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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
6.
Martedì 24 aprile 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'INDIVIDUAZIONE DI INDICATORI DI MISURAZIONE DEL BENESSERE ULTERIORI RISPETTO AL PIL

Audizione del professor Jean-Paul Fitoussi:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 5 8 9 10 11 12
Baretta Pier Paolo (PD) ... 8
Cambursano Renato (Misto) ... 8
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 9
Duilio Lino (PD) ... 9
Fitoussi Jean-Paul, Professore emerito all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi e professore presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 3 5 9 10 11
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 9
Marchi Maino (PD) ... 9
Vico Ludovico (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 24 aprile 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 12,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Jean-Paul Fitoussi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'individuazione di indicatori di misurazione del benessere ulteriori rispetto al PIL, l'audizione del professor Jean-Paul Fitoussi.
Procediamo, dunque, con quest'audizione molto importante di Jean-Paul Fitoussi, professore emerito all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi e professore presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma, che tutti noi conosciamo bene per la sua attività di riflessione e di ricerca, in particolare sull'individuazione di indicatori di benessere ulteriori rispetto al PIL. Credo che la sua testimonianza sia tra le più qualificate in assoluto che possiamo avere e lo ringrazio per aver accettato il nostro invito.
Do la parola al professor Fitoussi per lo svolgimento della relazione.

JEAN-PAUL FITOUSSI, Professore emerito all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi e professore presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma. Prima di tutto vorrei ringraziarvi di avermi invitato per la seconda volta. Ciò significa che la prima volta non è stata catastrofica. Per me è un grande onore partecipare a questa audizione. Io ritengo che la parte più importante del mio mestiere sia quella di provare a portare un po' di luce, la piccola luce che ho, a coloro che prendono le decisioni importanti, sapendo che tali decisioni non hanno nulla a che vedere con la tecnica, ma sono politiche. Io ritengo che la politica sia una cosa seria e che sia fatta per prendere decisioni. La ricerca, invece, è fatta per avanzare e forse per astenersi dal prendere decisioni.
Il tema su cui oggi mi chiedete di parlare può essere chiamato in molti modi. Noi l'abbiamo chiamato, nel rapporto scritto con Sen e Stiglitz, performance economica e progresso sociale.
Il problema può essere visto da diversi lati. Il primo consiste nell'analizzarlo direttamente dal punto di vista tecnico, il secondo è rappresentato dalla strada che io seguirò, quella di citare alcuni esempi che dimostrano che il sistema di misurazione che abbiamo non è adeguato.
Comincerò, per fare un esempio, da ciò che è successo in Giappone nel 2011, con lo tsunami e l'esplosione della centrale nucleare di Fukushima. Prendo questo esempio perché dimostra quasi tutto ciò che manca al nostro sistema di misurazione.
Prima di tutto questo incidente grave ha fatto cadere il PIL del Giappone. Gli economisti avevano ritenuto che potesse essere un'opportunità, perché la ricostruzione di ciò che è stato distrutto avrebbe


