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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
4.
Giovedì 4 febbraio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FINANZA LOCALE

Audizione di rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 5 10 11 12 13 15 21 22 26
Baretta Pier Paolo (PD) ... 13
Bitonci Massimo (LNP) ... 13
Calvisi Giulio (PD) ... 10
Causi Marco (PD) ... 10 11
Chiamparino Sergio, Presidente dell'ANCI ... 2 12 19 23
De Micheli Paola (PD) ... 18 19
Duilio Lino (PD) ... 19
Galli Dario, Presidente della provincia di Varese ... 5 12 21 22
Leo Maurizio, Assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma ... 4 12 24
Marchi Maino (PD) ... 17
Nannicini Rolando (PD) ... 15
Rosati Antonio, Assessore alle politiche finanziarie e di bilancio della provincia di Roma ... 8 25
Rubinato Simonetta (PD) ... 14

ALLEGATI:
Allegato 1
: Documentazione depositata dai rappresentanti dell'ANCI ... 27
Allegato 2:Nota depositata dai rappresentanti dell'UPI redatta in occasione dell'audizione presso la V Commissione ... 45
Allegato 3: Nota del dicembre 2009 depositata dai rappresentanti dell'UPI ... 53
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

[Avanti]
COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 4 febbraio 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 14,30.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla finanza locale, l'audizione di rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI.
Sono presenti, in rappresentanza dell'ANCI, il presidente, Sergio Chiamparino; i due vicepresidenti, Osvaldo Napoli e Roberto Reggi, sindaci rispettivamente di Valgioie e di Piacenza; Alessandro Cosimi, sindaco di Livorno; Maurizio Leo, assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma; Angelo Rughetti, segretario generale, e i funzionari Silvia Scozzese, Pasquina Petrelli e Valerio Matteo. In rappresentanza dell'UPI sono presenti Dario Galli, presidente della provincia di Varese e responsabile per il federalismo fiscale e la finanza provinciale dell'UPI; Antonio Rosati, assessore alle politiche finanziarie e di bilancio della provincia di Roma e coordinatore degli assessori provinciali al bilancio; Piero Antonelli, direttore generale, e i funzionari Luisa Gottardi e Barbara Perluigi.
Do la parola al presidente Chiamparino e ai rappresentanti dell'ANCI.

SERGIO CHIAMPARINO. Presidente dell'ANCI. Ringrazio il presidente e la Commissione per questa opportunità che, tra l'altro, si colloca in una fase in cui si stanno chiudendo i bilanci comunali per il 2010, è iniziato l'esame da parte della Commissione bilancio del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 2 del 2010, che riguarda gli enti locali, e abbiamo sufficiente tempo per poter ragionare anche su questioni non solo di stretta attualità.
Vorrei che intervenissero anche Maurizio Leo e i vicepresidenti, se lo riterranno opportuno. Mi soffermerei sostanzialmente su due aspetti. Il primo è quello che noi riteniamo essere il nodo strutturale, che ha a che vedere con il patto di stabilità e con i livelli del saldo di finanza pubblica a cui sono chiamati a concorrere i comuni. Il secondo, riguarda una serie di questioni che sono in larga parte frutto di problemi irrisolti che, totalmente o parzialmente, ci trasciniamo dietro da tempo e che vorremmo fossero definite, soprattutto in relazione alle misure sul federalismo fiscale che ci auguriamo vedano la luce più rapidamente possibile.
Abbiamo portato due documenti, anche con i colleghi dell'UPI, che vi consentiranno di approfondire tutti i dati e che chiedo di depositare. Io cercherò di stare nei limiti di tempo entro cui è possibile mantenere un minimo di attenzione ad una comunicazione orale.
Cito due dati rapidissimi: nel 2008 (fonte ISTAT), di fronte ad un peggioramento del deficit della pubblica amministrazione


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di quasi 20 miliardi di euro rispetto al 2007, il deficit dei comuni si è ridotto, rispetto al 2007, di 1,2 miliardi di euro. C'è stato, quindi, un andamento opposto: di là c'è un peggioramento, di qua c'è un miglioramento di più di un miliardo di euro.
Per il 2009, dalle stime che abbiamo fatto emerge che, a fronte ad un ulteriore deterioramento del saldo delle pubbliche amministrazioni, di 35 miliardi di euro, i comuni prevedono un miglioramento di 300 milioni di euro (sto parlando di stime). Pertanto, anche per il 2009 registriamo un andamento positivo per i comuni.
Citando questi dati, sostanzialmente, vorrei porre una questione politica molto importante: se dovessimo continuare a rispettare i livelli del patto di stabilità così come sono definiti per gli anni 2011-2012, nel 2011 sostanzialmente quasi tutti i comuni italiani sottoposti al patto di stabilità si troverebbero in avanzo di amministrazione e senza la possibilità di utilizzarlo. La conclusione ovvia è che ci troveremmo delle risorse rivenienti dai vincoli posti dal patto di stabilità ai comuni e utilizzate da altri, nell'ambito della pubblica amministrazione.
Questa è una fotografia forse un po' scarna, certamente essenziale, che mi pare colga il primo dato. Ciò che sottoponiamo all'attenzione della Commissione e, di conseguenza, del Parlamento, è la possibilità che si assesti il livello del patto di stabilità ai risultati conseguiti - quindi si rivedano i livelli dei saldi previsti per i due anni a venire - e, su questa base, si rivedano anche i meccanismi del patto di stabilità. Sull'argomento interverranno i rappresentanti delle province, ma credo che la loro posizione sia sostanzialmente analoga alla nostra. Questa proposta, ovviamente, implica una rivisitazione dei saldi per gli altri livelli della pubblica amministrazione.
Questa è la questione di fondo; naturalmente, sono apprezzate e apprezzabili anche misure intermedie. Ricordo che, l'anno scorso, col decreto-legge n. 78 del 2009, cosiddetto «decreto anti-crisi» fu adottata una misura che allargava di 1,4 miliardi di euro la possibilità di utilizzo dei residui passivi, con alcune condizioni, e l'abbiamo apprezzato. Tuttavia, visto che abbiamo l'occasione di svolgere una discussione che non è legata ad una specifica misura legislativa in corso di esame presso il Parlamento, almeno non direttamente, ho preferito partire dall'obiettivo strutturale, che è il tema attorno al quale vorremmo chiamare il Parlamento a discutere. Poi, naturalmente, sono da apprezzare anche altre misure che permettano di avvicinarci al raggiungimento degli obiettivi che ci poniamo, ma darei la priorità alla suddetta questione principale.
Il secondo punto che desidero sollevare riguarda le misure pregresse. Ebbene, quest'anno abbiamo avuto un ristoro del mancato gettito ICI sull'abitazione principale di 900 milioni di euro circa, rispetto ad una stima accertata e riconosciuta di 1,3 miliardi di euro circa concernente tale mancato gettito.
È positivo il fatto che, dal 2010, finalmente sia stata iscritta in bilancio la cifra giusta, non quella per nulla veritiera prevista in precedenti bilanci, anche se, come il presidente e voi sapete benissimo, l'ICI è dinamica, quindi ogni anno, in rapporto a quello che succede nei comuni, questa cifra sarebbe da rivedere. In ogni caso, questo è già un risultato. Resta il fatto che ci sono circa 350 milioni di euro a titolo di rimborso per il mancato gettito ICI prima casa che appartengono al pregresso, e più in particolare all'anno 2008, e che noi chiediamo che vengano distribuiti ai comuni.
Mi sono dimenticato di dire che, in rapporto al discorso che ho fatto prima sul patto di stabilità, ovvero sull'esigenza di bloccare il livello dei saldi e, quindi, rivedere anche il patto di stabilità, penso che da parte vostra dovreste fare una valutazione sul tema delle sanzioni ai comuni che hanno sforato il patto nel corso del 2009, nel senso che le due cose devono procedere il più possibile insieme.
Noi non chiederemmo mai una sanatoria sganciata da un ragionamento e da una riflessione sulle modalità di applicazione del patto di stabilità; tuttavia, se da


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questo si parte, credo sia ragionevole fare anche una riflessione su questo tema.
L'argomento ICI mi porta al discorso sull'autonomia fiscale dei comuni. Non c'è giornata in cui non organizziamo incontri, dibattiti o anche esperienze concrete in cui non verifichiamo il ruolo centrale dei comuni rispetto alle politiche che i cittadini domandano mentre, per converso, quasi paradossalmente, ci troviamo - sorvolo sulla questione istituzionale, che interesserà in altra sede - in una situazione in cui, dal punto di vista della finanza locale, siamo un Paese dove è innescato un processo di riforma federalista dello Stato e del sistema fiscale, ma continuiamo a essere un Paese in cui siamo ormai senza più una virgola di autonomia fiscale.
Mi spiego meglio: non soltanto non sono ancora venute alla luce le misure attuative della cosiddetta «legge Calderoli», ma anche sul precedente sistema delle addizionali vi è un blocco totale centrale che ci lascia praticamente nell'impossibilità assoluta di fare qualsiasi manovra, anche laddove ve ne potessero essere i margini.
Questo intendo sottolinearlo, perché - ripeto - vi è un tema di fondo, che chiama in causa i decreti attuativi della «legge Calderoli» - che auspichiamo vedano presto la luce e possano costituire materia di discussione - ma, anche in questo caso, non disprezziamo anche eventuali misure intermedie.
La situazione è questa. Noi sottolineiamo il fatto che ci troviamo, di fronte ad una crisi economica del Paese che è ancora lontana dal vedere una fase di ripresa, con una possibilità di immettere liquidità nel sistema economico «bloccato» dei comuni per finanziare opere che spesso sono addirittura già state realizzate e che non si riesce ad utilizzare, o per opere che potrebbero essere realizzate perché vi sono i progetti - torno al primo tema -, e con una seria difficoltà, perché continuano a esserci trasferimenti insufficienti e autonomia fiscale inesistente per far fronte alla quotidianità delle politiche sulle quali dobbiamo rendere conto.
Questo è ciò che sostanzialmente mi premeva richiamare alla vostra attenzione, lasciando poi agli interventi degli altri rappresentanti dell'ANCI - se vorranno farlo - e, soprattutto, al documento che vi ho consegnato, una più dettagliata esposizione delle problematiche, generali e specifiche, che qui ho solo voluto rapidamente richiamare.

