Sulla pubblicità dei lavori:
Russo Paolo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEI DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA ALLE PRODUZIONI AGRICOLE E ZOOTECNICHE
Audizione dei rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale Ambiente e/è vita, Fare verde, Italia nostra e Lega italiana protezione uccelli (LIPU):
Russo Paolo, Presidente ... 3 4 6 7
Catanoso Basilio (PdL) ... 7
Iacobelli Claudia, Consigliere nazionale dell'associazione Fare verde ... 3
Selvaggi Camillo Danilo, Responsabile per i rapporti istituzionali della LIPU ... 4 6
Zucchi Angelo (PD) ... 7
Audizione dei rappresentanti delle associazioni venatorie Associazione nazionale libera caccia (ANLC), Associazione italiana della caccia (Italcaccia), Associazione dei migratoristi italiani (ANUU) e Unione nazionale Enalcaccia, pesca e tiro:
Russo Paolo, Presidente ... 8 10
Cicognani Roberto, Vicepresidente nazionale dell'Unione nazionale Enalcaccia, pesca e tiro ... 8
Trotta Romeo, Componente dell'ufficio di presidenza nazionale dell'ANLC ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 12,35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione dei rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale Ambiente e/è vita, Fare verde, Italia nostra e Lega italiana protezione uccelli (LIPU).
Ricordo che la Commissione ha deliberato tale indagine nella seduta del 20 gennaio 2009.
Sono presenti, per Fare verde, la dottoressa Claudia Iacobelli, consigliere nazionale, per Lega italiana protezione uccelli (LIPU) il dottor Camillo Danilo Selvaggi, responsabile dei rapporti istituzionali.
Le associazioni Italia nostra e Ambiente e/è vita hanno comunicato di non poter inviare i propri rappresentanti e faranno pervenire alla Commissione un documento scritto.
Segnalo, inoltre, che alla presente audizione era stata invitata anche l'associazione Amici della terra, che ha preventivamente dichiarato di essere impossibilitata ad intervenire.
Do la parola ai rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale per lo svolgimento del loro intervento, cui potranno fare seguito eventuali domande dei colleghi della Commissione.
CLAUDIA IACOBELLI, Consigliere nazionale dell'associazione Fare verde. Ringrazio l'onorevole presidente per la convocazione a questa audizione. Sicuramente egli è a conoscenza della costituzione del tavolo degli stakeholder, composto dalle associazioni ambientaliste Amici della terra, Fare verde, Lega ambiente, LIPU e WWF, dalle associazioni venatorie Arcicaccia, Federcaccia e Italcaccia e dalle associazioni agricole CIA, Confagricoltura e Coldiretti.
Siamo fondamentalmente convinti che la legge n. 157 del 1992 sia una buona legge e rappresenti un compromesso fra le varie esigenze ambientaliste, agricole e venatorie. Chiaramente, alcune sue parti devono essere modificate e aggiornate.
Come tavolo, siamo partiti con la sottoscrizione di alcune linee guida generali che sono contenute in un documento. In questo momento, siamo in fase di revisione puntuale dell'articolato. Proprio in questi giorni è in discussione il problema dei danni da fauna selvatica; anzi, in questo momento, altre persone stanno
svolgendo il lavoro al posto nostro, comunque le raggiungeremo subito dopo l'audizione.
Come ho già avuto modo di sottolineare, gli elementi che contraddistinguono questo lavoro sono un grande sforzo di sintesi e la sincera volontà delle parti in causa di trovare una soluzione condivisa, anche quando questo comporti, come è accaduto in molti casi, la rinuncia alla difesa di interessi delle singole sigle.
«Fare verde» non si sente di esprimere posizioni in merito ai danni da fauna selvatica fino a quando non sarà disponibile l'articolato ufficiale condiviso dal tavolo. Tuttavia, siamo qui per ribadire ciò che, in merito ai danni, è stato sottoscritto nel documento del tavolo, ossia che deve essere lo strumento di conoscenza e di indirizzo per la conservazione e la gestione della fauna selvatica e della sua compatibilità con le attività umane. Da ciò deriva che si deve rivedere la normativa sul risarcimento dei danni da fauna selvatica e definire strumenti idonei per la gestione delle specie selvatiche cosiddette «problematiche», con particolare riferimento ad alcuni ungulati, nel rispetto delle norme contenute nelle direttive CEE, al fine di rafforzare le specifiche misure di prevenzione dei danni.