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fatto crescere il PIL più di quanto non fosse cresciuto in passato e che forse questo incidente avrebbe potuto far uscire il Giappone dal cosiddetto «decennio perduto». Se misuriamo il PIL, ciò sarebbe vero. Se, invece, siamo attenti a ciò che il PIL non misura, la storia è molto diversa.
Innanzitutto il PIL, essendo lordo, non misura le distruzioni. Supponendo che in futuro la crescita del PIL sarà forte, questa non basterà a ricostruire il capitale che è stato perso nell'incidente nucleare.
Se avessimo avuto una misura del prodotto interno netto, la situazione sarebbe molto diversa. Forse occorrerebbe un secolo per ricostruire ciò che è stato perso, perché ci sono alcune irreversibilità nel processo economico: sono morte persone e le famiglie hanno perso tutto, figli, madri e padri. Questo ha un effetto sul benessere che non è misurabile. Sappiamo quello che è accaduto al PIL, ma non ciò che è successo al benessere. Se si avanza un'ipotesi normale, si potrebbe affermare che il livello di benessere è sceso molto più di quanto non sia sceso il PIL.
Passo al secondo esempio, che può rappresentare una dimostrazione per cui la crescita passata del Giappone era sopravvalutata. Poiché il Giappone non annoverava nei suoi conti il rischio connesso al nucleare, faceva in modo tale da rendere il costo dell'elettricità molto più basso di quanto non dovesse essere. Di conseguenza, il PIL ha avuto un periodo di crescita che è stata sopravvalutata, perché non si teneva conto del costo connesso a tale rischio.
Il terzo elemento riguarda l'effetto sulla disuguaglianza multidimensionale in Giappone, ossia la disuguaglianza tra i redditi e la disuguaglianza tra i territori. La disuguaglianza tra i territori è aumentata in un modo molto importante e non abbiamo alcun sistema di misura che possa fornire informazioni su quanto è accaduto in Giappone.
Quando sostengo che non l'abbiamo, non significa che non sia possibile averlo, ma bisogna stanziare delle risorse per dotarsi di un tale sistema di misurazione.
Porto un secondo esempio, quello della rivoluzione araba. Esiste l'idea, nella teoria economica dominante, che le libertà politiche sono un fattore negativo per la crescita, ossia che la democrazia sia un fattore negativo per la crescita.
Un ricercatore della levatura di Robert Barro - un economista americano - ha svolto uno studio per dimostrare che il grado ottimale del sistema politico è 0,5. Il range va da 0 a 1, dove 0 rappresenta la dittatura assoluta e 1 la democrazia. Barro ha affermato che il regime politico più efficiente per la crescita corrisponde al regime di Pinochet. L'ha scritto Robert Barro. Vincerà il premio Nobel, ci scommetto. È un grande economista della scuola della nuova macroeconomia classica, insieme a Lucas e altri.
Che cosa dimostra la rivoluzione araba? Dimostra che la gente pensa che la libertà sia molto più importante per il suo benessere di quanto non sia la crescita del PIL. Noi possiamo trarre dallo studio di Robert Barro la conclusione, sbagliata, che è meglio diminuire il grado di libertà per avere una crescita del PIL più forte piuttosto che far crescere questo grado di libertà per avere un benessere maggiore.
Stiamo ragionando con due parametri diversi, quello del PIL e quello del benessere. La ragione delle affermazioni di Barro è che lui considera la libertà come un bene di lusso - proviamo a dire ai siriani che la libertà è un bene di lusso - che ha come conseguenza, se riconosciuta in un regime democratico, una pressione più grande a favore della ridistribuzione del reddito, che si suppone non essere favorevole alla crescita.
Barro l'ha dimostrato con le statistiche attuali, con le cifre attuali. È ovvio che la sua conclusione è sbagliata, ma forse perché le cifre su cui si fonda non sono veramente rappresentative di ciò che importa alla gente. Il problema sta in questo, ossia nel fatto che ciò che misuriamo determina ciò che facciamo.
Illustro il terzo esempio. Noi misuriamo il debito pubblico lordo degli Stati come se fosse l'indicatore di sostenibilità più robusto dell'economia. Voi siete politici


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e avete in atto un dibattito molto acceso su questi problemi, ma la verità è che, quando si pensa al debito pubblico lordo, si vede che non è una misura della sostenibilità, ma solo uno dei tanti indicatori.
Posso citare l'esempio di due Paesi identici, che hanno la stessa spesa pubblica, ma i cui Governi hanno scelto una strategia diversa. Nel primo Paese il Governo ha deciso di avere sempre l'equilibrio del bilancio e di finanziarsi con le imposte, in modo tale che il bilancio sia in pareggio. Nel secondo Paese il Governo ha scelto di finanziare la stessa spesa pubblica attraverso il debito pubblico, in modo che il settore privato paghi meno tasse e diventi più ricco.
Alla fine del gioco i due Paesi avranno la stessa ricchezza, l'aggregazione sarà la stessa, ma nel primo Paese il settore pubblico sarà meno povero e il settore privato meno ricco, mentre nell'altro Paese il settore pubblico sarà povero, ma il settore privato molto ricco.
Qual è la strategia più evidente per la sostenibilità? Non si sa. Non si può stabilire a priori quale sia la strategia migliore. Dipende dall'atteggiamento politico e se vogliamo dare più forza al settore privato ovvero al settore pubblico. Dipende da un atteggiamento politico, non è scritto nei dati che la strategia dell'equilibrio di bilancio sia sempre la migliore. So che è un tema un po' problematico.

PRESIDENTE. È problematico perché rende difficile andare avanti con gli altri lavori della Commissione in seguito. Se effettivamente lei solleva questi dubbi, dopo andremo un po' in crisi su ciò che dobbiamo approvare questo pomeriggio.

