Sulla pubblicità dei lavori:
Russo Paolo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEI DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA ALLE PRODUZIONI AGRICOLE E ZOOTECNICHE
Audizione di rappresentanti di WWF Italia:
Russo Paolo, Presidente ... 3
Ferroni Franco, Responsabile programma Mediterraneo del WWF ... 4
Fioravanti Sara, Responsabile caccia del WWF ... 3
Audizione di rappresentanti della Coldiretti:
Russo Paolo, Presidente ... 7 8 9 15
Fogliato Sebastiano (LNP) ... 11
Masini Stefano, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti ... 8 9 11 13
Oliverio Nicodemo Nazzareno (PD) ... 9 11
Pepe Mario (PD) ... 11
Taddei Vincenzo (PdL) ... 12 13
Zucchi Angelo (PD) ... 13
ALLEGATI
Allegato 1: Relazione consegnata dai rappresentanti WWF Italia ... 19
Allegato 2: Coldiretti - Danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche ... 49
Allegato 3: Coldiretti - Quadro di quantificazione dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche (Regione Lombardia) ... 53
Allegato 4: Coldiretti - Provincia di Sondrio - regolamento per il controllo della fauna selvatica e inselvatichita, delle forme domestiche di specie selvatiche e delle forme inselvatichite di specie domestiche ... 56
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 10,35.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione di rappresentanti di WWF Italia. La commissione ha deliberato questa audizione nella seduta del 20 gennaio 2009. Sono presenti la dottoressa Sara Fioravanti, responsabile del settore caccia; il dottor Franco Ferroni, responsabile programma Mediterraneo.
Do la parola agli auditi.
SARA FIORAVANTI, Responsabile caccia del WWF. Signor presidente, WWF Italia e Coldiretti, tre mesi fa, hanno inviato una lettera a enti parco, province e regioni per ottenere informazioni e dati sui danni all'agricoltura causati dalla fauna selvatica, in quanto riteniamo che il problema, soprattutto negli ultimi anni, sia andato crescendo e sia comunque diffuso. Un'associazione per la conservazione ambientale come la nostra non può ignorarlo e questa lettera, quindi, nasce dalla consapevolezza che, effettivamente, una problematica di questo genere esiste.
Ciò nonostante, diciamo subito che si tratta di un problema, per così dire, di ordinaria amministrazione.
Infatti - come dimostrano molti dei documenti in nostro possesso sulla conservazione della biodiversità, sulla gestione del territorio e perfino sulla gestione delle imprese agricole - la questione ha periodicità annuale e riguarda quasi sempre le stesse specie animali.
È un problema, onestamente, su cui si è intervenuti negli anni con un'attenzione particolare, privilegiando la scelta dell'attività venatoria, piuttosto che quella dell'utilizzo di metodi più efficaci e forti, come ad esempio la prevenzione del danno, oppure interventi con metodi ecologici alternativi, che il mio collega dottor Ferroni elencherà e analizzerà nel dettaglio.
WWF Italia ritiene, in definitiva, che non si possa configurare nel nostro Paese una straordinarietà della problematica dei danni all'agricoltura.
Riteniamo invece che le soluzioni da individuare debbano essere efficaci e volte a creare un sistema complesso, che prenda in considerazione le attività preventive, la programmazione e le modalità di intervento, le best practice e che, soprattutto, faccia riferimento a metodi ecologici.
Avendo iniziato una stretta collaborazione con le associazioni del settore, il WWF riconosce che l'impresa agricola agisce su un territorio di biodiversità, quindi in un contesto che vede la natura protagonista, tanto quanto l'attività economica portata avanti dalle imprese stesse.
Pertanto, la questione non riguarda la difesa dell'interesse privato dell'imprenditore
o dell'interesse pubblico della fauna, bensì il contemperamento degli interessi pubblici e privati che, entrambi, fanno capo alla gestione del territorio.
Riteniamo inoltre che grande responsabilità abbiano le amministrazioni pubbliche - soprattutto le province, gli enti parco e le regioni - nell'affrontare questa problematica. Infatti, da quello che ci risulta (anche perché spesso abbiamo richiesto, analisi e statistiche, la cui disponibilità non è soddisfacente), non si conoscono, ad oggi, neanche i dati del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, o dell'ex APAT, oggi ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).
Non siamo riusciti a ottenere le informazioni dalle province: a fronte di quasi un centinaio di lettere da noi inviate, per chiedere dati sull'entità del danno, abbiamo ricevuto nove risposte, soprattutto da enti parco. I dati di questi ultimi, comunque, vengono riportati nella relazione annuale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per cui si tratta di dati pubblici che avremmo potuto acquisire anche per altra via.
La problematica dei danni da fauna selvatica all'agricoltura è una questione da affrontare in modo serio, concreto, analitico e soprattutto scientifico, partendo dai dati e applicando la normativa vigente. Qualora poi si dovessero verificare casi straordinari, gli stessi dovrebbero essere affrontati, appunto, come eccezioni, valutando anche l'ipotesi di farli rientrare in uno stato di emergenza locale, nazionale o quel che sia. I danni all'agricoltura non possono certamente essere paragonati, ad esempio, a un problema di ordine pubblico, e - sicuramente il mio collega lo ribadirà - in realtà si dimostra come la questione, negli anni, non sia stata affrontata nel modo più giusto.
Abbiamo predisposto un documento, che oggi vi presentiamo, in cui non soltanto inquadriamo il problema, ma offriamo anche soluzioni, individuiamo i metodi migliori e analizziamo anche (del resto, la nostra missione è la conservazione delle specie di fauna selvatica, comprese quelle in via di estinzione) quali siano i danni che ciascuna specie può causare nonché come, invece, imprese agricole e animali (specie protette e non) possano convivere tranquillamente nei parchi e sul nostro territorio.
