Sulla pubblicità dei lavori:
Russo Paolo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEI DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA ALLE PRODUZIONI AGRICOLE E ZOOTECNICHE
Audizione dei rappresentanti del Movimento Fare Ambiente:
Russo Paolo, Presidente ... 3 4
Quarto Angelo, Presidente della commissione economia dello sviluppo del Movimento Fare Ambiente ... 3 4
Audizione dei rappresentanti della Federazione italiana della caccia (Federcaccia):
Russo Paolo, Presidente ... 4 7 8 10
Beccalossi Viviana (PdL) ... 8
Cenni Susanna (PD) ... 7
Dall'Olio Gianluca, Vicepresidente della Federcaccia ... 4 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione dei rappresentanti del Movimento Fare Ambiente.
Sono presenti il professor Angelo Quarto, presidente della commissione economia dello sviluppo, l'avvocato Ester Andreotti, responsabile dell'ufficio legale iniziative legislative, la dottoressa Anna Pepe, responsabile relazioni esterne e il dottor Giuseppe Colasurdo, responsabile della segreteria nazionale.
Do la parola al professor Angelo Quarto, presidente della commissione economia dello sviluppo del Movimento Fare Ambiente.
ANGELO QUARTO, Presidente della commissione economia dello sviluppo del Movimento Fare Ambiente. Ringrazio il presidente per averci concesso la possibilità di far presente le nostre istanze e di dare un contributo a questa indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche.
Il Movimento Fare Ambiente è un movimento ecologista costituitosi circa due anni fa su iniziativa di un gruppo di docenti universitari esperti in politica e gestione dell'ambiente e soprattutto di molti giovani e lavoratori che hanno deciso di contrastare una metodologia anacronistica di tutela dell'ambiente. Il Movimento Fare Ambiente è dunque favorevole a utilizzare le conoscenze non per proteggere l'ambiente considerato come un museo, un posto in cui non si possa prevedere o realizzare alcuna attività economica, ma per un'integrazione molto forte tra l'ambiente, gli uomini, le attività economiche, soprattutto quelle agricole.
Il contributo che Fare Ambiente intende dare a questa indagine conoscitiva e a questo dibattito consiste nel collaborare alla raccolta dati e informazioni per valutare l'entità economica dei danni causati dalla fauna selvatica all'agricoltura, dal momento che non esistono statistiche ufficiali che diano certezza dell'entità di questi danni. Il nostro contributo potrebbe dunque consistere nel collaborare con le istituzioni, soprattutto con l'ISPRA, nella raccolta di questi dati, per valutare in seguito quali azioni intraprendere. Potremmo collaborare con l'ISPRA e le istituzioni deputate al controllo del carico della fauna selvatica nei diversi territori, al fine di ricreare le condizioni di equilibrio di ecosistemi fortemente compromessi
dalla presenza di fauna selvatica in eccesso rispetto a quella che il territorio riesce a sostenere.
Un'altra forma di interesse sulla quale Fare Ambiente potrebbe esercitare un ruolo attivo è quello di studiare nuove forme di ingegneria finanziaria volte ad alleviare l'esborso di enti e di istituzioni per il rimborso dei danni provocati dalla fauna selvatica. Potremmo studiare con l'ISPRA o le altre istituzioni nuove formule di assicurazione o per la creazione di un fondo di solidarietà per ripagare tali danni.
Fare Ambiente si ripropone dunque di continuare a lavorare in sinergia con gli enti e le istituzioni deputate al controllo del territorio, garantendo loro la nostra piena collaborazione. Grazie.
PRESIDENTE. L'idea dell'indagine conoscitiva nasce dall'esigenza di comprendere esattamente lo stato dell'arte, ma anche le sollecitazioni provenienti dal mondo delle associazioni venatorie e ambientaliste. In questo senso si inserisce la nostra sollecitazione ad audirvi e comprendiamo le ragioni delle vostre indicazioni.
Se nelle prossime giornate o nelle prossime settimane riteneste di fornire dati, approfondimenti, valutazioni anche per iscritto, questa Commissione sarà ben lieta di accogliere le vostre sollecitazioni.