JEAN-PAUL FITOUSSI, Professore emerito all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi e professore presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma. La misura della sostenibilità è considerata un elemento molto importante nei sistemi di misurazione. La misura della sostenibilità è molto più complessa di quanto non appaia. Un sistema è sostenibile se fornisce alla generazione che segue un capitale almeno uguale a quello che ha avuto la precedente. Si pensa che, se la generazione futura ha lo stesso capitale di quella attuale, possa avere almeno lo stesso reddito.
È questo il ragionamento sulla sostenibilità, che è contenuto nel mio esempio. Nel mio esempio la sostenibilità è la stessa, perché il capitale che avranno le generazioni future sarà lo stesso, ma la sua struttura sarà diversa. Forse ci sarà un capitale negativo dello Stato, ma un capitale molto positivo del settore privato.
Quando effettuiamo questi lavori in un modo globale, e l'abbiamo fatto per diversi Paesi - non si può fare per la Germania, perché nella contabilità nazionale tedesca non c'è un conto capitale per il settore privato. Chiederete voi ai tedeschi perché non hanno una contabilità nazionale del patrimonio -, vediamo che tra l'Italia e la Grecia c'è una grande differenza. Quando proviamo a misurare la sostenibilità in modo complessivo, la grande differenza che emerge è che il settore privato in Grecia è molto povero. Si può, dunque, sostenere che esiste un problema di sostenibilità in Grecia, non guardando solamente la cifra del debito pubblico, ma anche la cifra complessiva del patrimonio privato e pubblico.
In Italia tutto ciò non avviene. Se calcoliamo l'aggregato del patrimonio pubblico e privato in Italia, arriviamo a una cifra di quattro volte il PIL. Ciò significa che le generazioni future godranno di un capitale almeno pari a quello goduto dalle passate generazioni. La situazione italiana è molto sostenibile. È normale, la sostenibilità è una questione di lungo termine.
Il problema è che, quando noi consideriamo solo la cifra del debito pubblico, possiamo porre in atto alcune politiche che ottengono il risultato contrario di quello che auspicheremmo.
Per esempio, se per abbassare il debito pubblico affermiamo che è meglio rendere il settore privato più povero, e se ciò comporta che l'economia entri in recessione, forse non si potrà abbassare il debito pubblico, perché, anche se il disavanzo


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strutturale diminuisce, il disavanzo congiunturale aumenta e, dunque, la cifra globale del disavanzo può non diminuire, e il debito continuerà ad aumentare.
Nel nostro lavoro abbiamo scelto tre vie diverse. La prima è fare un po' di pulizia nella contabilità nazionale, la seconda provare a misurare il benessere, la terza provare a misurare la sostenibilità.
Fare un po' di pulizia nella contabilità nazionale significa misurare meglio ciò che già stiamo misurando. Per esempio, qual è il sistema sanitario migliore del mondo? Si affermava in un dato momento, ma non so se sia ancora vero, che il primo era il francese e il secondo quello italiano. Supponiamo che non sia cambiato nulla.
Se misuriamo il contributo del sistema sanitario al PIL, vediamo che è molto più alto in America che in Italia e in Francia, perché misuriamo il sistema sanitario dal punto di vista delle spese, mentre dovremmo misurarlo dal punto di vista della tutela della salute, non delle spese per la salute.
L'aspetto ovvio è che la tutela della salute è molto bassa in America e molto più alta in Italia. Esiste, dunque, già un elemento che fa aumentare il PIL americano in modo artificiale. Le spese sanitarie in America sono il 16 per cento del PIL, mentre credo che in Italia siano l'8 per cento. Già questo spiegherebbe una differenza di 8 punti di PIL.
Ciò che è vero per il sistema sanitario è vero anche per il sistema dell'educazione. Come misuriamo adesso l'educazione, il contributo dell'educazione al PIL? Lo misuriamo dalle spese per l'educazione, non dall'efficacia del sistema educativo. Bisogna progettare un sistema che consenta di misurare non le spese, ma l'efficacia dell'educazione impartita. Abbiamo già alcuni elementi che consentono di misurare la qualità dell'educazione.
Si pone un problema generale che dovrebbe essere affrontato ed è quello della misurazione della produzione pubblica. Non sappiamo veramente che criteri applicare. Applichiamo due criteri che sottovalutano entrambi la produzione pubblica. Il primo consiste nel misurare la produzione in base alla spesa e il secondo nel non prevedere un aumento di produttività nel settore pubblico.
Cito un esempio che è stato molto discusso in America, quello del sistema pensionistico. Esiste un sistema pubblico per una parte delle pensioni e il problema è sapere se occorre privatizzare o no tale sistema.
Che succederebbe se questo sistema fosse privatizzato? In primo luogo, la produzione di questo sistema aumenterebbe per il solo fatto che le imprese private realizzano utili, ma c'è anche una seconda ragione, ossia lo sviluppo della burocrazia. In un sistema di assicurazione privato ogni ditta deve valutare il rischio e necessita di personale per valutarlo. In un sistema totalmente mutualizzato non c'è bisogno di valutare il rischio e, dunque, si dimostra che un sistema privato costa molto di più che un sistema pubblico, senza cambiare affatto la situazione della gente, né il suo benessere, ma facendo crescere il PIL. Bisogna tenere conto anche di questo aspetto.
Bisogna tenere conto del fatto che ciò che ha caratterizzato l'ultimo quarto di secolo è un aumento generalizzato e universale della disuguaglianza, il che ha un effetto molto importante non solo sul fatto che noi non capiamo più la società com'è, ma anche sul fatto che le politiche sono sbagliate. Se io affermo che la crescita è stata del 5 per cento quest'anno, cifre enormi per l'Europa, ma aggiungo che di questo 5 per cento di crescita ha beneficiato l'1 per cento della popolazione più ricca, mentre il 99 per cento della popolazione non ha visto la crescita, si pone un problema di dialogo tra i Governi e la popolazione. Quando un Governo sostiene di essere riuscito a far crescere il proprio Paese e il 99 per cento della gente non ha beneficiato della crescita, allora la gente comincia a sostenere che tale Governo mente e a non votarlo più.
Porto l'esempio perché è ciò che è successo in Francia. Il Governo di maggior successo in termini di crescita è stato il Governo Jospin tra il 1997 e il 2002, ma


