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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(I e V)
4.
Martedì 25 ottobre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 4205 COST. CAMBURSANO, C. 4525 COST. MARINELLO, C. 4526 COST. BELTRANDI, C. 4594 COST. MERLONI, C. 4596 COST. LANZILLOTTA, C. 4607 COST. ANTONIO MARTINO, C. 4620 COST. GOVERNO E C. 4646 COST. BERSANI, RECANTI INTRODUZIONE DEL PRINCIPIO DEL PAREGGIO DI BILANCIO NELLA CARTA COSTITUZIONALE

Audizione del professor Dino Piero Giarda, ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario, Università Cattolica di Milano:

Bruno Donato, Presidente ... 3 10 12 13
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 11
Cambursano Renato (IdV) ... 11
Duilio Lino (PD) ... 10
Giarda Dino Piero, Professore ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario presso l'Università Cattolica di Milano ... 3 12
Lanzillotta Linda (Misto-ApI) ... 10
Mantini Pierluigi (UdCpTP) ... 10
Tassone Mario (UdCpTP) ... 12

ALLEGATO: Documento trasmesso dal professor Dino Piero Giarda ... 15
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A.

[Avanti]
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 25 ottobre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 13,05.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Dino Piero Giarda, ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario, Università Cattolica di Milano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva deliberata nel quadro dell'istruttoria legislativa sui progetti di legge C. 4205 cost. Cambursano, C. 4525 cost. Marinello, C. 4526 cost. Beltrandi, C. 4594 cost. Merloni, C. 4596 cost. Lanzillotta, C. 4607 cost. Antonio Martino, C. 4620 cost. Governo e C. 4646 cost. Bersani, recanti introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, l'audizione del professor Dino Piero Giarda, ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario, Università Cattolica di Milano.
Ringraziandolo a nome mio e delle Commissioni per la disponibilità, gli do quindi la parola.

DINO PIERO GIARDA, Professore ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario presso l'Università Cattolica di Milano. Sintetizzerò il mio intervento rimandando per le parti omesse al documento scritto che consegnerò agli uffici e di cui chiedo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta.
L'origine del paper che presento alle Commissioni è legata al fatto che, oltre agli studenti di economia, anche studenti della facoltà di giurisprudenza seguono il mio corso di scienza delle finanze. Per rimuovere gli studenti di giurisprudenza dallo studio degli aspetti analitico-matematici del corso che proponiamo agli studenti di economia, abbiamo fatto uno scambio: ho assegnato loro i progetti di legge costituzionale di riforma del bilancio, invitandoli a prepararsi, anziché sulla matematica, su questo materiale. Poiché gli studenti - credo del terzo o del quarto anno di giurisprudenza - sono venuti a dirmi che avevano dei problemi nella comprensione di questi testi, ho scritto un appunto che spiegava il punto di vista di un economista sul problema dell'articolo 81 della Costituzione e dintorni. Parlo di un appuntino di quattro pagine che si può ancora trovare sul sito del mio corso presso l'Università Cattolica.
Quando è giunta la convocazione delle Commissioni per l'audizione odierna ho deciso di riprendere questo appunto e di ampliarlo. La sostanza è più o meno la stessa, perché nell'appunto vi sono tre brevi proposizioni di natura costituzionale, con le quali io intenderei affrontare, dal punto di vista economico, il problema dell'introduzione del principio del pareggio di bilancio in Costituzione.
Devo dire, sempre in via di confessione, che io sono uno dei pochi economisti che


