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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(I e V)
4.
Martedì 23 ottobre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 5520 GOVERNO RECANTE CONVERSIONE IN LEGGE DEL DL 174/2012: DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI FINANZA E FUNZIONAMENTO DEGLI ENTI TERRITORIALI, NONCHÉ ULTERIORI DISPOSIZIONI IN FAVORE DELLE ZONE TERREMOTATE NEL MAGGIO 2012

Audizione di esperti della materia:

Bruno Donato, Presidente ... 3 23 26
Occhiuto Roberto, Presidente ... 18 20
Abbamonte Orazio, Professore ordinario di storia del diritto medioevale e moderno ... 3
Guzzetta Giovanni, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico ... 6 25 26
Jorio Ettore, Professore ordinario di diritto sanitario ... 8
La Loggia Enrico (PdL) ... 20
Lanzillotta Linda (Misto) ... 18
Loiodice Aldo, Professore ordinario di diritto costituzionale ... 10 23
Marini Cesare (PD) ... 20
Meroni Fabio (LNP) ... 23
Moroni Chiara (FLpTP), Relatore per la V Commissione ... 21
Mussari Riccardo, Professore ordinario di economia aziendale ... 12 26
Perez Rita, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico ... 15
Rubinato Simonetta (PD) ... 22
Salerno Giulio, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico ... 16 26
Tassone Mario (UdCpTP) ... 20
Volpi Raffaele (LNP) ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) E V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 23 ottobre 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 16,10.

(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti della materia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva nel quadro dell'esame del disegno di legge C. 5520 Governo di conversione in legge del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, che introduce disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, l'audizione di esperti della materia.
Sono presenti - e li ringrazio a nome mio e del presidente della V Commissione Giorgetti per aver accettato l'invito - il professor Abbamonte, il professor Guzzetta, il professor Jorio, il professor Loiodice, il professor Mussari, la professoressa Perez e il professor Salerno.
Nel dare la parola agli auditi, chiederei loro la cortesia di contenere, se possibile, il proprio intervento - eventualmente possono lasciarci un testo scritto - in dieci minuti circa.

ORAZIO ABBAMONTE, Professore ordinario di storia del diritto medioevale e moderno. Devo dire che non mi sarei aspettato di dovermi trovare nei panni di difensore dell'autonomia regionale, poiché personalmente non ne ho mai avuto una grande considerazione, anche per il carattere ibrido di queste istituzioni che, povere di contenuto politico, si sono spostate - secondo me un po' troppo - sulla gestione clientelare e quotidiana del potere.
Obiettivamente, questo decreto-legge contiene profili che lasciano molto perplessi. Per illustrarli rapidamente ho bisogno soltanto di chiarire qualche parametro costituzionale, cioè il quadro costituzionale all'interno del quale questo provvedimento si pone e alla stregua del quale deve essere vagliato.
Mi soffermerò su due o tre punti del decreto-legge, quelli di maggiore rilevanza costituzionale, e del resto le Commissioni se ne saranno avvedute. Forse il dato normativo più illuminante per intendere quanto questo decreto-legge - in quanto tale, ha una scarsa possibilità di dibattito parlamentare - sia in conflitto con l'impianto costituzionale è una norma che nella Costituzione non c'è più: l'articolo 125, primo comma, che, come le Commissioni certamente sanno, contemplava il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione.
Questa norma è stata abrogata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, quando si decise, dopo quell'iniziale riforma assai più prudente del 1999, di elevare la dimensione regionale, dandole cioè una profilatura politica più simile a una istituzione che si possa in qualche modo riferire alle categorie del federalismo di quanto fino a quel momento non lo fosse stato.


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Questo è un dato particolarmente illuminante perché sopprime il meccanismo dei controlli, ma direi che sono varie le disposizioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione che depongono in questa direzione. Ad esempio, depone in questa direzione l'articolo 117 quando si limita, per la materia che qui ci interessa, a parlare di «coordinamento» della finanza. Il coordinamento è una modalità di intervento tutt'altro che autoritaria, una modalità che presuppone - proprio perché «coordina» e non «ordina» una partecipazione delle istituzioni coinvolte e, per di più, lo Stato può esercitare questo potere di coordinamento soltanto fissando princìpi fondamentali.
Vi è un altro aspetto che considero importante sottolineare. Non è che manchino allo Stato i poteri per intervenire sulle regioni che dovessero valicare le loro competenze o dovessero assumere provvedimenti contrari agli interessi dello Stato. Questo intervento, però, è previsto come intervento eccezionale e sostitutivo, o addirittura intervento di scioglimento nel caso di gravi violazioni di legge.
Ho inteso dire, con queste brevi notazioni, che il tipo di relazione che esiste tra lo Stato e le regioni dopo la riforma del Titolo V è un tipo di relazione che non è di controllo ordinario da parte dello Stato dell'attività delle regioni, ma di controllo eccezionale da esercitare soltanto quando ci siano delle condizioni eccezionali che richiedano, se la regione non svolge i suoi compiti (in quel caso interviene il controllo sostitutivo) o compie atti gravemente violativi delle leggi dello Stato, appunto controlli di carattere eccezionale.
Il controllo di legittimità sugli atti della regione è assolutamente da questo quadro escluso, e non a caso fu esplicitamente abrogato. Una norma che abroga un potere tipizzato nell'ordinamento, il controllo di legittimità, e lo abroga a livello costituzionale, non la si può intendere come un'opzione o una pulizia di carattere estetico del testo costituzionale, ma esprime una puntuale opzione, da parte del costituente, di rispetto.
Che cosa si legge, dunque, in questo decreto-legge? Come ho anticipato, già la forma del decreto-legge è particolarmente autoritaria, in quanto è potestà del Governo che prescrive anche il dibattito parlamentare; inoltre, è una forma di intervento assai poco adatta a contenuti così complessi e di rilevanza costituzionale. Se questo decreto passa, a mio giudizio, in realtà si sta surrettiziamente modificando almeno una parte dell'impianto costituzionale, ma una parte non trascurabile, perché si parla delle istituzioni regionali che, se vale la pena di conservarle, è perché incrementino le loro responsabilità e ne rispondano nei modi della responsabilità politica.
La scelta è stata quella di sottoporre a controllo non una parte trascurabile ma la parte più qualificante dell'attività regionale. Sappiamo che per l'articolo 123 della Costituzione le funzioni amministrative sono dei comuni, poi della provincia, poi della regione, perché quest'ultima, secondo la tradizione regionalistica italiana, dovrebbe intervenire con attività di carattere generale, programmatico, pianificatorio e non mettere le mani nella gestione ordinaria, cosa che purtroppo ha finito col fare proprio perché a mio giudizio non le è stata assegnata una collocazione politica di rilievo costituzionale nei fatti, soprattutto per la finanza di trasferimento.
Comunque, la regione svolge attività soprattutto di programmazione e di indirizzo. Quello che si è pensato di stabilire a me sembra una cosa enorme - anche se naturalmente posso sbagliare - in attuazione dell'articolo 100 della Costituzione, che prevede la possibilità per la Corte dei conti di sottoporre a controllo gli enti al cui finanziamento lo Stato partecipa ordinariamente - cosa della quale mi permetto di dubitare perché l'articolo 119 della Costituzione sancisce la compartecipazione delle regioni al gettito dei tributi erariali che riguardino il loro territorio. Questo non significa che la regione deriva la sua finanza dallo Stato ma, in una corretta lettura dell'articolo 119 che temo non ci sia stata, dovrebbe significare che la regione non è più partecipata nei finanziamenti


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dallo Stato ma ha un originario diritto al finanziamento, quindi la Corte dei conti non dovrebbe potervi mettere il naso.
Comunque sia, a parte questo aspetto, si è pensato di sottoporre al controllo preventivo di legittimità niente di meno che gli atti amministrativi a carattere generale e particolare adottati dal Governo regionale e dall'Amministrazione regionale in adempimento degli obblighi comunitari, e tutti gli atti di carattere programmatorio e pianificatorio delle regioni, ivi compreso il piano sanitario e via dicendo (le Commissioni conoscono la norma).
Chi anche minimamente ha cognizione della storia dell'organizzazione amministrativa di questo Paese e della storia del diritto amministrativo sa benissimo che il controllo preventivo di legittimità è la forma più invasiva, più acuta e più mortificante di controllo per le istituzioni amministrative, tanto che nell'Ottocento, allorquando le metafore letterarie avevano più luogo, si parlava di «tutore» e di «pupillo».
Si è pensato, in questo provvedimento, di sottoporre a un controllo preventivo di legittimità l'organo regionale che dovrebbe avere aspirazioni di soggetto politico parafederale, e di sottoporre al controllo preventivo di legittimità la parte più significativa e politicamente più connotata dell'attività regionale. Sia pur dicendo che questo controllo dovrebbe riguardare i vincoli finanziari e la stabilità, si sa bene che non c'è cosa che non ridondi in termini di finanza.
Peraltro, si sottopone l'organo regionale al controllo di chi? Questo è un altro aspetto secondo me rilevante sul piano istituzionale: si sottopone l'organo regionale al controllo della Corte dei conti, la quale - non bisogna lasciarsi suggestionare dal fatto che si tratta di un organo che ha giurisdizione - è per il Titolo III, sezione III della Parte seconda della Costituzione, un organo ausiliario del Governo. Una parte dei componenti della Corte dei conti è nominata dal Governo. Si è molto discusso, in passato, se svolgesse attività amministrativa o attività giurisdizionale, per quelle categorie che sono care ai giuristi, ma poi il Consiglio di Stato ha detto che non si trattava di attività amministrativa e bisognava impugnare i provvedimenti che davano esecuzione agli atti di registrazione.
Tuttavia, il problema si pone seriamente sul piano politico, perché si tratta di sottoporre le regioni al controllo della Corte dei conti che è un organo ausiliario del Governo. Nella logica del Titolo V della Costituzione, dove ci sarebbe il principio di sussidiarietà e dove l'intervento dello Stato dovrebbe essere limitato alle ipotesi in cui è strettamente necessario e in cui non è possibile fare diversamente, in presenza di preminenti interessi dello Stato, si sottopone invece l'organo regionale al controllo preventivo di legittimità di un organo ausiliario del Governo, sia pure del profilo istituzionale della Corte dei conti.
Cosa succede, allora? Si sa bene che quando c'è il controllo preventivo di legittimità bisogna contrattare. Ora, sappiamo della gragnuola di poteri che sono stati assegnati alla Corte dei conti. Per esempio, la sezione giurisdizionale applica sanzioni fino a un massimo di venti volte, ma con quale procedimento? Che io sappia, la sezione giurisdizionale richiede un procuratore, invece si parla solo di applicazione di sanzioni. È diventato forse un organo di iniziativa? Non è spiegato, e forse l'interpretazione dei giuristi potrà riadattare all'ambiente Corte dei conti questa norma, però mi pare che siano temi abbastanza importanti.
Svolgo un'ultima considerazione e non toccherò, come ho detto, le questioni dei comuni perché ci sono altri colleghi in grado di farlo meglio di me. Una norma prevede che se la regione non adegua il suo ordinamento a una certa legge che, invadendo le competenze statutarie, aveva stabilito il numero e il compenso dei consiglieri regionali (aspetti che, per carità, sono una reazione a un malcostume che tutti abbiamo vissuto, ma io non ho mai condiviso le risposte legislative sull'onda di uno sdegno generalizzato, anche perché le reazioni legislative non si prestano a questo tipo di operazioni), quindi se le regioni non adeguano i loro statuti a


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un certo schema, a una certa silhouette disegnata in questo decreto-legge, non gli si versano più i trasferimenti che è loro diritto avere. Infatti, i trasferimenti non sono un regalo che lo Stato fa alle regioni; proprio per l'autonomia finanziaria, esse hanno il diritto ad avere la compartecipazione ai tributi esatti nella regione stessa, e tutti i tributi sono quindi originari e devono coprire tutte le spese.
Insomma, la norma prevede che le regioni non avranno trasferimenti se non adeguano gli statuti alla legge dello Stato. Una legge che, peraltro, esiste da tempo e siccome non si hanno mezzi per costringere le regioni ad adeguarsi è stato emanato un decreto-legge con un certo contenuto di violenza: se non fai quello che dico io e io non posso importelo, non ti do più i soldi per andare avanti. Questo vìola, a mio giudizio in maniera abbastanza chiara, l'articolo 123 della Costituzione. Tale articolo, che fu modificato già nel 1999, prevedeva il doppio voto ed era l'unica deliberazione della regione sulla quale non era contemplato il visto del commissario di Governo, perché si riteneva che fosse la più alta espressione dell'autonomia regionale. Il commissariamento ora non esiste più (già da due anni dopo) ma nel 1999 c'era ancora e la Costituzione si era premurata di spiegare che lo Statuto regionale è approvato con due votazioni, ma non è sottoposto al controllo del Governo. Ora addirittura si scrive in una legge che se la regione non lo modifica come chiede lo Stato, questo non le trasferisce più i soldi per sopravvivere. Si tratta di comportamenti «di piazza», non di leggi e tanto meno di leggi che hanno contenuti costituzionali.