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Jospin è arrivato dietro Le Pen nelle elezioni presidenziali del 2002, perché sosteneva sempre che il suo bilancio era ottimo e che era riuscito a far tornare a crescere il PIL francese, ma la gente non se n'è accorta.
Bisogna avere un indicatore di questo aspetto, ossia del grado di disuguaglianza. Bisogna avere un indicatore per sapere a chi giova la crescita. Ce l'abbiamo, non è un problema: è la differenza tra il reddito medio e il reddito mediano. Se questa differenza aumenta, significa che il grado di disuguaglianza aumenta.
Per esempio, il reddito mediano è quello per cui il 50 per cento della gente guadagna di meno e il 50 per cento di più. Il reddito medio è la media di tutti i redditi. Il reddito medio può aumentare se l'uno per mille della popolazione vede il suo reddito aumentare di mille volte quello che era prima, ma ciò non cambierà il reddito mediano. Più il divario tra il reddito medio e il reddito mediano diventa forte, più la conclusione è che il grado di disuguaglianza aumenta e, dunque, che la maggior parte della popolazione non beneficia della crescita. Ciò significa che i Governi devono adottare una politica diversa, perché in una democrazia non si può accettare questa situazione.
Possiamo, quindi, modificare il PIL tenendo conto di questi aspetti, in modo che il PIL, o meglio, il reddito nazionale netto diventi un miglior indicatore di quello che la gente vive effettivamente. È possibile farlo nel quadro che abbiamo oggi. So che Enrico Giovannini sta compiendo sforzi per farlo, come sta accadendo anche in Francia e anche presso il Bureau of Economic Analysis in America.
È molto importante. Una buona politica non può fondarsi sulle misure sbagliate. Questo sarebbe il segreto per fare una cattiva politica, fondarsi sulle misure sbagliate.
Per migliorare il benessere prima di tutto non proponiamo di sacrificare la contabilità nazionale. La misurazione dei conti nazionali deve essere migliorata, ma resta importante. Resta importante perché sappiamo che esiste una correlazione forte tra il PIL e l'occupazione. Il PIL in un dato modo può essere un indicatore avanzato di ciò che conta per la popolazione, ossia l'occupazione, quando la crescita del PIL non è troppo distorta dalle disuguaglianze.
Il secondo tipo di indicatore che cerchiamo è rappresentato dagli indicatori di benessere. Sarebbe meglio parlare di qualità della vita, perché il termine «benessere» ha un elemento soggettivo, ma parliamo comunque di un indicatore del benessere.
Noi siamo stati più interessati dal fattore oggettivo del benessere che da quello soggettivo del benessere. I fattori oggettivi del benessere sono ovvii: l'educazione, la salute e l'occupazione decente. Si è visto che la disoccupazione ha un impatto negativo molto più alto della perdita di reddito dovuta alla disoccupazione stessa. La disoccupazione crea patologie e irreversibilità, è un modo di distruggere il capitale umano.
Stiamo attenti: quando ho affermato che la sostenibilità implica che noi diamo alle generazioni future un capitale almeno uguale a quello di cui abbiamo goduto noi, intendevo il capitale in senso lato. Esistono, infatti, il capitale economico, il capitale umano e il capitale naturale. Poiché non misuriamo il capitale umano, non contiamo la distruzione di capitale umano, se una politica ha per effetto non solo la crescita del PIL, ma anche la distruzione del capitale umano nel sistema attuale, questa politica sarà scelta.
Non lo affermo per caso: guardiamo un po' alla Spagna. La Spagna è una macchina per distruggere il capitale umano. Il tasso di disoccupazione è del 24 per cento e quello della disoccupazione giovanile è di oltre il 50 per cento. È una distruzione di massa del capitale umano.
La Spagna ha potuto diminuire il suo disavanzo, ma a che costo è aumentato il suo capitale netto? Il capitale netto della Spagna è aumentato perché il debito pubblico si è abbassato, ma è diminuito in modo enorme perché c'è stata una distruzione di massa del capitale umano.