MAURIZIO LEO, Assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma. Il presidente Chiamparino ha puntualmente illustrato le criticità che stanno affrontando gli enti locali, in particolare i comuni. Sul versante del patto di stabilità non aggiungo ulteriori considerazioni, perché il presidente ha già fatto un quadro puntuale. Mi soffermerei sul versante delle entrate.
Il decreto-legge n. 2 del 2010 che, attualmente, è all'esame del Parlamento può rappresentare un'occasione per sistemare una serie di questioni. Si ricordava, prima, la vicenda dell'ICI: il differenziale di 344 milioni di euro rispetto a quanto dovuto nel 2008 a titolo di mancato gettito ICI prima casa deve essere colmato perché, se non si procede al ristoro di tali somme, i conti degli enti locali saranno sicuramente in affanno.
Un altro aspetto correlato all'ICI è quello dei meccanismi di riclassamento. Come sapete, la legge finanziaria per il 2005 ha previsto la revisione del classamento per microzone. Questo comporterà anche degli aggravi, perché se prima, a seguito del riclassamento, era possibile preventivare delle ulteriori risorse ICI, in questo momento non è possibile mettere in cantiere queste somme. Penso che si debba riflettere anche su questo aspetto.
Un altro tema che vorrei affrontare, e che diventa molto pressante, è quello relativo alla definizione della tariffa di igiene ambientale (TIA) e della tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2009. Sappiamo che quella sentenza ha chiarito che la tariffa è un tributo a tutti gli effetti, quindi bisogna applicare tutte le regole proprie del diritto tributario. Questo


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tributo affluisce direttamente all'ente locale, ragione per cui si pongono tutta una serie di problemi delicati tra cui, innanzitutto, come deve essere affrontato il pregresso. Mi riferisco a una realtà come Roma, dove opera una società, una ex municipalizzata, che si occupa della gestione dei rifiuti.
Ebbene, nel momento in cui la predetta società dovrà eventualmente effettuare rimborsi, vengono in essere tutta una serie di problematiche che, peraltro, non riguardano soltanto Roma, ma anche tantissime altre realtà territoriali. Bisognerà disciplinare tale aspetto, per non vedere una sorta di «assalto alla diligenza», presso le aziende ex municipalizzate, per richiedere indietro tutta l'IVA che non è dovuta.
A questo punto, a mio avviso, visto che l'IVA è un tributo erariale che affluisce alle casse erariali, la strada percorribile sarebbe proprio quella di creare meccanismi di compensazione nell'ambito degli stessi tributi erariali. Bisognerebbe, quindi, sottrarre da questo meccanismo perverso i comuni e le aziende municipalizzate. Diversamente, non escludo l'insorgere di grossi aspetti problematici.
Per quanto concerne il pregresso, sino al 31 dicembre 2009, bisognerà vedere come rimborsare questa IVA, e mi riferisco in particolare agli utenti finali perché, laddove si tratta di imprenditori commerciali, l'IVA da loro pagata ha formato oggetto di detrazione dell'IVA sugli acquisti, quindi l'effetto è stato compensato. Invece, laddove non è stato possibile compensarlo - parlo del consumatore finale - mi chiedo chi rimborserà questa IVA. Non deve finire a carico dei comuni. La strada maestra è, a mio avviso, proprio quella di operare a livello di tributi erariali sotto forma di credito di imposta o quant'altro.
Per il futuro, in attesa che venga ridisciplinato l'intero meccanismo bisognerà chiarire che si tratta di tributo e, trattandosi di tributo, possono sorgere problemi tra l'azienda che gestisce lo smaltimento dei rifiuti e il comune, perché l'azienda che gestisce lo smaltimento dei rifiuti dovrà fare, al soggetto che fruisce del servizio, una mera bollettazione, non più una fattura con IVA.
Inoltre, si instaurerà un rapporto tra società che gestisce lo smaltimento rifiuti e il comune, perché la società dovrà fatturare al comune con l'IVA mentre il comune, essendo un soggetto che non può detrarre l'IVA sugli acquisti, resterà inciso dell'IVA. L'effetto è chiaro, ed è abbastanza perverso. Il comune deve poter stornare l'IVA di cui si carica in conseguenza dell'applicazione di questa sentenza della Corte costituzionale.
Peraltro, da questa sentenza emergono anche alcuni aspetti positivi correlati all'applicazione delle sanzioni tributarie. L'attuale meccanismo sanzionatorio per la TARSU non è di tipo tributario. Applicando i meccanismi propri dell'imposizione si applicano le regole del decreto legislativo n. 472 del 1997, quindi si può applicare una maggiorazione nelle tariffe.
Un altro tema di un certo interesse riguarda gli immobili riclassificati nel gruppo catastale D. Come sapete, ai fini dell'ICI questi immobili in precedenza venivano assunti sulla base dei dati risultanti dalla contabilità, quindi dei dati di bilancio. Nel momento in cui vi è attribuzione di rendita, c'è un differenziale tra i dati di bilancio e i dati derivanti dall'applicazione delle rendite. Anche queste differenze debbono essere colmate, perché i comuni non possono subire le conseguenze negative di questi aspetti.
Queste sono le principali problematiche che mi premeva evidenziare anche perché, nella predisposizione del bilancio 2010, soprattutto la vicenda della tariffa rifiuti (TaRi). deve trovare immediata soluzione, altrimenti non si sa proprio come predisporre il bilancio e come gestire questa partita.

PRESIDENTE. Passiamo ora agli interventi dei rappresentanti delle province.

DARIO GALLI, Presidente della provincia di Varese. Ringrazio e saluto il presidente Giorgetti e tutti i componenti della Commissione.


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Per restare sul tema e per non perdere tempo, riprendo le parole del presidente dell'ANCI, Sergio Chiamparino. Al di là di tutte le altre considerazioni, che se vorremo potremo fare, stando ai temi contingenti che stiamo affrontando in questi anni, soprattutto in merito al bilancio delle province, anche se con dettagli diversi la questione sostanzialmente resta la stessa.
Il primo problema è, per tutti, l'applicazione del patto di stabilità triennale, che induce i meccanismi perversi che sono stati ricordati: difficoltà a intraprendere investimenti anche in presenza di risorse disponibili e, soprattutto, impedimento al pagamento di fatture ai fornitori quando i lavori sono stati fatti, assolutamente in regola, con avanzamenti lavori o chiusura dei cantieri assolutamente regolari e, soprattutto, con disponibilità in cassa da parte delle province.
Questo accade perché il patto di stabilità ha un orizzonte triennale ma, come riferimento, prende a base il 2007, innescando anche qui un meccanismo perverso e, devo dire, nemmeno statisticamente corretto, perché non per tutte le province, così come non per tutti i comuni, l'anno che si prende in riferimento è un anno particolarmente significativo: può essere stato sia positivo per ragioni terze assolutamente indipendenti, sia negativo, se si è trattato di un anno in cui si è speso molto o poco, ci sono state grosse disponibilità, entrate straordinarie o quant'altro.
Pertanto, anche questo meccanismo dovrebbe, come minimo, essere rivisto, anche solo per introdurre un ragionamento statistico più equilibrato, più rispettoso e più giusto in ogni caso.
Il problema grosso, comunque, è quello della competenza mista, ovvero considerare insieme i valori degli impegni per la spesa corrente (la cassa), sommati ai valori dei pagamenti per la spesa in conto capitale (le risorse per gli investimenti), nel calcolo del patto, che crea l'impossibilità materiale di pagare i lavori regolarmente eseguiti pur avendo disponibilità liquida nelle casse della provincia o, in sostituzione, della tesoreria.
Nel 2009 era stato introdotto un piccolo meccanismo, come diceva prima il presidente Chiamparino, che comunque liberava almeno il 4 per cento dei residui passivi in conto capitale; non era un intervento enorme, però ha aiutato a sbloccare varie situazioni ed è comunque indiscutibilmente servito.
Per il 2010 non è momentaneamente previsto nulla del genere, mentre sarebbe auspicabile l'introduzione di un meccanismo equivalente portato magari al 10 per cento, il che darebbe anche un po' più di sostanza alla possibilità di intervento.
In merito alla questione dell'articolo 9 del «decreto anticrisi», credo entrerà meglio in dettaglio l'assessore Rosati. Questo tema è importante, in quanto è indicativo del modo in cui, configurandosi situazioni che sarebbero incomprensibili a Paesi terzi rispetto al nostro, in Italia si creano blocchi insormontabili alla realizzazione delle cose più elementari, come la possibilità di pagare i lavori portati a termine pur avendo disponibilità di liquidità in cassa.
Vorrei, inoltre, sottolineare un ulteriore problema che riguarda le entrate delle province. Come sapete, le province hanno una fiscalità propria, che è sostanzialmente legata in maniera quasi esclusiva al mondo dell'automobile e a poche altre cose. In questi anni, però, soprattutto negli ultimi due - i numeri sono eclatanti - è evidente che, da una parte, il mercato dell'auto ha attraversato una profonda crisi sulle vendite, dall'altra sono state introdotte alcune novità nelle abitudini degli automobilisti, ed entrambe le cose hanno peggiorato la situazione per le Province.
In particolare, per quanto riguarda l'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi (RC auto), nell'ultimo anno abbiamo registrato una riduzione del 12 per cento degli introiti - cifra assolutamente significativa - e un po' di più, il 13 per cento, per l'IPT, l'imposta provinciale di trascrizione.


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Questo aggrava ulteriormente il patto di stabilità perché, ragionando sui saldi, se peggiora uno dei due punti di partenza o di arrivo del calcolo del saldo ovviamente poi peggiora anche l'altro.
In più, si aggiungono ulteriori situazioni che comunque vanno valutate: ad esempio, ci sono nuove tecniche nel pagamento dell'RC auto; si sta diffondendo il pagamento mensile dell'assicurazione, il pagamento in via telematica, tutte cose che, oltre a ridurre il costo delle tariffe assicurative - cosa di per sé ovviamente positiva -, aumentano quell'«area grigia» che sfugge ad ogni controllo. Questa è una situazione che necessita di un ulteriore approfondimento. In maniera assolutamente inesatta, si parla di fiscalità locale; è vero che il 12,5 per cento dell'RC auto dovrebbe corrispondere - e probabilmente è così - al 12,5 per cento delle assicurazioni pagate sul territorio provinciale ma, in realtà, contrariamente a quanto si potrebbe pensare dopo questa banalissima affermazione, chi stipula un'assicurazione non fa un bonifico alla tesoreria della Provincia: noi riceviamo semplicemente una cifra totale da parte dell'ACI e che, passando attraverso le istituzioni statali, ci viene indicata come una quantità equivalente al 12,5 per cento delle tariffe.
Tuttavia, noi non abbiamo la possibilità di svolgere un minimo di controllo - non dico di contenzioso -, nemmeno per verificare la base imponibile e poter fare qualche verifica statistica.
Un diverso accordo con l'ACI e, comunque, con lo Stato nel suo complesso, attraverso le sue istituzioni, ci darebbe la possibilità di verificare queste tariffe che, in ogni caso, da ragionamenti sommari ma totalmente esterni al database reale, portano ad aree di dubbio di una certa consistenza. Per questo motivo, un'eventuale verifica statistica o un controllo puntuale potrebbero riservare qualche sorpresa.
Una nota: la tariffa IPT, su cui oltretutto vengono in parte finanziate le province, è una tariffa base ferma al 1998. Io sono l'ultimo a voler sollecitare l'incremento di tariffe di qualunque tipo; tuttavia, occorre tenere presente questo dato. Non chiedo di toccare questa tariffa in particolare ma, nel ragionamento complessivo, da qualche altra parte qualche aggiustamento su una tariffa ferma ormai da dodici anni dovrebbe essere apportato.
Per concludere: tralasciando tutti gli altri ragionamenti sulle province, su cui evidentemente ci sarebbero alcune considerazioni da fare, credo, tuttavia, che anche l'ente provincia potrebbe contribuire in maniera significativa allo sblocco dell'economia reale; ad esempio, potendo semplicemente adempiere ai pagamenti nei tempi dovuti, quindi immettendo nel mondo del lavoro una liquidità che è altrimenti ferma, che lo Stato userà certamente in qualche altro modo, magari anche solo per raggiungere risultati esclusivamente virtuali e rientrare in certi parametri, ma non certo intervenendo sull'economia reale.
Un'azienda che lavora per un ente pubblico, come il comune o la provincia, e che magari lavora anche per attività private, se riesce ad avere almeno la quota provinciale di quanto ad essa dovuto è sicuramente facilitata nell'andare avanti con la sua attività, potendo così continuare anche rispetto ai rapporti con soggetti privati.
Complessivamente, comunque, la liquidità dei tanti miliardi che, tra comuni e province, sono bloccati nelle varie tesorerie, aiuterebbe indiscutibilmente quella frangia di aziende più vicine alla crisi sostanziale e assoluta di liquidità ad andare avanti comunque per un po', ad affrontare in maniera più semplice questo periodo e a superare la parte più critica per arrivare, alla fine, a fare la differenza tra un'azienda che chiude per mancanza di liquidità e un'azienda che sopravvive e, magari, riprende a lavorare bene nel momento in cui la crisi, come tutti ci auguriamo, si sbloccherà e comincerà a vedersi la ripresa.
Mi permetto di fare un'ulteriore osservazione. Nella riforma federalista che, al momento, ha costituito la cornice e rappresenta un primo passo fondamentale, ma che dovrà poi sostanziarsi tramite i


