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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
1.
Martedì 7 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 7 10 15
Barbi Danilo, Segretario confederale della CGIL ... 3 9 13
Centrella Giovanni, Segretario generale della UGL ... 6 15
Duilio Lino (PD) ... 8 9
Foccillo Antonio, Segretario confederale della UIL ... 5 12
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 10
Petriccioli Maurizio, Segretario confederale della CISL ... 4 10
Vannucci Massimo (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 7 febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 13,50.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione relativa all'analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Sono presenti il segretario confederale della CGIL Danilo Barbi, il segretario confederale della CISL, Maurizio Petriccioli, il segretario confederale della UIL, Antonio Foccillo e il segretario generale della UGL, Giovanni Centrella.
Abbiamo consegnato una traccia per indirizzare gli interventi, ma gli auditi potranno impostare la propria relazione liberamente. Do, quindi, loro la parola.

DANILO BARBI, Segretario confederale della CGIL. Buongiorno. Dall'anno scorso la situazione, secondo noi, è particolarmente peggiorata, soprattutto sul piano delle politiche di sviluppo, di crescita e di occupazione previste per il 2012.
Conoscevamo il parere della Commissione, ma per prima cosa vorremmo dire che, a nostro modo di vedere, è evidente che la politica economica europea è, nell'insieme, di fronte a un fallimento. Non riesco a trovare una formula meno concisa. Le raccomandazioni della Commissione talvolta sono sensate, ma per noi il problema è di carattere generale. La politica prevista dal Patto di stabilità e crescita non sta funzionando. C'è, infatti, un problema macroeconomico assai evidente. Complessivamente quella politica è sbagliata. È fondata sul fatto che la crisi sarebbe prodotta dal debito pubblico, ma nella zona euro non è così.
La crisi è stata prodotta dalla finanza e dal mercato del debito privato, mentre l'aumento del debito pubblico è solo una conseguenza. Affrontare la crisi con questa simmetria, senza distinguere fra spese pubbliche buone e cattive, debito pubblico buono e cattivo, produce l'effetto di non stabilizzare i debiti sovrani, come dimostra la pressione sui titoli di lungo periodo di buona parte dei Paesi della zona euro. Il rischio che a giorni si verifichi il default greco è alto, perché appare chiaro che l'ulteriore tranche di aiuti non verrà concessa alla Grecia, ma verrà accantonata per ripagare una parte dei debitori. Il Patto di stabilità e crescita non ha, quindi, prodotto stabilità e ancora meno potrà produrre crescita.
Svolgere questa audizione entrando nelle singole discussioni e raccomandazioni, visto qual è il nostro giudizio, non ci sembra strategico. A nostro parere c'è un problema di fondo assai evidente. L'architettura europea mette gli Stati della zona


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euro in una situazione nella quale l'avanzo commerciale della Germania è pagato dai disavanzi dei cosiddetti Paesi PIGS. D'altra parte, i grafici di molti economisti internazionali mostrano che avanzi e disavanzi sono stati perfettamente speculari negli ultimi tredici o quattordici anni.
Per altro verso, gli Stati sono indifesi di fronte ai mercati finanziari, che a detta di tutti sono all'origine della grande crisi. Gli Stati non hanno difesa né nella creazione di moneta né nella svalutazione e sono alla mercé dei mercati finanziari e della loro ricerca di interessi di breve periodo.
In una fase come questa, una politica di sviluppo dovrebbe mutualizzare una parte del debito - le proposte in Europa sono tantissime - e quanto meno emettere titoli pubblici per finanziare gli investimenti europei strategici. Vogliamo dire con chiarezza che, se non si invertirà la politica europea, siamo convinti che il futuro sia segnato. Per quanto ci riguarda, non accettiamo di essere compiacenti. Se non ci sarà una svolta nella politica economica, l'attuale integrazione europea è segnata. Le forme in cui si arriverà alla disgregazione possono essere diverse, ma il punto di arrivo è sicuramente questo.
Noi vediamo le cose in questo modo, ma comunque, venendo al confronto nazionale, CGIL, CISL e UIL hanno avanzato, al tavolo con il Governo, alcune proposte per possibili iniziative di reale sostegno alla crescita, benché limitate dalla politica europea. Il punto è sostanzialmente uno. Non si può sostenere la crescita solo attraverso la liberalizzazione di settori o professioni, cosa che in parte critichiamo. Tali interventi, infatti, non ci sembrano risolutivi.
Il problema è creare lavoro e il lavoro si crea attraverso gli investimenti giusti. In questo momento gli investimenti privati non ci sono da nessuna parte, anche perché non esiste una domanda potenziale che li sostenga. Servono, quindi, investimenti pubblici, come abbiamo chiesto nel documento unitario. Per quanto riguarda l'Italia, il cui PIL è per l'80 per cento ancora legato alla domanda interna, servono anche forme di sostegno dei redditi fissi, da attuare attraverso modifiche fiscali che restituiscano ai singoli il potere d'acquisto, in modo da alimentare i consumi.
Come abbiamo affermato nel documento unitario, per riattivare in Italia una fase di ciclo minimo occorre agire in questa direzione. Altre misure, anche positive come le liberalizzazioni, non bastano. Le mirabolanti previsioni di crescita che qualcuno sta diffondendo, e di cui noi diffidiamo, anche se fossero vere, si realizzerebbero fra dieci anni.
Concluderei con la famosa battuta di John Maynard Keynes che, se si va avanti così, nel lungo periodo saremo tutti morti.