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Ciò significa che noi, dal momento che non sappiamo come calcolare questo capitale umano, non sappiamo quali sono le buone politiche.
È questa la terza direzione della sostenibilità. La sostenibilità è anche una questione complessa, perché bisogna saper calcolare il capitale umano. Ci sono alcuni lavori che sono stati condotti da anni per avvicinarsi a un calcolo del capitale umano, o almeno a un'approssimazione della misura del capitale umano. Il PIL è già un'approssimazione della misura dell'attività economica. Perché non vogliamo studiare un'approssimazione della misura del capitale umano e avere questo indicatore per sapere quello che stiamo facendo?
La terza componente del capitale è il capitale naturale. Come si misura la distruzione del capitale naturale, come è successo in Giappone? È un valore enorme, ma non abbiamo un parametro per misurarlo. Possiamo arrivarci, però, possiamo inventare un sistema di shadow price, di prezzi che valutano i diversi componenti del capitale naturale, in modo da non avere l'illusione di diventare più ricchi nel momento in cui, invece, diventiamo più poveri.
È questa la grande lezione della crisi finanziaria. La grande lezione della crisi finanziaria è stata che la crescita precedente la crisi, tra il 2003 e il 2007, non era sostenibile, in quanto tale crescita era alimentata dal consumo del nostro capitale. Non ce ne siamo accorti perché il nostro sistema di misurazione non è buono. Si è verificato un aumento del debito di tutti; questo è aumentato, ma, poiché allo stesso tempo anche i prezzi degli asset sono aumentati, il bilancio è sembrato in equilibrio. Abbiamo avuto un aumento del debito, ma, allo stesso tempo, anche un aumento del valore degli asset. Tale aumento, però, era fittizio e, quando la «bolla» è esplosa, i prezzi degli asset sono tornati sulla terra.
Il fattore sicuro era il debito. Il debito non si è abbassato. Dunque, quando credevamo di essere ricchi, in realtà eravamo poveri, perché avevamo accumulato un debito troppo alto rispetto al patrimonio lordo che avevamo e questo difetto di sostenibilità ha condotto alla crisi.
La parte sulla sostenibilità del sistema di misurazione è essenziale. Se non sappiamo misurare la sostenibilità e il capitale, potremo vivere sul capitale, ma crederemo di vivere sul reddito, il che comporterà che avremo crisi su crisi. Grazie.

PRESIDENTE. Poiché mi risulta che il professore ha impegni accademici e ha una disponibilità di tempo limitata, chiedo, quindi, a coloro che intendano intervenire di contenere la durata dei loro interventi.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LUDOVICO VICO. Grazie, presidente. Professore, vorrei rivolgerle una domanda. Fino ad alcuni decenni fa l'evoluzione del capitalismo faceva emergere due fenomeni, e spero che lei condivida questa mia analisi: il primo era il rapporto tra la proprietà e il controllo della grande impresa, l'altro l'internazionalizzazione dei mercati finanziari.
In questi ultimi vent'anni circa, la sovrastruttura finanziaria, o meglio l'evoluzione della sovrastruttura finanziaria ha modificato il valore originario delle attività patrimoniali - la terra, la casa, il capitale produttivo - facendolo identificare con titoli rappresentativi di tali attività. Lei ha citato per ultimo la «bolla». La domanda è: Golia in questo caso chi è, se non il mercato finanziario?