Qualora queste risultino inefficaci, è necessario il ricorso al controllo faunistico, inteso come attività straordinaria di contenimento numerico, da effettuarsi nel territorio agro-silvo-pastorale per il soddisfacimento di un primario interesse pubblico e a difesa del reddito agricolo.
In prima istanza, per noi è fondamentale la prevenzione seria dei danni. Inoltre, nel caso del controllo faunistico, sempre inteso come attività straordinaria, è importante che esso non diventi occasione di fare cassa o di far realizzare un business.
Per noi questo è fondamentale. Spero che gli organi legislativi vogliano accogliere queste istanze e, soprattutto, comprendano il grande lavoro che stiamo svolgendo di concertazione tra sigle estremamente differenti. Grazie.
CAMILLO DANILO SELVAGGI, Responsabile per i rapporti istituzionali della LIPU. Signor presidente, esprimo un ringraziamento per l'invito da parte della nostra associazione, la LIPU, che è impegnata per la conservazione della natura e per la promozione di una cultura ambientale corretta. Dico questo perché guardiamo alla questione del danno da fauna ...
PRESIDENTE. Mi faccia dire che tutte le associazioni che abbiamo ascoltato hanno utilizzato l'aggettivo «corretta».
CAMILLO DANILO SELVAGGI, Responsabile per i rapporti istituzionali della LIPU. Noi lo utilizziamo semplicemente perché possono esserci culture ambientali scorrette, dunque lo diciamo ad excludendum.
Inoltre, noi guardiamo alla questione del danno con un occhio di riguardo per la fauna selvatica, per gli ambienti naturali e per la biodiversità. È con tale approccio che noi vogliamo guardare a questo tema. Nondimeno, siamo un'associazione che guarda alla scienza, che crede nella proposta e nei programmi gestionali e, quindi, è convinta che il modo migliore per difendere la natura sia quello di promuovere reali politiche di integrazione tra l'orizzonte socio-economico e l'orizzonte ambientale. Tali orizzonti, peraltro, sono scissi soltanto nell'ambito di una visione non corretta del mondo.
Dico questo, signor presidente, perché si tratta di un pensiero che riguarda molto da vicino la questione del conflitto tra economia ed ecologia e, in questo caso particolare, la questione del danno da fauna selvatica all'agricoltura.
Premessa indispensabile è che si tratti di danni non ordinari, quindi non danni che derivano da qualsiasi ordinario rischio di impresa. Qui, evidentemente, deve trattarsi di danni ingenti e straordinari, che ci chiamano ad affrontare una situazione altrettanto straordinaria. Il tema della quantificazione del danno, quindi, deve essere messo in chiaro con dati certi e attendibili.
Abbiamo letto, ultimamente, cifre a volte aleatorie. Importante è, invece, che le cifre e le stime siano precise ed attendibili. Soprattutto, signor presidente, è importantissimo capire cosa, dove, perché e a causa di chi si verifichino questi danni; è necessario, cioè, produrre un'analisi seria ed esaustiva della situazione per capire quale panorama abbiamo di fronte.
In questo senso, vorrei far notare che il programma di indagine stilato da questa Commissione è molto corretto, soprattutto nei primi due punti - rivolgo, pertanto, i complimenti alla Commissione - laddove chiama innanzitutto a due impegni: ricostruire il quadro preciso del fenomeno (tipologia dei danni, quantificazione, tipo di culture danneggiate e specie animali che sono interessate dal fenomeno) e capire, elemento questo di assoluto rilievo, cosa hanno fatto in concreto finora le amministrazioni centrali e periferiche.
A questi due punti ci permettiamo di aggiungere altri due aspetti che, a nostro avviso, sono di grande importanza. Il primo è di ordine scientifico e conservazionistico e consiste nella necessità di individuare e studiare le cause più generali del fenomeno che si sta verificando. Si tratta di capire, cioè, il motivo per il quale aumentano i danni. I danni aumentano perché cresce il numero di determinate specie, aumenta l'urbanizzazione e diminuiscono gli habitat naturali, aumentano le aree agricole - in particolare quelle a cultura intensiva - e sono drasticamente diminuiti i predatori naturali. In generale, soprattutto negli ultimi decenni, si è determinata una serie considerevole di gravi e diffusi squilibri naturali. Ovviamente, gli squilibri naturali generano ulteriori squilibri naturali. Su questo credo che ci sia una consapevolezza generale.