Riteniamo, in conclusione, che il problema riguardi un tema complesso, che non deve essere sottovalutato e deve essere affrontato con metodi e soluzioni efficaci.
FRANCO FERRONI, Responsabile programma Mediterraneo del WWF. La complessità della problematica dei danni da fauna selvatica deriva essenzialmente dal fatto che essa non può essere ricondotta a un'unica tipologia di danno, in relazione alla diversità delle specie, dei territori, delle colture e delle tipologie di allevamento zootecnico interessati dal danno.
Riteniamo che si debba operare, innanzitutto, una sostanziale distinzione, tra le azioni che possono essere intraprese per contenere i danni da fauna selvatica, quando si tratti di specie normalmente oggetto di attività venatoria e specie che sono, invece, sottoposte a un regime di tutela.
Partendo dalle prime, la mia collega ha già richiamato l'attenzione sull'esigenza di ricondurre il problema a quella che è l'ordinaria gestione della fauna selvatica. Ebbene, all'interno di una più ampia strategia per la conservazione della biodiversità, riteniamo che questo argomento meriti di essere trattato anche nell'ambito della Strategia nazionale per la biodiversità, un progetto di cui il Ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo ha già annunciato l'adozione da parte del Governo entro il 2010, a fronte della ratifica della Convenzione internazionale sulla diversità biologica, che risale al 1994. L'annuncio di questo atto era atteso da molto tempo.
All'interno di questa Strategia nazionale per la biodiversità si inserisce il tema più generale della gestione della fauna selvatica, sia quella oggetto di attività venatoria, sia quella sottoposta a tutela.
Per quanto riguarda le specie oggetto di attività venatoria, sappiamo che i danni
sono soprattutto determinati da un numero estremamente limitato di specie. La specie che in qualche modo è principalmente sotto accusa è il cinghiale assieme, in modo molto marginale, agli altri ungulati.
L'altro tipo di problematica è collegato essenzialmente alla diffusione di specie alloctone, cioè introdotte nel nostro Paese, con motivazioni varie e diverse. Sgombriamo subito il campo: rispetto alle specie alloctone (o esotiche), come associazione ambientalista di protezione ambientale, abbiamo sempre sostenuto che il problema debba essere affrontato con estremo rigore, arrivando all'eradicazione di tali specie dal territorio. Si tratta, essenzialmente, di capire quali siano le tecniche più adeguate per raggiungere questo obiettivo, dal momento che stiamo parlando di specie che determinano danni all'agricoltura soprattutto a carico del reticolo idrografico minore. Mi riferisco a specie come la nutria, che non sono neanche inserite nei calendari venatori e non appartengono alla nostra fauna selvatica.
È pertanto essenziale - è previsto anche dai diversi piani di azione per il contenimento delle specie esotiche - che l'obiettivo sia quello dell'eradicazione.
Cosa ben diversa è la gestione degli ungulati. Anche qui va fatta una sostanziale distinzione: nel caso dei cinghiali, ci troviamo in una situazione di popolazione oggettivamente squilibrata e fortemente alterata dal punto di vista del patrimonio genetico, essenzialmente a causa di immissioni che sono state effettuate in maniera molto discutibile dal punto di vista tecnico-scientifico. Sicuramente sussiste un problema di squilibrio della popolazione di questa specie.
Altro problema è capire che cosa sia stato fatto fino ad oggi per cercare di affrontare in modo efficace questo problema, di per sé molto complesso. Le soluzioni ad oggi adottate si sono essenzialmente limitate alla tecnica degli abbattimenti con tecniche diverse: dall'attività della «girata» (caccia in battuta), alla caccia di selezione tramite appostamento con la carabina.
Si tratta di due soluzioni che hanno dimostrato di non essere efficaci, rispetto all'obiettivo di un adeguato contenimento numerico, giacché il numero di animali che si riescono comunque a sottrarre al territorio vengono facilmente sostituiti dalle dinamiche della popolazione di queste specie, molto prolifiche. Pertanto, è necessario adottare tecniche di cattura che consentono un prelievo molto maggiore di quello che può essere consentito dalle tecniche di caccia quali la «girata» o la caccia su altana con la carabina.
Alcune regioni, in particolare la regione Marche, hanno adottato un provvedimento, cioè l'estensione della caccia a squadre detta «bracata», che abbiamo ritenuto molto discutibile in quanto, a nostro avviso, determina un problema di notevole disturbo alle altre specie, soprattutto nei periodi di riproduzione delle stesse. In particolare, può sussistere un problema serio di interferenza con la gestione di alcune specie particolarmente sensibili e a rischio nel nostro Paese, come ad esempio l'orso bruno nell'Appennino centrale. Il problema, dunque, va affrontato attraverso soluzioni efficaci.
Tecnicamente, la bibliografia e i casi in cui sono state adottate soluzioni cosiddette ecologiche, hanno dimostrato che queste ultime sono in grado di rispondere meglio a tale problematica. La soluzione da privilegiare è la cattura mediante trappolamento e il successivo abbattimento. La tecnica del trappolamento può avvenire con soluzioni tecnologiche molto diverse, dalla recinzione, alle trappole a cassetta e quant'altro. Sicuramente ciò comporta un investimento economico-finanziario da parte della pubblica amministrazione che è preposta a gestire la fauna selvatica, ma, anche in questo caso, i dati ci dimostrano che quando queste tecniche sono state adottate si è registrata una sostanziale riduzione degli indennizzi per i danni causati dalle specie interessate. Tale risparmio, nel medio e lungo termine, potrebbe certamente compensare gli investimenti realizzati per la prevenzione. Un po' come avviene nel caso delle calamità
naturali,
prevenire è sempre meglio che intervenire «a valle» per curare gli effetti.