MAURIZIO PETRICCIOLI, Segretario confederale della CISL. Come CISL abbiamo presentato un documento che risponde in maniera articolata ai quesiti proposti dalla Commissione, come ci è parso di comprendere fosse necessario fare anche l'anno scorso. Vorrei solo proporre alcune considerazioni di carattere generale rispetto a quanto trovate nel documento, così da recuperare tempo per interloquire su specifiche domande, cosa che forse può essere più funzionale.
Il punto di partenza è già stato toccato. L'Europa sostiene che il pareggio di bilancio deve essere conseguito attraverso azioni che puntino non ad aumentare le entrate e la pressione fiscale, ma a ridurre la spesa. Io penso che abbia un senso, ma certamente non è questa la direzione seguita nel nostro Paese. La pressione fiscale, infatti, in particolare a seguito dell'ultima manovra, è fortemente aumentata. Sono aumentate le accise, l'addizionale regionale, l'addizionale comunale, l'IMU e aumenterà di due punti anche l'IVA dal prossimo settembre.
Accanto al forte aumento della pressione fiscale, è stata ridotta sensibilmente anche la spesa. Tuttavia, occorre fare un distinguo. Ridurre la spesa di per sé non è né un bene né un male. Il punto è se si riduce la spesa buona o la spesa cattiva. Ridurre la spesa impropria, la spesa che non produce né efficienza né crescita, è positivo. Produrre, invece, tagli a quella


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spesa che agevola il Paese sulla via della crescita, provocherebbe ovviamente un effetto negativo.
Per noi le politiche di controllo della spesa sono sempre state un'occasione per riorganizzare la pubblica amministrazione, per ridurre gli sprechi, le inefficienze e le disfunzioni e per valorizzare il ruolo dei dipendenti, prevedendo anche una redistribuzione del reddito attraverso la negoziazione ente per ente, là dove si realizzano economie. Per far questo serve un piano industriale. Lo chiediamo da sempre, ma non è mai stato presentato. Sono stati proposti tanti piani «estetici» per la pubblica amministrazione, ma mai un piano industriale vero e proprio.
Lo stesso vale anche per la spesa sociale e sanitaria. Noi pensiamo che il processo di definizione dei costi standard di beni e strumenti utilizzati per l'erogazione dei servizi debba continuare. Su un altro fronte, pensiamo che debba essere proseguita la rivisitazione dei livelli istituzionali e dei costi impropri della politica. Chiediamo che sia sancito una volta per tutte il livello di spesa adeguato a una democrazia rappresentativa, verificando se ci sia la possibilità di tagliare i tanti livelli impropri nella gestione delle società strumentali degli enti locali, che comportano un aggravio della spesa pubblica.
Inoltre, come denunciava la Corte dei conti, c'è anche una spesa impropria legata alla mancanza di controlli giurisdizionali e amministrativi. Chiediamo, quindi, una normativa nuova che sanzioni e che reprima l'illegalità. Intervenire sulle decine di miliardi che si sprecano a causa delle disfunzioni del sistema degli appalti è sicuramente una via da seguire per ridurre i costi.
Per quanto riguarda la forte pressione fiscale, mi allineo a ciò che è stato già detto. Se vogliamo spingere i consumi interni in un momento così delicato, dobbiamo spostare la pressione fiscale per alleggerire il peso che attualmente grava su lavoro dipendente e pensioni. È un refrain che ci avrete sentito ripetere tante volte in questa Commissione. Riteniamo che sia non solo un problema di redistribuzione del reddito - che comunque esiste -, ma anche una via strategica per restituire capacità di crescita ai consumi interni così da alimentare il circuito delle imprese e dell'occupazione. Chiediamo, quindi, di creare più reddito disponibile per aumentare i consumi interni.
In termini generali, chiudo qui il mio intervento. Ribadisco la mia disponibilità a rispondere a specifiche domande, alle quali potete trovate, comunque, una risposta scritta nel testo che abbiamo consegnato.

ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Ringrazio la Commissione per averci dato la possibilità, anche quest'anno, di esprimere le nostre posizioni. Anche noi abbiamo preparato un documento che invieremo alla Commissione nella giornata di oggi, in modo che possiate avere, per ognuna delle domande che abbiamo selezionato, una risposta più precisa.
Credo che rischiamo di ripetere sempre le stesse considerazioni. Sia noi sia il Parlamento italiano abbiamo poca possibilità di intervenire, stando così le cose. Come dicevano i colleghi e come abbiamo scritto con forza nel nostro documento, voglio ribadire che il problema riguarda chi decide e come. Riguarda, cioè, la parte istituzionale e costituzionale dell'Europa. Quando si è avviato il grande mercato europeo, chi aveva responsabilità in quel momento aveva pensato di organizzare, contemporaneamente, una conferenza intergovernativa che accompagnasse la libertà del mercato e della circolazione con decisioni autorevoli e assunte dalla politica legittimata dal voto. Tutto ciò non è mai avvenuto, e il primo problema è proprio questo.
La nostra vita e le impostazioni della nostra politica economica sono scandite da una sovranità molto limitata e da indirizzi che provengono dalla Commissione europea, la quale, pur rappresentando gli Stati, non rappresenta tutti i cittadini europei. Il Parlamento è senza dubbio una istituzione democratica, ma ha un ruolo marginale. Credo che la prima battaglia che le forze