ANGELO QUARTO, Presidente della commissione economia dello sviluppo del Movimento Fare Ambiente. Vi ringrazio ancora per l'opportunità. Nei prossimi giorni, vi faremo pervenire un documento più dettagliato e diffuso, assicurando piena collaborazione nella raccolta dati e per eventuali, ulteriori approfondimenti, studi e ricerche in tale campo.
PRESIDENTE. Nel ringraziarvi per la vostra presenza, dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione di rappresentanti della Federazione italiana della caccia (Federcaccia).
Do la parola al vicepresidente della Federcaccia, dottor Gianluca Dall'Olio.
GIANLUCA DALL'OLIO, Vicepresidente della Federcaccia. Vorrei affrontare il problema dei danni alla fauna selvatica all'interno di uno scenario rispetto alla realtà relativa agli ungulati in Italia che già circa venti anni fa era stata prefigurata dalla letteratura scientifica italiana, in buona parte curata dall'allora Istituto nazionale della fauna selvatica.
Oggi, tale scenario si trova nella fase più concreta e più cruda. Il fatto che nel lontano 1992 la legge n.157 non abbia potuto tener conto del prefigurato scenario e abbia disciplinato in maniera abbastanza superficiale l'aspetto del prelievo, del controllo e della gestione degli ungulati, ha fatto sì che oggi il problema sia molto marcato.
Le regioni si sono occupate in modo disomogeneo della mancanza assoluta di previsioni in questo senso. Chi ha affrontato il problema in maniera corretta e attenta, come la Toscana, sebbene ricca di problematiche per la presenza massiva e massiccia della fauna ungulata, o anche l'Emilia-Romagna, ha parzialmente risolto il problema.
Ritengo che l'aspetto principale che dovrebbe essere affrontato anche nell'iter che si sta prefigurando di modifica della legge n. 157 sia una più attenta distinzione fra l'esercizio dell'attività venatoria e il controllo faunistico. I due aspetti sono estremamente distinti, come l'Europa ci insegna per quanto riguarda la fauna degli ungulati, pur distinguendo fra suidi e cervidi, dal momento che il cinghiale ha un'incidenza rispetto ai danni al comparto agricolo molto più pesante rispetto ai cervidi. Sia il problema venatorio, sia il controllo faunistico, attraverso l'utilizzo dell'attività venatoria, devono essere disciplinati in maniera omogenea dalla normativa statale.
In questo senso sono già state avanzate alcune indicazioni nella proposta del relatore, su cui ci si può ulteriormente confrontare. Un tavolo ha dunque aperto in questo senso un confronto problematico e ricco di conflitti, di cui però si auspica la tenuta e la possibilità per il relatore di suggerire soluzioni relativamente all'aspetto del controllo faunistico effettuato attraverso l'utilizzo di una realtà quale il mondo venatorio preparata e qualificata.
Desidero citare l'esempio dell'Emilia-Romagna, che ha istituito la categoria dei coadiutori, cacciatori che, sottoposti a successivi esami, possono accedere al prelievo nelle aree e negli istituti protetti previsti dalla legge n. 157 del 1992 anche durante stagioni diverse rispetto a quelle dedicate al prelievo venatorio, con benefici sul controllo faunistico esercitato su alcune specie problematiche quali gli ungulati.
Considero estremamente importante dal punto di vista dell'organizzazione del calendario venatorio, come già ottenuto da molti Paesi europei, il criterio della «destagionalizzazione» del prelievo degli ungulati, con grande attenzione ad un prelievo selettivo. Questo è sconosciuto alla normativa italiana, ad esempio per quanto riguarda il prelievo per classi di età. Il maggior danno è causato in particolare dalle classi di età più giovani, i cosiddetti «rossi» dei cinghiali, che, come i bambini piccoli, sono meno controllabili; certamente una classe con soli adulti renderebbe minore e più sostenibile il danno al comparto agricolo. L'intervento dovrebbe quindi essere selettivo, operato per classi di età più sui giovani che sugli adulti, come da anni ribadito in tutti i trattati scientifici.
Considero quindi significativa la «destagionalizzazione» del prelievo. La Germania preleva i «rossi» dei cinghiali tutto l'anno come anche la volpe, altro aspetto estremamente importante. È necessaria l'assoluta attenzione ai normali criteri conservativi.