È ineludibile, previo il fallimento di ogni politica gestionale, partire dal rilancio di programmi di conservazione della natura che siano efficaci e di altissima qualità. Di questo obiettivo le istituzioni, a partire da questa Commissione, devono assolutamente farsi carico. Noi perdiamo, da un lato, specie e habitat naturali che sono un patrimonio comunitario e della nazione, un valore costituzionale, che come tale va difeso; dall'altro lato, questi squilibri comportano altri squilibri anche gravi, ad esempio quelli di natura economica.
Nel momento in cui tracceremo l'elenco delle specie che, in un luogo o nell'altro, determinano situazioni problematiche, ci renderemo conto che ce ne sono alcune - il cervo, il capriolo, il daino, ma anche alcune specie alloctone, ad esempio le nutrie - la cui problematicità reale, pur essendo magari ridotta e molto localizzata, richiede delle risposte e non può non essere affrontata attraverso una migliore attività di conservazione e gestione della natura (quello che gli inglesi e gli americani definiscono il management ambientale). Naturalmente, tali situazioni necessitano anche di risposte in termini di risarcimento alle aziende e alle imprese danneggiate.
D'altra parte, è evidente a tutti che oggi il problema vero ha un nome preciso, che è quello del cinghiale. Il cinghiale è la specie che oggi crea i maggiori problemi, con il rooting, con l'alimentazione nei campi coltivati e così via. Il cinghiale ha avuto un trend di straordinario incremento demografico nel corso degli ultimi decenni e degli ultimi anni. Qual è il motivo? Certo, molte cause rimandano a quello che dicevo precedentemente, ovvero a squilibri naturali vari. Esiste, tuttavia, un fenomeno a sé stante, grave e assolutamente determinante, ossia l'attività di allevamento e di immissione sul territorio di cui questa specie è stata oggetto in misura abnorme. Lo sappiamo tutti e credo - o almeno mi auguro - sia stato già fatto presente più volte in questa Commissione nel corso delle audizioni: se non si interviene su questo punto, rischiamo di raccogliere acqua con il
cucchiaino in una stanza che continua ad allagarsi perché il rubinetto continua a perdere.
Arrivo al secondo ed ultimo tema che volevo toccare, quello della zona grigia tra questione del cinghiale e, in generale, dei danni da fauna all'agricoltura e il tema dell'attività venatoria. Questi due temi devono essere scissi, in quanto non è con
l'attività venatoria, che pure può dare alcuni contributi, che risolveremo il problema. Al contrario, se non facciamo chiarezza in questa zona grigia, il rischio è che i problemi si complichino e il caso del cinghiale lo dimostra.
Mi permetto di notare che il lavoro avviato in Commissione ambiente del Senato sulla legge n. 157, a mio avviso, è viziato da questo errore di fondo. Si confondono giuste esigenze, la necessità di dare risposte al problema dei danni da fauna, con altre questioni che non riguardano bisogni prioritari oggi per il Paese, come la liberalizzazione dei richiami vivi e l'uso delle civette come zimbello. Temo, dunque, che questo tipo di approccio farà naufragare la possibilità di dare delle risposte, e se ciò avverrà bisognerà spiegarlo agli agricoltori che manifestano esigenze importanti.
In conclusione, la nostra proposta è di stralciare questo tema, di portare avanti e terminare questa indagine che, a nostro avviso, è molto importante - fondata su quel documento che, per quanto succinto, dà un'idea chiara di come si vuole procedere - e di procedere con una proposta legislativa ad hoc. Tale proposta dovrà contenere norme che promuovano attività di conservazione (management ambientale) di alta qualità, indichino strumenti ecologici di dissuasione e di contenimento, affrontino il tema del risarcimento del danno, la cui normativa deve essere riformata, e suggeriscano strumenti straordinari in caso di problemi straordinari. Il tutto, ovviamente, nel rispetto delle normative comunitarie e, mi permetto di dire, nel rispetto degli animali, che non bisogna mai dimenticare.