GIOVANNI GUZZETTA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. Grazie. Anche io, presidente, date le ragioni di ristrettezza dei tempi mi limiterò a sottolineare solo alcuni aspetti, relativi in particolare all'articolo 2 del decreto-legge, quello che riguarda più direttamente le regioni - seppure da altri punti di vista rispetto a quelli che sono già stati toccati - e che mi sembra il più problematico.
È assolutamente evidente che in una materia come questa esiste una competenza regionale e addirittura, per certi versi, una competenza statutaria esclusiva della regione. La Corte costituzionale, di recente, in particolare nella sentenza n. 198 del 2012, è intervenuta consentendo delle limitazioni a questa autonomia regionale che prima era considerata più rigida. Malgrado ciò e malgrado le motivazioni della Corte, che prendiamo come date - non è questa la sede per fare una riflessione critica - è evidente che anche con questa sentenza della Corte, però, le deroghe a questo modello in cui la competenza è essenzialmente regionale in questa materia sono deroghe limitate, quindi vanno interpretate con uno scrutinio particolarmente accurato.
Il provvedimento che è stato varato dal Governo sostanzialmente, per molti versi, integra disposizioni che già esistono nell'ordinamento prevedendo forme di pressione e di sanzione particolari. Tuttavia, per quello che ho appena detto, il fatto che le norme «madri» siano state salvate dalla Corte non significa che le norme «figlie» non possono essere a loro volta indipendentemente incostituzionali.
Mi occuperò rapidamente solo di tre profili. Il primo: l'articolo 2, comma 1, come è già stato detto, prevede che nel caso di mancato adeguamento agli obblighi ivi previsti a carico delle regioni, a partire dal 2013 venga decurtata una quota pari all'80 per cento dei trasferimenti, esclusi quelli in materia di servizio sanitario nazionale e di trasporto pubblico, nonché il 5 per cento dei trasferimenti erariali.
Ora, non so se questa misura in astratto sia illegittima. Il modello «ti pago se conformi la tua legislazione» è un modello che esiste sul piano comparato ed è stato anche applicato molto in Italia, in particolare nel settore sanitario. Tuttavia, prevedere che il mancato adeguamento a queste misure comporti una decurtazione dell'80 per cento a me sembra incorra in un grave vizio di irragionevolezza e di sproporzione: per quanto possano essere urgenti le ragioni che hanno spinto il legislatore nazionale a intervenire sui costi


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della politica regionale, questi sono estremamente modesti rispetto al bilancio delle regioni, in termini quantitativi, quindi prevedere una sanzione così grave a me sembra del tutto sproporzionato.
Tra l'altro, adempiere a questi obblighi non è così semplice, e questo è il secondo profilo. Il provvedimento prevede dei termini molto tassativi, come è noto: il primo comma dell'articolo 2 prevede che entro il 30 novembre ci sia l'adeguamento complessivo delle regioni a livello legislativo, salvo poi consentire un termine di sei mesi per l'adeguamento degli statuti. Quindi, il 30 novembre è un primo termine, ma ce n'è uno precedente, il 30 ottobre, di cui alla lettera b) del comma 1, che riguarda l'individuazione da parte della Conferenza Stato-regioni della regione più virtuosa ai fini del livellamento dei compensi.
Ora, un termine che scade a venti giorni dall'emanazione del decreto-legge e che, una volta scaduto, abilita il Presidente del Consiglio, con un proprio decreto, a un intervento di tipo sostitutivo, a me sembra del tutto fuori dalla logica della leale collaborazione.
Non so se questo sia qualificabile come un intervento sostitutivo ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione - e non mi sembra - ma la cosa certa è che la giurisprudenza costituzionale, da questo punto di vista, è assolutamente granitica sulla necessità di leale collaborazione.
Ora, non mi sembra adeguato prevedere un termine di venti giorni per un'operazione che non è per niente semplice, se le parole hanno un senso, perché la regione più virtuosa non è necessariamente la regione che paga meno i propri consiglieri, ma evidentemente va fatta una valutazione tra i costi, il numero, e anche l'efficienza dell'allocazione delle risorse. Che sia possibile farlo in venti giorni mi sembra molto improbabile, il che rende il termine sostanzialmente canzonatorio.
Il terzo e ultimo profilo, che mi pare rilevante per la sua attualità e che forse è un po' più delicato rispetto agli altri, riguarda come questa disciplina e questi termini tassativi interagiscano con la situazione di quelle regioni che siano state sciolte recentemente, quindi il regime dello scioglimento rispetto ai termini tassativi.
A questo proposito, il comma 3 dell'articolo 2 del decreto-legge prevede una deroga al termine lungo dei sei mesi stabilendo che, laddove siano necessarie modifiche statutarie, «il termine di sei mesi di cui all'alinea del comma 1 decorre dalla data della prima riunione del nuovo consiglio regionale». Dunque, se il consiglio regionale è sciolto o è a meno di novanta giorni dalla scadenza naturale, di questo problema si occuperà il nuovo consiglio, quindi i termini vengono posticipati.
Questa disposizione mira a risolvere un problema, ma in realtà ne apre un altro, secondo me: quid iuris di quelle modifiche che non devono essere apportate nella riforma dello statuto ma con legge regionale (in particolare quelle che riguardano, per esempio, gli emolumenti)?
Le soluzioni sono astrattamente due: la prima, si ritiene che, a differenza della riforma dello statuto, le modifiche legislative vadano fatte entro i termini, quindi dovranno farle i consigli scaduti o sciolti; la seconda, si ritiene che le modifiche legislative debbano essere rinviate al nuovo consiglio.
In prima battuta, in favore di questa seconda soluzione - cioè che le modifiche legislative siano anch'esse rinviate - milita l'argomento, basato sui princìpi generali in tema di prorogatio, secondo cui un consiglio sciolto (ma non un consiglio che scadrà tra novanta giorni, quindi si pone già un problema) e in una condizione di affievolimento dei poteri non può pertanto procedere a modifiche legislative. Se si dovesse ragionare in termini di princìpi si potrebbe dire questo.
In senso contrario, però, gioca proprio la previsione esplicita con riferimento alle modifiche statutarie. Poiché infatti un consiglio sciolto se non può approvare leggi a fortiori non può approvare una riforma dello Statuto, che senso ha avuto, sul piano ermeneutico, la previsione espressa nel comma 3 che al consiglio è inibito di riformare lo Statuto? Detto in altri termini, se ci si muove nella logica


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della diminuzione dei poteri del consiglio sciolto, che bisogno ci sarebbe stato di prevedere un'ovvietà, che cioè il consiglio sciolto non possa modificare lo statuto?
A me sembra, quindi, che la previsione vada letta esattamente capovolta: il consiglio, data l'emergenza della situazione, pur sciolto deve rispettare i termini, quindi deve operare quell'attività di legislazione immediatamente per tutto ciò che non è statuto, tranne rinviare le modifiche statutarie alla prossima legislatura. Questo mi pare confermato da quanto dice espressamente il comma 3 dell'articolo 2 al secondo periodo (anche qui, non ci sarebbe stato motivo di dirlo se ci fossimo mossi nella logica dei princìpi generali): «Le disposizioni del comma 1» (cioè quelle sui limiti e sui termini) «si applicano» (quindi il termine vale) «anche alle Regioni nelle quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il Presidente della regione abbia presentato le dimissioni ovvero si debbano svolgere le consultazioni elettorali entro novanta giorni».
Siccome questi termini non sono calcolati in termini di mesi («entro sei mesi da») ma sono il 30 novembre 2012 e il 30 ottobre 2012, non è possibile rispettare questo termine, che pur si impone sia rispettato, se non legiferando immediatamente, onde non perdere l'80 per cento dei trasferimenti, che mi sembra una cifra abbastanza considerevole.
In questa prospettiva, si dovrebbe giungere alla conclusione che il consiglio, benché sciolto e benché espressamente inibito dal procedere alle riforme statutarie, sia invece tenuto, per il resto, a intervenire tempestivamente in relazione a tutti gli altri profili che non fanno parte della riforma statutaria, rinviando lo scioglimento a un momento successivo o al momento elettorale.
È chiaro che si tratta di una disciplina molto ambigua. L'auspicio è che il Parlamento intervenendo possa in qualche modo chiarirla, anche perché, se non lo facesse - ma questa è una considerazione meramente pratica, che tuttavia chi fa anche l'avvocato contempla - il rischio è che, con una disposizione così ambigua, siano le regioni interessate a sollevare questioni di legittimità costituzionale in via principale, un momento dopo che queste norme verranno stabilizzate. Questo avrebbe l'effetto paradossale di sospendere le eventuali procedure elettorali o comunque di pregiudicare la legittimità delle stesse qualora si stiano svolgendo.
Mi fermerei qui, salvo rimanere a disposizione per eventuali domande.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE ROBERTO OCCHIUTO

ETTORE JORIO, Professore ordinario di diritto sanitario. Avevo articolato il mio intervento in modo diverso, ma per ragioni logistiche lo ridurrò a due punti, soffermandomi su due interrogativi di natura costituzionale. Il primo riguarda l'opportunità di procedere, così come sta facendo il legislatore dell'ultimo biennio, a regolare la disciplina complessiva del sistema autonomistico locale; inoltre, evidenziavo alcune eccezioni e alcuni dubbi di merito, sollevando alcune presunte conflittualità procedimentali. Mi soffermerò solo sui due interrogativi di natura costituzionale, per poi interessarmi velocemente del pre-dissesto.
Il primo interrogativo riguardava la capienza dell'articolo 100 della Costituzione, ma il tema è stato affrontato dai colleghi che mi hanno preceduto, alcuni dei quali si sono espressi sfavorevolmente, altri favorevolmente. Io ritengo, per ragioni di brevità, di superarlo semplicemente con il richiamo alla sentenza n. 198 del 2012, la quale fa esplicito riferimento all'ormai divenuto «bilancio dalla Repubblica». C'è, quindi, lettura coordinata degli articoli 114, 87 e 97, primo comma. Vedo che il collega Abbamonte non è d'accordo, ma io ritengo di sì. Peraltro, questa è una logica confermata dalla Corte fin dal 2007.
Voglio, tuttavia, passare al secondo punto. A questo proposito, ho un mio convincimento che, per certi aspetti, temo di porre all'attenzione dei giuristi. Infatti, l'interrogativo si concretizza supponendo