La normativa di cui all'articolo 19 dell'attuale legge vigente, che si rifà ai pareri dell'Istituto nazionale della fauna selvatica, stabilisce che lo Stato italiano assegni all'ISPRA risorse necessarie allo svolgimento del suo ruolo.
Se l'Istituto, come recita l'articolo 19, ritiene utili ed efficaci i metodi di contenimento ecologico, mi domando come, in ragione della sua organizzazione, del suo organigramma, della sua struttura, delle risorse che riceve, possa svolgere indagini conoscitive attendibili sull'efficacia dei progetti o dei processi di contenimento ecologico. Ritengo che oggi le regioni siano certamente più in grado di stabilire se le iniziative di contenimento ecologico, quindi trappolamenti e catture, possano essere efficaci nei confronti di queste specie. Domani l'INFS, se ristrutturato e meglio finanziato, potrà rispondere anche al requisito che si rifà a un parere dell'INFS stesso.
Lo scenario futuro non sarà tendenzialmente migliorativo per quanto riguarda il valore faunistico espresso sul territorio italiano dagli ungulati, che sono in incremento in tutta Europa. I dati statistici, recentemente presentati anche da qualche istituto universitario, collocano l'Italia al terzo posto in Europa per densità percentuale di ungulati, cervidi e cinghiali compresi, dopo la Francia e dopo l'Austria, e forse al pari della Germania. Questo aspetto non potrà ridurre i danni che questi possono causare al comparto agricolo. È quindi necessario prevedere un incremento dei danni non soltanto degli ungulati, che provocano danni soltanto al comparto agricolo, ma anche di altri animali oggi giustamente protetti quali il lupo, il cui incremento è fortunatamente inferiore a quello del cinghiale e di altri ungulati.
Come sta avvenendo negli ultimi anni in Francia, il lupo potrà produrre danni agli allevamenti zootecnici, soprattutto quelli realizzati a cielo aperto. Sarà quindi necessario produrre preventivamente tutte le istanze con criteri fortemente conservativi per il valore intrinseco di questa specie reintrodotta e per il valore assunto agli occhi dell'opinione pubblica come bene collettivo.
Nonostante questo sia un bene fondamentale, degno del totale rispetto conservativo, il problema si è già proposto in altri Paesi europei. In un prossimo futuro, anche l'Italia dovrà preoccuparsi di mettere in atto provvedimenti in grado di gestire la presenza di animali fortemente problematici per il comparto zootecnico, come il lupo.
Considero necessario anche un piano di gestione complessiva degli ungulati, che veda il coinvolgimento anche dello Stato e non soltanto delle regioni in ordine molto sparso. Per quanto riguarda il cinghiale, alcuni ambiti territoriali di caccia in alcune regioni d'Italia, in particolare nel Mezzogiorno, nel 2007 e nel 2008 - auspico che ciò non avverrà anche nel 2009 - hanno utilizzato soldi pubblici o soldi derivanti dalle casse degli ATC, quindi forniti anche dal contributo degli aventi diritto agli ATC, per immettere i cinghiali. Questo si è verificato in Calabria e in Campania.
Ritengo che tale profilo debba essere immediatamente disciplinato, trattandosi di un animale fortemente prolifico, il cui mancato controllo demografico produce conseguenze drammatiche per il comparto agricolo. Un provvedimento di limitazione, di moratoria sulla reimmissione o immissione di questa specie, era necessario ieri piuttosto che domani.
Ho letto con attenzione la relazione prodotta dal WWF e possiamo anche essere d'accordo sulle iniziative di cattura e di abbattimento. Molti cacciatori, il cui comportamento è anche difficilmente sottoponibile a controllo da parte della nostra e dalle altre associazioni venatorie, utilizzano la presenza massiva del cinghiale per premiare il carniere ed esercitano nei confronti dei cosiddetti «cinghialai» o cacciatori di cinghiale un forte interesse egoistico.