Nella gestione della fauna le cose non sono molto diverse, ragion per cui un'adeguata prevenzione faunistica, non necessariamente riconducibile a quelle che sono le richieste e le aspettative del mondo venatorio, in particolare quello interessato alla caccia agli ungulati, porterebbe a favorire una tecnica di trappolamento, in particolare attraverso i corral (cioè i recinti di cattura), che consentirebbe di catturare soprattutto giovani e femmine, intervenendo così su classi di età e su quelle componenti della popolazione tali da facilitare la prevenzione di una rapida ricostituzione sul territorio delle popolazioni di questi animali.
Un altro aspetto fondamentale è il fatto che le tecniche di abbattimento fino ad oggi adottate vengono sostanzialmente delegate ai privati muniti di licenza di caccia.
Riteniamo che gran parte del fallimento di oltre diciassette anni di attuazione di queste pratiche sia determinato dal fatto che una larga componente del mondo venatorio coinvolto in queste pratiche di abbattimento selettivo e di controllo della popolazione non ha, in realtà, un vero interesse a far diminuire il numero degli esemplari degli animali sul territorio.
Pertanto auspichiamo che, accanto a privilegiare tecniche legate al trappolamento e al successivo abbattimento, si coinvolga attivamente il mondo agricolo, cioè l'agricoltore e l'impresa agricola.
Riteniamo che il quadro normativo attuale fornisca alla pubblica amministrazione alcuni strumenti per poter intervenire in tal senso. Vi ricordo l'articolo 14 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, attraverso il quale la pubblica amministrazione può stipulare accordi e convenzioni con imprese agricole singole o associate, anche per interventi legati alla tutela della biodiversità.
Siamo quindi nelle condizioni - avendone la volontà - di prevedere un compenso per quelle imprese agricole chiamate a impegnarsi nell'effettuare le catture e i successivi abbattimenti.
Oltre a ciò, va sottolineato il fatto che, se si riuscisse ad attivare una filiera legata alla gestione di alcune specie, in particolare del cinghiale, si potrebbero creare anche i presupposti per tradurre un problema in un'opportunità.
Stiamo parlando di migliaia di animali, che devono essere sottratti al territorio. Sicuramente sussiste una serie di problematiche di natura tecnica. Pensate solo all'adattamento dei macelli per l'abbattimento e per il trattamento di questi animali che, chiaramente, essendo selvatici, non possano essere trattati nei macelli abitualmente utilizzati per il bestiame domestico. Si tratta comunque di un'importante risorsa che, se inserita in una filiera, potrebbe costituire per le imprese agricole un'importante integrazione del reddito, nell'ambito di una diversificazione dell'attività dell'azienda e nell'ottica della multifunzionalità che la stessa Unione europea auspica.
Gli strumenti finanziari per intervenire in questo senso sarebbero già disponibili, poiché, nell'ambito dei programmi di sviluppo rurale delle regioni, potrebbe essere adottata una serie di misure legate anche alla promozione di questo tipo di interventi.
Accanto alle azioni che hanno come obiettivo il contenimento numerico delle specie, riteniamo che anche per gli ungulati - ma quanto sto per dire vale assolutamente per le specie protette - debbano essere fortemente incentivate e sostenute tutte le azioni mirate alla prevenzione e al contenimento dei danni, in particolare attraverso il sostegno alle aziende affinché si dotino di strutture adatte a tale scopo, in relazione alle tipologie delle specie. Sappiamo che l'orso determina danni prevalentemente agli apiari, mentre il cinghiale determina danni soprattutto alle colture agrarie e, in parte, alle aree di pascolo.
Certamente, tutto deve essere affrontato e gestito tenendo conto della tipologia colturale, soprattutto facendo investimenti specifici - che possono essere anche rilevanti, viste le superfici interessate
- quando si tratti di tutelare colture che sono particolarmente pregiate e ad alto reddito per le imprese.
Anche in questo caso, le misure del piano di sviluppo regionale consentirebbero - se solo lo si volesse - di disporre di risorse finanziarie destinate a integrare e sostenere le azioni di contenimento svolte da parte dell'impresa agricola.
Dobbiamo registrare, purtroppo, che, nell'analisi dei PSR 2007-2013 che abbiamo condotto, ad oggi risulta che soltanto due regioni hanno previsto misure specifiche per interventi legati al contenimento dei danni attraverso l'adozione di recinti e di strutture mobili o fisse: l'Emilia-Romagna e il Lazio. Inoltre, sono solo quattro le regioni che hanno attivato «Indennità Natura 2000», cioè le indennità previste per le imprese agricole che ricadono all'interno dei siti «Natura 2000» dell'Unione europea. Nell'ambito dei piani di gestione di queste aree, l'obiettivo di tutela di alcune specie particolarmente a rischio - in particolare ci riferiamo al lupo e all'orso - potrebbe prevedere adeguati indennizzi per l'impresa agricola.
Il problema è che, come dicevo, sono solo quattro le regioni che hanno attivato le misure previste dall'Unione europea.
Le risorse finanziarie ci sono, e sarebbero attivabili. Resta, come sempre, il problema dell'efficacia gestionale da parte delle pubbliche amministrazioni preposte a questo tipo di interventi.
Vorrei in ultimo riferirmi alle specie particolarmente protette. Abbiamo lasciato questo argomento per ultimo, ma chiaramente tali specie sono in cima alla nostra attenzione.
In questo caso, le azioni non possono che essere legate - esclusivamente - alla mitigazione e al contenimento dei danni attraverso investimenti strutturali e, soprattutto, attraverso un'attenta verifica e analisi delle modalità di gestione di alcune attività da parte delle stesse imprese agricole.