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decreti attuativi e tutte le altre cose che dovranno essere fatte, uno dei princìpi di cui si dovrebbe tenere assolutamente conto nei confronti delle province, ma anche e soprattutto dei comuni, è che se non si introduce una percentuale significativa delle tassazioni locali come fonti di finanziamento delle attività dei comuni e delle province, oltre che non introdurre in maniera sostanziale la ratio di fondo della riforma federalista, ne vanifica soprattutto la sua efficacia con riferimento ad un puntuale controllo territoriale della potenziale evasione fiscale.
Finché, cioè, comuni e province sono solo sostituti di imposta o intestatari di bonifici che arrivano una volta ogni tanto da un istituto centrale, oltre a non avere a disposizione gli strumenti per farlo, come nel caso dell'RC auto, non hanno soprattutto l'interesse a fare il benché minimo controllo.
Per essere chiari, anche se banali, faccio un esempio: mi riferisco a fattispecie in cui privati o aziende sono in situazioni manifestamente incoerenti tra quanto dichiarato e lo stile di vita piuttosto che il potenziale aziendale. Se questo è un elemento di un database ministeriale, non sarà mai controllato da nessuno; se, invece, diventa un elemento importante del finanziamento di un'istituzione locale, stiamo tutti tranquilli che il sindaco, piuttosto che i funzionari della provincia, faranno le dovute verifiche.
Senza demonizzare la categoria, il solito dentista denuncia 12 mila euro l'anno di reddito e va a lavorare con la Porsche o la Mercedes. Queste sono banalità ma, alla fine, è tramite queste banalità che si portano a casa i risultati.
Ad esempio, le tassazioni maggiormente legate alla stanzialità e alla famiglia - quindi l'IRPEF, che è la tassa personale - dovrebbero avere una partecipazione significativa da parte dei comuni, mentre tasse, contributi e imposte legati magari ad attività di più ampio respiro, come le attività imprenditoriali, commerciali o comunque di tipo economico - come l'IVA - dovrebbero essere legate in maniera significativa al gettito provinciale.
A mio avviso, nella riforma federalista che si sta definendo nelle sue parti attuative si dovrebbe tenere conto di questo.
Concludo il mio intervento osservando che, comunque, le previsioni di riduzioni nel triennio, per le considerazioni che ho fatto prima, nelle loro modalità applicative appaiono, dal punto di vista matematico, difficilmente comprensibili. Si arriva a chiedere, ad esempio, nel 2011, a metà delle province italiane una riduzione del saldo fino al 125 per cento, e ad una decina di province del 150 per cento.
Si tratta di ridurre di due volte e mezzo il saldo in una situazione in cui, vi ricordo, che al complesso delle province è stato richiesto un miglioramento di 310 milioni di euro nel 2009, che è stato raggiunto, 555 milioni di euro nel 2010 e, nel 2011, quasi un miliardo di euro su 14 miliardi di euro che rappresentano il saldo complessivo delle province, come se lo Stato riducesse di 50 miliardi di euro il proprio saldo.
Per altro, nel 2007, rispetto agli obiettivi allora previsti dal Governo le province hanno registrato un ulteriore miglioramento per un ammontare di 610 milioni di euro, mentre nel 2008, rispetto alle imposizioni del Governo, vi è stato un ulteriore miglioramento di 280 milioni di euro.
In realtà, quindi, ci troviamo di fronte ad una istituzione che in maniera virtuosa sta già comunque portando avanti l'obiettivo di ridurre i propri costi, già per altro ridotti all'osso. Le cifre del triennio 2010-2012, con la riduzione richiesta che, in alcuni casi, raggiunge quasi il triplo del saldo, porterebbero oggettivamente le province semplicemente all'impossibilità materiale di operare.

ANTONIO ROSATI, Assessore alle politiche finanziarie e di bilancio della provincia di Roma. All'esaustiva illustrazione del presidente Galli vorrei aggiungere un punto davvero dirimente in questa fase storica. Non si è forse compreso bene - spero di essere chiaro - che, in questo quadro, voi sapete che nel luglio dello scorso anno, nel decreto-legge n. 78 del 2009, il cosiddetto «decreto anticrisi», chissà con quale fantasia è stata inserita


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una norma, l'articolo 9, - concernente l'accelerazione dei pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti dei creditori - che prevede l'adeguamento alle normative europee e l'obbligo da parte delle amministrazioni, in particolare gli enti locali, di pagare entro 30 giorni.
Vi faccio presente che ci troviamo di fronte al blocco totale, assoluto e generalizzato degli appalti in questo Paese, almeno per quanto riguarda una percentuale compresa fra il 75 e l'80 per cento degli enti locali (su 100 euro di investimenti pubblici in questo Paese, come sapete, una percentuale compresa fra il 75 e l'80 per cento è realizzata dagli enti locali).
Quanto all'articolo 9 - non so quale straordinaria mente l'abbia ideato -, vorrei farvi presente come funziona: questo articolo attribuisce ai dirigenti dei singoli dipartimenti dei comuni e delle province, una responsabilità; si menzionano vaghe «responsabilità amministrative», che in questo Paese significano «Corte dei conti». Quando si parla della Corte dei conti, come potete capire, i dirigenti della pubblica amministrazione, legittimamente, si preoccupano.
Cosa comporta tale articolo? Per tutti questi anni noi province e anche i comuni siamo andati avanti - chi più, chi meno virtuosamente e considerati i criteri stabiliti dal patto di stabilità che prevede delle competenze miste - in questo modo: o paghi entro 30 giorni e rispetti la norma ma sfori il patto di stabilità, oppure rispetti il patto di stabilità ma non paghi entro 30 giorni.
Con l'introduzione dell'articolo 9, il tutto si blocca.
Nella provincia di Roma, dove siamo un po' più virtuosi, paghiamo entro 60 giorni; altre province o altri comuni pagano entro 120 o entro 150 giorni. Come sapete, in questo Paese oramai si paga anche entro 120 o entro 180 giorni anche tra privati, ma almeno le ditte partecipano alle gare e scontano le fatture presso gli istituti di credito. In questo momento - è già in essere - in un momento in cui si asserisce che dovremmo uscire dalla crisi economica, la norma introdotta dall'articolo 9 stabilisce che i dirigenti non possono indire nemmeno le gare.
Attenzione, siamo al punto di svolta: questo significa che, in base all'articolo 9, le giunte comunali e provinciali, e i dirigenti dei singoli dipartimenti debbono saper programmare il pagamento, che dovrà avvenire entro 30 giorni - per rispettare il patto -, altrimenti non devono nemmeno passare al bando pubblico, quindi nemmeno alla programmazione della gara, il che significa - fate un po' il conto - fra i 20 e i 25 miliardi di euro di investimenti, tranne che per coloro che possono sforare il patto, che in Italia sono pochissimi comuni e, mi risulta, nessuna provincia, quindi siamo tutti tenuti a rispettare la norma. Qualcuno può sforare, noi no, quindi sono 20 miliardi di euro.
Ci si chiede in questo momento: possibile che non possiamo allentare il vincolo dell'articolo 9 almeno del 4 per cento? Qui ci servirebbe almeno un 10 per cento.
Una ratio, questa norma, ce l'aveva: fare in modo che i comuni e le province affrontassero con maggiore decisione ed efficienza i residui passivi. Giusto. Ma allora, una volta che li abbiamo recuperati, che facciamo? Li possiamo usare fuori dal patto? Oppure li possiamo usare allentando il vincolo dell'articolo 9? Se li recuperiamo, come è stato qui illustrato, in un recupero di efficienza che è doveroso, che ci facciamo? Non rappresentano nuovo debito: quello è già debito passato, vecchio, chiuso, non incide minimamente nell'ambito del patto di stabilità.
Vi ricordo che con queste risorse, per quanto riguarda le province, noi realizziamo prevalentemente l'edilizia scolastica superiore. Poi si dice che in questo Paese gli edifici scolastici hanno problemi seri, come è noto. Noi province, che effettuiamo eminentemente spese da Titolo II - quindi strade e scuole, e in particolare la delicatezza delle scuole non vi sfugge - e abbiamo ragion d'essere prevalentemente proprio per questo, che facciamo? Siamo fermi.
Presidente, spero di essere stato chiaro: non si fanno più le gare. Naturalmente, col


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deteriorarsi della congiuntura economica, cui le province e i comuni sono legati, ci crollano le entrate, va bene, questo vuol dire che dovremmo essere tutti più efficienti, rimboccarci le maniche, quindi razionalizzazione, efficientamento: quando la situazione è difficile, è difficile per tutti.
Noi, però, non possiamo fare il nostro dovere e il nostro mestiere, cioè le gare, gli investimenti, soprattutto per l'edilizia scolastica. Per le strade è già durissima, ma possiamo contare sulla manutenzione ordinaria, che rientra nel Titolo I come spesa; le scuole, invece, rientrano nel Titolo II, cioè negli investimenti straordinari. Se piove dal tetto, non si può fare manutenzione ordinaria, si deve fare la straordinaria.
Sappiate che siamo veramente preoccupati. Ad esempio, nella mia provincia, ma anche in tante altre, gli imprenditori stanno per far nascere un grido d'allarme, perché finalmente adesso si sta capendo che non si sconteranno più neanche le fatture, per il semplice motivo che non si fanno più le gare. Il che vuol dire che - insisto e concludo - su 100 euro di investimenti pubblici, una quota pari a 70 euro rappresentano investimenti realizzati dagli enti locali e questi 70 euro non ci sono più, e non so per quanto tempo, forse un anno o due. Ma ce lo possiamo permettere? Noi crediamo di no. Auspichiamo un vostro autorevole intervento per allentare e, se possibile, sopprimere questo articolo 9.

PRESIDENTE. Credo che l'assessore Rosati richiami il secondo punto del comma 1 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2009, secondo il quale, sostanzialmente, il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti, vale a dire il rispetto dei 30 giorni, sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio secondo le regole di finanza pubblica. Praticamente, si anticipa al momento del concepimento, invece che intervenire a cose fatte.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIO CALVISI. Vorrei una stima, una proiezione - perché non sono state citate nell'introduzione - sulle sanzioni per la violazione del patto di stabilità. Vorrei sapere se è un fenomeno diffuso, perché ho ricevuto segnalazioni da parte di molti sindaci e, al riguardo, ho anche presentato un'interrogazione.
Ho capito che voi chiedete la sospensione delle sanzioni, però vorrei avere un quadro della situazione. Molti sindaci mi hanno detto che avrebbero violato il patto di stabilità e sarebbero rimasti in attesa delle sanzioni.
La seconda domanda riguarda la TARSU. Molti sindaci stanno pensando ad una sanatoria, perché ci sono imprese in difficoltà, c'è un pregresso enorme, e cercano di approntare delle delibere di sanatoria del pregresso.
In relazione a questa sanatoria, che abbonerebbe parte del pregresso sulla TARSU, vorrei sapere che margini hanno i sindaci e che cosa possiamo fare noi.
Sotto questo punto di vista, la situazione sta diventando drammatica. In Sardegna ci sono almeno cinque o sei comuni che mi hanno chiesto un chiarimento al riguardo. Vorrei verificare che margini ci sono.

MARCO CAUSI. Vorrei esprimere una prima considerazione generale e poi porre due domande. A me dispiace molto, come credo a tutti voi, che non sia presente il Governo in questo momento. Questa è una audizione sulla finanza locale, quindi un'audizione su temi di fondo; tuttavia, i rappresentanti di comuni e province stanno ponendo a questo Parlamento delle questioni «di vita o di morte» a livello congiunturale, quindi immediato.
Domando, pertanto, al presidente se non sia il caso, su questi temi, di aggiornarci ad un momento non soltanto di audizione, come quello di oggi, ma anche di partecipazione da parte del Governo, per capire come risolvere alcune questioni.


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PRESIDENTE. Onorevole Causi, come lei sicuramente saprà, questa audizione rientra in un ciclo di audizioni nell'ambito di un'indagine conoscitiva. Questa Commissione, la settimana prossima, inizierà ad esaminare insieme al Governo il decreto-legge sulle autonomie locali, perciò l'audizione odierna è quanto mai opportuna.