La distinzione fra organizzazione del prelievo venatorio in termini di calendario e l'azione civile e necessaria di contenimento deve essere organizzata, poiché per ora non lo è, se non in senso spontaneo. Questa distinzione potrebbe essere utilizzata, se potessero essere messe a disposizione le risorse per le iniziative che le stesse imprese agricole possono intraprendere per costruire impianti di cattura di animali poi destinati a eventuale abbattimento soprattutto per quanto riguarda la specie dei suidi, come dei cervidi, per il valore e l'impatto diverso che le due specie danno al comparto agricolo.
Alcune regioni hanno tenuto in considerazione l'Asse 2 dei Piani di sviluppo rurale, che per tutto il circuito di Rete Natura 2000 prevede investimenti destinati in questo senso. Come sottolineato dal WWF, poche regioni hanno recepito e possono disporre di risorse a livello europeo sull'Asse 2 dei Piani di sviluppo rurale, che sono destinati ad iniziative di questo tipo, almeno per quanto riguarda la direttiva «uccelli» e la direttiva «habitat».
Saremmo grati al comparto agricolo, se dimostrasse un senso di responsabilità rispetto al valore che la fauna rappresenta. Capisco che ciascuno paghi il debito ai propri interessi di bottega, ma la fauna è un valore collettivo in particolare per il mondo venatorio, che non soltanto si ricrea, ma conserva la propria cultura millenaria. Si auspica che possa mantenerla esercitandola in maniera corretta in termini comportamentali, ma anche il mondo agricolo deve fare la sua parte. Ciascuno ha quindi la propria responsabilità.
In una passata legge finanziaria, era stato stabilito che il 50 per cento delle risorse pagate dai cacciatori che ammontano sicuramente a più di 150 milioni di euro all'anno e coprirebbero ampiamente il prodotto dei danni causati, fosse riversato nelle casse delle regioni. Queste avrebbero così risorse disponibili per far fronte alle diverse iniziative sinergiche destinate al contenimento corretto e conservativo della fauna e a un più congruo risarcimento dei danni così come ad un indennizzo. Al tavolo degli stakeholder, Coldiretti, CIA e Confagricoltura hanno chiesto che la normativa relativa al risarcimento dei danni sia rivisitata, giacché molti riescono a ottenere al massimo un indennizzo.
Questo si auspica anche per altri animali fortemente problematici, quali il
cervo nel parco che vede coinvolta la regione toscana, in una gestione congiunta con l'Emilia-Romagna. Nella parte più coltivata di quel parco che riguarda l'Emilia-Romagna, dove ci sono ancora produttori agricoli che consegnano quote-latte per la produzione di parmigiano reggiano, produzione pregiata in una economia ancora rilevante per il nostro Paese, i danni sono fortemente vicini a quelli causati dai limitrofi cinghiali. Quindi anche il cervo, se presente in forma massiva, è in grado di causare danni considerevoli.
Credo quindi che la partita sia aperta e necessiti di provvedimenti che possono anche essere ricondotti a un piano generale di gestione degli ungulati, che veda coinvolto lo Stato, e di una urgente rivisitazione della normativa. Auspichiamo che un altro animale problematico, lo storno, possa essere inserito nelle specie cacciabili e possano essere presi provvedimenti concreti.
Tra gli animali inseriti nell'elenco delle specie problematiche soprattutto da Coldiretti, il piccione terraiolo provoca notevoli danni come anche la nutria, che espandendosi crea danni non direttamente al comparto agricolo ma alle condotte acquee, ai fossi, agli argini. Provengo dall'Emilia-Romagna, dove nella bassa parmense, nella bassa reggiana fino a Ferrara la presenza di nutrie è massiva. Le attività di contenimento esercitate dai cacciatori sono significative. Ci sono impedimenti nel trattamento delle spoglie, appesantiti da aspetti burocratici fortemente limitativi dell'azione di contenimento, ma si tratta di questioni che possono essere riviste.
