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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
3.
Mercoledì 5 dicembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 5603, RECANTE DISPOSIZIONI PER L'ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO DEL PAREGGIO DI BILANCIO AI SENSI DELL'ARTICOLO 81, SESTO COMMA, DELLA COSTITUZIONE

Audizione del Direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d'Italia, Daniele Franco:

Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 8 9 10 11 13 16
Baretta Pier Paolo (PD) ... 9
Bitonci Massimo (LNP) ... 8
Brunetta Renato (PdL) ... 11
Cambursano Renato (Misto) ... 10
Ciccanti Amedeo (UdCpTP) ... 10
Duilio Lino (PD) ... 12
Franco Daniele, Direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d'Italia ... 3 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta antimeridiana di mercoledì 5 dicembre 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

La seduta comincia alle 8,35.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del Direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d'Italia, Daniele Franco.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della proposta di legge C. 5603, recante disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione, l'audizione del Direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d'Italia, Daniele Franco.
Accompagnano il dottor Franco - che conosciamo bene essendo uno dei soggetti auditi per consuetudine dalla Commissione bilancio - il dottor Sandro Momigliano e il dottor Fabrizio Balassone, che ringrazio per essere intervenuti.
Do la parola al dottor Franco per lo svolgimento della relazione.

DANIELE FRANCO, Direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d'Italia. Noi pensiamo che questa legge rinforzata sia particolarmente importante, perché dà attuazione al cambiamento della Costituzione e perché è coerente nelle linee generali con le regole europee ma, soprattutto, perché affronta alcuni dei problemi principali della nostra finanza pubblica.
Abbiamo avuto, come sappiamo tutti, una difficoltà nell'ultimo quindicennio nel raggiungere gli obiettivi di bilancio, nel ridurre significativamente il livello del debito pubblico e questo ci ha condizionato fortemente durante tutti questi cinque anni di recessione. Ciò ci ha impedito, dal 2008 al 2010, politiche discrezionali espansive, e ci ha obbligato a politiche fortemente restrittive in questo secondo giro di recessione dell'anno scorso e durante quest'anno.
Una parte significativa dei problemi di finanza pubblica è dovuta anche all'insieme di regole che abbiamo avuto, a una difficoltà di controllo della spesa pubblica, a valutazioni non sempre prudenziali degli effetti delle misure correttive e degli andamenti tendenziali dei conti, a problemi di coordinamento dei diversi livelli di Governo e, anche, a una mancanza di meccanismi di compensazione, negli esercizi successivi, delle deviazioni dagli obiettivi di bilancio.
Ovviamente, questo insieme di regole è molto importante per risolvere questi aspetti e dovremmo essere consapevoli che è importantissimo, accanto a questo insieme di regole, anche avere meccanismi che assicurino un'efficiente gestione della spesa pubblica. Le regole di bilancio funzionano


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bene, meglio, se possono contare su una gestione efficiente della spesa pubblica e del sistema di prelievo.
D'altro canto, è bene disporre di un sistema di regole che aiuti una buona allocazione delle risorse a tutti i livelli di Governo. A nostro avviso, questo cambiamento, che in qualche modo definisce meglio i vincoli di bilancio per tutti i livelli di Governo, può aiutare, a sua volta, ad avere regole migliori anche per la gestione a livello microeconomico della spesa pubblica e delle entrate.
Ovviamente, l'Italia non è l'unico Paese che ha avuto problemi di questo tipo, di controllo del disavanzo e del debito. A livello europeo, sono state intraprese negli ultimi anni varie riforme che hanno cercato di spingere tutti i Paesi europei verso un'architettura di finanza pubblica più efficace. I Paesi membri dell'Unione, con una o due eccezioni, si sono assunti l'impegno di introdurre a livello nazionale regole numeriche nelle proprie procedure di bilancio, meccanismi correttivi per correggere eventuali deviazioni dagli obiettivi e hanno anche indicato come sia importante l'introduzione di organismi indipendenti per la valutazione degli andamenti dei conti pubblici.
A noi sembra che la proposta di legge che commentiamo oggi risponda a queste esigenze di cambiamento, a quanto è stato deciso a livello europeo e che possa portare a un miglioramento dell'assetto italiano della finanza pubblica.
Giudichiamo alcuni aspetti molto importanti: la centralità, per esempio, del saldo strutturale è importante per consentire un utilizzo anticiclico del bilancio pubblico. L'Italia ha sistematicamente sofferto di vincoli di bilancio, che ci hanno impedito margini per attuare politiche anticicliche, in passato, e anche in questo specifico momento.
Ci sembra importante, inoltre, disporre di un insieme di regole che, in qualche modo, colleghino la programmazione aggregata dei conti pubblici alle scelte concrete di bilancio dei singoli enti e riteniamo che questo progetto di legge porti a questo.
Apprezziamo molto l'enfasi sul controllo della spesa pubblica e sull'introduzione di una regola sulla spesa pubblica. Ciò può aiutare la programmazione della spesa, migliorare l'allocazione delle risorse pubbliche e portare anche più trasparenza nelle decisioni di spesa.
Ancora, apprezziamo che vi sia un meccanismo per il rientro automatico da eventuali scostamenti, per prevenire ciò a cui si è assistito più volte in passato, e cioè che a un primo scostamento non segua poi una correzione del medesimo.
Giudichiamo positivamente, inoltre, che si istituisca un organismo indipendente con lo scopo di monitorare la situazione e assicurare che le nuove regole restino efficaci nel tempo.
Pensiamo che alcune integrazioni all'assetto definito nel disegno di legge possano essere opportune al fine di accrescerne l'efficacia. Si tratta di integrazioni che descriverò più avanti, ma che riassumo: innanzitutto, qualche integrazione sui meccanismi per la compensazione degli scostamenti dagli obiettivi, avendo in mente soprattutto la dinamica del debito; in secondo luogo, per la finanza locale, un rafforzamento dei meccanismi di rientro da eventuali scostamenti; in terzo luogo, una maggiore forza vincolante dei limiti di spesa; da ultimo, si può forse affinare anche la definizione delle modalità di attuazione dell'organismo indipendente, rafforzandone gli elementi di autonomia, con la mente volta soprattutto, come dirò in seguito, ad aspetti gestionali interni.
Mi concentrerò soprattutto su questi aspetti, che giudichiamo suscettibili di miglioramenti. Vi sono, quindi, moltissimi altri aspetti positivi che, come già sottolineato, riteniamo positivi e sui quali non mi soffermerò. Non mi soffermerò sul contenuto della legge di bilancio.
Venendo al primo punto, la questione trattata nella documentazione che depositiamo sul pareggio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, pensiamo che, con riferimento all'equilibrio del bilancio, una buona regola dovrebbe rispondere a un certo numero di princìpi generali: riferirsi al complesso delle amministrazioni