MARCO CAUSI. Le riclassificazioni catastali non si fanno solo per microzone, ma si possono fare anche in modo puntuale. La norma del 2005 prevede due possibilità: le microzone, o il lavoro puntuale. Capisco che quest'ultimo sia molto più faticoso e complicato delle microzone, come sicuramente sa l'assessore Leo che ha ereditato, nella più grande città d'Italia, un lavoro massivo ma puntuale, non per microzone.
La questione della riclassificazione catastale è una questione di equità, non di gettito; a parità di gettito, sulla redistribuzione in modo equitativo fra centri storici e periferie mi sentirei di chiedere ai comuni, per quanto sia più faticoso, di andare avanti sulla strada della riclassificazione utilizzando il metodo puntuale.
Sulla questione TIA/TARSU a me dispiace molto che l'onorevole Leo non fosse ieri presente alla Commissione finanze, di cui è componente, perché abbiamo discusso un'interrogazione del Partito Democratico avente come primo firmatario l'onorevole Fluvi e che purtroppo - presidente, me lo lasci dire - ha avuto una risposta del Governo assolutamente insoddisfacente, direi quasi imbarazzante per la sua pochezza.
Abbiamo iniziato in Commissione finanze un lavoro che credo vada anche velocemente portato avanti, perché su questo ha ragione l'ANCI: esiste un problema legato alla chiusura dei bilanci 2009.
Più che il tema del pregresso, onorevole Calvisi, che comunque andrà affrontato, in questo momento bisogna affrontare il problema di come approntare le bollette per il 2010. Tutti i comuni e tutti i gestori non sanno bene come agire in relazione al 2010. Una chiarificazione su questo aspetto va fatta.
Non so se il decreto-legge sugli enti locali potrà essere la sede, ma confermo, come abbiamo fatto ieri in Commissione finanze, la disponibilità del mio partito a collaborare a ogni tipo di soluzione. È stato fatto un tentativo al Senato, che non è andato in porto per motivi formali, ma proviamo a vedere se alla Camera si può trovare qualche soluzione.
Abbiamo inoltre un tema più di fondo, su questo, da affrontare, perché la sentenza della Corte costituzionale affronta la questione solo in via incidentale, non diretta, quindi la ratio giuridica di tutti questi ricorsi è discutibile.
In questo momento, credo non sia il caso di solleticare demagogicamente la tendenza ai ricorsi, perché la Corte costituzionale si esprime in merito al fatto che la Commissione tributaria è competente in merito al contenzioso sulla TIA. Dunque, non interviene direttamente sulla TIA, ma sulla competenza della Commissione tributaria.
In qualche modo la Corte costituzionale suggerisce al Parlamento di rivedere la TIA perché, avendo natura di prestazione patrimoniale imposta, è un tributo e non una tassa. Abbiamo tutto lo spazio per farlo, ma badate che questa questione coinvolge anche la TARSU, perché il cittadino o l'impresa che paga la TARSU, paga anche l'IVA. Non la paga in modo esplicito, perché non c'è prestazione più IVA, ma quando un comune con la TARSU copre il 100 per cento dei costi, quel 100 per cento è comprensivo dell'IVA sul contratto di servizio.
Pertanto, dobbiamo porci una domanda più serena dandoci magari anche un po' più di tempo: quale regime IVA applicare ai servizi ambientali in generale. Questo è un tema su cui bisogna lavorare molto velocemente. Il Governo non ha finora fornito risposte sufficienti. Il Partito Democratico è disponibilissimo affinché il Parlamento possa, su questo, elaborare velocemente delle proposte.


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PRESIDENTE. Vediamo se qualcuno desidera rispondere su queste prime questioni. Parliamo della TARSU, del modo in cui sono percepite le sanzioni e della questione del classamento.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Sulle sanzioni abbiamo un problema di conoscenza dato che, come l'onorevole Calvisi sa, i comuni hanno avuto tempo fino al 31 gennaio per chiudere i conti. Per ragioni di date, quindi, è difficile dire con esattezza qual è il numero di comuni che hanno sforato.
In più c'è un tema, che con l'occasione pongo e che, da tempo, è stato sollevato anche in tutti i tavoli formali e informali con il Ministero. Noi abbiamo qualche difficoltà a capire esattamente qual è, sulla base dei dati del Ministero, l'andamento della finanza pubblica che riguarda i comuni. C'è un problema di accesso ai dati, o la mancanza di un tavolo comune che consenta di condividere i dati, cosa che secondo me è indispensabile.
In base alla nostra percezione, il numero dei comuni che non sono rientrati all'interno del patto di stabilità è abbastanza elevato, in particolare al nord. Tuttavia, per quantificare questo dato dovrei riceve i dati dei comuni che, essendo oggi solo l'inizio di febbraio, non abbiamo ancora.

MAURIZIO LEO, Assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma. Per quanto riguarda la sanatoria, dobbiamo dire che innanzitutto l'IVA è un tributo erariale, quindi da parte degli enti locali non si può pensare a nessun tipo di intervento in termini di sanatoria. Ci vorrebbe una disposizione di legge, perché il caso che lei evidenziava credo fosse che chi non ha pagato l'IVA non dovrebbe essere più tenuto a pagarla.
La sentenza della Corte costituzionale, che l'onorevole Causi ricordava bene, in buona sostanza delinea qual è l'ambito applicativo della TARSU ai fini del contenzioso, e stabilisce che è competenza del giudice tributario esaminare le controversie in materia di TIA e via dicendo. Questo perché ha natura tributaria e, conseguentemente, sostiene la Corte costituzionale, non è dovuta l'IVA. In questo modo, ha delineato una conseguenza.
A questo punto, la sentenza della Corte costituzionale dovrebbe avere efficacia ex tunc e non ex nunc, quindi dovrebbe avere una valenza anche per il passato. I casi sono due: o il pagamento dell'IVA è costituzionale, o non lo è; o è dovuta, o non lo è. Se ha valenza anche per il passato credo che, nel caso in cui non sia stata pagata la tariffa più l'IVA, non si possa richiederne il pagamento a posteriori. Non si può chiedere al contribuente di pagare qualcosa che la Corte costituzionale non ha ritenuto dovuto. Pertanto, su questo punto è bene che intervenga una norma di legge che faccia chiarezza.

DARIO GALLI, Presidente della provincia di Varese. Vorrei esprimere una rapidissima considerazione sul patto di stabilità, sulle sanzioni e sul suo rispetto.
Bisogna considerare che ci sono ulteriori limiti come, ad esempio, la diminuzione dei trasferimenti e il blocco delle assunzioni, una casistica diversa a seconda dell'ente pubblico interessato.
La questione di fondo, tuttavia, è un'altra. Anche noi, seppure con grande difficoltà, il bilancio l'abbiamo predisposto a dicembre, abbiamo rispettato i patti e abbiamo fatto ciò che dovevamo. Il problema è che lo Stato non deve mettere le istituzioni nelle condizioni di non poter fare una cosa che, in base alla legge, dovrebbe invece essere fatta.
La logica dovrebbe essere quella di stabilire delle imposizioni o di dare delle indicazioni che siano rispettabili. In questo caso, chi non ha rispettato il patto non è un amministratore che ha fatto cose talmente diverse da quanto doveva da meritare di essere additato al pubblico ludibrio: sono amministrazioni normali che, dopo aver operato in maniera normale - non hanno certo fatto cose fuori dal comune - si trovano nelle condizioni di essere fuori dal patto.
La legge dovrebbe stabilire degli obiettivi raggiungibili. Riteniamo che bisogna


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rivedere questi obiettivi, perché di per sé sono difficili se non, in alcuni casi particolari, addirittura impossibili da raggiungere.
Credo che un amministratore non sia contento di dire che non gli importa di rispettare il patto perché tanto è convinto che non gli succederà niente. È anche motivo d'orgoglio da parte di chiunque, quando si assume un incarico, quello di rispettare le leggi dello Stato anche se non le condividi, e di cercare di amministrare bene.

PIER PAOLO BARETTA. Evidenzio due blocchi di problemi che mi sembrano unificanti delle opinioni emerse.
Il primo problema riguarda la questione del patto di stabilità complessivamente inteso. Non mi dilungo, perché è un tema sul quale stiamo discutendo dall'inizio della legislatura e bisogna assolutamente venirne a capo.
Il secondo problema riguarda la questione delle entrate, sia nell'ottica della difficoltà di autonomia impositiva, a cui faceva riferimento il presidente Chiamparino, sia nella non compartecipazione agli effetti della lotta all'evasione fiscale, a cui faceva riferimento il presidente Galli.
Mi sembra che queste due questioni siano dirimenti di una lettura del problema complessivo, e mi portano a fare una prima considerazione, in merito alla quale vorrei interloquire con i presenti. Non c'è dubbio che bisogna accelerare la realizzazione dei decreti applicativi del federalismo. Mi chiedo se, in quest'ottica, siano stati fatti dei passi in avanti tra di voi e nei rapporti con il Governo, nel senso che siamo in attesa del passaggio successivo e penso che l'urgenza risulti del tutto evidente.
Il presidente Giorgetti, e prima ancora l'onorevole Leo, hanno ricordato che nei prossimi giorni affronteremo un decreto-legge che riguarda gli enti locali, con particolare riferimento ad una questione specifica. Vorrei capire se, come associazioni, vi siete già fatti un'idea di questo decreto-legge e, in che misura, non tanto i blocchi dei problemi citati, quanto alcune di queste questioni, possono trovare un veicolo.
Ad esempio, la questione dell'articolo 9, a cui è stato fatto riferimento prima dall'assessore del comune di Roma, è stata oggetto di molteplici discussioni ed emendamenti, e di una impraticabilità di campo. Probabilmente, io considero che tutte le occasioni sono buone, quindi anche un provvedimento d'urgenza non totalmente pertinente - ma qui ci sono ampi margini di pertinenza nella gestione parlamentare delle leggi - quale il decreto-legge che riguarda gli enti locali potrebbe rappresentare un'occasione per risolvere alcune delle problematiche richiamate che possono anche costituire un momento di riflessione sul contenuto dei decreti applicativi della riforma federalista. Io proverei a seguire questo percorso. Vorrei conoscere le vostre opinioni.

PRESIDENTE. Ascolterei l'onorevole Bitonci, che è relatore di quel provvedimento.

MASSIMO BITONCI. Grazie, presidente. Il problema del patto di stabilità emerge oggi in maniera così evidente, ed è da più di un anno che proviamo, in Commissione bilancio, quando esaminiamo provvedimenti di carattere economico, a inserire qualche emendamento che possa modificarlo.
È stato ottenuto qualche risultato, che è stato ricordato prima: è stato liberato il 4 per cento dei residui passivi relativi all'anno 2007. È un piccolo risultato, e spero che il Governo possa dare qualche apertura per quanto riguarda anche il futuro.
È accertato che il sistema della competenza mista non ha sicuramente funzionato e non ha premiato i comuni virtuosi. Questo è estremamente chiaro. Abbiamo avuto un'audizione proprio l'altro giorno - e la continueremo la settimana prossima - con il dottor Grisolia, della Ragioneria generale dello Stato, che ci ha anticipato cose estremamente interessanti.
È allo studio una modifica del patto di stabilità che prevede una sorta di separazione


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o scissione tra il patto di stabilità di parte corrente - che rimarrebbe assolutamente rigido, quindi legato anche ad una standardizzazione per classi di popolazione e altri fattori - e la parte in conto capitale, verso la quale si vuole tentare una maggiore apertura legata, ovviamente, ad alcuni paletti, soprattutto relativi all'indebitamento.
Chiedo a voi cosa pensate della proposta di separare il patto di stabilità tra la parte corrente e quella in conto capitale.