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l'impossibilità per il legislatore di sottoporre la materia a decretazione d'urgenza; questo, con particolare riferimento alla lettera del nuovo articolo 81, sesto comma, della Costituzione. La natura del problema avrebbe bisogno della massima attenzione possibile perché, se viene condiviso il teorema che propongo, ciò comporterebbe un vizio insanabile del provvedimento, nel senso che lo stesso non risulterebbe rimediabile sotto il profilo emendativo.
Voglio dire che la materia della quale si occupa il decreto-legge ricade, per la quasi totalità, su temi che sono disciplinati dall'articolo 5 della legge costituzionale n.1 del 2012, ossia i temi per i quali l'articolo 81, sesto comma, fa esplicito riferimento all'approvazione di una legge a maggioranza assoluta dei componenti la Camera. Quindi, in quanto tale, questo ambito è sottratto alla decretazione d'urgenza.
Il problema si riferisce all'indicazione della legge rinforzata per procedimento e per contenuto. Mi pare che nell'ambito dell'articolo 5, allorquando si attribuisce la competenza alla legge delegata rinforzata, che deve essere approvata a maggioranza dei componenti del Parlamento, ci si riferisce proprio alle verifiche preventive e consuntive sugli andamenti di finanza pubblica, all'introduzione delle regole sulla spesa che consentono di salvaguardare gli equilibri di bilancio, alle modalità attraverso le quali lo Stato concorre ad assicurare il finanziamento e la verifica delle attività e, infine, alla facoltà dei comuni di ricorrere all'indebitamento.
Questa materia, proprio perché dedicata a una legge approvata a maggioranza assoluta, esclude ogni provvedimento di carattere emergenziale. Ritengo che ciò valga per la gran parte del provvedimento. Mi riferisco agli articoli 243-bis, ter e quater del TUEL, introdotti dal decreto-legge, quindi al pre-dissesto, al fondo rotativo e alla nuova regolamentazione dei controlli.
Tuttavia, il problema che mi pongo è un altro. Questo tipo di giustificazione, alla quale attribuisco il peso di vizio costituzionale insanabile attraverso il processo di conversione, sta nel fatto che la norma afferisce a questo sistema pubblico territoriale, quindi all'emersione e alla gestione dei numeri pubblici e dei controlli, che costituiscono uno degli obblighi contratti nel fiscal compact, che, sotto quest'aspetto, ci sta tutto. Infatti, dagli esiti dei controlli e dalla gestione e dall'emissione del debito del sistema autonomistico potrebbe dipendere l'esito del disavanzo pubblico, quindi un mancato conseguimento dell'obiettivo fissato nella legge di bilancio a livello europeo, ovvero nel fiscal compact. Tuttavia, per ragioni di tempo, evito di dilungarmi sulla questione.
Ora vorrei fare qualche osservazione sul pre-dissesto. Il nostro legislatore mutua questo tipo di istituto dalla legge fallimentare, a salvaguardia del dissesto che l'articolo 244 stabilisce nell'interesse dei cittadini. Ossia, il pre-dissesto viene indicato come misura per evitare che le condizioni dei comuni continuino a determinare ciò che, invece, nel Testo unico n. 267 del 2000 era stato previsto solo per garantire ai cittadini la continuità nell'erogazione dei servizi pubblici e delle prestazioni, altrimenti in pericolo.
Questo determina il differimento di un quinquennio di un termine sanzionatorio che è posto a carico degli amministratori responsabili per la mala gestio pubblica, quindi costituisce, di fatto, una sorta di norma ingenua, che in realtà è sindacabile anch'essa sotto il profilo della costituzionalità, con riferimento agli articoli 5 e 97 della Costituzione, cioè all'imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione. Quello del pre-dissesto è un sistema per garantire, di fatto, di mandare esenti da responsabilità gli amministratori incapaci, responsabilizzando per altri cinque anni proprio coloro che hanno assicurato il cattivo andamento della pubblica amministrazione, mentre, dall'altra parte, si auspica che il buon andamento si vada a insediare a tutti i livelli della pubblica amministrazione.
Credo, peraltro, che questa decisione del legislatore si ponga in netta contraddizione con quanto lo stesso fa, per esempio, in materia sanitaria, allorquando decide di affidare il commissariamento della


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sanità regionale non più al presidente della giunta uscente, corresponsabile del dissesto, bensì a un commissario ad acta. Ciò, peraltro, è stato realizzato di recente nella regione Lazio.
L'altro problema serio è che la procedura fonda le sue radici, quindi il suo presupposto, sulla determinazione di un saldo debitorio, che, di fatto, non c'è e non potrà esserci perché, nella coevità, a questo saldo dovrebbe pervenirsi attraverso i percorsi individuati dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, che, allo stato attuale, vive un percorso di sperimentazione del progetto Arconet (armonizzazione contabile degli enti territoriali), dal quale dovrebbero emergere tutte le attività, quindi l'emersione dei residui attivi mantenuti nei bilanci e dei residui passivi, cioè il riconoscimento dei debiti ancora non perfezionati.
Quanto al problema del finanziamento, a me pare che i 2,030 milioni previsti dal fondo di rotazione siano poca cosa per affrontare la situazione debitoria degli enti locali, che si presume essere superiore a quella emersa nell'ambito della sanità. Tutto ciò comporterà sicuramente dei ritardi e delle responsabilità anche perché parte di questi soldi - i 500 milioni previsti dall'articolo 4, comma 5 - verranno sottratti alla tempestività dei pagamenti della pubblica amministrazione, per cui, da una parte, si ritarderanno i pagamenti della pubblica amministrazione per il 2012 e, dall'altra, si manderanno in fumo le risorse perché molti degli enti non potranno, né sapranno fare uso corretto e conseguente delle stesse.
Ho completato, grazie.

ALDO LOIODICE, Professore ordinario di diritto costituzionale. Vi saluto cordialmente e vi ringrazio dell'invito. Esprimo un'opinione che tecnicamente si chiama «a prima lettura», seguendo lo schema che viene pubblicato sulla rivista Quaderni costituzionali diretta dal collega Augusto Barbera.
Seguo tre angoli visuali che si confondono nell'osservazione, cioè quello della ricerca e dell'insegnamento del diritto costituzionale, che mi vede impegnato da dieci lustri, quello della professione di amministrativista, ma anche - mi è servita anche questa esperienza - quello di controllore degli atti della regione per 18 anni.
Quanto diceva il professor Abbamonte sulla contrattazione è significativo. Fare esperienza concreta fa capire che è erroneo eliminare i controlli, ma bisogna che questi siano di tipo diverso. Trasferire la contrattazione di un tempo alla Corte dei conti, mi lascia perplesso. Comunque, non voglio fare commenti di questo tipo. Tralascerei ogni riflessione sul federalismo in generale e sulla discesa di qualità di questo nuovo regionalismo che emerge dal decreto-legge.
Tuttavia, i riferimenti costituzionali rimangono. L'Assemblea costituente previde un regionalismo che si potesse trasformare in federalismo. L'articolo 5 imponeva di promuovere le autonomie; il 114 ha dato pari dignità costituzionale, nell'ultimo testo. Invece, il testo attuale si colloca al di sotto della concessione che emergeva nell'Assemblea costituente. In sostanza, non promuovere le autonomie non rispetta la pari dignità costituzionale a esse attribuita. Comunque, questo è sullo sfondo.
Occorrerebbe ricostruire un intervento del genere, ma in maniera differente, il che è possibile. La finanza non può essere il pretesto per operazioni di questo tipo, che si possono senz'altro costruire diversamente. Tuttavia, siccome è un decreto-legge, forse non c'è nemmeno il tempo di comprendere e trasferire questo concetto.
Vorrei fare alcune osservazioni, di carattere generale e particolare, anche in relazione a qualche emendamento di dettaglio.
La considerazione generale si riferisce alla posizione della Corte dei conti rispetto all'amministrazione regionale che viene controllata. Il controllo della Corte dei conti per lo Stato ha una sua logica perché gli uffici dello Stato non godono di autonomia. Invece, nei confronti delle regioni, è riconosciuta un'autonomia costituzionale che è, però, ignorata. La «legge Scelba» (legge 10 febbraio 1953, n. 62), che prevedeva


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la disciplina dei controlli sulle regioni, già prevista nell'articolo 125 della Costituzione, era democratica, eppure era considerata statalista e accentratrice, ma era più respirabile rispetto all'attuale. Questo è un dato di fatto.
Per quanto riguarda il profilo dell'articolo 1, si potrebbe fare un emendamento migliorativo, non dico sulla sopravvivenza o meno di questo intervento, perché se questa è la linea da seguire, c'è poco da fare, a condizione, però, che sia almeno corretta.
Il comma 1 dell'articolo 1 dice che per rafforzare il coordinamento - su questo concetto si è già detto - bisogna rivedere le forme di partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione, di cui all'articolo 100 della Costituzione. Poi si parla di controllo di legittimità, che è un'ipocrisia totale. Questa è una classica ipocrisia legislativa: dobbiamo occuparci del controllo di gestione, quindi ci occupiamo degli atti amministrativi, ma «limitatamente alla verifica del rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, dal patto di stabilità» - fin qui si comprende - «nonché dal diritto europeo e dal diritto costituzionale».
Ora, il diritto costituzionale contiene i princìpi di tutto l'ordinamento. Basta fare questo riferimento e la cosa viene estesa a tutta la normativa legislativa. Insomma, mi pare un controllo di legittimità a tutto campo. Quindi, andrebbero eliminati perlomeno i riferimenti all'Unione europea e al diritto costituzionale. Siccome già si è detto del patto di stabilità e dei vincoli finanziari, che bisogno c'è di aggiungere anche la normativa non finanziaria dell'Unione europea o il diritto costituzionale? Allora, i rapporti fra Stato e Chiesa sono motivo di incidenza? E cosa succede riguardo ai partiti, che fanno parte dalla Costituzione? È vero che i partiti hanno dato qualche problema, quindi potrebbero anche rientrare, ma tanti altri hanno dato problemi. Del resto, l'Italia ha una tale fantasia per cui tutto è possibile, quindi apriamo a tutto.
Poi, sul piano tecnico, si dice che questo controllo interviene secondo la legge sulla Corte dei conti (legge 14 gennaio 1994, n. 20). Ora, questa legge, per il controllo, prevede una procedura in virtù dalla quale la regione, prima di vedere reso esecutivo il suo atto amministrativo, perde minimo 60 giorni. Infatti, l'atto deve andare da un funzionario istruttore, che esisteva anche nell'organo di controllo, il quale può chiedere chiarimenti; dopo di questo, lo manda alla sezione di controllo, la quale, a sua volta, può chiedere chiarimenti. Insomma, mi pare una cosa veramente esagerata.
Quando ero all'organo di controllo, arrivavano gli atti della regione e in 20 giorni dovevamo rispondere. Certo, potevamo chiedere chiarimenti. Dopodiché, si apriva il momento della contrattazione perché, quando si chiedevano chiarimenti, la regione veniva a parlare con il commissario di Governo, si vedeva cosa andava e cosa no e si contrattava. In 20 giorni, però, finiva tutto. In questo caso, occorrono minimo 60 giorni.
Credo, quindi, che un emendamento minimo che si dovrebbe fare è aggiungere «ai sensi dell'articolo 45 della legge 10 febbraio 1953, n. 62». I termini e le modalità devono essere quelli, oppure riduciamo a un terzo i termini, che qui sono ridotti della metà. Ecco, mi chiedo quale bisogno ci sia di dare tutto questo spazio a un istruttore dalla Corte dei conti, per non parlare del compito immane che ricadrebbe sulla Corte stessa. Insomma, o si riduce ulteriormente il termine della Corte dei conti oppure si applica la legge precedente. Ecco, mi pare doveroso segnalare questo aspetto per darvi un'idea sotto il profilo generale.
Invece, sotto quello particolare, ci sono diversi aspetti che possono essere presi in considerazione. Tuttavia, come fatto sintomatico, cito il comma 2 dell'articolo 2 del decreto-legge, che è retroattivo. Si dice, infatti, che il diverso meccanismo contributivo si applica immediatamente alle regioni. Riguardo all'articolo 14, comma 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla legge