Tale iniziativa legislativa, inoltre, dovrà promuovere un'azione seria e persuasiva sulle amministrazioni centrali e locali, perché facciano quanto è di loro competenza e non continuino a tenere i piani di azione nei cassetti, e prevedere, infine, il divieto assoluto di allevamento e immissione dei cinghiali. Non possiamo più permettercelo. Gran parte dell'Italia è invasa da cinghiali.
Se si seguirà questa strada, io credo che anche i conflitti oggi esistenti tra le diverse culture - cultura ambientalista, cultura animalista, cultura agricola - potranno essere affrontati, conciliati e risolti. In tal modo, la Commissione agricoltura e tutto il Parlamento avranno reso al Paese un servizio importante.
PRESIDENTE. Avrei piacere di cogliere questa occasione anche per capire meglio la posizione del tavolo degli stakeholder su questo tema specifico dei danni da fauna selvatica. Vorrei capire se si sono compiuti dei passi in avanti in una qualche direzione e, soprattutto, se si tratta di una direzione che consente maggiore chiarezza ed evita che ognuno legga solo la parte che gli interessa.
CAMILLO DANILO SELVAGGI, Responsabile per i rapporti istituzionali della LIPU. Posso portare alla Commissione gli aggiornamenti dell'ultima ora, in quanto il tavolo è attualmente in seduta. Ieri abbiamo tenuto un'altra riunione e all'ordine del giorno c'era proprio il tema del risarcimento dei danni.
Proprio ieri è stato prodotto un articolato molto dettagliato e specifico. Sembra ormai confermarsi l'idea, di cui si era già discusso in precedenza - posso anticiparla, sebbene se ne attenda l'ufficializzazione - che il tavolo proporrà una serie di emendamenti, un articolato compiuto, contenente la proposta di stralciare questa parte dall'iter ordinario che sta seguendo la modifica della legge n. 157. Questa è una decisione che risale a ieri pomeriggio e che, lo ripeto, anticipo alla Commissione in via informale. Credo, tuttavia, che verrà confermata nelle prossime ore.
Lavoreremo sull'articolato che, come ho detto, è già stato prodotto in maniera dettagliata. Esso presenta - e non potrebbe che essere così - una serie di questioni da sciogliere. La materia, infatti, fa riferimento ad almeno due livelli fondamentali (lo dico alla Commissione, ma credo che ne sia ben consapevole): quello delle normative comunitarie che, per alcune specie, sono in qualche modo implicate,
e quello delle competenze costituzionali, di tipo gestionale, che sono demandate alle regioni. Nel redigere l'articolato bisogna tenerne conto. Questa è l'idea, dunque, del tavolo: proporre un articolato e chiedere lo stralcio dall'iter del progetto di legge di modifica della legge n. 157 in Senato.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
BASILIO CATANOSO. Intervengo solo per fare una osservazione. Il lavoro spesso bipartisan che questa Commissione è riuscita a portare avanti su varie materie credo «faccia il paio» con la volontà del tavolo delle associazioni animaliste e ambientaliste di lavorare insieme e avere un'unica voce.
Credo che da questa situazione emerga una prospettiva per cui, forse, davvero si riuscirà a migliorare una legge che, in qualche modo, già era stata una buona legge. Essa, infatti, aveva tenuto in considerazione, come è già stato ricordato, le esigenze delle varie parti. Ora si potrà, forse, riuscire a migliorarla anche per iniziativa di questa Commissione e credo che questo lavoro possa arrivare a buon fine.
PRESIDENTE. Immagino che questo sarà oggetto del dibattito alla fine dell'indagine conoscitiva. Il tentativo che vorrei facesse questa Commissione - mi permetto di fare una considerazione di carattere politico in senso puro - è evitare di sprecare lo straordinario lavoro, un lavoro improbo peraltro, che sta compiendo il tavolo, ma anche lo straordinario lavoro compiuto al di fuori del tavolo stesso.
Insomma, dovremmo riuscire a mettere insieme tutto questo, tentando di raggiungere, come fu fatto con la legge n. 157, un punto di sintesi che, ovviamente, non è il punto di nessuno. È ovvio, infatti, che nessuno si riconosceva completamente in esso, ma alla fine siamo riusciti ad andare avanti per un periodo di tempo anche abbastanza lungo.