SIMONETTA RUBINATO. Io sono uno di quei sindaci in conflitto di interessi, perché ho deciso di sforare il patto per pagare le imprese e non mandarle in banca ad aprire fidi. Quest'anno ho già approvato il bilancio, che prevede la concreta conseguenza, per un comune di 14 mila abitanti e 62 chilometri quadrati, di avere nella parte investimenti la possibilità di spendere perfino 700 mila euro. Ditemi come possano bastare tali risorse, avendo quattro plessi scolastici, una popolazione in crescita e tutto quello che ne consegue.
I discorsi che ho sentito prima sono gli stessi già sostenuti in questa Commissione ed anche in Aula.
La risposta al perché c'è l'articolo 9 me l'ha data il dottor Grisolia, che era presente alla scorsa audizione. Ci siamo confrontati a margine dell'audizione e mi ha fatto presente che la norma l'ha approvata il Parlamento, quindi «la mente» è il Parlamento. Io non lo sapevo.
Ha anche precisato, però, che la considerano solo un'esplicitazione di regole che già c'erano e che erano già sanzionate. Pertanto, molto probabilmente forse in questo hanno ragione, l'hanno soltanto ricordato in modo da essere più convincenti.
Ebbene, non si può andare avanti così. Lo ha affermato la Corte dei conti, e tutte le volte che la Corte dei conti chiamerà uno dei nostri amministratori virtuosi, gli consiglio di portarsi dietro la relazione che ci ha lasciato il presidente della Corte.
In quella relazione è chiaramente sancito che c'è un problema in relazione alle entrate degli enti locali, c'è un problema che riguarda il calo degli investimenti, c'è il problema che la spesa corrente, comunque, continua ad aumentare, che aumenta per lo più con riferimento alla spesa per il personale e alla spesa per interessi. È chiaro: finché non abbiamo entrate, come facciamo a pagare, se non facendo mutui, le opere pubbliche che realizziamo? È chiaro che aumenta anche la spesa per interessi.
La Corte ha detto anche altro, e cioè che il patto è distorsivo, non va nella direzione che si auspica debba andare, quindi va cambiato, ma ha detto anche di più, e cioè che il meccanismo premiale non funziona assolutamente, perché premia enti che non sono virtuosi.
Vengo ora alle domande, perché ci sarebbe molto di cui discutere. La prima domanda, che rivolgo anche ai rappresentanti delle associazioni degli enti locali, è la seguente: ritenete di fare una battaglia? A mio avviso, è necessario farla prima di tutto per l'ossigeno, le gocce d'acqua non rimettono in piedi uno che sta per morire di sete.
Innanzitutto bisogna ribadire la necessità di riproporre una norma come quella che abbiamo inserito nella legge finanziaria per il 2009 - quindi approvata nel dicembre 2008 - che consenta, almeno ai comuni che hanno la possibilità di farlo con le loro giacenze di cassa, di pagare le opere pubbliche realizzate secondo impegni regolarmente assunti.
Questo non è chiedere la sospensione delle sanzioni ma è chiedere, a chi può, di rispettare la norma che prevede di pagare le pubbliche amministrazioni e di farlo con i denari che ha. Questo già aiuterebbe, un po' di ossigeno lo darebbe.
Secondariamente, bisogna chiedere - mi rivolgo anche al presidente Chiamparino - di eliminare questa stupidaggine estrema, iniqua e vessatoria che è il sistema di premialità. Se la Corte dei conti ci dice che le regole non funzionano, che vengono colpiti dalle sanzioni anche i comuni virtuosi, mi domando perché diamo premi ai comuni se non siamo neanche capaci di scrivere la regola, di prevedere le sanzioni e di applicarle.


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La premialità, quindi, vede comuni virtuosi fuori dal premio e vede Palermo e Catania, per fare dei nomi, che rientrano nel premio con i soldi che tutti i contribuenti dello Stato pagano a piè di lista per portare via la spazzatura dalle città.
Questo non è più sostenibile: chiediamo di togliere la premialità, finché in questo settore non ci sarà qualcosa che funzioni!
Scusatemi il tono accorato ma, francamente, noi amministratori - e io sono qua anche in qualità di amministratore - siamo stufi di ricevere persone provenienti da quelle parti del Paese in cui - e lo sa bene la Lega, che in questo vorrei più forte nella battaglia - non è stato creato disavanzo, in cui gli enti sono «sottodotati» e dal 1992 attendono una riparametrazione dei trasferimenti statali - che non ci sono, aspettando il federalismo che verrà - e in cui, con i soldi della fiscalità del territorio, non possono fare le cose necessarie al loro territorio.
Da questo punto di vista, chiedo accoratamente che si inizi almeno con il permettere, a tutti quelli che possono farlo con i soldi che hanno - e che sono loro -, di poterli usare per pagare i propri conti anziché usarli per pareggiare a livello algebrico i debiti di altri.
Se vuole, lo Stato continui pure a sovvenzionare i comuni non virtuosi, ma lo faccia con i soldi suoi, non con i soldi nostri. Togliamo questa vergogna che è il meccanismo di premialità!
Presidente Chiamparino, come le ho già detto bisognerà passare alla disobbedienza.

PRESIDENTE. Lo diceva qualcun altro già prima di lei... Proseguiamo con le domande.

ROLANDO NANNICINI. Io vorrei fare una riflessione molto forte sul patto di stabilità interno, nell'ambito del quale io individuo due problemi: il primo è la sua gestione burocratica, che arriva a comportare controlli forti, accesi, sulla spesa degli enti locali. Il secondo è il suo meccanismo, e vorrei portare degli esempi.
Noi sappiamo che, per Eurostat, il patto di stabilità si chiama «interno» proprio perché dipende dagli atti che sappiamo adottare noi per modificarne l'efficacia, o la non efficacia, rispetto ad alcune dinamiche amministrative e legislative.
Faccio l'esempio del trattamento di fine rapporto (TFR): quando il Governo del centrosinistra intraprese l'operazione del TFR sull'INPS sottraendolo dalle risorse gestite dalle imprese, si ritrovarono risorse nel patto di stabilità per avere disponibilità di cassa nell'intervento pubblico da parte dello Stato.
Faccio un altro esempio: molti comuni - e per questo bisogna veramente essere adirati con la burocrazia - vorrebbero acquistare delle caserme dismesse, appartenenti al demanio dello Stato, all'interno dei loro territori. Cosa c'entra in questo il patto di stabilità, se sono soldi pubblici che vanno al bilancio dello Stato? In questo caso, il patto di stabilità interno è un'invenzione burocratica. So che ci può essere la risposta burocratica, perché la conosco.
Il tema fondamentale è che si tratta di un riequilibrio, che coinvolge la previdenza e la spesa dello Stato, sulle dinamiche del fabbisogno di cassa.
La manovra prevista nell'ultima legge finanziaria, in cui sono stati attinti 3,8 miliardi di euro dal fondo TFR, scandalosa, perché viene utilizzata per la spesa corrente, non ha avuto nessun riflesso sul patto di stabilità. È evidente che c'è una gestione burocratica del patto di stabilità, che richiede una forte attenzione da parte nostra e da parte vostra, e a questo servono le audizioni.
Occorre fare un elenco degli atti che non rientrano nel patto di stabilità. Io apprezzo gli uffici, non risolverò mai problemi senza di essi, perché mi forniscono dati e ciò di cui necessito, ma quando la gestione di una finalità virtuosa come quella del controllo di cassa e del deficit annuale diviene burocrazia, mi viene un po' di rabbia nel raccontarlo. Potrei fare altri esempi.
Come abbiamo detto al Governo in tante occasioni - forse può essere un pensiero «nanniciniano», e lo dico scherzando


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- il patto di stabilità è, invece, un'altra cosa: non abbiamo mai avuto, noi parlamentari in primo luogo - pur provenendo dall'esperienza della gestione amministrativa e comunale - la forza di imporci e di capire perché, data una spesa annuale dello Stato e data una spesa delle province e delle regioni, il patto di stabilità non è proporzionale alla capacità di spesa bensì è un controllo pedissequo di parametri, che nascono verso settembre perché qualche ministero deve pagare più di un altro, mentre all'ente locale rimane la parte residuale delle procedure decisionali.
Non faccio questo appunto al centrodestra, perché questi comportamenti li ho notati in generale. Voglio arrivare alla riflessione che sarebbe opportuno che il sacrificio e il patto di stabilità interno, dal momento che si chiama «interno», fosse proporzionale alle capacità e al controllo della spesa e della cassa di tutti i soggetti che partecipano al patto di stabilità.
L'elemento di casualità determina difficoltà e paradossi, perché nelle misure pensate in fasi congiunturali, in momenti di crisi come questo in cui c'è bisogno di domanda interna - e gli enti locali, così come i ministeri (non me ne vogliano quelli dei ministeri) organizzano la domanda rispetto ai problemi di crescita che abbiamo - la proporzionalità è uno dei criteri fondamentali; non può essere il parametro casuale e residuale che fissa i saldi alla fine e stabilisce una percentuale incomprensibile. Su tale questione impegniamoci, io credo che da parte vostra ci sia consenso, e ritengo che questo sia possibile.
L'altro aspetto su cui vorrei soffermarmi riguarda i debiti pregressi della pubblica amministrazione. Non esiste un censimento dei debiti pregressi. La nuova legge di contabilità, che noi abbiamo approvato, presidente, prevede che la nuova legge di bilancio sia impostata essenzialmente sul dato di cassa, ma non disponiamo di un censimento dal quale si possa sapere quali sono questi debiti.
Sarebbe necessario un censimento che ci dica, dal 2006 o 2007, quali sono i debiti insoluti nella pubblica amministrazione, perché vogliamo e dobbiamo saperlo, anche perché il patto di stabilità è un elemento dinamico in un periodo di crisi, non è un fatto annuale che io discuto con quel parametro e tutti ci arrabbiamo.
Il patto di stabilità può avere una gradualità anche rispetto a questi eventi, può essere graduato perché è giusto pagare i debiti pregressi della pubblica amministrazione.
Se qualcuno ha sostenuto spese senza avere le corrispondenti risorse a disposizione, deve essere sottoposto al giudizio della Corte dei conti, perché quando il Parlamento ha dato 300 milioni di euro al comune di Catania, forse alcune di quelle spese dovevano essere sottoposte al giudizio della Corte dei conti, perché non si è compreso fino in fondo se le stesse erano nei bilanci strutturali o costituivano fatture preparate utilizzando addirittura le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate.
Anche su questo ci vuole attenzione rispetto a battaglie storiche; tra l'altro, battaglie storiche che non approdano ad alcun risultato perché bisogna considerare le differenze ambientali, dove si manifestano paure e preoccupazioni e non si riesce ad incidere realmente.
Riassumo le problematiche: in primo luogo, la burocrazia nella gestione del patto di stabilità interno, perché ci sono eventi burocratici che non possono avere risposte burocratiche, perché occorre agire; in secondo luogo, la non proporzionalità dell'applicazione del patto di stabilità; infine, la non conoscenza dei debiti pregressi divisi per comparti, perché chi non rientra nei parametri deve essere sottoposto al giudizio della Corte dei conti. Chi deve ottemperare ai propri obblighi pagando deve usufruire di una gradualità nell'applicazione delle regole del patto di stabilità affinché, completato il censimento dei debiti, possa decidere di spendere meno in un determinato settore per poterli pagare.
Io mi chiedo come faremo a gestire il bilancio di cassa senza conoscere i vecchi debiti accumulati dallo Stato italiano nel suo complesso.


