuramente fornire un contributo notevole. Però intendiamo anche formulare una richiesta al presidente di questa Commissione: ormai è notorio che questo fenomeno (per cui, dal produttore al consumatore, tutti parlano di un aumento medio pari ad almeno il 200 per cento), certamente dovrebbe aver portato anche nelle casse dello Stato un gettito fiscale supplementare, dovuto a tutti questi passaggi.
Riteniamo che la politica si debba fare parte diligente nel controllare, monitorare questi fenomeni, per scoprire se, anche in questo settore, esistano i «fannulloni delle tasse».
Anche questo potrebbe essere un elemento importante per misurare i fenomeni e per cogliere dove sussista la necessità di una maggiore trasparenza. Questi sono, a nostro avviso, gli aspetti dove ci si può muovere in modo diretto e immediato.
ONOFRIO CAPORASO, Vicepresidente dell'Anpa. Non intervengo, poiché concordo pienamente con quanto detto dal presidente Vecchioni.
PRESIDENTE. Do adesso la parola agli onorevoli colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Ringrazio gli auditi per la possibilità che ci hanno offerto e per la presenza così autorevole, che ci costringe a un'attenzione diversa anche su questo settore.
Siamo partiti per verificare per quale motivo aumentavano i prezzi e per quale motivo il potere d'acquisto delle famiglie italiane diminuiva sempre di più.
Abbiamo ascoltato moltissimi studiosi e moltissime categorie su questo tema.
La cosa che ci viene ripetuta spesso è che i prezzi aumentano perché si è verificato l'aumento del greggio. Però i prezzi, aumentando, fanno crescere anche il tasso di inflazione.
Possiamo dire che giriamo sempre all'interno di uno stesso circolo vizioso.
Sappiamo anche che si rileva una nuova domanda da parte dei Paesi in via di sviluppo, che ci sono nuovi acquirenti per i Paesi esportatori di petrolio, si assiste alla riduzione degli stock, alla crescita del prezzo dei fertilizzanti e a tutto ciò si aggiungono gli eventi climatici.
Sappiamo che esistono tutti questi aspetti e tuttavia dobbiamo individuare come muoverci per ridurre i prezzi.
Sappiamo anche che la differenza tra il prezzo della produzione e il prezzo del consumo è particolarmente alto, sebbene la differenza tra il prezzo all'origine e il prezzo delle materie prime, come ricordava poco fa il presidente della Coldiretti, è molto basso.
C'è qualcosa che non va: la filiera crea problemi, ma anche il sistema italiano risulta un po' strano.
La mancanza delle infrastrutture - affermava il dottor Vecchioni - è un elemento importantissimo, ma poi ci siamo trovati, in questa Commissione, davanti al primo atto di questo Governo che ha annientato, ha cancellato tutte le infrastrutture che si dovevano creare in Sicilia e in Calabria, cioè nei territori dove, ovviamente, occorre investire di più.
Oggi ci proponete diverse soluzioni, la modifica del decreto legislativo n. 102 del 2005, il doppio prezzo (che, secondo me, è uno degli aspetti che dobbiamo maggiormente approfondire, perché possiamo capire bene dove si verifica la speculazione).
Quando potremo verificare il prezzo di acquisto e quello successivo di vendita (quindi il costo per le famiglie), qualche problema in più sulla trasparenza, sull'innovazione, sull'incidenza delle catene di distribuzione potremmo capirlo.
Vorrei tuttavia sottoporre all'attenzione degli auditi la possibilità di fornirci elementi anche per capire meglio come possiamo intervenire in materia, anche per creare più possibilità di assicurare un maggiore reddito alle famiglie agricole.
Dobbiamo favorire sicuramente - ed è questo l'obiettivo - la crescita di tutta l'Italia e quindi del potere d'acquisto della famiglia in generale; però, a noi risulta che il reddito della famiglia agricola italiana sia molto basso.
Dobbiamo pertanto capire come intervenire sull'uno e sull'altro aspetto, tenendo presente, però, che forse anche da parte vostra occorre una maggiore organizzazione.
Ci diceva il presidente Rava, qualche giorno fa, che esistono studi i quali sottolineano come in Basilicata, quando si dà ai produttori la possibilità di unirsi, praticamente il prezzo per le famiglie diminuisce e allo stesso tempo aumenta il reddito per gli agricoltori.
Forse, anche su questo punto dovrete aiutarci ad intervenire, in quanto si tratta di un problema relativo alla catena di distribuzione, nonché di organizzazione della produzione e dei produttori.
SEBASTIANO FOGLIATO. Grazie a tutti voi rappresentanti delle associazioni di categoria, che oggi siete in audizione in questa Commissione che ha dato vita a un'indagine sul monitoraggio dei prezzi del settore agroalimentare.
Mi sono fatto alcune idee: il Garante per la concorrenza sui prezzi, il famoso «Mister prezzi», è venuto qui in Commissione a dirci che l'aumento dei prezzi nel
nostro Paese non è così dissimile da quello negli altri Paesi dell'Unione europea. Siamo di fronte a una fase di inflazione.
Occorre dire che l'agricoltura non è soggetto che crea inflazione, bensì, caso mai, la subisce a causa dell'aumento del prezzo dei carburanti, dei concimi e quant'altro.
Il problema, secondo me, è dei media, dell'informazione.
Si sono create leggende intorno al prezzo del pane e del grano. Abbiamo scoperto che a Milano il pane costa cinque euro al chilo, ma il problema non deriva dal fatto che il grano è aumentato, bensì dal fatto che chi apre una panetteria nel centro di Milano magari paga 5 o 10 mila euro al mese di affitto del locale in cui vende il pane.
Il problema non è più il grano: esistono altre situazioni che incidono sul prezzo finale.
Siamo tutti d'accordo: la filiera va migliorata. L'azione svolta dal Garante per la sorveglianza dei prezzi ai fini del contenimento degli stessi, gli accordi con la grande distribuzione, fanno sì che alla fine venga schiacciato il produttore.
La grande distribuzione soffre anche i problemi di concorrenza interna al settore, scaricandoli su chi produce. Quindi l'agricoltore, di fronte a questa situazione sui prezzi, incassa ancora una volta di meno, nonostante i prezzi delle materie prime e dei carburanti, come dicevamo, siano tendenzialmente in aumento.
A mio parere, quindi, l'approccio va fatto soprattutto a livello informativo.
Circa 15 giorni fa è scoppiato uno scandalo perché il prezzo dei prodotti ortofrutticoli sarebbe aumentato del 200 per cento. Non è vero, non mi risulta. Eppure certi giornali riportavano queste notizie, creando allarmismi.
Tutto ciò mi dispiace, prima di tutto da agricoltore, anche perché sulle tariffe, sui prezzi dei telefonini, del gas e dell'energia non si è scatenato un cancan mediatico paragonabile a quello sollevato intorno ai prezzi dei prodotti agricoli.
Quindi, ribadisco che l'agricoltura non è responsabile di questa fase di inflazione e occorre individuare modi e linee, tutti assieme, per decidere su interventi destinati a migliorare la filiera.
Sono d'accordo anche sulla proposta dei «chilometri zero» che, però, favorisce gli agricoltori che operano a ridosso delle grandi città.
Chi abita in un paesino non può pensare di adottare il «chilometri zero»: nessuno si sposterà fin lì per comperare il prodotto. Ad ogni zona va data facoltà di agire liberamente. Il «chilometri zero» può anche favorire una stagionalità dei prodotti. Sappiamo benissimo che in Italia non riusciamo a garantire lo stesso prodotto, in un determinato territorio, per tutto l'anno. Quindi occorre tenere conto anche del discorso relativo alla stagionalità.