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è favorevole alla regolazione costituzionale del pareggio di bilancio. Ho dovuto litigare con tutti i miei colleghi della Cattolica e di altre università che affermano che questa scelta è improponibile.
Parto nella mia esposizione con una considerazione sull'attuale articolo 81 della Costituzione e sul perché tale articolo non abbia funzionato molto bene nella storia della nostra Repubblica. A mio avviso, è importante cercare di renderci conto del perché non ha funzionato, in quanto gran parte delle proposte che vengono formulate per emendare o sostituire l'articolo 81 della Costituzione tendono a mettere al posto di norme di procedura, com'è l'attuale struttura dell'articolo 81 della Costituzione, norme di contenuto.
Le norme di procedura sono sempre necessarie nella gestione dell'attività legislativa, dell'attività di governo, ma le norme sul pareggio di bilancio tendono ad aggiungere norme di contenuto alle norme di procedura.
Nell'attuale articolo 81 della Costituzione, al terzo comma è inserito il principio che la legge di bilancio è una legge sostanzialmente a legislazione vigente, mentre il quarto comma prevede che leggi che comportino nuove o maggiori spese devono indicare i mezzi per farvi fronte.
Mi sono chiesto quale fosse l'origine intellettuale di queste norme quando sono state scritte, nel 1946-1947. Credo che nella mente di coloro che hanno scritto l'articolo vi fosse l'idea che, per un Paese che usciva da una guerra, rimosse le spese appunto della guerra - che avevano causato danni inenarrabili al bilancio dello Stato italiano di quel periodo - vi fosse una sorta di tendenza naturale per il bilancio dello Stato, data la legislazione che tutti i costituenti conoscevano (una legislazione di spesa che originava dalla storia del nostro Paese), in base alla quale il bilancio dello Stato senza la nuova legislazione sarebbe stato un bilancio sostanzialmente in pareggio.
Nella relazione scritta troverete informazioni che riguardano quello che è successo al bilancio dello Stato nei primi anni della Repubblica. Ricordo che il bilancio dello Stato del 1951-52, il primo anno che ho preso in esame, aveva un deficit di competenza pari a poco più di 50 milioni di euro attuali (110 miliardi di lire). La legge di bilancio del 1951 era molto semplice: il bilancio del Ministero delle finanze era definito da tre articoli e da ventinove capitoli. Trent'anni dopo, nel 1979 - poi spiegherò perché prendo il 1979 come un anno di riferimento per le mie valutazioni - il numero degli articoli della legge per lo stesso ministero era passato a dodici e i capitoli erano diventati 137. Il saldo di bilancio nel 1979 era arrivato al 40,4 per cento della spesa; in quell'anno, sul bilancio dello Stato era finanziato per il 40 per cento con il ricorso al debito pubblico. La percentuale del 1951 era dell'8 per cento. In termini di PIL, rispettivamente, nel 1951 e nel 1979, i valori erano dell'1 e del 13 per cento.
Il 1979 è l'ultimo anno nel quale la legge di bilancio incorpora una grande varietà di disposizioni; la legislazione vigente nei primi trent'anni di vita della Repubblica ha avuto una straordinaria evoluzione concettuale. Il bilancio dello Stato del 1979 era praticamente l'ultimo prima che entrassero in vigore le norme sulla legge finanziaria, che distingueva tra la legislazione vigente in senso stretto da un lato e tutte le quantificazioni e la nuova legislazione che si introducevano prima nella legge finanziaria, poi nella finanziaria e nel collegato, quindi nella legge di stabilità e via dicendo.
Nei primi trent'anni di vita l'articolo 81 era perciò operante nella sua purezza (legge di bilancio a legislazione vigente e poi il quarto comma). C'è una storia che spiega l'espansione del deficit e il ricorso al debito per le nuove leggi di spesa. Le regole di copertura finanziaria delle nuove leggi di spesa hanno avuto una storia costituzionale molto interessante e molto particolare è stata l'interpretazione di che cosa fossero i mezzi per far fronte alle nuove maggiori spese. Quello che è certo è che il finanziamento delle nuove leggi di spesa rivela una storia di straordinaria bellezza per chi si mette a studiarla: i trucchi contabili, le coperture della spesa


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solo nell'ultimo mese dell'anno, la copertura di un solo anno per spese permanenti, insomma azioni che come parlamentari conoscete benissimo, avendo concorso a praticarle.
Poi bisogna considerare il problema della legislazione vigente, che è l'aspetto più interessante e curioso, con riferimento all'evoluzione che ha avuto la nozione di legislazione vigente nella storia della nostra Repubblica.
Le leggi di bilancio fino al 1979-80 incorporavano anche le leggi finanziarie, vale a dire che vi erano modifiche delle leggi esistenti, stanziamenti che venivano cambiati, disposizioni di legge che venivano modificate, e persino, nella legge di bilancio a legislazione vigente, gli accantonamenti sui fondi speciali. Si tratta degli stanziamenti, che poi sono entrati nella storia della legge finanziaria e che erano diretti a coprire le future leggi di spesa. Alla relazione scritta che trasmetterò ho allegato dei grafici che mettono in evidenza i rapporti che si sono verificati, nella storia del nostro Paese, con i saldi del bilancio a legislazione vigente.
Ho esposto questi cenni di storia per infondere cautela sul valore delle norme costituzionali. Avevamo una Costituzione apparentemente molto rigorosa, che fissava procedure apparentemente rigide, ma la loro interpretazione e la vita che hanno dato all'attività parlamentare sono state tali da arrivare, lo ripeto, nel 1979-80, a un deficit sul bilancio di competenza pari al 40 per cento della spesa autorizzata.
Naturalmente sono cambiate le cose con la legge finanziaria, con la legge di stabilità, e ci sono stati cambiamenti nella concreta pratica politica a invarianza di Costituzione. Un grafico allegato alla relazione scritta sul quale vi prego di meditare perché ha a che fare con la storia recente del sistema di finanza pubblica è la figura 3 (del testo completo allegato), che mostra come a partire dal 1980, con il nuovo regime della legge finanziaria e dei provvedimenti collegati, della legge di stabilità e via dicendo, abbiamo avuto comportamenti concreti dell'attività politica, a invarianza di Costituzione, straordinariamente differenziati.
La figura 3 presenta il saldo dei conti della pubblica amministrazione depurati degli interessi, vale a dire quello che è definito il saldo primario. Essa mostra, partendo dal 1980 e arrivando al 2010, il saldo totale per la pubblica amministrazione e i contributi che i diversi comparti del settore pubblico (Stato, enti previdenziali, amministrazioni locali, in particolare i comuni perché sono un aspetto specifico) hanno dato alla formazione di questo saldo. Il grafico mostra la straordinaria varietà dei comportamenti politici con una Costituzione data, a dimostrazione che le Costituzioni sono molto belle ed importanti, ma dietro ci sono i comportamenti concreti della vita politico-parlamentare.
Come dicevo, sono a favore di una modifica o di un'integrazione dell'articolo 81 della Costituzione perché le norme di pura procedura che hanno caratterizzato la vita politica del nostro Paese degli ultimi sessanta anni si sono prestate, in misura eccessiva, a comportamenti così differenziati nel tempo. La flessibilità gestionale di una grande azienda come lo Stato è un aspetto molto importante, quindi è necessaria ma deve essere temperata, altrimenti le tentazioni di assumere comportamenti poco saggi sono sempre molto forti.
Nella questione dell'equilibrio di bilancio che dobbiamo sposare in via etica naturalmente bisogna tenere conto di due o tre aspetti che, sempre in via teoretica, sono molto importanti. Ho visto che i progetti di legge che sono all'attenzione delle Commissioni riunite I e V tendono ad essere molto dettagliati perché, oltre a esprimersi in termini di contenuto, cioè a definire nozioni come equilibri di bilancio, saldi ammissibili e via dicendo, cercano anche di realizzare concretamente dei risultati. Una questione è scrivere un testo costituzionale in termini di contenuti, ma questione molto diversa è quella di scrivere un testo costituzionale cercando di fare in modo che questo testo garantisca un risultato quantitativo.