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MAINO MARCHI. Molte delle questioni oggi emerse, i vari decreti, i provvedimenti richiamati e la legge finanziaria, sono stati oggetto di confronto in particolare proprio in questa Commissione; quindi, sono state effettivamente le scelte fatte dal Parlamento ad aver portato il Paese a questa situazione, che mi pare essere sempre più evidentemente insostenibile e per la quale vi è la necessità di varare al più presto provvedimenti che portino a modificarne il segno.
Vorrei porre quattro domande rapide. Nell'avvio dell'audizione della scorsa settimana col dottor Grisolia - abbiamo sentito una sintesi della relazione, ma la riprenderemo - è stato dato un giudizio sul carattere della manovra nel 2009. In sostanza, il dottor Grisolia ci ha detto che il combinato disposto tra il decreto-legge n. 112 del 2008, che prevedeva una manovra restrittiva per 1 miliardo 650 milioni di euro, e il decreto-legge n. 78 del 2009, che ha invece previsto sostanzialmente un peggioramento dei saldi di finanza pubblica di 2 miliardi e 250 milioni di euro, per quanto riguarda il patto di stabilità interno ha portato la finanza locale ad una manovra di fatto espansiva per 600 milioni di euro nel 2009.
Vorrei sapere se l'ANCI condivide questo giudizio, e se magari mi sa dare una motivazione ancora più approfondita rispetto a queste cifre, che ci vengono presentate da parte di funzionari del Ministero dell'economia e delle finanze.
Anch'io riprendo la questione toccata dal'onorevole Baretta: visto che il decreto-legge sugli enti locali verrà esaminato proprio la prossima settimana, credo che per noi sarebbe importante avere un'indicazione su quali possono essere, nell'ambito delle questioni che avete posto, quelle prioritarie, che potrebbero trovare una prima soluzione all'interno del confronto su quel decreto-legge.
Tra le vostre proposte, che io condivido, c'è anche quella riguardante la richiesta, per quegli enti che, avendo approvato il bilancio entro il 10 marzo del 2009, hanno potuto beneficiare sostanzialmente degli effetti dell'ex comma 8 dell'articolo 77-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, di poter avere la medesima possibilità anche per i bilanci del 2010 e del 2011.
Devo dire che l'effetto di non poterlo utilizzare è veramente devastante. Faccio l'esempio del comune di Reggio Emilia, che registra una disponibilità di 50 milioni di euro, che in tre anni è quasi pari all'intervento straordinario del Governo per il comune di Catania. Reggio Emilia ha un saldo che dovrebbe diventare positivo per quasi 50 milioni, ma non può fare alcun investimento. Siamo di fronte ad una situazione assurda.
Mi interessa approfondire una questione: nelle motivazioni che portate in merito alla possibilità di reintrodurre anche per il 2010 questa norma voi affermate che, dal momento che l'introduzione del comma 8 non ha avuto necessità di copertura finanziaria, si propone di mantenerlo, e ciò non comporta nessun effetto sulla finanza pubblica.
Io temo che qualunque proposta venga fatta in questo senso non troverebbe la condivisione del Governo. Lo dico anche in riferimento ad alcune vicende di questi giorni sul decreto-legge n. 194 del 2009, cosiddetto «decreto-milleproroghe», nel senso che l'emendamento che era stato presentato al Senato è stato dichiarato inammissibile in quella sede perché non poteva essere oggetto del contenuto specifico del «decreto-milleproroghe». Tuttavia, la proposta emendativa presentata dal relatore che riguardava sostanzialmente solo un caso - credo che non si possa continuare con provvedimenti per singoli comuni - era stata giudicata sostenibile dal punto di vista finanziario proprio perché si trattava solo di un comune; se, altrimenti, avesse riguardato tutti i comuni che ne avevano beneficiato nel 2009, non sarebbe più stata sostenibile.
A mio avviso, un approfondimento delle vostre motivazioni concernenti l'assenza di effetti finanziari, sarebbe importante anche per il nostro lavoro.
Da ultimo, mi interesserebbe un giudizio sul decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro


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dell'interno, sulla premialità ai comuni cosiddetti virtuosi. Vorrei sapere che giudizio date su quel decreto, e se pensate che occorra introdurre, per i prossimi anni, modifiche nei criteri stabiliti per l'adozione dello stesso che ha determinato i risultati prima ricordati.

PAOLA DE MICHELI. Ringrazio l'ANCI e l'UPI per alcuni spunti che sicuramente ci potranno essere utili anche nel lavoro parlamentare di questi giorni. Io vorrei solo sottolineare alcune delle emergenze per capire insieme se, dentro e fuori dal Parlamento, possiamo uscire da alcuni passaggi critici.
Il primo punto è quello che citava il collega Marchi, sul quale ci siamo anche confrontati a lungo. È l'ultimo atto della vicenda del comma 8, che nasce nell'ambito del decreto-legge n. 112 del 2008. È stato ricordato che la proposta emendativa relativa al citato comma 8 è stata dichiarata inammissibile al Senato; tuttavia, dal punto di vista della visione complessiva dei comuni italiani la vicenda del suddetto emendamento dovrebbe preoccupare, nel senso che, se si riconosce che c'è un problema oggettivo - avendo individuato un determinato anno come base per il patto di stabilità - relativamente alle alienazioni mobiliari e immobiliari straordinarie, l'eventuale applicazione delle disposizioni del comma 8 deve valere per tutti, perché comunque entro il 2011 ci saranno molti comuni che andranno in crisi.
Abbiamo fatto la scelta di individuare un determinato anno come base per l'applicazione del patto di stabilità. Come rappresentante dell'opposizione parlamentare, ma anche in altri ruoli che ho avuto e che hanno molti altri colleghi, non posso non fare una battaglia a favore di tutti coloro che sono coinvolti. Questa è un'emergenza anche da un punto di vista normativo.
Sulla questione degli enti locali, nel breve periodo parlamentare di questa legislatura abbiamo visto troppe leggi ad hoc, il cui contenuto è anche il frutto dell'approvazione di emendamenti o sub-emendamenti. Diventa impossibile governare questa materia in termini organici se continuiamo a legiferare solo per porre rimedio ad alcuni aspetti problematici, senza una visione d'insieme. Chiedo scusa per essermi accalorata su questa vicenda.
Sulla questione del patto di stabilità in termini più generali, e in particolare sulla cosiddetta golden rule, ci sono alcune articolazioni regionali dell'ANCI che hanno già fatto alcune simulazioni. Mi riferisco soprattutto a quelle dell'Emilia Romagna con cui ci siamo confrontati spesso.
A mio avviso, se si riesce a riaprire un tavolo di confronto con il Governo, anche noi come Parlamento possiamo ritornare a discutere di questi argomenti. C'è un dato molto importante, che è la questione del debito. Se andiamo avanti con un patto di stabilità come questo, in cui i pagamenti e i nuovi investimenti sono bloccati perché abbiamo il problema di coprire l'indebitamento, noi continuiamo a far produrre debito, fuori dai calcoli del patto, ad alcuni enti locali.
È molto significativa, a tal riguardo, la classifica de Il Sole 24 Ore sui comuni che hanno avuto l'allargamento del patto di stabilità e sulla loro condizione debitoria. Se apriamo un tavolo di confronto con il Governo, io chiedo un'opinione all'ANCI e all'UPI sulla questione degli indicatori dei parametri del debito rispetto ad una potenziale regola stabile.
A mio avviso, nell'ambito delle problematiche concernenti le entrate non c'è soltanto una situazione abbastanza difficile con riferimento alle entrate correnti, che vale sia per le province che per i comuni, conseguente a una contrazione dell'economia che vale per tutta Italia e quindi non ha particolari caratteristiche geografiche: per quanto riguarda i comuni, c'è un dato importante sugli oneri di urbanizzazione.
Attualmente il Parlamento non è ancora riuscito a individuare una soluzione a questa situazione di difficoltà, però dobbiamo avere ben presente che il settore anticiclico per eccellenza, l'edilizia, non ripartirà molto velocemente.
Il Partito Democratico ha svolto recentemente una conferenza economica nel


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corso della quale sono stati analizzati alcuni dati, dai quali è emerso un margine di incertezza sulla possibilità che nei prossimi tre anni l'economia riparta. Non esiste dunque solo il limite posto dal patto di stabilità che impedisce di utilizzare le risorse disponibili, ma corriamo il rischio di non disporre neanche di risorse, venendo a mancare gli oneri di urbanizzazione, che sono strutturalmente destinati a finanziare le spese degli enti locali.
Il decreto-legge n. 185 del 2008 conteneva una norma che prevedeva l'esclusione dal patto di stabilità delle cosiddette misure anticrisi. Su quella norma abbiamo discusso per ore, perché ho sempre ritenuto che fosse inapplicabile. Nel mio caso specifico - io sono anche un amministratore locale, come sapete - a Piacenza non riesco ad applicarla nel senso che, all'interno di una programmazione di spesa corrente, non vi sono margini per tale esclusione, mentre quella norma è stata giudicata da alcuni comuni come una norma applicabile. Al riguardo vi chiedo un'opinione.
Magari non siamo stati abbastanza bravi ma, secondo me, una tale norma non aiuta i comuni che, supplendo all'assenza di interventi mirati del Governo per far fronte alla crisi, hanno deciso di tagliare risorse ad alcuni ambiti per destinarle ad altri. A mio avviso, tutto ciò non agevola la ricerca delle misure adatte ai vari ambiti territoriali, o anticicliche, o di compensazione del disagio sociale ed economico.
Presidente Chiamparino, forse non ho capito, ma lei ha espresso anche un giudizio sul decreto attuativo sul federalismo demaniale?

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. No.

PAOLA DE MICHELI. Vorrei sapere se c'è una opinione da parte dell'ANCI da poter condividere. So che un gruppo di parlamentari che si è confrontato su questo decreto ha un atteggiamento piuttosto critico rispetto ai suoi contenuti, perché se da una parte può essere un volano e uno strumento di liberazione di risorse, dall'altra attribuisce agli enti locali la competenza sulle aree verdi e sui beni culturali che, da un punto di vista dei costi di gestione, mette i comuni in ginocchio.

LINO DUILIO. Vorrei fare alcune domande ponendomi da un angolo visuale un pochino diverso che è quello, se non ricordo male, che aveva ispirato l'esigenza di questa indagine conoscitiva. Non farò domande che, a mio modesto parere, sarebbero più tipiche da audizione in sede di legge finanziaria o di provvedimenti analoghi, perché quelle sedi esistono ancora.
Noi abbiamo un problema di carattere generale costituito dall'esigenza, che abbiamo nel nostro Paese, di spendere di meno e incassare di più come Stato, nel senso che abbiamo una spesa pubblica drammaticamente fuori controllo.
Nell'ambito delle norme che, a maggioranze diverse, vengono approvate dal Parlamento per risolvere le situazioni critiche, vengono a crearsi sempre situazioni come quelle manifestatesi nel dibattito odierno, che ci pone dinanzi a paradossi di questo tipo, dove sembra che voi siate la nostra controparte e noi facciamo i sindacalisti, per altro con situazioni ulteriormente paradossali, visto che siamo in una condizione in cui noi stessi abbiamo approvato le norme delle quali voi vi lamentate e per le quali, assumendo la veste di sindaci, noi stessi stigmatizziamo.
Vorrei uscire da questo paradosso per porre alcune questioni. Tutti noi condividiamo il fatto che lo Stato deve cercare di risparmiare in qualche modo e, allo stesso tempo, i comuni sono «alla canna del gas», se così si può dire. Come usciamo da questa situazione?
La prima domanda di carattere generale che vorrei porvi, e della quale potremo anche tener conto nello stendere la carta delle autonomie, è quali sono a vostro avviso le misure adatte per risolvere tali situazioni critiche.
Ad esempio, si potrebbero stabilire 20 patti di stabilità, come si è proposto in qualche occasione, fissando degli obiettivi a un livello - che potrebbe essere regionale,