Penso alle arance, che personalmente mangio nei mesi invernali. Ebbene, vorrei continuare a mangiarle anche se, per me che abito in Piemonte, le arance non possono essere a chilometri zero.
Occorre creare situazioni che favoriscano la sensibilizzazione delle associazioni di consumatori, la formazione di gruppi di acquisto e quant'altro.
Le aziende che svolgono la loro attività nell'hinterland delle grandi città possono pensare a una consegna domiciliare diretta della spesa di prodotti freschi.
Si tratta di situazioni che vanno studiate e incentivate.
Quanto al discorso della filiera, sono d'accordo con il presidente Vecchioni: se esistono situazioni speculative, queste vanno monitorate e sanzionate. Sicuramente si può migliorare la filiera distributiva, ma questa infrazione appare effettivamente in atto.
Penso, tuttavia, che ci abbia procurato più danni l'informazione: ogni tanto esce fuori una notizia che genera confusione e allarmismo tra i consumatori.
Concludendo, non vorrei che fosse solo l'agricoltura il terminal di tutte le notizie negative sull'inflazione: dovrebbe concorrere a questa voce anche la spesa per la telefonia, per esempio, che incide sul bilancio delle famiglie e che solo in minima parte attira l'attenzione degli organi di
informazione. Viceversa, ogni lieve aumento del prezzo della pasta diventa un caso nazionale.
Sono d'accordo che la politica non possa fare molto sul discorso dei prezzi, perché il mercato da sempre ha le sue leggi. La politica, però, può fare molto nel creare nuovi sistemi di aggregazione e distribuzione dei prodotti.
VIVIANA BECCALOSSI. Signor presidente, come è già stato anticipato da chi mi ha preceduto, questa è una delle ultime iniziative di una lunga serie che la Commissione XIII si è data, non solo per ascoltare, ma anche per cercare di fornire risposte per quanto riguarda il carovita.
Abbiamo lavorato insieme ad una serie di audizioni, proprio al fine di cominciare a dare qualche risposta. Prima di questa si sono tenute le audizione del dottor Lirosi - chiamato ironicamente «Mister prezzi» - e del professor Catricalà. Entrambi ci hanno fornito alcune risposte in termini di soluzione, soprattutto facendo una fotografia dell'esistente che trovo sia stata estremamente interessante per la Commissione agricoltura e, più in generale, per l'agricoltura italiana.
Voglio riprendere alcuni degli spunti che ci sono stati offerti in queste come in altre audizioni alle quali hanno partecipato gli autorevoli esponenti qui oggi presenti, che ringrazio in quanto non sempre, a riferire in Commissione agricoltura, sono venuti i presidenti. Come ha detto bene il mio collega dell'opposizione, abbiamo per questo il dovere di prestare un po' di attenzione in più.
Credo che la prima risposta l'abbiate data date voi, infatti mi sembra di aver capito che il presidente Vecchioni abbia parlato a nome di undici sigle che fanno riferimento al mondo agricolo. Ritengo che ciò rappresenti comunque un evento significativo nell'attuale panorama del mondo sindacale (non limitandosi solo a quello agricolo: stiamo parlando di Alitalia, in questi ultimi giorni, ma molte altre sono le emergenze e i problemi che riguardano il nostro Paese).
Molto spesso - a mio avviso giustamente - la politica viene accusata di essere troppo concentrata a dividersi, piuttosto che ad unirsi per trovare soluzioni ai problemi concreti degli italiani.
Per quanto riguarda me e il mio gruppo, devo registrare che qualcosa è accaduto, rispetto all'inizio delle audizioni di questa legislatura, in Commissione agricoltura. Mi riferisco al fatto che molte sigle si sono messe insieme per cercare di fare una fotografia che rappresenti buona parte del mondo agricolo. Rivedremo questo aspetto anche trattando lo stato di salute della PAC, sulla quale sono relatrice, laddove, se ben ricordo, è già nata una esperienza di questo tipo. Immagino che, infatti, questo metodo di lavoro sia partito proprio da Firenze.
A mio avviso, innanzitutto, questa è una delle ragioni per le quali il presidente Marini della Coldiretti ha ammesso che, seppur esiste una crisi strutturale a livello mondiale, è anche vero che c'è una situazione peculiare italiana riguardante la crisi dei prezzi. Qui, forse, la politica ha le sue responsabilità.
Una maggiore unione, da un lato della politica, dall'altro del mondo sindacale, al fine di dare una risposta concreta ai cittadini italiani per quanto riguarda il carovita, credo rappresenti un fatto sorprendentemente positivo, che ci deve vedere lavorare insieme per fornire davvero delle risposte.
Non posso che condividere, quindi, alcune delle proposte avanzate dagli autorevoli esponenti qui oggi presenti: tra le altre vi era quella di esporre il doppio prezzo, quantomeno in via sperimentale, per capire se funziona; un'altra iniziativa era quella di costituire la cosiddetta «filiera corta» introdotta da alcune regioni nei propri piani di sviluppo rurale, proprio per incentivare quegli agricoltori che vogliono sperimentare la vendita diretta dei propri prodotti; altra soluzione assolutamente positiva, a mio avviso, è quella che vede facilitazioni nei piani di sviluppo rurale. Non dimentichiamo che l'agricoltura - spiace dirlo in una Commissione
permanente della Camera - è materia delegata per lo più a livello regionale.
Non dimentico la mia esperienza, per cui credo si debba cercare di lavorare in sintonia tra livello nazionale e livello regionale, cercando di fungere noi da trait d'union tra i due sistemi. Senz'altro, quelle regioni che hanno concesso agevolazioni agli agricoltori che si mettono insieme per fare impresa e per fare nuove esperienze, hanno agito in modo assolutamente positivo per cercare di abbattere i costi di produzione e spuntare qualcosa in più.
Condivido inoltre la considerazione che la questione del «caro-greggio» ha avuto sicuramente un'influenza sul carovita, ma non dimentichiamo che, a livello strutturale, molto pesa la questione della carenza di infrastrutture nel nostro Paese.
Oggi paghiamo i ritardi di una politica che, per troppi anni, è stata vittima e ostaggio di questo o quel comitato che ha impedito la nascita di queste o quelle infrastrutture. Ciò vale tanto al sud, quanto anche al nord. Anche al nord, ahimé, mancano tantissime infrastrutture, dalla Pedemontana alla quarta corsia della A4 (che è stata appena inaugurata, ma dopo tanti anni di difficoltà), alla BreBeMi. Paghiamo ancora lo scotto di tutti questi ritardi, poiché è chiaro che i costi di distribuzione aumentano.
Un ulteriore aspetto che dovremmo affrontare è la situazione degli ortomercati. Nel corso di questa estate abbiamo letto sui giornali che lo stato degli ortomercati, nel nostro Paese, è decisamente arretrato rispetto ad altri Paesi europei, ad esempio alla Francia. Qui abbiamo una rete vetusta, con tantissimi centri che ormai non rispondono più ai requisiti di una distribuzione moderna.
Da ultimo - l'audizione prevede che voi parliate e che noi ascoltiamo, ma mi piacerebbe scambiare qualche riflessione insieme a voi - vengo alla questione della poca trasparenza, dal momento in cui il prodotto agricolo viene venduto dall'azienda agricola a quando questo viene acquistato dal consumatore al supermercato.
Su questo tema è stata abbastanza esplicita l'Antitrust, quando dice che, di fatto, le centrali di acquisto hanno fallito. Non sbaglia neppure quando dice in sostanza che qualche gruppo di GDO (Grande distribuzione organizzata) ha fatto cartello e che il potere sanzionatorio dell'Antitrust è, ad oggi, ridicolo. Infatti, qualsiasi presidente o direttore di GDO non può che sorridere di fronte a multe di qualche centinaio di migliaia di euro (mi sembra che si tratti di 300 mila o 400 mila euro, a fronte di milioni e milioni di euro che le GDO fanno girare nei propri supermercati).