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Per spiegare questa questione ai miei studenti sono andato a riguardare alcune parti della nostra Costituzione repubblicana dove si propongono degli obiettivi quantitativi. Ce ne sono numerosi: basti pensare al primo, il più bello di tutti, ossia l'articolo 3, che riguarda la parità di trattamento. Cosa c'è di più quantitativo della parità di trattamento? Stesse condizioni, stessa legge, stesso indicatore di capacità contributiva (entro nelle mie materie), stesso reddito, stesse tasse. È un indicatore di contenuto che definisce vincoli quantitativi.
Lo metto insieme all'articolo 53, che sancisce il principio della progressività. È un criterio quantitativo: l'aliquota media di imposta deve aumentare al crescere dell'indicatore di capacità contributiva, sia esso il reddito, il patrimonio, i consumi.
Come dicevo, ci sono, nella Costituzione, numerosi esempi di questo tipo. Cito anche l'articolo 42, quarto comma, in materia di diritti dello Stato sull'eredità (chissà che cosa avevano in mente i nostri costituenti quando parlavano dei diritti dello Stato sull'eredità); cito ancora il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, l'articolo 34, terzo e quarto comma, l'attività economica pubblica e privata indirizzata e coordinata a fini sociali. Si tratta di norme costituzionali che parlano tutte tendenzialmente di soldi, in modo diretto o indiretto.
La realtà è però ben diversa da quella che si legge in queste disposizioni della Costituzione. Questo è un po' il destino di norme costituzionali che segnano princìpi etici, politici, sociali che hanno bisogno delle leggi per essere realizzati. Penso che la categoria di norme che voi andrete a scrivere per il pareggio di bilancio sia la stessa. Si tratta di norme che hanno un carattere etico, che tendono a impedire il disordine nella gestione dell'organizzazione dello Stato e a porre limiti alle nostre capacità di fare dei danni alle generazioni future. Tali norme vanno interpretate in modo saggio, senza cercare di dare alla Costituzione il compito di ottenere dei risultati definiti in termini quantitativi. Questo è un compito che spetta al legislatore ordinario.
Passiamo ad esaminare l'aspetto dell'equilibrio di bilancio. L'equilibrio di bilancio è una cosa utile e necessaria, ma ha bisogno di qualche qualificazione. La prima qualificazione riguarda gli effetti dell'andamento dell'economia sul gettito tributario: quando l'economia va male, il gettito tributario cala. Se durante l'anno vi è la caduta del gettito tributario, ancorché il bilancio di previsione sia stato approvato in pareggio, alla fine dell'anno siamo sicuri che avremo un bilancio in disavanzo.
È evidente che non si può chiedere a una regola costituzionale di eliminare il disavanzo che si sta creando per effetto del cattivo andamento dell'economia. Il disegno di legge del Governo correttamente parla di equilibrio di bilancio, ma fa salve le conseguenze del cattivo andamento dell'economia sul saldo che si realizzerà a consuntivo.
A questo riguardo, credo che sia opinione comune ritenere che sia improponibile che nel mese di settembre, quando si accerta eventualmente che nel secondo trimestre dell'anno c'è stata una recessione, una crisi economica che fa cadere il gettito, si debbano aumentare le tasse per riportare il bilancio dell'anno in equilibrio.
Naturalmente la questione più complessa è quella di cosa fare l'anno successivo. Quando si è accertato che quest'anno l'economia è andata male e che il bilancio nel rendiconto consuntivo sarà in deficit, come dobbiamo impostare il bilancio di previsione per l'anno seguente? Abbiamo il vincolo di rifare il bilancio di previsione per l'anno seguente in pareggio oppure no? Su questo tema ci sono diversità di punti di vista. L'opinione che vi voglio portare come spunto di riflessione è che sarebbe poco saggio vincolare Governo e Parlamento a che, nell'anno immediatamente successivo all'incipit di una crisi produttiva, si debba realizzare il bilancio in pareggio. Bisogna avere un po' più di pazienza e ragionarci sopra per capire se questa è la cosa giusta da fare per il nostro sistema economico.