PIER PAOLO BARETTA. Al di là degli studi fatti in merito alla misurazione della performance dell'economia e del benessere, anche da parte di determinate commissioni, vi sono nel mondo Paesi che hanno introdotto nella loro legislazione l'utilizzo di nuovi parametri che vadano oltre il PIL o che stanno valutando queste questioni in maniera concreta?

RENATO CAMBURSANO. Grazie, professore. La domanda riguarda la misurazione


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della democrazia da parte di Robert Barro. Sono molto interessato in merito, ma guardando non tanto il Sud America di alcuni anni fa, quanto l'Europa di oggi. Si può, pur forzando il concetto, sostenere che anche oggi la democrazia è ridotta da coloro che hanno le leve delle decisioni in quel contesto rispetto alla libertà dei popoli e addirittura anche alla libertà dei Parlamenti?
In altre parole, ciò che sta avvenendo in Europa, con alcuni riflessi nelle recentissime elezioni in Francia, secondo lei, determina una riduzione di questa libertà?

LINO DUILIO. La sua introduzione mi ha fatto venire in mente un bellissimo libretto, che lei conoscerà, sulla favola delle api di Bernard de Mandeville, laddove si afferma, in una battuta, che predicare la virtù significa doversi rassegnare a mangiare le ghiande, perché determina la povertà.
Pongo una domanda teorica. Questo sistema capitalistico che sembra bruciare e distruggere le risorse e i fattori su cui si costruisce ha, secondo lei, un istinto di morte, per alcuni versi, o, invece, si tratta di una distruzione creatrice che è un suo dato costitutivo, con cui noi dobbiamo fare i conti? Se così fosse, dove poniamo la dimensione morale, cioè la differenza tra il bene e il giusto? Non si può stabilire ciò che è giusto, se non sappiamo ciò che è bene.
Passo alla seconda e ultima domanda, telegrafica. Mi risulta che un economista o un filosofo - non so se le ho già posto la domanda in occasione della sua precedente audizione - che, quando venne istituita la cattedra di economia politica all'Oriel College, manifestò molte perplessità perché sostenne che l'economia si sarebbe mangiata tutto il resto, la politica e la cultura, cioè avrebbe imposto i suoi canoni di razionalità.
Sembra che stia accadendo esattamente questo, perché noi stiamo inseguendo fondamentalmente una logica che è tutta scritta dagli economisti, i quali, però, a differenza che nel passato, forse sono un po' meno filosofi e un po' meno moralisti. Secondo lei avevano ragione coloro che nutrivano perplessità sull'istituire questa cattedra? Grazie.

AMEDEO CICCANTI. Professore, vorrei porle una domanda, che anche nel nostro dibattito si è posta, sul rapporto tra mercato e politica. Secondo lei, la dimensione internazionale del mercato è la sua forza rispetto a una dimensione della politica troppo nazionalistica? Noi abbiamo visto che recentemente lo spread è cresciuto e molti ne attribuiscono la colpa al primato di Hollande in Francia, che ha una politica più nazionalistica rispetto all'Europa. Potrebbe rappresentare una minaccia il fatto di avere una valutazione eccessiva della sovranità nazionale rispetto a una sovranità sovranazionale e addirittura a una sovranità di livello mondiale per controllare meglio i mercati internazionali?

MAINO MARCHI. Mi chiedevo se nell'operazione di ridefinizione dei parametri del PIL - lei ha posto alcuni esempi significativi in merito alla sanità e al sistema educativo, che modificherebbero in modo sostanziale i parametri - non sia possibile, a quel livello, incorporare anche gli elementi di sostenibilità.

GIORGIO LA MALFA. Per la verità volevo chiedere al professor Fitoussi - non voglio chiedergli supposizioni sull'esito del secondo turno - se un eventuale successo del candidato Hollande, seguito da una richiesta di modificare il Fiscal Compact, ossia la visione di politica economica dell'Europa, nella sua valutazione, abbia la possibilità di determinare un cambiamento da parte della Germania o se, invece, dobbiamo prevedere un aggravarsi dello scontro tra i due partiti, quello che noi rappresentiamo e quello, per intenderci, di Barro.

PRESIDENTE. Do la parola al professor Fitoussi per la replica.

JEAN-PAUL FITOUSSI, Professore emerito all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi e professore presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma.