È evidente che esiste una necessità emergente, che dobbiamo cercare di analizzare meglio. La premessa di questa indagine conoscitiva è esattamente quella che è stata rilevata: mancano alcuni punti di certezza. Qualche regione va in una direzione, altre vanno in senso diverso e devo dire che, per ora, in questa Commissione non vedo fughe in avanti. Vedo, semmai, «trasversalismi» positivi che possono produrre un esito diverso da quello che può derivare da un dibattito particolarmente vivace - ovviamente, quando è eccessivamente vivace, esso incontra delle difficoltà - come quello che è in corso al Senato.
ANGELO ZUCCHI. Intervengo solo per ringraziare gli auditi e sottolineare come sia interessante la proposta, che oggi ci viene anticipata e che sarà in seguito formalizzata, di dare un senso compiuto ai nostri lavori e di arrivare ad uno stralcio della parte che riguarda i danni da fauna selvatica all'agricoltura, che devono trovare una collocazione in una nuova iniziativa legislativa, in un nuovo strumento legislativo. Questo darebbe risalto al nostro lavoro e al lavoro di quanti, fuori da qui, si stanno impegnando.
Trovo molto interessante questa posizione. Naturalmente sappiamo che il percorso sarà complicato, però ritengo che questo punto di vista offra alla nostra indagine conoscitiva uno sbocco legislativo importante e in questa fase raccolga una sfida della quale penso che noi dovremmo tenere conto.
PRESIDENTE. La diversa articolazione delle competenze attribuite alle Commissioni del Senato e della Camera fanno sì che della materia si occupi la Commissione agricoltura in questo ramo del Parlamento e la Commissione ambiente nell'altro, ma, al di là di questo, si va esattamente nella direzione di una competenza più specifica e anche di interesse rispetto all'agricoltura.
Ringrazio gli auditi per la loro partecipazione e per quanto di importante ci hanno voluto riferire.
Dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, l'audizione dei rappresentanti delle associazioni venatorie Associazione nazionale libera caccia (ANLC), Associazione italiana della caccia (Italcaccia), Associazione dei migratoristi italiani (ANUU) e Unione nazionale Enalcaccia, pesca e tiro.
Ricordo che la Commissione ha deliberato tale indagine nella seduta del 20 gennaio 2009.
Sono presenti, per l'Associazione nazionale libera caccia, l'avvocato Romeo Trotta, componente dell'ufficio di presidenza nazionale, per l'Unione nazionale Enalcaccia, pesca e tiro il dottor Roberto Cicognani, vicepresidente nazionale e il cavaliere Alessandro Angelini, vicepresidente nazionale.
L'Associazione italiana della caccia (Italcaccia) e l'Associazione dei migratoristi italiani (ANUU) hanno comunicato di non poter intervenire e hanno inviato una nota scritta che è in distribuzione.
Do la parola ai rappresentanti delle associazioni venatorie per lo svolgimento dei loro interventi, cui potranno seguire eventuali domande dei colleghi deputati.
ROBERTO CICOGNANI, Vicepresidente nazionale dell'Unione nazionale Enalcaccia, pesca e tiro. Buongiorno a tutti e grazie per la possibilità che ci viene offerta di esprimere il nostro parere.
Il problema è abbastanza importante, lo sappiamo tutti, e non si può sperare di sviscerarlo con un intervento di un quarto d'ora. Tuttavia, cercheremo di chiarire il nostro punto di vista in merito.
Intanto, partendo dalla legge n. 157, recante norme per la protezione della fauna e per la tutela delle produzioni agricole, bisogna dire che, in un certo senso, essa è riuscita nel suo intento: la fauna, infatti, è tutelata ed ha proliferato, come è evidente dalla presenza sul territorio, fino a creare uno scompenso per le colture. Siamo qui per questo.