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politiche e il sindacato tutto dovrebbero fare a livello europeo sia quella di dotarsi di scelte politiche ed economiche che tengano conto delle persone.
Come hanno già detto i colleghi, siamo molto preoccupati. Gli interventi del precedente Governo adottati in questo anno e quelli dell'attuale Governo hanno messo in particolare difficoltà il Paese e soprattutto le persone che vivono ai margini o che rischiano di arrivare ai margini. La situazione è drammatica. Se, come dovremmo, attuassimo manovre per portare nel 2013 il bilancio dello Stato intorno al pareggio, interverremmo pesantemente, con manovre da circa 40 miliardi di euro, che inciderebbero nuovamente sugli stessi soggetti.
La seconda questione che mi sembra importante sottolineare è verificare se ci siano le condizioni per modificare i trattati. I trattati non sono Vangelo, sono stati scritti da uomini. Occorre modificarli per impostare una nuova politica economica europea e una nuova architettura istituzionale.
Una terza questione riguarda la Banca centrale europea. Questa, infatti, si limita a interventi di contenimento per mantenere bassa l'inflazione. Tuttavia, a causa della speculazione, difficilmente le imprese riusciranno a trovare risorse sul mercato libero. Ritengo, quindi, essenziale l'esistenza di una Banca centrale che immetta capitale e che produca moneta.
Per quanto riguarda le questioni di carattere interno, credo giusto ribadire quanto hanno detto i colleghi. Si continua a dire che bisogna intervenire sulla spesa, ma bisogna anche sapere su quale tipo di spesa. Quest'anno sono state adottate manovre significative che hanno tagliato enormemente la spesa. In particolare, la spesa per le pensioni è abbastanza ridotta rispetto al passato. Anche la spesa per i servizi e per la pubblica amministrazione ha subito una riduzione sostanziale. Tralasciando il taglio dei posti di lavoro in settori importanti come sanità e scuola, la riduzione dà la possibilità di aumentare i contratti e così via. Intervenire nuovamente sulla spesa, come ripeto, porrebbe condizioni ancora più difficili da affrontare.
Da ultimo, bisognerebbe porsi il problema di mettere intorno a un tavolo, come abbiamo già detto anche in altre occasioni, tutte le forze del Paese per elaborare un piano serio e concreto, al quale ognuno, a partire dalle banche, dai petrolieri e dalle assicurazioni, partecipi con il proprio contributo, e decidere insieme quali investimenti, quali prodotti e quali innovazioni si vogliono realizzare per favorire un processo di crescita dell'economia e dell'occupazione.
Stando così le cose, se qualcuno pensa che modificando leggermente il mercato del lavoro si possa produrre nuova occupazione, secondo noi sbaglia. L'occupazione non si produrrà certamente con un decreto che modifichi la flessibilità nel mercato del lavoro. Non voglio affrontare la questione, ma credo che buona parte della discussione sia strumentale piuttosto che reale. Tutto si concentra banalmente sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che riguarda davvero pochi casi. Per creare occupazione, trovare investimenti e favorire i consumi interni la soluzione è intervenire sul fisco.
Come dicevano i colleghi, abbiamo presentato un documento al Governo che, per uscire da questa situazione, punta sul rilancio dell'economia e sulla crescita, ma abbiamo anche avanzato proposte concrete per quanto riguarda la riforma fiscale affinché lavoratori e pensionati, che pagano l'86,4 per cento delle tasse in Italia, abbiano la possibilità di accrescere il proprio potere d'acquisto.
Solo così, infatti, potrà aumentare la domanda e di conseguenza la produzione.

GIOVANNI CENTRELLA, Segretario generale della UGL. Ringrazio la Commissione per l'invito. Per l'occasione abbiamo chiesto al nostro ufficio studi una serie di analisi che troverete nel documento che abbiamo depositato.
Noi pensiamo che la crescita non sia possibile senza che nelle tasche dei cittadini italiani entrino più soldi. Se il potere


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di acquisto di pensionati, operai e impiegati rimarrà quello odierno, credo che crescita non ce ne sarà. Come dicevano bene i colleghi prima, non è con qualche piccola modifica all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o con qualche altra misura che si può favorire la crescita in Italia. C'è bisogno di portare più soldi in tasca ai lavoratori e ai pensionati e lo si può fare attraverso una forte politica di lotta all'evasione fiscale, che non serva però a sanare determinate situazioni. Solo questo potrebbe incidere in maniera positiva.
Per fare un esempio, nel decreto sulla crescita presentato dall'attuale Governo si parla di piccole società a responsabilità limitata che possono essere costituite con un euro di capitale, senza dover andare dal notaio. Tuttavia, manca l'accesso al credito e mancano le banche che finanzino le idee. A cosa serve aprire nuove società, se non c'è quanto serve per costituire un'impresa? Il prestito d'onore al sud è un esempio lampante. Anche in presenza di piccoli capitali in grado di dare il via a un'impresa, con le banche chiuse a riccio che non finanziano più nulla o danno finanziamenti sbagliati, nemmeno quello è servito a far crescere idee nuove o posti di lavoro.
Nel nostro documento si parla di Mezzogiorno. Il Mezzogiorno può essere una risorsa se creiamo infrastrutture. Non troveremo mai nessuno disposto a investire in zone dove si impiega troppo tempo per arrivare. Il ponte sullo stretto, secondo noi, sarebbe un grosso errore. A monte dello stretto c'è l'autostrada Salerno - Reggio Calabria, che è obsoleta e i cui lavori durano ormai da una vita. Passato il ponte, avremmo ferrovie fatiscenti e strade ancora peggiori. A tal proposito, siamo favorevoli ai project bond perché potrebbero servire a reperire risorse.
Un altro fattore che sta ostacolando la crescita sono i pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione. Il ritardo di questi pagamenti sta portando al collasso piccole imprese e crea altri problemi per la crescita. Bisogna, inoltre, arginare con forza la disoccupazione giovanile e quella degli over 50.
Gli ultimi passi compiuti dal Governo incidono in maniera negativa sulla crescita. La riforma delle pensioni, attuata senza tener conto del parere dei sindacati, ad esempio, danneggerà parecchi lavoratori che hanno stretto accordi di mobilità prima di andare in pensione. Questi, infatti, non saranno né lavoratori dipendenti né tantomeno lavoratori in grado di andare in pensione, e lo Stato dovrà sopportare l'impatto sociale di questa situazione. Infatti, questi lavoratori non sanno più cosa sono, anche perché in Italia dopo i cinquant'anni un posto di lavoro non si trova più. Sta diventando, quindi, tutto più difficile.
Non voglio dilungarmi oltre, anche perché quanto hanno detto i colleghi di CGIL, CISL e UIL è condivisibile. L'Italia ha bisogno di pochi interventi, ma mirati. Quello sul fisco, secondo me, è il più urgente. Come dicevo prima, i cittadini più soldi in tasca hanno più spendono. Più i cittadini spendono, più si produce, e se la produzione aumenta, aumentano anche la crescita e l'occupazione.
Se continueremo a tassare i cittadini italiani, potremo fare tutto tranne che favorire la crescita.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

MASSIMO VANNUCCI. Ringrazio i rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL. Ho scorso i documenti presentati e mi sembrano molto interessanti.
Per evitare l'obiezione che faceva il dottor Foccillo a proposito del fatto che ci ritroviamo sempre a dire le stesse cose, continuo a pensare che, quando parliamo di crescita, ognuno si dovrebbe occupare del contributo che potrebbe dare e a quali condizioni. Il dottor Barbi è partito dalla crisi delle banche del 2008, che poi si è riflessa nella crisi dei debiti sovrani, che ne è una diretta conseguenza. Come sappiamo tutti, per onorare i propri debiti