In particolare, ci riferiamo alla gestione delle attività zootecniche, soprattutto in alcune aree dell'Appennino. In tali aree, spesso, le modalità con cui oggi sono gestiti i greggi e le varie tipologie di allevamento tendono a favorire la predazione da parte di specie che, per loro natura, sono orientate a predare l'animale domestico, in particolare quando è ridotta la disponibilità di alcune specie selvatiche che rappresentano le loro prede naturali.
Sicuramente vanno incentivati, da questo punto di vista, i controlli, nonché il presidio e la vigilanza del bestiame. Quest'ultimo non può essere lasciato allo stato brado, soprattutto nelle aree ad alto valore naturalistico in cui è fortemente accertata la presenza di specie che possono comportare problemi. Ciò significherebbe mettere l'agnello in bocca al lupo.
Riteniamo che, per specie quali il lupo, l'orso e l'aquila reale, l'unica strada percorribile sia quella di incentivare gli indennizzi e, soprattutto, gli investimenti sulla prevenzione.
PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi, soprattutto per l'approfondita relazione che è stata consegnata, che sarà allegata al resoconto della seduta e che rappresenterà per noi un'occasione di ulteriore riflessione. Ringrazio altresì della cortesia di essere stati qui e di averci offerto un panorama ampio e articolato sulla questione posta. Abbiamo avviato questa indagine conoscitiva sulla base di varie sollecitazioni, partendo dalla vostra richiesta, che - se ricordo bene - è stata presentata congiuntamente alla Coldiretti e siamo ben lieti di affrontare questo tema conformemente allo spirito che vi anima.
Dichiaro quindi conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione di rappresentanti della Coldiretti.
È presente il dottor Stefano Masini, responsabile dell'area ambiente e territorio della Coldiretti, cui cedo la parola.
STEFANO MASINI, Responsabile dell'area ambiente e territorio della Coldiretti. Signor presidente, grazie di questa occasione, in merito alla quale ci eravamo anche sentiti nelle giornate precedenti. Sono in grado di consegnarle un documento scritto, da allegare eventualmente agli atti, che permetterà di lasciare traccia e memoria di alcune osservazioni, mentre in questa sede mi limiterò a svolgere alcune considerazioni più estemporanee, proprio per completare la rappresentazione di un problema la cui importanza non è secondaria, rispetto ai temi che già avete in discussione.
Parto da una considerazione del mio presidente, che ha dedicato un editoriale su Il Punto, il giornale online di Coldiretti, dal titolo: «Risolvere l'emergenza selvatici».
In breve, Sergio Marini afferma che l'agricoltura, oggi, è l'unica attività di impresa dove è possibile distruggere senza garanzia di un giusto indennizzo. Non è più accettabile che, proprio in un momento storico in cui c'è bisogno di più agricoltura per fronteggiare l'emergenza cibo, si lascino sole le imprese dinanzi all'assedio degli animali selvatici, pregiudicando il ruolo economico delle aziende nello sviluppo del territorio e dell'ambiente.
Per chi passi in rassegna - per necessità e completezza di informazione - il panorama della stampa locale, è facile raccogliere una serie di indicazioni circa le sofferenze che gli agricoltori lamentano sull'intero territorio, dal nord al sud. Credo che in questo senso sia utile sfogliare le pagine dei giornali degli ultimi due mesi.
Il periodico della Coldiretti di Alessandria - non ne ho copia fotostatica - titola «I nuovi barbari», a dimostrazione dell'importanza dell'argomento.
L'Eco di Bergamo del primo febbraio scrive: «Agricoltori, si allarga la crisi: una task force richiesta per spezzare l'assedio».
Dalla Coldiretti di Macerata viene la «richiesta di prevenzione e di controllo faunistico»; in Toscana «i cinghiali devastano aziende»; a Genova «mucche e contadini: città bloccata»; a Firenze «tanti, forti e prolifici: un vero disastro»; a Ferrara «cinghiali e caprioli fanno danno nei campi».
Coldiretti Toscana lamenta «3 milioni di danni, il 63 per cento dei quali causati da cinghiali; troppi cinghiali, campi distrutti»; a Cremona «i cinghiali sono una calamità».
Potrei continuare a lungo, fino ad arrivare alla stampa quotidiana di oggi in cui si legge l'appello di un agricoltore di Fiorenzuola: «Basta, chiudo l'azienda per colpa dei cinghiali»; a Bologna «i coltivatori chiedono meno limitazioni alla caccia al cinghiale».
Tutto ciò serve a dimostrare come il tema sia reale e interessi molti agricoltori.
Avevamo presentato alle regioni, alle province, ai presidenti di parchi nazionali e regionali una richiesta, firmata congiuntamente da Coldiretti e WWF, per sollevare il problema e intraprendere misure volte a inquadrarlo.
Il primo punto è che, ad oggi, non è possibile disporre di dati esaustivi circa la consistenza del fenomeno. Nelle prime risposte che le amministrazioni hanno fatto avere a Coldiretti, soltanto la regione Lombardia ci ha fornito un quadro sul piano sistematico e, se interessa, ciò che leggo può essere allegato agli atti della Commissione.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. La regione Lombardia, dicevo, è l'unico ente che ci ha fornito per ora, a seguito della richiesta, un dato completo per provincia e per specie, da cui risulta come il problema debba essere valutato in modo differenziato sul territorio. Ad esempio, la questione relativa alla nutria è sicuramente incisiva per la provincia di Brescia, dove il danno accertato e risarcito è di 128.000 euro per l'anno scorso. Ciò vuol dire che, in quella situazione, la nutria è un vero....
PRESIDENTE. Ci sta illustrando il prospetto dei danni risarciti?