Certo, la fauna va protetta. Tuttavia, sia per l'assenza di predatori dovuta a tanti motivi, che per le mutate condizioni dei terreni (l'agricoltura ha modificato i suoi ritmi e i suoi sistemi, ricorrendo meno all'uso di anticrittogamici), la fauna ha ricominciato ad affacciarsi sul territorio. I cacciatori, inoltre, in vent'anni sono diminuiti della metà: siamo, infatti, rimasti in poco meno di 700 mila e meriteremmo quasi di essere considerati una specie protetta! Insomma, questa fauna, libera di riprodursi e non troppo insidiata dai cacciatori, supera i parametri che regolano la presenza delle specie selvatiche sul territorio; sto parlando della densità agro-forestale e della densità biotica. Tutti sappiamo di cosa stiamo parlando.
Il problema di fondo è che oggi, per risolvere questa situazione, la legislazione non ha trovato di meglio che ricorrere ad attività di controllo di queste specie che, con un eufemismo, vengono identificate come «piani di controllo», mentre sono - e ve lo dice un cacciatore - attività venatorie a tutti gli effetti.
Il problema è che i cacciatori non comprendono come si possa vietare o non permettere la caccia a certe specie, quando le stesse specie, essendo presenti in maniera abnorme sul territorio, vengono insidiate con tutti quei mezzi che equivalgono ai mezzi di caccia, in periodi, peraltro, nei quali la caccia non sarebbe consentita. Sto parlando, per esempio, dello storno, che non è specie cacciabile e che, tuttavia, viene insidiato per il controllo anche con la pratica dello sparo al nido. Ora, un cacciatore fa fatica ad accettare queste misure.
Non dico che la caccia praticata nei termini risolverebbe il problema, però, se andiamo indietro di venticinque-trenta anni, tutti ricordiamo quelle nuvole di storni che durante la notte dormivano
nelle città, con tutti i problemi connessi, e di giorno trasmigravano in campagna famelici, mangiando frutta e tutto il resto.
In treno ho avuto modo di parlare con un docente della facoltà di agraria dell'Università di Padova, un entomologo, l'alter ego del professor Celli, il quale mi ha raccontato che all'università hanno un campetto per le pratiche di agronomia dei loro studenti, ma non riescono a raccogliere un chicco d'uva o un frutto perché gli storni distruggono tutto.
Ora, come avranno già detto o diranno altri, i danni sono arrecati principalmente dagli ardeidi, dai corvidi, dai columbidi, dai passeriformi, dal capriolo, dalla nutria, dalla volpe, dal daino, ma anche dai ghiri e dagli scoiattoli. Secondo fonti dell'ex INFS, infatti, anche ghiri, scoiattoli, moscardini e quercini arrecano danno.
Dovreste vedere, come ho visto io, sparire letteralmente barbabietole appena nate, tirate giù nel terreno da moscardini e arvicole. Anche questi sono danni. Dovreste vedere anche cosa fa l'allodola: poiché oggi c'è la coltura monogerme, ha imparato ad andare dietro le macchine che seminano le barbabietole e a cavare il seme. Ora, una volta non c'era la coltura monogerme e se questi animali raccoglievano un seme ne rimanevano altri quattro o cinque; oggi, però, c'è solo quello, dunque si comprende quale danno provocano queste specie.
Insomma, la presenza di queste specie deve essere controllata e regolamentata. Tuttavia, visto che la fauna deve essere una risorsa, pur con i problemi che può arrecare, prima di intervenire con qualsiasi piano di controllo della specie, a monte bisogna condurre studi seri a livello scientifico. L'INFS - ora ISPRA - ha funzionato bene, ma con tutti i limiti di intervento che aveva non poteva far altro che ciò che ha fatto. Sembra un giro di parole, ma intendo dire che una struttura che non ha poteri e possibilità di intervento immediato sul territorio, una struttura centralizzata non può dare risposte immediate a problemi che, invece, ne hanno bisogno.
Per tornare al discorso dei danni all'agricoltura - poi ne parlerà più approfonditamente il nostro collega dell'Associazione nazionale libera caccia - prima di intervenire con certe pratiche (potrà apparire strano che lo dica un cacciatore) bisognerebbe porre in essere quelle strategie che, a volte, da sole, anche se non eliminano il problema, comunque lo limitano fortemente. Per esempio, sappiamo tutti benissimo che la predazione di specie selvatiche verso altre specie - sto parlando, ad esempio, della distruzione dei nidi dei galliformi, operata non solo dalla volpe, ma anche dal fagiano nei confronti di suoi cospecifici o nei confronti del nido delle starne - è inversamente proporzionale alla vegetazione del posto.