Concludo con una riflessione relativa al cosiddetto. «elastico» del criterio conservativo: in molti Paesi europei il criterio conservativo è sempre salvaguardato e l'elastico si può allungare e accorciare prestando estrema attenzione, dati statistici e censimenti alla mano, alla quantità di animali presenti. In Italia, i dati sono poco conosciuti. Al Ministero dell'agricoltura non esiste una direzione né un dipartimento che possa contribuire a fare sintesi sui dati che le regioni, gli ATC e i gestori dei parchi invece conoscono. Credo che esista la necessità di un momento di sintesi rispetto alla realtà del territorio nazionale, che questo Paese non conosce. Le audizioni possono contribuire a completare il quadro conoscitivo, ma non sono elemento essenziale per costruire un quadro conoscitivo utile a una gestione programmabile per il futuro, che riguarda tutte le specie problematiche. Sulla base dei criteri conoscitivi e
delle necessarie valutazioni tecnico-scientifico, possibilmente condivise, «l'elastico» del criterio conservativo potrà essere sempre mantenuto allungandosi e accorciandosi nel rispetto dell'assoluta necessità legata alla presenza degli animali stessi.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
SUSANNA CENNI. Ringrazio il vicepresidente di Federcaccia per la sua relazione. Colgo anche l'occasione per esprimere un apprezzamento per la volontà del presidente della Commissione nell'intraprendere questa serie di audizioni.
Desidero esprimere due veloci considerazioni e porre una domanda. Ritengo infatti doveroso intervenire urgentemente sul reale tema dei danni piuttosto che operare altre scelte.
Non condivido assolutamente quanto sta avvenendo in sede di Commissione ambiente al Senato, perché credo che questo tema, che ha una peculiarità e un'urgenza particolare, debba essere affrontato in modo diverso e possibilmente condiviso, ammesso che ce ne siano le condizioni, e debba avere una corsia preferenziale: Ciò non potrà avvenire nell'ambito della discussione che si sta aprendo alla Commissione Ambiente al Senato. Gli elementi di divisione in quella sede sono infatti innumerevoli e dalle agenzie di stampa si apprende come non vi sia una condivisione nemmeno all'interno del cosiddetto tavolo degli stakeholder rispetto al tipo di impostazione scelta di modifica della legge n. 157. Il lavoro condiviso che potremmo fare in Commissione agricoltura potrebbe invece consentirci di avere,
in tempi abbastanza brevi, un testo, che autonomamente intervenga su questa delicata e complicata materia, che presenta tanti aspetti diversificati.
Poiché lei ha richiamato il testo di cui è relatore di maggioranza in Commissione ambiente il senatore Orsi, auspicando che in quel tipo di proposta si colga l'occasione per intervenire in materia, vorrei chiederle se non ritenga invece possibile intervenire in materia di danni, visto che le problematiche sono molto particolari, con un testo a sé stante e, quindi, con un provvedimento anche urgente, condiviso anche con le regioni, che hanno competenza in materia, che però viaggi autonomamente, senza essere legato alla discussione che si sta aprendo al Senato sulla modifica della legge n. 157.
Credo che su questa materia ci siano anche casistiche molto diverse. Lei ha citato la questione storni su cui questa Commissione ha già unanimemente assunto una posizione, la questione ungulati, che ha una sua peculiarità e che sta producendo in Italia anche pesantissimi danni di carattere ambientale e paesaggistico, quindi non solo all'agricoltura, alle colture di pregio; per esempio, in alcune regioni come la Liguria che si caratterizza per i cosiddetti. «muretti a secco» si sta distruggendo consistenti parti di ambiente ripristinato attraverso interventi pubblici. È necessario inoltre considerare tutta la partita di nuove emergenze legate al lupo, che richiedono interventi di natura diversa, di protezione, di salvaguardia dell'agricoltura.
La scorsa settimana, in Toscana, si è svolta una conferenza sul tema dei danni, che ha avuto un momento di massima attenzione e richiede iniziative di intervento straordinario.
VIVIANA BECCALOSSI. Ringrazio il vicepresidente di Federcaccia, di cui condivido molte considerazioni. Il suo lungo intervento ha toccato diversi punti, tra cui il ruolo dell'Istituto nazionale di fauna selvatica e quello di una sostanziale mancanza di unità operativa presso il Ministero dell'agricoltura che si occupa prevalentemente di caccia. L'Istituto nazionale di fauna selvatica è nato anche per sopperire a questo vuoto e doveva fungere da trait d'union tra il Ministero dell'ambiente e il Ministero dell'agricoltura.