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Dei danni risarciti per specie e per provincia. Tuttavia, è l'unico dato che abbiamo dalle regioni.
PRESIDENTE. Ovviamente, si tratta di un dato importante, ma solo indicativo.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Esattamente, signor presidente, tanto è vero che - per confermare la sua intuizione - non abbiamo la giusta rappresentazione reale del dato. Probabilmente, occorrerebbe operare un confronto - non entro nel merito dell'argomento per ragioni di brevità - considerando nella complessità della gestione del tema risarcimenti, in relazione alla pluralità degli enti competenti, anche il quadro dei risarcimenti degli ambiti territoriali di caccia (ATC).
Sull'ultimo numero di Terra e Vita troviamo, ad esempio, il dato (che andrebbe valutato, regione per regione, per tutti gli ambiti territoriali di caccia) relativo all'ATC «Ferrara 1», che fa riflettere : 40.000 euro di investimento per il mantenimento degli habitat e 10.000 euro per il risarcimento dei danni. Ciò vuol dire che nei nostri ATC, prendendo a riferimento un buon esempio di gestione, un quarto degli investimenti in agricoltura è legato al risarcimento del danno. Credo che tale situazione debba far riflettere.
Un altro dato è relativo agli incidenti. Anche in questo caso, non abbiamo un monitoraggio e dispongo soltanto del dato elaborato da Coldiretti Marche per quella regione.
Nel 1995...
PRESIDENTE. La interrompo per chiederle se questi risarcimenti rientrino o meno nel fondo di solidarietà.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Credo che rientrino nei danni che possono essere risarciti attingendo al fondo di solidarietà.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Chiederemo di poter valutare l'inclusione nel fondo di solidarietà, al fine di tener conto di questa «quasi calamità».
PRESIDENTE. Ovviamente, se rientrano, aumenta il premio.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Come dicevo, un altro dato indicativo della complessità e dell'urgenza del problema si rileva dal numero degli incidenti. Nella regione Marche, nel 1995, anno di primo rilevamento del problema, vi sono stati 17 incidenti causati da fauna selvatica. Nel 2007 si rilevano 1.005 incidenti.
Ho anche il dato relativo ai costi delle polizze e ai risarcimenti erogati dalle regioni: nel 2001 abbiamo 250 mila euro, che passano a 3 milioni di euro nel 2007.
Sarebbe importante avere il quadro della situazione generale.
Chiaramente, con i nostri limitati mezzi, non possiamo disporne. Si tratta di...
PRESIDENTE. Che la Coldiretti abbia limitati mezzi, veramente, ci preoccupa....
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Intendo dire che non abbiamo potere di imposizione, nella richiesta dei dati.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Come Coldiretti, invece, mi preoccupa un altro dato. Abbiamo avuto modo di ribadirlo anche direttamente. L'ex Istituto nazionale per la fauna selvatica, oggi ISPRA, ritiene che si possa intervenire con gli strumenti attuali (quindi, con interventi delle amministrazioni provinciali che hanno la delega normalmente degli ATC nel territorio di libera caccia) nonché, per quanto riguarda i territori che sono in regime di divieto di caccia, attraverso la competenza degli organismi direttivi dei parchi.
Riteniamo che ciò oggi sia assolutamente insufficiente e che sia importante misurare la capacità portante del territorio, rispetto a queste situazioni patologiche. Vi porto un esempio molto empirico, riferito da un agricoltore, che esemplifica bene il problema: se in una stalla è possibile mantenere dieci mucche, si violerebbero le normali regole del benessere allorché in quella stalla si aumentasse il numero dei capi allevati. Quindi, se un territorio ha una «capacità» registrata di dieci animali, non è pensabile che in esso ne possano insistere venti. Se ciò avviene, si chiama in causa la responsabilità amministrativa dell'ente che gestisce quel territorio.
Ebbene, dai censimenti risulta che in alcune aree - ad esempio l'Appennino - il numero dei caprioli è superiore al numero degli ovini ivi allevati. Riteniamo che questa non sia una situazione ordinaria.
Una prima proposta è quella di distinguere il territorio in «aree vocate» e «aree non vocate». Le aree non vocate sono quelle dove insiste un'agricoltura intensiva, ad alta densità di investimenti, rispetto alle quali non è conveniente prevedere la presenza del cinghiale. Le aree vocate sono quelle seminaturali, o naturali, dotate di una superficie forestale e rispetto alle quali, attraverso valutazioni scientifiche, sia possibile misurare la densità.
In ogni caso, occorre prevedere misure di controllo ordinario e straordinario.
Le misure di controllo ordinario possono avvalersi di interventi diretti, o indiretti. Gli interventi indiretti sono quelli legati alla prevenzione. Sotto questo profilo, può essere utile pensare a ipotesi di trappolamento, per cui gli agricoltori si rendono disponibili a prevedere misure di recinzione e anche di cattura. A questo proposito si può utilizzare ancora la legge di orientamento, che stabilisce convenzioni con gli agricoltori per determinate attività di gestione e manutenzione del territorio.
Le misure dirette sono quelle che autorizzano i proprietari e i conduttori di fondi, muniti di porto d'armi, agli abbattimenti.
Occorre distinguere questo tipo di abbattimento da quello che noi chiediamo in situazione di urgenza, anche affidando la soluzione del problema all'autorità prefettizia, con ordinanze contingibili e urgenti, in quanto si tratta di un problema di sicurezza. La sicurezza non è soltanto quella dell'ordine pubblico, in ordine al quale le Camere sono impegnate in queste ore, ma anche quella del territorio, legata a un problema non gestibile. Non si tratta di un elemento anomalo, dal momento che già alcune amministrazioni - mi riferisco ad una delibera della Provincia di Sondrio - autorizzano l'abbattimento sia di forme domestiche di specie selvatiche, sia di forme inselvatichite di specie domestiche, attraverso previsioni extra ordinem, precisando che il controllo della fauna selvatica e inselvatichita non è un'azione di caccia, bensì un intervento necessario e di pubblica utilità.