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Ci sono questioni complesse, tra le quali cito - è un esempio molto interessante - la situazione dell'economia italiana di oggi. L'economia italiana di oggi sta vivendo una crisi di natura ciclica oppure si sta adattando a un profilo di crescita leggermente più basso di quello nel quale abbiamo vissuto nel passato? È una questione molto diversa dal dire che siamo in una recessione di natura ciclica. L'economia italiana negli ultimi dieci anni è cresciuta in media dello 0,2 per cento all'anno; nei decenni precedenti era cresciuta in misura maggiore.
Questa è la vita che avremo davanti per il prossimo decennio, con la crescita dello 0,2 o dello 0,5 per cento? E se questo fosse lo scenario vero - Dio ce ne scampi - come dobbiamo trattare la caduta di attività economica che riteniamo essere permanente e che non può definirsi di natura ciclica?
È possibile che si debba dire che, in attesa che il nostro creatore ci aiuti a ricostituire un tasso di crescita un po' più vasto, il bilancio dello Stato deve essere adattato a questa situazione strutturale di un sistema economico che ha disimparato a crescere e sta crescendo a poco più dello zero per cento.
Si pone la questione, che voi dovrete affrontare, di quale sia la durata ammissibile dello squilibrio finanziario legato a origini cicliche. È una terribile questione e bisognerà decidere se nella Costituzione si debbano scrivere delle date o delle quantità oppure no.
Il disegno di legge del Governo fa riferimento agli eventi eccezionali. È evidente che se succede una calamità è irragionevole pensare che si debbano finanziare le spese che non erano previste nel bilancio di previsione con un aumento delle tasse.
Bisogna decidere, inoltre, se volete che il debito che si accumula negli anni in cui c'è il disavanzo (il disavanzo corrisponde a emissione di titoli del debito pubblico) debba essere cancellato negli anni successivi. È un tema molto opinabile se il debito che creiamo nelle fasi di recessione lo possiamo tenere per sempre oppure se dobbiamo ridurlo generando avanzi negli anni in cui l'economia è in fase di ripresa ciclica. Si tratta di temi sui quali non ci sono risposte di natura economica, ma bisogna esprimere una valutazione politica.
Alla fine di queste considerazioni, io mi sono sbilanciato, sempre per via dei miei studenti, a scrivere un'ipotesi di testo costituzionale che vi leggo: «Il bilancio di previsione e il rendiconto consuntivo dello Stato assicurano l'equilibrio annuale tra entrate e spese. L'eventuale disavanzo associato all'andamento ciclico dell'economia o al verificarsi di eventi eccezionali è compensato dall'avanzo negli anni successivi».
Questa è una semplice regola per il pareggio strutturale del bilancio, che consente disavanzi ciclici ma che obbliga il Paese a fare degli avanzi negli anni successivi. È una regola sufficientemente elastica, non parla di quantità né di anni, né di quanto il disavanzo ciclico è ammesso né della durata dei periodi di aggiustamento. Credo, peraltro, che sia coerente con alcune delle norme costituzionali che ho citato, che individuano princìpi e poi lasciano alla saggezza del legislatore il decidere come implementarli.
Colgo l'occasione per dire che io non mi sono occupato, nel documento scritto, dei vincoli che eventualmente ci sono imposti dai trattati europei. Ho parlato come se l'Italia fosse uno Stato sovrano che non deve rendere conto a nessuno. So che non è più così, in un certo senso, ma per spiegare i concetti è bene lavorare e ragionare nell'ipotesi che il nostro è un Paese che ha la piena sovranità su se stesso.
C'è una questione che viene spesso trattata che riguarda se sia ammissibile il disavanzo a fronte di investimenti. È una regola aurea della gestione aziendale: quando si fa capitale ed espansione dell'attività d'impresa, se c'è la redditività si può finanziare la spesa in conto capitale facendo del debito o andando a chiedere soldi agli azionisti, nella convinzione che si possa sia ripagare il debito sia remunerare il capitale preso a prestito sia pagare il dividendo agli azionisti.
La regola del bilancio in pareggio non prevede che ci sia la possibilità di fare debiti per finanziare gli investimenti. Un