A mio avviso, questa e molte altre sono le iniziative e le tematiche che dobbiamo affrontare insieme. Penso che, a conclusione di questa audizione, nonché nella prossima riguardante lo stato di salute della PAC, esiste qualche azione da mettere in campo, qualche osservazione, qualche iniziativa: non a caso, conclusa questa audizione, cominceremo subito la prossima.
Ringrazio ancora tutti coloro che sono venuti qui specificamente per aiutare la Commissione agricoltura.
ANGELO ZUCCHI. Signor presidente, intanto vorrei ringraziare gli auditi per il contributo che hanno voluto portare alla nostra audizione, quindi al nostro lavoro. Ci siamo impegnati per cercare di capire (poiché alcuni aumenti di prezzi, in questo Paese, non si comprendono) perché l'andamento dei prezzi - al di là dell'approccio emotivo che il presidente Vecchioni ha richiamato, e sul quale tutti siamo d'accordo - stia intaccando così fortemente il potere d'acquisto delle famiglie, e soprattutto di quelle composte da lavoratori a reddito fisso.
Abbiamo promosso una serie di audizioni per cercare di capire quali possano essere le dinamiche, considerando che lo scenario internazionale è quello che è, che l'Italia sta vivendo un momento di crescita zero e che nel nostro Paese il processo di inflazione è ripartito con una certa velocità.
Indubbiamente, però, pensiamo che la politica, attraverso iniziative e provvedimenti possa intervenire anche in una fase in cui parrebbe tutto affidato al libero mercato e alla soluzione dei problemi da parte di quest'ultimo soltanto. Crediamo che non sia così e che, anche dalle proposte che sono uscite in audizione quest'oggi, ci siano arrivate indicazioni importanti, su cui dobbiamo lavorare.
La prima, che mi pare di poter raccogliere come un'indicazione preziosa su cui la politica può intervenire, è quella per cui quando parliamo genericamente di filiera troppo lunga, o di filiera che nei suoi passaggi non è trasparente, scopriamo di avere un settore produttivo, quello agricolo, eccessivamente fragile e frammentato, che non riesce, all'interno di questa filiera, a esercitare un ruolo negoziale che gli consenta anche di intervenire sulla dinamica di crescita dei prezzi.
Allora, quando ci si richiama alla modifica del decreto legislativo n. 102 del 2005, per dare più corpo, più sostanza e più ruolo all'organizzazione dei produttori, probabilmente si intende dire che, almeno dal punto di vista strategico, uscendo dalla fase emergenziale, bisogna porsi il tema di come rendiamo più forte il sistema agricolo produttivo in questo Paese. Credo che questo debba essere il nostro compito essenziale.
Poi, naturalmente, siccome le dinamiche dei prezzi sono complicate e complesse, possono ipotizzarsi interventi diversi e, come in tutte le questioni, si può pensare di mettere in campo anche altre iniziative: la vendita diretta può avere un senso perché costituisce un elemento di respiro che i piccoli produttori possono avere in una situazione di particolare difficoltà. L'esposizione del doppio prezzo, quindi del prezzo all'origine e del prezzo al consumo, può essere un elemento di dissuasione.
Non è poi così vero, cioè, che la politica debba stare a guardare e limitarsi a constatare questo aumento dei prezzi, senza possibilità di governo. Io credo che dall'audizione di oggi siano uscite indicazioni molto importanti. Molte sono di respiro strategico e non possono che essere tali; altre però ci consentono delle iniziative più veloci e più immediate, che possono garantire almeno una boccata di ossigeno.
Ricordo soprattutto, visto che stiamo parlando dei prezzi e che ci rivolgiamo, almeno come Commissione agricoltura, ai produttori - ma non possiamo non rivolgerci con particolare attenzione anche ai consumatori - che una delle iniziative che dovremmo mettere in campo (lo chiediamo da tempo e ci auguriamo che nella prossima finanziaria qualcosa ci sia) è un sostegno vero ai consumi, ai salari e alle famiglie, a partire da una defiscalizzazione e da un incremento del potere d'acquisto di queste ultime. Anche da ciò, infatti, passa la possibilità di intervenire sulla dinamica dei prezzi, rilanciando in qualche modo i consumi.
Ringrazio ancora una volta gli auditi, perché ci hanno fornito indicazioni davvero molto importanti e precise.
FABIO RAINIERI. Signor presidente, vorrei rivolgere un ringraziamento ai rappresentanti delle sigle sindacali che oggi sono intervenuti in questo nostro dibattito.
Volevo, però, rivolgere loro anche una preghiera. Mi sembra che, oggi e le altre volte in cui abbiamo avuto modo di ascoltarli, si stiano comportando esattamente come il mondo che rappresentano. Da agricoltore che produce latte per parmigiano reggiano, quando vado in piazza mi lamento sempre di quello che succede. Non riesco, tuttavia, a darmi la soluzione. Voi siete la rappresentanza del mondo agricolo (e quindi anche la mia, in quanto mi rappresentate come produttore), ma credo che ciò non sia sufficiente per noi politici che, secondo quanto ha affermato il presidente di Coldiretti, Marini, possiamo contribuire solo per il 20 per cento alla risoluzione dei problemi. Se poi neppure per questo 20 per cento ci date la possibilità di farlo, noi non faremo neppure quello. L'invito che vi rivolgo, pertanto, è di smetterla di venire qui uniti e di litigare invece, tra di voi e tra le sigle sindacali più rappresentative, sul territorio per il
posticino nella bonifica, in questo o
in quell'altro ente. Visto che le strutture le avete, poiché siete all'interno dei consorzi, degli enti di bonifica e all'interno delle associazioni di produttori, quindi avete in mano buona parte del prodotto che esiste sul mercato, credo sia ora di smetterla di venirci a raccontare che è tutto brutto, che non va bene nulla e che ci sia bisogno di un inizio di proposta. Finché venite qui a chiedere a noi e a informarci su ciò che succede (penso che tutti i colleghi sappiano ciò che sta succedendo nel mondo agricolo), quello che continuerà a mancarci, e che invece vorremmo da voi, è qualche proposta di soluzione. Diversamente, continuiamo a raccontarcela e non ne verremo mai a capo.
Io non credo che non si tratti né di una questione di strutture, né di sistema, bensì di persone. Probabilmente, bisogna cercare qualcosa all'interno del nostro mondo che cambi la mentalità. Questo potete farlo solo voi, magari cambiando all'interno di qualche ente che voi amministrate qualche personaggio che da qualche tempo, direi fin da appena dopo la guerra, continua a trovarsi in questi enti, senza che abbia portato avanti nulla di «moderno».
MASSIMO FIORIO. Credo che l'interesse della Commissione agricoltura rispetto al tema di oggi sia duplice, come è stato evidenziato. Si tratta, da un lato, del problema del «caro prezzi», dall'altro, come avete sottolineato tutti, della questione della redditività delle aziende in qualche modo compresse, a monte, da un aumento dei costi di produzione e a valle dalla capacità, soprattutto della grande distribuzione, di imporre i prezzi senza creare le condizioni di un reddito adeguato per l'agricoltura. Da ultimo - è stato sottolineato - abbiamo anche una campagna mediatica che rischia di presentare l'azienda agricola e l'agricoltura come una delle tre principali cause dell'aumento dei costi.
Sollecitato da un intervento del presidente della Coldiretti, credo che effettivamente emerga anche un problema culturale. Quando si parla di prodotti dell'agricoltura, forse bisognerebbe cominciare a impegnarsi a caratterizzare, con una migliore distinzione, i tipi di prodotti esistenti. Si parla di aumento del prezzo dei pomodori, senza distinguere fra i vari tipi di pomodoro che abbiamo.