Sotto questo profilo, con il testo di riforma della legge sulla caccia depositato al Senato dal senatore Orsi, sono state messe agli atti importanti previsioni relative al controllo numerico, diverso dall'abbattimento, di queste specie. Non è attraverso la caccia che si risolve il problema del corretto equilibrio della presenza della fauna selvatica sul territorio.
Concludo il mio intervento facendo presente che il problema non può essere neppure risolto esclusivamente nelle aree in cui è regolato l'esercizio della caccia: bisogna intervenire anche nelle zone protette. Anche in questo caso, non si tratta di un ragionamento improprio, o eccessivamente audace. Ricordo che è stato già firmato un protocollo - che consegno al presidente - tra le organizzazioni agricole e la federazione dei parchi, in cui uno dei nove punti è il seguente: «...in presenza di consistenti danni alle colture da parte della fauna selvatica del parco, vengono predisposte e attivate incisive misure per
limitare tali danni, ricorrendo ad azioni di controllo e di contenimento numerico della fauna selvatica presente».
Questo è un documento ufficiale, che sancisce anche un impegno degli enti parco...
MARIO PEPE (PD). Vorrei capire se il documento è regionale o se coinvolge le associazioni degli enti parco.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. No, è un documento nazionale.
MARIO PEPE (PD). Cioè, coinvolge le associazioni di enti parco.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Sì. Un documento, dicevo, che tiene conto di una richiesta di valutazione di tale problema. Alcune soluzioni operative, tuttavia, restano ancora da individuare. In questa sommaria presentazione ci siamo limitati a rappresentare - torno a ringraziarla, signor presidente e concludo - soltanto l'urgenza ed il carattere di emergenza del problema.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti e formulare osservazioni.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Ringrazio il dottor Masini per questo spaccato di vita che ci ha fornito, ma anche la dottoressa Fioravanti e il dottor Ferroni del WWF. Tre grandi professionalità, tre grandi esperti di questa materia.
Provo a riassumere quello che ho capito. Innanzitutto abbiamo un lavoro di prevenzione da svolgere comunque. Si parlava infatti del trappolamento e che, quando questo tipo di interventi diventa inefficace, bisogna ricorrere agli abbattimenti. Dopodiché, c'è un lavoro che bisogna fare quando sorge un'emergenza. Avete citato gli incidenti stradali, ma avete detto che sussistono emergenze anche nel mondo agricolo. A quel punto, quindi, bisogna intervenire con misure urgenti.
Non so se i prefetti riescano a monitorare e ad assumere decisioni in materia. A mio avviso, occorre qualcosa in più e bisognerebbe capire come muoversi su questa materia.
Un ulteriore aspetto, più strettamente legato al mondo delle imprese agricole, è quello dell'indennizzo dei danni subiti. Qui dovremmo capire come il fondo di solidarietà, seppur in misura diversa rispetto agli importi ricordati, possa essere utilizzato per il risarcimento di questi danni. In effetti, parliamo di danni ingenti, mentre le risorse del fondo di solidarietà sono minime, anzi, possiamo dire che, con l'ultima manovra, sono inesistenti.
Bisogna saper quindi saper coniugare questi tre aspetti dell'indennizzo, della prevenzione e dell'emergenza e bisogna saper trovare soluzioni idonee per giungere ad un utilizzo equilibrato del territorio e della fauna, ma anche per capire come gli agricoltori possano difendersi da un'eccessiva invasione da parte della fauna selvatica.
SEBASTIANO FOGLIATO. Signor presidente, ringrazio il dottor Masini della Coldiretti che oggi è qui in Commissione agricoltura a fornirci quello che, dal suo osservatorio privilegiato, è lo spaccato di una problematica di cui siamo ben consci e che ci viene costantemente posta all'attenzione dagli agricoltori e dalle associazioni agricole presenti sul territorio. Dovremmo dunque mostrare molto interesse e ricorrere a provvedimenti legislativi in merito.
Molto interessante è l'aspetto che concerne il ruolo che possono svolgere le amministrazioni provinciali, con l'esempio della delibera della provincia di Sondrio, che costituisce un precedente che potrebbe essere adottato anche da altre amministrazioni provinciali.
Si parla di un'emergenza in agricoltura, legata ai danni e agli incidenti stradali. Nel mio recente passato da amministratore provinciale mi sono occupato di questa materia e devo dire che gli incidenti stradali dovuti a cinghiali e caprioli, che addirittura invadono le sedi autostradali,
sono stati gravi. Tuttavia, oggi siamo qui a parlare, in particolare, dei danni causati all'agricoltura.
Penso che, tanto maggiore è l'impegno da parte delle province in tema di prevenzione (prevedere abbattimenti e provvedimenti ad hoc), tanto minore sarà l'impegno successivo per eventuali indennizzi. Qui siamo di fronte a una popolazione che, soprattutto per quanto riguarda i cinghiali, nel corso degli anni sta aumentando a dismisura.
L'esempio che è stato illustrato circa il fatto che in provincia vi siano più caprioli, che ovini. è significativo e la dice lunga su questa problematica.
Deve senza dubbio essere adottata una forma di contenimento di queste specie animali in modo da farle convivere con l'agricoltore, che investe soldi per le colture che poi vengono devastate. La popolazione degli ungulati e, fra questi, soprattutto dei cinghiali, deve diminuire, giacché non è possibile, per il mondo agricolo, continuare a sostenere questi costi.