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bisogna crescere di più. Nessuno è mai riuscito a pagare i debiti lavorando e producendo di meno. Sappiamo anche che leve importanti sono quella delle tasse, sulle quali tutti vi siete soffermati, quella degli investimenti e dell'immissione di liquidità.
Tutti e tre avete sorvolato sull'ultima riforma delle pensioni prevista dal decreto-legge in materia di proroga di termini, ancora all'esame del Senato. Come è possibile non vedere queste cifre? Stando alla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, abbiamo un aumento progressivo per prestazioni sociali da pensione di 8 miliardi all'anno, con una spesa complessiva di circa 250 miliardi su un totale di 800 miliardi. Per contro, dal lato delle entrate abbiamo circa 210 miliardi di euro di contributi. Come si dice sempre, sarà compresa anche l'assistenza, ma non voglio tornare su questo.
Quanto ai riferimenti fatti, mi aspettavo molto di più - ve lo dico francamente - sulla questione del mercato del lavoro. Mi sembra che siate piuttosto sulla difensiva. Come si può sostenere che un'azione sul mercato del lavoro non sia indispensabile per la crescita, vista la possibilità che ha di attrarre investimenti, e per la produttività? Le uniche misure approvate dal precedente Governo in questa materia sono servite a tamponare la crisi con ammortizzatori sociali, mentre l'unica norma approvata riguarda la detassazione del salario di produttività. Vorremmo sapere, ad esempio, che effetti ha avuto.
Inoltre, vorrei sapere come il sindacato può aiutare la politica industriale. La questione di fondo è questa. Noi vediamo aziende cadere come birilli in ogni area del Paese e a questo non contrapponiamo niente. Non c'è alcuna ipotesi di riconversione. Per le riconversioni ci vuole nuova formazione del personale, ci vogliono nuove idee e accordi che le accompagnino. Per affrontare nuovi settori di intervento ci vogliono start-up, anche nazionali. È questo che manca al Paese.
Da voi deve venire un contributo sostanziale, se vogliamo provare a crescere, a pagare i debiti e a onorare gli impegni europei. Possiamo farlo solo così. Io non starei sulla difensiva, ma valorizzerei le possibilità che CGIL, CISL, UIL, UGL e i lavoratori hanno per mettersi a disposizione di un progetto.
Quali sono le condizioni per poterlo fare? Questa è la mia domanda.

LINO DUILIO. Anch'io vorrei porre un paio di domande. La prima riprende quanto diceva il collega Vannucci, ma relativamente a un'altra questione collegata all'esigenza di uscire dalla situazione in cui ci troviamo attraverso qualche sussulto sul versante della crescita.
La diagnosi sembra chiara. Io prescindo dalle valutazioni di carattere generale, intellettuali e ideologiche di chi dice che la crisi che stiamo vivendo è una crisi ineludibile, di sistema, e che, pur con tutti gli sforzi, è nel DNA di questo capitalismo e di chi, invece, sostiene che la situazione attuale deriva da errori e da ciò che i mutui subprime hanno scatenato nel 2008. Sono disquisizioni di carattere generico che in questa sede non interessano.
A noi interessa avere qualche opinione, possibilmente concreta, per capire come Parlamento e Governo possano prendere decisioni, per ciò che li concerne, utili a intraprendere questo percorso di crescita. Come ben sappiamo, da circa vent'anni i tassi di crescita della produttività sono negativi e i tassi di crescita del PIL sono rachitici. Tutti si fanno medici attorno al malato, ma il malato rischia di morire.
Vorrei, quindi, porre due questioni. Credo che sia diffusa la consapevolezza - la matematica non è un'opinione - che, se la ricchezza non cresce, tenendo conto della sua distribuzione sul territorio nazionale, inevitabilmente si andrà incontro ad alcune conseguenze. A livello di spesa pubblica, talune spese sono rigide e non possono essere modificate. Per quanto riguarda, ad esempio, la spesa per pensioni, possiamo intervenire sui tassi di indicizzazione o sulla progressione anagrafica in modo tale che la gente vada in pensione più tardi, ma certamente non sullo stock di pensioni, che nel nostro Paese ammonta a quasi 24 milioni e comporta un livello di


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spesa che si aggira - dati del 2010 - intorno al 40 per cento della spesa totale.
Prendendo in considerazione anche l'assistenza, abbiamo un 30,2 per cento di spesa a cui si aggiunge l'8,8 per cento. È il dato del 2010 contenuto nelle relazioni ufficiali trasmesse dal Ministero dell'economia e delle finanze.

DANILO BARBI, Segretario confederale della CGIL. A quale spesa si riferisce?