Forse occorre allestire, compito che anche la politica può in qualche modo accollarsi, una corretta campagna di consumo, a partire dalle scuole, che valorizzi la ricchezza dell'agricoltura. Invece di considerarlo un comparto tout court, si vada a saggiarne le differenze, anche dal punto di vista delle questioni produttive.
Prima si accennava alla questione del latte. Non mi interessano le situazioni pregresse, ma vorrei sentire cosa pensano le organizzazioni delle richieste di aumento delle quote latte sottoposte alla Comunità europea e se, rispetto all'aumento dei prezzi del prodotto e dei derivati, non sia il caso, in modo più forte, di incidere in quella direzione.
Relativamente al tema della «filiera corta», mi pare che si possa individuare una serie di modelli che crescono sul territorio, tutti legittimi. Penso che la politica possa fare qualcosa in quella direzione, andando incontro a certe categorie di quelli che io definisco «consumatori sensibili». Penso, per esempio, al lavoro che su può fare nelle mense, o negli ospedali, non allargando, bensì individuando meccanismi di flessibilità rispetto ai regolamenti e agli appalti che questi enti devono svolgere per l'approvvigionamento dei prodotti.
L'opera di sensibilizzazione che si può fare nelle scuole, riguardo al consumo e alla salubrità dei prodotti locali, può essere utile, così come quella che si può svolgere negli ospedali e negli enti pubblici.
La politica potrebbe intervenire non dico modificando, ma accompagnando quei tipi di consumo differenti e più sensibili. Non sono convinto che non arrivino proposte da parte delle associazioni. Ne ho ascoltate alcune, come quella dell'imposizione del doppio prezzo; perseguiamole insieme. Si tratta di percorsi e non credo che rappresentino la soluzione
dei problemi. Tuttavia, abbiamo un insieme di strumenti che possono incentivare le «filiere corte» e aumentare la consapevolezza del consumatore rispetto alla situazione generale e anche rispetto a quella delle aziende che producono. Ricordo che la scorsa finanziaria aveva messo a disposizione una serie di risorse per l'incentivazione di tale strumento. Mancano ancora i decreti attuativi, quindi il Governo può impegnarsi a realizzare quello che era stato messo in campo a partire dalla scorsa legislatura.
GIOVANNI DIMA. Signor presidente, a questo punto ho la necessità di approfondire il nostro ragionamento, cercando di favorire quello che a mio parere è assolutamente necessario, ovvero, sgombrare il campo da alcune ipocrisie e arrivare, con molta determinazione, al fulcro del problema.
Possiamo anche immaginare che gran parte delle difficoltà di questo nostro Paese derivino da scelte del passato non sufficientemente oculate. Si è spesso ripreso con determinazione l'argomento infrastrutture e, se per un solo istante, dovessimo immaginare di non essere nella Commissione agricoltura, ma di parlare di altri settori produttivi di questo Paese, il problema delle infrastrutture diventerebbe, anche in quella occasione, elemento centrale della discussione.
In altri termini, il sistema Paese, rispetto ad alcune questioni di fondo, soffre nella sua complessità, a prescindere da fattori settoriali.
Sull'agricoltura, in passato, è stata portata avanti una politica di natura culturale, secondo la quale l'agricoltura stessa non era un elemento fondamentale per l'economia di questo Paese e per il suo territorio. Da un po' di anni a questa parte stiamo riprendendo, prima che sul piano politico, su quello culturale, il valore dell'agricoltura quale elemento di socialità e quale elemento forte per il governo del territorio, così da aggiungere all'economia di questo Paese anche l'economia e la ricchezza provenienti dall'agricoltura.
Capite bene che si tratta di processi lenti e lunghi, che non possono risolversi in poco tempo, non foss'altro perché, nel frattempo, il mondo è cambiato.
Quando parliamo di alcune produzioni agricole tipiche del nostro Paese, fino a vent'anni fa pensavamo che si trattasse di settori esclusivi della nostra realtà nazionale. Oggi, invece, dobbiamo imbatterci quotidianamente con le politiche che hanno favorito nei Paesi del nord Africa produzioni simili a quelle italiane, soprattutto a quelle del Mezzogiorno.
Possiamo facilmente immaginare che, nel prossimo futuro, dovremo combattere con la Cina e l'India rispetto ad alcune produzioni del nostro Paese e che, fra breve, l'Italia e l'Europa dovranno fare i conti, anche in termini di capacità di confronto agricolo, con i Paesi emergenti.
Allora, la mia riflessione procede in direzione dell'esigenza di fare chiarezza, in particolare, su una questione: la funzione delle organizzazioni, sul tema appena enunciato, è fondamentale. Tale funzione non solo è di responsabilità e di scelta, ma anche di lavoro culturale sui territori circa le questioni da affrontare.
Una delle tante - lo affermo senza alcun spirito polemico - è l'organizzazione, in questi mesi, dei piani agricoli da parte delle regioni. Vi porto l'esempio della mia regione, di cui sono stato anche assessore all'agricoltura. Nella precedente legislatura abbiamo favorito la logica delle filiere, stabilendo che le risorse comunitarie, in gran parte, dovevano servire per incentivare, favorire e stimolare il momento associativo, lo stare insieme, il fare massa critica in termini di capacità produttive. Diversamente, non avremmo retto sul mercato.
Se questo principio è ancora valido, non riesco a capire perché oggi il PSR della mia regione viene organizzato con una impostazione politico-culturale inversa a quello che era stato salutato come un momento essenziale relativamente alle prospettive di quell'agricoltura - diciamo con molta franchezza che si tratta di un limite tutto italiano - frammentata nella proprietà.
Pensate solo che in Calabria, su 25 mila ettari di agrumeti, ci sono 18 mila proprietari. Provate a calcolare il rapporto, in termini di estensione media della proprietà.
Se tutto questo ha un senso, oggi dobbiamo avere il coraggio di affermare che esiste una debolezza autorizzativa da parte dei produttori, e che questa sfida non può vincerla la politica da sola.
Tutti dobbiamo convenire che, o si sta insieme, oppure si soccombe. Su ciò bisogna parlare un linguaggio schietto e diretto, che deve appartenere ai livelli più alti della responsabilità politica, nostra e vostra.
Per tradizione e per cultura, ritengo che soprattutto voi dovete darci una mano. Confido sulla vostra presenza sul territorio, al di là - mi rivolgo, a mo' di battuta, al collega della Lega - degli assetti di un consorzio di bonifica, piuttosto che di un altro ente.
Esiste poi un problema di dettaglio, di consumo, che richiede schiettezza nei comportamenti.
Sappiamo benissimo che la «zona grigia» si colloca tra il momento della produzione e il momento della vendita al dettaglio. Quando mi parlate di «filiera corta», piuttosto che di «filiera lunga», secondo me il concetto va meglio chiarito.
Occorre avere padronanza del linguaggio appropriato, rispetto a questo tema, dovendo dire con chiarezza che fra il momento produttivo e il momento della vendita avviene una speculazione enorme, chiara ed evidente.
Non faccio esempi che conosciamo tutti: momenti produttivi di eccellenza di questo Paese segnavano territori come la Sicilia, la Campania o la Calabria. Ogni nostra regione aveva una sua specificità produttiva. Oggi, quelle grandi potenzialità e specificità produttive sono tutte trasformate in una serie di debolezze, perché manca l'elemento fondamentale legato alla capacità organizzativa.
Questa Commissione, grazie anche al presidente Russo, si muove nel solco della sua tradizione di non favorire uno scontro politico tra maggioranza e opposizione. Inaugurare una stagione in questi termini significherebbe consumare il nostro tempo, qui dentro, senza favorire la soluzione dei problemi veri dell'agricoltura.