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pubbliche; essere coerente con il sistema di contabilità europeo, il SEC95; consentire un utilizzo anticiclico della finanza pubblica; far riferimento anche ai saldi di cassa, in quanto sono importanti per la sostenibilità del debito, ma anche perché la cassa è ciò che può essere monitorato in tempi brevi, sostanzialmente giorno per giorno. È importante, inoltre, nella regola posta, che si possano attuare procedure di verifica a posteriori al fine di correggere eventuali scostamenti e che si assicuri la massima trasparenza evitando fenomeni di aggiramento. Noi pensiamo che la proposta formulata, il disegno di legge, sia coerente con questi princìpi.
Come vi anticipavo, sotto questo profilo l'aspetto che troviamo più critico, quindi più suscettibile di un miglioramento, è quello dei meccanismi di correzione di eventuali scostamenti dagli obiettivi che, secondo l'indicazione europea, dovrebbero essere quanto più automatici possibili.
Un primo aspetto da sottolineare è che qui si fa la correzione sul saldo di bilancio, sul saldo strutturale, mancando invece, nel testo in esame, un meccanismo di correzione degli scostamenti rispetto agli obiettivi per il debito. Ora, se guardiamo da lontano la nostra finanza pubblica, è proprio l'elevato livello di debito il nostro problema principale, in particolare adesso con riferimento ai disavanzi. È il debito, infatti, ciò di cui dobbiamo soprattutto preoccuparci e qui, per esempio, nel preambolo sul fiscal compact si indicava esplicitamente che un qualche meccanismo di correzione - rispetto al mancato conseguimento degli obiettivi sul debito - sia opportuno.
Altro aspetto da sottolineare è che siamo in presenza di una regola in qualche modo «senza memoria». Se, cioè, vi è uno scostamento da un obiettivo, si chiede al Governo di rimettersi in carreggiata; se, però, vi è poi un nuovo scostamento, glielo si chiede ancora una volta, e così via, quindi, si tratta di una regola senza memoria.
In altri Paesi, in particolare in Germania, si è introdotta una regola che cerca di tener conto degli scostamenti passati, ai fini soprattutto della dinamica del debito. In Germania si è introdotto un conto nozionale in cui vengono indicati gli scostamenti sia in senso negativo sia in senso positivo degli anni precedenti. Quando si supera un certo livello massimo negativo in questo conto nozionale, il Governo è obbligato a intervenire in modo più forte nelle correzioni di quanto non faccia normalmente.
Forse una riflessione su questo potrebbe essere opportuna. Comprendiamo che, ovviamente, un meccanismo di questo tipo non sia semplicissimo, ma il rischio è che si introduca una buona regola che, però, non funzioni. Questo meccanismo potrebbe aiutare a renderla un po' più cogente.
Sotto questo profilo, anche un ruolo per l'organismo indipendente potrebbe essere, forse, esplicitato maggiormente. Nel momento in cui vi fosse uno scostamento e questo assumesse proporzioni significative, forse il ruolo dell'organismo indipendente potrebbe essere qui accentuato come strumento per attivare una correzione. Diversamente, il rischio è che tutto sia un po' lasciato alla discrezionalità del Governo. La norma è scritta molto correttamente, ma presuppone che il Governo la faccia poi propria, altrimenti il rischio è che non funzioni.
Inoltre, non si prevede una correzione più forte in presenza di fasi congiunturali favorevoli. Questa era l'indicazione data a livello europeo: una correzione dovrebbe normalmente ammontare a meno dello 0,5 per cento, ma quando le fasi fossero più favorevoli forse una correzione un po' più significativa potrebbe essere opportuna.
Ultimo punto con riferimento alla questione appena trattata: ovviamente, è importante, benché assente da questa norma, evitare comportamenti elusivi, che vi siano strumenti che possano aggirare la norma. Ho in mente, ad esempio, l'utilizzo dei debiti commerciali, cui spesso sono ricorsi in passato enti pubblici che non riuscivano a rispettare i vincoli di bilancio e che si sono indebitati presso i fornitori. Ora il nostro sistema produttivo paga questo comportamento in modo molto pesante.


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Quanto all'utilizzo, da parte degli enti locali, di società controllate, in cui si «parcheggiano» i deficit per un certo numero di anni, questo è un aspetto non presente nella norma. Ovviamente, ci sono stati progressi negli ultimi anni sotto il profilo sia della normativa per i debiti commerciali sia dei bilanci consolidati delle società controllate con gli enti che le controllano, ma è importante che altre norme impediscano comportamenti elusivi.
Una sezione della documentazione depositata agli atti è dedicata al ruolo degli enti decentrati. Naturalmente, è estremamente importante, dato il peso che essi rivestono in Italia, che siano chiamati a far parte a pieno titolo di quest'architettura di regole della finanza pubblica. Fondamentale è sia rispettare l'autonomia finanziaria degli enti - questo è anche un po' l'aspetto sottostante del processo di decentramento italiano - sia coinvolgerli nel raggiungimento degli obiettivi. Pensiamo che la regola, così come congegnata, rappresenti un buon punto di equilibrio tra responsabilità e coinvolgimento e che questo punto di equilibrio passi per il riferimento al saldo di bilancio. Si chiede all'ente, infatti, di rispettare il saldo di bilancio, nella libertà di prendere le sue decisioni all'interno delle proprie entrate e spese. La definizione delle regole di spesa per gli enti deve essere demandata all'autonomia decisionale dei singoli enti.
La norma prevede il pareggio di bilancio di parte corrente e il pareggio complessivo in termini nominali, sia di cassa sia di competenza e che sia valutato anche a consuntivo: su questo siamo d'accordo. Inoltre, vi è un punto nuovo anche per questi enti, su cui forse un miglioramento potrebbe essere possibile: è il meccanismo di riequilibrio. Si chiede agli enti di assicurare il recupero di un eventuale sconfinamento entro il triennio successivo, per cui - grosso modo - si concedono tre anni, se capisco bene, per recuperare uno squilibrio. Questo fa sì, però, che il secondo e il terzo anno l'ente che nel primo anno ha realizzato lo squilibrio si trovi con un vincolo di bilancio meno stringente dell'ente «buono» che è sempre stato in equilibrio. Qui, forse, una maggiore cogenza potrebbe essere opportuna, e potrebbe essere auspicabile che, se un ente va in squilibrio un anno, debba avere un avanzo negli anni immediatamente successivi, che sia cioè obbligato a rientrare.
Nel caso in cui gli sconfinamenti si ripetano e vi sia una reiterata violazione delle procedure, potrebbe essere opportuno considerare meccanismi più forti per porre sotto controllo gli enti con sistematici sconfinamenti, ad esempio applicando le procedure previste nei casi di dissesto finanziario.
Altro aspetto problematico è rappresentato dal fatto che agli enti è richiesto un pareggio in termini nominali, ciò che riteniamo assolutamente opportuno, ma questo comunque li espone agli effetti del ciclo economico sulle proprie entrate: è, infatti, inevitabile e può portare a livello locale a politiche procicliche. In questo caso, riteniamo che la soluzione prospettata che il Governo centrale si faccia carico di questi aspetti sia assolutamente opportuna e che rappresenti una buona soluzione.
Un aspetto di cui bisognerà tenere conto quando il decreto che regolerà tale aspetto sarà emanato è che gli effetti del ciclo economico sui vari enti territoriali sono diversi, perché la struttura produttiva è diversa nei diversi enti. Lo vediamo anche in questo periodo in cui la recessione colpisce le regioni italiane in modo diverso, a seconda se sono più forti nelle costruzioni, nel manifatturiero, sull'esportazione. Riteniamo che quest'aspetto problematico sia inevitabile, ma che nella fase successiva forse richiederà una riflessione.
Ciò che conta è che, come in altri Paesi, la struttura delle entrate e dei trasferimenti dal centro alla periferia non siano congegnati in modo da limitare gli effetti del ciclo economico sulle entrate degli enti. Ovviamente, questa proposta di legge interviene su un contesto in cui il decentramento italiano non è ancora completato con riguardo alla struttura dell'imposizione e della perequazione, e questo, ovviamente, rende il tutto un po' più difficile.