LINO DUILIO. Mi riferisco alla spesa per previdenza, assistenza, trasferimenti alle famiglie e pensioni, ma voglio arrivare al dunque. La relazione è pubblicata su internet e mostra che complessivamente la spesa pubblica è distribuita sui consumi pubblici per circa il 41 per cento e su pensioni, previdenza e assistenza per il 30,2 per cento più un 8,8 per cento. Poi ci sono le spese per interessi passivi, un altro dato rigido, e altre voci meno rilevanti.
Al di là del dato aggregato, che come ripeto è comunque un dato ufficiale, credo che la mia domanda vada incontro anche alle vostre preoccupazioni. È una domanda alla quale dovremo rispondere, altrimenti non taglieremo il nodo gordiano della crescita. La crescita oggi è pari a zero, ad eccezione della parte nominale in virtù della variazione dei prezzi. Come ho detto, non possiamo toccare la spesa previdenziale relativamente allo stock, ma possiamo incidere solo su coloro che andranno in pensione in futuro e che fortunatamente, in presenza di un trend anagrafico favorevole, vivranno di più.
Non possiamo toccare nemmeno la spesa per interessi passivi, a meno di non ridurre il debito pubblico, ma anche questo è un problema serio. Inevitabilmente, tenendo conto solo del perimetro della spesa, si finisce per considerare i consumi pubblici, cioè il perimetro dell'azione dello Stato, che include ordine pubblico, sicurezza, istruzione, università, sanità e così via.
Alla luce di tutto questo, per uscire da questa situazione dobbiamo forse, come qualcuno sostiene, rimettere in discussione il perimetro dell'azione dello Stato? Alcune prestazioni non sarebbero più erogate dallo Stato, ma dai privati e la sua azione diventerebbe più essenziale. Non mi aspetto una risposta diversa da quella che reputo scontata, ma credo che questa domanda sia inevitabile, se si tiene conto del volume complessivo della spesa, che è pari a circa il 50 per cento della ricchezza nazionale, delle spese rigide di cui parlavamo prima - possiamo discutere quale sia la loro percentuale - e di ciò che resta, tolte le spese rigide, sulle quali non possiamo intervenire.
Sul versante delle entrate, si sta cercando di concretizzare quel mitico discorso relativo alla lotta all'evasione fiscale, così da aumentare le entrate, far pagare meno tasse e reperire risorse. Ma la di là di questo, si fa quel che si può. Io ritengo assolutamente corretto da parte di questo Governo aver iscritto zero sul bilancio per quanto riguarda l'introito derivante dalla lotta all'evasione fiscale. Verificheremo ex post i risultati ottenuti, al fine di evitare di seguire una prassi che abbiamo stigmatizzato più volte in questa sede e cioè contare su quelle che io definisco speranze, se non illusioni, di entrata a bilancio.
Se il quadro è questo e se la diagnosi è chiara - non mi pare di aver trovato grandi differenze di tipo diagnostico -, il problema sono le terapie. Esortiamo chi ha qualche idea a esporcela, perché è interesse di una indagine conoscitiva come questa. Ricordo che negli anni che furono il sindacato è stato protagonista storico della vittoria su una bestia che si pensava non fosse addomesticabile, cioè l'inflazione, perché lanciò un'idea concreta, l'idea di sedersi intorno a un tavolo, come diceva il segretario Foccillo, e di scommettere su un certo tasso di inflazione. Alla fine riuscimmo a scendere da percentuali del 18-20 per cento a percentuali del 2-3 per cento.
Credo che abbia ragione il collega Vannucci quando dice che, al di là dei grandi discorsi di principio, il problema è cercare di uscire da questa situazione mettendo ognuno qualcosa di proprio. Vorrei, quindi, sapere se avete proposte concrete


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che possano essere prese in considerazione o suggestioni che, richiamando analogicamente quanto fu fatto a suo tempo, facciano riferimento a elaborazioni, piuttosto che alla necessità di restare svegli fino alle due di notte - mi scuso per la metafora, ma ne avremmo bisogno tutti nel nostro Paese per uscire da questa situazione - e ineriscano, da un lato, alle innovazioni di processo e, dall'altro, alle innovazioni di prodotto.
Sono d'accordo con voi che non si possa raschiare il fondo del barile oltre un certo limite e non capisco perché si scomodino argomenti che provocano guerre ideologiche quando i problemi sono altri. Complessivamente credo, però, che dal lato delle innovazioni di processo non si possa fare molto di più.
Le innovazioni di prodotto mi sembrano, invece, più promettenti. Nella realtà economica esistono migliori pratiche imprenditoriali che si potrebbero assecondare per trasformarle in pratiche di sistema, ma mi rendo conto che questo per il sindacato potrebbe voler dire passare da soggetto che si occupa di redistribuzione a soggetto che si occupa anche di produzione. Forse è una richiesta eccessiva, tuttavia credo che sia un aspetto di un futuro in cui si combinano sia gli aspetti distributivi sia gli aspetti produttivi.
Vorrei capire se il sindacato ha la preoccupazione di andare al cuore del problema e avanzare proposte concrete, come è stato capace di fare parecchio tempo fa, e se eventualmente ha già prodotto qualcosa o se ritenete che possa produrlo, magari quando nascerà il tavolo di cui parlava il segretario Foccillo.

GIORGIO LA MALFA. Sarò brevissimo. Premetto che come relatore condivido la preoccupazione economica e politica che è stata espressa dai rappresentanti sindacali circa l'asimmetria fra le politiche di riduzione del deficit e le politiche di sostegno alla crescita, con il rischio che esse possano non andare nella direzione voluta di fare entrambe le cose insieme.
Condiviso questo e condiviso il fatto che non è moltissimo quello che il sindacato può dare a questa fase - non è detto che gli debba essere chiesto troppo -, nel documento della Commissione europea c'è, però, un punto, in cui si richiama in modo specifico una responsabilità del sindacato, su cui vorrei avere una risposta. Questo documento, infatti, dice che è necessario attuare politiche che agevolino la ricollocazione delle risorse tra imprese, settori, regioni e Paesi per sostenere i cambiamenti strutturali verso settori dinamici e attività a elevata produttività.
La mobilità del lavoro in questo passaggio della comunicazione della Commissione non viene presentata come una generica istanza per la crescita dell'occupazione. Se è lo spostamento o la globalizzazione a imporre di lasciare alcuni settori e andare verso altri settori, il sindacato potrebbe collaborare o non vuole collaborare?

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

MAURIZIO PETRICCIOLI, Segretario confederale della CISL. Grazie, presidente.
Onorevole Vannucci, noi siamo conterranei per cui capiamo l'ironia delle provocazioni che sono state fatte. Non credo sinceramente che il sindacato stia assumendo una posizione difensiva. Non voglio elencare tutto ciò che abbiamo fatto in questi anni, ma, per quanto riguarda la mia organizzazione, ricordo la posizione che abbiamo assunto in vertenze che, come nel caso della FIAT, mediaticamente sono state riportate in termini simbologici. Mi pare che con il contributo di qualcuno che sta da questa parte del tavolo sono state riportate in Italia produzioni che non c'erano più.
Non mi pare che la nostra sia una posizione difensiva o di chiusura preconcetta, tant'è che da questa parte del tavolo ci sono state anche delle divisioni su determinate tematiche. Affrontiamo con coraggio le difficoltà, poi c'è il limite degli uomini. Anche le associazioni possono sbagliare nelle opinioni che esprimono, ma certamente rifiuto il discorso del difensivismo.