Considerato che oggi ci si offre questa opportunità, credo che il mondo agricolo, insieme alla politica, deve ancorare a un progetto di agricoltura italiana una sorta di patto sul piano della condivisione delle idee. Dopodiché, dobbiamo fare in modo di tradurre questa nostra iniziativa in senso di responsabilità nei confronti del ruolo e della funzione politico-amministrativa che ciascuno esercita.
Dunque, ad ognuno il proprio compito, ad ognuno la propria responsabilità.
GIAN PIETRO DAL MORO. Signor presidente, ringrazio anch'io le organizzazioni per la loro presenza e per la qualità degli interventi.
Devo dire di essere rimasto un po' frastornato nell'ascoltare nei vari interventi un variopinto posizionamento della politica da parte di chi ne reclama una presenza forte (come nell'ultimo intervento, che condivido e al quale mi associo) e di chi vorrebbe ridurla nell'area di confine, per cui la politica non avrebbe ruolo, ma sostanzialmente si affiderebbe al libero mercato.
Penso che, invece, dovremmo recuperare lo spirito della concertazione, per fare in modo che la politica, le organizzazioni territoriali e il mondo della produzione in generale possano insieme trovare le linee guida della nuova politica agricola italiana.
Dico questo perché, come Partito Democratico, rivendichiamo il ruolo della politica, che non è gestione, bensì indirizzo; che non è il fare, ma il viaggiare insieme; che non è mettere le mani nelle tasche degli italiani (come avviene nell'attuale fase), bensì creare condizioni di sviluppo.
Cerchiamo di entrare nella specificità e dire quali potrebbero essere alcune azioni concrete. Ci sono temi nei quali la politica può, in maniera diretta, giocare un proprio ruolo. Voglio elencarveli in maniera sintetica, ma molto chiara.
In primo luogo, in questi anni si è investito molto, a livello di imprese agricole, sul tema della qualità dei prodotti. Le nostre imprese agricole si sono sobbarcate investimenti, oneri e impegni per aumentare la qualità dei propri prodotti. Se oggi andiamo in un qualsiasi supermercato ad acquistare un prodotto, alla base dell'etichetta si trova una serie di sigle, incomprensibili per il consumatore, che si annullano tra di loro e che hanno creato ai nostri produttori e alle imprese agricole più centri di costo che reali benefici per la vendita dei prodotti.
Se vogliamo superare questo stato di cose, dobbiamo dire che per gli anni futuri bisognerebbe passare da una politica della qualità del prodotto, assolutamente necessaria per restare nella competizione, a una politica per la promozione del prodotto.
La qualità, oggi, è la condizione per la quale si scende in campo; è la precondizione per aprire una trattativa con i buyer, ma non è l'elemento essenziale per il successo nella vendita di un prodotto.
La vendita di un prodotto può passare attraverso politiche di promozione.
Quindi, in questo caso, la politica può elaborare politiche fiscali e le finanziarie possono concretizzare politiche di aiuto, laddove invece il territorio e le aggregazioni fanno politiche di identità, legando, come diceva qualcuno, il prodotto al territorio.
Oggi fare una politica di aiuto ai prodotti vuol dire fare una politica di marketing territoriale.
Faccio un esempio concreto, credo esemplificativo. Al check-in degli aeroporti italiani, fino a qualche anno fa, aprendo le valigie degli stranieri si trovavano le miniature della torre di Pisa, del Colosseo, dell'arena di Verona e quant'altro. Oggi, se si aprono le valigie di giapponesi e americani, troviamo il salame, la bottiglia d'olio, la bottiglia di vino, il formaggio.
Fare oggi sostegno alla promozione di prodotti agroalimentari vuol dire, quindi, fare una politica di marketing del territorio, di sviluppo delle nostre risorse. In questo senso, la politica può compiere forti azioni di indirizzo sulle politiche della vendita e sul sostegno alla produzione.
Il secondo tema è quello della logistica, oggi centrale. Viviamo in una contraddizione, per cui non siamo ancora riusciti a legare il sud al nord della nostra Italia.
I centri intermodali, posizionati al sud e al nord dell'Italia, non sono tra loro collegati. Le politiche di interscambio, che oggi viaggia sulle diverse piattaforme logistiche, non sono ancora funzionali.
I nostri camion - lo sa bene chi viaggia nella grande distribuzione agroalimentare - partono vuoti e rientrano pieni, o viceversa. Facciamo poco combinato.
Quando dobbiamo affrontare le scelte sul piano strategico internazionale, pensando che i nostri prodotti non possono soddisfare solo una politica interna, ma anche internazionale, i nostri porti del sud Italia soccombono rispetto ai porti del nord Europa. Se dobbiamo fare tutto questo, dobbiamo costruire una politica del trasporto intelligente, che possa vedere viaggiare sul doppio binario del cittadino e del consumatore, promuovendo politiche strategiche per mettere in connessione l'intermodalità sul nostro territorio. Questo è il secondo caso in cui la politica può fare molto.
Un terzo tema è quello della dimensione, al quale qualcuno ha già accennato. La dimensione delle aziende agricole italiane è di gran lunga inferiore, ad esempio, a quella francese e a quella spagnola. Domando se, su questo tema, la politica voglia fare qualcosa o se invece si rassegni all'estinzione. Penso che una legge finanziaria potrebbe promuovere la defiscalizzazione per incentivare le aggregazioni, soprattutto tra i giovani, per fare modo che essi possano prendere in mano le aziende dei padri e mettersi insieme.
Il problema della grande distribuzione è molto serio e sentito, ma è un problema che passa anche attraverso la capacità delle aziende produttive di rispondere alle domande. Oggi i buyer della grande distribuzione non sono in Italia, bensì in Germania e in Francia e ci chiedono sostanzialmente
una cosa sola: di fornire loro un prodotto standardizzato, in grande quantità.
Per far ciò, c'è un'unica alternativa: occorrono le dimensioni delle aziende. Anche nel caso della dimensione, dunque, la politica può svolgere un proprio ruolo.
Cito un ultimo esempio - a fronte dei numerosi che potrei fare - che attiene ad un altro tema riguardante il futuro delle nostre famiglie e dei nostri agricoltori. Mi riferisco all'educazione. Penso che nel dibattito sulla riforma della scuola dovremmo inserire, oltre al tema dell'educazione civica, anche quello dell'educazione alimentare. Oggi la dimensione alimentare non è solo propaganda elettorale, ma è anche un meccanismo di salvaguardia della salute dei nostri cittadini, laddove la spesa sanitaria rappresenta, soprattutto per le regioni, uno dei grandi costi della spesa pubblica.
Ho citato solo quattro esempi concreti nel quale la politica può svolgere il proprio ruolo.
Come Partito Democratico, rivendichiamo questo posizionamento.
LUCA BELLOTTI. Signor presidente, pensavo che fossimo di fronte ad un'audizione, ma noto che quelli che stiamo facendo sono dei veri e propri interventi, alcuni dei quali onestamente incomprensibili. Da essi non si capisce bene, in effetti, che siamo stati noi a chiamare le associazioni di categoria, per presentarci le loro proposte e le loro visioni.
Mi dispiace di essere arrivato in ritardo e di non essere riuscito a cogliere appieno le loro proposte, però dagli interventi successivi ho capito che, almeno da parte di qualcuno, c'è una distonia tra il rapporto con le associazioni di categoria e quello che noi pensiamo di ottenere da esse. Mi domando a chi le associazioni di categoria dovrebbero rivolgersi, se non alla politica.