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14 settembre 2011, n.148, che è più tecnico, ho distribuito una fotocopia perché, appunto, l'argomento è specialistico.
A ogni modo, immaginare che immediatamente i consigli regionali adottino un provvedimento retroattivo su trattamenti che sono in atto mi pare confligga con la Costituzione, per cui potrebbe generare diversi contrasti. Allora, il punto andrebbe emendato nel senso che questa nuova disciplina che le regioni devono porre in essere si applichi dalla legislatura successiva, come peraltro accade per altre norme similari.
Alcune regioni hanno già applicato l'articolo 14 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.148. Quindi, non vedo perché si debba immediatamente fare un prelievo retroattivo che potrebbe creare una spesa superiore. Questo è un segno di fretta o di arroganza. Non si capisce perché si vogliono mettere le mani nelle tasche delle persone senza nemmeno avvertirle. Occorre, perlomeno, una riflessione.
In ogni caso, un principio di civiltà giuridica è quello che la legge si applica per il futuro e solo eccezionalmente per il passato. È vero che questo non è un principio costituzionale, se non per quanto riguarda il profilo penale, ma normalmente viene preso come parametro di ragionevolezza, per cui mi permetto di segnalare questo elemento.
Non aggiungo altro. Con questo mio contributo mi associo a quanto è stato già detto per augurarvi buon lavoro.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE GIANCARLO GIORGETTI

RICCARDO MUSSARI, Professore ordinario di economia aziendale. Anch'io mi associo ai ringraziamenti per l'invito, che naturalmente mi onora; spero di poter essere, in qualche misura, utile.
Non faccio il giurista, per cui ho ascoltato con grande attenzione le dotte osservazioni dei colleghi che mi hanno preceduto. Mi soffermerò, per ragioni di tempo e anche per la maggiore attinenza ai miei studi e alle mie ricerche, sull'articolo 3, in particolare su province e comuni, e con particolare riguardo al tentativo di riformare - nel testo è scritto «rafforzare» - i controlli interni, ma non solo a questo aspetto.
Procederei in maniera sequenziale, mescolando questioni di dettaglio con questioni che a me personalmente sembrano di maggiore rilievo. In prima battuta, con riferimento agli obblighi di trasparenza dei titolari di cariche elettive, mi sfugge la ragione per la quale, pur rendendosi obbligatoria - cosa che trovo naturale e giusta - la pubblicità e la trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche, si faccia riferimento soltanto al reddito e agli elementi attivi di codesto patrimonio.
La circostanza che questo patrimonio è stato acquisito attraverso forme svariate di indebitamento, dal mio punto di vista, anche se ci riferiamo a singole persone fisiche, non è irrilevante e per molte ragioni. Anche i rapporti di natura finanziaria che il singolo può mantenere con le istituzioni finanziarie o le condizioni alle quali queste risorse finanziarie sono state acquisite potrebbero essere di qualche interesse per i terzi.
Una questione più tecnica e di dettaglio riguarda la modifica dell'articolo 49 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, dove si fa riferimento, a mio avviso in maniera impropria, al responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. Sarebbe opportuno, come peraltro si fa correttamente nel prosieguo del testo, utilizzare l'espressione «responsabile del servizio finanziario», anche al fine di evitare che con termini diversi si identifichi la medesima persona.
Allo stesso riguardo, trovo interessante la circostanza che si cerchi di affrancare il responsabile del servizio finanziario dalle possibili influenze negative che il Sindaco o il Presidente della Provincia potrebbe avere eventualmente su di lui. Tuttavia, noto con un certo rammarico che, mettendo insieme l'articolo 118, la


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legge 31 dicembre 2009, n. 196 - che qui viene definita armonizzazione contabile, ma che in realtà è un'unificazione contabile - e questo decreto, andiamo speditamente verso il modello francese dell'Ordonnateur. Non vorrei che il prossimo passo fosse far dipendere il responsabile del servizio finanziario dal Ministero dell'economia e delle finanze. Senza alcuno spirito polemico, ma conoscendo e frequentando anche l'ambiente internazionale, non si può che fare questa osservazione.
Quanto all'articolo 147 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, come modificato dal decreto-legge in esame, che riguarda le tipologie dei controlli interni, mi permetto molto sommessamente di osservare che la formulazione dell'articolo non è delle più chiare. Alle lettere a), b), c), d) e via dicendo vengono elencati i vari tipi di controllo; faccio però notare che per alcune di queste tipologie di controlli interni è specificata la nomenclatura - come ad esempio controllo di gestione o controllo di regolarità amministrativo-contabile - mentre per altre no, salvo poi nominare i controlli distintamente uno per uno negli articoli successivi, ridandovi contenuto.
Il mio suggerimento sarebbe quello di elencarli all'articolo 147 del TUEL con i nomi che già avete scelto e declinarne il contenuto negli articoli successivi. Questo renderebbe sicuramente più agevole la lettura. Al riguardo suggerirei anche di «spostare» gli articoli del TUEL, 196 e seguenti che trattano del controllo gestione, creando un blocco unico dei controlli. Allo stato il controllo di gestione viene nominato, ma non trattato e si deve saltare all'articolo 196 per ritrovarlo. Sarebbe utile poter leggere, studiare e applicare tali norme in modo consecutivo.
A mio parere la lettera d) del nuovo testo dell'articolo 147 del TUEL è incomprensibile. L'ho letta diverse volte, ma francamente non la comprendo. In particolare non capisco - e credo che non sia un aspetto secondario - come, fra due virgole, venga posta la redazione del bilancio consolidato. È una questione di particolare rilevanza perché qui si richiama l'articolo 170, comma 6 del TUEL, che fa riferimento alla necessità per l'ente locale di attribuire, nella sua relazione previsionale e programmatica, gli obiettivi che devono raggiungere gli enti o gli organismi gestionali dell'ente medesimo.
Il bilancio consolidato non può dare conto degli obiettivi raggiunti da ciascun singolo ente gestionale. Può solo dare conto del risultato dell'amministrazione pubblica come gruppo. Su questa lettera inviterei le Commissioni a riflettere, anzitutto perché non si comprende in italiano cosa si voglia specificare.
Inoltre, alle lettere d) ed e) è scritto che i controlli interni si applicano solo agli enti locali con popolazione superiore ai diecimila abitanti. Non lo condivido. Lascerei almeno la discrezionalità. L'avverbio «solo» sembra escludere che un ente con meno di diecimila abitanti possa, voglia e, dal mio punto di vista, debba fare ricorso a tali modalità di controllo interno.
Faccio per altro notare che la lettera e) si riferisce alla qualità dei servizi. Assunto che nel Paese ci sono circa 8.100 comuni, nella stragrande maggioranza dei casi piccoli, la qualità dei servizi può essere controllata anche mediante strumenti non particolarmente sofisticati anche senza dover ricorrere all'emoticon. Io capisco la complessità del bilancio consolidato e del controllo strategico, ma non quella della qualità dei servizi.
Per quanto riguarda il segretario comunale, non ho alcuna osservazione specifica da fare sul suo ruolo, che naturalmente rappresenta, come è giusto che sia, il baluardo della correttezza del controllo sotto il profilo amministrativo. Pur tuttavia, dato che si introduce anche l'abolizione della Scuola superiore delle amministrazioni pubbliche locali (SSPAL), che aveva come obiettivo principale, seppur non esclusivo, la formazione dei segretari comunali, mi permetto di spezzare una lancia a favore dell'ipotesi che la SSPAL, piuttosto che aggregarsi alla Scuola superiore del Ministero dell'interno, possa diventare una branca della Scuola superiore della pubblica amministrazione, in modo


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tale da fornire ai segretari una formazione omogenea in questo disegno che mi piacerebbe fosse di armonizzazione, ma che nella visione del decreto diventa invece di unificazione.
Ancora una volta al segretario comunale si richiedono capacità che travalicano ampiamente quelle tradizionali di tipo giuridico, se è vero, per esempio, che deve partecipare all'organizzazione del sistema dei controlli interni e se è vero che sotto la sua direzione deve anche svolgersi, secondo principi generali di revisione aziendale, il controllo di regolarità amministrativa e contabile durante l'esercizio. Ho per altro qualche perplessità circa il rapporto tra questa disposizione e quella relativa al collegio dei revisori. Mi chiedo che cosa faccia allora il collegio dei revisori. È vero che fa anche tante altre cose, ma c'è il rischio di una sovrapposizione. Il richiamo esplicito ai principi di revisione aziendale sembra quasi un'invasione di campo.
Ho fortissime perplessità anche in merito ai controlli sulle società partecipate. Io lo interpreto come un problema di tipo semantico. «Partecipata» ha un significato evidentemente molto diverso da «collegata» o da «controllata». Si può partecipare con una quota talmente ridotta da rendere impossibile chiedere all'ente di attribuire obiettivi o di esercitare un certo tipo di controllo e di supervisione, cosa che non spetta certo a un'amministrazione che controlla una minima frazione del capitale sociale e che magari non ha nemmeno un rappresentante nel consiglio di amministrazione. A questo proposito non posso che cavalcare il mio vecchio cavallo di battaglia delle dimensioni delle amministrazioni, sulle quali sarebbe forse opportuno intervenire in maniera più significativa.
Al comma 4 dell'articolo 147-quater del TUEL, come introdotto dal decreto-legge, suggerirei di espungere l'espressione «secondo la competenza economica» dopo l'inciso: «i risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende» - faccio notare che prima erano definite società e adesso diventano aziende - «partecipate sono rilevati mediante il bilancio consolidato». Io qui metterei un punto. Questa problematica, come è stato già richiamato, è normata all'articolo 118. Essendoci la sperimentazione, non può che esserci un bilancio consolidato redatto secondo il principio di competenza economica. Qui mi pare chiaramente ridondante perché si lascia intendere che sia possibile elaborare un bilancio consolidato diverso, cosa che in questa circostanza temporale eviterei di far credere.
Per la stessa ragione, all'articolo 147-quinquies, comma 3, del TUEL introdotto dal decreto-legge e relativo ai controlli sugli equilibri finanziari, eviterei l'espressione «bilancio finanziario» all'interno del periodo «il controllo sugli equilibri finanziari implica anche la valutazione degli effetti che si determinano per il bilancio finanziario dell'ente, in relazione all'andamento economico e finanziario degli organismi gestionali esterni». Non posso condividere questa espressione. Al comma 3 dell'articolo 147-quater si usa l'espressione «bilancio dell'ente» che trovo molto più pertinente. Peraltro l'articolo 118 amplia il contenuto contabile dei bilanci delle amministrazioni locali e ha un contenuto finanziario, economico e patrimoniale. Non si capisce perché ci dovremmo preoccupare solo degli effetti finanziari e non anche di quelli economico-patrimoniali.
Da ultimo, comprendo - il che non significa che io condivida - il reingresso a «spron battuto» della Corte dei conti. Tuttavia, mi è veramente complesso comprendere le ragioni per le quali la Corte dei conti dovrebbe verificare con cadenza semestrale il funzionamento dei controlli interni. È il controllo dei controlli, ma esercitato ogni sei mesi non ha alcun senso.
Per altro non c'è nulla di più intimo, per una qualsivoglia organizzazione, dei sistemi di controllo interno. Ognuno può organizzare, come anche qui ribadito, il proprio sistema di controllo interno come meglio ritiene. Che la Corte dei conti debba poi, attraverso questo escamotage, imporre ancora una volta un sistema unitario, pena il rischio che sia sollevata