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È richiesto, inoltre, agli enti decentrati di contribuire anche alla sostenibilità del debito pubblico. In questo caso, si interviene sul meccanismo della cosiddetta golden rule introdotta nel 2001. Gli enti possono, dunque, indebitarsi solo a fronte di spese per investimento, ma la condizione aggiuntiva rispetto al 2001 è che, per il complesso degli enti di ciascuna regione, deve essere rispettato l'equilibrio di bilancio. La giudichiamo una buona soluzione, ma occorrerà, nella fase successiva, gestirla bene sotto il profilo tecnico: anche qui vi sarà un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Essenzialmente, infatti, all'interno di ogni regione si crea una situazione in cui, opportunamente, qualcuno un anno si indebiterà, qualcun altro avrà un disavanzo.
Occorre che gli incentivi per far questo siano buoni. Se, infatti, chi gestisce un comune un anno avrà un surplus, che si decide di collocare nella «pentola» comune, dovrà essere certo che negli anni successivi questo possa essere utilizzato. So che è facile a dirsi, ma che a farsi può richiedere qualche affinamento. Riteniamo, però, che questa rappresenti di per sé una buona soluzione, che forse nella fase successiva andrà attuata bene.
Un aspetto che potrebbe risultare forse un po' problematico è il ruolo delle regioni che sono parte del gruppo di enti - insieme a province e comuni - che potranno attingere a quest'insieme comune di finanziamenti, ogni anno, per effettuare investimenti. Sono, però, anche l'ente più grosso che dovrebbe gestire il meccanismo. Questo può creare loro un conflitto di interessi, per cui si tratta di un aspetto che forse andrà regolamentato più avanti e che ci limitiamo a segnalare.
Quanto alle regole di spesa, illustrate in un'altra sezione della documentazione depositata, ricordiamo dei buoni motivi per averne: le entrate pubbliche, ad esempio, riflettono essenzialmente gli effetti dell'andamento del ciclo economico, mentre le regole di spesa sono più strettamente controllate dal Governo. Inoltre, una regola di spesa come quella prospettata nel progetto di legge in esame mi sembra molto positiva, così come il fatto che questa sia collegata alle regole europee che guidano una dinamica della spesa collegata alla crescita del prodotto interno lordo.
Anche in questo caso, però, forse qualche affinamento potrebbe essere opportuno. Di norma, infatti, i tetti di una regola di spesa dovrebbero essere cambiati raramente, non in continuazione; d'altro canto, il cambiamento del tetto di spesa dovrebbe essere molto visibile all'opinione pubblica. Ciò non deve essere impossibile perché, ovviamente, le circostanze cambiano, quindi non si può pensare a un tetto di spesa per un triennio e che questo sia scritto nel marmo. Tuttavia, il cambiamento del tetto deve essere molto visibile, soluzione adottata, ad esempio, in Svezia. Vediamo qui, invece, un assetto in cui le revisioni annuali degli obiettivi possono, in realtà, riguardare l'intero orizzonte e non ci sembra che richiedano una specifica procedura a livello parlamentare. Forse, allora, rendere assolutamente non impossibili, ma un po' più difficili i cambiamenti dei tetti di spesa e richiedere una procedura parlamentare ad hoc - che segnali all'opinione pubblica questo cambiamento - potrebbe essere opportuno.
Veniamo all'organismo indipendente. Esistono esperienze di vari Paesi, una letteratura economica sull'importanza dell'organismo indipendente e non ripeterò le argomentazioni a favore. Come dicevo, apprezziamo molto il fatto che l'organismo indipendente sia introdotto in Italia. Su questo argomento, i punti importanti sono rappresentati dalle funzioni, dall'effettiva indipendenza e dall'organizzazione interna, dalla disponibilità di risorse umane e finanziarie adeguate. Pensiamo che la lista delle funzioni vada bene, che tutti i punti indicati siano opportuni e necessari. Sotto il profilo dell'indipendenza, è importante che, come dice la norma costituzionale, si tratti di un organismo costituito «presso le Camere», non un organismo


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parlamentare in senso stretto, e che l'organizzazione dell'organismo tenga conto di essere presso le Camere.
Le norme sul personale, quindi, dovrebbero prevedere procedure pubbliche di selezione aperte a tutti i possibili esperti, a tutti i tecnici che possono apportare un contributo, che si pensi a un nucleo di personale a tempo indeterminato che costituisca il pilastro delle persone che lavorano nell'organismo. Conterà, in quest'ambito, la competenza tecnica, non tanto la provenienza da un ente o dall'altro, fosse anche dalla Banca d'Italia. L'organismo dovrebbe reclutare il personale nel Paese scegliendolo tra le persone più adatte, a prescindere dal loro luogo di lavoro precedente. È, inoltre, importante mantenere una certa separatezza ed evitare conflitti di interesse per le persone distaccate, che dovrebbero essere collocate fuori ruolo.
Segnalo un appunto sulla scelta del direttore generale: non credo sia forse una soluzione appropriata, con tutto il rispetto e l'amicizia per tutti i colleghi delle amministrazioni parlamentari, che questi debba essere un membro delle stesse. È bene, invece, che si tratti soltanto di una persona competente e, con riferimento al processo di nomina, deve essere di fiducia del presidente dell'organismo indipendente.
Pensiamo sia importante che l'organismo possa definire in piena autonomia la propria attività e, forse, dovrebbe essere esplicitamente affermato che l'organismo decide il proprio programma di attività e, chiaramente, che il suo mandato istituzionale è diverso - e distinto - da quello dei servizi parlamentari, competenti in materia di bilancio.
L'ultimo punto riguarda il vertice dell'organismo. Riteniamo che una soluzione monocratica sia più opportuna: innanzitutto, perché nel futuro sarà più facile attirare una persona di elevato profilo; in secondo luogo, occorre assolutamente evitare che l'organismo indipendente si presenti con facce diverse, che magari hanno opinioni diverse, perché riflettono carriere precedenti o mandati diversi.