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pareggio di bilancio è un pareggio di bilancio, qualunque sia la destinazione della spesa.
È sconveniente fare debiti per pagare gli stipendi - lo abbiamo fatto spesso nel passato - e adesso è diventato anche sconveniente fare debiti per finanziare l'accumulazione di capitale. L'equilibrio tra entrate e spese non distingue tra le componenti della spesa. Torno su questa materia perché nella Costituzione, al sesto comma dell'articolo 119, sono riproposte, per gli enti decentrati, le regole di carattere aziendale, di cui parlerò successivamente.
Rimossa la questione in via di principio che si può fare il disavanzo ma deve essere recuperato, c'è il problema che sorge per l'Italia, che è un Paese organizzato su più livelli di governo. Il Titolo V della parte seconda della Costituzione è molto articolato e, diversamente dalle altre parti della Costituzione, cerca di ottenere risultati specifici, essendo stato scritto in tempi moderni; è un po' una sfortuna, ma dobbiamo convivere col Titolo V così come l'abbiamo nella Costituzione vigente.
Nella teoria economica applicata al settore pubblico, come si legge sui più importanti testi di scienza delle finanze, si dice che in un sistema di federalismo puro gli enti decentrati non si occupano di sviluppo economico, non si occupano di redistribuire reddito dai ricchi ai poveri, ma si occupano di fornire servizi pubblici. In questo sistema di federalismo puro si dovrebbe ammettere la regola aziendale per il finanziamento degli investimenti, e così è scritto nel sesto comma dell'articolo 119 della Costituzione. Ma la teoria economica ci dice anche - ho riportato nel documento scritto alcune frasi di importanti economisti in lingua inglese - che le politiche di stabilizzazione ciclica devono essere svolte prevalentemente se non esclusivamente a livello di governo centrale. Nel nostro Paese è lo Stato che si deve occupare delle politiche anticicliche. Se gli enti decentrati non si devono occupare di politiche anticicliche non dovrebbe essere ammesso che i loro bilanci - mai - siano in disavanzo.
Tuttavia, un sistema come il nostro che ha più di 8.000 comuni, come fa a garantire l'equilibrio di bilancio per il comparto degli enti decentrati, dato che i singoli comuni, le singole province devono fare le opere pubbliche e devono fare gli investimenti? E come fa il singolo comune a realizzare un'opera pubblica? Dovrebbe avere accumulato avanzi di bilancio negli anni passati per pagarsela, e non è una cosa molto ragionevole. In un certo senso, bisogna consentire che gli enti decentrati possano ricorrere al debito per finanziare le opere pubbliche. Il comune che deve costruire la scuola oggi ha bisogno di fare il funding per la scuola, ha bisogno di fare un prestito presso la Cassa depositi e prestiti. Se, però, tutti i comuni fanno la stessa cosa nello stesso tempo il vincolo del pareggio di bilancio per il settore pubblico nel suo complesso va a farsi benedire.
Allora cosa si può fare? Noi dovremmo approfittare del fatto che abbiamo un Titolo V che attribuisce al regime della competenza concorrente tra Stato e regioni l'importante funzione del coordinamento della finanza pubblica.
Le regioni, piaccia o non piaccia, hanno, ai sensi del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, una competenza - che non è ancora stata definita dalle leggi ordinarie - concorrente nel coordinamento della finanza pubblica. È difficile che le regioni possano pensare di coordinare la finanza dello Stato o degli enti previdenziali, ma non è affatto illogico pensare che alle regioni venga affidato il compito di svolgere le funzioni di coordinamento della finanza degli enti che stanno sotto di esse, comuni e province.
Quale sarebbe la funzione che le regioni dovrebbero svolgere nei confronti di comuni e province? Quella di consentire che i comuni facciano i debiti e gli investimenti per fare le opere pubbliche, ma non tutti insieme, non tutti nello stesso anno, e in modo da forzare il sistema di comuni e province del territorio regionale ad essere in aggregato, in equilibrio.
I tuoi debiti sono i miei avanzi: in questo modo ci sarebbe la libertà di realizzare


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le opere pubbliche, non sempre tutti insieme. Si realizzerebbe a livello decentrato il principio che esiste il pareggio di bilancio anche nel settore delle amministrazioni locali che - desidero ricordarlo - è responsabile oggi per il 50 per cento della spesa, escludendo dal totale della stessa la spesa pensionistica. Se non si considera infatti la spesa pensionistica, il resto della spesa pubblica è fifty-fifty tra centro e periferia. Quindi, non si può pensare di avere il 50 per cento della spesa pubblica che sia svincolato dal vincolo di bilancio.
Ho scritto al proposito un'altra proposta di articolo costituzionale che vi leggo: «Il bilancio annuale degli enti di cui all'articolo 114 della Costituzione è deliberato e gestito annualmente senza ricorso all'indebitamento, salvo il caso che i disavanzi di uno o più enti siano compensati dagli avanzi di altri enti operanti nello stesso territorio regionale».
Esiste un piccolo problema relativo sempre al Titolo V della seconda parte della Costituzione, in particolare le lettere m) e p) del secondo comma dell'articolo 117. In base alla lettera m), lo Stato fissa i livelli essenziali delle prestazioni nei servizi sanitari, di istruzione, assistenza e via dicendo, mentre nella lettera p) si richiamano le funzioni fondamentali degli enti locali che, con le disposizioni legislative recentemente approvate, sono state associate alla nozione di costo standard definito a livello nazionale.
Con parole diverse, quindi, è stato introdotto esattamente lo stesso concetto che vale per la lettera m). In altre parole ci sono spese, nei bilanci delle regioni e nei bilanci degli enti locali, il cui importo è deciso di fatto dal Governo centrale attraverso le leggi che il Parlamento ha approvato.
Cosa si fa, allora, quando arriva una recessione, una crisi economica che fa perdere entrate agli enti locali, i quali non hanno più i soldi per finanziare le spese coerenti con i livelli essenziali delle prestazioni o le spese coerenti con i costi standard per le funzioni fondamentali di comuni e province? È un bel rebus che ha una sola soluzione, quella di vincolare gli enti decentrati al pareggio di bilancio, ma lo Stato deve assorbire la componente ciclica delle perdite di gettito di imposte come l'IRAP, che sono funzionali al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni. Questo è un teorema tipico dei sistemi di federalismo fiscale.
Se gli enti decentrati devono svolgere compiti le cui spese sono definite dal Governo centrale, allora bisogna che o il Governo centrale cambi i livelli delle spese, quindi i livelli essenziali delle prestazioni quando si entra in una recessione, oppure, se non li vuole cambiare per pigrizia o perché è impossibile farlo, non può costringere gli enti locali a ridurre i livelli delle prestazioni in funzione delle perdite di gettito che loro subiscono e che subiranno sempre di più quante più entrate proprie andremo a dare a comuni, province e regioni.
È fondamentale che ci sia nella Costituzione un principio, che è un principio tipico di un buon sistema di federalismo fiscale, per il quale le responsabilità del governo delle politiche di stabilizzazione ciclica siano nelle mani solo del Governo centrale, il quale si assume le sue responsabilità.
Ci sarebbero una serie di proposizioni accessorie che ho predisposto e per le quali rimando alla relazione scritta. Termino richiamando la lettura di un personaggio molto rilevante per le nostre Costituzioni, Cesare Beccaria, in particolare di uno dei suoi libretti meno noti, Le ricerche sulla natura dello stile, un libretto aulico che dovrebbe essere una specie di required reading per chi deve scrivere leggi. Esiste il problema del linguaggio per queste norme costituzionali che andrete a scrivere. Mi permetto di lanciare un appello: non scrivete norme troppo pratiche, né avendo troppo in mente di ottenere dei risultati; siate coerenti con il linguaggio della nostra Costituzione, in larga parte un linguaggio semplice, che parla di regole che molti capiscono e che si possono variamente interpretare secondo le esigenze dei tempi e della gente nei confronti della quale voi siete responsabili.