Rischiando di andare fuori tema, dal momento che ho avuto modo di gestire la materia in una regione difficile in cui la caccia al passero, allo storno è quasi una missione di vita per 100 mila cacciatori, vorrei sapere se lei ritenga che oggi l'Istituto nazionale di fauna selvatica abbia ancora ragione di esistere, anche se rimodernato o con più risorse, o se sarebbe più opportuno costituire unità operative piuttosto che direzioni presso il Ministero dell'agricoltura.
Per legiferare in materia di caccia, infatti, le regioni devono essere supportate dall'Istituto nazionale di fauna selvatica, che peraltro spesso deve fornire dati anche per quanto riguarda la sofferenza di una specie, ma dovrebbe anche raccogliere dati per quanto riguarda i danni in materia agricola provocati dalla fauna selvatica.
Anche le regioni, a cui paradossalmente la normativa a livello nazionale affida la competenza di legiferare in materia di caccia, ordinaria o straordinaria, che peraltro il Governo può sempre impugnare, devono comunque affidarsi all'Istituto nazionale di fauna selvatica.
Vorrei sapere quindi se ritenga che due o tre osservatori interregionali sul territorio, uno che segua le migrazioni e raccolga dati per il centro-nord, uno per il centro-sud e uno per il sud potrebbero rappresentare una soluzione più operativa o se invece consideri necessario rifondare l'Istituto nazionale di fauna selvatica.
PRESIDENTE. Do la parola al vicepresidente di Federcaccia, Gianluca Dall'Olio, per la replica.
GIANLUCA DALL'OLIO, Vicepresidente della Federcaccia. Rispetto all'ordine delle domande, comincerei da quelle dell'onorevole Cenni. Credo che l'aspetto emergenziale debba essere sottoposto a terapie emergenziali. Esiste tuttavia una ordinarietà nella materia faunistico-venatoria,
che per ragioni di tempo, di sensibilità, di realtà territoriale non è stata disciplinata nel 1992 e deve essere disciplinata con urgenza oggi.
Ritengo che le regioni così come i prefetti o i sindaci gestiscano la materia come la Costituzione italiana impone, dal momento che la delega è data alle regioni, che devono assumersi la responsabilità e avere la concreta possibilità di gestire l'aspetto del controllo faunistico da tutti i punti di vista, compresa l'incidenza dei danni ai comparti agricoli o altri che possono sopravvenire attraverso la gestione ordinaria. Ritengo quindi che la normativa debba essere rivista per far fronte alla gestione ordinaria con le modifiche necessarie.
Tutti i dati degli scenari possibili identificati per il prossimo futuro nel nostro Paese vedono una massiccia e sempre più intensa presenza di ungulati, che non possono essere mantenuti sul territorio con criteri esclusivamente conservativi. L'uomo ha il dovere di gestire, gli è stato dato un mandato, non so da chi, sicuramente dalla superiore intelligenza, giacché l'homo sapiens ha sempre gestito e credo debba continuare a gestire la materia in maniera sempre più laica. Nel nostro Paese, le fedi non si contano anche dal punto di vista degli atteggiamenti espressi; senza voler aprire alcuna polemica con il mondo ambientalista, auspico che la parte più sensibile e laica dello stesso possa convergere su valutazioni per il benessere complessivo di quello che spero diventi il sistema di controllo complessivo della materia faunistico-ambientale e del prelievo venatorio.
Auspico una saggia programmazione, già realizzata negli altri Stati anche attraverso fortissimi criteri di mediazione e di condivisione voluti dai Governi, che hanno voluto la presenza ad un tavolo di confronto con un mediatore molto forte, che ha risollevato la questione, ottenendo momenti di forte condivisione e legiferando con frequenza. Lo Stato italiano ha invece legiferato in materia solo quattro volte in settanta anni: la legge Acerbo del 1939, il cosiddetto «Testo unico», nel 1967 con l'abolizione improvvisa di tutta l'uccellagione, nel 1976 la legge stralcio n. 968 e poi nel 1992. Legiferiamo in media ogni venti anni; non mi riferisco soltanto ai temi che hanno un valore molto forte nel mondo domestico di Federcaccia o dei cacciatori; la materia è complessa, giacché riguarda l'ambiente, la fauna, il prelievo venatorio e credo che l'attenzione dello Stato debba essere diversa rispetto a quella fin qui storicamente dimostrata.