PRESIDENTE. Come al solito, il contributo della Banca d'Italia è di grande stimolo.
Credo di non sbagliare affermando che il principale appunto di riflessione - anche gli altri elementi critici sono, ovviamente, interessanti - sia quello relativo alla sostenibilità del debito, quindi del conto nozionale. Mi sembra un elemento strategico su cui valga la pena riflettere.
Già ieri, nel corso delle rispettive audizioni, sia l'ISTAT sia la Corte dei conti hanno sfiorato l'argomento, non centrando esattamente il punto come ha fatto oggi la Banca d'Italia, che rappresenta sicuramente un tema importante. Il riferimento all'assenza di memoria mi ha particolarmente colpito, credo abbia urtato la nostra suscettibilità, mentre avevo - per così dire - «snobbato» il conto nozionale.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MASSIMO BITONCI. Ringrazio la Banca d'Italia, a cui rivolgo una domanda molto specifica: a vostro avviso, come si concilia questo principio di pareggio di bilancio con il fatto che ci sono degli evidenti comportamenti elusivi, soprattutto quando si parla di gestione dei residui perenti?
Abbiamo avuto esempi eclatanti in Commissione bilancio in occasione dell'audizione dei rappresentanti della sezione siciliana della Corte dei conti. Questo discorso è collegato al fatto che la maggior parte di questi residui sono, magari, crediti inesigibili, quindi ai fini del pareggio di bilancio questi non andrebbero conteggiati.
Una seconda domanda riguarda, in maniera più specifica, gli enti locali. Abbiamo letto nella documentazione depositata che l'indebitamento degli enti locali, di comuni, province e regioni contribuisce per una minima parte al debito pubblico complessivo, solamente un 6 per cento: sono corretti, a vostro avviso, questi vincoli di debito, in questi anni molto rafforzati attraverso il patto di stabilità degli enti locali, ma anche proprio attraverso una


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limitazione dell'indebitamento, che è passato dal 10 per cento all'8, e poi al 6 per cento, quindi con riduzioni progressive molto forti? Noi andiamo a limitare la possibilità di indebitamento degli enti locali, che contribuiscono in maniera molto limitata, secondo quanto lei ha illustrato, mentre non esistono vincoli molto stringenti, come ha ripetuto poco fa, circa la possibilità di indebitamento da parte dello Stato. Desidererei un vostro ulteriore commento su questo.

PRESIDENTE. Dopo le proposte della Banca d'Italia si diventerà ferrei anche nei confronti dello Stato.

PIER PAOLO BARETTA. Anch'io ringrazio sinceramente la Banca d'Italia per questo contributo. La discussione che ci ha portato a scegliere tra pareggio ed equilibrio, è stata degna - lo dico senza ironia - di una dotta discussione teologica medioevale. Quindi aveva ovviamente, come le dotte discussioni teologiche medioevali, una ragione ben precisa, inerente ai margini, pur nella discussione convinta del fiscal compact - delle regole, del problema della centralità del rientro, senza nessuna fuga da questo - della politica economica di un Governo. Si tratta di capire come possiamo garantire che, da un lato, i Governi si attengano rigorosamente alle regole europee ma, dall'altro, non siano impediti, a fronte di varie situazioni, ad agire nella loro giusta autonomia: mi riferisco a un Governo sano, non ad un Governo perverso, nel qual caso non accederemmo a nessuna riflessione, che lavori per il bene del Paese e riesca a muoversi pur rispettando le problematiche derivanti dal fiscal compact.
Non mi dilungo, infatti, perché lo citate anche voi, sul fatto che tutto l'articolo 81 della Costituzione è ispirato al concetto di equilibrio, al concetto di ciclo economico: anche le politiche di rientro debbono in qualche modo essere coerenti con questo principio generale. Ho trovato molto interessante la vostra riflessione e mi ha colpito il problema dell'assenza di memoria, che giudico un percorso che può aiutarci a ragionare, così come l'esempio tedesco illustrato.
Il punto, tuttavia, è questo: la definizione rigida di percentuali, ad esempio, che anche nella nostra proposta è contenuta, a me fa riflettere. Nel momento in cui dobbiamo rientrare, ci vincoliamo a numeri precostituiti che mettono in discussione - diciamo - la lealtà politica del Governo alle regole europee; dall'altro, però, pongono in una posizione ragionieristica - il termine non è offensivo, io sono ragioniere - l'approccio a una questione molto più rilevante.
In questo senso, mi piacerebbe che potesse approfondire il tema, se può, nella sua risposta, perché mi convince fino a un certo punto il ragionamento che avete svolto su questo versante. Lo capisco, trovo la strada da voi indicata anche interessante da approfondire, ma un'interpretazione non della Banca d'Italia, ma di addetti ai lavori, di altri istituti e uffici che, per esempio, potrebbero far parte, anche giustamente, dell'organismo, potrebbe interpretare in maniera esclusivamente burocratica il problema del rientro. Mi rendo conto che la sommatoria dei rientri è un problema, scostamento più scostamento, ma qual è il margine di flessibilità che concediamo a un Governo che per scelta dobbiamo considerare serio? Diversamente, infatti, è inutile che perdiamo tempo a discutere. Questo mi pare un punto sul quale anche il nostro testo ha bisogno di un approfondimento.
Ovviamente, a caduta, ne deriva lo stesso, anche se in maniera meno appassionata, per gli enti locali, benché capisca che forse in quel caso, se la logica è quella di un consolidato nazionale, dentro quello bisogna essere più stretti.
Vengo all'ultima osservazione. Noi non abbiamo scelto il vertice monocratico per l'organismo indipendente, mentre a vostro avviso - come in alcune proposte presentate al Senato - prevale quell'idea. Può spiegarci meglio e più estesamente perché tra le due opzioni ritenete la soluzione monocratica più convincente di quella a cui abbiamo pensato noi?