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PRESIDENTE. Ringrazio il professor Giarda per la sua relazione e autorizzo fin d'ora la pubblicazione del documento che sarà trasmesso alle Commissioni in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Do la parola ai colleghi che vogliono porre quesiti o formulare osservazioni.

LINO DUILIO. Dalla citazione di Beccaria traggo l'opinione che non sarebbe il caso di scrivere in Costituzione qualcosa che vincoli all'osservanza di norme molto puntuali.
Vorrei porre alcune brevi domande. Il principio del pareggio di bilancio lo si vorrebbe inscrivere in Costituzione nella prima parte, relativa ai princìpi, in particolare nell'articolo 53. Ora, professor Giarda, nella sua relazione il discorso sul bilancio è definito, e non può essere diversamente, come attinente alla sfera dei mezzi e non dei fini. A me sembra, però, che inscriverlo nella prima parte della Costituzione significhi inserirlo nella parte relativa ai fini e non ai mezzi, quindi stravolgerne il senso. Quando si scrive in Costituzione che bisogna perseguire e conseguire il risultato del pareggio di bilancio, da strumento per politiche pubbliche il bilancio diventa una finalità. Questo significa renderlo sostanzialmente un principio dogmatico. Vorrei sapere se questa mia opinione è eccessivamente filosofica o astratta.
In secondo luogo, nella statualità diffusa che amplia l'orizzonte di intervento di quello che prima era lo Stato e adesso si chiama pubblica amministrazione più in generale, non crede che il discorso del principio del pareggio di bilancio confligga con la genesi di questo stesso principio, che è propria dello Stato minimo piuttosto che non di uno Stato che tende ad allargarsi sempre di più?
Infine, le stanze di compensazione fra regioni mi ricordano quello che si voleva fare per il Patto di stabilità interno nell'ambito di un'unica regione per quanto riguarda gli enti locali. Credo che questo possa funzionare solamente nel momento in cui vi sia una casistica predefinita di investimenti che rendano possibile operare ad alcune regioni presupponendo l'avanzo da un'altra parte, altrimenti ognuna evidentemente avanzerà delle rivendicazioni.
Rimane fuori dal discorso il tema del debito. Come caricare le regioni del debito che oggi fa capo solo allo Stato?

PIERLUIGI MANTINI. Ringrazio il professor Piero Giarda. Nel sollecitare la sua audizione avevamo la speranza - a mio avviso ben riposta - di avere indicazioni diverse da quelle più ricorrenti. Certamente faremo tesoro di queste indicazioni.
Mi limito a fare un'osservazione quasi a margine sul primo punto. Una delle tecniche che spesso sono proposte e comunque sono in discussione è quella di un controllo di tipo procedurale per il rispetto del principio del pareggio di bilancio. Ad esempio, potremmo anche richiamare la vexata quaestio del ricorso diretto delle minoranze parlamentari alla Corte costituzionale nei confronti di leggi o provvedimenti che si ponessero in evidente contrasto con l'obbligo di pareggio del bilancio. Naturalmente questo implica una certa modifica anche del ruolo della Corte nel controllo.
Mi pare che, alla luce del principio fondamentale formulato dal professor Giarda, ossia che si può fare anche disavanzo ma questo deve essere recuperato, questo tipo di tecnica di controllo sia abbastanza inutile o marginale. Pongo il quesito al professor Giarda.

LINDA LANZILLOTTA. Anch'io saluto e ringrazio il professor Giarda, al quale pongo alcune domande. Innanzitutto mi ricollego al tema posto dal collega Duilio, se una revisione dell'articolo 81 della Costituzione non debba rafforzare il principio del pareggio del bilancio come valore costituzionale, come elemento di equità intergenerazionale e come elemento di responsabilità, quindi non solo una norma strumentale ma una norma finalistica sul piano dei valori costituzionali.
In secondo luogo, chiedo se l'auspicio (che io condivido) di una semplicità e linearità del testo costituzionale, coerente