Capisco che, in questo avvio di legislatura, tutte le questioni agricole sono assolutamente importanti e quello che sta facendo il Ministro Zaia è assolutamente da applaudire.
Del resto, quello che il ministro sta facendo in direzione della qualità è auspicabile e si riallaccia a quanto realizzato dai precedenti ministeri. Però, credo che sia importante pensare che nel nostro Paese abbiamo bisogno di una politica agricola economica nazionale, diversamente corriamo il rischio di non sapere dove andare. Credo che sia responsabilità del ministro il tracciare questo importante quadro.
Per ritornare al problema dei prezzi, ricordo che in Unione Sovietica i prezzi erano bassi, ma nei magazzini Gum gli scaffali erano vuoti e quando hanno cercato di contenere il prezzo della vodka è scoppiata la rivoluzione sovietica. Quando parliamo di prezzi, la situazione è sempre estremamente complicata e difficile.
Secondo me potremmo pensare, in Commissione agricoltura, di tracciare un percorso legislativo, giacché da troppo tempo non mettiamo le mani sulla logistica in agricoltura.
Il sistema dei consorzi agrari può essere un buon sistema che, comunque, consente di fare gestione di magazzino, di essere un'alternativa competitiva alla grande distribuzione che, in un contesto italiano fortemente frazionato, la fa assolutamente da padrona. Queste sono questioni che la Commissione deve affrontare.
Dopodiché, dovremmo iniziare a far qualcosa anche in termini di comunicazione. Nel mentre l'agricoltura viene costantemente tirata in ballo per quanto riguarda gli aumenti dei prezzi delle produzioni agricole, nessuno dice che, rispetto all'anno scorso, ci troviamo di fronte ad un ribasso dei prezzi con un aumento eccessivo dei mezzi tecnici (penso solo ai fitofarmaci e ai concimi). La classe politica dovrebbe essere la prima a dirlo, magari anche con un ordine del giorno presentato alla Camera dei deputati, grazie al quale il Parlamento, per un giorno, si interroga sulle questioni derivanti dal mondo agricolo e dell'innalzamento dei prezzi. Non dimentichiamo che per vent'anni il prezzo delle merci agricole non sono mai stati toccati, per cui l'agricoltura rasentava la povertà. Solamente nell'ultimo periodo la
classe politica sembra accorgersi che è avvenuto un aumento dei prezzi al consumo, in moltissimi casi non legato all'agricoltura.
Credo che questa sia soltanto l'occasione per ascoltare le associazioni di categoria, le loro sensibilità e le loro proposte, ragion per cui accetto e riconosco la grande importanza di quanto ci è stato riportato. Spero comunque di avere qui in Commissione il Ministro, perché per tracciare una strategia Paese in questa direzione abbiamo bisogno della sua presenza. Diversamente, tutte le parole rimangono vuote, o meglio, piene di demagogia.
GIUSEPPINA SERVODIO. Signor presidente, mi richiamo all'ultimo intervento del collega Bellotti per riportare la nostra riflessione a un profilo di responsabilità. Ci troviamo non in una sede culturale, bensì politica, istituzionale e quindi legislativa. Laddove il presidente Vecchioni parlava di una modifica del decreto legislativo n. 102 del 2005, vorrei capire in quale direzione apportare le modifiche a questo provvedimento.
La questione dei prezzi è molto complessa. Ciò che più interessa, in questa Commissione, è capire come il nostro sistema agricolo vada cambiato, con una visione non demoniaca di quello attuale. Ritengo che il sistema Italia abbia tante eccellenze, che devono essere messe nelle condizioni di produrre di più.
Il dato culturale e politico che emerge da questa audizione è quello di accompagnare il processo di innovazione già iniziato e di cui voi siete coprotagonisti. Ci chiediamo cosa possiamo fare noi, sul piano legislativo, consapevoli che la politica può arrivare fino a certo punto, sebbene le ultime crisi che stanno avvenendo sul piano finanziario - non voglio riferirmi a ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti - stanno facendo comprendere l'avvenuta mitizzazione dell'autonomia del mercato e della capacità che la politica deve avere di non intromettersi nel libero scambio e nel libero articolarsi delle forze economiche e sociali nella comunità internazionale.
Sono convinta che siamo ormai arrivati a un punto tale per cui la politica e le sedi in cui essa si esprime debbono farsi carico anche di certi indirizzi che, se lasciati al libero mercato, possono condurre ad una grande conflittualità nel mondo.
Il presidente Sergio Marini faceva riferimento a questa realtà. L'Europa, del resto, già si sta adoperando in questa direzione. Forse non è vero che esiste una separazione tra l'economia e la politica, perché la politica tornerà ad avere un ruolo, pur nel rispetto dell'autonomia delle forze economiche e di ciò che avviene nel libero mercato.
Sono d'accordo su alcune proposte che sono emerse nel corso di questa audizione, ma dobbiamo scendere nel particolare. Dobbiamo chiarire se crediamo davvero nella filiera corta e soprattutto in quale filiera corta crediamo: quella che, in maniera spontaneistica, è stata portata avanti anche nella mia realtà pugliese, oppure quella che non è lasciata alla spontaneità e all'inventiva localistica, grazie a un intervento sul piano legislativo con misure fiscali e di accompagnamento.
Dobbiamo decidere se vogliamo che essa sia una nuova modalità, accanto ad altre, per essere un elemento di redditività per l'impresa e un elemento positivo per i consumatori.
Si apre qui, allora, una discussione.
Giustamente il collega Fiorio ricordava che qualcosa si è tentato (e voi eravate d'accordo anche nelle altre leggi finanziarie). L'opposizione in questa Commissione, di cui facevo parte anche nella scorsa legislatura, aveva tentato nelle ultime finanziarie di dare accento alla filiera corta ma c'è da svolgere tutto un lavoro legislativo sul fronte fiscale, della promozione, della logistica, su tanti fronti.
La filiera corta deve diventare una modalità nuova, non solo per incidere su quella che è la struttura delle nostre imprese agricole, sul modo di stare insieme e sul mercato, così da diventare un elemento forte di sistema, anche per dare una mano a voi e per avviare - come diceva prima Zucchi - un potere di contrattazione con la grande distribuzione.
Non sono un'esperta di questo settore, però ho molti contatti.
Quando in questo Paese, qualche anno fa (vi porto l'esempio della Puglia), sono nati ipermercati e supermercati dappertutto, abbiamo trovato un mondo agricolo frastornato, che è stato caratterizzato da fughe in avanti e dal tentativo di posizionamento di questo o di quell'altro.
A me fa piacere - lo dico insieme agli altri colleghi - l'attuale capacità di mettersi assieme. Purtroppo, dobbiamo recuperare il tempo perduto con la grande distribuzione.
Ieri sera sentivo il presidente Berlusconi, a Porta a Porta, fare proprio riferimento a questo punto: dobbiamo, nella grande distribuzione, adoperarci perché si individuino nicchie di vendita diretta (se ho compreso bene).
Siccome su queste cose io credo che non sussista alcuna differenza ideologica tra maggioranza e opposizione, sono preoccupata che questa nuova filosofia sia lasciata alla spontaneità e all'idea localistica.
Io sono convinta invece che la filiera corta può diventare un nuovo modo, anche per costringere noi legislatori a capire come, su una serie di piani, possiamo intervenire e fare una scelta, come diceva il collega Lima, di patto.
Non esiste solo il problema dell'approvazione dei decreti attuativi. Prendo spunto per dire, presidente, che dovremmo con il Ministro capire non tanto perché non sono stati emanati questi decreti attuativi (non è questo il caso di polemizzare: non è nostra intenzione e non è nel nostro spirito), bensì se possiamo andare al di là di quello che abbiamo fatto nella legge finanziaria e se possiamo, nei prossimi provvedimenti che avremo prima di Natale, immaginare insieme alle organizzazioni di dare un assetto organico, scientifico, organizzativo a questa idea della filiera corta.