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PRESIDENTE. Basta che non siano in due!

RENATO CAMBURSANO. Vorrei ringraziare davvero sentitamente, come si usa dire, il dottor Franco per quest'ottima relazione. Non solo ci ha offerto spunti davvero interessanti, ma «fuori sacco» mi verrebbe quasi da chiedere di ritardare, almeno di qualche ora, la scadenza per la presentazione degli emendamenti al provvedimento in esame, perché sono davvero tanti gli spunti e i suggerimenti che ci sono stati offerti.
Ciò premesso, credo sia ben noto a tutti quale sia lo stato di salute del nostro Paese, in particolare per quanto riguarda gli enti locali. Forse perché provengo da quell'esperienza anch'io, come sindaco e assessore provinciale, ho l'idea che, se si vuole far davvero ripartire questo Paese in termini di crescita, non si può non passare attraverso gli investimenti. Oltretutto, sappiamo che oggi gli unici che potrebbero, in linea teorica - non pratica - fare ancora investimenti sul nostro territorio sono, per l'appunto, le autonomie locali.
Con questa proposta di legge di riforma è stata sì superata parzialmente la golden rule; personalmente, invece, avrei preferito che fosse inserito in riforma il suo mantenimento «tel quel», e cioè che fossero possibili, appunto, ancora gli investimenti, ma sappiamo che la posizione europea era un po' più rigida da questo punto di vista.
Credo, tuttavia, che si possa superare e, in qualche modo, reinterpretare il concetto senza uscire dal seminato e definendo in modo più preciso cosa si intende per investimento, avendo però in evidenza una questione per me di difficile comprensione. La regione o le singole regioni avranno, cioè, il ruolo - stiamo dialogando con la Banca d'Italia - di una sorta di stanza di compensazione proprio sul fronte degli investimenti delle autonomie locali, siano province o comuni, quel che sarà. Vorrei capire come potrà svolgere questo ruolo la singola regione, quale priorità dare territorialmente: in termini politici, territoriali, di bacini elettorali, o in altri? Questa è la ragione per cui credo che una definizione precisa di investimenti pubblici possa limitare la discrezionalità, che può rappresentare davvero il rischio di rendere alcuni territori deserti, ahimè, per miopia politica. Credo che questa preoccupazione debba essere in cima ai nostri pensieri se vogliamo davvero dar seguito, alle parole, i fatti.

AMEDEO CICCANTI. Mi unisco alle considerazioni di compiacimento per lo stimolo critico molto partecipato offerto da Banca d'Italia e dal dottor Franco in particolare.
Il mio problema, che lei ha colto molto seriamente, riguarda la questione del cedimento del surplus degli enti decentrati. Credo che questo, collegato a quanto sottolineava il collega Cambursano, sia l'elemento di criticità più decisivo, importante e il meno risolto, come anche lei ha evidenziato, una specie di rompicapo da risolvere.
Ci siamo già posti il problema quando abbiamo pensato, per esempio, di modificare il patto di stabilità interno per gli enti locali con un cosiddetto consolidato regionale, cioè non soltanto con il patto di stabilità verticale già esistente, reso tra l'altro obbligatorio, ma anche orizzontale. Si sarebbero, infatti, cedute - come dire - aree differenziali da un comune virtuoso a un altro, che magari ha avuto problemi, il tutto all'interno di una regione, con una gestione, da parte della stessa regione, secondo criteri di priorità e proporzionalità. Fin qui va tutto bene, perché di anno in anno si possono compensare queste situazioni, c'è una sorta di diritto di recesso. L'anno successivo, infatti, non si cede se non si hanno più queste aree differenziali positive, ma nel caso specifico non ci si può regolare in tale modo. Se, infatti, il tutto è calcolato, ad esempio, nell'arco di un triennio, mentre abbiamo la necessità addirittura di spostare a 5 anni il rientro dei bilanci di alcuni enti locali - ed è una cosa che ci è richiesto dagli enti locali - lei affermava invece che già l'anno successivo bisogna essere più rigidi e imporre l'avanzo.


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Francamente, adesso ci troviamo in questa strana difficoltà, per cui gli enti locali ci chiedono addirittura di allungare da 3 a 5 anni il rientro, mentre secondo lei già nel secondo anno bisognerebbe creare l'avanzo. Per noi è un problema politico e vorremmo anche sapere se può aiutarci nella veste critica della sua partecipazione, che ha mostrato, con un utile contributo di approfondimento maggiore su questo tema.

PRESIDENTE. Su questo tema, peraltro, ieri la Corte dei conti ha avuto sfumature diverse.

RENATO BRUNETTA. La riflessione che vorrei porre è di contesto, come ho cercato di fare anche ieri, nel corso dell'audizione dell'ISTAT.
È indubbio che gli impianti di cui stiamo discutendo, dal six-pack al fiscal compact, alla nostra riforma dell'articolo 81 della Costituzione, fino a questa normativa tramite legge rinforzata e ai regolamenti che verranno, sono tutti condizionati oggettivamente, ineludibilmente, dalla crisi che stiamo vivendo.
Probabilmente, non avremmo scritto il six-pack, il fiscal compact, non avremmo cambiato l'articolo 81 della Costituzione, non staremmo a scrivere questo testo se non fossimo immersi nella crisi, che ha varie nature, ma la cui genesi non è ancora stata ben studiata e ben spiegata.
È crisi dei debiti sovrani? Di credibilità dei singoli Paesi all'interno dell'area dell'euro? Di costruzione dell'euro stesso? Si ragionava col dottor Franco, prima di quest'incontro, sul fatto che, ad esempio, il famoso dividendo di Maastricht, vale a dire l'abbassamento dei tassi di interesse al di là del merito di credito dei singoli Paesi, molto probabilmente per i Paesi non virtuosi o non particolarmente virtuosi si è tradotto in un incremento di domanda, che ha prodotto squilibri nelle bilance commerciali e nella bilancia dei pagamenti, quindi addirittura un dono, un dividendo che diventa avvelenato in ragione della natura dei singoli Paesi o dei non processi di riforma presenti nei singoli Paesi.
Per questa ragione, in questo processo di definizione regolativa, parametrica, procedurale, di legificazione, chiederei un po' di attenzione o un po' di spirito critico, e cioè, certamente, regole che obblighino a comportamenti virtuosi, ma anche regole virtuose che obblighino a comportamenti intelligenti.
Se ci poniamo, infatti, nel sentiero stretto della parametrizzazione, della regolazione, dei meccanismi automatici, dei vincoli, dei sentieri di rientro predefiniti, rischiamo di banalizzare e appiattire la politica economica quasi al meccanismo di pianificazione di sovietica memoria, in cui era tutto previsto, tutto scritto, con il risultato che gli obiettivi non si raggiungevano mai o, meglio, per raggiungerli si decidevano obiettivi banali, in modo che fossero facilmente raggiungibili.
Il sentiero stretto che abbiamo è, quindi, da un lato, quello di esigenze di rigore, dall'altro, quello dell'esigenza di intelligenza adattiva - la chiamerei così - con riferimento alle nature diverse delle crisi, agli impatti differenziati delle crisi nei singoli Stati, nei singoli enti, nei singoli territori: altro è una crisi per ragioni di domanda, altro una crisi per ragioni strutturali o infrastrutturali o di inefficienza nell'offerta, e così via.
Pertanto, siccome in questa fase, ancorché ristretta nel tempo, siamo legislatori, appunto, chiederei in questo processo a tutti lo sforzo di coniugare certamente le regole, ma con regole flessibili e intelligenti, e di lasciare sempre e comunque all'intelligenza del policy maker l'applicazione adattiva delle regole.
Cito solo un esempio. Sul tema dei tetti di spesa, giustamente il dottor Daniele Franco sosteneva che bisognerebbe essere precisi, dare manifestazione degli stessi: ricordiamo tutti, però, cosa è successo nel 2011 negli Stati Uniti, quando nel dibattito parlamentare sui tetti di spesa e anche sulla loro enfatizzazione politica, si sosteneva che era una procedura dovuta per cui addirittura si dichiarava ai giornali il default per la finanza federale americana, che non si sarebbero pagati più gli stipendi e così via. Per fortuna, una banca centrale