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Chiedo a voi, invece, perché non aiutate un sindacato che si vuole spingere sul versante della negoziazione partecipativa, che per le parti sociali rappresenta la riforma delle riforme. Perché in questo Paese deve esistere obbligatoriamente uno schema che fa confliggere il capitale e il lavoro? Si parla tanto della Germania, ma lì i modelli, come sapete meglio di me, sono ben altri. Non abbiamo mai creduto nei modelli che vengono impiantati in un altro Paese. Immaginiamo, però, che azienda per azienda ci possano essere temi di condivisione e assunzione di responsabilità comuni tra lavoro e capitale.
La produttività si realizza quando all'interno delle imprese c'è sintonia di obiettivi e la capacità di mettere in campo responsabilità. La legislazione del nostro Paese non consente strumenti partecipativi. Se volete dare una mano ai sindacati partecipativi, non occorre promuovere obbligatoriamente, per editto, la partecipazione nelle imprese perché sarebbe una sciocchezza. Dove non si vuol fare non si fa. Dovreste togliere piuttosto gli ostacoli legislativi che oggi non consentono la partecipazione. Il sistema duale italiano, ad esempio, non permette alle parti sociali e agli stakeholder di sedere nei comitati di vigilanza. Se vogliamo essere propositivi, si può andare in questa direzione.
Per quanto riguarda le pensioni, nessuno sostiene che i dati citati non siano veritieri. Sono però altrettanto veritieri i dati di lungo periodo che dicono che il sistema che era stato progettato nel nostro Paese era l'unico, a livello europeo, nel quale il rapporto fra PIL e crescita avrebbe determinato un miglioramento nella spesa previdenziale. Attualmente questo non avviene perché sono dieci anni che il PIL del nostro Paese cresce pochissimo o è addirittura fermo ed è evidente che la spesa previdenziale in rapporto a un PIL fermo non può migliorare.
Possiamo progettare le cose migliori del mondo, ma certamente, se non riusciremo a far ripartire il Paese e se non ci sarà crescita, la spesa in rapporto al livello di necessità di manutenzione, di investimento, di inflazione, di demografia, di mercato del lavoro continuerà a crescere rispetto a un PIL che, invece, è fermo o, addirittura, decresce.
Chiedete risposte concrete. Sulle pensioni, ad esempio, non abbiamo affatto giocato in difesa. Abbiamo proposto alcuni cambiamenti sulla base di principi che non sono stati tenuti in considerazione, come ad esempio il raggiungimento graduale di determinati obiettivi oppure l'inserimento di una finestra di flessibilità, restituendo alle persone la possibilità di scegliere quando uscire dal mondo del lavoro, anche subendo penalizzazioni.
Si è giunti a una manovra che davvero non è sopportabile per una serie di persone, a tal punto - lo richiamavano prima i miei colleghi - che migliaia di persone rimarranno senza reddito da lavoro e senza un trattamento pensionistico. Speriamo che il Senato ponga fine a questa situazione. C'è sicuramente bisogno di andare avanti in questo senso.
Ci sarebbero anche altri temi da affrontare, ma mi limiterò al fisco. È possibile ragionare di tagli alla spesa - e abbiamo visto le nostre proposte - senza tenere conto che siamo in un Paese dove l'illegalità riguarda cifre incredibili? La Corte dei conti parla di 63 miliardi di euro di spesa aggiuntiva per appalti truccati e irregolari e tanto altro. La Corte dei conti non ha interesse ad affermare questo. È un organo della magistratura sopra le parti che nota come una necessaria revisione dei provvedimenti amministrativi e un efficace controllo giurisdizionale amministrativo potrebbero creare risparmi di spesa.
È possibile che non si veda la necessità di andare oltre gli spot e i vari casi Cortina, che peraltro io condivido? Possibile che non si veda che si può andare oltre? Non si può attuare un piano per ridurre l'evasione dell'IVA? L'IVA evasa è pari a 45 miliardi di euro annui. Bisogna rimanere ancora in un Paese in cui esiste un principio di congruità che fa sì che i gioiellieri mediamente denuncino al fisco un reddito di 16.000 euro? Si può intervenire sul principio di congruità? Nelle commissioni tra rappresentanze di quelle


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categorie professionali e Agenzia delle entrate, è possibile insediare degli esperti super partes che incidano nelle decisioni adottate e ne garantiscano una maggiore trasparenza? Si possono fare queste cose?
Non vi chiedo se il mio discorso sia condivisibile o meno, ma vi sembra che segni il passo di un sindacato che non avanza proposte? A me pare che avanziamo proposte concrete che cercano di andare in una direzione precisa. Come il collega Foccillo, abbiamo chiesto un tavolo per lavorare complessivamente a un patto più generale, ma è evidente che qualcuno ritiene che il sindacato debba limitarsi a restare all'interno delle aziende e a gestire esclusivamente quelle.
È un ruolo che certamente al sindacato che io rappresento non piace.