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qualche osservazione, mi sembra troppo e soprattutto non mi sembra questo lo strumento migliore per garantire la salvaguardia degli equilibri finanziari.
Occorrerà definitivamente distinguere tra la produzione dell'informazione attraverso i sistemi di controllo e l'uso dell'informazione. Il fatto che io verifichi che una qualsiasi azienda, compresa un'amministrazione pubblica, ha un buon sistema di controllo non eviterà in modo automatico che quell'amministrazione o azienda vada «a gambe all'aria» dal punto di vista economico, finanziario e patrimoniale.
Se non si sa come utilizzare quell'informazione, è questo che accadrà.

RITA PEREZ, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. Ringrazio le Commissioni che mi consentono di esprimere alcune opinioni sull'entità delle innovazioni contenute nel decreto-legge in esame, configurabile come un «decreto per combattere l'emergenza».
Vorrei dividere la mia esposizione in due parti: la prima riguarderà lo stato dei controlli prima dell'intervento del decreto-legge n. 174 del 2012; la seconda avrà come oggetto tre aspetti applicativi di tale normativa: la permanenza dei controlli preventivi di legittimità, su cui altri colleghi si sono soffermati; la sottoposizione ai controlli delle regioni a statuto speciale e, infine, la riduzione dei costi della politica.
Quanto alla prima parte, vorrei ricordare che l'attribuzione alla Corte dei conti della funzione di controllo sulle regioni e sugli enti territoriali non costituisce un mezzo per correggere un'asimmetria ordinamentale, come scritto nella relazione di accompagnamento al provvedimento. In realtà la Corte dei conti eseguiva già questi controlli, da quasi vent'anni, in base alla legge n. 20 del 1994, tanto che la stessa Corte, a seguito della legge, venne descritta non più come un organo di controllo della finanza dello Stato-ente, ma, piuttosto, come organo di controllo finanziario dello Stato-collettività.
Sotto questo aspetto, ricordo anch'io, come i colleghi che mi hanno preceduto, la sentenza n. 198 del 2012 con la quale la Corte costituzionale ha precisato che l'articolo 100 della Costituzione, relativo alla gestione del bilancio dello Stato, deve intendersi esteso ai bilanci di tutti gli enti pubblici, che oggi costituiscono, nel loro insieme, la cosiddetta «finanza pubblica allargata». Anche nel 1995 la Consulta aveva affermato che la Corte dei conti è garante dell'equilibrio dell'intero settore pubblico.
In particolare, l'articolo 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994 ha introdotto un controllo successivo della Corte su quasi tutta l'attività delle pubbliche amministrazioni. Le amministrazioni pubbliche nel 1994 erano quelle individuate dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, tra queste erano inclusi gli enti territoriali e le regioni. Con l'emanazione della legge n. 196 del 2009, le amministrazioni sono quelle individuate dalla classificazione dell'ISTAT, che ogni anno, entro il 31 luglio, deve essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
Quindi, il decreto n. 174 del 2012 non introduce moltissime novità sotto il profilo delle funzioni attribuite alla Corte dei conti, ma caso mai sotto quello dei compiti e del modo in cui i compiti possono essere svolti per conseguire risultati. Sempre in materia di attribuzioni dell'organo di controllo, vorrei ancora ricordare l'articolo 3, comma 5 della legge n. 20 del 1994, in cui si dice che il controllo di gestione concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma. In base al comma 6 dello stesso articolo, la Corte dei conti riferisce almeno annualmente al Parlamento e ai consigli regionali sull'esito dei controlli eseguiti e in qualsiasi momento può formulare osservazioni alle amministrazioni interessate. Si tratta di controlli che poi sono stati attribuiti nuovamente alla Corte, in forma maggiormente particolareggiata, con il decreto-legge in discussione.
Debbo anche ricordare che l'attività finanziaria dello Stato e quella svolta in periferia, aveva portato il legislatore a prevedere con la legge costituzionale n. 3 del 2001 un coordinamento, che all'epoca era stato affidato alla potestà legislativa


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concorrente tra Stato e regioni. E proprio a segnalare un diverso atteggiamento e un diverso indirizzo dell'ordinamento, rispetto alle scelte del passato, con la legge costituzionale n. 1 del 2012, l'attività di coordinamento è stata attribuita alla competenza esclusiva dello Stato.
Con ciò intendo dire che l'attenzione al decreto-legge è, solo in parte, giustificata perché le stesse funzioni erano già state attribuite ed esercitate. E nessuno nel 1994 si era posto il problema della costituzionalità della legge. Anzi, la legge era stata attesa da diversi decenni e la sua emanazione era stata accolta con soddisfazione perché, anche se non chiudeva del tutto la porta ai controlli preventivi di legittimità sugli atti, era nella gran parte delle sue disposizioni rivolta a disciplinare, nelle sue varie forme, un controllo successivo della Corte dei conti sui risultati dell'attività.
Passando alla seconda parte della mia esposizione, come molti colleghi mi schiero anch'io contro i controlli preventivi di legittimità perché in realtà arrestano lo svolgimento dell'attività amministrativa, che invece è un'attività dovuta perché svolta nell'interesse pubblico, la allungano e, mediante il controllo preventivo sull'atto, non verificano come poi l'attività è stata svolta e se ha raggiunto i risultati previsti dalla legge. Si tratta di controlli che danno potere al controllore ed è soltanto per questo motivo che erano stati mantenuti dalla legge n. 20 del 1994 e mi stupisce che un decreto-legge, come quello in esame, emanato in una situazione di emergenza, come l'attuale lo disciplini ancora.
Un secondo aspetto sul quale vorrei soffermarmi riguarda l'estensione della normativa contenuta nel decreto legge n. 174 del 2012, alle regioni a statuto speciale.
È previsto dall'articolo 1, comma 5 del decreto-legge che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, adeguino il proprio ordinamento alle disposizioni del presente articolo, mediante modifica delle norme di attuazione dei relativi Statuti.
Su questo profilo, io ho sentito diverse opinioni che sostengono l'incostituzionalità di tale disposizione. Si tratterebbe, infatti, di incidere sull'attuazione degli Statuti di regioni che hanno un'autonomia particolare. Debbo, però, anche osservare che, di regola, le disposizioni attuative di questi statuti derivano da accordi o patti tra Stato e regioni, assunti in sede di Commissione paritetica. Preciso che ogni regione a statuto speciale ha una Commissione paritetica, costituita da un numero uguale di rappresentanti dello Stato e della regione. Il testo che suggella l'accordo viene poi recepito in un decreto legislativo che contiene le norme di attuazione dello Statuto della regione.
Cito, come esempio, il decreto legislativo, 5 ottobre 2010, n. 179 «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Valle d'Aosta», concernente l'istituzione di una sezione di controllo della Corte dei conti. In materia, comunque, il problema di costituzionalità del decreto non dovrebbe porsi, perché, come sappiamo, le regioni si sono impegnate, tutte, a non impugnare il provvedimento in esame. Mi sembra di averlo letto diverse volte sugli organi di stampa.
Passo a un terzo profilo del decreto, che riguarda la riduzione dei costi della politica di cui all'articolo 1, comma 11. Esso prevede un controllo sulle entrate e sulle spese dei Gruppi consiliari, ma non è disciplinato alcun controllo sulle spese della Presidenza delle regioni, pur essendo, la Presidenza regionale, un organo politico, anch'esso paragonabile a un Gruppo consiliare. Grazie.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE ROBERTO OCCHIUTO

GIULIO SALERNO, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. Intervenendo per ultimo, ho il privilegio di aver ascoltato quanto i colleghi hanno già espresso e, quindi, inizierò svolgendo alcune


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osservazioni su ciò che ho già sentito. È vero anche che non posso raccontarvi ciò che avrei voluto, perché molte considerazioni sono state già svolte. Sono un poco svantaggiato da questo punto di vista.
Riguardo alle critiche che sono state sollevate, sono d'accordo con il collega Guzzetta. Senz'altro questo è un decreto-legge che, per molti aspetti, dovrebbe essere riportato a ragionevolezza e proporzionalità. Su questo non c'è dubbio.
Il principio di leale collaborazione, come sappiamo, è un principio che la Corte costituzionale ha costruito secondo una giurisprudenza evolutiva e variabile. Il legislatore, tramite un intervento così diretto e immediato, non può non utilizzare cautela nel disciplinare tali aspetti.
Per quanto concerne, invece, l'obiezione relativa all'impossibilità di utilizzare il decreto-legge in una materia che sarebbe coperta in parte dalla legge rafforzata prevista dal nuovo articolo 81 della Costituzione, essa è senz'altro fondata. Si deve, però, tenere conto di un aspetto, ossia che questa legge costituzionale entra in vigore dal 2014 - così dispone la legge costituzionale stessa - e che le sue disposizioni producono effetti sugli esercizi finanziari del 2014.
La legge produce tutte le disposizioni da tale data e, quindi, se tutte le disposizioni hanno vigore da tale data, anche la futura legge che riguarda la disciplina sui controlli è una legge che non pone attualmente un limite all'intervento con legge ordinaria, oppure con legge di conversione di decreto-legge.
Per quanto riguarda il problema relativo alla presenza di controlli sui controlli interni, come è stato giustamente osservato, tali controlli esistono da tanti anni. Nel decreto vengono semplicemente rafforzati e adeguati.
Veniamo all'accusa più grave che è stata sollevata oggi, cioè che in questo provvedimento ci sia una violazione surrettizia della Costituzione. A me sembra che questo provvedimento non sia nato per caso. In realtà, esso nasce dalla confluenza di due grandi linee di indirizzo. La prima riguarda il ruolo della Corte dei conti, che dal 1994 in poi - la Corte costituzionale l'ha affermato nel 1995 con una sentenza famosa, la n. 29 - ha assunto il ruolo di organo indipendente, neutrale e imparziale, capace di agire a tutela degli equilibri di tutta la finanza pubblica.
La Corte dei conti ha sostenuto questa posizione ormai tanti anni fa e la Corte costituzionale l'ha ribadito con una sentenza che è stata citata più volte, la n. 198 di quest'anno, e l'aveva già ribadito anche con una sentenza importante, la n. 470 del 1997. In tale sentenza la Corte costituzionale affermava chiaramente che la Corte dei conti non ha soltanto le competenze tassativamente indicate nel testo costituzionale.
Dal 1997 a oggi sono cambiate tante cose: la Costituzione con la modifica del Titolo V, la legge sull'equilibrio del bilancio, ma soprattutto l'approccio che noi abbiamo visto svolgersi riguardo il coordinamento finanziario. Il coordinamento finanziario è diventato la chiave di volta del sistema della finanza pubblica nazionale. Tutti gli interventi adottati con legge in nome e per conto del coordinamento finanziario sono diventati capaci di stabilire limiti e regole attinenti all'esercizio della finanza pubblica a livello territoriale.
La Corte costituzionale in tante sentenze si è esercitata sul punto, ma ha affermato, tra l'altro, che i princìpi fondamentali di coordinamento finanziario possono anche stabilire i poteri di controllo, poteri puntuali da parte dello Stato o di suoi organi o di soggetti comunque esterni rispetto alle autonomie.
Che la Corte dei conti sia un organo ausiliario del Governo soltanto è un fatto discutibile. Noi la consideriamo un organo ausiliario sia del Governo, sia del Parlamento. Da questo punto di vista, dovremmo avere una visione un po' più complessiva.
D'altronde, l'articolo 100 della Costituzione ha senza dubbio assunto ormai l'interpretazione di una funzione della Corte dei conti che concerne l'intera Repubblica, perché il termine «Stato» impiegato in tale articolo non riguarda soltanto