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vigilava, aveva tutti i bazooka carichi ed era pronta, ma se ci fossero stati degli spiriti un po' più sottili e delle banche centrali un po' meno attrezzate a rispondere, quel dibattito sui tetti di spesa, sul default e sulla strumentalizzazione che su questi veniva fatta a livello di maggioranza e opposizione nel Congresso americano, molto probabilmente avremmo avuto un'impennata degli spread degna di miglior causa. Anche qui, l'enfatizzazione e la pubblicizzazione del cambiamento dei tetti di spesa ha il suo contraltare.
Quanto al resto - un'avvertenza a noi, grazie a Banca d'Italia per tutti i suoi suggerimenti - gradirei proprio che nei prossimi giorni valutassimo con grande attenzione, anche sempre in contatto con gli amici della Banca d'Italia, di individuare percorsi di comportamento regolativi, meccanismi che abbiano in sé intelligenza e flessibilità.

LINO DUILIO. Ringrazio, a mia volta, per questo testo depositato che definirei migliore di altri. Anche gli altri sono eccellenti, ma questo va oltre, perché ci aiuta anche in proposte che possono essere, se condivise, utilizzate per il nostro lavoro.
Porrei anch'io una domanda a carattere contestuale, ma che atterra subito. Voi parlate del bilancio in un modo assolutamente pregevole, ma che mi fa venire il dubbio che questo sia considerato un fine piuttosto che un mezzo, per cui sarebbe necessario porsi, nelle fasi favorevoli, obiettivi più ambiziosi del pareggio in termini strutturali.
Questo, a mio avviso, sottende una mutazione che sta intervenendo relativamente all'esercizio di riferimento. Una volta, infatti, parlavamo del bilancio con riferimento all'anno; adesso stiamo parlando di bilancio con riferimento a un arco temporale più ampio, probabilmente arriveremo a parlarne con riferimento a un ciclo specificando cosa sia, quanto dura e così via. Questo è anche giusto, perché abbiamo imparato a scuola che il frazionamento sull'anno è una convenzione «estetica».
Detto ciò, però, utilizziamo il bilancio, perché nelle sue pieghe vi sono risorse che dobbiamo destinare ai bisogni, e quindi, intanto, il principio a cui bisognerebbe tendere è il suo pareggio, non qualcosa che vada oltre il pareggio stesso. Io sono, se posso definirmi così, keynesiano o postkeynesiano. Se potessimo approfondire la questione, potremmo addirittura sconfinare nel filosofico e sostenere la tesi per cui è un po' immorale accumulare avanzi, che ci siano inerti in bilancio rispetto a bisogni che conosciamo per essere rilevanti. Oltretutto, la logica resta quella di risorse scarse. È una questione che ci accompagna da sempre.
Calato il tema nella problematica dell'evocato conto nozionale, non vorrei che alla fine diventasse un elemento di rigidità ulteriore. Nelle poche idee che mi sembravano chiare nella mia mente, avevo fissato il principio secondo il quale, con riferimento al debito, dovessimo procedere nel tempo attraverso un rientro che, ovviamente, agisse sul versante del numeratore e su quello del denominatore, concentrandoci adesso, ahimè, sul numeratore perché il denominatore è quello che è, e ancora non riusciamo a tirar fuori qualche idea preziosa sul versante della crescita. Tutti ne parlano, infatti, ma sinceramente non mi hanno ancora stupito idee eccellenti per uscire da questa situazione. I nodi sono, infatti, teorici, oltre che pratici, per cui mi concentro sul numeratore e vengo alla domanda.
Sono rimasto fermo all'idea che dovessimo procedere sul rientro dal debito all'interno di un parametro che tenesse sotto controllo il deficit e, inoltre, come peraltro abbiamo firmato, prevedesse che, a partire da una certa data, abbassassimo il debito pubblico - in particolare, col discorso degli avanzi - in vent'anni per circa 50 miliardi di euro all'anno. In questo modo, si doveva abbatterne 1000 e arrivare ai 900 che corrispondono al 60 per cento del nostro prodotto interno lordo.
Ritenevo questo modo di intendere comprensivo del percorso virtuoso dentro il quale vanno a inserirsi anche i discorsi