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Comincio dall'evoluzione del capitalismo. È una questione importantissima. Quello che sappiamo è che il capitalismo va a rotoli, se non è salvato dagli Stati. Questo è ciò che è successo negli anni Trenta e quello che è successo con la crisi finanziaria. Sono gli Stati che hanno salvato il capitalismo, altrimenti oggi saremmo in una situazione da incubo.
La finanziarizzazione dell'economia ha conferito alla liquidità un potere talmente grande che non consente più di distinguere i fattori reali su cui si basa la ricchezza. Non hanno più importanza.
Per citare una cifra, i profitti del settore finanziario negli Stati Uniti sono stati pari nel 2007 al 40 per cento dei profitti di tutta l'economia. Ciò significa che gli operatori del settore finanziario hanno vissuto come parassiti della produzione reale.
Nel rapporto scritto con Stiglitz e Sen noi ci chiediamo apertamente se dobbiamo contabilizzare la produzione di questo settore come produzione finale o come produzione intermedia. La nostra risposta è che va contabilizzata come produzione intermedia e che non vale per sé. Vale solamente come un mezzo per rendere il sistema reale più efficace. L'abbiamo scritto e ci tengo a ribadirlo.
Il problema della finanziarizzazione dell'economia è emerso con una cattiva decisione universale, quella della liberalizzazione dei mercati finanziari. Non eravamo costretti ad attuarla, è stato un atteggiamento politico - le misure contano molto - dovuto al fatto che ci sono stati tanti studi che hanno dimostrato che la liberalizzazione del settore finanziario fa aumentare la crescita del PIL.
Perché si è riusciti a dimostrare ciò? Perché il crollo dei mercati finanziari e del PIL non era ancora accaduto, ma, se consideriamo un arco temporale abbastanza lungo, si vede che la liberalizzazione dei mercati finanziari ha avuto un effetto negativo sull'andamento del PIL. Non so se mi sono spiegato.
Non abbiamo un'applicazione legislativa in questo senso, ma so che tutti sono contenti del rapporto scritto con Sen e Stiglitz e si complimentano con noi. Anche al G20 e al vertice europeo se n'è parlato, ma la prima iniziativa che è stata assunta è stata la seguente: ci è stato proposto di rendere permanente questo nostro lavoro, creando una commissione permanente finanziata con le risorse derivanti dalla riduzione del budget degli istituti nazionali di statistica, mentre una delle raccomandazioni del rapporto era di aumentare il budget degli istituti nazionali di statistica, perché hanno molto da fare. Io ho rifiutato la proposta.

PRESIDENTE. Se vuole, le consegno la relazione dell'ISTAT che ci è stata illustrata ieri sera.

JEAN-PAUL FITOUSSI, Professore emerito all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi e professore presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma. Poiché non l'ho voluto, non si è fatto, ma la Commissione sarebbe costata poco. Non era una cifra folle; si trattava di 2 milioni all'anno per tutti i Paesi dell'OCSE. Politicamente, però, il momento non era giusto. Come si giustifica ciò?
Quanto al tema «Europa e democrazia», io ho scritto un libro, che si chiama Il dittatore benevolo, per spiegare come funziona l'euro. L'euro funziona su un deficit di democrazia. È la verità. Siamo nella situazione in cui possiamo votare alle elezioni regionali, ma non abbiamo il diritto di voto alle elezioni nazionali. È questa la situazione.
Esiste, dunque, un deficit di democrazia molto grave, che si può risolvere in un solo modo. Non ho paura delle parole. Si tratta del federalismo. Non c'è altro sistema. Se vogliamo una democrazia a livello europeo, bisogna avere un federalismo europeo. Altrimenti a che gioco giochiamo? Giochiamo ad avere governatori di provincia che non hanno più gli strumenti della sovranità. Che strumenti hanno i nostri Governi? Non hanno la moneta, non hanno il cambio, non hanno


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più il budget. Infatti, in forza di disposizioni di livello costituzionale non avranno più il controllo sul budget. Che possono fare? Sono impotenti, sono governatori di provincia.

PRESIDENTE. Si prendono solo le colpe, probabilmente.