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il bilancio dello Stato, ma quello di tutti i soggetti che appartengono alle amministrazioni pubbliche.
È cambiato anche l'articolo 117, comma primo, della Costituzione il quale dispone che sia le leggi dello Stato che quelle delle Regioni sono vincolate al rispetto delle norme internazionali pattizie e delle norme europee. È cambiato anche il principio sull'equilibrio di bilancio e stiamo cambiando ora gli articoli 97 e 119, comma primo, della Costituzione, affermando che tutte le amministrazioni pubbliche e le autonomie territoriali in particolare sono tenute a rispettare gli obblighi dell'equilibrio del bilancio e della sostenibilità del loro debito rispetto agli obblighi europei.
Tanti aspetti sono cambiati, ma nel senso del rafforzamento dei controlli che, in nome del coordinamento finanziario, possono essere svolti anche dalla Corte dei conti. Questo decreto-legge non nasce per caso, dunque, ma dalla confluenza di queste grandi linee di tendenza.
È chiaro, però, che il decreto-legge, per come è scritto, presenta tanti aspetti criticabili. Non posso entrare sui singoli aspetti, ma, quando la Corte costituzionale ha ammesso la possibilità che lo Stato possa dettare princìpi di coordinamento finanziario, ha svolto due considerazioni importanti. Prima di tutto, non ci possono essere norme autoapplicative di dettaglio che non lascino alcuno spazio di discrezionalità all'ente territoriale. Inoltre, ha sostenuto che bisogna rispettare l'autonomia dell'ente.
Capire che cosa è l'autonomia dell'ente territoriale non è facile, però ci sono alcune autonomie - politica, statutaria, legislativa - dell'ente che vanno rispettate.
Per esempio, sull'articolo 2 del decreto-legge molti dubbi di costituzionalità possono essere ampiamente sollevati, perché la normativa che riguarda i Gruppi consiliari, costruita in questo modo, appare invasiva. Peraltro, la Corte costituzionale ha sostenuto che la funzione di controllo della Corte dei conti deve essere esterna e collaborativa, mentre nel decreto in esame diventa una funzione di sovrapposizione mediante poteri anche piuttosto forti, con attività ispettiva espletata attraverso la Guardia di finanza e i servizi ispettivi della finanza pubblica.
Su questo punto bisogna stare molto attenti, perché il ruolo della Corte dei conti potrebbe essere veramente stravolto. Anziché attribuirle compiti ulteriori rispetto a una funzione che è già sua, le attribuiremmo compiti differenti, sui quali bisognerebbe prestare molta attenzione.
L'ultima questione riguarda le regioni a statuto speciale, sulle quali davvero bisogna intervenire con molta attenzione. Per come è scritta questa norma, mi sembra che violi le autonomie finora attribuite a queste regioni, per quanto si possa discutere sull'opportunità di mantenerle.
Ricordo, inoltre, che la Corte costituzionale, in una sentenza recente di quest'anno, la n. 148, ha stabilito che, anche quando la legge agisce in nome del coordinamento finanziario, non può ledere l'ordine costituzionale delle competenze. Su questo aspetto bisogna essere chiari.
Un suggerimento potrebbe essere, dunque, quello di rivedere, riordinare e risistemare a ragionevolezza e proporzionalità questo testo, rispettando le autonomie degli enti.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LINDA LANZILLOTTA. Ci sono molte questioni, ma ho un punto che vorrei sottoporre agli illustri costituzionalisti e che mi sembra non essere stato trattato. Vorrei sapere se alcune norme, in particolare il comma 7 dell'articolo 1, che fa riferimento a una circolarità delle informazioni relative al controllo tra sezione di controllo e sezione giurisdizionale e l'articolo 7, comma 1, lettera a) che stabilisce che il presidente della sezione regionale di controllo per lo svolgimento di queste funzioni si può avvalere di magistrati della sezione regionale giurisdizionale, non configurino la rischiosa commistione tra le due funzioni della Corte dei conti, il che, a mio avviso, accentuerebbe l'effetto paralisi


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sull'amministrazione, la quale sarebbe oggetto anche dell'attività giurisdizionale della Corte e caratterizzerebbe sempre di più i controlli della Corte, non in termini di efficacia e di efficienza, bensì di legalità dei singoli atti, che è esattamente la direzione per la quale le amministrazioni continuano a non avere una cultura di budget e di risultato. Volevo chiedere ai nostri ospiti se non vedono questo rischio.

RAFFAELE VOLPI. Vorrei premettere che noi stiamo parlando di un decreto-legge e che, quindi, come è stato ampiamente espresso, ci sono già responsabilità in atto nella sua attuazione.
Voglio veramente ringraziare, al di fuori della forma, gli auditi, perché credo che ci abbiano fornito uno spaccato di proposte, suggerimenti e valutazioni estremamente importante. Presidente, svolgerò alcune considerazioni sintetiche su alcune situazioni che ho rilevato e su un'altra porrò una domanda più specifica.
Professor Mussari, è da almeno un anno che noi cerchiamo di far capire la questione delle società che lei ha citato al Governo, il quale, però, non riesce a capirla. La differenza fra controllate e partecipate, tra numero di comuni o di enti locali che possono partecipare, è rimasta oscura. Purtroppo, non siamo riusciti a spiegarci.
Chi si è occupato di questi temi e ha buona memoria si potrebbe ricordare la famosa vicenda del controllo analogo, che fu un'estrema confusione, in cui tutti cercarono di mettere toppe a una questione che non era applicabile allora e che oggi sta diventando ancora più pericolosa.
Vi pongo una domanda che è forse accademica e che, quindi, nel vostro caso mi sembra adeguata. Noi abbiamo un decreto-legge in atto e ci sono già alcune disapplicazioni, perché chi dovrebbe fare ciò che fa non lo sta facendo. Lo affermo con chiarezza. Abbiamo posto questa domanda al presidente della Corte dei conti la scorsa settimana, domandando che cosa stesse facendo la Corte dei conti rispetto alla possibile efficacia del suo lavoro, parlando di numeri di persone effettive applicate a questa occupazione e alla capacità di svolgerla nei tempi di lavoro che bisogna rispettare in una così grande massa di dati e di atti che arrivano. Il presidente della Corte dei conti non mi ha risposto.
Essendo questo un decreto-legge che comporta inevitabilmente alcune ricadute finanziarie nella predisposizione di atti che vanno dove dovrebbero essere controllati e non lo sono, forse domani la Corte dei conti dovrà intervenire per verificare, addirittura verso se stessa, se ci sia una disapplicazione di una parte di ciò che avrebbe dovuto essere applicato, facendo aumentare anche i costi degli enti locali per una norma che non è stata poi efficace.
Io penso che questi ragionamenti dovrebbero essere svolti anche dal Governo, prima di emanare un decreto-legge che, come è stato ben ricordato, è al di fuori di ogni logica in un intervento su questo tipo di materia.
Il professor Abbamonte ha svolto alcune considerazioni che io trovo del tutto condivisibili e il professor Guzzetta mi ha messo - permettetemi l'espressione - una pulce nell'orecchio. Ci sono dati di attualità che riguardano la parte già anticipata per esempio dal professor Abbamonte, ma in particolare dal professor Guzzetta, sulla capacità innanzitutto rispetto all'autonomia statutaria. Secondo noi, è al di fuori di qualsiasi logica usare il metodo coercitivo, specialmente attraverso la leva finanziaria, per obbligare una regione ad attuare una modifica statutaria.
Passo ora alla domanda più specifica. Lei, professor Guzzetta, ha parlato giustamente dell'impossibilità di un'azione legislativa addirittura di livello statutario per consigli regionali che sono stati sciolti. È inevitabile immaginarsi che, se un consiglio regionale non è in grado - le chiedo di dirmi se ho capito bene - perché sciolto, di attuare una modifica statutaria, tale regione, essendovi un termine perentorio per l'adeguamento, perderà l'80 per cento dei trasferimenti.


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Se è così, io credo che si ponga una grande preoccupazione dal punto di vista costituzionale, ma anche un'ulteriore preoccupazione, che non può essere di ricaduta immediata su situazioni che sono, peraltro, di grande attualità.
Non credo che si possa tener conto di queste situazioni attraverso un decreto-legge. Ringrazio veramente i professori intervenuti che ci hanno aperto - almeno a me, neofita della materia - gli occhi su queste tematiche, ma osservo che è inevitabile che ci sia una responsabilità politica da parte di chi afferma che questo testo è un decreto-legge e che noi in questo momento siamo già in una determinata fase.
Voglio ringraziare il Sottosegretario Polillo, qui presente, che è ormai un'azione mediatica di questo Governo e mi fa piacere averlo con noi. Sicuramente è il volto più conosciuto, almeno tra quelli che hanno la forza e il coraggio di mettersi a disposizione dei media, a differenza di suoi colleghi o di ministri che magari non risponderebbero. Lo voglio, dunque, ringraziare.
Carissimi esponenti del Governo, quando sarà a disposizione mi rileggerò il resoconto di tutti gli interventi. Credo che non sarebbe una cattiva idea se anche alcuni esponenti del Governo facessero lo stesso.
Concludo con una famosa frase di Bartali: «L'è tutto da rifare».

ENRICO LA LOGGIA. Desidero formulare una domanda per la quale occorrerebbe una lunga premessa che però salto.
Con riferimento a un punto preciso, chiederei di rispondere in particolare al professor Loiodice, che peraltro, e me ne scuso, è l'unico degli intervenuti che non ho ascoltato, perché sono arrivato con alcuni minuti di ritardo. Me ne scuso vivamente.
C'è un punto preliminare e assolutamente pregiudizievole verso una scelta o un'altra che riguarda il controllo preventivo di legittimità sugli atti normativi. È uno snodo centrale, perché, o è possibile farlo, nel qual caso prendiamo un determinato orientamento anche parzialmente correttivo del decreto - su questo stiamo lavorando - oppure dobbiamo escluderlo, nel qual caso prendiamo una direzione completamente diversa, considerate i compiti e le funzioni della Corte, secondo l'articolo 100 della Costituzione ancora vigente e l'articolo 125 della Carta costituzionale medesima che è stato abrogato. Tutto ciò richiederebbe la premessa di cui parlavo all'inizio.
Sul punto preciso mi piacerebbe avere un'autorevole opinione, perché da ciò dipende gran parte del nostro lavoro nelle prossime ore. Abbiamo infatti pochissimo tempo a disposizione per poter provvedere a tale aspetto.