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degli scostamenti. Adesso, questo discorso sull'assenza di memoria porterebbe, sostanzialmente, a sostenere, se non ho capito male che, in presenza di uno scostamento dobbiamo prevedere il rientro, se necessario, perché si fronteggi lo scostamento, ma che dobbiamo anche contabilizzare l'incidenza sul debito dello scostamento, e quindi prevedere un'ulteriore correzione relativa allo scostamento. Questo significa, sostanzialmente, sommare le due cose con sacrifici che, peraltro, non capisco «che ci azzeccano» - diciamo così - col percorso virtuoso riassuntivo, sintetico di cui parlavo. Non è richiesto che si faccia questo sforzo supplementare, perché tutto è sussunto, appunto, nel percorso che dicevo.
Forse ho le idee un po' confuse, ma mi piacerebbe che chiarissimo un po' meglio quest'aspetto a evitare, come sottolineava il collega Brunetta, che ci infilassimo in una griglia di regole che possono diventare autoreferenziali, un po' fine a se stesse e che ci stringono al collo.
Inoltre, sui tetti di spesa, dobbiamo fare dei bilanci con una programmazione relativa agli anni successivi, al triennio e all'anno successivo dentro il triennio, che dice che abbiamo dei bisogni e che programmiamo questo ammontare di spesa. Ovviamente, poi ci rivolgiamo al versante delle entrate e gestiamo la nostra vita dei prossimi anni.
Tenendo conto delle regole europee e per evitare che anche qui il tetto di spesa diventi una regola rigida, che ci complica la vita, secondo lei, in coerenza con le indicazioni dell'Unione europea, non sarebbe preferibile che parlassimo di obiettivi di incrementi di spesa? Nel senso che l'Unione europea fissa dei tassi programmati per il livello della spesa, all'interno dei quali bisogna collocarsi, e quindi rappresentano un obiettivo che dobbiamo perseguire e conseguire. Siccome siamo costretti, comunque, a giustificare lo scostamento rispetto sia al tetto sia all'obiettivo, però, sempre tornando all'esigenza della flessibilità di cui dicevo prima, a mio modesto parere, forse potrebbe essere preferibile, proprio per lasciare quel margine di flessibilità, parlare di obiettivi da tenere presenti piuttosto che di tetti rigidi.
Condivido, sostanzialmente, la vostra posizione sull'organismo indipendente. Dobbiamo cercare di creare un organismo che non sia surrettiziamente una protesi di nessuno, né della Camera dei deputati né del Governo né di altri. Non dico che dobbiamo arrivare al CBO nella Camera - il CBO ha una certa consistenza, struttura, con più di 300 persone, milioni di euro - e potremmo dire, per quanto riguarda il bilancio, una serie di cose.
Nella mia idea, la Ragioneria generale dello Stato dovrebbe essere, forse, l'MBO del Governo e il CBO dovrebbe essere l'organo di consulenza del Parlamento, ma qui bisognerebbe rivedere molte questioni, per le quali non abbiamo tempo.

PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Franco per la replica, avvertendolo che abbiamo, al massimo, 10 minuti di tempo a disposizione prima della conclusione dell'audizione.

DANIELE FRANCO, Direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d'Italia. Cercherò di essere veloce. Spero di riuscire a rispondere alle molteplici sollecitazioni.
L'onorevole Bitonci pone il problema dell'elusione. Sì, assolutamente. Vi accennavo prima: occorre evitare meccanismi, a tutti i livelli di governo, che consentano elusioni a questa regola. Questo non è strettamente presente nel progetto di legge in esame, ma come evidenziavo, la questione dei debiti commerciali, dell'utilizzo di società controllate, tutto questo ovviamente va regolamentato e lei ha assolutamente ragione. A nostro avviso, aiuterebbe già un po' avere il doppio vincolo di cassa e competenza.
Quanto agli enti locali, è vero il dato sul debito degli enti e delle amministrazioni locali. Noi ci occupiamo delle statistiche italiane sul debito pubblico e ci risulta che il dato sia quello del 6 per cento. In passato, tuttavia, ma anche tutt'oggi, tra Stato ed enti locali c'è stata una commistione


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di trasferimenti, di ingerenze. È vero, allora, che parliamo del solo 6 per cento ma, nell'arco degli ultimi decenni, gli enti locali hanno ricevuto grossi trasferimenti dallo Stato: è complicato, allora, sostenere che rispondono soltanto del 6 per cento del debito pubblico complessivo. Formalmente, ha assolutamente ragione. La sostanza della nostra storia della finanza pubblica è stata molto complicata.
Quanto all'eccessiva richiesta che rivolgiamo agli enti locali, questo è un aspetto che sta fuori dal testo in esame. Qui si chiede il pareggio di bilancio, nulla su quali devono essere i loro livelli di spesa e di entrata. Credo, quindi, che sia importante che tutti gli enti sappiano di dover rispondere con un pareggio di bilancio, perché questo dà dei buoni incentivi anche all'interno degli enti per gestire al meglio le proprie risorse essendo consapevoli di non poter chiedere poi a qualcun altro, per esempio allo Stato, di sopperire a posteriori a eventuali squilibri. È importante che ciò non accada più. È una strategia che può favorire buone scelte. Non risolverà tutto, ma può essere di aiuto. Altro, però, è definire a quanto devono ammontare le spese e le entrate degli enti locali: questa è una decisione che sta altrove, sul processo di decentramento, sul federalismo fiscale.
L'onorevole Baretta pone un problema di flessibilità. Il tema, ovviamente, è stato sollevato da più d'uno. Un insieme di regole sui saldi limita in qualsiasi momento del tempo la flessibilità: con un Governo assolutamente lungimirante si potrebbe sostenere di non aver bisogno di regole, e che, di volta in volta, si deciderà ciò che è bene per il Paese e questo sarebbe un approccio assolutamente legittimo.
La nostra storia nazionale, ma anche la storia di altri Paesi, mostra, però, che le considerazioni di breve periodo tendono a prevaricare su considerazioni di medio e lungo periodo. L'esistenza di regole, quindi, in qualche modo aiuta a prendere delle decisioni che rispettano questo vincolo di bilancio. Non sto sostenendo che ciò sia ottimale sotto tutti i profili: un po' vincola, ma si deve essere consapevoli che parliamo di saldi di bilancio e resta alla politica, al Governo, al Parlamento decidere l'ammontare delle entrate, delle spese, la loro composizione e il loro utilizzo.
Il grosso delle decisioni di finanza pubblica, ossia su come si spende, su come si usano le risorse, non è toccato dalle regole sui saldi di bilancio; le decisioni fondamentali restano fuori, giustamente nel mondo della politica, del Governo e del Parlamento.
Veniva sollevata, inoltre, la questione del rischio di dover attuare politiche anticicliche in modo ottuso: il rischio c'è ma, del resto, all'Italia e ad altri Paesi sta accadendo di attuare politiche procicliche, non anticicliche, per le scelte operate sulla finanza pubblica in passato.
Delle buone regole che ci inducano ad abbattere il debito pubblico, a stare, grosso modo, attorno al pareggio di bilancio, ci garantiranno in futuro, a mio avviso, maggiori margini per politiche anticicliche migliori di quelle avute finora. Non sono sicuro, quindi, che questo tipo di regole ci vincoli di più rispetto a quanto abbiamo vissuto nel nostro passato nazionale.
Spero che ci diano margini superiori, ma bisogna comunque gestire bene, con lungimiranza. Potrebbe essere opportuno andare anche in surplus strutturale, se si vuole disporre di maggiori margini per politiche anticicliche. Se vogliamo affrontare la prossima recessione con grossi margini si parte da un piccolo avanzo; se non si vogliono margini, questo è un altro discorso.
Quanto al vertice monocratico, vi sono diverse esperienze internazionali di questo tipo, così come di «consigli» in altri Paesi, per cui nessuno di noi pensa di avere in mente la soluzione ottimale. Poniamo solo due considerazioni di buonsenso: se sceglieremo nei prossimi anni una persona sola, è più probabile che troveremo una persona di elevato spicco, sulla quale, oltretutto, far convergere i consensi di tutti, dei due schieramenti qui rappresentati; se si convergesse su più persone, è