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o altro - al cui interno, con un'autonomia dei livelli istituzionali substatuali, si potrebbe conseguire il risultato che noi dobbiamo comunque perseguire mentre, allo stesso tempo, si potrebbe consentire quella flessibilità che tenga conto della realtà territoriale.
Vorrei sapere se, a vostro avviso, questa è una via perseguibile, che possa aiutare nell'andare nella direzione che, comunque, a prescindere dalle maggioranze, dobbiamo cercare di intraprendere. Se non è questa la via o una delle possibili vie perseguibili, vorrei sapere secondo voi quali siano le misure sulle quali dobbiamo puntare o se ritenete che, realisticamente, bisogna prendere atto del fatto che la finanza locale non può più essere oggetto di tali misure, perché «raschiare il fondo del barile» più di quanto non si sia già fatto non è possibile.
Anch'io vorrei parlare degli oneri di urbanizzazione, ma da un angolo visuale diverso rispetto a quello presentato dalla collega. Preso atto che è in atto una politica di contenimento della spesa che si è tradotta nella mancanza di risorse disponibili, come ben sappiamo, sono rimasti gli oneri di urbanizzazione come fonte di entrata dell'ente locale sapendo che la stessa subisce le ripercussioni connesse alle crisi cicliche che investono il settore interessato.
Io vorrei porvi una domanda diversa, e chiedervi se avete svolto una riflessione a consuntivo degli effetti che l'utilizzo necessitato di questa fonte di entrata produce sul territorio, quindi sull'equilibrio generale degli enti locali che comunque deve essere preservato. In altre parole, vi chiedo se potete confermarci che, nella attuale situazione, l'unica fonte di finanziamento sarà costituita dagli oneri di urbanizzazione e che ciò può determinare delle ripercussioni nei territori interessati che occorre considerare.
Il Parlamento deve assumere certe decisioni non solo con riguardo alla finanza pubblica con l'ottica di preservare gli equilibri di bilancio, ma anche considerando gli effetti delle decisioni stesse sui processi reali nel nostro Paese.
Che cosa sta accadendo sul territorio dei comuni per quanto riguarda l'utilizzo come cespite di entrata degli oneri di urbanizzazione, che si rivela tra i più importanti, a maggior ragione in un'epoca in cui altre fonti di entrata non ce ne sono?
Per esigenze di trasparenza, che secondo me esistono - tengo a precisare che anch'io sono «amico dei comuni» -, anche in vista della Carta delle autonomie, sulla quale mi piacerebbe conoscere la vostra opinione, vorrei sapere se, a vostro avviso, bisognerebbe prevedere l'adozione, come parametro di riferimento, dei bilanci consolidati dei comuni oppure no, distinguendo all'interno dei comuni le aziende quotate in borsa, perché una cosa è l'ATM, altra cosa è l'ACEA e altra cosa ancora sono la miriade di aziende e piccole aziende, filiate per ragioni ed esigenze obiettive, che non sempre rappresentano esempi di rigore etico, pubblico e finanziario che tutti perseguiamo.
Vorrei sapere se l'adozione dei bilanci consolidati, a vostro avviso, è la prospettiva da prendere in considerazione anche da un punto di vista normativo, affinché non si abbiano bilanci dei comuni strettamente riconducibili alla situazione degli enti stessi che, però, hanno a latere bilanci di altra natura, che denotano i rapporti organici tra l'ente locale e le aziende dallo stesso costituite.
Aggancio questo discorso al tema dei controlli. Qualcuno dice che, soppressi i Comitati regionali di controllo, che sappiamo benissimo essere stati soppressi per ragioni assolutamente condivisibili - visto che spesso, a parità di condizioni, si esprimevano giudizi diversi -, siamo finiti in una situazione di anarchia, nel senso che di controlli non ce ne sono più.
Poiché penso che il tema dei controlli sia rilevante, vorrei sapere se secondo voi questo problema esista e come va affrontato, senza cadere nella logica di un Parlamento che svolge la funzione di controllore e di un comune che è il controllato.
Infine, affronto una questione di dettaglio a proposito dell'ICI. Mi pare che anche da parte dell'ANCI fosse stata evidenziata


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la questione molto tecnica e immediata della diversità di aliquote che, paradossalmente, finivano per premiare chi si era comportato peggio e non chi si era comportato meglio, perché essendo stata cristallizzata la situazione in relazione a determinate aliquote, l'ente locale che l'aveva fissata a livello più alto percepiva il rimborso più alto, mentre l'ente locale che era stato virtuoso e l'aveva fissata a livello più basso veniva penalizzato. Questo problema esiste? Vi chiedo una opinione al riguardo e come suggerite debba essere affrontato, auspicando che questo avvenga nella sede propria che dovrebbe essere - spero - il decreto legislativo che metta ordine in modo più organico su tutta la materia.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per le repliche.

DARIO GALLI, Presidente della provincia di Varese. Devo dire che le domande poste sono estremamente interessanti e vanno al cuore delle questioni. Mi limito a dare alcune risposte di principio.
Mi pare emergere che la questione del rapporto tra Stato centrale ed enti locali si ponga, al di là degli schieramenti politici, semplicemente tra chi le vuole risolvere e chi no. Vedo che chi è anche amministratore, o lo è stato, ha una sensibilità e, mi permetto di dire, una conoscenza delle questioni tale per cui capisce l'importanza di certe dinamiche.
La mia impressione, essendo stato sindaco, parlamentare e presidente di provincia, è che c'è una parte dello schieramento politico che di queste questioni parla, ma che in realtà non ha nessuna intenzione di risolverle, ed è una parte distribuita in maniera abbastanza bipartisan, escluso il partito a cui mi onoro di appartenere e che ce l'ha nella ragione sociale, o nel core business, se vogliamo porla in modo commerciale.
Occorre capire se si vuole agire o meno. Le questioni che sono state poste derivano esclusivamente da questo.
Il discorso sul patto di stabilità mi sembra importante. Avendo lavorato nella società civile, sollevo una domanda che mi sono sempre posto: che senso ha fissare un patto di stabilità sulla cassa? Nel momento in cui ho emesso un ordine di pagamento e ho ricevuto una fattura da un fornitore, io il debito pubblico nella sostanza l'ho accesso; che io paghi o non paghi, adesso o fra cinque anni, in quel momento io sono debitore nei confronti di qualcuno.
Se c'è da fare un controllo rigidissimo, quindi, va fatto a monte, nel momento dell'adozione degli atti da cui consegue la creazione del debito; quindi, non devo intraprendere un processo di acquisto, di costruzione o di realizzazione se non ho l'assoluta certezza della copertura. Una volta che ho certificato questa certezza e ne divento responsabile - per cui se dopo cinque anni ho raccontato delle grandi fandonie come amministratore in qualche modo ne devo rispondere, civilmente, penalmente, con una riduzione dei diritti civili, con la ineleggibilità o con quel che volete -, se ho agito correttamente, perché dovrei essere bloccato all'atto del pagamento? Questa è una cosa che non sta né in cielo, né in terra.
Io cambierei completamente il ragionamento: sarei inflessibile, da un punto di vista legislativo, nella fase iniziale, ovvero quella che dà realmente origine alle situazioni suscettibili di determinare il futuro debito, mentre la questione di cassa deve diventare una questione puramente tecnica.
Mettiamoci nei panni delle aziende che investono denaro e pagano gli operai per costruire, ad esempio, le strade e poi non vengono pagate. Contestualmente, non consentiamo loro di realizzare le opere e le escludiamo dalle gare se non pagano i contributi. In questo modo, si presentano aziende che hanno risorse da fonti terze e realizzano le opere pubbliche perché hanno finanziamenti che non provengono dai comuni, che sarebbero invece quelli legittimi. Anche su questi aspetti occorre un po' di serietà da cittadini, più che da politici o da amministratori.
Non mi esprimo sulla questione posta dall'onorevole Rubinato, perché qui si


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confonde la causa con l'effetto. Credo che non sia questa parte del tavolo che possa modificare la situazione: se l'onorevole non condivide le norme esistenti, come non le condividiamo noi, penso siate proprio voi, il Parlamento, a doverle modificare.

PRESIDENTE. Come dice il dottor Grisolia, è il Parlamento che fa le leggi!

DARIO GALLI, Presidente della provincia di Varese. In questo senso ha ragione: l'onorevole Rubinato non può venire a chiedere a noi poveri amministratori perché non facciamo le cose che dovrebbe fare il Parlamento.
Venendo al discorso del patto di stabilità sforato o meno, capisco che sia bello dichiarare alla stampa che non si è tenuto conto dei vincoli del patto e si è proceduto al pagamento dei fornitori; tuttavia, mi permetto di dire da cittadino che non è una cosa seria, perché o approviamo delle leggi che possano essere rispettate, oppure ci prendiamo in giro. Non possiamo approvare leggi e poi assumere un atteggiamento di indifferenza verso le stesse pensando che qualcuno che le rispetta ci sarà. Se io sono un guerrigliero faccio saltare i tralicci; se sono un amministratore rispetto la legge. Al limite la contesto.
In quel senso credo che uno Stato, nel suo complesso, con tutte le sue componenti, in qualche modo debba stabilire delle cose fattibili da parte dei cittadini, amministratori compresi.
Su tutte le altre questioni - come la premiabilità - a mio avviso si dovrebbero semplicemente approvare leggi che possano essere rispettate da tutti. Un comune deve essere messo in grado di comportarsi bene, non deve essere premiato perché in base a parametri o calcoli, spesso artificiosi, viene fuori dai problemi.
Non espongo casi, perché lo trovo antipatico, ma non mi si venga a dire che il comune di Palermo è più virtuoso dei comuni di Varese, di Brescia o di Torino, ma a alla luce dei relativi bilanci sembrerebbe così. Che, alla fine, qualcosa non quadri in queste cose, credo che ci sia.
Un punto a cui tengo particolarmente, perché è il cuore della questione, riguarda gli oneri di urbanizzazione e la spesa corrente. Quello che sostiene l'onorevole Duilio è qualcosa che anch'io dico sempre e condivido totalmente: negli ultimi vent'anni noi abbiamo svenduto il territorio italiano, perché con gli oneri di urbanizzazione abbiamo mantenuto i comuni. Questo è indiscutibile.
Ho fatto i conti nel comune in cui sono stato sindaco per dieci anni ed ho evinto che, con il 2 per cento dell'IRPEF pagata dai miei cittadini, io avrei incassato più soldi di quanto ho incassato con gli oneri di urbanizzazione. Ciò significa che, con il 2 per cento dell'IRPEF lasciata localmente, per vent'anni avrei potuto fare neanche un metro cubo.
Considerato che abbiamo preso visione dei dati di risparmio dell'ANCI e dell'UPI, è possibile che lo Stato non riesca a rinunciare al 2 per cento dell'IRPEF, più o meno un quinto delle sue entrate? È possibile che non riesca a rinunciare allo 0,5 per cento delle sue spese?
Sono stato undici anni in questo palazzo e credo che la risposta sia scontata, senza voler mancare di rispetto a nessuno.
Come il presidente Giorgetti, abito vicino alla Svizzera, dove il comune riceve il 40 per cento del gettito fiscale complessivo; il Cantone, che equivale alla nostra Provincia, riceve un altro 40 per cento e lo Stato confederale meno del 20 per cento.
La provincia di Varese ha un gettito fiscale di 15 miliardi di euro e ottiene solo 150 milioni di euro, siamo cioè nell'ordine dell'1 per cento, e i comuni sono più o meno nello stesso ordine di grandezza. Io credo, quindi, che le questioni che lei pone siano giuste. È evidente che attribuiamo agli enti locali competenze che non hanno nulla a che fare con le entrate di carattere fiscale, perché credo che il comune e la provincia non forniscono l'1 per cento dei servizi ai cittadini, così come siamo tutti consapevoli che lo Stato non fornisce il restante 98 per cento. Non c'è corrispondenza causa-effetto.
La riforma federalista, quando verrà realizzata - speriamo presto - avrà come


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principio il costo standard, che è basilare, fondamentale: non si trasferiscono più le tasse - ente locale o Stato centrale - in funzione di una spesa storica consolidata o a fronte del fatto che qualcuno è legislativamente è più forte può autotutelarsi e l'ente locale no; le tasse saranno trasferite in base ai servizi che si rendono, e detti servizi saranno valutati in base a un costo standard.
Infatti, se l'ente locale fornisce al cittadino il 30 per cento dei servizi che utilizza nel corso della sua vita, lo Stato gli attribuirà il 30 per cento delle risorse. Se il comune o la provincia forniscono il 30 o il 40 per cento dei servizi, non possono governare con il 5 per cento del gettito fiscale. È una banalità che mi vergogno di dire, ma è la realtà della situazione italiana.