MARIO TASSONE. Chiedo un chiarimento sulle considerazioni che ho ascoltato, svolgendo semplicemente una battuta. Mi riferisco al coordinamento finanziario, a questa strettoia nel rapporto con la Costituzione.
Si è tenuta presente la legge sul federalismo fiscale nell'elaborare queste norme? Come si inquadrano, infatti, come si armonizzano con la legge sul federalismo fiscale? È una questione che non credo sia di poco conto.

CESARE MARINI. Vorrei chiedere al Governo, in questo caso al sottosegretario presente...

PRESIDENTE. Onorevole Marini, voglio solo ricordarle che siamo in sede di audizione. Il Governo è volontariamente presente e non avrebbe nemmeno l'obbligo di esserlo. Sarebbe più corretto che rivolgesse la domanda ai professori che abbiamo audito.

CESARE MARINI. Chiedo scusa. Vorrei chiedere ai professori presenti che cosa pensano di questo provvedimento, che in realtà ingabbia l'attività degli enti locali, per cui noi siamo passati da un ipotetico federalismo a forme quasi di Stato sabaudo - non so come altro definirlo - con una forte centralizzazione.
Il problema che si è posto verso gli enti locali riguardava il trasferimento delle


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risorse, che, per la verità, dal 2008 sono diminuite in ogni manovra, continuamente. Io immaginavo, e più volte mi è capitato di sostenerlo, sia in Commissione, sia in Aula, che, di fronte a questa riduzione dei trasferimenti e, quindi, delle risorse, bisognasse contemporaneamente aumentare l'autonomia statutaria degli enti locali, in modo tale da lasciare alle amministrazioni stesse il modo di organizzarsi rispetto alle minori risorse di cui disponevano. Sarebbe stato giusto che si giungesse a una completa autonomia.
Per portare un esempio, a che cosa servono i segretari comunali, con le funzioni che hanno oggi e non quelle di una volta, nei piccoli comuni, qualora un piccolo comune abbia figure professionali che hanno le stesse caratteristiche, lo stesso curriculum di preparazione dei segretari comunali?
Il segretario comunale rappresenta la spesa maggiore di personale che un piccolo comune sostiene. Ho voluto portare un esempio. Io penso che un'autonomia statutaria sarebbe stata il giusto modo per far fronte alle situazioni gravi in cui si sono trovati di colpo i comuni con la riduzione dei trasferimenti. In questo provvedimento, invece, si introduce il controllo preventivo, una disposizione abnorme, che mi pare sia contraria a ogni principio di autonomia locale e che ritengo, quindi, che non si regga proprio.
Vorrei porre la questione, ma non rispetto alla normativa. Occorre il parere obbligatorio dei capi servizio, dei dirigenti, che già esisteva prima, però, non è una novità. Non ho capito perché si sia voluto enfatizzare questo aspetto, quando esisteva già. Si sa che, quando si tratta di una delibera di spesa, occorre il parere del responsabile finanziario e che per tutti gli impegni occorre quello del responsabile di settore, ma ciò era già in vigore e non introduce nulla di nuovo.
Il punto è rappresentato dalla filosofia che sottende al provvedimento e dall'ingegneria del provvedimento stesso, che contraddice quello che dovrebbe essere, invece, a mio giudizio - lo ripeto per l'ennesima volta - un aumento dell'autonomia rispetto al trasferimento.
Del resto, perché il Governo nazionale interviene sugli enti locali? Lo fa soprattutto perché vuole ridurre le risorse e la spesa, ma lo fa attraverso i trasferimenti. Che bisogno c'è di voler intervenire sulla vita amministrativa? È questa la mia domanda.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE GIANCARLO GIORGETTI

CHIARA MORONI, Relatore per la V Commissione. Vorrei ringraziare i professori per il loro rilevante contributo nell'affrontare un decreto-legge che presenta una serie di profili particolarmente delicati e complicati.
Svolgo una brevissima premessa. È evidente che noi affrontiamo questo decreto in un momento politico, come ha ricordato il professor Abbamonte, di generalizzato sdegno rispetto alle vicende di malcostume, di inopportunità e a volte anche di illegalità perpetrate dagli enti territoriali e dalle regioni.
È altrettanto vero, però, che non si può legiferare sulla spinta emotiva e che già in altre occasioni si è visto questo Paese varare leggi spinte dall'emotività, leggi che quasi sempre sono state disastrose e hanno prodotto effetti che poi ci siamo trascinati negli anni.
È altrettanto vero, infine, che l'umore di fondo di questo decreto rileva chiaramente come esso sia una forma di controriforma per legge ordinaria della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione e, quindi, una restrizione dell'autonomia degli enti territoriali. Questo aspetto è piuttosto evidente e chiaro.
Ovviamente tocca alle Commissioni e al Parlamento bilanciare quanto non contraddice o non presenta profili di incostituzionalità rispetto alla Costituzione vigente con il tentativo di non emanare leggi emotive, ma di rendere più efficaci ed


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efficienti i controlli sulla gestione, in particolare quelli sulla spesa degli enti locali territoriali.
Vorrei porre una domanda. Il controllo preventivo presenta tutte le problematiche che abbiamo tutti evidenziato, voi per primi. Io rilevo un'altra problematica sostanziale in questo decreto, cioè che il controllo preventivo viene esercitato dallo stesso istituto che esercita il controllo a posteriori. Dalle mie parti si direbbe «se la cucina e se la mangia», nel senso che è difficile pensare che il pronunciamento ex post sia differente dal pronunciamento ex ante che viene espresso dallo stesso ente e dalle stesse persone. Si pone, dunque, un problema anche di sovradimensionamento delle competenze rispetto all'organico della Corte dei conti.
La mia domanda è se, rispetto all'idea di valutare l'opportunità nella discussione della Commissione di eliminare completamente qualsiasi forma di controllo preventivo, esiste, secondo voi, l'opportunità di reinterpretare il controllo preventivo previsto dal decreto, circoscrivendolo esclusivamente ai saldi e, quindi, agli aspetti che influiscono sugli atti amministrativi e non normativi. Il decreto prevede anche gli atti normativi, mentre io propongo di concentrare il controllo sui saldi, nel rispetto degli obblighi di appartenenza all'Unione europea ed essenzialmente al Patto di stabilità interno e al coordinamento della finanza pubblica, e di pensare di affidarlo a un istituto diverso dalla Corte dei conti, che potrebbe essere il Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso la Ragioneria generale dello Stato.
Mi spiego. Si potrebbe introdurre una forma di bollinatura della Ragioneria di atti solo ed esclusivamente relativi all'influenza che hanno sui saldi della finanza regionale e, quindi, pubblica nel consolidato, oppure qualsiasi versione del controllo preventivo è profondamente lesiva sia della Costituzione vigente, sia dell'autonomia e richiederebbe alla fine una revisione costituzionale?

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA I COMMISSIONE DONATO BRUNO

SIMONETTA RUBINATO. Vorrei intervenire sul profilo, che i professori intervenuti hanno evidenziato, della mancanza di ragionevolezza e proporzionalità, in particolare, più che sulla parte delle regioni, su quella degli enti locali, e formulare una domanda in merito.
Sottolineando ciò che è stato osservato da uno degli auditi, ribadisco che probabilmente noi abbiamo un problema di produzione di informazioni, già oggi molte e anche di una data qualità, e di mancato utilizzo di tali informazioni per procedere nella fase successiva al controllo. Con questa operazione sugli enti locali non andiamo neppure a rafforzare, ma a prevedere uno schema di controlli assolutamente sovrabbondanti e tali da creare problemi soprattutto agli enti che hanno meno personale e che, quindi, hanno meno spesa corrente di un dato tipo e sono anche sempre i più virtuosi.
Sulla proporzionalità pongo alcune domande specifiche. Non si considera assolutamente il tema di quale personale è presente negli enti locali, ai quali si pone comunque l'obbligo di prevedere tutto un sistema di controlli ulteriore rispetto a quelli che già sono in vigore e a quelli che già si svolgono, come è stato ben rilevato dalla stessa Corte dei conti. Vorrei capirne l'utilità.
Il direttore generale figura solo, secondo la normativa che abbiamo approvato nel 2010, nei comuni sopra i 100.000 abitanti. Il Collegio dei revisori dei conti figura, sempre per la normativa che è stata rivista, solo nei comuni con più di 15.000 abitanti.
Non si capisce come i controlli strategici, quelli sulle partecipate e quelli sul grado di soddisfazione dei cittadini in merito ai servizi possano essere espletati in enti ai quali togliamo a priori la possibilità di avere un dato tipo di professionalità e di competenze. Non mi si risponda che il controllo strategico si può compiere in forma associata e che un ente di


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11-12.000 abitanti può «fare le pulci» all'amministratore delegato di una partecipata cui si partecipa con chissà quanti altri comuni.
Il termine di 10.000 abitanti non ha alcun riferimento a una qualsiasi ragionevolezza rispetto ad altre norme, tra cui quella banale del Collegio dei revisori. Tale Collegio, con la possibilità di svolgere un dato tipo di lavoro e di attività, riguarda solo i comuni sopra i 15.000 abitanti. Volevo chiedervi se questo è un primo rilievo di irragionevolezza che molto concretamente si può sottolineare.
La seconda è una domanda molto generica. Attualmente i controlli ci sono come voi avete osservato. In particolare, è molto dettagliato giustamente quello sul bilancio consuntivo, al quale il comune, il revisore dei conti o il Collegio dei revisori devono accompagnare fascicoli che vanno dalle 60 alle 100 pagine di risposta a numerosi modelli che puntualmente, anche con un certo ritardo, la Corte dei conti stabilisce ogni anno. Sono modelli che devono essere riempiti e che forniscono informazioni assolutamente esaustive sulla salute del bilancio e del patrimonio di un ente.
Il problema è che il bilancio consuntivo viene approvato, per i comuni che stanno nei tempi, ad aprile dell'anno successivo. Per il bilancio 2011 il consuntivo è stato mandato alla Corte dei conti alla fine di aprile di quest'anno, ma la Corte dei conti non ha ancora predisposto i prospetti da allegare da parte del revisore o dei revisori dei conti per il suo successivo controllo. Il controllo della Corte dei conti sarà, quindi, effettuato probabilmente, se va bene, nei casi in cui le cose funzionano, prima della metà del 2013.
Non sarebbe stato più opportuno, ragionevole, adeguato ed efficace fare in modo che la Corte dei conti possa attrezzarsi perché il bilancio preventivo venga esaminato prima del lunghissimo tempo che passa dall'approvazione del consuntivo da parte del comune al suo esame da parte della Corte dei conti? Non sarebbe sufficiente e adeguato?