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probabile, come accade in genere nel nostro Paese, ma non solo (il nostro Paese non è tanto strano) che vi sia una persona nominata da una parte e una dall'altra. Un organismo indipendente che in qualche modo non sia solido, compatto, granitico, con queste fessure presenti al suo interno potrebbe avere complicazioni. Inevitabilmente questo organismo si scontrerà con altri organismi, avrà opinioni diverse magari da quelle della Banca d'Italia, ma questa sarà una dialettica normale. Pensiamo, allora, che per essere assolutamente granitico forse è meglio che vi sia una sola persona a capo dell'organismo e di grande spicco, ma possono esistere altre considerazioni che vanno in una direzione opposta.
Onorevole Cambursano, ovviamente gli investimenti degli enti locali hanno sofferto moltissimo negli ultimi anni e lei ha assolutamente ragione che, se adesso volessimo accrescere gli investimenti pubblici, quello sarebbe il canale più facile nell'immediato. Come accennavo, questo è uno degli aspetti più critici. Occorrerà molta attenzione nel definire poi il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Le regioni, come dice lei, sono state scelte come stanza di compensazione e questo solleva, come accennavo, qualche problema: scegliere lo Stato avrebbe potuto essere un'altra soluzione, ma credo che ormai si sia andati sulla strada regionale. Forse - esprimo un'opinione personale - la scelta dello Stato sarebbe stata forse quella più facile, perché lo Stato avrebbe potuto mettere in conto un certo avanzo proprio per trasferire delle risorse a tutti gli enti decentrati.
Adesso, si tratta di far funzionare il meccanismo a livello regionale. Servirà una forte programmazione a livello regionale e questo mercato interno di avanzi e disavanzi va fatto funzionare. Lo stato delle proposte, a livello europeo, di qualche anno fa, quando si parlava della riforma della governance europea, era quello di creare un mercato di permessi di disavanzo a livello europeo, sulla considerazione che un Paese un anno si indebita e un altro anno vive una condizione diversa. Idealmente, si dovrebbe ricreare un meccanismo di mercato o di programmazione a livello regionale: questo è un aspetto che, come dicevo prima, richiederà molta attenzione.
Quanto alla correzione degli squilibri in un solo anno, bisogna vedere come nasce lo squilibrio, se nasce da un evento eccezionale, fuori del controllo del comune o della regione, e la proposta di legge in esame considera gli eventi eccezionali tra le cause per le eccezioni. Se, invece, lo squilibrio nasce da scelte ordinarie, come l'assunzione di troppo persone, se il riequilibrio, il rientro è imposto l'anno dopo, forse questo dovrebbe essere utile per avere buoni incentivi.
Onorevole Brunetta, condivido l'analisi sugli effetti della crisi, come ci dicevamo anche prima. Credo, però, sia più importante pensare all'eventualità che stiamo delineando un buon assetto per il «dopo crisi». Adesso in qualche modo stiamo gestendo la crisi, speriamo di uscirne a livello italiano, a livello europeo, ma credo che questo sia l'assetto per il dopo crisi, su cui l'Italia dovrebbe operare una volta che si raggiunga il pareggio strutturale di bilancio, come è nelle intenzioni dei programmi governativi. Questa dovrebbe essere l'architettura per gli anni successivi. Capisco che la transizione a questo livello, al pareggio di bilancio sia difficilissima anche dato l'andamento del prodotto interno lordo, ma questo insieme di regole è fatto per il dopo e delle regole che ci garantiscano alcune rigidità possono risultare utili per rendere le politiche pubbliche un po' più lungimiranti. Se avessimo avuto in passato politiche lungimiranti, forse non ci troveremmo nella situazione attuale.
Non sono sicuro che il vincolo di spesa, così come viene indicato, sia particolarmente negativo. Si chiede ai Governi di enunciare un obiettivo di spesa ex ante che poi diventa un vincolo, ma è nella scelta del Governo stabilire per un anno una spesa di 800 miliardi di euro, per quello successivo di 820 e poi, ancora, di 840, corredata delle motivazioni.


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Secondo la regola, una volta che il Governo ha enunciato la sua intenzione di spesa, se vuole cambiarla deve andare in Parlamento a motivarne le ragioni, ma quella della dinamica della spesa e della sua composizione resta una scelta del Governo, per cui il mio giudizio non è così negativo.
Onorevole Duilio, il bilancio non è per noi un fine, come è spiegato all'inizio del nostro intervento, nel documento depositato. Ovviamente, le regole di spesa, le regole in generale, sono importanti, ma altrettanto importante è la gestione concreta delle entrate e delle spese pubbliche, che non entra nella materia trattata in questo testo: qui ci si limita, sostanzialmente, ai saldi. Tutta questa è, essenzialmente, un'architettura sui saldi. Tutto ciò che sta nella dimensione delle entrate e delle spese qui non è toccato. Abbiamo rilevato che queste altre dimensioni sono estremamente importanti, ma non le trattiamo oggi, perché oggi ci siamo concentrati nel commento a questa proposta di legge.
Quanto a un obiettivo più ambizioso del pareggio di bilancio, se ne parla soltanto se si vuole fare politica anticiclica più attiva negli anni successivi. Se un Governo può farlo, può essere opportuna quella scelta.
Inoltre, quanto al conto nozionale, suggeriamo che il rientro possa essere più rapido, in presenza, però, di due condizioni: innanzitutto, deve aversi una fase del ciclo favorevole, per cui questo rientro più rapido non crea danni per il ciclo; in secondo luogo, nel caso in cui il debito non si riduca abbastanza. Se la dinamica del debito è già virtuosa, noi non chiederemmo un rientro più rapido, per cui se il percorso è virtuoso non si deve rientrare più rapidamente. Questa regola del conto nozionale serve a restare su un percorso virtuoso.
Spero di aver risposto a tutto.

PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti della Banca d'Italia.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,50.

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