È quindi necessario accelerare e superare le divisioni. Il Governo dovrebbe assumersi la responsabilità di porre la logica della mediazione tra le parti sociali, in particolare quando diventano molto suscettibili, come è adesso tutto il comparto agricolo, con il quale è molto difficile confrontarsi anche al tavolo degli stakeholder, perché ha posto una barriera oltre la quale non vuole scendere ad alcun patto. Queste necessità non possono essere fatte arrivare ad estreme realtà di urgenza, di emergenza e di necessità.
Per questo, onorevole Cenni, considero necessario mettere mano a una riorganizzazione normativa che riguardi la gestione ordinaria, che possa permettere poi alle regioni di decidere, perché lo Stato ha la potestà di definire i tempi e le specie cacciabili, sulla quale vi è un valore molto ampio e anche fortemente discrezionale. Credo quindi che in questo senso lo Stato debba esprimersi. Sarebbe anche opportuno condividere un criterio conservativo fortemente e laicamente adattabile alla realtà contingente. Concordo poi con lei nel ritenere che l'emergenza debba essere affrontata con un provvedimento d'urgenza, anche diverso rispetto alla normativa vigente.
Tutti i Paesi europei hanno organismi di certificazione della realtà ambientale faunistica e di conseguenza anche della misurabilità del prelievo venatorio fortemente consolidati e dipendenti dallo Stato.
L'istituto europeo per eccellenza è l'Office National de la Chasse et de la Faune Sauvage francese, che riceve dallo Stato più di 70 milioni di euro annui per la gestione ed è diviso in oltre 32 dipartimenti, è regionalizzato ed è un lungo
braccio che agisce sul territorio, perché è difficile dall'Emilia poter conoscere la realtà di Crotone. L'Istituto nazionale della fauna selvatica oggi ISPRA deve essere rafforzato e organizzato in strutture regionalizzate, che siano fortemente dipendenti da identiche e condivise direttive dell'organo centrale e possano svolgere un'importante funzione operativa.
È stato chiesto quale sia l'organismo competente a raccogliere i dati statistici, chi misuri l'effettivo prodotto delle attività venatorie in Italia. Nessuno. Abbiamo l'obbligo di avere un tesserino, i cacciatori annotano la giornata di caccia, segnano il prelievo venatorio, la regione raccoglie i dati e poi li fornisce solo a se stessa. Il confronto di sintesi a livello nazionale è dunque molto difficile, laddove invece, al di là dei censimenti, il dato dell'avvenuto prelievo è fortemente significativo.
Un progetto europeo raccomanda, unitamente a una direttiva, la misurabilità del prelievo venatorio. Credo che in questo senso la regionalizzazione degli istituti possa produrre un più alto livello di attenzione e quindi di conseguenza una produzione di dati statistici e conoscitivi estremamente importanti, che possono essere legati non soltanto al prelievo. L'intensità, la qualità e la quantità del prelievo potranno essere fortemente collegabili all'eventuale riduzione del danno, alla modularità della quantità del prelievo in ragione del danno.
Gli istituti regionali devono essere fortemente collegati in senso sinergico ad un istituto nazionale. Credo che ognuno debba svolgere il proprio ruolo, ovvero lo Stato debba fare lo Stato e l'Istituto nazionale della fauna selvatica fare l'INFS, ovvero l'istituto di certificazione dei dati che l'ambiente produce senza fare le leggi e nemmeno condizionarle.
Abbiamo ribadito anche al tavolo che i pareri dell'INFS hanno dato luogo a un numero infinito di contenziosi. Il parere dell'INFS è diventato, per volontà dei TAR italiani, vincolante e quindi fonte di diritto, nonostante i periodi di incertezza del diritto prodotti fino a ordinanza respinta o accolta dal Consiglio di Stato. Tutto questo necessita di una rivisitazione, sebbene appaia necessario avere un istituto certificatore, che svolga il proprio ruolo senza entrare in quello che invece appartiene ad altre istituzioni dello Stato.
PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente di Federcaccia, dottor Dall'Olio, anche per gli ulteriori approfondimenti che vorrà fornirci in seguito.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,45.