ANTONIO FOCCILLO, Segretario confederale della UIL. Cercherò di dare risposte brevi, ma mi sia consentito di fare, preliminarmente, una piccola osservazione. Anche oggi, purtroppo, per colpa dei tempi stretti o perché non si possono affrontare certe questioni, ripetiamo le stesse cose. Questi discorsi li abbiamo già fatti in più di una occasione. Abbiamo risposto, ma non abbiamo avuto il tempo di argomentare e di avviare un'interlocuzione.
Alla domanda che faceva l'onorevole La Malfa, per esempio, io rispondo di sì. Lo abbiamo sempre detto. Ma è possibile ricollocare le persone nel mercato del lavoro attuale, in uno scenario in cui le aziende, anche le migliori, sono al disastro complessivo e la disoccupazione, come dice la stessa Confindustria, rischia di aumentare nella misura di circa un milione di nuovi disoccupati? La domanda dell'onorevole La Malfa è giusta ed è giusto rispondere sì. Noi possiamo accompagnare la riallocazione delle persone, formandole e fornendo loro tutto quel serve, ma bisogna creare le condizioni affinché le aziende si rimettano sul mercato e facciano ciò che suggeriva l'onorevole Duilio, cioè innovazione, ricerca, prodotti nuovi e così via.
La seconda considerazione riguarda le parole dell'onorevole Vannucci a proposito del fatto che per fare il vostro mestiere avete bisogno di interlocutori e di tavoli. Se il nuovo Governo ritiene che con il sindacato non si debba trattare e che esso si debba occupare solo del mercato del lavoro, come ha detto il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di dicembre, e se l'interlocutore diventa internet, come si possono pretendere proposte da un sindacato che non viene riconosciuto in quanto tale, cioè come interlocutore in grado di dare un contributo?
Alcune questioni le abbiamo messe sul tavolo e siamo disponibili ad affrontarle. Quello che cercavo di dire è che in un momento come questo bisognerebbe mettere tutti intorno a un tavolo per capire cosa fare. Se le banche, ad esempio, non finanziano le imprese, queste vanno a catafascio e la mobilità serve a poco. Bisogna, quindi, pensare a come costringere le banche, che dall'Unione europea hanno ricevuto delle risorse, a finanziare le imprese o a come chiedere sacrifici a tutti i soggetti che fino a oggi non li hanno fatti, dagli assicuratori ai petrolieri e così via. Non si tratta di chiedere la luna, ma di creare un progetto per l'Italia che faccia uscire davvero il Paese dalla crisi senza che a pagare siano sempre gli stessi.
Per quanto riguarda le pensioni, io vorrei poter discutere. Negli ultimi anni il sistema pensionistico non è stato un moloch immobile. Gli interventi negli anni sono stati tanti, anche se a volte contraddittori tra loro. Ricorderete che in una precedente legge finanziaria, con una semplice modifica, fu inserita la riforma che legava gli incrementi dell'età per il pensionamento all'aspettativa di vita senza che fosse stata discussa con nessuno. Intervenire ulteriormente comporterebbe un'altra penalizzazione.
Bisogna analizzare la spesa e la sua distribuzione, ma in un momento in cui le risorse mancano o si riducono le prestazioni, come abbiamo già fatto, o si aumentano le risorse. Si potrebbe cercare un modo per coinvolgere i giovani con contratti a tempo parziale o atipici nel pagamento


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dei contributi, distribuendo la possibilità di far crescere le risorse, o un modo per far pagare i contributi anche a tutti i lavoratori immigrati che lavorano in nero e così via.
Si possono fare tante cose, ma se non si trova la sede dove discuterne diventa complicato chiedere a noi, ogni volta che bisogna fare sacrifici, di cedere in qualcosa, mentre gli altri stanno sempre a guardare. Il 55 per cento dei pensionati percepisce una pensione di 500 euro mensili. Non sono certo cifre favolose. Quasi l'85 per cento delle pensioni è al disotto di 1.000 euro al mese. Stiamo aggredendo per l'ennesima volta le stesse persone.
Noi siamo disponibili al confronto, ma dobbiamo trovare una sede dove poter affrontare in concreto le soluzioni, discutere con più tempo a disposizione e magari convincersi l'un l'altro di avere ragione o torto.

DANILO BARBI, Segretario confederale della CGIL. Mi soffermo su due punti. Si chiedeva cosa potrebbe fare il sindacato sulle pensioni in questa fase. A mio modo di vedere, l'analisi sul tipo di crisi che abbiamo di fronte è abbastanza determinante anche per capire cosa possa fare il sindacato.
La politica dei redditi della fine degli anni Settanta e la politica di solidarietà nazionale avevano un senso in una fase in cui, in rapporto al reddito nazionale, era aumentata moltissimo la percentuale dei redditi da salario e si era vicini alla piena occupazione. Il problema nazionale allora era la fortissima inflazione, che creava il rischio di una depressione degli investimenti produttivi. In quella situazione il sindacato si pose il problema di controllare le politiche salariali.
Sarà astruso e poco pratico, ma a me da piccolo hanno insegnato che prima di capire cosa fare bisogna conoscere il problema. Talvolta si indovina anche senza sapere quale sia il problema, ma ci vuole fortuna. Oggi il problema è la crisi generale. Siamo in una fase di crisi nazionale all'interno di una crisi europea, che a sua volta è conseguenza della crisi che chiamiamo globale, ma che in realtà dovremmo definire crisi dei Paesi industrializzati.
Se l'analisi è questa, pur avendo l'Italia un problema specifico legato alle politiche dell'offerta, la crisi generale che stiamo vivendo è, sul piano macroeconomico, una crisi di domanda. Sono trent'anni che nei Paesi industrializzati la quota occupazionale non cresce rispetto alla produttività, creando precarietà, e sono vent'anni che la quota dei salari non cresce rispetto alla produttività media. È così in tutti i Paesi industrializzati, ferme restando le differenze nazionali.
Non si può, quindi, imputare la crisi all'eccesso di spesa e pensare di risolverla liberando l'offerta. Se è vero che questa è una crisi di domanda, allora è anche una crisi di sovrapproduzione e il problema oggi è rappresentato dall'inflazione finanziaria, come dicono molti economisti. Ciò significa che parte del ciclo economico non è stata distribuita e che la crescita dei profitti non si è tradotta in investimenti produttivi, ma in investimenti finanziari.
È questa la causa della crisi oppure no? Per noi si deve discutere di questo. Se siamo d'accordo sul fatto che la crisi è di tale natura, allora le terapie devono andare nella giusta direzione. Il sindacato italiano sarebbe disponibile a fare la propria parte, ma occorre una politica che sostenga la domanda. Come ho detto, nel nostro Paese, a fronte della crisi di domanda, esiste anche una crisi dell'offerta. Abbiamo scoperto che senza i camionisti questo Paese muore, anche se non è esattamente un fatto di produttività di sistema. Oppure sappiamo che, in base ai prezzi di listino, una FIAT costa di più a Roma che a Berlino.
Ma esistono anche problemi di offerta nel mercato del lavoro. Non ci sottraiamo alla discussione. Nelle aziende si decidono investimenti veri e concordati con i sindacati - non mi soffermo sulle differenze che riguardano il caso FIAT -, che sono cosa diversa dagli investimenti autorizzati che qualcuno farà quando e come gli pare. In Italia sono stati stipulati diecimila accordi aziendali con cui sono stati concor