I rappresentanti del WWF hanno affermato, poco fa, che interessi pubblici e privati devono convivere. È importante però che non sia soltanto il privato, l'agricoltore, a pagare gli effetti di questo necessario contemperamento di interessi.
Quindi, vi ringraziamo di essere venuti qui Commissione e di aver promosso questo dibattito. Siamo disponibili a recepire i vostri suggerimenti, per poi definire gli opportuni provvedimenti legislativo in merito.
VINCENZO TADDEI. Anche io ringrazio il dottor Masini, per la sua puntuale relazione che, in buona sostanza, mette in evidenza come nel nostro Paese, negli anni precedenti, si sia affermata una cultura ambientalista della difesa tout court dell'ambiente, che ha prodotto i risultati che si stanno evidenziando in questi ultimi anni.
Alcuni anni fa, era difficilissimo parlare di contingentamento della popolazione animale all'interno dei parchi regionali, nazionali, o nelle aree protette.
Oggi, con le devastazioni operate dai cinghiali o di altri animali, a cui molte volte assistiamo nelle aziende e nelle attività agricole del nostro Paese (in modo particolare quelle che sono inserite nei parchi regionali e nazionali), finalmente si assiste - ed è un fatto positivo - a un cambiamento di mentalità anche da parte di coloro i quali hanno difeso questa cultura e hanno portato avanti un tale modo di vedere la difesa dell'ambiente. Nell'audizione precedente, infatti, abbiamo audito i rappresentanti del WWF che, sostanzialmente, hanno riportato le stesse considerazioni dei rappresentanti della Coldiretti, cioè che si deve arrivare ad attuare un ragionamento di prevenzione.
Credo che questa problematica investa più livelli istituzionali: alcuni ministeri, lo Stato, le regioni, le province nonché, in alcuni casi, anche i comuni.
Il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare dovrà attuare una modifica puntuale. So che è in atto un ragionamento sia presso le Commissioni ambiente e, soprattutto, nell'ambito del ministero medesimo volto a modificare la normativa nazionale sui parchi nazionali. Così come sono, infatti, credo che gli stessi organismi che dirigono i parchi nazionali non dispongano di strumenti normativi, né finanziari, per intervenire in questo settore.
Ritengo che la materia sia complessa e fa bene la Coldiretti, ad evidenziare con puntualità questa problematica.
Come Commissione agricoltura, faremo senz'altro la nostra parte. Tuttavia, credo che il problema sia talmente complesso e articolato da dover prevedere innanzitutto una diversa normativa sulla tutela dell'ambiente dei parchi nazionali. Quindi dal momento in cui è si sta discutendo della modifica della legge n. 394, bisogna procedere in quella direzione.
Si pone inoltre il tema dei parchi regionali e delle aree protette, che sono di competenza più specifica del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, tramite il Corpo forestale dello stato, nonché delle singole regioni.
Sono conscio del fatto che moltissime regioni hanno fatto ben poco, rispetto a questa problematica. Conosco l'esperienza della mia regione, la Basilicata, in cui si trovano due parchi nazionali, un parco regionale, diverse aree protette. Ormai il 35 per cento del territorio lucano è interessato da forme di tutela ambientale.
Ebbene, si rileva una sofferenza del mondo agricolo estremamente significativa, poiché molte attività agricole sono inserite nei parchi e nelle aree protette e, di conseguenza, incontrano difficoltà. Più che incentivare l'indennizzo, che riguarda situazioni di emergenza, credo che occorra sviluppare un ragionamento serio sul piano normativo e finanziario, relativamente alla prevenzione, attraverso una modifica puntuale delle norme e uno stanziamento di risorse mirate ad eliminare questa problematica (che, ripeto, è figlia di una cultura ambientalista che mi auguro, finalmente, nel nostro Paese sia messa da parte).
ANGELO ZUCCHI. Speriamo di non sopprimere tutta la cultura ambientalista, altrimenti si rischia di sopprimere l'ambiente.
VINCENZO TADDEI. Siamo per modificare, non per sopprimere.
ANGELO ZUCCHI. Vorrei sviluppare un ragionamento diverso, cogliendo l'occasione della presenza dei rappresentanti della Coldiretti.
Un conto è la gestione della fauna e, quindi, l'attività di prevenzione per evitare che accadano danni ingenti alle coltivazioni; altra cosa è la procedura di risarcimento dei danni, rispetto alla quale bisogna capire, oggi, se e in che modo funzioni, se effettivamente esista una possibilità di risarcire realmente il danno all'agricoltore.
La Coldiretti ci dice che, da questo punto di vista, non sono riusciti a reperire dati esaustivi, ma penso che le organizzazioni conoscano l'importo dei danni. Probabilmente, ciò che non si riesce a sapere è in che misura avvenga il risarcimento, regione per regione e provincia per provincia.
Il vostro punto di osservazione e la vostra relazione con gli agricoltori vi consente di avere dati attendibili, circa i danni subiti dai vostri associati e dagli associati delle altre organizzazioni.
Affermo ciò perché abbiamo svolto un ragionamento, anche se proprio lei ha sostenuto che, probabilmente, si potrebbe aprire la questione di pratiche assicurative a valere del Fondo di solidarietà nazionale.
Ebbene, voglio sapere - vista la complessità della questione e, in generale, della vicenda; visto che del risarcimento dei danni si occupa esclusivamente la legge n. 157 in cui si fa riferimento solo ai danni causati da quelle specie che sono di fatto «cacciabili»; visto che nella legge n. 157 vengono istituiti gli ambiti territoriali di caccia (ATC), i quali si assicurano nei confronti dei possibili danni che possono arrecare agli agricoltori, visto che c'è una situazione completamente disomogenea che si occupa della stessa materia - se lei non ritenga che un provvedimento legislativo che estrapoli questa materia dalla legge della caccia e che ne faccia un argomento di cui occuparsi in modo organico, partendo anche dalla gestione della fauna e, quindi, dalla sua prevenzione per disciplinare anche le modalità mediante le quali si indennizzano eventuali danni, possa essere dal nostro punto di vista e dal punto di vista degli agricoltori
(poiché questa è la Commissione agricoltura) utile a fare un po' di chiarezza.