Questi sono alcuni esempi che mi servono per dirvi che colgo con grande favore questa audizione, anche per l'autorevolezza dei presidenti delle massime organizzazioni agricole. Ritengo che la loro presenza ci assegni una grande responsabilità e ci inviti a far sì che sul settore dell'agricoltura non ci siano divisioni e ci siano anche chiarezze. Nella confusione non si va da nessuna parte.
Al presidente Marini dico che vorrei capire di più.
D'accordo sulla trasparenza, lui aggiungeva che un motivo per cui non c'è efficienza sta nel fatto che abbiamo scelto il meccanismo dell'accoppiamento.
È noto che esiste un dibattito al nostro interno, non nascondiamocelo. Personalmente vorrei capire di più, vorrei sapere se un motivo dell'inefficienza è anche motivo di speculazione e di mancato aiuto, capire se, nelle intenzioni, l'Unione europea ha voluto aiutare, ma di fatto è accaduto il contrario, o che altro. Capire di più, perché questo è uno dei modi attraverso cui possiamo dare una mano a superare le difficoltà che viviamo in questo Paese.
Ciò non deve rappresentare un motivo di divisione ideologica tra le associazioni (e anche tra di noi, giacché non tutte le forze politiche sono d'accordo sull'accoppiamento o il disaccoppiamento).
Su questo tema, che credo sia anche di rilevanza comunitaria, senza preconcetti e senza sbandierare i propri «l'avevo detto», è necessario capire per quale motivo, con i dati alla mano, tutto ciò è avvenuto nonché quali siano i diversi punti di vista.
PRESIDENTE. Grazie. Do la parola agli auditi, se lo ritengono, per qualche breve risposta.
FEDERICO VECCHIONI, Presidente di Confagricoltura. Debbo dire che la sintesi degli auditi ha giovato agli auditori, in virtù degli interventi che abbiamo sentito. Dico all'amico Sergio Marini che evidentemente, nel prossimo capitolo di discussione, rimarremo per un paio di ore a intervenire sulle politiche agricole comunitarie. Lo dico per fare una battuta, la quale risiede nel fatto che personalmente sono dell'avviso che sia assolutamente auspicabile, dal nostro punto di vista, l'attenzione della politica al nostro settore.
Molte delle sollecitazioni che sono state proposte hanno assolutamente centrato l'obiettivo che noi abbiamo evidenziato in apertura.
Quando all'inizio del mio intervento ho parlato della politica economica di questo Paese e della necessità di inserirvi a pieno titolo l'agricoltura, si trattava di un'accezione che poteva apparire generalista, mentre io credo sia assolutamente esaustiva della mole di interventi che il nostro settore attende da diversi anni.
Questa, giustamente, è un'audizione che non si può certamente soffermare, anche per dovere di sintesi, sul singolo provvedimento. Ma, ritengo sia necessario far comprendere che questo Paese ha bisogno (e deve costruirla congiuntamente, perché l'agricoltura, in questo, veramente non ha colore) di una strategia di lungo periodo. La strategia di lungo periodo è quella che tiene conto di molte delle considerazioni che voi avete enunciato parlando di politica fiscale e di stabilizzazione del lavoro.
Quando noi diciamo che vogliamo mantenere il reddito delle famiglie agricole, esiste solo un modo per farlo, che io ritengo assolutamente auspicabile, cioè quello di un contenimento significativo dei costi a cui le famiglie devono sottostare nel momento in cui decidono di andare ad esercitare l'attività.
Occorre anche essere consapevoli che, accanto a «Mister prezzi», appunto dovrebbe esserci anche «Mister costi» e, contestualmente, che quando un imprenditore agricolo in questo Paese intraprende un'attività agricola (sia esso grande o piccolo, nel momento in cui questa distinzione è antistorica, viste le dimensioni che qualcuno ricordava nel nostro Paese), si trova di fronte una complessa e articolata macchina burocratica amministrativa, che nulla ha a che vedere con le logiche del mercato.
Quando venivamo sollecitati, molte sono state le proposte che le organizzazioni hanno fatto, in questi anni e stasera. Evidentemente risiede nella sensibilità degli ascoltatori di individuarne le portate più significative, tenuto conto dei tempi che abbiamo deciso di rispettare.
Vi faccio solo un esempio: l'altro giorno in una trasmissione radiofonica un'ascoltatrice del sud chiedeva quale era il motivo per cui in una sua recente gita a Berlino ha trovato l'ortofrutta italiana a un prezzo notevolmente più competitivo di quanto non l'abbia trovato nel mercato rionale della sua città. Il motivo risiede in tutte le considerazioni che voi avete esposto.
Queste considerazioni sono tutte italiane, tutte di politica economica italiana. Condivido, quando sento dire che le dinamiche internazionali hanno un peso, ma tengo presente che queste condizioni sono figlie di «non scelte» che il nostro Paese ha compiuto negli ultimi quindici anni.
E prescindono dalla capacità imprenditoriale dell'interlocutore.
Concludo col dire che questo riguarda anche l'imprenditore agricolo più avveduto, che ha deciso di sfidare il mercato, il quale, giustamente, segnala innanzitutto che le regole sui trasporti in Italia non sono quelle tedesche. Neanche le regole della legge n. 626 del 1994 sono quelle tedesche.
Quando posso trasportare da 150 a 230 quintali, è chiaro che il trasporto costa meno. Quando posso arrivare in un mercato generale con pallet che hanno una portata di 700 chilogrammi, invece di 500 (ovviamente utilizzando esclusivamente mezzi meccanici e non, evidentemente, le braccia), i costi si dimezzano. Questo avviene in Germania, non nel Burkina Faso.
Quando una cassetta può avere quindici, sedici o diciotto limoni per essere maneggiata, invece che quattordici, moltiplicando per le entità delle nostre produzioni, ciò evidentemente ha un'incidenza. A tutto ciò si aggiunge anche quel carico burocratico che, ogni tanto, viene dimenticato, ma sul quale le organizzazioni tornano ricorrentemente. Ho sentito parlare moltissimo, in campagna elettorale, dell'abolizione delle province, delle comunità montane, dell'alleggerimento della pubblica amministrazione. Non entro nel merito di questioni che oggi riguardano l'Esecutivo e l'opposizione, ma affermo che non possiamo continuare a dedicare,
da imprenditori, centinaia di giornate all'anno alle carte, perché questo non è da Paese moderno.
La proposta delle organizzazioni è che la politica si occupi seriamente del fatto che un imprenditore italiano, oggi, ha un grosso carico burocratico e amministrativo. Si tratta di un problema vecchio che, probabilmente, richiede una scelta innovativa.
In merito al decreto legislativo n. 102 del 2005, le undici organizzazioni andranno a distribuire un documento assolutamente dettagliato, in cui si cita articolo per articolo. Ricordiamo qui - l'ho detto prima - che le forme di aggregazione societaria dei produttori sono quelle che consentono di aggregare, cioè quello che voi avete sollecitato.
Queste forme sono, probabilmente, da riformulare nell'attuale accezione del decreto legislativo n. 102 del 2005, per consentire una migliore applicazione. Poi, siccome tale provvedimento cita i contratti di distretto, la programmazione negoziata, la regolazione del mercato, esso necessita di risorse. Non si tratta di aiuti, bensì di quella politica economica di cui voi molto avete detto, in questa audizione.
SERGIO MARINI, Presidente della Coldiretti. Cercherò di essere molto breve, fermo restando che i tanti interventi non possono che farmi piacere. Evidentemente, una Commissione attenta non può che far piacere a un presidente.