Io vengo dall'Emilia-Romagna, regione nella quale si sta facendo qualcosa per ripristinare siepi, ambienti, alberature, ecotoni che non esistevano più; se, però, questo sistema fosse adottato come routine, sacrificando cinquanta centimetri di terreno, sarebbe certamente positivo.
In alcuni casi, c'erano dei fossetti che delimitavano un campo dall'altro e che servivano a raccogliere le acque di scolo che poi venivano convogliate; ebbene, sono stati coperti, utilizzati tubi interrati e create enormi spianate. Si lasci, invece, un po' di siepe, un po' d'erba, e si creino le condizioni perché la fauna possa nascondersi agli altri predatori. Egoisticamente noi parliamo degli animali che immettiamo, oltre che di tutti gli altri.
In conclusione, gli interventi sul territorio devono essere supportati da pareri scientifici e tecnici, espressi da istituzioni che abbiano una distribuzione sul territorio tale da permettere una risposta pressoché immediata. Grazie.
ROMEO TROTTA, Componente dell"ufficio di presidenza nazionale dell'ANLC. Innanzitutto vi ringrazio per averci dato questa opportunità. È sempre gradito avere un confronto e poter rappresentare le proprie idee.
Il tema che ci proponete è estremamente interessante, attuale e significativo. A nostro avviso, il punto di partenza è il
rapporto tra il mondo venatorio e il mondo agricolo. Si tratta di un rapporto fondamentale, che deve essere simbiotico e che va migliorato, in quanto è l'unico fattore che può portare a una corretta gestione del territorio e della fauna.
Secondo noi, la cultura del divieto che ci è stata «imposta» da una certa parte del mondo animalista non ha dato i propri frutti e ciò è sotto gli occhi di tutti, altrimenti non saremmo qui a parlare di danni. Occorre, invece, una gestione razionale. Più che il divieto può essere più utile sicuramente una gestione concordata.
In quest'ottica, bisogna riflettere su alcune normative, in particolare sulla legge n. 157 del 1992 e sulla legge n. 394 del 1991, delle quali tutti sicuramente condividiamo i princìpi ispiratori e l'oggetto che si propongono di tutelare, ma che indicano strumenti che, nel corso degli anni, si sono dimostrati inadeguati per il raggiungimento degli scopi prefissati. A nostro avviso, quindi, tali strumenti devono essere necessariamente cambiati.
Sostanzialmente, per il controllo della fauna selvatica, la legge n. 157 prevede esclusivamente la possibilità di operare degli abbattimenti selettivi. Questo è oggettivamente poco. Si dovrebbero aumentare le specie cacciabili e si dovrebbe dare ai titolari e conduttori di fondi muniti di licenza la possibilità di abbattere determinate specie che sono oggettivamente dannose. Questo lo si può fare soltanto attraverso una modifica della normativa citata. Tale modifica, però, deve andare di pari passo con la creazione di istituti che affianchino l'ex INFS e che siano dislocati nelle varie regioni, in modo da monitorare il territorio e la fauna costantemente, giorno per giorno, ed elaborare dati tecnico-scientifici utili a trovare una soluzione per i danni causati dalla fauna selvatica.
Ancora, mi permetto di dire che, anche da un punto di vista economico, sarebbe opportuno reperire risorse finanziarie da destinare a questo scopo. Peraltro, faccio presente che noi paghiamo una tassa di concessione governativa di 173 euro, che non ci viene restituita in nessun modo. Una parte di questi fondi potrebbero essere eventualmente destinati al risarcimento dei danni causati dalla fauna, magari attraverso la creazione di un fondo di solidarietà specifico.
PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, desidero ringraziare gli intervenuti, i quali avranno certo inteso il senso della nostra iniziativa: capire esattamente, senza alimentare conflitti e tensioni, qual è lo stato dell'arte e quali i danni che si generano; trovare quindi in modo condiviso soluzioni che siano non solo supportate dalla scienza, come bene è stato detto, ma anche ragionevoli.
In questo senso mi permetto di ringraziarvi. So che, eventualmente avessimo ulteriore necessità di approfondire la materia, sarete disponibili a ritornare.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,15.