SERGIO CHIAMPARINO, Presidente dell'ANCI. Anche a me fa piacere condividere con molti esponenti parlamentari, che sono anche amministratori, le ansie e le angosce di noi amministratori locali. Tuttavia, rimane il fatto che spetta al Parlamento intervenire per modificare le leggi che tutti critichiamo, chi più chi meno. Prendo atto positivamente, per andare avanti, dell'ampia condivisione in una sede così autorevole come la Commissione bilancio.
L'onorevole Nannicini parlava di proporzionalità nell'applicazione del patto di stabilità: è un tema di cui ho sempre sentito parlare da quando rivesto la carica di sindaco. Ho sempre sentito dire che noi paghiamo molto di più di quello che pesiamo nell'insieme della pubblica amministrazione, tant'è che ho vi ho chiesto di fissare il livello del patto di stabilità a quello del 2010 e di non prendere in considerazione l'ulteriore peggioramento di un altro miliardo di euro perché già questo, pur non ristabilendo i pesi, intanto avrebbe automaticamente un minimo effetto redistributivo.
Abbiamo esaminato una bozza del decreto relativo al cosiddetto federalismo demaniale che, nella sua prima stesura, ci sembrava abbastanza centralistico. Abbiamo formulato - sto parlando di una serie di confronti in sede tecnica, non politica - diverse proposte di modifica che, ove venissero accolte, ci permetterebbero di dire che sarebbe un primo passo in avanti.
Non abbiamo nulla, invece, sulla parte più propriamente relativa al federalismo fiscale, che consentirebbe di rispondere anche alle questioni che poneva il presidente Galli.
L'onorevole Bitonci mi chiedeva se noi saremmo d'accordo sull'ipotesi di modifica avanzate dal dottor Grisolia. Non voglio dire che sia una nostra proposta ma certamente l'idea di una sorta di regola aurea per cui il patto di stabilità consista in un pareggio di parte corrente al netto dei trasferimenti - beninteso fino a che non si entri in un regime di pieno federalismo fiscale -, con una parte in conto capitale dell'indebitamento vincolato alle regole europee, per noi è un punto d'arrivo e un accettabilissimo obiettivo verso cui tendere e su cui ragionare.
Se nella sostanza questa distinzione tra la spesa corrente e quella in conto capitale evoca questo obiettivo, noi siamo pronti a lavorarci sopra. Naturalmente bisogna sapere che necessita di tempi lunghi, ma per noi è un obiettivo che possiamo assumere.
Da questo punto di vista, onorevole Duilio, per quanto riguarda i patti di stabilità regionali credo che noi siamo abbastanza dentro la logica del disegno di legge Calderoli, vale a dire un patto di stabilità nazionale che può essere variato con il consenso all'interno delle singole regioni.
Avrei delle perplessità a dar corpo a 20 patti di stabilità regionali, per tante ragioni che adesso sarebbe lungo spiegare (la differenza di peso delle diverse regioni, il fatto che questo rischierebbe di spostare una logica di centralismo dal livello nazionale al livello regionale). Una funzione dei patti regionali come eventuale integrazione e correzione è una soluzione che ci sembra interessante.
Venendo alla questione posta dal dottor Grisolia, è come se qualcuno mi mettesse un sacchetto di nylon sulla testa e quando


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sono cianotico me lo toglie un po' per respirare facendomi credere, in questo modo, di stare meglio. Chiedo scusa per la banalizzazione, ma d'altra parte era quello che io stesso avevo già detto. Comunque sia, un allentamento del sacchetto di nylon può anche essere previsto nel disegno di legge di conversione del decreto-legge sugli enti locali: se riuscite ad allentare un po' il sacchetto, a noi va bene.
A proposito del decreto-legge sugli enti locali voi, come me, sapete che è stato adottato dopo che improvvidamente furono introdotti nel disegno di legge finanziaria 2010 elementi puramente ordinamentali che riguardavano solo i comuni. Noi ci siamo opposti e abbiamo interrotto le relazioni con il Governo, il quale ha accettato le condizioni minime che noi avevamo posto, vale a dire posporre al 2011, allargare anche alle province il taglio del 20 per cento e mettere il tetto alle indennità dei deputati regionali.
Inizialmente il decreto-legge prevedeva anche altre norme sulle circoscrizioni e sui direttori generali, recuperando una logica centralistica per cui un sindaco non poteva più decidere se avere un direttore generale o meno, norme che sono state nuovamente tolte.
Noi auspicheremmo che tutta la parte ordinamentale resti nella Carta delle autonomie e vada, il più rapidamente possibile in discussione al Parlamento. Tuttavia aggiungo che - questo dipende da voi - ove questo per qualche ragione non fosse possibile, presidente Giorgetti, è evidente che, previo confronto e discussione, si torni al discorso del sacchetto allentato: piuttosto che veder scorrere vanamente il tempo, siamo pronti a discutere di misure che possano avere qualche rapporto con il decreto-legge.
La vicenda del sacchetto, per continuare nella metafora scherzosa, ci può stare, così come il discorso sulle sanzioni. La reintroduzione di un minimo di flessibilità sulle circoscrizioni e sui direttori generali, è il buon senso che la suggerirebbe. Questa sarebbe la nostra posizione.
Lascerei rispondere l'assessore Leo alle domande a cui non ho risposto. Per quanto riguarda l'ICI, credo che a noi manchino ancora dei soldi sul conto pregresso. Quello che dovremmo fare, prima o poi, è rivedere la cifra iscritta in bilancio che è quella giusta, ma con riferimento al 2008. Naturalmente l'ICI ha una sua dinamica, e in questa rivisitazione forse ci può stare un discorso che tenga conto, anche se non mi sembra facilissimo, di quello che diceva lei in merito a chi ha fatto il furbo o, comunque, si è trovato a essere avvantaggiato, e chi no.
Sugli oneri di urbanizzazione, naturalmente, sono d'accordo con quello che ha detto il presidente Galli, non c'è ombra di dubbio, anche se forse va fatta una differenziazione. Forse sono condizionato dal fatto di parlare di una città che ha avuto ed ha ampi spazi di trasformazione urbana - aree industriali in trasformazione - e che quindi non solo non patisce ma, dal punto di vista ambientale, è avvantaggiata da un intenso intervento di trasformazione rispetto ad enti locali che non riutilizzano spazi abbandonati ma utilizzano spazi nuovi, per i quali evidentemente la questione è diversa.
Resta il fatto che non possiamo pensare di utilizzare gli oneri di urbanizzazione come una sorta di surrogato di quello che dovrebbe essere un meccanismo di autonomia fiscale che deve seguire altre strade, che devono essere quelle prioritarie. Insomma, vanno restituite al loro compito.

MAURIZIO LEO, Assessore al bilancio e allo sviluppo economico del comune di Roma. Sul discorso dei bilanci consolidati riconosco che la proposta potrebbe essere interessante. Tuttavia, i diversi approcci contabili ostano un po' a questa soluzione, perché i comuni adottano la competenza finanziaria e le società partecipate adottano la competenza economica. Dunque, o si omogeneizzano i due meccanismi e si portano anche i comuni a costi, ricavi e rimanenze - ma mi pare difficile poterlo fare -, oppure la realizzazione di un consolidato tra comune e società partecipata è complessa.
Il risultato finale del bilancio delle società partecipate è chiaro che affluisce


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sotto forma di dividendi; se ne può tener conto, ma creare proprio un sistema unitario mi sembra difficile.

ANTONIO ROSATI, Assessore alle politiche finanziarie e di bilancio della provincia di Roma. Torno un momento sul discorso del patto di stabilità, perché le vostre domande hanno riguardato in particolare questo tema.
Abbiamo in corso in queste ore, come sapete, il confronto. Il punto è che siamo di fronte ad una pagina nuova, perché il dottor Grisolia, seppur faticosamente, riconosce che la vicenda del patto, così com'è, non funziona, e bisogna partire da questo punto.
Io sono assessore al bilancio da cinque anni, sono stato presidente della Commissione bilancio presso il comune di Roma per tanti anni, come sa l'assessore Leo, e sono stato capogruppo nel consiglio comunale. Penso, quindi, di avere una lunga esperienza di grandi realtà urbane come amministratore. Ebbene, la forza positiva del disegno di legge Calderoli è che finalmente sancisce, con la modifica del Titolo V che conoscete meglio di me, un principio che non abbiamo ancora acquisito: gli amministratori locali rispondono ai cittadini e lo Stato siamo tutti noi, tutti.
Se leggete questa interessante relazione del dottor Grisolia, ad un certo punto noterete che egli si lascia andare: Egli è convinto di essere un grande dirigente centrale di uno Stato ottocentesco, come Bismarck, che è più illuminato di altri - come se noi fossimo degli «sciamannati» - e che ci spiega, in tutta buona fede, come si faceva nello Stato austroungarico, cosa ha funzionato, cosa non ha funzionato, dove siamo stati bravi, ci fa i complimenti o ci rimprovera.
Gli enti locali hanno chiesto al Ministro Calderoli di procedere con questa grande riforma, superando resistenze conservatrici che, come lei ricordava prima, anche noi enti locali in certi momenti abbiamo avuto. Ad esempio, le province - ma anche i comuni, interessati da un accorpamento - se non hanno almeno un'area di 500 mila abitanti o una certa dimensione geografica non hanno senso. La questione delle circoscrizioni, dei direttori generali, dei risparmi: non è l'indennità degli amministratori locali che crea risparmi in quanto è risibile.
Sull'introduzione di una norma come quella dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2009, voluta dal Ministero dell'economia e delle finanze, il dottor Grisolia scrive - anche se precisa che l'avete introdotta e votata voi, ma è una banalità perché è ovvio che l'abbia votata il Parlamento - che non funziona, sta penalizzando l'economia. Ma allora, onorevoli, modifichiamola.
Se abbiamo l'obiettivo formidabile di una riforma condivisa, quella cosiddetta del federalismo fiscale, in questa fase transitoria siamo in difficoltà. Insieme a noi, però, ne risente anche il rapporto coi cittadini, perché sul rapporto con i cittadini ne rispondiamo noi, nel bene e nel male.
Noi riteniamo che il patto così non funziona. Sulle premialità, stiamo discutendo quali possano essere. Le regole attuali non funzionano neanche con riferimento alla premialità: con tutto rispetto per Catania, la situazione è disarmante.
C'è anche un problema di efficienza. Noi enti locali, sulle spese di amministrazione, gestione e controllo, e su quelle di personale, a volte abbiamo dei problemi, perché si riconosce che un parametro di virtù dovrebbe essere tra 24 e 28. A volte lo superiamo, arriviamo a 37. Vuol dire adoperare la leva del personale, e non va bene. A Milano è molto più alto che a Roma, e li c'è una penalità; ma se si recuperano, ad esempio, dei residui passivi, come tanti enti fanno, quello sì che è un grande criterio d'efficienza legato ai pagamenti, che va premiato. Se si realizzano investimenti - ad esempio da parte delle province - allora la premialità deve essere prevista in un certo modo.
La sostanza è che ci dovreste gentilmente aiutare in questa fase. Presidente Giorgetti, forse non lo stiamo dicendo con tanta forza, ma stiamo anche pensando a manifestazioni eclatanti, perché quando si introduce una norma come l'articolo 9 del


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decreto-legge n. 78 del 2009 significa che, chi l'ha pensata, non ha mai fatto l'amministratore e non si rende conto quale effetto avrà sull'economia.
Presidente Giorgetti, noi non facciamo più le gare. Cominciamo con il sopprimere l'articolo 9 inserendo una tale previsione nel decreto-legge sugli enti locali. Intanto questo. È banale. Nel frattempo, stiamo ridisegnando il patto di stabilità e siamo pronti a fare la nostra parte.

PRESIDENTE. Ci concentreremo quindi sull'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2009.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna di una sintesi delle problematiche locali redatta dall'ANCI (vedi allegato 1), di una nota dell'UPI redatta in occasione della audizione odierna (vedi allegato 2) e di una ulteriore nota dell'UPI sulla finanza provinciale (vedi allegato 3).
Nel ringraziare nuovamente i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,30.

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