JEAN-PAUL FITOUSSI, Professore emerito all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi e professore presso l'Università LUISS Guido Carli di Roma. Si prendono le colpe, ma la verità è che non è colpa loro. Anzi, è colpa loro, perché accettano questa realtà. Bisogna riconoscere che non abbiamo più la sostanza del potere, ma solo gli attributi e non fare più finta. Attuiamo il federalismo.
Il sistema capitalistico distrugge il fattore di produzione? Questa è una domanda molto importante. Bisogna sapere che noi pensiamo al sistema capitalistico come se fosse un sistema indipendente dalla politica, ma, quando fu inventato il sistema capitalistico, fu inventato in una regola di diritto, nell'ambito di un regime politico. Lo Stato e il mercato sono già stati considerati insieme quando fu inventato il capitalismo.
Il capitalismo puro è una costruzione intellettuale di coloro che non vedono il mondo. Pensiamo alla mondializzazione come se il mercato mondiale fosse libero, ma, quando io mi reco da un Paese all'altro, non c'è mai un tunnel per passare da un Paese all'altro, dove si troverebbe il mercato mondiale. Nel mondo vedo che gli Stati nazionali vivono e continuano a vivere e che tramite gli Stati nazionali ci sono «iperpoteri», superpoteri, poteri e piccoli poteri.
Mi chiedo perché gli Stati nazionali siano sopravvissuti. La regione è perché hanno la funzione essenziale di proteggere la loro popolazione. È quella la funzione essenziale di uno Stato nazionale.
Quando compio il paragone tra ciò che ho appena affermato e la teoria del mercato, noto una stonatura, perché il potere e la protezione non vanno insieme con il mercato libero, ma sono ostacoli al mercato libero. Gli scambi delle merci hanno un profilo politico. Quando tutti i Governi vanno con i loro imprenditori a visitare Putin o la Cina, che fanno? Proviamo a immettere la diplomazia nello scambio delle merci.
Io credo che senza lo Stato il capitalismo non possa sopravvivere. Questo fatto per me è sicuro. Il capitalismo è stato salvato da Roosevelt col New Deal e dall'Europa, che ha veramente inventato il sistema di protezione sociale. Senza tutto questo il capitalismo non esisterebbe più. Non so che cosa avverrebbe, forse ci sarebbe un regime alla cinese.
Sembra che i mercati abbiano reagito male al primo turno dell'elezione francese, ma potrebbe dirmi, onorevole Ciccanti, perché sono crollati prima delle elezioni, la settimana scorsa? La ragione è stata la Spagna e domani sarà l'Irlanda e dopodomani sarà qualsiasi cosa accada, anche un temporale. I mercati cercano le occasioni per fare lo yo-yo, perché in questo modo si guadagnano molti soldi, soprattutto in un ambito dove il problema non è stato risolto.
Il problema non è stato risolto perché abbiamo un problema europeo. Mi spiace affermarlo, ma il trattato che è stato firmato il 1o marzo, il Fiscal Compact, non ha nulla a che vedere con il problema che abbiamo e non lo risolve.
Abbiamo un problema e non abbiamo la soluzione. Che fanno, dunque, i mercati? Ballano, sono instabili perché è il solo modo per essi di guadagnare soldi, almeno per alcuni operatori sui mercati. Io non credo che l'elezione francese abbia sortito questo effetto, ma, essendo la notizia del giorno, i mercati se la sono presa con quella.
Perché non introduciamo nella misurazione del PIL anche la misurazione della sostenibilità? Sono due questioni diverse e bisogna considerarle entrambe, una buona misura del PIL e una misura della sostenibilità.
Porto un esempio. Quando io sono alla guida della mia macchina, ho davanti a me diversi quadranti sul cruscotto, quello della benzina e quello della velocità. Supponiamo


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che io metta insieme il quadrante della benzina e quello della velocità. Che informazioni ne trarrò? Ho bisogno di diverse misure. Ho bisogno della misura dell'attività di mercato, ossia della contabilità nazionale, ho bisogno di una misura del benessere, ho bisogno di una misura della sostenibilità. Voglio vedere i tre quadranti davanti ai miei occhi.
Quanto a Hollande e al fatto se cambierà l'Europa e farà cambiare idea alla Merkel, brutalmente, a mio avviso, non è la Merkel a essere importante. L'importante è che gli altri Governi non sono pervenuti a un accordo. Il mio consiglio a Hollande è di non incontrare la Merkel subito, ma di incontrare prima i leader degli altri Paesi della zona euro e creare un gruppo di pressione, per poi affrontare la Merkel.
A queste condizioni la Merkel sarà impressionata, ma, se Hollande si presenta davanti alla Merkel da solo, la sua sorte è segnata, ed è quella toccata a Jospin. Prima delle elezioni Jospin aveva sostenuto che il Patto di stabilità era una stupidaggine e che non lo avrebbe mai firmato. È stato nominato primo ministro e una settimana dopo l'ha firmato. Se avesse compiuto il giro delle capitali europee per provare a trovare una coesione con gli altri Paesi membri dell'UE, la Germania avrebbe accettato la loro posizione. Se non lo fa ora, che esca dalla zona euro.

PRESIDENTE. Grazie, professore, per tutti i dubbi che ci ha fatto venire.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,15.

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