FABIO MERONI. Pongo solo una domanda, ma prima vorrei svolgere un ragionamento anche su questo controllo preventivo della Corte dei conti.
Noi abbiamo audito il Presidente della Corte dei conti, il quale comunicava che, col suo nuovo organico di 450 dipendenti, avrebbe messo a disposizione 150 persone per controllare tutti gli atti delle regioni, province e comuni.
Io so che non posso interloquire con il Governo, visto e considerato che è presente, ma potrebbe anche non esserlo in questa sede. Non sono, però, come il mio collega onorevole Volpi. Penso che, più che a effettuare comparsate televisive, il sottosegretario dovrebbe fornire risposte concrete agli enti locali che chiedono chiarezza.
Oggi nella regione Lombardia, nonostante tutto, è stata formata una nuova giunta e si sta cercando di ottemperare alle competenze proprie della regione in termini di Statuto, con riferimento alla modifica della legge elettorale e anche alla diminuzione dei consiglieri regionali.
In considerazione del fatto che il consiglio della regione Lazio mi sembra sia stato sciolto e che, quindi, in virtù del suo Statuto, potrà esaminare solo atti dovuti, urgenti e indifferibili, sono curioso di capire se una determinazione in base alla riduzione dei consiglieri regionali e a un'eliminazione del cosiddetto listino, come c'è in Lombardia, potrebbe essere inficiata dal fatto che il consiglio della regione Lazio sia stato sciolto.
È una richiesta che rivolgo a chi è intervenuto di competenza. Sembrerebbe strano che, laddove una regione cerca di mantenere il suo status quo per poter cambiare le regole, da altre parti ci si sciolga per poter magari perseverare ancora nelle vecchie situazioni che ben conosciamo.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la loro replica.

ALDO LOIODICE, Professore ordinario di diritto costituzionale. Il primo intervento richiamava l'articolo 7, comma 1, del decreto


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in esame in cui si prevede che il presidente della sezione regionale di controllo possa avvalersi anche di magistrati assegnati alla sezione regionale giurisdizionale. Ciò è possibile e non costituisce alcuna violazione delle regole, perché la Corte dei conti, come il Consiglio di Stato, svolge funzioni giudiziarie e di controllo, ma è sempre composta di magistrati e come il Consiglio di Stato ha sezioni giurisdizionali e consultive. Sono quei magistrati che ruotano e, quindi, tale situazione rientra in questo contesto.
Questa norma è il segno della consapevolezza che l'organico della Corte dei conti è insufficiente, con riferimento al personale. Io ho partecipato per diciotto anni a un organo di controllo e immaginare di controllare tutte le regioni con 150 persone mi pare un'impresa impossibile.
Non solo, ma queste persone hanno il potere di decidere se far durare il controllo tre mesi o se farlo finire dopo tre giorni. È un potere enorme, che potrebbe diventare politico. Ho vissuto tale situazione e so che cosa significa esercitare il controllo. Il decreto è stato criticato, perché trasforma la funzione della Corte in compartecipazione all'attività e alla gestione. Affidare la compartecipazione ad alcuni funzionari mi pare una decisione eccessiva, come avevo già affermato.
L'onorevole, nonché professore, La Loggia ha svolto un intervento che mette in luce la contraddizione della logica dell'articolo 1 del decreto in maniera molto chiara. Alla domanda se si possono controllare preventivamente per la legittimità gli atti normativi, rispondo che, se noi fossimo davanti a una legge che si occupa solo di legittimità, lo si potrebbe fare. Lo si faceva prima, era l'organo di controllo che controllava i regolamenti del consiglio regionale. Oggi i regolamenti sono competenza della giunta regionale.
L'equivoco e l'ipocrisia stanno nel fatto che l'articolo 1 del decreto dispone che la norma ha lo scopo di consentire alla Corte dei conti di partecipare al controllo sulla gestione. Mi si deve dimostrare, però, che il controllo sulla gestione si compie attraverso la legittimità. È una procedura che non è mai esistita, è veramente originale. Per controllare la gestione si deve controllare tutto. Si risponde che lo si fa per il Patto di stabilità interno, per l'Unione europea, ma anche per il diritto dell'Unione europea e per il diritto costituzionale.
Si tratta di una logica contraddittoria. Per effettuare il controllo di gestione non si possono controllare gli atti normativi, non ha alcun senso, perché gli atti normativi comportano spese attraverso gli atti esecutivi, ma non hanno mai un effetto sulla spesa.
Dal punto di vista della spesa non li si può controllare, mentre si possono controllare gli atti esecutivi. Si deve decidere se si vuole curare la legittimità o la gestione. Questo è l'equivoco di fondo di tale articolo. Mi sono permesso di ripeterlo, perché sono stato sollecitato da un valorosissimo collega come l'onorevole La Loggia, di cui ho grande stima.
È stato sollevato un punto dall'onorevole Moroni. Anche questo è un altro problema che mette in evidenza l'equivocità di tutto l'impianto, dove, quando si può, si compie un passo avanti per avere più potere da parte dello Stato, mettendo insieme controllo preventivo e controllo successivo. Uno stesso organo controlla preventivamente e successivamente e stabilisce la correttezza della situazione. Praticamente ha un potere assoluto. Anche questa mi pare una questione su cui occorre riflettere.
Per quanto riguarda, invece, l'ipotesi di circoscrivere ai saldi e di introdurre una sorta di bollinatura, è una logica diversa, che in questo decreto-legge non figura. Se si inserisse questa logica, si potrebbero semplificare molte situazioni. Si può fare, ma bisogna eliminare almeno i guasti principali. Il tempo che se ne va per sottoporre alla Corte dei conti questi atti si può sostituire con il tempo che si impiegava prima per le regioni e per le Commissioni di controllo, che era molto breve. In questo decreto, invece, è lunghissimo.
Viene inoltre attribuito al funzionario della Corte dei conti un potere enorme.


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I funzionari della Commissione di controllo non si permettevano di avere contatto con le amministrazioni. L'avevamo, invece, noi componenti della Commissione di controllo, il che ci attribuiva un grande rilievo politico. Un funzionario diventa ora il padrone della regione, perché tutti proporranno di non mandare gli atti alla sezione di controllo. Nascerà una coda di postulanti. Questo è evidente e va rilevato. Questa procedura va sostituita con una procedura che responsabilizzi un organo collegiale della Corte dei conti, oppure va eliminata.
Non voglio indicarvi come agire. Dovete riflettere anche voi in piena coscienza e consapevolezza.
L'onorevole Rubinato sosteneva giustamente che occorre attrezzare la Corte dei conti. Non vorrei che il decreto-legge - ciò sarebbe banale - fosse stato un'occasione per mettere in luce che la Corte dei conti non ha personale, attrezzature e risorse finanziarie, e che, quindi, per attribuirle tutti questi compiti, è necessario aumentare i magistrati, il personale e il bilancio. Non credo che sia così, però di fatto può succedere. Se per attrezzare la Corte dei conti, «ammazziamo» le regioni, che senso ha il provvedimento? Bisogna svolgere una riflessione su questa impostazione.

GIOVANNI GUZZETTA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. Sono stato chiamato in causa e mi limito a rispondere sulla parte che ho trattato, anche se sarei ovviamente tentato di espandere il discorso. Mi pare, però, una forma di rispetto verso i colleghi, che se ne sono occupati direttamente.
Volevo effettivamente confermare quanto ho affermato, cioè che la mia interpretazione per quanto riguarda la perentorietà dei termini è che i termini sono appunto perentori e che stanno già decorrendo. Io non so se il Presidente del Consiglio abbia convocato la Conferenza Stato-regioni per definire quale sia la regione più virtuosa e se ciò sia già stato stabilito, ma è certamente un termine che scade il 30 ottobre, cioè tra una settimana.
Noi siamo, purtroppo, ormai tutti un po' assuefatti, il che non è responsabilità di questo Governo, alla decretazione di urgenza, ragion per cui, quando viene approvato un decreto-legge, l'atteggiamento è di aspettare che venga convertito. Come veniva osservato, si tratta di norme vigenti immediatamente operative. Noi viviamo il decreto-legge, come sosteneva il compianto professor Predieri, come un'iniziativa legislativa rafforzata e non come un atto straordinario di necessità e urgenza.
Come terza questione - svolgo solo una battuta, perché il discorso sarebbe lungo - sviluppo una considerazione generale sul modello che si fa avanti di regionalismo. Io sono piuttosto stupefatto, studiando l'ordinamento italiano, non da oggi, ma da decenni - non c'è alcun Governo in particolare da imputare - del fatto che il legislatore tende a inventare continuamente meccanismi nuovi per controlli e sanzioni e non utilizza, invece, quelli che esistono in Costituzione.
Mi riferisco all'articolo 126 della Costituzione, che prevede il potere del Governo di sciogliere una Regione e all'articolo 120 della Costituzione medesima, una disposizione valvola che, soprattutto in momenti come questi, potrebbe essere utilizzata.
Perché ciò non accade? La mia sensazione è che non accade perché il costo in termini di assunzione di responsabilità politica e di scelte tanto impegnative è talmente alta che la congiuntura non ci consente di applicarla. Il modello costituzionale esiste. Non è affatto vero - esprimo una banalità; mi scuserete - che il regionalismo implichi una separazione netta e che, una volta che si affermi un regionalismo serio, il Governo o lo Stato siano privi di poteri.
Viceversa, la tendenza verso cui andiamo è a una commistione e a un'inventiva di strumenti che ha l'effetto semplicemente di confondere moltissimo sia gli operatori, sia le istituzioni territoriali e, quindi, a comunicarci la sensazione che


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questo federalismo o regionalismo spinto sia in realtà molto caotico, come in parte è.
Credo di aver risposto a tutto quanto mi concerneva.

RICCARDO MUSSARI, Professore ordinario di economia aziendale. Rapidamente, svolgo una nota al margine. Si domandava se potesse essere sufficiente limitarsi al controllo dei saldi; immagino si volesse significare degli equilibri, di bilancio.
Ovviamente la risposta è affermativa, però occorrerebbe aggiungere alcuni altri elementi, che mi sono sfuggiti per la brevità dell'esposizione. In tutte queste pagine non si fa mai riferimento ai costi e ai fabbisogni standard, questione che io trovo sinceramente molto discutibile.
Ci sono alcune norme che definiscono che l'assetto della finanza locale dovrebbe fondarsi sulla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard. Quale migliore occasione ci sarebbe che questa? Se c'è una questione che bisognerebbe controllare e garantire anche ai fini della perequazione, come è noto, dovrebbe essere proprio questa, ma mi pare che non ce ne sia citazione. Controllerei questo aspetto, oltre ai saldi.

GIULIO SALERNO, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. Svolgo un'ultima considerazione. Si è osservato che non si cita il federalismo fiscale. Effettivamente è curioso dato che sono stati approvati il decreto premi e sanzioni e quello sull'armonizzazione. Bisognerebbe dare applicazione a questa strada, a queste norme o quanto meno armonizzare questi decreti legislativi con il contenuto di queste norme e anche con il contenuto dell'articolo 7 della legge n. 131 del 2003, che già prevedeva controlli della Corte dei conti sulla gestione, armonizzando tali controlli con quelli accentuati o leggermente modificati nel decreto in esame.

GIOVANNI GUZZETTA, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. Chiedo scusa, ma era stata posta una domanda diretta sul problema dei consigli sciolti.
Ribadisco ciò che avevo affermato, cioè che, secondo me, l'unica interpretazione possibile della disposizione è quella per cui il decreto-legge richiede che le regioni immediatamente, entro i termini, legiferino su tutto ciò che non è riforma statutaria, anche perché sulla riforma statutaria il decreto-legge stesso prevede, peraltro, una norma suppletiva, che stabilisce oggi il numero dei consiglieri regionali, anche laddove le regioni non abbiano modificato lo statuto.
A mio avviso, questa è l'unica interpretazione possibile.

PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli auditi, anche per i chiarimenti che ci hanno fornito.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 18,10.

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