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con la sua impostazione originaria, non possa essere bilanciata e integrata da una maggiore complessità, invece, di una legge di contabilità rinforzata. Noi abbiamo avuto leggi di contabilità deboli nel corso di questi anni, quindi chiedo se in una simile legge, sottratta almeno in periodi definiti di tempo alle maggioranze politiche, non si possano inserire elementi quantitativi della politica di bilancio.
Inoltre l'osservazione sulla compensazione intraregionale dei disavanzi degli enti subregionali mi induce a chiedere al professor Giarda se non ritenga che questa impostazione - sulla quale io concordo e che avevamo anche in qualche misura anticipato nell'originario disegno di legge sul federalismo fiscale presentato dal precedente Governo - non debba portare a una riflessione sull'articolo 114 della Costituzione e su questo sistema di federalismo paritario che dovrebbe evolvere verso un più sostenibile complesso di sistemi regionali, almeno sul piano della finanza pubblica, sistemi regionali magari un po' più adeguati in termini di dimensioni e massa critica.
Infine, sulla questione dell'assorbimento da parte della finanza statale dei disavanzi conseguenti al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in fase di recessione, vorrei porre una domanda: questa impostazione, se ho capito bene, porta a una sorta di incomprimibilità del welfare? In altre parole, quale che sia l'andamento dell'economia, la finanza statale deve garantire in ogni caso quel livello di welfare che è stato predeterminato con l'identificazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) o lo Stato lo può modificare assumendosene solo in parte l'onere del finanziamento? Vorrei capire meglio questo punto che non mi è chiarissimo.

RENATO CAMBURSANO. Ringrazio il professor Giarda. Mi pare di aver capito - mi corregga se sbaglio, professore - che intanto la prima parte della Costituzione, anche secondo lei, non va toccata. Spero che così avvenga e quindi che la modifica non venga introdotta né nell'articolo 11 né nell'articolo 53 della Costituzione - o quali altre soluzioni «diaboliche» si abbia in mente di porre in essere andando a toccare appunto la prima parte della Costituzione - limitandoci semmai agli articoli 81, 117 e 119.
Fatta questa premessa, pongo due brevi domande. Sugli investimenti - sul tema lei si è dilungato parecchio - io ho una visione più aziendalistica, come dicevo già in un'altra audizione e la ripeto anche oggi. Gli investimenti (bisogna capire ovviamente di che cosa si parla) sono uno strumento per accrescere la ricchezza, il patrimonio di un'azienda, in questo caso l'azienda Italia. Chiedo se non sia il caso di prevederne il finanziamento anche con un ricorso al debito, individuando annualmente in modo molto rigido quali sono gli investimenti che rappresentino per l'appunto un incremento di ricchezza patrimoniale.
La seconda e ultima domanda riguarda la giustiziabilità. In altre parole, chi controlla, chi si pronuncia? Ci sono varie ipotesi: la Corte costituzionale, la Corte dei conti, la Presidenza della Repubblica o un'autorità di bilancio indipendente? Tutti e quattro i soggetti sono stati evocati. Personalmente - lo dico in anticipo - sono a favore dell'ultima ipotesi.

GIUSEPPE CALDERISI. Voglio rivolgere una domanda non di carattere tecnico, ma di carattere più generale, alla quale evidentemente deve rispondere la politica, ma chi ha la competenza può fornire un aiuto in termini di consapevolezza. Io sono molto favorevole a introdurre il principio del pareggio di bilancio e sono totalmente d'accordo anche a considerarlo un vincolo di natura etica, perché non possiamo pregiudicare il futuro delle generazioni successive.
Mi chiedo, però, che cosa esattamente comporta questa previsione. Formulo un'ipotesi: per me questa norma è un radicale, profondissimo cambiamento della nostra Costituzione economica; è sostanzialmente incompatibile con l'attuale peso e dimensione dello Stato, della mano pubblica (evidentemente non solo dello Stato in senso stretto), con l'ampiezza


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dell'area dell'economia intermediata dalla mano pubblica. Questa previsione, a meno che non vogliamo farne semplicemente una norma che poi è destinata a essere elusa, ma vogliamo far sì che poi venga rispettata, postula un profondo cambiamento della stessa forma di Stato, intesa come rapporto tra pubblici poteri e libertà dei cittadini.
A me sembra che sia questa la portata di una norma del genere. Credo e spero che si riesca a introdurla, ma nell'ambito di questa consapevolezza. Noi abbiamo il debito pubblico che abbiamo, abbiamo il servizio del debito che abbiamo, quindi introdurre il pareggio di bilancio in queste condizioni non è una cosa di poco conto. Volevo chiedere se questa valutazione ha un fondamento.

MARIO TASSONE. Professor Giarda, credo che lei abbia un osservatorio particolare perché, essendo stato anche al Governo, ha avuto la possibilità di capire l'evoluzione dei fatti. Ho seguito con molta attenzione la sua relazione, ad esempio per quanto riguarda temi come gli investimenti, le compensazioni, che lei ha messo in evidenza.
Le pongo la seguente domanda: se nella Costituzione che è entrata in vigore nel 1948 ci fosse stato nell'articolo 81 il riferimento al pareggio di bilancio, si sarebbe potuta verificare la ricostruzione alla quale abbiamo assistito nel nostro Paese, a fronte di una previsione sacrale del dettato costituzionale?
In secondo luogo, la tendenza al pareggio di bilancio può determinare una rivisitazione delle rispettive competenze esclusive e concorrenti tra Stato e regioni, quindi portare a rivedere la competenza dello Stato centrale in materia di sanità, sicurezza, istruzione, ambiente e grandi opere? Diversamente - faccio un'osservazione provocatoria, ma non tanto - l'indicazione del pareggio di bilancio nell'articolo 81 della Costituzione non credo che possa essere veritiera né soprattutto essere sostenuta.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Giarda per la replica.