Sono d'accordo con chi dice che la politica debba avere un ruolo di indirizzo, ci mancherebbe altro! Aggiungo solo che, in questa fase, parlando di prezzi, se pensiamo di scaricare le responsabilità sulla politica, non facciamo gli interessi delle imprese che rappresentiamo.
Sappiamo benissimo che la possibilità di azione della politica su questo tema è molto, molto limitata. Se poi ci vogliamo prendere in giro, diciamo pure che la responsabilità è della politica, fermo restando che, fra tre anni saremo qui ancora a discutere che l'impresa agricola non porta a casa niente e che il prezzo si moltiplica per venticinque.
Penso che evidenziare questo aspetto sia seria responsabilità di chi rappresenta. Rispetto a questo tema - attenzione - non è l'unità che risolve il problema. Veniamo da anni di tavoli di concertazione, in cui tutti i rappresentanti delle varie sigle sindacali si mettevano intorno ad un tavolo per non decidere niente o, comunque, per decidere quello che oggi è il risultato che abbiamo portato a casa.
È inutile che stiamo qui a riproporre vecchi modelli, perché non è che ogni sei anni un modello nasce, lo facciamo crescere, muore e poi, dopo un po' di anni lo riproponiamo pensando che quello è il modello vincente.
È inutile riparlare di associazionismo. Le associazioni dei produttori le abbiamo costruite in casa nostra. Coldiretti ne ha fatte tantissime e ritengo che sia stato il peggior periodo storico della nostra organizzazione, perché sono state fallimentari e non hanno risolto alcun problema.
Le organizzazioni dei produttori sono incamminate sulla stessa strada; oggi parliamo di storia, non possiamo prevedere il futuro partendo da elementi non certi. Ormai parliamo di anni di storia, in cui possiamo misurare quanto abbiamo realizzato e se quello che abbiamo fatto va bene o meno.
Aggiungo che anche la cooperazione, così come è impostata, non va bene. Possiamo anche accordarci tutti insieme, poi voglio vedere quale tipo di mediazione risulterà possibile.
Non si può pensare seriamente che la soluzione ai problemi la troviamo facendo un'ulteriore mediazione delle mediazioni. Voglio vedere questi documenti innovativi, quando bisogna trovare tutte le mediazioni in cui nessuno deve uscire responsabile. Qui l'unica cosa certa è che il mondo agricolo non è responsabile, poiché, con tutti i problemi che ha (lo sanno gli agricoltori, quanti problemi hanno!), oggi, comunque, produce per forza, volente o nolente, a un prezzo internazionale e con costi italiani.
Comunque sia, aumentano le importazioni e il nostro valore aggiunto, benché con aziende molto piccole - non so chi lo
dicesse prima -, è del 70 per cento maggiore di quello spagnolo. È facile dire che occorre fare le aziende più grandi: accomodiamoci. Era già prevista la legge, sul codice civile, riguardante la minima unità colturale, ma ditemi voi quanto ha funzionato. Si propone di defiscalizzare ulteriormente: oggi l'accorpamento, fiscalmente, non costa niente.
Bisogna anche capire se le idee che portiamo avanti, giuste sul piano formale e ideologico, poi funzionano anche sul piano sostanziale.
Parliamo pure di accorpamento, va benissimo: è popolare dal punto di vista economico. Naturalmente la teoria economica, da quel punto di vista, funziona perfettamente, ma sta di fatto che sono sessant'anni che parliamo di accorpamento e questi sono i risultati.
Ebbene, forse, visto che, comunque sia, le responsabilità non stanno dentro la parte agricola (che ha mille problemi ma non certo la responsabilità di far crescere i prezzi), vogliamo una buona volta capire perché i prezzi crescono, cercando di individuare qualcuno che sul tema, seppure non è responsabile, almeno sia in grado di fare qualcosa.
Certamente noi non possiamo intervenire: nessuno penserà che possiamo fare prezzi ancora più bassi di quelli internazionali, con la struttura dei costi che abbiamo.
Fermo restando che lì non si può far niente, su tutto il resto bisogna ammettere che qualcosa non funziona. Se lo ammettiamo, lì bisogna dare spazio.
La politica non deve essere soltanto quella di indirizzo, ma anche quella, per così dire, di stimolo e incentivazione di idee nuove, perché quelle vecchie non servono più.
Se la politica, per trovarsi un'equa accondiscendenza da parte di tutti, rimette in piedi storie che mettono tutti d'accordo, ma che non portano a niente, ebbene, questa politica non ci interessa. Ci interessa invece una politica diversa, in cui l'impresa fa, mentre la politica individua gli indirizzi e stimola.
Vogliamo mettere in piedi un percorso di innovazione della filiera, dove tutto parte dalla maggiore concorrenza.
È evidente che i farmers market, le vendite dirette o l'avere spazi sulla distribuzione - come prospettava ieri sera Berlusconi - non saranno la soluzione di tutti i problemi. È inutile, però, che mi diciate che quella non è la soluzione di tutti i problemi: risolveremo per il momento un pezzetto del problema, creeremo più concorrenza, più elementi di confronto tra un prezzo e un altro, tra un prodotto e un altro. Inizieremo a giocarci la carta della distintività, che è l'unico elemento dove l'agricoltura può veramente conquistare potere contrattuale nei confronti della distribuzione.
Non parlo più della trasformazione, perché già ho detto prima che questo elemento ce lo siamo già giocato. Non volendo fare l'accordo con la parte agricola, volendo affermare che la marca è l'elemento di competitività, il bel risultato che abbiamo ottenuto è che ci siamo venduti tutti i marchi.
Ricominciamo da capo, ripartiamo dalla parte agricola. Il territorio e gli elementi di distintività legati ad esso ce li vogliamo giocare tutti, con chi ci sta.
Visto che molti, a mio giudizio, hanno sbagliato, vogliamo provare noi a mettere in piedi un progetto diverso, che coinvolga, ad esempio, i consorzi agrari e quella parte della cooperazione che crede che il proprio futuro stia nella distintività e non semplicemente nel fare le fusioni.
La logica della cooperativa non può limitarsi a fare solo fusioni e a fare come l'industria; ad un certo punto, infatti, l'industria si delocalizza, se ne va, compra all'estero, trova elementi di competitività, chiude. La cooperativa non si può permettere tutto ciò, perché ha alcuni elementi di svantaggio: deve comunque prendere tutto il prodotto, lo deve comunque pagare, non ha i fornitori, ha i soci. Tuttavia, essa ha anche tanti elementi di competitività ed ha il territorio da giocarsi, la distintività del territorio. Mi chiedo cosa aspettiamo a giocarci questa carta.
L'accusa che facciamo è di aver delegato questo progetto e questo percorso innovativo che, signor presidente, non possiamo che realizzare da soli. Noi attribuiamo le responsabilità secondo un nostro giudizio e, da questo punto di vista, non ci possiamo alleare con chi, secondo noi, queste responsabilità ce le ha e non vuole costruire un percorso nuovo.
Il tema della comunicazione è servito molto, perché è evidente che la comunicazione segue le proprie logiche. Però, ne è passata di acqua sotto i ponti e quello che la comunicazione diceva dell'agricoltura all'opinione pubblica, dieci anni fa, è ben diverso da quello che dice oggi.
Oggi la comunicazione dice: a) non è responsabilità dell'agricoltura; b) l'agricoltura è centrale e fondamentale; c) se dobbiamo dare una mano, diamola all'agricoltura.
Penso che tutto ciò sia importante, non solo per l'economia, in quanto incide sui consumatori che finalmente si ravvedono e cominciano a compiere scelte consapevoli, ma anche per la politica, che deve stare attenta all'opinione pubblica.
PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per la profondità delle analisi che ci sono state offerte.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,30.
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