PRESIDENTE. Do ora la parola al nostro ospite per la replica.
STEFANO MASINI, Responsabile area ambiente e territorio della Coldiretti. Ringrazio i deputati per gli interventi e, sia pur brevemente, desidero svolgere una replica.
Volutamente, sia nella nota depositata, sia nelle brevi osservazioni, ho inteso puntare l'attenzione sull'incidenza e sulla qualità del problema, non sulla questione
indennizzo. Preferiremmo non dover essere indennizzati del danno causato dalla fauna selvatica. Il punto non è l'indennizzo, bensì l'emergenza del problema.
La sua domanda è molto pertinente e vorrei risponderle in modo diretto e chiaro. Credo che la sede, rispetto alla quale poter affrontare e tuttora risolvere il problema, sia la disciplina in materia di gestione della fauna selvatica ed esercizio della caccia. È chiaro, infatti, che, se si risolve il problema, la presenza della fauna sul territorio diventa un problema di equilibrio.
La sede propria è quella di una programmazione del territorio (attraverso gli strumenti di pianificazione che ci hanno consentito di superare la precedente interpretazione dell'articolo 842) che consenta l'accesso del cacciatore al fondo, in una logica di gestione pubblica, di programmazione delle risorse e di sostenibilità della presenza della fauna, che può essere ricchezza sotto altro profilo anche per l'agricoltore, in relazione alle attività di servizio che quest'ultimo svolge.
Oggi siamo di fronte a una patologia. A nostro avviso, la patologia si risolve andando a incidere su alcuni strumenti di intervento, all'interno della normativa in materia.
L'onorevole Oliviero ricordava i vari interventi, il primo dei quali riguarda la prevenzione, tra i quali ricadono anche gli strumenti assicurativi. Sussistono, però, difficoltà ad assicurare i danni da fauna selvatica, in relazione alla possibilità di calcolare e riscuotere i premi. Ciò vale anche per le compagnie più prossime al settore.
L'ipotesi è, in ogni caso, soltanto incidentale. Non vorrei che questa Commissione si affannasse intorno a tale problema, date le difficoltà nel reperire risorse aggiuntive per il fondo di solidarietà, nel farne un elemento specifico e di analisi. Quello assicurativo è un tema che merita attenzione, ma probabilmente non è questo l' elemento che oggi ci permette di risolvere questa emergenza.
La prevenzione ha certamente un costo.Gli amici del WWF, con i quali abbiamo condiviso l'impostazione, non considerano il dato che trappolare, cioè piazzare le trappole, ha un costo notevole, tant'è vero che neanche gli enti parco oggi vi riescono. Non so se l'onorevole della Lombardia è a conoscenza del fatto che l'abbattimento dei cervi, nel Parco dello Stelvio, ha causato un ricorso al TAR da parte del WWF. Eppure, in quella realtà, il numero eccessivo dei cervi continua a provocare danni ingenti all'agricoltura di montagna e voi m'insegnate quanto sia difficile e precaria la condizione dell'agricoltura nelle aree marginali.
Accanto alle misure preventive, abbiamo l'abbattimento selettivo previsto dalla legge n. 157, attraverso il ruolo delle amministrazioni provinciali, che ad oggi, però, non è risultato sufficiente.
Infine, come extrema ratio, ancora in subordine, dal momento che l'autorità - non a caso parlavo di ordine pubblico - controlla le condizioni di sicurezza, abbiamo la Protezione civile, che interviene su molte materie (quali, ad esempio, il deflusso delle acque). Il sindaco è autorità di protezione civile, accanto al prefetto, demandato a valutare le situazioni di emergenza e autorizzato a emettere ordinanze contingenti e urgenti, in cui si conoscano i confini di tempo e dei mezzi che possono essere messi a disposizione per risolvere una data emergenza, attraverso una gerarchia di interessi (ambiente, agricoltura, caccia).
Veniamo alla sede. È in discussione al Senato la nuova modifica della legge n. 157. Ringrazio l'onorevole per avere richiamato la necessità di modificare la legge n. 394, considerando che il territorio non può essere considerato attraverso delle porte chiuse, bensì attraverso una nuova concezione europea di biodiversità di rete, quindi che tutto il territorio possa essere oggetto di valutazione quando si parla di incidenza dei danni. Sotto questo profilo, attraverso una riflessione di questa Commissione in particolare, quella sede potrebbe aprirsi alla discussione delle norme ritenute indispensabili.
Ricordo infine che, quando parliamo di indennizzo, parliamo sempre di una misura
riparatoria che - lei lo sa bene, signor presidente - è inferiore al danno effettivamente accertato. L'impossibilità da parte nostra di raccogliere i dati quantitativi, deriva dal fatto che ogni ambito territoriale di caccia, sulla base della delega provinciale, ha particolari procedure di erogazione dell'indennizzo. Dipende da ente a ente se, insieme al danno del cinghiale (specie cacciabile) si possano risarcire i danni del lupo. Risulta difficile, dunque, un censimento quantitativo del danno.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Masini per essere stato con noi e per averci fornito un panorama utile ed esaustivo ai fini delle nostre ulteriori valutazioni. La documentazione consegnata sarà allegata al resoconto della seduta.
Dichiaro quindi conclusa l'audizione.
La seduta termina alle ore 11,35.
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