DINO PIERO GIARDA, Professore ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario presso l'Università Cattolica di Milano. Proverò a rispondere ad alcune delle domande che mi sono state poste.
Non so dove andrebbe scritta questa norma, tutto dipende da come la scriviamo. Se scriviamo norme sufficientemente flessibili le si può inserire dove si vuole; se, invece, scriviamo norme molto rigide e vincolanti, di tipo pratico, attuative, è un po' più complesso decidere dove inserirle.
Penso che, per il modo con cui il nostro Paese è fatto, sia utile inserire nella Costituzione una norma del genere. Uso la parola «utile» per dire che non è necessario cambiare la Costituzione - questa è la proposizione numero uno - per avere delle politiche di bilancio rigorose.
Proposizione numero due: moltissimi dei testi costituzionali che si possono scrivere non sono condizione sufficiente perché nel lungo periodo il bilancio pubblico vada in pareggio. Io sono di educazione «utilitarista» e penso che sia utile avere in Costituzione una norma più circostanziata, un po' più leggibile che non le astruse norme del terzo e quarto comma dell'articolo 81 della Costituzione attuale. Qualunque cosa si faccia è meglio dell'esistente e, secondo me, è utile fare qualche cosa sull'esistente. Così come è infatti non va bene, anche se, come vi mostrano i grafici che ho allegato alla relazione scritta, con quelle norme si sono verificati comportamenti politici e legislativi fortemente differenziati.
Non è che gli articoli attuali conducano a politiche dissennate: le consentono, le hanno consentite, quindi forse è meglio rimuoverli. Dopo dipenderà da cosa scriverete e come andrete a scriverlo.
Penso che uno dei problemi più difficili che voi dovrete affrontare sarà la questione del cosa fare dei 240 miliardi di euro di spesa che sono gestiti da regioni, province e comuni, e in che misura inserire dei vincoli che consentano agli enti decentrati, soprattutto quelli di minori dimensioni (piccole regioni, piccole province, piccoli comuni) di vivere e di svolgere


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in modo soddisfacente i compiti che la Costituzione gli assegna. Questo è un problema molto complesso, perché vi troverete contro chi dice che, se deve fare una scuola, deve poterla fare. È giusto che si debba poter costruire la scuola, la strada, e che le piccole regioni - come il Molise o l'Abruzzo - debbano fare i debiti se devono fare un'opera pubblica, ma non lasciatevi incantare da queste necessità individuali.
Le necessità individuali vanno composte e il territorio regionale è un'area giusta, appropriata, per comporre le differenze individuali: quest'anno l'investimento lo fai tu, l'anno prossimo lo fa un altro. Non c'è niente di male se gli agenti non si muovono all'unisono, tutti insieme, seguendo le mode.
Questo sarà il compito più difficile che avrete, insieme a quello delle spese che sono assistite da particolare privilegio, come le spese dirette a soddisfare i diritti civili e sociali, i livelli essenziali delle prestazioni. Lì c'è una contraddizione con i princìpi del federalismo. Il nostro Titolo V non rispetta i princìpi del federalismo fiscale, è un altro ordinamento, dove lo Stato determina o concorre a determinare i livelli di spesa degli enti decentrati. Ma se lui lo fa, li può anche cambiare. E il Governo centrale può decidere se quando c'è una recessione i livelli di attivazione dei servizi in materia sanitaria devono abbassarsi? È una decisione politica che deve essere presa; altrimenti, se costringete gli enti a fare le stesse cose che facevano l'anno precedente e il PIL è caduto del 5 per cento, dovete dare loro i soldi. Non potete costringerli ad indebitarsi, perché questa sarebbe una violazione del principio del pareggio di bilancio. Quindi, quello che si mette in moto avendo l'attuale Titolo V è un sistema molto complesso e difficile da gestire, ma non potete ignorare che il 50 per cento della spesa che va ai cittadini e alle imprese viene dai bilanci di regioni, province, comuni, che coprono queste spese con entrate tributarie solo per il 40 per cento della spesa e più entrate proprie trasferiremo a loro, più saranno sensibili agli andamenti ciclici dell'economia. Tanto maggiore, dunque, sarà la necessità di avere forme di coordinamento finanziario per tenerle nel pareggio di bilancio.
È un compito molto complesso e difficile. Penso che nella Costituzione dobbiate inserire dei princìpi. Non si può pensare di regolare questa materia con norme che siano quasi applicative. Dovrete avere molta saggezza.
Infine, mi è stato chiesto se il vincolo di bilancio spacca il sistema politico ed economico con il quale siamo cresciuti tutti. Io penso di no, perché il pareggio di bilancio l'avete già votato per il 2013; non l'abbiamo ancora realizzato e non sappiamo che conseguenze vere avrà, perché appartiene al futuro, ma voi un commitment l'avete già preso, è già nelle pipeline. Se non fate la riforma fiscale taglieranno le agevolazioni a tutti. Il sistema è già orientato verso il pareggio di bilancio. Questa modifica della Costituzione tende a dire che non è una cosa una tantum, ma è qualche cosa con cui dovremo vivere anche nel futuro.
Dovete inoltre affrontare la questione di che cosa fare del pareggio di bilancio se il tasso di crescita dell'economia si stabilizza su livelli così bassi come sono quelli con i quali stiamo vivendo adesso. Insomma, sono decisioni molto complesse che abbisognano di un po' di flessibilità, ma non troppa, perché in questo caso siamo sicuri che ci sarà qualcuno che la userà male.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Giarda a nome mio e delle Commissioni riunite.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,10.

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