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dati 180.000 esuberi e in molte aziende si sono concordati maggiori investimenti in cambio del maggior utilizzo degli impianti. Questo, però, succede nelle poche imprese che, nonostante la crisi, hanno delle aspettative di crescita. Il punto è questo.
Poiché in Europa, e di conseguenza in Italia, non c'è una politica di sviluppo e di creazione della domanda, saremmo presto chiamati ad affrontare il problema della transizione ad alcuni specifici settori produttivi. Noi non pensiamo di salvarli tutti, ma per la riconversione serve una politica industriale. Defiscalizzando il fotovoltaico, ad esempio, facciamo sconti alle imprese danesi e tedesche, che producono il 90 per cento dei pannelli solari. Per ora i cinesi detengono il 10 per cento del mercato, ma anche loro sono più avanti dell'industria italiana nelle energie rinnovabili.
Se si facesse una politica per la domanda, il sindacato italiano, come sempre, si farebbe carico di una responsabilità nazionale. Ma poiché questa politica oggi non c'è, chiedere cosa può fare il sindacato è un modo elegante per dire che i sacrifici li dobbiamo fare noi perché, tra l'altro, c'è qualcun altro prova a sottrarsene.
Vengo al fisco e concludo. Sulle pensioni, infatti, ha già detto alcune cose che condivido il collega Foccillo. A proposito del fisco tengo a dire che anche in questo caso esiste uno specifico problema italiano che riguarda l'evasione, ma riguarda anche il rapporto fra ricchezza patrimoniale e ricchezza reddituale. È un caso tutto italiano ed è una questione molto pratica. Sulla programmazione delle attività dell'Agenzia delle entrate contro l'evasione fiscale è stata detta una cosa che non condivido perché tra la creatività dell'Agenzia delle entrate e il non fare nulla contro l'evasione fiscale - un problema strutturale in un Paese, che diventa ancora più grave a causa della crisi - esiste anche una soluzione alternativa.
Nella proposta di CGIL, CISL e UIL abbiamo inserito un piano strutturale sull'evasione fiscale che prevede di programmare obiettivi di rientro e di riduzione dell'imponibile evaso. Se gli obiettivi non sono raggiunti, il piano comporta misure automatiche di intervento sulle entrate o sulle spese in grado di far recuperare quanto si sarebbe dovuto ottenere dalla lotta all'evasione. Questo modello permetterebbe di evitare di programmare le entrate, come è avvenuto in passato, senza alcuna clausola di salvaguardia.
Spero però che quest'anno, quando il Governo si troverà improvvisamente in mano 13 miliardi di entrate in più, prodotte dagli interventi operati qua e là sull'evasione fiscale, quelle risorse non siano usate in un'ottica tutta incentrata sull'attualità, ma nel quadro di un ragionamento strutturale. Questo Paese ha bisogno di una lotta strutturale all'evasione fiscale. Se non si raggiungeranno i risultati, si invertirà il controllo di bilancio. Abbiamo inventato le clausole di salvaguardia più fantasmagoriche. Potremo applicarne una anche al recupero delle risorse evase.
Infine, non c'è un solo Paese dell'OCSE che abbia lo stesso rapporto dell'Italia fra patrimonio netto medio e reddito netto medio. Siccome l'evasione patologica in Italia non è una novità dell'ultimo periodo, ma esiste da sempre, da qualche parte i soldi devono essere finiti. Il rapporto fra patrimonio e reddito in Italia è otto a uno. Nemmeno gli Stati Uniti d'America, dove sono presenti le più grandi concentrazioni di finanza esistenti al mondo, hanno un patrimonio del genere. In America il rapporto tra patrimonio netto medio e reddito netto medio è, infatti, di sette a uno.
Questo problema noi l'abbiamo già posto e lo riproponiamo. I professori sono molto professorali, ma riguardo all'imposizione patrimoniale hanno detto che era un intervento difficile e che non eravamo pronti. In questo caso non sono stati bravi professori. Dovrebbero studiare di più perché, come è noto, il modello francese è in piedi da dodici anni. Non è difficile, quindi, ma c'è una differenza. Dato il rapporto tra patrimonio e reddito, in Francia con un'imposta patrimoniale al di sotto degli 800 mila euro si guadagnano 7 miliardi di euro all'anno, in Italia se ne guadagnerebbero 12 o 13. La differenza


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sta nella concentrazione del patrimonio. Infatti, in Italia, applicando le stesse aliquote francesi, si incasserebbero 12 o 13 miliardi di euro all'anno.
Si possono, quindi, adottare misure concrete e, se attraverso di esse si sostenesse una politica di sviluppo, il sindacato italiano farebbe la propria parte, ma non chiedetelo solo e sempre a noi.

GIOVANNI CENTRELLA, Segretario generale della UGL. Sarò molto più breve dei miei colleghi, che hanno detto già tanto.
Mi sembra che oggi, da una parte, i cittadini e i lavoratori italiani siano arrabbiati col sindacato perché, ad esempio, sulla riforma delle pensioni non è stato capace di porre rimedi, mentre, dall'altra parte, la politica sostiene che siamo difensivisti e non siamo capaci di avanzare proposte.
Io credo che il sindacato italiano abbia fatto parecchio in questi anni, non ultimo l'accordo del 28 giugno 2011, che è un modo per venire incontro a determinate richieste delle imprese. L'accordo FIAT, anche se ci sono vedute diverse rispetto alla CGIL, può testimoniare che il sindacato italiano non sta sulla difensiva, ma al contrario ha fatto tanto. Credo che, se non ci fosse stato il sindacato, oggi la situazione sarebbe molto diversa.
È da quattro anni che faccio il segretario sindacale. Prima sono stato segretario generale dei metalmeccanici e da un anno e mezzo sono diventato segretario generale della UGL. Vorrei mostrarvi le mie buste paga di operaio metalmeccanico, lavoro che ho svolto fino a quattro anni fa. Voi parlate di sindacato difensivista, ma i governi che si sono succeduti ci hanno tartassato. Per ogni aumento che il sindacato è stato capace di portare nelle buste paga dei lavoratori, le leggi finanziarie dei vari governi si mangiavano tre volte tanto. Altro che sindacato difensivista!
Si dovrebbe cercare di perseguire una vera politica di sviluppo economico, ma non è certo compito nostro. È compito di chi ci ha governato e di chi ci governerà in futuro.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti per il contributo fornito all'indagine conoscitiva e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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